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I Musei delle Scienze Agrarie L’evoluzione delle Wunderkammern a cura di Stefano Mazzoleni e Sabrina Pignattelli ISBN 978-88-7893-006-3 I Musei delle Scienze Agrarie L’evoluzione delle Wunderkammern
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I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA

Mar 22, 2023

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Page 1: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA

I Musei delle Scienze AgrarieL’evoluzione delle Wunderkammern

a cura diStefano Mazzoleni e Sabrina Pignattelli

ISBN 978-88-7893-006-3

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I Musei delle Scienze AgrarieL’evoluzione delle Wunderkammern

a cura diStefano Mazzoleni e Sabrina Pignattelli

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Questo volume è stato realizzato da COINORCentro di Ateneo per la Comunicazione el’Innovazione OrganizzativaUniversità degli Studi di Napoli Federico IICorso Umberto I, n. 4080138 Napoliwww.coinor.unina.itTutti i diritti riservati

Titolo I Musei delle Scienze Agrarie. L’evoluzione delle Wunderkammern

A cura di Stefano Mazzoleni e Sabrina Pignattelli

Progetto grafico, copertina e impaginazione doppiavoce

Fotografie Mauro Fermariello

Per aver fornito altro materiale fotografico si ringrazianoPaola Adamo: pag. 124, 125 (alto e basso dx), 129 (alto e basso dx), 131 (centro e basso sn, centro e basso

dx),134 (sn), 135, 137 (alto dx, centro sn e dx, basso sn e dx), 139 (alto dx)Maurizio Clumez e Pietro Violante: pag. 182, 184, 186, 188 (basso), 189Antonino De Natale: pag. 53, 54 (alto dx), 68 (centro), 73 (alto dx, basso), 83 (alto dx), 240Antonio Garonna: pag.102 (dx), 105 (centro dx), 112 (dx), 113 (basso), 115, 116Fabrizio Marziano: pag. 77 (dx), 78Mario Marziano: pag. 82 (alto, basso dx), 83 (sn)Stefano Mazzoleni: pag. 9 (alto dx, basso dx), 14 (basso sn), 15 (alto dx), 16 (basso dx), 17, 19 (alto), 21, 22 (sn),

23 (sn e basso dx), 24 (alto sn e dx, basso dx), 27, 222Riccardo Motti: pag. 14 (alto dx, alto sn, basso dx), 15 (alto sn, basso dx e sn), 16 (alto e basso sn, alto dx), 19

(basso), 20, 22 (alto dx), 23 (alto dx), 24 (basso sn), 25 Angelo Pesce: pag. 136Salvatore Sermino: pag. 22 (basso dx) TESS Costa del Vesuvio: pag. 183, 185, 187, 188 (alto)Satoshi Matsuyama: pag. 84 (sn, alto dx)

Sfondo di copertina Tavola della camera delle meraviglie da Historia naturale di Ferrante Imperato Napolitano, 1672

Si ringrazia l’azienda grafica ROSSI s.r.l., via Boscofangone zona A.S.I., Nola (Napoli) per il contributo alla realizzazione delpresente volume

© 2007 – Università degli Studi di Napoli Federico II

ISBN 978-88-7893-006-3

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Prefazione IX

Introduzione XI

La Facoltà di Agraria tra passato e futuro XIII

L’Orto Botanico di Portici 1Stefano Mazzoleni, Riccardo Motti, Massimo Ricciardi

I precedenti storici 5Dal 1873 ad oggi 9Le collezioni 14Il bosco 26Il ruolo dell’Orto 28

Il Museo Botanico “Orazio Comes” 31Emilia Allevato, Antonino De Natale, Gaetano Di Pasquale, Marisa Idolo,Fabrizio Marziano, Stefano Mazzoleni, Sabrina Pignattelli, Massimo Ricciardi

Storia e descrizione 35Biblioteca Storica 38Herbarium Porticense 52Collezioni micologiche 75Collezioni di legni e carboni 79Collezione di piante officinali “Carlo Erba” 85Collezioni didattiche 89

Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 95Antonio Pietro Garonna

Storia e descrizione 99Collezione entomologica 101Collezioni didattiche 108

Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 117Paola Adamo, Alessandro Bernardi, Angela Mormone

Storia e descrizione 121Collezioni mineralogiche 123Collezione petrografica 134Collezione Vesuviana 136Marmi 138Fossili 139Collezioni didattiche 140Medagliere 142Biblioteca storica 143

Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini” 145Antonio Crasto, Salvatore Velotto

Storia e descrizione 149Le collezioni 151

Indice

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Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini” 157Salvatore Faugno, Alessandro Santini

Storia e descrizione 161La meccanica agraria alla fine dell’Ottocento 163La meccanica agraria nella prima metà del Novecento 168La meccanica agraria nella seconda metà del Novecento 170

Strumentazioni scientifiche 171Ennio Del Vasto – Carmine Amalfitano, Pietro Violante – Anna Maria Carafa, Paolo Pizzolongo

Sezione di Topografia 175Sezione di Chimica Agraria “Carlo La Rotonda” 180Sezione di Botanica 190

Portici come sito museale 195Donatella Mazzoleni

Natura, architettura, memoria nel sito di Portici 199Il Paesaggio vesuviano delle Origini: il Fuoco, l’Acqua e la Croce cosmica 201Paesaggio come Teatro del sublime e del pittoresco 208Paesaggio come Giardino: il recinto e l’infinito 216Paesaggio come Museo: stanze della memoria, stanze delle meraviglie 222Il sito di Portici come meta del Grande Viaggio 227

Lo scenario futuro 231Stefano Mazzoleni

Il contesto culturale 235I progetti 236

Bibliografia di riferimento 243

Bibliografia storica citata 248

Fonti documentarie 250

VI I Musei delle Scienze Agrarie

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[…] mi ha ispirato un’idea che se venisse attuata,per bizzarra che possa sembrare,tuttavia non sarebbe priva d’importanza.Supponiamo che alcune persone di rilievo,che abbiano il gusto delle belle curiositàe soprattutto delle macchine, si accordino insiemeper farne fare delle pubbliche rappresentazioni.Bisognerebbe che potessero disporre di fondi,per affrontare le spese necessarie;il che non sarebbe difficile […].La sede diverrebbe con il tempo un palazzoe conterebbe o al proprio interno, o al piano terreno,delle botteghe con ogni sorta di cosa immaginabile.

Gottfried Wilhelm Leibniz, Drôle de Pensée, touchantune nouvelle sorte de representations, 1675

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Le antiche origini dell’Università di Napoli Federico II, ol-tre ad affermare la sua consolidata tradizione accademi-ca e scientifica, hanno permesso l’accumulo di un note-volissimo patrimonio museale riguardante diverse areedisciplinari quali la mineralogia, la zoologia, l’antropolo-gia, la paleontologia, la fisica e vari aspetti delle scienzeagrarie.Il Sistema Museale di Ateneo rappresenta un efficace emoderno strumento istituzionale, specificamente contem-plato dallo statuto dell’Università, per permettere unaadeguata autonomia gestionale ai Musei universitari fina-lizzato ad un forte impegno nella didattica e nella ricercascientifica. In tale contesto, è stato creato un primo Cen-tro Museale denominato “Centro Musei delle Scienze Na-turali” che riunisce le prestigiose collezioni dei musei pre-senti nelle sedi storiche universitarie di Mezzocannone eS. Marcellino. Altrettanto vaste e per certi aspetti peculiari sono le col-lezioni museali raccolte e custodite presso la Facoltà di

Agraria a Portici. Si tratta di collezioni molto antiche e digrande valore, testimonianza della vivacità scientifica distudiosi delle discipline botaniche, entomologiche, mine-ralogiche ed anche tecnologiche che riflettono la storiadell’agricoltura e dell’uso del territorio della nostra regio-ne e dell’Italia meridionale.Presento con molto piacere e soddisfazione questo volu-me che descrive, per la prima volta in modo unitario, unpatrimonio a lungo dimenticato che invece indubbiamen-te merita una piena valorizzazione ed esposizione. Il libropresenta i contributi di tanti specialisti, che ringrazio perl’entusiasmo ed il grande lavoro di catalogazione e di ve-ra e propria riscoperta del materiale presente nei deposi-ti della Reggia di Portici.

Guido Trombetti

Prefazione

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Tra il XVI ed il XIX secolo, Napoli e dintorni hanno costi-tuito una meta ambita ed obbligata per tutti i viaggiatori.Questi apprezzavano enormemente le bellezze architet-toniche e naturali dei luoghi, dei quali restano, infatti, ec-cellenti descrizioni nei vari diari di viaggio, mappe topo-grafiche, iconografie, documenti pittorici e quant’altro ri-mane come tracce dell’epoca.Il Museo di Ferrante Imperato, farmacista e naturalista, hacertamente rappresentato, tra la fine del 1500 e l’iniziodel 1600, un esempio di eccellenza di museologia scien-tifica, rinomato a livello europeo, e meta obbligata dei na-turalisti e degli scienziati in generale che lo considerava-no un tesoro di grandissimo valore. Immagini del Museoe delle sue collezioni sono riportate nell’opera HistoriaNaturale, dello stesso Imperato, a stampa del 1599, men-tre nulla rimane delle strutture museali i cui reperti sonoper la maggior parte andati dispersi dopo la scomparsadel fondatore.Oltre quest’epoca rinascimentale, in cui il collezionismoera prerogativa di poche menti illuminate, l’instaurarsi diuna dinastia regnante, dopo secoli di varie dominazioni,diede un nuovo impulso alle attività culturali del Regno diNapoli. Nel 1738 il Re Carlo di Borbone innamoratosi dei luoghicostieri alle falde del Vesuvio fece iniziare i lavori per lacostruzione del Sito Reale di Portici, un luogo che dove-va, nei suoi desideri, competere con Versailles in bellez-za dei giardini e dei giochi d’acqua. La sistemazione delparco risultò coeva allo scoprimento della antica città diErcolano per cui presso la nascente Reggia fu costituitoun Museo Ercolanense con i reperti delle prime attività discavo. Quando Carlo, Re di Sicilia dal 1734, abdicò nel1759 perché divenuto Re (Carlo III) di Spagna, il suo suc-cessore Ferdinando IV continuò le opere di sistemazionedel palazzo, dei giardini e del museo. Il luogo fu visitatoda Goethe che descrisse nei suoi resoconti di viaggio ilMuseo di Portici in termini entusiasti: “… i tesori di Portici… quel museo è l’alfa e l’omega di tutte le collezioni di ar-te antica …” (das Alpha und Omega aller Antikensamm-lungen).Indubbiamente tra il XVIII ed il XIX secolo, tra Napoli, Por-tici ed Ercolano, ci fu un forte impulso alla raccolta di ope-re e materiali per esposizioni museali in campo scientifi-co che culminò nella costruzione del Real Orto Botanicoe nella istituzione, nel 1801, del “Real Museo Mineralogi-co”. Quest’ultimo di certo costituì il nucleo fondante deglialtri adiacenti musei naturalistici: il “Museo Zoologico” nel

1813 e poi, da parte dell’Università, il “Museo di Antropo-logia” nel 1881 ed il “Museo di Paleontologia” nel 1932.In tempi più recenti, l’Università degli Studi di Napoli Fe-derico II si è data un nuovo regolamento di Ateneo chevalorizza le strutture museali favorendone l’organizzazio-ne e la gestione. In tale contesto, i Musei sopra citati, apartire dal 1992, si sono consorziati nel “Centro Museidelle Scienze Naturali” che, con il restauro delle sedi sto-riche e del complesso di S. Marcellino, si presenta oggiall’altezza del ruolo e del prestigio della migliore tradizio-ne di museologia scientifica prima ricordata.Al contrario, purtroppo, delle meraviglie del Museo Erco-lanense attualmente resta poco ed anche il patrimonioscientifico presente presso la Facoltà di Agraria di Porti-ci, analogo per importanza a quello dei Musei delleScienze Naturali è stato, salvo poche eccezioni come il“Museo Entomologico Filippo Silvestri”, a lungo dimenti-cato ed in buona parte abbandonato in deposito, in con-dizioni a volte assolutamente penose. Questa situazione è chiaramente inaccettabile!Si pensi che tra le collezioni raccolte nel suo museo daFerrante Imperato si evidenziava un erbario di piante es-siccate, che in parte giunse per via ereditaria al medico enaturalista napoletano Domenico Cirillo. Dell’Erbario Im-perato si salvò un solo volume, attualmente conservatopresso la Biblioteca Nazionale, mentre le collezioni bota-niche dello stesso Cirillo, dopo varie vicissitudini più omeno note, furono acquisite dal Prof. Orazio Comes pres-so la Cattedra di Botanica della Scuola Agraria di Portici,dove ancora oggi sono conservate. Recenti studi basatisu datazioni isotopiche, perizie calligrafiche e analisi del-la filigrana della carta delle camice d’erbario, hanno per-messo di identificare, presso l’Erbario storico di Portici,dei campioni databili tra Cinquecento e Seicento, confer-mando, quindi, la straordinaria rilevanza di queste colle-zioni.Il Sito Reale di Portici necessita indubbiamente di restau-ri e di una riqualificazione generale, ora in corso di realiz-zazione, che permetterà la nascita di un nuovo sistemamuseale integrato, erede della prestigiosa tradizione so-pra ricordata. In tale contesto, un Museo delle Scienzeagrarie, comprensivo delle collezioni mostrate in questolibro, renderà finalmente possibile l’esposizione di questitesori troppo a lungo dimenticati.

Stefano Mazzoleni

Introduzione

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L’istituzione e la sede

Le prime proposte per attivare a Napoli corsi superiori diinsegnamento in agricoltura risalgono alla fine ’700. Anto-nio Genovesi si rivolse al Ministro Bernardo Tanucci perperorare la causa dell’istituzione di insegnamenti univer-sitari in agricoltura definita «Maestra dell’arte mantenitri-ce della vita umana», evidenziando che in città vi era unforte interesse per trattati di agricoltura. Successivamen-te, il botanico Michele Tenore propose la istituzione di unaScuola Politecnica in agricoltura con annesso orto speri-mentale, ritenendo che la fertilità del terreno e lo sviluppodell’agricoltura avrebbero svolto un ruolo fondamentalenell’economia del Regno; ma la sua idea portò più tardisolo alla creazione di un orto agrario all’interno dell’Ortobotanico che sorse in via Foria. Nella prima metà dell’Ot-tocento si assiste solo alla presenza, seppur saltuaria, diuna Cattedra di Agricoltura nell’ambito dell’Università diNapoli e successivamente di corsi di Agronomia, di Esti-mo rurale e di Economia agraria presso la Scuola di ap-plicazioni di Ponti e Strade istituita nel 1811 sul modellofrancese della “Ecole de Pontes ed chaussées”.

Solo nel 1848 in seguito ad una petizione del MinistroPrincipe di Torella, viene istituita una Scuola di agraria,associata alla Scuola di Medicina veterinaria, dove for-mare gli operatori «in un settore importantissimo per laricchezza e la prosperità del Regno». I corsi avevano unadurata triennale ed era data la possibilità ai veterinari diconseguire anche la laurea in Agricoltura con la frequen-za di un anno integrativo di corsi.Dopo l’Unità d’Italia, la prima idea di fondare a Portici unIstituto Superiore di agricoltura autonomo venne espressanel 1865 da Carlo Olhsen, oriundo danese, «attivo e fe-condo scrittore di cose agrarie». In una sua lettera al Con-siglio Provinciale di Napoli propone l’acquisto della Tenu-ta reale di Portici, in alternativa l’acquisto di parte del par-co di Capodimonte, della Favorita a Resina, del Quisisanaa Castellamare; successivamente si dichiarò disposto arecarsi all’estero per studiare l’organizzazione di analoghiIstituti. Il Consiglio della Provincia di Napoli si associò allaproposta di Olhsen trovandola «degna della più seria con-siderazione», ed iniziò le trattative con la Direzione del De-manio e Tasse per l’acquisto della Tenuta di Portici. Il De-manio fece presente che la Tenuta era stata stimata in lire

La Facoltà di Agraria tra passato e futuroAlessandro Santini

Sede dell’Istituto: facciata del lato meridionale dell’ala inferiore. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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XIV I Musei delle Scienze Agrarie

1.900.119, somma non reperibile dalla Provincia, ed attra-verso la Società costituita per la vendita dei beni dema-niali provvide a dividerla in dieci lotti ed a bandire astepubbliche. Fu quindi solo per un caso favorevole che laTenuta stessa non trovò per diversi anni acquirenti, al difuori di qualche entità staccata o ai margini la cui aliena-zione non incise in modo determinante sul mantenimentodella consistenza del Sito reale di Portici.Intanto la Provincia di Milano, venuta a conoscenza del-l’iniziativa porticese, a partire del 1868 cominciò a pen-sare con incisività ad una analoga iniziativa; questo fattoindusse numerose personalità a sostenere con maggio-re insistenza l’iniziativa della Provincia di Napoli; in parti-colare il senatore Pietro Ciccone, allora Ministro dell’a-gricoltura, con un decreto appoggiò anche finanziaria-mente l’idea e mise in evidenza come i fabbricati ed i ter-reni della ex Tenuta borbonica rispondessero perfetta-mente alle esigenze ed agli scopi dell’Istituto.Solo nel 1870 però il Demanio sospese l’asta, soprattuttoper le insistenze e le forti pressioni dell’Onorevole Costa-gliola, Ministro dell’agricoltura, che si prodigò per l’istitu-zione di una Scuola Superiore di agricoltura a Portici peril Mezzogiorno, visto che il Settentrione stava per averneuna a Milano. Si nominò, quindi, una Commissione mistache preparò uno schema di statuto e di regolamento e vi-sitò gli immobili scegliendo i terreni per le diverse coltiva-zioni. Nel 1871 venne approvata una legge che fissava inmodo definitivo il prezzo di lire 720000 che la Provincia diNapoli doveva versare al Demanio in dodici rate per l’ac-quisizione della Tenuta da destinare alla fondazione diuna Scuola Superiore di agricoltura; pertanto, come os-servato successivamente dal Prof. Oreste Bordiga, «que-sto fatto e quello della compera da parte della Provincia,ebbero un nesso tale per cui il secondo non sarebbe av-venuto senza il primo». Il 14 gennaio 1872 il Ministro del-l’agricoltura finalmente istituì con decreto la Scuola Supe-riore di agricoltura di Portici fissandone anche il cofinan-ziamento, unitamente a quello della Provincia di Napoli, esi costituì il primo nucleo del Corpo docente con cinquetitolari fra cui venne nominato primo direttore il chimico to-rinese Alfonso Cossa; l’apertura dei corsi, con dicianno-ve studenti iscritti, avvenne con una solenne inaugurazio-ne e con il discorso del Ministro dell’agricoltura Onorevo-le Costagliòla.

Questo evento rappresenta certamente una tappa fonda-mentale per il ruolo che la Scuola di Portici ebbe nello svi-luppo dell’agricoltura meridionale, ma fu anche decisivoper le sorti del Sito reale dei Borbone1.Quando il complesso edilizio e la parte verso il Vesuviodella Tenuta furono dati in uso alla Scuola poco era rima-sto degli arredi e delle collezioni antiche vanto della Reg-gia, anche perché il palazzo era stato in parte destinatoad abitazioni private, col risultato di un successivo degra-do che è facile immaginare. Fin dai primi anni la presenzadella Scuola ha contribuito a mantenere l’integrità del Sitoreale provvedendo alla sua manutenzione con decoro,nonostante disponesse fin dall’inizio di un bilancio limita-to. Il Bordiga, Direttore della Scuola, nel 1906 potè a ra-gione affermare «Oggidì sarebbe ben altro affare e, senon fosse l’ostacolo della Scuola, Carlo III, Ferdinando I,etc. rivivendo, vedrebbero probabilmente sorgere villini,cafes chantantes, coffee house, ed altre robe simili, doveessi avevano creato il palazzo ed il parco relativo».La Scuola fu dotata di notevole autonomia direzionale edamministrativa e, nonostante le iniziali ristrettezze deimezzi finanziari, seppe reclutare docenti di grande valo-re che si impegnarono fortemente nell’insegnamento enella ricerca. La produzione scientifica era di notevole li-vello ed i docenti erano in continua e stretta relazione coni maggiori studiosi del mondo nei rispettivi campi di inte-resse. Nella biblioteca della Scuola erano conservate rac-colte complete ed aggiornate dei principali trattati e pe-riodici, che si accrebbero rapidamente in numero anchegrazie alle numerose donazioni e agli scambi con le piùprestigiose Istituzioni internazionali. La Scuola si inserì ra-pidamente ed in modo autorevole nel movimento che ve-deva i Paesi più sviluppati impegnarsi nella creazione diinfrastrutture scientifiche e didattiche che determinaronole basi per il grande salto tecnologico che l’agricolturaavrebbe compiuto da lì a poco.Nel 1889 Nicola Miraglia, direttore generale del Ministerodell’agricoltura, in considerazione della serietà e della ri-levanza dei docenti e delle ricerche, volle favorire lo svi-luppo dell’unica Istituzione Superiore di agricoltura nelmeridione per l’interesse immediato non solo del Mezzo-giorno, ma di tutto il Paese. Lo Stato avocò a se comple-tamente il mantenimento ed il controllo della Scuola, neampliò l’organico ed avendo difficoltà ad elargire cospi-

1 Il palazzo reale di Portici, edificato dal 1738 al 1742, aveva assunto dopo la sua costruzione una duplice funzione: residenza per il Re,e di sede del museo, celebre nel ’700, legato alla esigenza di raccogliere e conservare gli oggetti portati alla luce ad Ercolano. Si tratta-va non solo di materiale raccolto che si andava quotidianamente ad aggiungere a quello trovato in precedenza, ma anche di reperti nuo-vi e sconosciuti al mondo degli esperti, per i quali andavano individuati criteri di sistemazione, descrizione, e catalogazione. Dopo la par-tenza dal Granatello di Francesco II che si imbarcò per recarsi a Napoli, donde dopo pochi giorni dovette partire per non tornarvi più, ini-ziò un periodo di profonda degrado per il palazzo reale. I pregevoli mobili che non vennero trafugati nei momenti di interregno, i bronzi diErcolano, le porcellane e quant’altro vi era di pregevole fu trasferito alla Reggia di Caserta, al Palazzo Reale di Napoli, ed a Capodimon-te. Andarono disperse anche le magnifiche stoffe di seta di San Leucio che adornavano le pareti delle sale della parte verso il mare ri-modernate da Gioacchino Murat, solo per due sale si potè salvarle, ma sino a quando nel 1914 l’Amminsitrazione provinciale le fece to-gliere dovendo i locali essere adibiti ad ospedale per invalidi di guerra.

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La Facoltà di Agraria XV

cui fondi per la dotazione ordinaria, la mise in grado dicondurre al meglio la sperimentazione creando diversestrutture collaterali quali: il Deposito governativo dellemacchine agricole e quello degli animali miglioratori, laStazione di chimica agraria, il Laboratorio di entomologiaagraria, la Cantina sperimentale. Inoltre il Ministero dell’a-gricoltura mise in atto una serie di iniziative, integrate dafrequenti e consistenti elargizioni di fondi ai laboratori, efinanziò incarichi e missioni tecniche di vari professori.

L’attività di studio

All’epoca dell’istituzione della Scuola, si era capito, an-che a causa dalla gravissima “crisi agraria” che devastòl’Europa, che l’empirismo degli addetti all’agricoltura nonserviva più se non si collegava ad una rigorosa prepara-zione scientifica e che da una situazione di emergenza sipoteva uscire solo con il ricorso a specialisti ed a struttu-re efficienti e qualificate di assistenza tecnica.I risultati della Scuola iniziarono a manifestarsi nei primianni del XX secolo: in quel periodo si individua la causadella malaria nell’anofelismo e nella bonifica idraulica dei

terreni paludosi uno dei rimedi, ed a quel tempo si diffu-sero e consolidarono i nuovi indirizzi tecnici ed organiz-zativi che hanno guidato lo sviluppo agrario italiano equello meridionale in particolare. I risultati, sia a livelloscientifico che operativo, nei primi venti anni del ‘900 si ri-scontrarono in tutti i settori di interesse dell’agricoltura ela Scuola fu il centro di tutte le attività di collegamento tral’insegnamento, i risultati della ricerca ed il complessomondo agricolo meridionale.In quegli anni si approfondirono le conoscenze e si ini-ziarono i dibattiti sulle peculiarità del clima ed in generedell’ambiente rurale meridionale. L’impiego di tecnicheagrarie, perfezionate per le regioni settentrionali e centra-li, non potevano certamente condurre a risultati favorevo-li negli ambienti meridionali; pertanto si iniziò a rielabora-re e modificare i sistemi colturali che, anche se determi-nati attraverso una lunghissima tradizione, non eranoadatti ad una intensificazione delle produzioni in un am-biente fisico caratterizzato da una forte variabilità e da unclima caldo-arido. Fondamentali furono le ricerche sulletecniche di aridocoltura e di miglioramento genetico del-le piante coltivate, specialmente dei cereali, che consen-

Sede dell’Istituto: direzione. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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XVI I Musei delle Scienze Agrarie

tivano di ottenere prodotti capaci di resistere alle ariditàprecoci. Si portarono a conclusione gli studi sulla malaria,si approfondirono alcuni aspetti fondamentali della bonifi-ca idraulica dei terreni paludosi ed i concetti alla basedegli impianti irrigui collettivi che superavano le limitazio-ni delle irrigazioni oasistiche tradizionali, relegate solo aterreni in prossimità della risorsa. Furono intraprese ini-ziative per la promozione delle colture arboree nel Mez-zogiorno e per lo sviluppo della zootecnia; si affrontaronole problematiche della macerazione delle piante tessili,della microbiologia del suolo, della protezione dei princi-pali alimenti e dei processi fermentativi; si avviarono lecomplesse e capillari iniziative per la preparazione delnuovo Catasto dei terreni; la Scuola entomologica porti-cese impresse al settore un rigoroso orientamento biolo-gico che, per l’altissimo contributo di Filippo Silvestri, siaffermò a livello mondiale. Il suo laboratorio con l’annes-so museo entomologico, situato al secondo piano dellaReggia, era visitato da esperti provenienti da tutto il mon-do per approfondire lo studio della natura e della lottabiologica contro gli insetti nocivi.La Scuola, sempre presente in tutte le vicende dell’agri-coltura italiana, seguì i grandi eventi che caratterizzaronoil periodo: il primo grande esodo rurale che fece emigra-re tre milioni di contadini nelle Americhe, la guerra di Li-bia ed il primo conflitto mondiale. In particolare, con laguerra di Libia si aprì un nuovo territorio di azione per gliagronomi per le nuove esperienze scientifiche e tecnichein una terra non molto diversa per alcuni aspetti da quel-la del Mezzogiorno.L’attività della Scuola ebbe effetti benefici sull’agricolturameridionale che fece registrare progressi sulle produzio-ni senza dubbio sorprendenti, anche se non se ne riescea definire con precisione l’entità per mancanza di daticerti. Questo progresso fu certamente dovuto anche aitecnici formatisi alla Scuola di Portici, che andarono sem-

pre più crescendo in numero man mano che le possibili-tà di impiego aumentavano. Questi occuparono ancheposizioni di grande rilievo al servizio diretto o indirettodell’agricoltura e tra questi molti si distinsero per l’eccel-lente preparazione, per la passione e per la capacità diprovare sempre nuovi stimoli ed occasione di impegno.Nel 1923 la Scuola prese il nome di Istituto SuperioreAgrario di Portici e nel 1935 entrò a far parte dell’Univer-sità di Napoli, come Facoltà di Agraria. Con la interruzio-ne della diretta dipendenza del Ministero dell’agricolturasi caratterizzò in maggior misura come centro di studio edi didattica anche se continuò a rappresentare un riferi-mento per lo sviluppo e politica agraria del Mezzogiorno.I docenti di Portici si impegnarono in attività che conti-nuavano i precedenti indirizzi. Le nuove idee sulla bonifi-ca, elaborate con criteri di integralità, furono sviluppati dauomini di moderne vedute, molti dei quali legati alla scuo-la di Portici e che portarono avanti il risanamento dell’A-gro-Pontino e delle pianure campane, nonché la coloniz-zazione del Tavoliere, del Basso Volturno e del latifondosiciliano. Gli studi sull’aridocoltura furono approfonditi esviluppati principalmente nel campo di Cerignola, annes-so al Laboratorio di coltivazioni di Portici, e portarono an-che ad un sostanziale miglioramento della produzionecerealicola con l’introduzione delle varietà elette con unconsistente aumento delle rese unitarie. Andarono sem-pre più affermandosi e specializzando gli studi sulla mec-canizzazione delle principali colture e sulle macchine perla lavorazione del terreno.Con l’inizio del secondo conflitto mondiale vi fu un bruscorallentamento delle attività della Facoltà, come avvenneper altro per tutte le analoghe Istituzioni, acuito dal fattoche, con la venuta degli alleati, la Reggia di Portici fu inbuona parte requisita e messa a disposizione del co-mando con conseguenti notevoli danni per la struttura. Laripresa si ebbe dopo il 1948 e fu considerevole; anche se

Parco: orto sperimentale e frutteto di piante subtropicali consociate a piante ortensi. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Porti-ci, 1872-1928.

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si andavano aprendo nuove Facoltà nell’Italia meridiona-le, la Facoltà di Portici mantenne un ruolo trainante per laripresa dell’agricoltura in coerente continuità con il pas-sato. La ricerca si consolida sulle tematiche tradizionali:della bonifica che, debellata definitivamente la malaria egli acquitrini, consegna molti comprensori di pianura peruna coltivazione intensiva, degli impianti irrigui collettivi edell’acqua che rappresentava il fattore limitante in moltiterritori meridionali per una intensa utilizzazione agricola,della meccanizzazione che si afferma definitivamente co-me elemento essenziale per far fronte alle esigenze di unmercato che si andava allargando e per le nuove esigen-ze determinate da un massiccio esodo dalla campagnedella manodopera. Vengono altresì affrontati anche nuo-ve tematiche legate ai processi di maggior rilievo che siandavano sviluppando: il notevole accrescimento dellecolture ortofrutticole, la riforma agraria, la pianificazioneterritoriale, il potenziamento degli allevamenti zootecnici,la difesa delle colture, il miglioramento genetico dellepiante coltivate e degli animali in allevamento. Con le ra-

dicali trasformazioni del comparto agro-alimentare e condiffusione dell’industria di trasformazione, nuove linee diricerca hanno ricevuto via via sempre maggiore attenzio-ne; si sono aperti così nuovi filoni di indagine tra i qualihanno assunto sempre più peso le industrie agrarie equelle alimentari.L’importanza dei processi di trasformazione nell’econo-mia del sistema agro-alimentare e l’attenzione che ad es-si presta la Facoltà hanno, quindi, portato all’attivazionedi un corso di laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari.Quale conseguenza, la Facoltà si è arricchita di nuovecompetenze scientifiche e l’attività di ricerca ora si carat-terizza sempre più per un approccio interdisciplinare fi-nalizzato alla preparazione di moderne figure professio-nali in grado di soddisfare le esigenze delle aziende perla gestione e l’innovazione dei prodotti e dei processi pro-duttivi, la trasformazione, la distribuzione ed il controllodella qualità dei prodotti, la ristorazione collettiva e le pro-blematiche della sicurezza in campo alimentare, ma an-che della salvaguardia dell’ambiente.

La Facoltà di Agraria XVII

Corso di Tecnico agrario per Funzionari Provveditorato OO. PP. Mezzogiorno-Isole (gennaio-aprile 1927). Nella prima fila il Corpodocenti, da sinistra: Carlo Santini, Alberto De Dominicis, Filippo Campanile, Francesco De Rosa, Emanuele De Cillis, Filippo Silve-stri, Oreste Bordiga, Giuseppe Lo Priore, Eugenio Galli, Gaetano Briganti, Alessandro Trotter, Francesco Naglieri.

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Le prospettive

La sfida più grande in campo agroalimentare è rappre-sentata dalla necessità di rispondere alle crescenti esi-genze delle popolazioni mondiali per fronteggiare unasempre più pressante richiesta di cibo e di altri prodottiagricoli, determinata dal continuo incremento demografi-co, e nel contempo provvedere al contenimento dell’im-patto dei processi produttivi sull’ambiente, sugli ecosiste-mi e sulle biodiversità. Un problema questo di delicatasoluzione in quanto l’agricoltura è stata spesso una dellecause di inquinamento diffuso del suolo e delle risorseidriche. Sono necessarie invece una valutazione di soste-nibilità, l’applicazione di scelte ottimali tra l’incrementoproduttivo e le opportune garanzie di stabilità economicaed il contenimento dell’inquinamento e la salvaguardiadelle risorse naturali.In ogni caso, la soluzione dei problemi ambientali a sca-la territoriale potrà essere raggiunto solo con l’impiego ditecnologie innovative e di contributi scientifici interdisci-plinari. In tal senso la Facoltà di Agraria costituisce un na-turale luogo di integrazione scientifica per la tradizionalemolteplicità di linee di ricerca che affrontano problemati-che di tipo tecnologico e naturalistico, spaziando dalleanalisi di sistemi complessi caratterizzati da diverse sca-le spazio-temporali fino al dettaglio dei singoli processi fi-sico-chimico e biologici studiati in laboratorio.Lo sviluppo di sistemi informativi geografici (GIS) ed il te-lerilevamento da satellite, nonché l’impiego di modellimatematici rappresentativi del comportamento dinamicodei sistemi naturali, aprono nuove prospettive per la ge-stione delle risorse territoriali e per l’analisi dell’uso delsuolo, dell’entità della deforestazione e degli incendi bo-schivi, dell’inquinamento e dei processi di desertificazio-ne. Cruciali saranno, quindi, le ricerche rivolte al degradodegli eco-sistemi, al riciclo di prodotti organici ed al riusodi acque reflue in agricoltura anche in relazione alle pro-blematiche di perdita di sostanza organica dei suoli sot-toposti ad agricoltura intensiva ed alla riduzione delle dis-ponibilità idriche conseguenti ai cambiamenti climatici edai processi di desertificazione.Nel campo della fertilizzazione e della difesa fitosanitariadelle colture occorrerà sviluppare nuove strategie cheimpieghino prodotti che riducono l’impatto ambientaleed i rischi per la sicurezza alimentare delle derrate. Inquesto contesto la Facoltà si trova in una situazione diavanguardia. Si è partiti da indagini su base molecolaredelle interazioni che si instaurano tra pianta e microflora,arrivando a comprendere i meccanismi biologici sia a li-vello genetico che biochimico e ad utilizzare le cono-scenze acquisite per ottenere nuovi antiparassitari fito-protettori e biofertilizzanti. Nel futuro i principi attivi di

questi prodotti saranno applicati sempre più in base aimeccanismi di azione delle basi genetiche e dei fattorimolecolari coinvolti per ridurre eventuali rischi o effettisecondari collaterali.Nel comparto delle produzioni vegetali, i maggiori con-tributi al miglioramento dei parametri, specialmente qua-litativi, dei prodotti sono da attribuire agli studi genetici.Lo sviluppo delle bio-tecnologie fornirà nuove metodolo-gie di lavoro per risolvere molte delle problematiche le-gate alla coltivazione delle specie di interesse agrario. InFacoltà sono stati già raggiunti importanti successi per lespecie ortive con l’ottenimento di piante resistenti astress biotici ed abiotici. Le tecniche di coltivazione do-vranno utilizzare sempre più strumenti innovativi per ri-spondere alle crescenti complessità del sistema rurale.Le nuove macchine agricole, basate su tecnologie spe-rimentate ed altamente affidabili, dovranno avere la pos-sibilità di dialogare con un centro operativo che raccol-ga ed archivi tutti i dati necessari per la programmazio-ne delle operazioni di campo. Si potrà così attuare una“agricoltura di precisione” che utilizzi dati di tipo biologi-co e chimico, sulle caratteristiche del suolo e del micro-clima e sulle esigenze delle piante, valutate tenendoconto delle variazioni in tutto il campo coltivato, in mododa contenere l’impiego di fitofarmaci e di fertilizzanti. Nelcampo alimentare, gli aspetti biologici, chimici, tecnolo-gici, ingegneristici, nutrizionali, economici e legislativiconcorreranno nello sviluppo innovativo del complessopercorso che dalla formulazione di una idea porta allasua realizzazione industriale.La Facoltà di Agraria, al di là delle tematiche di ricercaavanzata sopra delineate, rappresenta un polo culturaledi riferimento che si pone obiettivi non solo accademicima anche di divulgazione culturale e scientifica più in ge-nerale. Infatti, la Facoltà si sta adoperando affinché siconcilino sempre più le esigenze della ricerca tecnica escientifica con la valorizzazione e la esposizione delleprestigiose collezioni accumulate in quasi un secolo emezzo di attività, testimonianza della storia dell’agricoltu-ra e delle discipline botaniche, zoologiche, geologiche etecnologiche descritte in questo volume.Dopo anni di difficoltà e di incertezze sulla stessa perma-nenza della Facoltà di Agraria nella sua sede storica, si èoggi giunti ad un accordo generale sul futuro del com-plesso della reggia. Un progetto sviluppato dalla Soprin-tendenza e dall’Università, approvato dalla Provincia diNapoli, prevede il restauro e la destinazione delle aree dimaggior pregio della Reggia ad un sistema museale inte-grato, in cui la Facoltà, metterà a disposizione le propriecompetenze alla gestione dell’Orto botanico, del Parco edei Musei scientifici, contribuendo a riportare il Sito realealla sua originale magnificenza.

XVIII I Musei delle Scienze Agrarie

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L’Orto Botanico di Portici

Autori

Stefano Mazzoleni, Riccardo Motti, Massimo Ricciardi

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Nella pagina precedente, immagini dell'Orto botanico di Portici.

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La catastrofica e spettacolare eruzio-ne del Vesuvio nel 1631 mutò profon-damente la struttura del paesaggionella zona di Portici, ma per la loroestrema bellezza, questi luoghi, non-ostante il pericolo vulcanico, conti-nuarono ad essere scelti per insedia-menti di ville nobiliari. Tra queste, inparticolare, la Villa del Conte di Pale-na fu selezionata dal Re Carlo di Bor-bone per insediare il nucleo origina-rio del futuro palazzo reale.

En lo 2 de Agosto de 1738 se dioprincipio a la Plata del Real Sitiode Portici (A.S.N., Casa RealeAmministrativa, fasc. 1015)

Rileggendo le cronache della costru-zione della Reggia di Portici, durata

solo cinque anni (1738-1743), sievince come i tempi della costruzio-ne fossero incalzati da ripetuti solle-citi del Re e come, durante i lavori,una notevole attenzione fosse riser-vata alla sistemazione dei giardini edei parchi. Il Marchese di Salas diramava ordiniin cui era ricorrente il pressante invitoa far presto: «que sin la menor perdi-da de tiempo se circunde da la corri-spondiente muralla todos los bos-quos y terrenos...» (a Brancacho, 3agosto 1738); «una muy particular insinuacion paraque procure que este asumpto seconcluya con la mas possible breve-dad economia etc...» (a Don Matteode Ferrante, 5 agosto);

«El Rey me manda a prevenir V.S.que di non perder tiempo pase a veery reconoscer las compositiones yadornos que faltaro a la Casa delConde Ballena...» (a Medrano, 8agosto); «De orden del Rey prevengo a V.S.disponga que non se pierda tiempoen cerrar todas las entradas que tie-ne la Casa del Principe de SantoBuono al bosque real...» (a Medrano,12 dicembre).

Nelle fonti documentarie si ritrovanomolte note relative ad opere di siste-mazione delle acque, scavi e traspor-ti di terreno, rimozione di pietre, ac-quisto e fattura di vasi di terracotta espese varie (Real Villa di Portici e sue

L’Orto Botanico di Portici 5

I precedenti storici

Orto botanico: parte nord e vista del lato occidentale del Parco Gussone. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Reali Fabbriche – A.S.N., Casa RealeAmministrativa, fasc. 1016, a. 1739eseg.). Sono riportate inoltre varie an-notazioni relative ai giardinieri di cuisi conoscono anche alcuni nomi:Francesco Geri il capogiardiniere,Giuseppe Piccivoli giardiniere am-messo al servizio del Re nell’Agostodel 1740 e gli aiutanti Pietro Malesied Antonio di Fazio (op.cit.). Altre re-gistrazioni contabili riguardano i lavo-ri in ferro per i cancelli dei giardini edei boschi effettuati dal fabbro Gen-naro Pacifico (A.S.N., Dipendenzedella Sommaria, fasc. 135 I). L’incarico di preparare il progetto disistemazione dei giardini fu conferitoall’architetto Antonio Medrano, conlettera del Marchese di Salas del 12dicembre 1738, in cui lo si esortavaad avviare il piano del nuovo giardinofacendo tutto il possibile, con la col-laborazione dell’ingegnere Don Ro-que Joachin de Alcubierre, per svol-

gere l’opera in modo accurato (Pla-tea del Real Sito di Portici, op.cit.). Il progetto fu seguito personalmentedal Re. Il Marchese di Salas, infatti,con lettere del 29 dicembre 1738, co-municò a Medrano ed al Duca Bovi-no i desideri del Re riguardo i giardi-ni affinché eseguissero al più prestole relative opere di progetto e di at-tuazione (op.cit.). Secondo tali diretti-ve, i giardini andavano organizzaticome “Parterre a la Francesa” per cuiveniva richiesto l’impianto di agrumi:«... grillages formados de naranjos yde todos generos de agrumes...”(op.cit.). Nella lettera a Bovino venivainoltre citato anche il giardinieremaggiore Francesco Geri di cui si ri-feriva il possesso di un disegno delgiardino. Si dà inoltre ordine di spedi-re tutto quanto è necessario allo “sti-mato giardiniere maggiore” per quelche riguarda il suo compito di sorve-glianza.

Infine, nella lettera dell’11 marzo1739, il Marchese di Salas scriveva aMedrano riguardo i disegni che l’ar-chitetto aveva inviato con diverse in-dicazioni aggiuntive sul tipo di siste-mazione di fontane, statue e giochid’acqua “così come a Versailles”. Siparla, inoltre, della decisione di orien-tare la Fabbrica del Palazzo Reale inmodo tale da far corrispondere laporta principale con la fontana cen-trale e con l’asse del giardino. Infineviene riferita l’approvazione del Resui nuovi disegni del Parterre fatti daMedrano. Il giardiniere maggiore vie-ne citato per una non perfetta corri-spondenza tra disegni di progetto erealizzazione.A seguito al ritrovamento delle «Pian-te generali ed altre particolari di alcu-ni Siti delle Reali Delizie di Portici pre-sentate alla Real Maestà Sua dal Cav.D. Vespasiano Macedonio Intendentedelle stesse Reali Delizie» (Bibl. Naz.

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Entrata principale dell’Orto. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Nap. – Collezione Palatina), Santoro(1959), riferendosi alla scritta in calcea tali disegni «Francesco Geri giardi-niere maggiore inventò» ed alla lette-ra del 29 Nov. 1738 a «Geri Fran.cofaccia locchè se gli è comandato algiardino di Portici» (A.S.N., CasaReale Amministrativa fasc.1016 G),attribuì al Geri la paternità del proget-to, conclusione ritenuta valida anchepiù recentemente (Alisio, 1974).Noi riteniamo invece che l’ideatoreoriginario della sistemazione dei giar-dini fu senza dubbio Antonio Medra-no, sia in base alle lettere a Medranoprecedentemente citate, sia per unaconsiderazione cronologica. Infatti, lePiante Generali presentate dall’Inten-

dente Vespasiano Macedonio nonsono datate, ma nel punto 6 dell’Indi-ce delle cose contenute nella PiantaGenerale si legge del nuovo portofondato da Ferdinando IV e, quindi,idisegni sembrerebbero successivi al1773, data di costruzione del molodel Granatello. Si tratterebbe cioènon di disegni di progetto, ma con-suntivi dell’opera svolta e la citazione«Francesco Geri giardiniere maggio-re inventò», più che l’attribuzione diprogetto, sarebbe stata piuttosto ilgiusto riconoscimento per l’effettivaattuazione dei lavori di realizzazionedelle aree verdi.Nel corso dei lavori partecipò breve-mente alla sistemazione dei giardini

anche Luigi Vanvitelli che riferisce diciò in una lettera del 24 Aprile 1756:«Carissimo fratello, giovedì mattinaandiedi a Portici e livellai il Giardinoper quella direzione ove si vuol farele fontane e la conserva; ci volle lamattina e porzione di dopo pran-zo...». La ridottissima presenza diVanvitelli nelle opere relative allaReggia di Portici è da lui stesso spie-gata come conseguenza dei difficilirapporti con il Canevari, l’architettoche curava il progetto di costruzionedel Palazzo a Portici, probabilmentegeloso della sua maggiore fama ebravura e da lui giudicato “un mattostravagante” (lettera del 15 dicem-bre 1760).

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Note dei lavori relativi alla costruzione dei giardini della Reggia di Portici (A.S.N., Dipendenze della Sommaria, Giunta dei SitiReali per Capodimonte e Portici, 1748-1804, f. 135 I e II).

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I lavori di allestimento e sistemazionedei giardini proseguirono parallela-mente alla costruzione della Reggiacon alterne vicende legate agli even-ti che si susseguirono in quegli anni.Carlo, Re di Sicilia dal 1734, abdicònel 1759 perché divenuto Re (CarloIII) di Spagna. Suo successore fuFerdinando IV che continuò le operedi sistemazione della Reggia e deigiardini. Il risultato finale della costruzione edallestimento dei parchi e giardini fuestremamente positivo e riscontrò ilfavore di vari commentatori dell’epo-ca. L’Abate Richard (1769), nonostan-te una scarsa considerazione per l’ar-chitettura del palazzo, consideròsplendidi i giardini ed il paesaggiocircostante. Il Reverendo Nicola No-cerino, nella sua opera “La Real Villadi Portici illustrata” (1787), descrisse«... la veduta di tanti Giardini, Viali,Parterri, Spalliere, fatte con maestosodisegno, ed artificio, ben guarnito diogni genere di agrumi, frutti, erbe bo-taniche, e fiori i più rari, ed i più leg-giadri» e più in particolare «...vi è undelizioso giardino, con ben architetta-to Parterro guarnito assai di fiori e diagrumi, ed in mezzo una magnificaFontana ornata di Sirene e di Fauni, enel centro una bellissima statua conveste trasparente, che sembra di no-tare la Dea Flora, con ghirlande di fio-

rinella mano». Ed ancora il canonicoCarlo Celano (1792 – Notizie del Bel-lo dell’Antico e del Curioso...): «... sientra in un amenissimo giardino, il cuisuolo viene adorno di un assai vagoparterre che coi suoi vari giochi dimortella da à Riguardanti un aspettodeliziosissimo...immensi vasi con fiorie piante rarissime ... circondata dagrossi alberi di querce, faggi ed albe-ri silvestri... Chiunque vede questi luo-ghi amenissimi non può fare a menodi stimarli un paradiso in terra, comedà più saggi forestieri vengono cia-mati». È da notare come venga sotto-lineato il valore ameno del giardino difiori e piante esotiche nel contesto na-turale del bosco circostante, un carat-tere di contrasto che va tuttora consi-derato nella osservazione e compren-sione dell’Orto Botanico per un suocompleto inquadramento.Nel successivo periodo napoleonico(1806-1815) e poi nel periodo dellarestaurazione borbonica (1815-1860)nessun cambiamento sostanziale fuapportato alla struttura dei giardini.Nel 1860 il complesso della Reggia edei Giardini entrò a far parte del pa-trimonio del Re d’Italia.Nel 1871 il Palazzo Reale di Porticicon i suoi boschi e le sue dipenden-ze fu messo in vendita dal Re d’Italia.Il complesso della Reggia e dei suoigiardini, ingombrante e costoso, fu

acquistato dalla Provincia di Napoli,per una cifra irrisoria:

Legge 3 luglio 1871, n.337 (Serie2) – VITTORIO EMANUELE II PERGRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’DELLA NAZIONE RE D’ITALIA – IlSenato e la Camera dei Deputatihanno approvato: Noi abbiamosanzionato quanto segue – ARTI-COLO UNICO – Il Governo del Reè autorizzato a vendere a trattati-va privata, per mezzo della Socie-tà Anonima per la vendita dei be-ni Demaniali, alla Provincia di Na-poli la Tenuta di Portici, per il prez-zo di £ 720 mila, pagabile in 12rate eguali di £ 60 mila; la primaall’atto della stipulazione del con-tratto, e le altre di anno in anno colfrutto scalare del 5%. Ordiniamoecc. – Roma 3 luglio 1871Firmato: Vittorio Emanuale II – IlGuardasigilli De Falco QuintinoSella

Il Consiglio Provinciale deliberò di in-sediare una Scuola Superiore di Agri-coltura nel palazzo; fu così istituito unOrto Agrario nei giardini, destinandoad esso il grande quadrato del Giar-dino Soprano e l’adiacente GiardinoSegreto. Così nacque nel 1872 l’OrtoBotanico di Portici, attualmente an-nesso alla Facoltà di Agraria dell’Uni-versità di Napoli.

8 I Musei delle Scienze Agrarie

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All’atto dell’istituzione della RegiaScuola Superiore di Agricoltura, fuchiamato alla Cattedra di BotanicaNicola Antonio Pedicino. Questi, lau-reato in Medicina ed in seguito avvia-tosi agli studi botanici su incoraggia-mento di Michele Tenore, si interessòsoprattutto di studi algologici. Co-munque, nel suo periodo di perma-nenza a Portici, prima di essere chia-mato nel 1877 alla Cattedra dell’Uni-

versità di Roma, curò la sistemazionedel nuovo Giardino Botanico checomprendeva il Giardino Soprano, unquadrato di 7400 mq, ed il GiardinoSegreto, un rettangolo di 1550 mq. Il Pedicino si scontrò col problema diistituire un Orto con finalità didattichenei giardini storici di origine e struttu-ra prettamente ornamentale. Egli mo-strò una certa sensibilità per il valoremonumentale di tali ambienti, ma co-

munque, per le necessità logistiche diimpianto delle nuove collezioni didat-tiche, passò alla rimozione totale del-l’originario Parterre: «Il primo pezzoera simetricamente diviso con opereche sarebbe stata pessima cosa il di-struggere, e però cercai adattare ledivisioni ulteriori a quelle già esistenti,le quali hanno il difetto di sciuparemolto spazio in viali troppo ampi»(N.A.Pedicino, 1878 – Annuario della

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Dal 1873 ad oggi

La fontana centrale al 1928 (da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928) e particolari dei tritoni.

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Orto botanico: parte meridionale con il lato nord dell’ala superiore dell’Istituto. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici,1872-1928.

Laboratorio di Patologia Vegetale: orto sperimentale dal lato sud (al centro un Laurus Canphora). Da Il Regio Istituto SuperioreAgrario in Portici, 1872-1928.

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R. Scuola Superiore di Agricoltura inPortici pp. IX-XVI). Nell’originarioGiardino di Palena furono sistemate lepiante perenni, mentre nel GiardinoSegreto venivano coltivate le pianteannuali. L’impianto nel primo giardinosi è mantenuto in gran parte fino adoggi: «I quattro grandi rettangoli ...sono suddivisi in zone parallele nellequali sono allocate le piante dispostein Famiglie. Uno di essi contiene leMonocotiledoni, gli altri tre le Coniferee le Dicotiledoni. L’ordinamento adot-tato è il Candolleano con alquantemodificazioni. Sei grande vaschecontengono buona quantità di pianteacquatiche e al muro che circonda ilgiardino sono appoggiate un gran nu-mero di piante rampicanti ... Sono oracoltivate nell’Orto da 3500 a 4000specie...» (op.cit.). Nel 1875 fu pubblicato il primo cata-logo dei semi prodotti nell’Orto Bota-nico di Portici, ma sfortunatamentenon ci è stato possibile rinvenirne al-cuna copia.Il Pedicino nel 1877 fece inoltre co-struire una serra in ferro e vetri, di ot-tima fattura, con un tetto curvo ad-dossato al muro di cinta in corrispon-denza del Belvedere col tavolino er-colanese. Si tratta di una strutturamolto bella e ben integrata nel conte-sto del giardino storico. Complessi-vamente quindi la Direzione del Pedi-cino, anche se limitata a soli quattroanni (dal 1873 al 1877), fu caratteriz-zata da una notevole e positiva attivi-tà per lo sviluppo del nuovo Orto Bo-tanico. Con il suo trasferimento a Ro-ma, l’incarico di insegnamento dellabotanica fu conferito ad Orazio Co-mes, il quale successivamente nel1906 fu nominato anche Direttore del-la Regia Scuola Superiore di Agricol-tura.La Mezzetti Bambacioni (1959, 1968)onorò Comes quale illustre esponen-te della Scuola di Portici e ripetuta-mente (1959, 1963) scrisse che lasua morte, avvenuta in Portici il 13 ot-tobre 1917 “segnò la fine del periodoaureo dell’Orto Botanico”. In realtà il Comes svolse un’attivitàeccellente nello sviluppo delle colle-

zioni scientifiche (come evidenziatonel capitolo successivo sul Museobotanico a lui intestato), ma non de-dicò alcuna attenzione particolare al-l’Orto Botanico, che egli utilizzò so-prattutto per la coltivazione di varietàdi tabacco, pianta alla quale dedicògran parte della sua produzionescientifica. Egli ereditò la sistemazio-ne ed organizzazione dell’Orto Bota-nico dal predecessore Pedicino, manon ne sviluppò il lavoro e, addirittu-ra, smembrò il complesso cedendo ilgiardino rettangolare alla StazioneSperimentale per le malattie del be-stiame. La sua direzione quindi, og-gettivamente, costituì una totale in-versione di tendenza rispetto allaevoluzione di un Orto Botanico in mo-do coerente al contesto storico, cosìcome era invece stata l’opera iniziatadal Pedicino.A ciò seguì poi un periodo di presso-ché completa disattenzione per l’OrtoBotanico. Si successero all’insegna-mento della Botanica Camillo Acqua(1917-18), Francesco De Rosa(1918-19) ed Alessandro Trotter(1919-23). Quest’ultimo, professoredi Patologia Vegetale, nel 1920 recu-però il giardino rettangolare dalla Sta-zione Sperimentale per le malattie delbestiame, a cui era stato ceduto dalComes, e lo adibì ad Orto Patologico,destinazione rimasta immutata fino ainostri giorni. Non si trattò evidente-mente di una restaurazione di integri-tà formale o funzionale dell’unità ori-ginaria del complesso dei GiardiniReali, ma, almeno, ha permesso suc-cessivamente il mantenimento diquesti sotto un’unica amministrazio-ne. Con riferimento a questo periodo vadetto del ritrovamento di una notamanoscritta sull’impianto di un Arbo-reto, oggi scomparso, effettuato indata 25 e 26 febbraio 1921. Sonoelencate 52 specie legnose di note-vole interesse botanico di cui è deli-neata anche la disposizione di im-pianto. Non è specificata la localizza-zione di queste aree, comunque, daalcuni schizzi piuttosto rozzi riportatisullo stesso foglio, sembrano intrave-

dersi i riquadri addossati al Muro delGioco del Pallone. Il 31 agosto 1923 il Ministero dell’E-conomia Nazionale (R.D. n.2492)sancì che le Scuole Superiori di Agri-coltura si chiamassero Istituti Supe-riori Agrari con ruoli conformi a quelliuniversitari. Nel 1923-24 l’incarico diBotanica fu di Giuseppe Zodda equindi dal 1924 al ’28 di Giuseppe LoPriore.Con Lo Priore finalmente torna nellaCattedra di Botanica un interessespecifico verso l’Orto, al cui riguardoegli riferisce che anche Filippo Silve-stri, Direttore della Scuola ed illustreProfessore di Zoologia ed Entomolo-gia, mostrò desiderio di promozione.Lo Priore curò l’annessione di altri ap-pezzamenti del Parco Gussone algiardino botanico e, precisamente,due compresi tra il Giardino Sopranoed il grande Muro del Gioco del Pal-lone oltre che un altro la cui localiz-zazione (“situato dietro l’Orto”) non ri-sulta però chiara. Non fu possibile in-vece riprendere la pubblicazione del-l’indice semi cosa di cui egli si ram-maricò esplicitamente (Lo Priore,1872-1928, pp. 61-64 in: Il Regio Isti-tuto Superiore Agrario in Portici).Lo Priore mostrò sensibilità per il va-lore monumentale ed per il contestopaesaggistico: «... l’Orto Botanico ...Emanazione diretta della Villa Reale,come il Giardino Inglese è del Palaz-zo Reale di Caserta, vi si accede at-traverso la scala monumentale ed ilcortile, ornati entrambi di preziosestatue di Pompei e di Ercolano. Cintoda mura e da busti marmorei... Emer-ge nel bel mezzo la Fontana della Vit-toria, sullo sfondo del Vesuvio chepare destini la corona e le palme alpopolo di piante e fiori... Quanta sug-gestione qui sotto il turibolo di Vulca-no!» (op.cit.).In seguito alla morte di Lo Priore Trot-ter ricoprì di nuovo l’incarico dal 1928al ’32, anno in cui di nuovo un botani-co, Giuseppe Catalano, assunse ladirezione dell’Orto. Sua prima opera-zione fu quella di procedere all’inven-tario delle collezioni esistenti median-te una mappatura dettagliata delle

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piante presenti nell’Orto Botanico. Ta-le lavoro è raccolto in una prima ver-sione in due quaderni (brutta e bellacopia) del 1933, ma l’inventario fu te-nuto aggiornato e rifatto quasi an-nualmente fino al 1946. Oltre allespecie piantate in piena terra neiquattro riquadri (“quartini”) del giardi-no storico, furono elencate le piantecoltivate nei cassettoni, nella serra enelle fioriere: «Piante officinali, dellamedicina popolare, alimentari succe-danee, acquatiche e palustri e colle-zioni speciali di piante in serra, del-l’Australia e da decorazione» (Notemanoscritte di Catalano).Catalano si dedicò con passione al-l’aumento delle collezioni tra cui ri-corda in particolare l’acquisizione dispecie succulente ricevute in dona-zione dall’Orto Botanico di Palermo(Catalano 1935). Dal 1937 riprese la

pubblicazione del catalogo dei semiche nel primo anno comprendeva505 specie, ma nel 1941 era incre-mentato ad 827. Nel 1935 intanto l’I-stituto di Portici diventò Facoltà diAgraria dell’Università di Napoli.Nel 1943 gli alleati occuparono comebase militare la sede della Facoltà edil Parco con lo stesso Orto Botanico fuutilizzato per il passaggio ed il depo-sito di mezzi pesanti. La distruzionedegli impianti fu ovviamente totale.Il Prof. Catalano nel 1947 passò dallaFacoltà di Agraria a quella di Scienzedove assunse la direzione del piùprestigioso Orto Botanico di Napoli.Egli conservò comunque l’insegna-mento a Portici per un altro anno. Nel1948 assunse quindi la direzione del-l’Orto di Portici Valeria Mezzetti Bam-bacioni che, in una situazione da leistessa definita completamente deva-

stata dalla guerra, iniziò con solerziala risistemazione dell’Istituto ed il rior-dinamento degli erbari (tra l’altroquesti con D.M. del 28 luglio 1958vennero a costituire un Museo intito-lato ad Orazio Comes). Se relativamente all’Istituto la Mezzet-ti si distinse per una direzione effica-ce e positiva, riguardo l’Orto Botani-co operò sì con pari energia, ma conrisultati piuttosto criticabili. Infatti, incollaborazione con il Genio Civile,vennero svolti una serie di interventidefiniti di “restauro”, ma in realtà ba-sati su criteri banalmente tecnici e dimassima economia. Non vi fu alcunaconsiderazione degli aspetti storico-estetici dei giardini, ma, anzi, si con-tribuì involontariamente al degradodel loro valore monumentale. Tra gliinterventi realizzati dal Genio Civile inquegli anni si ricordano i seguenti:

12 I Musei delle Scienze Agrarie

Immagine autunnale dell’Orto.

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– la recinzione degli appezzamentidi Parco Gussone situati tra il giar-dino ed il Muro del Gioco del Pal-lone, ormai definitivamente annes-si all’Orto Botanico.

– l’asfaltatura dei viali del GiardinoSoprano.

– l’introduzione di mensole di ce-mento nella serra ottocentesca.

– la trasformazione in deposito del-l’entrata dell’Orto Patologico, giàGiardino Segreto della Reggia, peril quale si ricavarono due nuoveentrate attraverso il muro di cintadei giardini.

– la costruzione di una concimaialungo il viale di accesso al Belve-dere con il Tavolino del Re.

– la costruzione di vasche in cemen-to lungo i cassettoni della parte su-periore del giardino storico.

– la costruzione nel viale superioredel giardino storico di una serrache, oltre alla localizzazione pro-fondamente sbagliata in quanto in-terruzione del percorso originaledel giardino, a differenza di quelladovuta al Pedicino, non presentaalcun pregio formale ed estetico.

– la costruzione di un deposito con-neso alla nuova serra attraverso unvarco aperto nel muro di cinta delgiardino storico.

Tutti questi interventi da un punto divista storico-architettonico furonosemplicemente disastrosi, comunqueda un punto di vista botanico si rico-minciarono ad incrementare le colle-zioni e fu mantenuta la pubblicazionedel catalogo dei semi.A partire dal 1966, la direzione è pas-sata al Prof. Paolo Pizzolongo, e dal2004 l’incarico è ricoperto da StefanoMazzoleni. In questi anni, l’Orto Bota-nico ha notevolmente incrementato ilvalore e la quantità delle collezioni inparticolare con l’acquisizione di mol-te nuove specie di succulente. Si èinoltre attuato l’impianto di un palme-to in uno dei riquadri adiacenti il giar-dino storico e, nel riquadro opposto aquesto, si è creato un laghetto artifi-ciale circondato da un felceto. Nelsettore vicino il grande muro dell’anfi-teatro, si sono costruite tre grandiserre che hanno permesso lo svilup-po delle collezioni di succulente negli

anni ’90 attraverso viaggi in SudAmerica e Madagascar, oltre a ripe-tuti acquisti e scambi di piante e se-mi con altri Orti Botanici. Se da un punto di vista botanico si èquindi operato estensivamente ed inmodo positivo, per gli aspetti archi-tettonici si è dovuto assistere ad unpeggioramento ulteriore delle giàprecarie condizioni delle strutturamonumentale. Negli anni ’70 furonorimosse dalla Sovrintendenza la Sta-tua del Fontana centrale ed il Sarco-fago Romano presenti nel giardino,ma successivamente negli anni ’80 e’90 sono anche avvenuti furti di alcu-ni busti marmorei del muro di cintadei giardini e del Tavolino del Re dalBelvedere del Giardino Segreto.Nel 2000 grazie all’AssociazioneAmici dell’Orto Botanico di Roma ealla Soprintendenza ai Beni Culturalie Ambientali di Napoli si è restauratala Serra Pedicino, riportandola al suostato precedente agli interventi delGenio Civile. Da qualche anno si la-vora intensamente su un’attività pro-gettuale di miglioramento delle con-dizioni espositive delle collezioni.

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L’Orto Botanico di Portici, come altreanaloghe istituzioni e in conformitàcon quanto definito dall’IUCN, svol-ge prevalentemente funzioni di di-dattica, ricerca scientifica e conser-vazione di specie. L’insieme dellecollezioni ammonta ad oltre 1.000

specie per circa 4.000 esemplari.Sono rappresentate oltre 100 fami-glie, la maggior parte provenienti dalCentro e Sud America (52%) e dal-l’Africa (26%), oltre a specie di origi-ne eurasiatica. L’esposizione dellepiante è organizzata per tipologia e

distribuzione geografica di specie; leprincipali aree tematiche sono riferi-bili alle: succulente di aree deserti-che e sub desertiche, monocotiledo-ni e palme, felci ed epifite, conifere eCycadaceae, piante mediterranee ecollezioni minori.

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Le collezioni

Colletia paradoxa (Spreng.) Escal.

Passiflora caerulea L. Leuchtembergia principis Hooker.

Thunbergia grandiflora (Roxb. ex Rottler) Roxb.

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Succulente

Su di un preesistente già cospicuopatrimonio, negli anni fra il 1975 e il1983, le collezioni di piante succulen-te, sono state arricchite in maniera si-gnificativa. Al riguardo, va ricordatol’incremento ottenuto attraverso lepropagazioni effettuate con i semi ot-tenuti dagli scambi con altri Orti Bo-tanici. Ancora più importante è stato

un acquisto di diverse diecine di spe-cie del Centro e Sud America effet-tuato in Sicilia. Da questo derivano,tra l’altro, i ragguardevoli esemplari diEchinocactus grusonii Hildm. oggipresenti nell’Orto.Un cenno particolare va inoltre riser-vato alle acquisizioni di specie diestremo interesse botanico raccoltedurante una spedizione scientifica ef-fettuta in Madagascar nel 1977. Que-

sta missione ha consentito di arric-chire il patrimonio dell’Orto di pianteestremamente rare disponibili oggisolo da moltiplicazioni effettuate in vi-vaio. Vanno sottolineati gli ottimi risul-tati ottenuti dalla loro coltivazionenell’Orto. Infatti, sebbene allevate inserra ma collocate in piena terra, es-se hanno raggiunto il portamento e ledimensioni dei soggetti viventi in na-tura.

