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Tito Puntillo: I Florio a Bagnara Quaderni Bagnaresi – Nuova Serie – Quaderno nr. 2, Agosto 2015 Pag. 1 EDITO IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO GIOVANILE Questo gruppo è uno stimolo per la crescita di Bagnara Calabra e del suo territorio. Evidenziare le negatività significa far crescere una comunità. Un gruppo che rileva il negativo per riparare, proporre, costruire un senso civico opposto a quello attuale. Insieme possiamo crescere. BAGNARA CALABRA Agosto 2015 CIVILTÁ DELLO STRETTO QUADERNI BAGNARESI Anno I – nr. 4 (Agosto 2015)
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I Florio a Bagnara

May 13, 2023

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Tito Puntillo: I Florio a Bagnara

Quaderni Bagnaresi – Nuova Serie – Quaderno nr. 2, Agosto 2015 Pag. 1

EDITO IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO GIOVANILE

Questo gruppo è uno stimolo per la crescita di Bagnara Calabra e del suo territorio. Evidenziare le negatività significa far crescere una comunità. Un gruppo che rileva il

negativo per riparare, proporre, costruire un senso civico opposto a quello attuale. Insieme possiamo crescere.

BAGNARA CALABRA

Agosto 2015

CIVILTÁ DELLO STRETTO

QUADERNI BAGNARESI Anno I – nr. 4 (Agosto 2015)

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1.- DA MELICUCCÀ A BAGNARA.

- da d. Tommaso a mastro Mico.

La nostra storia inizia con Tommaso Florio, un modesto falegname che conduceva a Melicuccà1 verso il 1650, all’epoca sotto la giurisdizione dei nobili Cavalieri di Malta, di stanza a Sant’Eufemia

del Golfo, una vita dimessa di povero artigiano. Quel paesino di montagna contava all’epoca 318 fuochi (famiglie), e molte di queste famiglie si identificavano proprio nel cognome Florio. Nel 1684 al povero falegname nacque Domenico che condusse una vita di «non bambino» per poi divenire un giovane esponente senza speranza e senza futuro. Viste le ristrettezze, nel 1715 Domenico decise di emigrare a Bagnara, forse contando su qualche appoggio di parenti. Anche a Bagnara la frequenza del cognome Florio era davvero frequente e dunque non è da escludere che il trentenne Mico Florio possa essersi giovato, almeno per i primi tempi, di un punto d’appoggio.

La Bagnara del primissimo Settecento, rientrò nella cerchia delle aree che mostrarono dinamicità rispetto alla stasi che perdurava lungo le campagne e la desolata riviera jonica calabresi. In questo senso, oltre a Monteleone, Catanzaro, Cosenza e la campagna ubertosa attorno a Reggio, fiorirono quasi tutte le zone anseatiche come, oltre a Bagnara, Tropea e Scilla, con marinerie oramai più che affermate. Domenico Sestini2 visiterà l’area dello Stretto nel 1776, trovandola felicissima e ricchissima di gelsi. Qualche viaggiatore estese a tutto il Sud lo stato di degrado rinvenuto in aree come Nicolosi nella descrizione di Bydrone o Von Riedesel che entrato in Calabria, credette di poter riportare alla luce una società classica che reputava fosse rimasta immutata nel tempo. La visione di una Magna Grecia ridotta a sparsi ruderi e lo spettrale paesaggio collinare aspromontano e jonico, provocarono in lui una delusione che provocò il giudizio negativo sulla

1 Ancorché classificato fra le comunità rurali, Melicuccà vanta una storia civile di degno rispetto. Nel 1910 vi nacque Lorenzo

Calogero, poeta sublime, formatosi in età scolare a Bagnara e attore di una vita tormentata, terminata col suicidio nel 1961.

Melicuccà diede i natali anche al dott. Antonino Arena, anch’egli trasferitosi a Bagnara ove condusse una splendida professione di

medico, divenendo Priore del Rosario e quindi Cittadino Onorario. Melicuccà è anche il borgo che custodite nelle sue vicinanze, la

spelonca e il monastero di Sant’Elia Speleota. 2 DOMENICO SESTINI, Lettere dalla Sicilia e dalla Turchia a diversi suoi amici in Toscana, Gaetano Gambiagi ed., Firenze, 1779

(lettera del 10 agosto). Le Lettere furono pubblicate in sette piccoli tomi e sono oggi rarissimi. I tomi I-II-III e IV riguardano la

Sicilia, in V la Turchia (D. SESTINI, Descrizione degli Stateri antichi illustrati e con medaglie, Stamperia Piatti, Firenze 1817, le

indicazioni sono a pag. 115). La valutazione positiva della condizione del Canale, si estese a praticamente tutti i viaggiatori del

periodo (ANGLO ITALIAN CLUB, Viaggiatori inglesi in Calabria dal XVIII al XX secolo, Reggio C. 1974). Sul “Turismo di Élite,

con la Calabria mitizzata a ultimo paradiso della Grecia Classica, con monumenti, templi e vestigia sperdute sulle campagne assolate

della Regione (e la profonda delusione provata dai Viaggiatori che ansiosamente la percorsero alla loro ricerca) cfr.: TULLIO

ROMITA, Argomenti di sociologia del turismo, Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica, Università della Calabria, Working

Paper nr. 78, Reggio C. 2000, ; R. ALMAGIÀ, Viaggiatori e cartografi Calabresi, «Almanacco Calabrese» a. VIII (1958); J.H.

BARTELS, Briefe über Kalabrien und Sizilien. Dieterich ed., Göttingen 1787–1792; CATERINA PIGORINI-BERI, In Calabria,

Casanova, Torino, 1892; P: BRUSCHINI, In Calabria, Como 1895. I Viaggiatori si mossero quasi tutti sulla scia delle prime

ricostruzioni geografiche dovute a G. BARRIO, De antiquitate et situ Calabriæ, Roma 1571 ma soprattutto del Padre GIOVANNI

FIORE DA CROPANI, Della Calabria illustrata, uscita in Napoli nel 1691 e ancora oggi uno dei fondamenti della cultura calabrese.

