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I principi dottrinali del Decreto Ad Gentes: significato ed attualità dell’opzione conciliare

Mar 01, 2023

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st. Miss. 63 (2014): 45-129

I principi dottrinali del Decreto Ad Gentes:

significato ed attualità dell’opzione conciliare

IlArIA MorAlI

A poco più di cinquant’anni dalla costituzione della commissioneconciliare De Missionibus, riunitasi per la prima volta il 28 novembre1962, non è certo inutile tornare ad interrogarsi sul significato e l’at-tualità del primo capitolo del decreto sull’attività missionaria dellachiesa, De principiis doctrinalibus, sette densi numeri, dal 2 al 9, lacui vicenda redazionale si presenta complessa e tortuosa1.

A. Come si legge un documento del Concilio?Precisazioni di metodo

Per poter affrontare questo tema, è opportuno che prima ci sisoffermi, pur se brevemente, sulla questione tutta metodologicacirca l’approccio da adottare per comprendere questa come qual-siasi altra pagina del concilio Vaticano II.

1. Comprendere il dettato conciliare

In generale, nel corso di questi decenni post-conciliari, la paroladel Vaticano II è stata prevalentemente spiegata partendo dal-l’esame del testo promulgato, talora con l’ausilio dei commentari

“UnA FAcoltà dI MIssIologIA Per UnA chIesA MIlItAnte <#>

1 Il presente saggio costituisce una versione aggiornata dell’intervento compiuto giovedì 29novembre 2012 in occasione delle celebrazioni per l’ottantesimo della Facoltà di Missiologia. Aseguito dell’interesse suscitato dai temi proposti nel corso di questa iniziativa ed anche in con-siderazione degli straordinari eventi che hanno caratterizzato la vita ecclesiale con la rinunciadi Papa Benedetto XVI (11 febbraio 2013) e l’elezione di Papa Francesco (13 marzo 2013), si èritenuto utile compiere nel frattempo un’ulteriore revisione di questo nostro studio.

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che, per quanto autorevoli, non si basavano però sugli Atti delconcilio pubblicati molto tardi, a partire dal 19702. la tipologiadei documenti promulgati dal Vaticano II si presenta estrema-mente variegata: costituzioni dogmatiche, costituzioni pastorali,dichiarazioni e decreti. nel caso specifico di Ad Gentes (= AG), sitratta di un decreto composto da una parte dottrinale, il primo ca-pitolo, seguito da altri cinque più particolarmente incentrati sul-l’attività missionalia, di indirizzo dunque più applicativo.l’esigenza di conoscere la Parola conciliare per quello che essa ve-ramente dice e non per quello che aprioristicamente si pensa abbiavoluto esprimere, rende ancor più urgente lo sforzo di approntareuna lettura basata su una corretta metodologia senza la quale nonsarebbe possibile creare le condizioni per una seria recezione delmessaggio del testo, una recezione di fatto ancora molto parziale.come ebbe a sottolineare Papa Benedetto XVI e come ha ribaditolo stesso card. Brandmüller la recezione del concilio è infatti an-cora lungi dall’essere realizzata3.

2. I tre strati della documentazione

Quando parliamo di una lettura basata su una corretta metodo-logia, intendiamo dire che il testo promulgato rimane certamente ilriferimento primario, ma anche che la conoscenza del suo signifi-cato più profondo implica il concomitante studio di almeno trestrati di documentazione4:

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2 Uno dei più importanti commentari al decreto resta quello curato da suso Brechter, seb-bene pubblicato anch’esso prima dell’uscita dei volumi degli Atti conciliari: cfr. “dekret überdie Missionstätigkeit der Kirche, einleitung und Kommentar”, in Lexikon für Theologie und Kir-che2.Das Zweite Vatikanische Konzil.Dokumente und Kommentare III, (Freiburg i.Br.: herder1968), 9-125.

3 Affermava Papa Benedetto XVI il 14 febbraio 2013: “Mi sembra che, 50 anni dopo il concilio,vediamo come questo concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero concilio con tutta lasua forza spirituale. ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando daquesto Anno della fede, lavorare perché il vero concilio, con la sua forza dello spirito santo, sirealizzi e sia realmente rinnovata la chiesa. speriamo che il signore ci aiuti.”; PAPA Benedetto XVI,Incontro con i parroci e il clero di Roma (giovedì, 14 febbraio 2013): [www.vatican.va].cfr. g. horst, “‘calma e pazienza: cosa volete che siano cinquant’anni?’ colloquio col cardinaleWalter Brandmüller, storico ecclesiastico ed ermeneuta del concilio, sul giubileo d’oro del-l’apertura del Vaticano II”: [www.vaticaninsider.lastampa.it - 28/08/2012] . sul tema della re-cezione, vedasi: M. FAggIolI,“council Vatican II: Bibliographical overview 2007-2010”, inCristianesimo nella Storia 32 (2011): 755–791.

4 A questi tre strati di documentazione si riferiscono anche gli interventi di B.Ardura e Ph.chenaux, nella loro conferenza stampa (2 ottobre 2012), resa in occasione del convegno che di

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a) in primo luogo tutta la copiosa documentazione ufficiale degliActa, ove sono custoditi gli schemi, le animadversiones scripto exi-bitae, il testo degli interventi in aula, le relationes e le disceptationesecc. da dove si apprende anche la cronologia ufficiale degli eventiche scandirono e segnarono la redazione del documento. È la docu-mentazione più propriamente conciliare5.

b) In secondo luogo, vi è la documentazione prodotta all’internodelle commissioni e sottocommissioni preposte, nel corso dei lavoriconciliari: non inclusa negli Acta, ma presente negli archivi, essa èin gran parte inedita6. la sua consultazione è fondamentale perchésvela l’operato delle commissioni di esperti, incaricati della revi-sione e stesura dei testi; un lavoro di cesello redazionale, che, purse svolto dietro le quinte, fu di fondamentale aiuto alla discussionein Aula7.

c) Vi è poi un terzo strato documentario, costituito dalle fonti dinatura privata, come i diari personali dei padri conciliari o dei periti,annotazioni, lettere, biglietti, delucidazioni. Questo strato non puòessere incluso tra le fonti primarie, ma è sovente di importanza stra-tegica perché permette di affinare la ricostruzione storica di eventie circostanze, di individuare gli attori effettivi di una svolta, comepure di conoscere dettagli inediti sull’evoluzione redazionale di undocumento, le tensioni esistenti, le opinioni che andavano manife-

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lì a poco si sarebbe celebrato presso la Pont. Università lateranense, sul concilio Vaticano II(3-5 ottobre 2012): cfr. Conferenza stampa di presentazione del convegno internazionale di studi“Il Concilio Ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei padri conciliari - nel 50° anniver-sario dell’apertura del Concilio Vaticano I (1962-2012)”: [www.news.va].

5 Abbiamo già in passato studiato alcuni aspetti degli Acta, ma in relazione alla discussionesulle religioni e la salvezza dei non cristiani. In quella circostanza, si ebbe modo di studiare,pur se solo in forma funzionale al tema, le tappe principali dell’iter di Ag: I. MorAlI, “grazia,salvezza e religioni secondo la dottrina del concilio Vaticano II.’Memorandum per la teologiadelle religioni (I)”, in Revista Espanola de Teologia 64/3 (2004): 343–396; (II), 64/4 (2004): 527–578.

6 Attualmente, questa documentazione si trova in gran parte custodita negli Archivi segretiVaticani.

7 Il ruolo dei teologi al concilio fu molteplice e fondamentale allo sviluppo del pensieroconciliare. tuttavia il contenuto propriamente conciliare non va cercato nella documentazionerinvenibile nel secondo e terzo strato, ma nelle deliberazioni dei padri. È cioè il testo che sca-turisce dall’Aula a costituire il messaggio conciliare propriamente detto, mentre quello dei teo-logi è “un lavoro il cui esito è stato determinato da altre persone, cioè dai padri con diritto divoto e dai padri eletti nelle commissioni”; J. WIcKs, “I teologi al Vaticano II”, in Humanitas 59/5(2004): 1012-1038; K. h. neUFeld, “Vescovi e teologi al servizio del Vaticano II”, in Bilancio eProspettive venticinque anni dopo (1962-1987), vol I, [a cura di r.lAtoUrelle], (Assisi: cittadella1987), 82–109.

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standosi in seno ai circoli di esperti ed ecclesiastici, che talora scam-biavano le proprie idee al di fuori del percorso ufficiale8.

A corollario di questa documentazione, è infine doveroso ricor-dare il contributo del gesuita giovanni caprile le cui cronache delconcilio, composte con impressionante acribia, costituiscono unafonte ricchissima per la ricostruzione degli eventi e della loro com-plessa scansione, come pure dell’andamento del dibattito9.

Il vaglio di un tale patrimonio documentario non è ovviamentenecessario al fedele che si accosti alla lettura del documento conci-liare. egli può tutt’al più avvalersi di un commentario. spetta invecein primo luogo agli specialisti, teologi e storici, studiare questo im-menso materiale. tale indagine non persegue intenti archeologici,ma suo precipuo scopo è quello di favorire una lettura corretta deitesti conciliari: la parola conciliare è infatti il punto finale di un di-scernimento cui hanno concorso i Padri conciliari coadiuvati daiteologi e dagli esperti che operavano ‘dietro le quinte’ per l’Aula.

In questo mio intervento adotterò quindi il secondo tipo di ap-proccio, concentrando l’attenzione soprattutto sugli Atti del Conci-lio, senza tuttavia trascurare alcuni dettagli che si possono rinvenirenegli scritti di alcuni periti conciliari che parteciparono in primapersona al processo di maturazione e redazione del documento10.

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8 In questo ultimo decennio sono stati pubblicati diversi diari di alcuni tra i periti protago-nisti della scena conciliare. ci limitiamo qui a ricordare quelli di Y. congAr, Mon journal duconcile I-II (Paris: cerf 2002); di g. PhIlIPs, Carnets conciliaires de Mgr Gérard Philips: Secrétaireadjoint de la Commission doctrinale, édition bilingue français-néerlandais (leuven: Peeters Pu-blishers 2006); di h. de lUBAc, Carnets du Concile I-II (Paris: cerf 2007). Per il nostro tema, at-tingeremo soprattutto agli scritti di congar. Il diario di un teologo, il suo epistolario, di per sénon possono essere considerati in senso proprio fonti primarie per il concilio; quando però cisi prefigga una ricerca atta a ricostruire il personale apporto di un peritus ai lavori del VaticanoII, tale documentazione è a tutti gli effetti fonte primaria per l’indagine.

9 non si tratta perciò di una fonte inedita né propriamente conciliare, ma di una cronacamolto dettagliata, diversa per stile ed estensione dal modo odierno di riportare gli eventi: noiattingeremo soprattutto ad alcuni volumi dell’opera: cfr. g.cAPrIle, Il Concilio Vaticano II. L’an-nunzio e la preparazione 1959-1962 v.I/I; Terzo periodo 1964-1965, IV; Quarto periodo 1965,V (roma: la civiltà cattolica 1966-1969).

10 la più dettagliata disamina del materiale degli Acta su Ag si trova in una tesi dottorale di-retta dal gesuita J.galot alla Pontificia Università gregoriana. È ancor oggi il migliore studio adisposizione della ricerca: cfr. J. B. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery:The Historical-doctrinal Genesis of Ad Gentes I, 2-5 (roma: editrice Pontificia Università grego-riana 1988). Meritano attenzione anche i contributi di g. colzAnI, “sentido teológico de la misión”,in FAcUltAd de teologíA del norte de esPAñA. IstItUto de MIsIonologíA Y AnIMAcIón MIsIonerA (ed),Estudios de misionologia 13: El Decreto ‘Ad Gentes’: desarrollo conciliar y recepción postconciliar,

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B. Durus labor fuit: la difficile genesi del Decreto

dei testi conciliari con un iter redazionale lungo e difficile, il de-creto Ag è tra quelli che ha conosciuto uno dei percorsi più tortuosi.Venne infatti promulgato solo il 7 dicembre 1965. nella Relatio circarationem qua schema elaboratum est, distribuita in Aula il 23 otto-bre 1964, ove si trova una precisa descrizione delle tappe redazio-nali precedenti a questa data, si coglie l’immensa fatica delpercorso, esemplificata dalla parola latina labor, che vi ricorre bencinque volte, quasi a refrain, accompagnata da altre espressioni cheindicano anch’esse difficoltà: “durus fuit labor. Patres commissio-nis inter se non conveniebant de natura schematis [marzo 1963]…unde iterum ordinatio materiae sub lite posita est [ottobre-novem-bre 1963]…excusatos nos habeatis: materia fuit ardua …durus fuitlabor commissionis [fine aprile-maggio 1964]”11.

1. Complessità dell’iter redazionale

lo studio della scansione temporale di questo labor dimostra lacomplessità dell’iter redazionale che concorse alla formulazione deldocumento, iter che conobbe più tappe.

1.1.Le tappe

- Prima tappa: cinque commissioni e sette schemi (ottobre 1960-marzo 1962)

In fase pre-conciliare, sotto l’egida della Commissio Praeparatoria,a partire dal 24 ottobre 1960 erano state costituite ben 5 sottocom-missioni che produssero delle relationes, dalla cui rielaborazioneerano poi scaturiti ben sette schemi12. Questi vennero esaminati dalla

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(santos: Burgos 2006), 49-78.Il testo risulta, nella sua versione italiana, pubblicato nel sito dellaPont. Università Urbaniana (http://www.urbaniana.edu/ricerche_contrib/colzani.htm#_ftn5). Ve-dasi anche dello stesso autore: “storia e contenuti del decreto ‘Ad gentes’”, in IdeM, Pensare lamissione. Studi editi ed inediti (a cura di s. MAzzolInI) (roma: Urbaniana University Press 2012),112-143. si ricorda infine: W.Insero, La Chiesa è ‘missionaria per sua natura’ (AG 2): origine econtenuto dell’affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio (roma: editrice Pon-tificia Università gregoriana 2007).

11 “Appendix relatio circa rationem qua schema elaboratum est”, in Acta Synodalia Sacro-sancti Concilii Oecumenici Vaticani secundi (= AscoV) III/VI, 333-336.

12 cfr. I sette schemi sono pubblicati in Acta et Documenta Concilio Vaticano secundo ap-parando (= AdcoV) III (series II - praeparatoria), pars II, 241ss.

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Commissio Centralis Praeparatoria tra il 28 ed il 31 marzo 1962,quindi due anni dopo l’inizio dell’iter, per poi essere rinviati allaCommissio praeparatoria de Missionibus. si era quindi disposto dimantenere solo due degli schemi prodotti, il I ed il VII (rispettiva-mente trattanti De Regimine Missionum e De cooperatione missionali)inglobando i restanti cinque in altre commissioni13. Questa era dun-que la materia destinata ad essere oggetto di discussione con l’aper-tura del Vaticano II14.

- seconda tappa: la nuova bozza di schema bipartito (marzo –giu-gno 1963)

dal 20 marzo 1963, la commissione conciliare De Missionibus15

aveva preso a discutere la bozza scaturita dai due schemi super-stiti16. Anche durante questa fase, si erano evidenziate divergenzenotevoli, a volte inconciliabili. dalla lettura degli Acta si evince che,a Vaticano II già iniziato, i componenti della Commissio Conciliarisde Missionibus non trovavano accordo circa la natura dello

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13 “Pont. commissio de Missionibus haec paravit schemata: de regimine missionum, de di-sciplina cleri, de religiosi, de sacramentis ac de sacra liturgia, de disciplina populi christiani,de studiis clericorum, de cooperatione missionali. haec schemata discussa sunt in sessionegenerali Pont. commissionis centralis diebus 28,29,30,31 mensis martii 1962 habita. […] Ani-madverti tamen liceat, primum et postremum schema (scilicet: De regimine missionum et decooperatione missionali) pertinere ad commissionem de Missionibus et quaestiones missionumdirecte respicere. […] At, cum hoc sit tantum votum, a quibusdam Patribus commissione cen-trali prolatum, quibus assentire non videtur commissio de Missionibus, ne dedignentur edicereem.mi sodales nostrae subcommissionis, sua qua pollent sapientia, an sufficiat ut conciliumexcutiet tantum de illis duobus schematibus (De regimine missionum et de cooperatione mis-sionali), ceteris iudicio s.sedis remissis.”; Pont. sUBcoMMIssIo centrAlIs de scheMAtIBUs eMendAndIs

PrAePArAtorIA concIlII VAtIcAnI II, “de emendatione schematis decreti de Missionibus”, inADCOV (series II – Praeparatoria) IV/III-2 (typis Polyglottis Vaticanis 1962), 156.

14 Vedi: sAcrosAnctUM oecUMenIcUM concIlIUM VAtIcAnUM secUndUM, Schemata Constitutionumet decretorum ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seligentur, (series IV- typis Poli-glottis Vaticanis 1963), 349-369; cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal My-stery, 21.

15 “the conciliar commission De Missionibus inherited the work of the Preparatory com-mission”; Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 27.

16si noti un dettaglio: l’avvio dei lavori da parte della commissione conciliare avvenne tar-divamente rispetto all’inizio del concilio, per varie ragioni: l’andamento delle prime congre-gazioni generali suggeriva l’impressione che i lavori conciliari si sarebbero protratti a lungo,con l’indizione di altre sessioni; d’altra parte, in questa prima fase del Vaticano II, essendo inatto un duro scontro tra Propaganda Fide e ed alcuni vescovi nativi delle terre di missione,sembrava ragionevole lasciare che le acque si acquietassero. cfr. Anderson, A Vatican II Pneu-matology of the Paschal Mystery, 28; s. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ’de acti-vitate Missionali ecclesiae”, in Mission nach dem Konzils, (J. schütte hrsg.) (Mainz: Matthias -grünewald 1967), 61.

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schema17. si era giunti a delineare una primo testo, strutturato indue parti, fissando l’ordine dei temi da trattare18. discusso e riela-borato in seno alla stessa commissione, in questa veste finale, essovenne quindi inviato alla commissione centrale per una sua valu-tazione: questa pervenne il 12 luglio con diverse osservazioni e cri-tiche piuttosto consistenti, che non potevano essere ignorate19.

- terza tappa (23 ottobre – 3 dicembre 1963): verso lo schemaDe Missionibus.

nell’autunno 1963, dopo che si era già aperta la seconda sessioneconciliare (29 settembre), si pose mano ad una nuova revisione deltesto sulla base dei rilievi pervenuti d’estate ai quali andavano som-mandosi altrettante critiche da parte degli stessi membri della com-missione20. In questa delicata fase di transizione verso il nuovoschema, nel frattempo si era aggiunto un ulteriore fattore di diffi-coltà, proveniente dal concomitante processo redazionale della co-stituzione De Ecclesia: era stato infatti comunicato che la CommissioTheologica si preparava ad inserire nel De Ecclesia uno “specialecaput de natura missionaria ecclesiae” affidandone la redazione allastessa commissione De Missionibus. Aveva dunque ancora sensotrattare dei fondamenti dottrinali della missione nel nuovo schemadel decreto? significativo che gli Acta registrino a questo puntodell’iter redazionale in seno alla commissione una discussione piut-tosto animata: “ordinatio materiae sub lite posita est”21.

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17 “In his sessionibus mensis martii 1963 durus fuit labor. Patres commissionis inter senon conveniebant de natura schematis.”; “Appendix. relatio circa rationem qua schema elabo-ratum est”, in ASCOV III/VI, 333. “...never was the full commission able to come to unity...”;Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 32. “la commissione conciliare,costituita nel novembre 1962, trovò faticosamente un’intesa sulla natura dello schema stesso.”cAPrIle, Il Concilio Vaticano II, IV 375.

18 lo schema presentava infatti una prima parte (De ipsis Missionibus), suddivisa in tre ca-pitoli; medesima strutturazione presentava anche la seconda parte (De cooperatione Missionali).cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 61.

19 “doch war die Arbeit noch nicht beendet und wurde daher mit größter eile und Intensitätam Anfang der zweiten sitzungsperiode des Konzils wieder aufgenommen.” PAVentI, “entste-hungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 62.

20 cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”,62; Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 35.

21 “ASCOV III/VI, 334: Interim notum fuit, commissionem theologicam paratam esse spe-ciale caput de natura missionaria ecclesiae inserere in constitutionem de ecclesia, libenterquea nobis talem textum accepturam. Quare quibusdam peritis mandatum fuit. […] hisce factumest ut fundamenta theologica Missionis ecclesiae in nostro schemate non amplius esse trac-tanda. Unde iterum ordinatio materiae sub lite posita est.”; questo ‘caput speciale’ viene inseritonel corpo del De Ecclesia a partire dal suo terzo schema, inviato ai Padri conciliari il 3 luglio1964; cfr. ASCOV III/I, 189-190.

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Il 3 dicembre 1963, in netta discontinuità con i tentativi pregressi,veniva quindi presentato un nuovo schema De Missionibus: constavaora di quattro capita, il primo dei quali incentrato sui principi dottri-nali22. Inviato ai padri conciliari il 17 gennaio 1964, si chiedeva lorodi far pervenire eventuali osservazioni entro il 31 marzo seguente23.

In effetti, in quei primi mesi dell’anno i Padri conciliari avrebberoiniziato ad inviare le proprie animadversiones, in attesa di esami-narle in commissione il 4 maggio24. Il numero di questi interventi èpiuttosto consistente e denota grande interesse ed impegno daparte dei Padri conciliari. A quel punto sembrava quasi scontato chela fase più intensa del lungo labor redactionis fosse ormai dietro lespalle: dopo quattro anni di animate discussioni e continue revi-sioni, la fissazione di questo calendario significava una normaliz-zazione del processo redazionale.

- Quarta tappa: lo Schema propositionum (maggio-luglio 1964) edil suo rigetto (novembre 1964)

Un brusco cambio di scenari era tuttavia destinato a segnare unanuova e più difficile battuta d’arresto nella redazione del futuro de-creto: il 23 aprile 1964 il segretariato generale del concilio dira-mava una disposizione perentoria, quanto imprevedibile, riguardoagli schemi ancora in fieri: “schemata ad paucas sententias seu pro-positiones esse reducenda”25. così com’era, quindi, lo schema DeMissionibus non avrebbe potuto esser mantenuto, anzi necessitavadi tagli radicali. In pratica occorreva ricominciare da capo, stenden-done uno nuovo più rispondente ai dettami del segretariato che al-l’importanza della materia. Pertanto, anche le osservazioni che inquei mesi i padri conciliari avevano fatto giungere alla commissionenon detenevano più alcun senso, riguardando lo schema abortito.Questa imposizione che veniva da un organo esterno alla commis-sione condusse a redigere un nuovo schema di sole tredici proposi-zioni26. Messo insieme obtorto collo, votato all’unanimità solo per

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22 cfr. Appendix I “schema de Missionibus”, in ASCOV III/VI, 659 ss.23 “enixe rogantur Patres, qui animadversiones et emendationes super schemate proponere

desiderant, ut easdem scripto exhibere velint non ultra diem 31 mensis martii currentis anni.”;Appendix I “schema de Missionibus”, in ASCOV III/VI, 659 ss.

24 cfr. ASCOV III/VI, 334.25 “Interim die 23 aprilis 1964 secretariatus generalis concilii nobiscum communicavit

schemata ad paucas sententias seu propositiones esse reducenda, ratione utique habita ani-madversionem Patrum”; ASCOV III/VI, 334.

26 ASCOV III/VI, 328-332.

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obbedienza alle disposizioni del segretariato, esso nasceva già in-viso ai più. nessuno che conoscesse quanto arduo fosse stato l’iterdi quegli anni poteva approvare questa svolta così repentina27. Il 3luglio 1964 veniva inviato ai Padri conciliari lo Schema propositio-num: esso presentava tra l’altro anche un mutamento, non di pococonto, nel titolo: non più De Missionibus, ma De activitate missionaliEcclesiae. Infatti, nel nuovo schema solo una proposizione, la prima,conteneva riferimenti dottrinali. Il De Ecclesia era il perno della ri-flessione conciliare ed ad esso era stato demandato il compito ditrattare approfonditamente i fondamenti della missione. In effetti,nel secondo capitolo della futura costituzione dogmatica sullachiesa, sussistevano due numeri significativi in tal senso: il futuronumero 16, incentrato sulla salvezza dei non cristiani, ed il 17 sulfondamento delle missioni. la materia più propriamente dottrinale,finora contenuta nello schema del decreto era stata ‘traslata’ nelloschema sulla chiesa28. Il cambiamento di titolazione del decreto ri-fletteva dunque uno spostamento di obiettivi a seguito della svoltaimposta allo schema, di fatto introducendo le premesse per un di-verso equilibrio di forze tra i due futuri documenti: sacrificata laparte dottrinale del decreto, il peso si spostava completamente suinumeri del De Ecclesia. Al decreto sarebbe spettato il compito di il-lustrare le missioni come attività essenziale della chiesa, nulla dipiù29.

nella fase di intersessione pervennero reazioni così negativeda indurre il relatore, in occasione della presentazione delloSchema propositionum, ad ammettere la delusione di molti Padriconciliari che si erano sentiti traditi nelle loro aspettative più pro-fonde30.

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 53

27 cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 53.28 “Materia autem capitis, quod vocabatur De Principiis doctrinalibus, omissa est, utpote in

schema De Ecclesia translata.”; “relatio (st. lokuang) super schema propositionum de Activi-tate Missionali ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 341.

29 “Breviter adhuc exponendum cur ultimatim titulus huius Schematis Propositionum datusnon fuit ‘de Missionibus’, sed ‘De Activitate Missionali Ecclesiae’. Praeter quod a nonnullis Pa-tribus in suis animadversionibus petitum fuit, etiam visum est Patribus commissionis titulumDe Missionibus esse nimis largum quam qui hisce Propositionibus praeponatur; ex altera parte,cum iam centrum totius concilii videatur esse doctrina de ecclesia, opportunum visum estetiam missiones considerare in quantum sunt activitas essentialis ecclesiae.”; “Appendix. re-latio circa rationem qua schema elaboratum est”, in ASCOV III/VI, 335.

30 “expectationes plurimorum Patrum, praesertim illorum qui honorem sed et pondus evan-gelium apud non-christianos annuntiandi portarunt ac portant, per brevitatem huius schematisdelusae audiuntur. hi Patres a concilio expectabant normas pro activitate missionali in tem-poribus modernis; directivas in hodiernis difficultatibus postulabant; et in specie sperabantsanctam hanc synodum in tota ecclesia aestimationem, amorem et adiutorium pro Missionibus

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Ad esacerbare gli animi concorse la disposizione, sempre esterna,di escludere dall’agenda del Concilio l’eventualità di una valutazioneapprofondita dello Schema, prevedendo solo una breve discussioneprima della votazione31. Questo esame sbrigativo era stato fissatoper il 6 novembre 1964 coram Summo Pontifice, a dimostrazione del-l’interesse del papa per il Decreto: dal tenore del suo discorso, sievince però come egli desse per scontata ed imminente l’approva-zione definitiva dello Schema Propositionum32. Anderson ritiene pro-babile che il papa non fosse a conoscenza dei malumori dell’Aula33.In ogni caso, il papa si sarebbe ben presto reso conto dei reali senti-menti dei padri conciliari: alle critiche contenute nelle animadver-siones scripto exhibitae andavano via via aggiungendosi lerimostranze dell’Aula, ove essi esprimevano un giudizio alquantonegativo34. Anche al di fuori dell’Aula serpeggiava notevole disap-punto: in una pagina del suo diario, Yves Congar dà notizia di unalettera inviata dai superiori degli istituti missionari con la richiestache lo schema fosse rigettato. Essi ne proponevano uno alternativo35.Fu ben presto chiaro che in queste condizioni così avverse lo Schemanon sarebbe mai passato. Venne perciò proposto un quesito, al finedi sondare se i padri fossero d’accordo per un’interruzione della di-scussione sullo schema: l’Aula non esitò a dare parere favorevole36.Venne poi sottoposta a suffragio la richiesta se dare mandato omeno alla Commissione di redigere un nuovo schema e i padri con-ciliari approvarono la proposta senza esitazione37. Il testo fu così

54 ILARIA MoRALI

fore excitaturam. Quibus expectationibus evidenter hoc parvum schema, de mandato Directio-

nis Concilii ad paucas sententias reductum, satisfacere haud valet.”; “Relatio super Schema

propositionum De Activitate Missionali Ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 351 (S.Lokuang).31 Cfr. AnDERSon, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 53. 32 “Esaminando lo schema che avete nelle vostre mani, dove si tratta di questo argomento,

abbiamo trovato molte cose degne della nostra lode, sia per il contenuto sia per l’ordine della

loro esposizione. Riteniamo, perciò, che facilmente il testo sarà da voi approvato, pur dopo

aver rilevato la necessità di ulteriori perfezionamenti.”; CApRILE, Il Concilio Vaticano II, IV 381;

cfr. ASCOV III/VI, 323-324. 33 Cfr. AnDERSon, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 84-85.34 Vedasi le pagine seguenti.35 Cfr. CongAR, Mon journal du concile II, 241 (vendredi 6 novembre 1964). nel diario Congar

non scrive la data sempre allo stesso modo. Ci atteniamo pertanto a quello che egli sceglie di

volta in volta.36 “An placeat patribus utrum concludatur disceptatio de schemate de activitate missionali

Ecclesiae?”; ASCOV III/VI, 445.37 “patres venerabiles, plausus iuridice nihil dicunt, quapropter visum est moderatoribus

ut propositum Exc.mi relatoris vestris suffragiis subiiciatur, nam haec ordo postulat. Qua prop-

ter a vobis, patres venerabiles, quaeritur – auditore bene: Utrum placeat schema propositionum

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rinviato alla Commissione De Missionibus cui spettava ora il com-pito di redigere un nuovo e più esaustivo schema38. Nella riunioneplenaria del 16 novembre 1964, in vista di questo nuovo labor re-dazionale, venne quindi costituita una sottocommissione compren-dente, oltre alcuni vescovi, anche J. Schütte, Generale dei Verbiti, edei periti, tra i quali Y.Congar, J.Ratzinger, D. Grasso e J.Neuner39.Il gruppo si diede convegno il 12 gennaio a Nemi, presso la Casadei Verbiti. Nonostante dunque che i lavori conciliari si protraes-sero da due anni e le discussioni sulle missioni ben da quattro, inquesta fine d’anno 1964, su un tema tanto cruciale come la mis-sione della Chiesa, il Concilio di fatto non disponeva ancora di unoschema definitivo su cui discutere. In un certo senso, si ricomin-ciava completamente da capo, proprio mentre il 21 novembre 1965,ossia appena cinque giorni dopo quella decisione, vedeva la luce laCostituzione dogmatica De Ecclesia, col suo n. 17 De indole missio-naria Ecclesiae40.

