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IABR 2014 URBAN BY NATURE

Apr 07, 2016

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Antropocene e metabolismo urbano
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IABR – 2014 – URBAN BY NATURE Intelligent School Design alla Biennale di Rotterdam Il corso Intelligent School Design, organizzato dall'Università IUAV di Venezia in collaborazione con l’Urban Center del

Comune di Bassano del Grappa (VI), con l'Ordine degli Architetti PPEC di Vicenza e con il Think Tank VoD, ha

organizzato una visita alla Biennale di architettura di Rotterdam, che quest'anno propone il tema - URBAN BY NATURE'.

Questo lavoro è una lettura mirata della Biennale, organizzato in quattro capitoli,'Introduzioni', 'Argomenti', 'Metabolismo

urbano' e 'Progettare con i flussi', che ha lo scopo di ricostruire il ragionamento esposto alla mostra, cioè un palinsesto

teorico e operativo per l'organizzazione della città dell’Antropocene, basandosi sulle regole del metabolismo urbano.

I capitoli sono integrati da tre raccolte fotografiche a cura dei partecipanti al viaggio, che raccontano i passaggi chiave del

progetto antropocenetico: la scoperta della 'natura urbana', il passaggio a modelli di organizzazione del progetto orizzontali

e programmatici, come quello attuato per la realizzazione del ponte Luchtsingel, e l'accenno all'evoluzione tipologica di

Rotterdam nell'ultimo cinquantennio dalla bassa densità all'esplosione del grattacielo.

Fonte dei testi è il catalogo: G. Brugmans e J. Strien (editors), IABR 2014 - URBAN BY NATURE, ed. IABR, Rotterdam,

maggio 2014. In particolare sono stati tradotti i testi di Dirk Sijmons che riguardano la presentazione della mostra e delle

sue sezioni, cui vanno aggiunti gli scritti di Jelle Reumer, La città è anche natura, Johan van de Gronden, Il nuovo

'selvaggio' siamo noi, Piet Vollaard, La natura dell’uomo, l’ascesa dell’Antropocene, Maarten Hajer, La sfida del secolo, la

necessità di una radicale revisione dell’urbanistica.

I testi sono stati tradotti da Giuseppe Longhi, Diletta Bellina, Linda Comerlati, Beatrice Rizzo.

Le fotografie sono a cura di Giuseppe Longhi, Linda Comerlati, Giulia Longhi, Nicola Preti, Beatrice Rizzo

L’edizione interattiva di questo lavoro è stata curata da Diletta Bellina.

L’edizione in pdf è stata curata da Linda Comerlati.

Hanno partecipato al viaggio: Giuseppe Longhi, Diletta Bellina, Sara Carciotti, Matteo Coletto, Linda Comerlati, Giulia

Longhi, Nicola Preti, Beatrice Rizzo.

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IABR – 2014 – URBAN BY NATURE Indice

INTRODUZIONI

Svegliarsi nell’Antropocene 05 Dirk Sijmons

Un percorso per progettare nell’Antropocene 11 Giuseppe Longhi

Imparare a progettare con i flussi 14 Linda Comerlati

ARGOMENTI Pura resilienza La città è anche natura 17 Jelle Reumer

Un pianeta coltivato 19 Dirk Sijmons

Il nuovo 'selvaggio' siamo noi 22 Johan van de Groenden

La natura dell’uomo L’ascesa dell’Antropocene 24 Piet Vollaard

Esplorando il sottosuolo 26 Dirk Sijmons

Paesaggio urbano e cambiamento climatico 28 Dirk Sijmons

La sfida del secolo, la necessità di una radicale revisione dell’urbanistica 29 Maarten Hajer

Strategie per il paesaggio urbano 31 Dirk Sijmons

SKETCH 1 Urban by nature in Rotterdam La città è natura, impressioni 33 #IntelligentSchoolDesign2014

METABOLISMO URBANO Il metabolismo urbano 43 Dirk Sijmons

I flussi , le sfide visualizzate 45

SKETCH 2 Una progettazione in crowd, un ponte per la coesione di Rotterdam 64 #IntelligentSchoolDesign2014

PROGETTARE CON I FLUSSI Pianeta Textel, guida per un luminoso futuro 74

Quattro strategie per un nuovo metabolismo di Rotterdam 79 PBL, IABR - Project Atelier Rotterdam, Rotterdam Town, FABRIC and James Corner

Quattro funerali, ma dov’è il matrimonio? 84 Floris Alkemade e LOLA

Il mosaico del Brabant 88 Yves De Boer

SKETCH 3 Grattacielo contro bassa densità, appunti sui modelli insediativi di Rotterdam 90 #IntelligentSchoolDesign2014

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INTRODUZIONI

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SVEGLIARSI NELL’ANTROPOCENE Dirk Sijmons

Un’idea o un’immagine forte possono improvvisamente modificare radicalmente il nostro modo di vedere il

mondo.

Ti rendi conto che non puoi più tornare alla beata inconsapevolezza, così normale fino a un giorno prima.

Questo mi è inaspettatamente successo qualche anno fa, quando i geologi annunciarono la nuova era

dell’Antropocene. I geologi non sono scienziati che abitualmente affrontano il breve termine e gli sconvolgimenti

frenetici. Essi pensano in migliaia, se non milioni d’anni. L’era geologica più recente, l’Olocene, risale a 10.000

anni fa. Le novità eclatanti raramente appartengono alla geologia. Ma questa volta è successo.

Una sera stavo leggendo un articolo del Premio Nobel olandese Paul Crutzen. Raccontava come, in una relazione di routine,

stesse descrivendo l’Olocene come la ‘nostra’ epoca e improvvisamente pensò: no, è cambiato troppo negli ultimi secoli, ci

siamo persino lasciati alle spalle il buon vecchio Olocene e siamo entrati in una nuova era, nella quale l’umanità sta

aggredendo la terra come una forza della natura. Egli chiama questa era ‘l’era degli umani’: l’Antropocene.

Al mattino seguente ero consapevole che mi stavo svegliando in una nuova era, non perché il mondo era cambiato, ma

perché la mia visione del mondo era inequivocabilmente mutata.

Antropocene è il termine provocatorio e appropriato con cui descrivere l’era e il mondo in cui viviamo.

Grazie a questo concetto si possono meglio focalizzare molte osservazioni sull’influenza dell’uomo sui processi naturali.

In tutto il mondo ci sono più alberi nei parchi, nei vivai e in altre realizzazioni umane che nella foresta vergine. Gli esseri

umani sono capaci, in 500 anni, di bruciare la biomassa prodotta in 500 milioni di anni e di alterare il clima con i gas serra

emessi. Un solo progetto per l’estrazione di sabbie bituminose richiede più movimento terra che il sedimento portato via da

tutti i fiumi del mondo. Questo movimento di sedimenti, per inciso, è diminuito spettacolarmente in conseguenza della

costruzione di decine di migliaia di dighe, così che, molti delta nelle aree del mondo più densamente popolate, non sono più

riforniti in modo naturale.

Il progresso dell’umanità è condizionato da una valanga di specie a rischio d’estinzione. In breve, l’introduzione del

concetto di Antropocene nella scienza è problematica: una grande, nuova, ipotetica parola che improvvisamente organizza

questo disordinato pasticcio di fenomeni e lo rende comprensibile.

Non si può tornare indietro Ma Antropocene non è solo un concetto scientifico basato sull’osservazione; esso risuona come un avvertimento: il

fatto che siamo abbastanza potenti da manipolare la terra non è qualcosa di cui essere orgogliosi. Il sottinteso morale è che

siamo anche responsabili delle conseguenze del nostro intervento: dei problemi ambientali , dell’estinzione delle specie,

della roulette russa del cambiamento climatico. L’introduzione del termine ha seriamente minato l’alibi che siamo troppo

insignificanti per fare qualcosa, e questo da al termine Antropocene una sfumatura polemica , esortativa ed anche

impetuosa.

La consapevolezza della responsabilità è un fatto serio. Ma se vogliamo affrontare le vere e pressanti questioni del pianeta

urbano del XXI° secolo, è di scarsa utilità il solo messaggio moralistico che noi esseri umani sono siamo andati troppo

lontano e quindi dobbiamo invertire il corso. Non si può tornare indietro. L’Antropocene postula che i processi umani e

naturali siano un insieme interconnesso. Non c’è una ‘situazione di partenza’ o un‘equilibrio naturale’ a cui tornare, così

come non possiamo tornare al tempo della settimana passata. Stiamo vivendo nell’Antropocene, che ci piaccia o no.

Possiamo solo andare avanti, e dobbiamo trovare il modo migliore di progredire.

Verso nuove avventure In questo vedo motivi di ottimismo. Uno di questi è l’ingegnosità umana. Questa spesso ci porta nei guai , ma ci

consente anche di tirarci fuori. L’Economist ha scritto: ‘Un pianeta che presto dovrebbe sostenere10 miliardi di umani

dovrebbe funzionare in modo diverso da quello che ha mantenuto 1 miliardo di persone, per lo più contadini, 200 anni fa.

La sfida dell’Antropocene è usare l’ingegno umano per impostare le cose in modo che il pianeta possa assolvere i suoi

compiti per il 21° secolo’.

Sono anche ottimista per uno degli effetti collaterali al concetto di Antropocene .

Vedendo l’intervento umano come una forza della natura che aggredisce la terra ha minato la pseudo opposizione tra

‘natura’ e ‘società umana’. Questa opposizione (come quella tra corpo e mente) ha dominato il pensiero, accecandoci,

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ostacolando azioni efficaci per secoli. Noi esseri umani pensavamo di esistere fuori dalla natura, e la natura fuori di noi. La

natura è stata vista come un dominio al di la dello steccato, dove poter attingere risorse e scaricare rifiuti senza limiti e per

sempre.

Con la dichiarazione dell’Antropocene, non è stato più possibile mantenere la finzione di una divisione tra ciò che

è naturale ed artificiale. Non si può prescindere dal fatto che essi sono interdipendenti. Dobbiamo anche riconoscere che

molti dei processi che ci circondano sono ibridi: frutto del lavoro di ‘naturale’ e ‘umano’. Ciò che abbiamo finora

soprannominato ‘naturale’ è anche artificiale, e quello che abbiamo chiamato ‘artificiale’ è anche naturale.

Questo che si applica all’uso del suolo, ai fiumi e alle correnti oceaniche, alla flora e alla fauna, al clima, vale per una delle

più grandi forme ibride più visibili sulla terra: il paesaggio urbano. La semplicistica teorizzazione del passato, basata sulla

contrapposizione fra città e natura non è più valida.

Forse noi umani siamo per natura inclini a vivere insieme in insediamenti in espansione, forse siamo urbani per natura.

Questa intuizione ci libera da un sacco di preconcetti moralistici su ‘buono’ e ‘cattivo’ nel rapporto tra natura e città.

Nell’Antropocene ci rendiamo conto che città e natura si sovrappongono spazialmente e funzionalmente, con un

impatto reciproco. Per i progettisti questa è una sfida unica. IABR-2014-URBAN PER NATURE guarda a questa nuova

condizione urbana attraverso la lente dell’architettura del paesaggio, la disciplina appropriata per guidarci attraverso un

mondo ibridizzato. 'Paesaggio' è per definizione un concetto ambiguo e di collegamento in cui fattori naturali e azioni

umane si fondono. L’architetto del paesaggio è addestrato a guardare nello stesso tempo le componenti naturali e artificiali

di una zona, come due immagini che scorrono una sopra l’altra e insieme raccontano una storia nella sua completezza.

Guardando attraverso la lente dell'architettura del paesaggio, stiamo radicalizzando l'idea di città, la condizione urbana, la

società e la natura.

Non ci rimane che questa terra In tutto il mondo, l'urbanizzazione sta subendo una sbalorditiva ondata d’espansione. Già la metà della popolazione

mondiale vive in quella che chiamiamo la città, e nei prossimi 40 anni più di 3 miliardi di persone si aggiungeranno a questa

cifra. Ma che cosa intendiamo per 'citta'? Un secolo fa, città e campagna erano ancora chiaramente distinguibili. Tuttavia, la

combinazione della crescita della popolazione, della prosperità, della modernizzazione agricola, e della migrazione urbana

fanno si che a livello mondiale la densità degli insediamenti sia in declino. ‘Tappeti’ (sub)urbani si fondono con le aree

agricole, 'contenendo' e inglobando le aree naturali, le zone industriali, i grappoli di produzione agricola, gli aeroporti, le

aree di estrazione dell’acqua, le zone minerarie, e le aree ricreative connesse e divise in due da una serie di percorsi

infrastrutturali, dalle tubazioni alle linee elettriche, alle strade, alle ferrovie. Soprattutto lungo le coste e nei delta, questi

enormi manufatti emergono come paesaggi urbani.

“Tappeti urbani” enormi, tessuti con grande complessità, con leggende multicolori.

Confusamente, queste "città" hanno una biodiversità molto più grande di quella delle aree agricole monofunzionali, a causa

della loro ricchezza di substrati e di situazioni. Come possiamo attrezzare tali colossali manufatti, già città, per un altro

raddoppio della loro dimensione attuale?

Sappiamo che le città non potranno espandersi secondo le modalità del passato, quando le soluzioni erano

comunemente ricercate al di fuori delle città.

La città era compatta, nettamente demarcata, e circondata da una campagna pastorale, dove la natura ed i terreni agricoli

sembravano inesauribili risorse per il funzionamento della città. La fornitura dell’energia urbana avveniva importando

combustibili da oltre l’orizzonte. I rifiuti della città sono stati delegati alle sue zone esterne. Quando la città è divenuta

troppo piccola, l’abbiamo ampliata. In breve, la città ha affrontato molti dei suoi problemi con una ritirata in avanti, con la

fuga da qualche altra parte.

Questo è sempre meno possibile. La continua crescita della popolazione e la sua tensione verso la prosperità e la ricchezza

stanno generando sempre maggiore pressione sulla disponibilità di spazio e risorse. Il sistema urbano si è ampliato come

una rete attraverso quasi tutte le parti fertili della terra. Le immagini satellitari della terra di notte evidenziano paesaggi

urbani pantagruelici che dicono che c'è sempre meno spazio per l’espansione, sempre meno spazio per fuggire all’esterno.

Non vi è alcuna nuova frontiera. L’'altrove' che è stato usato per gestire l’abbondanza, come un serbatoio per eludere

soluzioni ai problemi, è sempre più scarso, e siamo costretti a dire addio alla tradizionale pianificazione ‘altrove’. L'habitat

umano si identifica sempre più con il paesaggio urbano, ed è in questo che dobbiamo imparare a sopravvivere.

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Nuove prospettive d’azione

In quanto la civiltà umana diventa sempre più una civiltà urbana, aumenta anche la necessità di trattare i grandi

temi del XXI secolo come questioni urbane. Questo vale per le mega-questioni come il cambiamento delle fonti energetiche,

il cambiamento climatico, la biodiversità, l'esaurimento delle risorse naturali, il modo in cui la nostra società è organizzata

e governata, ma anche per la realizzazione del diritto fondamentale di ogni individuo ad un'esistenza dignitosa, priva di

povertà e oppressione. Ma questo vale anche per le questioni di base della vita, che sono tanto urgenti per ogni singolo

essere umano come lo sono per l'umanità intera: come potranno 9 miliardi di persone, di cui 7 miliardi vivranno in città,

essere in grado di provvedere alle loro necessità in acqua potabile, cibo, calore, sicurezza, riparo, lavoro, incontri personali,

riposo, e conoscenza?

Siamo riusciti a nascondere sotto il tappeto gli effetti diretti e indiretti della società urbana industriale e della

modernizzazione attraverso le aree esterne. Ora non possono più essere ignorati; stanno diventando questioni urgenti, come

il cambiamento climatico, la crisi energetica, la pesca eccessiva, la scarsità di risorse, l’erosione della biodiversità. A scala

mondiale, lo studio e le azioni per contenere gli effetti collaterali dei progetti urbani stanno diventando una priorità. IABR-

2014-URBAN BY NATURE dimostra che questi nuovi protagonisti presentano nuove opportunità per il paesaggio urbano.

Siamo in grado di trarre beneficio da queste opportunità, se ci impegnamo a mobilitare la volontà politica, se abbiamo

inventiva, se ci adattiamo e impariamo a fare buon uso della ricchezza e dell’ingegnosità invece di sprecarle. Per

cominciare dobbiamo sviluppare una nuova visione dell'habitat umano, ora che è diventato così urbano: una visione di ciò

che questa nuova città è in realtà e come si rapporta con la natura e con la nostra stessa natura. È da questo compito che ha

origine il motto di IABR-2014-: 'URBAN BY NATURE’

Cavalcando la tigre

Come possiamo noi, come progettisti spaziali, svolgere questo compito? Non c'è risposta univoca a questa

domanda. La tensione esiste ancora tra la volontà di affrontare i problemi ambientali, da un lato, e il fatto che i designer

fanno vanto della loro distanza critica e ne mettono in dubbio l’importanza culturale. Troppo spesso, 'sostenibilità' è presa

per un imperativo morale, come una restrizione alla libertà disciplinare di creare significative architetture: un falso dilemma

che è la manifestazione di una più ampia confusione sociale. Viviamo in un periodo di transizione. Per decenni, sono

circolate contemporaneamente due storie contrastanti: una sulla fede nel progresso implicita nel progetto modernista di

urbanizzazione e un’altra che prefigurava le sue conseguenze ambientali, a volte in toni funerei.

La posizione di progettisti spaziali: disimpegno, o un paralizzante senso di colpa.

Non molto tempo fa, le idee per quanto riguarda la città sono stati al centro di modelli idealistici di società di stampo

tecnocratico. La pianificazione e progettazione della città, delle infrastrutture, delle aree di svago, della modernizzazione

dell'agricoltura, e anche della natura stessa sembrava tutto parte di un modello di modernizzazione e di rinnovamento

progetto figlio dell’Età della Ragione, onnicomprensivo, che era sicuro di tradursi in un mondo migliore di prosperità

economica e di riscatto dei gruppi svantaggiati. Questo continuo rinnovamento è stato inconsapevolmente sostenuto dalla

convinzione che la natura fosse una fonte inesauribile di energia e materia che, senza alcun contraccolpo, avrebbe agito

come pozzo senza fondo, dove poter scaricare tutti tipi di rottami, cascami di calore, acqua di raffreddamento, gas di

processo, per essere successivamnente assorbiti e neutralizzati. La storia è stata riassunta come una serie di successi

scientifici e tecnologici, in grado di liberarci dall’oppressione dei vincoli sociali e naturali. Le parole chiave del progetto

progressista erano libertà ed emancipazione.

C'è anche un'altra storia. Gli ultimi 50 anni sono stati punteggiati con evidenza da coloro che dicono che quasi tutto quello

che fanno gli esseri umani ha effetti nocivi. Questi effetti sono stati spesso descritti con termini apocalittici, aggiungendo

forza polemica allo shock della scoperta.

Fatti di vita quotidiana, come l'aria fresca, una grande varietà di alberi, il canto degli uccelli, l’infinita estensione dello

spazio, un clima stabile, e anche l'ospitalità del 'nostro' pianeta sono stati, ad uno ad uno, messi all'ordine del giorno,

o per citare Peter Sioterdijk, 'resi espliciti’: Silent Spring, una scomoda verità, La vendetta di Gaia: la razza umana come

carnefice e vittima allo stesso tempo. La scienza e la tecnologia non sono solo motori del progetto progressista,

ma anche ci hanno permesso di mappare con precisione gli effetti delle azioni umane, e sorvegliare le loro implicazioni. Di

fronte a questi, abbiamo chiamato i responsabili delle azioni e chiesto che le attività dannose per l’uomo fossero fermate,

attenuate o normate. Interdipendenza e responsabilità hanno sostituito libertà ed emancipazione come parole chiave del

progetto progressista.

I progettisti hanno operato ignorando gli effetti, per lungo tempo. Gli scienziati attivisti, invece, hanno sottolineato gli

effetti, con eccessi. Ma non è affatto produttivo sostituire il negare o denigrare i nostri problemi ambientali con l'altro

estremo, che è agire con senso di colpa e di vergogna. Una reazione eccessiva inizia con il presupposto che ogni atto umano

produce, in un modo o nell'altro, effetti nocivi sulla natura, è calamitoso per l'ambiente o potrà distruggere il paesaggio.

Peccato che non genererà nulla di buono. Non alla natura, né alla cultura. Andando all'altro estremo, tornare al

melodrammatico eroismo della ricostruzione, può essere un seducente movimento nostalgico, ma non porterà a soluzioni.

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Credo che lentamente ma inesorabilmente crescerà la consapevolezza delle implicazioni del fatto che viviamo

nell’Antropocene, la quale si tradurrà in nuove e assertive prospettive per azioni nel campo della progettazione, della

pianificazione e della governance, e nuovi approcci che ci permetteranno di imparare a cavalcare la tigre. Quali opportunità

hanno queste forme ibride di organizzare il paesaggio urbano in modo piacevole e vivibile? Quale nuova terminologia

possiamo usare per discutere la città nell’Antropocene?

Non sappiamo quali nuove prospettive d’azione avranno i progettisti, gli ambientalisti, gli architetti paesaggisti e

gli urbanisti. Possiamo speculare, tuttavia, e IABR-2014-URBAN BY NATURE- è eminentemente una piattaforma per

l'identificazione di elementi che devono essere inclusi.

Primo, abbiamo bisogno di prendere una posizione meno moralistica su ciò che è bene o male sui processi spaziali.

Successivamente, dobbiamo essere consapevoli che la città è parte della natura. Ciò richiede la rivalutazione del concetto di

responsabilità. E dobbiamo fermarci nel respingere la tecnologia come qualcosa di innaturale e

accettare che è solo un'altra forma di evoluzione. Ciò produrrà un moderato ottimismo che è, però, avverso al presupposto

ingenuo che la tecnologia risolverà automaticamente qualsiasi problema. Diciamo qualcosa di più. Diciamo che siamo sulla

strada verso un'economia più circolare, in grado di riciclare quasi il 100 per cento dei materiali essenziali. Che la transizione

verso l’uso di fonti rinnovabili di energia, a bassa emissione di C02, porterà alla riduzione dei problemi del cambiamento

climatico. Lo sviluppo della biodiversità e il costruire con la natura sfruttando i processi naturali per raggiungere i nostri

obiettivi sarà parte integrante di questa prospettiva. Un passo ulteriore è l’approccio basato sulla gestione degli ecosistemi,

un percorso appena iniziato.

Abbiamo bisogno di filosofie di controllo che, pienamente consapevoli del fatto che il cavalcare la tigre è uno sport

completamente diverso, permettano di sviluppare metodi di lavoro capaci di trarre beneficio da ambienti turbolenti.

Abbiamo bisogno di stili di governance che si basano sulle teorie della complessità, piuttosto che della cibernetica.

E, infine, abbiamo bisogno di altri piani (spaziali); strategie per l’occupazione al posto di piani omnicomprensivi; piani che

funzionano con regole semplici al posto dei master plan.

URBAN BY NATURE- La mostra IABR-2014- URBAN BY NATURE ha identificato cinque temi che meglio mostrano gli effetti della prospettiva

antropocentrica nella sfida alla progettazione. Stiamo introducendo una serie di nuove prospettive, che sono anche

domande, che rivalutano alcuni temi storici dell’architettura del paesaggio e della progettazione urbana.

I temi:

1. Urban by nature IABR-2014-URBAN BY NATURE parte da un’idea diversa sul rapporto tra società urbana e la natura. Guardiamo

indietro alla sua ricca storia, in cui, a partire dall’inizio dell’urbanizzazione, gli elementi naturali e i giardini sono stati parte

della città. Vediamo le relazioni affettuose e mediate tra città e natura che hanno portato ai giardini, all’urban arcadia,

all’istituzione di parchi e all’idea di protezione della natura. Indaghiamo come queste ricche fonti di ispirazione possono

ispirare la realizzazione della città di oggi.

Non mettiamo la natura fuori dall’uomo e dalla società; invece esaminiamo la nostra natura in tutte le sue manifestazioni.

Così la città diventa il nostro stato naturale, il nostro habitat e la nostra ecologia, tutti interconnessi. Ci sembra di essere

inclini a costruire strutture complesse che chiamiamo città. Forse gli esseri umani sono diventati urbani per natura?

La città come la natura: questa è la premessa di IABR-2014-. Cerchiamo un’analisi dello sviluppo urbano che prescinda da

pseudo opposizioni tra ‘artefatto’ e ‘natura’, e riveli una serie di sorprendenti e produttive sovrapposizioni e persino

ibridazioni fra urbano e naturale. La città è, allo stesso tempo, la nostra più grande risorsa e il nostro habitat naturale.

Vediamo le forze tecnologiche e sociali che conferiscono alla città il suo dinamismo come una continuazione

dell’evoluzione con altri mezzi. E questo modo di vedere le cose che ci offre anche una nuova prospettiva d’azione.

2. Il metabolismo della città IABR - 2014- IL METABOLISMO DELLA CITTÀ- vede la città come un sistema attivo complesso e tentacolare

che lavora incessantemente per provvedere ai bisogni dei suoi occupanti. Possiamo descrivere questo sistema non solo

riguardo i suoi elementi artificiali, ma anche in termini organici.

Proprio come un corpo umano respira, beve, mangia, usa i suoi sensi, ed espelle rifiuti, così possono essere identificati i

flussi vitali di materiali che alimentano la città. Uno dei concetti chiave di IABR - 2014- è quindi il ‘metabolismo’ della

città.Per rendere questo metabolismo visibile, IABR - 2014- si concentra su diversi flussi di materiali vitali: energia, acqua,

biomasse e cibo, rifiuti, sabbia e sedimenti, informazioni, trasporto di merci e persone. Questi flussi toccano la vita

quotidiana dei singoli abitanti delle città con le loro necessità elementari, e anche il funzionamento delle grandi costellazioni

Page 9: IABR 2014 URBAN BY NATURE

urbane. Ognuno di loro è indispensabile per il funzionamento ed il benessere della città. Ma nessuno di loro sarà garantito

nei prossimi decenni. In molti casi sarà estremamente difficile mantenerli a un livello adeguato e sostenibile.

IABR - 2014- si sta concentrando su questa sfida enorme eppure concretamente concepibile. Ogni flusso di materiale ha una

propria infrastruttura (la rete elettrica, la rete idrica, Internet, ecc.). Come designer indaghiamo come queste infrastrutture

possano essere meglio progettate, individualmente, ma anche in relazione tra loro, in relazione alla struttura del tessuto

urbano.

L’esperienza insegna che l’ordine spaziale è influenzato dalla localizzazione delle infrastrutture. Il loro disegno

può quindi essere utilizzato per indirizzare responsabilmente le espansioni urbane. Considerando che la costruzione di

infrastrutture e lo sviluppo urbano oggi spesso si realizzano in pratica senza un coordinamento, una più intelligente

pianificazione delle infrastrutture contribuirà a un migliore ordine spaziale.

E questo contribuirà anche a migliorare le prestazioni ambientali della città.

Ciò è tanto più importante in quanto gli investimenti necessari nelle infrastrutture per la crescita e la ristrutturazione delle

città di tutto il mondo nei prossimi decenni avranno un costo di molte centinaia di miliardi. Queste enormi somme di denaro

possono essere spese bene o male, ad hoc o sostenibilmente, con un alto o un basso rendimento, possono essere in grado di

migliorare le prestazioni ambientali della città o eventualmente portare ad una catastrofe del metabolismo urbano nel suo

complesso o per ogni abitante della città. Come le cose si realizzano non dipende dal destino ma dalle decisioni giuste,

soprattutto dalla volontà politica, basandosi su un nuovo ed efficace arsenale di soluzioni progettuali.

Anche in Olanda, le infrastrutture possono essere utilizzate in modo più efficace di quanto non sia ora. Le

problematiche urbane urgenti del mondo sembrano remote. Si è tentati di pensare che esse non ci riguardino, che l’acqua del

rubinetto, il cibo nei negozi e la ricezione dei nostri telefonini esisteranno sempre. Eppure, molto deve essere fatto per

garantire tali dispositivi in futuro. Non possiamo continuare con il nostro eccessivo consumo quando è sempre più intensa la

competizione per le risorse, sempre più scarse in tutto il mondo. Quindi dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione alle

strategie di progettazione intelligente, basata su efficienza e sinergia, per i flussi di materiali e le loro infrastrutture.

Possiamo imparare molto dalle politiche ed i piani ideati per questi flussi di materiali in altre parti del mondo.

Il metabolismo della città ha una dimensione tecnica: come funziona, come è strutturato, cosa si può fare, e come si

fa a farlo? Esso ha anche una dimensione sociale e morale: per chi funziona?, che qualità della vita rende possibile?, in che

modo gli elementi interagiscono?, in quale contesto sociale e politico esiste? Esso ha anche una dimensione di

progettazione: in che forma possiamo applicare meglio le sue caratteristiche e le possibilità dei flussi di materiali per la vita

urbana ?

IABR - 2014- opera nella dimensione della progettazione, e da questo si connette con tecnologia e società.

Un’infrastruttura informata da conoscenza e analisi dei flussi di materia è un formidabile strumento di pianificazione per le

città sconfinate del ventunesimo secolo.