Altre indicazioni in E: CORTESE, Descrizione geologica della Calabria, tip. Bertero, Roma 1895; V: BERARD, La Magna Grecia,

Einaudi ed., Torino 1970; B. CHIMIRRI, La Calabria, conferenza tenuta nell'aula magna del collegio romano il 20 febbraio 1902,

Tipografia Agostiniana, Roma 1902; Altre indicazioni bibliografiche in: TITO PUNTILLO-ENZO BARILÀ, Civiltà dello Stretto. Il

caso di Bagnara, Periferia ed., Cosenza 1993, da pag. 121.

Paesaggio agreste di Melicuccà oggi

La spelonca di Sant'Elia Speleota

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Calabria, espresso nel suo “raise”. Lo stesso Von Riedesel peraltro, dovette riconoscere una diversità dell’Area dello Stretto dal resto della Provincia, individuando in Messina il polo d’attrazione positivo per l’economia anseatica. Essa oltretutto, beneficiava dell’influenza dinamica di Reggio, centro nevralgico per le contrattazioni commerciali che si eseguivano sui moli del porto.3 Gli errori di Von Riedesel non furono ripetuti da Swinburne che venne al Sud per completare studi scientifici. Riuscì a comprendere una società poco integrata col resto del Regno e lontana dal senso comune che aveva pervaso l’Europa e ne espresse un giudizio sereno, centrato sulla caratteristica “naturale” del pastore e del contadino, difficilmente avvicinabili, diffidenti, spontanei, schematici ma una volta acquisita fiducia, gentili, rispettosi e altruisti. Swinburne descrisse la drammatica condizione di sottosviluppo della Calabria, condizione nella quale si trovò il patriarca Tommaso Florio e suo figlio Domenico, trentenne in cerca di futuro. Ma Swinburne trovò anche elementi che indicavano una possibilità “in nuce” di sviluppo economico locale, elementi spesso soffocati dagli interessi degli amministratori e dei magistrati e non compresi dai governanti centrali che la opprimevano di tasse.4 In quest’ottica s’inquadrano le “diverse Calabrie” di Swinburne: quella del Crati ove povertà e cattivi odori si mescolavano alle selvagge bellezze naturali, e quella dello Stretto, con giardini fioriti, la vegetazione del Canale e la caccia al pescespada.5 Per ammissione dunque degli stessi Viaggiatori, il Canale recuperava efficienza, sfruttando il periodo di calma e apertura commerciale e Messina ne fu la dimostrazione. Sede di case patrizie, la Palazziata che s’affacciava sul porto, la Città dello Stretto andava ricostruendosi l’identità di centro strategico non essendo mai cessata di essere il cuore della mercatura calabrese e centro artigiano e manifatturiero in grado di servire la zona anseatica. Gli artigiani e commercianti di Bagnara, Scilla, Monteleone, Tropea, Gioja ecc., avevano nel porto di Messina il centro operativo in grado di assimilare i messaggi di rinnovamento europeo, trasferendoli all’area anseatica. E dunque Domenico Florio, Mastro Mico, capitò a Bagnara proprio quando l’intensità dei collegamenti marittimi consentì alla Città di tornare ad essere l’elemento trainante fra i centri delle zone anseatiche calabresi, con lo sviluppo di una pre-borghesia mercantile che funse da traino per il resto della popolazione. Bagnara superò felicemente la micidiale stagione della grande peste del 1743 e il trend di crescita economica e anche sociale, non subì in sostanza momenti di arresto.6 Nel 1754 fra le nove famiglie Florio di Bagnara, si contavano tre falegnami, cinque bracciali, un tintore, un ortolano e un forgiaro. E nel 1754, a settant’anni, mastro Mico Florio era noto nei dintorni per l’arte di lavorare il ferro ed era così divenuto un agiato artigiano. Il tempo delle ristrettezze patite a Melicuccà, era ormai un

3 F. BYDRONE, A Tour through Sicily and Malta in a Series of letters to W. Backford, Potts, Williams, et al. ed. Dublino 1774

e non poteva mancare un capitolo su “L’Onorabile Confraternita” come organizzazione di Briganti che sono presenti in

Calabria e Sicilia a macchia di leopardo; H. VON RIEDESEL, Reise durch Sicilien u. Großgriechenland, Orell, Gessner, Füsslin

& Comp., Zurigo 1771 4 H. SWINBURNE, Travels in Two Sicilies, 1777/1780, Londra 1785 (Napoli 1984, La Spezia 2000), con le note in C. MULÉ, Gli

scrittori stranieri in Calabria, Cosenza 1969. 5 Sul «Tour» cfr.: SILVANA COMI, In Calabria con Swinburne, Parallelo 38 ed., Reggio C. 1976, che riproduce il Diario di

Swinburne per la parte relativa a: La pesca nello Stretto di Messina (ivi, da pag. 90). Nel 1772 scese in Calabria il naturalista svedese

I.S. FERBER, Lettres sur la mineralogie et sur divers autres objets de l’histoire naturelle d’Italie, B. de Dietrich ed., Strasburgo

1776. Fece conoscere la Calabria nel suo aspetto paesaggistico avulso dalle delusioni di Von Riedesel e dai preconcetti di chi lo

seguì, come la Calabria selvaggia e primitiva descritta da ANONIMO (ma Sir WILLIAM YOUNG), A Journal of a Summer’s

exursion by the Road of Montecassino to Naples and from thence all the Southern parts of Italy, Sicily and Malta in the Year 1772,

Londra 1772 (il viaggio avvenne a Giugno). Altre indicazioni in G.CARUSO, La Calabria e gli stranieri, Calabria Vera, a. 1922, nr.

1; T. BRENSON, Visioni di Calabria, con una prefazione di L. Parpagliolo, Le Monnier ed., Firenze 1929; ROCCO LIBERTI, La

Calabria nei viaggiatori italiani e stranieri, Parallelo 38, nov. 1966. Resta fondamentale la consultazione di ATANASIO

MOZZILLO, Viaggiatori stranieri nel Sud, Edizioni di Comunità, Roma 1964 e GIUSEPPE ISNARDI, Frontiera Calabrese, Ediz.