- Quinta tappa: dallo schema definitivo (gennaio 1965) alla pro-mulgazione del decreto (7 dicembre 1965)

tra colpi di scena, battute di arresto, e repentini cambiamentidi percorso, si deve dunque constatare che in quella fase di ‘ri-partenza’ del futuro Decreto, LG 17 rappresentava l’unico puntofermo per il nuovo labor redactionis: questo riprendeva sulle ma-

I PRINCIPI DottRINALI DEL DECREto AD GENtES 55

de activitate Missionali Ecclesiae iterum refici a commissione competenti?”; ASCOV III/VI, 446.

Nella verità dei fatti, bastò che il Relatore Lokuang accennasse alla possibilità di una nuova

stesura del testo, per suscitare l’applauso corale dell’Aula in segno di approvazione. Di qui la

reazione stizzita del segretario generale, che fece notare che, dal punto di vista giuridico, un

applauso, pur così generale, non aveva alcun valore deliberativo.38 Con 1601 voti a favore ed appena 311 contrari, fu accolta la proposta della stessa Com-

missione De Missionibus per il rifacimento dello schema: “Ea propter hoc schema de activitate

missionali Ecclesiae perpolietur, perficietur et, ubi opus erit, reficietur iuxta Patrum animad-

versiones.”; ASCOV III/VI, 457. Nella sua Relatio I. Schütte, menzionerà nuovamente la deter-

minazione della Commissione De Missionibus in tale circostanza: “Integrum Schema componi

debuit.”; “Relatio super Schema Decreti De Activitate Missionali Ecclesiae”, in ASCOV IV/III,

700 (I. Schütte).39 “Dopo il ritiro dello schema sulle missioni da parte della competente Commissione, il 9

novembre 1964, questa si riunì in sessione plenaria, il 16 novembre 1964, affidando ad un

gruppo ristretto di 5 Padri e di altrettanti periti la redazione di un nuovo schema; i lavori ebbero

inizio il 12 gennaio 1965 presso la casa estiva della curia generalizia dei verbiti, a Nemi (Roma)

e si protrassero fino al 26, con un’aggiunta di due giorni (26-28) per la revisione stilistica del

testo latino da parte di alcuni esperti.”; CAPRILE, Il Concilio Vaticano II, V 185-186.40 Nella sua ricerca dottorale sul De Ecclesia, Sandra Mazzolini ha trattato diffusamente dei

legami intercorsi con lo schema De Missionibus: cfr. S.MAzzoLINI, La Chiesa è essenzialmente

missionaria: il rapporto Natura della Chiesa - missione della Chiesa nell’iter della costituzione

‘de Ecclesia’ (1959-1964), (Editrice Pontificia Università Gregoriana 1999), 121-143.

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cerie di ben due schemi, il De Missionibus, abortito per ragioniesterne alla commissione nell’aprile 1964, e lo Schema Proposi-tionum de Activitate Missionali Ecclesiae rigettato dall’Aula nelmese di novembre per la sua insufficienza strutturale e contenu-tistica41.

lo schema che vide finalmente la luce nell’autunno 1965 è dun-que da considerarsi il vero prodromo al decreto attuale. nei diecimesi trascorsi si era molto lavorato, racconta la nuova Relatio circarationem qua schema elaboratum est42. le giornate di nemi (12 e 27gennaio 1965), impressero un’effettiva svolta nella storia redazio-nale del futuro decreto. da un punto di vista cronologico, come se-gnala lo stesso Piero doria, le “considerationes” del giovaneratzinger si collocherebbero proprio in quell’arco di tempo com-preso tra dicembre 1964 e gennaio 196543. lo stesso Paventi ricordanel suo reportage che ratzinger aveva provveduto ad inviare antici-patamente le sue osservazioni44.

Pervenuti vari rilievi da parte dei membri della commissione DeMissionibus e di alcuni padri conciliari coinvolti per la circostanzanella lettura di questa nuova bozza di schema, la sottocommissionesi era poi riunita di nuovo a nemi, tra il 29 marzo ed il 3 aprile delmedesimo anno: recependo l’auspicio di molti, lo schema che stavaprendendo forma conteneva un’esposizione più che esauriente delfondamento dottrinale della missione45. dopo alcuni ulteriori incon-tri, avvenuti in primavera, per una meticolosa messa a punto del

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41 rispetto alla genesi di questo numero in seno al De Ecclesia, esso compare solo a partiredal III schema, come “novus numerus”, in risposta alla richiesta dei Padri conciliari: “Plures pe-tierunt disertam expositionem de Missionibus et prasertim de ‘fundamento theologico’ mis-sionis, ….optatur ut missio pertinere dicatur ad ipsam essentiam ecclesiae…Ad quamconficiendam subcommissioni II communicati sunt duo textus, primus a commissione de Mis-sionibus proveniens, altera ab epp. Africae et Madagascar.”; “relatio de n. 17, num. novus(A)”,in ASCOV III/I, 206-207.

42 cfr. “relatio circa rationem qua schema elaboratum est”, in ASCOV IV/III, 693.43 P.dorIA, “Il ruolo del teologo Joseph ratzinger durante il concilio nella documentazione

dell’Archivio del concilio Vaticano II”, in Centro Vaticano II - Studi e Ricerche VI/1 (2012): 27,nota 42 (testo completo del saggio: 19–33). In effetti, nel suo saggio Piero doria ha tentato diricostruire “per quello che la documentazione conservata nell’Archivio del concilio VaticanoII permette - la presenza del futuro Papa nel corso dei lavori conciliari” (20). Il lavoro della sot-tocommissione si trova dettagliatamente descritto in Anderson, A Vatican II Pneumatology ofthe Paschal Mystery, 100 ss.

44 “ratzinger hatte seine Anmerkungen zum theologischen teil bereits im voraus ge-schickt.”; PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 65.

45 cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 64.

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nuovo schema, il 28 maggio 1965 Paolo VI ne autorizzava la tra-smissione ai Padri conciliari46. la discussione del testo in Aula vennefissata a partire dal 7 ottobre, giorno dell’articolata relazione dischütte: in questo discorso vengono ripercorse le tappe dell’iter re-dazionale seguite al rigetto dello Schema Propositionum e si rinvieneun’illustrazione debitamente argomentata delle diverse parti checompongono il nuovo testo47.

la promulgazione del decreto, avvenuta il 7 dicembre 1965,segnò la fine di cammino veramente estenuante. Incluso il periodopreparatorio, il labor redactionis era infatti durato ben cinque anni.da notare che, nella sua titolazione definitiva, il decreto mantienela denominazione De Activitate missionali introdotta con lo SchemaPropositionum, nonostante si fosse provveduto a reinserire, appenadopo il proemio, la parte dei principi dottrinali: questi danno corpoal primo capitolo (De principiis doctrinalibus) cui seguono altri cin-que capita: De ipso opere missionali, De Missionariis, De ordinationeactivitatis missionalis, De Missionariis, De cooperatione48.

1.2. Le ragioni sottese alla fatica

gli eventi più salienti riproposti in questa nostra breve sintesiprovano, senza ombra di dubbio, le ragioni di un tale durus labor,ascrivibili a tre tipi di difficoltà: a) in seno alla commissione: unfatto che emerge costante dagli Acta è la disparità di opinioni, i con-trasti che ne provennero, le innumerevoli discussioni, avvenute avari livelli nel corso dell’iter redazionale. Molti i versanti della di-scussione: dalla natura alla struttura dello schema, dall’ordine dellamateria alla trattazione di singoli temi, in ultimo anche la questionese e quale spazio conferire a considerazioni di natura dottrinale; b)difficoltà esterne alla commissione De Missionibus, comunque in-terne al concilio: per stabilire quale tipo di raccordo dovesse sussi-stere, in materia di missione, tra il De Ecclesia ed il futuro decreto;c) fattori accidentali: a condizionare pesantemente l’iter di scritturadel decreto, fino a sconvolgerlo, fu la disposizione del segretariato

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 57

46 cfr. ASCOV IV/III, 663. Il testo dello schema definitivo si trova nelle pagine 663-692.47 cfr. “relatio super schema decreti de Activitate Missionali ecclesiae (Ioannes schütte

superior generalis s.V.d. n. 3),” in ASCOV IV/III, 699; cfr. cAPrIle, Il Concilio Vaticano II, V 188ss.

48 con la suffragatio 521 (30 novembre 1965) si sottopone a votazione l’intero schema com-prensivo dei modi; con la suffragatio 542 (7 dicembre) il testo viene invece approvato in formadi decreto: cfr. ASCOV IV/IV, 100. cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas De acti-vitate Missionali Ecclesiae”, 75.

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di ridurre i rimanenti schemi a poche proposizioni. Questa deci-sione fece saltare il già fragile equilibrio faticosamente raggiuntocon la composizione dello schema De Missionibus.

guardando a posteriori l’intera vicenda, le tensioni maggiorisembrerebbero essersi condensate nelle commissioni e sotto-commissioni. Il coinvolgimento diretto dell’Aula avviene in ef-fetti molto tardi: se infatti si prescinde dalle animadversionesscripto exhibitae pervenute entro il 31 marzo 1964 relative alloschema poi abortito, l’Aula prese per la prima volta diretta-mente la parola solo nel novembre 1964, rigettando lo Schemapropositionum. È quindi interessante constatare che, dal mo-mento in cui l’Aula avevano avuto modo di intervenire diretta-mente nella gestione dello schema, il cammino ha iniziato aprendere una piega diversa. l’introduzione dello Schema pro-positionum ha prodotto l’effetto paradossale, ma benefico, dicompattare l’Aula a favore della redazione di un nuovo schemasuperando così molte resistenze.

A questi diversi ordini di difficoltà, tutte interne alla vicendaconciliare del decreto, si deve tuttavia aggiungere un ulteriore fat-tore di destabilizzazione latente, ma ugualmente incisivo: la genesidi Ad Gentes si intreccia non solo con la redazione dei numeri 16e 17 di Lumen Gentium, ma anche con il processo redazionale delledue dichiarazioni, nostra Aetate e Dignitatis Humanae che, da di-verse prospettive, investono temi nevralgici per la missione: la sal-vezza dei non cristiani, il valore delle loro religioni, il dialogointerreligioso e la tolleranza religiosa.

dal punto di vista cronologico sincronico, per dare un’idea, il fu-turo numero 16 del De Ecclesia entra nello schema come n. 12 nel-l’aprile 1963 per esser discusso a settembre, tutto ciò mentre inseno alla commissione De Missionibus si dibatte ancora sull’impo-stazione del futuro schema49. Il primo abbozzo della dichiarazionenostra Aetate, in sostituzione di quella De Iudaeis, è consegnato il3 luglio 1964, verosimilmente insieme allo Schema propositionum50.

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49 cfr. Il numero 10 (poi diventato 16) del De Ecclesia, appare nel fascicolo approvato dagiovanni XXIII il 22 aprile 1963 ed inizia ad essere discusso nel settembre dello stesso anno:cfr. ASCOV II/I, 221. cfr. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni” (I)”, 353.

50 cfr. ASCOV III/II, 329. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”, (I), 367; (II), 551-552.

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nel maggio dello stesso anno Paolo VI ha nel frattempo istituito ilsegretariato per i non cristiani (14 maggio 1964) e, di lì a poco, pub-blicherà l’enciclica Ecclesiam Suam (6 agosto)51. Questo semplice ac-costamento di date ed eventi lascia intuire il paradosso che siproduce in seno al concilio: mentre infatti la riflessione sui rapportichiesa-religioni sta trovando le condizioni per un’articolata letturae scrittura di tutte le implicazioni, quella sulle missioni è ridottaforzatamente all’osso, senza un approfondimento della teologia.

Inoltre, questo semplice raffronto di date rende evidente l’incer-tezza che caratterizza l’approccio alla questione missionaria (al-meno fino al momento dell’intervento diretto dell’Aula nelnovembre 1964), debolezza che inquieta tanto più considerando ciòche sta avvenendo fuori dal concilio, in taluni ambienti teologici.Appena poco dopo la promulgazione di Lumen Gentium e di quelsuo n. 16 (De non christianis), che sancisce in modo esplicito la pos-sibilità di conseguire la salvezza eterna anche per quanti non cono-scono cristo e la chiesa, l’Aula sembra prendere rapidamentecoscienza dell’enfasi unilaterale che in diversi ambienti teologici sicominciava a riporre su quella pagina relativizzando la necessitàdella missione e con essa anche il contenuto del n. 17.

In nome del dialogo interreligioso e di una supposta parità dellereligioni, considerate tutte come ‘vie salvifiche’ parallele alla rive-lazione cristiana, conquistano terreno alcune posizioni teologicheche teorizzano un radicale ridimensionamento della mediazione sal-vifica della chiesa come della sua stessa missione.

la pressione che queste tendenze, che oggi definiremmo distampo relativista, esercitano sulla scena conciliare, pur se indiret-tamente, si fa palpabile il 30 settembre 1964, alla ripresa dei lavoriconciliari, allorché il Presidente del neo segretariato per i non cri-stiani, il cardinale luigi Marulla, indirizza all’Aula una “nota chia-rificatoria”, dai toni piuttosto severi, circa “ciò che non è e non deveessere il segretariato per i non cristiani”, mettendo in guardia daipericoli del relativismo. la nota cerca di reincanalare l’entusiasmoscaturito dalla decisione di Paolo VI di istituire questo organismo,delimitandone con precisione compiti e funzioni, ribadendo percontro l’insostituibilità della missione52.

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51 Vedi AAS 56 (1964): 609-659.52 cfr. ASCOV III/II, 30-35 (versio italica); cfr. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”, (II), 554-

556.

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del resto, le cronache ecclesiali di quei giorni ci ricordano che,mentre a roma l’Aula disponeva il rinvio dello Schema propositio-num, a Bombay si era tenuto un importante colloquio teologico, conla partecipazione di un centinaio di esperti, tra i quali anche delegatidai vescovi indiani: in tale circostanza, alcuni relatori, tra i quali h.Küng e r. Panikkar, avevano pubblicamente teorizzato tesi di indi-rizzo relativista, dicendo di ispirarsi al concilio53. Mesi prima di que-sto evento, proprio l’Arcivescovo di Bombay V. gracias, in una suaanimadversio scripta sullo schema De Missionibus, aveva stigmatiz-zato la deriva intrapresa da taluni ‘missiologi progressisti’, denun-ciando il pericolo (danger) di un’interpretazione ideologica deldialogo interreligioso54.

2. Redazione del De principiis doctrinalibus: tappe pregresse

2.1. Alcune osservazioni preliminari

senza conoscere la tortuosità di questo lungo percorso redazio-nale, ricostruito soprattutto con l’ausilio degli Atti conciliari, nonsi potrebbe comprendere appieno l’importanza del primo capitolodi Ag . esso è il frutto della complessa maturazione della mens con-ciliare sul tema delle missioni e scaturisce dalle crescenti preoccu-pazioni dei Padri conciliari che, all’indomani della promulgazionedi Lumen Gentium, si avvedono della necessità di puntualizzare ilfondamento dottrinale della missione a fronte di interpretazioni ri-duttive. I principi dottrinali compaiono – si è detto – tardivamente:la prima volta nello schema de Missionibus, poi abortito, e costitui-scono una svolta, rispetto al freddo giuridismo che aveva dominato

60 IlArIA MorAlI

53 le relazioni di questo convegno con le sue conclusioni sono state pubblicate alcuni annidopo (cfr. K. neUner., Christian Revelation and World Religions, [london: Burns & oates 1967]).contro tali tesi e soprattutto contro le conclusioni di segno oltranzista aveva preso presoferma posizione il gesuita Jean daniélou, perito conciliare: cfr. J. dAnIéloU, “la mission a-t-elle pour but d’apporter le salut? A propos du colloque théologique de Bombay”, in Le Christau Monde 10/3 (1965) 235-246. Abbiamo trattato dettagliatamente delle vicende di questoconvegno e della polemica che ne scaturì in un nostro studio: cfr. I.MorAlI, La salvezza deinon cristiani. L’influsso di Henri de Lubac sulla dottrina conciliare (Bologna: emi 1999), 123-129.

54 “With the modern talk of ‘dialogue’ between religions, there is a danger of regardingthe dialogue as between equals. some progressive missiologists seem to exaggerate thesupernatural ‘bona’ in non-christian religions, as if these were ‘per se’ sufficient for sal-vation, ‘sine ecclesia’.”; ASCOV III/VI, 677 (Valerianus gracias – Archiepiscopus Bombayen-sis - n. 3).

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le bozze precedenti. spariscono però dallo Schema propositionum,sia pure per ragioni di sintesi, e la loro omissione avviene in con-comitanza al mutamento di titolo del futuro decreto ove, in luogodi missiones, subentra il concetto di activitas missionalis. con lacomposizione dello schema definitivo, i Padri conciliari ritennerodover conservare il nuovo titolo, ma chiesero di aggiungere nuova-mente i fondamenti dottrinali. come dunque interpretare la ripro-posizione dei principi dogmatici in rapporto alla decisione dimantenere in primo piano il tema dell’attività missionaria? Il fattoche i fondamenti dottrinali della missione entrino, escano, rientrinonel documento impone una riflessione a riguardo, perché non fuuna decisione casuale: è certo che la loro presenza o assenza siastata in larga parte causata dall’insanabile divergenza di opinionitra i teologi, dal loro contrasto con i canonisti, ma non dalla volontàdell’Aula. Una risposta più articolata si potrebbe probabilmenteformulare studiando la documentazione delle varie commissioni,perché gli Acta non forniscono elementi sufficienti in proposito.gli Acta attestano però chiaramente che fu l’Aula, bocciando loSchema propositionum, a reclamare la reintroduzione dei principidogmatici. Al di là dei dissidi in seno al gruppo degli esperti, è al-trettanto innegabile che il fattivo contributo di congar e di ratzin-ger alla stesura della versione finale dello schema, anche nella suaparte più dottrinale, dimostra che i più autorevoli esponenti dellateologia del novecento credevano nell’urgenza di ribadire i fonda-menti dogmatici della missione, convinti della necessità di premet-terli alla trattazione dettagliata dell’attività missionaria e delle sueimplicazioni pratiche e giuridiche.

È quindi altrettanto opportuno non trascurare lo studio dellaforma scelta per la loro esposizione nel primo e nell’ultimoschema, stabilire quale significato si volle loro conferire nell’eco-nomia del decreto promulgato, come pure chiarire in che rela-zione li si concepisse alle altre parti del documento. gli Actaoffrono sufficiente materia per una risposta piuttosto esaurientea queste ultime domande: la lettura delle Relationes ufficiali suglischemi e delle animadversiones, orali e scritte, pervenute dai varipadri conciliari nei diversi passaggi da uno schema all’altro, si ri-vela quanto mai opportuna, anche se uno studio della documen-tazione prodotta negli anni dalle commissioni, non ancorapubblicata, consentirebbe di sviscerare ogni singolo dettaglio deldibattito. non è ovviamente qui la sede per avventurarsi in unatale esplorazione.

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In relazione alla composizione dello schema definitivo, impor-tanti elementi possono però essere rintracciati nella parola deiprotagonisti del labor svolto a nemi in quei primi mesi del 1965:Y.-M.congar e J.ratzinger. È schütte in persona, nella pubblica-zione da lui curata nel 1967sulla Missione secondo il Concilio, adassicurare che quanto ivi esibito dai collaboratori dell’opera, tracui anche i due teologi in questione, costituisce una testimonianzaveritiera da parte di ‘autentici interpreti’ che seguirono il travagliodello schema delle missioni55. Queste assicurazioni provano l’im-portanza dell’articolo di congar sui fondamenti teologici dellamissione (Theologische Grundlegung) ivi pubblicato, come di unaltro suo articolo, edito postumo proprio in Studia Missionalia,nonché del contributo a firma dello stesso ratzinger relativo alleaffermazioni conciliari sulla missione al di fuori del decreto56. diratzinger esiste tuttavia un’ulteriore testimonianza, custoditanegli Archivi Vaticani, già pubblicata da Anderson in appendicealla sua ricerca dottorale e recentemente riproposta all’attenzionedei lettori in un saggio di Piero doria sul ruolo del futuro papanel concilio: si tratta delle “considerationes quoad fundamentumtheologicum missionis ecclesiae”57. lo scritto in questione è al-trettanto essenziale, quanto quelli pubblicati nel volume dischütte, ma non tanto in funzione del decreto promulgato,quanto in relazione alla genesi dello schema che vi sta alla base.le annotazioni di ratzinger risalgono infatti al periodo delleprime riunioni a nemi, vale a dire alla fase iniziale della stesuradel nuovo schema.

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55 “den Mitarbeitern, die großenteils auch die geburtswehen des Missionsschemas miter-lebt und mitdurchlitten haben und daher die authentischen Interpreten sind, gebührt unseraller aufrichtigen dank.”; J. schütte (hrsg.), Mission nach dem Konzil (Mainz: Matthias-grüne-wald-Verlag, 1967), 7(Vorwort).

56 cfr. Y.-M. J. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”; J. rAtzInger, “Konzilsaussagenüber die Mission außerhalb des Missionsdekrets”: i due interventi in questione si trovano ris-pettivamente pubblicati in schütte (hrsg.), Mission nach dem Konzil, 21–47, 134–172. sette annidopo la morte del teologo domenicano, Studia Missionalia ha pubblicato un suo articolo, in tra-duzione inglese, dal titolo The necessity of the Missio ‘Ad Gentes’, anch’esso molto utile, comevedremo tra poco: cfr. Y. congAr, “the necessity of the Mission ‘Ad gentes’”, in Studia Missio-nalia 51 (2002): 156-165.

57 cfr. PIero dorIA, “Il ruolo del teologo Joseph ratzinger durante il concilio nella docu-mentazione dell’Archivio del concilio Vaticano II”, in Centro Vaticano II - Studi e Ricerche VI/1(2012): 19–33. come rileva lo stesso doria (cfr. nota 43, 27), queste note sono state già pubbli-cate da Anderson in appendice al suo studio: cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of thePaschal Mystery, 301-304 (Appendix II).

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2.2. Primo tentativo di superamento del rigido giuridismo degliesordi

la scelta di introdurre un capitolo sui principi dogmatici non sca-turì dunque immediatamente: si può dire che essa fu il frutto di unalenta metamorfosi, iniziata probabilmente con la richiesta da piùparti di inserire una definizione teologica di missione a compendiodi un’impostazione fortemente giuridica della prima bozza dischema: ne è prova quanto si legge in alcune delle observationes ge-nerales sul De Regimine Missionum in fase di emendamento58. nelprimo dei due schemi superstiti, le poche affermazioni di indoledottrinale in relazione al mandato di cristo miravano soprattuttoalla legittimazione dell’autorità dei Papi e dei vescovi in relazioneal compito di promuovere la predicazione del Vangelo nel mondo59.la richiesta di una definizione teologica di missione era stata peròdisattesa, come si evince dalla risposta:

“r. nella commissione de Missionibus si è molto discusso se fosse dadare una definizione di ‘missione’. tutti i canonisti rispondevano nega-tivamente; i Missiologi affermativamente; ma circa questa medesima de-finizione i missiologi non concordano per nulla: tante sono le definizioniquanti sono i teologi. […] l’unica giusta definizione, ma ab extrinseco, è:le ‘Missioni’ sono tutti territori sotto la congregazione di PropagandaFide. Questa definizione prettamente giuridica, però, non piace ai mis-siologi”60.

Al cardinal ruffini che avanzava la medesima richiesta si era ri-sposto laconicamente: “Una definizione di missione non è oppor-tuna” a motivo (quia) della grande discrepanza di opinione tra iteologi61.

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 63

58 “Petitur definitio Missionis.”; ADCOV IV (series II – praeparatoria) pars III-2 (subcommis-sio de schematibus emendandis), 159 (9).

59nel proemio, la parte più teologica dello schema, il termine ‘potestas’ ricorre in pocherighe ben due volte. le citazioni di gv 3,17, 20,21 e di Mc 16,15-17 sono funzionali a questaimpostazione: cfr. ADCOV III (series II – Praeparatoria) pars II, 241.

60 “r.In commissione de Missionibus multum disputatum est utrum danda esset definitio‘missionis’. canonistae omnes negative respondebant; Missiologi affermative, sed de ipsa de-finitione missiologi minime concordant; tot sunt definitiones quod sunt theologi[…] Unica de-finitio recta, sed ab extrinseco, est: ‘Missiones’ sunt omnia territoria, sub s.c. de P.F. haec verodefinitio, nimis iuridica, missiologis non placet.”; ADCOV IV (series II – praeparatoria) pars III-2 (subcommissio de schematibus emendandis), 159.

61 “definitio non est opportuna: quia a) a missiologis variae definitiones dantur…”; ADCOVIV (series II – praeparatoria) pars III-2 (subcommissio de schematibus emendandis), 160 (r).

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le parole pronunciate anni dopo da riobé, membro del concilio,riassumono quindi in tutta chiarezza la paralisi in cui versò perlungo tempo la commissione, di cui egli stesso era membro:

“In tutto il corso del suo lavoro durante questi tre anni, la commissioneDe Missionibus è rimasta sospesa (anceps) tra un concetto di missioneteologicamente enucleato ed un concetto meramente giuridico…”62.

la veste prevalentemente giuridica del testo, in questa primafase redazionale, si spiega ancora meglio considerando che, nelconcomitante schema I de Ecclesia, destinato ad essere anch’essorigettato dall’Aula, l’intero capitolo X (Sulla necessità della Chiesadi annunciare il Vangelo a tutte le genti ed ovunque) appariva al-trettanto condizionato dal linguaggio giuridico: vi si parlava in-fatti di munus, officium, jus praedicandi63. Al pari della primitivabozza di schema del futuro decreto, anche queste pagine sullamissione nel De Ecclesia dovettero apparire all’Aula alquanto re-strittive. emblematico, per comprendere l’opinione prevalente trai padri conciliari, è l’intervento di V. gracias, Arcivescovo di Bom-bay: “totum caput, mihi videtur, aliter concipiendum et redigen-dum est”. numerosi vescovi europei si mostrarono dello stessoavviso64.

la lettura degli Acta in questa particolare fase redazionale cipermette quindi di individuare due importanti elementi: 1) chel’approdo alla stesura di un primo capitolo sui principi dottrinali,avvenuto già con lo schema De Missionibus (quello mai discusso inAula), finì con l’imporsi, veicolato dalla richiesta di una definizionedi missione precedentemente frustrata, nonostante da parte deiteologi vi fosse dissenso sul suo contenuto; 2) che tale richiesta

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62 “Membrum sum commissionis de Missionibus. […] …toto decursu sui laboris durantibushis tribus annis, commissio de missionibus anceps remansit inter conceptum missionis theo-logice enucleatum et conceptum mere iuridicum prout nunc in Iure condito iacet.”; ASCOVIII/VI, 415 (Vitus riobé – episcopus Aurelianensis n. 15).

63 Pressoché nello stesso periodo (1 dicembre 1962) lo schema I De Ecclesia gravitava at-torno alla nozione di chiesa militante ed il capitolo in questione attorno al concetto di jus prae-dicandi che torna più volte nell’economia del testo: cfr. ASCOV I/IV, 75ss. (caput X denecessitate ecclesiae annuntiandi evangelium omnibus gentibus et ubique terrarum).

64 ASCOV I/IV, 176. Il parere di gracias è condiviso pienamente dall’arcivescovo di Münchene Freising I. doepfner che definisce il capitolo “nimis unilaterale et rigidum”: cfr. ASCOV I/IV,185. lo stesso cardinale di Köln, I. Frings si pronuncia ancora più nettamente contro il testo,lamentando come non si trovi niente della missione del Figlio agli uomini perché lo schemaparla in lungo ed in largo del diritto (ius) della chiesa a predicare a tutte le genti: cfr. ASCOVI/IV, 219.

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investiva in modo uniforme tanto il De Ecclesia che il De Missioni-bus. era cioè un’esigenza trasversale ai due documenti in prepara-zione.