3. La misura della città Per capire il fondamentale spostamento nel rapporto tra società e natura, è fondamentale la corretta scelta di scala.

IABR - 2014- si concentra sul campo urbano in senso lato: complesso, diversificato e spesso immensamente tentacolare.

Questa città, o meglio, questo paesaggio urbano, è un mosaico variegato, sparso in lungo e in largo con molte forme di uso

del suolo a densità alta e bassa. Esso si compone di vecchi nuclei urbani e nuove aree residenziali, ma anche di terreni

agricoli, foreste, montagne, laghi, miniere a cielo aperto, aree industriali, serre, porti, villaggi, zone ricreative senza una

chiara organizzazione, e un labirinto di diversi tipi di infrastrutture.

Come etichettare questa metropoli è essa stessa una questione.

‘Carpet metropolis’ (un termine coniato da Willem -Jan Neutelings) può essere una definizione appropriata. IABR - 2014-

sta studiando la città a scala della metropoli ABC, dal nome dei suoi vertici: Amsterdam, Bruxelles e Colonia.

‘Carpet metropolis’ si estende per centinaia di chilometri, oltre i confini nazionali.

Rotterdam, Anversa e Liegi sono parte di esso, come la zona dei grandi fiumi, Brabante, Limburgo e Vallonia. Vi abitano

circa 31 milioni di persone, e la grande diversità all’interno della zona la rende ideale per affrontare il tema proposto.

4. Architettura del paesaggio come lente Lavorando sul tema Urban by Nature, l’architettura del paesaggio agisce come una guida in un mondo in

ibridazione. ‘Paesaggio’ è per definizione un concetto ambiguo e di collegamento, in cui i “fattori naturali” e “le azioni

umane” si fondono insieme. Un architetto del paesaggio è addestrato a non guardare una zona come naturale o artificiale,

ma ad entrambe allo stesso tempo, come due immagini che scorrono una sopra l’altra e insieme raccontano una storia più

completa.

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Guardando un complesso sistema urbano come questo naturalmente, nulla di nuovo; siamo in grado di costruire su un flusso

di pensiero innovativo che è cresciuto assieme all’espansione della città stessa. In considerazione dell’attuale vastità,

velocità e intensità dei problemi, tuttavia, è richiesta ancora una volta innovazione nel modo di pensare e di lavorare. Questa

è l’intenzione di IABR - 2014-.

Guardando attraverso la lente dell’architettura del paesaggio, stiamo radicalizzando l’idea di città, di condizione urbana, di

società e di natura.

Su questa base, vogliamo proporre progetti e pratiche per una migliore gestione del nostro complesso paesaggio urbano.

5. Tre ateliers di progetto

Al fine di condurre una ricerca approfondita e sviluppare proposte di progetto che possano essere testate in pratica,

IABR - 2014- ha istituito tre Atelier di Progetto in collaborazione con tre governi locali e regionali dei Paesi Bassi.

In questi atelier, progettisti dei Paesi Bassi e dall’estero lavorano su sfide locali concrete ed attuali. Le sfide attuali

richiedono una deviazione, per così dire, lungo il percorso della Biennale, per permettere un modo nuovo, fresco e libero di

vedere, grazie ad esperti provenienti dai Paesi Bassi e a contributi di idee e buone pratiche da altrove, che rappresentino una

sfida per gli stakeholder e per il pubblico in generale. Alla fine, dopo l’esposizione, i risultati potranno trovare la loro strada

ritornando di nuovo nel locale.

Ogni Atelier di progetto è collegato ad uno dei tre sotto-temi di IABR - 2014-: ‘Città e natura’ (Progetto Atelier Texel); ‘Il

metabolismo della città’ (Rotterdam, Progetto Atelier Rotterdam); ‘Strategie per il paesaggio urbano’ (Progetto Atelier

BrabantStad).

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UN PERCORSO PER PROGETTARE NELL’ANTROPOCENE Giuseppe Longhi

“Siamo entrati nella nuova era dell’Antropocene, l’era degli umani. Ci sono tutte le ragioni per dare questo nome

all’attuale periodo basato sull'enorme impatto delle attività umane sia sulla biosfera che sull'atmosfera. Questa

influenza è così grande che può essere paragonata all'impatto degli asteroidi o alle grandi eruzioni vulcaniche”

questa è la tesi del premio Nobel olandese Paul Crutzen, sviluppata nel 2000 con l'ecologo Eugene Stoermer, che fa

da filo conduttore alla Biennale di architettura di Rotterdam IABR-2014 - “Urban by nature”, curata da Dirk

Sijmons.

L’impostazione di Sijmons è importante perché il riferimento all’Antropocene riconduce la progettazione ad una

serie di forze guida ‘strutturanti’ che riguardano:

- la morfologia: la città, la megalopoli, il ‘tappeto urbano’ sono le morfologie caratterizzate da un'umanità che sta

aumentando in modo esponenziale, in modo esplosivo;

- i tempi: la nuova era è definita dai geologi, scienziati che abitualmente non affrontano il breve termine e gli

sconvolgimenti frenetici. Essi pensano in migliaia, se non in milioni d’anni. L’era geologica più recente, l’Olocene, risale a

10.000 anni fa. Ricollegare il progetto ai tempi dei geologi invita a pensare in termini ‘patrimoniali’, alla dilatazione nel

tempo e nello spazio delle nostre scelte, alla drammaticità dell’operare con attenzione al solo breve momento. Non

dobbiamo dimenticare che gli esseri umani sono capaci, in 500 anni, di bruciare la biomassa prodotta in 500 milioni di anni

e di alterare il clima con l’emissione di gas serra;

- la consapevolezza e la responsabilità: la consapevolezza che gli esseri umani sono divenuti la forza geologica più

significativa, ha generato studi scientifici importanti per la definizione dei limiti del pianeta, come i contributi del Club di

Roma 'Limits to Growth' (1972), del Wuppertal Institut e dello Stockholm Environmental Institute (sui flussi di materia,

sull’esaurimento delle materie prime e delle risorse naturali), per arrivare alle elaborazioni dell’impronta ecologica. Di

conseguenza, i progettisti dispongono oggi di un alfabeto di progettazione responsabile che permette loro di operare in

sicurezza ed in armonia con le leggi della natura;

- il modello: il riferimento all’Antropocene ribalta il paradigma progettuale: la città è natura e la natura considera la

città con indifferenza, come qualsiasi altro ecosistema, anche se con gli esseri umani come specie dominante. Quindi

nessuna visione romantica della natura ‘incontaminata’, ma consapevolezza che, come la flora e la fauna si adattano a nuovi

ambienti in un costante flusso evolutivo, questo vale anche per gli esseri umani sempre più urbanizzati. Non c’è una

‘situazione di partenza’ o un ‘equilibrio naturale’ a cui tornare, così come non possiamo tornare al tempo della settimana

passata. Stiamo vivendo nell’Antropocene, che ci piaccia o no, possiamo solo andare avanti, e dobbiamo trovare il modo

migliore di progredire.

L’Antropocene postula che i processi umani e naturali sono un insieme interconnesso, quindi dovremo sempre più

basare le nostre decisioni sulla consapevolezza che i nostri interventi sono altamente pervasivi, interessano tutti gli angoli

della biosfera e creano le condizioni per il nostro futuro collettivo.

Il modello progettuale che emerge è olistico, capace di sfruttare le interdipendenze generate dalle relazioni fra risorse umane

e risorse naturali, con lo scopo di ottimizzarne il metabolismo.

Il ‘tappeto urbano’ è la morfologia della fusione fra città e natura Con la dichiarazione dell’Antropocene non è più possibile mantenere la finzione di una divisione tra ciò che è

naturale ed artificiale, non si può prescindere dal fatto che essi sono interdipendenti. Dobbiamo anche riconoscere che molti

dei processi di cambiamento che ci circondano sono ibridi, frutto del lavoro della natura e dell’uomo. Di conseguenza, la

semplicistica teorizzazione del passato, basata sulla contrapposizione fra città e natura non è più valida.

Un secolo fa, città e campagna erano ancora chiaramente distinguibili; oggi, la combinazione della crescita della

popolazione, della prosperità, della modernizzazione agricola e della migrazione urbana fanno si che a livello mondiale la

densità degli insediamenti sia in declino ed emergano enormi ‘tappeti urbani’ che si fondono con le aree agricole,

inglobando le aree naturali, le zone industriali, i grappoli di produzione agricola, gli aeroporti, le aree di estrazione

dell’acqua, le aree ricreative, le linee elettriche, le strade, le ferrovie.

Confusamente, queste ‘città' hanno una biodiversità molto più grande di quella delle aree agricole monofunzionali, a causa

della ricchezza dei loro substrati e delle situazioni. Come possiamo attrezzare tali colossali manufatti, già città, in vista della

crescita della loro dimensione attuale?

Page 12: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Sappiamo che le città non potranno espandersi secondo le modalità del passato, quando le soluzioni erano

comunemente ricercate al di fuori delle città. La città era compatta, nettamente demarcata e circondata da una campagna

pastorale, dove la natura ed i terreni agricoli sembravano risorse inesauribili per il funzionamento della città. La fornitura

dell’energia urbana avveniva importando combustibili, i rifiuti della città erano delegati alle sue zone esterne. Quando la

città è divenuta troppo piccola, l’abbiamo ampliata. In breve, la città ha affrontato molti dei suoi problemi con la fuga da

qualche altra parte.

Questo è sempre meno possibile, la continua crescita della popolazione e la sua tensione per la prosperità stanno generando

sempre maggiore pressione sulla disponibilità di spazio e risorse. Il sistema urbano si è ampliato come una rete attraverso

quasi tutte le parti fertili della terra. Le immagini satellitari della terra di notte evidenziano paesaggi urbani pantagruelici che

dicono che c'è sempre meno spazio per l’espansione. Non vi è alcuna nuova frontiera. L’'altrove' che è stato usato per

gestire l’abbondanza, come un serbatoio per eludere soluzioni ai problemi, è sempre più scarso. Siamo costretti a dire addio

alla tradizionale pianificazione ‘altrove’. L'habitat umano si identifica sempre più con il paesaggio urbano, ed è in questo

che dobbiamo sopravvivere.

La sfida dell’urbanistica: cambiare impostazione L’epoca dell’espansione è stata accompagnata da un modello di pianificazione e progettazione della città figlio

dell’Età della Ragione, onnicomprensivo, certo di tradursi in un mondo migliore di prosperità economica e di riscatto dei

gruppi svantaggiati. Questo modello è stato inconsapevolmente sostenuto dalla convinzione che la natura fosse una fonte

inesauribile di energia e materia ed un pozzo senza fondo, dove poter scaricare ogni rifiuto ed emissione senza alcun

contraccolpo.

Nella gestione dei sistemi urbani la razionalità delle scelte postulata dal paradigma progressista è rimasta sulla carta,

principalmente per tre motivi: la tendenza ad operare in modalità di ‘default’, la tendenza a subire ‘blocchi’, la mancanza di

creatività.

Infatti, la modalità di 'default' è diventata la prassi abituale della progettazione e delle realizzazioni. Si sono imposte

modalità standard spesso letteralmente “incise sulla pietra” e lontane dall’essere sostenibili. Oltre al problema di pensare per

default, le scelte dei decisori sono spesso limitate da blocchi, dovuti alla divisione del lavoro, al modo di condurre le

transazioni, e, sostanzialmente, dalla mancanza di coraggio. Un altro problema ancora è la mancanza d’immaginazione.

L’attuale pensiero sulla città si basa su concetti dei primi anni del ventesimo secolo, e questo deve cambiare.

La filosofia della città ha bisogno di un cambiamento di paradigma: strategie per l’uso delle risorse e per gli

insediamenti al posto dei piani omnicomprensivi, piani che funzionino con regole semplici al posto dei master plan.

Dobbiamo sviluppare una nuova prospettiva per la città che sia considerata come fenomeno della natura; una riserva

naturale; un habitat dell'uomo come chiave di volta della specie. Una migliore comprensione del metabolismo urbano può

contribuire a chiarire le nuove sfide della pianificazione urbana e innescare nuove idee.

Comprendere il metabolismo urbano per un progetto coerente con le risorse Nella pianificazione urbana prevale ancora il paradigma modernista, nella pratica corrente l'idea lineare della

natura in grado di fornire all'infinito “input” e di assimilare gli “output” non è praticamente mai stata messa in discussione,

malgrado una serie di contributi rilevanti iniziati negli anni ’60 con Kenneth Boulding e Nicolas Georgescu Roengen e

proseguiti sistematicamente dagli anni ’70 con le Conferenze dell’ONU sull’ambiente.

Migliorare la nostra comprensione del metabolismo urbano è un modo per avviare seriamente una nuova agenda urbanistica.

Se non conosciamo gli input, come vengono utilizzati, e quali sono gli output, come possiamo modificare l’abitudine di

prendere decisioni in default? Di quanta e quale energia abbiamo bisogno? Come si articolano i flussi d’acqua? Sulla base

della nostra comprensione dei flussi urbani possiamo fissare nuovi obiettivi e definire realistiche strategie. Questo approccio

è chiamato 'programmazione del metabolismo urbano: dove il metabolismo urbano è definito come consumo, produzione e

trasformazione dei flussi di risorse in ambiente urbano’, dal quale risulta anche evidente che le città non possono

sopravvivere senza il mantenimento di collegamenti sostenibili con l'entroterra da cui traggono energia, acqua, cibo,

biomassa e materie e in cui rilasciano i loro rifiuti.

L’operare nella città secondo la logica del metabolismo implica un nuovo approccio alla progettazione.

Storicamente i pianificatori urbani hanno progettato la città sulla base della domanda, specie di manufatti edilizi; ora è

chiesto loro di progettare la città basandosi anche sullʼanalisi dei flussi. I flussi non sono per loro natura particolarmente

spaziali, ma rappresentano la parte di ‘processo dinamico’ del progetto urbano. Generare una progettazione spaziale da un

numero enorme di dati di flusso significa passare dal trattare ‘oggetti esclusivamente fisici’ al trattare interdipendenze, ossia

gli input e gli output connessi a questi oggetti, e questo implica un modo molto diverso di osservare e di pensare. Questo

implica alimentare il disegno degli spazi fisici con le interdipendenze dei flussi:

- biotici generati dalle risorse naturali e dall’atmosfera;

Page 13: IABR 2014 URBAN BY NATURE

- della noosfera, ossia della conoscenza, della cultura e della tecnologia;

- della cybersfera, che permette la connettività e l’intelligenza aumentata.

Ai progettisti si richiede di diventare contemporaneamente medici generici e internisti e di saper gestire le potenzialità

dell’intelligenza aumentata. Questo implica un radicale rinnovo delle professionalità chiamate a gestire il progetto.

Considerare i flussi significa dilatare la nozione di spazio, a questo punto nasce un quesito classico: qual’è il

confine della città dell’Antropocene? Ritorna in mente il pensiero di Massimo Cacciari secondo il quale il carattere

programmatico della civitas è quello di crescere, non c’è civitas senza delirio - la lira è il solco, il segno che delimitava la

città, delirio vuol dire uscire dalla lira, andare oltre il confine della città.

Quindi non essendo più praticabile la politica del ‘delirio’ in termini di mera espansione fisica, è la logica dei flussi che

permette alla città di essere delirante, ossia vitale. Così la forza di una città non è più data dalla pura dimensione fisica, ma

dalla sua connettività, ossia dalla capacità di gestire flussi relazionali e flussi biotici.

Di conseguenza la prospettiva della città non è nella sua densificazione, nè nella definizione di artificiali delimitazioni dei

suoi confini, nè in improbabili battaglie contro lo sprawl, ma nella consapevolezza che un gran numero di abitanti vive e

vivrà nella città diffusa come conseguenza della continua diminuzione della densità media oggi in atto. E' decisivo perciò

esaminare il potenziale delle città a bassa densità.

Come già ricordato, Willem Jan Neutelings definì questa conurbazione ‘Carpet Metropolis’, oggi ricorre anche il termine di

città mosaico (va ricordato anche Bernardo Secchi, antesignano della città diffusa). Dovremo imparare a gestire

creativamente la morfologia del tappeto urbano, intendendo questa realtà un eco-spazio, in cui stimolare l’integrazione dei

flussi:

- ottimizzando il suo metabolismo e finalizzando la progettazione alla riduzione dell’impronta ecologica;

- aumentando il sapere e stimolando l’innovazione, per facilitare l’accesso alle risorse, alla conoscenza e alla creatività, per

rendere le città più sostenibili;

- promuovendo forme di governance flessibili e capaci di operare in rete con altre città.

La forma di governance che sostiene le proposte della Biennale è quella della piattaforma, una struttura aperta ed

inclusiva capace di comprendere tutti i saperi e le risorse umane necessari a progettare il nuovo paesaggio urbano. I

progettisti giocano certamente un ruolo importante nei nuovi interventi, ma la totalità di questi interventi non può essere

progettata ex ante, ma deve essere aperta ad una molteplicità di contributi per cogliere tutti gli aspetti della realtà in continua

emersione e in continua germinazione.

L’ampiezza della piattaforma ed il suo coordinamento intelligente sono importanti data la dimensione dei prossimi

investimenti in infrastrutture. Nei decenni futuri saranno investiti complessivamente centinaia di miliardi, questa enorme

somma di denaro può essere spesa saggiamente o stupidamente, in modo informale o sostenibile, può produrre ritorni

economici alti o bassi. Le scelte fatte oggi possono migliorare il futuro ambientale della città o condurre alla catastrofe del

suo metabolismo, coinvolgendo la qualità della vita di ogni cittadino.

Quello che succederà non è quindi una questione di destino, ma dipende da sagge decisioni e volontà politiche, alimentate

da un nuovo ed efficace potenziale di soluzioni progettuali.

Postfazione: queste note sono costruite sulla base degli scritti di Dirk Sijmons pubblicati nel catalogo della

Biennale di Rotterdam a cui vanno aggiunti gli scritti di Jelle Reumer, La città è anche natura, Johan van de Gronden, Il

nuovo 'selvaggio' siamo noi, Piet Vollaard, La natura dell’uomo, l’ascesa dell’Antropocene, Maarten Hajer, La sfida del

secolo, la necessità di una radicale revisione dell’urbanistica (vedi: George Brugmans, Jolanda Strien (editors), IABR-2014-

URBAN BY NATURE-, IABR, Rotterdam, 2014).

Il risultato è un 'Carpet text' che, sulla base delle fonti sopra citate, vuole restituire i principali momenti metodologici di

questo evento.

La responsabilità del contenuto è solo mia.

Page 14: IABR 2014 URBAN BY NATURE

IMPARARE A PROGETTARE CON I FLUSSI Linda Comerlati

Se dovessi rappresentare l'uomo del 2014, dopo aver visitato la Biennale di Rotterdam, disegnerei un uomo al

centro di un cerchio chiuso in cui ruotano alberi, animali, edifici, acqua, macchine, ecc, insomma l'uomo immerso

nel ciclo dei flussi urbani di una città virtuosa a zero emissioni.

La Biennale apre con un assunto di base: siamo entrati nell'era dell'Antropocene, cioè l'era geologica in cui l'uomo

con le sue attività è in grado di influire sui processi naturali e geologici. Questo implica un ribaltamento completo dei punti

di vista nell'ambito della progettazione urbanistica e territoriale. Le attività umane e il sistema infrastrutturale che le

supporta non vanno più intesi come mezzi per il soddisfacimento dei bisogni delle persone attraverso lo sfruttamento delle

risorse a disposizione, ma diventano parte integrante dei cicli della natura, e pertanto sono da intendersi come anelli del

metabolismo globale di risorse ed energia.

La tradizionale distinzione tra uomo e natura è scardinata. Quello che noi normalmente chiamiamo 'natura' e

associamo al senso di primitivo, selvaggio, incontaminato, ricco, in realtà è una costruzione mentale, poiché l'influenza

umana è arrivata ad alterare completamente la maggior parte dei cicli terrestri biotici e abiotici: la formazione dei suoli, la

circolazione delle acque, la composizione chimica dell'aria, la biodiversità, al pari di un fenomeno di portata planetaria quali

le glaciazioni, le eruzioni vulcaniche ecc. In questa visione il compito dell'urbanista, del pianificatore e dell'architetto va

rigenerato per trovare soluzioni capaci di integrarsi, e non di attaccare, il patrimonio di risorse necessario per la vita

dell'uomo, e la cui sopravvivenza, come abbiamo capito, è in mano alla responsabilità dell'uomo.

La Biennale prende atto che la crescita esponenziale della popolazione si accompagna alla crescita della città e ad

una diminuzione della sua densità. La città diventa quindi la maggiore opportunità di rinnovo dei paradigmi progettuali

nella direzione dello studio del suo metabolismo.

Lo IaBR 2014 lancia le basi per un programma di 'reinvenzione' infrastrutturale della città proponendo un abaco che va dal

sottosuolo (sezione 'Exploring the underground'), agli ecosistemi terrestri (sezione 'A planet cultivated') al paesaggio urbano

(sezione 'Strategies for the urban landscape'), ma il lavoro più corposo si trova nella sala dell''Metabolismo urbano' in cui si

opera una sorta di anatomia del 'corpo urbano', una galleria che ricorda una sala operatoria, in cui ogni banco di lavoro

disseziona un flusso specifico (aria, acqua, cibo, energia, ...) e dispone i risultati lungo scaffali metallici allineati in una

griglia ortogonale. La Biennale in questo mi appare come un antidoto alla perdita di metodo avvenuta nella pianificazione.

È apprezzabile che l'esposizione lasci spazio anche all'improvvisazione attraverso la mostra 'Pure resilience', in cui,

in modo volutamente crudo, evidenziato dalla sua collocazione nelle sale del museo di storia naturale immerse nell'odore di

formalina, vengono esposti animali imbalsamati ritrovati nei loro habitat urbani/naturali: il pezzo più emblematico è la

raffigurazione del cigno che ha nidificato ad Amsterdam con il fil di ferro e altri rifiuti.

Questo a rendere evidente che la città stessa è permeata di natura, gli animali e le piante vi si sono già adattati grazie alla

loro capacità evolutiva. Ora sta a noi prenderne atto e iniziare a 'costruire i nostri nidi' in modo più intelligente.

La mostra ha inoltre colpito il mio interesse per la vicinanza tra le morfologie territoriali olandesi e quelle italiane:

diffusione urbana 'a tappeto', il territorio ad alto rischio idrogeologico, la produzione agricola a monocoltura, la produzione

industriale di piccola/media scala, la dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento energetico. Questo apre la possibilità

di costruire un tavolo comune per la ricerca di best practices condivise. La soluzione per lo sviluppo della città futura

proposta dagli olandesi è sia di tipo organizzativo sia di tipo progettuale.

Per quanto riguarda l'organizzazione la Biennale è ideata come una piattaforma. Questa piattaforma si occupa di articolare il

progetto sostenibile in risposta alle maggiori sfide globali per lo sviluppo territoriale: cambiamento climatico, disastri

ambientali, crisi demografica e occupazionale. La piattaforma è costituita dal Ministero olandese per le infrastrutture e

l'ambiente, dall'istituzione per la promozione culturale olandese 'Industrie Creative' e dalla municipalità di Rotterdam. Il

lavoro consiste nello studio dei principi, delle strategie e dei modelli di progetto offerti dal mercato internazionale, e nella

continua proposta di soluzioni progettuali innovative, per costruire un catalogo di best practices virtuose, esportabili

globalmente.

Per questo, la maggior parte dei progetti presentati propongono schemi a matrice, oppure 'toolkit', cioè sistemi pre-

programmati in grado di funzionare con variabili molto diverse.

Page 15: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Dal punto di vista del progetto gli sforzi sono stati concentrati nei tre macro progetti per l’isola di Texel, la città di

Rotterdam e l’area metropolitana del Brabant. La critica a riguardo è che, sebbene dal punto di vista dei principi i tre

progetti siano ben strutturati, nell'effettiva realizzazione non vengono approfondite le potenzialità date dalle innovazioni

dirompenti, ad esempio biotecnologia, nanotecnologia, neuroscienza, bioingegneria, ecc., come ci si sarebbe aspettati dalle

premesse esposte. Da questo punto di vista appaiono più interessanti alcuni progetti minori esposti nella sala del

'Metabolismo urbano', come 'High tech indoor farming for the city', di Shift Architecture + Urbanism e 'Metropolitan

Agriculture' della Metropolitan Agriculture Foundation, che propongono nuovi spazi per la produzione urbana di cibo,

integrati con le attività cittadine per evitare lo sprawl, il progetto 'Wind city climate'di Krautheim, Pasel, Pfeiffer, e Schulz

Granberg, che propone morfologie edilizie in grado di interagire con la ventilazione naturale, il progetto 'From waste to

resource' di Nedvang, che propone strategie per reimmettere i rifiuti nel ciclo urbano come nuove risorse.

In genere sembra che la mostra apra gli occhi su una dimensione del progetto architettonico e urbano

tradizionalmente risolta con il termine 'impianti'. Il nuovo progetto che si propone è quello di saper manipolare acque,

materiali, rifiuti, sedimenti, aria, cibo, insetti, suolo, energia, ecc. in modo integrato. Lo spazio per la vita degli uomini è un

luogo da cui egli sia capace di gestire senza rovinare questi cicli di base.

In Italia la ricerca architettonica sull'applicazione di innovazioni come biotecnologia, nanotecnologia ecc, che potrebbero

permettere questo nuovo passo progettuale, è limitata, oppure presenta delle punte di spicco, ma non organizzate in sistemi

capaci di farle diventare prodotti a larga diffusione, come invece sta riuscendo a fare l'Olanda.

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ARGOMENTI

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PURA RESILIENZA La città è anche natura Jelle Reumer Direttore del Museo di storia naturale, Rotterdam

Metà della popolazione mondiale vive oggi in città. Ciò significa che che ben 3,6 miliardi di persone abita nelle

città, un numero che crescerà enormemente nei prossimi decenni. Con una popolazione futura di 9-10 miliardi, non

potremo evitare di vivere in città, soprattutto se si considera che il nostro pianeta è in gran parte inabitabile: più di

due terzi della superficie terrestre è coperta da oceani, e per il resto l'Antartide, i deserti e le alte montagne sono

inabitabili.

La concentrazione della popolazione umana in aree urbane, pertanto, è inevitabile.

Che cosa significa? Che cosa significa per la natura, ma anche: Cosa significa per l'umanità stessa? Ed anche per le

specie animali e vegetali, per le specie che vivono nelle zone a loro più adatte, di solito l'ambiente originario. Gli orsi polari

vivono nell'Artico, le scimmie nella giungla, le giraffe nella savana. Qualcosa di diverso ci sembrerebbe strano.

Il genere umano, invece, una specie che è emersa nella savana dell’Africa orientale non molto tempo fa e dovrebbe quindi

in teoria e idealmente vivere lì, abita sempre più in città e si trova molto raramente nella savana. Nel corso del tempo le

città sono diventate l’habitat preferito degli esseri umani, sembra che abbiamo scambiato la savana per la città. Ad essere

onesti la maggior parte delle persone non vorrebbe in nessun modo tornare alle pianure calde dell’Africa orientale e

dimenticare le moderne comodità della città. Abbandonare supermercati, scuole, cinema, centri sanitari, case di riposo, asili

nido, teatri e ospedali? Nessuno lo fa. Seguendo il paradigma biologico che le specie vivono in zone a cui sono più adatte, la

città è ora il luogo cui noi apparteniamo.

Questo solleva molte domande. Che cos’è, esattamente, una città? Quali sono le caratteristiche del nostro habitat preferito?

Quali altri animali e specie vegetali vivono lì, oltre gli esseri umani? Come ci rapportiamo con loro? Come

si relazionano con noi? Possiamo imparare da loro? E – una questione interessante - la natura trasportata in città è patetica e

il paesaggio naturale urbano è squallido?

Il nostro rapporto con la natura urbana è l’oggetto di 'Pure Resilience', la mostra con cui il Museo di Storia Naturale

contribuisce a IABR-2014-URBAN NATURE-, e l'idea alla base di questa Biennale è che, sebbene i concetti di città e

natura sembrino essere reciprocamente escludenti, in realtà non lo sono. Al contrario: la città è natura. Ci sono modi diversi

di guardare la città e la natura urbana, ed un modo è quello di considerare la città come parte della natura.

Cinque secoli fa, l'area ora coperta dal Comune di Rotterdam era un bel paesaggio con colture, prati e fossati; 1.000

anni fa era una grande torbiera, e 10.000 anni fa era una steppa che ospitava mammut e montoni; nelle sue paludi nuotavano

castori e lontre e covavano gli aironi viola; nel muschio della torba e nei pascoli vivevano e procreavano il topo ragno

d'acqua, le pavoncelle e le pittime.

E oggi la città, benché sia divenuta un paesaggio artificiale fatto dall’uomo, ospita pappagalli, piccioni e ratti. La flora si

modifica di pari passo. La natura si adatta, ma non si lamenta: in ogni epoca il paesaggio cambia, e, sorprendentemente,

specie diverse con diverse abitudini si avvicendano.

Nel 2012, un cigno è stato covato nel centro di Amsterdam in un nido fatto interamente di spazzatura che galleggiava nei

canali e di rifiuti delle costruzione: plastica di vecchie bottiglie, pezzi di polistirolo, un paio di vecchie cinghie di scarto,

pezzi di borse di filo e plastica. Il cigno era seduto imperturbabile sulle sue uova, visto ogni giorno da centinaia di passanti.