Scientifiche Italiane, Napoli 1965, ai quali rimando anche per una bibliografica esaustiva. 6 Non va taciuto però che questo è il periodo durante il quale si consoliderà in modo non più modificabile, il regime di totale

dipendenza economica della costa calabrese da Messina e Reggio, ove quest’ultima col tempo assumerà una fisionomia di vero e

proprio centro colonialista. Il destino di Messina e Reggio, sarà da ora in avanti quello riflesso di Bagnara e gli altri centri limitrofi.

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ricordo e viveva felice con la moglie Serafina, la figlia di mastro Sarino de Maio, sposata nel 1718, una ragazza di quindici anni che diede alla luce otto figli. Nel 1754 il mastro abitava una casa di sua proprietà; era una casa solarata situata nell’ameno rione dei Pagghiari.7 Unita alla casa, la forgia. Era anche riuscito a comprare, come tutti quelli che aspiravano a una migliore condizione sociale, una vigna con un migliaio di viti in contrada Rombolà ed eseguì altri acquisti di vigneti nelle campagne di Seminara, sopra Bagnara. Le condizioni economiche dell’ex emigrante di Melicuccà erano talmente migliorate nella Bagnara degli anni Cinquanta, che il vecchio artigiano si trovò nella condizione di acquistare una casa vicina alla sua, per darla in dote alla figlia Paola che nel 1749 aveva sposato Andrea Papalia. Paola aveva avuto in dote, oltre alla casa, un letto in ferro, la biancheria e ben 30 ducati. Anche i due figli bracciali di mastro Mico, avevano una casa di proprietà, case che erano vicine a quella di mastro Mico.

- Da mastro Mico a don Masino e Micuzzu Nel 1751 si sposò Masino Florio con una ragazza di Melicuccà, Grazia Sergi e il mastro acquistò 1/3 della casa dei Pagghiari; nel 1754 don Masino riscattò tutta la casa e in più divenne proprietario di un castanito di buone dimensioni; don Masino entrava nella categoria dei magnifici di Bagnara mentre Grazia dava alla luce Domenico (Micuzzu). Nel 1753 s’era sposato anche Vincenzino con Rosa, la figlia di mastro Cecé Bellantoni e Donna Mica Zoccalà. Rosa entrava nella famiglia Florio portando in dote una casa solarata ai Pagghiari, 50 ducati, una vigna a La Ficara, gioielli, biancheria e mobili. La posizione dei Florio continuava a elevarsi e nel 1773 il figlio di D. Masino, Micuzzo, si sposava con Mimma, la figlia di don Santino Barbara. Verso il 1766 il vecchio mastro Mico decise di tornare a Melicuccà raggiungendo il figlio Peppino che lì era tornato nel 1754 per accudire le vigne paterne. Un rientro che fu una necessità, per il riordino delle proprietà nel frattempo acquistate, la ristrutturazione della vecchia casa padronale e la sistemazione di alcune formalità burocratiche, e proprio in una fase durante la quale, il marchese don Domenico Grimaldi, uno dei più grandi Illuministi europei, s’apprestava a pubblicare le sue ricerche e i risultati dei suoi esperimenti agricoli in agro di Seminara, con proposte di innovazioni rivoluzionarie nel campo degli

7 A differenza della generalità delle costruzioni in muratura che caratterizzarono Bagnara, in pratica una casetta di solo piano terra

con due entrate: una che conduceva all’area domestica e una che dava direttamente nel laboratorio artigiano, una casa solarata era un

fabbricato a due piani sovrapposti, con balconi al primo piano e in alcuni casi un terrazzo. Un lusso per pochi.

Esempio di casa solarata a Bagnara

Esempio di abitazione comune a Bagnara che

caratterizzava l'attività e la famiglia di un modesto artigiano: l'ingresso della bottega e quello dell'abitazione.

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innesti, la cura delle colture, l’irrigazione, l’estrazione e la lavorazione dei prodotti agricoli, l’ulivo soprattutto.8 Nel momento in cui decise di tornare a Melicuccà, alle origini, la forza economica di mastro Mico era notevole, tale da poter far fronte alle spese per la causa romana tesa a ottenere la licenza affinché la figlia Nina potesse sposare il cugino Mico Di Majo. La vigna e il palmento che mastro Mico aveva a Granaro, fra Seminara e Bagnara, erano stati ceduti dal padre ai figli Peppino e Vincenzo a 35 ducati contro un valore reale di 70 e infine il vecchio mastro, nel 1766, decise di cedere ai figli maschi i suoi beni in cambio di un vitalizio. I figli così entravano in possesso della casa solarata, tre vigne a Seminara (La Ficara e Grutticelli) e altri beni; si ritirò poi definitivamente dal figlio Nunziato ai Pagghiari col suo vitalizio di 3 ducati al mese.

- Da Micuzzu a don Vincenzino Una posizione più che consolidata visto che i figli andavano bene con le loro attività artigiane e agricole. Emerse in questo periodo soprattutto mastro Vincenzino che fra il 1762 e il 1767 acquistò la casa solarata della suocera Zoccalà, ben 91,6 ducati, casa che confinava colla sua, della quale era già proprietario. I ducati necessari li ottenne da don Pietro e don Agostino Versace,9 un prestito all’8% per 40 mesi. Dopo questo affare, D. Vincenzino concluse con donna Marta Gioffré l’acquisto di metà della casa in muratura dei Gioffré, e poco dopo acquistò anche l’altra metà, di proprietà di donna Peppa Gioffré. Moriva intanto Nunziato e subito dopo anche mastro Mico, dopo aver assicurato a Francescantonio le quote già appartenute al povero Nunziato. In questa maniera per D. Vincenzino sfumava il sogno di poter entrare in possesso dell’intera casa paterna. 2.- I FLORIO E IL TERREMTO DEL 1783 A BAGNARA

- Terremoto e Grande Terremoto La felice gestione dei Florio a Bagnara si concluse durante l’evento tellurico del 1783: mastro Vincenzino, stimato artigiano e proprietario di ben tre case, perse tutto. Sotto le macerie della sua dimora perì anche la moglie Rosa Bellantoni-Zoccalà. Fu dunque costretto a trasferirsi in una baracca di legno e tufo, di proprietà di D. Cecé Dettito. Alla vigilia del terremoto, Bagnara così come Monteleone e Scilla,10 aveva vissuto una bella stagione di risveglio sociale, dopo che ebbe risolto positivamente la questione domenicana (i rev.