3. I principi dottrinali nello Schema De Missionibus (gennaio 1964)

3.1. Chiesa essenzialmente missionaria e missioni come ‘opera-tio’

Il capitolo primo dello schema De Missionibus, ‘purificato’ del lin-guaggio canonistico, costituisce in effetti quasi un miracolo, dopola raffica di no e di resistenze registratesi negli anni precedenti65. Èprobabile che questa svolta sia da ricondursi anche al concomitantemutamento di orizzonte prodottosi proprio in ambito ecclesiologicocon il rigetto del primo schema sulla chiesa. dal punto di vista cro-nologico, in effetti, se si raffronta il processo redazionale del futurodecreto Ag con quello del De Ecclesia, non si può far a meno di no-tare che l’emersione del De Missionibus in questo nuovo assetto, neldicembre 1963, e la sua distribuzione ai Padri nel gennaio 1964,segue di qualche mese appena (30 settembre 1963) la presentazionedel II schema, nuova base per l’iter redazionale della futura costi-tuzione dogmatica: trattando il rapporto chiesa-missione, nel suonumero 10 non si fa alcun riferimento esplicito al linguaggio giuri-dico che invece contrassegnava il cap. X° dello schema precedente.l’accento cade sull’affermazione “ecclesia ad omnes homines missaest…” ed il commento ufficiale su questo testo va nella stessa lineaspiegando che la missione universale della chiesa si prende cura dicondurre a cristo i non cristiani: “sia che siano ebrei, sia che sianocredenti in dio, sia che ignorino dio: per tutti costoro cristo èmorto”66.

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65 I principi dottrinali qui presentati sono, rispettivamente: Mysterium christi annuntian-dum (1), ministerium ecclesiae (2), necessitas apostolatus missionalis (3), commendatio evan-gelii apud homines (4), Aedificatio ecclesiae (5), essentia missionaria ecclesiae resumitur (6);ASCOV III/VI, 660-664.

66 Il testo del n. 10 del II° schema recitava così: “ecclesia ad omnes homines missa est, proquibus dominus sanguinem suum fudit ut eos ad regnum suum vocaret et dirigeret…” e nelcommento in effetti si legge: “Quia missio ecclesiae universalis, etiam de non-christianis adchristum adducendis curat, sive Iudaei sint, sive credentes in deum, sive deum ignorantes;pro quibus omnibus christus est mortuus. […] Completur vero expositio, rursus proposita mis-sione universali Ecclesiae ad gentes illuminandas.”; ASCOV II/I, 221, 229. Il n. 10 del secondoschema costituisce la base per quello che, nel testo promulgato della costituzione dogmatica,apparirà come n. 16 (De nonchristianis).

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riguardo allo schema De Missionibus, nei sei numeri che compon-gono il suo primo capitolo (De principiis doctrinalibus) vengonoenunciati tutti gli elementi di fede che sono a fondamento di questomandato: in primo luogo il rapporto per così dire ontologico tramissione e chiesa, esemplificato dall’espressione del “ad hoc eccle-sia nata est” (n. 1) o, ancora dalla frase “natura ergo sua …ecclesiaomnibus gentibus evangelium christi praedicare tenetur…” (n. 3).l’accento è chiaramente riposto sull’universalità del mandato dellachiesa, come pure sulla sua matrice cristologica: “ecclesia a christomissa…[christus] solus est predicandus” (n. 2), “cristus…omniumrecapitulatio” (n. 4); non manca tuttavia una forte sottolineatura delladimensione trinitaria dell’“essentia missionaria ecclesiae” (n. 6). Il ri-chiamo alla chiesa come instrumentum et sacramentum è un chiaroriflesso della svolta ecclesiologica avvenuta in seno alla discussionesul De Ecclesia. non a caso, le trentatré note che corredano questonuovo capitolo del futuro decreto contengono tutte, eccetto una, ri-ferimenti prevalentemente biblici e patristici, in nessun caso giuri-dici. dal punto di vista teologico, il capitolo presenta perciò unadefinizione molto articolata di missione, badando soprattutto a de-linearne la sua essenza e consistenza, il suo fondamento dottrinale.solo nelle linee finali si rinviene una definizione di ciò che invecesono concretamente e storicamente le missioni, ma la loro descri-zione, ancora una volta, non è canonistica ed è espressa in un lin-guaggio teologico: “…missiones, quae ex ipsa natura ecclesiaeprofluunt, nihil aliud sunt quam operatio qua ecclesia corpus chri-sti visibiliter extendit”67. In questo capitolo, dedicato ai principi dot-trinali, si introduce dunque una distinzione fino adesso assente, trala missione come tale, come essenza stessa della chiesa, e le mis-sioni come operatio: la distinzione tra singolare e plurale è voluta.Pressoché siderale è la distanza tra questo schema e la prima bozzabipartita di schema, ove le missioni erano state trattate unicamentecome territori sotto la congregazione Propaganda Fide.

In generale, rispetto a questo nuovo schema del decreto, i Padriconciliari si mostrano nel complesso soddisfatti: le osservazioni cheessi inviano in vista della discussione (mai avvenuta) in aula con-tengono richieste marginali, come ritocchi e aggiunte, a perfeziona-mento dell’uno o dell’altro tema. sono favorevoli al fatto che si sianoevidenziati gli aspetti essenziali della missione in rapporto alla

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67 ASCOV III/VI, 663 (n. 6).

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chiesa68. I loro suggerimenti riguardano soprattutto il proemio e glialtri capitoli: il primo capitolo è invece oggetto di apprezzamentodiffuso69. non mancano tuttavia richieste per un ulteriore rafforza-mento del contenuto dottrinale: V. gracias, ad esempio, giudicavalo schema non abbastanza ‘dogmatico’, perché a suo dire non si eraadeguatamente insistito sulla chiesa come istituzione divina dal ca-rattere unico e su altri punti da lui ripresi e precisati con specificisuggerimenti; egli lamentava anche che il testo fosse stato scritto“da un punto di vista europeo”70. di parere più che positivo era in-vece il cardinale arcivescovo di Pechino che giudicava i principi dot-trinali di quel capitolo “sani” e rispondenti, nella loro descrizione,alle aspettative di numerosi padri della commissione71. tra le pro-poste avanzate dai Padri conciliari se ne rinviene una particolar-mente significativa con la quale si richiede di illustrareapprofonditamente il tema della fede in rapporto ai non cristiani, afronte delle nuove tesi che andavano affermando in teologia circala possibilità di una fede implicita72. solo ‘alcuni padri’ chiedono lariscrittura dello schema, ma senza modifiche di sostanza, bensì perun migliore ordine della materia73. nonostante manifestino un certogradimento complessivo sullo schema, riguardo al tema della mis-sione, in sé e per sé, i Padri conciliari sembravano tuttavia incon-trare comunque delle significative difficoltà. ne indichiamo qui diseguito alcune.

3.2. La difficoltà di comprendere il rapporto tra teologico e pa-storale

leggendo queste diverse osservazioni si evince un primo aspettosorprendente: in rapporto al tema della missione, non pochi padriconciliari sembravano in difficoltà nel concepire il rapporto tra ri-flessione teologica ed approccio pastorale. l’intervento del patriarca

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68 “cap. I. Bene tractatur et bene monstrat aedificationem ecclesiae esse opus a tota ecclesiaperficiendum.”; ASCOV III/VI, 748 (Xaverius geeraerts – n. 24). cfr. anche: 759 (carolus her-mannus helmsing – n. 29).

69 “hoc caput in genere placet.”; ASCOV III/VI, 800 (Mauritius Perrin – n. 48); “Il n. 1 delcap. I è molto bello, perché è un’opportuna sintesi di verità rivelate sull’argomento e cioè sui‘Principi dottrinali’”; ASCOV III/VI, 823 (Innocentius Alfredus russo – n. 57).

70 cfr. ASCOV III/VI, 678-679 (Valerianus gracias – n. 3).71 cfr. ASCOV III/VI, 685 (thomas tien chen sin – n. 5).72 “sunt quidem theologi qui in eis (= infidelibus) fidem in voto vel per aliquam privatam

revelationem admittunt….”; ASCOV III/VI, 799 (Ferdinandus Pasini – n. 47).73cfr. ASCOV III/VI, 915 (Quidam patres conciliares – n. 83).

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Meouchi di rito maronita a questo riguardo è più che mai esempli-ficativo: lo schema mancava per lui di omogeneità ritenendo che ilsuo registro si componesse come di due linguaggi, di due ‘penne’diverse: proemio e primo capitolo gli parevano opera di un teologocon simpatie per i protestanti – egli scriveva con un punto di ironia.reputava infatti che non si fosse abbastanza sottolineata la speci-ficità delle motivazioni che caratterizzano la dottrina cattolica afondamento delle missioni; quanto al resto, gli pareva invece com-posto da un “missiologo che nel concreto delle applicazioni dei prin-cipi, – egli affermava – ci dà semplicemente degli elementi di unateologia tradizionale”74.

nella distinzione di linguaggi e di ‘penne’ operata da Meouchi,nel suo spontaneo ricondurre alle competenze del teologo l’ambitodottrinale ed a quelle del missiologo l’applicazione dei principi nonsi può fare a meno di cogliere un certo dualismo: quasi che il ver-sante speculativo-teoretico della missione, quello cioè che indaga ilsuo fondamento, fosse disconnesso dall’ambito pratico-pastorale.discutibile, per gli stessi motivi, è la distinzione tra teologia, conce-pita come studio teoretico, e missiologia, concepita come scienza‘pratica’, non assimilabile alla ‘teologia della missione’.

Questa tendenza a mantenere separati i due versanti si ritrovain non pochi interventi, quasi fosse l’unica strada percorribile pergiustificare la distinzione operata dagli estensori dello schema tramissione e missioni. negli interventi dei Padri conciliari si nota in ef-fetti una certa esitazione rispetto al tipo di definizione di missioneda privilegiare nel documento. Il rigetto verso l’approccio esclusi-vamente canonistico fa emergere il vero problema di fondo: non siha ancora chiara la finalità da attribuire al documento, se essadebba essere pratica-pastorale o anche dottrinale ed in qual misura,conseguentemente anche se vi sia un modo efficace di raccordare idue accenti senza squilibri di sorta. In altre parole: come affrontareil tema della missione in un documento focalizzato completamentesu questo tema? Alcuni giudicavano positivamente il legame instau-ratosi col De Ecclesia, senza dubitare che il decreto dovesse esibireuna parte dottrinale75, per altri, invece, il nesso con la costituzione

68 IlArIA MorAlI

74 ASCOV III/VI, 792 (Paulus Petrus Meouchi – n. 41).75 cfr. ASCOV III/VI, 701 (Alfredus cavagna - n. 11). I padri conciliari ugandesi chiesero

persino di mutare titolo introducendone uno nuovo con un riferimento esplicito alla chiesaper un migliore raccordo con la futura costituzione: cfr. ASCOV III/VI, 881 ( PP.conciliares exUganda – n. 76).

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ed il suo contenuto dottrinale sulle missioni costituiva una ragionesufficiente per imprimere al decreto un carattere più pratico cheteologico76. Qualcuno in effetti si domandava se fosse veramentenecessario trattare nello schema ciò che era stato già detto nel DeEcclesia77. la tendenza ad opporre teologico a pastorale è una co-stante di molti interventi78. Altri padri conciliari ritenevano inveceche fosse stato salvaguardato un sostanziale equilibrio tra le duecomponenti79. I vescovi di ruanda e Burundi giudicavano per controche lo schema non fosse “sufficientemente missionario”: premevanoloro questioni pratiche, nell’auspicio che queste potessero venir af-frontate e risolte nel futuro documento80. sullo stesso registro i ve-scovi della conferenza episcopale nigeriana: ignorando il primocapitolo, concentravano i propri suggerimenti (pratici) sulle restantiparti81. Anche da parte di altri gruppi si lamentava mancanza di ri-ferimenti utili alla prassi82. Il fronte africano non era tuttavia omo-geneo: i vescovi kenioti, ad esempio, richiedevano una più chiaradefinizione di missione83. sul versante degli episcopati europei, sidistingueva quello tedesco che, giudicando lo schema non ancoramaturo teologicamente, criticava la richiesta di indicazioni pratiche:per trattare problemi pratici non era necessario un concilio84.

3.3. La difficoltà di un accordo sulla definizione di missione

negli interventi dei Padri conciliari si nota un secondo tipo di dif-ficoltà, inerente alla definizione di missione. come si è visto, in que-sto schema De Missionibus, era stata tracciata una netta linea didemarcazione tra missione, come dimensione essenziale dellachiesa, e missioni come attuazione operativa. si trattava pur sempre

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76 cfr. ASCOV III/VI, 743 (Ioannes Ferreira – n. 20).77 “nonne vero sufficiunt quae in schemate de ecclesia leguntur?”; ASCOV III/VI, 806 (Io-

annes B.Przynklenk – n.52). Vedi anche la conferenza episcopale Indonesiana: cfr. ASCOV III/VI,891 (conferentia episcoporum Indonesiae – n. 79).

78 Vedi ad esempio: ASCOV III/VI, 746 (Marius Franciscus Forst – n. 22).79 “Permulta bona in variis capitibus huius schematis inveni tam de doctrinae fundamentis

quam de pastoralibus directivis”; ASCOV III/VI, 795 (simon hoa nguyen-van hien – n. 44).80 cfr. ASCOV III/VI, 861 (conferentia episcoporum rwanda et Burundi – n. 71).81 cfr. ASCOV III/VI, 862ss. (conferentia episcoporum nigeriae – n. 72).82 È il caso della conferenza episcopale rodesiana: cfr. ASCOV III/VI, 865 (conferentia epi-

scoporum rhodesiae septembrionalis – n. 73).83 “Proponitur tamen quod schema introducatur cum clara definitione de conceptu missio-

nis…”; ASCOV III/VI, 868 (conferentia episcoporum Kenyae – n. 74).84 “schema ergo superfluum, nisi materia tractanda restringitur ad quaestiones practicas

vel methodicas”; ASCOV III/VI, 895 (conferentia episcoporum linguae germanicae et scandiae– n. 81).

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di un tentativo di definizione. Qualcuno esprimeva soddisfazionerispetto a quanto detto dal proemio e da questo primo capitolo, giu-dicandolo di aiuto in un momento ove vi era ancora notevole con-fusione in materia85. Una parte rilevante di Padri conciliariesprimeva per contro perplessità: “si resta nell’incertezza quantoal vocabolo ‘missio’. che cosa copre?”, domandava leo seitz nellesue osservazioni86. Qualcuno invece si dichiarava scontento dell’il-lustrazione di missione fornita nello schema87. rispetto alla ten-denza a concepire la missione unicamente come annuncio a popolinon cristiani, vi era anche chi, come richard cleire, ammoniva circala necessità di una visione più ampia, pensando all’urgenza di ri-portare il Vangelo anche nelle terre di antica cristianizzazione perquella che oggi chiameremmo ‘nuova evangelizzazione’88. In effetti,rileggendo gli Acta si coglie una certa esitazione da parte dei Padri:tra costoro qualcuno faceva notare che, in rapporto alla missione,la diversificazione di definizioni nasceva dalla diversità di accezioni(“hoc patet ex ipsa natura rei”) con cui poteva esser impiegato edinteso il termine: missione politica, missione come territorio, mis-sione dello spirito santo, missione del salvatore, del precursore,degli Apostoli ecc. Il problema della differenziazione di accezioniunitamente al disaccordo tra i teologi conduceva logicamente all’op-zione canonistica e più ancora ad un approccio pratico: in questomodo si riusciva, in un certo senso a portare il discorso su un ter-reno più neutro e agevole adatto ad una finalità pastorale89.

3.4. In sintesi

come si vede da questi semplici accenni, pur avendo voluto unlinguaggio diverso per il futuro decreto, pur salutando con favore

70 IlArIA MorAlI

85 cfr. ASCOV III/VI, 795 (simon hoa nguyen-van hien – n. 44).86 “on reste dans l’incertain quant au vocable missio. Que recouvre-t-il ?”; ASCOV III/VI,

827 (Paulus leo seitz – n. 60).87 “the word mission should be strictly defined.”; ASCOV III/VI, 746 (Marius Franciscus

Forst – n. 22).88 Parlando infatti di evangelizzazione del mondo, così si esprime “elle n’a jamais paru

aussi tragique, du fait qu’elle se pose désormais aussi, et de plus en plus, dans les milieuxjadis chrétiens et constituent maintenant les aires de déchristianisation ou de catholicisme pu-rement sociologique.”; ASCOV III/VI, 703 (richardus cleire – n. 12). cfr. anche 828 (Paulus leoseitz – n. 60).

89 ex dictis eruitur quod in schemate de Missionibus solummodo agi debet de territoriisMissionum…[…] non est qui ignoret magnam esse contentionem inter theologos, canonistaset missiologos ubi agitur de definitione scientifica missionis.Quidquid autem sit de talibus opi-nionibus circa definitionem scientificam de missione, ad finem pastoralem concilii tantum-modo interest definitio practica scilicet definitio talis quae conveniat cum praxis s.c.P.F….”;ASCOV III/VI, 811-812 (Albertus gaudentius ramos – n. 53).

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il contenuto dello schema, pur esprimendo soddisfazione per l’illu-strazione del legame missione-chiesa, numerosi padri conciliari in-contravano però una certa difficoltà a raccordare tutti gli elementiimplicati nel tema della missione. la lettura dello schema aveva for-nito l’occasione per una riflessione più generale, di fatto schiudendoalla coscienza del concilio una maggiore consapevolezza delle pro-prie incertezze. È certo che i Padri conciliari desiderassero l’indica-zione del fondamento dottrinale della missione, al contempo peròsi mostravano abbastanza diffidenti verso la teologia ravvisandoviuna sterile frammentarietà di posizioni: a qualcuno pareva preferi-bile un approccio pratico, ad altri stava invece bene un riferimentoalla dottrina. In relazione a tali auspici, si potrebbe quindi affermareche, in questa fase della redazione del futuro decreto, per quantosi fossero compiuti dei progressi, molti punti permanevano nebu-losi. Indubbiamente la definizione giuridica offriva una maggioresicurezza, con un aggancio forte al diritto, una maggiore garanziadi univocità, che in fondo poteva concretamente aiutare a chiariretanti problemi quotidiani, mentre la teologia pareva troppo astratta,troppo frammentaria nelle sue risposte. d’altra parte, il fatto di averreclamato un’impostazione più teologica, alternativa alla primis-sima versione dello schema, dimostra che i Padri conciliari concor-davano circa l’insufficienza di un’illustrazione prettamentecanonistica, giudicata inadatta ad inglobare tutte le implicazioni ine-renti la missione della chiesa. si può perciò affermare che la primaapparizione dei principi dottrinali rappresentò un progresso, manon ancora il punto di arrivo della riflessione conciliare, che eviden-temente necessitava di tempi supplementari per arrivare a com-porre una solida definizione teologica di missione.

3.5. L’omissione dei principi dottrinali nello Schema Propositio-num

lo schema ridotto a tredici proposizioni, poi diventate quattor-dici, non poteva perciò che suscitare malcontento al punto da in-durne il ritiro. Uno dei motivi di insoddisfazione concerneva propriolo stralcio del capitolo primo, quindi l’omissione dei principi dot-trinali, demandati al De Ecclesia, in particolare a lg 13, 16 e 1790.Una finalità eminentemente pratica, solo per “determinare alcuniprincipi che reggono l’attività e la cooperazione missionaria”, non

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90 cfr. “relatio super schema propositionum”, in ASCOV III/VI, 341 (s.lokuang).

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poteva trovare sostegno tra i Padri conciliari91. nella sua Relatio dipresentazione dello schema, s.lokuang aveva ricordato all’Assem-blea che, nonostante le richieste dei Padri conciliari, affinché lacommissione elaborasse una definizione di missione, la disparitàdi opinioni era stata tale da aver indotto gli estensori dello schemaad evitarne una92.

la Relatio svela in proposito un dettaglio, non secondario, rela-tivo alla prima proposizione, l’unica – come dicevamo poc’anzi - conqualche contenuto dottrinale ed incentrata sulla necessità della mis-sione: la commissione aveva reputato “necessaria una dichiarazionesolenne sulla necessità della missione”: tutto ciò in risposta a quantiavevano preso a dubitarne interpretando in modo strumentale le af-fermazioni contenute in lg 16, sulla salvezza dei non cristiani93. laprima proposizione, pur essendo molto sintetica, costituiva perciòuna presa di posizione molto netta contro un’interpretazione im-propria della parola conciliare, di cui i teologi che avevano parlatoa Bombay costituivano prova evidente94.

lo Schema propositionum non conteneva altre indicazioni di ri-lievo dottrinale. Molto interessante si rivela la lettura sia degli in-terventi scritti prima della discussione in Aula, che di quelli orali,compiuti dai padri conciliari in occasione delle fatidiche sedute delnovembre 1964. Fu proprio la pressione esercitata da questi inter-venti ad indurre la svolta risolutiva verso la riscrittura dello schema,a scapito dello Schema propositionum, verso il quale i commentierano lapidari. Il Vescovo di Fulda era stato tra i primi a criticare

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91 “necessarium ergo haec sancta synodus aestimat quaedam principia statuere quae acti-vitatem et cooperationem missionalem ecclesiae regant”; “schema propositionum de ActivitateMissionali ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 327 (proemium).

92 “liceat praemittere plures Patres definitionem quandamde Missionibus in schemate ex-pectavisse. de facto etiam in commissione talis necessitas sentiebatur. Attamen, eam non dan-dam esse statuit, quia ipsi docti de ea nimis discrepant. In ipsis sessionibus pluries et prolixediscussa fuit, et conclusum est definitionem evitare….” ; “relatio super schema Propositio-num…”, in ASCOV III/VI, 342.

93 “et non desunt qui ex hac veritatem perperam deducunt: ad quid ergo in eorum evange-lizatione insudare? Ad huic falsae deductioni radices absumendas, censuit commissio de Mis-sionibus, necessariam esse etiam solemnem declarationem de necessitate Missionis, ne zelusmissionarius in clero et in populo, et praesertim in iuvenibus ad hoc opus vocatis, frigescat.”;“relatio super schema Propositionum…” in ASCOV III/VI, 342.

94 I teologi di Bombay nelle loro conclusioni ufficiali avevano affermato: “Assuming thefact that non-christian can be saved in their own non-christian religions – a fact which hasbeen explicitly declared in the constitution on the church…”; neUner, Christian Revelation, 22I, 4. Questa asserzione rappresentava una forzatura evidente del testo di lg 16.

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l’assenza di un riferimento teologico95. I vescovi indonesiani, tuttiin blocco, esprimevano anch’essi il proprio malcontento, lamen-tando che l’attività missionaria della chiesa fosse stata oggetto “sol-tanto di qualche proposizione” – e chiedendo polemicamente seessa non appartenesse “essenzialmente alla struttura della chiesa”.Questo disagio appare anche nello scritto di un gruppo di padri con-ciliari, di cui però non si menziona il nome. essi criticavano che laquestione sull’attività missionaria della chiesa fosse stata “ridottaallo schema delle proposizioni”. In allegato, questo gruppo avevainviato anche un commentario per favorire la comprensione delloschema, precisando però di aver tratto materia dal precedenteschema De Missionibus, pur se adattata al nuovo assetto. Interes-sante notare che, nonostante questo adattamento, non si fosse ri-nunciato ad includere in questo commentario i principi dottrinali96.

È altrettanto interessante analizzare le rimostranze espresse vivavoce in Aula: interventi di singoli padri come pure di delegati digruppi molto consistenti.97 Una cospicua pattuglia di padri conciliariindiani, proprio in quanto vescovi in terra di missione, esprimevala propria contrarietà per il drastico ridimensionamento delloschema, ridottosi ad un mero elenco di proposizioni98.

Uno degli interventi più incisivi appare, ancor oggi, quello delcardinal Frings, di Köln: persuaso che la “res missionaria…tanto es-senziale alla chiesa” non potesse essere risolta in poche proposi-zioni, chiedeva la presentazione di un nuovo schema, theologicumet practicum, da presentare nella prossima quarta sessione del con-cilio. egli si diceva portavoce del desiderio di molti vescovi africanie di alcuni missionari e superiori generali99. sulla scia di Frings e del

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95 “Praesertim velim adnotare varia inveniri in schemate, de quibus non una est inter teo-logos sententia, varia porro ei inesse, quae a missionariis nonnisi aegre ferentur.” ASCOV III/VI,926 (Adolfo Bolte – n. 8).

96“Animadversiones scripto exhibitae quoad schema Propositionum de Activitate missionaliecclesiae ante disceptationem in aula”, in ASCOV III/VI, 949 (conferentia episcoporum Indo-nesiae n. 29), 952 (Quidam exc.mi PP. conciliares n. 30).

97 Anderson fornisce un dettagliato quadro degli interventi e delle rimostranze espressedai padri conciliari in questi tre giorni di discussione: cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatologyof the Paschal Mystery, 54-82.

98 ASCOV III/VI, 428 (laurentius trevor Picachy – n. 1)99 “res missionaria, secundum meum iudicium humile, est tam essentialis ecclesiae et tanti

momenti, tam absolute quam in hodiernis adiunctis, ut paucis propositionibus absolvi nonpossit, sed oporteat ut proprium et integrum schema perficiatur, theologicum et practicum, etut hoc schema proponatur quartae huius sacri concilii sessioni. hoc etiam fervens desideriummultorum episcoporum Africae et ceterarum missionum, et superiorum generalium. rogo hu-

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folto gruppo da lui rappresentato si erano accodati molti altri: tuttilamentavano l’assenza nello schema di un’adeguata trattazionedella teologia della Missione100.

4. La svolta del nuovo schema

4.1. Il superamento della visione canonistica

nel suo articolo sui fondamenti teologici della missione in Ag, ildomenicano Y.congar ha confermato che da parte dei Padri conci-liari era andata maturando la necessità di fondare teologicamentel’attività missionaria della chiesa101. Per comprendere dobbiamo perun istante tornare ad un dettaglio della storia del decreto: si è dettoche lo schema finale, immediato prodromo di Ag, giunse alla suaredazione definitiva a fine maggio 1965. Approvato dal Papa, erastato subito inviato ai padri conciliari in vista della discussione pre-vista in Aula per l’autunno dello stesso anno. dagli Acta non sievince a sufficienza l’intensità dello scontro prodottosi in seno allacommissione De Missionibus nei mesi precedenti né che quelloschema costituiva la vittoria definitiva dei teologi sui canonisti, que-sti ultimi sostenuti dal Presidente il card. Agagianian di PropagandaFide.

A rivelarlo è quello che, all’inizio del nostro studio, definivamocome il terzo strato delle fonti, quelle private dei singoli protagoni-sti, in particolare il diario di congar: in data 20 novembre 1964, ilteologo domenicano esprime un giudizio lapidario nei confronti diAgagianian. costui aveva tentato di scalzare la sua nomina tra i treesperti della sottocommissione di nemi per inserire quella del ca-nonista reuter:

“1) […] ed ora Agagianian mi esclude e vuole, al mio posto reuter…[reu-ter] è un puro canonista, che è nella linea della congregazione e d’Aga-gianian. 2) la congregazione ed il cardinale hanno questa idea: la

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militer ut hoc desiderium impleatur.”; ASCOV III/VI, 374 (Ioseph Frings - Archiepiscopuscoloniensis n. 1).

100 dal mondo missionario stesso si elevava questa richiesta. emblematico a riguardo è l’in-tervento del vescovo X. geeraerts, dei Padri Bianchi, in rappresentanza di ben 75 vescovi mis-sionari.“theologia quaedam de missione in presenti schemate deest…”; ASCOV III/VI, 431(Xaverius geeraerts – episcopus tit. laganitanus – n. 2). Vedi anche altri interventi in merito:cfr. ASCOV III/VI, 534-535 (Anicetus Fernandez – Magister generalis o.P. – n. 31).

101 congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 134: “dabei war der Wunsch einer großenzahl von Konzilsvätern deutlich geworden, die Missionstätigkeit der Kirche theologisch zu bre-gründen.”

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missione è questione di territorio.[…] essere in stato di missione, per lachiesa, questo equivale a sostenere Propaganda; […] Agagianian miesclude perché non vuole un nuovo schema, teologico ed orientato altri-menti,…[…] ora, perché cambiare (= i periti) diceva (= Agagianian) perchéportarne degli altri, perché il Padre congar? Perché una delle richiestefatte al De Missionibus è che abbia un fondamento teologico. ora, il Padrecongar è stato alla commissione teologica, al De Ecclesia…..” 102.

Il 29 marzo 1965, sempre trattando del nascente schema e delleresistenze in seno ad una parte della commissione, congar repli-cava in modo allusivo alle rigide posizioni del cardinale scrivendo:

“si deve definire la o le missioni mediante il loro oggetto o il loro fine.non sono dei territori, ma degli UoMInI: coloro che non conoscono il cri-sto o non credono in lui.”103

Parole che testimoniano il protrarsi di uno scontro che sembravanon trovare fine: dalle fasi primordiali del dibattito perdurava lacontrapposizione tra canonisti e teologi, ma anche tra PropagandaFide, col suo ruolo egemone, ed il resto della commissione che le siopponeva. l’omissione del contenuto teologico nello Schema delleProposizioni aveva segnato un punto a favore dei canonisti, al con-trario, il successivo rifiuto dello stesso Schema costituiva un puntoa favore per i teologi: perciò, è tanto più comprensibile che si ten-tasse di impedire l’inserimento di Padre congar nella triade dei pe-riti della sottocommissione. si trattava, in un certo senso, di unultimo estremo tentativo di scongiurare una illustrazione teologicadi missione. Infatti, la presenza di congar nel gruppo e, più in ge-nerale, il prevalere dei teologi sui canonisti, avrebbero condotto alsuperamento del concetto di missione come territorio, a favore diuna impostazione definitivamente dottrinale. leggere il diario dicongar consente di rintracciare la linea voluta dai Padri conciliari:benché costoro fossero consapevoli dell’esistenza di grandi diver-genze tra i teologi, non di meno ritenevano che compito precipuodel concilio non fosse tanto quello di regimentare giuridicamentele missioni, bensì di illustrarne e provarne il fondamento dottrinale.si trattava di un obiettivo primario, urgente, proprio a motivo deldiffondersi di correnti di indirizzo relativista, sia in seno alla teolo-gia che nella missiologia. nel suo Journal, il 29 marzo 1965, congarriporterà anche l’esito delle votazioni effettuate in sottocommis-

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102 congAr, Mon journal du concile II, 287 (vendredi 20 novembre 64).103 congAr, Mon journal du concile II, 352 (lundi 29 mars 65).