È stata una immagine forte. La questione che ha sollevato e solleva tuttora, era se in questa situazione artificiale , come

potremmo chiamarla, il cigno stesse soffrendo oppure no.

Propendo per la seconda opzione. Un cigno è nato per il nido e la covata. Costruisce il suo nido con qualsiasi materiale

disponibile. In circostanze 'normali', questo viene raccolto sotto forma di foglie e canne, in un ambiente urbano viene

raccolto dai rifiuti dei canali. Il cigno non ha opinioni in merito.

La sua situazione non è patetica né squallida. E, in senso più ampio, lo stesso concetto vale per natura nel suo complesso.

La mostra 'Pure resilience' propone una copia del nido del cigno come altri esempi della straordinaria capacità di

resilienza della natura: un nido di piccione fatto di filo di ferro e rete metallica e il nido di un corvo che è costituito quasi

interamente di fascette e filo. Tali esempi mostrano l'applicabilità, anche nei centri urbani e nei siti industriali, della

citazione di Orazio: 'Si può far deviare la natura con un forcone, ma lei continua a tornare': Si tratta di un detto ottimistico,

privo di disfattismo, che induce un nuovo modo di guardare la città. Questo nuovo modo è quello di guardare attraverso la

lente della natura stessa, che come abbiamo visto in precedenza, non ha preconcetti.

La città è lì, esiste. Per la natura, le città sono fatti, proprio come i vulcani, le maree, le stagioni, le glaciazioni, i periodi

interglaciali ed i meteoriti occasionali che possono colpire la terra con conseguenze disastrose. Oggi l'umanità sta

Page 18: IABR 2014 URBAN BY NATURE

aumentando in modo esponenziale, in modo esplosivo e sta costruendo città.

Con indifferenza, la natura considera queste città come qualsiasi altro ecosistema, anche se con gli esseri umani come specie

dominante: come la sua specie chiave. Barriere coralline, foreste pluviali, torbiere, città: sono ambienti nei quali le specie

possono stabilirsi. Oppure no. Una tigre non può vivere in una torbiera, un pesce non può vivere sulla sabbia, una pittima

reale non può vivere nel centro della città. Tuttavia i piccioni selvatici e decine di altre specie tipicamente urbane sono gli

abitanti felici della città.

Il messaggio del connubbio fra città e natura è quello che vogliamo comunicare con 'Pure Resilience'. Tendiamo a pensare

che per conoscere la natura, dobbiamo visitare la foresta pluviale tropicale, la grande barriera corallina, o il Serengeti, o per

lo meno guardare i documentari della BBC.

Nulla è più lontano dalla verità. Vi è abbondanza di natura reale nella città. È un tipo di natura diverso da quello

propagandato da televisione, riviste o raccoglitori di fondi, che riguarda una specie di natura che conosciamo

esclusivamente dalla TV o da pubblicazioni.

Onestamente, chi ha mai visto un panda selvatico o un leone? Un rinoceronte o un baobab? La natura urbana, al contrario, è

davvero il nostro tipo di natura. Predatori e prede si trovano in città. Cicli ecologici e piramidi alimentari stanno proprio di

fronte a noi. Questa è la natura che dobbiamo conoscere di più, perché la conoscenza porta alla comprensione e la

comprensione porta alla conservazione. Coloro che amano veramente la natura (e chi non lo fa?) non può non amare la

natura urbana: lei ci è così vicina, eppure quasi non la conosciamo.

E questo è il motivo per cui c'è speranza. La situazione può apparire negativa all'inizio, con le grandi città piene di gente,

rifiuti, traffico, detriti, cemento e acciaio; ma gettare la spugna sarebbe un grande errore. Dal momento che noi umani siamo

la specie più importante dell'ecosistema urbano, decidiamo cosa fare. Gli esseri umani costruiscano le nuove condizioni.

Così come attraverso la gestione ed un finanziamento adeguato l'azione dell’uomo può rendere le città più piacevoli da

vivere per la gente, ugualmente l'azione dell’uomo può rendere le città più piacevole da vivere per la flora, la fauna e quindi,

indirettamente, per sè stesso. La filosofia della città ha bisogno di un cambiamento di paradigma. Dobbiamo sviluppare una

nuova prospettiva per la città in cui sia considerata come fenomeno della natura; una riserva naturale; un habitat che

dell'uomo come chiave di volta della specie. Nel contesto di una nuova filosofia della città, questo particolare habitat sarà

non solo più facile da capire, ma anche da sviluppare, progettare, gestire e controllare. Gli urbanisti e gli architetti, operando

con gli ecologisti urbani, ne detengono la chiave.

Le città sono anche natura.

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UN PIANETA COLTIVATO Dirk Sijmons

Nel corso dei secoli, il modo in cui gli uomini si sono rapportati con la natura è cambiato frequentemente e spesso

drammaticamente. Un esempio significativo è il modo in cui ci comportiamo nei confronti delle balene.

Diversi secoli fa, la caccia alle balene era un'impresa pericolosa ed eroica, fatta da uomini coraggiosi che su piccole

imbarcazioni combattevano contro dei mostri marini. Nel XX secolo, l'uomo prese il sopravvento e si sentì un trionfatore.

La caccia alle balene divenne un settore industriale consolidato e nel dopoguerra la baleniera Willem Barents l'orgoglio

nazionale dei Paesi Bassi, garantendo al paese, allora molto povero di risorse, una materia prima come l’olio animale. Un

film del 1950, dal titolo 'Willem Barents', ebbe migliaia di spettatori.

Nel 1970, quando le balene, un tempo numerose, erano ormai in via di estinzione per l’eccessiva caccia, l'opinione pubblica

cambiò. L'orgoglio si trasformò in vergogna, le azioni mosse contro la caccia alle balene furono un successo e si diffuse un

senso collettivo di responsabilità nei confronti della sopravvivenza di questi grandi cetacei. I Paesi che non sono riusciti a

interrompere la caccia alle balene, come il Giappone, sono considerati criminali.

Oggi viviamo in un'epoca dalla forte carica emotiva grazie alle esperienze multimediali, capaci di aggiungere un'altra

dimensione alla realtà. Questo è emerso chiaramente nel 2012 quando una megattera si arenò sulle spiagge di una piccola

isola disabitata chiamata Razende Bol vicino a Texel. Il Paese simpatizzò immediatamente con lo sfortunato cetaceo.

All’animale venne dato il nome di 'Johannes.' Gli operatori umanitari, provenienti da un centro di ricerca delle vicinanze,

ricevettero addirittura delle minacce di morte sui social network, perché non erano riusciti a riportare la megattera in mare

aperto. I tentativi umanitari di eutanasia furono vani, l'animale morì senza assistenza. Dopo la sua morte, venne organizzata

una marcia silenziosa. L'autopsia fece emergere che era stato dato sconsideratamente un nome maschile. La megattera si

sarebbe dovuta chiamare 'Johanna'.

L’episodio della megattera, uccisa da un errore di navigazione, si trasformò in breve tempo in un affare, alimentato da

emozioni umane e da momenti mediatici.

Da Willem Barents a Johanna: i sentimenti e le azioni nei confronti delle balene sono significativi dei cambiamenti

radicali nella nostra percezione della natura.

A volte si presume che il nostro interesse per la natura sia notevolmente aumentato nel corso del secolo passato, ma che tipo

di interesse è, e a che tipo di percezione si riferisce?

La nostra percezione della natura è strettamente connessa al momento storico e alla cultura, ed è per ciò mutevole. Ciò si

riflette in punti di vista e opinioni molto diversi nei passare dei secoli. La sezione della mostra 'A PLANET CULTIVATED'

(Un pianeta coltivato) dà una traccia di questa complessa 'storia verde del mondo', attraverso un'infografica alta da

pavimento a soffitto che cattura i principali momenti storici: dai giardini pensili di Babilonia ai Grandi Parchi Nazionali

negli Stati Uniti; le scuole di pensiero che affrontano il difficile rapporto tra uomo e ambiente; le iniziative per una vita

autarchica; i movimenti integralisti; le costruzioni utopiche; le città ideali; le espressioni artistiche che cercano di catturare

l'esperienza sublime della natura; la 'scoperta' della natura urbana e stranamente, quasi dimenticati, movimenti come quello

dell'assimilazione del XIX secolo, che progettò la redistribuzione attiva delle specie viventi sul pianeta.

Oltre ai cambiamenti, nella storia si possono rintracciare anche molte esperienze di continuità.

Gli esseri umani hanno a lungo e attivamente avviato azioni di mediazione tra la città e la natura. Il giardino ha una

tradizione ininterrotta lunga quasi quattro millenni.

Per cinque secoli si sono realizzati tenute di campagna e parchi. L'ultimo tassello di questa ondata è il principio di

salvaguardia della natura, che conta ormai circa 150 anni di storia, e che ha a sua volta prodotto nuovi sviluppi della natura.

L'infografica dello IABR può essere interpretata come una leggenda del pianeta 'coltivato'; mostra i progetti che riguardano

il tema del rapporto tra la società e la natura, presentati in ordine cronologico.

Giardini I giardini sono più antichi delle città. In senso allegorico, la loro storia inizia con il Giardino dell'Eden, realmente

risalgono all'inizio dell'era agricola, circa 10.000 anni fa. Per evitare la distruzione o i danni causati dagli animali selvatici, i

primi campi coltivati furono recintati da fitti filari di piante, spesso spinose: il Tuun o Zaun (vedi il 'Tuunwallen' a Texel).

Le prime storiografie urbane parlano di uomini con la necessità di integrare strutturalmente gli elementi naturali alla

pianificazione urbana. Un primo esempio è quello dell'impero assiro. Furono costruiti enormi palazzi fortificati, costituiti da

terrazzamenti coltivati ad alberi e arbusti.

La tradizione del giardino urbano in Cina, Persia e Giappone ha radici molto antiche; come pure i giardini asiatici. Giardini

più recenti all’interno delle abbazie europee e gli hortus conclusus furono pensati come luoghi di meditazione e

introspezione.

Page 20: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Nella prima metà del XX secolo, la lunga e vitale tradizione nell'arte del giardino vive un momento di declino. Da un lato, si

è deteriorata nell'idea di 'giardinaggio' come una dichiarazione anti-urbana che aveva perso il suo valore artistico. Il giardino

modernista, in stridente contrasto, ha reagito esteticamente contro ogni forma di romanticismo, tradizione ed esperienza

soggettiva delle forme naturali.

Nella seconda metà del XX secolo, l'arte del giardino ha rigettato questi estremi per adottare una nuova veste. La nuova arte

del giardino ha ristabilito il contatto tra uomo e natura, integrando l'espressione scenica di un luogo alla rapida evoluzione

dei contesti urbani.

Parchi I parchi appaiono sulla scena solo in un secondo momento. Sono paragonabili ai giardini e in particolare al giardino

paesaggistico della tradizione inglese. I parchi urbani offrono forme stilizzate e talvolta sublimate della natura e

dell'esperienza dei cittadini nella natura. Nel diciannovesimo secolo e all'inizio del ventesimo, i parchi giocarono un ruolo di

contraltare alla città industriale.

I parchi urbani si inseriscono nel tema dello IABR-2014 perché illustrano come il disegno del parco urbano nel passato e

presente rappresenta la natura da tre punti di vista differenti.

La 'prima natura' è una rappresentazione del mitico stato selvaggio che trascende la nostra comprensione e il nostro

controllo. La 'seconda natura' è la rappresentazione del terreno coltivato e del paesaggio arcadico. E la 'terza natura' è quella

del giardino, la forma più intensamente mediata della natura, in cui gli aspetti allegorici, semantici e sensoriali giocano un

ruolo di primo piano.

Sorprendentemente, i parchi più discussi, realizzati negli ultimi tre decenni, sono stati tutti realizzati su aree dismesse di ex

zone industriali e portuali. Dal Parc de la Villette a Parigi all’Emscher Park nell'area della Ruhr o alla High Line di New

York: in tutti questi casi luoghi desolati del tessuto urbano sono stati riportati alla vita pubblica.

Questo nuovo genere di parchi urbani svolge un ruolo importante nel processo di rigenerazione qualitativa dei quartieri o

addirittura delle regioni, un ruolo strumentale che è diventato un punto fisso nella pianificazione delle città.

Salvaguardia della natura La salvaguardia della natura può sembrare un tema vecchio e venerabile agli occhi di molti, ma è il 'Benjamin'

della mediazione urbana nel rapporto con la natura.

La tutela della natura in Europa vede il suo inizio con il salvataggio delle foreste primordiali vicino a Fontainebleau nella

metà del XIX secolo. Quasi 1.000 ettari, nel 1861, furono destinati a riserva artistica per intercessione dei pittori e scultori

della Scuola di Barbizon, diventando così la prima riserva naturale al mondo.

Le radici urbane e culturali di questa antica riserva naturale sono caratteristiche. L'iniziativa venne condotta da cittadini che

avevano attinto le loro conoscenze sulla natura grazie al movimento romantico. Non è un caso che la linea ferroviaria tra

Parigi e Fontainebleau sia stata inaugurata nel 1849: la tutela della natura presuppone una vasta platea urbana.

Un secolo e mezzo dopo Fontainebleau, il movimento naturalista si trova di fronte ad un mondo completamente diverso. La

modifica dell'uso del suolo è stato uno dei motivi che ha portato all'invenzione del termine 'Antropocene'. L'umanità ha

modificato radicalmente il volto della Terra. Il noto elenco di zone di vegetazione naturale, di cui facevano parte tra le altre

la savana, la tundra, la foresta di latifoglie e le zone di foresta pluviale, ora è applicabile solo al 25% della parte libera da

ghiacci della superficie terrestre 'disabitata' - il che non vuol dire che la pressione dell’uomo non generi effetti anche in

queste aree. Il restante 75% richiede una classificazione diversa.

La 'leggenda' dell'Antropocene comprende aree bonificate per l'agricoltura, gli ecosistemi irreversibilmente alterati dagli

esseri umani e le aree semi-naturali. In cima a tutto ciò, gli insediamenti umani ad alta densità: allevamenti bovini, campi

coltivati, paesaggi rurali, paesaggi urbani e le città vere e proprie.

Lo IABR-2014 ha chiesto al World Wildlife Fund for Nature olandese di commentare il significato del principio di

salvaguardia della natura in un mondo urbanizzato. La mostra illustra come, oltre alla strategia di tutela e di gestione, lo

sviluppo della natura sia stato sostenuto per decenni da una strategia proattiva con solide opportunità di profitto. La mostra

mette in luce quali prospettive inaspettate i sistemi antropici possano offrire, e come la reintroduzione e il lavoro in sintonia

con i processi naturali possano produrre enormi profitti in termini di biodiversità e resilienza. Questo facilita la

collaborazione fra designer, progettisti e amministratori che vogliono sviluppare strategie di resilienza ai cambiamenti

climatici, come la protezione dalle inondazioni, le azioni contro il cambiamento climatico e l’individuazione di zone di

evacuazione per popolazioni isolate.

Page 21: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Natura urbana Una intuizione piuttosto recente è quella che riguarda il carattere 'urbano' della natura. In un primo momento, gli

ambientalisti ignorarono la città, che solo successivamente venne considerata come una zona che 'non poteva essere

danneggiata da nulla'. Oggi, il biotopo urbano sta vivendo un processo di rivalutazione. Appassionati ed ecologisti urbani

hanno aperto i nostri occhi sulla biodiversità della città, che è spesso notevolmente superiore a quella del paesaggio rurale

circostante. La mostra 'Pure Resilience' nel Museo di Storia Naturale di Rotterdam, sulla natura in città, si integra

perfettamente con 'A PLANET CULTIVATED'.

Costruire con la natura Esperimenti e progetti di architetti paesaggisti hanno portato a nuove prospettive sulla definizione dei processi

naturali a favore dello sviluppo dell'ingegneria civile. In un padiglione separato, 'Building with Nature', si mettono in mostra

progetti che hanno utilizzato tecniche di ingegneria naturalistica per opere avanzate di ingegneria civile. Gli esempi

includono il motore a sabbia al largo della riva South Holland e il deposito di gusci di ostriche speciali per soddisfare la

richiesta di sabbia dell'estuario orientale del fiume Scheidt. Questi ultimi metodi di tecnologia dei delta naturali sono un

nuovo prodotto di esportazione per la comunità imprenditoriale olandese.

IABR-Progetto Atelier Planet Texel Quasi tutti gli aspetti affrontati da 'A PLANET CULTIVATED' si ritrovano nell'atelier del progetto IABR-Planet

Texel. Lo IABR, insieme al Comune di Texel, ha commissionato una ricerca per esplorare come le ambizioni di

autosufficienza dell'isola possano essere collegate al turismo e a Texel come località ricreativa/turistica. Due studi di

progettazione, FARO Architects (Lisserbroek) e la4sale (Landscape Architects for Sale, Amsterdam), grazie ad un dialogo

costante con numerosi gruppi di portatori d’interesse di Texel, hanno analizzato questo progetto pezzo per pezzo con

continue proposte spaziali. Il risultato, 'Prospettive per Texel', è il cuore di 'A PLANET CULTIVATED'

.

Page 22: IABR 2014 URBAN BY NATURE

IL NUOVO 'SELVAGGIO' SIAMO NOI Johan van de Gronden CEO WWF Netherlands

Nel 2013 'The New Wilderness', un documentario naturalistico olandese, attirò quasi 700.000 spettatori,

rendendolo il secondo film olandese più popolare dello scorso anno. Il film è stato girato alla riserva naturale

‘Oostvaardersplassen’, relativamente piccola, di 56 km2, vicino alla città di Almere.

Il film mostrava 'i grandi spazi aperti di un piccolo Paese' e 'l'Olanda come non l'avete mai vista prima'. Anche una serie TV

in tre puntate con lo stesso titolo attirò milioni di spettatori. I creatori, Verkerk e Smit, erano riusciti a colpire il pubblico.

Il film fu un fenomeno culturale notevole, non solo per l'alto numero di visitatori, ma anche per il modo in cui la natura e lo

stato selvaggio erano rappresentati. Solo gli olandesi avrebbero potuto avere l'idea di chiamare una riserva naturale

realizzata su terreni bonificati appena 50 anni fa 'un luogo selvaggio'.

La riserva 'Oostvaardersplassen mette in discussione molte delle nostre concezioni e immagini mentali sulla natura:

l'accesso da solo è abbastanza sconcertante. Il percorso dalla mia residenza al parco è contrassegnato da un paesaggio

intensamente coltivato, rigorosamente geometrico, con fossati e strade perpendicolari, cui segue una zona industriale dei

primi anni ’70, poi alcuni chilometri attraverso campi desolati, poi una brusca svolta a destra, e inizia la riserva naturale.

Prendere un appuntamento con il guardaboschi, se volete evitare il congelamento su una piccola diga, osservando branchi di

cervi rossi, bovini e cavalli Konik da lontano, perché la riserva è in gran parte chiusa ai visitatori. Questa è una zona

selvaggia recintata. Una volta dentro, immaginate di trovarvi in una savana africana. Da nessuna parte in Europa c’è

maggiore densità di erbivori. Tutt’intorno si vedono carcasse e ossa di mammiferi sbiancate. La possibilità di avvistare

l'aquila dalla coda bianca che nidifica qui è quasi il 100%.

Le volpi cacciano giovani oche in pieno giorno. Grandi aironi bianchi foraggiano tra i cervi, alla ricerca di arvicole e piccoli

parassiti. Storni cavalcano le spalle del bestiame come se avessero copiato l'arte dai loro cugini africani, le bufaghe dal

becco rosso. Tutto abbonda: animali, uccelli e insetti. Solo il treno dei pendolari che passa ogni 15 minuti porta alla mente

che vi trovate vicino ad una zona urbana densamente popolata.

I creatori di 'The New Wilderness' hanno rimosso con attenzione dal film tutti i riferimenti ai manufatti urbani.

L’audio è stato registrato in giornate in cui il vento non portava il rombo delle auto proveniente dalla A6 ed il rumore degli

aerei. Non si vedono le enormi costruzioni in acciaio della linea di alimentazione elettrica. Mandrie di cavalli selvaggi,

filmate con droni, appaiono come se fossero venuti di corsa direttamente dalla Camargue. E naturalmente non si vedono i

treni che attraversano questa zona ‘selvaggia’. Gli uomini che hanno bonificato la terra e tuttora controllano costantemente i

livelli di acqua nella zona non sono menzionati, con l'eccezione di un pattinatore su ghiaccio che passa, una silhouette su

ghiaccio naturale, una mera ombra dietro frange di canne.

Penso che il film esponga il nostro disagio nei confronti della natura in modo quasi grafico. In un certo senso,

allevia la nostalgia profondamente radicata per la natura incontaminata, per i paesaggi primordiali senza persone. Le

immagini registrate nel nostro paese, suscitano anche una sorta di ottimismo: siamo allerta per nulla, tutto è possibile.

Possiamo anche ricreare una natura incontaminata. Possiamo ignorare tutte quelle brutte statistiche sulla perdita di aree

naturali e di biodiversità, anche se solo per un po', e goderci le forze primordiali scatenate nel polder. Entro i confini sicuri

di un cinema. Con la natura incontaminata chiusa in una riserva, ben recintata. Per un po', possiamo anche nutrire l'illusione

che l'estinzione non sia più definitiva: forse quei bovini Heck non ci ricordano gli uri? E quei cavalli non sembrano più

selvaggi dei cavalli mustang? E l'aquila dalla coda bianca non era forse scomparsa dal nostro paese già nel tardo Medioevo?

Appena facciamo un passo indietro, osserviamo che il film si concentra su un disagio molto più grande, di portata globale.

Gli esseri umani hanno trasformato radicalmente circa la metà della superficie terrestre in aree urbane densamente abitate e

intensamente utilizzate per l'agricoltura. Lo spazio restante è intersecato da sentieri, strade, ferrovie, canali e altre

infrastrutture per il trasporto degli esseri umani e dei loro animali domestici. Metà della popolazione mondiale vive nelle

città. Nel giro di poche generazioni, molte più persone di quelle che popolano la terra nel 2014 vivranno nelle città. Nei

Paesi Bassi, la biodiversità, la diversità delle specie animali e vegetali nelle aree urbane è probabilmente già superiore a

quella di gran parte del campagna, dove le monocolture di foraggio e mais sono dominanti.

Ci può piacere il 'selvaggio', ma il selvaggio nel senso di 'natura incontaminata' è difficilmente reperibile. Tuttavia,

la questione è che cosa sia più favorevole per la conservazione e il ripristino della natura: una nozione romantica di

protezione dalla distruzione umana delle sempre più ristrette roccaforti naturali, o una comprensione realistica del fatto che

da tempo immemorabile siamo stati intrusivi con la natura e che le dinamiche naturali sono parte integrante di noi stessi?

Recenti studi antropologici hanno già messo in dubbio molte delle nostre idee tradizionali sulla nostra origine di nomadi

Page 23: IABR 2014 URBAN BY NATURE

pacifici che vivevano di caccia e raccolta in armonia con la natura. Il paleontologo Tim Flannery ha fatto scalpore con la

tesi che, quando i navigatori inglesi e il cartografo James Cook fecero tappa in Australia, nel XVIII secolo, non trovarono

un continente inesplorato, ma un terreno che era stato plasmato da mani umane da più di 60.000 anni. Nell'America

precolombiana, l'idea di quello che costituiva la natura selvaggia sta cambiando altrettanto rapidamente.

Le leggendarie grandi mandrie di bisonti, che una volta si pensava abbondassero nelle praterie del Nord America, in realtà

non rispettavano lo standard della densità naturale dei grandi erbivori: il loro numero in tutta probabilità esplose dopo aver

perso i loro nemici naturali, i popoli indigeni americani che furono decimati da epidemie infettive. Gli esseri umani

cambiano la natura dei luoghi in cui si spostano, e lo hanno fatto per secoli, così come la natura continuerà a cambiare le

loro abitudini. I nativi americani probabilmente non avevano il concetto di 'selvaggio': si tratta di un costrutto occidentale

che legittima la nostra condotta o evidenzia la nostra nostalgia.

Il termine geologico prevalente per il periodo dalla fine dell'ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa, ad oggi, è

stato coniato da Sir Charles Lyell, il famoso geologo britannico del XIX secolo, ispiratore di Darwin,che nel 1833 chiamò il

periodo successivo al Pleistocene 'Olocene.' Il termine è stato approvato nel 1885 dal convegno internazionale dei geologi a

Bologna e, successivamente, ha trovato la sua strada nei libri di testo e nei programmi di studio sulla storia della terra.

Fin dall'inizio di questo secolo, questo concetto viene chiamato in causa.

Dopo che l'idea dell''Antropocene' apparve nella letteratura e in varie conferenze, spesso provocatoriamente, il termine

diventò improvvisamente rispettabile a seguito di un articolo del premio Nobel olandese Paul Crutzen, pubblicato assieme

all'ecologo Eugene Stoermer nel 2000. Ci sono tutte le ragioni per dare un nuovo nome al nostro periodo interglaciale

basato sull'influsso delle attività umane, hanno scritto, a causa del suo enorme impatto sia sulla biosfera che sull'atmosfera.

Questa influenza è così grande che può essere paragonata a forze geologiche, come l'impatto di asteroidi o le grandi eruzioni

vulcaniche. Il curatore dello IABR-2014 Dirk Sijmons è stato ispirato da questo termine.

La consapevolezza che gli esseri umani sono una forza geologica significativa ha avuto un impatto importante su

un gruppo di scienziati che, a seguito della comparsa nel 1972 del rapporto del Club di Roma 'Limits to Growth', si è

preoccupato dell'esaurimento delle materie prime e delle risorse naturali.

Questo campo di ricerca si è evoluto in una definizione dei limiti del pianeta entro i quali gli esseri umani dovrebbero

operare in sicurezza. Se li trapassassimo, rischieremmo irreversibilmente di cadere in una tana di coniglio, o qualcosa di

piuttosto sgradevole per gli esseri umani.

I sostenitori dei limiti di sicurezza per l'azione umana nell'Antropocene si appellano a un'immagine escatologica: una

dottrina dell'ultima ora, comprendente le punizioni se non obbedissimo, e qualche speranza di una vita sana e felice solo se

riusciremo ad invertire nel tempo la tendenza negativa.

Cosa sta oltre l'Antropocene? Sembra che abbiamo davanti soltanto l'immagine fredda di una terra senza l'uomo. Questi

scienziati leggono il termine Antropocene come l'ultima possibilità e un pesante fardello.

La visione di Sijmons del nuovo periodo è più relativistica. Gli esseri umani hanno interagito intensamente con l'ambiente

circostante almeno dalla rivoluzione agricola del Neolitico, circa 12.000 anni prima dell'invenzione del motore a vapore, e

hanno irrimediabilmente dominato la loro nicchia ecologica. Le praterie americane probabilmente non erano aree di natura

primordiale incontaminata 500 anni fa, ma piuttosto paesaggi culturali creati dai periodici incendi intenzionali di vaste aree

provocati dagli uomini per favorire la crescita dei grandi erbivori, la loro principale fonte di cibo.

Alte densità di alberi da frutto in alcune parti del Rio delle Amazzoni indicano la presenza di frutteti selvatici costruiti con

grande ingegnosità nella 'natura selvaggia' dalle civiltà precolombiane.

Il nostro attuale dilemma morale ricorda l'inizio della secolarizzazione in Europa, e la paura crescente del

nichilismo, alla fine del XIX secolo. 'Dio è morto! ... E noi lo abbiamo ucciso, 'Nietzsche esclama in 'La gaia scienza'

(1882). Due anni prima, il famoso immaginario Ivan Karamazov di Dostoevskij sospira: 'Senza Dio ...? Tutte le cose sono

lecite, allora ...?' In quell'epoca, comunque, abbiamo agito meglio del previsto.

Come ha sottolineato in molti suoi libri il primatologo olandese Frans de Waal, la visione del mondo monoteista implica

una visione repressiva della moralità. Non solo una serie di ricerche sul comportamento dei primati sociali dimostra che le

fonti di comportamento morale ed etico erano evidenti nelle azioni dei nostri parenti evolutivi più stretti per milioni di anni,

ma inoltre, l'ipotesi che gli esseri umani non possano progettare un'etica di responsabilità, senza la supervisione di un dio

punitivo che governa tutto è insostenibile.

Ho il sospetto che stiamo vivendo uno momento simile. Il 'selvaggio' nel senso di natura incontaminata dall'uomo vivente

non esiste più. Questo non vuol dire che non vi sia necessità di conservare la natura, al contrario. Abbiamo imparato a

convivere con l'idea che la flora e la fauna si adattano a nuovi ambienti in un costante stato di flusso evolutivo. È bene

rendersi conto che lo stesso vale per gli esseri umani, sempre più urbanizzati. Dovremo sempre più basare le nostre

decisioni su una comprensione catartica del fatto che i nostri interventi possono interessare tutti gli angoli della biosfera e

creare le condizioni per il nostro futuro collettivo. Il nuovo 'selvaggio', che siamo noi.

Page 24: IABR 2014 URBAN BY NATURE

LA NATURA DELL’UOMO

L’ascesa dell’Antropocene Piet Vollaard Leave nature to the idle or the vain.

