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I SEGNI DELLE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO ANTICO TRA CITTÀ E CAMPAGNA I segni delle trasformazioni del paesaggio Il paesaggio può essere concepito come un insieme di caratteristiche fi- siche e culturali che conferiscono carattere e varietà al territorio. Esso non è una scatola vuota in cui e su cui l’uomo agisce, piuttosto la sua specificità è generata e sostenuta dalle continue trasformazioni cui l’assoggettano le relazioni reciproche tra l’ambiente e l’uomo. Il paesaggio potrebbe dunque essere inteso quale «palinsesto», prodotto dei cambiamenti intercorsi nei vari periodi storici in cui è stato oggetto di vita naturale e antropica, non- ché come entità dinamica, viva nel tempo ed in continua trasformazione 1 , più o meno rapida. Studiare il paesaggio nel lungo termine 2 può dunque significare individuare elementi di continuità che, attraverso ere e periodi anche molto diversi, riman- gono costanti nel determinarne la topografia; al contrario, studiare il paesaggio 1 In generale sul concetto di paesaggio si vedano, fra gli altri, T. INGOLD, The Temporality of the Landscape, «World Archaelogy», XXV, 1993, 2, pp. 152-174; C. TILLEY, A Phenomeno- logy of Landscape: Place, Paths and Monuments, Oxford, Berg, 1994; A.B. KNAPP-W. ASHMORE, Archaelogical Landscapes: Constructed, Conceptualized, Ideational in Archealogies of Landscape. Contemporary Perpectives, A.B. Knapp-W. Ashmore (eds), Oxford, Blackwell, 1999, pp. 1-30; Manuale di archeologia dei paesaggi, a cura di F. Cambi, Roma, Carrocci, 2011; E. FARINETTI, I paesaggi in archeologia: analisi e interpretazione, Roma, Carrocci, 2012. 2 La longue durée, per usare un termine di F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1986 (ed. or. 1949). Per l’applicazione in archeologia dell’approccio di Braudel e della Scuola delle Annales si veda J.L. BINTLIFF, The Annales School and Archaeology, Leicester, Leicester University Press, 1991, e Archaeology, Annales and Ethnohi- story, A.B. Knapp (eds), Cambridge, University Cambridge Press, 1992. «Roma moderna e contemporanea», XX, 2012, 2, pp. 499-509 ©2014 Università Roma Tre-CROMA
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I segni delle trasformazioni del paesaggio antico tra città e campagna

May 15, 2023

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I SEGNI DELLE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO ANTICO TRA CITTÀ E CAMPAGNA

I segni delle trasformazioni del paesaggioIl paesaggio può essere concepito come un insieme di caratteristiche fi-

siche e culturali che conferiscono carattere e varietà al territorio. Esso non è una scatola vuota in cui e su cui l’uomo agisce, piuttosto la sua specificità è generata e sostenuta dalle continue trasformazioni cui l’assoggettano le relazioni reciproche tra l’ambiente e l’uomo. Il paesaggio potrebbe dunque essere inteso quale «palinsesto», prodotto dei cambiamenti intercorsi nei vari periodi storici in cui è stato oggetto di vita naturale e antropica, non-ché come entità dinamica, viva nel tempo ed in continua trasformazione1, più o meno rapida.

Studiare il paesaggio nel lungo termine2 può dunque significare individuare elementi di continuità che, attraverso ere e periodi anche molto diversi, riman-gono costanti nel determinarne la topografia; al contrario, studiare il paesaggio

1 In generale sul concetto di paesaggio si vedano, fra gli altri, T. Ingold, The Temporality of the Landscape, «World Archaelogy», XXV, 1993, 2, pp. 152-174; C. TIlley, A Phenomeno-logy of Landscape: Place, Paths and Monuments, Oxford, Berg, 1994; A.B. KnApp-W. Ashmore, Archaelogical Landscapes: Constructed, Conceptualized, Ideational in Archealogies of Landscape. Contemporary Perpectives, A.B. Knapp-W. Ashmore (eds), Oxford, Blackwell, 1999, pp. 1-30; Manuale di archeologia dei paesaggi, a cura di F. Cambi, Roma, Carrocci, 2011; e. FArIneTTI, I paesaggi in archeologia: analisi e interpretazione, Roma, Carrocci, 2012.