8 Di DOMENICO GRIMALDI ricordo fra gli altri: Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra,: Vincenzo Orsini ed.,

Napoli 1770; Istruzione sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nella Calabria, Raffaele Lanciano ed., Napoli 1773;

Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese

Domenico Grimaldi; con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete del 1754, Giuseppe M. Porcelli ed., Napoli 1780;

Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal

marchese d. Domenico Grimaldi, Giuseppe M. Porcelli ed., Napoli 1780; Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio

assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese d. Domenico

Grimaldi di Messimeri patrizio genovese.., Giuseppe M. Porcelli ed., Napoli 1781; Memoria del marchese Domenico Grimaldi di

Messimeri patrizio genovese, diretta al supremo consiglio di finanze per lo ristabilimento dell'industria olearia, e dell'agricoltura

nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli, Giuseppe M. Porcelli ed., Napoli 1783; Memoria sulla economia olearia

antica e moderna e sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia, Stamperia Reale, Napoli 1783; Relazione d'un

disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia, Giuseppe M. Porcelli ed.,

Napoli 1785. 9 A quell’epoca, i più importati detentori di notevoli disponibilità finanziarie erano: Gregorio De Leo, Agostino Versace, Giuseppe

Sciplino, Pietro Versace, Vincenzo Gaezza, Gaetano Savoja, Tommaso Sciplino. ( A.PLACANICA, Alle origini dell’egemonia

borghese in Calabria: la privatizzazione delle terre ecclesiastiche (1784-1815), Società Editrice Meridionale, Salerno 1979, pag. 105-

106). 10 A Scilla il ceto dei “felucari” si mise alla testa di un moto di prtesta non istintivo contro il Principe Ruffo. Bel 402 scillesi

prelevarono di notte alla Marina di Bagnara il notaio don Carmelo Sofio (non si fidarono di quelli di Scilla) e lo condussero sulla

spiaggia di Scilla. Qui stilarono un documento di protesta che una delegazione recapitò personalmente a Napoli con quattro feluche.

Guidati dal Padre Domenicano d. Antonio Minasi, scienziato illustre, gli scillesi attaccarono il principio della giurisdizione doganale

dei Ruffo invocando la libertà dei commerci. La supplica a Napoli recava la firma di trentotto scillesi dei quali due galantuomini,

sette preti, undici padroni di barca, diciotto senza qualifica ma certamente marinai. (GAETANO CINGARI, Scilla nel Settecento:

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Padri Domenicani persero la causa contro il clero locale, sostenuto dall’emergente borghesia mercantile, per cui la Chiesa di Bagnara restò nullius e sotto Regio Patronato e frà Tommaso Stillitano con i suoi Padri Domenicani, lasciò la Città il 25 settembre 1759). Il terremoto annientò la vita economica e le famiglie dei Florio e della stragrande maggioranza della popolazione. Per comprendere il comportamento dei Florio e in sostanza di tutti i Bagnaroti durante le fasi telluriche, vi è da esporre la differenza sostanziale fra un Terremoto e un Grande Terremoto. Un Terremoto è esperienza che direttamente (perché qualche volta c’è capitato o abbiamo visto in televisione i suoi effetti) noi abbiamo vissuto e pensiamo di poter valutare, anche in funzione delle costruzioni che s’intraprendono dai privati e dalle organizzazioni pubbliche. Un Grande Terremoto non appartiene alla nostra sfera conoscitiva. Avviene con una frequenza media (non centrata) di circa cento anni e l’ultimo fu proprio quello del 1908. Come quello del 1783, superò i 7 di Magnitudo della Scala Richter portando seco morte e distruzione. Un Grande Terremoto muove le montagne, ostruisce il corso dei fiumi, fa “camminare” interi poderi, sposta siti, sotterra intere realtà naturali, fa emergere acque, fanghi, vapori e rocce. La gente osserva stando su un terreno tremolante, le colline “che camminano”, e vede attorno a sé, come avvenne a Bagnara al Pinno, esplodere le rocce e scintillare le strutture in ferro, pervase da continue scosse elettriche. E poi aprirsi improvvisamente il terreno dal quale fuoriescono colonne di vapore o fumi pestilenziali. Ma soprattutto, la grande, mostruosa risonanza che sale minacciosa dal profondo della terra e poi si spande ovunque. Il rumore assordante trancia l’aria e rende l’atmosfera attorno al testimone del terremoto, che continua a osservare le cose su un terreno traballante, infernale a dir poco. E infine da lontano, ecco avanzare sul mare calmo, una parete d’acqua. E’ alta dagli otto ai dieci metri e avanza accompagnata dal rumore della pietraia dei fondali che si smuove freneticamente. Quindi s’avventa sulla marina e copre di schiuma le case, trascinando seco chi sta fuggendo e non sa dove trovare rifugio. Mentre praticamente tutte le altre calamità naturali consentono, anche nell’emergenza, di trovare un riparo, il Grande Terremoto non perdona, non lascia scampo. Nel 1783 il radiante sismico principale provenne da Oppido e su di esso si sovrappose il radiante secondario del Canale. Ne scaturì una forza immane che si riversò sulla costa. Il Sant’Elia si spaccò a forbice. La parte bassa (il promontorio che separa le Pietre Nere dalla Tonnara), “viaggiò” verso Nord e la parte alta, il vero e proprio Promontorio, “viaggiò” verso Bagnara, ove intanto si accasciavano le colline: Malarosa, Cacipullo, Sirena e Cocuzzo. Una scena simile si ripeté nel 1908, ove però ai movimenti prima cennati, si sostituì un vasto movimento franoso, perché quella volta il radiante principale provenne dai pressi di Reggio e si sovrappose con un radiante secondario proveniente dalle Eolie. I due maremoti furono micidiali per Messina e il secondo distrusse la marina di Reggio. In entrambi i casi, si osservò che le casette alte di Porelli, quelle della Livara, caddero su quelle sottostanti a ridosso di San Nicola e queste caddero a loro volta su quelle ancora sottostanti. La frana di abitazioni si arrestò alla fine di Porelli e spianò l’intero quartiere che, poi, risultò difficile raggiungere per via delle strade molto strette, poiché le case furono costruire le une di fronte alle altre a mezzo metro, come lo sono di nuovo oggi, anche al centro, nel Borgo! Questa realtà sconvolgente impatta su una popolazione che ha comportamenti fondati su regole “naturali” e non su motivazioni sociali,11 e vive prevalentemente in comunità economiche