What qualifies as nature in this land?

A forest barely larger than my hand,

Small villas crouching down a hilly lane.

Lascia la natura al pigro o al vanitoso.

Che cosa ha diritto di essere chiamato natura in questa terra?

Una foresta a malapena più grande della mia mano, piccole case di campagna accovacciate lungo un sentiero

scosceso.

J.C. Bloem

La timeline “La Natura dell’Uomo” illustra la storia del nostro rapporto con la natura che ci circonda. La storia

della 'nostra natura', le nostre scienze naturali, le nostre poesie e i nostri dipinti sulla natura, i nostri tentativi di

ricreare la natura nei giardini e nei parchi e i nostri sforzi per proteggerla attraverso l’istituzione di organizzazioni e

azioni concrete.

Il poeta olandese J.C. Bloem (1887-1966), di cui sopra i primi quattro versi del suo sonetto De Dapperstraat, a

quanto pare, pensa di essere l’ultimo uomo sulla terra a preoccuparsi ancora della natura: la natura è per ‘the idle or the

vain’ (il pigro o il vanitoso). Nei Paesi Bassi la natura inoltre equivale realmente a ‘a forest barely larger than my hand’ (una

foresta a malapena più grande della mia mano). Tuttavia, nella seconda strofa, questo tenace cittadino non può ignorare del

tutto la natura, anche se incorniciata tra le finestre del sottotetto, ‘The clouds are at their best when they are, framed in attic

windows, riding in the sky.’ (Le nuvole si mostrano al meglio quando, incorniciate dalle finestre del sottotetto, corrono nel

cielo.) E infine: ‘This came to me when I, all by myself, bedraggled, on a drab and drizzly morn, felt downright happy in the

Dapperstraat.’ (Penso a questo quando, tutto da solo, infangato, in una mattina grigia e piovigginosa, mi sento davvero

contento nella Dapperstraat).

Può darsi che in Olanda non ci sia molta natura oltre ai fiori e agli animali, ma ce n’è una gran quantità grazie agli agenti

atmosferici.

Bloem introduce due possibili significati per la meravigliosa e ambigua 'natura': la natura delle foreste e dei sentieri

scoscesi, e la natura delle nuvole e della pioggia.

Abbiamo poi la natura dei filosofi del Seicento, “Natural Philosophers”, quali Newton (1643-1727), Hooke (1635-1703), e

Van Leeuwenhoek (1632-1723), che tra le varie cose studiano la gravità, il magnetismo e la natura della luce. Noi oggi

abbiamo imparato la distinzione tra la natura in senso tale e le sue astrazioni. Eppure fu Antoni van Leeuwenhoek che,

grazie alla sua invenzione del microscopio, fu il padre della microbiologia e identificò una nuova classificazione di batteri e

spermatozoi, organismi monocellulari e globuli rossi. E fu Robert Hooke che per primo pubblicò un disegno curato al

dettaglio di una pulce, un’opera d’arte in se stessa. Infine ci fu Isaac Newton, un uomo famoso per il suo Philosophice

Naturalis Principia Mathematica, che diede il suo contributo in maniera fondamentale alla meccanica classica, premette un

ago da calza intorno al suo occhio per studiare la sua anatomia, ci mise settimane per vederci di nuovo. Fino a dove ci si può

spingere per capire la propria natura?

Per non parlare della 'natura umana', la nostra natura psicologica che, secondo gli illuministi come Jean Jacques Rousseau

(1712-1778), è essenzialmente 'naturale', autentica e buona. Abbiamo l’innata natura e morale del “buon selvaggio' che,

come viene teorizzato nel saggio "Contratto Sociale", dovrebbe essere alla base della nostra coesistenza politica e sociale.

Rousseau non solo ha stimolato lo sviluppo della psicologia e della politica sociale, ma è stato anche un pittore romantico,

musicista e scrittore e, attraverso le sue arti, è stato d’ispirazione per la nascita del movimento back-to-nature (XIX secolo).

Page 25: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Nella cultura occidentale contemporanea, si è soliti fare una distinzione tra ciò che emoziona le persone, ciò che

pensiamo e facciamo, e la sfera in cui il pensare e il fare effettivamente hanno luogo. Natura e cultura sono viste come due

poli opposti tra i quali si trova un campo complesso di vettori e relazioni. Intorno al 1930, il geochimico Vladimir

Vernadsky (1863-1945) e il paleontologo-filosofo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) teorizzarono la noosfera: la sfera

della conoscenza, della cultura e della tecnologia che era presumibilmente complementare alla litosfera (la Terra abiotica),

alla biosfera (vita sulla Terra) e all’atmosfera. Oggi potrebbero unirsi anche la cybersfera di Internet e dell'informazione, e

la tecnosfera della nostra scienza, delle macchine e dei dispositivi tecnologici. Anche se la distinzione tra le diverse sfere è

utile, queste ovviamente non possono funzionare separatamente. La noosfera, ovvero le nostre vite comprese la cyber

informazione e la tecnologia che generiamo, non può esistere separatamente dalla biosfera, che è di per sè completamente

dipendente dalla litosfera e dall'atmosfera. Siamo perciò soggetti alla nostra natura, in tutti i sensi. Non possiamo scappare

né dal nostro pensiero collettivo, né dal nostro habitat. Importante è che ci rendiamo conto che la natura riesce molto bene a

fare a meno di noi, come ha fatto per millenni, e che invece noi non possiamo fare ameno della nostra natura. Per questa

ragione soltanto è sterile, se non inutile e potenzialmente fatale, distinguere tra noosfera, cybersfera e tecnosfera.

La nostra cultura è completamente permeata da riflessioni sulla natura, da relazioni con la natura, e da azioni di difesa

contro la manipolazione della natura. Pensiamo natura, agiamo natura, facciamo natura, ad esempio giardini e parchi, ed ora

anche “New Wilderness” (nuove aree Wilderness/selvagge). Parafrasando il filosofo illuminista Baruch de Spinoza (1632-

1677), il quale, a differenza di René Descartes (1596-1650), vedeva la mente e il corpo come inseparabili:

'Nature is in all things, and all things are in Nature' (La Natura è in tutte le cose e tutte le cose sono nella Natura), sebbene

Spinoza non fosse in grado o non volesse a quel tempo sostituire 'Dio' con 'Natura'.

Così la natura è di per sè divina, che non vuol dire, tuttavia, che le forze più sataniche della natura non abbiano

giocato un ruolo nel nostro pensiero. Le divinità della natura non sono sempre buone, in realtà di solito non lo sono proprio,

e dagli angoli più bui delle nostre foreste primordiali è comparsa una forma di nazionalismo naturale che si è sviluppato più

sinistramente nel credo nazista Blut und Boden (sangue e suolo).

Se la timeline mostrasse una cosa su tutte, sarebbe che la cultura e la natura sono lo Yin e lo Yang della nostra esistenza. A

volte entrambe le sfere si oppongono, come quando parliamo di città versus campagna, Arcadia verso Polis (periferia versus

città), il buon selvaggio versus il corrotto abitante della città, i giardini barocchi razionali versus i giardini all’inglese,

l’acezione romantica del sublime e della natura temibile versus la bella e amabile natura: la lista è senza fine. Ma queste

opposizioni sono più che compensate da un gran numero di fusioni e incroci.

Un buon esempio di tale fusione tra natura e cultura è l'eco-cattedrale del 'wild gardener' (giardiniere selvaggio) Louis Le

Roy (1924-2012). Ha creato una struttura simile a quelle Maya accumulando camion carichi di macerie su un campo nella

regione della Frisia, e ha permesso alla natura di correre libera tra e nelle strutture in pietra. Dopo più di 30 anni, il campo

ha generato un habitat ecologicamente ricco. Lo stesso Le Roy ha considerato sempre il suo progetto come un processo

culturale, che si evolve nel tempo: un atto culturale di impiego di poteri creativi umani in un passo a due con ciò che il

filosofo Henri Bergson (1859-1941), che Le Roy ammirava, ha chiamato la naturale evoluzione creatrice. Per inciso, Le

Roy ha anche considerato il suo lavoro come una critica nei confronti del noiosamente letale sviluppo urbano del suo tempo.

Questa fusione, questo intreccio di natura e cultura, la sua storia sempre più complessa, è visibile nelle relazioni

della timeline “La natura dell'uomo” ed è anche l'idea che sta dietro al titolo URBAN BY NATURE: noi siamo urbani per

natura, il naturbanism (l’urbanizzazione naturale) è il nostro futuro.

Page 26: IABR 2014 URBAN BY NATURE

ESPLORANDO IL SOTTOSUOLO Dirk Sijmons

'Sotto il selciato, la spiaggia!' era uno dei famosi slogan delle proteste studentesche di Parigi del 1968. Esso ci

ricorda che la città non si ferma al marciapiede, ma che c'è qualcosa sotto. Come la superficie terrestre diventa più

affollata e frequentata, l'idea di esplorare il sottosuolo diventa sempre più attraente.

Il sottosuolo ha stimolato la nostra immaginazione per secoli. Tradizionalmente, l'inferno è raffigurato come un luogo nelle

profondità della terra, con l’odore di sulfurea cenere vulcanica. Il pioniere della fantascienza Jules Verne aveva il suo eroe

ottocentesco nel professor Otto Lidenbrock, che intraprendeva un viaggio al centro della terra. Il sottosuolo gioca una parte

interessante nel nostro inconscio collettivo. E molti di noi sono affascinati dagli aspetti più prosaici della questione. Se si

scava una strada per sostituire i tubi di una fogna, numerosi passanti si fermano a guardare, curiosi del mondo sotto i loro

piedi. Per un attimo è visibile il groviglio di cavi, tubi, fili e cavi in fibra ottica che rendono possibile la nostra vita

quotidiana.

Ma c'è di più: la sabbia di riempimento su cui è costruita la città, gli strati neri di argilla, l’acqua che sfugge alle pompe. Le

fogne sono costruite al di sotto della linea di gelo, a circa 2 mt. di profondità. Ai bordi del buco si scorgono le radici degli

alberi, ma le cose più in profondità restano avvolte nelle tenebre.

C'è vita in questo mondo oscuro: esso è, infatti, brulicante di vita. Un sottobosco ben sviluppato può contenere fino a 10.000

differenti organismi per metro quadro. Noi in realtà non sappiamo molto di tutto ciò che vive lì, perché il terreno appartiene

alla parte della biosfera di cui conosciamo relativamente poco. Si stanno scoprendo regolarmente nuove specie. I batteri,

funghi, protozoi, nematodi, e una miriade di vermi, artropodi, termiti, millepiedi e lombrichi sono solidalmente responsabili

per la decomposizione della materia vegetale. La maggior parte del materiale organico viene riciclato e reso disponibile alla

vita fuori terra. Ancora più in profondità ci sono organismi viventi al di sotto dello strato di formazione del suolo. Non c'è

luce, la temperatura è sempre più calda, ma la vita batterica è stata trovata fino ad una profondità di 6 km. Non solo

l’occasionale microbo, trasportato negli abissi con l'acqua: i microbiologi stimano l’esistenza di centinaia di miliardi di

tonnellate di biomassa, un ecosistema completo che sopravvive in profondità. Esuberanti scienziati parlano anche di una

Galapagos sotterranea.

La vita nel sottosuolo esiste grazie alla chemiosintesi. Nel corso di una lunga evoluzione, un'ampia varietà di batteri ha

scoperto ogni reazione chimica che riesce a generare anche il più piccolo frammento di energia. Sia materia organica del

suolo o olio, vengono elaborati da microbi specializzati . Quantità anche minime di sostanze chimiche, come per esempio un

singolo elettrone guadagnato nella conversione del ferro da bivalente a trivalente, genera energia per comunità microbiche

in acque profonde che divorano navi affondate. Attendete qualche centinaia d’anni, e non ci sarà alcuna traccia del Titanic.

Questa vita sotterranea svolge molte funzioni sociali: sostiene i nostri edifici, memorizza i nostri cavi e tubi, e si

lascia usare come impianto di stoccaggio. Il sottosuolo è informazione: gli archivi della stratificazione geomorfologica della

terra ci danno la storia del paesaggio, completando la storia archeologica dell’uomo, fatta con le reliquie che ha lasciato

dietro di sè. Il sottosuolo è regolatore: la terra filtra e permette il deposito d’acqua e, in quanto abitata da esseri viventi,

degrada il materiale organico.

Ultimo ma non meno importante, il sottosuolo produce. Non è esagerato dire che la nostra società sopravvive sopratutto

grazie a ciò che prendiamo dalla terra. Dagli strati più profondi, abbiamo raccolto minerali e calore geotermico. Da altri

strati profondi estraiamo i resti fossili di 500 milioni anni di produzione di biomassa o energia solare solidificata, sotto

forma di carbone, olio e gas. Più in alto sono le riserve d’acqua sotterranee cui attingiamo per bere, per l’uso agricolo e

industriale.

Lo strato più importante è costituito da quello fino a 2 m di profondità del terreno: dal quale dipendono la produzione

agricola e alimentare del mondo. Per questo in tutto il mondo questo strato superiore è mappato con grande precisione. La

sua composizione permette di conoscere ciò che crescerà su di esso ed è altamente predittiva delle possibili entrate. Le città

sono rimaste a lungo macchie bianche circa la mappatura delle loro potenzialità agricole, ma la situazione sta cominciando a

cambiare. L'aumento dell’importanza dell’agricoltura urbana ha aumentato l’attenzione per la mappatura del suolo urbano,

che va oltre la rilevazione delle aree dismesse, abbandonate o inquinate. La mappatura ha anche lo scopo di classificare le

superfici che nel sottosuolo hanno compattato per decenni vari tipi di rifiuti e detriti da costruzioni ed hanno assorbito

sostanze che non devono trovarsi in aree agricole.

La mappatura del suolo urbano è assolutamente necessaria perché abbiamo bisogno di sapere dove si trovano esattamente le

infrastruttura sotterranee, crescenti in quantità e nocività, per tenere memoria di esse. Tubi del gas, rete idrica, o cavi di

alimentazione danneggiati durante i lavori stradali sono all’ordine del giorno. In molti casi, la rete di tubi e cavi è stata ben

pianificata e progettata in anticipo, ma in altri è stata scaricata malamente in una fossa da imprenditori attenti solo ad

occuparsi della loro rete.

Page 27: IABR 2014 URBAN BY NATURE

Il sottosuolo selvaggio assomiglia al Far West. Prevale la legge della giungla. Il risultato è che la maggior parte

delle città non hanno, o almeno non in modo completo e aggiornato, la documentazione dei percorsi delle infrastrutture che

gestiscono il funzionamento urbano. A volte ci sono ragioni storiche. Nessuno girando il rubinetto dell’acqua ad Istanbul sa

da dove provenga l'acqua. In questa città operano quattro sistemi idrici storici, il più antico risalente all'epoca romana, che si

sono intrecciati nel corso degli anni.

Come nel caso della pianificazione territoriale fuori terra, ci sono problemi fisici e conflitti d’interesse da risolvere anche

per il sottoterra. Più cavi e tubi ci sono, più è difficile trovare spazio per gli alberi. Lo sfruttamento del calore sotterraneo e

lo stoccaggio a freddo stanno guadagnando popolarità, ma non è chiaro quale effetto possano avere sulla diffusione della

contaminazione dei suoli e la riduzione dei valori della naturalità a causa dell’abbassamento del livello di falda. Per quanto

riguarda gli strati più profondi, ci sono scelte da compiere tra i rischi di scisto nell'estrazione di gas e la garanzia delle

riserve di acqua potabile. Le società elettriche possono entrare in conflitto con tutte le industrie che dipendono da

un'adeguata qualità dell’acqua, dalle aziende idriche, agli agricoltori, ai produttori di birra.

Anche le funzioni urbane vogliono sempre più 'andare in profondità': i progettisti e gli speculatori vedono il sotterraneo

come spazio di espansione. Le infrastrutture di mobilità sotterranea (strade, trasporti pubblici) offrono alle città l'opportunità

di riorganizzare lo spazio lasciato libero e riunire aree un tempo separate. Negli inverni freddi in città come Helsinki e

Toronto, gli esseri umani sono costretti a ritirarsi sottoterra, nei 30 km di collegamenti pedonali sotterranei attrezzati con

negozi. Entrambe le città sono note per la loro pianificazione integrata sotto e fuori terra. Anche ad Hong Kong la scarsità di

spazio in superficie ha reso necessaria l’attenta mappatura ed attrezzaggio del sottosuolo.

Questi sono tutti programmi urbani per il sottoterra. Ma il sottoterra come coinvolge la superficie?

La presenza di risorse fossili, dai minerali, al petrolio, ai laterizi, può essere percepita sulla superficie della terra, in

relazione ai suoi sviluppi territoriali ed economici.

Il sottosuolo è fortemente presente in superficie anche sotto forma di subsidenza, terremoti e frane generati dall'estrazione

su larga scala di combustibili e minerali. Fino a poco tempo fa, era impossibile la costruzione di reti fognarie sotterranee

nella regione tedesca della Ruhr, perché la subsidenza della terra avrebbe rotto i tubi. La città mineraria svedese di Kiruna

sta per essere spostata completamente, pezzo per pezzo, perché il suo sottosuolo è diventato instabile. A Groningen, piccoli

terremoti causati da anni di estrazione del gas sono stati seguiti da imprevedibili abbassamenti del terreno.

Questi sono tutti argomenti a favore di una maggiore attenzione delle amministrazioni nazionali, regionali, e locali per

questa nuovo e in gran parte sconosciuto campo di lavoro. È tempo per un master plan del sottosuolo, per una progettazione

consapevole del suo valore e per una pianificazione territoriale realmente tridimensionale. Abbiamo bisogno di una

‘pianificazione territoriale 3 D ‘, riconoscendo che in realtà sappiamo ben poco sugli effetti che le nostre azioni hanno su ciò

che accade nel sottosuolo.

La mostra ESPLORARE IL SOTTOSUOLO sottolinea l’opportunità di mappare il sottoterra. Come possiamo affrontare la

sfida della complessità del sottosuolo senza poter contare su metodi affidabili di rilevazione, alla pari di quelli che usiamo

per il suolo? Se le sfide future riguardano sempre più l'interazione fra infrastrutture e processi del sopra e sottosuolo, come

possiamo sviluppare metodi e strumenti che riguardino entrambi, che permettano di perseguire un sistema sviluppato in

modo sostenibile?

Page 28: IABR 2014 URBAN BY NATURE

PAESAGGIO URBANO E CAMBIAMENTO CLIMATICO Dirk Sijmons

'E' vero, è brutto, è causato dagli esseri umani, la scienza è d'accordo, dovremmo fare qualcosa’. Ecco come lo

scienziato più famoso dei Paesi Bassi, Robbert Dijkgraaf, ha riassunto l'ultimo rapporto del Gruppo

intergovernativo sul cambiamento climatico (LPCC). IABR-2014 è interessata principalmente all’ultimo punto

sollevato da Dijkgraaf: Cosa possiamo fare per cambiare il clima? Le due politiche principali sono l'adattamento e

la mitigazione. Adattamento significa regolare la nostra società rispetto agli impatti degli inevitabili cambiamenti

climatici: l'aumento del livello del mare, il regime irregolare dei fiumi, l’alterazione delle precipitazioni e la

maggior intensità delle tempeste. Mitigazione significa alleviare e diminuire, affrontando alla radice il problema

della riduzione delle emissioni di CO2. La mitigazione è possibile soltanto attraverso la transizione a larga scala

verso fonti energetiche rinnovabili.

Il consenso scientifico sulla gravità del problema del clima è in contrasto con il modo in cui esso viene percepito

pubblicamente e politicamente. Per fare un eufemismo: il cambiamento climatico e la transizione energetica sono soggetti

politici erratici, in bilico tra speranza e paura: la speranza che tutto andrà bene, e la paura che non potrebbe essere così. La

speranza che una soluzione ‘sarà trovata', che spunterà una miracolosa abbondante energia, in quantità spettacolari, o che i

tecnici riusciranno a trovare soluzioni sempre più raffinate per differenziare i consumi di energia al fine di ridurre le

emissioni di CO2. Il sottofondo però è di paura: che adattamento vorrà dire cambiare il modo di vivere, la prosperità, il

benessere e la mobilità. Profonde emozioni ed enormi interessi geopolitici e finanziari inducono ad altre considerazioni

politiche rispetto a quelle consigliate dagli scienziati dell'IPCC.

I governi locali delle città costiere e delle città delle regioni del Delta hanno spesso un ottimo senso della realtà. Essi hanno

deciso che lasciare andare le cose alla deriva è una scommessa pericolosa e stanno ultimando ovunque i Piani di

adattamento. Aumentare la resilienza e la sicurezza richiede uno sforzo enorme. Ci sono grandi differenze tra le regioni, che

implicano un diverso approccio sia rispetto al tempo che al luogo. Le regioni urbane imparano le une dall’altra attraverso lo

scambio di conoscenze e il confronto dei piani.

Cinque lezioni Lezione uno: non lasciare le decisioni ai piani 'tecnocratici' degli ingegneri.

Lezione due: Questa è anche una sfida sociale e culturale, perciò vanno coinvolti i residenti.

Lezione tre: Prova ad allargare il campo di gioco per inglobare altre sfide.

Lezione quattro: Aumentare la resilienza di altri sistemi urbani oltre alla mobilità, l'energia e l'approvvigionamento idrico,

perche questi non sono gli attori esclusivi del disastro climatico.

Lezione cinque: i progettisti devono svolgere un ruolo fondamentale nei processi complessi e di lungo termine dello

sviluppo regionale, con la collaborazione di stakeholder, politici e grandi investitori.

Dialoghi olandesi Gli amministratori regionali e locali spesso agiscono con più audacia rispetto alla riluttanza dei governi nazionali

che partecipano ai negoziati sul clima, con le loro carte politiche strette al petto.

Speriamo che le autorità delle città costiere e del Delta li portino a migliori riflessioni.

Ci sono già alcuni buoni esempi: lo studio del paesaggio urbano e di cambiamenti climatici si sta concentrando su due

metropoli delle regioni recentemente colpite da uragani. Eventi della costa densamente popolata del nord-est degli Stati

Uniti (Hurricane Sandy) e della zona intorno a New Orleans (Katrina) evidenziano la vulnerabilità delle città costiere.

In entrambi i casi, gli specialisti e progettisti americani e olandesi stanno mettendo in pratica le cinque lezioni.

Page 29: IABR 2014 URBAN BY NATURE

LA SFIDA DEL SECOLO LA NECESSITÀ DI UNA RADICALE REVISIONE DELL’URBANISTICA

Maarten Hajer Direttore Generale PBl - Netherlands Environmental Assessment Agency

Le statistiche delle Nazioni Unite indicano un'epoca di rapida urbanizzazione e prevedono che il 70% della

popolazione mondiale vivrà nelle città entro il 2050. A quella data, le città saranno cresciute di 2,3 miliardi di

abitanti, pari a tutta la popolazione mondiale prevista tra oggi e allora. Questa espansione urbana si realizzarà

principalmente in Asia e in Africa. Sfortunatamente oggi mancano proposte creative per un nuovo modo di

pianificazione che eviti gli errori che abbiamo fatto fino ad oggi. Nel mondo occidentale è già disponibile un

patrimonio edilizio in grado di soddisfare l’80% del fabbisogno al 2050; quindi l’occidente dovrà concentrarsi

sulla riqualificazione delle città, perché per essere sostenibili dovranno consumare circa un decimo delle risorse che

usiamo oggi.

Le città hanno la chiave per affrontare questa sfida, in tre modi.

Prima di tutto, le città sono punti nodali dell’interazione globale con la natura e sono gigantesche consumatrici di

risorse naturali. Queste risorse sono necessarie per le costruzioni e per permettere alla città di 'vivere' quotidianamente

(energia, cibo, acqua). Inoltre, le città sono gigantesche produttrici di rifiuti ed emissioni. Questi afflussi e deflussi

suggeriscono che le città hanno un metabolismo, proprio come gli organismi biologici. Una migliore gestione del

metabolismo urbano è la chiave per aumentare la sostenibilità.

In secondo luogo, le città sono luoghi d’innovazione, dove nuove soluzioni sono inventate e applicate. Produttività

e innovazione sono molto più alte nelle città che nelle zone rurali. Questo in parte può essere spiegato con la dimensione

delle città e con l'economia di scala. Ma è anche l'interazione faccia-a-faccia tra menti creative che guida l’economia della

conoscenza che è caratteristica delle città contemporanee. Sinteticamente, è il 'facile accesso' alle risorse, alla conoscenza e

alla creatività che stimola la crescita economica delle città e delle innovazioni necessarie per renderle più sostenibili.

E in terzo luogo, mentre i governi nazionali lottano per addivenire ad accordi multilaterali sui cambiamenti

climatici, probabilmente la più grande minaccia per il nostro futuro, sono i governi delle città che hanno la flessibilità di

governance ed il potere decisionale di fissare obiettivi e traguardi, di unire le forze con altre città, e di redigere efficaci piani

d’azione, come hanno già fatto molte città.

Suggerendo che le città hanno la chiave apparentemente implica che esse la possano anche 'girare'. Questa è una grossolana

semplificazione. È relativamente facile fissare obiettivi, ma gli obiettivi in se stessi non avviano il cambiamento.

Copenhagen vuole essere ‘neutral clima’ entro il 2025; Rotterdam mira a tagliare le emissioni di CO2 del 50% entro il 2025,

ma una volta che sono fissati tali obiettivi inizia il vero lavoro: come possiamo gestire con meno, e, nello stesso tempo,

migliorare la vita urbana?

Un’approfondita conoscenza dei flussi metabolici urbani è una precondizione per risolvere questa questione.

La sfida dell’urbanistica: cambiare impostazione

È un assioma di molte teorie sociali ed economiche che il comportamento umano sia guidata da decisioni. La

scienza economica presuppone anche che le nostre decisioni siano razionali. In realtà, gran parte della nostra vita non è

guidata da decisioni, ma da non-decisioni. Facciamo la maggior parte delle cose in modalità di 'default'. Nella nostra vita

quotidiana il comportamento è spesso una questione di routine e abitudini che potrebbero essere cambiate in modo

relativamente facile, se volessimo. Ma nel caso della gestione dei sistemi urbani, il modo standard di fare le cose è spesso

letteralmente 'inciso sulla pietra' e lontano dall’essere sostenibile. Questa modalità in default non è facile da cambiare. Ad

esempio, i ciclisti a Londra stanno cercando di riappropriarsi delle strade, ma questo obiettivo si sta rivelando molto

difficileda raggiungere.

Per la maggior parte delle città l'opzione di default nella mobilità è l'auto. Alcune città hanno avviato un lungo percorso per

cambiare ciò. A Copenaghen, il 36% degli spostamenti di lavoro e per raggiungere le scuole è in bicicletta, e ad Amsterdam

oltre il 60% dei pendolari si reca al lavoro con i mezzi pubblici, con la bicicletta o a piedi. È questo il risultato di un

organico pacchetto di politiche, tra cui la costruzione di piste ciclabili, i limiti al parcheggio e la regolazione dell'uso del

suolo per favorire sedi di uffici accessibili.

Oltre al problema di pensare per default, le scelte dei decisori sono spesso limitate da blocchi. Troppo spesso sentiamo

Page 30: IABR 2014 URBAN BY NATURE

politici che dicono: 'Mi piacerebbe cambiare la situazione, ma non ci riesco’. A volte la politica è coraggio, ma spesso la

complessità dei contratti, la passività o i blocchi dovuti alla divisione del lavoro segnano il modo di condurre le transazioni.

Un altro problema ancora è la mancanza d’immaginazione. L’attuale pensiero sulla città si basa su concetti dei primi anni

del ventesimo secolo, e questo deve davvero cambiare. Una migliore comprensione del metabolismo urbano può contribuire

a chiarire le nuove sfide della pianificazione urbana, e innescare nuove idee.

Metabolismo urbano

Nella pianificazione urbana prevale ancora il paradigma modernista. Sebbene sia stato criticato per le sue

dinamiche sociali da Jane Jacobs e altri, l'idea lineare della natura come contesto non problematico in grado di fornire

all'infinito “input” e di assimilare gli “output” non è praticamente mai stata messa in discussione.

Migliorare la nostra comprensione del metabolismo urbano è un modo per avviare seriamente una nuova agenda urbanistica.

Se non conosciamo gli input, come vengono utilizzati, e quali sono gli output come possiamo modificare il modo di

prendere le decisioni in default? Di quanta e quale energia abbiamo bisogno? Come si articolano i flussi d’acqua? In ogni

caso di quanto abbiamo bisogno? Sulla base della nostra comprensione dei flussi urbani possiamo fissare nuovi obiettivi e

definire realistiche strategie. Noi chiamiamo questo 'programmazione del metabolismo urbano: dove il metabolismo urbano

è definito come consumo, produzione e trasformazione dei flussi di risorse in ambienti urbani’.