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sione: con una maggioranza schiacciante i suoi membri rifiutanol’ipotesi di una definizione puramente territoriale della missione(20 contro 1) ma anche l’esclusione totale dell’idea territoriale dimissione (20 contro 1)104. Un complesso equilibrio nel cui quadroprende forma l’ultimo schema del futuro decreto.

4.2. I Principi dottrinali nella Relatio al nuovo Schema

nonostante nello schema De Missionibus fossero stati già presen-tati i principi dottrinali a fondamento della missione e nonostantegià in essi si fosse insistito sull’essenza missionaria della chiesa (Ec-clesia sua natura missionaria est), il capitolo confezionato dal lavorocompiuto nella prima metà del 1965 presentava una sua originalitàrispetto ai tentativi passati. non si trattava di una mera riproposi-zione di quanto scritto in passato sul tema. la Relatio al nuovoschema, quello finale, presentata dal generale Verbita I. schütte, per-mette di individuare le motivazioni profonde che stanno alla basedel nuovo testo, quindi anche del suo capitolo iniziale, sui principidottrinali. nella casa di nemi schütte aveva avuto modo di assisterein prima persona alle discussioni che avevano accompagnato la re-dazione del testo: la sua presentazione è dunque tanto più pre-ziosa105. Il fascicolo della Relatio venne distribuito ai Padri conciliariil 29 settembre 1965: dal testo si evincono tre importanti dettagli:

a) rifacendo integralmente il primo capitolo sui principi dottri-nali, si volle dotare il futuro documento di un “solidum fundamen-tum theologicum”, che negli schemi precedenti era risultatoinadeguato: si era dunque accolto pienamente il desideratum del-l’Aula. A quei Padri conciliari, che ritenendo sufficiente l’esposi-zione di tale fondamento in lg 16 e 17 non ravvisavano la necessitàdi un ulteriore approfondimento nel futuro decreto, schütte repli-cava che quei numeri della costituzione dogmatica in realtà eranoancora “troppo generici” (nimis generalia)106;

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104 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 353 (lundi 29 mars 65). In effetti, dalla lettura deldiario di congar si apprende che non mancarono, neppure in sede di commissione, tentativi perriportare l’approccio entro il quadro di una visione territoriale e canonistica. congar, ancora indata 24 marzo 65, menziona “un attacco” ordito dai detrattori di questa svolta (ibidem, 348 [mer-credi 24 mars 65]): “Il paraît qu’une attaque est préparée, pour la réunion de nemi, par les missio-logues patentés qui se sont fixes sur une conception territoriale et juridique de la Mission, alorsqu’une ecclésiologique conciliaire demande une conception dynamique: ne pas tant voir les terri-toires et les organisations quel es buts vivants, les situations et les tâches qui leur correspondent.”

105 “relatio super schema decreti de Activitate Missionali ecclesiae”, in ASCOV IV/III, 699-707 (I. schütte).

106 “nec sufficiens est ad hoc ad constitutionem de ecclesia appellare (cap. II, nn. 16-17),

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b) del fondamento dottrinale delle missioni si erano voluti porrein rilievo tre aspetti essenziali107:

N l’origine trinitaria della missione.N la dimensione ecclesiologica della missione.N l’articolazione della nozione di missione.

c) riguardo alla definizione di missione, I. schütte sottolineavacome, sia in seno alla sottocommissione che alla commissionestessa, pur se attraverso un’animata discussione, si fosse pervenutia delineare una notio Missionis communiter acceptabilis108. Partendodalla dimensione ecclesiologica della missione si era quindi arrivatia dare la seguente definizione:

“ciò che designiamo col nome di ‘Missioni’ non sono se non il peculiareesercizio della ‘missione’ universale della chiesa, che attiene alla suastessa essenza, ed è espressione necessaria della sua missione salvificauniversale e della sua funzione vitale soprannaturale ”109.

È qui evidente la distinzione chiave, tra missio e missiones. sottola prima accezione del termine, al singolare, confluisce il contenutoteologico con i riferimenti dottrinali fondanti, mentre il concetto alplurale designa l’esercizio della missione universale della chiesa(exercitium universalis ‘missionis’ ecclesiae), la sua espressione (ex-pressio). Infine, per activitas missionalis s’intende la peculiare formaesecutiva del mandato (mandati peculiaris forma exsecutionis ergapopulos vel coetus non credentes), la cui declinazione varia a se-conda del contesto110.

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cum ibi exposita, quantumvis bona, pro fundamento theologico schematis de Missionibusnimis generalia sunt”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.

107 “ex theologica autem fundatione activitatis missionalis educi debet:1) missionis ecclesiaeorigo trinitaria….2) Missionis aspectus ecclesiologicus….3) clara ac distincta notio Missionisin toto schemate observanda…”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.

108 “circa hoc problema, primum in subcommissione (5 Patres et 6 Periti), dein in plenaria,orta est ampla et viva disceptatio, donec paulatim opinionibus expolitis, notio Missionis com-muniter acceptabilis statui potuerit.”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.

109 “Quod nomine ‘Missiones’ designamus, non sunt nisi peculiare exercitium universalis‘missionis’ ecclesiae, quae ad ipsam essentiam ecclesiae pertinet, et est expressio necessariamissionis eius salvificae universalis eiusque functionis vitalis supernaturalis.” “relatio superschema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.

110 “Inde in schemate, post sublineatam indolem Missionis hierarchicam in ipsa MissioneApostolorum fundatam, delineatur Missio ecclesiae universaliter sumpta iuxta quatuor causas.deinde progredimur ad activitatem missionale, stricte dictam, quae est unius huius missionisseu mandati peculiaris forma exsecutionis erga populos vel coetus nondum credentes, diversaiuxta diversas condiciones, quarum praecipuae sunt inceptio et plantatio, dei novitas seu iu-

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la ratio dell’attività missionaria trova la sua giustificazione ul-tima non solo nella necessità di procurare la salvezza agli uominida evangelizzare, quanto nello stesso proposito salvifico di dio,assunto fedelmente da cristo111. Il riferimento ultimo all’econo-mia salvifica di dio si presenta perciò perfettamente congruentecon l’impostazione adottata per i primi numeri di Lumen Gen-tium.

4.3 La reazione dell’Aula nelle Orationes Patrum

nel corso della congregazione generale n. 157, il 9 novembre1965, venne così distribuito in Aula il fascicolo contenente il textusprior ed il textus emendatus dello schema, ove si era provvedutoad integrare alcuni modi suggeriti dai padri conciliari. Il primo ca-pitolo presentava ritocchi circoscritti, come nel caso del n. 5 (Ec-clesia a Christo missa) che ora inglobava una piccola parte del n. 3(Missio Filii), finalizzati ad una migliore disposizione della materiao ad una più articolata esplicitazione di punti già indicati nelloschema originario. le modifiche più consistenti si trovano al n. 7(Rationes et necessitas missionalis activitatis) più direttamente im-plicato nella descrizione del rapporto missione della chiesa emondo non cristiano, in ossequio alla richiesta di numerosi Padriche auspicavano si dichiarasse in modo più energico la necessitàdella chiesa112.

Il testo dei principi dottrinali, così come era stato presentatonella versione originaria del nuovo schema, era evidentemente statoapprezzato dai Padri conciliari, come del resto si evince dalla letturadei discorsi tenuti in Aula ad ottobre, nonché dall’esame di alcuneloro animadversiones: la svolta impressa dal gruppo di nemi avevasortito evidentemente un effetto positivo.

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ventus, i.e. maturatio ecclesiae particularis.”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III,701-702.

111 “necessitas, immo summa urgentia operis missionalis….[…] Iam, ratio activitatis mis-sionalis non unice desumitur ex aeterna salute hominum evangelizandorum procuranda, sedmaxime deducitur ex illo proposito dei cui christus fideliter inservit.”; “relatio super schemadecreti”, in ASCOV IV/III, 702.

112 “totus numerus 7 in novam formam redactus est, quia quamplurimi Patres postulave-runt necessitatem activitatis missionalis pro salute hominum magis positive et multo fortiusdeclarari (ex gr. 1,52/65; 2, 51-57; 3, 111 s.; 6,20; 7, 115; 8, 163 etc.). Qua de causa nunc positiveex necessitate fidei ad salutem incipitur; constitutio de ecclesia, sicut multi postulaverant,verbotenus reassumitur et necessitas evangelizandi, quae ecclesiae incumbit, clare et fortiterexprimitur.” ; ASCOV IV/VI, 273 (V). Vedi per i dettagli MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”,(I), 391-396.

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Il patriarca maronita Meouchi, che pure aveva lamentato nelloschema un’impostazione prossima ad una “lectio academica mis-siologiae”, lodava il testo: molti altri Padri conciliari avevanoespresso medesimo apprezzamento per lo schema, limitandosi afornire alcuni suggerimenti atti a perfezionarlo in alcuni suoi pas-saggi113. negli interventi dei Padri conciliari si coglie quindi grandesoddisfazione, soprattutto in relazione alla parte dei fondamentidottrinali114. “laudanda imprimis est profunda et ampla explicatiofundamenti theologici activitatis missionalis…” dichiara in Aula ilcard. Frings di Köln, al cui seguito – non lo si deve dimenticare – viera il giovane perito ratzinger115. Più di cento vescovi africani ave-vano espresso il proprio consenso: considerando la passata insi-stenza su un approccio meramente pratico alla missione, essisembravano nel frattempo aver ridimensionato questa posizione,apprezzando l’equilibrio raggiunto tra la prima parte, dottrinale, ele altre di natura pratico-pastorale116.

la valutazione del testo dello schema non offriva solo l’oppor-tunità per compiere delle modifiche, ma anche per condivideremolti motivi di inquietudine, tanto nell’ambito ecumenico che inrapporto alle nuove tendenze teologiche. si chiedeva al futurodecreto un’esposizione chiara della dottrina cattolica sulla mis-sione, perché non fosse confusa col proselitismo dei fratelli se-parati117. si insisteva perché il documento fornisse una dottrinanetta in risposta a quelle correnti teologiche che in quello stessoperiodo teorizzavano una relativizzazione dell’urgenza comedella necessità della missione118. ed in effetti le poche modificheintrodotte nel primo capitolo dello schema, in vista della sua ap-provazione definitiva come decreto, segnano un deciso rafforza-mento della dottrina, soprattutto al fine di escludere ognipossibile compromesso o fraintendimento in senso, oggi si di-rebbe, relativista. le conclusioni del colloquio di Bombay rima-nevano un monito, anche a distanza di un anno dalla loroformulazione, ed i Padri conciliari volevano rispondere con deci-sione: la loro presa di posizione si concentra nei numeri 3, 7 e 9

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113 cfr. ASCOV IV/III, 709 (Paulus Petrus Meouchi – n. 9).114 tale soddisfazione si evince in interventi come quello del cardinal di Manila: cfr. ASCOV

IV/III, 712 (rufinus card. santos – n. 11) o dell’arcivescovo di Padernborn: 714 (laurentius card.Jäger – n.12). Vedi anche: 750 (radulfus Koppmann – n. 12).

115 ASCOV, IV/III, 739 (Ioseph card. Frings – n. 6). 116 cfr. ASCOV, IV/III 747 (Vincentius Mccauley – n. 11).117 cfr. ASCOV, IV/III, 710 (Iacobus card. Barros câmara– n. 10).118 cfr. ASCOV, IV/IV, 137ss. (Patrum Orationes) e 397ss (Animadversiones scripto exhibitae).

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dello schema, gli stessi del decreto promulgato119. È lo stessocongar a ricordarlo, spiegando Ag 7120.

4.4. Il ruolo dei teologi

nell’ultima fase del processo redazionale, si è andato stagliandoil ruolo di due teologi, membri del ‘gruppo di nemi’: Y.-M. congar eJ. ratzinger. Il 29 dicembre 1964, il domenicano annotava nel suodiario di aver appena terminato di battere a macchina e rivedere unprogetto per la parte teologica del nuovo schema121; in data 11 gen-naio 1965, ritornato a nemi, sempre congar ricordava ad attenderesul suo tavolo per la lettura vi erano alcuni “suggerimenti per loschema” pervenutigli da diverse persone e, soprattutto, “le Consi-derationes sul fondamento teologico delle missioni” di Joseph rat-zinger122. Il 1 febbraio 1965, ancora congar annotava nel suo diariodi aver incontrato schütte discutendo con lui la “parte teologica”del futuro decreto, “la mia”, puntualizzava significativamente123.congar ebbe dunque un ruolo decisivo nella stesura della parte dot-trinale, pur mostrandosi aperto ai suggerimenti del giovane ratzin-ger. Il primo aprile 1965, il teologo domenicano annotava, con unacerta soddisfazione, che proprio un testo di ratzinger, contenentela definizione dell’attività missionaria, era stato accettato dalla sot-tocommissione124. Quando corse voce di un possibile nuovo tagliodei principi dottrinali, fu comunque congar a muoversi onde scon-giurarlo125.

Mesi dopo, il 19 ottobre un gruppo di revisione (groupe de révi-sion) si sarebbe riunito a nemi per un’ulteriore messa a punto delprimo capitolo: esso era composto da lokuang, congar e ratzin-

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119 ne abbiamo dato approfondita disamina in MorAlI, “grazia, salvezza e religioni secondola dottrina del concilio Vaticano”, (I), 384-396.

120 “the Fathers wished to give first place to, and to affirm absolutely, the necessity of thechurch. likewise, several asked that two propositions be condemned. the first was that whichthe press had presented as the conclusion of the congress held in Bombay in 1964: the thesisthat the various other religions of the world are also ordinary means of salvation”; congAr,“the necessity of the mission ‘ad gentes’”, 158.

121 “J’achève ce matin à 10 h. de taper et de réviser un projet de activitate missionali eccle-siae, I. Pars theologica.” congAr, Mon journal du concile II, 295 (29.XII.64).

122 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 295 (mardi, 12.1.65).123 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 309-310 (lundi, 1er février 1965).124 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 356 (jeudi, 1er avril 65).125 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 362 (29 avril 65). congar era stato avvisato di

questa eventualità, nell’imminenza della riunione della commissione di coordinamento previ-sta nel mese di maggio.

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ger126. Il loro lavoro dovette rivelarsi difficile, perché osservazioni erilievi arrivavano poco per volta. Altre analoghe sedute avevanoavuto luogo anche dopo, ad esempio, il 12-13 novembre, per l’esamedei modi e l’expensio modorum del capitolo I. ed anche in questafase, ratzinger è al fianco di congar, lavorando con lui a pienoritmo127.

È piuttosto chiaro, quindi, che nella fissazione di questo primocapitolo di natura dottrinale i due teologi hanno avuto un significa-tivo ruolo, sebbene congar per fama ed età abbia certamente avutoquello preminente128. Per altro, lo stesso teologo domenicano, nellapagina del suo diario conciliare datata 7 dicembre 1965, giorno dellapromulgazione del decreto, aveva composto l’elenco dei testi con-ciliari, più direttamente frutto del suo contributo: tra questi eglimenzionava il De Missionibus (intendendo Ad Gentes) e, a propositodel capitolo I, egli scriveva “sont de moi de A à Z, avec emprunts àRatzinger pour le n°8”129.

4.5. Il capitolo I di Ad Gentes

nella versione finale dello schema, così come poi nel decreto, sesi eccettua il breve proemio (n. 1), il capitolo sui principi dottrinalidella missione appare diviso in 8 sostanziosi numeri, ciascuno deiquali illustra un aspetto peculiare di questo fondamento dogma-tico130: il proposito salvifico di dio Padre (n. 2), la missione del Figlio(n. 3), quella dello spirito santo (n. 4), l’invio della chiesa da partedi cristo (n. 5) , l’attività missionaria come tale (n. 6), le ragioni del-l’attività missionaria (n. 7), l’attività missionaria nella vita e nellastoria degli uomini (n. 8), il suo carattere escatologico (n. 9)131.

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126 cfr. congAr, Mon journal du concile II, 440-441 (mardi, 19 octobre 65).127 l’11 novembre congar scrive nel suo diario conciliare : “on se met toute de suite au tra-

vail après distribution de notre lot de modi: ratzinger, lokuang et moi”, nella cronaca delgiorno seguente egli invece annota: “nous finissons (avec ratzinger seul: lokuang est partihier à 16 h) l’expensio modorum du chap. I. tout est fini à 16 h. ratzinger recopiera tout.”;congAr, Mon journal du concile II, 472 (vendredi, 12.XI.65; samedi 13.XI.65).

128 sempre nel suo diario, in data 31 marzo 1965, congar scrive così di ratzinger: “hereu-sement qu’il y a ratzinger. Il est raisonnable, modeste, désintéressé, d’un bon secours…”;congAr, Mon journal du concile II, 355-356 (mercredi 31 mar 1965).

129 congAr, Mon journal du concile II, 511 (mardi 7 décembre 65).130 cfr. ASCOV IV/III, 664-669.131 non ci sembra questa la sede per un commento analitico del I capitolo di Ag. Il presente

studio ha mirato soprattutto ad illustrare il significato essenziale dell’opzione conciliare nelvolere un primo capitolo interamente dedicato ai principi dogmatici della missione. ci limi-tiamo quindi ad alcune considerazioni di insieme sul contenuto dei singoli numeri, facendosovente riferimento all’autorevole spiegazione di congar.

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nell’illustrare il proposito salvifico di dio e nel porre l’accentosulla dinamica cristologico-trinitaria del disegno salvifico il decretomostra evidenti parallelismi con i primi numeri di lg132.

spiegando i numeri 2-4 del documento, congar affermava che inessi si rinveniva un ‘trattato De Deo’ ed insieme una dottrina dellemissioni divine a dimostrazione del versante missiologico dell’ec-clesiologia133. la chiesa appare coinvolta in questo movimento cheprocede da dio, è parte di esso134. In seno alla riflessione cristologicadel n. 3, cristo è l’inviato (missus) per eccellenza. come sempre con-gar rileva, l’invio di cristo è ben altro che il semplice invio di unmessaggero, egli è infatti più di un profeta: l’invio di cristo è un’In-carnazione135.

riguardo al n. 4, il numero illustra nelle sue diverse articolazionil’opera dello spirito, intimamente connessa a quella del Padre e dicristo evidenziando anche che tutta la storia della missione è storiadell’azione dello spirito santo136. la densità di questo numero è taleche si potrebbe considerare forse la pagina più significativa dellapneumatologia conciliare.

nota congar che, a partire dal n. 5, le pagine che seguono spie-gano l’invio della chiesa nella sua estensione, inquadrando l’attivitàmissionaria rispetto a dei riferimenti fondanti137. È qui che si pos-sono apprezzare le motivazioni per le quali occorreva nel decretouna trattazione ad hoc su chiesa e missione: “la prospettiva di AdGentes – chiariva congar – non è proprio la stessa di Lumen Gen-tium”. A differenza dell’accento riposto sull’ontologia della graziae sulla struttura gerarchica della chiesa, note specifiche della co-stituzione dogmatica, il decreto doveva invece evidenziare la chiesa

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132 cfr. Ag 2-4 e lg 2-4.133 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 134–135.134 “die Kirche ist missionarisch durch ihren Ursprung und ihre natur selbst, da sie das

eine wie das andere aus der Bewegung epfängt, durch die gott sich einer schöpfung mitteilt –eine Bewegung, die sich in den sendungen des sohnes und des heiligen geistes verwirklichtund so ihren Ursprung in der Mitteilung des lebens der innertrinitarischen hervorgänge hat.die Kirche ist in ihrem tiefsten und innersten grund Bewegung der Mitteilung, bis alles erfülltist, was berufen ist, das leben zu empfängen.”; congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”,137.

135 “…sie (= die sendung christi) ist eine Inkarnation…”; congAr, “theologische grundle-gung (nr. 2-9)”, 141.

136 congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 143.137 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 144.

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come “oggetto di un incarico”, mentre gli Apostoli sono i primi sog-getti di questo compito138 .

In questo denso capitolo vengono toccati i temi dell’ecumenismoe del rapporto chiesa-religioni, due relazioni non sovrapponibili.l’ecumenismo trova spazio nel n. 6: il concilio riconosce all’attivitàmissionaria la prerogativa di concorrere al perfezionamento del-l’unità cattolica, benché non si rivolga di primo acchito a fedeli giàcristiani139. del resto, il concetto di missione è inapplicabile in am-bito ecumenico, proprio perché la missione della chiesa si rivolgeprioritariamente a non battezzati. d’altra parte, l’ecumenismo nonè totalmente disgiungibile dalla missione della chiesa, laddove lachiesa si confronti con realtà come le sette, che pur non riconduci-bili in alcun modo alla chiesa fondata da cristo e dagli Apostoli, siautodefiniscono cristiane140.

Il numero 7 del decreto affronta più direttamente le ragioni e lanecessità del mandato missionario, toccando da vicino la scottantequestione del rapporto con i non cristiani. congar sia nel suo com-mento che nell’articolo postumo del 2002 ha ribadito un concettofondamentale, come determinazione dello stesso concilio: i padriconciliari vollero sottolineare la necessità della chiesa, a fronte ditesi oltranziste, come quelle diramate dal congresso di Bombay; sivolle inoltre prendere posizione, sebbene in una forma assai sfu-mata, rispetto alla tesi del cristianesimo anonimo, specie in consi-derazione delle degenerazioni che essa, già in quei primi anni, stavasubendo da parte di altri teologi141.

con ciò – spiega ancora congar – il concilio non volle condannareo precludere la strada alla complessa questione di una ‘teologiadelle religioni non cristiane’, intese semmai sancire dei principi in-derogabili, fissare dei criteri dottrinali entro i quali proseguireun’eventuale ricerca teologica su un tema tanto complesso142. tale

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 83

138 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 144.139 Il testo dell’ultimo schema così affermava: “Itaque differt activitas missionalis apud gen-

tes, tam ab activitate pastorali erga fideles exercenda, quam ab inceptis suscipiendis ad unita-tem christianorum redintegrandam. Attamen duo haec cum missionali navitate ecclesiaearctissime coniunguntur.”; ASCOV IV/III, 667.

140 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 160-161.141 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 163.142 “nevertheless, it did not take up, either to condemn or to negate, the very difficult ques-

tion of a ‘theology of the non-christian religions’. It has need of study: there is a need for thetime and freedom required by a question so complex and, at least in its present dimensions,rather new.”; congAr, “the necessity of the mission ‘ad gentes’”, 159.

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ricerca non avrebbe mai potuto prescindere da queste determina-zioni come da quelle delineate in lg 16 e 17.

gli ultimi due numeri del capitolo (n. 8 e 9) trattano temi speci-fici: il primo dei due numeri si pone in continuità con la sottolinea-tura antropologica di Gaudium et Spes (= gs), il secondo costituisceun chiaro riferimento alla pienezza di senso che l’attività di missio-naria promuove143: la finalità escatologica costituisce una compo-nente essenziale dell’attività missionaria della chiesa. “le Missioni– scrive congar – partecipano al grande ‘marana atha!, il signoreviene – o anche signore vieni!, che la chiesa dice”. Il teologo dome-nicano ricorda come non sia da considerare casuale la collocazionedi questo numero alla fine del capitolo dei principi dottrinali: in que-sto modo, esso si chiude con un orientamento alla cattolicità dina-mica e con una significativa dossologia144.

C. Il De Principis doctrinalibus significato ed attualità

1. Alcune considerazioni di carattere generale

1.1. Missione, missioni ed attività missionaria

lo studio della genesi del decreto ha evidenziato un aspetto im-portante: durante il processo redazionale si è prodotta gradual-mente l’esigenza di differenziare anche terminologicamente ilivelli implicati nella riflessione: il livello teologico, indicato colsingolare missione, quello canonistico evocato col plurale missioni-territorio, quello pratico-pastorale richiamato con l’espressionecomposta di attività missionaria. tre livelli ovviamente non sovrap-ponibili, emersi con l’accantonamento definitivo della prospettivainizialmente predominante, quella dei canonisti: come spiegava lostesso congar, ridimensionando il peso della concezione canoni-stica di missione non si era voluto mettere in discussione l’egidadi Propaganda Fide sui territori: “si trattava quindi, di dare al Fattoterritoriale uno spazio, senza qui definire le missioni a partire daesso”145. occorreva esibire in primo luogo il perché della missione,

84 IlArIA MorAlI

143 cfr. concIlIUM VAtIcAnUM II, constitutio pastoralis de ecclesia in mundo huius temporisGaudium et spes (7 dicembre 1965): [www.vatican.va].

144 congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 171.145 “Bestimmte territorien sind der Propaganda-Kongregation unterstellt und einem beson-

deren recht unterworfen. es ging also darum, dem territorialen Faktum einem raum zu geben,

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le ragioni dottrinali che ne giustificano necessità ed importanza.l’approccio al tema partendo dalle missioni come territorio, ten-denza che inizialmente sembrava destinata a prevalere, o limitatoal solo versante pastorale dell’attività, come nel successivo SchemaPropositionum, aveva mostrato la sua intrinseca insufficienza, per-ché l’indole missionaria della chiesa non si spiega né con motiva-zioni prettamente giuridiche e tanto meno con altre di indirizzopastorale. le ragioni della missione sono di matrice dottrinale, af-fondano nella scrittura, nella tradizione e nello stesso Magistero.Il decreto costituisce quindi l’esito di un percorso che, pur nellasua lunghezza e lentezza, ha comunque condotto ad una compren-sione del tema assai più ampia di quanto non si fosse inizialmenteprospettato.

si aggiunge un’altra osservazione: scorporando l’attività mis-sionaria, come operatio, dalla missione come principio dottrinale,il concilio offre una precisa criteriologia per l’agire storico dellachiesa come pure per la sua riflessione missiologica: i metodidell’operare missionario nella storia possono cambiare, in base allecircostanze di tempo e di luogo, non però il fine e le ragioni dellamissione, che, indicate da cristo, testimoniate dalla tradizione cri-stiana ed insegnate dalla chiesa, mantengono una permanente va-lidità. Pertanto, in questo modo si afferma implicitamente ancheche, se le motivazioni addotte per la missione, da una determinatateologia o da una chiesa locale, escludono o ridimensionano l’im-portanza anche solo di uno tra i principi dottrinali, l’attività non èpiù espressione della missione della chiesa, ma un’attività qual-siasi. la necessità di annunciare il Vangelo, la necessità della con-versione a cristo, come del battesimo non sono valori negoziabilima fondanti la missione, anche laddove non sussistano le condi-zioni per operare un’attività di predicazione e la possibilità di con-versione. l’accezione dottrinale di missione quindi ‘norma’ edispira la prassi, non è l’attività ed il contesto a poter determinarela validità o relatività dei principi della fede. In questo senso, lascelta di porre ad incipit di un decreto un capitolo di natura dot-trinale sottolinea l’intenzione, da parte dei padri conciliari del Va-ticano II, di spiegare ed allo stesso tempo difendere e preservarela natura missionaria della chiesa ed il senso autentico del suooperare nel mondo.

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 85

ohne dabei die Missionen von ihm aus zu definieren. das tut der vorliegende text.”; congAr,“theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 149.