2 La longue durée, per usare un termine di F. BrAudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1986 (ed. or. 1949). Per l’applicazione in archeologia dell’approccio di Braudel e della Scuola delle Annales si veda J.l. BInTlIFF, The Annales School and Archaeology, Leicester, Leicester University Press, 1991, e Archaeology, Annales and Ethnohi-story, A.B. Knapp (eds), Cambridge, University Cambridge Press, 1992.

«Roma moderna e contemporanea», XX, 2012, 2, pp. 499-509 ©2014 Università Roma Tre-CROMA

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nel medio e breve termine significa enucleare gli elementi variabili, di breve vita o legati a precisi eventi3.

Secondo questo approccio, interpretare un paesaggio urbano a ritroso signi-fica interpretare gli elementi del contesto urbano attuale come segni più o meno recenti, più o meno antichi, della vita del paesaggio stesso, e dunque delle tra-sformazioni che ne costituiscono la storia peculiare. Questa storia risulterà spesso diversa in base alle diverse porzioni di territorio, sia pur contigue, che verranno considerate, ma insieme sarà integrata e difficilmente decifrabile se non all’in-terno di contesti più ampi, che ne chiariscano le peculiarità determinandone le continuità e le analogie.

Le emergenze archeologiche ed architettoniche, siano esse considerate come «monumenti» o «documenti», devono essere lette anch’esse, alla luce di quanto appena detto, come indizi, o meglio segni, delle trasformazioni del paesaggio. Esse costituiscono tracce «materiali» utili per ricostruire la storia dei diversi (più d’uno) passati a ritroso e, allo stesso tempo, si configurano come testimonianza tuttora esi-stente e facente parte, con minore o maggiore integrazione4, del paesaggio odierno, così come di uno o più paesaggi antichi che si sono succeduti nell’area. Le emer-genze acquistano, pertanto, senso qualora stesse siano intese non come elementi frammentari e/o frammentati di un passato indefinito e genericamente collocato nel tempo, ma quali segni di cultura materiale, spezzoni «reali» di una storia con-tinua se pur parzialmente ricostruibile; scene «reali» di un paesaggio complesso e molteplice da immaginare.

La storicizzazione delle emergenze, dunque, così come i collegamenti spaziali fra le stesse e la loro contestualizzazione, è fondamentale. Da qui l’ausilio che può essere offerto dalla mappatura delle emergenze e da un’ottica di lettura diacronica più am-pia, nel tentativo di contestualizzare le emergenze nei loro paesaggi originari ed in quelli segnati dalle trasformazioni successive, fino all’integrazione nel tessuto urbano odierno5. Intendendo il paesaggio come prodotto dell’interazione fra fattori naturali ed antropici, è anche determinante la riflessione sugli elementi naturali, più o meno antropizzati, che caratterizzano l’ambiente (cioè la veste naturale del paesaggio) dell’a-

3 Le conjunctures e gli événements, in termini braudeliani (F. BrAudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo, cit.).

4 Sulla questione di una possibile e corretta integrazione delle tracce materiali visibili nel tes-suto urbano odierno vedi, ad esempio, d. mAnACordA, Il sito archeologico: fra ricerca e valorizza-zione, Roma, Carocci, 2007.

5 In questa direzione vanno alcuni contributi in questo fascicolo, che illustrano l’area in parti-colari periodi storici o analizzano la situazione attuale alla luce del rapporto con l’antico, raccon-tando casi concreti e progetti di musealizzazione e comunicazione, o ponendo le prospettive per una possibile e ragionata convivenza.