Con questo nuovo approccio ci allontaniamo dal modello lineare che considera inesauribile la fornitura di input senza

limite, la possibilità di carico della natura attraverso i manufatti ed i beni prodotti, e, infine, l'illimitata la possibilità di

produrre output, in termini di rifiuti ed emissioni. Questo modello chiaramente non è più valido. Gli input sono sempre più

scarsi e più costosi, le discariche stanno raggiungendo i loro limiti, preziose sostanze nutritive sono disperse e scaricate in

torrenti e oceani, e le emissioni di CO2 stanno già incidendo in modo sostanziale sul clima. La prospettiva è dunque quella

delllo studio e dell’ottimizzazione del metabolismo urbano, dal quale risulta evidente anche che le città non possono

sopravvivere senza il mantenimento di collegamenti sostenibili con l'entroterra da cui traggono energia, acqua, cibo,

biomassa e materie e vi rilasciano i loro rifiuti.

Sulla base delle conoscenze offerte dal metabolismo, è chiaro che abbiamo urgente bisogno di modificare le nostre

infrastrutture di mobilità ed il sistema energetico. Abbiamo anche da ripensare ciò che scarichiamo nelle nostre acque, in

modo da non doverle ripulire più tardi. Una questione ritornerà sempre: vogliamo rendere il sistema esistente più efficiente,

o possiamo creare un nuovo sistema? Solo un esempio: il nostro obiettivo è rendere tutti i veicoli elettrici, oppure puntare su

un nuovo sistema di mobilità, in cui proprietà la privata dell’auto farà spazio a nuovi servizi di mobilità (tipo car sharing)? E

se scegliamo quest’ultima opzione, quali saranno i costi sociali? C'è una serie infinita di questioni importanti che devono

essere affrontate. Non per una nuova generazione di progettisti, ma ora, da noi, in uno sforzo di immaginazione e di

collaborazione.

Conclusione La buona notizia è che possiamo gioire di una vera e propria reinvenzione dell’urbanistica. Libri come "Planet of

Cities" di Shlomo Angel (2012), "A Country of Cities" di Vishaan Di Chakrabarti (2013), "Intelligent City-Big Data.

Hacker civici e ricerca di una nuova Utopia" di Anthony Townsend (2013) sono i nuovi riferimenti di questo dibattito. Nel

rapporto "City-level Decoupling", dell’UNEP International Resource Panel, si dimostra come le nuove infrastrutture

possano realizzare l’obiettivo del ‘decoupling’, ossia disaccoppiare l’uso delle risorse (che deve essere contenuto) dallo

sviluppo economico e dal benessere sociale (che devono essere incrementati). Tuttavia, questo dibattito deve ancora essere

adattato al mondo degli urbanisti, che sta attualmente cercando di cambiare le impostazioni di default delle nostre

infrastrutture urbane.

In questi nuovi sforzi di pianificazione urbanistica, l’agenda del 'necessario avere' dovrebbe avere la priorità sull’agenda

dell''è bello avere' compilata sulla base dei gadget delle molto discusse 'smart cities’. Il positivo del concetto di Smart City è

che riunisce potenti coalizioni di imprese, governi delle città, ed istituti diricerca, che insieme potrebbero davvero realizzare

il cambiamento. Tuttavia, tali coalizioni dovrebbero concentrare i loro programmi sull’agenda dei reali bisogni, ispirata alla

rinnovata consapevolezza che le città, intese come organismi, falliranno se non terranno in ordine il loro metabolismo. I

recenti problemi di smog nelle città della Cina sono un tragico promemoria di quanto poco abbiamo imparato in questo

senso.

Inoltre, abbiamo bisogno di una nuova forma di urbanistica globale che colleghi strategicamente esperienze delle città di

tutto il mondo, per accelerare l'apprendimento, in modo che molti più cittadini possano partecipare a ripensare le nostre città

per un futuro sostenibile. La completa revisione dell’urbanistica può benissimo essere la sfida del secolo.

Page 31: IABR 2014 URBAN BY NATURE

STRATEGIE PER IL PAESAGGIO URBANO Dirk Sijmons

Nel 2011, la NASA ha diffuso una serie di cortometraggi che rappresentano l’urbanizzazione del nostro pianeta di

notte. Vari fenomeni elettrici attraversano la sua superficie: il bordo dell'atmosfera riflette ancora la luce, l'aurora

boreale striscia attraverso la stratosfera come un serpente, spruzzi di fulmini penetrano le nuvole, la terra è

attraversata da una luce giallastra di origine umana. La parte urbanizzata del mondo è evidenziata dalla luce

elettrica. Oltre alle grandi città, sono visibili una fitta filigrana di linee di luce e una rete di nodi grandi e piccoli.

Lungo le coste e nei delta del mondo, s’illuminano grandi paesaggi urbani.

Le sequenze temporali (http://vimeo.com/32001208) rendono concretamente l'ubiquità delle attività umane sulla

superficie della terra e forniscono un’impressionante immagine della più grande delle creazioni umane: il paesaggio urbano.

Queste immagini reintroducono il vecchio problema del limite: esattamente, cosa chiamiamo città e qual’è la sua

‘fine‘? Negli ultimi decenni abbiamo assistito a numerosi tentativi di descrivere e classificare i paesaggi urbani. Alla fine

del 1990, Thomas Sieverts suggerì Zwischenstadt: un termine congruo ma insoddisfacente perché si riferisce a una singola

città; infatti nello spazio vediamo tante singole Zwischenstadte che si fondono in una più ampia conglomerazione che

manca ancora di un nome. Dallo spazio, Rotterdam non sembra una città: sembra una città in una città, come Bruxelles e

Anversa. Sono densi nodi nel tentacolare paesaggio della città del Delta europeo del Nord-Ovest, come BrabantStad,

Amsterdam e Colonia.

L’architetto olandese Willem Jan Neutelings definì questa conurbazione ‘Carpet Metropolis’: un termine

accattivante e una descrizione adatta alla policromia, alla frammentazione, e al potenziale di questi sistemi di porosa

urbanità. Ma anche qui resta la domanda: dove finisce il tappeto? Considerando che ‘Carpet Metropolis’ è un concetto

spaziale, il metabolismo urbano ci mostra anche che i flussi ed i processi sono parte dell’urbanità, ed esercitano la loro

influenza a grande distanza. Ci chiediamo: se dovessimo comprendere tutti i manufatti - tutte le infrastrutture, i complessi

industriali, gli aeroporti, le miniere a cielo aperto, le aree naturali intercluse, gli edifici sparsi, le aree agricole coltivate, i

canali e le serre – non staremmo parlando di espressione spaziale indifferenziata della società industriale?

Ma no, la ‘Carpet Metropolis’ è ancora riconoscibile se guardiamo l’intensità dell’uso del suolo; le enormi sue costellazioni

possono essere delimitate approssimativamente sulla base di immagini ad infrarossi. Su questo vuole concentrarsi City 3.0

di IABR-2014.

I progettisti spaziali tendono a concentrarsi sull’alta densità, dove presumibilmente si incontrano le dinamiche

urbane ed i complessi intrecci creativi. Nel frattempo, in tutto il mondo, le densità urbane sono in calo. Dei circa 3 miliardi

di persone che accresceranno la popolazione mondiale nel prossimo decenni, 2,5 miliardi vivranno nelle città. Raddoppiare

la popolazione di una città nelle condizioni attuali richiede di triplicare la sua superficie.

Che cosa significa questa prospettiva spaziale a vasta scala nella pratica quotidiana? La nozione di ‘Carpet

Metropolis’ ci mostra nuove connessioni o problematiche che non abbiamo osservato prima?

Come faremo a gestire un oggetto di pianificazione che è così grande che non si possono ignorare i confini amministrativi e

anche nazionali, e così complesso che ogni speranza di previsione o di controllo è futile fin dall'inizio? Non tutte le

conseguenze di questa situazione sono chiare ad oggi. Tuttavia, possono essere fatte alcune osservazioni.

In primo luogo, la prospettiva di Città 3.0 si scontra con una pianificazione urbana e una politica urbana basate su

concetti obsoleti della città. Lo sprawl urbano, il diradamento urbano che avrebbe dovuto condurre al disastro, ha visto

un’opposizione rabbiosa per mezzo secolo. A livello globale, frenare l'urbanizzazione attraverso restrizioni e segnare i

confini della città con linee rosse ha portato solo alla distruzione di case a basso reddito a favore di grattacieli inaccessibili

ai poveri. La densificazione è stata a lungo la risposta standard alle esigenze di sostenibilità. Ma la realtà è che un gran

numero di abitanti vivrà nella città diffusa. È quindi giunto il momento di esaminare il potenziale delle città a bassa densità.

In secondo luogo, City 3.0 ci permette di controllare nuove connessioni e relazioni. Essa ci spinge a prestare

particolare attenzione ai circa 40 grandi delta urbani, ognuno di loro pezzi unici e privilegiati della terra. Hanno ottimi

terreni agricoli, le aree costiere e fluviali hanno un’alta fertilità naturale, sono piatte, quindi facilmente accessibili, in sintesi,

hanno un alto valore dell’eco-spazio. Queste terre sono essenziali per l’approvvigionamento di cibo della popolazione

mondiale in crescita. Allo stesso tempo, i Delta sono le culle della civiltà urbana, con storie che a volte vanno indietro di

migliaia d’anni, con popolazioni che non hanno smesso di evolversi. La lotta dell'agricoltura versus il fare città riguardo la

Page 32: IABR 2014 URBAN BY NATURE

proprietà della terra è accompagnata da una serie di cambiamenti: l'urbanizzazione offre prezzi dei terreni più elevati di

quelli agricoli, questi ultimi quindi sono costretti a trasferirsi, sfruttando possibilmente le restanti zone umide. Tuttavia le

zone umide, che sono quindi a rischio di estinzione, sono di vitale importanza per gli ecosistemi marini e la pesca costiera.

Inoltre, i Delta sono particolarmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici.

Tutto sommato, il futuro delle aree del Delta si presenta come un complesso enorme puzzle a lungo termine, forse la più

importante sfida sul piano territoriale che si dovrà affrontare nei prossimi decenni, e sappiamo che dobbiamo ancora

acquisire molte conoscenze e gli strumenti necessari per affrontarla.

Per affrontare il fenomeno della continua crescita dei paesaggi urbani, può essere utile fare un esperimento

mentale, ipotizzando un’urbanizzazione 'infinita' e studiare come si possa raggiungere la pacifica convivenza tra tutte le

diverse funzioni.

Consolidare l’’urban carpet’ solleva diverse domande, vale a dire se il tappeto può essere migliorato nelle sue trame, nei

diversi colori, o nel patchwork. Nel caso del progetto urbano si possono fissare alcuni obiettivi: per esempio, che la crescita

della popolazione urbana sia accompagnata da una riduzione dell’impronta ecologica.

È chiaro che il paesaggio urbano nel suo complesso rifugge il controllo top-down; un effetto collaterale di questa

considerazione è proprio questo: l'intuizione liberatoria che il controllo totale è impossibile. Dobbiamo lavorare in modo

subdolo con il motore acceso. Quello che ci serve è una combinazione fattibile d’investimenti in infrastrutture e azioni con

la gente comune. Gli investimenti di centinaia di miliardi necessari per sviluppare le infrastrutture metaboliche delle nostre

città in crescita devono essere connessi saggiamente alle altre sfide urbane, come la qualità della vita, lo sviluppo regionale

e il miglioramento ecologico del paesaggio urbano. Gli interventi, per avere successo, hanno bisogno dell’apporto

interdisciplinare di progettisti, ingegneri e biologi, in grado di riconoscere gli aspetti 'rossi',‘grigi, 'blu’ e ‘verdi’ dei

paesaggi urbani. I progettisti giocano certamente un ruolo importante in questi interventi, ma la totalità di questi interventi

non può essere progettato ex ante, perché la realtà è in continua emersione, è in continua germinazione.

Page 33: IABR 2014 URBAN BY NATURE

SKETCH 1 Urban by nature in Rotterdam La città è natura, impressioni #IntelligentSchoolDesign2014

La mostra 'IABR 2014 Urban by nature' ha dato stimoli e input su come dovremmo progettare e pensare la città di

oggi e del futuro, la città metabolica, una città in cui la natura è città e la città è natura.

Passeggiando per Rotterdam abbiamo ritrovato le tracce di questa visione, che esponiamo in impressioni

fotografiche istantanee nelle pagine che seguono.

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METABOLISMO

URBANO

Page 43: IABR 2014 URBAN BY NATURE

IL METABOLISMO URBANO

Dirk Sijmons

Cʼè più di un modo di percepire la città, così come cʼè più di un modo di percepire un essere umano. Degli esseri

umani, possiamo descrivere sia lʼaspetto esteriore che quello interiore. Per quest’ultimo, oltre a riferirci a

sentimenti e pensieri possiamo anche descrivere lʼaspetto fisico interno: l’apparato respiratorio, il sistema di

digestione e di circolazione, il sistema nervoso, e la continua rigenerazione cellulare. In questo modo stiamo

descrivendo come lʼuomo funziona “sotto la pelle”, considerando lʼessere umano come un organismo che è

azionato da flussi e sistemi ingegnosamente interconnessi. In modo simile, possiamo considerare il paesaggio

urbano come un complesso, ampio e interattivo sistema che lavora continuamente per soddisfare le necessità dei

suoi abitanti.

Con il metabolismo urbano descriviamo il sistema urbano in termini sia organici che artificiali, disegnando un

parallelismo con il corpo umano. A questo punto un concetto chiave è il metabolismo del paesaggio urbano.

Per spiegare questo metabolismo, ci concentriamo su un certo numero di flussi vitali: aria, sabbia, argilla e

materiali per l’edilizia, acqua dolce, cibo, energia, biodiversità, rifiuti, persone, trasporti. Questi flussi influenzano la vita

quotidiana degli individui e delle città ed i loro bisogni principali, che, almeno parzialmente, coincidono direttamente con i

bisogni del metabolismo fisico dellʼuomo ed agiscono inoltre, sul funzionamento di intere “costellazioni” urbane. Ognuno

di questi flussi è essenziale per il funzionamento e il benessere della città, ma nei decenni a venire, non potremo darli per

scontati. In molti casi, sarà estremamente difficile realizzare un livello di flussi dignitoso e sostenibile. Questo è un compito

enorme e concreto, una sfida che coinvolge progettisti, pianificatori, amministratori e cittadini in almeno quattro modi.

Quattro sfide Sfida numero uno: storicamente ogni flusso fa capo a una propria infrastruttura: la rete elettrica, la rete idrica, la

rete dei trasporti. Tecnicamente oggi cʼè spazio per superare la progettazione delle infrastrutture come fatto singolo; esse

potrebbero essere pensate in modo più coerente tra loro e con una connessione più integrata con il tessuto urbano.

Sfida numero due: se pensiamo in termini di flussi, possiamo sfruttare le loro interdipendenze. Possiamo accorciare

il loro percorso, connetterli, chiudere flussi ciclici o usare lʼoutput di un flusso come input di un altro. Così facendo si

possono migliorare le prestazioni ambientali del paesaggio urbano.

Sfida numero tre: ai progettisti occorrerà tempo per abituarsi alla priorità dei flussi rispetto a quella dello spazio. I

flussi non sono per natura particolarmente spaziali, ma rappresentano la parte di ‘processo’ del paesaggio urbano. Questa è

una realtà diversa, ma è ugualmente tangibile. I progettisti dello spazio sono abituati a mappe figurative delle città, che

indicano le strade, le case, gli insediamenti industriali, le aree verdi. I flussi disegnano una mappa astratta, come una pittura

di Jackson Pollock, con linee che si intersecano, spesso sottoterra, e con un numero infinito di punti che non hanno un

significato spaziale, come la traccia di un jet.

Generare una progettazione spaziale da un numero enorme di dati di flusso significa passare dal trattare ‘oggetti

esclusivamente fisici’ al trattare anche i flussi, ossia gli input e gli output connessi a questi oggetti, e questo implica un

modo molto diverso di osservare e di pensare.

I pianificatori urbani hanno storicamente imparato a progettare la città sulla base della domanda, specie di edilizia

residenziale pubblica; ora è chiesto loro di progettare la città basandosi anche sullʼanalisi dei flussi. I progettisti hanno

bisogno di diventare contemporaneamente medici generici e internisti. Le due figure sono portatrici di approcci

complementari e compiono al meglio il loro lavoro quando collaborano.

Ora che la rapida crescita delle città è stata soppiantata in molti paesaggi urbani dalla necessità di ridisegnare e ottimizzare

la situazione esistente, lʼapproccio dei flussi guadagnerà credibilità. Noi crediamo che pensare in termini di flussi, renderà

possibile una buona interazione tra la politica territoriale e quella ambientale.

Si ritiene generalmente che 'lʼordine spaziale' del paesaggio urbano è fortemente influenzato dalla posizione delle sue

infrastrutture. Il modo in cui lʼinfrastruttura è progettata, può essere volutamente utilizzato per controllare grandi espansioni

urbane. Nella pratica, il coordinamento tra la costruzione delle infrastrutture e la crescita urbana è spesso carente: una più

intelligente pianificazione delle infrastrutture contribuirà ad una migliore pianificazione territoriale e un miglior

funzionamento e qualità del paesaggio urbano.

Sfida numero quattro: il coordinamento intelligente è ancora più importante data lʼampiezza dei prossimi

Page 44: IABR 2014 URBAN BY NATURE

investimenti in infrastrutture. Nei decenni futuri saranno spesi complessivamente centinaia di miliardi. Questa enorme

somma di denaro può essere spesa saggiamente o stupidamente, in modo informale o sostenibile, può produrre ritorni

economici alti o bassi. Le scelte fatte oggi possono migliorare il futuro ambientale della città o condurre ad una catastrofe

del suo metabolismo, coinvolgendo la qualità della vita di ogni singolo cittadino.

Quello che succederà non è quindi una questione di destino, ma dipende da sagge decisioni e volontà politiche, alimentate

da un nuovo ed efficace potenziale di soluzioni progettuali.

Il metabolismo urbano delle città ha aspetti tecnici: come funziona, quali sono i suoi elementi, cosa possiamo fare e come

possiamo farlo? Ma ci sono anche aspetti sociali e morali: qual è il modo di farlo funzionare, che tipo di vita agevola, come

le parti del tutto si relazionano, in che tipo di contesto politico e sociale può sopravvivere?

Quest’ultima sfida riguarda i cittadini stessi. Nelle città a rapido sviluppo dei paesi tropicali, avere accesso ai flussi d’acqua,

cibo ed energia è letteralmente una questione di vita o di morte. Apparentemente tali urgenti questioni urbane globali non

riguardano i Paesi Bassi o il mondo occidentale in generale. Siamo tentati di pensare che tutto ciò non ci riguardi e che

lʼacqua dal rubinetto, il cibo nei negozi, e il campo di ricezione del nostro cellulare, saranno sempre lì.

Anche se volessimo mantenere queste cose al livello a cui ci siamo abituati, avremmo il nostro bel da fare.

Non possiamo continuare a sovra consumare mentre, globalmente, la competizione per le materie prime scarse sta

diventando sempre più forte. Anche noi quindi dobbiamo prestare attenzione a strategie progettuali intelligenti, efficienti,

basate sul lavoro di squadra, basate sui flussi e le loro infrastrutture.

Il metabolismo del paesaggio urbano, alimentato dal sapere e dal materiale sullʼanalisi dei flussi può sfociare in un

formidabile strumento di pianificazione per le città del 21° secolo. Imparare dalle politiche e dai piani che, nel mondo,

applicano il sistema dei flussi, intraprendere nuove relazioni internazionali per scambiare conoscenze ed esperienze, sono

parte della missione dello IABR.

Matrix Il metabolismo urbano è organizzato come una matrice. Su un asse, corrono nove linee ognuna delle quali

rappresenta un singolo flusso. Questi sono: aria, sabbia, argilla e materiali per l’edilizia, acqua dolce, cibo, energia,

biodiversità, rifiuti, persone ed infine i trasporti. Utilizzando tre livelli di analisi, ogni flusso è analizzatoseparatamente.

Al primo livello sono le infrastrutture, che assurgono a centro del progetto. Lo IABR ha chiesto allʼAgenzia per la

Valutazione Ambientale dei Paesi Bassi (PBL) di indagare a scala nazionale e globale quali siano attualmente le questioni

fondamentali e i colli di bottiglia per ogni singolo flusso. I risultati sono proposti in infografiche che costituiscono i capi

saldi dei nove padiglioni.

Il secondo livello mostra il potenziale dei flussi per risolvere i problemi ambientali. il lavoro dello IABR-Project Atelier di

Rotterdam, mostra tutti i flussi contestualizzati, presentando una prima sintesi dellʼapproccio metabolico, che su richiesta

dello IABR stesso e della città di Rotterdam, riguardano pratiche progettuali olandesi.

Il terzo livello mostra come lʼanalisi dei flussi debba essere compresa negli strumenti di progettazione, pianificazione e

controllo delle nostre città. FABRIC e gli architetti del paesaggio americani del James Corner Field Operations (New York),

hanno esaminato come l'approccio dei flussi possa essere applicato a concrete proposte progettuali, alla scala della città di

Rotterdam e del Delta del sud-ovest, così come in altri luoghi.

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I FLUSSI Le sfide visualizzate Agenzia Olandese per la valutazione ambientale (PBL) IABR - Project Atelier Rotterdam, City of Rotterdam, FABRIC e James Corner Field Operations, Catalogtree.

Lo IABR ha chiesto allʼAgenzia Olandese per la valutazione ambientale (PBL) di indagare quali fossero i punti di

forza e di debolezza per ogni flusso a livello nazionale e globale.

I risultati sono illustrati in nove infografiche realizzate dai Graphic Designers Catalogtree.

Ciascun flusso è analizzato secondo 5 livelli:

1 la dimensione del flusso;

2 la sua importazione ed esportazione;

3 lʼorganizzazione della sua infrastruttura a livello nazionale;

4 il suo contesto internazionale;

5 le sue maggiori sfide a livello internazionale.

1. ARIA 1.1 Lʼaria è ovunque, lʼaria è vitale

1.2 Il particolato non conosce confini

1.3 Le attività umane lasciano la loro traccia nellʼaria

1.4 Le ciminiere si sono spostate altrove

1.5 Il particolato minaccia la salute nei paesi emergenti

2. MATERIALI EDILI 2.1 Una casa è fatta con più di un mattone

2.2 Materiali provenienti dal suolo e dal mare

2.3 Nessuna costruzione senza cave

2.4 Il mondo continua a costruire

2.5 La città come sito di estrazione

3. ACQUA 3.1 Molti usi domestici

3.2 Paese di fiumi

3.3 Modificare il sistema idrico

3.4 Più persone, meno acqua

3.5 Gestione a secco

4. CIBO 4.1 La cucina delle case olandesi

4.2 I viaggi del cibo

4.3 Le fattorie danno forma al paesaggio

4.4 Una terra per sfamare miliardi

4.5 La potenza del menu

5. ENERGIA 5.1 Un pieno ogni giorno

5.2 I Paesi Bassi viaggiano grazie al petrolio e al gas

naturale

5.3 Il polo del gas in europa

5.4 La CO2 come sottoprodotto di prosperità e povertà

5.5 Un futuro energetico

6. BIODIVERSITÀ 6.1 I servizi della natura

6.2 I Paesi Bassi sono fatti dallʼuomo

6.3 Il workshop della natura

6.4 L'homo sapiens è la specie dominante

6.5 La natura è un abitante della città

7. RIFIUTI 7.1 Sette volte il peso del corpo

7.2 Tutto pulito e in ordine

7.3 Le città stanno diminuendo i rifiuti

7.4 Da discariche e inceneritori al riciclo

7.5 I rifiuti viaggiano nel mondo

8. MOBILITÀ 8.1 Lʼera delle macchine

8.2 Avanti e indietro

8.3 Una rete sempre più densa

8.4 Da 1 a 3 miliardi di automobili

8.5 Come arrivare dove stiamo andando

9. TRASPORTO MERCI 9.1 273 kg di merci per persona al giorno

9.2 Un centro di distribuzione globale

9.3 Il trasporto merci ha bisogno di infrastrutture e

viceversa

9.4 Distanza tra produzione e consumo

9.5 Cambiare i flussi del trasporto merci

Page 46: IABR 2014 URBAN BY NATURE

1. ARIA

ʼ ʼ

Gli uomini, gli animali e le piante hanno bisogno di aria per respirare. Nelle nostre case abbiamo bisogno di aria per

riscaldare e raffreddare. L’aria gioca inoltre un ruolo fondamentale nel sistema climatico globale. L’aria pulita è un requisito

fondamentale per la qualità della vita. Tuttavia, la qualità dell’aria a volte è seriamente compromessa da agenti inquinanti

come il particolato.

I grafici considerano i seguenti elementi presenti nell’aria a livello globale, regionale, locale e all’interno degli edifici:

A LIVELLO GLOBALE: CO2, cambiamenti climatici, ozono

A LIVELLO REGIONALE: acidificazione, pioggia acida, vento ed energia eolica, polline, particolato, eutrofizzazione.

A LIVELLO LOCALE: microclima, smog.

INTERNO: ventilazione, radon, sindrome dell'edificio malato(sick building syndrome).

Il secondo grafico riguarda specificatamente i livelli di particolato presenti in una città tipica olandese, considerando la sommatoria dei

background globali e regionali, a cui si unisce quello urbano relativo alla città considerata. Sono evidenziati i livelli massimi annuali di

particolato in relazione a diverse aree della città, in cui si concentrano o meno le emissioni dannose.

Il livello di particolato in Olanda è relativamente alto, le fonti naturali rappresentano quasi il 50%, il resto proviene da fonti

antropiche, nazionali e straniere. Le emissioni importate superano di tre volte quelle esportate. Grazie a misure quali filtri

anti particolato, i livelli di inquinamento sono dimezzati dal 1990 e questa tendenza continua.

Le emissioni antropiche olandesi sono dovute a: industrie, traffico stradale, altro tipo di traffico, agricoltura, utenze domestiche, altro,

trasporto navale marittimo. (dati 2009).Tra le fonti naturali si considera il suolo, la polvere ed altro, il sale marino ed infine il

background atmosferico. Si stima che nel 2050 la media delle concentrazioni di PM10 in Olanda aumenterà soprattutto a causa del

traffico stradale e marittimo e delle emissioni straniere.

ʼ

Le emissioni dalle città, dalle strade, dalle vie navali, dagli allevamenti e dalle aree industriali, lasciano inconfondibili tracce

nell’aria, come mostrato dalla mappa del particolato in Olanda e nel Mare del Nord. Il particolato è dannoso per la salute

umana: in Olanda causa due volte più danni alla salute che gli incidenti stradali.

La mappa di tutto il territorio olandese, evidenzia i principali luoghi causa di inquinamento, come le principali arterie stradali, il porto

di Rotterdam, le attività industriali, gli allevamenti. I valori di PM10 vanno da una scala da 0 a 1000 per km2/

anno (fonti 2011).

Un centinaio di anni fa, L’Europa soffriva a causa dell’inquinamento dovuto alle industrie pesanti. Questo problema è stato

risolto grazie all’adozione di processi produttivi più puliti e grazie allo spostamento delle industrie in paesi come la Cina o

l’India. In quest’ultimo, la recente rapida crescita di città, industria, traffico e consumo energetico, sta causando un'aria

estremamente inquinata. Anche il trasporto marittimo internazionale contribuisce all’inquinamento globale dell’aria.

Il planisfero mostra le aree più inquinate considerando dati di diffusione del PM10 relativi al 2005 e li pone in relazione al numero di

abitanti delle città evidenziate. Le aree con città con più di 10 milioni di abitanti e l’aria più inquinata si trovano infatti in Cina e in

India.

Paesi emergenti come Cina, India e Messico, pagano la loro esplosiva crescita economica con aria pesantemente inquinata.

Questo aumenterà il tasso di mortalità negli anni a venire, anche perché le popolazioni di questi paesi stanno invecchiando e

gli anziani sono sensibili. L’inquinamento dell’aria rappresenterà ben presto il maggio rischio alla salute, più del cattivo

igiene, dell’acqua inquinata e della malaria.

I grafici confrontano paese per paese, la crescita media dell’inquinamento dagli anni ’90 al 2050 nelle maggiori città ed il tasso di

mortalità precoce dovuto all’esposizione alle PM10

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2. MATERIALI EDILI

Servono 130 tonnellate di materiale edile per costruire una casa olandese media oltre a 45 tonnellate di sabbia per costruire

le sue fondazioni. Un’enorme quantità di materiale edile è necessario per costruzioni residenziali, che equivale a più del

doppio del materiale necessario per edifici non residenziali, lavori sotterranei, strade e lavori di ingegneria idrogeologica. I

rifiuti dovuti alle demolizioni sono a volte riutilizzati o riciclati.

Nei grafici viene riportata la quantità di materiali edili divisi per tipo, necessari alla costruzione di diversi tipologie di edilizia

residenziale come case unifamiliari, appartamenti, case a schiera in mattoni, cemento o in legno.

Viene inoltre riportato in migliaia di abitazioni all’anno, l’andamento delle nuove costruzioni e delle demolizioni dal 1971 al 2010 in

Olanda, dimostrando un decremento dell’attività edilizia ma un costante aumento delle nuove costruzioni, senza che le esistenti vengano

demolite, con conseguente aumento dell’urbanizzazione del territorio naturale. Analogo ragionamento dagli anni ’90 al 2010 per gli

edifici adibiti ad uffici, espressi in milioni di m2 affittabili, considerando nuove costruzioni o ristrutturazioni ed edifici demoliti o che

hanno visto modificarsi la loro destinazione d’uso.