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Aloe vera L. Pachypodium succulentum (Jacq.) Sweet.

Panoramica della serra. Beaucarnea recurvata Lem.

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Particolarmente ricche sono le colle-zioni delle centroamericane Mammil-laria con oltre 120 specie, e Gymno-calycium (70 specie) e delle africaneHaworthia (20 specie), Aloe (20 spe-cie) ed Euphorbia (30 specie).Di grande suggestione sono i già ri-cordati esemplari di Echinocactusgrusonii Hildm. posti di fronte agli in-gressi principali; alla loro maestositàsi intrecciano grandi individui di Fero-

cactus e Astrophytum e lo strisciantee bizzarro Trichocereus schicken-dantzii (Web.) Br. et R. Tra le pianteprovenienti dal Sud Africa e dal Ma-dagascar, le più rappresentative ap-partengono alla famiglia delle Didie-raceae oltre che ai generi Euphorbia,Pachypodium, Kalanchoe e Aloe. Fraqueste ricordiamo la rarissima Aloesuzannae R. Decary, e tra le Didiera-ceae, famiglia presente solo in Mada-

gascar, Alluaudia humbertii Choux,Alluaudia procera Drake, Didiereamirabilis H. Baill. e Didierea trollii Ca-puron et Rauh. Fra le piante dei deserti africani spic-ca inoltre la collezione di Aizoaceaeche comprende circa 40 diverse spe-cie di Lithops, più comunemente no-te come piante pietra, nonché esem-plari appartenenti ai generi Fenestra-ria, Trichodiadema e Titanopsis.

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Echinocactus grusonii Hildm.

Astrophytum myriostigma Lem. Euphorbia caerulescens Haw.

Tephrocactus articulatus (Pfeiff. ex Otto) Backbg.

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La pianta che riveste l’interesse mag-giore è senza dubbio la Welwitschiamirabilis Hook., alla quale dedichia-mo un approfondimento specifico. La collezione di piante desertiche èquindi la più importante contando oltre600 specie suddivise in diverse fami-glie, fra cui le più importanti sono leCactaceae (circa 400 specie), Aizoa-

ceae, Euphorbiaceae, Didieraceae eAgavaceae. Questa collezione rivesteparticolare interesse dal punto di vistadidattico, in quanto consente sia di os-servare l’influenza dell’ambiente sullamorfologia, fisiologia e riproduzionedelle piante, che di illustrare diretta-mente il fenomeno della convergenzaevolutiva, cioè di come, negli ambien-

ti estremi, piante appartenenti a grup-pi diversi assumano lo stesso aspetto. A tale scopo la serra delle piante de-sertiche è suddivisa in due sezioni,quella prossima all’ingresso, è dedi-cata alle succulente dei deserti cen-tro e sudamericani mentre il resto del-l’area espositiva è occupata dallesucculente africane.

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Euphorbia stenoclada Baill. Alluaudia procera Drake.

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Welwitschia mirabilis Hooker fil.

Al centro della serra delle succulente, l’attenzione dei visitatori viene attratta dagli esemplari di Welwit-schia mirabilis Hook. fil., i cui soggetti presentano dimensioni e portamento difficilmente osservabili inpiante coltivate.“Diversa da qualunque altra pianta conosciuta della Terra”. È questa una delle tante definizioni date aquesta specie veramente bizzarra dal momento che quasi tutti i suoi caratteri non trovano riscontro innessuna altra specie vegetale.Essa viene inclusa nelle Gimnosperme, gruppo sistematico al quale appartengono anche i pini, gli abe-ti e i cipressi.Ogni individuo di Welwitschia è costituito da un tozzo e breve tronco che, anche in natura, solo eccezio-nalmente supera il mezzo metro di altezza. Esso è del tutto privo di rami e, alla sua estremità, forma unaspecie di scodella dai bordi rugosi. Del tutto unica è poi la particolarità per la quale ciascun soggetto, in tutta la sua vita, produce soltantodue foglie. Queste si presentano come grandi nastri della consistenza del cuoio che si accrescono con-tinuamente nel punto di inserimento sul tronco mentre si disseccano e si sfrangiano all’estremità. Sonostate trovate in natura piante con foglie larghe quasi 2 metri e lunghe oltre 6. Questo suggerisce, per que-sti soggetti, un’età ragguardevole compresa tra i 500 e i 1000 anni.Sull’orlo della coppa del tronco si sviluppano le strutture fiorali (riproduttive). I fiori sono fittamente rag-gruppati all’estremità di brevi sistemi di rametti e ricordano i coni delle altre Gimnosperme. Ogni piantaporta o solo fiori che producono polline o solo fiori che portano ovuli dai quali si sviluppano i semi.La Welwitschia si distingue anche per la sua distribuzione in natura e per l’ambiente estremo nel qualeessa vive. Il suo areale naturale è infatti circoscritto alla Namibia e all’Angola. Qui essa cresce in popo-lazioni sparse concentrate in un tratto lungo circa 1.000 Km e profondo al massimo 150 Km di quell’ari-dissima fascia litoranea che separa il deserto del Namib dalla costa atlantica dell’Africa. La Welwitschiaè tuttora comune nella sua area di diffusione naturale e non sembra correre pericoli di estinzione. Essanon è quindi né minacciata né rara sebbene sia protetta dalla legge.Le piante presenti nell’Orto di Portici derivano da semi ottenuti dall’Orto Botanico dell’Angola nel 1976.Dalla loro semina in vaso nacquero due piante per le quali si ebbero forti timori di sopravvivenza essen-do note le difficoltà di allevamento di questa specie al di fuori del suo ambiente naturale.Conoscendo le caratteristiche fisiche e chimiche e soprattutto la grande permeabilità del suolo vesuvia-no si decise di azzardare, a fronte del forte rischio della loro permanenza in vaso, la messa a dimora inpiena terra delle due giovanissime piante. La scelta dette ottimi risultati e il substrato vulcanico si rivelòparticolarmente adatto. I due individui presero infatti a svilupparsi nel migliore dei modi e, assoggettatiad accorte modalità di irrigazione, oggi, all’età di trent’anni, il loro sviluppo e il loro portamento non haquasi nulla da invidiare a soggetti cresciuti negli ambienti naturali della patria di origine.Dopo qualche anno le due piante di Welwitschia emisero per la prima volta i fiori e, fortunatamente, unadi esse si rivelò pollinifera e l’altra ovulifera. Da questo momento in poi, la fioritura si è verificata costan-temente ogni anno e i processi riproduttivi si sono compiuti regolarmente con abbondanti produzioni disemi fertili.Le semine vengono periodicamente ripetute in modo che l’Orto di Portici possa conservare uno dei suoiprincipali se non addirittura il suo più significativo motivo di interesse e di attrazione.

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Welwitschia mirabilis Hook., esemplare staminifero.

Coni staminiferi. Coni ovuliferi.

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Monocotiledoni

Sempre dedicato al tema degli adat-tamenti agli ambienti aridi è il sugge-stivo riquadro delle monocotiledoninel quale anche prevalgono le speciexerofile. Questa area conserva la pri-mitiva struttura dell’Orto nella qualeciascun riquadro era destinato ad ac-cogliere piante appartenenti allastessa categoria sistematica. È que-sta una delle ragioni per le quali mol-ti degli esemplari qui presenti sono didi notevole valore. Tra essi spiccanogli esemplari di Yucca elephantipes

Regel, Yucca aloifolia L. e Yucca glo-riosa L., la possente Dracaena draco(L.) L. cui si accompagnano la Dra-caena marginata Lam. e la Dracaenaderemensis Engl., le prime due pro-venienti dalle isole Canarie, l’altradall’Africa tropicale. Si segnala anco-ra un esemplare di Xanthorroeapreissii Endl., pianta tipica degli am-bienti aridi dell’Australia, alta circa 2metri e la cui fioritura, fortemente sti-molata dal fuoco e dal fumo nei suoiambienti naturali di distribuzione, ècomunque avvenuta per ben tre voltenegli ultimi 10 anni nell’Orto Botanico,

così come due volte è anche avvenu-ta la fioritura di Puya chilensis Molina.Di particolare eleganza sono gliesemplari di Dasylirion achrotrichumZucc., Dasylirion glaucophyllum Hook.,Dasylirion quadrangulatum S. Wats. eDasylirion. serratifolium Zucc., cosìcome Nolina longifolia Hemsl. Beau-carnea gracilis Lem. e Beaucarnearecurvata Lem. Sui cassoni adiacentia questo riquadro sono ospitate lecollezioni di Opuntia con 13 specie eparte di quella del genere Agave rap-presentato complessivamente da 15specie.

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Puya chilensis Molina.

Scilla peruviana L.

Agavaceae.

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Xanthorrhoea preissii Endl.

Xanthorrhoea preissii Endl., particolare dell’infiorescenza.

Jubaea chilensis (Molina) Baill.

Chamaedorea oblongata Mart.

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La collezione di palme annovera cir-ca 30 specie fra cui spiccano esem-plari di Jubaea chilensis (Molina)Baillon e Caryota mitis Lour. nonchédiversi pregevoli individui di Coryphagebanga Blume, Phoenix hanceanaNaudin var. taiwaniana Becc. e Sabalblackburniana Glazebrook.

Epifite e Felci

Un riquadro immediatamente adia-cente alle mura perimetrali del giardi-no storico è dedicato alle collezioni di

felci distribuita attorno ad un laghettocostruito allo scopo di mantenere ele-vate le condizioni di umidità. La col-lezione annovera circa 30 specie frale quali spiccano esemplari di felciarboree appartenenti alla specieCyathea australis (R. Br.) Domin. alticirca 3-4 metri. Di notevole interesseè la presenza di Woodwardia radi-cans (L.) Sm. che rappresenta attual-mente in Italia un relitto di flora tropi-cale del Terziario.Accanto a specie di felci provenientidal bacino del mediterraneo si pos-sono osservare inoltre Polypodiaceae

provenienti da altri continenti, qualiMicrosorum musifolium (Blume)Ching, della Malesia e Nuova Guineae Phlebodium aureum (L.) Sm. delloSri Lanka.Notevole impulso ha avuto negli ulti-mi anni la collezione di piante epifitecon numerosi esemplari di felci, or-chidee e specie appartenenti ai ge-neri Rhipsalis e Tillandsia. Queste ul-time due sono collezioni di particola-re importanza, la prima annovera cir-ca 15 specie, mentre alla seconda,grazie alle donazioni ricevute di un vi-vaio specializzato è stato dedicato

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Serra delle epifite.

Woodwardia radicans (R.) Sm.

Cyathea australis (R. Br.) Domin.

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particolare spazio ed oggi conta oltre30 specie. La gran parte della colle-zione di epifite ha trovato collocazio-ne all’interno dell’ottocentesca SerraPedicino.

Conifere e Cycadaceae

Le conifere sono concentrate nei ri-quadri orientali. Anche in questo ca-so, come nel settore delle Monocoti-ledoni, è stata conservata l’imposta-zione che venne seguita al momento

del primo impianto dell’Orto. Le spe-cie presenti sono oltre 35. Fra di essespicca un eccezionale esemplareovulifero ultracentenario di Ginkgo bi-loba L. la cui altezza di circa 30 metriquasi mai viene raggiunta da piantecoltivate. Sono presenti inoltre treesemplari di Metasequoia glyptostro-boides Hu et Cheng, individui cente-nari di Pinus pinea L., Pinus roxbur-ghii Sarg. e Cedrus libani A. Rich.nonché Podocarpus falcatus(Thunb.) R. Br., Podocarpus ma-crophyllus (Thunb.) D. Don, Cupres-

sus torulosa D. Don e Thuyopsis do-labrata (L.) Sieb. et Zucc.Un certo numero di piante della fami-glia delle Cycadaceae è stato acqui-stato negli Stati Uniti negli anni ’70.Sebbene non troppo numerosa, que-sta collezione rappresenta un cam-pione abbastanza significativo di unantichissimo gruppo di piante, veri epropri fossili viventi, sempre più rari eminacciati nelle loro patrie di origine.Essa, oltre ai generi Cycas, Cerato-zamia e Dioon, comprende soprattut-to specie del genere Encephalartos.

L’Orto Botanico di Portici 23

Encephalartos horridus Lehm.

Ginkgo biloba L.

Riquadro delle conifere.

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Piante mediterraneee collezioni minori

Un settore dell’orto è dedicato allepiante provenienti dalle diverse areea clima mediterraneo presenti sullaTerra. Accanto a specie provenientidal nostro bacino del mediterraneo,tra cui si ricordano la Primula palinuriPetagna, il Convolvolus cneorum L.,

l’Echium fastuosum, specie di Cistused altri arbusti della macchia medi-terranea, si trovano anche piante pro-venienti da aree del Sudafrica e del-l’Australia, quali diverse specie deigeneri Banksia, Metrosideros, Dodo-nea e Coleonema. Altre piccole collezioni mantenute ascopo prevalentemente didattico so-no quelle delle insettivore, con diver-

se specie dei generi Drosera, Dioneae Nepenthes. Uno dei cassoni peri-metrali è dedicato alle piante officina-li, con particolare riferimento alle aro-matiche provenienti da diverse regio-ni della Terra. Un piccolo spazio è de-dicato infine alle piante alimentari,dove a seconda della stagione ven-gono mostrate le più comuni pianteusate nella cucina italiana.

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Primula palinuri Petagna. Convolvolus cneorum L.

Sarracenia rubra WalterEchium candicans L. fil.

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Scorcio dell’Orto dalla fontana centrale. Felci arborescenti.

Il confine dell’Orto con il bosco di Parco Gussone.

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Al verde strutturato ed antropico delgiardino storico, ricco inoltre di colle-zioni di piante esotiche, si può con-trapporre la natura quasi selvaggiadel bosco del parco circostante. Ineffetti, questo bosco presenta nonsolo visivamente, ma sostanzialmen-te un aspetto naturale rappresentati-vo del popolamento vegetale poten-ziale di queste zone costiere. Va ri-cordato che in tutto il bacino del Me-diterraneo l’antichissima presenzaumana e le relative azioni di taglio diboschi, di pascolo, di agricoltura edincendi, hanno portato ad una modi-fica profondissima del paesaggio ve-getale con la pressoché totale scom-parsa delle formazioni di vegetazioneprimaria. La maggior parte della ve-getazione presente nelle nostre re-gioni attualmente è quindi costituitada formazioni secondarie, cioè pro-dotte da una degradazione più o me-no accentuata di quelle originarie. Il bosco del Parco Superiore dellaReggia, intitolato al botanico Gusso-ne, fu in parte rimboschito mediantel’impianto di lecci soprattutto per ladefinizione della rete di viali che lo at-traversano. In effetti l’impianto di lec-ci in una zona dove già queste pian-te erano presenti come caratteristi-che dominanti della vegetazionesempreverde, costituì un intervento di

riforestazione naturalistica secondo ipiù moderni criteri. Infatti il bosco ve-nutosi a formare si è poi sviluppato inmodo spontaneo assumendo unastruttura evoluta con una stratificazio-ne caratterizzata da alberi dominanti,un secondo strato arboreo, liane, ar-busti, erbe e plantule.È certa la preesistenza di una vege-tazione di questo tipo nella zona, co-me anche indicato dalla presenza delvicino toponimo “Bosco delle Mortel-le”. La flora presente nel bosco, mo-stra in ogni caso chiaramente lagrande naturalità di questo popola-mento vegetale. Ai lecci (Quercusilex) si accompagnano infatti moltealtre specie caratteristiche della ve-getazione sempreverde mediterra-nea con aspetti più o meno mesofili:Pistacia lentiscus, Asparagus acutifo-lius, Smilax aspera, Myrtus commu-nis, Phyllirea media, Rhamnus alater-nus, Arbutus unedo, Erica arborea,Laurus nobilis, Lonicera caprifolium,Lonicera implexa, Sambucus nigra,Viburnum tinus, Coronilla emerus,Crataegus monogyna, Fraxinus or-nus. Tuttora, nonostante l’abnorme cresci-ta urbana circostante ed i frequentieccessivi tagli di sfoltimento, il boscosi presenta ricco oltre che floristica-mente anche di un’avifauna estrema-

mente interessante. Si segnala, adesempio, tra le altre specie la pre-senza dell’averla piccola (Lanius col-lurio), picchio rosso maggiore (Den-drocopos major), assiolo (Otusscops), barbagianni (Tito alba), civet-ta (Athene noctua) (per gentile comu-nicazione di G. Moschetti e M. Wal-ters).Tenuto conto di queste caratteristi-che, è indubbio che nella realtà in-credibilmente urbanizzata, o in ognicaso degradata, delle nostre regioni,ed in particolare nell’area costieraCampana, l’insieme del bosco di Par-co Gussone e delle altre riserve dicaccia borboniche degli Astroni e diS. Leucio e Caserta, costituisce un si-stema di lembi residui di biotopi qua-si scomparsi. In questi lembi ritrovia-mo cioè delle vere e proprie testimo-nianze dell’ambiente passato, ma an-che eventualmente di quello che sa-rebbe l’ambiente futuro se la naturapotesse riprendere il sopravvento inqueste zone. In conclusione, il bosco Gussone de-ve essere considerato a tutti gli effet-ti come una struttura complementareall’Orto Botanico che aggiunge, incornice al “museo vivente” artificialedelle collezioni botaniche, un più am-pio museo naturale delle formazionivegetali mediterranee spontanee.

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Il bosco

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Il parco Gussone.

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Quattro aspetti principali vanno con-siderati per la descrizione e per lacomprensione stessa dell’importanzadell’Orto Botanico di Portici: il valorestorico-architettonico del giardino insé, il valore botanico delle collezioniin esso conservate, il valore didatticodella struttura ed il valore ambientaledello spazio verde in relazione alcontesto urbano e territoriale.

Dal punto di vista storico-architettoni-co, bisogna rilevare che nell’Orto siaccumulano testimonianze estrema-mente ricche: quelle più recenti sonorelative all’intervento borbonico per lacostruzione del complesso dellaReggia e dei suoi parchi (1737-42),ma la conformazione dell’Orto con-serva tracce preziose anche dell’or-ganizzazione territoriale preesistente,cioè delle tipologie delle Ville Vesu-viane esistenti in loco prima della tra-sformazione borbonica. Inoltre, es-sendo stata la sistemazione del par-co coeva allo scoprimento dell’anticacittà di Ercolano, ed alle prime attivi-tà di scavo, l’Orto si trova erede an-che di una collezione museale di re-perti scultorei.

Dal punto di vista botanico, l’Orto diPortici è un luogo particolare in cui il“verde” può essere osservato – maanche, semplicemente, “vissuto” – inmodi estremamente diversi e contra-stanti. Infatti, se da una parte essocomprende la parte “soprana” deigiardini reali del Palazzo borbonico(un verde storico, strutturato ed an-tropico), dall’altra è immerso in unbosco di vegetazione spontanea, ric-co di specie caratteristiche delle for-mazioni sempreverdi mediterranee(un verde naturale e selvaggio). Inol-tre in esso sono presenti le collezionibotaniche, caratterizzate, in partico-lare, da specie succulente rappre-sentative di diverse famiglie prove-nienti da tutto il mondo (un verde eso-tico, in cui si può apprezzare la di-versità delle forme e l’evoluzione del-le piante).

Dal punto di vista didattico, l’Orto bo-tanico, come tutte le analoghe strut-ture a livello internazionale, svolgeun’intensa attività di divulgazionescientifica e di supporto alla didatticadelle scuole, con migliaia di visiteogni anno. Tra le attività va citata la

mostra mercato “Mediterraneo e din-torni” che ogni anno, nel mese dimaggio, riunendo aziende che si oc-cupano di riproduzione di piante raree ornamentali, con l’esposizione diamenità botaniche, crea un’occasio-ne di fruizione pubblica e di divulga-zione.

Dal punto di vista ambientale, infine,considerate le condizioni di vita dellenostre città, è evidente quanto sia im-portante la tutela di aree verdi, so-prattutto se localizzate in zone alta-mente urbanizzate come quelle del-l’area napoletana ed in particolaredella zona di Portici, dove la densitàedilizia e gli indici di inquinamentosono fra i più alti d’Italia. A riguardo,risulta attuale e stimolante ricordarele parole di Valerio Giacomini: “OgniOrto Botanico assume allora, o puòassumere, il significato quasi polemi-co e paradigmatico di luogo di risco-perta della natura, quasi a costituireun’oasi vivificante nel deserto di ce-mento e asfalto delle città”.

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Il ruolo dell’Orto

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Foto aerea dell’Orto.

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Il Museo Botanico “Orazio Comes”

Autori

Emilia Allevato, Antonino De Natale, Gaetano Di Pasquale, Marisa Idolo, Fabrizio Marziano,Stefano Mazzoleni, Sabrina Pignattelli, Massimo Ricciardi

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Nella pagina precedente, immagini delle collezioni del Museo Botanico “Orazio Comes”.

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La storia della Botanica a Napoli haantiche origini. Già nel periodo rina-scimentale, a cavallo tra il 1500 e il1600, importanti studiosi quali Barto-lomeo Maranta, Vincenzo Pinelli, Gio-van Battista Della Porta, Ferrante Im-perato, Fabio Colonna, fecero di Na-poli un centro di riferimento a livelloeuropeo. In questo periodo lo studio eil collezionismo delle scienze naturaliera prerogativa solo di poche menti il-luminate, tant’è che alla morte delgrande Ferrante Imperato il patrimo-nio museale da lui creato fu totalmen-te dismesso, senza comprenderne ilvalore. Così come, in breve scompar-ve anche il grandioso giardino botani-co. Rimangono a testimonianza del-l’antico splendore soltanto le rarissi-me copie degli scritti di Ferrante e po-chi campioni d’erbario, parte custodi-ti alla Biblioteca Nazionale di Napoli eparte, sembra anche nell’Erbario diPortici. Presso il Museo Comes sonoin corso delle verifiche calligrafiche edelle datazioni del materiale d’erbariocinquecentesco al fine di riuscire adattribuirlo con maggiore precisione.

Solo in seguito all’instaurarsi dei Bor-boni, si ebbe un nuovo impulso alleattività culturali del Regno di Napoli ele discipline botaniche torneranno arappresentare un fiore all’occhiellodel fervore scientifico di quei tempi.L’istituzione della prima cattedra diBotanica presso la Facoltà di Medici-na, risale al 1735, importanti nomihanno ricoperto tale ruolo tra cui Do-menico Cirillo (1760-77) e VincenzoPetagna (1779-1811). Lo stesso Do-menico Cirillo nel 1789 fu il promoto-re dell’istituzione di una nuova disci-plina all’interno del corso di laurea inMedicina, la Materia Medica (principiattivi provenienti dalle piante), che in-globava e, di fatto, sopprimeva l’inse-gnamento di Lectura Simplicium.Con la fondazione nel 1778 dellaReale Accademia di Scienze e delleBelle Arti, si inizia a delineare la pos-sibilità di distaccare la disciplina del-la botanica da quella medica, comeevidenzia il Decreto sancito in quel-l’anno da Ferdinando II di Borbone:«Botanica - Si stabilirà nel pieno vi-gore il culto di tutta la storia naturale.

Le mire principali saranno dirette ascoprire e illustrare quanto si ha dispecioso e di utile in materia botani-ca delle nostre regioni. A questo ef-fetto si faranno intraprendere da per-sone esperte le debite peregrinazioniper tutte le Province del Regno».Da questo momento la scienza bota-nica camminerà come scienza auto-noma: iniziano le prime campagnemirate alla conoscenza dalla flora delmeridione d’Italia e viene fondato unOrto Botanico pubblico, legato allaRegia Università. Direttore dell’Ortofu nominato il giovane Michele Teno-re (1780-1861), formatosi come allie-vo di Vincenzo Petagna, lavorandonell’Orto dell’ex Monastero di Mon-teoliveto. Tenore fu il padre dellascuola floristica napoletana, dove siformarono tra i più importanti floristidell’epoca, quali Giovanni Gussone(1787-1866) e Nicola Terracciano(1837-1921).Parallelamente alla grande tradizionebotanica sviluppatesi presso l’OrtoBotanico di Napoli, poi annesso allaFacoltà di Scienze Naturali, la botani-

Il Museo Botanico “Orazio Comes” 35

Storia e descrizioneSabrina Pignattelli, Stefano Mazzoleni

Orazio Comes. Laboratorio di Patologia vegetale: studio del Direttore. Da Il Regio Istituto SuperioreAgrario in Portici, 1872-1928.

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ca ricevette ulteriori impulsi anche nel-l’ambito della Regia Scuola Superioredi Agricoltura in Portici, fondata nel1872, grazie a Nicola Pedicino, primoa ricoprire la cattedra di Botanica del-la Scuola e da subito artefice dell’isti-tuzione del nuovo Orto Botanico diPortici e della realizzazione di una xi-loteca. È soprattutto con Orazio Co-mes che in quaranta anni (1877-1917)di attività di ricerca, insegnamento edirezione, si è andato accumulandoun notevole patrimonio scientificopresso la scuola di Portici (Pedicino,1876; Comes, 1906; Lo Priore, 1928;Mezzetti Bambacioni, 1959).A Comes si deve la costituzione delprimo nucleo dell’Erbario costituitoda campioni raccolti all’interno delGiardino Botanico della Reggia, da

reperti provenienti dalle campagne diricerca effettuate in tutto il Regno, ol-tre che dall’acquisto di importanti col-lezioni d’erbario di valore storico-scientifico, come quelle di VincenzoPetagna, Domenico Cirillo e di Vin-cenzo e Francesco Briganti. Nel con-tempo il Giardino Botanico sempreusato da Comes più come area disperimentazione e coltivazione inparticolare di tabacchi, si arricchì co-munque di specie esotiche, così co-me aumentò il fondo librario della bi-blioteca e fu acquistata la Xilotomote-ca italica di Adriano Fiori. A questi in-vestimenti, si aggiunse l’acquisto diuna grande quantità di apparecchia-ture e sussidi didattici: molti prepara-ti vegetali, come vetrini e barattoli divetro, tavole illustrate di anatomia, fi-

siologia e sistematica e stampe diappunti raccolti da studenti partico-larmente diligenti. Le difficoltà della guerra portaronoinesorabilmente ad un declino di tut-ta la Botanica napoletana, inoltre nel-l’ottobre del 1943 avvenne l’occupa-zione della parte sud della Facoltà daparte degli Alleati. L’Istituto di Botani-ca dovette liberare in brevissimo tem-po i locali dall’arredamento, dal ma-teriale scientifico e didattico. Tutto ilmateriale fu accumulato nell’Aula Ma-gna e in parte nella Sala Monumenti-ni, condivisa con gli uffici della se-greteria. Quando negli anni cinquan-ta, la situazione tornò lentamente allanormalità, l’Istituto ritrovò una siste-mazione dignitosa degli studi e deilaboratori al primo piano della Reg-

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Stanza con tavole didattiche del Laboratorio di Botanica. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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gia. Durante tale, nuovo trasloco funecessario un lavoro di recupero e ri-organizzazione delle varie collezionipresenti e la direttrice dell’Istituto diBotanica dell’epoca Valeria MezzettiBambacioni scrive: «Le collezioni delMuseo hanno risentito in modo parti-colare i danni degli spostamenti e deltempo...». In tale occasione, nel1958, il Museo dell’Istituto di Botani-ca venne intitolato ad Orazio Comes,che lo aveva in effetti fondato conl’acquisizione delle numerose colle-zioni sopra ricordate, senza che aquesto corrispondesse una effettivaapertura al pubblico dello stesso Mu-seo. Successivamente, con la dire-

zione di Paolo Pizzolongo, si è proce-duto all’inizio della catalogazione del-l’erbario con le sue sistemazioni innuove camicie e pacchi.Dopo il terremoto del 1982 la situa-zione precipitò: per permettere i lavo-ri di ristrutturazione della Reggia, l’I-stituto di Botanica fu nuovamente de-localizzato e smembrato in diversestrutture. Si può quindi dire che lamaggior parte delle collezioni mu-seali, dopo aver perso la collocazio-ne originaria di Comes, non abbianotrovato, fino ai giorni nostri, una siste-mazione stabile che ne permetta unafruizione pubblica oltre che da partedi specialisti. A tutt’oggi il Museo Bo-

tanico Orazio Comes non è ancoraaperto al pubblico, ma il lavoro di ri-ordino, catalogazione e studio dei re-perti sta permettendo il recupero dimateriale estremamente antico e ra-ro, di cui si era, in effetti, persa me-moria.Il Museo è suddiviso in varie sezioni,ognuna delle quali conta diverse col-lezioni:– Biblioteca storica– Herbarium Porticense– Collezioni micologiche– Collezione di legni– Collezione di piante officinali “Car-

lo Erba”– Collezioni didattiche

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Studio di campioni d’erbario. Volumi storici e vetreria didattica.

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Storia e descrizione

Nel corso della prestigiosa storia del-la Reale Scuola Superiore di Agricol-tura prima, e della Facoltà di Agrariapoi, gli studiosi, i docenti, i ricercatorihanno accumulato un ingente patri-monio costituito da libri di pregnantecontenuto scientifico, che, col tempo,hanno acquisito un indubbio valorestorico (Università degli Studi di Na-poli Federico II, 2004). Il fondo librariodella biblioteca storica di Botanica, sidistingue per il numero e il valore deitesti raccolti negli anni soprattuttograzie al contributo di Orazio Comes.Questi, attraverso numerosi acquistidi libri e abbonamenti a periodici esoprattutto grazie alla donazione del-la sua biblioteca privata, costituì quel-lo che ancor oggi è il nucleo librariodella sezione storica della Biblioteca.Già nel primo volume dell’Annuariodella Facoltà di Portici viene menzio-

nata la ricchezza della biblioteca Co-mes che, nell’inventario del 1928,conta 1757 volumi tra periodici, ope-re e miscellanee. Attualmente, il patrimonio librario, an-cora in fase di archiviazione, è costi-tuito da circa 2500 volumi, 14000 fa-scicoli di periodici e 120 miscellanee.Tale raccolta comprende volumi cheforniscono una significativa testimo-nianza dell’evoluzione delle discipli-ne naturalistiche e mediche tra XVI eXX secolo. Attraverso tali opere sipuò ripercorrere il mutamento delpensiero scientifico e dell’approccioai fenomeni naturali nel tempo, finoalla nascita del pensiero moderno edel metodo scientifico sperimentale.Tale rassegna consente anche di se-guire, nelle sue linee generali, quellafase dell’evoluzione della botanicache si sviluppa dapprima come unabranca collaterale delle scienze me-diche e che, solo a partire dal XVIII

secolo, si affranca assurgendo ascienza a se stante.Di seguito sono trattati e brevementedescritti, insieme alla figura degli au-tori, i testi più antichi, suddivisi in Cin-quento-Seicento e Settecento. Per inumerosi testi dell’Ottocento, oltre tre-cento, e del Secolo scorso, è statoapprofondito solo il settore della pro-duzione scientifica della Scuola bota-nica napoletana.

Cinquecento e Seicento

L’opera più antica conservata nella Bi-blioteca è datata 1534; si tratta di unarara edizione della famosa e più anti-ca traduzione latina dovuta a TeodoroGaza dei nove libri della “Historiaplantarum” e dei sei libri del “De cau-sis plantarum” di Teofrasto. Il lavoro ditraduzione risale in realtà al 1483, an-no della prima edizione. Essa si in-

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Biblioteca StoricaMassimo Ricciardi, Marisa Idolo, Sabrina Pignattelli

La biblioteca storica del Museo Comes. Castanea sativa Miller dall’Encyclopédieéconomique de Sylviculture III - LesChàtaigniers. Monographie des genresCastanea et Castanopsis di Aimée Ca-mus, 1929.

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quadra in quel nuovo fermento di atti-vità culturali grazie alle quali, verso lafine del XV secolo, si iniziano a tradur-re in latino le più grandi opere di storiae filosofia naturale prodotte dal mondogreco. Di queste Gaza è uno dei tra-duttori per eccellenza in quanto a lui sidevono anche le versioni latine di Dio-scoride e Aristotele. Va infine ricordatocome il Dioscoride di Gaza sia l’Editioprinceps dell’opera di Teofrasto.Dalla seconda metà del Cinquecentoe per tutto il Rinascimento, si assistealla produzione di nuovi testi sul sa-pere naturalistico; gli studiosi avver-tono fortemente la necessità di trova-re metodi di indagine che rispondanoa criteri di razionalità, spinti anchedal progresso degli studi di Fisica ot-tica che consente la costruzione distrumenti sempre più raffinati. Un al-tro motivo di risveglio dell’interesseintorno alle cose della natura e distravolgimento del mondo, non soloscientifico, è la scoperta dell’Ameri-ca: va ripensata la Geografia, l’Antro-pologia, la Zoologia, la Botanica.

Un esempio e un eccellente tentativodi raggruppare le conoscenze passa-te con le nuove scoperte è rappresen-tato dalla famosa opera di Mattioli(1501-1578), che traduce il “De Mate-ria Medica” di Dioscoride, un trattatodi medicina naturale del I secolo d. C.,aggiornandolo con nuove segnalazio-ni e aggiungendovi le nuove pianteche provengono dall’India e dalleAmeriche. Di questa opera edita con iltitolo “I Discorsi di M. Pietro AndreaMatthioli Sanese Medico Cesareo, neiSei Libbri di Pedacio Dioscoride Ana-zarbeo della materia Medicinale” pub-blicato per la prima volta nel 1554, nel-la Biblioteca Comes è conservata l’e-dizione del 1712, stampata a Veneziadal tipografo Nicolò Pezzana. Tobias Aldinus è stato a lungo ritenu-to l’autore dell’Hortus Farnesianus incui vengono descritte, illustrate dapuntuali e dettagliate tavole in biancoe nero, le piante rare che crescevanonel giardino del Cardinale OdoardoFarnese; si tratta di specie che per lamaggior parte provengono da varie

parti del Nuovo Mondo (Canada,Messico, Isole Vergini, Guatemala,Venezuela e Perù), tra cui il topinam-bur, l’acacia, l’amarillo e la passiflora.Quest’opera, “Exactissima descriptiorariorum quarundam plantarum, quaecontinentur Romæ in Horto Farnesia-no” (Roma, 1626), pur riportando co-me autore Tobia Aldino Cesenate,medico e direttore dell’Orto farnesia-no, è stata recentemente attribuita aPietro Castelli da Messina, fondatoredei giardini botanici di Messina, men-tre il contributo di Aldini sembra cir-coscritto alla parte iconografica. Tra il 1500 e 1600 la botanica non vi-ve come scienza a sé, ma è ancorauna branca inscindibile della medici-na. La maggior parte dei trattati diquesto periodo sono infatti rari e pre-ziosi volumi di botanica, medicina estoria naturale. Tali sono, infatti, i due trattati di Ca-store Durante, personaggio di spiccodel Cinquecento, che acquistò presti-gio e fama come medico, botanico epoeta alla corte papale di Sisto V. Il

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Il libro più antico della Biblioteca Co-mes: De Historia plantarum di Teofrastonella versione di Teodoro Gaza, 1534.

Passiflora, dall’Exactissima descriptio ra-riorum quarundam plantarum, quae con-tinentur Romæ in Horto Farnesiano: diTobia Aldino, 1626

Alga fuco raccolta da un abitatore del-l’Oceano dall’Historia Naturale di Ferran-te Imperato Napolitano. Nella quale ordi-natamente si tratta della diversa condi-tion di Minere, Pietre pretiose, & altre cu-riosità [...], 1672.

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suo “Herbario Nuovo” (Roma, 1585)rappresenta il sunto di oltre vent’annidi lavoro e riordina le conoscenze intema di materia medica dall’antichitàfino al secolo XVI. In esso vengonotrattate 874 specie vegetali, tutte cor-redate di immagini, per ognuna dellequali viene fornita una descrizione,con precisi e dettagliati riferimenti al-l’odore e alla profumazione, il “loco”di origine e le “qualità e virtù” com-pletano il quadro. Per ogni pianta ècitato l’uso di dentro e l’uso di fuori aseconda rispettivamente che l’impie-go sia sotto forma di estratti e di infu-si da ingerire oppure di impiastri daadoperare per applicazioni esterne.Il piccolo testo “Il tesoro della sanità”(Roma, 1586) dovuto allo stesso Du-rante rappresenta un repertorio di

igiene, medicina e gastronomia in cuil’autore dedica ampio spazio ai cibi(frumenti, legumi, erbe, radici, frutti,carni, pesci, condimenti) descriven-done la qualità, i nomi, l’utilizzo in cu-cina, i vantaggi e i possibili effetti no-civi, non trascurando neanche l’ac-qua e soprattutto il vino.Negli scritti di Botanica del periodo ri-nascimentale si assiste anche ai primitentativi di classificazione delle pian-te, che sono ancora raggruppate es-senzialmente in base ai caratteri mor-fologici oltre che secondo i loro usi eproprietà. Da più parti si prova a met-tere ordine nel mare magnum di co-noscenze che giungono dal passato. Caspar Bauhin nel suo “Pinax TheatriBotanici Sive Index in Theophrasti,Dioscoridis, Plinii et Botanicorum qui

à Seculo scripserunt opera planta-rum” (Basilea, 1623) fa riferimento aiprincipali autori del passato: racco-glie le conoscenze di Teofrasto, diDioscoride, di Plinio tentando di met-tere ordine fra i nomi delle piante cheerano state citate fin dal tempo deiGreci e dei Romani e verificandone lasinonimia. La biblioteca raccoglieinoltre i testi di Ferrante Imperato(Napoli, 1550-1631) e dell’allievo, Fa-bio Colonna (Napoli, 1567-1640), chedalla seconda metà del Cinquecento,grazie ai loro studi, fecero di Napoliuno dei principali centri di ricerchebotaniche in Europa. Della famosissima “Historia Naturale”di Ferrante Imperato del 1599, è con-servata presso la Biblioteca del mu-seo, la seconda edizione: «In questa

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Tavole di botanica sistematica da I Discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli Sanese Medico Cesareo, nei sei libbri di Pedacio Dio-scoride Anazarbeo della materia Medicinale [...], 1712.

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Prima specie trattata nell’Herbario Nuovodi Castore Durante medico, 1585.

Tavola delle cose più notabili da Il Tesoro della sanità di Castor Durante, 1586.

Ritratto di Fabio Colonna dal Minus co-gnitarum rariorumque, 1616.

Tavole zoologiche dal Minus cognitarumrariorumque di Fabio Colonna, 1616.

Stella marina e ammonite (Cornu Ham-monis), dal Fabi Columnae Phytobasa-nos di Iano Planco, 1744.

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Seconda Impressione aggiuntovi daGio. Maria Ferro Spetiale alla Sanità,alcune Annotationi alle Piante nel Li-bro vigesimo ottavo» (Venezia, 1672).L’opera rappresenta, per l’epoca,uno dei compendi più esaustivi sullediscipline naturalistiche. Essa è sud-divisa in ventotto libri, dei quali i primicinque sono dedicati al mondo mine-rale, nei successivi nove si trovano ri-assunte le conoscenze sulle pratichealchemiche, mentre i restanti trattanodel mondo animale e vegetale. Nellaseconda edizione, più raffinata ri-spetto alla prima, il libro ventottesimoè arricchito dalle annotazioni e dalleiconografie aggiuntive su alcunespecie vegetali fatte da Giovanni Ma-ria Ferro. Di Fabio Colonna, uno dei primi Lin-cei e, tra l’altro, artefice della primateoria sull’origine organica dei fossili,è conservato il “Minus cognitarum ra-riorumque nostro coelo orientium stir-pium Ecphrasis” (Roma, 1616), im-portante opera di sintesi, in cui è ten-tata per la prima volta la riorganizza-zione e classificazione delle cono-scenze botaniche fino a quel tempo.

Settecento

L’enorme produzione dei naturalistie botanici del Seicento, traghetta lascienza nel Settecento. Nella Biblio-teca gli oltre 60 testi risalenti, alme-no come prima edizione, al 1700contribuiscono a fornire una signifi-cativa idea di quella che fu la rivolu-zione scientifica illuministica del Set-tecento. Essi testimoniano, infatti, i primi tenta-tivi di strutturare un sistema unitario diclassificazione dei vegetali e di defini-re categorie tassonomiche, di crearein altre parole un sistema con il qualefosse possibile spiegare la diversitàdei viventi. Gli studi e le opere di Car-lo Linneo (1707-1778) costituiscono iltentativo meglio riuscito per quel tem-po di rappresentazione dell’ordine delmondo vivente e il suo sistema di no-menclatura ha influenzato più di qua-lunque altra innovazione la botanicadescrittiva sistematica, rimanendo inauge a tutt’oggi. Per la seconda metàdel Settecento e la prima dell’Otto-cento, Linneo rappresenta il punto diriferimento per gli studiosi di scienze

naturali, tanto da essere oggetto dinumerose biografie. Tra queste, nellaBiblioteca è conservata la traduzionedel 1789 della “Revue générale desècrits de Linné” di Richard Pulteney,particolarmente ricca di informazionie curiosità anche sulla vita privata diLinneo.Anticipatore e prezioso punto di rife-rimento per l’opera di Linneo è il la-voro di Joseph Pitton de Tournefort,che fornisce un primo sostanzialecontributo allo sviluppo della nomen-clatura binomia. La sua “InstitutionesRei Herbariae”, del 1719, corredatadi preziose tavole in bianco e nero, èuna grande e metodica opera in cuisi distinguono per la prima volta pre-cisamente classi, sezioni, generi,specie e varietà. In essa vengonotrattate ben 11201 specie, per la cuidenominazione l’autore usa un solonome per indicare il genere ed unasintetica frase per la specie.Di Carlo Linneo sono invece conser-vate alcune tra le più importanti ope-re di botanica: della sua più famosa“Species plantarum”, il Museo Co-mes possiede l’edizione curata da

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Frontespizio con dedica e ritratto a Carlo Linneo, da Icones plantarum medicinaliumdi Johann Zorn, 1779-1781.

Sedum indicato come Sempervivum, dalFabi Columnae Phytobasanos di IanoPlanco, 1744.

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Anatomia del fiore di Pulsatilla, dall'Insti-tutiones Rei Herbariae di Joseph Pittonde Tournefort, 1719.

Tavola illustrativa del genere Amaryllis,nel Tableau encyclopedique et methodi-que di Pancoucke di Jean-Baptiste Mo-net Lamarck, 1793-1799.

Alcea rosea L. dalle Icones plantarum medicinalium di Johann Zorn, 1779-1781.

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Willdenow (Berlino, 1797-1830). Lin-neo fu anche un grande viaggiatore,che riscoprì con occhi di attento os-servatore il suo paese, la Svezia. Lasua “Flora suecica” (1755), è il primoesempio di flora nazionale. Infine èconservata la sua importante opera“Systematis Plantarum Europæ”(1785-1786), sintesi di una vita dedi-cata alla ricerca scientifica.Tra le più importanti opere di tasso-nomia del Settecento vi è sicuramen-te quella di Fulgenzio Vitman (1789-1892), professore di botanica all’Uni-versità di Milano, che realizza la“Summa plantarum”, otto volumi incui vengono classificate secondo ilmetodo di Linneo migliaia di piante,ognuna accuratamente descritta.Mentre il sistema di nomenclatura lin-neano si impose rapidamente, il suosistema di classificazione delle pian-te, fondato sulla disposizione degli or-gani riproduttivi, fu giudicato statico einadeguato a descrivere il processodi continua trasformazione cui è sot-toposto il mondo dei viventi. Furonosoprattutto le teorie di Bonnet e di La-marck, a porre le basi per un sistemadi classificazione più dinamico. Charles Bonnet, naturalista e filosofosvizzero, compì osservazioni special-mente sugli insetti scoprendo la par-tenogenesi degli afidi, sostenne lateoria della preformazione e classifi-cò gli organismi seguendo il criteriodella complessità di struttura. Di Bon-net è conservata l’edizione venezianadel 1792 del suo principale trattato:«Considerazioni sopra i corpi orga-nizzati. Dove si tratta della loro origi-ne, del loro sviluppamento, della lororiproduzione ec. e dove si raduna incompendio tutto ciò che la storia na-turale, offerisce di più certo, e di piùinteressante sopra questa materia».Fondamentale fu il contributo diJean-Baptiste Monet de Lamarck allosviluppo del pensiero filosofico escientifico a cavallo tra Settecento eOttocento, con l’elaborazione dellesue famose teorie sull’evoluzione.Personaggio eclettico, Lamarck se-guì studi di chimica-fisica e scienzenaturali e insieme a Buffon istituì il

metodo dicotomico per la classifica-zione delle piante, ancora oggi utiliz-zato.Di questo autore sono conservati i seivolumi da lui curati dell’Encyclopediemetodique di Pancoucke sulla Bota-nica «Tableau encyclopédique etmethodique des trois règnes de lanature. Vingt-deuxieme partie. Bota-nique, comprenant la dioecie, lapolygamie et la cryptogamie. Par leCitoyen Lamarck», oltre a 4 volumiiconografici, contenenti un totale dipiù di 1000 tavole. La diffusione dell’enciclopedia nelSettecento risponde alla crescenteesigenza di produrre testi maggior-mente divulgativi, e rappresenta ilprimo esempio della collaborazionesistematica di studiosi di varie disci-pline che è alla base della formula-zione delle enciclopedie moderne.Nell’Illuminismo si afferma anche l’i-dea di un ordinamento di tipo alfabe-tico, con le voci ordinate dalla A allaZ, e diventano numerosi anche i primidizionari enciclopedici. Di questi laBiblioteca possiede il dizionario dibotanica di Bulliard J.-B. Francois del1783 suddiviso nel Dizionario ele-mentare di botanica e Dizionario deitermini latini e corredato da numero-se tavole.Tra le opere del 1700 sono inoltre damenzionare i numerosi trattati sull’u-so e l’importanza medicinale dellepiante. Tali lavori sono accomunatidalla rigorosa applicazione del siste-ma di nomenclatura linneana e ri-prendono i testi classici e quelli del‘500, aggiornandoli e ampliandolicon riferimenti alle numerose specieamericane e orientali, ormai ampia-mente introdotte in Europa. I princi-pali testi settecenteschi di questabotanica a indirizzo squisitamenteofficinale sono:– il volume dei commentari al Phyto-

basanos di Fabio Colonna, ad ope-ra di Giovanni Bianchi, meglio co-nosciuto con il nome di Iano Planco(Firenze, 1744). Si tratta di una rarariedizione del lavoro di Fabio Colon-na, rivisitata, integrata e impreziosi-ta da pregevoli incisioni e tavole;

– gli “Indices botanici et materiae me-dicae quibus plantarum generahactenus instituta: simplicium quo-que Tam vulgarium, quam exotico-rum nomina, & facultates summatimrecensentur” (Bologna, 1753) dovu-ti a Gaetano Monti, direttore dell’isti-tuto di Storia naturale di Bologna;

– il “Manuel Alimentaire Des Plantes,Tant indigenes qu’exotiques, quipeuvent servir de noutriture & deboisson aux differens Peuples dela terre” di Pierre-Joseph Buc’hozdel 1771, in cui si trattano le mo-dalità di l’utilizzo di nuove specieprovenienti dalle Indie e dalleAmeriche, pregevolmente illustrateda tavole in bianco e nero;

– le “Icones plantarum medicina-lium”, (Nürnberg, 1779-1781) diJohann Zorn, ampiamente illustra-te da 600 pregevoli calcografie eche raccoglie il materiale botanicorelativo alle piante medicinali ditutta Europa, riservando particola-re spazio alla flora medicinale diprovenienza americana.

Tra gli altri volumi del Settecento èda ricordare per la sua particolaritàl’opera in 8 volumi di Peter SimonPallas “Voyages du professeur Pal-las dans plusieurs provinces del’empire de Russie et dans l’Asieseptentrionale” (Parigi, 1793-1794 -L’An II de la République), corredatada un Atlante di tavole in bianco enero botaniche, zoologiche, antro-pologiche e cartine.Particolarmente preziose per la lororarità e per la bellezza delle numero-sissime tavole dipinte a mano sono ledue opere di Nicola Giuseppe Jac-quin “Icones plantarum rariorum”(1781-1806) in due volumi e “Planta-rum rariorum Horti Cesarei Schen-brunnensis” (1804), di cui si conser-va solo il quarto volume; in questi vo-lumi vengono descritte le piante rareraccolte durante le escursioni botani-che dell’autore. Hofbauer, Bauer eScharf sono i creatori delle 648 inci-sioni a tutta pagina colorate a mano,di cui 12 hanno dimensioni oltre il fo-glio, accuratamente ripiegate.

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Solanum pyracanthon Jacq., da Plantarum Rariorum Horti Cesarei Schenbrunnensis di N. J. Jacquin, 1804.

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Dianthus sylvestris Wulfen, dall'Icones plantarum rariorum di N. J. Jacquin, 1781-1786.

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La produzione botanicatra XVIII e XIX secolo a Napoli

Fra Settecento e Ottocento nel mon-do accademico e scientifico napole-tano sorgono figure di spicco chedanno inizio ad una prestigiosa tradi-zione scientifica e in particolare bo-tanica. Nasce così a Napoli unagrande scuola di floristi grazie aiquali la conoscenza del territoriocompie passi da gigante. Figurequali Cirillo, Petagna e Cavolini ripor-tano, dopo i fulgori del Cinquecento,Napoli al centro del dibattito scienti-fico in campo botanico. Questo si ve-rifica, nel periodo borbonico soprat-tutto grazie all’opera di studiosi del-l’importanza di Michele Tenore, Gio-vanni Gussone, Giuseppe AntonioPasquale.La Scuola Botanica Napoletana delSettecento trova la sua figura piùrap presentativa ed autorevole in Do-menico Cirillo. Questi fu medico digrande valore e condusse una vita

in ten sis sima nella quale, dall’eserci-zio della sua professione alla Cortedei Borbone passò a quella di espo-nente di spicco della RivoluzionePartenopea del 1799; fatto, questo,che gli costò la condanna a morte al-l’atto della restaurazione del Regnodelle Due Sicilie. La sua straordinariaversatilità di studioso gli consenti didedicarsi con uguale successo edentusiasmo alla professione, alla car-riera accademica e allo studio e allaricerca zoologica e botanica. In par-ticolare, egli fu il primo autore ad ap-plicare il sistema linneano alla floradel Regno. Una delle sue opere piùimportanti, “Fundamenta botanica,sive philosophiae botanicae explica-tio” (Napoli, 1785-1787), di cui il mu-seo Comes conserva una prima edi-zione, costituirà, per i botanici che glisuccederanno, una pietra miliare ne-gli studi floristici. Nel primo volumeCirillo affronta un’imponente revisio-ne nomenclaturale e sistematica, epropone un’accuratissima descrizio-

ne dei gruppi sistematici e dei lorohabitat. Nel secondo tomo approfon-disce in particolare l’uso delle pianteapplicate alla materia medica. Pur-troppo l’opera del Cirillo, nel periodoimmediatamente successivo alla suaimpiccagione, fu sottoposta ad unasorta di damnatio memoriae e il suoricchissimo erbario andò gran partedisperso o distrutto. Nonostante ciòun certo numero di campioni giunse-ro in possesso di Orazio Comes cheli integrò al suo Erbario (Comes,1906), nel museo di Portici, dove so-no tuttora conservati. L’altra eminente figura, che conferi-sce alla tradizione scientifica napole-tana un respiro europeo, è FilippoCavolini, eclettico studioso che si oc-cupa con uguale successo di botani-ca e zoologia, fornendo contributifondamentali al progresso delle co-noscenze in biologia marina sco-prendo e descrivendo numerosi or-ganismi animali e vegetali. Nella bi-blioteca Comes è conservato il suo

Frontespizio del Viaggio in alcuni luoghidella Basilicata e della Calabria citerioreeffettuito nel 1826 di Michele Tenore,1827.

Frontespizio del Sylloge plantarum va-scularium Florae Neapolitanæ hucusquedetectarum di Michele Tenore, 1831.

Frontespizio dell’Enumeratio plantarumva scularium in Insula Inarime sponteprovenientium vel oeconomico usu pas-sim cultarum di Giovanni Gussone,1854.

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saggio “Zosterae oceanicae Linneianthesis” del 1792, frutto di una lun-ga ricerca che era culminata con lascoperta nel 1787 del ciclo vitaledella fanerogama marina che eglichiama Zostera oceanica (l’odiernaPosidonia oceanica), della qualescopre i fiori e descrive i granuli pol-linici. L’opera del Cavolini sarà conti-nuata con l’istituzione, a Napoli, nel1872, della Stazione Zoologica An-ton Dohrn, prestigioso centro di studidi biologia marina.Altra figura di spicco tra i botanici na-poletani del Settecento è sicuramen-te Vincenzo Petagna. Nella Bibliotecaè conservata una copia delle sue “In-stitutiones Botanicae”, (1785-1787),in cui l’autore, oltre alle descrizionidelle specie, dedica ampio spazio a

quella che egli chiama philosophiabotanica. In questa sezione si adope-ra per mettere ordine fra i vari metodidi classificazione, dando ampio spa-zio al nuovo, per quei tempi, sistemalinneano. Nell’altra opera di Petagnapresente nella Biblioteca “Delle facul-tà delle piante” (Napoli, 1796) eglitratta il tema delle virtù medicinalidelle piante. In proposito, afferma diaver avvertito l’esigenza di realizzareun lavoro che, scritto da uno specia-lista, sgomberasse il campo da tuttele superstizioni, strappando nel con-tempo la materia dalle mani dei ciar-latani, nelle quali gli scetticismi acca-demici la stavano relegando. A raffor-zare il valore anche divulgativo dell’o-pera, concorre il fatto che l’autore ab-bandoni il latino per l’italiano.

Le numerose opere ottocenteschedella Biblioteca Comes, quasi 400volumi, testimoniano la nuova sfidalanciata al mondo del sapere dalle di-scipline naturalistiche che, affinati imetodi di classificazione e di indagi-ne, porta ora gli studiosi ad appro-fondire la conoscenza dell’ambientecircostante. Su tutto l’Ottocento giganteggia la fi-gura di Charles Darwin, simbolo stes-so del naturalista ottocentesco, auto-re di quella teoria evoluzionistica, checostituirà lo scossone più forte alleconvinzioni fideistiche, dopo la rivolu-zione copernicana. Delle sue opere,il museo Comes conserva un’edizio-ne francese “De la variation des ani-maux et des plantes a l’état domesti-que” (Parigi, 1879-1880), arricchita di

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Variabilità morfologica di alcuni organi di piante superiori. DaFundamenta botanica sive philosophiae botanicae explicatio diDomenico Cirillo, 1785-1787.

Frontespizio dell’Atlante di Botanica Popolare ossia illustrazio-ne di piante notevoli di ogni famiglia di Giuseppe AntonioPasquale e Vincenzo Tenore, 1881-1886.

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belle e significative incisioni, e “In-sectivorous plants” (Londra, 1875),oltre all’imprescindibile “Sulla originedelle specie”, presente in un’edizionemilanese del 1926.In ambito locale, gli scienziati si dedi-cano alla stesura di “Faune” e “Flo-re”, elenchi dettagliati di animali epiante presenti sul territorio. Questistudi consentono di conoscere la di-versità e la distribuzione delle speciee costituiscono ancora oggi la basedi molte indagini scientifiche.Agli inizi del secolo, in Italia la laureain medicina è ancora il percorso ob-bligato per chi vuol diventare botani-co. Una vera e propria “Scuola Bota-

nica Napoletana” di grande risonan-za in patria e all’estero nasce nel1807 con l’istituzione del Real OrtoBotanico di Napoli, fondato da Mi-chele Tenore. Di Tenore, la BibliotecaComes conserva numerosi testi, tracui il “Catalogus Plantarum Horti Re-gii Neapolitani” del 1813 e il “Catalo-go della collezione Agraria del RealGiardino delle piante” del 1815. Que-sti elenchi di piante, rappresentanoinoltre i resoconti dell’impegno profu-so dall’autore nell’arricchire le colle-zioni vive dell’Orto Botanico di Napo-li con piante nuove provenienti an-che dai paesi più remoti, con parti-colare riguardo a quelle usate a sco-

po officinale o alimentare. Nel 1820,le sue conoscenze mediche vengo-no messe a profitto nel “Saggio sulleQualità Medicinali delle Piante dellaFlora Napolitana e sul modo di ser-virsene per surrogarle alle drogheesotiche”. Del 1816 sono i due volu-mi del “Trattato di Fitognosia, ossiaesposizione della tecnologia, dellatassonomia, e della fitografia; conun’appendice di storia e di bibliogra-fia botanica”; del 1821 è il “Trattato diFito-Fisiologia; ossia esposizionedella struttura e delle funzioni dei ve-getabili; colle generali applicazioniall’agricoltura ed all’economia civile”.Ricordiamo ancora la “Flora Medica

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Variabilità nei galli. Da De la variation des animaux et des plantes a l’état domestique di Charles Darwin, 1879-1880.

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Universale e flora particolare dellaprovincia di Napoli” (1823), e il “Trat-tato di Fitognosia, ossia esposizionedella glossologia, della tassonomia,e della fitografia” (1833). Infine, pre-ziosa testimonianza di una intensaattività didattica, iniziata nel 1811,sono conservati i volumi in cui furonoraccolti e dati alle stampe i suoi “Cor-si delle Botaniche lezioni”.Al Real Orto Botanico convergerannonomi quali Vincenzo Briganti, del qua-le è conservato l’originale omaggio aLinneo del 1805: “Caroli a Linné Ter-mini Botanici Annotationibus adauctiquibus variorum vocabulorum expla-natio, aliae partium definitiones, acnuperorum rei herbariae scriptorumobservationes continetur”. Altra pre-stigiosa opera è quella del figlio, Fran-cesco Briganti il quale con il titolo di

“Piante tintorie del Regno di Napoli”(Napoli 1842), dà alle stampe un’im-portante opera sullo straordinario nu-mero di vegetali da cui si estraevanoa quel tempo sostanze coloranti.Il più appassionato e dotato allievo diTenore fu sicuramente Giovanni Gus-sone (1787-1866), illustre quanto mo-desto studioso che finì col superareper profondità di sapere lo stessoMaestro. Nominato dai Borbone bota-nico della Real Casa, si vide affidarela direzione dei giardini della Reggiadi Caserta e la fondazione di un ortobotanico a Boccadifalco in Sicilia.Questi incarichi rappresentarono perGussone lo spunto per una produzio-ne non numerosa ma estremamenteapprofondita ed esauriente di operesulla flora dell’Italia meridionale. Traqueste si conservano nella Biblioteca

il “Florae siculae prodromus siveplantarum in Sicilia Ulteriori nascen-tium Enumeratio secundum systemalinneanum disposita” (Napoli 1827-1828) e soprattutto la “Florae siculaesynopsis exhibens plantas vascula-res in Sicilia insulisque adjacentibushuc usque detectas secundum sy -stema linneanum dispositas” (Napoli,1842-1845).L’esplorazione delle Calabrie portò al-la stesura delle “Plantæ rariores quasin itinere per oras jonii ac adriatici ma-ris et per regiones Samnii ac Aprutiicollegit” (Napoli, 1826), mentre le er-borizzazioni proseguite per anni nell’i-sola d’Ischia vengono pubblicate nel1854 nell’“Enumeratio plantarum va-scularium in Insula Inarime sponteprovenientium vel oeconomico usupassim cultarum”.

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Foresta del Brasile. Da Flore des Serres et des Jardins de l’Europe di Lemaire M. CH., Scheidweiler M. e Van Houtte M. L. Gand,1845.

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Le indagini floristiche saranno prose-guite da altri botanici formatisi allastessa scuola. Fra i tanti, va ricordatoNicola Terracciano, del quale si con-servano la “Relazione intorno alle pe-regrinazioni Botaniche fatte per dis-posizione della Deputazione Provin-ciale di Terra di Lavoro” (1872) e la“Flora dei campi Flegrei”, del 1910con le sue due appendici (1916 e1921).Una presenza costante nella vita enegli studi dei due grandi maestri Te-nore e Gussone, sarà Giuseppe Anto-nio Pasquale (1820-1893), il quale,con il figlio di Michele Tenore, Vincen-zo, pubblicherà “Atlante di BotanicaPopolare” (Napoli, 1881-1886), ossial’illustrazione di piante notevoli di ognifamiglia, un lavoro originale per impo-stazione e per ricchezza di illustrazio-ni: 43 incisioni in bianco e nero più idue bellissimi frontespizi a colori.Pasquale, dopo la morte di Gussone,oltre alla produzione di interessantimonografie, continuerà a mantenere

alto il livello dell’Orto partenopeo, ar-ricchendo e riordinando le collezioni,come è evidente dalla pubblicazionedel “Catalogo del Real Orto Botanicodi Napoli” (Napoli, 1867). Affiancato negli studi dal figlio Fortu-nato (1856-1917) pubblica, nel 1879,il “Compendio di Botanica ordinatospecialmente alla conoscenza dellepiante utili più comuni”; sullo stessoargomento, e con i nomi di entrambigli autori, viene pubblicato “Elementidi Botanica Ordinati specialmente al-la conoscenza delle piante utili piùcomuni”, di cui il museo Comes con-serva la terza edizione, del 1901. Do-po la morte del padre, Fortunato Pas-quale darà alle stampe nel 1904 “LaFlora Napolitana nella Orticoltura or-namentale”.La scuola partenopea continuerà aformare importanti personalità dellabotanica destinati a essere punto diriferimento per scienziati italiani estranieri. Uno di questi fu Gian Batti-sta De Toni, di cui si conserva “Syllo-

ge algarum omnium hucusque cogni-tarum” (1891-1892).Altra figura di spicco della botanicanapoletana di questo periodo è rap-presentata da Fridiano Cavara, di cuisono conservate, “Botanica anatomi-ca e sistematica” e “Lezioni di Bota-nica”, omaggio di suoi studenti. Del1911 sono le “Esplorazioni Botanichein Basilicata”, ricerca floristica com-piuta insieme a Loreto Grande, unbotanofilo di assoluto valore il quale,grazie alla sua passione e alla suadedizione divenne uno fra i più im-portanti revisori delle collezioni di er-bario dell’Orto Botanico di Napoli.Negli stessi anni, cresce un altro cen-tro di cultura, che attirando e aggre-gando nomi contribuirà a scrivere pa-gine importanti della storia dellascienza agraria meridionale e italia-na: la Reale Scuola di Agricoltura diPortici, che, attraverso la fondazionedell’Orto Botanico, diventerà unastruttura di catalizzazione per ricer-che e studi scientifici.

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Storia e descrizione

La costituzione dell’Erbario della Fa-coltà di Portici ebbe inizio nel 1873,un anno dopo la creazione della RealScuola Superiore di Agricoltura. Lecopiose raccolte effettuate nell’alloraRegno delle Due Sicilie, da Pedicinoe dal suo valente aiuto Orazio Co-mes, andarono a costituire il nucleoiniziale dell’Erbario del Laboratorio diBotanica. Fu grazie alla grande dedi-zione e alla profonda passione di Co-mes per la botanica che l’Erbario diPortici acquistò sempre più importan-za con l’acquisizione di erbari del1700, come ad esempio gran parte

di quelli di Petagna, Briganti, Cirillo;quest’ultimo contenente anche alcunicampioni risalenti al 1500 facenti par-te probabilmente dei reperti apparte-nuti a Ferrante Imperato.Le collezioni custodite presso l’Her-barium Porticense (PORUN) hanno,in gran parte, conservato la loro strut-tura originaria. Soltanto alcune, forseproprio le più preziose dal punto divista dell’importanza storico-scientifi-ca, sono state intercalate ad altre col-lezioni e campioni di scambio del -l’800. La decisione di frapporre re-perti antichi (1700) ad altri più recen-ti (1800 e pochi dell’inizio del 1900) fupresa nei casi in cui le collezioni ori-

ginarie avevano già perso la lorostruttura, come, ad esempio, per lacollezione Briganti e parte di quella diCirillo. Infatti, Pedicino con l’aiuto dalsuo fedele assistente Comes riuscìad acquistare la collezione Briganti.Soltanto dopo un’accurata visionedel materiale acquisito, il Comes siaccorse della presenza di campionirecanti cartellini con grafia diversa daquella di Vincenzo e Francesco Bri-ganti. Dopo un’approfondita e minu-ziosa indagine grafologica fu scoper-to che il materiale estraneo recava lagrafia di Domenico Cirillo (COMES,1892). Fu chiaro, allora, che le mano-missioni sul materiale originale erano

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Herbarium PorticenseAntonino De Natale

L’antica sala dell’Herbarium Porticense, sullo sfondo il busto e la collezione Ziccardi.