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rea. In questo fascicolo una tematica importante è costituita per esempio da tutte le evidenze che riguardano il fiume Tevere, dalla geomorfologia e dalle caratteristiche ambientali del territorio. Un aiuto nella ricostruzione dei paesaggi del passato a ritro-so è offerto anche dalla cartografia storica, da intendersi come fonte utile ad integrare le informazioni sugli elementi del paesaggio oggi non più visibili, elementi naturali e tracce materiali antropiche che diventano per noi documento (fonte) da intendersi non come emergenza archeologica visibile e documentabile nella realtà, ma come elemento documentato in modo indiretto da fonti storico-cartografiche6.

I segni antropici, le emergenze archeologiche e architettoniche, sono dunque da far «vivere» nei diversi periodi in cui hanno avuto parte più o meno attiva; ancora, sono da integrare nei diversi paesaggi ricostruibili, senza prescindere dalla loro formazione, vita, abbandono, finanche al loro inserimento nel circolo degli usi e dei riusi. Nel paesaggio odierno, essi agiscono come testimonianze, come segni delle trasformazioni del paesaggio nel corso della storia, ed insieme come componenti del paesaggio urbano contemporaneo, «defunzionalizzati» rispetto all’uso originario e agli usi intermedi ma «rifunzionalizzati» come rovine e/o mo-numenti più o meno integrati nel tessuto urbano7.

Nella varietà paesaggistica della città di Roma, sicuramente l’area oggetto del pre-sente fascicolo risulta costituita da un insieme di paesaggi in parte omogenei ed in parte diversificati, per storia, caratteristiche, aspetti funzionali e situazioni ambientali.

Elementi di continuità del paesaggio dell’area, sia di origine naturale sia di origine antropica (e che caratterizzano il paesaggio anche nel lungo termine), sono: elementi lineari naturali e antropici, come il fiume Tevere e l’asse viario dell’Ostiense antica8 (quasi interamente ripercorsa dalla via Ostiense attuale nel tratto urbano); elementi monumentali che scandiscono, nella maggior parte dei casi con minime variazioni spaziali e mantenendo la stessa valenza funzionale, sia il paesaggio attuale sia quello antico, nel corso delle epoche indagate da un certo momento della storia in poi9, come per esempio avviene con il luogo di culto dedicato a San Paolo10; elementi monumentali che continuano in altro contesto

6 Si veda G. de pAlmA, Il rione Testaccio nella cartografia storica, in questo fascicolo.7 Come afferma l’antropologo del paesaggio T. Ingold, The Temporality of the Landscape (cit.,

p. 191), ogni luogo traccia il suo significato univoco ed insieme incorpora per intero il paesaggio di cui è parte integrante.

8 Un tracciato viario tra Roma e il mare lungo la riva sinistra del Tevere si delineò sin dall’età antica, anche se una vera e propria sistemazione dell’antico tracciato risale al III sec. a.C. (cfr. s. serrA, Via Ostiense-Via Portuense, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2007).

9 Spesso questi elementi, pur mantenendo la stessa valenza e tipologia funzionale, si inserisco-no in contesti diversi, che cambiano nel corso della storia.

10 Sul luogo dove secondo la leggenda fu sepolto il Santo, venne eretta una cella memoriae che

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(ora urbano) e con altra valenza funzionale, puntuali quali la Piramide Cestia, o lineari come la linea delle mura Aureliane11.