Sabbia, argilla e CDW (aggregato costituito da materiale edile e scarti di demolizioni), hanno per la maggior parte origine

nei Paesi Bassi e nel Mare del Nord. La sabbia serve per le costruzioni in zone depresse, per la manutenzione costiera e le

bonifiche territoriali come Maasvlakte-2. La ghiaia, la roccia frantumata, il legname e le pietre naturali, sono per la maggior

parte importati.

Sono graficamente riportate le quantità di materiale edile estratte, importate, consumate ed esportate in milioni di tonnellate, con

riferimento a dati relativi a tutti i Paesi Bassi del 2010.

Dai Paesi Bassi sono stati estratti per secoli sabbia, argilla e ghiaia. Ciò ha lasciato tracce nel paesaggio: ci sono centinaia di

cave, alcune delle quali sono oggi diventati laghi con parchi ricreativi. L’apporto di sedimenti naturali è praticamente

cessato a causa della costruzione di dighe, che separano il territorio dai fiumi e dal mare.

La mappa del territorio olandese, riporta i luoghi da cui si estrae materiale costruttivo, evidenziando il tipo di materiale che viene

ottenuto da ogni sito (mattoni di argilla, cemento, asfalto, sabbia arenaria calcarea) e la profondità delle diverse cave. Viene inoltre

riportato il periodo di maggiore sviluppo di città e paesi, attorno agli anni’60 e al 2010.

Il decennio a venire vedrà svolgersi una massiccia attività edilizia in tutto il mondo, specialmente in Asia a causa della

crescita economica e della popolazione e dei brevi cicli di costruzione e demolizione. Questo aumenterà la pressione sulle

aree economicamente più attive e attrattive, già densamente popolate come le aree lungo i delta dei fiumi che sono

vulnerabili a inondazioni, cedimenti del terreno e diminuzione dell’offerta di sedimenti.

Il planisfero, oltre a riportare le aree dove si concentra e cresce la popolazione, considera le città con più di 1milione di abitanti (nel

2010) e divide le varie nazioni anche a seconda dei consumi energetici domestici medi rilevati che si dimostrano in vertiginosa crescita

in Cina, e relativamente costanti nel resto del mondo.

Dal momento che si prevede che la popolazione europea si stabilizzi o addirittura diminuisca, l’obiettivo dell’attività

costruttiva potrebbe spostarsi verso il riuso e la manutenzione degli edifici esistenti piuttosto che sulle nuove edificazioni. Il

riutilizzo a larga scala dei rifiuti da demolizione, come l’acciaio, sta diventando sempre più attraente. Il patrimonio edilizio

urbano, sta diventando un'inesauribile fonte di preziose materie prime riutilizzabili.

Il grafico mostra la quantità di materiale riciclabile presente nelle città olandesi, comprendendo anche la produzione domestica, tutti

prodotti che oltre a diminuire l’importazione di nuovi materiali costruttivi in Olanda, potrebbero addirittura essere esportati.

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3. ACQUA

La media dei cittadini olandesi, utilizza 120 litri di acqua al giorno per bere, cucinare e lavarsi. Molta più acqua è utilizzata

per la produzione di cibo e di beni industriali: particolarmente prodotti agricoli importati da altri paesi. Questo potrà portare

problemi nelle regioni dove l’acqua è scarsa.

Viene riportato graficamente l’andamento dei consumi giornalieri pro capite di acqua in Olanda, a seconda dei diversi utilizzi dagli

anni’90 al 2010. Tale andamento risulta in diminuzione. A parte, si confronta il consumo d’acqua olandese per usi domestici, agricoli ed

industriali (120+146l) con quelli relativi ad altri paesi che rappresentano i beni e i cibi importati in Olanda, descrivendo quindi l'acqua

indirettamente consumata dagli olandesi.

I Paesi Bassi hanno abbondanti riserve di acqua dolce sia superficiale che sotterranea. Quest’acqua è utilizzata per molti

scopi, che comprendono l’agricoltura, le spedizioni, l’industria, l’acqua potabile, la produzione di energia e la natura. La

distribuzione e la disponibilità dell’acqua è assicurata da un sofisticato sistema di gestione delle acqua che richiede continue

manutenzioni.

Il grafico mostra i flussi di acqua dolce in Olanda all’anno, espressi in m3, in relazione agli usi che se ne fanno e anche al ciclo naturale

dell’acqua che proviene dai fiumi, dalle precipitazioni o dal sottosuolo e che dopo essere stata utilizzata, evapora o arriva al mare. In

questo modo si evidenzia anche il flusso dell’acqua inquinata dalle industrie, di quella calda e di quella purificata.

Il fiume Reno gioca un ruolo centrale nel sistema idrico dei Paesi Bassi a nord e a ovest. Tuttavia, a causa dei cambiamenti

climatici, il corso del fiume è divenuto meno prevedibile portando ad una maggiore intrusione salina durante magre estreme

del fiume. Perciò si rendono necessarie delle nuove soluzioni lungo il corso dei fiumi ed in particolare nelle zone di

transizione tra il fiume ed il mare.

La mappa del territorio olandese riporta i maggiori bacini idrici, le aree a rischio idrogeologico e i flussi di acqua salata che rischiano

di salinizzare zone e flussi di acqua dolce. Sono evidenziate le principali zone estrattive di acqua dal sottosuolo e le riserve idriche, oltre

a rappresentare le diverse portate d’acqua del fiume Reno nell’arco dell’anno.

La scarsità d’acqua è un problema crescente in molte regioni del mondo. La richiesta d’acqua sta crescendo a causa

dell’aumento di popolazione e di conseguenza dell’intensificazione della produzione agricola per l’export. Le riserve

acquifere stanno gradualmente venendo utilizzate: questi problemi idrici conducono sempre più verso conflitti politici e

sociali.

Il planisfero mappa le aree a seconda delle risorse idriche di ogni regione, evidenziando anche alcune regioni chiave per la produzione

di determinati prodotti agricoli- importati in Olanda - in relazione anche alla loro disponibilità di acqua – area acquifera.

Il consumo di acqua continua a crescere in tutto il mondo, in particolare nelle economie emergenti (BRICS countries –

Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa). In particolare, l’uso di acqua per l’irrigazione sta diminuendo, la

produzione di cibo perde terreno a favore di produzioni famigliari e industriali. Molte aziende occidentali, operano in paesi

con scarsità di acqua ed essi possono portare soldi e conoscenze per contribuire a migliorare la gestione locale delle risorse

idriche. (OECD – organization for economic co-operation and development).

Il grafico riporta il fabbisogno di acqua globale espresso in km3 all’anno a seconda dei vari tipi di utilizzo (produzione elettricità,

manifatture, allevamenti, utenze domestiche, irrigazione), dividendoli OECD, BRICS e resto del mondo. Si prevede che il fabbisogno

idrico globale sarà in forte crescita fino al 2050. In questo grafico emerge anche il tipo predominante di attività che di ogni singola

macrozona e il suo andamento nel tempo: si prevede ad esempio che nei paesi emergenti, aumenterà l’uso dell’acqua per la produzione

di energia elettrica e per le industrie, mentre diminuirà quella destinata ad usi agricoli.

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4. CIBO

La media delle utenze domestiche olandesi compra più di 1350kg di cibo e bevande all’anno. La produzione di questi beni

alimentari richiede almeno un ettaro di campagna oltre a grandi quantità di acqua, energia, fertilizzanti, pesticidi e

antibiotici ed inoltre provoca un prodotto invisibile: 18kg di gas serra al giorno, cioè 6400kg all’anno.

Il grafico incrocia i dati relativi all’acquisto di cibi e bevande per famiglia all’anno espressi in chili, con la corrispondente impronta

produzione per famiglia olandese, evidenziando anche la quantità di risorse e prodotti nocivi necessari alla produzione degli alimenti

delle tavole olandesi.

Il cibo è un mercato globale, con prodotti ed ingredienti che viaggiano attraverso grandi distanze. I Paesi Bassi occupano

una posizione speciale in questa rete globale del cibo: il Paese è una super potenza agricola altamente tecnologica che

ottimizza al meglio le sue favorevoli condizioni climatiche e la sua strategica posizione nel commercio internazionale e

nella distribuzione di merci.

Il grafico evidenzia il traffico import-export di prodotti alimentari in Olanda evidenziando le quantità e confrontando quanto dello stesso

prodotto viene importato e esportato, dando anche un’idea dei principali prodotti alimentari distribuiti dai Paesi Bassi.

Oggi l’agricoltura ha cambiato la campagna olandese in un paesaggio di produzione ultra moderno, dove le aziende agricole

lavorano insieme in settori caratteristici di produzione regionale per esportare a livello internazionale, come per esempio

l’orticoltura in serra o il maiale di allevamento. Questa organizzazione di vasta portata è controbilanciata dal rinnovato

interesse del pubblico nella qualità del cibo, della natura e del paesaggio.

La mappa dei Paesi Bassi mostra l’uso del territorio agricolo per la produzione di cibo con dati che si riferiscono al 2012. Individua le

aree dedicate maggiormente ad allevamenti intensivi, orticoltura in serra, prodotti caseari, ortaggi seminativi e frutta, evidenziando i

diversi rendimenti delle varie attività ed il livello di occupazione creato dalle attività agricole.

Il territorio agricolo globale è attualmente di 38milioni di km2. Per sfamare la popolazione mondiale crescente, saranno

necessari nel 2050, almeno 4milioni di km2 in più. Nuovi terreni agricoli saranno creati per lo più in zone con una diversità

vegetale e animale relativamente alta come le foreste tropicali e subtropicali e le savane.

Il planisfero riporta i diversi ecosistemi, incrociandoli in un grafico successivo, con il tipo di attività agricola realizzabile in ogni area.

Nel planisfero sono evidenziate inoltre le aree agricole nuove, che si formeranno fino al 2050 e quelle che entro il 2050, saranno state

inglobate nelle città.

L’impronta ecologica del consumo di cibo nei Paesi Bassi può essere ridotta se più persone cambiassero la loro

alimentazione verso diete più salutari, particolarmente se eliminassero la carne. Servono 5 kg di animale, nutrito con 8-15m2

di territorio agricolo, per avere un chilo di maiale sulla tavola. Spostandosi verso una dieta a base vegetale, si aiuterà inoltre

a ridurre l’uso di fertilizzanti e antibiotici e le emissioni di gas serra.

L’istogramma confronta l’influenza che ha la scelta del menù sull’impronta ecologica e sull’assunzione di grassi saturi e quanto la

produzione dei cibi delle diverse diete considerate (tipico menu olandese, menu consigliato dalle guide nutrizionali nazionali, menù

vegetariano, menu vegetariano due volte la settimana), incide sul territorio e nella produzione e uso di agenti nocivi.

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5. ENERGIA

La media delle famiglie olandesi usa 466 giga Joule di energia all’anno che è l’equivalente di 40 litri di petrolio al giorno.

Un quinto di questo totale è usato direttamente a casa o per il trasporto personale. Una quota molto maggiore è dovuta al

consumo di 'energia nascosta', ovvero l’energia richiesta per produrre cibo e beni che le famiglie comprano.

Il grafico riporta quantità ed usi dei tre principali tipi di energia necessari alla normale routine delle famiglie olandesi: essi consumano

514 l di benzina, 1650 m3 di gas per il riscaldamento e gli altri usi domestici, 3400 kWh di elettricità per lavare, raffreddare, asciugare,

illuminare…a cui si sommano gli usi indiretti di vari tipi di energia dovuti per esempio all’uso dei trasporti pubblici, degli aerei, dei

traghetti, ad altri usi domestici e all’uso di beni di importazione.

I principali flussi di energia in Olanda sono di petrolio e gas naturale. Questi fluidi sono sia importati che esportati e nei

Paesi Bassi vengono convertiti in elettricità, calore, mobilità e prodotti non energetici come la plastica. La biomassa (pellets

di legno importati o scarti agricoli), energia solare ed eolica, soddisfano il 4% del fabbisogno.

Il grafico mostra il bilancio energetico dei Paesi Bassi, confrontando l'energia importata, i prodotti realizzati e quanto (prodotti ed

energia) viene esportato, considerando anche le perdite di energia e i contributi di diversi tipi di energia ad attività come trasporti,

industria ecc…

I Paesi Bassi sono un nodo fondamentale nella rete energetica globale. Essi hanno eccellenti infrastrutture, con un’estesa

rete di condutture nel territorio e nel Mare del Nord. L’obiettivo dell’Olanda di utilizzare queste infrastrutture per fornire

gas in tutta l’Europa sta per far diventare il Paese una 'rotonda' del gas (Gas hub) per la distribuzione e l’immagazzinamento

di gas naturale e CO2.

Sulla mappa dei Paesi Bassi sono riportate le principali infrastrutture per il gas naturale e l’elettricità, gli impianti (>60MW) di fonti di

combustibile, le turbine eoliche e gli inceneritori di rifiuti e le principali vie di distribuzione dell’import-export energetico.

Il territorio agricolo globale è attualmente di 38 milioni di km2. Per sfamare la popolazione mondiale crescente, saranno

necessari nel 2050, almeno 4milioni di km2 in più. Nuovi terreni agricoli saranno creati per lo più in zone con una diversità

vegetale e animale relativamente alta come le foreste tropicali e subtropicali e le savane.

Il planisfero mostra le emissioni di CO2 nei vari Paesi con dati riferiti al 2005 ed in un altro grafico, l’impatto delle opzioni di riduzione

sulle emissioni globali di gas a effetto serra.

Centrare gli obiettivi di riduzione di CO2 in Olanda, richiede un radicale cambiamento energetico. Il futuro mix energetico è

ancora incerto ma sarà senza dubbio richiesto di risparmiare energia e di apportare migliorie efficienti, un cambiamento

verso l’uso di combustibili non fossili un aumento dell’immagazzinamento del carbonio (sequestro).

La grafica riporta l’attuale uso di combustibile Nei Paesi Bassi (2012) e due scenari possibili in cui cambiando l’uso e la provenienza

dell’energia, le emissioni di CO2 si ridurranno dell'80% nel 2050. Attualmente in Olanda, la quasi totalità della fornitura energetica ad

uso domestico proviene da combustibili fossili, in seconda battuta dalle biomasse ed in minima parte dall’energia eolica. L’opzione 1

prevede un sistema di con scarso uso di carbonio ed un uso massiccio di energia proveniente da fonti rinnovabili; l’opzione 2 ipotizza nel

2050 pratiche massive di risparmio energetico, unite alla diffusione delle pratiche di cattura e stoccaggio di carbonio.

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6. BIODIVERSITÀ

La natura è di importanza vitale per l’uomo. Possiamo forse intendere la Natura come un sistema che fornisce beni e servizi,

come la depurazione delle acque, la produzione di cibo, la protezione costiera. Per esempio, le dune della costa olandese

sono una barriera naturale per le inondazioni per il 20% delle coste. La parte rimanente deve invece essere protetta da dighe

e opere ingegneristiche.

Il grafico mostra i beni e servizi forniti dall’ecosistema olandese, in percentuale relativa alla richiesta domestica. Beni naturali, come

cibo, legno, acqua potabile, biomasse, biodiversità, sono indicati come stabili, in crescita o in calo in relazione alla relativa richiesta

domestica a sua volta stabile in crescita o in calo: si confrontano così la domanda (di risorse naturali della popolazione olandese) e

l’offerta (le risorse naturali messe a disposizione dall’ecosistema).

ʼ

I Paesi Bassi non hanno spazi vergini e selvaggi: la campagna è stata coltivata per secoli. Le forze della natura però, in

particolare il clima e il delta del fiume, giocano ancora un ruolo inevitabilmente importante nella conformazione del

territorio. Dove è possibile, flora e fauna si adattano ai cambiamenti del loro habitat, non importa se queste sono dovute

all’attività umana o a cause naturali.

La grafica riporta i cambiamenti del paesaggio olandese in una linea del tempo che va idealmente dall’anno zero agli anni 2000 e

specifica in 15 punti i momenti salienti che hanno apportato modifiche sostanziali al territorio. Ogni elemento naturale (o artificiale) è

rappresentato con una fascia di colore diverso che modifica la sua forma e dimensione a seconda dell’intensità del cambiamento subito.

Nei Paesi Bassi, l’uso dei terreni in modo intelligente e multifunzionale è la chiave per coordinare diversi stakeholder e

richieste spaziali. Gli ecosistemi sono multifunzionali per natura. Per esempio le dune costiere proteggono dalle inondazioni

e depurano l’acqua, una biodiversità unica e uno spazio ricreativo all’aperto. In cambio noi possiamo provare ad assicurarci

che anche la natura possa trarre benefici dai nostri interventi.

Diverse mappe del territorio olandese, mostrano gli ecosistemi del territorio e i beni e servizi che questi danno alla società. Legname,

biodiversità, siti di interesse preferiti, dune costiere, acqua potabile, sequestro di carbonio, protezione dalle inondazioni, sono forniti da

foreste, dune costiere, risorse idriche, animali e piante tipiche del territorio.

ʼ

L’homo sapiens si è diffuso in tutto il mondo e domina ogni biotipo. La biodiversità sta decrescendo: le aree naturali stanno

diventando più uniformi. L’autosufficienza della natura non è senza fine. La domanda è: dove comincia la fine dell’utilizzo

delle risorse naturali e comincia lo sfruttamento eccessivo?

In vari planisferi, è evidenziata la distribuzione dei servizi forniti dai diversi ecosistemi, cioè dove nel mondo sono presenti determinate

risorse ambientali utili all’uomo sotto vari aspetti. Le categorie rappresentate sono: sequestro di carbonio, produzione di legname, cibo

raccolto da ecosistemi naturali, biodiversità.

La natura e le città non si escludono a vicenda. Un grande numero di piante e animali si sentono a casa negli habitat urbani,

come l’area metropolitana di Amsterdam. La loro presenza è gradita ai visitatori dei parchi della città e di altre aree

ricreative. La natura non è una straniera distante ma una collega che abita come noi gli spazi urbani.

Con un focus specifico sulla città di Amsterdam, sono evidenziate le sue principali caratteristiche naturali, che comprendono canali,

parchi urbani nazionali ed europei, acqua, alberi monumentali e spot di biodiversità; a questi luoghi vengono collegati i luoghi ricreativi

come le infrastrutture, le piste ciclabili e i siti di interesse preferiti a livello locale, regionale e nazionale.

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7. RIFIUTI

La media dei cittadini olandesi produce 530 kg di rifiuti all’anno, quattro volte di più che nel 1950. Parte di questa

spazzatura, in particolare carta, vetro e rifiuti ingombranti, viene differenziata. Il contributo delle famiglie alla produzione

totale di spazzatura è relativamente basso: l’85% di tutti i rifiuti, sono prodotti dagli 'affari'.

Il grafico riporta il tipo e la quantità di rifiuti pro-capite in kg per anno, prodotti in Olanda nel 2010. Sono considerati i rifiuti per i quali

è attiva la raccolta differenziata e quelli indifferenziati, oltre a quelli indiretti e cioè prodotti dalle industrie e attività che

commercializzano i prodotti che le famiglie acquistano.

Nei Paesi Bassi, la gestione dei rifiuti sembra un problema risolto. Il 75% di tutti i rifiuti è riciclato. La parte rimanente

viene per la maggior parte incenerita e contribuisce così alla produzione di energia elettrica. Le discariche e lo smaltimento

di acque inquinate, pratiche molto comuni 30 anni fa, sono oggi difficilmente utilizzate. Gli inceneritori olandesi ora

bruciano anche rifiuti provenienti da Londra e dal sud Italia.

Il grafico riporta le fonti di rifiuti e il loro trattamento in Olanda. Il 77% dei rifiuti viene riciclato.

Il riuso, la separazione dei rifiuti, il riciclo, sono effettivamente dei modi per ridurre l’ammontare dei rifiuti prodotti dalle

famiglie. Il riuso è diventato più facile grazie a piattaforme online come eBay, per comprare e vendere beni usati. Le

raccolte differenziate finora monitorizzate che hanno avuto più successo, sono quelle dei comuni più piccoli. Così, in

termini di riciclo, il guadagno maggiore può essere realizzato nelle città.

La mappa dell’Olanda ha evidenziate le quantità di rifiuti non riciclabili prodotti dalle famiglie nelle diverse città. Sono evidenziati

anche i punti di raccolta dei rifiuti, i siti per il trattamento dei rifiuti, le discariche, gli inceneritori e i negozi dell’usato.

In Europa i Paesi ricchi producono più rifiuti domestici pro capite rispetto ai meno prosperi. All’aumentare del benessere, la

gestione dei rifiuti diventa più avanzata. Per l’Europa, il riciclo è sempre più attraente da un punto di vista economico e

politico. Il riciclo forma le basi di un’economia più circolare.

L’istogramma mostra per ogni Paese europeo, la quantità di rifiuti GDP - ovvero il valore di mercato di tutti i beni finali ufficialmente

riconosciute e servizi prodotti all’interno di un paese in un anno ed in percentuale, come questi vengono smaltiti. Nella maggior parte dei

paesi, la maggior parte di questi beni viene smaltita in discarica.

La popolazione globale urbana produce 3 milioni di tonnellate di rifiuti al giorno e tale somma continua a crescere. I Paesi

meno sviluppati, in particolare, hanno difficoltà a gestire il loro carico di rifiuti. Questi problemi sono esacerbati

dall’importazione dei rifiuti dei Paesi occidentali, come i rifiuti elettronici che contengono sostanze tossiche che possono

provocare danni alla salute.

La grafica mostra il flusso fisico di rifiuti olandesi verso altri Paesi e il flusso economico a cui questi trasporti danno luogo. Un

istogramma riporta come in Olanda, sia enormemente cresciuta questa pratica negli ultimi 20 anni. I rifiuti che vengono smaltiti

all’estero, in discariche più o meno legali sono rottami, plastica e carta.

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8. MOBILITÀ

ʼ

Dall’avvento dell’automobile negli anni '50 e ’60, le auto hanno avuto un enorme influenza sulla nostra vita quotidiana e

sull’ambiente. Nei Paesi Bassi, la media dei cittadini percorre 42 km al giorno, di cui 24 in macchina. Il traffico è dovuto

prevalentemente al flusso pendolare. La bici è largamente utilizzata come da norma nazionale.

La grafica analizza il percorso per olandese attraverso i Paesi Bassi utilizzando i principali mezzi di trasporto dall’avvento dell’auto ad

oggi. In Olanda l’uso della bicicletta e dei trasporti pubblici rimane per lo più costante, mentre aumentano i trasporti con le auto private

o condivise e i voli in aereo. In un secondo grafico è analizzato il motivo dello spostamento ed i mezzi di trasporto principalmente

utilizzati in Olanda.

I movimenti di viaggio seguono in gran parte schemi fissi, come ad esempio il percorso giornaliero tra casa e scuola. La

mappa del pendolarismo in Olanda mostra un’alta intensità di traffico attorno alle grandi città e nel Ranstad. Le connessioni

dei trasporti pubblici tra le città sono intensivamente utilizzati.

La mappa mostra i flussi dei pendolari verso le principali città, considerando il numero di viaggi al giorno o all’anno e il mezzo di

trasporto utilizzato; vengono inoltre individuati i 5 principali flussi pendolare tra Amsterdam e Rotterdam e le città limitrofe.

La mobilità è potuta crescere più di ogni altra cosa nell’ultimo secolo grazie all’espansione delle infrastrutture. Dal 1960, la

rete autostradale olandese è cresciuta di 2000km, mentre venivano aggiunte anche altre corsie. Un crescente numero di

attività urbane, sono posizionate attorno a strade di scorrimento, stazioni ferroviarie e aeroporti. Gli aeroporti regionali sono

vettori low-cost.

La mappa dei Paesi Bassi mostra il rapporto tra le arterie maggiormente trafficate e percorse e punti nodali di trasporto, con la crescita

urbana e la crescita delle aree industriali ed affaristiche, evidenziando nel tempo il processo di espansione delle città.

Le città occidentali stanno provando a frenare la predominanza delle auto nel traffico cittadino, ma altrove le auto

rimangono in uso come simbolo di progresso. Si prevede che il parco auto mondiale triplicherà dal miliardo di oggi a 3

miliardi nel 2050, e lo stesso vale per le questioni legate all’ambiente e all'accessibilità.

Nei grafici viene mostrato l’andamento dell’uso dei mezzi di trasporto più comuni a partire dal 2000 fino al 2050 nei principali Paesi,

compresi i BRICS. I maggiori utilizzatori di automobili sono sicuramente gli Stati Uniti d’America, segue l’Europa occidentale.

La velocità di viaggio è inferiore nel Randstad che nel resto dei Paesi Bassi, ma nel primo si può raggiungere cinque volte il

numero di posti di lavoro entro lo stesso lasso di tempo. Da questo punto di vista, la mobilità dei residenti del Ranstad è

migliore. Quando si considera sia la velocità di viaggio che la vicinanza alla destinazione, emergono nuove possibilità per

migliorare l’accessibilità.

La grafica mostra diverse mappe dei Paesi Bassi divise per mezzo di trasporto analizzato (auto, trasporto pubblico, trasporto non

motorizzato) ponendoli in relazione alla vicinanza, alla velocità di viaggio e all’accessibilità. Infine tutti questi dati vengono riassunti in

tre mappe globali che mostrano la maggior concentrazione di riscontri positivi nelle vicinanze delle maggiori città.

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9. TRASPORTO MERCI

Ogni anno, 1,6 miliardi di tonnellate di merci, vengono trasportate attraverso il territorio olandese. Il trasporto di merci

domestiche si muove prevalentemente su strada, le merci internazionali per la maggior parte via nave. Le merci trasportate

via aereo sono di modesta entità ma significative in termini economici. La quantità di carichi effettuati oscilla in risposta al

clima economico, come l’inflessione dopo il 2008 dimostra.

Il trasporto merci domestico avviene su strada o su nave nei canali interni: quest’ultimo resta costante negli anni mentre il primo oscilla

a seconda della domanda. I carichi internazionali vengono effettuati prevalentemente via nave crescendo nel tempo.

I Paesi Bassi sono particolarmente adatti alla distribuzione di merci di varie entità. Grazie alla loro strategica posizione, il

Paese è un nodo centrale per il flusso globale dei trasporti. Molti beni sono immediatamente spediti, altri invece vengono

prima rielaborati e poi esportati. Per mantenere la sua posizione competitiva, l’Olanda ha investito molto nei porti principali

(cargo hubs) e nelle infrastrutture.

Il grafico mostra il sistema import-export olandese. I principali importatori in Olanda sono gli altri Paesi europei, le Americhe e l’Asia. I

prodotti che l’Olanda esporta sono vari e comunque materiali destinati ad essere nuovamente lavorati e ridistribuiti principalmente nel

resto d’Europa.

Buone vie di comunicazione e trasporto verso l’interno dell’Europa, sono vitali per i principali porti olandesi (Rotterdam,

Amsterdam, l’aeroporto di Schiphol). Dal 1980, sono stati fatti significativi investimenti sulle infrastrutture al fine di

stimolare la crescita economica e dei trasporti pesanti. Il paesaggio olandese tra i suoi porti principali e il suo entroterra

costituisce una delle più dense infrastrutture in Europa.

La mappa dei Paesi Bassi mostra come l’Olanda riceva molta più merce via mare di quella che ne esporta con lo stesso mezzo, mentre

accade il contrario verso il resto d’Europa e quindi con il trasporto via terra.

Il trasporto merci è diventato sempre più economico in tutto il mondo. Il costo del trasporto marittimo in particolare, è ora

quasi trascurabile. Questa è una delle ragioni per cui la produzione manifatturiera si è spostata in paesi dai bassi salari. La

tendenza globale stimola lo sviluppo economico ma ha anche un risvolto negativo: le condizioni di lavoro locale sono a

volte misere e i costi ambientali del trasporto merci sono alti.

I grafici mostrano le quantità e le distanze di alcuni prodotti di largo consumo che vengono importati ed esportati dai Paesi Bassi. Ad

esempio i Paesi Bassi importano molti vestiti e combustibili solidi ma sono grandissimi esportatori di fiori in tutto il mondo.

Il flusso di trasporto merci internazionale sta crescendo e si sta spostando. Il trasporto da e verso l’Asia in particolare è

cresciuto in modo spettacolare. Le mega città asiatiche stanno investendo pesantemente in porti marittimi e aeroporti per

aumentare la loro quota nel commercio internazionale. Il porto di Rotterdam mantiene una solida posizione. L’incertezza

per il futuro include rotte marittime vulnerabili (Panama, Suez) e il costo del carburante.

L’istogramma mostra le strade maggiormente percorse negli anni per il trasporto merci internazionale in container, e quindi via nave,

sia da che per l’Europa.

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SKETCH 2 Una progettazione in crowd Un ponte per la coesione di Rotterdam #IntelligentSchoolDesign2014

In quanto la pianificazione burocratica ha separato il problema della coesione sociale dalla pratica della

pianificazione urbana, se n'è fatto carico la popolazione attraverso l'attuazione di pratiche di urbanistica partecipata diretta.