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iniziate già molto tempo prima. Di po-ca importanza sarebbe stato mante-nere un ordinamento ben differenteda quello pensato e attuato dagli au-tori delle collezioni. A questi essicca-ti furono aggiunti altri campioni, chepur se di importanti autori, qualiNyman, Gussone e Tenore, non face-vano parte delle collezioni originali,ma erano utilizzati come materiale discambio tra studiosi di tutto il mondo.In generale i campioni d’erbario risul-tano essere non soltanto estrema-mente fragili, ma anche particolar-mente appetibili da parte dei parassi-ti. Per ovviare agli eventuali attacchidi “insetti dannosi”, in passato, i cam-pioni venivano irrorati con sostanzealtamente velenose. Pedicino, in unsuo scritto, riporta che «Tutto l’erba-rio è avvelenato al sublimato. Gliesemplari già fermati sulle carte,specialmente quelli delle collezionicrittogamiche numerate, vengono av-velenati per mezzo di un piccolo ap-parecchio che riesce molto utile. Èuna bottiglia ordinaria […] con tappo

traversato da due tubi […]» (Pedici-no, 1876). Gli essiccati avvelenati,presenti nell’Erbario del Museo Co-mes sono riconoscibili grazie ad unapiccola etichetta su cui fu stampatol’avviso “AVVELENATO”.I fogli di carta su cui sono adagiati gliessiccati sono di carta di cellulosa,numerosi sono però anche i casi incui fu utilizzata la così detta carta distracci o bambagina, su cui sono benriconoscibili le filigrane che riprodu-cono i simboli ed in alcuni casi i nomidelle cartiere produttrici.L’Erbario storico del Museo Comes èun importante documento-cardinedella botanica antica napoletana e alcontempo rappresenta un preziosotestimone degli studi agronomici delmeridione d’Italia. A fianco delle in-dagini sulla flora e sistematica di Ci-rillo e Petagna, si pongono le analisitassonomiche dei tabacchi o dei co-toni di Comes. Importanti testimo-nianze della ricerca algologica, brio-logica, agronomica, patologica ed et-nobotanica sono ricavabili ad esem-

pio dalle raccolte effettuate negli an-ni ‘10 durante le campagne in Tripoli-tania, nel 1874 in Egitto e Palestina,svolte rispettivamente da AlessandroTrotter e Achille Costa.Le attività floristiche svolte nel meri-dione d’Italia dai botanici della Facol-tà di Agraria di Portici furono a lungoed a torto sottostimate; alcune inda-gini sui territori dell’avellinese e delbeneventano sono, ad esempio, atutt’oggi preziosi punti di riferimento.Orazio Comes morì il 13 ottobre1917, lasciando alla Facoltà di Agra-ria di Portici, un erbario costituito dapiù di 30.000 campioni. Seguironopoi i duri e lunghi anni delle dueguerre mondiali, che provocarononon pochi danni, distruzioni e disper-sioni dei preziosi materiali apparte-nenti alle svariate collezioni storiche.Nuovo impulso alla ricerca nelle disci-pline botaniche fu dato da AlessandroTrotter; le sue indagini riguardaronomolti aspetti della flora di particolariterritori, come dimostrano le svariatesezioni della collezione omonima (fa-

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Collezione Sezione Periodo Presenza

Generale 1700-1960 •Cirillo Fanerogame 1700 o

Cinquecentesca 1500 o

Petagna 1700-1800 o

Briganti 1800 •Ziccardi Sannio 1840 •

Sicilia 1800 •Comes Generale 1800-1920 •

Tabacchi 1910 •Fagioli 1820-1870 o

Dublan Triticum 1800 o

Guglielmi Fichi del leccese 1908 o

Trotter Fanerogame dell’Irpinia 1920 •Noccioli 1910-1940 •Fanerogame della Tripolitania 1910 •Droghe della Tripolitania 1910 •Funghi della Tripolitania 1910 •Alghe della Tripolitania 1910 •

Romeo 1920 •Erbario aperto Didattica 1960 •

Generale 1960 •Tropicale 2003 •Licheni 1970 •

• presenza dell’intera collezioneo presenza parziale della collezione

Colchicum bivonae Guss., entità raradella Sicilia, raccolta nei monti pressoPalermo.

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nerogamica, algologica, micologica,droghe e noccioli). Negli anni ’50 leesplorazioni floristiche continuaronograzie al lavoro di Edmondo Honselprima e Paolo Pizzolongo poi.

Di recente è stata creata una nuo-va collezione “Erbario Aperto”, incui confluiscono tutti gli essiccatifrutto delle ricerche attuali. Tutte lecollezioni, eccetto quest’ultima, so-

no in forma chiusa. Il termine chiu-so sta ad indicare che la collezionenon subisce incrementi di nuovi es-siccati, né alterazioni di ordina-mento.

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Essiccato di Dracocephalum moldavica L. trattato con sublimato, recante la scrittaAVVELENATO.

Il disegno dell’ancora era molto usatocome simbolo delle cartiere amalfitane.La filigrana in questione appartenevanel 1830 a Giovanni G.D.

Apparecchio utilizzato da Pedicino nel-l’avvelenamento dei campioni.

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L’Erbario aperto della Facoltà diAgraria, in questi ultimi anni, si è ar-ricchito di campioni provenienti daterritori regionali italiani quali Abruz-zo, Lazio, Sardegna, Sicilia ed estericome Irlanda, Svizzera e Spagna. Ilgrosso della collezione è, però, com-posto di reperti provenienti da locali-tà campane come Campi Flegrei, Ci-lento, Isola di Capri, Isola di Nisida,Isola d’Ischia, Matese, città di Napo-li, Somma-Vesuvio, e numerose loca-lità della provincia di Avellino, Caser-ta e Benevento. L’ultima sezione co-stituita, “Erbario tropicale”, racchiudeil materiale erborizzato nelle recenticampagne di ricerca effettuate nell’a-rea nord delle Ande dell’Ecuador.L’Erbario Comes di Portici è compo-sto da cinque collezioni principali, Ci-rillo, Briganti, Comes, Erbario gene-rale, Petagna e Trotter. Oltre questesei sono custodite, presso la stessastruttura, collezioni minori come quel-la Dublan, Guglielmi, Romeo e Zic-cardi.Negli ultimi anni, attraverso il proget-to finanziato dai Fondi museo si è ri-usciti a schedare oltre la metà dei fa-scicoli, ma le informazioni sono per lopiù su schede cartacee; attualmente,

è stato avviato un progetto di sche-datura elettronica, il recupero dellecollezioni danneggiate e una serie distudi sulle principali collezioni.

Collezione generale

La Collezione Generale costituì il pri-mo nucleo dell’Erbario di Portici, ini-ziando nel 1873. In esso confluironola quasi totalità delle piante raccolteed essiccate dall’allora direttore delLaboratorio di Botanica Nicola Pedi-cino, una piccola parte di quelle rac-colte da Orazio Comes ed i saggi ri-cevuti dai vari corrispondenti italiani(come ad esempio Albanella, Bruni,Flores, Martelli, Nyman, Savi) e stra-nieri (come Dammann, Dietrich, En-gelmann). A questi si aggiunsero do-nazioni e acquisti di erbari apparte-nuti a famosi medici ed esperti bota-nici del passato, come ad esempioquello di Briganti padre e figlio. Altri“Erbari”, come quello di Cirillo e Pe-tagna, furono tenuti separati, costi-tuendo così collezioni indipendenti. Èprobabile però che nelle opere di risi-stemazione delle collezioni, un buonnumero di essiccati di dette collezio-

ni furono intercalati nell’Erbario gene-rale, alterando ulteriormente l’ordina-mento realizzato dagli autori.I campioni di Vincenzo e FrancescoBriganti pur essendo intercalati nellacollezione erbario generale, sonoconsiderati come una collezione indi-pendente e quindi trattati in seguito.I campioni vegetali essiccati presentinella collezione Generale sono circa15.000, ordinati per famiglie e rag-gruppati per generi. I campioni sonomontati secondo il metodo classico,con fascette di carta e spilli. Spessosu di un unico foglio d’erbario vi sonomontati due o più essiccati apparte-nuti a differenti botanici.Numerosi sono i campioni frutto discambi, come quelli che presentanocartellini a grafia di Giovanni Gusso-ne, preziosissimo collaboratore di Mi-chele Tenore. Non mancano campio-ni dello stesso Michele Tenore e delnipote Vincenzo. L’Erbario generalepossiede, inoltre, reperti di altri famo-si botanici come ad esempio quelli diGasparrini, Mottareale e Cesati.Di particolare interesse rivestono icampioni vegetali frutto delle raccolteeffettuate da Achille Costa durante lamissione in Egitto e Palestina, che

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Particolare dell’Erbario, esempi di fascicoli d’erbario. Collezione generale - Essiccato (Astraga-lus exscapus L.) del 1902, raccolto daMary Spencer nella valle Saas (Svizzera).

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Comes esaminò e di cui pubblicò unresoconto nel 1881.Un discreto numero di essiccati (700circa) reca un cartellino con l’intesta-zione Erbario Cav. Ippolito Blanc, que-sto materiale risale alla fine del XIX se-colo ed è costituito da campioni rac-

colti da numerosi botanici e botanofiliche hanno operato, in qualità di rac-coglitori, nel territorio del Moncenisio.Molte sono le testimonianze delle col-tivazioni delle specie esotiche eagronomiche effettuate nell’Orto Bo-tanico di Portici, da parte di Pedicino

e di Comes nell’800, e da parte di Ro-meo agli inizi del ’900. I reperti più re-centi inseriti nella collezione ErbarioGenerale risalgono agli anni ’60, rea-lizzati da Mary F. Spencer durante lesue indagini in vari territori delle Alpisvizzere.

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Collezione generale - Foglio d’erbario recante due vari essiccati di Calystegia soldanella(L.) Roem. et Schult. Quello superiore è corredato da un cartellino a grafia del Cav. Ippolito Blanc, proveniente dal territorio messinese. I due campioni posizionati in bas-so al foglio possiedono cartellini a grafia di Achille Bruni, raccolti nei territori pugliesi.

Collezione generale - Campione di Vi-burnum opulus L. I reperti sulla sinistrasono incollati al supporto cartaceo.

Collezione generale - Campioni di Astra-galus siculus Biv., provenienti dall'Erba-rio di Palermo.

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Collezione Cirillo

Domenico Cirillo nacque a Grumo Ne-vano (Napoli) il 30 aprile 1739. Eserci-tò la professione medica all’inizio inuno studio privato, ma divenne benpresto professore nell’Università di Na-poli. Esperto medico-patologo, pubbli-cò lavori riguardanti la Clinica Medica

(Cirillo, 1780; 1783), Farmacologia (Ci-rillo, 1773), Fisiologia (Cirillo, 1780),ma la sua vastissima conoscenza e lericerche effettuate nei più diversiaspetti della natura lo portò a dare allestampe anche importanti contributi diBotanica (Cirillo, 1766; 1787; 1788),Zoologia (Cirillo, 1771; 1787-90) e per-sino di Geologia (Cirillo, 1793).

L’Erbario Cirillo ebbe inizio ad operadel prozio Nicola, fu poi ereditato dal-lo zio Sante, che continuò ad am-pliarlo con campioni frutto delle rac-colte e ricerche personali.La prima notizia sull’esistenza di re-perti vegetali del famosissimo ErbarioCirillo ci perviene in una nota fatta daOrazio Comes al Congresso Botanico

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Collezione Cirillo, sez. fanerogame - Par-ticolare del fiore campanulato di Daturametel L. (sub D. fastuosa L.).

Collezione Cirillo, sez. fanerogame - Essiccato di Lachenalia aloides (L. fil.) Engler(sub Phormium aloides L.), con breve descrizione e riferimenti bibliografici delleSpecies Plantarum di Linneo.

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Collezione Cirillo, sez. fanerogame - Campione d’erbario di Campanula persicifolia L., con breve descrizione e riferi-menti bibliografici alla Species Plantarum di Linneo.

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Internazionale del 1892. In questoscritto il Comes rivela che l’IstitutoBotanico della Regia Scuola Superio-re di Agricoltura di Portici è entrato inpossesso dell’erbario Briganti. Tra ivari campioni, che costituiscono lacollezione ve ne sono alcuni che pre-sentano una grafia “aliena”. Su unbuon numero di questi cartellini è ri-portata la frase diagnostica delloSpecies Plantarum di Linneo, e dellastessa grafia sono anche i cartellini dialcune specie scoperte e descritteda Domenico Cirillo. Dall’analisi dellagrafia dei cartellini d’erbario conquella della lettera pubblicata dal Ce-sati nel 1869, Comes ha stabilito chetali essiccati erano ciò che rimanevadell’Erbario Cirillo.Nel 1894 Fortunato Pasquale, dà no-tizia che oltre al manipolo dell’erbarioCirillo posseduto dall’Istituto di Agra-ria a Portici, c’era anche un piccoloavanzo posseduto dal padre Giusep-pe Antonio Pasquale, ceduto poi al-l’Accademia degli Aspiranti Naturali-sti di Napoli (Pasquale, 1894).Soltanto nel 1959 la Mezzetti Bamba-cioni quantifica in due fascicoli laporzione superstite dell’erbario Cirilloposseduto dalla Facoltà di Agraria diPortici. La consistenza della collezione risul-ta essere di due fascicoli. Esistonopoi altri tre fascicoli di medio spesso-re, e numerosi altri campioni interca-lati nella collezione generale. In tota-le il numero dei campioni ammonta acirca 1.000.I campioni presenti nei tre medi fasci-coli e quelli contenuti nell’erbario ge-nerale risultano i più manomessi, an-che perché sono stati risistemati sunuovi fogli d’erbario per mezzo di fa-scette di carta incollate. Ma, in molticasi, l’effetto più devastante è statol’asportazione del cartellino autogra-fo di Cirillo, perdendo così ogni pos-sibile riferimento sistematico, biblio-grafico e l’eventuale località o l’indi-cazione di donazioni da parte di im-portanti botanici contemporanei delCirillo.Consistente è la sezione sul generedegli agli, in totale 17 campioni e tut-

ti in discrete condizioni di conserva-zione. Tra gli agli, sono presenti an-che i campioni che potrebbero rap-presentare il typus dell’Allium neapo-litanum Cyr. e dell’Allium trifoliatumCyr. I campioni definiti come typussono i reperti originali su cui il botani-co ha eseguito per la prima volta ladescrizione della specie, sino ad al-lora sconosciuta alla scienza; costi-tuiscono reperti unici e di inestimabi-le valore scientifico per eventuali revi-sioni tassonomiche.I cartellini di Cirillo posseggono, infrequenti casi, note poste al di sottodel binomio specifico. Le note sonoprevalentemente a carattere sistema-tico, con riferimenti bibliografici com-pleti (autore, titolo dell’opera abbre-viato ed il numero delle pagine). Nella maggior parte dei casi i cam-pioni vegetali essiccati sono in buonostato di conservazione. La meticolo-sità che Cirillo profuse nel lavoro di ri-cerca scientifica è altresì evidentenell’accuratezza della preparazionedel campione.

SEZIONE CINQUECENTESCA

La sezione è costituita da un discretonumero di campioni (170 circa) chepossiedono particolari che li caratte-rizzano in maniera incontrovertibile ri-spetto a tutti gli altri essiccati presen-ti nell’Erbario del Museo Comes. Talireperti sono stati rinvenuti tra il mate-riale che probabilmente era parte in-tegrante dell’erbario Cirillo. Gli essic-cati sono incollati su fogli di bamba-gina, il margine destro si presentauniforme, come prodotto di un taglio,carattere che induce ad ipotizzareche tali fogli fossero rilegati in un solvolume. Gli essiccati presentano car-tellini spillati di epoche chiaramentesuccessive (fine 1800), che recano ilnome scientifico della specie.Ferrante Imperato visse a Napoli nel1535 circa, dove esercitò la profes-sione di speziale sino alla sua morte(Stendardo, 2001).La straordinaria ricchezza di repertidi “cose naturali” contenute nel Mu-seo Imperato, fece sì che il nome di

Ferrante fosse rinomatissimo sia inItalia che all’estero. Dopo la sua mor-te, avvenuta nel 1631, l’intero patri-monio museale accumulato fu eredi-tato dal figlio Francesco, ma vennecompletamente disperso con i suc-cessivi eredi.Nel ’700 Sante Cirillo, ereditato l’er-bario di Nicola Cirillo, lo arricchì conmateriale personale e con l’acquisi-zione di nove volumi (su di un totaledi 80) dell’Erbario Ferrante Imperato(Balsamo, 1913; Neviani, 1936). Que-sta notizia è però molto controversa,in quanto non esiste una documenta-zione certa sulla reale esistenza del-l’erbario Imperato. Ferrante stessonel trattato Historia naturale (Impera-to, 1672) descrisse molto materiale didiversa natura, ma non menzionandominimamente ne il suo famoso Museodi Storia Naturale, ne tanto meno lapresunta collezione di piante secche.Gli unici documenti che riportano l’e-sistenza e l’importanza della collezio-ne d’erbario sono diverse lettere discienziati dell’epoca (Neviani, 1936).E lo stesso Domenico Cirillo, che ri-cevette in eredità l’erbario dello zioSante, scrisse «Multus sane post an-nos maiores mei botanicas observa-tiones instituerunt: hortulum privatum,patriis praesertim plantis refertumcondiderunt: Florae Neapolitanaefundamenta posuerunt: stupendasHerbarii Imperatiani reliquias, tineis,blattis et lepismis saccharinis abrep-tas in lucem vindicarunt» (Cirillo,1787-1790).

Collezione Petagna

Vincenzo Petagna nacque a Napolinel 1730, collega di Domenico Cirillo,svolse l’attività di professore di Bota-nica presso l’Università di Napoli, eMedicina pratica poi, presso l’Ospe-dale S. Giacomo di Napoli (Monticel-li, 1843).Petagna dimostrò in breve tempo unapropensione speciale per la botanica,dettata dapprima dalle esigenze tera-peutiche (Petagna, 1796) e che, inseguito, lo portarono ad approfondire

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Collezione Cirillo, sez. cinquecentesca - Esempio di foglio d’erbario della specie Calystegia silvatica (Kit.) Griseb.

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campi ben lontani da quelli della me-dicina, come la sistematica e la tas-sonomia (Petagna, 1785-87). Titolaredella cattedra di Botanica, avvertì l’e-sigenza di creare una struttura di sup-porto all’insegnamento della BotanicaMedica (Rossi, 1995); divenne così ilpromotore per la realizzazione del pri-mo Orto botanico pubblico della cittàdi Napoli “l’Orto di Monteoliveto”. Tut-te queste esperienze portarono il Pe-tagna, nel corso degli anni, a costitui-re anche un pregevole erbario.L’intera collezione è costituita da 39fascicoli, per un totale di circa 1.700campioni. Sino al 1959 (MezzettiBambacioni, 1959) tutti i campionierano intercalati nella collezione Erba-

rio Generale, in seguito tali essiccatisono stati estrapolati dal contesto ge-nerale per andare a formarne una col-lezione fisicamente indipendente. Inorigine, il numero di campioni dovevaessere molto maggiore rispetto aquelli oggi esistenti, ma a causa del-l’incuria degli eredi molti esemplariandarono persi (Comes, 1892).La collezione Petagna riveste unafondamentale importanza per la bo-tanica napoletana, in quanto testimo-ne di studi ed approfondimenti di ar-gomenti generali e specifici, comecomprovano le sue pubblicazioni egli appunti manoscritti (Comes, 1892)custoditi nella biblioteca del MuseoComes.

Tra gli essiccati di indiscutibile valorestorico e scientifico, vi è il campionedi Primula palinuri Pet., specie de-scritta, per la prima volta, dal famosobotanico napoletano (Petagna, 1785-87). L’entità è un’importante paleoen-demica dell’Italia meridionale (Cam-pania, Basilicata e Calabria), chepossiede un areale di distribuzioneche va dal basso Cilento sino all’Iso-la di Dino e quella di Fiuzzi limitata-mente alla fascia costiera rocciosa.L’Ipomoea imperati (Vahl) Grisebachfu per la prima volta segnalata per ilterritorio italiano nel 1787 da Peta-gna, che la rilevò sull’arenile di Ba-gnoli presso Napoli. Specie originariadelle regioni tropicali, si presenta in

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Collezione Petagna - Essiccato di Tritonia crocata (L.) Ker-Gawl., a destra il saggio di Vincenzo Petagna, a sinistra quellodi V. Briganti.

Collezione Petagna - Foglio d’erbario con a destra Ornithoga-lum comosum L., raccolto da Vincenzo Petagna. A sinistral’essiccato di Loncomelos narbonensis (Torn.) Raf. raccolto alPascone (NA) 1834 da Francesco Briganti.

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maniera puntiforme e circoscritta inItalia, dove trova il suo ambiente sul-le sabbie delle dune costiere. Attual-mente questa entità non è più pre-sente allo stato spontaneo nelle sta-zioni segnalate in passato. Da ciò siintuisce quindi che il ruolo delle rac-colte di piante da parte dei botanicidel passato può essere anche quellodella ricostruzione e caratterizzazio-ne di ambienti ormai scomparsi.

Collezione Briganti

La Collezione Briganti fu acquistatada Comes «[…] qualche anno prima[…]» del 1892, e fu proprio tra questicampioni che furono poi scopertiquelli che possedevano cartellini agrafia di Domenico Cirillo.La collezione è costituita da circa2.200 campioni di Vincenzo Brigantie del figlio Francesco, intercalati nel-la collezione Erbario Generale. Diquesto contingente fa parte, inoltre,un discreto numero di essiccati re-canti grafie non ancora identificate,ma presumibilmente precedenti allostesso Vincenzo.Vincenzo Briganti nacque a Salvitelle(SA) il 7 giugno 1766, intraprese glistudi universitari a Napoli, frequen-tando il corso di Medicina, dove eb-be come maestri Cotugno, Cirillo, Pe-tagna, Andria ed altri importanti do-centi. A partire dal 1812, Vincenzoinizia a raccogliere numerosi campio-ni di uso farmacologico, come adesempio la raccolta completa di dro-ghe vegetali, animali e minerali edapparecchiature mediche varie. L’in-sieme dei reperti sarà poi utilizzatoda Francesco Briganti per costituirenel 1862 un Museo, attualmente par-te dell’Istituto di Farmacologia e Tos-sicologia della Facoltà di Medicina eChirurgia della Seconda Università diNapoli (Rossi, 1995).I campioni vegetali di Vincenzo, cu-stoditi presso l’Erbario storico delMuseo Comes, rappresentano la te-stimonianza della pubblicazione sul-le specie rare, nuove o poco cono-sciute del Regno di Napoli (Briganti,

1816). Esempio può essere la Pin-guicula crystallina Sm. subsp. hirti-flora (Ten.) Strid, rara pianta carnivo-ra, rinvenuta a M. Santangelo (Peni-sola sorrentina, NA) da FrancescoBriganti.La maggior parte degli essiccati, cherecano la grafia di Vincenzo, posseg-gono soltanto il binomio specifico emancano le indicazioni degli autori,sulla località, l’ambiente o la data diraccolta del campione.Francesco Briganti figlio di Vincenzonacque a Napoli il 18 aprile 1802, se-guì le orme paterne esercitando laprofessione di medico e divenendoben presto professore di Materia Me-dica alla Regia Università di Napoli.Al contrario dei campioni di Vincen-zo, quelli del figlio, Francesco in mol-ti casi presentano annotazioni di va-rio genere. Oltre a quelle stazionali sipossono rinvenire accurate descri-zioni della pianta e i vari usi terapeu-tici della pianta in questione. Unesempio particolare è quello dellaScrophularia nodosa L., che France-sco riporta di aver raccolto a S. Roc-co (Napoli) nel giugno del 1835. Aqueste informazioni aggiunge le sueconoscenze mediche «Le foglie sonoadoperate per calmare i dolori emor-roidali e per detergere le ulceri; perl’uso interno gli antichi ne praticaronola medici nelle scrofole; l’infus.e dellesue foglie è riputato rimedio sudorife-ro nelle angine».Il Convolvulus arvensis L. raccolto daFrancesco è accompagnato da uncartellino, delle dimensioni di 19 x 25cm, su cui riporta il nome italiano equello latino, una breve descrizionedella pianta in latino e una lunga se-rie di osservazioni personali in italia-no. Poi annota che la pianta crescecomunemente nei campi e nelle siepidi Napoli, ma l’esemplare in questio-ne è stato raccolto dal Sig. Rosanopresso Tursi (Basilicata), in fine con-clude con una notizia a carattere te-rapeutico «Il suo sugo è alquantoacre e possiede forza purgante».L’attenzione di Francesco verso labotanica si rivolse non soltanto in di-rezione della farmaceutica, ma an-

che verso le capacità delle piante dicolorare vari materiali (Briganti, 1842)e, continuando l’opera paterna (Bri-ganti, 1832), condusse studi minuzio-si sui funghi (Briganti, 1848).Numerosi sono i campioni d’erbariodi Francesco Briganti, che utilizzòper la stesura del lavoro Piante tinto-rie del Regno di Napoli (1842). Sottola dizione di piante tintorie raggruppatutte quelle entità, sino ad allora co-nosciute, che attraverso l’utilizzo dialcune loro parti è possibile effettua-re la colorazione non soltanto dei tes-suti (es. Malus domestica Borkh.), maanche delle pelli (es. Sambucus ni-gra L.), dei capelli (es. Arnica monta-na L.), del legno (es. Rhus radicansL.) e persino la produzione di inchio-stri (es. Actaea spicata L.). Molto in-teressanti da un punto di vista etno-botanico sono le numerose osserva-zioni personali, come ad esempioquelle su Dianthus caryophyllus L.:«Le colte signore napolitane volendodare ai finissimi tessuti di cotone unameno color di rosa pallida, soventeadoperano l’infuso acquoso ben cari-co de’ petali già secchi di questa bel-la varietà di garofano, mischiandoviun poco di acido citrico ad oggetto diravvivarne la tinta. Ordinariamentecol tempo va a smajarsi, e per mezzodella lavanda si cancella del tutto.Sarebbe desiderabile trovare un mor-dente atto a fissare la testè nomatamateria colorante, giacchè attesa lasua delicatezza non è da disprezzar-si» (Briganti, 1842). L’indagine sulle piante tintorie fu re-datta anche attraverso l’analisi deivari articoli che apparvero nei giorna-li divulgativi di quel periodo comel’Omnibus, e da sperimentazioni di-rette effettuate dal Briganti stesso.

Collezione Ziccardi

Michelangelo Ziccardi esercitava laprofessione di medico chirurgo, e co-me molti suoi colleghi di quell’epoca,coltivava una grande passione per labotanica. Egli strinse rapporti episto-lari anche con Giovanni Gussone,

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Collezione Briganti - Campione d’erbario(Convolvulus arvensis L.) con cartellinoautografo particolarmente dettagliato cheriporta un’accurata descrizione e annota-zioni delle proprietà terapeutiche dellaspecie.

Collezione Briganti - Campione di Sam-bucus nigra L., con cartellino a grafia diVincenzo Briganti

Collezione Ziccardi, sez. Sicilia - Essic-cato di licheni, uno dei quali raccoltosulla Maiella ed uno al Vesuvio, contenu-ti in bustine di carta.

Collezione Ziccardi, sez. Sannio - Essic-cato di una pianta tipica dei pascolimontani (Carlina acanthifolia All.) raccol-ta a Mutri nel 1841.

Collezione Ziccardi, sez. Sannio - Parti-colare di un foglio d’erbario, con tre es-siccati interi e quattro bustine di cartacontenenti frammenti di fiori di diverseorchidee: Orchis italica Poir., O. simiaLam., O. brancifortii Biv., O. collinaBanks et Sol. ex Russell.

Collezione Ziccardi, sez. Sannio - Esem-pio di essiccato di alga (Mesogloja ver-micularis (E.B.) Le Jol.), raccolta da Lui-gi Baselice a Baia (NA) nel 1835.

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collaboratore insostituibile di MicheleTenore. Ma fu con Luigi Baselice cheinstaurò una più fitta corrispondenza,alla quale seguì anche uno scambiodei campioni d’erbario più interes-santi.Baselice riferisce inoltre che Ziccardiaveva raccolto e ordinato, sino a quelmomento, per il Sannio circa 2.100entità (Baselice, 1842), ma il lavoro diZiccardi rimase incompiuto a seguitodella morte prematura (Campobasso1845). Solo una piccola parte della Collezio-ne fu utilizzata da Villani (1907; 1910)per le pubblicazioni scientifiche ri-guardanti la flora campobassana. Nel1913, lo stesso Villani compila unaterza nota sull’erbario Ziccardi, ripor-tando solo le entità rinvenute a Bic-cari.L’intera collezione Ziccardi è attual-mente costituita da 62 fascicoli, 12unità in più rispetto all’origine, distin-ti in due sezioni: Sannio, costituitada 38 fascicoli, contenente campio-ni di Michelangelo Ziccardi, e Sicilia,formata da 24 fascicoli di autori ano-nimi.

SEZIONE SANNIO

L’erbario di Michelangelo Ziccardioriginariamente doveva essere costi-tuito da cinquanta fascicoli, per un to-tale di circa 3.200 campioni, che allasua morte furono conservati presso ilMuseo Molisano a Campobasso. In-torno al 1913 il Museo fece dono allaRegia Scuola Superiore di Agricolturadi Portici della collezione Ziccardi(Geremicca, 1913). Tutti i campioni sono contenuti in foglidi carta di Amalfi, detta bambagina, ecorredati di cartellini. Le etichettespesso mostrano una cornice ornata,impressa a stampa, dove nella mag-gioranza dei casi vi è l’iscrizione Her-barium Ziccardi. Nella parte centraledel biglietto sono poi riportate a ma-no il nome scientifico della pianta,l’ambiente e la località di raccolta. Al-tre volte, invece, i cartellini furono ri-ciclati dall’autore stesso per la crea-zione di altri nuovi, utilizzando il retro.

Infine, vari sono i campioni che pre-sentano la revisione tassonomica diMichele Tenore, ed altri ancora quel-la di Loreto Grande, che come diconsuetudine era riportata su cartelli-ni distinti da quelli dell’autore delsaggio.Su alcune camice è incollato un fo-glio (19 x 27 cm), su cui è riportatol’elenco dei generi con le divisioni, leclassi e gli ordini, secondo il sistemalinneano, presenti nel fascicolo.Completa la sezione un fascicolo dicrittogame vascolari, quali muschi, li-cheni ed alghe. Sul cartellino d’erba-rio vi è apposto soltanto un numeroprogressivo e solo raramente il bino-mio specifico. Ciò, porta ad ipotizza-re l’esistenza di un indice, anche seattualmente non ancora rinvenuto.

SEZIONE SICILIA

Il numero dei fascicoli è costituito da24 unità. Le località di raccolta deicampioni d’erbario ricadono spessonel territorio siciliano, ma spiccanoanche siti quali Napoli, Baja, Pozzuo-li, Majella (Abruzzo), Castelgrande(Basilicata), M. Pollino (Calabria) e si-nanche straniere come Breslavia,Francia, Grecia e Svizzera. Le locali-tà più frequenti riguardano le Mado-nie e aree nei pressi di Palermo perquanto concerne il territorio siciliano,mentre per quello calabrese le locali-tà più visitate sono quelle della Sila edi Reggio.Un discreto numero di esemplari pro-vengono dalla Boemia e dall’Orto Bo-tanico di Napoli, altri recano stampa-to il binomio specifico e altre notiziein lingua tedesca. Questi, probabil-mente, erano campioni di scambio ri-cevuti da botanici stranieri con cui glianonimi erano in comunicazione.Quasi la totalità degli essiccati pos-siede diagnosi cui mancano le indi-cazioni dell’autore del binomio e ladata in cui è avvenuta la raccolta. Dialcune piante è riportata la classe el’ordine di appartenenza della spe-cie, secondo il sistema linneano, inaltri vi è anche indicato il nome vol-gare.

Di questa sezione fa parte anche unapiccola raccolta di crittogame vasco-lari (alghe, muschi e licheni), essa ècostituita soltanto da una metà di unfascicolo d’erbario. L’altra metà ècomposta di essiccati appartenenti avarie famiglie di fanerogame. I cam-pioni delle crittogame sono contenutiin bustine di carta ripiegata, su cui èriportato il binomio specifico, la loca-lità, l’ambiente ed in pochi casi la da-ta. Anche questi campioni, comequelli della sezione delle faneroga-me, sono conservati nelle loro carteoriginarie, bambagina. Il campione diStereocaulon vesuvianum Pers., adesempio, è un lichene di tipo fruticu-loso proveniente da Somma-Vesuvio,che colonizza le lave, formando undenso feltro grigiastro.

Collezione Comes

Orazio Comes nacque l’11 novembredel 1848 a Monopoli. Conseguita lalaurea in Scienze Naturali fu assuntonel 1873 come assistente presso laCattedra di Botanica della RegiaScuola Superiore di Agricoltura inPortici. Collaborò quindi con NicolaPedicino, titolare della cattedra di Bo-tanica, alla realizzazione dell’OrtoBotanico e all’organizzazione del La-boratorio di botanica e del neo Mu-seo botanico.Se da un lato Michele Tenore conl’Orto Botanico di Napoli portò la flo-ristica e gli allestimenti dei giardini alivelli internazionali, Orazio Comesutilizzò l’Orto Botanico di Portici es-senzialmente come luogo di speri-mentazione nelle discipline agrono-miche e fitopatologiche.Orazio Comes avendo l’esigenza diriunire, in una sola collocazione, tuttoil materiale delle ricerche in corso,creò la sua sezione personale di es-siccati. La collezione presenta variesezioni, di cui una generale, una sul-le cultivar dei tabacchi ed una sui fa-gioli. In parallelo si andava svilup-pando sempre più la collezione “Er-bario generale”, ma che serviva a te-nere assieme piccole raccolte, colle-

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Collezione Comes, sez. generale - Cam-pione di entità rara, Sternbergia lutea(L.) Ker Gawl. ex Spreng., raccolta daComes nel 1876 a Pomarico (Basilicata).

Collezione Comes, sez. tabacchi - Es-siccato di Nicotiana tabacum L. «hava-nensis», proveniente dagli U.S.A.

Collezione Comes, sez. fagiuoli - Cam-pione d'erbario di Phaseolus communisPritz. “oblongus saponaceus“, coltivatonell’Orto Botanico di Portici nel 1876.

Collezione Comes, sez. generale - Es-siccato dell’infiorescenza di Celosia ar-gentea L. (sub C. cristata L.), coltivatanell’Orto Botanico di Portici nel 1899.

Collezione Comes, sez. fagiuoli - Fogliod’erbario recante i baccelli ed i semi diPhaseolus communis Pritz. «lutescens»,coltivato nell’Orto Botanico di Portici nel1876.

Collezione Comes, sez. tabacchi -Esempio di uno dei fascicoli che conten-gono le razze dei tabacchi della formaBrasiliensis.

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zioni di cui si era perso un ordina-mento iniziale e campioni di scambio.

SEZIONE GENERALE

In questa sezione sono presenti5.600 campioni circa, riuniti in 56 fa-scicoli. A questi vanno poi aggiuntinumerosi campioni che furono, intempi recenti, intercalati nella colle-zione “Erbario generale”.Il settore maggiormente rappresenta-to nella collezione Comes è quelloagronomico, dato che la quasi totali-tà delle ricerche di Orazio Comes fu-rono intraprese in tale direzione. Ac-canto ad entità coltivate, a scopo or-namentale e agronomico, e a nume-rosi campioni di scambio con Orti Bo-tanici sia italiani che europei, ve nesono altre che Comes raccolse nellesue frequenti escursioni nel meridio-ne d’Italia.Nei fascicoli originari, oltre i saggi diComes, sono presenti anche campio-ni di svariati altri botanici italiani co-me Dlane dal Moncenisio, Albanellada Terra di Lavoro e Costa dalla Pa-lestina.Il riordino della sezione Comes gene-rale fu intrapreso dalla Mezzetti Bam-bacioni nel 1959 «Ho curata la com-pleta riorganizzazione dell’ErbarioComes col montaggio di tutti gliesemplari su nuovi fogli di carta bian-ca, e con l’applicazione di cartelliniindicanti le famiglie e i generi cosic-ché ora è facilmente consultabile[…]». Durante le varie risistemazionidell’Erbario di Portici, numerosi cam-pioni della collezione Comes furonointercalati alla collezione Erbario Ge-nerale. I fascicoli di Comes che han-no mantenuto la struttura originariasono rimasti solo 56.

SEZIONE TABACCHI

Lo studio filogenetico del tabaccoportò in breve tempo Orazio Comesad essere conosciuto e stimato in tut-to il mondo. Nel 1881 con “Conside-razioni sulla produzione del tabaccoin Italia e sulla convenienza di esten-dere la coltivazione, specialmente

nella Provincia di Napoli” riscossenotevoli consensi, tanto da esserenominato membro del Consiglio tec-nico dei Tabacchi. La sezione d’erba-rio riguardante i tabacchi del Comesricevette il primo premio all’esposizio-ne internazionale dei Tabacchi diBerlino nel 1896, una medaglia d’oronel 1910 all’esposizione universale diParigi e figurò a Roma nel 1953 nel-l’esposizione internazionale dell’agri-coltura.Nella sezione tabacchi sono conser-vati gli essiccati dei primi tabacchiturchi del Leccese, provenienti dallecoltivazioni sperimentali fatte nel Re-gno sotto la direzione dello stessoComes. Sperimentazioni che hannopermesso di selezionare le cultivarpoi utilizzate nel meridione d’Italia.La collezione dei tabacchi di Comespuò essere divisa in due parti, unagenerale ed un’altra riassuntiva. Laparte generale è costituita da 49 fa-scicoli, di dimensione 38 x 55 cm,che contengono in complessivo3.000 campioni. La parte riassuntiva,invece, è composta da 480 campionicirca, che ripercorrono i punti cardinedelle derivazioni delle numerose cul-tivar di Nicotiana tabacum; i 10 fasci-coli di 28 x 43 cm, portano l’iscrizione“Prof. O. Comes - Filogenesi dei Ta-bacchi” e l’indicazione delle razzecontenute.

SEZIONE FAGIOLI

Uno tra i primi filoni di ricerca che Co-mes intraprese fu quello sulla filoge-nesi del fagiolo comune, che lo portòpoi a pubblicare i risultati nell’articoloapparso a suo nome sulla rivista Me-morie di Botanica (Comes, 1909).

La sezione dei fagioli della collezio-ne Comes era costituita principal-mente da una raccolta di semi delledifferenti cultivar, cui affiancò gli es-siccati delle relative piante (Lo Prio-re, 1928).Non si hanno notizie sul destino oc-corso alla raccolta di semi (MezzettiBambacioni, 1959), mentre 15 sonocampioni delle piante di fagiolo giun-te sino a noi in discrete condizioni.Tutti i campioni presentano cartellini agrafia di Comes, risalenti alla finedell’800. A questi sono intercalati an-che pochi essiccatai relativamenterecenti (1924), di Antonio Romeo.

Collezione Guglielmi

Della collezione di Giuseppe Gugliel-mi non si possiedono indicazioni, nériguardo alla data di acquisizione daparte della Regia Scuola di Agricol-tura di Portici, né sull’autore delle er-borizzazioni. La collezione Guglielmidovrebbe risalire agli inizi del 1900, aquel periodo risalgono anche altristudi condotti dai botanici di estra-zione agronomica della Regia Scuo-la di Agricoltura, come lo studio sullastoria, la filogenesi e la sistematicadelle razze del Fagiolo comune diOrazio Comes, i cotoni di AngeloAliotta, le razze di olivo coltivate nelmeridione d’Italia di Mario Marinucci,i fieni delle praterie naturali del Mez-zogiorno d’Italia di Alfredo Pugliese,lo studio sul frumento e quello sullevarietà di mandorlo italiane di Vin-cenzo Barrese.La collezione dei Fichi del leccese èsicuramente parte integrante di unostudio teso a definire le caratteristi-che anatomiche delle varie cultivardi fico presenti nel territorio di Lec-ce. Per ogni campione, oltre all’es-siccato, è riportato il disegno deicontorni di una foglia tipo e della se-zione longitudinale del frutto con lerelative misure, come ad esempio lalarghezza massima della foglia e deilobi fogliari. Il nome della pianta col-tivata non segue le regole di nomen-clatura scientifica, ma è espresso in

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Razze N° fascicoli

Razze della Brasiliensis 3Razze della Havanensis 2Razze della Virginica 2Razze della Lancifolia 1Razze della Fruticosa 1Razze della Macrophylla 1

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italiano, come ad esempio Fico na-poletano. D’altra parte in passatosoprattutto per le piante coltivate,che non rappresentano delle entitàspecifiche, molto spesso si adope-rava il nome italiano. Lo stesso Fran-cesco Dehnhardt, capo-giardinieredel Real Orto Botanico di Napoli, di-rettore dei Reali Giardini di Capodi-monte, della Villa Floridiana e delgiardino botanico del Conte di Ca-maldoli al Vomero (Villa Ricciardi),nella stesura del catalogo dellepiante che venivano coltivate nell’-Horti Camaldulensis riporta i nomidelle cultivar in italiano.Orazio Comes annovera (1906) inol-tre, tra le varie collezioni presenti nel-l’erbario, quella di Giuseppe Celi ri-guardante le varie cultivar di fichi col-tivati nel meridione d’Italia. Attraversoun confronto tra i reperti della Colle-zione Guglielmi con il lavoro scientifi-co pubblicato dal Celi (1908) si è ac-certato che, il fascicolo custodito nel-l’Erbario Comes, costituisce una par-te dei campioni che Celi esaminò edutilizzò per la stesura della suddettapubblicazione scientifica. La collezio-ne Guglielmi è, quindi, l’unica porzio-

ne superstite dei reperti appartenentialla ben più grande collezione dellerazze dei fichi che si coltivavano nel-l’Italia meridionale.

Collezione Trotter

Durante le sue numerose ed impe-gnative campagne di raccolta dati,Alessandro Trotter diresse la sua at-tenzione ai più diversi e svariati cam-pi della botanica. La gran quantità direperti raccolti divennero, in parte,oggetto dei suoi contributi scientificie in parte materiale di scambio concolleghi e studiosi di particolari phylaa lui poco conosciuti, come i fascico-li delle briofite raccolte in Tripolitaniae affidati a Zodda (1914) o i fascicolidei licheni affidati a Romano (1914,1918).Trotter appartiene a quella strettaschiera di ricercatori che, pur posse-dendo una conoscenza specialisticanella Patologia Vegetale, pubblicò ungran numero di lavori di alto valorescientifico, riguardanti molte altrebranche della Botanica. Le sue pub-blicazioni spaziano tra la micologia,

fitopatologia, algologia, cecidologia,anatomia del legno, scienze forestali,etnobotanica, sistematica, tassono-mia e la floristica, toccando persinotematiche di vegetazione, come nelsuo mirabile contributo su “Gli ele-menti balcanico-orientali della floraitaliana e l’ipotesi dell’Adriatide” (Trot-ter, 1912a).La collezione Trotter è sicuramentela più poliedrica tra quelle custoditedal Museo Comes. Essa è compostada sei sezioni distinte, per un nume-ro complessivo di 76 fascicoli. Lesezioni riguardano le fanerogame epteridofite raccolte in Irpinia, le pian-te superiori erborizzate durante lamissione in Tripolitania, e sempre ri-guardo quest’ultimo territorio vi sonosezioni specifiche sulle alghe, suifunghi fitopatogeni e sulle droghe. Viè infine una sezione sui noccioli del-la Campania. Vanno inoltre segnala-te altre due collezioni cecidologiche,l’una ostensiva di cui si fa cenno nelparagrafo “Collezione Erbario Aper-to - Sezione didattica” e l’altra stret-tamente scientifica custodita pressoil Museo di Entomologia Filippo Sil-vestri.

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Collezione Guglielmi - Foto d’insieme delfascicolo “Razze di fichi del Leccese”.

Collezione Guglielmi - Campione d’erbario (“Fico pazzo”), costituito da due fogli spil-lati tra loro. Il primo foglio riproduce i caratteri diagnostici della razza, in forma di di-segni. Il secondo foglio reca l’essiccato della foglia.

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SEZIONE FANEROGAME DELL’IRPINIA

Nel 1903 Trotter vinse la cattedra diScienze naturali e Patologia vegetalepresso la Scuola speciale di Viticol-tura e di Enologia di Avellino. Duran-te questi anni, egli si dedicò conmaggior impegno alla floristica, dan-do alle stampe ben cinque contributi(Trotter, 1905a; 1905b; 1906; 1908;1910) ancor oggi di fondamentaleimportanza. La curiosità di compren-dere i vari aspetti dell’ambiente spin-se Trotter ad analizzare anche tema-tiche di tipo forestale (Trotter, 1905c;1907a) e sulla dinamica della vege-tazione in Irpinia (Trotter, 1907b;1913), non tralasciando la caratteriz-zazione dei pascoli dell’avellinese edel Mezzogiorno d’Italia (Trotter,1907b; 1913).La sezione fanerogame dell’Irpinia ècomposta da ventidue fascicoli, con-tenenti 3.200 campioni circa. Gli es-siccati sono accompagnati da cartel-lini che riportano il nome dell’entità e

dettagliate informazioni sull’ambien-te, la località e la data di prelievo. Al-cuni campioni di Alessandro Trotterpresentano anche un secondo cartel-lino recante la revisione di AugustoBéguinot; sono inoltre presenti alcunicampioni di Michele Guadagno eCarlo Lacaita.I fascicoli sono corredati di uno sche-dario cartaceo, contenente tutte leentità rinvenute durante le numeroseperegrinazioni nell’avellinese: perogni entità è riporto il trafiletto delleinformazioni pubblicate e altre osser-vazioni e diagnosi inedite, autografedello stesso Trotter.

SEZIONE FANEROGAME DELLA TRIPOLITANIA

Nel 1913 Alessandro Trotter e Fridia-no Cavara si recarono in Tripolitaniacome componenti della MissioneAgrologica Ministeriale (Pampanini,1914); in quest’occasione i due bota-nici erborizzarono e raccolsero infor-mazioni finalizzate allo studio dei pro-

blemi economici e tecnico-agrari del-la Libia (Trotter, 1912).La sezione fanerogame della Tripoli-tania, composta da 33 fascicoli, con-serva la struttura originaria; gli essic-cati sono raggruppati per generi o ingruppi di campioni dello stesso ge-nere e ordinati in modo alfabetico perfamiglie. I campioni sono montati conspilli su cartoncini bianchi e correda-ti di un cartellino che reca stampato ilnome della collezione “Trotter Tripoli-tania”, mentre a mano sono riportatetutte le informazioni riguardo ai singo-li essiccati.La precisione e la meticolosità di Trot-ter è testimoniata anche dalle relazio-ni che intrattenne con i suoi colleghi,così alle asserzioni di Pampanini(1914), che dubitò dell’esattezza del-la segnalazione di tre entità, egli ri-spose con un’accurata diagnosi deicampioni raccolti e conservati, ag-giungendo «Giudicherà ora il lettoreintorno alla serietà ed opportunitàdelle critiche del Pampanini il quale,

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Collezione Trotter, sez. Irpinia - Campio-ne d’erbario di Epipactis helleborine (L.)Crantz subsp. helleborine, orchidea tipi-ca di ambienti boschivi.

Collezione Trotter, sez. fanerogame dellaTripolitania - Esempio di fascicolo degliessiccati frutto della Missione Agrologi-ca Ministeriale del 1913, effettuata neiterritori della Tripolitania.

Collezione Trotter, sez. fanerogame dellaTripolitania - Foglio d’erbario, recante varicampioni di Chrysanthemum fuscatumDesf. (sub Matricaria fuscata Poir.), raccol-ti nel 1914 in diverse località della Libia.

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per dar sfogo a privati risentimenti,ha voluto entrare in quisquiglie siste-matiche, lontane le mille miglia dal-l’argomento della Relazione, e cheper di più si ritorcono a suo danno[…]» (Trotter, 1914).

SEZIONE DROGHE DELLA TRIPOLITANIA

L’interesse di Trotter si diresse ancheverso quella l’etnobotanica: la sezio-ne droghe della Tripolitania raccoglie81 campioni di piante officinali di usoquotidiano nei territori indagati. I re-perti sono rappresentati da foglie,galle, frammenti di legno, liste di cor-tecce, radici, rizomi, semi e resine.Ogni reperto è contenuto in bustinedi carta di varia misura, su cui sonoriportate informazioni sul nome scien-tifico della pianta, il nome locale, unnumero identificativo o la pagina checorrisponde a quello riportato nellaFlora economica della Libia (Trotter,1915).L’accuratezza delle indagini effet-tuate da Trotter in Tripolitania è atte-stata da numerose sue pubblicazio-ni, tra le quali anche un libro mono-grafico (Trotter, 1915), che possiedeun intero capitolo riguardante i risul-tati delle ricerche nel campo etnobo-tanico.

SEZIONE FUNGHI DELLA TRIPOLITANIA

Altro settore di ricerca di Trotter fu lamicologia, come testimonia la pubbli-cazione di tre volumi della Syllogefungorum omnium, opera iniziata daAndrea Saccardo.La sezione funghi della Tripolitaniacontiene 124 campioni; i macromice-ti sono rappresentati da pochi reper-ti, mentre la maggior parte dei cam-pioni sono funghi parassiti di speciedi interesse agronomico. I miceti fito-patogeni, per le ridotte dimensioni ela loro fragilità, sono essiccati assie-me alle parti vegetali parassitate. Icampioni sono fissati sulle camicied’erbario in modi differenti, in parti-colare gli essiccati più piccoli sonoinseriti in bustine di carta spillate sulfoglio d’erbario; sulle buste sono,

molto spesso, presenti dettagliati di-segni, annotazioni e diagnosi mano-scritte.

SEZIONE ALGHE DELLA TRIPOLITANIA

Le alghe della Tripolitania sono riuni-te in un unico fascicolo di piccolospessore. Per le alghe microscopi-che, i campioni sono conservati co-me preparati permanenti su vetrini damicroscopio, ognuno dei quali inseri-to in una bustina di carta appuntatasul foglio d’erbario.Gli essiccati di alghe macroscopichesi presentano completamente ade-renti al supporto cartaceo (carta di ti-po Amalfi), carattere dovuto non all’u-so di colle ma bensì per la tradiziona-le tecnica di essiccazione delle al-ghe.

SEZIONE NOCCIOLI

Negli anni ’10 Alessandro Trotter det-te inizio ad un filone di ricerca sulnocciolo in Campania, che lo portò apubblicare numerosi lavori, come adesempio quelle a carattere tassono-mico (Trotter, 1949a), storico-coltura-le (Trotter, 1921), morfologico e gene-tico (Trotter, 1929).I reperti di cultivar di nocciolo, riunitiin 22 fascicoli, provengono dallaCampania e dalla Sicilia, che rappre-sentano i principali centri di sviluppodella nocciolicoltura in Italia. Altri duefascicoli della sezione sono dedicatialle varie e principali malattie chepossono colpire i noccioli. I campionisono corredati da cartellini autografi,che riportano le informazioni salientisull’entità, il luogo e la data di raccol-ta. Numerosi campioni sono accom-pagnati da una bustina di carta con-tenente i frutti maturi; i diversi tipi dinocciole furono anche sistemati inappositi contenitori di vetro, in partepervenutici in buono stato di conser-vazione. La sezione contiene anche il tipo diCorylus mediterranea Trotter, specienuova per la scienza che Trotter de-scrisse per la prima volta nel lavoroLe principali varietà di noccioli (Cory-

lus) coltivati nella Campania (Trotter,1949a), ma attualmente l’entità non èpiù ritenuta valida.

Collezione Romeo

Antonio Romeo nacque a Randazzo(Catania) nel 1899 da una nobile fa-miglia del luogo. La carriera profes-sionale si svolse nell’Istituto di Botani-ca di Portici, prima come assistentevolontario e poi come aiuto; collaboròattivamente con Giuseppe Catalano(direttore dell’Orto Botanico di Porti-ci), con Trotter e Lo Priore.La collezione Romeo consiste in1.900 essiccati; la maggior parte deicampioni sono intercalati nella colle-zione Erbario Generale e Comes Ge-nerale e contengono soprattuttocampioni di specie esotiche coltivatenell’Orto Botanico di Portici. Nell’Er-bario Generale sono conservati, an-che, gli essiccati relativi ai numerosistudi condotti da Romeo nel laborato-rio di Botanica, come ad esempio ilcampione di Ballota oggetto dellapubblicazione scientifica “La piantada lumini (Ballota pseudodictamnus(L.) Benth.)”. Tale indagine (Romeo,1936-37), a carattere etnobotanico,analizzava l’utilizzo, nella zona di Pi-sciotta, dei calici fiorali della ballotaper ricavarne stoppini per le lampadead olio. Le caratteristiche del lembocalicino, espanso, di consistenzamembranacea e ricco di una peluriaramificata, consentivano, con unsemplice e veloce lavoro di strofiniotra i polpastrelli, di avere un piccolostoppino da porre sull’olio. La duratadello stoppino era inoltre decisamen-te maggiore rispetto a quello dellecandele in cera. Importante è stato anche l’apportoche Romeo ha dato alle conoscenzefloristiche della Campania. In partico-lare un indagine svolta nel settore co-stiero del Cilento ha consentito la se-gnalazione entità rare, quali Evaxasterisciflora (Lam.) Pers. e Vicia lu-tea L. Completano la collezione duefascicoli relativi alla flora di Marina diPisciotta.

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70 I Musei delle Scienze Agrarie

Collezione Trotter, sez. droghe della Tri-politania - Gommo-resina nota col nomelocale di Usciach. L’essenza è usata,sciolta nell'aceto, per la cura di emato-mi, dolori da sforzo e per favorire la ma-turazione dei foruncoli.

Collezione Trotter, sez. droghe della Tri-politania - Záui, gommo-resina ricavatada Styrax benzoin Dryand. La droga èbruciata come l'incenso, per profumaregli ambienti.

Collezione Trotter, sez. droghe della Tri-politania - Particolare del cartellino ap-posto sopra il fascicolo delle piante diuso etnobotanico nella Libia.

Collezione Trotter, sez. droghe della Tri-politania - Particolare di gomma arabicaSamárh hárbi.

Collezione Trotter, sez. droghe della Tri-politania - Samárh hárbi è una gommaarabica, prodotta in località interne dellaLibia, dove vegetano molte acacie gom-mifere.

Collezione Trotter, sez. droghe della Tripolitania - Foglie di rend o rhár (Laurus nobilisL.), usate prevalentemente in campo medicinale.

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Il Museo Botanico “Orazio Comes” 71

Collezione Trotter, sez. funghi della Tri-politania - Foglio d’erbario di fungoparassita. La specie parassita è Hor-deum vulgare L., le macchie scure sullefoglie sono dovute a Hormodendrumhordei Bruhne (sub Cladosporium sp.).

Collezione Trotter, sez. noccioli - Essic-cati di Corylus avellana L. “Riccia”, pro-veniente da Visciano (NA).

Collezione Trotter, sez. funghi della Tripolitania - Esempio di bustina di carta, conte-nente campioni di Puccinia coronata Corda, del 1912.

Collezione Trotter, sez. noccioli - Contenitore in vetro per la conservazione delle noc-ciole.

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Collezione Erbario Aperto

L’Erbario aperto di Portici, costituisceuna collezione a parte, che raccoglietutti gli essiccati provenienti dalle di-verse attività condotte dalla Sezionedi Botanica della Facoltà, dalla primametà degli anni ‘50 sino ai giorni no-stri. La maggior parte delle raccoltesono il frutto delle indagini floristiche,riguardanti principalmente il territoriocampano.L’intera collezione conta più di 12.000campioni, di cui soltanto 4.000 sonoattualmente inseriti in un archivio elet-tronico appositamente ideato.

SEZIONE DIDATTICA

Questa sezione comprende una pic-cola collezione, risalente agli anni‘50-’60, allestita da Paolo Pizzolongo.La collocazione dei campioni seguel’ordine alfabetico per famiglia, meto-do esteso anche per i generi e lespecie. I singoli campioni sono fissa-ti al foglio d’erbario con fascette dicarta per mezzo di spilli; sui cartelli-ni, oltre al binomio specifico, è indi-cata anche la famiglia di appartenen-za e in certi casi la data e la localitàdi raccolta. Ciò rende la piccola rac-colta didattica anche un interessante

ed ulteriore fonte di informazioni flori-stiche.Altra piccola raccolta a scopo didat-tico è quella cecidologica, risalenteagli anni ‘20. Le galle fissate per mez-zo di spilli, in 10 cassette entomologi-che, sono corredate di piccoli cartel-lini che recano il nome dell’insettoche provoca la malformazione deltessuto vegetale ed il nome dellapianta parassitata.

SEZIONE GENERALE

I campioni presenti in questa sezioneprovengono, in buona parte, da loca-

72 I Musei delle Scienze Agrarie

Collezione Trotter, sez. alghe della Tripolitania - Foglio d’erbario su cui sono montati varicampioni di alghe, di cui alcuni aderenti al substrato cartaceo ed altri collocati in bustinedi carta.

Collezione Trotter, sez. alghe della Tripo-litania - Particolare di un alga: Dictyotadichotoma (Hudson) J.V. Lamouroux,raccolta a Tripoli nel 1912.

Collezione Trotter, sez. alghe della Tripo-litania - Esempio di campioni di alghemicroscopiche, preparate su vetrini.

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Il Museo Botanico “Orazio Comes” 73

Collezione Erbario Aperto, sez. tropicale - Paesaggio tropicale della foresta primaria situata a 3.700 m di altitudine, spedizionebotanica sulle Ande ecuadoriane, effettuata nel 2004.

Collezione Erbario Aperto, sez. generale - Lomelosia crenata(Cyr.) Greuter et Burdet subsp. crenata, entità scoperta e de-scritta per la prima volta da Domenico Cirillo nel 1788.

Collezione Erbario Aperto, sez. didattica - Galle a struttura ra-mificata, prodotte dall’insetto Cynips caput-medusae Har., sufoglie di quercia.

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74 I Musei delle Scienze Agrarie

lità campane come Matese, Ascea,Isola di Capri, Isola di Nisida, SommaVesuvio, città di Napoli, Campi Fle-grei, oggetto di pubblicazioni floristi-che e vegetazionali, da parte dei ri-cercatori della Facoltà. Un considere-vole numero di campioni provengonoda numerose località del Parco Na-zionale del Cilento e Vallo di Diano,dal territorio della provincia di Caser-ta e dal Sannio per lavori ancora incorso di svolgimento. Numerosi sono,anche, i campioni provenienti da altreregioni italiane, come Abruzzo, Ligu-ria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscanae straniere, come Argentina, Irlanda,Spa gna, Svizzera.

SEZIONE TROPICALE

Da pochi anni è stata costituita ancheuna piccola sezione tropicale, com-prendente i campioni vegetali raccol-ti durante le campagne di ricerca flo-ristica, vegetazionale e pedoantraco-logica, effettuate nelle Ande equato-riane dai ricercatori del Laboratorio diBotanica di Portici.

SEZIONE LICHENI

La collezione lichenologica raccogliecampioni di svariate località campa-ne, oggetto tra l’altro di contributispecifici. Le ricerche condotte dal la-

boratorio di Botanica sui licheni ri-guardano soprattutto indagini floristi-che (es. Monti del Matese) e di bio-monitoraggio dell’inquinamento at-mosferico. È da più di vent’anni che iricercatori di questa Facoltà utilizza-no i licheni come bioindicatori, attra-verso tecniche di analisi sulla biodi-versità o come bioaccumulatori dimetalli pesanti.

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Storia e descrizione

La Patologia vegetale è stata fino agliinizi del secolo scorso, sia cultural-mente che logisticamente, ospite del-la Botanica. L’insegnamento di Pato-logia vegetale era, infatti, incluso, nelcorso di Botanica e affidato a docen-ti di tale disciplina: Nicola Pedicino(fino al 1877), Orazio Comes (fino al1893), Giovanni Mottareale (fino al1906), Vincenzo Barrese (solo per

pochi mesi, fino all’ottobre 1906), Lui-gi Savastano, titolare della cattedradi Arboricoltura (fino al 1910), di nuo-vo O. Comes, fino al 1917, allorchésubentrò Alessandro Trotter, che ten-ne la cattedra sino al 1949. Sotto lasua direzione, grazie alla realizzazio-ne di un vero e proprio Laboratorio, laPatologia vegetale acquistò una veraindipendenza dalla Botanica.Alcuni dei docenti citati contribuirononon poco allo sviluppo della Patolo-

gia vegetale, tanto che Trotter ebbe acommentare «Se alle pubblicazionidel Comes si aggiungono quelle delMottareale, del Savastano e di qual-che altro, ben a ragione si dovrà par-lare di una Scuola fitopatologica diPortici: ispirata a un indirizzo massi-mamente clinico, per il quale essasubordina i fatti parassitari ad influen-ze preponderanti dovute a un com-plesso di importanti condizioni predi-sponenti di carattere climatico e col-

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Collezioni micologicheFabrizio Marziano, Antonino De Natale

Collezione micologica generale - Sei reperti di Puccinia violae,datati intorno al 1920.

Collezione micologica generale - Particolare dell’essiccato difoglie parassitate da Discosia artocreas Fr. collezionato daCaldesi nel 1860.

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turale». Dove già si concepisce l’e-vento patologico come risultato dellainterazione tra patogeno, pianta ospi-te e ambiente.

Essiccati

L’Erbario dell’Istituto di Patologia Ve-getale (POR) possiede collezioni cherisalgono sino agli inizi dell’800.L’azione di recupero e catalogazione,in questi ultimi anni, è stata rivolta an-che verso l’importantissima collezio-ne “Micologica generale”, il cui alle-stimento fu intrapreso da Orazio Co-mes. Nel 1876 la collezione annove-rava più di 250 entità di funghi dellediverse regioni dell’Italia meridionale.Il numero di essiccati accrebbe note-volmente col passare del tempo, di-venendo poi base di svariate pubbli-cazioni scientifiche come ad esem-pio Funghi del napoletano (Comes,1878) o la descrizione di entità nuoveper la scienza (Comes, 1881). Certa-mente non pochi campioni risalgonoa prima della fondazione della RegiaScuola Superiore di Agricoltura(1872).La collezione consisteva in preparaticonservati sotto alcool ed altri essic-cati secondo metodologie simili aquelle uste per le piante superiori «Ifunghi freschi son tuffati e lasciati perqualche ora in una forte soluzione al-coolica di sublimato, e quando sontratti da questa soluzione, vengonodisseccati con i metodi ordinari sen-za molta pressione. Si ottengono cosìa capo di qualche giorno degli esem-plari di funghi delicatissimi o moltofragili divenuti di consistenza cartila-ginea, e con le lamelle abbastanza li-bere da poterne ancora studiare laposizione e l’attacco» (Pedicino,1876).A causa dell’estrema fragilità e vulne-rabilità agli attacchi da parte deiparassiti, la collezione Micologicagenerale subì gravissimi danni du-rante il difficile periodo della primaguerra mondiale.Grazie all’intervento di Trotter, talecollezione fu recuperata ed ampliata

a partire dagli anni ‘20. La collezioneconsta attualmente di 57 fascicoli (inorigine 59) contenenti campioni diprestigiosi botanici quali ad esempioBresadola, Caldesi, Carestia, Cava-ra, Cesati, Comes, De Notaris, Fiori,Kmet, Licopoli, Mattei, G.A. Pasqua-le, Saccardo P.A. e Saccardo D., Tas-si, N. Terracciano e Trotter. È comun-que da ipotizzare, anche se non spe-cificamente riportato, un contributonon indifferente alla Collezione Mico-logica generale da parte di repertisaccardiani, data la vicinanza profes-sionale e parentale esistente tra Ales-sandro Trotter e Pier Andrea Saccar-do (suocero del Trotter e ospite diquesti ad Avellino allorché, causa laritirata di Caporetto, fu costretto a la-sciare la sua abitazione di Vittorio Ve-neto, andata distrutta).Trotter, come già accennato in prece-denza, pubblicò un grandissimo nu-mero di contributi a carattere micolo-gico e più in particolare di patologiavegetale. Tra le opere a carattere ge-nerale va ricordato il 9° Supplementouniversale (vol. 22) della prestigiosaSilloge fungorum, in collaborazionecon Saccardo. Dopo la morte di que-st’ultimo (1920), furono pubblicati gliultimi volumi della serie, i numeri 23(1925), 24 (1926) e 25 (1931).Con Trotter, uomo di preparazionescientifica e cultura assai vasta, lecollezioni si arricchirono di repertidalle provenienze più disparate fino araggiungere (collezione Micologicagenerale) la consistenza attuale dicirca 11.000 campioni. A detta colle-zione se ne affiancano altre a caratte-re crittogamico, acquistate a partiredal 1920 (Trotter, 1949b). Alcune di queste ultime furono inter-calate in quella generale (Trotter,1949b):Raccolta di funghi ipogei. Collezione di300 essiccati, a cura di Campbell L.Funghi columbiani. Ellis J.B. e Ever-hardt B.M. Funghi selecti exiccati (ser. 28-34).Myxomye, exiccati (ser. 9-10). Jaap O.Fungi selecti exiccati. Kuntze J.Fungi caucasici Malebranche A.Fungi rossici. Newodowski G.