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1.2. L’apporto dei Teologi: una preparazione remota

Il giorno della promulgazione di Ad Gentes, il 7 dicembre 1965,congar era rimasto in disparte, seduto nel settore degli osservatori,assistendo alla lettura dell’inizio e della fine dello schema, come unsemplice spettatore di quella giornata straordinaria. la sera stessatuttavia compilando per sè la lista di testi conciliari che lo avevanovisto tra gli attori principali, scriveva a commento: “servi inutilessumus”146. È una definizione che riflette perfettamente l’umiltàdell’uomo e che ben si attaglia ai molti altri periti che con lui con-tribuirono alla riuscita del concilio. A parte il giovanissimo ratzin-ger, la maggioranza tra loro apparteneva a quella generazione che,tra gli anni trenta e cinquanta, si era resa protagonista di ungrande rinnovamento della teologia: un tempo di forte fermentoecclesiale ed intellettuale, durante il quale la salus infidelium avevarappresentato uno dei nodi centrali della discussione, in connes-sione ad altri temi tra i quali proprio quello della necessità dellamissione e della chiesa. se si vaglia la letteratura di questi decenni,non vi è considerazione sul significato delle missioni che non abbiaimplicato riflessioni di natura ecclesiologica o in connessione aiprincipali trattati della dogmatica cattolica, come il De Gratia e ilDe Fide.

l’ambito francofono è certamente tra i più sensibili a questo ge-nere di problematiche147. All’inizio degli anni Quaranta, il gesuitahenri de lubac, parlando del mandato di cristo attestato nei Vangelied in Atti degli Apostoli, scriveva che esso è “la carta di fondazionedella chiesa”, e che “questi medesimi testi sono anche la carta difondazione delle missioni”148. nei suoi numerosi interventi pre-con-

86 IlArIA MorAlI

146 congAr, Mon journal du concile II, 511 (mardi 7 décembre 65).147 Moltissime sono le pubblicazioni che testimoniano l’interesse e la discussione sul signi-

ficato della missione, tra queste ricordiamo: “thèses fondamentales de thèologie missionnaire.Actes du IIe congrés national de l’Union Missionnaire du clergé de France (4-8 septembre)”,Supplément à la Revue de l’U.M.C.F. (1933); et. hUgUenY, “le scandale édifiant d’une expositionmissionnaire”, in Revue Thomiste 38/76,78-79 (1933): 217-242; 533-567; l. cAPérAn, “la missionde l’eglise et les missions dans le plan providentiel du salut”, in L’U.M.C.F. 21/4 (1945): 172-179; 22/1-2 (1946): 21-28, 65-72; h. de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941et 1946),” in Théologie dans l’histoire (Paris: desclée de Brouwer 1990), 159-219; A. dUrAnd, LeProblème théologique des Missions (Paris: le Puy-Mappus 1942). Vedasi anche alcuni nostristudi: I. MorAlI, La salvezza dei non cristiani. L’influsso di de Lubac sulla dottrina del VaticanoII, (Bologna: eMI 1999); Salus infidelium: sondaggio storico su un tema classico in La salvezzadegli altri. Soteriologia e religioni, Atti del XIV Corso di Aggiornamento, roma 29-31 dicembre2003. A cura di M. gronchI (cinisello Balsamo [Mi]: san Paolo 2004), 23-50.

148 h. de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941 et 1946),” in Théologie dansl’histoire (Paris : desclée de Brouwer 1990) 161 (testo completo delle due conferenze: 159-219).

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ciliari congar stesso concorse all’elaborazione di una nuova eccle-siologia, di cui il tema della missione costituisce parte integrante149.l’ostracismo patito dal teologo domenicano, come del resto da delubac stesso (entrambi poi chiamati come periti al concilio), fu so-prattutto causato dalla difficoltà di comprendere la loro aperturaspeculativa: per rispondere alle grandi questioni che interrogavanola chiesa e la sua missione, essi ritenevano di dover superare talunirigidi schemi tradizionali di pensiero per un’illustrazione della fedealla luce delle sue fonti, ma in dialogo col pensiero contemporaneo.ritenevano che la tradizione fosse un tesoro da riscoprire150. neglianni Quaranta, spiegando la novità di questo orientamento, J. da-niélou aveva tentato di far capire ai detrattori della nouvelle Théo-logie, come intento primo di questa nuova tendenza non fossequello di “adattarsi alla moda del momento” bensì di “rispondereai bisogni delle anime dei nostri giorni”; tale risposta doveva essererinvenuta nella Fede e nel suo patrimonio, senza chiudersi apriori-sticamente al confronto col pensiero contemporaneo151. la matura-zione di una riflessione conciliare sulla missione è anch’essaavvenuta nel quadro di una riscoperta della tradizione e del pen-siero cristiano, proprio grazie ai teologi di questa generazione delnovecento teologico. essi mostrarono come, in una riflessione difede, il passato non sia mai nemico del presente: la teologia elabo-rata nel corso dei secoli è ancora in grado di offrire luci alla ricercaattuale della chiesa, senza per altro impedire alla teologia odiernadi intraprendere nuovi sentieri. ciò che colpisce nella sintesi espo-sta con i principi dottrinali in Ag è la continuità tra passato e pre-sente, come l’attualità e vitalità della tradizione nel fornire elementiper un’esposizione sulla missione della chiesa nel tempo odierno.non è un caso quindi, che, commentando i primi numeri del decretodi Ag, congar abbia indicato senza timore, come base dell’ecclesio-logia missionaria, la teologia delle missioni divine dei grandi sco-lastici del XIII secolo152.

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149 c. BereA, Il pensiero teologico di Yves Congar sulla definizione della missione nel periodopre-conciliare, (documenta Missionalia 34 - roma: Pontificia Università gregoriana 2009).

150 Per un’interessante disamina delle difficoltà che caratterizzarono il cammino di questagenerazione di teologi, destinata a predisporre la grande svolta conciliare cfr. ét. FoUIlloUX,Une Église en quête de liberté: la pensée catholique française entre modernisme et Vatican II(1914-1962) ,(Paris: desclée de Brouwer 1998).

151 cfr. J.dAnIéloU, “les orientations présentes de la pensée religieuse”, in Etudes 249 (1946):5 (testo completo : 5-21).

152 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 135.

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gianni colzani ha giustamente osservato che il maggiore contri-buto al decreto provenne non già da missiologi di professione, mada teologi, e che il concilio, grazie a questo straordinario retaggiodi studi e dibattiti da loro favorito nei decenni pregressi, poté cosìavviare “una faticosa rilettura del pensiero missionario della chiesa,un discernimento dei cinquant’anni di cammino della missiologiaalla luce di un’importante tradizione apostolica…”153. Il primo capi-tolo di Ag con le sue 23 note, gravide di riferimenti a scrittura, tra-dizione e Magistero, testimonia il rigore del metodo teologico colquale lo si compose e per il quale lo si ritenne idoneo ad esprimerela Fede.

Il coinvolgimento di alcuni tra i migliori teologi dell’epoca, comecongar e ratzinger, nella redazione di questa parte del decreto,non deve tuttavia portare a concludere che esso sia il prodotto diuna determinata teologia. A differenza dei Padri conciliari, i peritinon hanno avuto alcun potere deliberativo nella dinamica del per-corso redazionale dei documenti del Vaticano II: più semplice-mente, essi sono stati dei fedeli servitori del Magisteroconciliare154. Vi è da dire che non vi fu solo una forte e proficuainterazione tra Padri conciliari e teologi, ma anche tra i teologi e ilpapa Paolo VI, che non esitava a comunicare a periti le proprieobiezioni. Il 28 marzo 1965, ad esempio, con una “pagina in ita-liano” il Pontefice si era rivolto a congar a proposito del nascenteschema del decreto, rimproverando che la “nozione e definizionedella missione” fossero state riferite “al Popolo di dio, e non al-l’apostolicità, alla missione dei dodici ed alla gerarchia”. dal cantosuo, il domenicano, pur replicando nelle sue note personali di nonaver affatto inteso escludere questi aspetti concependo “un Popolodi dio strutturato”, ciò non di meno annotava l’intenzione di met-tere mano al testo al fine di precisarlo nel senso auspicato dal Pon-tefice155. Fu dunque in virtù di tale osmosi, tra teologia eMagistero, nelle sue diverse declinazioni, che presero forma questepagine del decreto.

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153 g.colzAnI, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico delle chiese: 1945-2007,(cinisello Balsamo [Mi]: edizioni Paoline 2010), 41, 76.

154 congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, Istruzione Donum veritatis sulla vocazione ec-clesiale del teologo, n. 40: “Pur essendo la teologia ed il Magistero di natura diversa e pur avendomissioni diverse che non possono essere confuse, si tratta tuttavia di due funzioni vitali nellachiesa, che devono compenetrarsi ed arricchirsi reciprocamente per il servizio del Popolo didio. ”; [www.vatican.va].

155 congAr, Mon journal du concile II, 349 (dimanche, 28.3.65).

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1.3. Unicità della dottrina, pluralità delle opinioni teologiche

Arriviamo perciò ad un altro punto decisivo: per leggere il primocapitolo di Ag occorre avere in chiaro la distinzione che corre tradottrina e teologia. ricostruendo l’iter redazionale del documentosi è infatti rilevato come fossero state anche le profonde divergenzeteologiche sulla definizione teologica di missione a condizionare erallentare il cammino. l’improvvisa accelerazione che subì la scrit-tura della forma definitiva dello schema non si deve al raggiungi-mento di una visione teologica univoca. commentando il problemadel dissenso tra i teologi, congar scriveva: “Una definizione? nellarealtà molte scuole hanno dato diverse definizioni”156. rispetto alpluralismo di opinioni ancora esistente nella Teologia della missione,dissenso che in un primo momento aveva indotto a ritenere la no-zione canonistica come l’unica via percorribile, il concilio non inteseentrare nel merito. la vera priorità era altra. si trattava di puntualiz-zare la Dottrina della missione, indicando i principi dogmatici chene sono l’articolazione. Il concilio – come scrive congar - “dovevaassai più presentare, come già le encicliche papali avevano fatto, unagenerale, apartitica, sintetica eppure ben definita dottrina”157.

l’insistenza dei Padri conciliari per un’esposizione dottrinale, aprescindere dalle diatribe teologiche, mostra bene ancor oggi la ne-cessità di accostarsi alla lettura di questo primo capitolo senza con-fondere i due livelli: quello della dottrina rispetto a quello dellateologia. Il concilio ha esposto la dottrina, fissando così anche unacriteriologia precisa per la riflessione teologica, cui spetta il compitodi continuare ad approfondire le grandi questioni legate alla missionesenza venir meno al dettato di Fede. come ha sottolineato congar:

“ogni approccio alla questione (= la ragione per le missioni) deve inclu-dere questi elementi: il disegno e la volontà di dio riguardo alla salvezzadegli uomini, la carità che cerca di provvedere tutti dei mezzi di salvezzae ad un’abbondanza di vita”158.

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 89

156 “Eine definition? In Wirklichkeit haben mehrere schulen verschiedene definitionen…”;congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 151.

157 “natürlich konnte sich das dekret Ad Gentes nicht auf den Boden der schultheorien stel-len; es mußte vielmehr, wie es bereits die enzykliken der Päpste getan hatten, eine allgemeine,unparteiische, synthetische und doch gut definierte lehre vorlegen.”; congAr, “theologischegrundlegung (nr. 2-9)”, 152.

158 “Any approach to the question must take into account these elements: the design andwill god with regard to the salvation of humankind, the charity which seeks to provide for allthe means of salvation and an abundance of life.”; congAr, “the necessity of the mission ‘adgentes’”, 156-157.

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si noti quel ogni: esso sta a significare che, qualsiasi sia la tesiteologica che si proponga, essa deve essere formulata in conso-nanza ai principi della Fede. Il concilio non ha dunque inteso bloc-care il dibattito in teologia, né fermare la ricerca, ma indicare icriteri di un corretto approccio alla missione in ambito cattolico.

le Considerationes di J. ratzinger, membro della commissionedi nemi, testimoniano la densità dei temi dottrinali di cui il de-creto avrebbe dovuto dare una chiara e puntuale esposizione. ladistinzione da lui proposta tra fundamentum primum e i funda-menta secundaria missionis esplicita l’articolazione del dato rive-lato: la “missio Filii a Patre” sta al centro del primo fondamentoche ratzinger definisce cristologico ed inseparabilmente anche tri-nitario159. Il concetto chiave, in riferimento a cristo, è del restoquello di missus: “christus est essentialiter ‘missus’”, pertanto“tota cristologia in ideam ‘missionis’ reduci potest”. Quanto allapersona del Padre, egli è “qui mittens Filium seipsum dat mundo”.dal livello cristologico-trinitario si giunge logicamente a quello ec-clesiologico: “In ecclesia…haec missio Filii continuatur”: la stessachiesa, in quanto corpo di cristo, è missa, inviata, come cristo.Pertanto, come si legge ancora nelle Considerationes , “Missio etactivitas missionalis in intima essentia christologica et trinitariaecclesiae fundatur”160. I fondamenti secondari della missione sonoinvece, per ratzinger, la testimonianza alla verità divina da partedella chiesa, che detiene una missione universale; l’obbedienza alVerbo ed al suo mandato. la missione è da comprendersi (intelli-genda) anche come signum eschatologicum, perché i destinataridell’annuncio sono invitati alla salvezza, che non si identifica coni beni mondani. come si legge ancora nelle Considerationes ratzin-geriane, “locus quidam principalis pro tota theologia missionali:gentiles veniunt, ut Iesum videant…hora missionis venit”; ed an-cora: “missio fit, ut gloria et potestas dei appareant in mundo, mis-sio fit, ut deus adoretur”. la salvezza degli uomini costituisceperciò il “vero fondamento” dell’attività missionaria161. Per ratzin-

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159 “Qua de causa fundamentum hoc christologicum inseparabiliter etiam trinitarium est.”J. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”, in CentroVaticano II - Studi e Ricerche VI/1 (2012): 30 (pagine complete del testo: 30-34).

160 cfr. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”,30.

161 rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”, 30-31.

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ger, l’opus missionum costituisce l’esecuzione dell’economia di-vina. Il soggetto dell’attività missionaria è invece la chiesa nellasua totalità162. Anche le Considerationes di ratzinger rimandanoquindi al cuore della motivazione missionaria e ne illustrano va-lore e contenuto163. le Considerationes di ratzinger costituisconotuttavia solo le annotazioni di un teologo, che si sforza di com-prendere la Fede: egli è a servizio del Magistero, cui invece spettala prerogativa di fissare la dottrina.

2. Un decreto pastorale o dottrinale?

Queste ultime osservazioni portano inevitabilmente a chiedersiquale valore complessivo abbia voluto conferire il concilio al de-creto Ag, quanto peso effettivo detenga questa prima parte di na-tura dogmatica nell’economia del documento, considerandol’indirizzo più pratico e pastorale degli altri capitoli che seguono.come si è visto, i Padri conciliari concepirono questo primo capitoloper sottolineare il fondamento dogmatico della missione: sarebbeperciò un errore reputare secondaria o puramente ornamentale eintroduttiva questa parte del decreto. ciò non di meno il doppio re-gistro, dogmatico e pastorale, rappresenta una novità. Prendendo aparagone un decreto parimenti conciliare come il De Justificationedi trento (1547), le differenze sono ancora più palpabili: il docu-mento tridentino è integralmente dottrinale, come conferma il con-tenuto dell’appendice sanzionatoria (canoni) che gli fa da corollario,mentre Ag non contiene definizioni dogmatiche e tanto meno ana-temi164.

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 91

162 cfr. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”,32-33.

163 ratzinger presenta indica anche una “summa praedicationis missionariae” il cui conte-nuto ruota attorno a tre punti essenziali: la predicazione della fede cattolica, la conversione edil dono della grazia “Missionis est totam fidem praedicare…duo ergo sunt themata essentialia:Metanoia (‘poenitemini’) et eu-angelion (regnum dei adveniens), i.e. iudicium et gratia.[…] Prae-dicatio missionaria hominem facit seipsum ut peccatorum cognoscere et sic eum in con-ver-sionem (meta-noia) induc it; deinde ei gratiam sanantem in christo donatam et sic responsumfidei, spei et caritatis excitat”. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicummissionis ecclesiae”, 31.

164 cfr. concIlIUM trIdentInUM, sessio VI (13.Ian. 1547), Decretum de Iustificatione. Canonesde iustificatione: ds 1551-1583 (canones 1-33).

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2.1. Magistero pastorale e dottrina

Per capire la peculiarità di Ag occorre allora considerare un det-taglio importante: aprendo il Vaticano II, giovanni XXIII aveva au-spicato un esame più ampio ed approfondito dell’insegnamentocristiano al fine di esporlo secondo le esigenze dettate dai tempi,onde renderlo più intellegibile. già in tale circostanza, tuttavia, ilPapa aveva ribadito l’immutabilità della dottrina e la necessità diprestarvi assenso fedele165. nel discorso di chiusura dell’Assise, incontinuità col suo predecessore, Papa Paolo VI avrebbe per altroconfermato questa linea sottolineando che il Magistero del concilio,“non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche”, aveva miratoa “farsi ascoltare e comprendere da tutti ricorrendo allo stile dellaconversazione”166.

si può ragionevolmente dedurre che la coesistenza dell’elementodottrinale e di quello pastorale in uno stesso documento costituiscela traduzione concreta di questi intenti espressi dai Pontefici. l’as-senza di anatematismi o di definizioni dogmatiche in Ag non signi-fica però che il contenuto dottrinale sia secondario, rispetto allapreoccupazione pastorale: i principi che stanno alla base della mis-sione della chiesa ispirano ed orientano la pastorale, la motivano e

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165 PAPA gIoVAnnI XXIII, Solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (giovedì, 11 ot-tobre 1962) n. 4.5: “Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamentocristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla to-gliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattuttonegli atti dei concili di trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata piùlargamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come au-spicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorreche questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia ap-profondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il depositodella Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modocon il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.”;[www.vatican.va].

166 PAolo VI, Allocuzione del Santo Padre in occasione dell’ultima Sessione pubblica del Con-cilio Vaticano II (martedì, 7 dicembre 1965): “Ma una cosa giova ora notare: il magistero dellachiesa, pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso ilsuo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienzae l’attività dell’uomo; è sceso, per così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando la au-torità e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale; ha desi-derato farsi ascoltare e comprendere da tutti; non si è rivolto soltanto all’intelligenzaspeculativa, ma ha cercato di esprimersi anche con lo stile della conversazione oggi ordinaria,alla quale il ricorso alla esperienza vissuta e l’impiego del sentimento cordiale dànno più at-traente vivacità e maggiore forza persuasiva: ha parlato all’uomo d’oggi, qual è.”; [www.vati-can.va].

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la giustificano. nel post-concilio, si è invece spesso pensato che,dato l’indirizzo pastorale del concilio Vaticano II, lo spazio delladottrina fosse per ciò stesso da considerarsi marginale. Questa in-terpretazione è certamente condizionata dalla scelta, sbagliata a pa-rere di chi scrive, di contrapporre pastorale a dogmatico. Una talecontrapposizione denota tra l’altro una scarsa comprensione del si-gnificato stesso del dogma in seno alla Fede cattolica, atteggiamentomutuato assai più da un certo antidogmatismo tipico del nostrotempo, che dalla conoscenza effettiva dell’originario senso e fun-zione del dogma in seno alla cattolicità ed alla sua storia167 . d’altraparte, questa lettura unilaterale del concilio come concilio pastorale,nel senso di opposto a dogmatico, quindi anche al modello triden-tino, presenta una contraddizione di fondo: come allora spiegareche un concilio pastorale abbia voluto promulgare due costituzionidogmatiche, sulla rivelazione e sulla chiesa, concependole come ilperno attorno al quale far ruotare tutti gli altri documenti?

2.2. Modello tridentino e novità di AG

tornando al confronto tra il modello tridentino di decreto ed Ag,è opportuno ricordare che col decreto De Justificatione si mirò in-nanzi tutto a descrivere in modo chiaro la dottrina cattolica pun-tualizzando alcuni specifici punti di Fede minacciati dall’eresia. lapresentazione precisa della dottrina per i punti oggetto di contro-versia era una priorità168. I canoni, posti dopo, ripropongono o com-pletano in forma negativa il contenuto dei capitoli169.

Altra è stata la situazione in cui ha preso forma il decreto sul-l’Attività missionaria della Chiesa, che però rappresenta il primopromulgato da un concilio sulla missione: Ag offre un’esposizione

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167 Per la comprensione del concezione cattolica di dogma restano tuttora utili i saggi di K.J. BecKer, “zur Bedeutung des Wortes dogma”, in Gregorianum 57 (1976): 307–350; 659–701.l.F. lAdArIA, “che cos’è un dogma? Il problema del dogma nella teologia attuale”, Problemi eprospettive di Teologia Dogmatica (Brescia: Queriniana, 1983), 98-119. Vedasi inoltre: c.t.I.,“l’interpretazione dei dogmi” (1990): [www.vatican.va].

168 recita del resto il proemio del decreto De Justificatione: “sacrosanta oecumenica et ge-neralis tridentina synodus…exponere intendit omnibus christifidelibus veram sanamque doc-trina ipsius justificationis […] ne deinceps audeat quisquam aliter credere, pradicare autdocere, quam praesenti decreto statuitur ac declaratur.”; ds 1520.

169 cfr. A.MIchel, “histoire du concile de trente”, in ch.J.heFele-h.leclerQ, Histoire desConciles t . X/I, (Paris: letouzey et Ané 1938), 79: “le décret se présente, après un petit pream-bule en guise d’introduction, avec seize chapitres, suivis de trente-trois canons. ceux-ci, commel’indique expressément le concile, ne font que reprendre ou compléter sous une forme négativele contenu de ceux-là.”

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articolata che rispecchia l’intenzione conciliare di una rivisitazioneglobale della dottrina e di un aggiornamento della sua esposizionenel quadro di una nuova ecclesiologia, in risposta alle istanze deltempo.

tra i due decreti sussiste dunque un’oggettiva diversità di con-testo e di finalità immediate. sarebbe però improprio ritenere il de-creto Ag meramente pastorale, per il fatto che la dottrina siconcentra soprattutto nel primo capitolo o perché il concilio nonha formulato condanne. Per l’indole dogmatica del primo capitolo,si potrebbe invece coerentemente dire che quella specifica parte deldecreto nel suo contenuto dottrinale non è meno vincolante e nor-mativa dell’enunciato del decreto tridentino e ciò per due sempliciragioni:

a) da un lato, il legame tra la costituzione dogmatica LumenGentium ed il decreto: rispetto all’opinione secondo la quale bastaval’esposizione dottrinale di lg 16-17 sulla missione, prevalse neiPadri conciliari la convinzione che occorresse nel frattempo raffor-zare il fondamento dottrinale delle missioni con un’apposita espo-sizione nel decreto. Pertanto, il primo capitolo si colloca in strettarelazione con il De Ecclesia costituendo un approfondimento diquanto enunciato nella costituzione dogmatica.

b) la seconda ragione riposa nell’esplicita volontà dei Padri con-ciliari di volere che fossero posti in risalto i principi dogmatici afronte di tendenze teologiche che destavano inquietudine per le in-terpretazioni relativizzanti la missione e il suo fondamento dottri-nale. negare la natura missionaria della chiesa ed il fondamentodivino del dovere di annunciare il Vangelo, porre in dubbio la fina-lità della conversione a cristo costituiscono opzioni incompatibilicon la Fede della chiesa, indipendentemente dal fatto che la chiesad’oggi non ricorra ad anatematismi o a scomuniche nei confronti diquanti sostengono simili tesi. non è l’assenza di anatemi che rendeuna dottrina meno vincolante, né rende meno dannose alla fedequelle interpretazioni che, senza essere esplicitamente condannate,se ne discostano.

2.3. Rapporto tra dottrina e pastorale

Il confronto, qui appena accennato, tra la forma tridentina deldecreto e quella proposta dal Vaticano II in Ag, porta anche adun’altra considerazione, di natura più generale, sulla traduzione delrapporto tra dottrina e pastorale nei due concili. Al di là dell’esi-genza precipua di difendere la Fede contro l’eresia, la chiesa del

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concilio di trento fu anch’essa, né più né meno di quella del Vati-cano II, animata e spinta da una forte preoccupazione pastorale. sa-rebbe improprio pensare il contrario. non si deve infatti dimenticareche dai documenti e dalle determinazioni conciliari tridentine sca-turì la volontà di intraprendere riforme e cambiamenti strutturalinella pastorale. ne costituisce riprova la scrittura di un Catechismusad parochos170; come già osservava A.Michel, con esso la chiesa tri-dentina volle lanciare una pubblicazione popolare nelle varie linguea servizio dell’insegnamento, pubblicazione che funse da modelloper tutti i catechismi posteriori171. In questo testo si trovano con-densati e ‘tradotti’, in un linguaggio più adatto alla predicazione,molti aspetti della dottrina di trento. guardando alla vicenda delcatechismo, si potrebbe perciò dire che, nell’impostazione di trentola comunicazione pastorale della fede venne elaborata successiva-mente alla chiarificazione ed esposizione dottrinale, la cui necessitàera prioritaria; nel Vaticano II, ove vi era un’urgenza diversa, più di-rettamente pastorale, quella di una rivisitazione della Fede per unasua comunicazione più efficace, i Padri coniugarono insieme con-temporaneamente istanza dottrinale con quella pastorale. trento,del resto, ha per modello espressivo la formulazione dogmatica ti-pica di un Magistero nel suo esercizio dottrinale172; il Vaticano II hainvece quello della conversazione specifico del Magistero pastorale:il carattere ‘misto’ del decreto Ag, come pure della costituzione pa-storale gs costituiscono quindi la traduzione di questo modellonuovo. È però un dato che la novità di linguaggio e di approccio inAg, rispetto allo stile del modello tridentino, conduce inevitabil-mente alla questione tecnica, qui impossibile da affrontare, dell’in-terpretazione dei generi letterari dei documenti del concilioVaticano per la loro atipicità rispetto ai documenti promulgati dai

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170 “Quae cum ita sint, antequam ad esa singillatim tractanda accedamus quibus huius doc-trinae summa continetur, institutae rei ordo postulat ut pauca quaedam exponantur, quae pas-tores considerare sibique ante oculos proponere imprimis debent, ut sciant quonam, veluti adfidem, omnia eorum consilia, labores, studia referenda sint, quove pacto id quod volunt, faci-lius consequi et efficere possint.”; Cathechismus Romanus seu Cathechismus ex Decreto ConciliiTridentini ad parochos Pii Quinti Pont. Max. iussu editus, [editio critica; a cura di I. AdeVA,F. doMIngo, r. lAnzettI et M.MerIno], (città del Vaticano – Barañain – Pamplona : libreria editriceVaticana – ediciones Universidad de navarra 1989), 9 (9. 95-100)

171 cfr. A.MIchel, “histoire du concile de trente”, in ch.J.heFele-h.leclerQ, Histoire desConciles , t . IX deuxième partie, (Paris: letouzey et Ané 1931), 1010.

172 nella costituzione Pastor Aeternus è questa l’accezione di Magistero che viene trattata:cfr. concIlIUM VAtIcAnUM I, sessio IV (18 Iul.1870) Constitutio Dogmatica I ‘Pastor Aeternus deEcclesia Christi”: ds 3050-3075.

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concili precedenti. tanto l’espressione di magistero pastorale chequella di concilio pastorale rappresentano un proprium del VaticanoII: nell’accezione classica il magistero del Papa e del concilio sonosempre stati intesi in stretto rapporto con la funzione dottrinale eriguardano soprattutto la sfera del Magistero solenne. Il Vaticano Inon ha approfondito il tema del magistero pastorale, pur parlandodi munus pastorale173. riguardo invece al significato di magisteropastorale, così come emerge de facto dalle opzioni compiute nel Va-ticano II, sarebbe tuttavia riduttivo interpretarlo nel quadro dellaRegula pastoralis di gregorio Magno, solo come cura animarum174

e amministrazione dei beni della chiesa175. Il suo significato è piùampio e va rintracciato nella missio docendi omnes gentes et prae-dicandi omni creaturae attribuito ai vescovi come loro precipuocompito in lg 24176. In questa linea, a partire da giovanni XXIII, iPontefici che si sono succeduti fino ad oggi hanno inteso accentuarela dimensione pastorale del proprio esercizio: tale missio rispecchiaper altro lo stesso dettato della tradizione177. del resto, il concilio,che è apice espressivo della comunione episcopale, costituisce lamassima espressione di questa missione che connota il compito del

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173 “huic pastorali muneri ut satisfacerent, praedecessores nostri indefessam semper ope-ram dederunt, ut salutaris christi doctrina apud omnes terrae populos propagaretur, pariquecura vigilarunt, ut, ubi recepta esset, sincera et pura conservaretur.”; concIlIUM VAtIcAnUM I, Pa-stor Aeternus, cap.4 : ds 3069.

174 “Mentre mi volgo di nuovo a considerare i doveri del pastore, penso con quanta atten-zione egli debba cercare di essere esemplare nelle azioni, affinché mostri ai sudditi, con la vita,la via della salvezza, e il gregge, che segue la parola e il costume del pastore, avanzi meglioper gli esempi che per le parole.”; gregorIo MAgno, “lettera I 24”, in Lettere (roma: città nuovaeditrice 1996), 151.

175 “Mentre tornava (= saturnino) da noi dalla campania, è morto per una tempesta. noi di-sponiamo che tu ne cerchi la moglie e i figli, restituisca loro il ricavato delle cose vendute, ri-scatti quelle date in pegno, e vi aggiunga ancora qualcosa per il sostentamento, poiché fuMassimo a mandarlo in sicilia….cerca quindi di conoscere ciò che gli è stato sottratto e resti-tuiscilo, senza indugi, alla moglie e ai figli. […]. Fa leggere ai contadini in tutte le masse quelloche ho indirizzato per loro, perché sappiano come debbano difendersi, poggiandosi sulla miaautorità, contro la violenza. […] Vedi di eseguire integralmente ogni disposizione, perché è perquello che ti ho ordinato per la preservazione della giustizia (pro servanda iustitia).”; gregorIo

MAgno, “lettera I 24”, 211.176 lg: 24: “episcopi….missionem accipiunt docendi omnes gentes et praedicandi evange-

lium omni creaturae…”.177 “Apostoli nobis evangelii praedicatores facti sunt a domino Iesu christo”; 1cl 42:1-2

(Bibleworks 6); “Apostoli graece latine missi dicuntur”; BedA VenerABIlIs, “In lucae evangeliumexpositio II (vi 13) (Bedae Opera pars II,3 - ccsl cXX – turnholti: Brepols 1960), 132. Il magi-stero pastorale di gregorio Magno trova un’indiretta codificazione teologica in san tommasonel suo Quodlibet III, q. 4 a. 1 ad 3 (Magisterium cathedrae pastoralis).