Se invece cerchiamo di enucleare elementi di vita più o meno breve, o legati ad eventi precisi che caratterizzano il paesaggio dell’area nel medio e breve termine, possiamo evidenziarne alcuni nel paesaggio fisico e naturale, come la morfologia del terreno o corsi d’acqua che «appaiono» e «scompaiono», altri invece antro-pici, segni di paesaggi di epoche precedenti (come si è visto sopra), a volte quasi invisibili o poco visibili nel tessuto urbano, se non addirittura sepolti per quanto riguarda soprattutto le epoche più antiche, oppure evidenti nel caso di emergen-ze di epoche più moderne (emergenze di archeologia industriale piuttosto che chiese, teatri, ponti). Ancora, altri elementi si ritrovano in forma frammentaria nel tessuto urbano attuale, ed i loro lacerti (dopo la defunzionalizzazione dalla realtà strutturale originaria) sono stati probabilmente sempre parte del paesaggio antropico «visibile» dell’area, come nel caso della Porticus Aemilia (nell’odierno quartiere del Testaccio), interpretata dai più come grande mercato coperto di epoca repubblicana lungo il Tevere all’ingresso di Roma12.

Tra città e campagnaIn generale, il paesaggio dell’area è caratterizzato da segni naturali e antropici

di città e di campagna, dal momento che, nel corso della storia, l’asse Ostiense si è tramutato da zona «fuori le mura», caratterizzata da elementi di aperta campagna, in particolar modo per quanto riguarda l’uso del suolo e l’insediamento, a zona radicalmente urbanizzata nel corso di pochi decenni.

Secondo quanto detto sopra, possiamo cercare di leggere le emergenze ed i se-gni antropici e naturali alla luce di questo passaggio storico tra città e campagna. Ed allora l’asse viario della via Ostiense antica e l’elemento naturale fiume Tevere

Costantino trasformò in piccola basilica, consacrata da Silvestro I nel 324 d.C. Già alla fine del IV secolo la basilica aveva assunto dimensioni comparabili a quelle attuali.

11 In ogni caso, ognuno di questi elementi, sia pur considerato come elemento «di continuità», ha un inizio rintracciabile. Persino il fiume Tevere, elemento naturale, ha una sua storia tracciabile, con inizio nel suo corso attuale come ampio fiume a meandro, ed una serie di trasformazioni (si veda r. FunICIello, La geologia di Roma, Roma, Edizioni Istituto poligrafico e zecca di Roma, 1995; r. FunICIello-d. de rITA-m. pAroTTo, I sette colli. Guida geologica a una Roma mai vista, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2006, cap. 5). Per quanto riguarda gli elementi antropici, essi chiaramente hanno un momento di formazione e poi una continuità di vita più o meno lunga.

12 Si veda però la recente e diversa interpretazione come Navalia, l. CozzA-p.l. TuCCI, “Na-valia”, «Archeologia Classica», 57, 2006, pp. 175-202 e p.l. TuCCI, “La controversa storia della Porticus Aemilia”, «Archeologia Classica», 63, 2012, pp. 575-591. Si veda anche F.p. ArATA-e. FelICI, “Porticus Aemilia, navalia o horrea? Ancora sui frammenti 23 e 24 b-d della Forma Urbis”, «Archeologia Classica», 62, 2011, pp. 127-153.

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diventano le tracce di una continuità all’interno di un paesaggio in continua tra-sformazione, prima più lenta e dovuta alle inondazioni del fiume Tevere (fattore ambientale) ed allo sfruttamento agricolo dell’area (fattore antropico) nell’ambi-to di un paesaggio/contesto ancora suburbano, poi più rapida e determinata dalla fase di industrializzazione che agisce come volano, accelerando l’urbanizzazione dell’area anche a livello abitativo.