«feluche» e «venturieri» nel Mediterraneo; pubblicazione del Centro Servizi Culturali e Biblioteca Comunale di Villa San Giovanni,

Casa del Libro ed., Reggio Calabria 1979., pag. 56). La polemica superò i confini del Regno con pubblicazioni, saggi, studî, difese

fra le quali MICHELE DE JORIO, Nuove lagnanze degli Scillitani esposte alla Suprema Giunta, Napoli 1777; e anche, del

medesimo: Per l'offesa cittadinanza di Scilla in risposta al Saggio della giustificazione dell'ill. conte di Sinopoli principe di Scilla d.

Fulcone Antonio Ruffo s.i.t., s.i.d. ma [1776] I testi si trovano alla Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. Al Padre

Minasi potrebbe esser attribuita l’opera: La lingua scillese ululante e reclamante, Napoli, s.i.t., 1792. 11 Le piccole comunità economiche settentrionali, vivevano in villaggi epicentrici di una attività agricola e si può dunque affermare

che i contadini “risiedevano” sui terreni che coltivavano. Il prodotto era in genere raccolto e poi trasformato dalla stessa comunità per

cui non era raro osservare, in mezzo ai campi, una fabbrichetta, una stalla comune, un impianto manifatturiero.

Le realtà agricole poi, gravitavano sulla città, che ne regolava ritmi e flussi mercantili ed economici e sviluppavano gli investimenti.

Le piccole Casse Rurali raccoglievano in loco il risparmio contadino ed esso confluiva nella grande banca della Città. Questa che

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concentrate in grossi villaggi non epicentrici, anzi lontani dalla campagna. I contadini non “risiedevano” sui terreni che coltivavano perché erano “urbanizzati”. Si trattava in genere, per il Canale, di piccolissimi appezzamenti di terreno disgiunti (non c’erano interessi comuni con gli altri), una barca, un animale. Le campagne erano deserte, e tutto gravitava sulla città, che ne assorbiva il prodotto e non sviluppava investimenti.12 Ne scaturiva una complessità sociale “sottomessa” che al suo interno maturava spesso “schegge” di grande valore intellettuale: preti d’avanguardia muniti di coraggio e determinazione, ma anche grandi intellettuali portatori di valori al passo coi tempi. Tutti cozzavano però contro il muro reazionario di una Borghesia che del feudalesimo aveva ereditato e conservato tutto, aggiungendovi nuovo cinismo e tornaconto. Il Grande Terremoto dunque, impatta sul Canale su questo tipo di Società. In una Relazione poco nota del 1783,13 un testimone degli eventi, informava il grande naturalista Giuseppe Vario, a Napoli, sulle conseguenze del Terremoto sulla gente. Possiamo dividere questa Relazione in tre parti. Ecco la prima:

Chi mai avria potuto immaginarsi, che quegl’infelici superstiti, estratti per maggior parte da sotto le rovine in confusione dei

cadaveri dei di loro più cari congiunti, ed intrisi nel di costoro sangue, che bocca a bocca aveano esalato lo spirito, chi

premendo sotto di se il Padre spirante, senza potersene slargare, chi guardando il figlio vicino boccheggiare sotto un sasso,

e chi la moglie spumante sangue sotto una trave, senza poterli soccorrere, tutto assordati d’angosciosi lamenti, che per

giorni sentivano in ogni angolo mandarsi da quegl’infelici, ch’esalavano l’anima sotto le rovine, senza poter ricevere a

tempo i soccorsi; insomma colla immagine della morte e dell’orrore sempre presente, (…)

intanto era divenuta una consistente disponibilità finanziaria, era dirottata alla grande industria sottoforma di finanziamenti. E

attraverso questi supporti, la grande industria sviluppava investimenti e produzione. Il ciclo si chiudeva bene: i contadini

risparmiavano e ricevevano proventi finanziari da questi risparmi. La produzione si sviluppava e loro chiedevano al mercato attrezzi,

macchine e prodotti chimici. E offrivano beni finiti di prima e seconda necessità. La Città coordinava i flussi e la grande industria

sviluppava i progetti.

La Banca Cattolica del Veneto con la sua costellazione di Casse Rurali e Artigiane, fu una protagonista del grande sviluppo

industriale della Pianura Padana.

La Borghesia settentrionale volle e ottenne leggi e statuti che garantissero la libera circolazione dei beni, la normalizzazione degli

scambi e una legislazione pubblica “orientata” agli interessi dell’intero mondo del lavoro, il tutto surrogato nell’espressione “Statuto”

e “Democrazia”.

Tutte le accumulazioni vennero reinvestite in ricerca, sviluppo e formazione, anche passando da grandiose lotte sindacali per il

miglioramento della condizione operaia e contadina, un migliore salario e condizioni di vita decenti.

La Religione era sentita come “riflessione attiva” e si concretizzava in opere sociali che in genere erano di supporto alla realtà locale:

scuole, asili, educandati, ospedali, assistenza agli anziani. Il tutto con strutture proprie o miste con le amministrazioni locali. 12 La Borghesia del Canale non reinvestiva nelle realtà economiche che governava, ne ricavava una rendita che, oltre a servire per

mantenere il palazzotto, il figlio agli studi non tecnici ma letterari e giuridici, e il tenore di vita da “piccolo iddio” (come li definì

Vincenzo Spinoso), si dedicò all’acquisto di terre e case per aumentare potenza e prestigio rispetto al mondo del lavoro, che venne

considerato sempre, ancora oggi, la “classe dei subalterni”. Per questo non volle e non rivendicò leggi e statuti che garantissero la

libera circolazione dei beni, la normalizzazione degli scambi e una legislazione pubblica “orientata” agli interessi dell’intero mondo

del lavoro, il tutto surrogato nell’espressione “Statuto” e “Democrazia”. Ne appoggiò le istanze “nazionali” ma si curò

puntigliosamente di impedire che lo Stato si ingerisse nei governi locali che loro tenevano sottomessi.