Fungi gallinaci exiccati. Champi-gnons qui envahissent les végétauxcultivés. Fascicoli I-IV. Roumeguére.New York Fungi. Shear C.L.Uredineae et Ustilagineae. Mycothe-ca marchica. Sydow H.Mycotheca universalis, Cent. 1-23.Herbarium mycologicum oeconomi-cum. Fasc. 1-15. Thuemen V.

Altre collezioni, invece, furono rispar-miate allo smembramento, conser-vando astucci, fascicoli, carte, cartel-lini ed ordinamento originario:Myxomycetes de Romanie. Unico fa-scicolo contenente 30 reperti di mixo-miceti (1920), curato da Brandza M.,Bucarest.Funghi parassiti delle piante coltivateod utili. Collezione di funghi fitopato-geni, riuniti in 19 fascicoli (1888-1926), curata da Briosi G. e CavaraF., del Laboratorio Crittogamico Italia-no, annesso all’Istituto di Botanicadell’Università di Pavia.Erbario crittogamico italiano, a curadella Soc. Crittogamica Italiana. Sez.II contenente campioni di alghe, li-cheni, briofite, e pteridofite, presentecon i fascicoli da XIV a XXX, n. 651-1500, datati dal 1878 al 1885.Phycotheca.Italica. Due fascicoli(centuria I, fascicolo I, N° 1-100 -centuria II, fascicolo II, N° 101-150),curati da De Toni G.B. e Levi D. Rea-lizzato presso la redazione della rivi-sta Notarisia.Phycotheca Italica. Fascicolo unico(centuria II, fascicolo IV, N° 151-200),curato da Levi-Marenas D. Realizzatopresso l’Amministrazione della “Nep-tunia”, Venezia.Chermotheca italica. Collezione in 5fascicoli di cocciniglie italiane (1895-1909), curata da Berlese A. e Leo-nardi G. Realizzato dal Premiato Sta-bilimento Tipografico Vesuviano.Lichens de la Normandie. Collezionedi licheni della Normandia, riuniti in 8fascicoli (1863-1876), curata da Ma-lebranche A. Imprimerie de H. Baisel,Rouen.I miceti patogeni dell’uomo e deglianimali - Descritti e preparati per l’os-servazione al microscopio, con noti-

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zie sopra i rimedi per combatterli.Collezione in 8 fascicoli. Pollacci G. eNannizzi A. Realizzato L. Cappellied., Bologna.Cryptogamen (Sporenpflanzen). Col-lezione di funghi fitopatogeni in 2 fa-scicoli (1876), curata da RabenhorstL. di Dresda.Musci Tarvisini exiccati. Collezione inun unico fascicolo di 200 reperti dimuschi (1863), curata da SaccardoP.A., Tarvisio (Udine).Mycoteca italica. Fascicolo unico di150 reperti di funghi (1902-1906), cu-rato da Saccardo D. Il fascicolo eraparte integrante di una collezione in12 centurie, conservata in gran partepresso l’Istituto Botanico dell’Univer-sità di Padova. Herbarium Mycologicum Romani-cum. Collezione di funghi della Ro-mania, riuniti in 25 fascicoli (1928-1940), curata dal Savulescu T., dell’I-stituto di Ricerche agronomiche, Sta-zione di Fitopatologia di Bucarest.Cecidologica Italica. Fascicolo unico(1917), fac. XXI-XXIII, n° 501-575.

Trotter A. Tipo-Litografia E. Pergola,Avellino.Cryptogamen Herbarium. Collezionedi funghi, alghe, licheni, muschi edepatiche raccolti in un solo fascicolo(1860-1880), curato da Wagner H., diBielefeld.

Il numero complessivo degli essicca-ti è di circa 12.900 unità, di cui laquasi totalità risulta schedata in for-mato cartaceo, mentre soltanto il7,5% è stato inserito in un databaseelettronico.

Colture viventi di funghi

La collezione, attualmente, registra1751 generi e specie, isolati in coltu-ra pura, di funghi interessanti sottol’aspetto biologico, di contaminazio-ne degli alimenti, entomologico, fito-patologico, industriale, tassonomico.Esempi significativi sono Aspergillus,Beauveria, Botrytis, Ceratocystis, Fu-sarium, Gliocladium, Paecilomyces

Penicillium, Phytophthora, Rhizocto-nia, Verticillium.Il genere Fusarium, ad esempio, co-stituisce oggi il punto di riferimentoper gli studiosi del settore. Di tale ta-xon sono “coltivati” numerosi isolati,provenienti da svariate aree del mon-do. La micoteca che la ospita è, perconcezione tecnica e ricchezza dellacollezione, una tra le più importanti eprestigiose d’Italia, tanto da esserevisitata da micologi di fama mondialequali il Prof. William C. Snyder dell’U-niversità di Berkeley e il Prof. WalterGams del Centraalburean voorSchimmelcultures di Utrecht.La sua realizzazione si deve soprat-tutto alla volontà e alla competenzadel Prof. Carmine Noviello. Questi tra-scorse un lungo soggiorno di studioe di ricerca (1964) presso la CornellUniversity di Ithaca, New York, la Uni-versity of California di Berkeley e laCanada Agriculture Research Sta-tion, Saskatoon, Saskatchewan, e alsuo ritorno portò con sé numerosecolture di specie interessanti di fun-

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Collezione Rabenhorst Cryptogamen Flo-ra, I. Section Pilze, Dresda 1876 - Fogliod’erbario con due reperti vegetali attac-cati da funghi patogeni (Hypoxylon fu-scum Fr. e Epichloe typhina (Pers.) Tul.)e Cordyceps ophioglossoides Fr., cheparassitizzava un ascomicete ipogeo.

Colture viventi di funghi - Particolare dialcune colture fungine.

Collezione Musci Tarvisini exiccati (Sac-cardo P.A.) - Sopra Polytrichum colum-nae L. raccolto nel 1862, sotto Leucotonsciuroides Schev. del 1863.

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ghi, in massima parte Fusarium. Nac-que così l’esigenza di una micotecache in origine fu un semplice localerigorosamente pulito e periodicamen-te disinfettato, ospitato dapprima inuna antica cappella del castello delparco Gussone, e successivamentein una stanza dell’Istituto di Estimo si-to nello stesso parco. Ma intanto eramaturata l’idea di una micoteca mo-derna e funzionale, dotata di impiantiautomatici per la regolazione della lu-ce, della temperatura e dell’umidità.In un locale messo a disposizionedall’Istituto di Coltivazioni arboree an-

nesso a quello di Patologia vegetale,i lavori per il rivestimento igienico del-le pareti con marmo e per l’opportu-no condizionamento sono proseguitiper diversi mesi. Nel 1967 la micote-ca, dotata di doppio impianto scam-biabile di condizionamento, funziona-va a regime, con temperatura di22°C, umidità relativa dell’aria al 68%e impianto di illuminazione di tipo so-lare con cicli di 12 ore soggetti ad in-tensificazione e ad attenuazione pro-gressiva della luminosità in corri-spondenza rispettivamente dell’albae del tramonto.

Attualmente alla micoteca si accedeattraverso un sistema di doppie por-te separate da un breve corridoio,dopo aver preventivamente pulito lesuole delle scarpe su un tappetinoadesivo e indossato camici sterili. Viè annessa una cella asettica, dotatadi lampade germicide ad UV, perl’esecuzione di colture monospori-che.La struttura gratuitamente fornisce surichiesta isolati fungini e svolge servi-zio di identificazione di isolati fungini,con maggiore specializzazione versoil genere Fusarium.

78 I Musei delle Scienze Agrarie

Colture viventi di funghi - Veduta della micoteca rivestita in marmo e condizionata termicamente (22°C) e igrometricamente (68%U.R.), della sezione di Patologia vegetale del Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia vegetale.

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Le attività di raccolta di collezioni deilegni iniziano con la fondazione dellaScuola Superiore per l’Agricoltura,ma non hanno avuto nel tempo signi-ficativi ampliamenti; solo recente-mente il settore sta avendo nuove im-portanti estensioni.I nuclei principali di tali collezioni so-no rappresentati dalla XylotomothecaItalica di Adriano Fiori e dalle colle-zioni aperte che si suddividono indue sezioni: legni e carboni.

Xylotomotheca Italicadi Adriano Fiori

Tra le collezioni di exsiccata che co-stituiscono il patrimonio del MuseoBotanico “Comes” la XylotomothecaItalica di Adriano Fiori si distingue per

il suo particolarissimo contenuto, for-se unico nel suo genere. Essa è infat-ti costituita da una serie di preparatimicrotomici (sezioni sottili) di ampiasezione di specie legnose.L’originalità della Xylotomotheca, sot-tolineata dallo stesso autore, «per lepiante legnose si uniranno pure dellesezioni microtomiche del legno, cosafin qui, per quanto ci consta, non maifatta in alcuna altra exsiccata» (Fioriet al, 1905) è proprio la forma di pre-sentazione dei campioni legnosi. Sitratta infatti di sezioni sottili, essicca-te, di circa 0.1 mm di spessore condimensioni variabili tra 1.5 cm e 8 cmdi diametro per le sezioni trasversalie fino a 5-6 cm di lunghezza e 1-4 cmdi larghezza per le longitudinali.Il più antico riferimento bibliograficoin cui si menziona la presenza di que-

sta collezione nell’Istituto di Botanicadi Portici fa riferimento alla fine deglianni ‘40, ma è ipotizzabile che laXylotomotheca fosse presente giàprima dal momento che la Mezzettiparla di «riordino e collocazione nellasala degli esercizi» (Mezzetti Bamba-cioni, 1959).Nell’aprile 1905 Adriano Fiori, RenatoPampanini e Augusto Béguinot pub-blicano sul Nuovo Giornale Botanicoitaliano le prime Schedae ad FloramItalicam Exsiccatam che accompa-gnavano i campioni d’erbario della“Flora Italica exsiccata” (FIE); questanasceva con l’intento di «fornire unutile materiale di confronto a quanti siaccingono a lavori monografici su lar-ga scala ed a quelli che si occupe-ranno in avvenire di lavori sia genera-li che speciali sulla Flora italiana»

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Collezioni di legni e carboniGaetano Di Pasquale, Emilia Allevato

Il microtomo automatico a doppia rota-zione ideato da Fiori appositamente perla realizzazione della Xilotomotheca itali-ca (Fiori A., 1900).

Sistemazione originale dei preparati dellaXylotomotheca Italica (Cuccuini, 2002).

Sistemazione attuale dei preparati della Xylotomotheca Italica del Museo Comes.

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(Fiori et al, 1905). I campioni d’erba-rio della FIE, la più grande raccolta diexsiccata fanerogamici italiana furo-no dunque distribuiti tra il 1905 e il1927 a gran parte degli erbari italiani,allo scopo di «giovare al progressodegli studi floristici in Italia» (Fiori etal, 1905). La Xylotomotheca Italica,pur conservando una sua specificaidentità, nasce come appendice diquesto erbario. Gli stessi autori scri-vono a questo proposito: «In tal mo-do sarà possibile di pubblicare dellepiante legnose comuni solo le sezionimicrotomiche, e si darà agio a cia-scuno di disporre le sezioni comemeglio gli aggrada» (Fiori et al,1905).Adriano Fiori non fu solo l’ideatore ditale collezione ma anche colui che nerese possibile materialmente la realiz-zazione. Progettò e fece costruire unmicrotomo da lui denominato “nuovomicrotomo automatico a doppia rota-zione” (Fiori, 1900) di cui si avvalseper la realizzazione delle sezioni sot-tili della Xylotomotheca (Cuccuini,2002). L’unicità della Xylotomotheca,come accennato prima, sta anchenella tecnica di esecuzione delle se-zioni sottili, eseguite, su ampie super-fici e senza alcun un mezzo includen-

te; lo stesso Fiori (1900) commenta:«[…] il sezionamento a mano libera ri-mane ancora in pratica nell’istologiavegetale, conseguendosi con esso,in certi casi, dei risultati migliori checogli ordinari microtomi […] Il nuovomicrotomo a doppia rotazione da meideato […] soddisfa pienamente allecondizioni che si esigono per la mi-gliore esecuzione dei tagli ed operaveramente come quando si seziona amano libera» (Fiori, 1900). La colle-zione originaria era costituita da 215campioni comprendenti 184 speciediverse o entità infraspecifiche e 113generi. Nel suo insieme si presentavacome una serie di preparati confezio-nati in eleganti plieghi di cartoncinodi colore azzurro o verde, contenenticiascuno una o due coppie di sezionitrasversali e longitudinali e corredatida un’etichetta dattiloscritta conte-nente tutte le informazioni relative alcampione: numero d’ordine progres-sivo del campione, entità tassonomi-ca, parte anatomica della pianta dacui proveniva il preparato, località diraccolta, data, per 42 campioni an-che il numero della scheda della Flo-ra Italica Exsiccata a cui il campioneera riferito, e infine il nome del racco-glitore.

La collezione presente nel Museo,comprende oggi 210 saggi di 181entità tassonomiche tra spontanee ecoltivate, di cui molte esotiche, ap-partenenti a diversi ambienti.Sebbene gran parte dei preparatiprovengano da campioni raccolti dal-lo stesso Adriano Fiori, alla costituzio-ne della Xylotomotheca parteciparo-no 15 collaboratori che da diverse re-gioni d’Italia «inviarono copioso ma-teriale di piante secche» (Fiori et al,1900) sia per la FIE che per la colle-zione dei legni. Negli anni ’70 per volere di Paolo Piz-zolongo, allora Direttore dell’Istitutodi Botanica la collezione fu intera-mente risistemata. Le sezioni furonomontate su telaietti di legno delle di-mensioni di 30x34 cm tra due vetridelle dimensioni di 10x12 cm. Cia-scun telaietto è diviso in 6 riquadri;ciascuno porta una coppia di vetricon le sezioni adagiate su carta luci-da semitrasparente e contiene tuttele sezioni sottili dello stesso prepara-to, sia trasversali che longitudinali.Per ciascun campione sono riportatein forma manoscritta le informazionipresenti sulle etichette originali: Cia-scun telaio è dotato di una base dilegno che gli permette di mantenere

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Hedera helix L.: sezione trasversale elongitudinale radiale.

Salix daphnoides Will.: sezione trasver-sale e longitudinale radiale.

Pinus pinaster Sol.: sezione trasversale in cui sono ben visibili gli anelli di accresci-mento e l'alternanza tra legno primaverile (chiaro) e legno tardivo (scuro).

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la posizione verticale, in modo dapoter osservare le caratteristichemacroscopiche dei diversi legni conil semplice ausilio di una fonte lumi-nosa posta sul retro. Solo due ele-menti della collezione sono statimantenuti nella forma in cui si pre-sentavano precedentemente alla si-stemazione degli anni ’70. Si tratta di“quadretti” delle dimensioni di 13x18cm costituiti da due vetri rettangolariaccoppiati e tenuti insieme da unacornice di tela grigia, contenenti ilpreparato e l’etichetta originale; perstruttura e dimensioni appaionoiden tici a quelli di una collezione di-dattica attualmente conservata all’Er-bario del Laboratorio di Botanica delDipartimento di Biologia Vegetaledell’Università di Firenze (Cuccuini,2002). Questa similitudine con la col-lezione didattica di Firenze e la origi-naria collocazione nella sala degliesercizi rendono palese la funzionedi supporto didattico per gli studentie ci fanno supporre che la Xylotomo-theca abbia avuto nell’Erbario di Por-

tici, sempre vita indipendente dallaFIE; non si può escludere che la col-lezione possa essere stata acquista-ta nella sua interezza indipendente-mente dagli invii dei campioni d’er-bario della FIE. Da una recente inda-gine di Cuccuini (2002) risulta chenegli erbari italiani, nonostante la no-tevole diffusione che ebbe in passa-to, non è rimasto oggi molto di que-sta collezione; poche infatti sonoquelle complete e ancora menoquelle che conservano la loro formaoriginale. La collezione del Museo“Comes” è tra quelle con il maggiornumero di campioni insieme a quelladell’Erbario di Padova, dell’Herba-rium centrale Italicum (FI) e dell’Er-bario del Laboratorio di BotanicaAgraria dell’Università di Firenze.Delle collezioni storiche fanno parteanche i materiali della collezione “Pe-dicino”, costituiti da circa cinquantasaggi di specie arbustive e arboreeautoctone ed esotiche, preparati nelsecolo scorso secondo la tecnicamessa a punto dal primo docente di

botanica della scuola, Nicola Pedici-no, illustrata accuratamente nel pri-mo volume dell’Annuario della RealeScuola Superiore di Agricoltura inPortici la procedura adottata: «Siprendono i tronchi [ ], e si taglianolongitudinalmente giusto a metà. Del-le due parti restanti una si conservaper tutti gli studi che si vorranno fa-re,l’altra si prepara per la collezione.Da questa si taglia una fetta trasver-sale grossa circa 2 cm, e poi una fet-ta longitudinale altrettanto spessacontenente il midollo. Il primo pezzosemicircolare a si applica sul secon-do rettangolare b,[ ]. La superficie ditaglio che contiene il midollo viene in-cerata in modo che il color naturale sialteri il meno possibile, la faccia op-posta viene verniciata con i soliti si-stemi degli ebanisti[ ]» (Pedicino,1876). I tronchi, così preparati erano monta-ti su appositi supporti e offrivano unvalido strumento didattico per lo stu-dio delle caratteristiche macroscopi-che del legno delle diverse specie.

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Collezione Pedicino: sezioni di Acaciamelanoxylon R.Br. (albero sempreverdedella famiglia delle leguminose coltivatoa scopo ornamentale) e di Dyospyrosebenum Koenig, comunemente cono-sciuto come ebano.

Tavola illustrativa della tecnica di realizzazione dei campioni della Xylotheca Pedi-cino.

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Collezioni aperte

XILOTECA

La xiloteca comprende campioni di le-gno di numerose specie di ambientemediterraneo e neotropicale. La colle-zione di legni neotropicali è di grandeinteresse scientifico, poiché si tratta dientità la cui anatomia del legno non è

stata mai descritta. Questa parte del-la collezione, che nasce nel 2003 inoccasione di un progetto di ricercasugli ecosistemi altoandini, si arricchi-sce di nuove entità tassonomiche adogni spedizione, ed è attualmente co-stituita da un centinaio di specie rac-colte sia nella foresta umida di altamontagna che nelle praterie altoandi-ne (pàramo), tra 3200 e 4000 m s.l.m.

sulle Ande ecuadoregne. Essa com-prende diversi endemismi e specierare come Clusia flaviflora Engl., IlexColombiana Quatrec., Weinmanniacochensis Hieron. Per quanto riguar-da la foresta, ed Espeletia pycnophyl-la Quatrec., Pentacalia vaccionioides(Kunth) Quatrec., Pernettia prostrata(Cav.) DC. per quanto riguarda le spe-cie arbustive del pàramo.

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Ande del Nord: praterie alto-montane (pàramo), caratterizzate dalla presenza di rosette giganti (Espeletia pycnophylla Quatrec.),attualmente oggetto di studi paleoambientali.

Pernettia prostrata (Cav) DC.: sezionetrasversale del tronco al microscopioelettronico a scansione (X 250).

Fiore di Espeletia pycnophylla Quatrec. Espeletia pycnophylla Quatrec.: sezionetrasversale del tronco al microscopioelettronico a scansione (X 100).

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LEGNI ARCHEOLOGICI

Per quanto riguarda i legni di prove-nienza archeologica, a seguito di unacollaborazione con la Soprintenden-za ai Beni Archeologici di Napoli, at-tualmente sono conservati presso ilMuseo circa 1500 campioni rappre-sentativi di tutte le unità strutturali di 3relitti datati tra il I ed il III secolo d.C.provenienti dallo scavo archeologicodell’antico porto di Neapolis. Sonoinoltre conservate circa cinquanta se-zioni di pali dei moli e delle banchinedel suddetto scavo databili tra il I edil V secolo d.C.. La collezione com-prende anche le sezioni sottili per lostudio al microscopio di questi mate-riali.

ANTRACOTECA

Lo studio dei carboni nei contesti ar-cheologici (antracologia) occupa unaposizione di rilievo in ambito archeo-botanico fornendo notevoli indicazio-

ni sull’utilizzo da parte dell’uomo dellegno, sul tipo di cognizione tecnolo-gica e sul rapporto tra uomo e am-biente. L’analisi dei carboni si basa sull’os-servazione al microscopio delle ca-ratteristiche anatomiche del legnocarbonizzato, che non differisconoda quelle del legno di origine; l’iden-tificazione avviene quindi mediante ilconfronto con collezioni di riferimen-to oltre che con atlanti del legno. Perquesto motivo, a partire dal 1997,anno in cui riprende l’attività di ricer-ca in campo archeobotanico, sonostate progettate e realizzate specifi-che collezioni di confronto che con-tengono diverse centinaia di campio-ni della flora legnosa italiana e medi-terranea.

CARBONI ARCHEOLOGICI

La sezione più consistente della col-lezione comprende diverse migliaiadi campioni provenienti da vari siti ar-

cheologici che nel corso del temposono stati oggetto di ricerche.Tra questi devono essere ricordati icarboni provenienti dagli insedia-menti costieri di Grotta della Cala eGrotta della Serratura (Marina di Ca-merota - Sa), che coprono un arco ditempo di circa 25.000 anni; da questimateriali sono state rinvenute alcunetra le più antiche tracce di utilizzazio-ne di olivo e vite, datate a 6000 annidal presente. Tra gli altri materiali digrande interesse, attualmente in cor-so di studio, possono essere ricorda-ti quelli provenienti dal villaggio delBronzo antico di Nola (NA), e quelliacquisiti a seguito di una convenzio-ne con l’Università di Tokyo, respon-sabile dello scavo dalla cosiddetta“Villa di Augusto” (I-V secolo d.C) si-tuata in prossimità di Somma Vesu-viana (NA). Infine vanno ricordati imateriali provenienti dall’accampa-mento militare romano di Thamusida(Maroccco) e dalla città bizantina diGortina (Creta - Grecia).

Campionamento degli elementi strutturali da una nave romana rinvenuta nell’anticoporto di Neapolis.

Particolare del relitto: cavicchi e tenoni.

Sezione sottile longitudinale radiale diPinus gruppo sylvestris (x 400) osserva-ta al microscopio ottico, relativa ad unelemento del relitto.

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Sezioni trasversale (x 100) e longitudinale tangenziale (x 200)di frammenti di legno carbonizzato di Fraxinus ornus L. viste almicroscopio a luce riflessa.

Il sito archeologico della Villa di Augusto a Somma Vesuviana,dove è in corso una collaborazione con l’Università di Tokyo,nell’ambito del Progetto “Restoration of Cultural and NaturalEnvironment of the Area Covered by Volcanic Eruptions”.

Campagna di scavo 2006: campionamento dei materiali ar-cheobotanici.

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Storia e descrizione

La collezione “Carlo Erba” è costitui-ta da campioni vegetali di interessefarmaceutico, industriale e alimenta-re, conservati a secco in barattoli divetro. Non esistono informazioni certe sulladata di acquisizione della Collezione;era di sicuro utilizzata a fini didatticigià prima del 1928 come sembrereb-be da una foto inserita nel “R. IstitutoSuperiore Agrario in Portici, 1872-1928”, in cui la raccolta risulta espo-sta nella stanza delle esercitazioni,assieme alla Collezione della vetreriascolastica. Pur nata e acquisita conchiari intenti didattici, la collezioneconservata a Portici gode di una sua

completezza e organicità che la ren-de particolarmente interessante ai fi-ni di un’ostensione museale. Carlo Erba (Vigevano 1811-Milano1888), da semplice farmacista, nel1853 impiantò il primo laboratoriofarmaceutico in Italia, che col tempodivenne una fiorente industria: laomonima Carlo Erba. Egli operò ne-gli anni in cui la chimica cominciavarapidamente a soppiantare l’erbori-steria come base della scienza far-maceutica e fu uno dei massimi pio-nieri del settore chimico-farmaceuti-co in Italia, traghettando la spezierianell’era industriale della medicina disintesi. La raccolta consta di 189 esemplaridi reperti vegetali, conservati in ba-

rattoli di vetro (alti circa 16 cm condiametro massimo di circa 8 cm), contappo a incastro, a chiusura sigillatacon silicone. Ciascun barattolo riporta un’etichettaprincipale, intestata “Carlo Erba Mila-no”, con indicato il nome comunedella pianta, a volte seguito dalla si-gla “F. U.” (Farmacopea Ufficiale), odel preparato contenuto ed eventual-mente risulta specificata la parte con-servata o la modalità di preparazio-ne. In secondo piano è sempre indi-cato il nome scientifico dell’entità ve-getale conservata.Nella collezione le piante velenosesono differenziate dalle altre. In parti-colare, i 28 campioni di specie tossi-che o velenose sono resi immediata-

Collezione di piante officinali “Carlo Erba”Marisa Idolo

Collezione Carlo Erba - Una suggestiva visione d’insieme con preziosi volumi antichi della Biblioteca Comes.

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mente individuabili dal cappuccionero e dalla presenza di un’ulterioreetichetta sul corpo del barattolo, an-ch’essa a fondo nero, riportante lascritta “Veleno” e il tipico simbolo delteschio con le ossa incrociate. La collezione include specie di usocomune, quali la camomilla (Anthemisnobilis L.), il pepe (Piper nigrum L.), lamenta (Mentha piperita L.), la liquiri-zia (Glycyrrhiza glabra L.) e specie diconsolidato e insostituibile uso tera-peutico come il salice (Salix nigraMarsh.), la senna (Cassia acutifoliaDelile), la china (Cinchona calisayaWedd.) e l’aloe (Aloe socotrina Lam.),quest’ultima con alcune proprietà bennote, antinfiammatorie e cicatrizzanti,e con altre ancora in fase di studio. Laraccolta, inoltre, comprende quellespecie il cui nome è ancora evocativodi oscuri rituali, perdendosi nel tempoin cui medicina, erboristeria e strego-neria erano strettamente collegate edifficilmente distinguibili, come saba-

diglia (Asagrea officinalis Lindley), as-safetida (Ferula asa-foetida L.), elle-boro (Helleborus niger L.), salsapari-glia (varie specie di Smilax.). Sono poi presenti dei derivati vegeta-li che trovano applicazioni industriali:è il caso delle varie gomme (adragan-te - Astragalus spp, benzoe - Styraxbenzoin Dry., etc.), usate come ad-densanti, nella composizione di verni-ci etc. e dell’ambra (resina di coniferesolidificata), tipicamente ado perataper la realizzazione di monili.Per ciascuna specie è raccolta la so-la parte della pianta che possiede leproprietà specifiche; solo in rari casisono conservati interi individui. Lamaggior parte dei preparati sono ra-dici, rizomi o loro parti, frutti, foglie efiori; sono inoltre presenti legni, gom-me, resine.Alcune entità sono conservate in piùdi un esemplare, in diverse fasi feno-logiche o parti vegetative, in quantola loro efficacia o il loro utilizzo varia a

seconda della parte utilizzata: è il ca-so, per esempio, di Arnica montanaL., di cui troviamo, in tre diversi ba-rattoli, la pianta intera (antisettica,febbrifuga, stimolante cardiovascola-re e nervino), il rizoma (con proprietàvasodilatatorie) e i fiori (antinfiamma-tori e sedativi).

Le piante “velenose”

È interessante notare che i veleni e lesostanze tossiche entrino a far partedi una raccolta di piante “officinali” inquanto in passato sono stati frequen-temente utilizzati a scopo terapeutico,anche se è difficile immaginare conquale percentuale di successi: spes-so il denominatore comune di questeessenze è il loro effetto sul sistemanervoso o circolatorio, o la capacità diagire come violenti emetici e/o lassa-tivi, proprietà che era vista come “pu-rificante” del corpo e dello spirito.

Jequirity (Abrus precatorius): semi - Ar-busto delle Fabaceæ originario dell’In-dia. La pianta è anche conosciuta come“albero dei rosari”, o “albero della pa-zienza”, perché con i suoi semi tondi ecolorati, fortemente tossici, si confezio-nano corone per la preghiera.

Iperico (Hypericum perforatum L.): fiori.Questa comune pianta, detta anche Er-ba di San Giovanni, è stata utilizzata co-me rimedio per diverse patologie. Attual-mente conosce un forte successo so-prattutto come antidepressivo.

Elleboro nero (Helleborus niger L.): rizo-ma. Il nome di questa pianta deriva dalgreco “helleboros”, che significa: “che uc-cide, che consuma”, riferendosi alla fortetossicità dei glucosidi in essa contenuti.

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L’elleboro nero (Helleborus niger L.),ad esempio, fortemente tossico a li-vello gastrointestinale, in passatoera utilizzato come purgativo e ver-mifugo. Inoltre era considerato unefficace rimedio contro la depressio-ne e la pazzia: in realtà provoca con-vulsioni e delirio, fino alla morte perparalisi respiratoria. Studi recenti loindicano come la causa della fine di

Alessandro Magno, che lo avrebbeusato per combattere la depressio-ne che lo attanagliava, ma ne sareb-be rimasto vittima. La dottrina ippo-cratica degli umori prevedeva l’uti-lizzo dell’elleboro come purgante,onde liberare il corpo degli “umorinocivi”. L’espressione “elleborizza-re” era perfino entrata nel linguaggiocomune.

Altro esempio è rappresentato dall’A-conito (Aconitum napellus L.), il cuiprincipio attivo è l’aconitina, forteanestetico delle terminazioni nervo-se, con proprietà antidolorifiche e an-tinevralgiche (agisce sul trigemino)ma altamente tossico anche attraver-so il solo contatto prolungato; PietroAndrea Mattioli (1501-1578) ne riferi-sce la sperimentazione sui condan-

Aconitum napellus L.

Aconito: immagine tratta da I Discorsi diM. Pietro Andrea Matthioli Sanese Medi-co Cesareo, nei sei libbri di PedacioDioscoride Anazarbeo della materia Me-dicinale [...], 1712.

Collezione Carlo Erba - Alcuni veleni con testi storici di riferimento.

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nati a morte, a Roma e a Praga, pertrovarvi un antidoto. È significativo inoltre, il fatto che dueimportanti cardiotonici siano inseritifra i veleni; Atropa belladonna L. e Di-gitalis purpurea L. sono ancora oggiusati in medicina, ma il difficile do-saggio e l’ancor più difficilmente pre-vedibile effetto (possono condurre al-la morte) li fanno inserire a pieno tito-lo fra le sostanze velenose.

Tra le specie con effetti decisamen-te tossici, c’è Artemisia absinthiumL. di cui sono conservati i frutti: sitratta dell’assenzio, potente allucino-geno neurotossico che trovò la suamassima diffusione nel 1800 comeliquore degli artisti e dei poeti “male-detti”. Ne fecero uso e abuso Verlai-ne, Rimbaud, Baudelaire, Van Gogh,Degas, Toulouse Lautrec e OscarWilde. È tuttora l’essenza utlizzata

per fare un liquore. La cicuta (Co-nium maculatum L.) ha proprietàtossiche e medicamentose cono-sciute fin dai tempi più antichi; eraimpiegata come narcotica, antispa-smodica, antitetanica, contro i doloricancerosi, come antirabbico. I Grecipreparavano con i frutti immaturi ilveleno da somministrare ai condan-nati a morte: fu imposta a Socrateper togliersi la vita.

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Il Museo Botanico “Orazio Comes” 89

Storia e descrizione

Il Museo Comes, nel tempo, si è ar-ricchito di un considerevole patrimo-nio di reperti botanici, frutto delle di-verse attività di ricerca. Esiste peròanche un settore che testimonia l’al-tro ruolo fondamentale che ricoprì illaboratorio di Botanica all’interno del-la Scuola di Agricoltura: la didattica.L’impegno che i vari professori profu-sero nell’attività di insegnamento, ètestimoniata dai numerosi reperti ap-partenenti a questa collezione, risa-lenti soprattutto alla seconda metàdell’800, e agli inizi del ’900.Le lezioni di Botanica generale (Mor-fologia esterna ed interna, Fisiologiae Biologia) e Botanica sistematica edagraria, allora come oggi, eranocomposte da una parte teorica ese-guita in aula ed una pratica effettuatain laboratorio. La parte di organogra-fia veniva svolta soprattutto con l’au-silio di tavole e modelli; per la parte dibotanica sistematica e di fitognosia si

utilizzavano le colture viventi ospitatenella serra, nonché quelle del giardi-no botanico e del vasto parco annes-so alla Scuola. L’utilizzo di microsco-pi durante le lezioni di Anatomia davala possibilità agli studenti di effettua-re le relative diagnosi, riguardo sva-riate problematiche (Lo Priore, 1928).Agli alunni venivano anche forniti ru-dimenti della flora spontanea, attra-verso frequenti escursioni in numero-se località della provincia e delle vici-ne isole (Comes, 1872).Come integrazione ai libri di testo diBotanica e Patologia vegetale veni-vano utilizzati volumi di appunti presidagli studenti più valenti durante lelezioni. Le trascrizioni manoscritte,corredate da numerose tavole, eranosupervisionate dal professore e quin-di riprodotte in tipografia; nel Museone sono conservate varie versioni apartire dal 1880 fino ai primi decennidel 1900. Le lezioni tenute ad esem-pio da Orazio Comes nell’insegna-mento di Micologia sono raccolte in “I

funghi in rapporto all’economia do-mestica ed alle piante agra-rie”(1880). L’autore, Luigi Savastano,discepolo di Comes, nella parte fina-le del manoscritto riunì ben 134 dise-gni fisionomici ed anatomici dei fun-ghi descritti.Le principali raccolte della Collezionedidattica sono costituite da oltre 250tavole didascaliche esplicative dellevarie branche della botanica e da cir-ca 300 barattoli di vetro contenentivari preparati vegetali. In aggiunta aicartelloni di Botanica sistematica, fucreato un discreto assortimento dicampioni d’erbario protetti da cornicidi legno con vetro. Dalle immagini ri-portate negli articoli del 1928 (LoPriore) e del 1959 (Mezzetti Bamba-cioni), è possibile notare che i qua-dretti di piante essiccate furono siste-mati nei laboratori, ma soprattuttonelle sale dell’Erbario. Ad arricchireed a diversificare il materiale didatti-co esemplificativo fu creato un assor-timento di semi e frutti secchi, appar-

Collezioni didatticheAntonino De Natale, Marisa Idolo

Polyporus sulphureus Fr.; vari stadi evo-lutivi del fungo in una tavola tratta dallelezioni tenute da Orazio Comes e rac-colte da Savastano.

Sala delle esercitazioni del Laboratorio di Patologia vegetale con numerose tavoledidattiche esposte. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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tenenti a specie di differenti famigliee provenienti da diverse aree delmondo. Esempio particolare di que-sta raccolta può essere il seme di Lo-doicea callypige Comm., entità origi-naria delle Isole Seychelles, che pro-duce il seme più grande del regnovegetale, avente un peso di 20 e piùchili. Verso gli anni ’50, tale raccoltafu integrata da campioni di coni (pi-gne) appartenenti a diverse specie digimnosperme, montati su basi di le-gno.Non si ha, invece, più alcuna tracciadi altri sussidi didattici, quali la seriecompleta dei modelli “Flora artefac-ta”, la raccolta di microfotografie acolori e la spermoteca, menzionatidalla Mezzetti nel 1959.

Sezione Tavole didascaliche

L’insegnamento della Botanica erasupportato da numerosi cartelloni di-dascalici, che, fissati alle pareti delleaule, davano agli studenti la possibi-lità di osservare attraverso immaginia colori l’oggetto della lezione. Su in-dicazione della Mezzetti Bambacioni(1959) furono eseguite ben 40 nuovetavole didascaliche, dai tecnici dellaboratorio, come integrazione diquelle già esistenti. Anche Trotter perla Patologia Vegetale fece eseguireben 98 illustrazioni a colori, di grandeformato, dal tecnico Gennaro Faiella(Trotter, 1949b).La collezione di tavole didattiche asoggetto botanico è costituita da 261

pannelli, di cui 168 storici; di questi, ilgruppo più importante è sicuramentequello costituito dai 131 di provenien-za tedesca, acquisiti dalla RegiaScuola Superiore di Agricoltura.Della raccolta complessiva fanno par-te sia tavole a colori descrittive dellamorfologia di alcuni taxa, sia pannellipiù propriamente didattici su soggettiquali la struttura dei tessuti vegetali eschemi biochimico-fisiologici, ma an-che illustrazioni riguardanti le diversepatologie vegetali. Le tavole sonoquasi tutte a colori, con disegni susfondo chiaro: nella maggior parte deicasi si tratta di raffigurazioni di speciefra le più rappresentative per ciascungenere. Di particolare effetto sono poile tavole a sfondo nero, su cui i parti-

Tavole didascaliche: Pimenta officinalis Berg. Tavole didascaliche: muffe della frutta.

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colari anatomici e i colori delle entitàrappresentate risaltano con ancoramaggiore evidenza e pregio.La parte più importante della colle-zione è costituita dai poster realizzatiin Germania e editi dalla “Paul PareyVerlagsbuchhandlung Hamburg undBerlin”, una delle maggiori casescientifiche tedesche, fondata nel1848 ed attualmente in piena attività.Si tratta di tavole interamente a colo-ri, dove le piante fiorite e i loro parti-colari si fondono a formare un insie-me di indubbio valore estetico ed ar-tistico. La serie comprende 85 tavolecon intestazione “A. Peter, Botani-sche Wandtafeln, Verlagsbuchhand-lung Paul Parey in Berlin S.W., Hede-mannstr” e 53 pannelli della serie“Botanische Wandtafeln, von L. Kny”,pubblicate nell’arco di tempo che vadal 1874 al 1911.Tra la fine dell’800 e i primi del ’900 sidiffuse ed affermò la figura delloscienziato-illustratore: il Museo con-serva infatti importanti pannelli realiz-zati da prestigiosi nomi della botani-ca internazionale del tempo. La seriepiù rappresentativa è quella realizza-

ta da Leopold Kny, autore, tra l’altro,di numerosi testi botanici, che spes-so riproducevano le miniature dellesue tavole di anatomia vegetale. Nel-la biblioteca storica Comes, di Leo-pold Kny sono conservati: “Über axil-larknospen zur vergleichenden Mor-phologie” (Berlino, 1873), “Wandta-feln fur den naturwissenschaftlichenunterricht” (Berlino, 1874), “Ueberdas Dickenwachstum des holzkoer-pers in seiner Abhaengigkeit vonaeusseren einfluessen” (Berlino,1882) e “Sonder - Abdruck aus denBerichten der Deutschen Botani-schen Gesellschaft” (Berlino, 1917). Edmond Bonnet e Gaston Bonniersono altre due importanti figure di bo-tanico-artista dell’epoca, dei quali ilMuseo conserva pannelli che ben at-testano la loro arte. Di Bonnier, oltrealle “Tableaux d’Historie Naturelle”sono custoditi, presso la Bibliotecastorica, anche i volumi “Le Monde Ve-getal” (Parigi, 1918) e “Les plantesdes champs et des bois” (Parigi,1887). Mentre il primo dei libri scrittida Bonnier riguarda una trattazionegenerale su tutto il mondo vegetale, il

secondo è una guida al riconosci-mento delle specie vegetali più co-muni della Francia.Tra gli altri pannelli, citiamo le 7 tavo-le su tela della prima metà del ’900,recanti l’intestazione “Schmeils bota-nische wandtafeln - nachder naturgezeichnet v. dr. H. Meierhofer - Zu-rich”, che riproducono particolarianatomici e tessuti vegetali.La raccolta comprende, anche, 3 ta-vole a cura del Prof. Oreste Mattirolo,raffiguranti le “Principali piante usatenelle industrie tessili”e le “Principalipiante produttrici di caoutchouk egutta-percha”, realizzate in tempi piùrecenti, fra il 1931 e il 1932, ma le cuipreziose illustrazioni sono acquerellidel quotato pittore Leonardo Roda.Chiude la collezione storica una seriedi 45 pannelli strettamente didattici,la quasi totalità dei quali è stata rea-lizzata a mano, in epoche più recenti(verso gli anni ’50), da alcuni tecnicidella Facoltà di Agraria; si va dalloschizzo stilizzato, puramente esem-plificativo, ai disegni più elaborati, acolori, di tessuti e strutture ana -tomiche.

Tavole tedesche di Kny: elementi morfologici e particolari dei meccanismi di catturadegli insetti nelle Droseraceæ.

Ritratto di Leopold Kny.

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92 I Musei delle Scienze Agrarie

Sezione Vetreria didattica

La collezione consta di circa 300esemplari rappresentativi delle diver-se strutture vegetali: foglie, fiori, frutti,radici e altre parti significative dipiante conservate sia a secco che informalina. Solo pochi campioni sonorappresentati da esemplari completi,dei quali la maggior parte sono fun-ghi. Circa i due terzi dei reperti sonoa secco, i restanti in liquido conser-vativo. La raccolta fu realizzata, nel corsodegli anni, per fornire un valido sup-porto alle lezioni di botanica, prestan-do una particolare attenzione allespecie di interesse agronomico.

Quasi la totalità dei campioni dellacollezione sono contenuti in barattolidi vetro a chiusura smerigliata, resiermetici aggiungendo grasso di sili-cone. Molti dei contenitori in vetro ri-sultano essere quelli originari e reca-no le antiche etichette, per altri fu ne-cessario, negli anni ’50, un interventodi sostituzione del contenitore.Molto ben rappresentato è il Regnodei Funghi, in maggioranza Basidio-miceti e Ascomiceti, con corpo frutti-fero cospicuo. I campioni sono im-mersi in soluzione conservativa, un ti-po di preparazione che ne permettedi apprezzare la macro-struttura.Trentuno di questi esemplari, tra cui ilfamigerato Boletus satanas Lenz, ap-

partengono alla raccolta Parisi, rea-lizzata nel 1969 nell’avellinese. Parti-colarmente interessanti i casi di fun-ghi parassiti, preparati insieme al loroospite: è il caso di Ustilago maydis(DC) Corda, su pannocchia di Zeamays L.Sono presenti, inoltre, campioni utiliz-zati per illustrare il fenomeno delleassociazioni di organismi simbionti,come ad esempio le radici di Cycasin cui cresce e si sviluppa un’alga az-zurra azotofissatrice (Nostoc). Altroesempio di alghe unicellulari è rap-presentato dalla farina fossile calci-nata, un materiale a grana fine, di co-lore bianco, che si origina dai guscisilicei delle Diatomee.

Tavole tedesche di Peter: anatomia del fiore di tre esemplari particolarmente significativi di Iridaceae.

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Il Museo Botanico “Orazio Comes” 93

Un suggestivo fiore di Tulipa sp.

Alcuni esemplari della collezione “Vetreria didattica”.

Fiori di Mesembrianthemum sp. Un fiore di Citrus sp. perfettamente con-servato.

Un altro reperto particolare dal pun-to di vista didattico è costituito daalcune egagropile, ammassi sfericidelle fibre vegetali delle foglie diPosidonia oceanica (L.) Delile. Lepraterie di posidonia hanno un ruo-lo fondamentale nell’ecosistemamarino: tra l’altro riducono la forzadel moto ondoso e creano una bar-riera naturale all’erosione dellespiagge.

Nella collezione è presente inoltre unesemplare completo di Drosera ro-tundifolia L., pianta carnivora, dotatadi peli che secernono una sostanzavischiosa. Sul reperto è ancora visibi-le un piccolo insetto, catturato pocoprima della raccolta della pianta.Particolarmente suggestive risultanole piante erbacee a fiore, immerse insoluzione conservativa; questo tipo ditrattamento è poco usato per le pian-

te superiori, per le quali si preferiscedi norma l’essiccazione e la conserva-zione in erbario. I liquidi fissatori qualiformalina o alcool hanno lo svantag-gio di sostituire l’acqua presente neitessuti e di dissolverne i colori origina-li, ma ne preservano la forma vegeta-tiva. L’effetto che ne risulta è quello diesemplari che conservano la strutturaoriginale, come appena raccolti, madiafani, sospesi in soluzione.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri”

Autore

Antonio Pietro Garonna

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Nella pagina precedente, immagini delle collezioni del Museo di Entomologia “Filippo Silvestri”.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 99

Il Museo di Entomologia “Filippo Sil-vestri”, ospitato nei locali del Diparti-mento di Entomologia e ZoologiaAgraria (DEZA) dell’Università degliStudi di Napoli “Federico II”, nel corsodel 2004 è stato intitolato all’insignestudioso che più di ogni altro ha pro-mosso la costituzione delle grandiraccolte entomologiche attualmenteconservate a Portici. Il Museo racco-glie collezioni d’insetti e di altro mate-riale zoologico costituite a partire dal1876, allorquando Achille Costa(1823-1898), ordinario di Zoologiadell’Università degli Studi di Napoli, fuchiamato a svolgere il corso di Ento-mologia Agraria presso l’allora ScuolaSuperiore di Agricoltura. Sotto la dire-zione di Antonio Berlese (1863-1927),primo professore italiano di Zoologiagenerale e agraria e che nel 1890 ri-coprì a Portici la prima cattedra di En-tomologia, tali collezioni furono arric-chite non solo d’insetti, ma anche diacari, dei quali egli è stato un insignestudioso allestendo una interessanteraccolta di un migliaio di preparati mi-croscopici riferibili a svariate famiglie.Nel 1889 in uno dei locali del “Gabi-netto di Zoologia”, fu sistemata unapiccola collezione costituita da 90

cassette entomologiche contenentimateriale raccolto nel Parco Gusso-ne, annesso al Palazzo Reale, e neisuoi immediati dintorni. All’ultimo de-cennio del XIX secolo viene fatto risa-lire anche il nucleo di quello che di-venterà la collezione ornitologica.Le collezioni si arricchirono enorme-mente con l’arrivo a Portici, nel 1904,di Filippo Silvestri (1873-1949). Gran-de esploratore naturalista, oltre cheentomologo agrario di professione,Silvestri raccolse personalmente ma-teriale nel corso dei numerosi e talvol-ta avventurosi “viaggi scientifici”, det-tagliatamente descritti nei suoi “Ricor-di e itinerari scientifici” pubblicato po-stumo (Silvestri, 1959). Egli, inoltre,per quasi un cinquantennio ricevetteper studio materiale scientifico, so-prattutto Insetti e Miriapodi, da specia-listi di tutto il mondo. Coadiuvato daisuoi numerosi allievi e tecnici, diedegrande impulso alla raccolta di insettiinfeudati su piante d’importanza agra-ria, nonché sulla flora mediterranea. Nei decenni successivi le raccoltesono state arricchite soprattutto conmateriale di interesse agrario (insettidannosi alle colture, insieme al com-plesso dei loro nemici naturali) o

scientifico, acquistato o ricevuto indonazione da entomologi specialistie amatoriali. Gradualmente le diffe-renti collezioni sono state risistematein tre sale, che allo stato attuale van-no a formare lo spazio museale.Da pochi anni il Museo di Entomolo-gia Filippo Silvestri è entrato a farparte del Sistema Museale di Ateneo. Le collezioni di prestigio che il MuseoSilvestri ospita sono essenzialmentequelle entomologiche, di notevole va-lore scientifico, alle quali accedonostudiosi di tutto il mondo, con richie-ste di prestiti degli esemplari origina-li o tipici (cioè quelli sui quali sonodescritte nuove entità (specie, gene-ri, famiglie, ordini, ecc.) oppure consoggiorni di studio in loco concorda-ti. Tali raccolte, per la loro importanzascientifica e gli ovvi motivi legati allaloro preservazione non sono esposteal pubblico. Altri gruppi animali sonoconservati in piccole e significativecollezioni zoologiche.Negli ultimi anni, in rapporto ad unaattività aperta maggiormente all’a-spetto didattico, sono state allestitenuove collezioni ostensive su temati-che attuali di indubbio interesse per ilvisitatore.

Storia e descrizione

Laboratorio di Zoologia: la sala studio del Direttore. Da Il Regio Istituto SuperioreAgrario in Portici, 1872-1928.

Sala d’ingresso del Museo di Entomolo-gia “Filippo Silvestri”.

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100 I Musei delle Scienze Agrarie

Filippo Silvestri

Filippo Silvestri, nato a Bevagna nel 1876 e morto a Portici nel 1949, è considerato uno dei massimi Mae-stri dell’Entomologia italiana del secolo scorso. Appassionato di scienze naturali già dagli anni del ginna-sio e del liceo, frequentò contemporaneamente anche l’Istituto di Botanica e Zoologia dell’Università di Pe-rugia.

Si iscrisse poi all’Università di Roma nel 1892 intraprendendola raccolta e lo studio dei Miriapodi. Nel 1893 si trasferì all’U-niversità di Genova appoggiandosi al Museo Civico di StoriaNaturale oggi intitolato a Giacomo Doria. Completò gli studiuniversitari a Palermo discutendo, nel 1896, una tesi sull’em-briologia dei Miriapodi. In quello stesso anno divenne assi-stente di Giovanni Battista Grassi (1854-1925) presso l’Istitutodi Anatomia Comparata di Roma. Nel gennaio del 1902 entròcome praticante nel Laboratorio di Entomologia agraria diPortici, a quel tempo diretto da Antonio Berlese, e da allora, fi-no alla fine, prima come Professore di Zoologia Generale edAgraria, e poi di Entomologia Agraria, restò in questa sede,divenendo una delle figure di maggior rilievo dell’entomologiamondiale.

Grazie al suo incessante impegno le collezioni entomologichedel Laboratorio si arricchirono sensibilmente e non solo negliordini oggetto dei suoi studi, ma in tutti i gruppi di importanzaagraria. Le raccolte che ha lasciato di Dipluri, Tisanuri, Termi-ti e Strepsitteri, sono tra le più importanti al mondo. Descrissegli ordini dei Proturi e degli Zoratteri e illustrò decine di nuovefamiglie e generi. Il nucleo principale delle collezioni custodi-te nel Museo di Entomologia, da poco intitolato al Maestro, èrappresentato dalla raccolta dei Tipi (esemplari originali utiliz-zati per descrivere le nuove specie) conservati a secco, in al-cool o in preparati microscopici: questa comprende il mate-riale originale relativo a circa 900 delle oltre duemila speciedescritte da Silvestri in oltre mezzo secolo di fervente attività,come evidenziato dalla revisione di Viggiani (1973).

La sua opera scientifica è documentata da oltre 470 pubbli-cazioni non solo di sistematica, ma anche di anatomia, em-briologia, biologia pura ed applicata, di lotta biologica. Fu unodei maggiori specialisti del mondo nel controllo biologico del-le specie nocive tramite gli insetti entomofagi. Fondò il “Bol-lettino del Laboratorio di Entomologia Agraria”, tuttora attivo,scrisse un vasto trattato di Entomologia applicata (1934-1951)ed indicò uno stile di ricerca monografico su singole speciedannose (vedi scheda). Accademico d’Italia, la sua carriera ècostellata da prestigiosi riconoscimenti ufficiali avuti dallemaggiori Università italiane e straniere.

Filippo Silvestri (1873-1949), entomolo-go e naturalista di fama mondiale.

F. Silvestri in Cina nel 1924, con ungruppo di aiutanti raccoglitori di insetti.

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Collezioni scientifiche

Costituisce il nucleo fondante dellecollezioni museali presenti. Progressi-vamente ingranditasi in oltre un seco-lo di raccolte sul campo e anche at-traverso scambi con altre Istituzionipresenti nei 5 continenti, in essa vi so-no ampiamente rappresentati insettidi tutti gli ordini. La maggior parte delmateriale conservato risale al periodo

di permanenza a Portici di Silvestri edei suoi allievi (1904-1948). I reperticonservati consentono un’ampia pa-noramica sull’intera classe degli In-setti. I grandi ordini sono rappresen-tati da cospicue raccolte di RincotiOmotteri (afidi, psille e cocciniglie),da collezioni tematiche come la rac-colta dei Lepidotteri della Campaniadi Alfredo Buonocore (1872-1946),con oltre 18000 esemplari riconduci-

bili a ca. 2300 specie raccolti tra il1886-1904; da numerose cassette diColeotteri determinati che portano eti-chette e cartellini scritti di suo pugnoda Guido Grandi (1886-1970), duran-te la sua permanenza a Portici fino al1923; dalla pregevole raccolta di Or-totteri (168 cassette) di GiuseppeJannone (1907-1971) costituita, es-senzialmente, da reperti italiani e inparte provenienti dalle ex-colonie ita-

Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 101

Collezione entomologica

Particolare della “cassetta Costa”. Contiene i primi reperti diquella che diventerà la futura collezione entomologica del Mu-seo. Gli esemplari facevano parte della “suppellettile scientifi-ca” allestita a supporto dell’insegnamento di entomologia con-ferito ad Achille Costa presso la Reale Scuola Superiore diAgricoltura nel 1876.

Esemplare di specie tropicale di Coleottero Buprestidae dellacassetta Costa.

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liane (Rodi, Libia, Etiopia ed Eritrea).L’importanza dei vari ordini conserva-ti non è collegata solo ad un mero da-to numerico. La presenza di pochirappresentanti e soprattutto degliesemplari originali di Zoraptera e Pro-tura, i due ordini d’insetti descritti dalSilvestri (attualmente il secondo ele-vato a rango di classe), o di Strepsip-tera, ha un tale rilievo scientifico danon temere confronti con raccolte benpiù numerose, ma forse meno presti-giose, conservate nel Museo.Accanto a raccolte specialistiche vi èuna parte non trascurabile di repertigenerici collezionati nel tempo chesono sistemati secondo tre criteri: tas-sonomico, geografico e agrario. Que-st’ultimo aspetto molto caro a Silvestriè ben evidenziato dalla presenza diuna serie di cassette biologiche in cuiè conservata parte della biocenosi dicui ogni specie dannosa fa parte (ilmateriale vegetale danneggiato, il fi-tofago e i suoi nemici naturali). I con-tributi dei decenni successivi, a parti-re dal 1950, sono stati indirizzati perlo più nell’ampliare la raccolta di spe-cie dannose in agricoltura, in foresta,in ambiente urbano e dei loro nemici

naturali, con notevole impulso nellostudio biologico e tassonomico degliImenotteri entomofagi. Il riordino e la catalogazione del ma-teriale è stato portato avanti dal per-sonale e dai docenti del DEZA che sisono avvicendati nel tempo, con l’in-tegrazione di preziosi contributi dispecialisti italiani e stranieri. Molto ri-mane da fare per quanto riguarda lacatalogazione informatizzata alloscopo di realizzare un data-base delmateriale museale in toto. Allo statoattuale sono oltre 2500 le cassetteentomologiche che raccolgono inset-ti nello stadio adulto e in quelli giova-nili. Moltissimi reperti sono ancheconservati (a secco o in alcool) inprovette di varie dimensioni sistema-te in oltre 2000 barattoli di vetro oltrea migliaia di fogli di erbario e prepa-rati microscopici. Di seguito si ripor-tano i dettagli delle raccolte più signi-ficative.

Apterigoti primitivi

Questa importante raccolta è dovutaal Silvestri, infaticabile studioso della

artropodofauna del suolo. Il Museoattualmente conserva la parte mino-re, riguardante esclusivamente gli in-setti atteri primitivi, di una più vastaraccolta costituita soprattutto da Mi-riapodi, che sono stati donati di re-cente al Museo Civico di Storia Natu-rale “G. Doria” di Genova, dando se-guito alla volontà espressa in vita dal-l’illustre naturalista. La sezione è stata costituita a partiredai reperti raccolti in tutto il mondo epoi studiati personalmente dal gran-de entomologo. Si tratta di svariatecentinaia di specie di tutte le areezoogeografiche, conservati in circa300 contenitori di vetro. Essa com-prende, inoltre, circa 2000 preparatimicroscopici allestiti dal Silvestri. Èda sottolineare che sono conservatiin questa sezione del Museo ben 549dei 722 esemplari tipici, in base aiquali Silvestri definì e descrisse lenuove specie, così suddivisi per ordi-ne: Proturi (5), Dipluri (337), Collem-boli (4) e Tisanuri (203). La raccolta è tuttora perfettamenteconservata nei vasi originali e con leetichette, anch’esse originali, benleggibili e complete di tutti i dati. Non

102 I Musei delle Scienze Agrarie

Reperti della ricca collezione di Termiti personalmente raccolti da Silvestri duranteviaggi esplorativi. Nel secondo contenitore regine di specie sudafricana del genereBellicositermes.

Il materiale tipico dei 2 ordini di insettidescritti da F. Silvestri è conservato nelMuseo a lui intitolato.

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è ancora disponibile un catalogocompleto di tutto il materiale conser-vato.

Raccolta delle Termiti

Questa ragguardevole sezione è sta-ta allestita a partire dal 1900 da Filip-po Silvestri di ritorno dal suo primoviaggio esplorativo nel continente su-damericano. Consistentemente am-pliata con il materiale raccolto nelcorso di spedizioni in Africa Occiden-tale (1912-13), Eritrea (1914), Libia(1922), Estremo Oriente (1924-25),America Centrale (1928-1930) e Me-ridionale (1936-1937). La collezionecomprende ben 261 barattoli di vetrooltre ad un migliaio di preparati mi-croscopici ed è costituita da 884 spe-cie, tra cui 168 tipi, rappresentative di107 generi (Russo, 1965). Essa è an-cora oggi considerata di eccezionalevalore dagli specialisti del gruppo efrequenti sono le richieste di poteresaminare il materiale tipico conser-vato. Inoltre, nel corso di quest’attivi-tà intensa Silvestri scoprì e descrissenumerose specie di insetti apparte-

nenti a svariati ordini adattati a viverenei termitai, denominati termitofili, an-ch’essi presenti in collezione. Anche questa raccolta è in buonostato di conservazione, con etichettee dati leggibili. È disponibile un in-ventario cartaceo del materiale pre-servato.

Collezione delle Cocciniglie

Questo importante gruppo di insettifitomizi è tra quelli meglio rappresen-tati nelle collezioni del Museo. Ogget-to di studi approfonditi a partire dal-l’ultimo decennio del XIX secolo, lacollezione crebbe attraverso gliscambi di materiale tipico con emi-nenti studiosi di tutto il mondo (tra glialtri meritano di essere citati i cocci-dologi americani J. H. Comstock, G.F. Ferris e T.D.A. Cockerell, gli inglesiE. E. Green e R. Newstead, gli au-straliani W. W. Froggatt e W. M. Ma-skell e i nipponici I. Kuwana e T. Ta-chikawa), che ebbero come riferi-menti a Portici prima il Berlese, poiGustavo Leonardi (1869-1918) e lostesso Silvestri. Questi raccolse di

persona abbondante materiale vege-tale infestato da cocciniglie durante isuoi viaggi esplorativi in Italia e all’e-stero incrementando notevolmente laconsistenza della collezione, una del-le più importanti del Museo e unica inItalia. La vasta raccolta comprende oltre6000 campioni di ca. un migliaio dispecie determinate conservate in va-rio modo: a secco in bustine di cartaincollate su ben 1100 fogli da erbarioriuniti in 30 cartelle; a secco in busti-ne o in provette conservate in grossicontenitori di cartone o di legno perun totale di 68 scatole. Una cospicuaparte della collezione si trova siste-mata in alcool o formalina in un cen-tinaio di barattoli di vetro di varie di-mensioni contenente ciascuno 10-20provette. Centinaia di esemplari so-no conservati come preparati micro-scopici raccolti nelle istoteche. Unaparte consistente dei reperti dellacollezione risulta ancora da determi-nare.Il materiale conservato a secco nellecartelle dell’erbario accusa i segnidel tempo (presenza di muffe e dipolvere). Inoltre non tutti i campioni

Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 103

La raccolta di cocciniglie è in gran parte conservata a secco, in fogli da erbario o anche in provette custodite in scatole di le-gno. A sinistra una cartella della “Chermoteca italica”, opera di A. Berlese e G. Leonardi (1895); a destra una minima parte delmateriale raccolto da F. Silvestri nel corso del suo viaggio lungo i Paesi costieri dell’Africa occidentale nel 1913.

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sono stati suddivisi per area di prove-nienza e/o pianta ospite. Esiste un in-ventario cartaceo parziale realizzatotra il 1984 e 1986.

Collezione degli Imenotteri

Questo ordine d’insetti è tra i più rap-presentati nelle collezioni del Museo.I gruppi più numerosi sono quelli de-gli Imenotteri parassitoidi (Calcidoi-dei e Icneumonoidei), degli Apoidei edei Formicoidei. La variegata raccol-ta degli Apoidei (71 cassette) è statarevisionata da Rosa Priore con la ca-talogazione di 51 generi appartenen-ti ad 8 famiglie (Priore, 1977-1998).Di particolare interesse è la collezio-ne dei Calcidoidei costituita inizial-mente dal Silvestri e dal suo allievo

Luigi Masi (1879-1961). Essa com-prende varie centinaia di specie, trale quali numerose quelle studiate eimpiegate nella lotta biologica agli in-setti dannosi alle piante coltivate, me-todo di lotta del quale Filippo Silvestriè stato antesignano e autorità mon-diale. La raccolta nell’ultimo quaran-tennio è stata arricchita dal materialestudiato e identificato da GennaroViggiani, che ha contribuito, con isuoi lavori di sistematica, biologia elotta agli insetti delle colture mediter-ranee, a dimostrare l’utilità dell’impie-go di questi minuscoli parassitoidi.Fra i reperti collezionati, compren-dente varie decine di tipi di specie egeneri nuovi di Imenotteri entomofa-gi, spiccano gli Afelinidi, i Mimaridi ei Tricogrammatidi. In questi gruppid’insetti utili vi sono comprese le spe-

cie più piccole conosciute (alcune“grandi” solo 0,2 mm), straordinarieper le forme e i comportamenti. Lo stato di conservazione è buono e idati di raccolta completi. Una siste-mazione più organica di tutto il mate-riale disponibile sarebbe auspicabile.Attualmente il materiale risulta catalo-gato solo parzialmente.

Cecidoteca e l’erbariodelle mine fogliari

È la collezione di malformazioni a ca-rico di tessuti ed organi di piante,evidenziate sotto forma di escre-scenze o tumori, comunemente chia-mate galle o cecidi. Sono il risultatodella reazione dei vegetali all’inse-diamento di alcuni insetti ed acari

104 I Musei delle Scienze Agrarie

Cassetta entomologica della raccolta di Apoidei revisionati daR. Priore tra il 1977 e il 1998.

Insetti impollinatori del genere Bombus Latreille.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 105

In figura reperto della collezione Ricchello. La lunga mina serpentina in ampia parte del tessuto fogliare ben evidenzia le capaci-tà di scavo sviluppate da alcuni insetti.

Cartella della cecidoteca italica di Gia-como Cecconi (1866-1941), nutrita rac-colta con 575 fogli da erbario.

Altro campione della ricca collezioneRicchello.

I quadretti della raccolta di mine fogliari:reperti montati in doppio vetro con di-mensioni 10x13 cm.

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cecidogeni (insetti fitomizi, ditteri ce-cidomidi, imenotteri cinipidi ed acarieriofidi). Trattasi di circa 4000 cam-pioni, in gran parte risalenti al perio-do di massimo fermento degli studicecidologici (1890-1930), caratteriz-zati in Italia dalla presenza di una fi-gura di spicco come AlessandroTrotter (1874-1967). Essi sono con-servati in cartelle da erbario, sottovetro, in cassette biologiche e tema-tiche, tra cui si ricordano le 9 cartel-le costituenti la “Cecidoteca italica”di Giacomo Cecconi (1866-1941),formata da 575 fogli da erbario, rac-colti nel periodo 1898-1916, oltre adue specifiche raccolte denominaterispettivamente Schmidt e Mayer.Ogni campione vegetale è contras-segnato con il nome dell’organismoresponsabile delle malformazioni in-dividuabili.Un altro caratteristico adattamentomanifestato dagli Insetti, la capacitàdi scavare gallerie nei tessuti fogliari,trova riscontro nel materiale della ric-ca collezione delle mine fogliari. Mol-teplici sono le forme delle gallerie inquestione (allungata, circonvoluta, achiazza, rotondeggiante, ecc.) e so-

no visibili su piante appartenenti allepiù svariate famiglie. A tale riguardoè doveroso ricordare l’interessanteraccolta (440 mine) acquisita dal no-to specialista tedesco Erich MartinHering (1893-1967) e l’intensa attività(1925-1949) di Antonio Ricchello cheha portato alla formazione di unagrande raccolta di 3236 fogli da er-bario in 71 cartelle e 492 mine mon-tate in doppio vetro (a guisa di picco-li quadretti di 10x13 cm) e sistematein 103 scatole. Nel complesso il materiale è in buonostato, sia quello conservato in erbariche quello in doppio vetro. Un inven-tario cartaceo completo risulta dispo-nibile.