Alcune emergenze, segni di cultura materiale che testimoniano questi processi di trasformazione, ci riportano ad un passato rurale, ad una zona prettamente su-burbana. Tra queste, la basilica stessa di San Paolo, detta appunto «fuori le mura» e che si situava dunque in area dichiaratamente extraurbana, probabilmente all’interno di una maglia di campi13, ed i resti visibili del Sepolcreto Ostiense14 (figg. 1-2), che in quanto zona sepolcrale caratterizza il suburbio cittadino. Entrambi i monumenti sono legati dall’elemento di continuità rappresentato dall’asse viario Ostiense, che permane sia pur in epoche diverse. Queste epoche diverse corrispondono a due diverse ruralità, che caratterizzano rispettivamente l’età medievale-moderna e l’età romano imperiale. Il contesto suburbano di età medievale-moderna si distingue in quanto più marcatamente ruralizzato rispetto a quello di età antica, nella fattispecie romano imperiale, quando il paesaggio era segnato da maggiori costruzioni dovute ad una serie di attività quali, ad esempio, quelle connesse al trasporto delle merci lungo fiume (lungo le alzaie con chiatte). Il fiume Tevere, e le attività ad esso collegate, erano oggetto di controllo, come dimostra l’esistenza di un’autorità di bacino (magistrato del fiume) per l’epoca imperiale; il paesaggio, di conseguenza, doveva presentarsi anch’esso più strut-turato15. In epoche successive, le attività rurali si devono adattare invece ad una minore capacità di controllo sul regime del fiume, ed una maggiore «rilassatezza» conferisce al paesaggio le caratteristiche di vera e propria aperta campagna an-

13 Testimonianza del passato rurale in epoca medievale-moderna sono i casali, molti dei quali ancora oggi visibili all’interno del tessuto urbano contemporaneo lungo l’asse Ostiense e lungo altri assi d’uscita dalla città che attraversano l’area, quali la Laurentina e l’Ardeatina.

14 I resti della necropoli Ostiense, vasta necropoli dei secoli I a.C.-IV d.C., sono visibili ai due lati della via in corrispondenza della basilica di San Paolo e del parco Schuster; essi si trovano in prossimità di quest’ultimo, al di sotto del piano di calpestio e coperti da una tettoia, e mentre, dall’altro lato della strada, a ridosso dello sperone tufaceo detto rupe di San Paolo.

15 Testimonianza di questo potrebbe costituire la cosiddetta villa di Pietra Papa, i cui resti, all’altezza del lungotevere di Pietra Papa vicino Ponte Marconi, sono ora per gran parte sotto la banchina di magra del Tevere ed in piccola parte affiorano lungo l’argine del fiume. Della struttura è stata offerta anche un’interpretazione come impianto termale e luogo di sosta lungo la sponda del fiume, da connettersi con il passaggio a carattere «commerciale» lungo il fiume (g. IACopI, Scavi in prossimità del porto fluviale di San Paolo, località Pietra Papa, «Monumenti Antichi dell’Ac-cademia dei Lincei», XXXIX, 1943, pp. 1-166).

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Fig.1 - Resti della necropoli Ostiense presso la basilica di San Paolo, con i sepolcri ricavati nella rupe omonima.

Fig. 2 - Resti della necropoli Ostiense protetti da una tettoia di fronte alla rupe di San Paolo.

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che nell’organizzazione dell’insediamento rurale, caratteristiche dovute anche alla maggiore distanza dalla città, che si contrae maggiormente all’interno delle mura. Dal secolo VIII San Paolo svolge il ruolo di polo rurale nucleato, piccolo stato monastico-feudale, con un borgo addossato all’abbazia e abitato fino al 1348. Anche la peculiare ruralità dell’area ha dunque un segno diverso se storicizzata e letta diacronicamente nei due diversi contesti cronologici.

Segni e testimoni di questo passato rurale sono da considerarsi anche le «aree ver-di» o lasciate libere, inedificate e incolte, che contraddistinguono il paesaggio urbano contemporaneo in particolare lungo il Tevere e nella zona tra il fiume e San Paolo, con anche la rupe di San Paolo (fig. 3). Esse diventano, così come il fiume, parte integran-te del patrimonio culturale, insieme alle emergenze archeologiche e architettoniche.