Questa realtà fece perpetuare nella gente l’idea che la tradizione, le regole derivanti dal diritto naturale e dai comportamenti degli avi,

fossero le uniche da rispettare con un rigore maniacale. Ogni “novazione” fu dunque intesa dalla gente del Canale come elemento

ostile e il rifiuto delle “novità” poggiava sulla superstizione e sul senso assoluto di protezione della casetta, la terra e la famiglia,

minacciata da quelle stranezze che ogni tanto si manifestavano, anche nella vita quotidiana, poiché ogni fenomeno diverso dalla

prassi rigorosa entro la quale uomini, cose e natura dovevano muoversi, era interpretata in modo superstizioso.

Fortissimo il terrore di Dio. Il Padre Celeste era una figura temutissima, perché i Domenicani, i Francescani e prima di loro i Gesuiti,

avevano inculcato nella mente della gente del Canale, che Dio punisce, non perdona i peccatori e tutti coloro che non seguono i

dettami della Chiesa. E la punizione di Dio si scatenava nelle malattie dei bambini, l’alluvione, la peste e appunto il terremoto. Peste

e Terremoto erano l’ira di Dio che cadeva sugli uomini. Di contro, la gente del Canale aveva un rifugio sicuro, un faro al quale

guardare con fiducia e speranza: era la Madonna, e sotto il suo manto celeste, la gente deponeva le proprie angosce, spessissimo non

chiedendo miglioramenti per la salute o per guadagnare qualche cosa di più, ma perché la Madonna conservasse al contadino la forza

per continuare a faticare, a lavorare. I Santi erano spesso gli strumenti di questo intenso dialogo: San Rocco, San Nicola e San Biagio

sopra tutti. La Madonna era sempre con le braccia aperte e le mani porte in segno di accoglimento. Era la Mamma che capiva, che

comprendeva le donne di Calabria, perché anche Lei aveva avuto il Cuore trafitto dal dolore di Mamma. La Religione era dunque

sentita come “tendente ai miracoli” e il miracolismo s’affiancava alla credenze, alla superstizione.

In un ambiente così strutturato, le Congreghe costituivano un vero e proprio “corpus” sociale, in grado di amministrare, dirimere liti,

organizzare la società divisa in classi, determinare le azioni collettive addirittura nella vita quotidiana. 13 PROCOPIO GALIMI, Lettera al Signor Don Giuseppe Vario su Terremoti di Calabria dell’anno 1783, opuscolo a stampa,

maggio 1783. Per una trattazione completa, si veda la Ricerca pubblicata nei siti: Archivio Storico Fotografico Bagnarese di

Gianni Saffioti e Bagnara Calabra (RC) di Giuseppe Barilà.

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Come notate, la violenza del sisma provoca conseguenze traumatiche terrificanti, sconvolgendo sentimenti e regole anche naturali, sconvolgimento che avviene nelle forme più crudeli. Ecco dunque quegli infelici

(…) che non giacciono, o camminano per tutta quella Regione, che sulli cadaveri ancora insepolti dé loro parenti,

compatrioti, ed amici; nudi e mendici, senza tetti, senza utensili e senza poderi: (…)

chi mai avria potuto immaginarsi, dico, che costoro dimentichi di qualunque tristato e luttuoso pensiero, non curanti delle

proprie sventure, appena avuto l’aggio di ristorarsi dalla fame, ad altro non avessero pensato, che furiosamente andar in

busca di poter isfogare la più calda libidine che mai può credersi, e che essi stessi volendola confessare, non sanno

manifestar meglio, che colle vive espressioni: bruciamo! siam perduti! Gl’infiniti matrimonj che tuttogiorno

precipitosamente si celebrano, senza le consuete civili solennità, autenticano questa verità. Notate che la condizione di superstite provoca uno stato di confusione, di shock che il panorama circostante contribuisce a perpetuare se non addirittura a consolidare. La “risposta” successiva dell’organismo è un vero e proprio ribaltamento di tutte le regole della morale. La gente comincia a cercarsi, ha terrore di restare sola, ha perso tutto e ritiene che ricostituire un nucleo familiare sia l’unica strada per non soccombere nella disperata miseria e nella morte. Una reazione alla reazione, ma che avviene in modo scomposto e irrazionale:

Uomini decrepiti, e paralitici, pieni zeppi d’ogni malattia ed acciacco, li quali, anche nel fiore di loro età, furono freddi, ed

apati alla forza di amore, oggi rimbambiti, e con forsennata impazienza ad altro non pensano, che a trovar moglie. Vecchie

edentule, schifose più che carogne, brutte come Megera, oggi non sono che la delizia e l’oggetto dé piaceri di Giovani

fumanti di brillanteria e buon gusto...14

14 Nel 1908 la difficoltà di dialogo, l’indifferenza di fronte ai morti, il rifiuto all’assistenza (poiché i soccorritori venivano guardati

come gente “strana” e la superstizione aveva il sopravvento) ripeteva le caratteristiche comportamentali della gente, che correva

dietro alle processioni in modo delirante e poi si lasciava prendere dallo sconforto più assoluto. Qualche giornalista che trovandosi in

mezzo a quel paesaggio “lunare” domandava ai sopravvissuti se vi fossero ancora persone sotto le macerie, si sentiva rispondere “con

indifferenza” che sotto le macerie c’era ancora gente che si lamentava e poi il sopravvissuto proseguiva la sua strada con incedere

lento, noncurante di cosa avveniva attorno. “Infingardi, cinici, apatici e vili” fu l’accusa che maggiormente occupò le testate dei

giornali settentrionali, unitamente a quella di sciacallaggio in mezzo a un “selvaticume” imperante.