Raccolta di Insetti dannosi allepiante e loro nemici naturali

Si tratta di un’interessante raccolta,ordinata in diverse decine di casset-te, che può essere considerata spec-chio delle attività di ricerca in ento-mologia agraria svolte a Portici peroltre un secolo. Tale “collezione biolo-gica”, come l’amava definire Silvestri,

è stata costituita con l’intento di evi-denziare le interrelazioni esistenti trale specie nocive delle colture agrico-le ed i loro nemici naturali. Infatti, permolte specie di insetti di importanzaeconomica, sono rappresentati i di-versi stadi di sviluppo, a partire dal-l’uovo, i relativi tipi di danno procura-ti alle piante ed il variegato comples-so dei nemici naturali. Silvestri usòanche criteri diversi, ad esempio rag-gruppando diverse specie d’insettirinvenute su una pianta coltivata oper gruppo sistematico. Furono cosìorganizzate biocenosi quasi comple-te per 88 specie fitofaghe (Silvestri,1928). La collezione fu ampliata nelcinquantennio successivo, occupan-do attualmente 6 armadi in legno con94 cassette strettamente biologiche e34 con gli altri criteri di raggruppa-mento citati.Purtroppo lo stato di conservazionedi questa raccolta non è ottimale.Vecchi attacchi di coleotteri antrenidihanno drasticamente diminuito inqualche caso le serie di insetti cheerano stati raccolti. Di questa sezioneesiste un elenco parziale del materia-le conservato.

106 I Musei delle Scienze Agrarie

La “cassetta biologica” del baco delle mele (Cydia pomonella L.) allestita all’inizio del secolo scorso. In evidenza i bozzolettilarvali.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 107

Studi monografici

Uno schema di lavoro ha caratterizzato la ricerca entomologica, e non solo a Portici, per più di un cin-quantennio: quello delle monografie. Nell’ottica di Silvestri lo studio di un insetto nocivo doveva essereaffrontato nella sua globalità. L’esame minuzioso dei caratteri morfologici di tutti gli stadi di sviluppo diuna specie venne, in molti casi, completata con indagini anatomo-istologiche. I rilievi biologici di camposi estendevano sulla durata di più generazioni, mettendo in evidenza le possibili interazioni con i vege-tali ospiti e gli altri organismi animali presenti. Fra questi ultimi diventavano oggetto d’indagini approfon-dite le specie entomofaghe predatrici e parassitoidi. Al termine di questa notevole mole di lavoro più chesemplici articoli scientifici vennero realizzate complesse monografie.

Questo modo di affrontare lo studio scientifico di un insetto fu imposto da Silvestri ai suoi numerosi allie-vi diventando, in pratica, una vera e propria scuola di formazione alla ricerca e di selezione.

La pubblicazione di uno studio morfo-biologico sulla tignola dell’olivo Prays oleae (Silvestri, 1907) puòessere considerato il punto di partenza di tale approccio alla ricerca. Seguirono numerosi lavori che esa-minarono in dettaglio decine di specie d’importanza agraria completati dagli allievi che via via si forma-rono a Portici. Il riflesso di questa lunga attività scientifica sulle collezioni d’insetti tutt’ora presenti nel Mu-seo è visibile nella serie delle cassette biologiche.

Tra i primi lavori monografici da citare vi è quello complesso sulla blastofaga del fico di Guido Grandi(1919). Le corpose monografie di Russo (1939a; 1939b) sul coleottero scolitide dell’olivo Phloeothribusscarabaeoides (2 parti e ben 675 pagine), quella di Jannone (1940) sulla cavalletta Dociostaurus maroc-canus (di 440 pagine), il lavoro di Vincenzo Lupo sul coleottero Anomala ausonia (1947) e quello di Do-menico Roberti (1946) sull’afide Aphis frangulae, furono pubblicate sul nuovo Bollettino del Laboratorio diEntomologia agraria, che nel 1938 subentrò al precedente Bollettino di Zoologia generale e agraria, en-trambe riviste edite dall’allora Istituto di Entomologia agraria. Tra le ultime monografie realizzate degne dinota sono quelle sui coleotteri Necrobia rufipes (Tremblay, 1958) e Rodolia cardinalis (Priore, 1963 e 1967).

Variabilità cromatica in Rodolia cardinalis (da Priore). Disegni del capo del Fleotribo dell’olivo (da Russo).

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108 I Musei delle Scienze Agrarie

Nel Museo si trovano numerose cas-sette entomologiche organizzate conlo scopo di poter illustrare svariati te-mi riguardanti la vita degli artropodi edegli insetti in particolare e le loro re-lazioni antropiche. Questa raccoltava a costituire il nucleo centrale delleinformazioni che vengono fornite allescolaresche in visita presso la struttu-ra museale. In tale contesto gli insettisono esposti secondo un percorsoche illustra, ad esempio, le relazionidi parentela con le altre classi delphylum degli artropodi, la loro storiaevolutiva (rappresentative le cassettedenominate: “gli ordini”, “i giganti”,“le larve”), per arrivare alle interazionicon l’uomo e le sue attività (rappre-sentate da altre cassette denominate:

“gli insetti di città”, “gli insetti nel dia-letto napoletano”, “il baco da seta”, “iprodotti dell’ape”, nonché dai vari si-stemi di cattura degli insetti nocivi piùdiffusi in agricoltura). Molte di questecassette tematiche sono state realiz-zate con non comune perizia da Bru-no Espinosa, attuale curatore dellecollezioni.

Collezione degli Insetti esotici

La collezione è stata acquistata nelcorso dell’ultimo decennio. La raccol-ta, evidentemente acquisita con in-tenti didattici, risulta esposta negli ar-madi della prima sala dedicata allecollezioni del Museo. Si tratta di una

piccola, ma interessante esposizionedi stupefacenti esemplari della faunatropicale, appartenenti a vari ordini diInsetti. Riunisce specie vistose percolorazioni, dimensioni e architetturacorporea che riescono a sorprenderesia il visitatore occasionale che losguardo più esperto. È costituita daca. 600 esemplari conservati a seccoin 32 cassette entomologiche delladimensione di 30x50 cm. Ciascunaspecie è identificata da un cartellinoche contiene anche i dati riguardantila provenienza. Si ricordano le se-guenti specie: tra i coleotteri gli enor-mi Goliathus e Chalcosoma; tra i lepi-dotteri gli splendidi Nymphalidae ePapilionidae; tra gli emitteri le grandie variopinte cicale tropicali.

Collezioni didattiche

Nomi dialettali d’uso comune attribuiti ad alcuni insetti d’impor-tanza agraria.

Fenomeni di gigantismo in insetti tropicali che non mancano diimpressionare i visitatori.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 109

Espositore realizzato ad arte dall’attuale curatore B. Espinosa per un'efficace ostensione di coleotteri esotici.

Un campione variopinto delle numerose specie di farfalle esotiche.

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110 I Musei delle Scienze Agrarie

In figura particolari delle ali di Ninfalidi e Papilionidi, rispettivamente Agryas amydon, Parnassius thianshanicus e Preponademodon. Come per le ali della maggior parte dei Lepidotteri, esse sono ricoperte da minuscole scaglie colorate che con-corrono a formare i tipici disegni alari delle varie specie, a volte tenui, altre sgargianti. Inoltre, fenomeni fisici possono con-ferire lucentezza metallica ad alcune farfalle i cui colori variano d’intensità e di sfumatura a seconda dell’angolo di osserva-zione.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 111

Particolari della interessante raccolta di Coleotteri esotici (Batocerini, Goliathini, Dynastini, Lucanidi) alcuni dotati di imponentiappendici e altre vistose strutture cefaliche, che sono tipiche e presenti solo sul maschio (dimorfismo sessuale).

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Materiale didattico storico

Ne fanno parte oltre 400 tavole (di-mensioni medie 80x120 cm), di gran-de valore didattico, per lo più esegui-te a mano durante i primi decenni delsecolo scorso. Di questa importanteeredità, sviluppata a partire proprioda Achille Costa, hanno fruito gene-razioni di studenti impegnati nellostudio dell’entomologia. Sono con-

servate nel Museo anche molte lastreper camera lucida utilizzate da Gras-si prima e Silvestri poi durante le le-zioni di zoologia.Anche gli “strumenti” dell’entomologohanno trovato un piccolo spazioespositivo nel Museo. È così possibi-le osservare interessanti microscopirisalenti alla seconda metà del seco-lo XIX dotati di rudimentali ma effica-ci sistemi di illuminazione e delle pri-

me camere lucide (con accanto i di-segni originali realizzati tramite lestesse), arcaiche macchine fotografi-che a soffietto equipaggiate con si-stemi per macro e micro fotografie,microtomi per gli studi istologici al mi-croscopio ottico, una serie di trappo-le per insetti, retini per la cattura di in-setti volatori, le minuterie per la dis-sezione e la preparazione a secco osu vetrino degli esemplari.

112 I Musei delle Scienze Agrarie

Insetti tropicali raccolti da E. Tremblay inSomalia durante un soggiorno di studionel 1986.

Tavola didattica utilizzata da A. Costa durante le lezioni svolte presso la Reale Scuo-la Superiore di Agricoltura. Raffigura il ciclo della tignola dell’olivo.

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Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 113

Tavola didattica illustrante il ciclo di un piccolo imenottero (Encarsia berlesei) utilizzato con successo nel controllo biologico del-la pericolosa cocciniglia bianca del gelso e del pesco in Italia agli inizi del XX secolo. Le modalità con cui impostare la lotta allaspecie nociva furono occasione di un aspro confronto scientifico tra Antonio Berlese e Filippo Silvestri. Il primo fautore dell’impie-go unicamente del supposto migliore antagonista (l’“endofago speciale” del Berlese) di una specie nociva. Il secondo favorevoleall’introduzione di tutte le specie entomofaghe note di un insetto dannoso, per massimizzare il grado di controllo biologico nell’in-tero areale di distribuzione.

Lastre per camera lucida utilizzate in passato da G.B. Grassi (1854-1925) e F. Silvestri per illustrare il ciclo della malaria. Le la-stre raffigurano nell’ordine la larva e l’adulto della zanzara Anopheles diffusa in Italia fino agli inizi degli anni ’50 del secolo scor-so. La terza lastra rappresenta una fase del ciclo vitale del Plasmodio della malaria.

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Collezione zoologica

Ulteriori raccolte ospitate nei localidel Museo riguardano altri gruppianimali tra cui vertebrati (Mammiferi,Uccelli, Rettili, Anfibi) e una vastarap presentanza della fauna marina(Pesci, Molluschi, Crostacei, Echino-dermi ed altri invertebrati) del golfo diNapoli. Indagini sul materiale zoolo-gico del museo sono state condottein passato da Scaramella et al.

(1985). Una ampia panoramica suireperti presenti in collezione si puòtrovare in Tremblay et al. (2005).La collezione zoologica ha un dis-creto numero di rappresentanti perciascuna delle classi dei Vertebrati,ma è soprattutto ricca di uccelli, dipesci e secondariamente di mammi-feri che concorrono in modo rilevan-te alla componente ostensiva delMuseo. I mammiferi sono rappresen-tati specialmente da roditori dannosi

in agricoltura, appartenenti ai generiApodemus, Mus, Rattus, Glis, Eliom-yis, Pitymys, Arvicola, oltre a qual-che altro reperto tipico della faunaitaliana quale l’istrice (Hystrix crista-ta L.), il tasso (Meles meles L.) e lavolpe (Vulpes vulpes L.). Insettivori(riccio, talpa e toporagno) e Lago-morfi completano questa piccolaraccolta didattica ostensiva bencon servata.

114 I Musei delle Scienze Agrarie

Tra i reperti della collezione ostensiva si evidenziano reperti tassidermizzati di piccoli mammiferi, tra i quali il riccio e scheletri divertebrati (come la talpa e il surmolotto) sistemati ad arte.

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Collezione ornitologica

La collezione ornitologica è costituitada esemplari preparati da valentitassidermisti del passato. La raccol-ta è iniziata nel 1889 con l’arrivo aPortici del Berlese, noto anche per lasua grande passione venatoria. Laraccolta venne incrementata nei de-cenni successivi con acquisti e do-nazioni, per raggiungere attualmentegli oltre 400 esemplari tassidermiz-

zati appartenenti a 268 specie sud-divise in 53 famiglie. Attualmente lacollezione si trova esposta in 10 ve-trine. Di essa collezione va sottoli-neata sia la consistenza che l’impor-tanza in riferimento al complessodell’avifauna italiana e anche per lapresenza di esemplari di speciescomparse o in via di estinzione(Scaramella & Russo, 1976). Tra gliesemplari di maggiore interesse sto-rico o scientifico si ricordano: Egret-

ta alba alba (L.), Airone bianco mag-giore; Cygnus cygnus (L.), Cignoselvatico; Anser fabalis fabalis La-tham, Oca granaiola; Gyps fulvus ful-vus (Hablizl), Grifone; Bubo bubobubo (L.), Gufo reale; Syrrhaptesparadoxus (Pallas), Sirratte; Rissa tri-dactyla (L.), Gabbiano tridattilo. Nonostante le difficoltà la collezioneè tra le meglio conservate sia per lacollocazione che per la manuten-zione.

Il Museo di Entomologia “Filippo Silvestri” 115

I reperti della collezione ornitologica offrono un’ampia panoramica dell’avifauna italiana della prima metà del Novecento inclusespecie ormai assenti dal territorio nazionale.

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Collezione “Fauna marinadel Golfo di Napoli”

Questa collezione comprende 378barattoli di vetro di diverse dimensio-ni alcuni anche molto grandi, conte-nenti materiale che interessa per lagran parte animali del Golfo di Napo-li conservato in formalina e/o alcool.Questa raccolta è stata organizzata ecurata in modo particolare da ArturoPalombi durante il lungo periodo nelquale lo studioso ha tenuto l’incarico

di Zoologia Generale presso la Facol-tà di Agraria dal 1936 al 1969. Si tratta di una numerosa raccolta diesemplari appartenenti a vari phylaanimali, quindi non solo di Pesci, maanche di Poriferi, Celenterati, Crosta-cei e Molluschi Cefalopodi e Bivalvi.Essa gode di una sua organicità chela rende interessante ai fini di un’o-stensione museale. Da ricordare lapresenza in collezione di esemplaridi torpedine (Torpedo ocellata), ver-desca (Prionace glauca), lampreda

di mare (Petromyzon marinus), pesceserra, (Pomatomus saltatrix), scorfa-no (Scorpaena scrofa), pesce SanPietro (Zeus faber), bavosa (Blenniusgattorugine), tanuta (Spondyliosomacantharus), corvina (Sciaena umbra),pesce spada (Xiphias gladus), diver-si esemplari di Pinna nobilis.Nonostante i reperti siano in partescoloriti, lo stato di conservazione diquesta raccolta è discreto.

116 I Musei delle Scienze Agrarie

Un reperto (Palinurus sp.) della raccolta di Fauna marina preparato ad arte e collocato con la sua teca nella sezione ostensivadel Museo.

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola”

Autori

Paola Adamo, Alessandro Bernardi, Angela Mormone

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Nella pagina precedente, immagini delle collezioni del Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola”.

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Il Museo di Mineralogia “AntonioParascandola” custodisce minerali,rocce, marmi, fossili, materiali didatti-ci, strumenti mineralogici, testi e trat-tati d’interesse scientifico e di grandevalore storico. In particolare, conser-va modelli per lo studio della cristal-lografia, minerali diversi della colle-zione sistematica, minerali e roccedella raccolta vesuviana. Tutto il ma-teriale proviene dall’Istituto di Minera-logia e Geologia Agraria della Facol-tà di Agraria di Portici, che, nel 1982,è stato accorpato all’Istituto di Chimi-ca Agraria, attuale Dipartimento diScienze del Suolo, della Pianta e del-l’Ambiente. L’Istituto o Laboratorio di Mineralogiae Geologia Agraria della Real ScuolaSuperiore di Agricoltura in Portici fuistituito sotto la direzione del Prof. Ar-cangelo Scacchi, che tenne la catte-dra di Mineralogia e Geologia Agrariadal novembre 1876 all’ottobre 1884.Successivamente, la cattedra fu affi-data ai Professori Eugenio Scacchi(novembre 1884-ottobre 1885), Gio-vanni Freda (novembre 1885-marzo

1887), Pasquale Franco (maggio1887-giugno 1889), Luigi dell’Erba(aprile 1890-luglio 1891), ErnestoMonaco (novembre 1891-ottobre1901). Dal 1911 l’Istituto fu affidato alProf. Agostino Galdieri e dal 1937 alProf. Antonio Parascandola. Furonoassistenti volontari, senza remunera-zione, il Prof. Eugenio Scacchi (gen-naio1881-ottobre 1884) ed il Prof. Ot-torini De Fiore (novembre 1926-mag-gio 1927). Secondo le descrizioni fornite dai Pro-fessori Ernesto Monaco (1906) edAgostino Galdieri (1928), rispettiva-mente nei volumi della Real ScuolaSuperiore di Agricoltura in Portici(1872-1906) e del Real Istituto Supe-riore Agrario in Portici (1872-1928), l’I-stituto di Mineralogia e GeologiaAgraria possedeva locali adibiti spe-cificatamente alla esposizione di col-lezioni mineralogiche e petrografichee laboratori dove gli studenti si eserci-tavano nel riconoscimento di mineralie rocce di interesse agrario ed indu-striale. I materiali collezionati eranooggetto dell’attività di ricerca dei do-

centi di Mineralogia e Geologia Agra-ria e spesso costituivano una parteconsistente di mostre espositive rea-lizzate presso altre sedi di grado uni-versitario, quale la Scuola di Agricol-tura di Milano. In quell’epoca per “mu-seo” si intendeva un gabinetto di ri-cerche, e gli studi mineralogici eranoconsiderati particolarmente importan-ti per le loro implicazioni economiche.La mineralogia si confondeva con lascienza mineraria. L’istituzione nellaprimavera del 1801 del Real MuseoMineralogico da parte di FerdinandoIV di Borbone fu, appunto, finalizzataalla valorizzazione delle risorse mine-rarie del Regno. Presso il Real IstitutoSuperiore Agrario in Portici l’insegna-mento della Mineralogia e Geologiaera in particolar modo finalizzato allostudio dei substrati pedogenetici edei costituenti mineralogici del suoloagrario del Mezzogiorno d’Italia e all’i-struzione di tecnici agrari. Un ruolo di primaria importanza nellacustodia e crescita delle collezioni mi-neralogiche e petrografiche conser-vate presso l’Istituto di Mineralogia e

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Storia e descrizione

Foto di Antonio Parascandola, Direttoredell’Istituto di Mineralogia e GeologiaAgraria dal 1937 al 1972.

Sala dedicata all’esposizione delle collezioni mineralogiche dell’Istituto di Mineralo-gia e Geologia Agraria. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Geologia Agraria di Portici fu svoltodal Prof. Antonio Parascandola (1901-1977), a cui il museo, costituito nel1990 presso il Dipartimento di Scien-ze Chimico-Agrarie, venne intitolato.Nato a Procida il 27 Luglio 1901 daPasquale e Maria Cecilia Mathuet,Antonio Parascandola seguì i suoistudi di ginnasio e di liceo presso laBadia di Cava dei Tirreni, dove si dis-tinse oltre che per i meriti scolasticianche per la sua particolare inclina-zione per gli studi naturalistici. Nel1928 e nel 1929 ottenne, rispettiva-mente, le lauree in chimica ed in far-macia presso l’Università di Napoli,cui seguì l’abilitazione alla professio-ne di farmacista presso l’Università diFirenze. La sua passione per lescienze naturali in genere e per la mi-neralogia, la geologia e la vulcanolo-gia in particolare, gli impedì, tuttavia,di varcare, in qualità di farmacista ti-tolare, la soglia della farmacia pater-na nell’isola di Procida. Nel 1932, asoli tre anni dal conseguimento dellaseconda laurea, Antonio Parascan-

dola aveva già pubblicato numerosilavori di carattere geologico-minera-logico (Parascandola,1924, 1926,1928, 1930)La nomina di assistente incaricatopresso l’Istituto di Mineralogia e Geo-logia Agraria di Portici avvenne nel1931. Nel 1936, in virtù della sua giànotevole produzione scientifica, Anto-nio Parascandola conseguì la liberadocenza in Vulcanologia e nel 1937 lasua seconda libera docenza in Geo-grafia fisica. Tali titoli, raggiunti entro ilsesto anno della nomina di assistente,gli valsero una promozione per meritodistinto. Nel 1933, sebbene vincitoredel concorso a nove posti per profes-sore ordinario di chimica e geografianelle scuole di secondo grado pressoil Liceo Classico di Nuoro, preferì pro-seguire la sua attività didattica e di ri-cerca presso il Real Istituto SuperioreAgrario di Portici, diventato Facoltà diAgraria della Real Università deglistudi di Napoli (ora Federico II) con R.Decreto del 27 Ottobre 1935. Nel1936, su proposta dei Prof. Emanuele

Quercigh e Giuseppe De Lorenzo,Antonio Parascandola, ricevette la no-mina di professore incaricato di Mine-ralogia e Geologia nel corso di Laureadi Ingegneria. La morte del Prof. Emanuele Quer-cigh, nel 1940, segnò un periodo diarresto nella carriera di Antonio Para-scandola, che riprese slancio in oc-casione dell’eruzione del Vesuvio del1944, cui dedicò la sua attenzione,con particolare riferimento ai proces-si di segregazione della Tenorite edella Cotunnite. Negli anni successivi, la produzionescientifica di Antonio Parascandolariguardò soprattutto aspetti di mine-ralogia, geologia, petrografia e vulca-nologia delle aree vesuviana e fle-grea. In particolare, furono oggettodella sua attenzione la Solfatara diPozzuoli ed il fenomeno del bradisi-smo che, in quegli anni, si intensificòcon conseguenze disastrose per tut-to l’entroterra flegreo e che fu appun-to oggetto della sua ultima pubblica-zione (Parascandola, 1972).

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Sala dedicata alle esercitazioni di Chimica minerale e tecnologica. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Collezione Generale

La collezione generale comprendereperti mineralogici provenienti datutto il mondo, raccolti, scambiati oacquistati dai Direttori dell’Istituto diMineralogia e Geologia Agraria chesi sono succeduti nel tempo dall’isti-tuzione della Scuola di Agricoltura diPortici. Ad oggi, sono stati riordinati e ricata-logati 1200 esemplari mineralogicidei complessivi 3868 riportati in in-ventario. I minerali della collezionesono stati catalogati seguendo laclassificazione chimico-strutturaleche li raggruppa in nove classi(Strunz, 1977).Alla I Classe appartengono gli ele-menti nativi metallici e non-metallici,alla seconda fanno capo i solfuri convari rapporti composizionali tra zolfoe metalli, alla terza appartengono glialogenuri, nella quarta rientrano gliossidi e idrossidi, della quinta fannoparte i carbonati, della sesta i solfati,della settima i fosfati mentre l’ottavaclasse comprende i minerali più diffu-si sulla Terra, ovvero i silicati.

ELEMENTI NATIVI

Questa prima classe comprende glielementi chimici che si trovano in na-tura allo stato nativo, rappresentati inprevalenza, da elementi metallici(oro, rame, mercurio, ecc.), da ele-menti non metallici (carbonio, zolfo),e da pochi e rari elementi semimetal-lici (arsenico, antimonio, tellurio,ecc.) (Carobbi G., 1971). Le princi-pali caratteristiche dei metalli sono, ingenere, l’alto peso specifico, la con-ducibilità termica ed elettrica, la lu-centezza, la marcata malleabilità. La Collezione Generale è costituitada 35 esemplari d’elementi nativi. Tra i metalli sono di particolare inte-resse due campioni di rame [Cu],provenienti dai grandi depositi delMichigan [U.S.A.], dei quali è possi-bile osservare la tipica struttura den-dritica o arborescente. In Italia si tro-vano solo piccole quantità di ramenativo in relazione con le rocce basi-che della cosiddetta “formazioneofiolitica” presente in Liguria, nell’Ap-pennino modenese, nella provincia diArezzo e nelle colline livornesi. Nell’u-

nico esemplare della collezione d’ori-gine italiana, proveniente dall’Isolad’Elba, il rame è associato alla cupri-te [Cu2O]. L’oro [Au], è rappresentato nella suabellezza nei due campioni provenien-ti dalle vene idrotermali e dai deposi-ti alluvionali dell’Ungheria e del Sud-Africa. In questi esemplari, il metallosi presenta in granuletti uniformi pic-colissimi o in lamine e pagliuzze, dicaratteristico colore giallo brillante elucentezza metallica. Di colore bianco tipico, con riflessidello stesso colore è l’esemplare diargento [Ag], proveniente dalla regio-ne di Kongsberg [Norvegia], caratte-rizzato da aggregati filamentosi e dastrutture dendritiche.Fra i non metalli, sono presenti novecampioni di zolfo che provengonoquasi tutti dalle miniere della regioneSicilia. I campioni siciliani di zolfo [S],di genesi sedimentaria, si presentanoin cristalli con abito bipiramidale rom-bico e colore giallo citrino. L’esem-plare mineralogico proveniente dallesolfare di Cianciana [Sicilia] è tra gliesemplari della collezione quello che

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Collezioni mineralogiche

Rame nativo, Michigan (USA), Collezio-ne generale.

Zolfo cristallizzato, Sicilia, Collezione generale.

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meglio evidenzia tale organizzazionestrutturale. La grafite [C] è rappresentata da cin-que campioni di particolare bellezza,tra i quali spicca l’esemplare prove-niente dalle rocce metamorfiche diPargas (Finlandia), che si presenta inaggregati scagliosi con laminette gri-gio scuro e lucentezza metallica. Trai campioni italiani è doveroso citarequello rinvenuto in Val Chisone (AlpiCozie, Piemonte), costituito anch’es-so prevalentemente da carbonio. Il carbonio cristallizza come diaman-te solo a pressioni elevatissime ed ècaratterizzato, conseguentemente,da un indice di rifrazione molto eleva-to e da fortissima dispersione. Perqueste caratteristiche, per la sua du-rezza ed inalterabilità, esso è consi-derato gemma. Per la valenza estetica e per il valorecommerciale, prezioso è l’esemplaredi diamante presente nella rocciadiamantifera Blue Earth, provenientedalla Kimberley Mine, Sud Africa.

SOLFURI

Appartengono alla classe dei solfuri iminerali formati dalla combinazionedi metalli e semi metalli con zolfo, erari arseniuri, antimoniuri, seleniuri etellururi presenti in natura (Clark A.,1993). Molti metalli di questa classe,caratterizzati da aspetto metallico, al-to peso specifico e opacità, costitui-

scono la maggior parte dei mineralid’importanza industriale. Nella Collezione Generale sono pre-senti 162 campioni appartenenti aquesta classe. Di questi, 23 sono classificati comeblenda [ZnS]. La blenda cristallizzanel sistema cubico, ha durezza 3.5-4della scala di Mohs, peso specifico3.9-4.1 g/cm3 ed ha origine idroterma-le e sedimentaria. In Italia giacimentidi blenda d’importanza industriale sitrovano in Sardegna, nella zona diIglesias, in Toscana, a Campiglia Ma-rittima, e nelle Alpi Apuane. Gli esem-plari di provenienza italiana sono diecie risultano generalmente associati adaltre specie mineralogiche sempre dinatura sulfurea. Campioni a fase uni-ca, dalla tipica colorazione scura edalla lucentezza metallica, provengo-no da giacimenti minerari tedeschi, in-glesi e dagli Stati Uniti d’America. La calcopirite [CuFeS2] si differenziadalla blenda per la sostituzione dellozinco da parte del ferro e del rame.Dal colore giallo ottone e dalla lucen-tezza metallica, con iridescenze su-perficiali, la calcopirite cristallizza nelsistema tetragonale. Ha origine idro-termale, oppure si ritrova in filoni diorigine pegmatitica-pneumatolitica. Igiacimenti più cospicui si trovano invarie località degli Stati Uniti d’Ameri-ca e del Messico. Infatti, i nove cam-pioni di calcopirite della CollezioneGenerale provengono dagli U.S.A.

Gli esemplari italiani provengono dal-le miniere di Massa Marittima in To-scana. La Collezione Generale raccoglie 38esemplari di pirite [FeS2]. Il mineralesi presenta sotto forma di cristalli cu-bici di colore giallo oro, ma non man-cano esempi di aggregati aciculari,globulari e stalattitici. La lucentezza èmetallica. È comune nelle roccemagmatiche, sedimentarie e meta-morfiche. L’Italia possiede giacimenticospicui in varie località della Ma-remma toscana da cui provengonomolti degli esemplari della collezione. Polimorfa della pirite, la marcasite ra-ramente cristallizza in cristalli isolati.Più spesso, si presenta in aggregati dipiù entità. In Italia, la marcasite si rin-viene in giacimenti idrotermali, ha co-lore più verde della pirite, rispetto allaquale si altera con maggiore rapiditàmostrando superfici ossidate di colorruggine. I campioni della CollezioneGenerale, provenienti dalle rocce se-dimentarie del Bottino di Seravezza(Alpi Apuane, Toscana), si presentanoin noduli e masse fibroraggiate. Tra i solfuri degni di nota sono i bellis-simi esemplari d’antimonite [Sb2S3],dai cristalli aciculari, ricchi di faccet-te, frequentemente ondulati e curvi,con buona conformazione agli estre-mi, provenienti dalla Romania, dallaSardegna e dalla Toscana. In masse compatte di colore rossic-cio, si presenta il realgar [AsS], di cui

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Zolfo stalattitico, Sicilia, Collezione generale. Grafite, Val Chisone (Piemonte), Collezione generale.

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la collezione conserva esemplari rin-venuti nelle miniere della Romania edella Corsica.Completano la classe 21 campioni digalena [PbS] e 12 esemplari di cina-bro [HgS]. La maggior parte dei cam-pioni di galena, dal tipico habitus cu-bico di colore grigio piombo, sono diorigine italiana e provengono dai gia-cimenti minerari sardi di Monteponi eMontevecchio. Di colore e di riflessirossi, il cinabro, si presenta in cristal-li con abito tabulare o cuboide, piùfacilmente si ritrova in aggregati com-patti e/o granulari. La genesi dei nu-merosi reperti presenti nella Collezio-ne Generale è riconducibile alla faseidrotermale dei giacimenti minerari

delle Alpi Apuane e del Monte Amia-ta in Toscana, in passato utilizzati perl’estrazione del mercurio.

ALOGENURI

Sono minerali, di composizione chi-mica semplice, in genere incolori odebolmente e variamente colorati,piuttosto teneri e spesso solubili inacqua (Fleischer e Mearino, 1995).La loro struttura è definita da legamia carattere prevalentemente ionico.La formazione è avvenuta per evapo-razione di bracci marini o di laghi sa-lati, come prodotti secondari di pro-cessi d’alterazione, per sublimazionein ambiente vulcanico subaereo e co-

me minerali idrotermali. Il salgemma,così come la maggior parte dei mine-rali della classe, ha genesi evaporiti-ca da bacini di acqua marina di variaestensione imprigionati tra le terreemerse, in clima caldo e arido. Il pro-cesso è identico a quello delle “sali-ne”, le grandi vasche d’acqua salatada cui si estrae gran parte del saleutilizzato per usi alimentari. Si pre-senta per lo più in masse compattemicrocristalline e meno frequente-mente in cristalli cubici anche di dis-crete dimensioni. Tra gli alogenuri, il salgemma [NaCl]di cui la Collezione conserva 13 cam-pioni, è sicuramente il più abbondan-te e diffuso sulla litosfera e il più co-

Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 125

Pirite, Isola d’Elba, Collezione generale. Galena, Isola d’Elba, Collezione generale

Fluorite ricoperta da quarzo, Durham (Inghilterra), Collezionegenerale.

Salgemma, Sicilia, Collezione generale.

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nosciuto, d’impiego universale, datala necessità biologica di sale da par-te dell’uomo. È conosciuto anche conil nome alite (dal greco als, sale). Ilsalgemma si trova principalmentesotto forma di banchi estesi formati inseguito all’evaporazione di massed’acqua in bacini chiusi. Oltre cheper usi alimentari, è utilizzato nell’in-dustria chimica moderna come mate-ria prima fondamentale. Vasti deposi-ti di salgemma sono diffusi in tutto ilmondo. In Italia sono conosciuti i gia-cimenti in Sicilia, Calabria e pressoVolterra in Toscana.La silvite KCl, molto più rara del sal-gemma, si differenzia da quest’ultimoper il gusto salato, amaro, intermediofra i sali sodici e magnesiaci. Facil-mente solubile in acqua, accresce lasolubilità con la temperatura, proprie-tà che è sfruttata per la separazioneindustriale del salgemma. Moltiesemplari provengono dai giacimentidi sali potassici di Stassfurt (Germa-nia), e si presentano in cristalli cubicidi colore rossastro per la presenza diminutissime scagliette di ematite.Tra gli alogenuri spiccano per numeroe per bellezza i campioni di fluorite[CaF2]. L’habitus del minerale è gene-ralmente cubico e presenta colorazio-ni molto varie: violetto, blu, giallo, piùraramente verde e rosa. Infrequente-mente la fluorite è limpida ed incolore.Le cause delle colorazioni della fluori-te vanno ricercate nei difetti del retico-lo, che possono essere favoriti da im-purità contenute nel cristallo. In quan-tità sfruttabili si trova soprattutto in filo-ni idrotermali di alta e bassa tempera-tura. Zone rinomate per aver fornito imagnifici cristalli esposti sono il Dur-ham, il Cumberland e il Derbyshire inInghilterra, splendidi esemplari pro-vengono anche dalla Sassonia dovenon sono rari cristalli cubici giallo oro. In Italia le fluoriti si rinvengono in ValPassiria, Val Sugana, Sardegna e nel-l’Isola del Giglio.

OSSIDI E IDROSSIDI

Sono compresi in questa classe (Kor-bel e Novak, 2004):

– gli ossidi veri e propri, formatisi perla combinazione dell’ossigeno concationi metallici;

– gli idrossidi, in cui sono presenti io-ni ossidrili;

– gli ossidi idrati, caratterizzati dallapresenza di molecole di acqua al-l’interno del reticolo.

Seguendo un criterio “chimico strut-turale” a questa classe appartiene ilquarzo [SiO2], che da un punto di vi-sta “sistematico”, invece, potrebbeessere considerato un silicato per lapresenza di silicio. Generalmente il quarzo cristallizzada magmi ricchi in silice ed è pre-sente, per questo, in rocce plutoni-che ipoabissali e vulcaniche, in am-biente sedimentario. Per la sua resi-stenza all’alterazione, si ritrova comeprodotto della degradazione.Sono 33 gli esemplari di quarzo cu-stoditi nella Collezione Generale. Fraessi deve essere ricordato il quarzoaffumicato proveniente da Madison,Montana (U.S.A.), che si presentacon abito prismatico completamenteconservato. L’ematite [Fe2O3] si presenta congrande abbondanza di forme e habi-tus e può formare importanti giaci-menti come negli U.S.A. presso il La-go Superiore, in Italia nell’Isola d’El-ba, a Rio Marina. Il colore dei cristalli è nero con lucen-tezza metallica, anche se i frammentipiù sottili, lamellari e le varietà terrose,come il campione proveniente dallaGermania, presentano un colore ros-so sanguigno in seguito ad una alte-razione superficiale. Merita una parti-colare attenzione la varietà ematitemicacea, molto diffusa nei giacimentiferriferi, poiché si presenta in sottilis-simi cristalli appiattiti che si aggrega-no dando le cosiddette “rose di ferro”che, per la loro bellezza, sono ricer-cate dai collezionisti di minerali. Una“associazione a rosa” è rappresenta-ta dall’ematite proveniente dall’Isolad’Elba, località ricordata per gli im-portanti giacimenti a questo minerale.Lo spinello [MgAl2O4], presenta unhabitus prevalentemente ottaedrico

ed è generalmente di colore rossoscuro e lo si trova nei calcari e nelledolomie che hanno subito metamorfi-smo di contatto, e nei depositi allu-vionali fluviali. Ne esistono varie qua-lità. La più importante, e apprezzatain gioielleria come pietra preziosa, èlo spinello nobile, trasparente e rossoin tonalità varie. In Italia, cristalli pic-coli e perfetti sono stati rinvenuti neiproietti del Monte Somma, ed entro lerocce metamorfosate della Val diFassa, da cui provengono due dei seicampioni presenti nella CollezioneGenerale.Nella sottoclasse degli idrossidi sonocompresi, come si è detto, sia mine-rali costituiti dalla combinazione dicationi e di ioni ossidrili sia gli ossididove compaiono molecole d’acqua.In passato molti idrossidi erano con-siderati ossidi idrati, ma con lo svi-luppo delle tecniche d’indagine si èpotuto dimostrare che nella strutturadi molti idrossidi non comparivanovere e proprie molecole d’acqua. Fraquesti minerali quelli d’alluminio e diferro hanno particolare importanzaper diffusione e rilevanza economi-ca. I miscugli d’idrossidi e di ossidiidrati di alluminio prendono il nomedi bauxite [Al2O3 · H2O], quelli di fer-ro, invece, di limonite [Fe2O3 · H2O].Nella Collezione Generale sono pre-senti 32 esemplari classificati comeidrossidi, in particolare come bauxitee limonite.La bauxite, materia prima più impor-tante per l’estrazione dell’alluminio, èla risultante delle trasformazioni chefeldspati e feldspatoidi, in condizioniambientali particolari, subiscono daparte degli agenti atmosferici. Analoga della bauxite è la limonite,composta di ossidi di ferro idrati il cuicostituente fondamentale è lagoethite [αFeOOH], minerale tipicodelle zone di alterazione dei giaci-menti ferriferi che raramente si pre-senta in cristalli con morfologia di-stinta. Grandi depositi lateritici si ac-certano a Cuba, in Venezuela, in Bra-sile e in Italia. La limonite pisoliticaforma il deposito ferrifero della Nurra(Sardegna).

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 127

Quarzo affumicato, Maddleson, Montana(U.S.A.), Collezione generale.

Quarzo in geode, Collezione generale.

Quarzo rosa, Collezione generale.

Ematite micacea, Rio Marina (Isola d’Elba), Collezione generale. Quarzo ametista, Rio Marina (Isola d’El-ba), Collezione generale.

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CARBONATI

I carbonati, comuni sulla Terra anchese non comprendono un gran numerodi specie, sono fra i costituenti di mol-te rocce e sono largamente impiegatiin vari settori industriali (Mottana et al.,1977). Dal punto di vista chimico sipossono considerare derivati dall’u-nione dell’anidride carbonica con al-cuni ossidi metallici, anche se in natu-ra i minerali non vengono quasi maiformati da una reazione diretta traqueste due sostanze. In ambiente aci-do, si solubilizzano facilmente dandoorigine, su larga scala, a fenomeni didissoluzione e rideposizione. I carbo-nati anidri sono suddivisi in serie: la“serie trigonale della calcite”, la “serierombica dell’aragonite” e la seriecomprendente i carbonati doppi dicalcio e magnesio o ferro o mangane-se. Capostipite della serie trigonale èla calcite [CaCO3]. Nella Collezionesono presenti circa un centinaio diesemplari. A differenza degli altri car-bonati di questa serie, i quali cristalliz-zano in genere con habitus romboe-drico, la calcite presenta frequente-mente anche habitus scalenoedrico.La calcite è spesso fluorescente se il-luminata con radiazioni ultraviolette.Tipico minerale sedimentario, si formaper precipitazione chimica da soluzio-ni sature di bicarbonato di calcio. For-ma stalattiti, stalagmiti e travertini. Lestalattiti si originano in seguito allaprecipitazione del carbonato di calciocontenuto nell’acqua che attraversa lecavità presenti nella roccia, durante lasua discesa verso le falde profonde.In modo analogo, lo stillicidio dà luo-go alle stalagmiti che s’innalzano dalfondo delle grotte verso le stalattiti. Lacalcite è, infine, un costituente essen-ziale delle carbonatiti e delle foiaiti.Per azione idrotermale forma drusesia entro cavità di rocce eruttive sia invene idrotermali. Tra gli esemplaripresenti nel museo spiccano, per in-teresse estetico e collezionistico, lecalciti stalattitiche di Castellana, lecalciti del Monte Somma e le splendi-de associazioni con fluorite e blendaprovenienti dal Derbyshire.

Altrettanto affascinanti sono i treesemplari di rodocrosite [MnCO3],carbonato dalla caratteristica colora-zione rosata. La rodocrosite è d’origi-ne idrotermale di bassa temperaturaa volte anche d’origine metasomati-ca. Per il suo colore è usata per pic-coli oggetti ornamentali. Di norma,questo minerale cristallizza in massecompatte concrezionate, molto piùrare sono le rodocrositi. Ben rappresentata nella Collezione èla dolomite [CaMg(CO3)2], carbonatodoppio di calcio e magnesio, in natu-ra meno abbondante rispetto alla cal-cite. È un importante minerale di roc-ce sedimentarie. La sua genesi puòessere primaria, per precipitazioneda soluzioni ad elevata salinità (am-biente evaporitico). La dolomite ben cristallizzata si rin-viene particolarmente nei filoni metal-liferi come quelli di Traversella, in Pie-monte, località della quale nella Col-lezione è presente un magnificoesemplare. Altrettanto interessantisono poi le dolomiti provenienti dallaVal di Fassa, in provincia di Trento. Come rappresentanti della secondaserie dei carbonati, nella Collezionesi trovano 14 campioni d’aragonite,fase rombica del carbonato di calcio.Questo minerale, polimorfo della cal-cite, è più stabile a pressioni più ele-vate. La sua genesi è idrotermale dibassa temperatura o sedimentaria.Frequente è la paramorfosi della cal-cite sull’aragonite, mentre raramentel’aragonite si presenta in cristalli sin-goli con habitus prismatico allungato.Spesso l’allungamento è accentuatodalla presenza di bipiramidi acuteche danno un habitus aciculare. Mol-to frequenti sono i cristalli trigeminatidi aragonite: tre singoli cristalli si ac-crescono insieme, simulando un pri-sma esagonale. Comune è l’associa-zione di aragonite e zolfo. Di questaquattro esemplari siciliani sono cata-logati nella Collezione.

SOLFATI

I solfati, sali dell’acido solforico, sonomolto diffusi in natura e comprendono

circa duecentoventi specie, tutte ca-ratterizzate dal gruppo anionico SO4

2-.Si trovano, perlopiù come prodotto didepositi idrotermali, nei filoni metalli-feri e nei giacimenti saliferi. Una partedi essi, tuttavia, deriva dall’ossidazio-ne di solfuri metallici o ha origine dafumarole vulcaniche. Nella classifica-zione sistematica di Hugo Strunz(1977) questi minerali sono suddivisiin base alla composizione chimica,vale a dire considerando la presenzao l’assenza di acqua e di anioni estra-nei. Il gesso [CaSO4 · 2H2O], con 22esemplari, è il solfato in assoluto me-glio rappresentato nel museo. Questominerale è un solfato idrato di genesisedimentaria e cristallizza nel sistemamonoclino. I cristalli possono esseretabulari, prismatici o talvolta molto al-lungati come gli esemplari provenien-ti dalla Sicilia. Oltre ai cristalli singoli,si rinvengono, spesso, cristalli gemi-nati a “coda di rondine” o a “ferro dilancia”. Il gesso può formare aggre-gati di cristalli lenticolari a forma di ro-sa, le cosiddette “rose del deserto”,frequenti in varie località dell’AfricaSettentrionale. Tra i campioni di gessodella Collezione è da ricordare lasplendida varietà di gesso rosa, pro-veniente da Castel de’ Britti, in provin-cia di Bologna. La baritina [BaSO4], minerale di ge-nesi idrotermale di temperatura piut-tosto bassa, presente in filoni anchedi notevole potenza, è il più impor-tante minerale di bario ed è sfruttatoindustrialmente. In Italia, si rinvengo-no esemplari discreti, di colore bian-co opaco, in alcune mineralizzazionidella Sardegna. La maggior parte deicristalli di baritina sono incolori obianchi e mostrano habitus tabularema frequentemente si ritrovano bariti-ne brune, verde-brune, azzurro tenuee giallo-brune per la presenza di im-purità nel reticolo. Di notevole inte-resse sono i sette esemplari di bariti-na della Collezione, in particolare ilcampione proveniente dalla regionesvizzera di Westmoreland. La celestina [SrSO4], frequentementesi presenta in cristalli incolori, opachio limpidi. Le bellissime druse delle

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 129

Aragonite, Sicilia, Collezione generale. Calcite, Porretta (Modena), Collezione generale.

Rosa del deserto, Castel de’ Britti (BO), Collezione generale. Celestina e zolfo, Sicilia, Collezione generale.

Autunite, Collezione generale. Turchese, Arizona (U.S.A.), Collezione generale.

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solfare siciliane presentano cristalli dicelestina incolori associati a zolfo,aragonite e gesso. La celestina sipresenta in cristalli dall’habitus pri-smatico o aghiforme e spesso pre-senta cristalli che possono raggiun-gere anche dimensioni metriche. Cri-stallizza nel sistema rombico ed hagenesi primaria idrotermale. Si rinvie-ne nelle cavità di rocce vulcaniche, incui costituisce il riempimento tardivoper opera di soluzioni, e anche in filo-ni, associata soprattutto a galena,blenda e altri solfuri. Più frequente-mente si trova disseminata in roccecarbonatiche e in arenarie, oppure indepositi evaporitici, associata ad altriminerali quali gesso, aragonite, zolfoe cloruri.Nella Collezione sono presenti cin-que esemplari di celestina, due deiquali presentano il minerale nelle fa-mosissime associazioni a zolfo e cal-cite.

FOSFATI

I fosfati, sali dell’acido fosforico moltodiffusi in natura, sono strutturalmenteassai simili agli arseniati e ai vanadati(Gramaccioli, 1986). Spesso, infatti,ad un fosfato corrisponde un minera-le che presenta la stessa formula ge-nerale, ma in cui il fosforo è sostituitodall’arsenico o dal vanadio. Si hannopoi cristalli misti che, proprio per que-sto motivo, sono inseriti tutti nella me-desima classe mineralogica. Il mine-rale più rappresentativo di questaclasse è l’apatite. Nel mondo organi-co l’apatite, [Ca5[(F,Cl,OH)](PO4)3]svolge un ruolo fondamentale comecomponente minerale delle ossa e deidenti. Il nome “apatite” deriva da apa-tos (ingannevole) e ricorda le difficol-tà degli antichi per distinguerlo da al-tri cristalli. Le apatiti sono fosfati dicalcio contenenti anche fluoro, cloro eossidrile in vicarianza tra loro. Si pos-sono considerare, quindi, serie iso-morfa di cristalli con composizione in-termedia tra quelle della fluoroapatite,della cloroapatite e dell’idrossiapatite.Nella Collezione sono custoditi seiesemplari di apatite isomorfa oltre ad

abbondanti microcristalli di apatitecontenuti nelle rocce provenienti dalcomplesso del Somma-Vesuvio. Più raro, ma molto più affascinanteesteticamente, è l’autunite, fosfato dal-la formula chimica [Ca[UO2](PO4)2],di cui nella Collezione sono presentidue magnifici esemplari. Questo mi-nerale è il prodotto d’alterazione di mi-nerali d’uranio primari presenti nellepegmatiti e nei filoni idrotermali.

SILICATI

I silicati costituiscono oltre il 90% del-la crosta terrestre in quanto i lorocomponenti essenziali, silicio e ossi-geno, costituiscono gli elementi chi-mici più comuni nelle parti superficia-li del nostro pianeta. Questi mineralipresentano genesi magmatica, meta-morfica e sedimentaria. Una delle ca-ratteristiche principali dei silicati èquella di formare moltissimi motivistrutturali, seppure sempre collegatiad un’unità fondamentale, vale a direall’associazione ionica tetraedricacon un atomo di silicio al centro diquattro atomi di ossigeno (Strunz,1977). Proprio in base a questi criteristrutturali ed in particolare alle moda-lità di concatenamento dei tetraedri[SiO4]4-, si sviluppa la classificazioneMachatschki-Bragg dei silicati, laquale prevede la suddivisione in ne-sosilicati, sorosilicati, ciclosilicati, ino-silicati, fillosilicati e tectosilicati. Neisilicati con struttura complessa vi è lapossibilità di ampie sostituzioni iso-morfe, quindi è preferibile descriverei vari minerali dal punto di vista strut-turale piuttosto che in base alla com-posizione chimica, spesso teorica. Molti silicati trovano largo impiego incampo gemmologico: è questo il ca-so della tormalina e del berillo. La tor-malina [NaFe3Al6(BO3)3Si6O21F] è unminerale accessorio in rocce eruttivee metamorfiche, cristallizza nel siste-ma trigonale e i suoi cristalli presen-tano habitus prismatico con colorebruno, verde, nero e rosa. Questo mi-nerale presenta il fenomeno dellapiezoelettricità e per questo è usatonei manometri per alte pressioni. Nel-

la Collezione sono raccolti 14 cam-pioni di tormalina tra i quali vannomenzionati i magnifici esemplari ditormalina nera dell’isola d’Elba. Come la tormalina, il berillo[Be3Al2Si6O18], che cristallizza nel si-stema esagonale e si ritrova in roccegranitiche, è un minerale tipico dellepegmatiti. Le varietà limpide e tra-sparenti sono usate come gemme.Lo smeraldo è la varietà verde e de-ve il suo colore alla presenza di cro-mo e vanadio. Attualmente la mag-giore produzione si ha in Colombia. Nella Collezione è presente un cam-pione grezzo proveniente dalla Ha-bachtal, in Austria. Oltre gli abbondanti casi d’interessegemmologico, la classe dei silicatiraccoglie un numero enorme di spe-cie mineralogiche dall’elevato inte-resse scientifico. L’augite [(Ca,Na)(Mg,Fe,Al,Ti)(Si,Al)2O6],appartenente all’importante gruppodei pirosseni, fu così denominata nel1792 dal celebre mineralogista tede-sco Werner. Il termine, d’origine gre-ca, allude alla viva lucentezza pre-sentata dalle superfici di sfaldatu radei cristalli. Si tratta di una specieassai comune, che compare fre-quentemente in individui ben formati,entro le rocce magmatiche. Carat te -riz za ta da tonalità scure, anche nere,cristallizza nel sistema monoclino ecompare sia in aggregati granulari,sia in individui di abito prismatico,perlopiù tozzo, a contorno quasiquadrato od ottagonale. Frequentisono anche i geminati per contatto.Uno stupendo cristallo euedrale diaugite del Monte Somma è conser-vato nella Collezione.Nelle rocce del Monte Somma,spes so in associazione ai pirosseni,si rinvengono un gran numero di an-fiboli, gruppo di minerali il cui princi-pale rappresentante è l’orneblenda[Ca2Mg4AlFe(Si7AlO22)(OH)2]. Conquesto termine di derivazione tede-sca, che allude all’aspetto corneo elucente del minerale, si indicano inrealtà più specie mineralogiche assaisimili tra loro e appartenenti al nume-roso gruppo degli anfiboli. L’orne-

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 131

Mica su pegmatite, Collezione generale.

Zircone, Jebel Tuwaalah (Arabia), Collezione generale.

Mica su pegmatite, Collezione generale.

Hedembergite, Campiglia Marittima (Livorno), Collezione ge-nerale.

Cianite, Val di Vizze (Bolzano), Collezione generale. Muscovite, Valle Aurina (Bolzano), Collezione generale.

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blenda cristallizza nel sistema mono-clino in cristalli prismatici tozzi oppu-re allungati che, talvolta, appaiono asezione quasi esagonale e con facceterminali somiglianti a romboedri. Tut-tavia, l’orneblenda si presenta fre-quentemente sottoforma di individuiaghiformi o fibrosi riuniti a covone edi colore verde scuro-nerastro o gri-gio-bruno. La Collezione custodiscemolti fillosilicati come il talco, l’amian-to e le miche. Il talco, presente con 6begli esemplari, è il costituente es-senziale dei talcoscisti, che si origi-nano sia per alterazione idrotermaledi rocce ultrabasiche che per mode-sto metamorfismo termico di dolomie.Cristallizza nel sistema monoclino esi presenta in lamine di colore verdeuntuose al tatto. Fra i minerali delgruppo del serpentino è presente ilcrisotilo o serpentino fibroso caratte-rizzato da una disposizione curva de-gli strati, secondo cilindri cavi; sepresente in lunghe fibre, come in ValMalenco, esso ha un notevole valoreeconomico. È il cosiddetto amianto oasbesto, nomi generici per indicare

un materiale in fibre incombustibili esuscettibili a tessitura, stabili mecca-nicamente. È oramai riconosciutoche l’inalazione di polvere di asbestoè un serio pericolo per la salute, puòcausare asbestosi e mesoteliomapleurale. Il suo uso o la sua manipo-lazione, pertanto, devono essere ef-fettuati con grande attenzione. Pro-prio dalla Val Malenco provengono idue fragili esemplari di questo mine-rale della Collezione, opportunamen-te protetti a causa della loro pericolo-sità. Proseguendo con la descrizionedei fillosilicati, non si può non citare lafamiglia delle miche costituita da sili-cati complessi caratterizzati da unafacile sfaldabilità in lamelle. Le michepresentano una colorazione variabiledal bianco-argenteo al nero e sonomolto lucenti. Cristallizzano nel siste-ma monoclino, con abito pseudoesa-gonale, raramente in cristalli, di solitoin aggregati lamellari. Fra i rappre-sentanti di questo gruppo vi sono im-portanti minerali industriali usati co-me isolanti termici ed elettrici, comela muscovite. La Collezione raccoglie

circa una quarantina di esemplari dimiche.Fra i tectosilicati deve essere ricorda-ta la leucite [KAlSi2O6] presente nellerocce del Somma-Vesuvio. Il nome“leucite” deriva dalla parola grecaleucòs (bianco) che allude al coloredei cristalli di questo minerale, diffu-so e abbondante in certi tipi di roccevulcaniche e, tuttavia, relativamenteraro. Esso, infatti, si trova presentesolo in lave geologicamente recenti,quale prodotto di cristallizzazione dimagmi ricchi in potassio e a bassocontenuto di silice.

Collezione tedesca

La Collezione tedesca del MuseoAntonio Parascandola di Portici ècostituita da una serie di esemplari,un centinaio tra minerali e rocce,provenienti dalla ditta Krantz diBonn, attiva già dalla fine dell’Otto-cento nel campo della commercializ-zazione di oggetti naturalistici. Tra imolti campioni raccolti nella Colle-

132 I Musei delle Scienze Agrarie

Cianite, Kennet, Tirolo (Austria), Collezione tedesca.Frontespizio del catalogo n. 11 del 1904della ditta Krantz di Bonn.

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zione, molto interessante è la pie-montite [Ca2(Al,Mn,Fe)3(SiO4)3(OH)]di Saint Marcel in Val d’Aosta. Questoepidoto manganesifero dai bei cri-stalli rosati si rinviene spesso comeminerale accessorio nelle quarziti,negli gneiss, nei micascisti e talvoltanei giacimenti di manganese. Di rilie-vo poi è il campione di fucsite[KAl2(Si3Al)O10(OH,F)2] provenienteda Greiner in Tirolo. Si tratta di una

mica cromifera, i cui giacimenti sonosituati principalmente in Sud-Ameri-ca, molto ricercata dai collezionisti acausa della rarità dei suoi cristalli.Come già accennato all’inizio, oltre asvariati minerali, la collezione com-prende anche un gran numero di roc-ce tra cui vanno menzionate varie ti-pologie di tufo, dal basaltico fino alcalcareo. Molto caratteristica è laquarzite di acqua dolce proveniente

dalle montagne di Augsten: una roc-cia oligocenica molto utilizzata per ri-vestimenti lapidei nell’edilizia civileed industriale. Nella Collezione nonmancano esemplari di rocce fossilife-re rappresentate essenzialmente daarenarie e da calcari a foraminiferi. Diparticolare interesse sono un esem-plare di calcare nummulitico e un cal-care fossilifero pliocenico provenien-te da Oxford.

Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 133

Calcite, Slesia, Collezione tedesca. Pirossenite, Bayern, Collezione tedesca.

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Le rocce sono aggregati naturali diuno o più minerali che derivano, so-stanzialmente, da tre processi chimi-co-fisici fondamentali (D’Argenio etal., 1994). In base alla loro genesi,quindi, le rocce sono divise in:– magmatiche, derivate direttamente

dal raffreddamento del magma siain superficie (rocce effusive) che inprofondità (rocce intrusive);

– sedimentarie, originatesi dalla de-posizione e successiva compatta-zione dei prodotti di disgregazio-ne e alterazione di rocce preesi-stenti;

– metamorfiche, derivate da roccepreesistenti (protoliti) che subisco-no modificazioni cristalline dovutein genere ad aumento della tempe-ratura e/o della pressione, spessoconseguenti a fenomeni tettonici.

Alla Collezione petrografica appar-tengono circa 75 campioni prove-nienti da diverse località italiane. Lepiù rappresentate sono le rocce sedi-mentarie, che rappresentano menodel 10% in volume dei primi 16 Km di

crosta, tuttavia l’importanza di questogruppo di rocce è notevole visto checostituiscono il 75% delle rocce cheaffiorano in superficie. Tra le rocceche fanno parte della Collezione van-no ricordate il diaspro della Sicilia ele marne del Cilento. La formazionedel diaspro si realizza per precipita-zione da acque, forse arricchite dasoluzioni vulcaniche, a grande pro-fondità a largo negli oceani. Diversa-mente, le marne sono depositi mariniche subendo trasporto si mescolanoa prodotti di precipitazione chimica oa residui organogeni.Ben rappresentate sono anche lerocce magmatiche, che contano 35campioni provenienti dalle localitàitaliane che sono e/o sono state inte-ressate da attività vulcaniche. Per ec-cellenza sono diversi i campioni cheprovengono dall’Isola d’Elba, dalleIsole Eolie e dalla Sicilia, siti di note-vole interesse per le loro caratteristi-che attività vulcaniche. La varietà dicampioni dà la possibilità di osserva-re la diversa struttura cristallina dellaroccia. In particolare, nel granito che

è una roccia magmatica intrusiva, astruttura olocristallina si osservano idiversi minerali. La struttura porfidicao amorfa, invece, caratterizza i cam-pioni di ossidiana presenti nella Colle-zione.Meno numerose, invece, sono le roc-ce metamorfiche formate in seguitoalle trasformazioni mineralogiche dirocce preesistenti. Il nome di questogenere di rocce è molto appropriatoin quanto dà conto dei “cambiamentidi forma”. Questi cambiamenti am-bientali coinvolgono sia la strutturamineralogica sia la composizionechimica della roccia. In alcuni casi laroccia subisce solo dei modesti cam-biamenti, in altri si può arrivare ad uncambiamento radicale, con una fu-sione e formazione di minerali chesono stabili alle nuove condizioni. Tragli esemplari di roccia metamorficadeve essere ricordato l’esemplare digneiss che si forma nel metamorfi-smo progrado degli scisti con dis-idratazione della muscovite e trasfor-mazione di questa in feldspato e sili-cati di alluminio.

134 I Musei delle Scienze Agrarie

Collezione petrografica

Diorite, Anzola, Collezione petrografica. Ossidiana, Vesuvio, Collezione petrografica.

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 135

Torba, Zunvelbaing, Collezione petrografica. Marna del Flysch, Cilento, Collezione petrografica.

Gneiss dioritico, Dubino (Sondrio), Collezione petrografica. Micascisto a Uraninite, Peveragno (Como), Collezione petro-grafica.

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136 I Musei delle Scienze Agrarie

Alla Collezione Vesuviana apparten-gono circa 600 campioni tutti deri-vanti dall’attività del Somma-Vesuvio.Molti esemplari sono stati donati dalgeometra Ghinelli. Altri sono stati do-nati dai vari Professori che, nel tem-po, hanno tenuto la Cattedra di Mine-ralogia e Geologia Agraria presso laFacoltà di Agraria di Portici. Fra i varidocenti, deve doverosamente esserericordato, per la passione che rivolsealla Mineralogia vesuviana e alla rac-colta di molti dei campioni che oggicostituiscono la Collezione, il Profes-sor Antonio Parascandola al quale,nel 1990, fu intitolato il Museo origi-nariamente denominato “Museo diMineralogia e Petrografia VesuvianaAntonio Parascandola”. Tra i campioni possono essere anno-verate varie bombe di dimensione eforme diverse, che, costituite dabrandelli di lava che nel lancio assu-mono una determinata forma, condi-

zionata dalla viscosità del magma, ri-cadono al suolo già solidificate oquasi. Le bombe che si formano in la-va molto fluida, sono sferiche, fusifor-mi e contengono spesso un nucleo diroccia più antica. Da un magma piùviscoso, ricco di gas, provengono lebombe a crosta di pane. Queste ulti-me si formano, quando il nucleo an-cora liquido si gonfia come una po-mice e forza la crosta già solida, ric-ca di vetro. Si formano di conseguen-za numerose fenditure che conferi-scono alla superficie l’aspetto di unacrosta di pane. Sono particolarmenteinteressanti le bombe a crosta di pa-ne provenienti dall’isola di Vulcanoche arricchiscono la Collezione vesu-viana. Ceneri, pomici, scorie e bombe siformano da brandelli di lava eiettatiallo stato liquido. I proietti, invece,sono frammenti eruttati allo stato so-lido. I proietti del Monte Somma, co-

stituiti da calcari e dolomie metamor-fizzati, sono noti per la loro ricchezzain minerali rari e ben cristallizzati percontatto. Numerosi proietti presenta-no esemplari di vesuvianite in abititetragonali perfettamente mantenuti.La vesuvianite, infatti, è un mineraletipico di rocce calcareo-dolomitichemetamorfosate al contatto con mag-mi. Da un punto di vista chimico-strutturale la vesuvianite appartienealla sottoclasse dei sorosilicati. Levarietà trasparenti e di piacevole co-lore trovano impiego come pietrepreziose di notevole pregio. Altro mi-nerale abbondante tra gli esemplarivesuviani è la leucite. Tipico minera-le di rocce vulcaniche recenti conelevato contenuto di potassio, la leu-cite si presenta spesso in bei cristal-li con abito icositetraedrico di colorebianco. Di particolare bellezza sono imolti campioni di leucite presenti nel-la collezione.

Collezione Vesuviana

Antonio Parascandola nel 1952 conduce in escursione sul Vesuvio i cadetti dell’Accademia aeronautica (da “Vesuvio 1944. L’ulti-ma eruzione” di Angelo Pesce e Giuseppe Rolandi, Comune di San Sebastiano al Vesuvio, 1994).

Page 155: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA

Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 137

Bomba affusolata, Vesuvio, Collezione vesuviana. Leucite, Monte Somma , Collezione vesuviana.

Orneblenda, Monte Somma, Collezione vesuviana. Proietto metamorfico, Monte Somma, Collezione vesuviana.

Aragonite, Monte Somma, Collezione vesuviana. Bomba vesuviana, Eruzione del 1944, Collezione vesuviana.

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La collezione di marmi del Museo diMineralogia “Antonio Parascandola”rappresenta un vero e proprio cam-pionario delle pietre ornamentali ita-liane in quanto raccoglie materialeproveniente dai principali giacimentiesportatori della penisola. I trecentoesemplari raccolti nella collezione so-no riconducibili a lastre di roccia la-vorata (levigata e lucidata) e a fram-menti di roccia grezza, non sottopo-sta a trattamenti di alcun tipo. I marmi in senso stretto rappresenta-no solo una parte del materiale che,infatti, risulta essere costituito da nu-merosi esemplari di rocce metamorfi-che o di altra genesi altrettanto im-piegate in campo ornamentale. Nu-

merosi sono i campioni provenientidalle Alpi Apuane, consistenti soprat-tutto le lastre di bardiglio che si pre-sentano con un fondo di colore grigiointenso azzurrognolo, con ampie zo-ne nuvolate di tonalità più scura. LaPuglia è un’altra delle regioni più rap-presentate con la sua pietra di Trani.Questa è una roccia originata dallasedimentazione di falde di stiloidi, la-mine e altri fossili, che danno luogoad un alternarsi di differenze cromati-che che si estendono per tutto il gia-cimento. Questo processo crea faldee venature serpeggianti (da qui il no-me) che rendono il bacino puglieseunico ed originale. Sempre dalla Pu-glia, precisamente da Fasano, pro-

viene un elevato numero d’esemplaridi travertino, roccia sedimentaria de-rivante da deposizione chimico-orga-nogena in acque dolci calcarifere,presso cascate, in margine a sorgen-ti e in fondo a bacini. Unica eccezio-ne, per quanto riguarda la provenien-za, sono gli esemplari francesi di Fiordi Pesco e Grigio antico, varietà dimarmo molto rare. Da ricordare sono,infine, i begli esemplari di Perlato, unlitotipo sedimentario fossilifero, di co-lore d’insieme grigio avorio caratteriz-zato da bioclasti pluricentimetrici econsiderato uno delle pietre orna-mentali più pregiate della Campania.