Segno della trasformazione dei rapporti spaziali tra città e campagna, ed insie-me elemento di continuità, è poi la linea delle mura Aureliane (fig. 4); nata come elemento di delimitazione in un particolare momento storico16, essa ha mantenuto fino all’età contemporanea una presenza fisica molto forte, che ne fa un elemento di continuità determinato anche dal significato simbolico che assume come linea di demarcazione e di confine. Si pensi, in tal senso, alla divisione amministrativa in base alla quale la zona all’interno delle mura è considerata centro (I Municipio), mentre i quartieri all’esterno sono definiti suburbi. Si pensi anche alla targa apposta su Porta San Paolo in ricordo dell’inizio della resistenza romana (8-10 settembre 1943), il cui incipit («Sul limite segnato da 17 secoli a difesa dai barbari») richiama subito questo valore simbolico del limite e del confine suggerito dal segno presente e tangibile delle «mura Aureliane», anche nel momento in cui queste ultime aveva-no perso da secoli la loro funzione difensiva originaria.

Altre emergenze ci testimoniano di un passato più recente in cui l’area da extraurbana si fa urbana, a seguito delle diverse fasi di urbanizzazione contempo-ranea. Questa trasformazione è legata inizialmente alla prima fase di industria-lizzazione della città (fine Ottocento-inizio Novecento), che vede la nascita di complessi industriali e commerciali nell’area, e di complessi per ospitare i lavora-tori. Successivamente, nel 1909, l’area viene inserita nel progetto complessivo di pianificazione urbanistica che individua il quadrante sud-ovest della città come polo di riqualificazione e sviluppo urbano, determinando la nascita di nuove aree a vocazione residenziale come il quartiere Garbatella17, ma già nel piano regola-tore del 1931 si prevedono insediamenti residenziali a carattere popolare. La di-lagante urbanizzazione del secondo dopoguerra interessa poi l’area, conferendole il carattere di area densamente popolata che tuttora conserva, particolarmente

16 Le mura furono fatte edificare da Aureliano tra il 270 e il 275 d.C. a protezione della città.17 Sul quartiere Garbatella si veda g. rIvolTA, Garbatella mia, Roma, La campanella, 2003.

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Fig. 3 - Basilica di San Paolo con aree verdi (da ponte Marconi).

Fig. 4 - La linea delle Mura Aureliane (con Porta San Paolo e la Piramide Cestia) inglobate nella città contemporanea.

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in alcune zone, mentre parallelamente matura la sua vocazione industriale. Tra i segni materiali tuttora visibili, che evidenziano questo carattere del paesaggio, possiamo citare, lungo l’asse della via Ostiense, la centrale Montemartini, l’area Italgas con i gazometri, oltre ai Mercati Generali e al consorzio agrario, e ancora, lungo il Tevere, la Mira Lanza, i mulini Biondi, la Vasca Navale.

La vocazione industriale e commerciale dell’area, sicuramente legata allo sfrut-tamento del fiume Tevere (ancora una volta elemento determinante del carattere del paesaggio) ed alla vicinanza del porto marittimo, ha lasciato ormai oggi il passo (attraverso un processo di trasformazione che ha segnato l’ultimo trenten-nio) ad una crescente terziarizzazione, mentre continua lo sviluppo residenzia-le. Il Progetto Urbano Marconi-Ostiense, tassello importante del Nuovo Piano Regolatore che disciplina la progettazione urbanistica della città sul lungo termi-ne, è tuttora in fase di realizzazione, congiuntamente alla rifunzionalizzazione di ex aree industriali dismesse, risistemate e occupate da servizi di vario genere; al suo interno è crescente la presenza dell’Università di Roma Tre «a vocazione terri-toriale», che spesso occupa anche edifici industriali dismessi (la facoltà di Lettere e Filosofia ospitata nell’ex deposito Alfa Romeo, per esempio). Abbiamo dunque sotto gli occhi emergenze, segni materiali di un paesaggio del passato recente, che hanno subìto una rifunzionalizzazione all’interno di un processo di più ampia portata e tuttora in corso. La lettura dei segni materiali di età antica dovrebbe poter condurre al riconoscimento di simili processi di modifica o continuità del carattere del paesaggio nel corso del passato, legati ad aree di estensione variabile.