L'esempio del Ponte Luchtsingel di Rotterdam, assieme al tetto giardino da realizzarsi su un vicino edificio

commerciale, al ripensamento della vicina stazione metropolitana, e al parco Pompenburg, creano un sistema accogliente e

creativo, nato da un approccio alla progettazione di tipo spontaneo.

Il progetto è stato organizzato in fasi, in relazione alle disponibilità finanziarie della comunità di cittadini che l'ha ideato. Il

finanziamento, infatti, è raccolto in crowd attraverso il coinvoglimento dei donatori sui social network (crwodfunding), e

quindi la completa realizzazione non è sicura, ma è prevista la possibilità del funzionamento anche nel caso di una

realizzazione parziale. Questo segna un'evoluzione rispetto alla progettazione ex ante tradizionale in quanto tiene in

considerazione gli input di tipo casuale e imprevedibile che possono influire nei processi di progettazione, realizzazione e

gestione delle infrastrutture urbane.

Il progetto è costituito da una serie di spazi di aggregazione, pensati sui principi dell'accoglienza, dell'integrazione

fra diversità culturali, dell'apertura alla città attraverso il legame con i nodi di trasporto pedonale, ciclabile, ferroviario,

infine dell'autosufficienza alimentare e dell'aumento della bioticità urbana attraverso la prediposizione di orti comuni.

Il Luchtsingel è un ponte pedonale di legno lungo 390 metri che collega il centro di Rotterdam alla zona

settentrionale. Si tratta di una forza di attivazione per lo sviluppo di una parte della città che è stata per lungo tempo

dimenticata. Il ponte è anche un catalizzatore per la crescita economica.

A causa della sua lunghezza e della struttura complessa, è previsto per essere costruito e assemblato in segmenti, per un

totale di sei fasi di costruzione, dal 2012 alla fine del 2014.

Sul tetto del Schieblock, è prevista la realizzazione del primo giardino coltivabile in Olanda, per coltivare frutta,

verdura, erbe aromatiche e persino miele. Esso funziona come uno spazio per la sperimentazione di diversi modi di

coltivazione di verdure sui tetti degli edifici. Il Dak Akker è stato costruito nel 2012 da Binder Groenprojecten, con il

cencept e il design di ZUS (Zone Urbaines Sensibles) e lo sviluppo e la collaborazione del Rotterdam Milieucentrum

(Environmental Centre di Rotterdam).

In collaborazione con Hofbogen B.V. e gli imprenditori locali, il tetto della Hofbogen sarà il sito di atterraggio del

Luchtsingel. Il tetto ospiterà gli eventi e le iniziative su piccola scala. Rinverdire il tetto permetterà di creare un luogo unico

per pic-nic o passeggiate con una magnifica vista sulla città. Il potenziale del tetto ha già contribuito a creare un clima

aziendale positivo per gli imprenditori e intorno alla zona Hofbogen.

Pompenburg era una zona di stoccaggio situato tra strade trafficate e ferrovia, ma sarà presto trasformato in un

luogo unico per Rotterdam: il Parco Pompenburg. Il paesaggio circostante offrirà spazio per la ricreazione e l'agricoltura

urbana: un prato, un quartiere di cooperative, campi sportivi e aree barbecue. Il parco è il punto di articolazione all'interno di

una rete più ampia di verde pubblico.

* traduzione da http://www.luchtsingel.org/en/

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PROGETTARE CON I FLUSSI

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PIANETA TEXEL, GUIDA PER UN LUMINOSO FUTURO

Come i caparbi Isolani coltivano una prospettiva ottimistica e stimolante FARO Architetti e la4sale

Texel ha grandi ambizioni: l'isola vuole diventare leader nel settore delle energie rinnovabili entro il 2020,

raggiungendo l’autosufficienza energetica e idrica con l’utilizzo di risorse (rinnovabili) locali.

Texel vuole anche proteggere il suo patrimonio, i beni naturali e paesaggistici, rimanendo nel contempo sostenibile

e un'isola attraente per residenti e turisti.

In linea con le ambizioni dello IABR-2014-URBAN BY NATURE, la Biennale Internazionale di Architettura di

Rotterdam, insieme a Texel ci hanno incaricato, alla luce di questi obiettivi, di delineare il potenziale sviluppo

paesaggistico dell'isola e di mostrare come essi possano contribuire allo crescita del turismo e dell'economia:

l’abbreviazione T.E. x E.L. sta per Turism + Economy x Landscape + Ecology (Turismo + Economia x Paesaggio +

Ecologia).

Negli anni a venire Texel dovrà, come il resto del mondo, affrontare grandi e profondi cambiamenti: l'innalzamento del

livello del mare, il bradisismo, la salinità e la siccità in agricoltura, l'invecchiamento della popolazione e le nuove tendenze

del turismo.

Nessuno sa esattamente quando e con quale impatto questi cambiamenti andranno ad influenzare l’economia e il paesaggio.

Spetta agli abitanti di Texel riconoscere questi cambiamenti, ammettere che siano in realtà dei problemi, e sentirsi

personalmente responsabili a intervenire, come formulato dalla Theory of Emergency Response, come prime azioni da

intraprendere in “situazioni di emergenza”.

Le discussioni sulla sostenibilità e il cambiamento di solito finiscono qui. Le due azioni che dovrebbero seguire, “saper cosa

fare” e soprattutto “farlo” spesso non vengono attuate. Crediamo che abbia poco senso che i progettisti intervengano

direttamente in questa discussione, anche se spesso ci si aspetta che lo facciano e la tentazione è alta. Ma i progettisti

possono esercitare la loro influenza attraverso una pianificazione stimolante ed entusiasmante che può agire da guida nel

processo di cambiamento. Nel contesto del nostro obiettivo, questo significa che dobbiamo immaginare che un potenziale

problema – l’inevitabile cambiamento del paesaggio - possa trasformarsi in opportunità. Abbiamo quindi deciso, come

quarta azione, di elaborare uno scenario “E se…”, “saper cosa fare”, per meglio comprendere le potenzialità positive dei

cambiamenti avvertiti solitamente come minacce. Se i cittadini di Texel iniziassero a riconoscere i vantaggi del

cambiamento, potrebbe diminuire la loro esitazione iniziale e rendere superflue le discussioni di principio - l’obiettivo è

quello di arrivare alla fase cinque, “fallo!” il più rapidamente possibile.

Lo scenario è costituito da Texel Principles, Texel Toolbox e una serie di Prospects con cui affrontare temi e luoghi.

Le Prospettive sono pensate per stimolare le persone ad agire, i Principi dovrebbero individuare il percorso da seguire e gli

Strumenti garantiscono degli strumenti concreti.

Abbiamo elaborato le Prospettive sia per i polder (zone dove il fango rimane scoperto durante i periodi di bassa marea) che

per la zona dell'isola dove troviamo le dune, entrambe a scala paesaggistica (il miglioramento della diga Nieuwe Schild, il

paesaggio interno di dune, il polder het Noorden) e a scala locale (De Koog-Dorpsstraat e dintorni, il traghetto Termihal, il

polder Zuiderhaaks, e Oudeschild). Insieme, dipingono un quadro completo delle potenzialità di trasformazione dell’isola.

Ogni Prospettiva delinea una situazione futura drasticamente modificata, una visione attraente di ciò che si può ipotizzare.

Per rendere questa prospettiva concreta e fattibile, abbiamo individuato una serie di azioni gestibili, non così drastiche.

Abbiamo mostrato quali misure intraprendere per attuare ogni azione e valutati i risultati che si possono ottenere.

Individuati gli scopi della comunità, qualsiasi ‘imprenditore’ può iniziare il cambiamento in modo indipendente. Il nostro

punto di partenza prevedeva che ogni progetto avrebbe dovuto migliorare il paesaggio. Texel ha già subito troppe

pianificazioni che hanno ignorato il ruolo strategico del suo paesaggio. I paesaggi naturali e romantici sono un importante

patrimonio dell'isola, ma i suoi paesaggi artificiali (polders) sono ciò che distingue Texel dalle altre isole Frisone.

Essenzialmente, ogni progetto di paesaggio ha le sue “regole”, che ne definiscono e controllano gli sviluppi; in altri termini

ogni progetto che riguarda Texel identificherà un paesaggio appropriato. Grazie a questo “controllo sul paesaggio”, le

pianificazioni indipendenti si muoveranno in un’unica direzione e tutta Texel ne trarrà beneficio.

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Non si può attivare un cambiamento sociale senza la partecipazione dei cittadini.

Questo approccio gioca un ruolo importante nelle Prospettive per Texel: se molte persone appoggiano una Prospettiva,

aumentano le possibilità di successo e di sostegno a lungo termine. Attualmente a Texel ci sono molte sperimentazioni in

corso, spesso di piccola scala. Stanno prendendo piede innovazioni come le colture in acqua salata, la produzione di energia

solare, l'agricoltura dalle alghe e la pescicoltura in vasche artificiali. Abbiamo cavalcato l’onda dell’energia e delle

ambizioni già presenti nell'isola. Dopo aver parlato con gruppi di cittadini, gruppi d'interesse, e gli stakeholders,

direttamente e tramite social net dopo (un’antologia può essere trovata su YouTube), hanno cominciato a prendere forma

diverse linee di orientamento, che siamo riusciti a connettere. Le Prospettive sono state elaborate progettualmente attraverso

l'interazione con i cittadini e i turisti di Texel, soprattutto raccogliendo insieme, incrementando e combinando le idee

esistenti.

Nei dibattiti con gli abitanti di Texel, abbiamo anche chiarito quali principi ci hanno guidato durante la creazione delle

Prospettive. Abbiamo iniziato con dieci principi, ma dopo poche sedute affollate li abbiamo ridotti a sette. I Principi di

Texel possono servire come punto di partenza per qualsiasi iniziativa, sia che riguardi il turismo, l’ecologia, l’economia, il

paesaggio, l’architettura e la cultura, sia che riguardi le questioni sul tappeto. In questo modo, i principi contribuiscono

anche alla coesione, all’aumento della qualità e alla sostenibilità delle diverse aree politiche.

1. Partire dalla natura (e dal paesaggio)

Un buon 34 per cento di Texel è Parco Nazionale. Allo stesso tempo, il restante 66% non è molto manifesto. L'isola può

aumentare notevolmente la propria bellezza e fascino, consentendo alla natura di crescere al di fuori dei parchi e di spingersi

verso i campi, i villaggi e le aree destinate all’agricoltura, sia nel rispetto tecnico-ecologico che dell’atmosfera e

dell’immagine.

2. Passare dal “made on Texel” all’ “originally from Texel”

Sei alla ricerca di materie prime, energia e acqua? Prima verifica ciò che Texel ha da offrirti. Iniziative economiche locali

come Teso, TexelEnergie, e la Care Company (in formazione) sono imprese sociali consapevoli, che creano un ambiente di

fiducia e peculiarità. E non ultimo, tengono assieme profitto e rischio.

3. Apprezzare l’unità nella diversità

Diversità e varietà offrono flessibilità e redistribuzione del rischio; le monocolture sono vulnerabili sia economicamente che

ecologicamente. Ciò vale anche per l'energia, il turismo e l'agricoltura. Allo stesso tempo, è importante per gli abitanti di

Texel, individuare qualcosa su cui far convergere i propri sforzi: se tutti facessero qualcosa di diverso, il risultato sarebbe

una monotona cacofonia.

4. Ricercare, sperimentare ed innovare

Nessuno sa in anticipo che cosa realmente funzionerà e quindi è importante che gli isolani continuino a perlustrare nuove

spiagge e rimanere pionieri. “Testato su Texel” arriverà a rappresentare propositivamente sperimentazione e innovazione. In

questo principio la temestività serve come l'olio nel motore: testare su una location temporanea o permanente, per un mese,

un anno, dieci anni o anche più.

5. Associare bellezza a bellezza

Su Planet Texel, vogliamo sostituire lo slogan “sostenibilità” con “schoonheid”, una parola olandese con un duplice

significato - bellezza e pulizia - che riprende esattamente ciò che di cui stiamo parlando. Infatti, riferendosi al paesaggio, le

pianificazioni, le attività, i materiali, i prodotti ed i sistemi devono essere belli. Mentre l’essere puliti si riferisce all'energia

pulita e alle risorse salubri e rinnovabili. Queste qualità generano valore per eccellenza sostenibile.

6. Muoversi con il variare delle stagioni

Non solo la natura e le maree fluttuano, ma anche il numero di turisti secondo la stagione. Strutture turistiche permanenti

diventeranno temporanee, e seguiranno il movimento delle maree. High Tide (Alta Marea) è la “vivace” stagione estiva:

quando ci sono molti ospiti e l'isola si trasforma in un grande party animato.

Low Tide (Bassa Marea) è la tranquilla stagione invernale: mentre la natura è in riposo e l'isola si sta preparando alla nuova

stagione, può offrire al visitatore un’esperienza autentica. Tra le due maree si presentano le stagioni dette “waxing”

(“crescente”) e “waning” (“calante”), che garantiscono a pochi ospiti selezionati la possibilità di godere della natura e della

solitudine.

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7. Ripulire e ripristinare

Cambiamento e rinnovamento non vogliono dire che tutto sarà diverso. Sul lato dell’isola a polder, trasformazione e

innovazione possono essere ammesse perché qui le restrizioni per quanto riguarda la tutela del paesaggio sono minori. Ma

nella zona delle dune, la peculiarità del paesaggio è contaminata da illuminazione, segnaletica, edifici e infrastrutture

superflue o improprie.

La sfida che si presenta è paragonabile a quella di togliere uno strato di vernice da un antico dipinto: rimuovere ciò che è

vecchio e ripristinare la qualità ambientale o storico-culturale.

Molto più importante del numero esatto e della formulazione precisa dei Principi, è il fatto che Texel li possegga, e che ne

stia parlando.

I Principi mantengono in vita aspirazioni comuni, non come regole, ma come principi guida.

Gli Strumenti per Texel consistono in un insieme di moduli e buone soluzioni pratiche in linea con i Principi di Texel, che

offrono “soluzioni predefinite” da applicare in progetti concreti che riguardano l'architettura e il paesaggio.

Spostarsi al variare delle stagioni richiede alloggi vacanze autonomi, smontabili, pieghevoli e mobili. La casa mobile

Fietsboet e Texel Tip-up possono essere installate senza la necessità dei grossi investimenti richiesti normalmente per

costruire degli alloggi e, soprattutto possono essere removibili. Un attento controllo delle presenze turistiche in base alla

stagione farà sì che questa nuova “natura residenziale” svilupperà ogni anno una marea di posti letto.

I progetti per una serra bioclimatica pieghevole per De Koog possono integrare una casa di campagna con una veranda,

permettendole di fornire energia. Questi progetti si basano sui principi del ricercare, sperimentare, innovare e del ricercare

l’unità nella diversità.

Inoltre, gli Strumenti offrono soluzioni per interventi che riguardano il paesaggio, ad esempio un modulo di rinforzo

dell’argine che combina sicurezza con funzioni ricreative, agricole, e/o produzione smart di energia.

Il bosco di Kamperfoeliebos, di proprietà della Staatsbosbeheer (Commissione nazionale olandese per le foreste), ha un

basso valore ricreativo e naturale. E’ caratterizzato da vecchie alberature di pino che contribuiscono fortemente

all’esaurimento dell’acqua nella parte più interna della zone delle dune. Il parco degli chalet di Bregkoog è situato sul lato

sud del bosco ed è uno dei parchi più edificati e una delle località turistiche più pavimentate. I lotti sono pieni di recinzioni,

tettoie, pergolati e terrazze in pietra. Il sito è un vero e proprio blocco al centro del bacino idrografico che collega le zone

delle dune con i polder. Sul lato nord del bosco, ci sono due parchi in gran parte occupati da roulotte. A nord, il Nikadel,

ospita l'ampio parcheggio del Koog, che si riempie di auto solo occasionalmente e che ospita la fiera una volta l'anno.

Questo deserto, per la maggior parte asfaltato, è una via d'accesso poco attraente per il paese tra le dune e, per gli ospiti

dell’Hotel Greenside, è una vista alquanto deprimente.

Nel bosco di Kamperfoeliebos, sarà riqualificata la stazione turistica di Bregkoog e dei due parchi per le roulotte. I pini

saranno abbattuti e saranno create delle radure. Questo ridurrà l'assorbimento d'acqua del bosco, promuoverà la biodiversità

e aumenterà il suo valore naturalistico. Non ci sarà nessuna infrastruttura sotterranea: gli alloggi saranno mobili e

autosufficienti. Verranno utilizzati qui le case mobili Fietsboet e Texel Tip-up, previsti dagli Strumenti. Nove mesi all’anno,

i turisti potranno godere veramente della vita all'aria aperta. Al limite con il bosco, vi sono ripari realizzati con il legname

abbattuto. Essi ospiteranno le auto durante l’alta stagione e gli alloggi provvisori inutilizzati durante la bassa stagione.

Grazie alla ridotta superficie occupata dagli alloggi, il bosco è in grado di assorbire lo stesso numero di posti letto di

Bregkoog e dei due campeggi che saranno integrati in uno unico.

Bregkoog lascia posto alla natura, all’acqua e alla luce, grazie a strutture turistiche temporanee. La sorgente d’acqua della

duna Maartenhuis darà vita ad una vasta valle umida ricca di sorgenti e piscine che andrà da Pontweg ai polder Waal e

Burg. Nella stagione delle piogge l'area accumulerà acqua dolce, mentre nella stagione della crescita sarà utilizzata per

irrigare i prodotti agricoli.

I campeggi sul lato nord dell’area diventeranno parcheggi. Senza alcun investimento significativo, potranno ospitare tutti i

360 posti auto attualmente presenti a Nikadel, 150 posti in più rispetto al parcheggio del paese, gli stessi che danno a Koog

il suo aspetto asfaltato: così, presto, le dune saranno nuovamente visibili dal paese. Poiché la capacità

dei parcheggi viene sfruttata pienamente solo nei periodi di punta, l’area per la maggior parte dell'anno è lasciata

semplicemente a campo. I ricoveri in legno offrono un parcheggio coperto alternativo di alta qualità rispetto ai parcheggi

privati dei piccoli alberghi del paese: questi possono utilizzare lo spazio rimasto libero per realizzare dei giardini.

Il parcheggio ridiventerà il tipico paesaggio delle dune interne grazie alla semplice rimozione della pavimentazione. La fiera

annuale potrà ancora aver luogo qui, e l'area farà da lussureggiante corte d’ingresso per De Koog durante il resto dell'anno. I

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due supermercati che sono stati incautamente incastrati nel “retro” del paese verranno spostati nei lotti vuoti dei parcheggi

tra Dorpsstraat e Nikadel. Verrà così liberato l’affaccio di De Koog sulle dune più interne. L’Hotel Greenside sarà

nuovamente immerso nel verde e offrirà ai suoi ospiti una vista bellissima.

Ideando questa Prospettiva, siamo stati influenzati da cinque dei sette Principi di Texel: “Associare bellezza a bellezza”;

“Partire dalla natura (e dal paesaggio)”; “Muoversi con le stagioni”; “Ricercare, sperimentare ed innovare”; e “Ripulire e

ripristinare”. Abbiamo ritenuto importante che spettasse alla gente di Texel proporre luoghi e idee, non ai tecnici. La

Duindorp Foundation e la Business Platform segnalarono i punti critici, mentre i social net espressero valutazioni negative

sulla situazione dei campeggi e dell’ambiente intorno a De Koog, mentre le proposte sul paesaggio e il principio di

temporalità degli alloggi ricevettero molto consenso.

La Prospettiva De Koog unisce la gestione sostenibile dell’acqua con quella del turismo sostenibile. La Prospettiva è

relativamente facile da realizzare, libera molto spazio e stimola la sostenibilità locale, sia in termini di acqua che di

naturalità e di turismo, senza nemmeno rinunciare ad un singolo posto letto o auto.

Questo è anche un primo passo verso il raggiungimento di risultati a scala più grande. L’abbattimento di alberi in

Kamperfoeliebos è coerente con l'obiettivo di tagliare gli alberi di pino di Texel. Inoltre, Staatsbosbeheer è alla ricerca di

(ulteriori) fonti difinanziamento. Sfruttando il bosco come campeggio si possono produrre profitti, sufficienti per

compensare i proprietari dei campeggi. In questo modo, Texel è in grado di aumentare la superficie naturale e nuovo

turismo sostenibile, grazie ai contributi versati dalla Staatsbosbeheer. I territori di Bregkoog, infine, entreranno a far parte

del paesaggio delle dune interne. Riqualificando gradualmente altre aree ricreative si creerà un paesaggio umido di dune

interne, che non solo rafforzerà la biodiversità e arricchirà le dune in quest’area, ma sosterrà anche il sistema delle acque e

garantirà in futuro acqua dolce al settore agricolo.

Si svilupperanno nuovi paesaggi, che, a loro volta contribuiranno all’unicità ed esclusività dell'isola.

Piuttosto che dai documenti politici, i cambiamenti di solito emergono dalle dinamiche economiche e sociali, e attraverso

l'interazione tra domanda e offerta. Lo scenario Planet Texel avrà successo se sarà sostenuto dai suoi cittadini, se diventerà

parte del loro patrimonio genetico e se anche i turisti riconosceranno il valore del brand Texel e si impegneranno a

rispettarlo, anche se in modo più effimero. Dev’essere evidente e spiegato chiaramente verso quale direzione Texel e la sua

gente sono diretti. Una Prospettiva può creare consapevolezza, come uno specchio, e non può essere venduta come

strumento di marketing.

Texel copre un milionesimo della superficie terrestre, quindi realizzando qui questo scenario, si rende l'isola banco di prova

per l’intero pianeta: Prova su Texel!

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QUATTRO STRATEGIE PER UN NUOVO METABOLISMO DI ROTTERDAM

Ministero delle Infrastrutture e dellʼAmbiente IABR - Project Atelier Rotterdam, Città di Rotterdam, FABRIC, James Corner Field Operations

Dopo il devastante terremoto di Tohoku e il successivo tsunami del 2011, l'architetto giapponese Toyo Ito ha

scritto: 'Non posso che rilevare una rottura fondamentale tra le nostre regole e la realtà. Penso che progettiamo

cose in modo meccanico, come 'macchine perfette' conformi ad una natura definita in astratto o in quantità; non ci

rapportiamo con l'ambiente naturale inteso come qualcosa influenzato costantemente dalla variabilità della terra,

del mare o del vento.

Non è un caso che sia il premio Pritzker Toyo Ito, che ha iniziato la sua carriera lavorando per Kiyonori Kikutake,

uno dei fondatori del movimento architettonico che ritiene fondamentale il metabolismo della città, ad osservare che esiste

un enorme divario tra architettura, urbanistica e architettura del paesaggio, e le sfide che dobbiamo affrontare. Secondo Ito, i

progettisti sono in difficoltà a produrre risposte adeguate alle sfide di una realtà in continua evoluzione.

La radice dei loro problemi è la distinzione artificiale tra uomo e natura, che persiste nonostante gli sforzi per superarla

degli ultimi decenni. Secondo il filosofo francese Bruno Latour, la realtà può essere intesa come una rete di fattori umani e

non umani che collettivamente determinano come percepiamo le cose. Lʼuomo tende a vedere le cose in modo statico e

permanente e fatica a cogliere le connessioni tra i diversi flussi che sottendono la propria realtà: i progettisti che riusciranno

a comprendere e ad entrare in queste molteplici relazioni, vedranno aprirsi un mondo ricco di nuove prospettive.

Le sostanze biotiche ed il loro ruolo nell'ambiente hanno grande impatto nella qualità delle nostre città e delle nostre vite.

La ricerca di un ambiente sano e sostenibile richiede unʼattenzione allargata ai flussi nel loro complesso: essi fanno parte del

processo metabolico che incide nelle nostre città e nellʼambiente urbano.

Considerando la città come un ecosistema vitale, è possibile manipolarne in modo strategico i flussi e le loro connessioni,

allo scopo di ottenere maggiori – e migliori – effetti economici, ecologici e sociali.

In questʼottica, la città di Rotterdam insieme allo IABR project Atelier Rotterdam, ha studiato le opportunità di

una struttura urbana metabolica, analizzando lo stato attuale delle cose, pianificando poi le strategie vincenti ed innovative,

che intervengono su alcuni flussi e problemi della città in modo da garantire uno svilupposostenibile della stessa.

I flussi individuati sono quelli già visti fin qui, ovvero merci, persone, rifiuti, biodiversità, energia, cibo, acqua dolce, aria,

sabbia e argilla e materiali edili. LʼAtelier ha sviluppato una metodologia progettuale che, partendo dalla mappatura dei

flussi, li ha poi analizzati a due diversi livelli: quello locale della Valle del Reno e quello globale considerato nel progetto

“Greater Rotterdam”. Lo sforzo dellʼAtelier infine, è stato quello di non focalizzarsi su una singola questione relativa ad

ogni singolo flusso, ma guardare attentamente le connessioni tra questi e considerare le loro interazioni e conseguenze ai

diversi livelli della realtà di Rotterdam. Il risultato è la proposta di quattro strategie che intendono intervenire su alcuni punti

chiave per il futuro sviluppo della città. Questi sono: i nuovi processi industriali, i rifiuti, le risorse e i biotopi. Ecco le

strategie proposte dallo IABR:

1. Re-industrializzare incentivando la qualità dei flussi di merci, persone e aria Ogni anno il porto di Rotterdam è attraversato da 220 milioni di tonnellate di merci, ma economicamente i porti

commerciali limitrofi come Amburgo, Le Havre o Helsinky, sebbene più piccoli, sviluppano un maggior indotto economico

e occupazionale. Le merci che transitano per Rotterdam, consistono prevalentemente in merci prodotte altrove, spesso in

Paesi con manodopera a basso costo, senza considerare i prodotti acquistati online che vengono recapitati dai corrieri

direttamente a casa degli acquirenti, riducendo lʼattività dei negozi.

Lʼaccessibilità alle auto del centro di Rotterdam rende pessima la qualità dellʼaria. Lʼarea di Rotterdam Sud, in particolare

nellʼasse est-ovest, è scarsamente collegata e poco accessibile, specialmente per le persone che non possiedono unʼauto. La

conseguenza sociale di ciò, è un elevato tasso di disoccupazione e una scarsità di lavoro ben remunerato, soprattutto per i

giovani, mentre al contempo, la forza lavoro di Rotterdam sud, fatica a spostarsi per trovare altrove un impiego o fatica a

raggiungere i luoghi di istruzione e specializzazione.

LʼAtelier Rotterdam, coglie una nuova possibilità di sviluppo in questʼarea proponendo alla città di anticipare

le nuove tendenze della piccola industria introdotte dalle bio – neuro – nano tecnologie, dalle stampanti 3D e dalle

intelligenze artificiali, sfruttando così nuove possibilità di industrializzazione ed occupazione, concentrandosi

prevalentemente su piccole industrie e mestieri, innestando piccoli processi all’interno dei flussi più grandi di merci e

materiali che attraversano la città.

In particolare la strategia si sviluppa in tre punti:

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- Re-industrializzare e recuperare alcune strade cittadine, reinventandole come nuove strade del lavoro, riaprendo vecchi

negozi e dando vita a nuove attività, sia lavorative che ricreative, in grado di migliorare le opportunità, la socializzazione e

la qualità della vita.

- Allo scopo di ridurre il traffico di trasporto merci, viene proposta la realizzazione di un nuovo anello interno che integri e

colleghi diversi sistemi di trasporto, dalle barche alle biciclette ai veicoli elettrici, con punti di accesso ai luoghi strategici

per il trasporto delle persone.

- Infine, un anello di metropolitana leggera, garantirà la stessa qualità di trasporti, interazioni e opportunità di lavoro a scala

regionale.

2. Canalizzare lʼenergia di scarto utilizzando i rifiuti come risorse per l’energia In media una famiglia olandese consuma 466 GJoule di energia in un anno, utilizzando materie prime

provenienti da ogni parte del mondo.

I processi dei moderni impianti che generano energia, hanno forti perdite di energia, che viene dispersa ad esempio

sottoforma di calore.

Questi processi sono quindi sorgenti di rifiuti o emissioni non riconosciuti che possono però essere recuperati e riutilizzati. I

grandi impianti di produzione di energia inoltre, costituiscono anche una perdita di spazio in quanto le loro ampie fasce di

rispetto impediscono le attività umane e perciò decine di km2 attorno a Rotterdam, sono inutilizzati.

Per ottimizzare questa situazione, il Project Atelier, propone di recuperare gli scarti dei processi industriali e di

generazione di energia. Nella zona di South Wing per esempio, una rete di calore unisce i siti che 'scartano' calore con quelli

che invece ne hanno bisogno, riducendo così la richiesta di produzione e il consumo complessivo di energia ed emissioni di

CO2. Questo sistema, se collegato a fonti geotermiche, risulterebbe stabile ed efficiente.

Allo stesso modo si potrebbe recuperare il calore disperso dai 'data center', che potrebbe essere riutilizzato dalle famiglie

delle aree limitrofe. Tutto ciò dovrebbe avvenire tramite 'heat hubs' che potrebbero unire la loro missione energetica con un

aspetto più ludico per la comunità, perché potrebbero diventare spazi attrezzati pubblici, smussando così la loro vocazione

prettamente tecnica ed ingegneristica.