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Papa e del collegio episcopale: il suo fine pastorale è richiamatodallo stesso Vaticano II178.

la comparazione dei due decreti non può quindi risolversi sem-plicisticamente in una contrapposizione tra dogmatico e pastorale:occorrerebbe invece approfondire teologicamente il rapporto cheoggi sussiste, in questo stile nuovo di linguaggio introdotto col con-cilio Vaticano II, tra funzione dottrinale di magistero e ciò che co-munente si definisce magistero pastorale, considerando soprattuttolo sviluppo che quest’ultimo ha conosciuto nel post-concilio179.

come si può vedere, lo studio del primo capitolo di Ag offre ma-teria per considerazioni che vanno anche al di là del decreto, tutta-via indispensabili alla comprensione stessa del documento nelle suediverse parti, quindi, ancora una volta del senso profondo della mis-sione della chiesa.

3. Il De principiis doctrinalibus nel quadro di questioni odierne

le preoccupazioni che indussero i Padri conciliari a rafforzare ilcontenuto dottrinale del decreto possono considerarsi definitiva-mente superate, a quasi cinquant’anni di distanza dalla promulga-zione di Ag? ci pare utile dedicare quest’ultima parte del nostrostudio alla disamina di questo importante interrogativo.

3.1. Concezioni emergenti ed interpretazione del Concilio

non è qui la sede per un vaglio completo di tutto ciò che si èscritto in questi decenni sulla nozione conciliare di missione e suitemi ad esso attigui (la salvezza dei non cristiani, ad esempio)180.

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178 decretum de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965)12: “Quapropter haec sacrosancta synodus, ad suos fines pastorales renovationis internae ec-clesiae, diffusionis evangelii in universo mundo, necnon colloquii cum mundo hodierno attin-gendos, vehementer hortatur omnes sacerdotes ut, aptis adhibitis mediis ab ecclesiacommendatis, ad illam semper maiorem sanctitatem nitantur, qua evadant in dies aptiora in-strumenta in servitium totius Populi dei.”; [www.vatican.va].

179 l’urgenza di intraprendere un’adeguata riflessione sull’odierno esercizio della funzionemagisteriale, a fronte dei cambiamenti radicali che sembrerebbero essersi prodotti in questianni, è stata posta in evidenza anche recentemente: cfr. g. roUthIer, “Une révolution qui obligeà repenser l’exercice de la fonction magistérielle”, in Lumen Vitae 59/1 (2014): 21–31.

180 riguardo al tema della salvezza dei non battezzati rimandiamo a quanto da noi scrittoin passato: vedasi ad esempio K.J.BecKer – I.MorAlI, Catholic Engagement with Worldreligions:A Comprehensive Study, (Faith Meets Faith - new York: orbis Book 2010).

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non di meno meritano attenzione alcuni recentissimi interventi ap-parsi in concomitanza alle celebrazioni nel cinquantesimo anniver-sario dal Vaticano II: la loro lettura offre uno spaccato emblematicodi opinioni e tendenze che vanno affermandosi oggigiorno in mate-ria di missione e di recezione delle istanze conciliari.

3.1.1. Voci odierne sulla missione

In un articolo apparso poco tempo fa sulla rivista Japan MissionJournal (l’unica pubblicazione cattolica di lingua inglese in giap-pone), J.Panadan ha utilizzato alcuni passi conciliari a ‘giustifica-zione teologica’ della possibilità per un cristiano di una “doppia omolteplice identità religiosa”181. sempre a proposito del Vaticano II,questa volta in ambito ispanofono, la rivista Misiones extranjeras hadedicato un intero numero alla missio ad gentes: vi si descrive losviluppo avviato dal concilio fino al recente Sinodo sulla nuovaevangelizzazione (2012). del fascicolo ci interessa soprattutto unsostanzioso contributo di Paolo suess pubblicato nella sezione de-dicata agli ‘studi’ ed incentrato sull’apporto del concilio182.

l’autore sottolinea la svolta prodottasi nel modo di concepire lamissione, tema che egli ritiene centrale nel quadro della trasforma-zione del rapporto chiesa-mondo. egli compie così una serie di af-fermazioni molto peculiari: a) soprattutto sulla base di lg 16 enostra Aetate 2 (= nA), egli sostiene che il Vaticano II avrebbe apertoal “riconoscimento salvifico delle religioni non cristiane” e che la di-stinzione tra battezzati e non battezzati non consisterebbe più nelpossesso della salvezza183; b) nel concilio si sarebbe perciò prodotto

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181 cfr. J.PAnAdAn, “the Phenomenon of double/Multiple religious Identities: A MissiologicalProblem or Prospect?”, in The Japan Mission Journal 67/4 (2013): 231-241 (vedere in particolarepagina 237).

182 cfr. P. sUess, “Para una Iglesia versus populum: Memoria y Proyecto. la propuesta mi-sionera del Vaticano II revisada en el cincuentenario de su apertura”, in Misiones extranjeras,257 (2013): 607-633. suess, di origine tedesca, risiede in Brasile è in passato ha rivestito la ca-rica di presidente dell’Asociación Internacional de Misionología (IAMs)

183 sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 618: “ la humanidad entera, fieles bautizadosy auténticos seguitores de otras religiones y visiones del mundo, pueden conseguir la salvacióneterna’, Para todos, la salvación no es un derecho ni un privilegio. será siempre gracia de dios.toda la humanidad está en una caminata de ‘préparación evangélica’ (lg 16) a servicio de launidad para que sea históricamente construida. lo que distingue a los bautizados de los nobautizados no es la ‘posesion de la salvación, sino el imperativo de la misión”; 626: “el plan dela salvación abarca también a aquellos que reconocen al creador”, muchas veces, en religionesno cristianas que ‘reflejan fulgores de aquella Verdad quei lumina a todos los hombres” (nA2b).de nadie que busca ‘ al dios desconocido en sombras e imágenes, dios está lejos” (lg 16a).esa afirmación significa un reconocimiento salvífico de las religiones no cristianas”.

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un passaggio “dal monologo salvifico al dialogo interreligioso”. Af-ferma perciò suess che, a fronte di un modello tradizionale di mis-sione (vengono citati Francesco saverio e Antonio Vieira) motivatodalla convinzione che “il mondo dell’altro, del non cattolico, è unmondo senza grazia”, approccio - egli spiega - ispirato dalla bollaCantate Domino (1442), il Vaticano II, con lg 16 e gs 22, avrebbeinvece introdotto dei “cambi sostanziali” (cambios sustanciales)184.sempre secondo l’autore, una tale svolta avrebbe prodotto varieconseguenze anche per l’interpretazione stessa del concetto di mis-sione: non più una “missio ad gentes” bensì “inter gentes”, para-digma che corrisponderebbe “allo spirito del Vaticano II”: unamissione che “rompe il monopolio di una chiesa che invia missio-nari a una chiesa che li riceve”. Queste ultime affermazioni sonoaccompagnate da un esplicito riferimento alle posizioni di un autoreasiatico, Jonathan tan: suess ne sposa convintamente le tesi colle-gando l’emersione di questo nuovo modello di missione al “contestodel pluralismo religioso in Asia…contesto di dialogo con le religioni,le culture e i poveri”. Pertanto, suess concorda con tan nell’affer-mare che “la teologia della missione della FABc può definirsi teolo-gia della missione inter gentes”185.

Proprio di recente, lo stesso J.Y.tan, l’autore citato da suess, si èpronunciato sulla recezione di Ag con un articolo apparso sulla ri-vista teologica indiana Vidyajyoti186. In esso egli ha sostenuto che la“teologia della missione” del decreto rispecchierebbe la visione ti-pica del missionario europeo: portare cristo ai non battezzati epiantare la chiesa in mezzo ai popoli187. In luogo di questa conce-zione, ‘troppo occidentale’, tan ritiene si debba assumere quella cheegli riconduce alla Federation of Asian Bishop’s Conferences (FABc):

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184 cfr. sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 625-626.185 sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 627: “la misión ‘ad gentes’, en su sentido tra-

dicional, hoy, de hecho, es ‘misión inter gentes’, entre Iglesias locales y comunidades. el para-digma de la ‘misión surgió en el contexto del pluralismo religioso de Asia, donde vive más del60% de la humanidad. es un contexto de diálogo con las religiones, las culturas y lo pobres. lateólogia de la misión de la FABc puede sintetizarse como teólogia de la misión inter-gentes”.

186 cfr. J.Y.tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, in Vidyajyoti Journalof Theological Reflection 77 (2013): (I), 506-521; (II), 692-710.

187 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 706-707: “…the council Fa-thers focused on the why, what and for whom of mission, trying to justify the need for mission,the contents of mission, and the outcome of mission. this is not surprising, as Ad gentes seeksto articulate a mission theology from the perspective of the missionaries from europe seekingto bring christ to the unbaptized (Ag 8) and ‘planting of the church among those people andgroups where she has not yet taken root’ (Ag 6)”.

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secondo tan, la FABc, pur condividendo col concilio la necessitàdell’impegno missionario, avrebbe infatti concepito un modello al-ternativo a quello rappresentato dalla “conquista dell’Asia post-co-loniale” e dalla “costruzione trionfalistica del cristianesimo sulsuolo d’Asia”188. In altri termini: tan pensa che il testo conciliare siail prodotto di una concezione ‘coloniale’ di missione, quindi distampo tipicamente occidentale, e che oggi invece sia necessario as-sumere il modello proposto negli scritti della FABc. Il suo studioverte inoltre a dimostrare che la FABc avrebbe superato il concilioportando però “a logica conclusione” alcune sue affermazioni intema di presenza e azione del Verbo e dello spirito nelle altre reli-gioni189. tan rimprovera tra l’altro al Vaticano II una mancata com-prensione della specificità della missione in Asia: pur non negandol’importanza della proclamazione del Vangelo, egli ritiene che “peressere veramente asiatici e a casa propria nel contesto asiatico, i cri-stiani d’Asia siano chiamati alla sfida (challenged) di abbracciare ladiversità religiosa e la pluralità dell’Asia post-coloniale…”190. se-condo l’autore, il modello di “evangelizzazione attiva integrale” ri-specchierebbe perciò l’attuazione pratica delle opzioni operate dallaFABc a livello teologico: tale modello risponderebbe appieno al con-testo e allo stile dei cristiani d’Asia. nell’articolo si rimanda ad altristudiosi sostenitori di queste medesime posizioni191.

A proposito di nuove concezioni di missione, anni prima, nel2008, sempre la rivista indiana Vidyajyoti, aveva ospitato un saggiodi r.lazar, autore che proponeva la ‘mutua evangelizzazione’, comemodello alternativo a quello tradizionale. Il cristiano in Asia non

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188 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization, (II), 707: “In practical terms,while the Asian catholic Bishops accept the necessity of the task of mission in the Asian milieu,they also realize that this does not mean that they are called to conquer the postcolonial Asianworld in the name of a triumphant christ, or build a triumphalistic christendom on Asian soil.”

189 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization, (II), 695: “…the FABc has ex-tended Vatican’s cautious statements in gs 22 and Ag 4…[…]. In other words, the FABc hastaken the proposition that is made both in gs 22 and Ag 4 to its logical conclusion when itperceives the religious traditions of Asia as ‘expressions of the presence of god’s Word and ofthe universal action of his spirit in them’…”.

190 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 710: “In the final analysis,to be truly Asian and at home in the Asian milieu, Asian christians are challenged to embracethe religious diversity and plurality of postcolonial Asia, while at the same time propheticallychallenging and purifying its oppressive and life-denying elements in the name of christiangospel”.

191 si trovano citati tra gli altri personalità notorie come M. Amaladoss, ed. chia, F. Wilfred,P.J. Phan.

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potrebbe avanzare alcuna pretesa di verità rispetto a dio, poiché in-tolleranza ed esclusivismo sono inconciliabili con la vocazione dellachiesa in Asia in un contesto religioso pluralista192. secondo l’au-tore, la missione di un cristiano asiatico dovrebbe quindi consisterein un mutuo scambio con i membri di altre religioni, per camminareinsieme, ciascuno per la sua via, verso la meta del divino concepitosecondo la propria rispettiva rappresentazione religiosa. Il dialogocon i membri di altre religioni è dunque tanto più necessario affin-ché il cristiano possa ricevere luci ed ulteriori verità dai suoi inter-locutori ed esser da costoro ‘evangelizzato’193. Vi è da ricordare chein un saggio dall’identico titolo incluso in un’opera collettiva dedi-cata al concilio Vaticano II, due anni prima lo stesso autore si eraper altro pronunciato con una propria esegesi dell’insegnamentoconciliare: citando in inglese nA 2 a corollario della propria opi-nione, lazar allora asseriva che il concilio aveva riconosciuto “chele differenti religioni sono raggi della verità che illumina ogniuomo”: in questo modo – a suo dire – il Vaticano II avrebbe abban-donato la pretesa di assolutezza in passato difesa dalla cristia-nità194.

Per quanto limitato e circoscritto, lo spettro di opinioni qui rie-vocate è sufficientemente emblematico di un possibile modo di par-lare oggi di missione e di interpretare contestualmente il dettatoconciliare. d’altra parte, non è da sottovalutare il fatto che questeposizioni siano espresse in seno a riviste cattoliche specializzate.non si tratta cioè di proposte isolate, di fogli parrocchiali o dioce-sani, ma di organi preposti alla pubblicazione di contributi scienti-fici: il fatto che con facilità questo genere di interpretazioni trovinoampio spazio in tali riviste costituisce un ulteriore punto su cui, anostro avviso, vale la pena di riflettere.

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192 cfr. r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, in Vidyajyoti Journal of Theo-logical Reflection 72/ 2 (2008): 131-149.

193 r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, 143: “A dire need of the hour is notto consider other religions as a threat but to recognize them as partners in a ‘mutual evange-lisation’ with the same goal but (maybe) with different means to arrive at the sublime unionwith the Almighty, which is the ultimate goal of any and every religion.” (testo completo dell’ar-ticolo:131-149).

194 cfr. r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, Glaube in der Welt von heute.Theologie und Kirche nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil, Bd 2. Diskursfelder (Würzburg:echter Verlag 2006), 322 : “christianity has come a long way form clinging to absolutistic claimsto the readiness to acknoledge that ‘different religions are rays of truth that illuminate all men’(nostra Aetate 2).” (testo completo dell’articolo: 319-338).

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3.1.2. Il Concilio sotto la penna di questi autori

comune denominatore di questi articoli, appena menzionati, è iltema della missione ed il ricorso al concilio. I testi conciliari ven-gono utilizzati con svariate finalità, tutte comunque funzionali allatesi difesa dai singoli autori: in positivo, la giustificazione di unatendenza sociale (la doppia appartenenza), la prova di una svoltadottrinale (l’avvenuto riconoscimento del valore salvifico delle reli-gioni o dei cosiddetti semina Verbi); in negativo l’attestazione evi-dente di una visione conciliare arretrata di missione, tipicamenteeuropea e occidentale. Alla supposta arretratezza del pensiero con-ciliare, alcuni di questi autori tendono a contrapporre la modernitàdi una determinata chiesa locale, la sua capacità di portare a com-pimento o di superare il concilio sviluppando alcune sue intuizionirimaste latenti nei documenti, la sua vitalità concependo un modellodi evangelizzazione alternativo a quello della missio ad gentes, pro-posto dal concilio con Ag. rispetto a questo modo di utilizzare ilconcilio, ci permettiamo alcuni rilievi:

a) Dal punto di vista metodologico: si può osservare come l’uso deitesti del concilio da parte di questi autori sia caratterizzato da errori,pur nella variabilità di argomenti e motivazioni che ciascuno adduce:

N essi ricorrono a singole espressioni, dall’uno o l’altro testo con-ciliare, estrapolandole dal contesto della pagina e dello stessodocumento di riferimento;

N essi tendono a sottovalutare la differenza di genere letterariotra i documenti conciliari: ponendo in primo piano nA 2, nu-mero di una dichiarazione non dogmatica, o quello di gs 22,di una costituzione pastorale, e per contro omettendo o mini-mizzando, reinterpretando a modo proprio il primo capitolodi Ag, e lg 16-17. È con questa modalità che suess, ad esem-pio, sostiene che lg 16 tratta delle religioni: in realtà, questonumero tratta de non christianis e della loro salus – come recital’originale latino - vale a dire di persone, non di religioni (maimenzionate nel testo), ivi compresi i non credenti195;

102 IlArIA MorAlI

195 Il riferimento biblico di At 17 è da leggersi nel quadro dell’effettiva intenzionalità deiPadri conciliari, che era quella di parlare della possibilità della salvezza dei non cristiani, nondel valore delle loro religioni; nella sua disamina l’autore poi omette inspiegabilmente di citareAg 3, dove i Padri conciliari proprio al fine di evitare interpretazioni inappropriate di lg 16,hanno fornito un insegnamento netto e chiaro sugli ‘incepta religiosa’. si badi bene, neppurequi il concilio intese parlare di religioni, bensì di iniziative religiose, fatto questo che rendeestremamente prudente l’affermazione conciliare di Ag 3. estrapolando dal contesto il riferi-

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N essi considerano la dottrina conciliare alla stregua di un’opi-nione o tesi teologica, giustapponibile ad altre, a volte conte-stabile e accantonabile;

N essi spesso esibiscono traduzioni erronee o forzate dei testiconciliari il cui significato risulta gravemente deformato, quasisempre a favore della tesi che l’autore intende sostenere contale citazione. costituisce un caso emblematico la citazione cheroy lazar compie nel suo contributo del 2006 di nA 2, la cuitraduzione è totalmente erronea196;

N essi sembrano non aver mai valutato l’opportunità di verificarela propria interpretazione del concilio in rapporto alle moti-vazioni che sono chiaramente enucleabili dalla lettura degliAtti del concilio. Pertanto, sembrerebbe che essi leggano ed in-terpretino il concilio in base a degli apriori personali, non og-gettivi.

b) Dal punto di vista della della storia redazionale dei documenti,gli autori parrebbero non conoscerla o averne trascurato l’impor-tanza. In questo modo però essi sottovalutano degli elementi fon-damentali per la comprensione dei documenti conciliari:

N il legame che il concilio ha voluto sussistesse tra i testi che trat-tano di missione e quelli che parlano degli uomini non ancoraraggiunti dal Vangelo; queste pagine (Ag I, lg 16-17, nA 2,

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 103

mento indiretto al pensiero giovanneo contenuto in nA 2b, suess inspiegabilmente non si ac-corge che il raggio riflesso della Verità che illumina ogni uomo, di cui il concilio parla effetti-vamente, non si riferisce alle religioni come tali, ma a “quae in his religionibus vera et sanctasunt”: se si studiano gli Atti conciliari, è ancora più chiaro che tale frase non va recepita comeun riconoscimento tout-court del valore salvifico delle religioni, bensì come una conferma diquanto già detto in lg 17 a proposito del “quidquid boni in corde menteque hominum vel inpropriis ritibus et culturis populorum seminatum” rispetto al quale la chiesa ha il compito dioperare per la sua purificazione ed elevazione. suess infine sottovaluta che il testo di nA2b siconclude proprio con una delle affermazioni più risolute, da parte del concilio, circa il dovereper la chiesa dell’annuncio missionario: “[ecclesia] Annuntiat vero et annuntiare tenetur inde-sinenter christum, qui est “via et veritas et vita” (Io 14,6), in quo homines plenitudinem vitaereligiosae inveniunt, in quo deus omnia sibi reconciliavit.”

196 secondo lazar, nA 2 conterrebbe l’affermazione ‘different religions are rays of truththat illuminate all men’ (nostra Aetate 2) (lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”,Glaube in der Welt von heute, 322). la traduzione ufficiale del testo fedele dall’originale latinonon parla affatto di religioni e tanto meno contiene una totale identificazione tra religioni noncristiane e raggi di luce: “ the catholic church rejects nothing that is true and holy in these re-ligions. she regards with sincere reverence those ways of conduct and of life, those preceptsand teachings which, though differing in many aspects from the ones she holds and sets forth,nonetheless often reflect a ray of that truth which enlightens all men.”; [www.vatican.va].

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gs 22), per storia redazionale e contenuto, sono così intercon-nesse, in rapporto al discernimento conciliare, da dover esserconsiderate e lette come un insegnamento unitario;

N il sostrato di discussioni e di motivazioni che hanno condottoa tale unità ed interconnessione, come pure a determinate for-mulazioni;

N il nesso tra dettato conciliare e le fonti richiamate in nota, fontiche illustrano la consistenza del fondamento dottrinale di ta-lune affermazioni e la continuità esistente nella tradizione.

c) Dal punto di vista dei criteri che ispirano le argomentazioni sipossono inoltre rilevare alcuni atteggiamenti apriori:

N l’enfasi che questi autori ripongono sul contesto di apparte-nenza, quasi assurto a principio, norma e criterio di valuta-zione, anche del valore o non valore di un asserto conciliare;per contro essi sembrano assai meno inclini a considerarecome riferimento primario per la propria argomentazione teo-logica i dati enucleabili da scrittura, tradizione e Magistero197;

N il pluralismo religioso costituisce il criterio principe a giustifi-cazione della propria tesi teologica come della relativizzazionedella dottrina conciliare della praeparatio evangelica198.

104 IlArIA MorAlI

197 se si confrontasse questo modus procedendi con quello adottato da ratzinger teologonella composizione delle proprie Considerationes, non si potrebbe fare a meno di notare il con-trasto stridente nel tipo di argomentazione come di conclusione a cui ciascun teologo perviene.Quando ratzinger scriveva “religio pagana moritur in fide christiana… , precisando la possi-bilità, da parte della chiesa, di un’“assumptio valorum humanorum”, in virtù dell’“assumptiohominis realizzatasi nell’incarnazione” non basava la propria asserzione sul contesto o su per-sonali apriori, ma sul dato rivelato e sulla tradizione cristiana investigati con un rigoroso me-todo teologico; (rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionisecclesiae”, 32); mentre ratzinger esprimeva quindi una valutazione teologica come frutto diun’indagine oggettiva ed approfondita, senza nulla togliere al rispetto che si deve per le altretradizioni religiose, nei contributi presi in esame il rispetto per le tradizioni è l’unico criterio,per altro soggettivamente assunto per negare la necessità dell’annuncio missionario in Asia.In tali autori non vi è infatti quasi alcuna traccia di un’indagine su scrittura tradizione e Ma-gistero.

198 lg 17: “… opera autem sua [= Ecclesiae] efficit ut quidquid boni in corde menteque ho-minum vel in propriis ritibus et culturis populorum seminatum invenitur, non tantum non pe-reat, sed sanetur, elevetur et consummetur ad gloriam dei, confusionem daemonis etbeatitudinem hominis..”; Ag 3: “hoc universale dei propositum pro salute generis humani per-ficitur non solum modo quasi secreto in mente hominum vel per incepta, etiam religiosa, qui-bus ipsi multipliciter deum quaerunt, «si forte attrectent eum aut inveniant quamvis non longesit ab unoquoque nostrum» (Act. 17,27): haec enim incepta indigent illuminari et sanari, etsi,ex benigno consilio providentis dei, aliquando pro paedagogia ad deum verum vel praepara-tione evangelica possint haberi”; [www.vatican.va].

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tali osservazioni sollevano il problema della recezione della dot-trina conciliare espressa nel primo capitolo del decreto: in gene-rale, il tempo medio di assimilazione di un concilio è ben maggioredei soli cinquant’anni che si frappongono tra noi ed il Vaticano II,come ci insegna la storia di altri concili e dell’attuazione delle lorodisposizioni in seno alla chiesa. Viene però anche da chiedersi se,nei casi esaminati, purtroppo non rari, si possa parlare anche solodi una recezione iniziale, dunque in fieri. si sarebbe portati a rite-nere che, in materia di rapporto chiesa-religioni e di dialogo inter-religioso, come pure di missione in taluni settori della teologia, unprocesso di recezione non sia mai neppure iniziato. Il fatto che taliopinioni trovino ampio spazio su riviste specializzate di indirizzoteologico e missiologico prova non trattarsi di casi isolati. Il seguitodi cui tali tesi sembrano godere suscita un solo interrogativo, rias-suntivo di tutte le questioni che si potrebbero avanzare: qual èl’obiettivo di una teologia che procede ormai sempre meno preoc-cupandosi di rapportarsi alle fonti primarie della Fede e al metodospecifico della teologia cattolica e sempre più sulla base del soloapriori del pluralismo religioso? Il fatto che, a cinquant’anni dalconcilio, il decreto conciliare nella sua parte dottrinale sia per al-cuni ininfluente dovrebbe indurre ad una seria revisione dello statodi effettiva maturazione della teologia della missione in seno aquegli ambienti teologici ed ecclesiali più esposti proprio alla sfidadell’annuncio evangelico. dalla lettura di queste tesi, di fatto di-struttive verso la dottrina della missio ad gentes, l’impressione chesi trae è soprattutto quella di una triste rinuncia alla sfida ed allafatica dell’annuncio della Fede a favore di percorsi tutto sommatomeno onerosi.

3.2. I destini incerti della Missiologia

3.2.1 Cosa è la Missiologia?

le riflessioni che abbiamo dedicato al problema della recezionedella parte dottrinale del documento conducono inevitabilmente ariflettere sulla cosiddetta ‘scienza della missione’: la Missiologia.non è certamente qui il momento di intraprendere in propositoun’analisi approfondita della situazione, ma è pur sempre possibilespendere qualche riflessione sulle difficoltà esistenti attorno alladisciplina, difficoltà speculari al quadro delle opinioni poc’anzi de-lineate in seno al mondo cattolico, difficoltà peraltro anche moltotrasversali perché l’ambito cattolico sembra accomunato all’ambitonon cattolico dalla stessa crisi. recentemente, infatti, sulle colonne

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di una rivista non cattolica di missiologia, è comparso l’interroga-tivo “What is Missiology?” accompagnato da una secondo interro-gativo, se essa detenga lo status di disciplina teologica199. l’autoredell’intervento, ross langmead risponde affermativamente, dandouna spiegazione che suona utile anche per un cattolico e che si po-trebbe riassumere in tre punti: a) di per sé tutto della teologia è mis-siologico, poiché non vi è riflessione teologica che non abbiarelazione con l’urgenza di render intellegibile la fede per procla-marla; b) è una disciplina teologica e non semplicemente un aspettodella teologia pratica, perché essa ha a che fare con la missio Dei; c)la Missiologia espleta quindi una funzione necessaria in ambito teo-logico, perché ad essa spetta il compito di porre questioni alle di-verse specializzazioni della teologia affinché mantenganol’attenzione sul mondo e sui suoi profondi bisogni200. l’importanzadi queste ragioni non ha però impedito che la Missiologia andasseoccupando un ruolo sempre più marginale, al punto che la stessaAmerican Society of Missiology si è di recente interrogata sul suo fu-turo201. tra i non cattolici il problema della marginalità di questa di-sciplina e del suo futuro si pone da tempo e vi è chi aspiracoraggiosamente ad un suo recupero curandone anche una più de-cisa inserzione nella formazione accademica202. langmead segnalache in America “molte istituzioni teologiche hanno tentato di nuo-tare controcorrente” impegnandosi ad una revisione dei curriculaonde favorire l’integrazione della Missiologia ed un rinnovato im-pulso al suo studio203.

3.2.2. Teologie secolarizzate e riduzioni ‘pastoraliste’: conse-guenze per la missiologia

In ambito cattolico, guardando al post-concilio, colzani ha la-mentato la breve durata dell’ecclesiologia missionaria di improntaconciliare segnalando per contro il prevalere della tendenza a “de-scrivere lo scopo della missione in termini decisamente secolari”204.

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199 cfr. r. lAngMeAd, “What is Missiology?”, in Missiology. An International Review 42/1(2014): 67-79.

200 cfr. lAngMeAd, “What is Missiology?”, 69-71.201 cfr. “group discussion conclusion on the future of the discipline of missiology: annual

meeting of the American society of Missiology”, in Missiology. An International Review 42/1(2014): 80-86; s.nUssBAUM, “A future for missiology as the queen of theology?”, 57-66.

202 cfr. J.-F. zorn, La missiologie: émergence d’une discipline théologique (Fribourg: labor etFides 2004).

203 cfr. lAngMeAd, “What is Missiology?”, 73.204 cfr. colzAnI, Missiologia contemporanea, 329.

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il suo giudizio è più che giustificato anche solo considerando le po-sizioni che sono sostenute nella cosiddetta ‘Teologia post-coloniale’,alla quale la rivista Concilium ha dedicato di recente un forum teo-logico chiamando a raccolta diversi autori, provenienti dai vari con-tinenti205. Si parla anche di una ‘missiologia post-coloniale’ i cuiesponenti “esplorano il modo in cui i cristiani possono vivere e pra-ticare la loro fede senza colonizzazione altrui”206. Come si può no-tare, in questa descrizione la parola missione è omessa: come è facileintuire, essa è stata implicitamente assimilata alla ‘colonizzazione’.in questo medesimo numero della rivista interviene anche P. Suessche ritorna con convinzione sulla tesi del superamento del mono-polio salvifico della chiesa207. Molti altri interventi compresi nel fa-scicolo si situano nella medesima direzione di una critica radicaledell’agire missionario della Chiesa nel passato, agire letto nel soloquadro di due categorie chiave negative: colonialismo e imperiali-smo. Non stupisce che nei contributi che compongono questo nu-mero, il Concilio Vaticano ii e tanto più il Decreto ag siano trattatialla stregua di un convitato di pietra, ovvero completamente igno-rati. Compito della teologia post-coloniale sembra essere soprat-tutto una sistematica quanto capillare destrutturazione odecostruzione della dottrina della Fede, come della Tradizione ivisottesa, nonché della storia, anche missionaria, della Cristianità. Mo-tore di questa tendenza è l’aprioristico rigetto di tutto ciò che vienedall’Occidente e dall’Europa, rigetto che vede solidali teologi d’asiae di america Latina. Questo sodalizio non è casuale, come ha argu-tamente osservato di recente un autore208. Le tesi della vecchia Teo-logia latino americana della Liberazione hanno trovato un nuovoterreno fertile nelle posizioni della teologia pluralista, come ci ri-corda l’espressione knitteriana di una Teologia della liberazionedelle religioni esplicitantesi – ci si perdoni il gioco di parole - in unaliberazione della stessa Teologia delle religioni209. Vi è poi da osser-

i PRiNCiPi DOTTRiNaLi DEL DECRETO Ad GenTes 107

205 Cfr. “Teologia post-coloniale”, in Concilium 49/2 (2013). Ne sono curatori: Hille Haker,

Luis Carlos Susin, Eloi Messi Metogo.206 J.DuggaN, “Dissonanza epistemologica. Decolonizzare il ‘canone’ teologico postcolo-

niale”, in Concilium 49/2 (2013): 24 (testo completo: 19-28).207 Cfr. P.SuESS, “Prolegomeni su decolonizzazione e colonialità della teologia nella Chiesa.