138 I Musei delle Scienze Agrarie

Marmi

Giallo di Trani fiorito, Verde Issorio, Labradorite, Collezione marmi.

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 139

La collezione di fossili comprendecirca una trentina di rocce carbonati-che a molluschi, foraminiferi ed echi-nodermi, rappresentanti della faunameso-cenozoica italiana. Per defini-zione, un fossile è una qualsiasi trac-cia di vita passata, sia essa un restoscheletrico o una semplice improntarimasta impressa sul substrato. Tra imolluschi, i più abbondanti, spiccanole bellissime ammoniti Phylloceras e

Hildoceras del Lias provenienti daMonte Polino, in provincia di Terni.Questi esemplari hanno origine da af-fioramenti fossiliferi di origine marina,testimonianza concreta dei profondisconvolgimenti di origine tettonicaavvenuti in tempi remoti in tutta l’Italiacentrale. Numerosi poi sono i calcaria bivalvi, costituiti da ammassi di gu-sci di cardidi e\o veneroidi in matricecalcarea o fangosa. Più affascinanti

sono gli esemplari di echinodermi trai quali risalta il Clypeaster, un echini-de miocenico dal contorno pentago-nale arrotondato. È da ricordare, infi-ne, un campione di coprolite di ienaproveniente dalla Grotta di S. Teodo-ro, in provincia di Messina. I coproliti,resti fecali fossilizzati, sono molto in-teressanti, poiché forniscono preciseinformazioni sulle abitudini alimentaridegli animali che li producono.

Fossili

Clypeaster sp. (Miocene), Calabria, Collezione fossili. Pecten sp, M. Genio (Andria), Collezione fossili.

Megalodon sp. (Trias), Collezione fossili.Pecten sp. (Miocene), Collezione fossili.

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140 I Musei delle Scienze Agrarie

Preparati microscopici

Tenuto conto che le rocce sono ag-gregati di minerali, condizione neces-saria per il loro riconoscimento è l’i-dentificazione delle specie mineralo-giche che esse contengono. L’identi-

ficazione delle specie mineralogicheche costituiscono una roccia è spes-so possibile direttamente a occhionudo o con l’aiuto di una lente. Nelcaso di rocce a grana fine, il sistemapiù facile per il loro riconoscimento èlo studio al microscopio delle sezioni

sottili, fettine di roccia ridotte, perabrasione, ad uno spessore di circa30 μm. La collezione di preparati microsco-pici del Museo Antonio Parascando-la raccoglie circa 500 campioni disezioni sottili di rocce e minerali di

Collezioni didattiche

Esemplari di sezioni sottili petrografiche della ditta Krantz(Bonn, Germania), Collezione didattica.

Scala di Mohs, riproduzione didattica in cassettiera di faggio,Collezione didattica.

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 141

vario tipo. Le rocce sezionate sonoin gran parte proietti vesuviani riferi-bili a varie eruzioni, in particolarequelle avvenute negli anni 1861,1906 e 1944. Sono conservate se-zioni attribuibili a tutte le diverse ti-pologie di roccia effusiva. Numerosisono, infatti, i campioni di tufo, tra-chite, pomice, ossidiana e di una co-spicua rappresentanza di proiettipoligenici. Molto interessanti poi so-no gli esemplari intrusivi calabresitra cui ricordiamo le numerose se-zioni di granito della Sila. Dalla pro-vincia di Sondrio proviene invece laparte più cospicua della collezione,composta da uno svariato numero disezioni di rocce metamorfiche e se-dimentarie. In particolare, vannomenzionate le sezioni di gneiss e mi-cascisti della Val Grappera nonchèle molte tipologie di scisto di Colme-netta e i calcari del Monte Suretta.Altrettanto interessanti sono i calcaridel salernitano e le selci della pro-vincia dell’Aquila, principali rappre-sentanti sedimentari dopo le nume-rose argille di Roccamonfina e learenarie di Sorrento.

Infine, anche se in numero ridotto, lacollezione comprende alcuni esempidi sezioni di rocce fossilifere tra cuiscisti ittiolitici e calcari organogeni.Le sezioni di minerali si riferisconoper lo più a specie mineralogichecorrelate a magmatismo, tipo hauy-na, granati, leuciti e pirosseni ma nonmancano esemplari più rari e interes-santi come nelle sezioni di tormalina,celestina e opale.

Modelli cristallografici e plastici

La cristallografia è la scienza speri-mentale che si occupa di determina-re la disposizione degli atomi nei so-lidi. Prima dello sviluppo della cristal-lografia con l’impiego della diffratto-metria a raggi X, lo studio dei cristalliera basato sulla geometria dei cristal-li. Questo richiedeva la misurazione,attraverso l’utilizzo del goniometro,degli angoli che le facce dei cristalliformano rispetto agli assi di riferimen-to teorici (assi cristallografici). La posizione nello spazio tridimensio-nale di ogni faccia del cristallo, veni-

va tracciata su una rete stereografi-ca, su cui veniva segnata la normaledi ogni faccia. Ogni punto era eti-chettato con il suo indice di Miller, inmodo tale che il modello finale per-metteva di stabilire la simmetria delcristallo. Lo studio della cristallogra-fia, quindi, era condotto servendosidi differenti e numerosi modelli realiz-zati in materiali diversi. Dall’inventario dell’ex Istituto di Mine-ralogia e Geologia Agraria risultanoacquisiti prima del 1945 centotrenta-sette modelli cristallografici in legno,in cartone ed in vetro, ai quali si as-sociavano undici piani ed assi di sim-metria in lamiera e metallo. Il museo,attualmente, custodisce sessantacin-que modellini realizzati in legno ed invetro che riproducono le forme cri-stalline appartenenti alle 32 classi disimmetria, e cinque modelli di assi inmetallo. I modelli di legno furono rea-lizzati presso la Scuola di Applicazio-ne per gli Ingegneri di Torino, attualePolitecnico. I modelli in vetro furonoacquistati dalla ditta Krantz (Bonn,Germania).

Plastico del complesso Somma-Vesuvio, dopo l’eruzione del1944, Collezione didattica.

Modelli in legno che riproducono cristalli con vari tipi di sim-metria, Collezione didattica.

Modello in vetro riproducente un cristallo a simmetria rombo-dodecaedrica, Collezione didattica.

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142 I Musei delle Scienze Agrarie

Il Medagliere è un’interessante colle-zione costituita da quindici medaglieconiate utilizzando la lava emessadal Vesuvio nelle sue frequenti eru-zioni, o prelevata dal lago di lava in-sistente nel cratere sino a circa il1944. Le monete più antiche del 1861raffigurano Vittorio Emanuele II, ricor-

dato quale figura centrale dell’unifi-cazione d’Italia durante il Risorgi-mento. Più recenti sono le monete inonore di Vittorio Emanuele III, sovra-no italiano dal 1900 al 1946. La colle-zione, inoltre, conserva due monetestraniere provenienti rispettivamentedall’Argentina e dalla Francia. Pur-

troppo, non si hanno informazioni ri-guardanti l’ideatore della collezioneed i committenti. In ogni caso, la col-lezione riveste un notevole interessemuseale e creativo, poiché valorizzal’utilizzo artistico delle lave che va asmussare il loro carattere distruttivoche aleggia nei nostri ricordi.

Medagliere

Moneta coniata nel 1922 in onore di Vittorio Emanuele III, impressa nella lava vesuviana, Medagliere.

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Il Museo di Mineralogia “Antonio Parascandola” 143

La biblioteca storica del Museo di Mi-neralogia “Antonio Parascandola”comprende numerosi volumi di inte-resse vario nell’ambito delle scienzenaturali. Infatti, nonostante la predo-minanza di pubblicazioni riguardantisoprattutto la mineralogia e la chimi-ca, circa un terzo della biblioteca èrappresentato da materiale inerentealla fisica, alla zoologia, alla botanicae alle altre discipline naturalistiche.Non mancano numerosi riferimenti al-la tecnologia e al suo sviluppo nelcorso degli anni come ad esempio iltrattato “Le nuove conquiste dellaScienza narrate e descritte da Luigi

Figuier” del 1884 e varie pubblicazio-ni a carattere umanistico-religioso tracui la seconda edizione del “Dio Fe-de Preghiera” di Luigi Chierici del1895.Alla già descritta eterogeneità degliargomenti trattati dai reperti, è da ag-giungersi una altrettanto vasta diver-sità per quanto riguarda la loro clas-sificazione fisica. Il materiale biblio-grafico presente nella biblioteca con-sta, infatti, sia di libri, manuali e gui-de, sia di riviste ed annuari. La mag-gior parte del contenuto della biblio-teca è in lingua italiana, ma non man-cano esemplari in lingua francese,

come i Bulletin des Laboratoires deGèologie, Gèographie Physique Mi-nèralogie et Paleontologie de L’Uni-versitè de Lausanne, in lingua ingle-se, tra cui le pubblicazioni del BritishMuseum, in lingua tedesca, come adesempio il Kalender fur Geologen Pa-laontologen und Mineralogen, o, infi-ne, in lingua portoghese, come la“Memoria apresentada a AcademiaReal das Sciencias de Lisboa” del1905. Per quanto riguarda la cronologiadelle opere, è interessante notareche esse ricoprono un arco tempo-rale di tre secoli, risalendo i volumi

Biblioteca storica

Luigi Figuier, Molluschi e zoofiti, Milano, 1882, Biblioteca Storica.

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144 I Musei delle Scienze Agrarie

più antichi ai primi anni del XVIII se-colo. Esemplari del 1807 sono i duevolumi di Chimica applicata alle artidi S.G.A. Chaptal, membro e teso-riere del Senato, grande officialedella legione d’Onore, membro del-l’Istituto di Francia e professore ono-rario della Scuola di Medicina diMontpellier. Ad eccezione di qualche esempla-re, come ad esempio il “Nozioni diFisica e Chimica, libro di testo per ilicei conforme ai programmi gover-nativi” del Prof. Antonio Roiti del1897, la cui rilegatura è andata con-sumandosi nel tempo, lo stato diconservazione delle opere della bi-blioteca è, nel complesso, medio-buono, con copertine e rilegaturespesso intatte.

Ringraziamenti

Si ringrazia per la lettura critica, per isuggerimenti e per l’incoraggiamentoil Prof. Pietro Violante del Dipartimen-to di Scienze del Suolo, della Pianta edell’Ambiente dell’Università Federi-co II di Napoli, senza la cui opera dicustodia e cura dei beni museali,questo testo e ancor più lo stessoMuseo Antonio Parascandola, nonesisterebbero.Si ringrazia la Prof.ssa Maria RosariaGhiara, direttore del Centro Museidelle Scienze Naturali dell’UniversitàFederico II di Napoli, per i preziosiconsigli, l’aiuto ed il sostegno senza ilquale il riordino e la catalogazionedei beni museali non sarebbe statarealizzata.

Si ringrazia il Prof. Achille Panunzi delDipartimento di Chimica dell’Univer-sità Federico II di Napoli, per l’entu-siasmo contagioso e l’aiuto preziosoed insostituibile nel riconoscimento eriordino dei reperti mineralogici e pe-trografici. Un grazie per l’aiuto anche al Prof.Renato Sinno, ultimo docente incari-cato di Mineralogia e Geologia Agra-ria presso la Facoltà di Agraria di Por-tici ed allievo devoto del Prof. AntonioParascandola. Si ringrazia infine il Sig. Alberto DeFalco, della Libreria Numismatica diNapoli, per il riconoscimento dellemonete del Medagliere.

Antonii Sanfelicii, Campania, Notis Illustrata, Napoli, 1726, Biblioteca Storica.

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Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini”

Autori

Antonio Crasto, Salvatore Velotto

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Nella pagina precedente, ingresso principale dell’Istituto di Zootecnia. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Il Museo Anatomo-Zootecnico “TitoManlio Bettini”, annesso al Diparti-mento di Scienze zootecniche e ispe-zione degli alimenti, nasce contem-poraneamente all’istituzione delle Re-gie Cattedre di Anatomia degli ani-mali domestici e di Zootecnia nel1872, anno di fondazione dell’IstitutoSuperiore Agrario di Portici, grazie allavoro dei professori delle materiemorfologiche e zootecniche che cosìvollero fornire un ausilio pratico aglistudenti per lo studio delle specifichediscipline.Negli anni successivi si hanno notiziedi un’organizzazione più razionaledei preparati anatomici ad opera delprof. Almerico Cristin che riuscì a cor-redare l’Istituto di un ricco museo cheoccupò fino al 1892, unitamente al-l’aula per le lezioni, tutto il piano su-periore dell’aula sud-est dell’anticopalazzo reale. Successivamente, ilmuseo venne trasferito nei vasti loca-li tutt’ora occupati siti nella parte su-periore del Parco Gussone. Il prof. Salvatore Baldassarre, neglianni compresi tra il 1892 e il 1902, ar-ricchì il museo di una ricca collezioneosteologica, successivamente il prof.Bartolo Maymone adibì a Museo l’au-la per le lezioni e l’ala maggiore delfabbricato principale. Il Museo era

ben provvisto di materiale dimostrati-vo per l’insegnamento dell’anatomia,della fisiologia degli animali domesti-ci e della zootecnia; vi erano impor-tanti collezioni di scheletri, teschi del-le varie specie animali, modelli ingesso, fotografie, quadri murali, eproprio in questo periodo venneguarnito di ulteriori collezioni osteolo-giche, di oggetti che trovavano utileimpiego nell’allevamento animale e dinumerosi reperti che rappresentanoun patrimonio di inestimabile valorestorico e scientifico. Negli anni suc-cessivi la preziosa collezione osteolo-gica venne arricchita da ulteriore ma-teriale dimostrativo per l’insegnamen-to delle materie anatomo-zootecni-che, grazie all’interesse dei professo-ri N. Fotticchia, A. Di Genova e, infi-ne, del prof. T. M. Bettini (direttoredell’Istituto di Produzione animale dal1955 al 1978). Negli anni compresi tra il 1939 ed il1948 il museo subisce devastazioniriguardanti sia le strutture murarieche l’integrità delle collezioni. Tuttociò che si riuscì a salvare venne col-locato in un vecchio edificio e mante-nuto con rari interventi di conserva-zione, l’ultimo risalente alla metà de-gli anni ottanta ad opera dell’imbalsa-matore sig. Lembo, allorquando la di-

rezione dell’Istituto era affidata alprof. A. Bordi. Nel 1992 il prof. Antonio Crasto, at-tuale direttore del Museo, prende ser-vizio presso la Facoltà di Agraria de-gli Studi di Napoli con la qualifica diprofessore associato sulla materia“Morfologia e fisiologia animale”. Pro-veniente dalla Facoltà di MedicinaVeterinaria dell’Università degli Studidi Napoli “Federico II”, ove dal 1982al 1992 ave va prestato servizio pres-so il Dipartimento di Strutture, funzio-ni e tecnologie biologiche, dedican-dosi alla riorganizzazione del Museoanatomico e pubblicando nel 1990un opuscolo dal titolo “Il Museo Ana-tomico” (ed. Arte Tipografica), dalgiorno della sua presa di servizio ini-zia un lavoro sistematico di riorganiz-zazione, recupero, classificazione ecatalogazione degli oggetti museali,coadiuvato nella sua opera da dotto-randi di cui era tutore, ma i locali perla sistemazione definitiva del museovengono assegnati solo nel 2002, inuna sala appositamente ristrutturatasita nel Parco Gussone della Facoltàdi Agraria di Portici.La sistemazione attuale degli ogget-ti è stata pensata e realizzata dalprof. Antonio Crasto: con l’azione direstauro e di conservazione attuata

Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini” 149

Storia e descrizione

Istituto di Zootecnia: una sala del museo e ovile con annessi. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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negli ultimi anni si è voluto modifica-re la funzione originaria di tale beneculturale rendendolo più adatto alleesigenze del presente e, quindi, in-tegrandolo in un sistema moderno incui l’utilità originaria si trasforma inuna utilità che tenda alla fruibilitàcollettiva e sia, pertanto, di tipo so-ciale. Si tratta di un museo interamente de-dicato alla raccolta, alla manutenzio-ne e alla valorizzazione di differentipreparati legati a diverse tradizionianatomo - zootecniche. Oggi infatti ilmuseo, intitolato al prof. Tito ManlioBettini, è ubicato al primo piano del-l’edificio 82 del Dipartimento di

Scienze zootecniche ed ispezionedegli alimenti della Facoltà di Agrariain Portici e si articola lungo vari per-corsi esplicativi, uno dei quali è di ca-rattere sperimentale: i preparati nonsolo possono essere osservati maanche toccati dal visitatore consen-tendo di comprendere l’organizzazio-ne degli scheletri e le specializzazio-ni degli arti.Il Museo è organizzato nelle seguen-ti sezioni:– Plastici e preparati a secco di or-

gani di mammiferi domestici;– Crani, scheletri completi di mam-

miferi, ossa e articolazioni di mam-miferi;

– Collezione di preparati in formalina;– Animali imbalsamati;– Preparati in gesso di teste di suini

e cinghiali;– Attrezzi di mascalcia e di medicina

operatoria;– Cataloghi di registrazione per il de-

posito degli animali e produzionedi latte e latticini;

– Collezione di stampe del XIX e delXX secolo;

– Armadi in legno tipo fine ’800 edinizi ’900.

150 I Musei delle Scienze Agrarie

Locali per la sistemazione definitiva del museo, assegnati nel 2002: sala appositamente ristrutturata sita nel Parco Gussone del-la Facoltà di Agraria di Portici.

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Plastici e preparati a secco diorgani di mammiferi domestici

In tale sezione i preparati sono siste-mati in tre spaziosi armadi in legno,seguendo un criterio razionale: mu-scoli, visceri, plastici di vari organi,alcuni preparati iniettati e una colle-zione in cera raffigurante le principa-li fasi dello sviluppo embrionale dipollo. La collezione in cera, anche se in-completa, di fine ’800, mostra lo svi-luppo embrionale di pollo, in essa èpossibile osservare la regione dellatesta ampiamente ripiegata e con lafossetta olfattiva che appare comeuna depressione dell’ectoderma del-

l’estremità anteriore della testa; il ca-lice ottico con la fessure coroideaben evidente; l’otocisti con il dottoendolinfatico in formazione; i solchibronchiali; la regione cardiaca chemostra il cuore ripiegato ad S ed incui si notano sia la parte atriale cheventricolare, il bulbo cardiaco ed ilseno venoso; le arterie e le vene on-falomesenteriche che si trovano nelmesoderma splancnico ed infine, laparte più caudale e ventrale dell’em-brione ampiamente ripiegata con ilpunto d’origine dell’allantoide. Tra i plastici è possibile enumerare: – Apparato respiratorio umano (da

laringe a polmoni) dove si osservalo scheletro cartilagineo del larin-

ge costituito dalla cartilagine tiroi-dea, dall’ epiglottide, dalla cricoi-de e dalle due cartilagini aritenoi-dee, i bronchi rivestiti da anellicartilaginei e la loro ramificazionein bronchi lobari, zonali o segmen-tali e lobulari. I due polmoni, divisiil destro in tre lobi mentre il sinistroin due.

– Modello in gesso di sezione tra-sversale di cuore di Homo Sapiens.La sezione trasversale fa osservarela presenza di un setto longitudina-le che divide il cuore in due parti,destra e sinistra, e in due setti oriz-zontali che, in ciascuna parte, se-parano la porzione superiore (atri)da quella inferiore (ventricoli). Si

Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini” 151

Le collezioni

Plastico di equino della fine dell’800, dotato di un sistema di smontaggio per rendere visibili i muscoli profondi della cintura pel-vica e dell’arto inferiore.

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osservano inoltre le valvole bicu-spide o mitrale a sinistra e tricuspi-de a destra. La valvola tricuspide èformata da tre lembi triangolari dimembrana, la valvola mitrale dadue. In entrambe le valvole, le basidei lembi sono fissate in un solcoalla congiunzione tra l’atrio e il ven-tricolo, mentre il margine libero èancorato da sottili corde tendineeall’apice dei muscoli papillari, for-mazioni di tessuto muscolare chesi collegano con la loro base allepareti dei ventricoli. Le corde tendi-nee impediscono ai lembi valvolari,sotto la spinta della pressione delflusso sanguigno, di flettersi versogli atri. A livello del punto di con-nessione tra il cuore e i vasi san-guigni si osservano le valvole semi-lunari formate da tre lembi a forma

di mezzaluna, ricurve nella direzio-ne del flusso del sangue.

– Plastico di sezione trasversale deltronco di ruminante tra la 6a e 9avertebra toracica dove è possibileosservare sulla faccia caudale se-zioni dell’omaso, del reticolo e del-l’atrio del rumine.

– Plastico di muscoli profondi dellacintura pelvica e arto posteriore diequino.

– Tavola riportante la filogenesi dellamano di equino allestita dal prof. T.Mongiardino.

– Plastico apribile di stomaco e pre-stomaci di poligastrici.

– Utero di ruminante con feto.– Laringe e trachea con tiroide: vi-

sione ventrale - dorsale - e dorsalecon muscoli, grosso colon di equi-no (preparato a secco).

– Ossa del piede di cavallo con vasiarteriosi e venosi.

Crani, scheletri completidi mammiferi, ossae articolazioni di mammiferi

COLLEZIONE BALDASSARRE

È collocata in un armadio in legno difine ’800. Tale collezione, risalenteagli anni compresi tra il 1892 ed il1902, è rappresentata in particolarmodo da incroci di razze suine Jorks-hire e Casertana ciò si ricollega al fat-to che in questo periodo il prof. Bal-dassarre condusse numerose ricer-che sperimentali sulla gestazione esull’incrocio e il meticciamento di talirazze.

152 I Musei delle Scienze Agrarie

Sviluppo embrionale di pollo (ingrandi-mento).

Apparato respiratorio umano (da laringea polmoni), plastico.

Plastico di sezione trasversale del tron-co di ruminante.

Filogenesi della mano di equino. Plastico apribile di stomaco e prestoma-ci di poligastrici.

Utero di ruminante con feto.

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COLLEZIONE SCHELETROLOGICA

La collezione è sistemata lungo i latidel museo, in modo da creare un per-corso attraverso il quale è possibileosservare l’organizzazione scheletro-logica di vari animali. La collezionecomprende i seguenti preparati: – Camelus Dromedarius (var. Nu-

biana);– Bos taurus (R. Ayrshire);– Bos taurus (R. Shorthorn);– Bos taurus (R. Olandese);– Ovis aries;– Sus scrofa;– Capra hircus;– Equus asinus;– Equus caballus;– Homo sapiens;

– Canis familiaris;– Felis catus.

Inoltre, occupa varie vetrine una col-lezione di ossa intere o sezionate,esposte su tavolette o montate con fi-li metallici e una collezione di arcatedentarie, esposte su supporti in le-gno, di vari mammiferi domestici. Vifigurano inoltre parecchie articolazio-ni preparate a secco per mostrare le-gamenti e cartilagini.

Collezione di preparatiin formalina

Vasi in vetro che contengono i prepa-rati immersi in liquido conservativo

occupano ben 2 vetrine. Nel riordi-narli, si è provveduto a sigillarli congomma siliconica dopo aver riempitocon formalina.La Collezione didattica dei preparatiin formalina costituita da 40 esempla-ri tra organi di mammiferi domestici euccelli, è ancora oggi utilizzata a sco-po didattico.Nella sezione si annoverano: – vitello maschio nato a sette mesi;– lingua e laringe di grosso ruminante;– lingua di Ovis aries;– lingua di Capra aegagrus;– lingua di Bubalus bubalis;– laringe trachea ed esofago di Bos

africanus;– milza di verro di due anni e tre

mesi;

Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini” 153

Collezione Baldassarre. Forma teratologica di gatto.

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154 I Musei delle Scienze Agrarie

– milza di Bos Taurus;– milza di Ovis aries;– stomaco milza e fegato di Lepus

cuniculus;– milza di Canis familiaris;– timo di Vitello Bretonne;– reni di Canis familiaris;– fegato di Felis catus;– parotidi di Equus caballus;– orecchio esterno di Bos taurus;– cuore di Bos Taurus con foro di bo-

tallo;– cuore di giovenca;– polmoni di Ovis aries;– cuore e polmoni di Felis catus;– origine delle arterie di Equus ca-

ballus;– porzione dell’aorta addominale di

Equus caballus;– palato di Bos Taurus;– palato di Bubalus bubalis;– senia solium;– larve di Oestrus equi;– ascaradi di equino;– mammelle di bovina;– pene di toro;– utero di vacca;– feto equino di razza russa;– embrione di Sus scrofa;– embrione di bovino;– embrione di equino;

– feto di bovino;– feti di suino;– feto di pecora;– feto di pecora;– feti a termine di coniglio;– forma teratologica di gatto.

Animali imbalsamati

La presenza in un’area ristretta dicompetenze anche zoologiche aiutainoltre a ricostruire quella unità delsapere che tanta importanza rivesteoggi. Alla visione del Museo chiuso inse stesso, deposito di animali imbal-samati, si sostituisce così un nuovomodo di intendere la cultura musealedi tipo naturalistico: gli oggetti diven-tano quasi un pretesto per racconta-re la storia naturale, per far capire l’e-voluzione biologica e quale sia il po-sto dell’uomo nell’ambiente. La colle-zione comprende: sei conigli di razzacanadese, un fagiano argentato, unabeccaccia di mare, un’oca delle nevi,una gallina faraona, un pavone, duefuretti, due gatti soriani, un gatto sel-vatico, un cane, un riccio, un mus de-cumanus, un rospo, 1 faina, 1 testa dicinghiale.

Preparati in gesso di testedi suini e cinghiali

Modelli in gesso di teste di suini ecinghiali occupano parte delle paretidel Museo. Di particolare rilievo vi so-no delle fedelissime riproduzioni agrandezza naturale di teste di suini dirazza Siciliana, Cappuccia (razze au-toctone in via di estinzione) e incrocidi Yorkshire x Large-white (razze diderivazione estera selezionate in Ita-lia secondo le esigenze dell’alleva-mento italiano).

Attrezzi di mascalciae medicina operatoria

La raccolta è ospitata in quattro vetri-ne. Sono conservati strumenti chirur-gici veterinari, coevi e posteriori allanascita delle Scuole Europee di Me-dicina Veterinaria, che illustrano l’e-voluzione delle terapie chirurgichedei grandi animali, soprattutto del ca-vallo e testimoniano il nascere e mu-tare dei quadri patologici degli ani-mali.La maggior parte degli strumenti chi-rurgici può essere datata prima del

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Il Museo Anatomo-Zootecnico “Tito Manlio Bettini” 155

XIX secolo. Molti di essi sono stati for-giati a Torino da L. Boggio, a Bresciada G. Fugini a Berlino da Hauptner.Tutti gli strumenti sono estremamenteinteressanti dal punto di vista storico,ma l’aspetto più affascinante è la cu-ra e l’abilità con cui sono stati realiz-zati, al fine di raggiungere un elevatogrado di perfezione. Si annoverano:– la Tenaglia del Bassi utilizzata per

la castrazione delle vacche;– la Tenaglia di Burdizzo;– uncini chirurgici;– troncadenti;– lancetta per salassi;– trequarti;– siringhe per lavande vaginali;– siringhe per infusione endovenosa.

È esposta nel Museo una collezionedi attrezzi di mascalcia e una notevo-le collezione di ferri da cavallo che di-mostra l’abilità dei maniscalchi nellaferratura dei cavalli. La storia dellaferratura mostra un grande interesseverso i cavalli, così importanti perl’uomo nelle battaglie, nel lavoro, neiviaggi e, al giorno d’oggi, nello sport.

Cataloghi di registrazione

La collezione raccoglie cataloghi delXIX secolo di registrazione per il de-posito degli animali e la produzionedi latte e latticini.Esposta in 2 vetrine la collezione haparticolare importanza poiché permet-te di conoscere parte degli animali edelle produzioni presenti a fine ’800nella Regia Scuola per l’Agricoltura.Si annoverano:– Bovini - Registro del latte (1888);– Bovini - Registro matricola dei ma-

schi (1888);– Bovini - Registro matricola delle

femmine (1888);– Bovini - Registro della riproduzione

(1888);– Bovini - Registro dei vitelli (1888);– Suini - Registro matricola della

femmine;– Registro latte e latticini I (Settem-

bre 1891);– Registro arredamenti azienda zoo-

tecnica (Settembre 1891);– Registro cassa (Settembre 1891);– Registro del magazzino - lettimi e

mangimi (Febbraio 1891);

– Proventi dell’azienda zootecnica(Settembre 1891).

Collezione di stampe del XIXe del XX secolo

Alle pareti del Museo si ammirano ta-vole anatomiche di particolare inte-resse storico raffiguranti vari organi dimammiferi domestici, e una collezio-ne di quadri e stampe raffiguranti siaanimali di interesse zootecnico siasezioni anatomiche di vari organi.Queste ultime furono acquisite pres-so una ditta tedesca, specializzatanel settore, negli anni compresi tra il1850 ed il 1860. Una vetrina è occupata da una rac-colta di bilance di epoche diverse(dal XVII al XIX secolo), di un proiet-tore a fuoco con lastre fotograficheraffiguranti animali di interesse zoo-tecnico, e una collezione di vetrini dipreparati istologici di alto valorescientifico.

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Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini”

Autori

Salvatore Faugno, Alessandro Santini

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Nella pagina precedente, tecnica di esecuzione dell’aratura funicolare con l’impiego di 2 locomobili. Da McLaren’s improvedsteam ploughing machinery - Double engine system, 1875.

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Il museo di Meccanica Agraria dellaFacoltà di Agraria di Portici è intitola-to alla memoria del prof. Carlo Santi-ni (Napoli 1895 - Milano 1963) checon grande dedizione raccolse lamaggior parte delle macchine colle-zionate.L’ing. Carlo Santini nel 1928, a soli 33anni, conseguì la cattedra di Mecca-nica agraria di Portici, dove già da al-cuni anni svolgeva la sua attività di ri-cerca sotto la guida del prof. D. G.Mayer. Per oltre 40 anni si dedicò al-le ricerche e all’insegnamento nellaFacoltà di Portici, di cui fu presideper due trienni.

Il contributo del professore Santiniagli sviluppi della meccanizzazioneagricola è stato decisivo e lasciatraccia profonda. Restano fonda-mentali non solo nel nostro Paese,ma anche per gli specialisti stranie-ri, i risultati delle sue ricerche speri-mentali sulla trattrice agricola avvia-te nel 1930 con una metodologia ori-ginale che permetteva di esploraretutti gli aspetti meccanici del com-plesso problema della trazione suterreno agrario. Tali risultati rappre-sentarono la premessa per gli studisistematici sulle trattrici agricole.Carlo Santini estese il suo interesse

a tutti gli aspetti dell’ingegneriaagraria, da quelli delle costruzionirurali a quelli della bonifica idraulicae dell’irrigazione. Nel 1941 iniziò lasua opera di bonificatore quale Pre-sidente del Consorzio di Paestum,dove restano le opere a testimoniaredella sua profonda competenza edella sua sensibilità per i problemisociali dell’agricoltura. Fu anche permolti anni membro autorevole dellagiunta della Associazione Nazionaledelle Bonifiche, Irrigazioni e dei Mi-glioramenti fondiari e presidentedella Circoscrizione Campana, pre-sidente dell’Opera per la Valorizza-

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Storia e descrizione

Il professore Carlo Santini in una presentazione del carro dinamometrico, al primo raduno di Tecnici Agricoli a Portici (1932).

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zione della Sila e nel 1954 fondò l’I-stituto per Studi e Ricerche di Inge-gneria agraria, di cui ambiva fare unCentro di studi e un vivaio per la for-mazione di giovani ricercatori. Mem-bro fondatore della “Commission in-ternazionale du Gènie rural” di Pari-gi, costituì l’affiliata Associazione ita-liana di ingegneria agraria di cuivenne eletto presidente.Già a partire dagli anni ’30 si adope-rò alla raccolta e allestimento di unacollezione di macchine agricole, l’at-tuale Museo di Meccanica agraria,oggi collocato nell’ala nord dellaReggia di Portici. Inizialmente la col-lezione nacque per scopi divulgativie didattici, in particolare vi furono col-locate gran parte delle macchine uti-lizzate nel “campo di Cerignola”, do-ve gli studiosi di varie discipline spe-rimentavano e valutavano le nuovetecniche di coltivazione che si anda-vano affermando proprio grazie all’u-so delle macchine. Il Museo intitolato a Carlo Santini, te-stimonia le conquiste scientifiche etecnologiche della meccanica agra-ria, che hanno determinato il notevo-le sviluppo e le grandi innovazionidell’agricoltura dell’età moderna. Letrasformazioni in questo settore han-no radicalmente modificato le basisocio-economiche della realtà agri-

cola inducendo una progressiva evo-luzione dell’agricoltura da attività fra-zionata e ad elevato impiego di ma-nodopera in attività meccanizzata,anche su vaste estensioni, con scar-so ricorso a risorse umane. Nel Novecento l’evoluzione ed il pro-gresso scientifico della meccanicaagraria non è continuo né omogeneoma appare di volta in volta condizio-nato dai mutamenti dell’agricoltura edella società. Nei primi anni del No-vecento l’impiego delle macchinestenta ad affermarsi perché vieneconsiderato rivoluzionario per l’equili-brio che si era consolidato nell’eco-nomia del sistema agricolo. Solo l’au-mentato bisogno di produrre vettova-glie durante il primo conflitto mondia-le determina i primi sviluppi della tra-zione meccanica e delle macchineper la lavorazione del terreno, cuifanno seguito le macchine combinateper la raccolta dei cereali. Nella se-conda metà del secolo l’esodo ruralee le esigenze competitive di un mer-cato che si andava allargando con-sentono l’affermazione definitiva dellameccanizzazione come elemento es-senziale dell’economia agraria. Si èassistito pertanto all’introduzione sulmercato di sempre nuove macchine,adatte anche alle aziende medie epiccole, alcune capaci di eseguire le

operazioni più delicate con precisio-ne sorprendente. Gli esemplari più rappresentativi delMuseo vanno dalla seconda metàdell’Ottocento fino alla prima metàdel Novecento, tra questi hanno unposto di rilievo le macchine motricitra le quali ricordiamo alcune loco-mobili per la trazione funicolare, trat-trici cingolate a trazione elettrica euna trattrice a quattro ruote motricidel 1950.Importante è la raccolta di aratri, apartire dall’aratro chiodo, ancora inlegno e destinato alla trazione anima-le, per arrivare, nelle epoche succes-sive, a quelli in cui compare il vome-re quale elemento rovesciatore deglistrati di terreno. Tra le altre macchine per la lavorazio-ne del terreno ricordiamo un coltivato-re ad elementi rigidi (modello Oliver31), un coltivatore ad elementi flessi-bili (modello Oliver T.P.B.), e vari tipi dierpici. Sono altresì presenti i primissi-mi esemplari di macchine seminatricia righe, di trapiantatrici, falciatrici etrebbiatrici operanti a punto fisso.Osservando la collezione museale èpossibile ripercorrere la storia dellameccanizzazione agricola che hasvolto un ruolo fondamentale anchenella trasformazione del paesaggiorurale.

162 I Musei delle Scienze Agrarie

Prove di trazione con carro dinamometrico, presso la Facoltà di Agraria di Portici.

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Poco significativi alla fine del XIX se-colo sono stati i progressi raggiuntinel campo della meccanica agraria;solo ad iniziare dalla metà dell’Otto-cento, sulla scia della rivoluzione in-dustriale, si riscontrano alcune inven-zioni destinate ad assumere nel tem-po un ruolo trainante nello sviluppodella meccanica agraria, potendosiregistrare anteriormente a questa da-ta solo ingegnosi sistemi rudimentali. Per millenni l’agricoltura si era servitadel classico discissore rappresentatodall’aratro chiodo. L’evoluzione dell’a-ratro, finalizzata al soddisfacimento diuna nuova tecnica colturale che ri-chiedeva il capovolgimento deglistrati di terreno, fu tarda. Va all’abateLambruschini (1832) il merito di avere

individuato la superficie che avrebbefatto realizzare un’uniforme rotazione,ed al Ridolfi (1845) di aver dato con-sistenza a questa intuizione medianteconsiderazioni matematiche e la di-stinzione nel versoio di due parti: ilcorpo principale e l’appendice. La trazione meccanica delle operatri-ci agricole iniziò in Italia, come ancheall’estero, con apparecchiature funi-colari che trasmettevano agli attrezziil movimento mediante un cavo azio-nato da una locomotiva fissa lungo lacapezzagna. Un apparecchio di que-sto tipo fu sperimentato nel 1872 nel-l’Agro romano per conto del Ministerodell’Agricoltura. La trazione meccanica diretta iniziò,invece, nel 1874 con l’idea di Pietro

Cereso Costa di utilizzare una loco-motiva impiegata per il traino dei can-noni e dei carri del Genio Militare. Lanecessità di fare avanzare la locomo-tiva su terreno non lavorato, per noncompromettere la scarsa aderenzadella macchina, determinava il tirodeviato degli aratri e difficoltà di gui-da. Lo sbandamento laterale vennecorretto con l’applicazione alle ruoteanteriori della motrice di opportuni di-schi taglienti (armille), dispositivo poidivenuto di uso comune nelle primetrattici agricole. A queste innovazionisono da aggiungere, sempre nel se-colo scorso, esempi di macchine perla semina ed il trapianto, di macchineper la raccolta dei foraggi e le mieti-trici, nonché le trebbiatrici e quelle

Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini” 163

La meccanica agraria alla fine dell’Ottocento

Aratro Lambruschini in grado di assicurare un’uniforme capo-volgimento della fetta.

Locomobile per trazione funicolare.

Altro esempio di locomobile per trazione diretta.Trazione diretta con locomotiva stradale.

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per l’epurazione e la cernita dei semi.Anche in questi casi si trattò spessodi prototipi o di brevetti, ma le relativetecnologie hanno stentato molto adessere introdotte in agricoltura anchesolo per applicazioni limitate. Tra le macchine di maggior pregiopresenti nella rassegna museale e ri-salenti a questo periodo storico ab-biamo il Maneggio a piano inclinatoad un cavallo, la Locomobile, la Sfo-gliatrice-sgranatrice e l’Aratro da fon-do a vapore a due solchi.

Maneggio a piano inclinatoad un cavallo(1886 costruttore Fortin Freres Con-strueteurs - Montreal Seine Marine -Brevettes S.G.D.G.)

Risalente alla seconda metà dell’Ot-tocento il maneggio a piano inclinatoè un “motore” azionato dall’energiamuscolare di uno o più animali (ca-valli o buoi), in grado di sviluppare al-la puleggia la potenza necessaria al-l’azionamento di macchine motricioperanti a punto fisso. Questa mac-china anche se è ancora parte inte-grante di un’agricoltura che fa uso dilavoro manuale ed animale, tuttavia,

per alcune caratteristiche meccani-che (potenza meccanica fornita allapuleggia, impiego di regolatore di ve-locità, ecc.), si collega all’epoca mo-derna e può rappresentare il primopasso verso la meccanizzazioneagricola.Il cavallo veniva introdotto in unagabbia di legno il cui pavimento è co-stituito da un pianale mobile munitodi traversine in legno e da due seriedi rotelle di ghisa, collegate tra loro ein grado di scorrere su binari laterali.Il cavallo nel camminare metteva inmovimento il tappeto il quale aziona-va, mediante un sistema di trasmis-sione con ruote dentate, la puleggiamotrice. Nel catalogo allegato veni-vano riportati i risultati di prove di po-tenza ottenibili in varie condizioni difunzionamento del maneggio.

Sfogliatrice-sgranatrice(ditta Casali di Suzzara 1899)

Nell’ambito della meccanizzazionedelle operazioni di post-raccolta trale macchine per i cereali nel museo èpresente un modello di Sfogliatrice-sgranatrice risalente al 1899. Lamac china ha un ciclo operativo che

non si discosta sostanzialmente daquello delle attuali macchine; si ritro-va infatti il gruppo trebbiante battito-re-griglia con spranghe in ghisa, gliscuotipaglia e il gruppo di pulizia conventilatore e crivelli. Elementi realiz-zati prevalentemente in legno ma nonper questo diversi da quelli che tro-viamo nelle attuali mietitrebbia di tipoconvenzionale.

Locomobile

La comparsa della locomobile segnal’ingresso dei motori termici nellaproduzione agricola. Queste mac-chine comprendevano una caldaia avapore, per lo più a tubi di fumo. Lafornace veniva alimentata con pagliao con legna. La potenza sviluppataera variabile dai 5 ai 40 CV (equiva-lenti a circa 4-30 kW). La macchinaveniva trainata sul luogo di lavorodagli animali per poi operare a puntofisso.L’introduzione dei motori a vaporeconsentì lavorazioni del terreno a no-tevoli profondità con grossi aratri peraratura funicolare, l’azionamento dipompe, molini. Inoltre, diede un ulte-riore impulso alla meccanizzazione

164 I Musei delle Scienze Agrarie

Maneggio a piano inclinato ad un caval-lo. Da catalogo della Ditta Fortin Frères,Montereal, 1886.

Maneggio a piano inclinato ad un cavallo (1886).

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Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini” 165

Locomobile del 1887, ditta “Marshall Son & C. England”. Locomobile del 1887: particolare del re-golatore di velocità.

Cantiere di lavori agricoli con l’impiego di una locomobile (1889) da una stampa dell'epoca.

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166 I Musei delle Scienze Agrarie

Sfogliatrice-sgranatrice senza protezioni laterali. Aratri da fondo a vapore (1894).

Tecnica di esecuzione dell’aratura funicolare con l’impiego di 2 locomobili.

Sfogliatrice-Sgranatrice della ditta Casali di Suzzana (1899).

Schema funzionale della Sfogliatrice-Sgranatrice. Da catalogo1898.

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delle operazioni di post-raccolta conl’azionamento di macchine per la la-vorazione dei cereali. Tre gli esem-plari di locomobile presenti nel mu-seo, tra cui, il più pregevole, è risa-lente al 1887 e prodotto dalla ditta“Marshall Son & C. - England” (1887).

Aratro da fondo a vaporea due solchi (1894)

Denominazione originale dell’epocaoggi traducibile in “aratro bivomere ditipo voltaorecchio per aratura alla pa-ri”. L’utilizzo di questo strumento fureso possibile dalla diffusione dellelocomobili che sostituirono la trazione

animale con quella meccanica; il si-stema di aratura rimane di tipo funi-colare, diffuso verso la fine dell’Otto-cento. Le tecniche di esecuzione sidifferenziavano in base all’utilizzo diuna o due locomobili. Queste aziona-vano l’aratro mediante cavi di ac-ciaio. I sistemi che utilizzavano unamacchina a vapore facevano ricorsoai carri d’argano a due tamburi oltreche a puleggie di rinvio disposte sulterreno. Una maggiore quantità di la-voro era ottenuta con l’utilizzo di duelocomobili. In alcuni cataloghi dell’e-poca questo sistema di aratura e lerelative attrezzature necessarie allasua pratica veniva denominato “ap-parecchio di aratura a vapore”; ciò

sta a sottolineare che la sua utilizza-zione era indiscindibile dalle locomo-bili, quali macchine in grado di tra-sformare energia termica, prodottadalla combustione, in energia mec-canica. Nel museo è presente un ara-tro bivomere a bilanciere, risalente aiprimi del Novecento, munito di siste-mi per la regolazione della profonditàdi lavoro e di livellamento. Inoltre, nel-l’archivio cartaceo vi sono diversi at-testati di merito che gli imprenditoriagricoli dell’epoca inviavano alle ditteproduttrici di questi macchinari, cosìcome risultati di prove comparativetra l’aratura eseguita mediante trazio-ne animale con quella eseguita a va-pore.

Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini” 167

Tecnica di esecuzione dell’aratura funicolare con una locomobile e l’impiego di un carro d’argano e una puleggia di rinvio.

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168 I Musei delle Scienze Agrarie

I primi anni del Novecento furono an-cora caratterizzati dallo sviluppo del-le locomobili a vapore. Nel frattemposi facevano altresì strada le prime ap-plicazioni dell’energia elettrica inagricoltura per la trazione dell’aratro.La disposizione scelta in genere eraquella del sistema funicolare, dove ilmotore a vapore veniva sostituito daquello elettrico, ed erano stati ancheproposti impianti leggeri, di modestapotenza, adatti per le lavorazioni inambienti collinari. Successivamentefurono sperimentati sistemi di araturadiretta con trattrici azionate da moto-ri elettrici, ma i rilevanti costi dell’at-trezzatura, che doveva prevedereuna rete di distribuzione dell’energiaelettrica all’interno dell’azienda agra-ria, le elevate spese di manutenzionee la bassa produttività del lavoro, fe-cero ben presto abbandonare questetecniche. Le prime macchine operatrici intro-dotte in questo periodo furono essen-zialmente trainate da bovini o equinie furono spesso adottate ingegnosesoluzioni per consentire la movimen-tazione degli organi operatori colle-gandoli mediante trasmissioni, preva-lentemente a catena o ad ingranaggi,alle ruote metalliche portanti dotate diorgani di aggrappamento al terreno. Per favorire l’affermazione delle inno-vazioni nel settore rurale, di grandeutilità furono i concorsi indetti dal Mi-nistero dell’agricoltura dopo la co-struzione del Regno di Italia, che nonfurono solo rassegne di idee e di no-vità ma stimolarono utili dibattiti e ri-lievi tra i tecnici e fecero individuareproblemi specifici da studiare e da ri-solvere.La trazione meccanica diretta dellemacchine agricole si diffuse soltantocon l’impiego dei motori a combustio-ne interna, dopo i concorsi di Parma(1913) e di Vercelli (1914) nei quali sividero, a fianco di trattrici americanee tedesche, prototipi di concezioneitaliana a cingoli ed a ruote.

Furono poi le necessità della primaguerra mondiale: di consentire il trai-no dei cannoni e di assicurare le la-vorazioni dei campi privati di uominivalidi, chiamati al combattimento,che determinarono gli ulteriori svilup-pi e perfezionamenti in Italia. Nel1917 l’ingegnere Pavesi ideò la pri-ma trattrice a quattro ruote motrici;nel 1918 fu istituito il Servizio di Mo-toaratura di Stato; nel 1919 la Fiat ini-ziò la costruzione delle trattrici a ruo-te con il modello 702 a petrolio; nel1921 la ditta Lanzi immise sul merca-to la prima trattrice a ruote con moto-re semidiesel a testa calda; nel 1932la Fiat produsse la prima trattrice acingoli. Dopo gli anni Venti, non potendosi ri-tenere valide le esperienze acquisiteper i veicoli a trazione meccanica sustrade ordinarie e ferrate, gli studiosisi preoccuparono di approfondire leconoscenze sul modo con cui la trat-trice estrinsecava il suo lavoro su ter-reno cedevole. La complessità del fe-nomeno rese la trattazione teoricanon sufficientemente rappresentativae di scarso valore applicativo. Per-tanto, presso l’Istituto di MeccanicaAgraria di Portici furono condotte ri-cerche, di carattere eminentementesperimentale, con lo scopo di indivi-duare i fattori che limitavano la capa-cità di trazione delle macchine, distabilirne i limiti di variazione, di trac-ciare un bilancio dinamico completodelle trattrici in pieno campo. Per individuare la capacità massimadi trazione venne utilizzato un indice,detto di aderenza, definito dal rap-porto tra la potenza massima al gan-cio, ritraibile su un dato terreno oriz-zontale, ed il peso della trattrice. Taleindice veniva determinato con unospeciale argano-freno ed un carrellodinamografico attraverso prove spe-rimentali condotte incrementandogradualmente la sollecitazione algancio delle trattrici finché il motorenon avesse dato segni di insufficien-

za, oppure si fossero raggiunti valorieccessivi dello slittamento. Il metodo seguito a Portici fu poiadottato in diversi Istituti di ricerca edi risultati rappresentarono un apportoconcreto per lo sviluppo della mec-canica agraria. Presso l’Istituto di Meccanica Agrariadi Portici furono anche messi a puntooriginali apparecchiature di misurada applicare agli alberi delle ruotemotrici che consentirono di tracciareper la prima volta le curve caratteri-stiche del comportamento delle trat-trici funzionanti in pieno campo. Furo-no poi eseguite ricerche per rilevarel’influenza del tipo di motore sul com-portamento delle trattrici. Successivamente si andarono anchediffondendo le prime macchine ope-ratrici ad accoppiamento meccanico,per la lavorazione del terreno, per lasemina e la raccolta delle produzionierbacee nonché per alcune opera-zioni post-raccolta a punto fisso, qua-li la trebbiatrice e l’imballatrice. Fuinoltre introdotto l’accoppiamento altrattore mediante attacco a tre punti. Le ricerche sull’aratura meccanicafurono prevalentemente a caratteresperimentale e considerarono nonsolo l’aspetto dinamico ma anche laqualità ed i suoi effetti sulle coltiva-zioni. Le ricerche più complete in Ita-lia furono quelle che si svolsero incollaborazione tra agronomi, batterio-logi e meccanici agrari presso ilCampo Sperimentale di Cerignola,dove fu condotto uno studio compa-rativo tra le varie macchine operatriciper la lavorazione del terreno. Le conclusioni dello studio si dimo-strarono favorevoli nettamente aglistrumenti rovesciatori e fornironoun’idea precisa dell’energia richiestadalle varie categorie di macchineoperanti in una stessa condizione.So no inoltre da segnalare gli studicomparativi tra falciatrici e quelli ese-guiti su mietitrici legatrici nel camposperimentale dell’Istituto di Meccani-

La meccanica agraria nella prima metà del Novecento

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Il Museo di Meccanica Agraria “Carlo Santini” 169

ca agraria di Portici, che permiserodi stabilire il legame tra l’energia as-sorbita per ettaro in funzione della re-sa della coltura e la lunghezza dellasega. Le trebbiatrici, introdotte all’inizio delsecolo, furono particolarmente stu-diate per disposizione promossa dalComitato permanente del Grano, edalla loro diffusione si accompagnaro-

no perfezionamenti specialmente peradattarle alla trebbiatura di nuovi gra-ni precoci. L’Istituto di MeccanicaAgraria di Portici condusse ricerchetendenti a stabilire le perdite di gra-nella e le caratteristiche di commer-ciabilità del grano raccolto con varimetodi. Avendo queste ricerche findall’inizio posto in evidenza che i li-miti di variazione delle perdite erano

abbastanza distanti, si volle precisa-re l’importanza dei vari fattori che in-fluiscono sulle perdite stesse. Si stu-diò così l’influenza della portata edella modalità di alimentazione, delladistanza tra battitore e controbattito-re, della velocità del battitore e del re-lativo grado di irregolarità, della por-tata del ventilatore e delle caratteristi-che del motore.

Prove di trazione con argano freno, eseguite presso i campisperimentali dell’Istituto di Meccanica Agraria.

Fresatrice Siemens con apparecchio dinamografico.

Trattrice Massey Harris, con quattro ruote motrici isodiametri-che (1920).

Trattrice Cassani 40 HP con motore diesel a due tempi.

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Nella seconda metà di questo seco-lo la gestione ancestrale dell’aziendaagraria è stata completamente tra-sformata per il continuo e massiccioesodo dalle campagne della mano-dopera e la meccanizzazione si af-fermò definitivamente come elemen-to essenziale per far fronte alle nuo-ve esigenze competitive di un mer-cato che si andava allargando e cherisultava sempre più diversificato emutevole, con la conseguente ne-cessità di contenere i costi di produ-zione. Al crescere della loro diffusione, letrattrici vennero sempre più conside-rate non come mezzo per eseguiresolo alcune operazioni ma come lasorgente motrice per azionare tutte lemacchine sia in campo sia presso icentri aziendali. Pertanto dalla metàdegli anni Sessanta si cominciò adavvertire l’esigenza di una più razio-nale utilizzazione delle macchineagricole allo scopo di sfruttare nel mi-glior modo possibile la disponibilitàdi forza motrice e di velocità dei nuo-

vi mezzi in continua evoluzione. Ven-nero abbandonate le colture promi-scue ed aumentò la grandezza degliappezzamenti e quella delle macchi-ne, caratterizzate da una sempremaggiore capacità di lavoro. Iniziòuna graduale meccanizzazione ditutte le operazioni agricole, ivi com-prese quelle di raccolta, specie per iprodotti da industria, favorita dallenuove strutture aziendali e dai nuoviordinamenti colturali molto più elasti-ci e più adatti alle esigenze del mer-cato. Mutuandoli dal comparto industriale,si iniziarono ad applicare in agricoltu-ra i principi dell’organizzazione dellavoro e delle macchine come mezzoper ridurre i costi di produzione. Ven-nero definite metodologie su comevalutare e scegliere le catene di mac-chine in relazione alle esigenze ope-rative ed economiche aziendali se-guendo criteri di tempestività degliinterventi, anche in considerazionedei tempi necessari per lo svolgimen-to delle diverse operazioni.

Negli anni dal ’60 all’80 si è assistitoad un grande balzo in avanti dellameccanizzazione, specie con riferi-mento alle produzioni erbacee dimaggiore diffusione e che presenta-vano problemi di più facile risoluzionetecnica. Questo vale per tutte le ope-razioni, dalla preparazione del letto disemina alla raccolta, riguardanti i ce-reali, i foraggi ed alcune ortive da in-dustria. Per queste colture la mecca-nizzazione integrale ha consentito diaumentare mediamente la produttivitàdel lavoro dell’uomo di circa 6-7 volterispetto all’immediato dopoguerra. Per la gestione razionale dei parchimacchine sono stati utilizzati sistemie procedure informatiche sempre piùefficienti, mentre ha fatto la sua com-parsa l’elettronica a controllo attivonelle macchine agricole. Infine glistudi ergonomici hanno consentito diottimizzare il posto di guida per ren-derlo sempre più confortevole mentrel’introduzione di telai e di cabine diprotezione ne hanno migliorato la si-curezza.

170 I Musei delle Scienze Agrarie

La meccanica agraria nella seconda metà del Novecento

Le macchine e la trasformazione del paesaggio.

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Strumentazioni scientifiche

Autori

Ennio Del Vasto – Carmine Amalfitano, Pietro Violante – Anna Maria Carafa, Paolo Pizzolongo

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Nella pagina precedente, particolare di neo-clisigonimetro (Gaetano Spano, Napoli 1892).

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All’atto dell’istituzione della ScuolaSuperiore di Agricoltura, si era av-vertita la necessità di sviluppare l’in-segnamento delle discipline sia delDisegno che della Topografia. Il cor-so di Disegno fu istituito contestual-mente alla Scuola, mentre quello diTopografia costituì dapprima un cor-so speciale ed in seguito venne re-so obbligatorio. Nel regolamento in-terno della Scuola, anno 1877, ilcorso assunse la denominazione di“Agrimensura” ed era frequentatodagli allievi del 3° anno, sviluppan-dosi in 3 ore di lezione e 4 di eserci-tazione di agrimensura e disegnotopografico.Quando nel 1924-25 la Scuola preseil nome di Istituto Superiore Agrarioalle dipendenze del Ministero dell’A-gricoltura, il corso assunse il nome di“Topografia” e veniva seguito dagliallievi del 2° anno, con due ore setti-manali di lezioni e tre ore di esercita-zioni.Alla fine dell’anno scolastico si svi-luppavano le esercitazioni finali delladisciplina; nel corso di una settimanagli allievi eseguivano un rilievo com-pleto celerimetrico ed una livellazio-ne geometrica in un terreno nelleadiacenze della sede dell’Istituto.

Al laboratorio di Topografia furono ri-servati ampi saloni rivolti a mezzo-giorno, nella parte centrale del Palaz-zo Reale, sede dell’Istituto.Il sapere scientifico dell’epoca avevaavvertito l’esigenza di insegnare ifondamenti della scienza e della tec-nica del rilevamento, attraverso i me-todi operativi e di calcolo utili al rilie-vo e alla rappresentazione cartogra-fica dei punti della superficie terre-stre.Al dottore agronomo era indispensa-bile fornire, per la gestione del territo-rio rurale, in forma piana e facilmenteaccessibile, ma con completezza erigore, prima di tutto i concetti diGeoide o superficie matematica dellaterra, di campo geodetico e di cam-po topografico.Ai concetti esposti in forma elemen-tare della geodesia dovevano poi se-guire le tecniche di rilevamento erappresentazione del territorio ruralecon i rilevi planimetrici ed altimetrici, imetodi dell’agrimensura per la misu-ra, la divisione delle superfici agrarie,e la rettifica dei confini, i metodi per iltracciamento di strade, canali, arginied, infine, dopo gli anni trenta, le tec-niche per gli atti di aggiornamentocatastali.

Poiché ogni operazione topograficarichiede l’uso di strumenti, semplici ocomplessi in funzione della finalitàdel rilievo, necessari alla misura di di-stanze, angoli e dislivelli, vi è statonel corso degli anni un costante inte-resse per l’acquisto di strumentazio-ni, a volte semplici e a volte comples-se, di alta precisione; tutto questo,grazie al continuo e prezioso impe-gno di insigni docenti che si sono av-vicendati nel corso degli anni.Grazie ad essi, quali il prof. EugenioGalli, Carlo Santini e Eduardo Can-cellara, oggi la Facoltà di Agrariavanta il possesso di una splendidaraccolta di strumenti topografici anti-chi, costruiti tra la seconda metà del1800 e la prima metà del 1900, cherappresenta una preziosa testimo-nianza della tradizione culturale dellaScuola.Gli esemplari riguardano circa 40strumenti, ben conservati presso ilDipartimento di ingegneria Agrariaed Agronomia del Territorio, realizzatida primarie case dell’epoca, quali:KERN (CH), OTTO FENNEL SOHNE(D), TROUGHTON e SIMMS (GB),SALMOIRAGHI (I), ZEISS (D), SPA-NO (I) e GARGIULO (I), con questeultime due di origine napoletana.

Strumentazioni scientifiche 175

Sezione di TopografiaEnnio Del Vasto

Sala degli strumenti del Laboratorio di Topografia e Idraulica.Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

Lezione di Topografia tenuta nella sala da disegno. Da Il Re-gio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

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Gli strumenti, utilizzati per la misuradi angoli, distanze e dislivelli si diver-sificano in squadri semplici e gradua-ti, bussole topografiche a cannoc-chiale, planimetri, diottre a traguardoe a cannocchiale, clisimetri, plesiote-

lescopi, livelli, tacheometri, teodoliti,ed altro.L’elenco, diviso per categorie, è ri-portato nella tabella, con una brevedescrizione dello strumento.

Si ringrazia l’Ing. Antonio Coppolaper la preziosa collaborazione pre-stata nella ricognizione degli stru-menti topografici.

176 I Musei delle Scienze Agrarie

Categoria Descrizione

SQUADRI SQUADRO A CANNOCCHIALE CON ECCLIMETRO (Gargiulo - NA); strumento per tracciareallineamenti ad angoli retti o semiretti o per la misura di angoli orizzontali, verticali e di distanzetopografiche.SQUADRO A SPECCHIO; strumento per tracciare allineamenti ad angolo retto, basato sulprincipio della doppia riflessione della luce.SQUADRO AGRIMENSORIO CON BUSSOLA; strumento per tracciare allineamenti ad angoliretti o semiretti e per la misura di azimut magnetici.SQUADRO AGRIMENSORIO SFERICO; strumento per tracciare allineamenti ad angoli rettio semiretti, adatto per terreni inclinati di montagna.SQUADRO AGRIMENSORIO TRONCO-CONICO; strumento per tracciare allineamenti ad angoliretti o semiretti.SQUADRO GRADUATO A CANNOCCHIALE CON ECCLIMETRO (Spano); strumento pertracciare allineamenti ad angoli retti o semiretti o per la misura di angoli orizzontali, verticali.e di distanze topografiche.SQUADRO GRADUATO; strumento per tracciare allineamenti ad angoli retti o semiretti eper la misura di angoli orizzontali.

BUSSOLE BUSSOLA TOPOGRAFICA A CANNOCCHIALE; strumento per la misura degli azimut magnetici.

(segue)

Diottra a cannocchiale di focale 330 mm per tavoletta pretoriana (goniografo); il cerchio verticale con microscopio a nonio ha lagraduazione estesa in gradi e mezzi gradi da 0°a 90° per ciascuno dei quattro quadranti; livella torica all’alidada - Gaetano Spa-no, Napoli 1892 (Strumento goniografo per il rilevamento, con coordinate polari, direttamente sul foglio da disegno).

Tipologie di strumenti topografici.

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Strumentazioni scientifiche 177

Categoria Descrizione

PLANIMETRI PLANIMETRO POLARE mod. 236; strumento per la misura meccanica delle superficitopografiche, rappresentate graficamente.PLANIMETRO POLARE; strumento per la misura meccanica delle superfici topografiche,rappresentate graficamente.

DIOTTRE DIOTTRA A CANNOCCHIALE PER TAVOLETTA PRETORIANA (Spano, NA); strumento goniografoper il rilevamento, con coordinate polari, direttamente sul foglio da disegno.GONIOPROFILOGRAFO PER TAVOLETTA (Zeiss).

CLISIMETRI CLISIGONIMETRO (Spano); strumento per la misura di angoli orizzontali, pendenze,distanze Topografiche e dislivelli.CLISIMETRO A TRAGUARDO; strumento per la misura delle pendenze.

PLESIOTELESCOPI PLESIOTELESCOPIO (Salmoiraghi); cannocchiale terrestre ridotto, ideato dal matematicoNicodemo Iadanza, ad asse di collimazione verticale.

LIVELLI LIVELLO (Brunner); strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misura dei dislivellie anche delle distanze topografiche.LIVELLO (Chezy); strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misura dei dislivellie anche delle distanze topografiche.LIVELLO (Egault); strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misura dei dislivellie anche delle distanze topografiche.LIVELLO (Lenoir) (Gargiulo, NA); strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misuradei dislivelli.LIVELLO (Zeiss) n°3256; strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misura deidislivelli e anche delle distanze topografiche.

TEODOLITI TEODOLITE (Troughton e Simms); strumento universale di precisione per la misura di angoliorizzontali e verticali.TEODOLITE INGLESE (Troughton e Simms); strumento universale di precisione per la misuradi angoli orizzontali e verticali.

ACCESSORI CANNOCCHIALE TOPOGRAFICO; accessorio di strumenti più complessi destinati alla misuradi angoli, distanze topografiche e dislivelli.LIVELLA SFERICA; accessorio di strumento più complesso, utile per rendere orizzontali pianio verticali assi.PIANO DI RETTIFICA PER LIVELLE CON BASE METALLICA; accessorio utile alla rettifica delleLivelle toriche.

TACHEOMETRI TACHEODOLIMETRO (Spano).TACHEOMETRO (Salmoiraghi); strumento per la misura di angoli orizzontali, verticali,di distanze topografiche e di dislivelli.TACHEOMETRO (Spano) strumento per la misura di angoli orizzontali, verticali, di distanzetopografiche e di dislivelli.TACHEOMETRO (Wild) mod. 2177; strumento per la misura di angoli orizzontali, verticali,di distanze topografiche e di dislivelli.TACHEOMETRO AUTORIDUTTORE (Fennel); strumento per la misura di angoli orizzontalie verticali, per la misura semplificata delle distanze topografiche e dei dislivelli.TACHEOMETRO AUTORIDUTTORE; strumento per la misura di angoli orizzontali e verticali,per la misura semplificata delle distanze topografiche e dei dislivelli.TACHEOMETRO GRADUATO CENTESIMALE (Salmoiraghi) mod. 4118; strumento per la misuradi angoli orizzontali, verticali, di distanze topografiche e di dislivelli. TACHEOMETRO INGLESE (Troughton e Simms); strumento per la misura di angoli orizzontali,verticali, di distanze topografiche e di dislivelli.GONIOMETRO AZIMUTALE A CANNOCCHIALE CON ECCLIMETRO E 2 LIVELLE (Spano);strumento per la misura di angoli orizzontali e verticali, con cannocchiale distanziometricoper la misura di distanze topografiche.

Tipologie di strumenti topografici (continua).

Page 196: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA

178 I Musei delle Scienze Agrarie

Neo-clisigonimetro con cannocchiale anallattico distanziome-trico, bussola grande, settore ecclimetrico, microscopio a non-io al cerchio azimutale - Gaetano Spano, Napoli 1892 (Stru-mento per la misura di angoli orizzontali, pendenze, distanzetopografiche e dislivelli).