Infine, sarebbe possibile sfruttare delle sacche vuote situate sotto al Mare del Nord,che contenevano precedentemente gas,

come luoghi di stoccaggio e immagazzinamento della CO2 sequestrata dal cuore verde delle serre del West Land.

3. Recuperare risorse estraendo materie prime da rifiuti e cibo Spesso i rifiuti vengono considerati come materiali inutili: in realtà le materie prime sotto forma di cibo,

nutrienti ed elettronica di consumo, pervadono la città. Rotterdam potrebbe essere vista come un immenso mercato di

materiale riutilizzabile: una significativa opportunità considerando che lʼEuropa dipende dagli altri continenti a causa della

scarsa disponibilità di materie prime.

Si stanno allo scopo sviluppando tecniche efficaci per lʼestrazione di materie prime dallʼe-waste (rifiuti elettronici),

dallʼacqua, dai rifiuti biologici delle famiglie, il primo luogo dove ha inizio la rivalutazione dei materiali. Ad esempio è

bene sapere che un cittadino medio produce ogni anno dai 49 ai 75 kg di scarti di frutta e verdura, che vengono

successivamente inceneriti; i cittadini di Rotterdam consumano ogni giorno 1.112 kg di fosfati e allʼanno, procapite, 3,4 kg

di e-waste che se correttamente riciclati, sono in grado di recuperare metalli come rame, argento, oro, platino e palladio.

Atelier Rotterdam propone, per ovviare a questa situazione, di inserire nella progettazione delle abitazioni scivoli per la

separazione dei rifiuti, unità di smaltimento rifiuti e un sistema fognario separato dallo scarico del lavandino. Propone

inoltre la creazione di nuovi giardini urbani che potrebbero utilizzare come fertilizzante gli scarti organici prodotti dalle

famiglie, che potrebbero essere anche trasportati per fertilizzare altre aree e coltivazioni.

Anche i supermercati giocano un ruolo importante nella raccolta e nella rete di scambio di rifiuti che, come smartphone e

altri e-product, diventeranno restituibili. In questo scenario infatti, un fornitore potrebbe ad esempio recuperare materiali

utilizzabili dal centro di distribuzione, per portarli successivamente al centro di riciclaggio presso il porto di Rotterdam.

Su scala regionale infine, è già in programma lʼadozione di un sistema di turbine in grado di recuperare energia dallʼacqua

del mare.

4. Migliorare la 'natura urbana' con lʼuso di acqua dolce, sabbia e argilla locali Rotterdam è una città che sorge sul delta di un fiume: il suo paesaggio è ricco e fertile ma soggetto alla particolare

dinamica fra lʼacqua del fiume e quella del mare. Tale dinamica ha bisogno di essere gestita con strategie resilienti, in grado

di regolare il rapporto tra fiume e mare, lungo le coste e nei porti. È importante infatti evitare la salinizzazione dellʼacqua

del fiume e lʼaccumulo di sabbia nel delta.

I maggiori utilizzatori di acqua hanno interessi antitetici: lʼindustria e il trasporto merci hanno bisogno di fondali liberi per

far transitare le navi, favorendo però lʼingresso di acqua salata che 'contamina' lʼacqua dolce necessaria allʼagricoltura.

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La proposta dello IABR è quella di scavalcare questi interessi inconciliabili, calibrando lʼuso dei flussi di acqua

dolce, di sabbia e argilla, generando biodiversità e ricontrollando tutto il sistema del delta del fiume: in questo modo si

migliorerà la qualità, la diversità e la scala dei biotipi acquatici della città e del porto.

I sedimenti portati dal fiume, sono solo apparentemente un problema o peggio, un rifiuto. Attualmente, i detriti portati dal

fiume vengono dragati con unʼoperazione molto costosa, verso il mare. Se invece questi sedimenti venissero utilizzati per

sommergere gradualmente i bacini inutilizzati, si spenderebbe meno e si contribuirebbe alla creazione di nuovi habitat

naturali; allo stesso modo, lʼarea compresa tra questi bacini e la diga, potrebbe diventare nuovo terreno agricolo/seminativo.

Si potrebbero inoltre creare nuovi bacini di allevamento e predisporre lʼespansione del porto di Rotterdam.

In sintesi, ciò che viene definito comunemente come rifiuto, potrebbe essere utilizzato per modificare e ricreare il territorio

in modo saggio e utile sia per lʼambiente che per lʼuomo.

Il potenziale dei flussi per il rinnovo urbano di Rotterdam

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QUATTRO FUNERALI, MA DOVʼÈ IL MATRIMONIO? Floris Alkemade e LOLA

Brabantstad, la rete delle città nella provincia del Nord Brabant, aspira a diventare una delle cinque regioni

europee di maggior successo. E questo in un periodo di stagnazione demografica ed economica, ma anche di

disintegrazione di numerosi di principi di base nel campo della pianificazione urbana.

Primo, si assiste al fallimento della politica di pianificazione a livello municipale, con la programmazione

dell’espansione in base allo zoning monofunzionale. Ciò ha portato alla realizzazione di nuove aree industriali invece che

alla riqualificazione delle aree dismesse esistenti, con l’effetto di rendere impraticabile la 'nobile ambizione di realizzare

aree ‘cuscinetto’ fra la città e le aree agricole, oltre che contrastare lʼerosione delle aree rurali.

Secondo, lʼagricoltura intensiva sta mostrando sempre più velocemente i suoi limiti. Come uno speculatore

nellʼimprevedibile mercato globale, il settore dellʼagricoltura deve affrontare un futuro sempre più incerto. Una parte

dell’agricoltura entensiva ha sottostimato la crescita delle colture intensive, del loro aumemento di scala e della loro

globalizzazione, e patito il fatto che la rappresentanza politica del settore non si è adeguata ai cambiamenti ed ha

sottostimato il valore aggiunto del Brabant agricolo. Nello stesso tempo sono stati minimizzati lʼinquinamento, gli odori e i

rischi per la salute, causati da questo settore.

Come risultato, il supporto pubblico a unʼagricoltura sostenibile deve essere incrementato, ugualmente non si può più

negare lʼimportanza della produzione di cibo a buon mercato a livello internazionale.

Terzo, il modello della valle del Reno, basato sullʼinterazione tra governi centrali, regionali e locali, è collassato. Mentre i

governi centrali tornano oggi alla decentralizzazione e allʼausterità, la dinamica degli altri attori sociali cresce e diventa

sempre più dominante: società civile, commercio e industria, educazione, ecc.

Questo induce le autorità regionali e locali ad affrontare nuove sfide e a praticare una nuova strategia di governo, basata

sulla collaborazione.

Quarto, questa è una sfida che riguarda la pianificazione e la progettazione: è tempo di riflettere sullʼimportanza di un

master plan onnicomprensivo.

Un piano regionale che definisce a priori le destinazioni d’uso di vaste aree per un periodo di tempo stabilito, che miri a

risolvere sfide definite ‘a priori’, non è più uno strumento capace di connettere lo sviluppo spaziale con le politiche.

Questi quattro 'funerali' impegnano il Brabant a ricercare di nuovi principi che vadano oltre la normale e radicata

logica di progetto. La stagnazione dello sviluppo e la crisi dei modelli di reddito non sono i soli problemi attuali,

rappresentano bensì una spinta per le ambizioni internazionali delle regioni.

La questione è perciò: che tipo di sviluppo spaziale e quali principi vogliamo che rispondano alle moderne sfide per la

società, per lʼeconomia, per i movimenti dellʼecologia, e questo senza voler cercare di dare risposta a tutte le criticità in

gioco. In altre parole: “Noi abbiamo quattro funerali, ma dove è il matrimonio?”

Le condizioni di forza del territorio La disponibilità di spazio è stato a lungo il punto di forza dello sviluppo economico e spaziale del Brabant del

Nord. Localizzata in posizione centrale tra Randstad, lʼasse Brussels-Antwerp e la Ruhr, la regione del Brabant ha delle

capacità che sono impareggiabili nei Paesi Bassi.

Il risultato è un modello di sviluppo spaziale molto caratteristico: il mosaico o struttura a ‘tappeto’. La struttura a ‘tappeto’

rappresenta la cultura del Brabant, i suoi residenti, la sua economia e le sue organizzazioni. Piuttosto che avvertirlo come un

problema, questa struttura è percepita come il miglior assetto possibile per il futuro del BrabantStad. Il ‘tappeto’ garantisce

un paesaggio imprenditoriale in una regione prosperosa offrendo lʼattrattiva di un ambiente in cui la qualità della vita è

molto alta.

Invece di pianificare uno sviluppo urbano ad alta densità concentrato nelle città più interne, le sfide e le opportunità del

Brabant del Nord si sono mobilitate in altro modo: superando i limiti della città, per connetterli alle aree circostanti, al fine

di costruire una rete di relazioni capace di affrontare le nuove sfide.

Cʼè un sistema che taglia il territorio e connette le sfide urbane con i suoi sobborghi: il sistema idrico.

Il principale compito del Brabant del Nord è assicurare la fornitura di acqua dolce.

A grande scala, la provincia dipende dal canale idrico del Belgio che entra nel sistema fluviale nelle vicinanze di Maastricht.

A livello regionale, ci sono due interventi prioritari per rendere efficiente il sistema idrico. Da una parte, trattenendo più

acqua possibile alla fonte e rallentando il rilascio a valle (attraverso la costruzione di aree dʼinfiltrazione e di sbarramento e

la correzione dellʼandamento, talvolta troppo lineare, del corso dʼacqua). Dallʼaltra parte, garantire la qualità dellʼacqua a

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valle (prevenendo lʼuso di inquinanti agricoli, industriali, residenziali, purificando e riciclando lʼacqua) e ridurne lʼutilizzo.

Altri aspetti importanti dellʼacqua sono il carattere urbano, il potenziale ricreativo, il valore logistico ed economico.

Per aumentare la qualità e la potenzialità del paesaggio imprenditoriale ed abitativo della regione del Brabant, il ‘tappeto’

deve essere ridisegnato, grazie ad una nuova struttura economica che tenga in considerazione la qualità della vita, il piacere

del paesaggio e le imprese innovative connesse alla sfida idrica.

Sei aree campione illustrano queste nuove opportunità spaziali: sei aree chiamate 'macchine' descrivono quali programmi si

possono sviluppare in futuro nel Nord Brabant, e dove potrebbero essere sviluppati. Le sei macchine sono ipotizzate per

rivitalizzare la regione e il suo intricato paesaggio senza ritornare alla logica dei quattro 'funerali'. Da ultimo, lʼobiettivo è di

creare una politica di sviluppo che proceda in modo additivo piuttosto che un unico piano regionale omnicomprensivo.

Sei programmi per il ‘tappeto’ 1. Rigenerazione dellʼindustria – Gestione delle acque - Clima urbano.

Molte zone industriali del Nord del Brabant sono obsolete o abbandonate, mentre la realizzazione di nuove zone

industriali è in costante crescita. Questo evento, associato allʼinvestimento per il recupero delle aree dismesse, è legato alla

sfida per lʼinnovazione del sistema idrico e del clima urbano.

Il ‘parco umido’, costruito lungo il canale, organizza la depurificazione collettiva dellʼacqua piovana e delle acque

provenienti dai processi industriali. In questo modo, lʼindustria, che necessita di molta acqua, può riutilizzare la stessa una

volta purificata, invece che utilizzarne di nuova proveniente dalla falda. In più, si crea un profilo irregolare, che funge da

corridoio dʼaria, per proteggere la città dal troppo calore. Questa invenzione paesaggistica può venire usata per attrarre

lavoratori e investitori.

2. Arboricoltura - Gestione delle acque - Natura disidratata. Le pratiche di agricoltura intensiva hanno causato il prosciugamento di diverse riserve naturali.

Inoltre le aree umide, sfruttate per lʼagricoltura estensiva, oggi vengono usate anche per altre funzioni. Questo

programma vuole connettere lʼarboricoltura allʼagricoltura alla gestione della risorsa acqua e alla tutela delle riserve idriche.

Inoltre i sistemi per la salvaguardia delle riserve idriche e la gestione dellʼacqua per usi agricoli potrebbero venir usati in

maniera più strategica. Le serre potrebbero venir irrigate con le acque ricche di nutrienti che si trovano nei canali, e, dopo

essere state filtrate dagli alberi, possono venir drenate lungo i canali naturali e reinserite nel sistema dei ruscelli. Questo

passaggio permette di rallentare lʼimmissione dellʼacqua nei canali, facilitando lʼirrigazione e il mantenimento delle riserve

naturali. In questo modo il settore dellʼagricoltura funge da stimolo ad un rifornimento stabile di acqua dolce per lʼintera

regione.

3. Case per il tempo libero - Gestione dellʼacqua - Agriturismo. Diversi corsi dʼacqua del Brabant drenano lʼacqua troppo velocemente causando la mancanza di acqua dolce in

alcune zone del sistema fluviale. Questo programma integra diversi aspetti dellʼeconomia agricola con la tutela della

fornitura di acqua dolce nelle aree rurali e specialmente nelle aree a destinazione turistica. I canali dʼacqua sono deviati in

base alla topografia del luogo ed alla presenza di patrimoni naturalistici in modo da consentire un rallentamento del

drenaggio dellʼacqua. Attività agricole di piccola scala possono trovar posto lungo queste deviazioni, e inoltre questo

programma restaura il paesaggio storico e punta alla creazione di luoghi dʼinteresse e di ricezione turistica.

4. Agricoltura intensiva - Gestione Idrica - Paesaggio per il tempo libero. Lʼagricoltura intensiva deve fare i conti con lo sviluppo sostenibile e la gestione delle risorse idriche. Molte fattorie

sono poste lungo i bacini idrici del sistema di ruscelli del Brabant. Lʼobiettivo di questo programma è di purificare i reflui

provenienti dalle attività agricole prima che questi ritornino al sistema idrico collegato a tutte le fattorie.

Si possono creare delle cooperative che danno vita a dei grappoli smart che organizzano vantaggiosamente funzioni ed

infrastrutture collettive. Coinvolgendo gli agricoltori attraverso queste cooperative si possono creare gruppi parzialmente

indipendenti che si occupano di produrre il foraggio. La dimensione richiesta permette lʼutilizzo delle terre arabili come

zone cuscinetto contro le esternalità negative generate dagli allevamenti intensivi di bestiame. Il trattamento collettivo delle

acque consente che parte delle acque reflue possa venire riutilizzata per lʼirrigazione dei campi.

Lʼuso combinato degli spazi e lʼequilibrio tra lʼagricoltura e i sistemi idrici sono strutturati in unʼunità polder,

potenzialmente anche con un uso ricreativo.

5. Residenze in periferia - Gestione dellʼacqua - Fattorie urbane. Mentre molti abitanti del Brabant si trasferiscono dalla città alla campagna, le aree destinate allʼespansione

residenziale spesso minacciano le rimanenti aree libere. Questo programma connette lo sviluppo delle aree residenziali di

periferia e lʼagricoltura urbana alle sfide che il sistema delle acque si trova ad affrontare. La rete delle acque del Nord

Brabant è costituita da due sistemi: uno di canali e uno di ruscelli.

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Separando ulteriormente i due sistemi e migliorando la qualità delle acque dei ruscelli, entrambi i tipi dʼacqua possono

essere distribuiti in modo migliore. Lʼacqua calcarea del Meuse che scorre nei canali del Brabant può essere usata per

lʼirrigazione di piccole aree a destinazione agricola nella campagna e creare brevi catene alimentari. Aree di filtrazione

dellʼacqua posizionate, grazie alla costruzione di una diga, a monte del sistema di ruscelli costituiscono una componente

unica del paesaggio umido sabbioso circostante che possono valorizzare gli ambiti residenziali, ricreativi e naturali.

6. Industria innovativa - Gestione dellʼacqua - Clima urbano. Il Nord Brabant è una regione innovativa dove le nuove zone industriali sono localizzate principalmente lungo le

autostrade. Spesso queste zone non sono collegate ai centri delle città vicine. Questo programma connette lʼaccessibilità alle

industrie innovative con lo sviluppo di un sistema separato di acque reflue. Viali urbani connettono le zone industriali al

centro della città assicurando così l’accesso ai servizi urbani. Ripensando il profilo di questi viali da un punto di vista della

raccolta delle acque piovane, sono realizzati dei grandi canali lineari per drenare separatamente lʼacqua piovana proveniente

dalla città e dalle zone industriali. Questi possono essere utilizzati anche come corridoi panoramici che garantiscono un

piacevole paesaggio urbano e creano condizioni per piacevoli aree miste: residenziali, per il lavoro e per il tempo libero..

Rigenerare lo Spazio La pianificazione delle aree nel Nord Brabant è sempre stata improntata a rafforzare e migliorare lʼambiente

urbano, il sistema delle acque e le zone agricole come tre mondi separati.

Manca, come risultato, la coesione spaziale ed economica: i collegamenti fra la città e la campagna ne sono indeboliti e le

città si fanno carico della maggior parte dei costi per mantenere la qualità e sicurezza delle acque. Questi sono investimenti

non visibili fatti principalmente nelle campagne. Al momento sembra prudente investire nella connessione e vicinanza di

questi mondi piuttosto che separarli ulteriormente rafforzando singolarmente la città, la natura e lʼagricoltura.

Lo sviluppo e il miglioramento del sistema delle acque richiede quindi un investimento continuo al quale altri interessi e

lavori devono essere connessi. Anche nellʼattuale clima di stagnazione cʼè ancora una dinamicità spaziale. Programmi di

sviluppo che si focalizzano solo sul loro specifico settore sono destinati a diventare marginali. Le sei macchine stimolano la

cooperazione fra le forme spesso settoriali di dinamica, per cui ogni effetto si manifesta in diverse aree. La sfida delle acque

è affrontata creando paesaggi urbani attraenti, che allo stesso tempo migliorano gli aspetti legati al benessere, sviluppando

collegamenti ricreativi fra le zone urbane e quelle rurali e, come sottoprodotto, contribuiscono ad incrementare il flusso

delle falde acquifere, con una diminuzione della disidratazione del terreno e provvedono allʼagricoltura come opportunità

per una produzione sostenibile.

ʻRicucireʼ il tappeto è un modello spaziale basato sullʼimitazione di una catena di forze cooperanti e mutualmente

rinforzanti. Offre al tempo stesso una nuova logica economica, un modello alternativo di finanziamento: gli investimenti e

gli sviluppi sono orientati alla realizzazione di sfide e ambizioni a livello ecologico e socio-economico. Esso tiene conto del

disimpegno del governo centrale, monetizzando sulle iniziative di altri attori sociali. Si dovrebbero perciò adottare nuovi

strumenti che rimpiazzino quelli storici basati sui diritti volumetrici.

Lo strumento chiave per lo sviluppo della metropoli sostenibile e ricca del Brabant è la rivalutazione della morfologia del

‘tappeto’ e la riqualificazione dei suoi spazi.

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IL MOSAICO DEL BRABANT Yves de Boer Executive Spatial Development and Housing Provincia del Nord Brabant

Nellʼottica della 'Carpet metropolis' che è il Brabant, non stupisce che il tema della città - campagna sia stata al

centro dell’agenda delle sue più importanti città per lungo tempo.

Nel 2006 è stato coniato il termine 'Metropoli mosaico' per definire la provincia del Brabant. Da allora essa a

sviluppato una politica di sostenibilità e di sviluppo delle aree rurali grazie alla collaborazione fra la Provincia le

cinque maggiori città.

Il mosaico è diventato il simbolo dello spazio e dellʼidentità socio-culturale dellʼintera provincia.

BrabantStad si distingue dalle altre reti urbane sia per lʼunità che per il contrasto con le aree rurali.

Le città sono chiuse, ma la campagna è appena appena girato lʼangolo, la campagna è ancora presente nella città, e

i servizi che la città non può offrire sono sempre presenti nella campagna.

La perdita di questo collegamento richiede di aggiornare la strategia. Come si può usare la forza del Barabant per realizzare

lʼambizione di diventare una delle regioni della conoscenza e dell’innovazione? Come si può capitalizzare le energie

esistenti tra la popolazione? Queste sono le tematiche proposte dalle cinque maggiori città e che ho affrontato. I fronti

dʼacqua del Nord Brabant hanno un ruolo importante allʼinterno di questa sfida.

La ricerca si può riassumere in tre punti: Perché usare il progetto come strumento di ricerca? Quali sono stati i risultati della

ricerca? Quale dovrebbe essere il prossimo passo del Brabant?

Brabant: il meglio di due mondi Nel Brabant noi collaboriamo basandoci sulla fiducia e sulla solidarietà e in questo sta la forza del BrabantStad. Da

oltre dieci anni, la rete urbana delle cinque maggiori città del Brabant: Breda, Eindhoven, Helmond, Den Bosch e Tilburg ha

lavorato con la provincia del Nord Brabant, per creare una rete urbana forte, competitiva a livello internazionale e

sostenibile.

Alla luce della crescente competizione fra le regioni urbane, noi abbiamo uno svantaggio in termini di massa e di

estensione: BrabantStad non ha i benefici dellʼagglomerazione che invece hanno le tradizionali metropoli monocentriche.

La vera forza di BrabantStad sta forse nella complementarietà del suo tessuto urbano, nell’equilibrio fra città ed aree rurali.

Forse sarebbe il caso di perseguire il meglio di entrambi i mondi, facendo i nostri centri più città e i villaggi più rurali; pur

restando allʼinterno di un insieme coerente che permetterà di evitare il traffico e altri inconvenienti delle città mono-

centriche, avendo allo stesso tempo i vantaggi delle grandi città.

Ovviamente, BrabantStad ha molte ambizioni urbane, ma la nostra forza sta nella connessione fra le zone rurali e urbane.

Come possiamo utilizzare al meglio questa forza? La nostra attuale collaborazione e pianificazione spaziale sarà sufficiente

per fronteggiare i futuri sviluppi e sfide della città e della campagna?

Dalla pianificazione spaziale allʼattivazione spaziale Alla centro della transizione dalla pianificazione spaziale all’attivazione spaziale sta una filosofia di governo che

comprende nuovi valori democratici.

LʼOlanda ospita una gamma di modelli di amministrazione pubblica che prevedono diversi gradi di partecipazione,

consultazione o co-creazione e che hanno pressoché interamente rimpiazzato la vecchia, tirannica forma di

amministrazione: chiamiamola Amministrazione 2.0.

Tipicamente questo nuovo modello di amministrazione affida un ruolo importante, nello sviluppo delle politiche, ai cittadini

e alle istituzioni civili.

Nonostante ciò la società continua a cambiare e il modello dell’amministrazione deve continuare a cambiare con lei.

Governance 3.0 favorisce lo stabilirsi di interazioni continue fra gli obbiettivi a lungo termine e la pratica quotidiana,

rispondendo a domande come: ʻChi governa il Brabant e perché?ʼ e ʻChi controlla il Brabant e come?ʼ.

Questo nuovo modello di governance rafforza le energie presenti nella regione, comunità e società.

Nel campo spaziale, il passo verso Governance 3.0 equivale al passaggio dal piano spaziale allʼattivazione spaziale.

Ricerca attraverso il progetto Le domande poste sono di difficile risposta date le attuali norme amministrative e le strutture politiche.

I giorni dei policymakers sono pieni di delibere, con argomenti divisi per settori e riferiti alle sole strutture esistenti.

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Governance 3.0 perciò richiede un diverso tipo di autorità. Una diversa filosofia di governo. Questo è il motivo per cui la

possibilità di lavorare attraverso un Progetto Atelier è stata così appropriata.

Le sfide del Brabant sono state oggetto di un progetto di ricerca mirato dello IARB, per fare quello che ha adeguatamente

chiamato ʻuna divagazione sabbaticaʼ.

La ricerca è stata portata aventi da tre uffici di progettazione, AWB, FAA e LOLA, ma le proposte di progetto sono state

presentate anche da esperti locali ed internazionali e, durante la Biennale, saranno presentati ad un pubblico più vasto.

La ricerca attraverso il progetto è stata prospettica, esplorativa e connettiva e ha potuto per questo creare nuovi punti di

vista, che permettono di identificare nuovi principi per lo sviluppo. Sorprendentemente, lʼacqua e i paesaggi dʼacqua sono

diventati elementi di connessione fra le città, le aree rurali e le connessioni fra le cinque città. Si dice nei negozi del Brabant

che ʻil blu è il sostegno del mosaicoʼ. Infatti credo che sia essenziale prestare più attenzione al blu nel mosaico delle

metropoli del futuro così come il rosso e il verde hanno prevalso per anni a causa delle tensioni fra la città e le aree rurali.

Ago e filo: il patchwork del nord Brabant In base ai principi della ricerca, lo IARB-Project Atelier non ha proposto un nuovo piano spaziale.

Ha prodotto qualcosa che combina il mio punto di vista sulla Governance 3.0 e le sue implicazioni spaziali,

lʼAtelier ha sviluppato quello che a me piacerebbe chiamare un 'ago e filo'. 'Ago e filo' si riferisce ai sei principi per lo

sviluppo che lʼAtelier raccomanda: sei strumenti che facilitano il collegamento produttivo fra compiti, attori ed opportunità

di investimento a scala del paesaggio urbano e dellʼimmediato sviluppo sostenibile del BrabantStad.

Il concetto di 'patchwork del Brabant ha offerto al BrabantStad e alle commissioni sullʼacqua qualcosa con cui lavorare.

Adesso, noi dovremo capitalizzare quello che abbiamo imparato nel contesto di IARB-2014 per poter sviluppare la nostra

visione del BrabantStad, migliorarne la governance e il dibattito sul suo futuro.

Non staremo seduti con le mani in mano; saremo al lavoro prima, durante e dopo la biennale.

Io vorrei per questo invitarvi a visitare il Nord Brabant: unitevi a noi, lavorate con noi e pensate assieme a noi il futuro del

Brabant.

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SKETCH 3 Grattacielo contro bassa densità Appunti sui modelli insediativi di Rotterdam #IntelligentSchoolDesign2014

I salti della progettazione urbana di Rotterdam nell'ultimo secolo sono rapidi e dirompenti, segnano una città

caratterizzata da una grande vivacità, che spesso, specialmente nelle ultime realizzazioni, crea una confusione di

linguaggi piuttosto evidente.

Presentiamo qui una breve storia attraverso quattro momenti emblematici, poi rappresentati dalle nostre

impressioni fotografiche durante il viaggio a Rotterdam:

- primo periodo, anni '30: nel positivismo prebellico si sviluppa lo stile moderno, caratterizzato dalla fiducia nelle

potenzialità della tecnologia e da un interesse verso la razionalità e il funzionalismo. A Rotterdam viene edificato un

quartiere modello che esprime le idee dello stile Nieuwe Bouwen, la versione olandese della scuola moderna internazionale.

Oggi sopravvive la Sonneveld House, terminata nel 1933.

- secondo periodo, dal dopoguerra agli anni '50: dopo la demolizione del centro di Rotterdam all'iniziodel secondo

conflitto mondiale, per i cinque anni di guerra il centro rimase una distesa piatta di macerie. Si poneva quindi la questione di

quale impronta dare alla nuova città, che doveva sorgere con una caricae una modernità tale da ispirare tutti i lavori di

ricostruzione successivi. Negli anni '50 venne edificata la Lijnbaan, una lottizzazione composta da una strada pedonale con

due lati di edifici commerciali al piano terra e residenziali ai piani superiori. Questo sanciva il modelllo di città dell'uomo

moderno, consumatore e definitivamente urbanizzato.

- terzo periodo, anni'80: nonostante la ricostruzione, la domanda di nuovi alloggi in città era ancora molto elevata.

Comparvero nel centro vari esempi di ripensamento dell'edilizia residenziale, con la valorizzazione delle aree di incontro e

socializzazione. Ma l'intervento più significativo fu la riconversione di una vecchia area portuale, il Koop van zuid, in

quartiere residenziale. Questo segnò una frattura con l'edilizia preesistente perché aprì il passaggio verso densità molto

maggiori: dai pochi piani (da due a quattro) delle schiere, ai dieci e più dei nuovi grandi blocchi residenziali.

- quarto periodo, anni '90- 2000: la manhatizzazione della città. Passeggiando oggi per Rotterdam, il cammino è

continuamente incrociato con la presenza di grattacieli, generalmente a destinazione terziaria. Negli ultimi anni la tendenza

si è estesa alla zona del Kop van zuid, al di là del ponte Erasmus, in cui, in una sorta di allucinazione di grandezza,alcune

fra le maggiori archistar mondiali, ultimo dei quali OMA, hanno firmato le loro alte torri.

- quinto periodo, anni 2010 - oggi: la riconversione biologica e creativa. La strategia urbana al 2030, identifica la

zona del fiume come il maggior attrattore e catalizzatore per la riconversione urbana. Alcune realizzazioni come il recente

Market Hall di MVRDV e la Biennale stessa, mostrano che l'interesse futuro della città è quella di riabilitare le funzioni del

proprio ecosistema naturale, con particolare attenzione all'autosufficienza alimentare.

Parallelamente a questo la città sta sviluppando un ricco programma di rigenerazione dei luoghi attrattivi e inclusivi (la

nuova stazione, il nuovo polo universitario nel porto, ecc.), per far passare la città da un'economia della produzione a

un'economia del sapere, in linea con le principali politiche urbane internazionali.

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