Partendo da un sentire latinoamericano”, in Concilium 49/2 (2013): 94-105.208 S. SHui-MaN KwaN, Postcolonial Resistence and Asian Theology, (abigdon Oxon- Routledge

2014), 2: “Therefore, both the Latin american liberation Theology and the asian theological

mouvement display repugnance toward the west and its theologies.”209 Cfr. P.F.KNiTTER, “Toward a Liberation of Theology of Religion”, in iDEM and J.HiCK, The

Mith of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of Religions, (Maryknoll: Orbis Book

1980), 178-218; Knitter è stato tra i primi esponenti di questa tendenza.

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vare che, nella lettura di questi come di altri contributi, il confinetra ambito cattolico ed ambito non cattolico è labile, tanto che sipotrebbe parlare di vasi comunicanti210. concorrono alla formazionedella teologia post-coloniale fattori sorprendentemente molto di-versi, per provenienza e matrice, come la Feminist Theology e i Gen-der Studies: la lotta alla discriminazione ed all’oppressione èl’elemento catalizzatore delle più varie rivendicazioni, il loro col-lante211.

la cosiddetta “decolonizzazione epistemologica della teologia”che dovrebbe condurre ad una “nuova teologia”, per ammissione die. dussel, ha come proprie fonti ispiratrici il marxismo, la psicana-lisi e molto altro ancora212. “sarà necessario rifare tutta la teologia”,precisa l’autore messicano, per giungere ad una “trans-teologia”,che sfugga alle categorie della “cristianità coloniale”213.

l’inserzione dell’aggettivo ‘post-coloniale’ a determinazione diquesta ‘teologia’ già di per sé prova l’adozione di criteri di valuta-zione alieni all’ambito del linguaggio propriamente di Fede: catego-rie e lemmi che denotano una familiarità assai più stringente contesi di natura sociologica e filosofica, che teologica. la teologiapost-coloniale è però solo una forma, tra le molte, che vanno sor-gendo in connessione al processo di mitizzazione dell’Otherness:mitizzazione che va di pari passi con l’ipostatizzazione della diver-sità delle culture e delle religioni. si tratta di un tessuto variegato diteorie che vanno dalla Comparative Theology, che rispetto allastessa teologia delle religioni costituisce una proposta più avanzatae più radicale214, all’Interkulturelle Theologie, che già da tempo in

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210 Vedi anche J. dAggers, Postcolonial Theology of Religions: Particularity and Pluralism inWorld Christianity (new York: routledge 2013).

211 n. KAng, “Fare teologia tra postcolonialismo e femminismo”, in Concilium 49/2 (2013):82 (testo completo: 43-54): “Viviamo in un mondo in cui il centro/il colonizzatore/l’oppressoreè spesso invisibile e dissimulato. Utilizzare le trattazioni post-colonialiste e femministe ci aiutaa prendere coscienza dei molteplici assi di colonizzazione e di oppressione. Postcolonialismoe femminismo focalizzano inoltre l’asse geopolitico sulla ipersensibilità non solo verso l’etno-centrismo e il geocentrismo, ma anche nei confronti dell’androcentrismo e dell’eterocentrismo,in politica, in economia, nelle culture, nei discorsi e nelle pratiche teologico-religiose.” cfr.anche PUI-lAn KWoK, Postcolonial Imagination and Feminist Theology (Westminster John KnoxPress 2005). Pui-lan Kwok insegna alla episcopal divinity school e le sue tesi trovano grandeseguito.

212 cfr. e. dUssel, “decolonizzazione epistemologica della teologia”, in Concilium 49/2(2013): 41 (testo completo: 29-42).

213 dUssel, “decolonizzazione epistemologica della teologia”, 42.214 cfr. F. X. clooneY, The new Comparative Theology Interreligious Insights from the next

Generation (london; new York: t & t clark 2010).

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ambito protestante si è suggerito di considerare come il nuovonome della missiologia215. tra l’altro, il fatto che a questi nuovi ap-procci aderiscano entusiasticamente anche teologi cattolici fa sì chela visione di missiologia così teorizzata in ambito non cattolicovenga de facto assunta anche in ambienti cattolici216. lo sviluppo ditali modelli è tuttavia in continuo movimento e trasformazione, te-stimoniati dalla varietà di denominazioni e declinazioni del termine‘teologia’, specie in tema di religioni e culture: è il caso della Inter-religious Theology, promossa dall’Ecumenical Association of ThirdWorld Theologians di cui fanno parte anche esponenti cattolici217; odella Postcolonial Theology of Religions218. l’inesistenza di un con-fine tra ambito protestante ed ambito cattolico è abbastanza para-dossale: mentre infatti si insiste sull’assoluta differenza dellereligioni e delle culture, non si dà alcuna importanza al fatto che,anche solo nel metodo, teologia cattolica e teologia protestantenon sono sovrapponibili. la facilità con cui si realizza questa con-vergenza è forse dovuta proprio al fatto che comune denominatoredi queste posizioni sono principi e motivazioni di natura sociologicae filosofica: l’esaltazione di categorie ‘secolari’ come cultura, glo-balizzazione, pluralismo… esse costituiscono il motivo per dialo-gare. In tali approcci avviene una sorta di ipostatizzazionedell’Otherness, assurto a criterio regolatore valutante la plausibilitào meno degli asserti di Fede. Una teologia ormai quindi solo de no-mine, che ruota attorno ai temi dell’immanenza, un modello seco-laristico di teologia. la scelta di un linguaggio alternativo ai lemmied ai principi fondamentali della Fede o una loro funzionalizzazionead una visione secolarizzata della prassi ecclesiale produce diso-

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215 A proporlo in una dichiarazione del 21 settembre 2005 la Deutsche Gesellschaft für Mis-sionswissenschaft: cfr. Missionswissenschaft als Interkulturelle Theologie und ihr Verhältnis zurReligionswissenschaft [www. http://www.dgmw.org/Missionswissenschaft.pdf]; cfr. W. J. hol-lenWeger, Interkulturelle Theologie (München: Kaiser 1988).

216 cfr. n. hIntersteIner, “god in translation : crosscultural and Interreligious theologies”,Thinking the Divine in Interreligious Encounter, n. hIntersteIner (ed.) in collaboration with F.BUsQUet (Amsterdam – new York: rodopi 2012), 17-23.

217 cfr. J. M. VIgIl, l. toMItA, M. BArros (eds.), Along the many Paths of God, (Berlin – Münster– Wien – zürich – london: lIt 2010); Ecumenical Association of Third World Theologians (EAT-WOT) [vedi anche I documenti della commissione teologica di questo organismo: www.http://internationaltheologicalcommission.org]. P. schMIdt leUKel, “Intercultural theology asInterreligious theology”, in W. WeIsse et Al., Religions and Dialogue: International Approaches(Münster: Waxmann Verlag 2014), 105 (testo completo: 101-112).

218 cfr. J. dAggers, Postcolonial Theology of Religions: Particularity and Pluralism in WorldChristianity (routledge 2013).

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rientamento in quantità direttamente proporzionale alla distanzache si è posta tra teologia e Fede219.

Questo intreccio di idee e tendenze e l’inquietante processo disecolarizzazione e destrutturazione della teologia che esse testimo-niano si ripercuotono sulla Missiologia che, privata del riferimentodottrinale sostanziale, ossia del principio della missio Dei e dellamissio Ecclesiae, diviene descrizione di una prassi puramente seco-lare, scienza che giustifica una ‘non missione’.

A provocare la crisi della Missiologia non vi sono tuttavia soloqueste tendenze di carattere speculativo ed ideologico, ma ancheragioni molto plateali, come il fatto che in ambito cattolico essa siastata interpretata unicamente come disciplina pratica. Questa limi-tazione è forse anche effetto di un’interpretazione in senso ‘pasto-ralista’ sia della missione come tale, che del decreto conciliare e delconcilio in generale: anche in forza del fatto che i Papi hanno sot-tolineato l’indole pastorale del concilio, si è giunti un po’ tropposbrigativamente alla conclusione che Ag fosse l’equivalente diun’istruzione pastorale, anche a motivo del suo titolo incentrato sultema dell’attività. come già si faceva osservare poc’anzi, limitarsituttavia a considerare la sola attività missionaria, ossia quello cheper il concilio costituisce il solo livello dell’operatio, è decisamentetroppo poco, perché non consente di raggiungere quello della missioe le ragioni teologiche profonde che stanno a fondamento di del-l’azione della chiesa220. come si è visto, è il concilio stesso ad averchiarito la necessità di considerare il tema della missione su piùpiani: avendo cura di distinguere l’aspetto teologico (missio) daquello pratico operativo (activitas – operatio) e giuridico (missiones)mai però dimenticando il nesso intrinseco così essenziale tra questevarie declinazioni.

3.3. Preoccupazioni del Magistero post-conciliare

nel ripercorrere la genesi della parte dottrinale del decreto ab-biamo sottolineato la preoccupazione dei Padri conciliari affinché

110 IlArIA MorAlI

219 cfr. th. Fornet Ponset, “Komparative theologie und/oder interkulturelle theologie ? Ver-such einer Verortung”, in Zeitschrift für Missionswissenschaft und Religionswissenschaft 96/3-4 (2012): 226-240.

220 Qui non entriamo nel merito della valutazione dell’atteggiamento tenuto da Paolo VI almomento della discussione dello Schema Propositionum. Vedasi in materia g.AlBerIgo, A. Storiadel Concilio Vaticano II, IV. La Chiesa come comunione. Il terzo periodo e la terza intersessionesettembre 1964 – settembre 1965, (Bologna: editrice il Mulino 1999), 358-373.

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il documento fornisse una chiara esposizione dei principi contro in-terpretazioni teologiche improprie di questo rapporto, allora già inatto. se tuttavia si rileggono alcuni tra i maggiori interventi del ma-gistero post-conciliare, tale preoccupazione persiste. In Evangeliinuntiandi (1975), a dieci anni di distanza dalla promulgazione deldecreto, Papa Paolo VI sentì il bisogno di richiamare i fedeli al fattoche “né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessitàdei problemi sollevati sono per la chiesa un invito a tacere l’annun-cio di cristo di fronte ai non cristiani”221. Quindici anni dopo, il suosuccessore giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptoris Missio (=rM)(1990), denunciava l’esistenza di una “tendenza negativa” che stavacausando un inquietante rallentamento della missio ad gentes “noncerto in linea con le indicazioni del concilio e del Magistero succes-sivo”222. non è casuale che in tale circostanza, il Papa abbia volutoribadire con forza che “il dialogo non dispensa dell’evangelizza-zione” individuando nel diffondersi di “nuove idee teologiche” unodei fattori di dubbio circa la necessità e la ragione delle missioni223.con la pubblicazione della dichiarazione Dominus Iesus (2000)(=dI), avvenuta un decennio dopo, il Magistero ha voluto prendereposizione ancora più rigorosa in difesa dell’annuncio missionariocome pure dei fondamenti della Fede a fronte di numerose deriveteologiche di indirizzo relativista224. da notare che, in relazione alvalore da attribuire alle tradizioni religiose, la congregazione perla dottrina della Fede ripropone l’insegnamento di lg 16, Ag 9,nA2225. nel rileggere il documento è in effetti evidente la preoccu-pazione di favorire una recezione corretta dei testi conciliari in al-ternativa ad un loro uso strumentale226. nella sua nota dottrinale su

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221 PAolo VI, “esortazione apostolica Evangelii nuntiandi” (8 dicembre 1975) n. 53: [www.va-tican.va].

222 gIoVAnnI PAolo II, “lettera enciclica Redemptoris missio circa la permanente validità delmandato missionario, (7 dicembre 1990) n. 2: [www.vatican.va].

223 rM 4: “eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove ideeteologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? non è forse so-stituita dal dialogo inter-religioso? non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana?Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? non ci sipuò salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?”; vedi anche n. 55.

224 congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, Dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità el’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000), 4: “Il perenne annunciomissionario della chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che inten-dono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio).”;[www.vatican.va].

225 Vedi dI 8 nota n. 23.226 cfr. dI 5, 8, 10, 12 ecc. sebbene non si tratti di un documento magisteriale, l’ultimo ema-

nato dal Pont. consiglio per il dialogo si pone in chiara continuità col concilio, richiamandone

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alcuni aspetti dell’evangelizzazione, emessa nel 2007, la medesimacongregazione è tornata del resto a ribadire che “l’’azione evangeliz-zatrice della chiesa non può mai venire meno”227. Questi continui ri-chiami del Magistero confermano indirettamente anche il valoredell’esposizione dottrinale del primo capitolo di Ag e la sua strin-gente attualità.

4. Alcune puntualizzazioni

A cinquant’anni esatti dall’apertura del concilio, il richiamo diPapa ratzinger alla necessità di favorire una vera recezione di moltepagine del concilio si è rivelato dunque più che attuale228. Impedi-mento alla corretta recezione del decreto non è tanto il fatto chesiano passati numerosi anni dall’evento conciliare e sia venuta menola memoria dei suoi insegnamenti, quanto piuttosto che questi de-cenni siano trascorsi lasciando campo aperto a concezioni di indi-rizzo prevalentemente ideologico, senza che da parte della teologiain generale vi fosse la consapevolezza che, svilendo dal punto divista dottrinale i fondamenti della missione, si svuota la naturastessa della chiesa. se accanto all’enfasi che si è riposta sulla cosid-detta teologia delle religioni si fosse parimenti proceduto ad unugual sforzo di sviluppo della teologia della Missione, approfon-dendo in prospettiva sistematica i principi dogmatici e le loro im-plicazioni per l’oggi, probabilmente non ci si troverebbe ora nellasituazione di crisi appena descritta e, d’altra parte, si avrebbe al-meno un dibattito più bilanciato: una discussione più feconda, inluogo di un assolo di quelle ‘teologie’ che occupano il campo dellariflessione sulla missione – sembrerebbe – solo per distruggerla. Ilnovecento teologico, di cui si è parlato poc’anzi, ha conosciuto undibattito vivacissimo tra i sostenitori del rigorismo salvifico e coloroche propendevano per una soteriologia più aperta alla possibilità di

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continuamente l’insegnamento ed iscrivendo più decisamente il tema del dialogo nel quadrodella missione della chiesa cattolica: cfr. PontIFIcAl coUncIl For InterrelIgIoUs dIAlogUe, Dialoguein Thruth and Charity. Pastoral Orientations for Interreligious Dialogue, (città del Vaticano:leV 2014).

227 congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangeliz-zazione (3 dicembre 2007), n. 13: [www.vatican.va].

228 Pubblicando gli Atti di queste giornate nel 2014, dopo l’elezione al soglio di Pietro diPapa Francesco, ci è parso opportune aggiornare alla situazione odierna della chiesa questeriflessioni conclusive. sul tema della recezione, vedi in proposito anche s. MAzzolInI, “erme-neutica e recezione del concilio Vaticano II”, in Euntes Docete 65/3 (2012): 11-37.

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salvezza per i non cristiani. era spazio per l’incontro di visioni di-verse, non per assoli, né tanto meno per letture ideologiche dei pro-blemi. I teologi che si confrontavano, anche aspramente, partivanoin ogni caso dal comune desiderio di capire la Fede e di risponderealle istanze del proprio tempo alla luce di questa medesima Fede.

da dove dunque si potrebbe ripartire per un riequilibrio della di-scussione e per riportare la riflessione sulla missione nell’alveo diuna seria recezione del dettato conciliare?

Per rispondere occorrono alcune puntualizzazioni di fondo, cheindichiamo qui di seguito.

4.1. L’apporto di tutte le Chiese al primo capitolo del Decreto

negli autori che abbiamo richiamato, appare evidente la difficoltànel distinguere tra teologia e dottrina, oltre al fatto che essi pensanoche il decreto rispecchi la forma mentis di un missionario europeo.costoro ignorano completamente l’apporto provenuto dai vescovid’Asia e d’Africa, come pure il fatto che fu l’Aula, formata dai diversiepiscopati, ad esigere il ripristino della parte dottrinale ed il suorafforzamento in senso anti-pluralista proprio contro le tesi di Bom-bay229.

trattando della dottrina del decreto conciliare, congar già insi-steva sul fatto che essa era fondata su una specifica ed univoca vi-sione socio-antropologica, ma in nessun modo geografica230. In altritermini, il capitolo primo del decreto non è espressione di una de-terminata teologia, ma frutto del discernimento dell’Aula. In quantodottrina, esso non è prodotto di una determinata latitudine eccle-siale, né di roma, né di una chiesa europea: ad approvarlo è statoun concilio ecumenico, in cui la varietà di chiese dell’orbe cattolicoera ampiamente rappresentata e più che nel passato. la critica avan-zata al decreto, di prospettare il tema della missione da un puntodi vista europeo, l’assimilazione di questo approccio a un modellodi impronta coloniale, contrapponendovi per altro la specificità delmodello ‘asiatico’ di missione, mostrano quanto possa pesare sulprocesso di recezione di un documento conciliare un apriori di ma-trice culturale o ideologica. oggi vi è il concreto rischio di cadere,da un punto di vista teologico, in un approccio ‘regionalistico’ alla

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229 ci sarebbe tra l’altro da osservare che uno dei principali sostenitori delle tesi espressea Bombay nel 1964 era un teologo occidentale: h.Küng.

230 cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 153, 156.

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missione dove il contesto determina la nozione e le finalità dellamissione. l’enfasi sulla propria identità continentale di chiesa(Asianness), in chiara contrapposizione alla supposta europeicitàdegli altri, parrebbe tra l’altro denotare la difficoltà di non sapertrovare altra via che l’esaltazione delle differenze per provare lapropria importanza in seno alla chiesa. Ma questo linguaggio di ri-vendicazione ‘regionale’ giova alla cattolicità della chiesa? È ad essaconseguente? la esprime e la arricchisce? la risposta si troverebbeforse riapprendendo il senso originario di ‘cattolico’: termine dalsenso attivo, che denota capacità di unificare, non di contrapporre,alieno al vocabolario della rivendicazione di una parte sul tutto231.In tal senso, il primo capitolo del decreto come pure il decretostesso, se riletti con obiettività, avrebbero molto da insegnare inproposito, perché Ag è stata espressione del discernimento dellachiesa cattolica, non di una regione specifica dell’orbe cattolico. Ilsuo carattere ‘cattolico’ rende il suo messaggio valido per ognichiesa come per ogni teologia.

4.2. Per una lettura autenticamente teologica della storia dellemissioni

la missione di san Paolo ad Atene (cfr. At 17) fu una missione inun mondo pluralistico dalle molteplici rappresentazioni e credenzereligiose, come lo fu quella dei primi cristiani a roma o nelle regionisperdute del nord europa e verso est. se si studiassero a fondo leprime missioni in Asia in tempo medioevale, come pure le vicendeche accompagnarono il cammino del Vangelo ben prima dell’av-vento del colonialismo, ci si accorgerebbe che è improprio tacciarela storia delle missioni solo ed unicamente come storia di un’occu-pazione colonialista o imperialista da parte dell’occidente. Fu inprimo luogo storia di fatiche, di dolori e sofferenze, di oblazioni to-tali al Vangelo che videro uomini e donne, di diverse nazionalità e

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231 scriveva de lubac a proposito del significato del termine cattolico: “d’autre part, ‘ca-tholique’ comporte d’abord un sens actif (‘universalisant’, ‘rassemblant’, ‘unifiant’) au lieuqu’universel est passif, inorganique et statique” ; h. de lUBAc, “Pourquoi église catholique etnon église universelle”, IdeM, Catholicisme [Chemin de croix], [édité sous la direction de M. sAles

sj, avec la collaboration de M.-B. Mesnet],(oeuvres complètes VII – Paris: cerf 2003), 455 (testocompleto: 453-456). Quando una porzione di cattolicità, oggi fiorente, attacca un’altra, in dif-ficoltà o in declino, ed è animata da un desiderio di rivalsa storica e di affrancamento culturale,il rischio è quello di infliggere una ferita alla cattolicità come tale. ogni visione in senso loca-listico e regionalistico indebolisce la cattolicità, perché se si è mediante Dio, noi siamo gli uniper gli altri: cfr. I.MorAlI, “Il concetto di cattolicità in de lubac. Per una comprensione del pen-siero conciliare”, in Ad Gentes 8/1 (2004): 5-18.

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culture, impegnare la propria vita e tutte le proprie energie fino allaconsunzione per cristo signore. la lettura in chiave anticolonialistaed antioccidentale della storia delle missioni non rende giustizia diquesta ricchezza e tanto meno ragione della complessità delle vi-cende che contraddistinsero l’annuncio del Vangelo nel mondo: èin se stessa un anacronismo, perché non si può ridurre tutto a storiadi una ‘conquista’ di stampo coloniale, contrapponendole idealisti-camente l’oggi come espressione di una storia, l’attuale, di dialogo.Questa interpretazione presenta due grandi limiti: un limite di me-moria storica, perché sembra del tutto trascurato il fatto che l’espe-rienza ed il confronto col pluralismo appartiene al cammino stessodel Vangelo, fin dai primi secoli: si pensi al mosaico di religioni,culti, credenze e filosofie col quale Paolo si confrontò nel suo sog-giorno ad Atene (At 17) e in generale a tutti i missionari che, dopodi lui, operarono nella stessa direzione. Vi è però soprattutto un li-mite ideologico nella valutazione del passato: nessuno per altronega gli errori commessi nella storia delle missioni in alcuni conte-sti, là dove, in nome del Vangelo, è stato applicato il metodo della‘tabula rasa’ usando violenza ai popoli. d’altra parte, l’immediataidentificazione di questo metodo ad una volontà coloniale non èsempre storicamente plausibile: molti missionari agirono in buonafede e senza velleità colonialiste, anzi vi si opposero strenuamente.semplicemente non conoscevano un metodo alternativo, fattosistrada col tempo e l’esperienza, come insegna la lenta genesi delmetodo di adattamento in estremo oriente. la chiesa cattolica hadel resto imparato molto dagli errori dei propri figli, errori che ap-partengono alla sua dimensione peregrinante, errori di cui si è sa-puta far carico, e non da oggi232.

occorrerebbe forse partire da altre premesse, più oggettive, perintraprendere una riflessione teologica sulla storia delle missioni:ne deriverebbero forse una maggiore capacità di accettazione del

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232 coMMIssIone teologIcA InternAzIonAle, Memoria e Riconciliazione: la Chiesa e le Colpe delpassato (2000) 5.3: “Un altro capitolo doloroso sul quale i figli della chiesa non possono nontornare con animo aperto al pentimento è costituito dall’acquiescenza manifestata, specie inalcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità “.(78) ci siriferisce alle forme di evangelizzazione che hanno impiegato strumenti impropri per annun-ciare la verità rivelata o non hanno operato un discernimento evangelico adeguato dei valoriculturali dei popoli o non hanno rispettato le coscienze delle persone a cui la fede veniva pre-sentata, come pure alle forme di violenza esercitate nella repressione e correzione degli errori.”;[www.vatican.va].

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passato, anche con i suoi errori, come storia propria, così come mag-giore rispetto ed umiltà nel giudizio verso quanti, con eroismo eoblazione totale, profusero ogni energia nell’annuncio di cristo.

si badi bene, qui non si sta trattando della necessità di metodo-logie specifiche per lo studio della storia delle Missioni né si ponein dubbio l’esigenza di un riconoscimento obiettivo degli errori, madel modo di leggere teologicamente la storia delle missioni: in ef-fetti, gli autori che abbiamo menzionato a più riprese, così come lemolteplici tendenze e denominazioni di teologie cui essi danno vita,tentano di dare, della storia della missione, una lettura teologica,purtroppo molto sommaria. È nel tentativo di una lettura teologicache essi giungono a contestare lo stesso principio dottrinale dellanecessità della missione: la storia delle missioni è storia coloniale –questo in sostanza il loro ragionamento– quindi il principio dellamissio ad gentes va superato – questa è la conclusione teologica cuiessi invece pervengono. Il limite di tale lettura riposa nel confondere‘teologico’ con ‘ideologico’: una lettura autenticamente teologicadella storia delle missioni dovrebbe infatti partire dall’assunto fon-damentale del nesso esistente tra missio Dei e missio Ecclesiae, nessoche si dipana in una storia, proprio come il concilio lo descrive neldecreto Ag (2-5) e nella costituzione lg (2-5). solo in questo quadrosi può capire teologicamente la storia delle missioni: un camminoche la chiesa compie nella storia, un annuncio che si dipana nellastoria. Questa storia è storia di popoli, di chiese che nascono primao dopo di altre, storia in cui ciascuna comunità è chiamata a consi-derare l’altra superiore a se stessa; è anche storia di una matura-zione di metodi e di relazioni, con successi ed insuccessi tipici diogni peregrinare umano. leggere la storia delle missioni col linguag-gio della rivendicazione o dell’antitesi dialettica non permette di ri-spettare la storia delle missioni qual è e, tanto meno, la storia stessadella cristianità nelle sue alterne e travagliate vicende.

4.3. Missione, evangelizzazione ed il ruolo del dialogo

nei due interventi ospitati dalla rivista Vidyajyoti, la parola‘evangelizzazione’ è decisamente preferita a quella di missione:anzi, rispetto a quest’ultima si nota un’evidente (sebbene implicita)presa di distanza, nonostante la sua matrice biblica233. I termini

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233 gv 20,21: “ Poi disse di nuovo: «Pace a voi! come il Padre ha mandato me, così io mandovoi”.

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missus/missio, come già le Considerationes di ratzinger ben illu-stravano, sono invece al centro della dottrina esposta dal primocapitolo di Ag costituendo il comune denominatore di quel movi-mento che parte dalla trinità, con l’invio del Figlio e dello spirito,per poi sfociare nell’invio della chiesa. sminuendo il tema dellamissio, in queste interpretazioni perde di consistenza anche il ter-mine di evangelizzazione. ‘evangelizzazione’, nei due articoli esa-minati è infatti un concetto pressoché depotenziato, rispetto alsenso che esso aveva nel decreto. soprattutto nella proposta diroy lazar di una “mutua evangelizzazione” si è prodotto un ribal-tamento di prospettive: l’alterità dell’interlocutore non cristiano ela sua religione, il suo modo di concepire il divino, sono stati as-surti a vangelo, alterità dalla quale il cristiano deve – appunto - la-sciarsi evangelizzare.

Anche il termine di “active integral evangelization”, proposto in-vece da tan sulla scia della FABc, da cui egli mutua buona parte delsuo vocabolario, non è scevro da ambiguità. la tesi secondo cui ilcontesto d’Asia, così variegato e pluralistico, obbligherebbe ad unapproccio specifico, un approccio ‘asiatico’ è davvero plausibile234?Qui non vogliamo porre in dubbio che l’Asia, come molti altri con-testi del mondo, presenti una straordinaria pluralità di tradizioni eculture, né che le chiese che vi vivono debbano quotidianamenteconfrontarsi assai da vicino con le sfide e le resistenze di un mondocosì poliedrico. né si nega che in certi specifici contesti d’Asia, (enon ovunque come si tende a generalizzare), il dialogo sia a voltel’unica modalità possibile di incontro tra il cristiano e i seguaci dialtre tradizioni religiose; il limite sta però nell’affermazione asso-luta di questa modalità e nell’esclusione di ogni altra per principio,quasi che l’alternativa al dialogo fosse solo sinonimo di costrizionee di intolleranza.

nell’articolo di tan, il rispetto per le culture e le religioni è a talpunto enfatizzato da far intendere che ogni forma di annuncio al-ternativa sia non solo improponibile per il contesto asiatico, mapiù in generale che essa sia foriera di intolleranza. In realtà, la pe-culiarità del contesto culturale non giustifica, dal punto di vistateologico, l’assenza di un’affermazione chiara ed esplicita sulla ne-

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234 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 694: “In its official docu-ments, the FABc has proceeded on the basis that the Asian milieu, with its rich diversity andplurality of religions, cultures and philosophical worldviews requires a distinctively Asian ap-proach to the proclamation of the gospel that is sensitive to diversity and pluralism”.