Tacheometro ripetitore con micrometri opposti ai cerchi; letturaa stima; livella d’indice zenitale, livella sull’alidada e livella sulcannocchiale - Trougthon & Simms, Londra 1888 (Strumentoper la misura di angoli orizzontali, verticali, di distanze topo-grafiche e di dislivelli).

Squadro-goniometro cilindrico con cannocchiale munito di set-tore verticale graduato di ampiezza 80°. Letture alla gradua-zione azimutale ed al settore verticale , a mezzo nonio. Busso-la magnetica - Gaetano Spano, Napoli 1888 (Strumento pertracciare allineamenti ad angoli retti o semiretti o per la misuradi angoli orizzontali, verticali e di distanze topografiche).

Livello tipo “Egault” a cannocchiale mobile e livella fissa allatraversa, con cerchio azimutale, senza vite di elevazione -Gaetano Spano, Napoli 1890-1893 (Strumento per le operazio-ni di livellazione, ossia per la misura dei dislivelli e anche delledistanze topografiche).

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Strumentazioni scientifiche 179

Clisimetro a traguardo con livella torica sulla traversa - Gargiulo Saverio, Napoli, via Toledo 365 - 1862 (Strumentoper la misura delle pendenze).

Livello “tipo Lenoir” a piatto con reticolo a due fili, cannocchiale mobile e livella mobile - Gargiulo Saverio, Napoli,via Toledo 365 - 1862 (Strumento per le operazioni di livellazione, ossia per la misura dei dislivelli).

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La Collezione di Chimica Agraria“Carlo La Rotonda” è costituita dauna raccolta: d’elementi e di compo-sti chimici, d’antiche strumentazioni eattrezzature scientifiche, utilizzate siaper l’attività didattica sia per le inda-gini analitiche, e di documenti e d’o-pere che trattano prevalentemente diChimica, di Chimica Agraria, di Chi-mica Fisica, di Bromatologia e di Pe-dologia.Tutto il materiale è stato acquisito nel-l’arco temporale di più di 100 anni,dalla fondazione della Cattedra e delLaboratorio di Chimica Agraria, avve-nuta nel 1872, fino alla metà degli an-ni ’70. La selezione dei reperti checompongono la Collezione inizia in-torno al 1973, ma è nel corso del1990 che essi trovano razionale col-locazione e opportuna sistemazione,con note tecniche illustrative, in techeed armadi predisposti per una ade-guata fruizione.Apparecchiature, strumenti scientifi-ci, testi sono presenti, oggi, nell’in-

ventario del Dipartimento di Scienzedel Suolo, della Pianta e dell’Ambien-te dell’Università degli Studi di Napo-li Federico II.Il Dipartimento di Scienze Chimico-Agrarie, istituito nel giugno del 1990,ha dedicato la Collezione alla memo-ria del Prof. Carlo La Rotonda, Diret-tore dell’Istituto di Chimica Agrariadal 1949 al 1966.

La collezione è costituita da oltreduecento beni che vanno da sempli-ci lampade di Bunsen a complessimanometri a mercurio, da apparec-chiature per la spettroscopia e la ca-lorimetria, per l’epoca sofisticate, adaffascinanti strumentazioni per inda-gini elettrochimiche, colorimetriche efotometriche. Un’ampia parte dellaraccolta è dedicata a strumenti utiliz-zati per l’insegnamento della Chimi-ca Agraria e d’altri settori della Chi-mica. Spiccano per valore esteticogli strumenti della fine del XIX e del-l’inizio del XX secolo, realizzati con

materiali quali il ferro e la ghisa bru-niti, l’ottone, con viti e manopole ni-chelate, con lenti e prismi di quarzo,sistemati su strutture di supporto dilegno di rovere e di castagno, as-semblati dalle migliori ditte europeee americane, fra le quali: la ErnstLeitz di Berlino, la Carl Zeiss di Jena,la Cambridge Instruments Co. LTD,Inghilterra, la Leeds & Northrup Co.di Filadelfia.È custodito, ancora, un vasto assorti-mento di bilance di precisione e tec-niche. Particolarmente bella è quellaa due piatti, di notevoli dimensioni,protetta in una teca di faggio con ci-masa di gusto proprio degli inizi delnovecento.Sono da ricordare le storte, i mortai diporcellana, le capsule di quarzo, al-cune di dimensioni inusitate, le stufead acqua e i bagnomaria di rame,che costituiscono valida testimonian-za della intensa attività di ricerca delpassato.

180 I Musei delle Scienze Agrarie

Sezione di Chimica Agraria “Carlo La Rotonda”Carmine Amalfitano, Pietro Violante

Sala di Chimica-Fisica del Laboratorio Chimica Agraria. Da Il Regio Istituto SuperioreAgrario in Portici, 1872-1928.

Opera in quattro volumi pubblicata nel1814 dal Conte Filippo Re dedicata aSua Altezza Reale Francesco IV d’Este.

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Strumentazioni scientifiche 181

Carlo La Rotonda

Carlo La Rotonda nasce a Bovino (Foggia) il 20 ottobre 1897. Trascorre la giovinezza a Nocera Inferiore.Partecipa alla prima guerra mondiale guadagnando la croce di guerra ed una medaglia di bronzo al va-lor militare. Consegue la laurea in Chimica nel 1921 presso l’Università di Napoli e nel 1923 si diploma inFarmacia. Nel 1922, è assunto come assistente presso il R. Istituto Superiore Agrario di Portici.Nel 1931 ottiene la libera docenza di Chimica Agraria. Durante gli anni 1931 e 1932 frequenta l’Istitut fürChe mie der landwirtschaflichen Hoch schüle in Bonn e l’Agrikulturchemisches Laboratorium der Eidge-nössischen Technischen Hochschüle in Zurigo. Vincitore di concorso copre, dal 1935, la cattedra di Chi-mica Agraria dell’Università di Torino. Nel 1938 la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli lo chiamaalla direzione dell’Istituto di Industrie Agrarie, che egli lascia nel 1949, quando dalla stessa Facoltà gliviene assegnata la direzione dell’Istituto di Chimica Agraria.Membro dell’Accademia d’Agricoltura di Torino, per vari anni tiene la presidenza della Società Italianadella Scienza del Suolo. Oltremodo varia è la sua attività di ricercatore esercitata nei numerosi settori del-la Chimica applicata all’Agricoltura. Per sua iniziativa, è realizzato un impianto esemplare per la cura dei tabacchi in agro di MontecorvinoRovella nei pressi di Battipaglia. Nuovo impulso conferisce alla sperimentazione e alla ricerca pressoil Centro di Sperimentazione di Castelvolturno, in Provincia di Caserta, dell’Istituto di Chimica Agraria.Nel Centro di Castelvolturno egli vede “l’Azienda pilota” indispensabile per le iniziative e le realizza-zioni in atto nell’ampio comprensorio della Terra di Lavoro.È proprio nel momento in cui lascia la propria abitazione, per recarsi al Centro, dove avrebbe dovuto in-contrarsi con un gruppo di funzionari ed agricoltori, che un insospettato improvviso malore lo coglie, lamattina del 11 febbraio 1966, stroncandone fulmineamente l’alacre ed ancor promettente attività e strap-pandolo crudelmente agli affetti più cari.

Carlo La Rotonda, Direttore dell’Istituto di Chimica Agraria dal1949 al 1966.

Porta d’ingresso al Laboratorio di ChimicaAnalitica.

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Strumenti

GALVANOMETRO DI DAPREZ E D’ARSONVAL

È utilizzato per la misura dell’intensi-tà di corrente. Ideato nel 1882 daifrancesi Marcel Deprez e Arsèned’Arsonval, viene anche definito abobina mobile e differisce da quelli amagnete mobile nel fatto che si basasull’interazione tra un magnete fissoed un circuito mobile percorso dallacorrente da misurare. Tra i vantaggidi questo tipo di galvanometro è danotare un’elevata sensibilità dovutaall’intenso campo magnetico all’in-terno della bobina. Da questo galva-nometro sono derivati tutti gli stru-menti a bobina mobile portatili e dapannello.

COLORIMETRO DUBOSCQ

Fu ideato nel 1854 dal costruttore distrumenti parigino Duboscq e mante-nuto in produzione fino ad una cin-quantina d’anni fa dall’azienda tede-sca Hellige, allo scopo di condurreanalisi chimiche colorimetriche perconfronto. Questo metodo, molto dif-fuso all’inizio del 1900, si basa sul fat-

to che, sotto certe condizioni, l’assor-bimento di luce bianca da parte diuna soluzione, il cui soluto sia colora-to, dipende solo dalla concentrazio-ne di questo e dallo spessore attra-versato. Le misurazioni si basano sul-la legge di Beer: due soluzioni dellostesso soluto con concentrazioni di-verse, c e c”, che riempiono due re-cipienti di vetro ad altezze differenti,h e h”, se attraversate dalla stessa lu-ce in direzione verticale, hanno egua-li luminanze se ch = c” h”. Per deter-minare una concentrazione c” inco-gnita, si varia h” sino a rendere egua-li le luminanze dei due campi di unoculare al quale arrivano due raggiparalleli che hanno attraversato ledue soluzioni; in queste condizioni,noti c, h, h”, si può calcolare c”.

VINOCOLORIMETRO SALLERON

È utilizzato per definire il tono e l’in-tensità del colore dei vini. È formatoda un piccolo tubo a cannocchiale,di rame argentato, chiuso ad un’e-stremità da un disco di vetro; in que-sto tubo ne scorre un altro dello stes-so metallo e del pari chiuso con ve-tro. Si versa del vino nel tubo esterno

e, girando una vite micrometrica, sipuò far variare la distanza fra i duevetri e misurare con esattezza lospessore dello strato liquido interpo-sto. Questo colorimetro è fissato so-pra una tavoletta di legno inclinata a45°. Un secondo tubo a cannocchia-le simile al primo, ma con vetri fissi, èposto accanto al primo in modo daformare una specie di binocolo. Unastriscia di carta, che porta dipintauna serie di colori stabilita compara-tivamente ai cerchi cromatici di Che-vreul, può scorrere orizzontalmentesotto la tavoletta in corrispondenzadel secondo cannocchiale. Questagamma di colori comprende 40 toniintermedi fra il terzo rosso e il rosso-viola. La determinazione si esegueversando vino nello strumento finoad un segno interno, si avvita il co-perchio e si fissa il tubo alla tavolet-ta. Si fa poi scorrere la gamma di co-lori finché uno di essi corrisponda aquello del vino in esame e si fa varia-re lo spessore di questo fino a quan-do, spostando la vite micrometrica,si abbia corrispondenza perfetta.Supposto che lo spessore misuratosia 120 si avrà (essendo l’unità dellascala 1/100 di millimetro) che il vino

182 I Musei delle Scienze Agrarie

Galvanometro di Daprez e d’Arsonval. Colorimetro Duboscq. Vinocolorimetro Salleron.

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in esame presenta sotto lo spessoredi 120/100 di millimetro, la stessa in-tensità del colore al quale è parago-nato.

VINOMETRO DI BERNADOT

L’impiego della piccola apparecchia-tura, basata sul fenomeno della capil-larità, è consigliato per l’esattezzadelle misure di gradazione alcolica eper la semplicità della manualità.Il vinometro semplice è composto diun tubo capillare graduato, che ter-mina, da un lato, con una piccolaapertura e, dall’altro, con una bollasvasata che sostiene l’apparecchio,quando questo è in funzione. Il vino-metro completo comprende ancheun piccolo tubo con graduazioni a 5e a 10 ml, che permette l’esatta dilui-zione di liquidi molto alcolici e un ter-mometro per la misura della tempera-tura del liquido in esame.Tenendo il vinometro in posizioneverticale, la bolla svasata è riempita

a metà con il liquido in esame. Quan-do dall’estremità inferiore fuoriesco-no alcune gocce del liquido (unadozzina), la bolla è svuotata e l’ap-parecchio è capovolto ed appoggia-to su una superficie piana. Il liquidopresente nel capillare scenderà len-tamente, ma in funzione della capil-larità resterà sospeso in corrispon-denza del valore della gradazione al-colica.Per temperature superiori o inferiori a15°C è fatta opportuna correzionedella gradazione osservata.

BILANCIA DI MOHR-WESTPHAL

La bilancia di Mohr-Westphal è usataper la determinazione della densità disostanze liquide e solide. Realizzatain ottone, essa è costituita da una le-va con bracci asimmetrici al più cor-to dei quali è fissata una massa la cuiposizione può essere modificata me-diante un fermo a vite. All’estremitàdel braccio più lungo possono esse-

re appesi alternativamente o un im-mersore in vetro costituito da un ter-mometro zavorrato, nella configura-zione per la misura di densità di so-stanze liquide, o l’oggetto solido dicui si vuole determinare la densità.Su questo braccio sono praticate die-ci tacche equispaziate per collocarequattro diversi cavalieri in acciaio,che costituiscono gli elementi utiliz-zabili per equilibrare la bilancia. Iquattro cavalieri hanno pesi differen-ti, scalati rispettivamente di un fattore10 ognuno rispetto a quello immedia-tamente più leggero e a quello imme-diatamente più pesante.Il principio di funzionamento si basasul confronto tra la spinta idrostaticache un corpo riceve quando è im-merso in un fluido di densità scono-sciuta e quella che riceve quando èimmerso in liquidi di densità nota. Perdeterminare la densità di un liquido siprocede equilibrando inizialmente inaria la bilancia con l’immersore ter-mometrico. Si immerge, poi, l’immer-

Strumentazioni scientifiche 183

Vinometro di Bernadot.

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sore in un recipiente contenente ac-qua distillata alla temperatura di 4°Ce si procede al riequilibrio della bilan-cia per compensare la spinta chel’immersore riceve dall’acqua distilla-ta. Effettuata in tal modo la taratura èpossibile determinare la densità as-soluta di qualsiasi altro liquido, dalconfronto con i pesi necessari a ri-equilibrare la bilancia col termometrozavorrato immerso nel liquido di den-sità incognita.Sfruttando un liquido di densità notasi può anche determinare la densitàdi un corpo solido qualunque immer-so nel liquido stesso, sulla base dellamisura della spinta idrostatica da es-so subita e della misura del volume diliquido spostato.

LO SPETTROSCOPIO DI BUNSEN

E KIRKHHOFF

È uno strumento utilizzato per la misu-ra della lunghezza d’onda di una ra-diazione luminosa. Il suo principio difunzionamento si basa sulla disper-sione della luce. È costituito da unapiattaforma sulla quale poggiano: uncollimatore, un cannocchiale e unproiettore. Il collimatore, formato dauna sottile fenditura d’ampiezza rego-labile e posta nel piano focale di unalente convergente, rende paralleli iraggi da inviare sul prisma collocatosu un piattello centrale. I raggi cheemergono dal prisma sono fatti con-vogliare nel cannocchiale accomoda-to all’infinito in modo da formare im-

magini nitide. Il proiettore è compostodi una lente convergente, nel cui fuo-co si trova un dispositivo costituito dauna lastra di vetro sulla quale è incisauna scala graduata, tarata in modoche a ogni tacca corrisponda una ri-ga monocromatica. La scala, oppor-tunamente illuminata, proietta all’infi-nito un’immagine nella stessa direzio-ne della luce rifratta dal prisma, ren-dendo così possibile contemporanea-mente osservazione e collimazione.

LEVIGATORE DI WOLFF

È utilizzato per la separazione delleparticelle di un campione di suolo infunzione della granulometria. Costi-tuisce modificazione dell’originario

184 I Musei delle Scienze Agrarie

Levigatore di Wolff.

Ultramicroscopio di Siedentopf e Zsigmondy.Spettroscopio di Bunsen e Kirkhhoff.

Bilancia di Mohr-Westphal.

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levigatore di Kopecky per la diversaforma dei recipienti, atta ad evitareturbolenza e vortici della sospensio-ne in via di levigazione. Una correnteascendente d’acqua trascina con se,fuori di ciascun contenitore, solo leparticelle con velocità di caduta infe-riore alla velocità del liquido.

ULTRAMICROSCOPIO DI SIEDENTOPF

E ZSIGMONDY

Messo a punto nel 1903, questa stru-mentazione rende possibile l’indivi-

duazione delle singole particelle pre-senti in sospensioni colloidali e di os-servarne il moto browniano. Accer-tandone il numero in un volume defi-nito e conoscendo la concentrazionedella fase dispersa, è possibile cal-colarne la massa media.Un’intensa illuminazione laterale è di-retta su un piccolo strato di una so-spensione colloidale. Su questo simette a fuoco il microscopio. La dire-zione dell’illuminazione deve esseretale che nessun raggio della fonte lu-minosa colpisca l’occhio dell’osser-

vatore e che questi riceva soltanto laluce diffusa dalle particelle stesse. Leparticelle appaiono come piccolipunti luminosi su uno sfondo scuro,mentre il rimanente della luce è as-sorbito dalle superfici scure della va-schetta.

SPETTROSCOPIO A VISIONE DIRETTA

Questo strumento è utilizzato per os-servare direttamente lo spettro d’e-missione di sostanze eccitate. L’ap-parecchio è essenzialmente costitui-

Strumentazioni scientifiche 185

Spettroscopio a visione diretta.

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186 I Musei delle Scienze Agrarie

Elettroscopio a foglie d’oro. Viscosimetro di Engler. Lampade a gas per polarimetro.

Rocchetto di Rumkoff. Distillatore in argento.

to da tre piccoli cannocchiali, uno perl’osservazione diretta (capace di in-grandire da 4 a 6 volte), uno per col-limare la luce emessa dal campioneeccitato, per mezzo di una lampadadi Bounsen, esterna all’apparecchio,e uno che riporta una scala microme-trica. Al centro dei tre cannocchiali ècollocato un prisma De Amici che hala duplice funzione di disperdere lospettro e contemporaneamente so-vrapporlo all’immagine della scalamicrometrica, quando la lamina divetro sulla quale è tracciata viene illu-minata.

ELETTROSCOPIO A FOGLIE D’ORO

Ideato dal fisico inglese AbrahamBennet nel 1786, l’elettroscopio a fo-glie d’oro rivela la presenza di cari-che elettriche su un corpo. Lo stru-mento è costituito da un’asta vertica-le d’ottone, che presenta nell’estremi-tà inferiore due sottilissime foglie d’o-ro, e in quella superiore una piccolasfera. Una campana di vetro racchiu-de la parte inferiore dell’asta e le fo-glioline, isolandole così dalle correntid’aria che potrebbero alterarne il mo-vimento.

Se il conduttore non è carico, le fo-glie, per gravità, si allineano vertical-mente. Se invece si tocca la sferettasuperiore con un corpo dotato di ca-rica elettrica, ad esempio con unpezzo d’ambra elettrizzato, una partedi questa carica si diffonde in tutto ilconduttore. Di conseguenza, le fogliesi caricano dello stesso segno e si re-spingono, formando un angolo pro-porzionale alla carica elettrica. Il fe-nomeno si basa su una delle proprie-tà fondamentali dell’elettrostatica:corpi dotati di carica elettrica dellostesso segno si respingono, mentre

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Strumentazioni scientifiche 187

Microscopio monoculare Leitz.

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188 I Musei delle Scienze Agrarie

Collezione di elementi chimici.

Pesiera di precisione.

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quelli di segno diverso si attraggono. Intorno al 1787 Alessandro Volta pro-pose dispositivi più perfezionati, do-tati di una scala graduata a zero cen-trale, incisa o incollata sul vetro dellacampana, per misurare l’angolo dideflessione delle foglioline. Tali stru-menti, fra loro comparabili, sono dettielettrometri.

VISCOSIMETRO DI ENGLER

Il viscosimetro di Engler (in onore delsuo inventore Carl Oswald Victor En-gler) è uno strumento impiegato prin-cipalmente per determinare il gradodi viscosità relativa degli olii (°E). Ècostituito da un serbatoio piccolo inottone (vasca A) contenente 220 mLdi olio di cui si deve misurare la vi-scosità. Questo recipiente è chiusocon un coperchio adeguatamenteisolato con l’ambiente esterno. Il reci-piente piccolo (vasca A) è immerso inun serbatoio termostatico ad acqua(vasca B) più grande, corredato diagitatore ad azionamento manuale,necessario per uniformarne la tempe-ratura durante la prova. Nel serbatoiotermostatico (vasca B) è immerso untermometro che rileva la temperaturadella vasca termostatica. Nel serba-toio piccolo contenente l’olio è im-merso un altro termometro che ne ri-leva la temperatura interna. Un’astad’ottone col puntale di legno regola

l’apertura o la chiusura dell’orifiziodel tubo d’efflusso disposto in bassoal serbatoio ed in asse con lo stesso.Il tutto è sorretto da un’incastellaturain acciaio a tre piedi. Lo strumento èriscaldato gradualmente fino allatemperatura di prova con adeguatodispositivo a fiamma. Quando si rag-giunge la temperatura desiderata, sipredispone, di sotto all’incastellaturae in asse con lo strumento, il matrac-cio di Engler (non presente in Colle-zione), e dopo aver sollevato l’asta simisura con un cronometro il tempo diefflusso di 200 ml di olio attraverso ilforo calibrato. Il rapporto fra il tempoimpiegato da 200 ml del liquido inesame alla temperatura di prova adefluire, attraverso il foro calibrato,nel matraccio disposto in asse, ed iltempo impiegato da eguale volumedi acqua distillata alla stessa tempe-ratura, esprime la viscosità in gradiEngler (°E) del liquido in esame.

STORTE DI DISTILLAZIONE

Le storte fanno parte di una serie diapparecchiature inventate in epocaalchemica e impiegate nei laboratorichimici fino alla fine del XIX secolo.Sono contenitori di forma ovoidale re-canti alla sommità un prolungamentoobliquo detto “collo”. Erano utilizzateper eseguire vaporizzazioni e distilla-zioni di liquidi. Per la varietà degli im-

pieghi, le storte, oltre che in vetro,erano realizzate anche in porcellana,in metallo e in grès. Queste ultime,data la loro resistenza alle alte tem-perature, erano impiegate all’internodei forni a riverbero. Sulla sommitàdella storta, oltre al “collo”, potevaessere presente una seconda apertu-ra detta “tubolatura” attraverso laquale potevano essere collegati altriapparati (per esempio, un termome-tro con cui controllare l’andamentodella distillazione) o riempire più age-volmente il contenitore. Le storte pos-sono essere considerate come il piùsemplice tipo di distillatore, dove il“collo” svolge la funzione di refrige-rante da cui esce il distillato da rac-cogliersi in altro contenitore.

TENSIOMETRO DI DU NOUY

Il tensiometro Cenco-DuNouy misurala tensione superficiale, espressa indine per centimetro, determinando laforza necessaria per tirare via dallasuperficie di un fluido un anello diplatino-iridio. Sviluppato da P. Le-comte Du Nouy al Rockefeller Institu-te of Medical Research, questo stru-mento riduce le difficoltà nella misuradella tensione superficiale e miglioral’attendibilità del risultato.

Si ringrazia il Signor Maurizio Clumezper la preziosa collaborazione.

Strumentazioni scientifiche 189

Tensiometro di Du Nouy.Storte di distilazione.

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190 I Musei delle Scienze Agrarie

Le attrezzature scientifiche che fannoparte della collezione furono acqui-state, a supporto dell’attività didatticae sperimentale, dai botanici che sisono susseguiti dal 1872 ad oggi nel-la Facoltà di Agraria.La parte più consistente della colle-zione è formata dalle apparecchiatu-re necessarie per la preparazione el’osservazione al microscopio del ma-teriale biologico e comprende antichimicroscopi, semplici e composti, ri-salenti alla seconda metà del secoloXIX, i microscopi ottici degli anni ’50del sec. XX, il primo TEM della Facol-tà di Agraria ed è completata da altristrumenti per la microtecnica biologi-ca quali i microtomi a mano, i primimicrotomi rotativi, gli antichi apparatiper la microfotografia, i primi coloran-ti per l’istologia, le bilance di preci-sione.Una rassegna di tali apparecchiatu -re non può prescindere da alcuneconsiderazioni che riguardano la sto-ria dell’insegnamento della Botani -ca presso questa Facoltà e l’evolu-

zione tecnologica, dapprima lentapoi sem pre più rapida, con la conse-guente eliminazione o inutilizzazionedelle apparecchiature diventate ob-solete.Il laboratorio botanico fu istituito nel1873 da Nicola Pedicino che per pri-mo tenne l’insegnamento della Bota-nica generale e sistematica nella allo-ra Regia Scuola Superiore di Agricol-tura. La direzione del Pedicino durò 4anni durante i quali egli operò conlungimiranza, lasciando segni tangi-bili della sua opera. Purtroppo pochiresidui delle apparecchiature da luiutilizzate per l’insegnamento e per lericerche sono giunti fino a noi; tra es-si dei preparati microscopici facentiparte dell’attuale istoteca, e alcunipezzi del dispositivo da lui ideato per“avvelenare” periodicamente gli er-bari col sublimato.Quando nel 1877 il Pedicino fu chia-mato a Roma a succedere a Giusep-pe de Notaris, l’insegnamento dellaBotanica generale e sistematica e ladirezione del laboratorio furono affi-

dati al suo assistente Orazio Comes.Nella comunità scientifica internazio-nale della seconda metà del secoloXIX si era ormai affermato l’uso delmicroscopio nella ricerca biologica eComes, la cui vasta produzionescientifica spaziava in tutti i campidella biologia vegetale, dall’anatomiaalla botanica sistematica, alla fisiolo-gia, per svolgere in maniera adegua-ta e proficua il corso di lezioni e leesercitazioni, dotò il laboratorio di nu-merose lenti di ingrandimento, le“loupes”,di pregevole fattura, taloramontate su supporti articolati e di mi-croscopi semplici e composti conser-vati, con i relativi accessori, negli ar-madietti di legno originali. Nei micro-scopi composti di Comes la partemeccanica è formata da una colonnadi ottone che poggia su una basequadrangolare e sostiene sia il tavoli-no quadrato, su cui si appoggia ilpreparato, sia il sistema ottico forma-to dall’obiettivo e dall’oculare montatia distanza fissa tra loro all’estremitàdel tubo portalenti; sotto il tavolino si

Sezione di BotanicaAnna Maria Carafa, Paolo Pizzolongo

Laboratorio di botanica: una stanza con collezioni e con tavolo per esercitazioni mi-croscopiche. Da Il Regio Istituto Superiore Agrario in Portici, 1872-1928.

Una veduta delle collezioni storiche dellaboratorio botanico.

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Strumentazioni scientifiche 191

trova uno specchietto orientabile adoppia faccia, piana e concava, cheraccoglie i raggi luminosi e li invia alcampione; per avvicinare al campio-ne il sistema di lenti e procedere allamessa a fuoco, il tubo portalenti scor-re nella propria sede, mentre i movi-menti micrometrici sono comandatida una apposita vite.Del corredo di microscopi risalenti alperiodo “Comes” fa parte anche unmicroscopio semplice da dissezioneo da preparazione: la pesante basedi ottone a ferro di cavallo sostiene la

colonna, anch’essa di ottone, sullaquale è fissato il tavolino e l’anelloportalenti. Il tavolino è formato da unacornice quadrata nella quale si pos-sono adattare una lastra di vetro dop-pia o una lastra di metallo nero forataal centro. Sotto il tavolino sono inseri-te due piastrine mobili a fondo bian-co e nero e lo specchietto; il bracciodestinato a portare le lenti si può spo-stare in altezza mediante un movi-mento a cremagliera; due appoggia-mani in mogano si applicano ai fian-chi del tavolino.

Nella prima metà del sec XX, i suc-cessori di Comes, A. Trotter, G. Lo-priore, G. Catalano, incrementaronoulteriormente la strumentazionescientifica del laboratorio: i vecchimicroscopi, ormai obsoleti, furono so-stituiti con strumenti prodotti indu-strialmente e dotati di caratteristichetecniche avanzate: il condensatore diAbbe, che raccoglie i raggi luminosiprovenienti dallo specchietto e li con-centra sul preparato; le lenti acroma-tiche dotate di discreto ingrandimen-to e buon potere di risoluzione; il dis-

Microscopio composto della collezione Comes con cassetta custodia, accessori evetrini (seconda metà XIX secolo).

Supporto articolato e “loupes” di variagrandezza (seconda metà XIX secolo).

Obiettivo Koritska con custodia (primametà XX secolo).

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192 I Musei delle Scienze Agrarie

positivo girevole detto”a revolver”incui sono alloggiati più obiettivi; il ta-volino traslatore; i primi dispositivi perla microfotografia; i diversi tipi di mi-crotomi ed altre strumentazioni ac-cessorie indispensabili per la micro-tecnica biologica. Gran parte di queste apparecchiatu-re, nelle travagliate vicende che han-no interessato la Facoltà durante laseconda guerra mondiale, sono an-date disperse; a loro memoria riman-gono alcuni obiettivi con relativa cu-stodia, la camera oscura di un appa-rato per la microfotografia apparte-nente ad un microscopio Koristkapurtroppo andato perduto, e vari tipidi microtomi.

I microtomi sono le apparecchiatureche si utilizzavano e tuttora si utilizza-no per ridurre un organo o un tessutoin sezioni tanto sottili da essere os-servate in trasparenza al microsco-pio. I primi microtomi furono quelli amano; essi consistono in un cilindrodi metallo cavo entro cui scorre un ci-lindretto comandato da una vite mi-crometrica posta in basso, portantealla sua estremità superiore un discoo piatto forato al centro. Girando la vi-te micrometrica, il materiale da sezio-nare, inserito nella cavità del cilindrostretto tra due pezzi di midollo disambuco, viene spinto dal cilindrettoa sporgere dal tubo e la sezione si ot-tiene facendo scorrere sul piatto la la-

ma affilatissima di un rasoio. In biolo-gia vegetale il microtomo a mano èutilizzato ancora in quanto permettedi ottenere ottime sezioni partendoda materiale fresco.Di concezione più sofisticata è il mi-crotomo a doppia slitta in cui una la-ma affilatissima montata su di unblocco metallico scorre lungo unaguida piana; il pezzo da tagliare, pre-viamente fissato ed incluso in paraffi-na, viene montato sul portapezzi cheslitta su di un piano inclinato con mo-vimento di avanzamento regolato dauna vite micrometrica. L’introduzione del microtomo rotativoa lama fissa costituisce un ulterioreprogresso nella tecnica di prepara-

Microtomo a mano, rasoio ed affilalame (prima metà XXsecolo).

Microtomo a doppia slitta (prima metà XX secolo).

Microtomo rotativo a lama fissa tipo “Minot” e relativi coltelli(prima metà XX secolo).

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Strumentazioni scientifiche 193

zione dei campioni, consentendo diottenere in breve tempo centinaia disezioni. In questo apparecchio il por-talama rimane fisso durante il taglio; ilportapezzi, disposto orizzontalmentee normalmente al coltello, si alza e siabbassa con un movimento coman-dato da una manovella la quale a suavolta è collegata ad un congegnoche fa avanzare il portapezzi controla lama di tanto quanto dovrà esserelo spessore delle sezioni che si vor-ranno ottenere. Il modello è provvistodi un dispositivo per trasportare il na-stro delle sezioni in serie la cui suc-cessione può essere conservata in-collando il nastro in file parallele suuno o più vetrini portaoggetti.Negli anni del secondo dopoguerrala ricerca biologica, grazie all’introdu-zione di apparecchiature sempre piùsofisticate tra cui microscopi dotati diun potere di risoluzione e di ingrandi-mento di gran lunga superiori rispet-to a quelli fino ad allora impiegati, co-nobbe una straordinaria fioritura. Nellaboratorio di Botanica della Facoltàdi Agraria le ricerche nei campi dellacitologia, della anatomia, della fisiolo-gia subirono un forte impulso, dappri-

ma con Valeria Mezzetti Bambacioni,chiamata nel 1948 a sostituire il prof.Catalano, passato nel frattempo allafacoltà di Scienze di Napoli, e suc-cessivamente con Paolo Pizzolongo,a lei succeduto nel 1966. Sotto la direzione della prima il labo-ratorio botanico fu ristrutturato e dota-to delle più moderne attrezzature perlo svolgimento delle ricerche botani-che e per la loro documentazione fo-tografica: nuovi microscopi binocularida dissezione, microtomi rotativi, mi-croscopi con ottica apocromatica edoppia illuminazione a luce normaleed ultravioletta, dispositivi per la ma-cro e la microfotografia; il tutto fornitodalle migliori case costruttrici: Zeiss,Reichert, Leitz, Bausch e Lomb.L’opera innovatrice della Mezzetti èstata proseguita in tempi più recentida Paolo Pizzolongo, un pioniere del-la microscopia elettronica in Italia.Ancora una volta il laboratorio di bo-tanica di Portici si è dimostrato all’a-vanguardia, infatti sotto la sua guidaed in collaborazione con gli Istituti diEntomologia e di Patologia Vegetale,il laboratorio, e con esso la Facoltà diAgraria, è stato dotato del suo primo

microscopio elettronico a trasmissio-ne: il mod. 300 EM Philips. Presero così l’avvio, anche nella no-stra Facoltà, gli studi ultrastrutturalidelle cellule vegetali ed animali.

La storia del microscopio

Quando si analizza l’evoluzione stori-ca di una disciplina scientifica, moltospesso, si nota che il progredire del-le conoscenze è strettamente legatoal progresso tecnologico. Nel campodella biologia e delle scienze natura-li, la costruzione del microscopio otti-co composto ed il progressivo affi-narsi delle tecniche microscopichehanno consentito agli studiosi di os-servare l’intima struttura degli organi-smi ed hanno aperto la strada a nuo-ve e fondamentali scoperte. L’esigenza di ingrandire gli oggettiper poterli studiare adeguatamenteera fortemente sentita fin dall’antichi-tà; a questo scopo, già nel MedioEvo, si usavano delle lenti di fabbri-cazione più o meno rudimentale. I documenti più antichi fanno risalirel’invenzione del microscopio al 1590

Microscopio elettronico mod. 300 EMPhilips (1968).

Microscopio semplice da dissezione (seconda metà XIX secolo).

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194 I Musei delle Scienze Agrarie

e la attribuiscono a due occhialaiolandesi: Hans e Zacharias Janssen;i loro strumenti, ottenuti unendo piùlenti all’interno di un tubo fisso a suavolta poggiato su di un treppiede,erano capaci di ingrandire un ogget-to fino a trenta volte. In realtà l’originedel microscopio composto è stretta-mente collegata a quella del telesco-pio dal momento che i primi micro-scopi erano dei cannocchiali di di-mensioni molto ridotte con i quali erapossibile osservare ingranditi oggettivicinissimi. In Italia il primo microscopio compo-sto fu costruito da G. Galilei (1564-1642) che lo chiamò “occhialino” e lodonò al fondatore dell’Accademia deiLincei Federico Cesi (1585-1630); ilnome stesso microscopio fu introdot-to dai Lincei e, da allora in avanti, uni-versalmente adottato. Tuttavia, a causa della cattiva qualitàdelle lenti impiegate e della inade-guatezza del supporto meccanico, leprestazioni degli strumenti costruitinei primi anni del ‘600 erano nel com-plesso mediocri; essi rimanevano,comunque, una raffinata curiositàtecnica mentre l’attenzione degliscienziati era rivolta piuttosto al can-nocchiale, che in quegli anni avevaconsentito all’astronomia di compiereimmensi progressi. L’interesse degli scienziati nei con-fronti del microscopio venne destatosolo più tardi, nella seconda metà delsec.XVII, in seguito alla divulgazionedegli scritti, frutto di lavoro pazienteed appassionato, di tre grandi ricer-catori che aprirono la strada al suouso metodico e scientifico.Nel 1665 R. Hooke (1635-1703) pub-blicò l’opera”Micrographia”, conte-nente bellissime e dettagliate tavoleche illustravano le osservazioni da luicompiute con l’ausilio del microsco-pio; il libro divenne un vero e propriobest-seller dell’epoca e fu adottatodalle più famose università europee.A partire dal1673, con una serie dilettere inviate alla Royal Society di

Londra, A.van Leeuwenhoeck (1632-1723), un commerciante di stoffeolandese, animato dal profondo desi-derio di conoscere l’intima strutturadel mondo che lo circondava, diedeinizio alla divulgazione delle sue ri-cerche. Van Leeuwenhoeck, avendoelaborato una tecnica di molatura elevigatura delle lenti molto accurata,fabbricò strumenti ottici sempre piùperfezionati, in realtà dei microscopiottici semplici formati da un sologruppo di lenti, che gli permisero diosservare e descrivere le cellule delsangue, i protozoi, i batteri, gli sper-matozoi, le cellule del sistema nervo-so. Le sue osservazioni, corredate dasplendidi disegni, facendo scoprire ilmondo dell’infinitamente piccolo, eb-bero una grande risonanza nel mon-do scientifico. In quegli stessi anni, in Italia, Marcel-lo Malpigli (1628-1694), affermò lapreminenza dell’osservazione direttae dell’indagine sperimentale nella co-noscenza scientifica; egli, utilizzandoil microscopio per descrivere l’intimastruttura di animali e piante, aprì lastrada all’anatomia microscopica edall’istologia. Malpigli, con la pubbli-cazione dell’opera “Anatome Planta-rum” (1675 e 1679), può essere con-siderato il fondatore dell’anatomia ve-getale. Nel secolo successivo lo strumentofu perfezionato, sia in Italia che in al-tri Paesi europei, spesso dagli stessiricercatori che lo utilizzavano, dappri-ma nella parte meccanica, successi-vamente in quella ottica. Migliora-menti decisivi si ottennero quando,tra la fine del sec. XVIII e la prima me-tà del sec. XIX, utilizzando combina-zioni di lenti sia per l’oculare che perl’obiettivo, si costruirono sistemi otticipiù perfezionati che consentirono l’e-liminazione dei due difetti principalidel microscopio ottico composto: l’a-berrazione sferica e quella cromati-ca; a questo proposito corre l’obbligodi ricordare l’italiano GianbattistaAmici (1786-1863) che inventò l’o-

biettivo ad immersione e costruìobiettivi acromatici. Il potere di risoluzione di un micro-scopio è inversamente proporzionalealla lunghezza d’onda della luce im-piegata e, malgrado i notevoli miglio-ramenti conseguiti nella tecnica co-struttiva dei microscopi, già agli albo-ri del sec. XX si era consapevoli cheil microscopio ottico, impiegando co-me sorgente luminosa la luce visibile,non era ulteriormente perfezionabile;infatti,non potendo essere inferiore a0,2 micron il suo potere di risoluzio-ne, l’osservazione di strutture di di-mensioni più piccole di tale valore ve-niva di fatto impedita. Era necessario,quindi, ricorrere a sorgenti luminoseche avessero una lunghezza d’ondainferiore a quella del visibile ed a len-ti capaci di raccogliere tali radiazioni. Contemporaneamente ai progressiche si andavano realizzando in fisicaatomica e in elettromagnetismo, ven-nero introdotti dapprima il microsco-pio a luce ultravioletta, successiva-mente quello a raggi X fino alla co-struzione, negli anni tra il 1931 e il1934, da parte di M. Knoll e E. Ruskaa Berlino, dei prototipi dei microscopielettronici a trasmissione.La diffusione del microscopio elettro-nico nella ricerca biologica, avvenutapienamente nella seconda metà delsec. XX, ha rappresentato una tappadi fondamentale importanza nel pro-gresso scientifico.Nel microscopio elettronico la radia-zione luminosa viene sostituita da unfascio di elettroni accelerati nel vuotoe le lenti sono sostituite da potentielettromagneti; l’immagine vieneproiettata su uno schermo per la vi-sione diretta o su una lastra fotografi-ca per conservare l’immagine. Il mi-croscopio elettronico ha potenziato illimite di risoluzione del microscopioottico di 1000 volte, ed al suo impiegoè legata la possibilità di conoscere estudiare strutture subcellulari ancorainesplorate perché impossibili da os-servare con il microscopio ottico.

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Portici come sito museale

Autore

Donatella Mazzoleni

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Nella pagina precedente, Il sito di Portici. Disegno di Donatella Mazzoleni, 1990.

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Il sito di Portici, in cui si colloca ilcomplesso dei Musei delle ScienzeAgrarie, costituisce la cerniera di unpaesaggio di grande forza e sugge-stione, caratterizzato da grandi con-trasti: il paesaggio della costa vesu-viana. È un sito compresso tra due forti pre-senze fisiche: un vulcano ed il mare.Per effetto di questa compressione, lospazio viene stirato contemporanea-mente da due forze diverse, contra-stanti fra loro. La terraferma infatti sioffre percorribile in due direzioni in-crociate e alternative fra loro: una lun-ga, seguendo la costa; l’altra corta,trasversale dal mare alla montagna.La longitudinalità della costa invita alviaggio nord-sud, da Napoli verso leCalabrie: alla costa sono paralleli i fa-

sci delle strade, della ferrovia, dell’au-tostrada. La pendenza del suolo e laforza dei richiami percettivi invitano in-vece all’approdo dal mare e all’asce-sa per boschi fino alla vetta del mon-te, o alla discesa lungo i pendii ed alsalpare per l’andare per mare.Il sito di Portici si identifica nel puntopiù stretto di questa costa, il puntodove il Vesuvio ed il mare Tirreno – ilFuoco e l’Acqua – quasi si toccanoed entrano quindi nel massimo con-trasto fra sé e con la Terra, stringen-dosi ai lati della costa ed incomben-do su di essa come grandi presenzefisiche ed immaginarie.Adagiato temerariamente sul brevefianco di un vulcano attivo, protesoverso il mare, forse proprio per que-sto il sito di Portici è un pezzo di ter-

ritorio inciso da segni profondi e si-gnificativi, ostinatamente ripetuti, del-la presenza umana, che ne hanno di-segnato e riconfermato in modo inde-lebile, a dispetto e al di là di ogni ca-tastrofe, l’architettura paesistica edurbana. L’antica fondazione, tra il V e il IV se-colo a.C., della città greca di Ercola-no; la colonizzazione agricola e ari-stocratica nel XVIII secolo; la rifonda-zione urbana in forma di Reggia didelizie; la riscoperta ed il disseppelli-mento dei tesori grecoromani inghiot-titi dalle lave; la creazione delle areearcheologiche; l’insediamento dell’U-niversità nel XIX secolo; la creazionedi un Orto Botanico: sono stati grandie lunghi atti di disegno e ridisegno diquesto territorio che hanno sempre

Portici come sito museale 199

Natura, architettura, memoria nel sito di Portici

L’Orto botanico e il Vesuvio.

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reiterato e riconfermato, sia pur inscale diverse e con intenzioni diver-se, e mai contraddetto, alcuni precisigesti fondativi e progettuali. Questi gesti sono due: la chiusura direcinti e l’apertura all’infinito della vi-sione prospettica. La loro ricorrenzadimostra che essi sono stati in certosenso come obbligati, perché impostida qualcosa di meta-culturale: l’iden-tità irriducibile di un paesaggio, che“parla” insistentemente, con grandeed immutata capacità di fascino, at-traverso i tempi e le culture.Come ogni paesaggio, il paesaggiovesuviano «prima di essere riposo

dei sensi, … è opera della mente» ed«è formato da stratificazioni della me-moria almeno quanto da sedimenta-zioni di rocce». Esso è «di fatto un te-sto sul quale le generazioni scrivonole loro ossessioni ricorrenti», e su diesso, anziché operare «un’ennesimaspegazione di ciò che abbiamo per-duto» possiamo condurre «un’indagi-ne su ciò che possiamo ancora trova-re». Possiamo in esso «riconoscere ilfantasma di un paesaggio antico sot-to il rivestimento superficiale del con-temporaneo», ciò che «significa toc-care con mano la sopravvivenza deimiti di base», e sperimentare così

«momenti di agnizione, quando unluogo improvvisamente mette in mo-stra le proprie connessioni con un’an-tica e peculiare visione» della natura(Simon Shama).Oggi, la creazione, in questo luogo,del complesso dei Musei delle Scien-ze Agrarie, è anche un ulteriore attodi ri-fondazione e di riconferma dell’i-dentità di questo paesaggio. Ai Mu-sei delle Scienze Agrarie può faredunque da cornice anche un Museodel Sito di Portici, che raccoglie ladocumentazione di questa antica estratificata identità naturale-culturaledel luogo e del suo paesaggio.

200 I Musei delle Scienze Agrarie

Particolare (foglio 28) della Mappa Topografica della città di Napoli e dei suoi contorni, G. Carafa Duca di Noja, 1773. Napoli,Museo di S. Martino.

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Le antiche città sono sempre nate daprocedimenti di fondazione e costru-zione concepiti come messa in attodi un sapere globale: non solo intel-lettuale, ma emotivo e istintuale. Intutte le comunità antiche, il territorioera percepito come un luogo anima-to, vivo, e vi era consapevolezza delfatto costruire una città significavacompromettere un delicato equili-brio, una ferita per il luogo e la vitache lo pervade, in forme visibili o in-visibili. La fondazione di una città eradunque sentita come un’azione dacompiere solo quando si fosse certi,sulla base dei rituali codificati a que-sto scopo, della possibilità di agirenel rispetto della sacralità della vita.In termini mitici: del favore delle divi-nità locali. Nell’area mediterranea, ed in parti-colare sulle coste tirreniche, i trac-ciati delle città greche sono semplicie forti, e particolarmente consonanticon i paesaggi fatti di terra e di ma-re: strade larghe (plateiai), che se-guono da Est verso Ovest il camminodel sole, strade strette (stenopoi),che, ortogonalmente a quelle larghe,segnano da Sud a Nord la direzionedel perno di rotazione del mondo. Inepoca romana le strade larghe ven-

gono dette “decumani”, voce con-tratta di duodecimani, cioè “lineedelle dodici ore tra il sorgere e il ca-lare del sole”, e le strade strette ven-gono dette “cardini”, perché paralle-le al cardine cosmico.L’area vesuviana ha una connotazio-ne naturale anch’essa semplice eforte. Un cono lavico, incontrandosicol mare, crea una terra che ha laforma di un largo semicerchio. Que-sto semicerchio è sottoposto all’azio-ne di due grandi forze contrapposte,l’attrazione centripeta verso la cimadi un monte, che è anche la bocca diun vulcano, l’espansione distensivaverso l’orizzonte del mare. La più an-tica rappresentazione cartograficadel continente Mediterraneo è la Ta-bula Peutingeriana. In essa tutte leterreferme sono “stirate” in sensolongitudinale, in modo che Europa,Asia e Africa possano essere rappre-sentate come compresenti, in formadi tre fasce di terra inframmezzateda due fasce di mare. Gli insedia-menti di Neapoli, Herclanum, Oplon-tis, Pompeis, sono disegnati in se-quenza lungo un’unica linea drittaparallela alla costa. Essa ci permettedi immaginare la conformazione ori-ginaria del territorio, nel momento in

cui esso cominciò ad essere urba-nizzato, e a trasformarsi dunque inun “paesaggio”.Nel territorio complessivo definito dalcono del Vesuvio nel suo versantedegradante verso il mare, le due cittàdi Ercolano e di Pompei hanno estra-polato e rafforzato, con il loro disegnoviario, alcuni elementi ed alcune rela-zioni. La loro fondazione ha innestatonello spazio naturale due sistemi si-mili di organizzazione artificiale, chehanno instaurato gerarchie, sequen-ze, addensamenti e rarefazioni disenso, reti di rapporti e procedimentidi misura. I siti dei due insediamentierano analoghi: una costa allungatasul mare, un entroterra breve gravi-tante attorno alla cima-cratere del Ve-suvio, corsi d’acqua defluenti dal Ve-suvio al mare.Di Pompei oggi non è più percepibilel’originaria collocazione fluviale e co-stiera, a causa del totale rimodella-mento della linea di costa prodottodall’eruzione del 79. Ma sia Pompeiche Ercolano mostrano con grandechiarezza la regola della fondazionegenerata, secondo la prassi greco-mediterranea, dall’orientamento sola-re, e appena modulata sullo specificoorientamento terrestre del sito.

Portici come sito museale 201

Il Paesaggio vesuviano delle Origini: il Fuoco, l’Acqua e la Croce cosmica

Il Vesuvio al tempo delle origini di Ercolano e Pompei. DaStrabone.

La struttura del territorio circostante le città di Ercolano ePompei, nell’epoca tardo-imperiale, IV secolo (particolare del-la Tabula Peutingeriana).

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202 I Musei delle Scienze Agrarie

Il Vesuvio come paesaggio divino. Dipinto dal Larario della Casa del Centenario a Pompei. Napoli, Museo Archeologi-co Nazionale.

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Ercolano, fondata da Eracle, figlio diZeus, «il più grande fra gli uomini del-la terra», fu città perfetta, dall’orienta-mento perfetto. Il sito prescelto era un piccolo pro-montorio, a ridosso di un grande vul-cano, e totalmente proteso sul mare.Oggi è meno riconoscibile, ingoiatodalla terraferma, incluso in una lungacolata di roccia lavica. Ma all’origine,in quel punto del mondo, cardine del-l’universo appariva fortissimamentela freccia rettilinea che trafigge la li-nea lunga della costa congiungendola vetta del Vesuvio al mare, nel pun-to di minima distanza. «Oppidum tumulo in excelso locopropter mare, parvis moenibus, interduos fluvios infra Vesuvium conloca-tum» (Sisenna): questa piccola cittàfortificata su un promontorio domi-nante il mare, dalle piccole mura, col-locata tra due fiumi alle pendici delVesuvio, fu disegnata sulla terra, fra ilV ed il IV secolo a.C., a partire da un

punto d’origine preciso, dove fu fis-sato il suo ombelico come UmbilicusMundi. Come in tutte le città di origi-ne greca e poi romana, questo om-belico ha la forma di croce cosmica,inscritta nello spazio terrestre dall’in-crocio di due strade: una più larga,indicante il cammino del sole – e unapiù stretta, indicante il perno della ro-tazione del mondo. Ma in quel punto del mondo, la pre-senza del Vulcano era così incom-bente, e quella del mare così vicina ead essa antagonista, da indurre unavera e propria deformazione delcampo magnetico percettivo, tale dafar valere come un Nord locale e ter-restre quello che è in realtà un Nord-Est astronomico (la direzione dellavetta del monte), e dal lato oppostocome Sud marino quello che in realtàè un Sud-Ovest celeste. E così i car-dini della città, imitando quel cardinecosmico locale, a partire da quell’om-belico si agganciavano in alto a quel-

la vetta, mentre in basso sconfinava-no fino all’orizzonte del mare; e i de-cumani coglievano il sorgere e il tra-montare del sole allungandosi paral-lelamente alla costa.È in virtù di quel disegno di croce co-smica, ispirato dall’orientamento ce-leste, ma rimodulato sull’orientamen-to terrestre, originario della fondazio-ne della città greca di Ercolano, cheil territorio della costa vesuviana è di-venuto, per la prima volta nella sto-ria, un “paesaggio”. Ed è in virtù del-la definizione di un punto di quel ter-ritorio come “ombelico del mondo” edunque dell’innesto, in esso, di unmito di fondazione, che questo terri-torio è divenuto percepibile e rap-presentabile come un mondo ordina-to, sensato. È da quel gesto in poiche le vicende del luogo sono statepercepite e raccontate come unastoria, le sue parti sono state perce-pite e descritte come lineamenti diuna immagine, e quella storia e quel-

Portici come sito museale 203

Le Tre Terre del Mondo nella visione mediterranea antica. Daun codice del XIV sec., Biblioteca Ambrosiana, Milano.

Le Cinque Materie del Mondo nella visione mediter-ranea antica. Da Petraeus Cornelius Hamburgensis“Sylva Philosophorum”, manoscritto alchemico, IImetà sec. XVI.

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l’immagine, da allora ad ora per due-mila anni, sono state condivise dallepersone che qui avrebbero vissuto,o che di qui sarebbero passate inviaggio.

Pompei, nome misterioso, dalle origi-ni incerte. Alcuni, facendolo risalirealla radice indioeuropea pes, che si-gnifica il numero cinque, dicono: «lacittà delle cinque città». Ne pensanodunque le origini come confederazio-ne dei villaggi della piana del Sarno.Altri, derivando quel nome dal verbogreco pempo, dicono: «la città fon-

data seguendo in processione l’ani-male sacro». La pensano dunque co-me città fondata secondo il rito, se-guito anche da Enea per la fondazio-ne di Albalonga, che si avvaleva del-la indicazione di un oracolo e poi del-la divinazione operata tramite la me-diazione di un animale sacrificale.Se l’origine di Pompei è incerta, sipuò tuttavia con l’immaginazione ri-costruire il paesaggio delle sue origi-ni. Anche Pompei, sul versante estdel cono vesuviano, si è insediata,così come Ercolano, su un promonto-rio affacciato sul mare.

La conformazione originaria del sito,poi completamente stravolta dall’eru-zione vesuviana del 79, era quella diun pendio largamente conico (in real-tà una colata lavica) degradante dal-la montagna fin quasi al mare, cheterminava, ad una quota di circa ven-ticinque metri sul livello del mare, inuno sperone roccioso con pareti sco-scese, con caratteristiche di fortifica-zione naturale. Un fiume (il Sarno) li-mitava il sito verso Est, costituendoneuna ulteriore linea di difesa. Dall’altodel pianoro si poteva dominare unampio territorio ed il fronte del mare.

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L’orientamento celeste e terrestre del tracciato fondativo di Ercolano. Disegno di Donatella Mazzoleni. Da D. Mazzoleni Domus.Pittura e architettura d’illusione nella casa romana, Arsenale Ed., 2004.

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Nella linea di costa, in origine moltopiù arretrata di quella attuale, si apri-va l’importante approdo fluviale costi-tuito dalla foce del Sarno. Sull’altopiano lavico, luogo forse giàfrequentato nel corso dell’Età delBronzo, tra la fine del VII secolo ed ilprimo scorcio del VI a.C., sorse unprimo insediamento etrusco (o forseosco), racchiuso da una antica cintamuraria. Sappiamo che era un muroin pappamonte, tenera pietra tufaceaestratta dallo stesso pianoro lavico. Ilsuo tracciato seguiva il confine dellosperone di roccia, e definiva quella

che poi è stata detta la «città vec-chia», la Altstadt. Un rilevante elemento del territorio na-turale era il solco di un’antico canalo-ne torrentizio, che dai piedi del Vesu-vio si spingeva fino al mare e alla pe-nisola sorrentina attraversando danord a sud il pianoro lavico. Questavia di deflusso delle acque costituì laguida di un percorso che, racchiusoper un tratto tra le mura della città eregolarizzato nella fase sannitica, die-de nel tempo origine alla via di Stabia.Per la sua originaria natura di linea dideflusso delle acque piovane, verso

nord, il prolungamento ideale del suoasse arriva esattamente a quella chedoveva essere, all’epoca, la vetta delSomma-Vesuvio. Il tracciato dell’intera città di Pompeisembra essere partito da questo se-gno, che fu assunto nel V secolo a.C.come cardine originario di un traccia-to di tipo greco, rimasto poi a sup-porto mai contraddetto dello svilupposannitico e poi romano. Il disegno urbano partì da esso e siespanse verso est con la costruzione,nel III secolo a.C., dei due decumani,la via di Nola e la via dell’Abbondan-

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L’orientamento celeste e terrestre del tracciato fondativo di Pompei. Disegno di Donatella Mazzoleni. Da D. Mazzoleni Domus.Pittura e architettura d’illusione nella casa romana, Arsenale Ed., 2004.

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za. Questi divisero in tre fasce l’areadisponibile per la costruzione dellacittà, secondo uno schema teoricoche richiama l’analoga tripartizionedel territorio di Poseidonia. I due decumani non sono esattamen-te ortogonali al cardine, ma formanoun angolo un po’ ottuso, di circa100°, con esso. Tale inclinazione nonsembra condizionata né dalla con-formazione del pianoro né da osta-coli presistenti su di esso, ma dalladirezione verso una rilevante emer-genza ad oriente nell’orizzonte terre-stre, la vetta del monte Torrenone,

che è il monte da cui nasce il Sarno.Il riferimento alle montagne emer-genti a NordOvest e ad Est determi-na un orientamento terrestre che sicombina tuttavia con l’orientamentoceleste. È infatti proprio dietro i mon-ti del Sarno che dall’altopiano diPompei si poteva veder sorgere il so-le nel suo punto di levata più sposta-to verso nord, il giorno del solstizioestivo, appunto.

Intorno al I secolo a.C. il Golfo di Na-poli, che Cicerone soprannominava il«crater ille delicatus», fu oggetto di

importanti investimenti immobiliari daparte dell’aristocrazia romana, con lacreazione di ville d’otium, ville rusti-che, vivai, edifici termali. La Villa di Poppea ad Oplontis, co-struita intorno alla metà del I secoloa.C., tra Ercolano e Pompei nella zo-na di Torre Annunziata, è uno splen-dido esempio di villa romana diotium e di luxuria dove tutte le raffi-natezze dell’architettura, dell’arte deigiardini, della pittura e della sculturadel tempo furono utilizzate con sa-pienza per il piacevole soggiorno deiproprietari.

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L’orientamento celeste e terrestre del tracciato fondativo e l’ampliamento dello spazio architettonico nelle decorazioni pittorichemurali nella Villa di Poppea a Oplonti. Disegno di Donatella Mazzoleni.

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Ritornata alla luce solo negli anni ‘70del Novecento, anche questa villa tor-na ad evocare la struttura archetipicadel paesaggio vesuviano, così comedefinita nel tracciato fondativo origi-nario di Ercolano, e poi di Pompei, se-condo un asse cardinale “terrestre”Vesuvio-mare ed un asse longitudina-le “solare” parallelo alla costa. La sua struttura architettonica è arti-colata e estremamente complessa, earricchita da meravigliose pitture d’il-lusione. L’effetto spaziale complessi-vo di queste sequenze costruttive epittoriche è uno stupefacente labirin-to architettonico reale-immaginario,dalla struttura non avvolgente, ma ra-mificata ad albero, e proliferante inogni direzione, attraverso molteplicipiani di profondità, fino all’infinito dimoltiplicati orizzonti.

Ma la sua origine parte comunquedall’asse del percorso d’ingresso,che è orientato secondo l’asse car-dinale Vesuvio-mare e la direzionedel raggio del sole di mezzogiorno.Nella parte sinistra della casa, ilpendio del terreno naturale sale esul suo fondo prospettico si staglie-rebbe ancor oggi (se la modernaedilizia in cemento armato circostan-te non fosse tutt’intorno così alta) lasagoma conica e la massa lavica delVesuvio. Dall’altra parte, nel settoreantero-destro della costruzione, l’at-mosfera degli spazi domestici cam-bia completamente: con uno svilup-po architettonico analogo a quellourbano di Pompei, la casa si disten-de verso Est, verso la direzione del-la pianura, si apre in giardini e porti-cati di respiro sempre più ampio, ed

infine in un grande cortile rettangola-re contenente una grande piscinad’acqua. La pittura accompagna questo am-pliamento del respiro spaziale. Nellaparte sinistra del complesso, essafinge sui muri prospettive architetto-niche di templi, palazzi e porticatiche ne ampliano la ramificazione la-birintica e la materialità terrestre.Nella parte destra, essa finge suimuri giardini ulteriori, fontane, spazifioriti di primavera, popolati di uccel-li, aperti verso la luce nascente delmattino. Amplia così illusoriamente lospazio nella direzione longitudinaledella costa, parallela al cammino delsole, e nella sua materialità aerea eceleste.

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Il Sole, il Vulcano, il Mare. Foto di Donatella Mazzoleni.

Il paesaggio vesuviano delle origini,con le sue città e le sue ville di otiume luxuria, fu distrutto dall’eruzione del79. Sembra scomparire con esso lapercezione del territorio come pae-saggio sacro dominato dagli dei. Permillesettecento anni quel paesaggioviene dimenticato, e l’identità del sitoviene oscurata. Eppure, come un’a-raba fenice, nel Settecento essa ri-sorge letteralmente dalle ceneri, eviene ripresa, riconfermata e definiti-vamente fissata nella sua connota-zione antica.Nella sensibilità moderna, ciò è statopercepito come la “bellezza” del terri-torio di Portici inizialmente sembra ri-ferirsi alla percezione di una profusio-ne di elementi molto piacevoli, che,dalle incantate descrizioni letterarie

dei suoi ammiratori, sembrerebbe in-differenziata e diffusa. Ma molto rapi-damente l’immagine di questo territo-rio si ricompatta attorno ad una strut-tura con orientamenti precisi: un assecardinale sud-ovest/nord-est, ma -re/Ve su vio, e un asse longitudinaledello spazio, su cui si disegna la co-sta, e, parallelo ad essa, il tracciato li-neare della strada delle Calabrie. Ac-qua, Fuoco, e Croce Cosmica. La co-struzione del Sito Reale borbonico èl’atto che ha reiscritto e reintepretato inchiave moderna questo paesaggio, ri-prendendone e suggellandone fino adoggi (e fino alla prossima eruzione delVesuvio) i tratti di una fisionomia tena-ce, millenaria, forse indistruttibile.Per apprezzare e misurare in pieno ilvalore culturale di quell’atto di re-in-

sediamento, possiamo tentar di rico-struire le suggestioni immaginariecomplesse che il Vesuvio ed il marepotevano esercitare sugli abitanti delluogo e sui viaggiatori protomoderni,subito prima della costruzione dellaReggia di Portici, cioè nella primametà del Settecento. Questo possia-mo farlo ripercorrendo all’indietroquella storia del paesaggio non scrit-ta dalle parole degli storici, ma percosì dire “tradita” dall’iconografia del-la città di Napoli. Napoli non appartiene al territorio ve-suviano. Rispetto a quel territorio, Na-poli è situata al di là del corso del Se-beto, che segna il limite della confor-mazione geologica ed orografica delVesuvio. La figura di Napoli non faparte del paesaggio del Vesuvio. È il

Paesaggio come Teatro del sublime e del pittoresco

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Portici come sito museale 209

Vesuvio piuttosto che ad un certopunto è entrato invece di forza nelpaesaggio di Napoli. Tuttavia l’imma-gine di Napoli è dominante dal tardoMedioevo fino a tutto il Seicento nelladefinizione della fisionomia del suogolfo, mentre perdura in quei secolila mancanza di riconoscibilità auto-noma della costa vesuviana. È dun-que legittimo estrapolare dalla storiaiconografica di Napoli materia utileanche per la comprensione dellaidentità paesistica dell’intera lineacostiera del suo golfo. Nell’iconografia più antica, Napoli èrappresentata come una città chiara-mente definita dal recinto delle suemura, vista dal mare contro lo sfondodel cielo. Questa figura ha una per-manenza che va dal Medio Evo finoalla metà del Seicento. Nel Rinasci-mento assume tuttavia una incisivitàparticolare: la città è rappresentatasempre più come un corpo corazzato

dalle sue mura fortificate, sormontatodal suo “elmo”: Castel Sant’Elmo, ap-punto (dalla Tavola Strozzi, 1464, finoalla veduta di Bastiaen Stopendael,1653). Ma tra la seconda metà del Cinque-cento e la prima del Seicento, duegrandi nuovi attori entrano nella sce-na che fa da sfondo all’immagine del-la città di Napoli: prima il mare, poi ilVesuvio.Il mare: dal Medioevo al Rinascimen-to, esso è solo l’esterno indifferenzia-to in cui collocare mentalmente il vir-tuale punto di vista delle vedute pro-spettiche o a volo d’uccello della cit-tà. Nella seconda metà del Cinque-cento il mare di Napoli comincia peròad essere percepito con una visioneper così dire capovolta: non più pla-tea da cui ammirare lo spettacolo ur-bano, ma scenario paesistico di sfon-do alla città. Ciò avviene a seguitodella conquista edilizia delle falde

collinari dovuta all’insediamento deiQuartieri Spagnoli di Pedro da Tole-do. Il mare, fino ad allora “non visto”dallo sguardo della città, diviene cosìuna parte importante del paesaggiourbano. Dalle testimonianze del Buli-fon sappiamo dell’utilizzazione espli-cita del mare come sfondo scenico,lungo tutto il Seicento, nell’organizza-zione di spettacoli sul passeggio diPosillipo. È singolare che questi fos-sero spettacoli dell’orrido e del curio-so: battaglie di cani e gatti, esposi-zione di nani, impiccagione di ladri. Ilmare è entrato dunque, nell’immagi-nario collettivo, a far parte dell’oriz-zonte visivo cosciente della città, macome sfondo dell’“alterità”, dell’ecce-zionale e del mostruoso. L’ingresso dell’immagine del marenella percezione e nella rappresenta-zione dello spazio urbano, segnala laconquista di una coscienza più allar-gata dello spazio, ma anche contem-

Alexandre-Hyacinthe Dunouy Napoli da Portici, 1814. Napoli, Museo di Capodimonte.