Fu il Dottore Antonino Arena da Bagnara, a reagire per primo a questo modo di disegnare la Calabria Sociale dell’immediato post-

terremoto. Dopo aver illustrato come la prima e immediata opera di soccorso avvenne proprio a mezzo della gente sopravvissuta,

coordinata dai medici locali, senza mezzi sanitari, senza medicinali adeguati né ricoveri, facendo emergere comportamenti eroici,

proprio nel rispetto della grande tradizione della gente meridionale, Arena, grande scienziato esperto di medicina tropicale, fervente

cattolico praticante, Priore dell’Arciconfraternità rosariana, cittadino onorario di Bagnara per i suoi alti meriti umanitari e scientifici,

contrattacca alla sua maniera.

Io stesso, che non ho tare ereditarie (…) tanto in quest’ultimo che nel precedente terremoto egualmente terribile del

1894, appena dopo il disastro e per circa un mese, sono stato di fronte alle mie idee come uno a cui sia di colpo

toccato di vedere ogni cosa in un velo di nebbia.

Sentivo che nulla in me era radicalmente cambiato, rilevavo anche senza molta fatica, i noti lineamenti e i rapporti noti

alle specie mentali, ma tutto vedevo come stinto, come se da un momento all’altro dovesse svanire, e non penetravo al

fondo di nulla, e il senso intimo che provavo era di confusione e sconforto.

E la ragione è chiara.

Per l’arrivo al cervello, dal profondo dei tessuti, d’un materiale psichico e metabolico insolito essendo alterato il senso

noto e abituale della vitalità propria che gli psicologi mettono a base della personalità umana, e per la sopraggiunta

difficile evocazione delle rappresentazioni mnemoniche, essendo quasi rotti gli attacchi della coscienza col passato,

viene ad essere non poco turbato il senso della propria identità fino a ingenerare nella mente un assai penoso senso di

confusione.

I fatti di disorientamento e confusione che i profani attribuiscono alla pusillanimità responsabile degl’individui è

invece una psicopatia qualificata, l’amenza, che è quella che direttamente proviene dallo spavento.

(dopo giorni sparisce) ma le nuove azioni restano improntate di fini egoistici e rimane immutata per altro parecchio

tempo l’indifferenza sentimentale.

(…) cinque, sei morti riavuti o no dalle macerie, la moglie, i figli, le più care esistenze scomparse, la miseria e la

desolazione assicurate sono nulla, non fanno venir fuori una lacrima, e sono ricordati come un dolore lontano, con un

viso da cui è sfuggita la gioia, ma su cui la tristezza non s’è ancora insediata (…)

Dopo aver ampiamente difeso la socialità calabrese, ingiustamente vilipesa per l’incomprensione di cosa possa essere stato un

Grande Terremoto in un ambiente sociale quale quello prima disegnato, Arena esclama:

Gran brutto destino è quello della Calabria di APRIRSI AL MONDO E di vedere IL MONDO ACCORRERE A LEI SOLO allora

che un terremoto la devasta! Notate l’effetto di andata e ritorno:

la Calabria “si apre al mondo” perché altrimenti è tenuta prigioniera di sé stessa dalla sua classe dirigente, e dalle sue forme

sociali antiquate;

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Schematicamente, possiamo costruire la seguente rappresentazione:

Forte emozione Spavento

Blocco dei centri viscerali Si disperdono le energie

Autointossicazione cerebrale Dissoluzione del carattere

= TRASCURATEZZA NELLA NETTEZZA DELLA PERSONA DEVIAZIONE DALLE REGOLE DELLA BUONA CREANZA

SENSO DI DISORIENTAMENTO INDIFFERENZA ASSOLUTA

La Commissione reale incaricata di raccogliere tutte le informazioni su quanto avvenuto in Calabia, giunse a Bagnara fra il 24 maggio e il 1° giugno. Era composta da:

- Michele Sarconi (Segretario ella Regia Accademia delle Scienze)15

- Padre Eliseo della Concezione

16 (Procuratore Gerenale dell’Ordine dei Carmetitani Scalzi a Napoli)

il mondo “scopre” la Calabria solo quando è un Grande Terremoto che la devasta in tutti gli altri eventi normali della vita

quotidiana, la Calabria non esiste, semplicemente.

E’ per tale motivo che Arena a questo punto si domanda:

ma è veramente il terremoto la causa del ritardo del Sud?

La causa, esclama Arena, è in noi stessi calabresi.

Se anche volessimo dare più corpo alle nostre iniziative per il lavoro, fallirebbero perché i Ricchi (i Borghesi, nota mia) non ci

seconderebbero; avrebbero paura di non superare le difficoltà intrinseche perché mancano di qualsiasi senso pratico imprenditoriale

ed ecco perché “dirigono” la società calabrese non secondo le regole borghesi del liberalismo, ma in modo che essa società stazioni

nell’immobilismo, perché in tale maniera si può associare alla loro mentalità feudale, quella di essere e restare “Dominus”, «piccoli

idii» come, ripeto, li definì spregevolmente il nostro grande Vincenzo Spinoso. Ecco che allora, per Arena, la Calabria può risorgere

solo se questi Padroni assoluti, che si diramano nella politica, nel commercio e nella terra, cedono diritti usurpati e lo Stato

finalmente assecondi davvero le istanze della gente calabrese.

Per tale motivo, e qui viene un tuffo al cuore pensando che siamo nel 1908!, la Questione Meridionale è una Questione

NAZIONALE! Il pensiero dei grandi meridionalisti è qui ripreso (Villari, Fortunato) e anticipato (Gramsci, Salvemini, Ciasca,

Turati, Don Sturzo, Toniolo, ecc.) perché tutto è chiaro: Si vuole fare risorgere la Calabria? Allora lo Stato conceda finalmente ciò

che la Calabria chiede DA SEMPRE! Le Scuole e le strade.

Afferma Arena: dopo cinquant’anni di governo liberale, noi siamo con

un Liceo sparuto a Reggio

un Ginnasio a palmi

e non ci sono Scuole di Agricoltura, Scuole di Arti e Mestieri e Scuole Commerciali. Dove:

le Scuole di Agricoltura servono per dare ai nostri contadini la conoscenza delle moderne tecniche di coltivazione,

potatura e soprattutto di irrigazione dei campi;

le Scuole di Arti e Mestieri servono per formare bene i nostri Mastri artigiani nella continua evoluzione dei materiali,

strumenti di laboratorio e tecniche di lavorazione

le Scuole Commerciali servono per formare una buona classe dirigente, assolutamente diversa da quella inetta e asservita

che ora governa la Calabria.