Entro quest’area ormai fortemente urbanizzata, in cui il paesaggio è cambiato ra-dicalmente e più volte nel corso degli ultimi cento anni, le emergenze archeologiche d’età antica e medievale/moderna, memorie del passato «di campagna» dell’area, non possono essere interpretate se non utilizzando il metodo di lettura del paesaggio «a ritroso», quasi uno sfogliare il libro della storia impressa nelle forme del territorio.

All’interno di queste dinamiche città/campagna, un caso particolare è costi-tuito dall’attuale quartiere Testaccio. Qui per l’epoca romana conosciamo una zona urbana periferica a vocazione commerciale (come testimoniano i segni ar-cheologici disponibili)18; ancora, un’area di campagna suburbana risalente all’e-

18 Si vedano fra gli altri le strutture del porto fluviale e dell’emporium, la discarica di anfore che diede luogo all’altura artificiale del Monte Testaccio o monte dei cocci (in questo fascicolo A.M. rAmIerI, Il Monte Testaccio dall’età antica all’età moderna), e gli horrea (magazzini) rinvenuti anche in scavi recenti (“Il progetto del Nuovo Mercato di Testaccio”, a cura di R. Sebastiani-M. Serlorenzi, «Workshop di Archeologia Classica», 5, 2008, pp. 137-171). Per l’età tardoantica e medievale si veda anche M. serlorenzI, Spunti di riflessione sulla topografia medievale della pianura subaventina, in questo fascicolo.

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tà medievale-moderna19 e infine, in età contemporanea, di nuovo una periferia pianificata e costruita per fini commerciali ma in un certo senso «abortita» fino agli anni Sessanta, dal momento che del piano urbano contemporaneo alla na-scita dello Stato Italiano rimane solo il Mattatoio, sia pur elemento molto forte e caratterizzante all’interno del paesaggio del quartiere. Dagli anni Sessanta l’area diventa centrale, non più periferica, e l’intero quartiere entra a far parte integran-te del centro storico, entro le Mura Aureliane.

Secondo l’ottica fin qui seguita (un’ottica che cerca di interpretare i segni-memoria delle trasformazioni) i lacerti della Porticus Aemilia di età repubblicana (fig. 5) sparsi per il quartiere Testaccio diventano parte dello stesso capitolo della narrativa del paesaggio di cui fa parte la Piramide Cestia20.

19 Anche in questo caso gli scavi hanno portato alla luce segni di un passato rurale; si vedano per esempio i risultati degli scavi presso l’area del Nuovo Mercato di Testaccio, che hanno ricono-sciuto stratigrafie corrispondenti a campi coltivati.

20 Per la Piramide Cestia si deve procedere già ad una prima operazione d’astrazione sottraen-dola alle mura, inesistenti in età augustea quando il monumento sepolcrale è nato, in una zona ancora suburbana e distante dalle allora mura cittadine.

Fig. 5 - La Porticus Aemilia da via Vespucci, frammentata nel tessuto urbano contemporaneo.

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Nel riconoscere i diversi paesaggi antichi, sfogliando metaforicamente le tra-sformazioni del territorio dalla più recente alla più antica, l’humus delle variazioni più recenti viene così riconosciuto, enucleato e poi immaginariamente «rimosso» insieme alle varie stratificazioni che sono intercorse, per lasciare spazio alla rico-struzione di paesaggi di cui ci restano a volte poche testimonianze antropiche e naturali. Esse sono tuttavia di fondamentale importanza per un lavoro che in-tenda qualificarle come memoria storica, farne un capitolo specifico del libro di storia del paesaggio di cui esse aiutano a scrivere le pagine.

Emeri Farinetti