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poraneamente un inquietante inde-bolimento della fiducia nel potere diinterdizione affidato al confine dellacittà. Nel 1640, viene costruito un pa-lazzo addirittura a cavallo di questoconfine: palazzo Donn’Anna, cheaveva «nu pede ‘nfuso e n’autoasciutto». I lavori di costruzione dellafortificazione rivolta al mare, il moloSan Vincenzo, vengono iniziati, mapoi lasciati incompiuti. Al di là delconfine definito dalla costa, addirittu-ra l’orizzonte del mare comincia acaptare l’interesse dello sguardo.Non solo per la sensibilità esteticache va mutando, ma anche per un al-tro motivo: l’inquietudine. Si è comin-ciato a verificare il fenomeno delle in-cursioni corsare, che sono giunte finoa Mergellina…A cominciare dal limite tra la città ed ilmare (tra la Terra e l’Acqua), è l’interoconfine tra città e territorio circostanteche comincia dunque ad essere sva-lutato e percepito come labile. È nella prima metà del Seicento che

la certezza del confine urbano vieneimprovvisamente, definitivamente, in-franta. La svolta avviene per una ca-tastrofe, la spaventosa eruzione delVesuvio del 1631, le cui lave arrivanoa lambire il confine orientale della cit-tà. È il tragico esordio del Seicento,che si dipana poi per intero come unsecolo di catastrofi: l’eruzione del ’31,la rivolta di Masaniello del ’47, la pe-ste e l’alluvione del ’56, i terremotidell’88 e del ’94. Cambia nella gentela sensibilità alla percezione del“dentro” e del “fuori”. Cambia dun-que anche l’iconografia della città. Sisviluppa la capacità di immaginare erappresentare la città come uno spa-zio attraversato in tutti i sensi dalleforze della natura (i venti, le acque, iraggi di luce) e dagli accadimentidella storia.Le splendide vedute di Didier Barrarappresentano questa nuova co-scienza del paesaggio, dentro e fuo-ri il corpo della città di Napoli. C’è or-mai una consapevolezza del “fuori”

della città, capace di portare all’inter-no della rappresentazione figurativae della coscienza estetica tutto ciòche dal “recinto” urbano è stato fino-ra tradizionalmente espulso: la natu-ra, lo spazio infinito, con tutto il suofascino ma anche i suoi pericoli. Leimmagini figurative (Didier Barra, Sci-pione Compagno, Johannes Lingel-bach, Thomas Wijck) registrano or-mai una compresenza irreversibile diciò che le mura della città tradizional-mente avevano per secoli separato:la Terra, l’Acqua e il Fuoco; l’artificio ela natura; in certo senso: la Vita e laMorte. La veduta di Napoli del Van Essen,intorno al 1660, riprende la città conun artificio prospettico già sperimen-tato da Pieter Bruegel più di un se-colo addietro, che permette di rad-doppiare l’angolo visuale. È così cheil Vesuvio, oggetto fino a quel mo-mento solo di inquadrature insolite erare, entra per la prima volta peren-toriamente in campo. Eccolo, in

Particolare della zona di Portici nella Veduta di Napoli di Jan Van Stinemolen, 1582. Vienna, Accademia Albertina, GraphischeSammlung.

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Didier Barra Veduta di Napoli dal mare, sec. XVII. Daverio (Varese), collezione Silbernagl Volker Erwin.

Didier Barra Il Borgo di Loreto con il Vesuvio in eruzione, sec. XVII. Roma, collezione privata.

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Scipione Compagno Eruzione del Vesuvio, tra 1636 e 1658. Napoli, collezione privata.

Jan Van Essen Manifestazione navale nella Rada di Napoli, sec. XVII. Napoli, Museo di San Martino.

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Pierre-Jacques Volaire Eruzione del Vesuvio, 1779 circa. Napoli, collezione privata.

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quella veduta: esso “preme” da Est,al lato destro del quadro, per fare ilsuo ingresso in scena, possente ecerto spaventoso deuteragonistapronto a detronizzare il colle di San-t’Elmo dal suo ruolo di tradizionaleindiscusso protagonista dell’immagi-ne di Napoli. Nella prima metà del Settecento l’im-magine del Vesuvio diviene totalmen-te dominante nell’iconografia delpaesaggio del golfo. Le sue rappre-sentazioni sono dapprima “sublimi”(Carlo Bonavia, Piero Antoniani,Charles Grenier de la Croix, e soprat-tutto Pierre-Jacques Volaire, e poi an-cora Michael Wutky e Philipp Hac-kert). Solo in un secondo momentoquell’immagine comincia ad esseresottoposta a qualche tentativo di ad-domesticamento: e le sue rappresen-

tazioni dalla seconda metà del Sette-cento cominciano a diventare “pitto-resche” (John Robert Cosenz, Gio-van Battista Lusieri, Alexis NicolasPérignon, François Marius Granet,Johann Christian Dahl, Joseph M.William Turner). Quella straordinariamontagna con la sua eruzione di fuo-co, diventa da allora, assieme al ma-re, una delle due grandi indiscutibiliicone identificative di Napoli e delsuo paesaggio.

Prima l’Acqua, dunque, e poi il Fuo-co, tra Cinquecento e Settecentohanno conquistato un ruolo di co-pro-tagonisti, antagonisti della Terra, nel-la rappresentazione del paesaggio diNapoli e dintorni. Trasformando que-sto paesaggio, nell’immaginario col-lettivo non solo dei suoi abitanti ma

anche dei viaggiatori stranieri, in ungrande teatro delle forze della natura,che fa da sfondo allo spettacolo del-la vita urbana. Sta proprio qui, nella drammatica espettacolare compresenza di ele-menti primari indomabili e di elemen-ti culturali ancor più affascinanti per-ché tragicamente danzanti sull’orlodella catastrofe, la specifica attratti-va di Napoli e i suoi dintorni. Ben piùche non una semplice “bellezza”.Nell’epoca moderna, delle relazioni edegli scambi sempre più intensi tra ivari paesi del mondo, questi luoghidiventano e restano meta di visite af-fatto particolari: viaggi alla ricercadel piacevole e del pittoresco, maforse, soprattutto, pellegrinaggi allaricerca dell’indimenticabile e delsublime.

Joseph Mallord William Turner Il Vesuvio, 1819-20. Londra, Tate Gallery.

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Giovan Battista Lusieri Alle falde del Vesuvio da Portici, 1784. Torino, collezione privata.

John Robert Cozens Capanna di pastore tra Napoli e Portici, 1782. Londra, Victoria and Albert Museum.

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Alla metà del Settecento, il Re Carlo diBorbone, innamoratosi dei luoghi co-stieri alle falde del Vesuvio, vi fece in-sediare un suo palazzo di delizie. Ilpalazzo però non fu costruito ex-novo:il nucleo originario sfruttò costruzioniaristocratiche preesistenti, e crebbeintorno alla Villa del Conte Palena. Lafabbrica fu orientata in modo tale, dafar corrispondere la porta principalecon la fontana centrale e con l’assedel giardino della Villa Palena. Un giardino fu dunque determinanteper quella che sarebbe poi divenutala forma finale del palazzo e dell’inte-ro insediamento del sito reale.

Ogni giardino è, nella sua natura ar-chetipica, un luogo chiuso. Luogonon di natura, ma d’artificio assoluto,che mette in atto, con materie natu-rali, una finzione della natura stessa,una natura “perfecta” dall’immagina-rio. Nel suo stesso nome il Giardinoreca le tracce della sua conformazio-ne chiusa. La parola compare nellalingua francese (jardin) nel sec. XII,prima che in quella italiana, comemodifica di una parola più antica,jart, che ci permette di intraprenderela risalita attraverso le secolari rami-ficazioni linguistiche, fino alle fontimillenarie del suo senso: attraverso il

termine jart si risale al franco gard, altedesco Garten, e da qui il percorsosi fa duplice: da un lato (CortelazzoZolli 1984), conduce forse ad un ori-ginario aggettivo latino (hortus gardi-nus è il luogo coltivato chiuso), dal-l’altro (Devoto 1968), conduce all’in-dioeuropeo ghorto, esteso all’areaosco-umbra ed a quella celtica, dacui si ridiscende direttamente al lati-no hortus. Il filo del senso che collega fra loroqueste forme linguistiche e ce le ren-de leggibili come metamorfosi diun’unica struttura originaria, è qual-cosa di relativo alla “chiusura”. Non si

Paesaggio come Giardino: il recinto e l’infinito

Hubert Robert I giardini di Portici, 1760. Besançon, Biblioteca municipale.

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dà dunque “giardino” se non vi è “re-cinto”, separazione di spazio, circo-scrizione di un luogo. Metastoricamente, l’immaginario delGiardino si origina dunque, attornoall’archetipo del recinto, e si sviluppaper le costellazioni simboliche del-l’intimità, del “centro”, del “grembo”,dell’“origine”, attraverso rêveries del-la nostalgia (del “ritorno”, e del “do-lore” – e della sua consolazione).Nell’immagine del Giardino, in un“regime notturno” dell’immaginario,Vita e Morte si ricongiungono comein un rifugio “dolce” ed originario: co-sì, il Giardino archetipico contiene, alsuo centro, una Fontana, la cui ac-qua è isomorfa al Latte ed al Miele, icibi “buoni” dell’infanzia. Il Giardinodiviene così immagine del luogo del-l’Amore per eccellenza: «Giardinochiuso tu sei / Sorella mia e sposa /... / Nel mio giardino entravo / Sorellamia e sposa / E la mirra e ogni es-senza ne rapivo / E tutto il favo delmiele mangiavo / E il vino e il lattebevevo», recita il Cantico dei Cantici(5.1). Ed i riti del seppellimento deimorti, nel Giardino, si strutturano at-torno alle fantasticherie del riposo,dell’intimità, della dimora originariaritrovata (Gilbert Durand).Storicamente, il giardino europeo na-sce nell’Alto Medioevo, e la sua na-scita è connessa al ritrarsi della gen-te dagli spazi troppo aperti dellacampagna, divenuti pericolosi per laminaccia continua degli invasori delNord. Alla lettura storica, la dinamicaregressiva propria del Giardino ar-chetipico, si manifesta in un movi-mento specifico dell’occupazione fi-sica dello spazio: un “ritornare” dal-l’esterno all’interno, un “rifugiarsi”, incerto senso, “a casa”. La tipologia architettonica dell’hortusconclusus, il “chiostro” conventuale,deriva da un modello dell’intimità do-mestica, quello del peristilium dellacasa romana. “Paradiso” veniva det-to, all’origine, questo giardino clau-strale: il piccolo cortile interno in cuicoltivare i fiori per gli altari, le erbemedicinali, le verdure e i legumi, inmodeste aiuole quadrate dedicate

per lo più ognuna ad una sola spe-cie; ed il frutteto era anche il cimite-ro... Ma quanto indissolubilmente, alpunto da restarne poi d’uso comune,a questo nome appaiono legate altrevalenze del senso: l’Eden delle origi-ni, il luogo senza tempo in cui sog-giorneranno i Beati... L’origine dellaparola “paradiso” è persiana. Ed at-traverso quella parola è tutta unaconcezione cosmologica di antichis-sime origini che viene da Oriente adinnescarsi nel giardino europeo: ilpardès persiano è un microcosmoche rappresenta l’Universo nella to-talità dei suoi quattro lati, ed il cuicentro è occupato da una montagna,ma è anche un tema metafisico e mi-stico, attorno a cui si sviluppano mol-teplici arti, dalla floricultura alla fab-bricazione dei profumi, dal disegnodei tappeti all’architettura dei palazzie delle città, dai racconti delle Mille euna Notte alla meditazione contem-plativa. E, oltre la Persia, si intravedenell’Estremo Oriente la concezioneancora più spirituale del giardinodell’antica Cina, che assume confi-gurazioni del tutto astratte, simbolidell’immortalità.

Il sito reale di Portici, nato attorno adun giardino, con il compimento dellasua costruzione, ha fatto sì che l’inte-ro paesaggio di Portici fosse mutato,alla metà del Settecento, in una sortadi grande giardino. L’espressione “paesaggio-giardino”è tuttavia complessa ed ambigua,perché contiene inevitabilmente ele-menti in contrasto fra loro. Da una parte, l’intervento borboniconel paesaggio vesuviano ha rafforza-to infatti, nella configurazione del sito,il motivo della chiusura. Qui a Porticipiù che mai il Parco Reale appare co-me il luogo di un tentativo di cattura,di privatizzazione e insieme di imita-zione della Natura e delle sue delizie.Materialmente, possiamo notare co-me l’atto fondativo del parco dellaReggia sia stato l’individuazione del-l’area da destinare ad esso nell’ambi-to territoriale, ed uno dei primi atti“forti” nella realizzazione dell’opera

sia stato costituito dall’emanazione diun decreto d’interdizione all’accessoall’interno dell’area e dalla costruzio-ne di una recinzione. Seguiamo an-cora una volta gli ordini emanati dalMarchese di Salas per conto di Carlodi Borbone (A.S.N. Casa RealeAmm.):

D’ordine del Re il Caporal de laEsquadra de Campo destinadaentre Portici y Resina que invigi-le... que nnengun paysano neotra persona ordinaria entre enlos iardines, casas y districto delterritorio che S.M. ha compratoen aquel parage para el nuevobosque que se deva cercar patala intension de su Magestate (aD.Francisco Volturale, 8 agosto1738)muraglione di Bosco a 16 d. (adAlcubierre D.Rocco, novembre1738)non si lasci porta alcuna apertaalla muraglia del Bosco di Porticia 4 d. (ad Alcubierre D.Rocco, di-cembre 1738).

La chiusura dello spazio assume pe-rò in questo sito una singolare conno-tazione, eroica e romantica, perchésembra contenere anche un valore disfida rispetto alla pericolosità intrin-seca dell’area. A proposito della peri-colosa vicinanza del Vesuvio, il Noce-rino riferisce la battuta di Carlo diBorbone: «Ci penseranno Iddio, Ma-ria Immacolata e San Gennaro».Questa espressione appare ancoratutta interna alla cultura magico-reli-giosa seicentesca, cui appartengonole immagini della processione dipinteda Micco Spadaro cento anni primaall’indomani dell’eruzione del 1631, incui si vede San Gennaro fermare dalcielo l’avanzare della lava. Ma è singolare notare che, nonostan-te questa ostentazione di regale non-chalance, avendo assistito nel mag-gio 1737 ad una nuova, anche semeno distruttiva, eruzione, il re nonsottovaluta certo la cosa come si po-trebbe pensare. Ordina invece una ri-produzione pittorica dell’eruzione ve-suviana a Tommaso Ruiz, allo scopo

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di inviare un documento visivo dellostraordinario fenomeno ai propri ge-nitori in Spagna, e ad un gruppo discienziati una ricognizione all’internodel cratere del Vesuvio, allo scopo diverificarne “scientificamente” la peri-colosità. Il racconto della spedizione scientifi-ca è del Biancardi (1739):

Questo Gran Re, non pensandoad altro che al benefizio dei suoiRegni, fe spedire molti scienzia-ti, a riconoscere l’apertura delmonte Vesuvio, per osservarnela vera situazione presente, per-ché vedendo che l’afflizione deisuoi popoli, ed il loro continuo ti-more che in loro si nutre, nasce-va da questo Monte che talora orcon Incendi, or con bituminoseLave di foco, or con piogge diCenere, ed ora con tremuotiesponeva a ruinose disgrazieuna città così bella, un cielo cosìbenigno, un così fertil terreno, ha

voluto che si tenti ciò che finoraè stato creduto impossibile,sembrando affatto una favolosaintrapresa, che di quello Vesuviol’orride Caverne penetrar si po-tessero da persona veruna, pertale effetto diede coraggio amolte virtuose Persone ed altriSoggetti d’ivi cercare l’entrata,come lo fecero, poiché pene-trando quelli per l’orificio delMonte, si servirono alcuni di Cor-de, altri si lasciarono cadere so-pra la cenere, stando però appi-gliati ad alcuni penduli lacci, co-sicché alla perfine fortunatamen-te riuscendo da quei sì rischiosisentieri riferirono, che quell’Orifi-cio, o bocca avea il circuito in-torno moltissimi passi e ch’eravinel fondo un ampio piano, in cuida varie parti ne riusciva Fumo,nella stessa guisa appunto chesi vede nelle miniere dello Zolfovicino à Pozzuolo

Il sentimento del paesaggio che agi-sce nella fondazione del Sito Realedi Portici, e che ha fatto disegnarel’intero Sito come un immenso giar-dino, risulta dunque tessuto di ten-sioni particolari, che ruotano attornoalle dinamiche della protezione edella chiusura, ma anche a quellead esse opposte dello sconfinamen-to, dell’indeterminazione, dell’infini-to, della sfida. Obbligato dalla fisionomia di questopaesaggio, nel progetto della Reggiae dei suoi giardini entra così in giocoil tema del contrasto. E l’architetturaimita la natura, disegnare anch’essacontrasti tra le Materie dinamichedell’Acqua e del Fuoco (il Mare ed ilVulcano), da un lato, e la Materia sta-tica della Terra (il Recinto chiuso diun luogo-giardino) dall’altro. Nellacomposizione architettonica genera-le degli spazi verdi, viene introdottoinfatti, in contrasto con il segno delmuro di cinta, un asse prospettico

La cattura della natura: i recinti del giardino quadrato e del giardino segreto. Piantain grande del Giardino di fiori di agrumi annesso al Real Palazzo. Da “I disegni delleReali Delizie di Portici” (Collezione Palatina, Napoli, Biblioteca Nazionale).

La cattura dell’infinito: la stella degli assiprospettici attorno al Belvedere. Piantain grande del Sito del Belvedere esisten-te nel Real Boschetto di Sopra. Da “I di-segni delle Reali Delizie di Portici” (Col-lezione Palatina, Napoli, Biblioteca Na-zionale).

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dominante e potenzialmente infinito,ortogonale all’asse longitudinale del-la via delle Calabrie, e congiungentedunque il Vesuvio ed il mare. Questo gesto compositivo ripete in-consapevolmente il gesto antico che

più di venti secoli prima aveva trac-ciato appena un poco più ad Est l’as-se cardinale della città di Ercolano.Ma ciò avviene ad una scala diversae con una coscienza diversa, che,questa volta, include la consapevo-

lezza del rischio vulcanico e la sceltadi misurarsi con esso. Questo asse sipone come sfida e insieme comecontrollo dell’estensione illimitata del-lo spazio, e dei personaggi ultra-umani (il Vulcano, il Mare) che entra-

Borrador del Mappa del sitio di Portici, inizio ’700 (ASN: Piante e disegni, cart. X n. 22).

Veduta della Reggia di Portici e dei suoi Giardini dal mare, 1750. Napoli, Museo di S. Martino.

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Pianta generale dei fabbricati e dei terreni della R. Scuola d’Agricoltura in Portici. Da La R. Scuoladi Agricoltura nel passato e nel presente, 1872-1906.

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no a giocare il loro ruolo sulla scenadel paesaggio. Ma, contemporaneamente, la dinami-ca immaginaria del Recinto vienepresentata in tutta la sua tipicità ecompiutezza, nell’organizzazionequadripartita del giardino “soprano”del palazzo, e nella collocazione tipi-ca, al centro del quadrato, della Fon-tana detta delle Sirene. La tematicadelle “chiusura” viene inoltre duplica-ta e rafforzata mediante l’introduzio-ne, a latere di quel quadrato princi-pale, di un secondo recinto, che ri-sulta dunque doppiamente chiuso: il“giardino segreto”. Il tema architettonico del limite e della“cattura della natura” (la costruzionedel muro di cinta) viene così a coniu-garsi con il tema paesistico della “cat-tura dell’infinito” (l’organizzazione dellospazio secondo un asse visuale i cuipunti di fuga si collocano, opposti, anord-est e a sud-ovest, all’orizzonte).

L’ombelico di questo nuovo disegnourbano è la corte centrale del Palaz-zo del Re. Ma tanto viene percepitacome dominante la struttura del pae-saggio, con i suoi potenti assi geo-metrici e visivi, che lo stesso cuoredella Reggia non osa contrapporsiad essa. Ben diversamente da quan-to era avvenuto nella antica fonda-zione di Ercolano, l’ombelico delnuovo impianto architettonico-urba-no è dunque un segno volontaria-mente debole, tributario ai valoripreesistenti, al punto che per il Pa-lazzo viene inventata una tipologiaedilizia assolutamente inedita. Il Pa-lazzo viene composto come nell’as-semblaggio di due ville, poste aspecchio l’una di fronte all’altra, acavallo della strada delle Calabrie,l’una puntante verso il Vesuvio, l’altraverso il mare. Insomma, un Palazzo,Reale si, ma che dialoga con le gran-di presenze del sito, più che imporsi

ad esse, e… attraversato proprio nelcuore della sua corte interna dallapubblica strada!Ciò che ne risulta alla fine è senzadubbio un complesso architettonico,urbano e paesistico che ha caratteri-stiche molto ambivalenti di luogocontrollato, protetto, esclusivo macontemporaneamente aperto, debo-le, senza efficaci confini. Perché re-cintato, eppure doppiamente taglia-to: in direzione cardinale, da prospet-tive allungate fino ai due orizzonti; indirezione longitudinale, dal passag-gio della pubblica strada. Il sito diviene così un giardino-pae-saggio, anzi un privato paradiso, si,ma sottilmente instabile; un luogo didelizie inquiete; un ritiro pittorescoappartenente al Re, da cui contem-plare con intensità un paesaggiosublime, che resta però appartenen-te agli dèi.

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Mouseion: originariamente, l’edificiodedicato alle Muse in Alessandriad’Egitto, dove si custodivano libri edopere d’arte. Alle origini mitiche diquesta parola ci sono le Muse, figliedi Zeus e di Mnemosyne, dotatedella facoltà di donare agli uomininon solo la memoria, ma anche ilsuo opposto: la dimenticanza. E c’èdunque la Musica, non intesa solonel senso moderno, quale arte dellearmonie sonore, ma nel senso piùantico e globale, quale arte di quel-l’armonia immateriale che lega tuttigli aspetti del sapere, da quelli più

corporei (il canto, la danza, la paro-la) via via fino a quelli più speculati-vi ed astratti (l’astronomia, la mate-matica...). Ma nella concezione moderna delMuseo, un’altra tradizione convergee si intreccia con quella originariagreco-mediterranea. È la tradizionedel collezionismo delle “meraviglie”,proveniente dal mondo medievalenordico. La solarità degli spazi del Sud ha pro-dotto nei secoli fantasie di una naturaamica, di cui poter immaginare unequilibrio interno in forma di segreta

armonia. La natura difficile degli spa-zi del Nord, è apparsa invece semprepiù misteriosa, inafferrabile, in parteincomprensibile ed ostile, certo sug-gestiva di oscurità del pensiero e dimagie più che di chiarezze luminoseassimilabili al pensiero razionale. Ec’è come un’infanzia della scienza,che dura in qualche modo fino allametà del Settecento, in cui l’accosta-mento conoscitivo alla natura è con-notato dallo stupore e dall’incanto. LaWunderkammer del naturalista e delprincipe dilettante di scienza rappre-senta, dalla metà del Cinquecento, il

Paesaggio come Museo: stanze della memoria, stanze delle meraviglie

La Statua del Leone all’ingresso del Giardino Segreto. La Fontana dei Cigni nel Giardino Segreto.

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luogo di un accumulo asistematico di“mostri”; il sogno di una collezionestraordinaria che privilegia dunquel’insolito ed il bizzarro; un progetto diconoscenza totale non limitata da al-cun pregiudizio, aperta all’eccezionepiù che alla regola, interessata all’infi-nita variabilità della natura.Le due tradizioni (l’una, quella delMouseion, di origine mediterranea e“solare”, alle origini del moderno Mu-seo delle Arti, l’altra, quella dellaWunderkammer, di origine “notturna”e nordica, alle origini del modernoMuseo delle Scienze) hanno vitaparallela fino al Seicento. Poi, con losviluppo di una cultura scientifica au-tonoma rispetto alla cultura estetica,cominciano a separarsi esplicitamen-te l’una dall’altra. In Italia, il gabinettodi Francesco Calceolari a Verona, equello di Ferrante Imperato a Napolidiventano così i prototipi di ciò cheoggi viene inteso come Museo Natu-ralistico. Nella molteplicità di raccolte musealiscientifiche di vario tipo, un postoparticolare prendono, dal XVII seco-lo, gli Orti Botanici, “musei delle pian-te viventi”.Per comprendere a fondo cosa è unOrto Botanico, bisogna ritornare allavisione storica del giardino europeo.In origine la coltivazione delle piantenell’Hortus conclusus era strettamen-te legata all’alimentazione ed alle cu-re del corpo. Ed è proprio in questocarattere pratico ed utilitaristico delgiardino claustrale occidentale, ap-parentemente ben più modesto delcarattere contemplativo-simbolicodella tradizione di origine orientale,che sta il seme del futuro sviluppoconoscitivo e infine scientifico-didatti-co, da cui ha origine la moderna con-cezione di orto botanico. Il paradigma di questa evoluzione èdato dalla storia del Viridarium ponti-ficio, capostipite dei Giardini Vaticani.Fondato come Pomerium (terreno li-bero entro le mura) da papa Nicolò IIInel 1278 contestualmente all’impian-to della residenza papale presso laBasilica di S. Pietro e l’ampliamentodelle mura di Leone IV, dall’iniziale

funzione di Simpliciarius pontificius,ovvero di vivaio per la coltivazionedelle piante a disposizione dei medi-ci del papa, esso si evolse in una rac-colta di carattere didattico-scientifi-co, fino a costituire all’inizio del Cin-quecento il luogo delle dimostrazionipratiche dell’insegnamento della bo-tanica, con l’istituzione presso l’Uni-versità della Sapienza della Cattedra“Lectura simplicium, ad declaratio-nem simplicium medicinae”, insegna-mento fino ad allora compreso nella“Practica medicina”.Nel momento in cui nella tipologiastorica del Giardino si genera la ti-pologia specifica dell’Orto Botanico,si apre un’epoca completamentenuova.Un Orto Botanico è, in certo senso,un teatro della mente. Non a caso Fe-derico Cesi, più ricordato forse comefondatore dell’Accademia dei Lincei(1603) che non come naturalista ebotanico escursionista, lavorò tutta lavita ad un progetto “totale” della co-noscenza, rimasto incompiuto, il cuititolo era “Theatrum totius naturae”.Non a caso il suo lavoro cominciavaappunto dalle Tabulae Phytosophi-cae, in cui egli partiva, per la ricercadelle leggi generali dell’ordine natu-rale, dalla classificazione e nomen-clatura delle piante, che fra i primiaveva potuto osservare con lì “oc-chialino” inventato da Galileo Galilei.(L’occhialino fu detto poi “microsco-pio” da Giovanni Faber, un altro sem-plicista del papa, che coniò anche laparola “botanica” in luogo della dizio-ne “lettura dei semplici”). Non a casoFabio Colonna, che si poneva neglistessi anni il problema della indivi-duazione della “costituendorum ge-nerum ratio”, e fu tra i primi a poterosservare a confronto con le pianteeuropee le nuove piante sconosciuteprovenienti dal nuovo mondo (“Re-rum medicarum Novae HispaniaeThesaurus”) era divenuto naturalistavia via cercando, epilettico, qualemai fosse l’erba che secondo Dio-scoride avrebbe guarito il suo male... Sofferenza fisica e capacità di curemediche, conoscenza della tradizio-

ne e passione del nuovo, curiosità,spregiudicatezza dell’intelletto e suoirischi, acutezza dell’osservazione(l’occhio della Lince...), e le grandiemozioni della scoperta delle ric-chezze infinite che la natura riservavaa chi imparava, finalmente, a “cerca-re” e a “vedere”: tutto questo patri-monio emozionale è all’origine dellastoria moderna della Scienza, ed, inessa, di quella particolare commistio-ne di passioni e di saperi che fa sìche un Giardino possa diventare unOrto Botanico. La metamorfosi del Giardino in OrtoBotanico è il sintomo del mutato rap-porto fra gli uomini e le piante, e rap-presenta una fra le più significativetrasformazioni dei laboratori del sa-pere indotte dalla scissione della uni-taria conoscenza umanistica nelledue branche delle “scienze della na-tura” e delle “scienze degli uomini”.Parallela alla metamorfosi della botte-ga alchemica in laboratorio chimico,e dell’apparato astrologico in stru-mentario astronomico, la metamorfo-si del Giardino in Orto Botanico se-gna il passaggio da un antico rap-porto magico-sincretico, quello tra il“curatore” ed i suoi “semplici”, ad unnuovo rapporto scientifico-didattico,quello del “botanico” con le “specievegetali”. È il passaggio del pensie-ro, dalla teoria e dalla pratica di unasorta di omeomorfismo sottinteso trail soggetto e l’oggetto del sapere, al-la teoria ed alla pratica dall’esplicitadistinzione tra il soggetto osservatoree l’oggetto osservato, con la recisio-ne di ogni legame di natura proietti-vo-simbolica fra essi.

Il sito di Portici è diventato, negli ulti-mi tre secoli, un sito di mouseia eWunderkammern. Com’è noto, la storia della costruzio-ne della Reggia borbonica s’intrecciacon la storia del ritrovamento delle ro-vine sepolte dell’antica città di Erco-lano. Nell’agosto 1738 l’ingegnereDon Roque Joaquin de Alcubierre,nell’eseguire l’agrimensura di unaparte del suolo destinato alle nuovecostruzioni, scopre i resti della città

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Il Giardino come Mouseion. Etienne Delaune (1518-1583?), La musica (le nove Muse danno un concerto in un giardino, accantosei persone che leggono sotto ad un pergolato. Sullo sfondo, sulla sinistra, la Fontana, sulla destra, il Labirinto). Parigi, Louvre,Cabinet de Dessins, N. Inv. RF 743.

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distrutta, e, contro le riluttanze dellacorte, riesce a convincere il Re a da-re inizio agli scavi, cosa che avvennenell’ottobre di quello stesso anno.

Eccellenza.Essendo io il primo che passainel R.Sito di Portici, con ordinedel 3. Agosto 1738, per formarela pianta di quegli antichi casini,Boschi, e circonvallazione, do-vendo accompagnare i Disegni,secondo l’ordinanze di Spagna,con la Descrizione di quel sito,come lo feci, mi prevalsi di alcu-ne Persone erudite del Paese perle notizie; E come fra l’altre chemi diedero, una ne fù, che in quelluogo era opinione, che vi erastata edificata una antica Città, loche si scorgeva da i Pozzi di al-cune Case, 80. e più palmi pro-

fondi, dove si eran trovate le Sta-tue, chiamate adesso li Collimozzi, ed altre diverse che fecescavare il Principe del Buff. Contal notizia, di mia idea solam.tecalai in uno dei sudd.i Pozzi perriconoscerli, ed avendo con ef-fetto trovato una porzione di mu-ro antico, con la tunica rossa piùdi 80. palmi sotto il Piano presen-te, da molti operarj, che io alloratenevo impiegati, ne scelsi unosolam.te, con il quale, e con li lu-mi, legati con funi tornai a calarenel soprad.o Pozzo, e l’imposilocche doveva fare, cavando vi-cino al mentovato muro per quel-la sola giornata, nel fin della qua-le mi portò in un Cofano diversepiccole pietre di vaj Diaspri, pez-zetti di metallo ed altro. (...) Pas-

sato però circa un Mese (...) tro-varono una Statua consulare diMarmo sana (...) In conseguenzasi andaron trovando diverse altreStatue, e di marmo, e di bronzo,con altre cose.(Lettera di Alcubierre, cit. in: All-roggen-Bedel 1980)

Il sito, prescelto per motivi paesisticie per le risorse adatte alla caccia edalla pesca, si rivela profondamenteimpregnato di memorie sepolte: adogni scavo della terra necessario perla realizzazione delle nuove costru-zioni, qualche meraviglia del passatoriemerge alla luce. Sulle modalità degli scavi molto forsepoteva trovarsi da ridire: l’ingegnerAlcubierre, a detta di Winkelmann,con le antichità aveva a che fare «co-

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me la luna con i gamberi» (Allroggen-Bedel). E gli stessi criteri del recupe-ro dei reperti archeologici erano cer-to funzionali essenzialmente al soddi-sfacimento dell’avidità del Re. Una parte delle statue scavate servìper adornare il Palazzo: esse furonocollocate sulle scale e nelle nicchiedel cortile superiore, che serviva diaccesso al giardino soprano. Moltestatue furono usate per la decorazio-ne dei giardini e delle fontane, e fu-rono per questo sottoposte anche adadattamenti: una statua femminiledel tipo Hera Borghese fu trasforma-ta nella Flora posta al centro dellafontana delle Sirene da Giuseppe

Canart; furono aggiunte a questo pa-trimonio direttamente recuperato dal-l’Alcubierre anche altre statue prove-nienti dall’antica Ercolano, quali adesempio centosettantasette busti ac-quistati dal Re assieme alla villa El-boeuf e ad altre statue e colonne:questi busti sono probabilmentequelli posti a coronamento del murodi cinta dell’attuale Orto. Due spetta-colari statue equestri furono colloca-te nei vestiboli del Palazzo superioreed inferiore. Ma i ritrovamenti erano così ricchi enumerosi, che la loro collezione fusistemata nelle stanze del vecchioPalazzo Caramanico e divenne ben

presto una delle raccolte più famosedel mondo: il mitico Museo Ercola-nese, definito da Goethe «das Alphaund Omega aller Antikensammlun-gen», forse visitato perfino da Leo-pold e Wolfgang Mozart. La collezio-ne veniva intesa come proprietà pri-vata della famiglia reale, e la suaesposizione come un’esibizione diricchezze la cui osservazione daparte dei visitatori era peraltro sotto-posta a regole molto restrittive chene impedivano uno studio scientifico(Allroggen-Bedel 1980). Tale raccol-ta ebbe vita avventurosa: la partepiù preziosa fu portata in 60 casse alseguito della famiglia reale, nella fu-

Una stanza delle meraviglie. Ole Worm (1588-1654), Museum Wormianum, seu historia rerum rariorum. Leiden, 1655.

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ga in Sicilia del 1799, un’altra partefu donata da Ferdinando IV a Napo-leone, il resto fu trasportato nel 1806nel “Museo de’ vecchi studi” a Na-poli. Nel sito di Portici, è la terra stessache si rivelava come un segreto, me-raviglioso mouseion, avendo conser-vato nelle sue viscere un immensopatrimonio d’arte. Ma quella stessa terra, materia lavi-ca, impasto di minerali di acqua e difuoco, era fatta di sabbie, pietre, cri-stalli, ed era così fertile da produrreuna vegetazione lussureggiante e daalimentare animali terrestri d’ognispecie, uccelli e pesci.Contemporaneamente alla raccoltadei reperti d’arte e di archeologia, i

Borboni promossero anche la rac-colta di materiali naturali. Questecollezioni crebbero al punto da poterfondare nel 1801 il Real Museo Mi-neralogico, e nel 1813 il Museo Zoo-logico. Dopo la caduta del regno borbonico,e la creazione dello stato unitario ita-liano, fu istituita la Regia Scuola Su-periore di Agricoltura, cui vennerodestinate nel 1872 le strutture del Pa-lazzo. Mentre le collezioni d’arte era-no state trasferite a Napoli, costituen-do il nucleo del Museo Archeologico,si consolidò invece in loco la forma-zione di collezioni scientifiche e stru-mentali di vario genere. Fu fondatoun Orto Botanico nei giardino sopra-no. Nacquero a mano a mano il Mu-

seo di Antropologia nel 1881 e quellodi Paleontologia nel 1932. Si accu-mularono materiali botanici, mineralo-gici, entomologici, anatomo-zootec-nici, strumenti di laboratorio, macchi-ne agricole. A dispetto e al di là di cancellazioni,espropriazioni, dimenticanze, o forseproprio per la sua natura fatta di in-guaribili contrasti e la sua storia diduemila anni fatta di fasi alterne dicostruzioni e devastazioni, il sito diPortici è ormai un immenso palinse-sto, luogo di incessante riscoperta edaccumulo di memorie d’arte, di in-cessante riscoperta ed accumulo dimeraviglie.

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Fin dalle prime descrizioni dei viag-giatori stranieri e degli storiografi inepoca moderna, appare evidente co-me il sito di Portici fosse sentito comestraordinariamente attrattivo, sia perle sue componenti naturali che perquelle frutto d’artificio.Il commento dell’Abate Richard(1769), piuttosto tiepido per quantoriguarda l’architettura del Palazzo, di-viene via via più positivo nel descri-vere i giardini (in corso di sistemazio-ne) fino a divenire prodigo di ammira-zione per il contesto paesistico: inparticolare, sembra esprimersi in es-so una natura “benigna”, “amica”, incui appaiono coinvolte anche le forzevulcaniche, la cui distruttività sem-bra, in un contesto così dolce, volercertamente risparmiare l’uomo.

Ce palais est dans le meilleur air& la position la plus charmante(...) Comme les éruptions qui ontsuivi celle de 1631 n’ont pas por-té au loin la désolation & l’effroi,que les laves ne se sont répan-dues qu’aux environs du Vésuve,sur les territoires della Torre delGreco, de l’Annunziata, d’Ottaia-no, & quelques parties de Rési-na, tout ce qui environne Porticiest peuplé de belles maisons decampagne, accompagnées dejardins & de plantations, & bâtiesdepuis que la Cour est dans l’u-sage de passer une partie del’année à Portici; la campagneest fertile & riante, la culture desvignes y est partout en honneur,tous les vins de ce territoire étantd’excellente qualité (...)

Ma è il reverendo Nicola Nocerino(1787) – che si sofferma tra l’altro alungo sull’origine “locativa” del nomedella città di Portici (dal “porto” di Er-colano, o dai “portici” del Foro dellastessa Ercolano), dimostrando anchenel caso della denominazione dell’in-tera città l’importanza del sito – che ciha tramandato una descrizione del-

l’insediamento alle sue origini estre-mamente significativa, viva e densadi annotazioni percettive, di sensa-zioni corporee, di spunti immaginari.Egli è prodigo di notazioni elogiativesulla bellezza dei dintorni e sull’im-portanza che la conformazione delpaesaggio, con le emergenze del Ve-suvio e del Monte Somma, e con lagrande presenza del mare, avevanella determinazione di un immagina-rio spaziale, in quel luogo, di irripeti-bile ricchezza:

Se felice appellata viene la cam-pagna presso la città di Napoli,felicissima dir potrassi quella par-te Meridionale, alle radici delMonte Vesuvio, dove in sito pia-cevole, ed aprico sita giace l’a-menissima Real Villa di Portici. El-la sta sulla riva dell’odoroso mareleggiadramente collocata, in luo-go alquanto eminente, a tre mi-glia distante da Napoli, sotto ledeliziose falde del Monte Vesu-vio, attraversata per lungo da unintero miglio di strada Reggiadritta, piana, commoda troppo, espaziosa, tutta lastricata di bendisposte pietre.

È lo stesso orientamento del paesag-gio che viene letto come benigno, an-che come apportatore di condizioniclimatiche particolarmente favorevoli,in un intreccio di felici bellezze fisichee spirituali:

Have da Oriente Resina, ed il Ve-suvio da mezzogiorno il mare, daponente il casale di San Giovannia Teduccio, e da Settentrione lecolline del Monte Somma, che neitempi antichi era l’istesso Vesu-vio, il quale con la sua altezza raf-frenando la troppo furia della Tra-montana, vi è d’Inverno tempera-to il freddo (...) Ed all’incontro, ri-trovandosi scoverta verso mare,di està i calori vengono temperatidal continuo soffiar de’ dolci zefi-ri, li quali si sentono ancor d’In-

verno, per raffinare l’aria, tantopiù, che la nostra Real Villa situa-ta giace in un sito alquanto emi-nente. E come se assisa si ritrovain mezzo fra il mare, ed il MonteVesuvio, questi col suo fuoco, esuo zolfo, quegli con i suoi salisvaporati dall’onde marine, fan siche l’aria sia la più pura, e più sa-lubre per gli indeboliti corpi uma-ni, essendo per tal motivo il climaaltresì dolce, e salutifero. (...) Ag-giungete a questo, che essendoquì la terra asciutta, e secca, nonumida, non fangosa, le stradebensì aride, perchè o di sabione,o di lastre di pietre, non vi è un-que mai umido, e per tal motivo levie, benchè siano di recente ba-gnate dell’acque piovane, pur tut-tavia, può subito dopo la pioggia,caminarsi a piede asciutto, sicco-me ognuno lo sperimenta, e de-cantata viene da’ Forastieri qualcosa unica, e propria di questosito. (...)

Le annotazioni vengono via via assu-mendo un carattere sempre più sen-suale, nella descrizione dei valori tat-tili (il caldo ed il freddo, il secco e l’u-mido). Si arriva a toccare perfino il te-ma degli odori del sito, che viene poiintrecciato con suggestioni letterarie:

Ma quel che più diletta, è l’odorede’ scogli marini, dell’oglio petro-nico, che qui si sente, e delle tan-te odorose erbette, e mirto, di cuiabbonda tanto questa nostra Ri-viera, e particolarmente quelladetta del Belvedere. E finalmentediletta al sommo la veduta di tan-ti Giardini, Viali, Parterri, Spallie-re, fatte con maestoso disegno,ed artificio, ben guarniti tutti diogni genere di agrumi, frutti, erbebotaniche, e fiori i più rari, ed i piùleggiadri. Onde Felice Melensio,tuttochè a suoi tempi, non fussecosì ornata di Giardini la nostraVilla, pur, parlando di questi luo-

Il sito di Portici come meta del Grande Viaggio

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ghi cantò:Hic hederae, hic nardi, et semperfragrantis amomiPrata vigent partu. E Berardino Rota attribuì a Porticil’odoroso Mirto, di cui anche oggisparso si vede nel suo circuito.Hinc Rethina parat lauros: hincPortica Myrtos,Barra uvas, largo forba Cremana fi-nu.Per la qual cosa dicono taluni disenno, che qui, per la fragranzadi tante erbe oderifere, e di tantivarj fiori in diversissimi Giardini,l’aria, che si respira è ella salu-bre, e balsamica. (...) Motivo percui “Carlo Terzo Borbone o la

Maestà della Regina sua Consor-te Maria Amalia Walburga” nonlasciò giammai di abbellirlo, edornarlo di magnifiche Fabbriche,e deliziosissimi Giardini, non ri-sparmiando nè a fatiche, nè aspese, per aggiungere alla bel-lezza naturale di esso, tutto ciòche sà, e può l’arte umana.

Il racconto di Nocerino è tutto fonda-to sull’importanza delle condizionigeomorfologiche e paesistiche, e sul-la polarizzazione dello spazio tranord e sud, tra monte e mare. Il tema degli odori del sito di Portici,assieme a quello dei sapori, sarà poiripreso da Lorenzo Giustiniani (1804),

le cui descrizioni accentuano gliaspetti fisici del paesaggio, questavolta depurati dalle elaborazioni poe-tico-letterarie:

In tutta la sua estensione il territo-rio è asciutto e odoroso. Il mareha degli scogli che tramandanoancora soave, e salutifero odoredi olio detto appunto petronico, evi partecipano benanche i pesci,che vi sono squisitissimi (...) Un tempo era assai decantato ilpane di questo villaggio, e tenta-to più volte di farlo in Napoli, tra-sportato da colà farina, acqua, le-gna, e faticatori, non riuscì giàmai della stessa qualità e sapore.Dunque mi dissero alcuni vecchi,

228 I Musei delle Scienze Agrarie

Johann Christian Reinhart Paesaggio italiano con viaggiatore. Copenhagen, Thorvaldsen Museum.

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Portici come sito museale 229

che l’aria era quella, che vi contri-buiva; ma in oggi il pane di Porti-ci perchè adulterato dall’altruimalizia al pari di quello di altri luo-ghi, non è niente pregevole.

Così certo lo aveva “sentito” il Celano(1792). La sua descrizione dei siti, edanche in particolare quella del giardi-no, è condotta come seguendo unideale percorso di avvicinamento: edè singolare che la natura di questopercorso non si possa immaginare,per come esso è descritto, lineare, nétantomeno rettilinea; il suggerimentosembra essere quello di un itinerarioad andamento sinuoso, un po’ labi-rintico, alle cui tappe possano corri-spondere più d’una ramificazione,più d’una direzione dello sguardo, equello di un ritmo di “passeggiata”, aparziale andirivieni nello spazio.

Ed eccoci già giunti al Regal Pa-lazzo (...) Passata la Parrocchiadi Portici voltandosi a man drittain sito alquanto eminente si vedeil regio Palazzo dalla parte diOriente: prima di giungervi si os-serva a man sinistra il famosoquartiere destinato a’ Soldati pre-toriani da noi dette Guardie delCorpo (...) Poco prima di arrivareal Regal Palazzo e in luogo daquello non molto distante vi è l’o-spizio dei PP. Pii operai (...) Dallato opposto del quartiere a mandritta di chi vuol entrare nel regalPalazzo vi è la porta, che condu-ce al regal Museo Ercolanese(...).Ad esso si entra per la via diOccidente per mezzo di tre archi(...) Entrati in questo atrio, nelmezzo de’ lati meridionale, e set-tentrionale vi sono altri tre archi,che danno l’ingresso a’ boschi,ed a’ giardini, ed alle scale del re-gal Palazzo.(...) Ritornando da sopra, eduscendo al lato esteriore del re-gal Palazzo, si entra al lato set-tentrionale (...) Da qui si passa adun altro cortile tutto circondato dilogge, sotto alle quali vi sono seiassai belle statue antiche, tutteestratte dagli scavi di Ercolano,

che danno meraviglia a’ Riguar-danti (...) Nella fronte del cortile vi è ampiaporta; per cui si entra in un ame-nissimo giardino, il cui suolo vieneadorno di un assai vago parterre,che coi suoi vari giochi di mortel-la dà a’ Riguardanti un aspettodeliziosissimo. L’ambito è quasitutto circondato da varj gradini difabbrica, ingombri tutti da immen-si vasi con fiori, e piante rarissime,e delle più pellegrine, che abbianquì potuto allignare: Dal giardinocon la salita di otto, o dieci gradi,si entra al boschetto. Quivi entra-to, per un lungo tratto di stradatutta circondata da grossi alberi diquerce, faggi ed altri alberi silve-stri, si giunge al Castello (...)Arrivati alla bella piazza di armein un angolo di essa vi è un puli-tissimo Oratorio dedicato alla Ver-gine Santissima del Rosario (...)Passato il castello inoltrasi nel bo-schetto fiancheggiato da deliziosigiardinetti, e seguitando sempresu dal settentrione, si arriva aduna bella peschiera, nel cui mez-zo vi è una statua di marmo diuna Venere: vien questa cinta daun porticato rurale di 12 archi for-mati dall’intreccio di varj pampinidi alberi, e questi dan l’adito adaltrettante strade, che s’internanonel bosco, ove vi sono delle men-se, con sedi di marmo per uso diriposo, e di ricreazione, quando iSovrani ne avessero talento. Lastrada di mezzo del porticatoinoltrandosi sempre nel setten-trione, dopo non breve tratto ter-mina ad un cancello, il quale dàl’ingresso ad un deliziosissimogiardino, che esce poi alla pub-blica strada vicino Santa Maria diPugliano (...) Chiunque vede questi luoghiamenissimi non può fare a menodi stimarli un paradiso in terra,come da’ più saggi forestieri ven-gono chiamati (...)

Alla fine del Settecento, i viaggiatoristranieri del Grand Tour erano attrat-

ti a Portici essenzialmente dalla pre-senza, nel Palazzo Reale, del MuseoErcolanese. L’attenzione di Edwarde Charles Dilly (1776) è tutta rivoltaal Museo ed al Palazzo, e così quel-la di Giacomo Giona BjoernstaehlProfessore di Filosofia in Uppsala(1784). Alcune note di sfuggita, nel-le sue lettere, si riferiscono agli spa-zi aperti; al cortile Nord, ad esem-pio, considerato tradizionalmenteun’appendice della sistemazionemu seale situata al primo piano delPalazzo:

Ci sono due Musei, ambedue nelreale Castello di delizie: (...) A vo-ler andar a vedere il primo, sipassa sopra una corte, ch’è pie-na d’iscrizioni, di statue, di co-lonne, e così discorrendo.

Lo stesso giardino nord è descrittoinizialmente dagli storici (Nocerino1787) come un museo di sculture piùche di piante:

Dietro questi appartamenti vi è undelizioso giardino, con ben archi-tettato Parterro, guarnito assai difiori, e di agrumi, ed in mezzo unamagnifica Fontana ornata di Sire-ne, e di Fauni, e nel centro unabellissima statua con veste tra-sparente, che sembra di notare laDea Flora, con ghirlanda di fiorinella mano. Sieguono indi altriGiardini, in ognuno dei quali vi èqualche particolar cosa da osser-varsi, fruttiere, e boschetti inter-secati di stradoni, e viali di elci adisegno piantate, guarniti di variestatue, e fra le altre sono da os-servarsi quella di Bacco, e di Er-cole amedue antiche nel gomitodello stradone delle Tiglie.

L’abate Barthélémy (1801) accennaesplicitamente al trasporto dei mate-riali archeologici nei Giardini dellaReggia.

E grandissimo il numero delle sta-tue ivi trovate, ed il teatrino, iGiardini, le scale del vicino realpalazzo di Portici già ne sono or-natissime. Nello scavo lavoranoguastatori di Francia.

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Oggi, la vocazione del sito di Porticiad essere meta di un viaggio cultura-le acquista, con la creazione delcomplesso dei Musei delle ScienzeAgrarie, una dimensione molto piùampia.La presenza di specifiche e rare col-lezioni botaniche, mineralogiche, en-tomologiche e strumentali accumula-te nel tempo nella sede di Portici del-la Facoltà di Agraria dell’Università diNapoli Federico II e riordinate e mes-se in luce nel complesso dei Museidelle Scienze Agrarie produce un nu-cleo museale scientifico di livello eu-ropeo. Ma non solo: come abbiamovisto, ben altre valenze museali, oltrequelle legate alla presenza di specifi-che, preziose e rare, collezioni, arric-chiscono questo sito, e queste pos-sono essere colte solo in una visitadei luoghi che ne permetta l’espe-rienza fisica e mentale diretta.

L’Orto Botanico, che occupa la partesoprana dei giardini reali a ridossodel Palazzo, eccezionale documentodi una cultura museale cui la Naturae la Storia costituiscono ambedue, inmodo frammisto, oggetto di meravi-glia, già è episodio forse più unicoche raro, perché unisce in sé, in paridignità, le qualità di un museo scien-tifico, di giardino storico, di sito ar-cheologico: ma anche, inoltre, riman-da, per la sua collocazione e la suastruttura, ad un concetto più ampio dicontemplazione paesistica. Oltre l’Orto ed i giardini, il Parco diPortici attrae i viaggiatori come l’ulti-mo documento di una cultura delpaesaggio vesuviano, sospesa tra gliestremi sviluppi del classicismo e glialbori del romanticismo, oggi pratica-mente scomparsa. Sui versanti occidentale, meridionale,orientale del Vesuvio, si articola infine

un grande sistema museale territoria-le identificabile nell’insieme dellearee archeologiche di Ercolano,Oplonti, Boscoreale, Boscotrecase,Pompei, che al moderno complessodi Musei delle Scienze fa da cornicenobile e spettacolare. L’intero paesaggio vesuviano, in cuisi istituisce oggi il complesso deiMusei delle Scienze Agrarie, è dun-que esso stesso un immenso mu-seo, luogo di conservazione e di svi-luppo di storie, di arti, di scienze, ditecniche. Il viaggio fisico nel luogo materiale diPortici solo può consentire l’esperien-za unica di compiere qui, sulla costadel mare, alle falde del Vesuvio, un ir-ripetibile esercizio della memoria,della bellezza, dell’intelligenza scien-tifica, della meraviglia.

230 I Musei delle Scienze Agrarie

Giovan Battista Lusieri Napoli da Portici. Londra, collezione privata.

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Lo scenario futuro

Autore

Stefano Mazzoleni

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Prospettiva a volo d’uccello della prima elaborazione del progetto di riqualificazione dell’Orto botanico di Portici con nuove serreespositive. Disegno di Donatella Mazzoleni, 1990.

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Lo scenario futuro 235

Il complesso architettonico e storicodella Reggia di Portici, con i suoiGiardini e Parchi, è paragonabile aquello di altri siti reali di maggior fa-ma, ma lo stato attuale dei luoghi nonne valorizza il fascino e ne nascondele potenzialità. Analogamente, sem-pre nella stessa Reggia di Portici, lecollezioni dei Musei delle ScienzeAgrarie, senza dubbio di una ric-chezza e diversità confrontabile conquelle di altri più noti Musei scientifi-ci, sono attualmente per la maggiorparte conservate in depositi e localinon aperti al pubblico, in condizioniespositive oggettivamente non de-gne del loro valore. I restauri architettonici in corso direalizzazione sul palazzo e nei par-chi riporteranno il complesso al suoantico splendore, dove la riaperturadi un Museo Ercolanense, affiancatodalla sistemazione dei Musei univer-sitari, potrà costituire una vera e pro-pria riscoperta del genius loci origi-nario, una restituzione di questo sitoreale, seppure con un esplicito ag-giornamento ad esigenze e funziona-lità moderne, al suo originario signifi-cato, oltre che di ambiente meravi-glioso, di luogo di esposizione di me-raviglie. Credere in questa trasformazione delsito reale e del suo uso significa in-travedere la possibilità di un progettodi ampio respiro dove al recuperostorico si associa anche un grandeslancio verso il futuro, la creazione diun sito museale moderno del livello

dei Musei delle Scienze di Parigi eNew York, in un contesto confrontabi-le con i Kew Gardens di Londra o igiardini reali di Edimburgo. È facile ri-levare il contrasto tra questa visione eil degrado presente di gran parte del-l’area vesuviana, ma è anche veroche la concentrazione di risorse fi-nanziarie e di programmi di svilupponell’area rende possibile un vero ri-lancio di questo territorio di cui laReggia è il centro naturale.Perché tutto questo si realizzi, è ne-cessaria una riflessione sul problemaserio della ricerca di equilibrio tramemorie stratificate e nuove funzioni,sulla risoluzione delle tensioni tra an-tico e nuovo, tra passato e presente.Il problema non è banale.In generale, la cultura, la scienza,l’arte, l’architettura, tutte mostranostratificazioni nel tempo, tracce e do-cumentazioni della loro storia, ancoraevidenti nel presente e su cui si co-struisce il futuro. Del passato si puòperdere traccia o si può mantenereun riferimento forte - una base vinco-lante da tenere in considerazione op-pure, al contrario, un trampolino dilancio per un nuovo salto in avanti.Non sempre queste tendenze sonoconciliabili e tanto meno è semprecondivisa la percezione stessa del-l’importanza relativa della “storia” diun luogo.Nel caso di Portici esiste una com-plessa stratificazione tra le originariesistemazioni del sito borbonico e lenuove funzioni scientifiche della Fa-

coltà di Agraria, dell’Orto Botanico edegli stessi musei, anche loro ormaistoria del luogo. A questo ricco ecomplesso scenario, si affiancanopoi le realtà e le esigenze politiche esociali del contesto urbano in cui ci sitrova. È chiaro che la proposta di svi-luppi futuri può variare naturalmentea secondo degli obiettivi prefissati,ma anche in funzione dei vincoli e dellivello di continuità con la storia pre-gressa. Il quadro è oggi comunqueabbastanza definito. Infatti, la Soprin-tendenza ha definito gli indirizzi ge-nerali di uso del Sito Reale rilancian-do fortemente l’idea della creazionedi un Sistema Museale integrato el’Università, sposando tale linea dipensiero, sta operando per permette-re la delocalizzazione parziale distrutture della Facoltà di Agraria perliberare il Piano nobile della Reggia epermetterne la sua assegnazione aduso museale.Coerentemente con tale indirizzo, ilprogetto delineato di seguito, si ispi-ra dichiaratamente ad una filosofiadi integrazione dove la massima at-tenzione per la storia si coniuga conuna visione proiettata in avanti. Al re-stauro della stupenda preesistenzaarchitettonica è necessario affianca-re la proposta di elementi innovatoriper una moderna, ma altrettanto me-ravigliosa qualità espositiva dellarealtà museale, che aprirà ad unamaggiore fruizione pubblica, mante-nendo però alta la tutela dei beni delsito.

Il contesto culturale

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236 I Musei delle Scienze Agrarie

L’obiettivo del nuovo sistema musea-le deve essere quello di riproporre lasensazione del sito reale, di sorpresaper la bellezza dei luoghi, amplifican-dola con le esposizioni delle diversecollezioni. Le collezioni scientifichesono in effetti meravigliose, così co-me l’atmosfera che si percepisce inuna passeggiata nei giardini botanicie nel bosco in contrasto con il circo-stante ambiente urbano. Il progettoespositivo dei Musei universitari con-sisterà in un “percorso delle meravi-glie” dove si potranno osservarecampioni ed esemplari scelti dellecollezioni botaniche, entomologiche,e di mineralogia. Dalla visita al nucleocentrale delle collezioni museali sipotrà proseguire con una visita del-l’Orto Botanico e del bosco del Parcosuperiore, scegliendo tra percorsi te-matici, più o meno specialistici, o vi-site più generaliste dedicate piuttostoche alle specifiche collezioni, allacomprensione della storia dell’agri-coltura e dell’evoluzione dell’uso delterritorio. Il Museo delle ScienzeAgrarie offrirà, oltre alle esposizionidelle collezioni mostrate su questo li-bro, un’opportunità di conoscenzadelle metodologie di ricerca presentidietro le quinte del museo: come siprepara un erbario, un campioneanatomico o di minerale, come si os-servano gli insetti, come si studia lavegetazione del passato, come si ef-fettuano simulazioni al calcolatoresulla crescita delle piante e sul fun-zionamento degli ecosistemi. Alle

collezioni esposte in modo tradizio-nale si affiancheranno percorsi virtua-li mediante avanzate tecniche multi-mediali utilizzabili durante visite gui-date, ma anche attraverso connes-sioni remote via WEB.Elemento centrale del progetto di va-lorizzazione e rilancio del centro mu-seale è la sistemazione espositivadelle collezioni e dell’Orto Botanico.Se per le collezioni museali, il restau-ro architettonico della Reggia crea ef-fettivamente le condizioni ottimali perl’allestimento delle nuove esposizioni,riguardo all’Orto è invece necessarioun intervento strutturale, non limitatoal solo restauro architettonico, ma an-che di sostituzione delle attuali serredi tipo industriale, di nessuna coeren-za formale e storica con il luogo edalle condizioni espositive fortemen-te carenti. L’idea di proporre una nuova strutturadi valore architettonico compatibilecon il valore monumentale del luogofu inizialmente presentata in un primolibro pubblicato sull’Orto Botanico diPortici (Mazzoleni e Mazzoleni 1990)ed è stata successivamente appro-fondita ed articolata in occasione didiversi congressi nazionali ed inter-nazionali sugli Orti Botanici, come il IIConvegno Nazionale sui Giardini Sto-rici del Ministero per i Beni Culturali eAmbientali a Monza nel 1991 ed ilConvegno Internazionale “L’Orto Bo-tanico: il passato chiave per il futu-ro?”, per i 400 anni dell’Orto Botanicodi Pisa. L’idea progettuale in questio-

ne è stata inoltre sviluppata dal pro-getto Paradisos “New life for old gar-dens” nell’ambito del programma eu-ropeo Raphael sul restauro dei giar-dini storici di rilevanza comunitaria.Infine il progetto è stato presentato,insieme con la Soprintendenza per ibeni architettonici e per il paesaggioe per il patrimonio storico, artistico edetnoantropologico per Napoli e pro-vincia, al Convegno di Treviso delfebbraio 2004, organizzato dalla Fon-dazione Benetton Studi e Ricerche su“Il giardino, nel nostro tempo, nel no-stro mondo”.Nelle pagine seguenti, a chiusura diquesto volume sulle collezioni scien-tifiche del Centro Museale delleScienze Agrarie, si è deciso di mo-strare una selezione di elaborati pro-gettuali sui giardini che permette diimmaginare il potenziale sviluppo delsito e lo scenario di una riqualifica-zione piena dell’Orto Botanico.Si è convinti che una nuova serraespositiva dove ammirare le stranez-ze del mondo vegetale ed anche de-gli insetti, potrebbe essere, oltre cheun ovvio elemento di attrazione per ivisitatori dell’Orto e dei Musei, ancheuna piena ricucitura con l’anima pas-sata del luogo, le cui evoluzioni stori-che e culturali lo proiettano in un fu-turo paragonabile a quello dei grandisiti museali europei. Un sito che può– e deve – aspirare a diventare nuo-vamente meta di viaggi e sede di stu-dio; che può costituire in tutti i sensi“l’evoluzione delle Wunderkammern”.

I progetti

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Lo scenario futuro 237

Modelli per una rappresentazione didattica del paesaggio del sito di Porticie del complesso RealePlastici realizzati nell’ambito della ricerca europea “Paradeisos – New life for old gardens”, Programma Raphael(1999-2001). Supervisione di Donatella Mazzoleni (architettura) e di Stefano Mazzoleni (botanica), realizzazionedegli architetti Erika Colaci (coordinatrice operativa) Marco Giorgio (modello della Reggia), Saverio Cioce e Ro-berta Margiotta e studenti dell’Istituto Martuscelli di Napoli (modello Mare-Vesuvio).

Modello “Mare-Vesuvio” costruito per una percezione non solo visiva, ma anche tattile da parte di persone non ve-denti. Scala 1:5000 (planimetria) e 1:500 (altitudine); dimensioni 75 cm x 215 cm x 45 cm; materiali utilizzati: su-ghero, lana, cotone, stoppa, riso, spugna, lichene, argilla, pasta di porcellana, legno balsa, gomma, alluminio, ra-me, vetro.

Modello “Orto Botanico e Reggia”, restituzione realistica del complesso reale di Portici che riproduce in scala iprincipali esemplari arborei dei giardini e la circostante lecceta. Scala 1:200; dimensioni 85 cm x 170 cm; materialiutilizzati: sughero, legno balsa, cartone, carta, argilla, plexiglass, pasta di porcellana, lichene, lana, cotone, rame,acciaio.

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238 I Musei delle Scienze Agrarie

Progetto di riqualificazione dell’Orto botanico di Portici elaborato da Donatella Mazzoleni con Biagio Costato e Fabrizio Mirarchi(2003): visione prospettica (elaborazione grafica di Oreste Zingarelli) e prospetto frontale della nuova serra espositiva.

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Lo scenario futuro 239

Progetto di riqualificazione dell’Orto botanico di Portici: prospettiva assiale a volo d’uccello con la nuova serraespositiva (disegno di Donatella Mazzoleni, 2003).

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240 I Musei delle Scienze Agrarie

La Camera delle Meraviglie nella riproduzione della tavola della Historia Naturale di Ferrante Imperato Napolitano. Nella qualeordinatamente si tratta della diversa condition di Minere, Pietre pretiose, & altre curiosità [...], 1672.

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Lo scenario futuro 241

L’evoluzione delle Wunderkammern: l’entrata virtuale ai Musei delle Scienze agrarie (www.museiagraria.unina.it).

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Orto Botanico di Portici

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En lo 2 de Agosto de 1738 se dio principio a la Plata del RealSitio de Portici.

A.S.N. - Casa Reale AmministrativaReal Villa di Portici e sue reali fabbriche.Platea Vol.1016 - 1739 3 segTra le altre si riportano le note relative a lavori nel bosco e nei

giardini durante la costruzione della Reggia.

A.S.N. Casa Reale AmministrativaInventario IVN.1751 Platea di Porticic. 1740-1751Nota di tutti gli stabili della Real Villa di Portici comprato per

Servizio della Maestà del Re nostro SignoreRaccolta di contratti di acquisto tra cui i primi due sono per

il palazzo Caramanico e di Palena.

Soc. Nap. di Storia PatriaAtti per la demolizione del palazzo di Palena c.a. 1747-1751ms. XXXII c 20

A.S.N. Dipendenze della Sommaria Giunta dei Siti Reali perCapodimonte e Portici

a. 1748-1804 fs. 135 I e IINota dei lavori di ferro fatti aiuto della R. Tesoreria per i Rea-

li Palazzi e luoghi adiacenti alla Villa di Portici.Vengono riportate le note di spese relative ai cancelli dei

giardini e dei boschi. Si parla inoltre delle mine per le va-sche e le strade nel parco.

A.S.N. Giunta dei Siti RealiB7 a. 1803-1806Taglio del bosco delle Mortelle zona adiacente Torre del Gre-

co Taglio e vendita di gelsi.

250 I Musei delle Scienze Agrarie

Fonti documentarie

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Page 270: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA
Page 271: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA
Page 272: I Musei delle Scienze Agrarie - Centro MUSA

Finito di stampare nel mese di aprile 2007presso Rossi s.r.l. – Nola (Napoli)