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cessità della missione e dell’annunzio del Vangelo. In altri termini,a fronte di un contesto innegabilmente multi-religioso, l’autore in-siste grandemente sul fatto che “per i vescovi d’Asia la questioneè più come le chiese d’Asia possano sentirsi ‘a casa’ con una talediversità e pluralità”235. ci sembra opportuno sottolineare tuttaviache la necessità di rispettare l’altro (obbligo che nessun documentoconciliare ha tra l’altro mai posto in dubbio) rientra nelle condi-zioni di qualsiasi umana convivenza e non possa quindi essere in-terpretata come la forma ‘asiatica’ di missione. Andrebbe percontro mantenuto fermo il principio che il solo significato accetta-bile di evangelizzare è quello indissolubilmente legato al Vangelodi cristo.

si tende invece a proporre un modello di evangelizzazione stret-tamente subordinato alla pratica del dialogo interreligioso ed assaimeno correlato al concetto di missione. In questa visione viene par-ticolarmente sottolineata la dimensione del mutuo scambio, nonsemplicemente a livello umano, fatto questo plausibile e auspica-bile, ma sul piano stesso della verità delle dottrine, considerate giàin partenza equipollenti. Questo approccio trova consenso in nu-merosi autori236.

In Ag, per contro, missione ed evangelizzazione sono stretta-mente connesse: evangelizzazione è la finalità della missione237 emira alla conversione238. Inoltre, riguardo al dialogo, il decreto neparla diffusamente in stretta relazione con la testimonianza di vitaal n. 11, che apre l’Articolo 1, ma il binomio non è affatto concepitoalternativo alla missione. come si evince dagli Acta, nelle ultimis-sime fasi redazionali del documento ormai sulle soglie dell’appro-vazione, venne apportata un’importante modifica proprio incorrispondenza al titolo dell’Articolo 1. Mentre infatti, nel textus

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235 tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 697: “While others mayconsider the diversity and plurality of postmodern europe and north America as challengesthat the church has to confront and overcome, for the Asian bishops the questions rather howthe Asian churches can be at home with such diversity and plurality”.

236 “Acreditando que è a partir desta interação presente em todas as religiões que ocorreráo diálogo inter-religioso, não para decidir qua è a religião verdadeira, mas mutuamente dialogartendo como objetivo o que è melhor para ser humano se tornar mais humano e ajudá-lo a olharcom mais seriedade o sentido último de sua existência. Aqui se revelará o que è verdadeiro.”I.soUzA, reflexão cristológico-trinitária. contribuições para a comprensão da experiência e daesperitualidade como aproximações para o diálogo inter-religioso”, in Atualidade Teológica16/40 (2012): 73 (testo completo: 72-85).

237 cfr. Ag 6.238 cfr. Ag 13.

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prior, si leggeva De praeambulis evangelizationis, nel textus emen-datus l’intestazione era stata cambiata in De testimonio cristiano.nella Relatio de n. 11 si dà ampia spiegazione di questo cambia-mento: tanto la commissione, quanto numerosi Padri avevanoravvisato il pericolo di un’assolutizzazione dei preambula evan-gelizationis, tra i quali il dialogo, a scapito dell’evangelizzazionestessa. non si voleva legittimare il protrarsi dello stadio prelimi-nare “per tutta la durata dell’attività missionaria”, mentre si re-putava necessario sottolineare che pur essendo tali atteggiamentiprossimi all’opera evangelizzatrice, l’evangelizzazione in sensostretto dovesse comunque subentrare239.

4.4. Il rapporto tra Decreto e documenti pastorali delle Chiese lo-cali

l’intervento di tan offre infine un peculiare motivo di riflessione,qui impossibile da trattare, ma comunque da menzionare per la suaimportanza: il ruolo e la responsabilità delle conferenze episcopalinel processo di recezione del concilio e del decreto sulla missionein particolare. È innegabile che tan abbia trovato sostegno per moltedelle sue originali tesi nei documenti della FABc, organismo che riu-nisce le conferenze episcopali d’Asia, particolarmente esposte allasfida della missione. È anche vero che tan si è spinto certamenteoltre le intenzioni della FABc, affermando che essa ha portato a lo-gico compimento quanto troppo cautamente affermato dal concilio.egli ha tra l’altro mostrato di porre erroneamente sullo stesso pianoconcilio e FABc, quasi che tale equiparazione fosse teologicamenteaccettabile. occorre tuttavia ammettere che numerose proposizionidella FABc, rievocate dall’autore, sembrerebbero oltrepassare l’am-bito pastorale sconfinando in quello dottrinale. tale ‘sconfina-mento’ non è senza conseguenze per la recezione del primo capitolodi Ag, come dimostra l’insieme dello stesso articolo di tan e moltedelle sue discutibili asserzioni.

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239 “relatio de n. 11”, ASCOV IV/VI, 275: “titulus articuli mutatus est. Materia subiacens,proposita a Patribus durante disceptatione anni 1964, ab eis designabatur vocabulis ‘prae-evan-gelizatio’, ‘evangelizatio initialis’, ‘apostolatus indirectus’, ‘evangelizatio praeparatoria’. haecvocabula non placuerunt commissioni, quia intelligi possent de quodam stadio speciali inopere evangelizationis, cum revera haec actio protrahitur durante tota activitate missionali etpastorali ecclesiae.[…] Attamen hoc vocabulum non placuit multis Patribus, qui timent ne maleintelligeretur ut ‘stadium’ quoddam praeliminare, sat longum et protractum, intercedens an-tequam ad evangelizationem proprie dictam procedatur….; pariter dolebant Patres quod nonexpresse dicebatur in textu haec praeambula evangelizationis reapse valorem verae evangeli-zationis habere…et ipsam evangelizationem concomitare et subsequi debere….”.

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Posto che fino ad oggi non è stato riconosciuto alcun munus ma-gisterii alle conferenze episcopali, né stabilito un qualche criterioper declinare il loro compito rispetto alle prerogative del singolovescovo, ancor meno chiaro risulta lo statuto di una confederazionedi conferenze episcopali rispetto alle conferenze episcopali stesse.sussiste quindi anche un problema di non facile soluzione a frontedi documenti, come quelli della FABc: essi hanno così grande econel mondo ecclesiale, da essere reputati, non solo dall’autore esa-minato, ma dai fedeli stessi, al di sopra di un concilio o interpretidella sua dottrina240. È piuttosto significativo che ultimamente Kroe-ger abbia definito la FABc come “il Vaticano II che cammina in Asia”,senza tuttavia soppesare le conseguenze di una visione così ottimi-stica241. la mancanza di chiarezza circa lo statuto e l’autorità effet-tiva di questo ed altri simili organismi dovrebbe indurre un po’ piùdi cautela. In attesa di una riflessione ecclesiologica che precisi con-fini e prerogative di queste istituzioni, occorrerebbe anche più pru-denza nel linguaggio dei documenti, che sarebbe auspicabilerimanessero nei limiti di un’istruzione pastorale senza sconfina-menti di natura dottrinale.

Andrebbe poi detto con maggior chiarezza che molti dei docu-menti attribuiti dagli autori alla FABc sono in realtà pubblicazionidi atti e scritture curate in seno alle innumerevoli sottocommissioniche vengono costituite sotto l’egida di questo organismo, senza tut-tavia il controllo dovuto. tan considera ogni documento da lui ci-tato come espressione della FABc, ma andrebbe verificato in qualmisura si tratti di pubblicazioni curate da sotto-orgamismi, nonsottoposti a debito vaglio, sebbene col cliché della FABc. Vorremmoqui richiamare il caso del Resource Manual sul dialogo destinatoalla formazione di religiosi, animatori pastorali, pubblicato dall’Uf-ficio per gli affari ecumenici della FABc: uno strumento finalizzatoall’auspicata creazione di workshops per favorire la discussione el’approfondimento di questo tema in sede intra-ecclesiale242. si

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240 cfr. A. Anton, “¿ejercen las conferencias episcopales un Munus Magisterii?”, in Grego-rianum 70/3 (1989): 439-494.

241 nato nel 1972, l’organismo si compone di 19 conferenze episcopali, più 9 membri asso-ciati. raccoglie sotto la sua giurisdizione 29 paesi asiatici. “lA FABc è stato l’organismo cheha avuto la maggiore influenza nella chiesa d’Asia dal concilio Vaticano II: giustamente è stataconsiderata ‘il Vaticano II che continua in Asia’”; J. h.Kroeger, “I vescovi dell’Asia. la chiesa habisogno di evangelizzatori rinnovati”, in Ad Gentes 17/2 (2013): 239 (testo completo: 239-244).

242 oFFIce oF ecUMenIcAl And InterrelIgIoUs AFFAIrs – FederAtIon oF AsIAn BIshoPs’ conFerences,Resource Manual for Catholics in Asia, (Bangkok: FABc – oeIA 2000).

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tratta dunque non di una qualsiasi pubblicazione, ma di un vero eproprio sussidio ufficiale edito a cura di edmund chia, allora Exe-cutive Secretary della FABc243. già ad una prima analisi, tuttavia,appare evidente come il contenuto di questa pubblicazione ri-sponda ad una visione totalmente relativista: difficile credere chel’antologia di testi tratti per lo più da autori di area pluralista ri-specchi veramente il pensiero dei vescovi d’Asia e delle loro chiesemissionarie. sembra piuttosto un compendio delle opinioni che ilcuratore del sussidio ha già avuto modo di esporre in proprie mo-nografie244. l’esistenza e la diffusione di questo manuale, come dialtri promossi da editrici cattoliche, pongono comunque un pro-blema serio, sul piano educativo come su quello delle responsabi-lità di istituzioni ed organismi preposti alla formazione dei fedeli.non si tratta di impedire la libera espressione di un’opinione teo-logica, ma di vegliare perché essa possa manifestarsi in sedi piùproprie, non certamente nel contesto di pubblicazioni ufficiali de-stinate a formare i fedeli. In tal senso, il primo capitolo di Ag, uni-tamente alle prese di posizione del Magistero post-conciliarepotrebbero essere considerate e presentate come una sorta di de-calogo per la crescita e la formazione di una coscienza missionaria,ma anche come criterio di riferimento per la composizione di queisussidi destinati alla formazione dei fedeli.

4.5. Missiologia cattolica

sia che si guardi all’ambito più speculativo che a quello pratico,è comunque un quadro piuttosto sconfortante, quello appena di-pinto. la prematura perdita del riferimento ecclesiologico in ambitocattolico, lamentata da colzani, è senza dubbio l’errore più grandeche si potesse commettere nel post-concilio. Il fatto stesso che, inseno a queste nuove correnti teologiche, autori di ambito cattolicoconvergano sulle medesime posizioni di colleghi di ambito prote-stante, significa in primo luogo che essi hanno rinunciato allachiesa e a pensare la missione come suo connotato vitale ed essen-ziale. e senza il riferimento alla chiesa, la missione perde tutta lasua consistenza. non si vuole con ciò escludere la necessità di unammodernamento della disciplina missiologica proprio a motivo delrinnovamento stesso del modello di chiesa e dunque di missione

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243 tra questi P. Knitter, r. Panikkar, J. than, st. samartha, F. Wilfred e s. Painadatah.244 cfr.e. chIA, Edward Schillebeeckx and Interreligious Dialogue: Perspectives from Asian

Theology (Pickwick Publications, 2012).

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scaturito dal concilio, né si intende ignorare l’emergere di esigenzenuove in seno alle chiese locali. non si vuole neppure misconoscereil fatto che molti autori, sostenitori delle varie teorie, siano animatidal più sincero zelo e che ogni realtà di chiesa possa apportare ilproprio contributo alla comprensione della missione. siamo peròconvinti che dal sistematico smantellamento dei riferimenti pecu-liari di un metodo teologico cattolico e di una dottrina della mis-sione non possa derivare alcun vero rinnovamento della Missiologia,bensì la sua definitiva estinzione.

l’opzione, tutta ideologica, del ‘rigetto apriori’ di quel che vienedal passato missionario e dall’europa costituisce de facto un ver-sante di questa tendenza destrutturante. “rifare la teologia” comevorrebbe dussel, non è solo abbastanza presuntuoso, dopo duemilaanni di storia della teologia, ma anche piuttosto fine a se stesso: lariflessione di fede si snoda nella storia, è per sua natura storica:omettere anche solo una sua parte, in nome di una ristrutturazioneradicale, è ricadere nell’errore che si vuole condannare, quello di unesclusivismo assoluto.

Un ripensamento della Missiologia in ambito cattolico sarebbeinvece possibile ed auspicabile ritornando alla Fede ed ai suoi prin-cipi, ritornando alla prospettiva ecclesiologica delineata dal conci-lio. la Missiologia è in primis una disciplina teologica, perché lanozione che sta al suo centro è di matrice teologica ed ha un fonda-mento dottrinale nel mandato di cristo ai discepoli; un discorso sul-l’attività missionaria, volto al versante pratico e all’esercizioconcreto deve avere radici in una solida teologia della missione.Questo è in fondo l’insegnamento che ci offre il Vaticano II premet-tendo alla trattazione dell’attività quella sui principi dottrinali dellamissione. Abbiamo anche detto che lo schema finale di Ag vide ilconcorso fattivo di valenti teologi di una generazione singolare, eche però fu il frutto del discernimento di un concilio ecumenico,del Magistero della chiesa.

d’altra parte, poiché il tema della missione costituisce un croce-via ineludibile per ogni tema di fede: dalla grazia ai sacramenti,dalla chiesa alla trinità, la Missiologia meriterebbe maggiore con-siderazione da parte della teologia cattolica come tale. In tal sensosarebbero forse nuovamente da meditare, proprio per la loro strin-gente attualità, le parole pronunciate da de lubac nella prima dellesopramenzionate lezioni degli anni Quaranta sul fondamento teo-logico delle missioni:

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“tanto l’opera missionaria è cosa essenziale e centrale, tanto sembra chedebba essere impossibile parlare della chiesa, fosse nel modo più rudi-mentale, senza far entrare le missioni nella sua stessa definizione. È nondi meno un fatto, che molto cattolici non ne sono consapevoli; che nu-merose opere trattano della chiesa senza neanche abbordare il problemamissionario e che i trattati teologici essi pure sono in proposito quasimuti, - e io dico quasi, per eufemismo…”245.

se ottant’anni orsono de lubac ravvisava il problema della mar-ginalità o assenza della missione anche nei trattati di teologia,l’odierna situazione ci presenta una situazione ben peggiore. difatto, non solo il tema della missione non è materia d’interesse perla teologia nei suoi differenti trattati, ma la stessa Missiologia è trat-tata come disciplina di ‘serie b’. tale duplice marginalità è ancheconseguenza di un certo riduzionismo pastoralista prodottosi inseno alla Missiologia, atteggiamento che ha pesato non poco anchesulla comprensione della formazione missiologica appiattita all’ac-quisizione di rudimenti pratici, priva di consistenza, perché troppoassimilata alla prassi senza più badare all’approfondimento delleragioni profonde che vi sono sottese.

con ciò, non si vuole escludere affatto che in Missiologia vi debbaesser spazio anche per considerazioni ed approfondimenti di naturapratica e pastorale, queste però debbono costituire idealmente losbocco di una riflessione che nasce come teologica. In ultima analisi,con l’adozione di una triplice terminologia (missio, missiones, acti-vitas missionalis) cui corrispondono tre diversi livelli ed accezionidi missione, il concilio ha voluto mostrare la complessità ed artico-lazione della disciplina missiologica. Un rinnovamento andrebbeforse avviato partendo da questa indicazione conciliare, recupe-rando in primo luogo la dimensione teologica del tema.

la rimozione della parola missione, ritenuta troppo compromet-tente, la sua sostituzione con termini più in voga come dialogo,mutua evangelizzazione, promozione sociale, lotta sono in fondo ilsintomo di una confusione che attraversa tanto il mondo dei teologiche quello più generalmente ecclesiale; un riflesso di questa crisitrasversale, che abbraccia tanto l’ambito della riflessione che quellodella prassi, può essere rinvenuto anche nella progressiva spari-

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245 h.de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941 et 1946),” in Théologie dansl’histoire, (Paris : desclée de Brouwer 1990), 159-219 (la traduzione è nostra).

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zione di numerose testate di argomento missionario, come ci ri-corda la recente chiusura della rivista Ad Gentes, la cui sospensioneè stata decisa dagli stessi Istituti Missionari Italiani provocandoqualche malumore246.

Conclusione

nella relazione finale al sinodo straordinario del 1985, il Card.Daneels parlando del Concilio Vaticano II proferiva queste parole:

“Ulterius Concilium in continuitate cum magna Traditione Ecclesiae in-

telligendum est; ac simul ex eiusdem Concilii doctrina lumen pro Eccle-

sia hodierna et pro hominibus nostri temporis accipere debemus.

Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis”247.

la continuità con la Tradizione della Chiesa ed insieme la capa-cità della dottrina di illuminare la vita odierna della stessa Chiesasono in effetti due costanti caratteristiche anche del primo capitolodi aG. I Padri conciliari scansarono con decisione la tentazione diquello che Paolo VI, in Ecclesiam Suam, stigmatizzava come “inutilemimetismo”248 ritenendo fondamentale recuperare i principi dog-matici, al fine di delineare l’attività missionaria e le sue sfide in fe-deltà ai dettami di Cristo. non a caso Paolo VI aveva insistito moltosul “dovere dell’evangelizzazione”, sottolineando che esso è “con-geniale al patrimonio ricevuto da Cristo”249. In altri termini, laChiesa del Concilio è stata chiamata a rinnovare la “coscienza dellasua missione” col compito di evidenziarne le ragioni distintive pro-fonde250. lo studio della genesi redazionale del Decreto ha ampia-mente dimostrato quale travaglio abbia accompagnato questo

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246 Chi scrive è stato per diversi anni membro del Comitato scientifico di questa rivista italiana.

Critiche aperte alla decisione sono state avanzate da Piero Gheddo: egli ha lamentato una ‘politi-

cizzazione della missione’ ed insieme la tendenza, a suo dire, suicida da parte del mondo missio-

nario per aver confuso (o sostituito?) l’annuncio del Vangelo ad gentes con la pura lotta di

rivendicazione. Piero Gheddo, missionario del PIME, era presente alla gestazione del Decreto Ad

Gentes, come attestano numerosi interventi nel suo blog . Il testo del suo vibrante intervento sulla

chiusura della rivista si trova in data 15 giugno 2014 (http://gheddo.missionline.org/?p=1515).247 CarD. G. DanEEls, “Ecclesia sub Verbo Dei Mysteria Christi celebrans pro salute mundi.

relatio finalis” 5 (E Civitate Vaticana 1985).248 Cfr. Paolo VI, lettera Enciclica Ecclesiam Suam n. 51: [www.vatican.va].249 Paolo VI, Ecclesiam Suam, n. 66.250 In Ecclesiam Suam Paolo VI ha utilizzato numerose volte questa espressione: n. 10, 17,

19, 23.

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sforzo: se al concilio, in materia di missioni, ci si fosse limitati adoffrire un complesso di disposizioni pratiche e pastorali, come inun primo tempo alcuni settori dell’episcopato africano auspicavano,o se ci si fosse fermati ad una illustrazione canonistica e territorialedella missione, come volevano altri, la redazione del decreto nonavrebbe richiesto un magnus labor, né il documento avrebbe se-gnato una vera svolta per la chiesa. come ha sottolineato colzani,l’opzione per la prospettiva storico-salvifica ed ancor più la fortesottolineatura della natura missionaria della chiesa, asse costitutivodella riflessione conciliare, affrancarono il tema della missione dal-l’impostazione seguita in passato, quella di una chiesa militante;pertanto, concordiamo con lo studioso nel ritenere che non ci siano“altri documenti che, in questa misura e con questa autorità, inter-vengano sulla problematica missionaria” e che sarebbe impensabileabbandonarlo251.

nella parte introduttiva al nostro contributo (A) sottolineavamole difficoltà di metodo connesse allo studio dei testi conciliari e lapluralità e differenziazione delle fonti: siamo dunque consapevoliche molti aspetti menzionati nella seconda parte di questo nostrostudio (B), enucleati dalla documentazione degli Acta, necessitereb-bero di ulteriori indagini ed integrazioni: occorrerebbe infatti esa-minare il materiale d’archivio relativo al lavoro condotto in seno allecommissioni che si avvicendarono nell’elaborazione del documento.d’altra parte, in parallelo, andrebbero studiati con attenzione i con-tributi dei singoli teologi ed esperti che presero parte al gravosolabor redactionis, perché, come prova la lettura del diario di congar,dalla testimonianza dei protagonisti possono scaturire molte luci echiarimenti sulla mens conciliare.

d’altro canto, le considerazioni condotte nelle due successiveparti di questo nostro saggio (c e d), provano che lo studio dellagenesi redazionale di un testo conciliare non è mera archeologia:nel caso specifico del primo capitolo di Ag si è ampiamente provatala sua attualità e ricchezza in ordine alle sfide ed alle questioni checaratterizzano il dibattito teologico odierno sulla missione, mo-strando in pari tempo come nel testo conciliare si rinvenga una pre-cisa criteriologia per la riflessione missiologica attuale.l’esposizione dottrinale nel decreto detiene, a nostro avviso, una

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251 colzAnI, “storia e contenuti del decreto ‘Ad gentes’”, 142.

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valenza particolare: il decreto fu piena espressione della chiesa riu-nita in un concilio ecumenico. la scelta del concilio di affrancarsida una definizione territoriale di missione ed, in pari tempo, la vo-lontà di partire da una sua nozione dottrinale costituiscono ancheuna chiara risposta alle tentazioni ‘regionalistiche’ odierne di talunisettori della teologia come di alcuni ambienti ecclesiali che tendonoa ‘funzionalizzare’ la definizione di missione al proprio contesto edalla propria esperienza locale, assolutizzandola.

nel cercare di porre in luce l’attualità di questa pagina conciliaresi è quindi avuto modo di toccare il problema delle notevoli diffi-coltà che sta attraversando la teologia della Missione in campo cat-tolico, come pure di mostrare la crisi di senso che sta seriamenteinsidiando la sostanza della missione, a motivo del moltiplicarsi diteorie, ove sembra ridursi il riferimento alla Fede e per contro ac-centuarsi il ricorso a categorie di matrice ideologica e profana. lospessore dell’esposizione dottrinale di Ag è scaturita dall’apportofattivo di teologi che conoscevano la vitalità della tradizione cri-stiana e che sapevano accostarvisi con proprietà di metodo. la teo-logia del novecento rese grande servizio alla chiesa del concilio,anche in materia di missione. non così ampi settori della teologiaattuale che, in materia di missione, parrebbero più concentrati asminuirne il valore. l’urgenza che si pone oggi è dunque quella direcuperare senso, metodo e finalità specifiche della riflessione teo-logica, evitando la commistione con categorie e teorie estranee allaFede. Il primo capitolo di Ad Gentes mostra la direzione da perse-guire. la Missiologia odierna dovrebbe ripartire dalla dottrina con-ciliare sulla missione, riflettendo teologicamente sui problemi e lesfide odierne alla luce di alcuni principi non negoziabili: l’unicità dicristo e l’azione della sua grazia salvatrice, l’essenza missionariadella chiesa, il valore di Fede e Battesimo, quello della conversionea cristo, solo per menzionarne alcuni.

Altro piano è invece quello dell’attività missionaria, in aiuto dellaquale possono svolgere un ruolo non secondario anche altre disci-pline afferenti all’ambito delle scienze umane: accanto alla missionecome principio dogmatico oggetto di riflessione teologica, vi è in-fatti l’azione missionaria, l’operatio.

In altri termini: la Missiologia ha nella teologia della Missione ilsuo nerbo ed il suo fondamento, il suo asse centrale. entro questoalveo si collocano la teologia delle religioni, molte questioni e temi

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di ecclesiologia, argomenti afferenti all’ambito della teologia Moralee Fondamentale. esiste tuttavia anche il versante pratico, quellodell’attività missionaria: questa implica l’apporto delle conoscenzeche provengono dall’etnologia, dalla Filosofia, dalla storia, dall’An-tropologia culturale, dalla Psicologia della religione ecc. di qui lacomplessità di un progetto di formazione missiologica che rispecchiun’indirizzo multidisciplinare. di per sé quest’ultimo non è una no-vità dei giorni nostri: l’antico collegio romano dove si formarono iprimi missionari gesuiti destinati alla cina presentava un pro-gramma di studi che, avendo al vertice la teologia, includeva al con-tempo un ampio spettro di discipline umane252.

Queste ultime considerazioni ci conducono infine ad una rifles-sione sul ruolo della Facoltà di Missiologia della Pontificia Universitàgregoriana. nel 1960, celebrando i 25 anni della Facoltà, si facevaosservare che “i problemi delle missioni non costituiscono affattouna ‘riserva di caccia’ per i soli professori o allievi della Facoltà diMissiologia…”253, ma un tema e una preoccupazione comune, invirtù della comune vocazione cristiana di tutti noi e della nostra ap-partenenza alla chiesa. la Facoltà di Missiologia ha preso vita neglianni trenta, tempo in cui la chiesa era attraversata da un profondorisveglio missionario essenzialmente incentrato sulla missio ad gen-tes.

nel corso dei decenni, questa istituzione ha servito la chiesa nonsolo preparando decine e decine di futuri missionari, ma perse-guendo al contempo l’impegno accademico e scientifico di promuo-vere studi sulla complessa realtà della missione, sia come temadogmatico, che in altre prospettive.

Proprio in virtù della complessità del compito affidatole e delruolo che essa è stata chiamata a ricoprire negli anni, persino quellodi provare come “i problemi della missione non costituiscono unariserva di caccia”, dobbiamo includere nella memoria di questa sto-ria di Facoltà anche i momenti di crisi, l’ultima delle quali assai re-

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252 cfr. n. stAndAert, “the roman college and the Missions: Mutual Influence and Interac-tion”, in Atti del Solenne Atto Accademico in occasione del 450° anniversario della Fondazionedel Collegio Romano 1551-2001 (Roma, 4-5 aprile 2001) (roma: edizione nuove dimensioni2001), 111–26.

253 “la Faculté de Missiologie à l’Université gregorienne. Vingt-cinq ans d’activité 1932-1957. Preface,” in Studia Missionalia 10 (1960): IV-V.

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cente e forse la più travagliata in assoluto. Parlarne dopo aver alungo illustrato il travaglio del decreto ha dunque un senso, perché,come si è visto studiando l’iter del documento, le crisi sono di persé salutari, quando in luogo di evitarle o di ignorarle, si accetta diviverle fino in fondo alla ricerca di una risposta risolutiva che segniun nuovo punto di partenza. È grazie all’intensità del travaglio cheha accompagnato il percorso di questo ultimo decennio che, ottan-tanni dopo la sua fondazione, la Facoltà di Missiologia si presentaoggi con un volto rinnovato e con una vitalità inaspettata. A pareredi chi scrive e senza esagerare si è trattato, anche qui, di un duruslabor. la missione è in se stessa un durus labor, come molte paginedi storia missionaria testimoniano appieno. In ragione dei cambia-menti e delle sfide intervenuti nel post-concilio in materia di mis-sione, la ricerca di un nuovo assetto di Facoltà non poteva chetradursi in un fattivo ascolto delle nuove istanze della chiesa. A dif-ferenza di ciò che avveniva negli anni trenta, ove per missione siintendeva soprattutto e solo la missio ad gentes, si è dovuto tenerconto che oggi l’accezione di missione è assai più ampia essendo inmaggiore evidenza la responsabilità di ogni battezzato, ovunqueegli si trovi ad operare e a testimoniare il Vangelo.

Proprio in ragione della confusione di cui soffre la riflessionesulla missione della chiesa oggi, come si è ampiamente dimostratopoc’anzi, tra i compiti più urgenti di questa nostra Facoltà vi è cer-tamente quello di ridare spessore alla teologia della Missione, unospessore autenticamente ‘conciliare’, come pure quello di affrontarepiù direttamente quei temi di fede ‘di frontiera’ che, nonostantel’importanza che essi detengono per la chiesa d’oggi, non trovanoconsiderazione nelle esposizioni odierne dei trattati di teologiadogmatica e Fondamentale. si schiude dunque un percorso artico-lato e coraggioso, nel solco dell’insegnamento conciliare.

Con una tesi diretta da P. K. J. Becker S.J., Ilaria Morali ha conseguito il dottorato in

Teologia Dogmatica (1997) presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gre-

goriana insegnando nella stessa Facoltà per diversi anni (1994-2008). Entrata successiva-

mente a far parte della Facoltà di Missiologia (2007), è stata nominata professore

straordinario (2011) e Direttore del Dipartimento di Missiologia (2012) concorrendo al

progetto di ristrutturazione della Facoltà. Membro dell’Accademie Internationale de

Science religieuse (2007), è stata di recente nominata da Papa Francesco Consultore del

Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (2014). Nella sua produzione letteraria

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come nel suo insegnamento privilegia la trattazione di temi inerenti alla Dottrina della

Grazia, alla Teologia delle Religioni, come pure al dibattito sul rapporto Cristianesimo-

altre religioni sviluppatosi in varie epoche nella Teologia. Numerosi sono per altro anche

gli studi da lei condotti sul Concilio Vaticano II in rapporto a questi ambiti tematici. Tra

le sue pubblicazioni: La salvezza dei non cristiani. L’influsso di de Lubac sulla dottrina del Vaticano

II, (Bologna: EMI 1999); H. de Lubac, (Collana “Novecento Teologico”n. 8 - Brescia: Mor-

celliana: 2002). Di recente, in collaborazione con K. Josef Becker S.-J., ha pubblicato lo

studio Catholic Engagement with Worldreligions: A Comprehensive Study, (Faith Meets Faith)

(New York: Orbis Book 2010).

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