E una situazione, continua Arena, che tutti conoscono, tutti sanno! Ma nessuno si muove seriamente e quindi:

per non correre il rischio di rimanere questa volta col danno e le beffe, non ci addormentiamo!!! Cerchiamo almeno di non

aggravare le colpe altrui con colpe nostre. E persuadiamoci una buona volta che questa nella quale siamo impigliati, è una crisi

definitiva per noi. Dobbiamo risolutamente opporci alle mezze misure. Non bastiamo a questo noi? Chiediamo il sostegno degli

italiani che hanno fatto sacrifici per intervenire in nostro aiuto! La suprema e più impellente necessità è questa per noi: DISPORRE

LE COSE IN MODO CHE NULLA POSSA PIU’ RICACCIARDI INDIETRO DAL POSTO CHE SULLE VIE DEL PROGRESSO

POTREMO AVER FATICOSAMENTE GUADAGNATO DA NOI STESSI! Non so se avete fatto caso: ma Arena nella sostanza sta

semplicemente e disperatamente invocando: LIBERTA’! Il Pensiero meridionalista moderno comincia adesso ad approcciare questo

tema perché l’andamento dell’economia calabrese è in crescita, la sua crescita è sempre meno che proporzionale a quella delle altre

aree italiane ed europee e quindi si perpetua la condizione di subalterni che perpetua il potere della borghesia reazionaria e retriva,

che perpetua l’emigrazione, la desolazione delle campagne, la povertà celata spesso dalle false apparenze. E le nostre mamme

continuano a correre dietro le processioni, invocando pietà per la loro condizione, per i figli lontani, per la visione del niente come

futuro. Libertà!

ANTONINO ARENA, Per il buon nome della Calabria, tipografia lo Presti, Palmi 1908. L’opera verrà pubblicata in internet, in

edizione integrale nei siti bagnaresi prima cennati. Per un collegamento anche col 1783 e il 1894, cfr. la ricerca pubblicata in ASFB e

Bagnara Calabra (RC) già citati.

15 MICHELE SARCONI, Istoria dei fenomeni del terremoto nelle Calabrie e nel Valdemone nel 1783, G. Campo ed., Napoli 1784.

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Angiolo Fasano (Docente merito di medicina e scienziato naturalista di fama mondiale)17

Padre Antonio Minasi (Illustre scienziato e naturalista scillese)

18 Abate Nicolò Maria Pacifico (Botanico) Giulio Candido (Ricercatore geologo) Luigi Sebastiani (Ricercatore storico)

19

Giuseppe Stefanelli (socio dell’Accademia Delle scienze e Belle Lettere di Napoli) Pompeo Schiantarelli (Scienziato geografo e architetto del territorio) Ignazio Stile (Architetto esperto in urbanistica) Bernardino Rulli (Disegnatore)

In questo clima di forte emotività, di ricerca disperata di un partner col quale ricominciare immediatamente a sperare, dopo un paio di mesi, d. Vincenzino si sposò colla figlia di Dettito, Gianna, che aveva in dote quella baracca insieme a 40 ducati. Il padre le diede altri 30 ducati affinché potesse far costruire una nuova baracca tutta per loro. - Il dopo Terremoto e la ricostruzione “necessaria”

A Bagnara, dopo il terremoto del 1783, vennero ancora più avanti artigiani, marinai e contadini che possedevano tomolate coltivate in modo specializzato anche se fra mille difficoltà. Fu il caso anche di mastro Vincenzino che, come cennato, perse tutto durante le scosse. Il matrimonio nel 1784 di Mico, primo figlio di don Vicenzino, con Angiola, la figlia di don Santo Barbara, fu uno dei tanti contratti per “sopravvivenza”, per cercare di ricostruire in fretta un nucleo familiare in grado di garantire una parvenza di attività esistenziale di base. Angiola aveva portato in dote una casa “diruta” dal terremoto, che tuttavia aveva conservato un valore anche solo per il fatto di essere in situ, nel Paese. Mico Florio fu però costretto a venderla (e trovò l’acquirente, proprio per la fame di beni vendibili, anche se disastrati, che c’era a Bagnara). Don Vicenzino diede poi in sposa, sempre nel 1784, la figlia Mattia a Paolo Barbaro, il figlio di padron Franco, un promettente giovane che si era dedicato al commercio marittimo “in società” e che aveva già visitato moltissimi porti del Mediterraneo. Per questo matrimonio, don Vicenzino diede in dote alla bella Mattia, 50 ducati contanti e un finanziamento di 30 ducati per costruire una baracca di legno, più una vigna a Granaro. Come si nota, le dotazioni seguitavano a Bagnara e questo spiega perché in regime di Cassa Sacra, non esistessero offerte di vendita di terreni.20

16 FRANCESCO MANGO (Padre Eliseo della Concezione), Carta corografica della Calabria ulteriore; giusta le recenti

Osservazioni e misure fatte dal P. Eliseo della Concezione Teresiano, Accademico Pensionario della R. A. delle S. e delle B. L. / P.

Eliseus a Conceptione direxit Franc. Progenie pinxit, et sculpsit (prefazione e sette carte sulle nove totali) (nrr. 71-78) (1784) Quella

del Mango è da considerarsi come la prima carta sismica in Italia. Mango fu Padre Provinciale, poi procuratore generale dell’Ordine

dei carmelitani scalzi della città di Napoli 17 ANGIOLO FASANO, Saggio geografico-fisico sulla Calabria Ultra, letta nella R.A. del 1785, in Atti della reale Accademia delle

Scienze e Belle Lettere di Napoli, dalla fondazione all’anno MDCCLXXXVII, Donato Campo ed., Napoli 1788, da pag. 251. 18 Sul Padre Minasi cfr. l’esauriente saggio di GIOVANNI MINASI, Il P. Antonio Minasi scillese dell’ordine dei predicatori filosofo

naturista, Rivista Storica Calabrese, a. VI (1898) da pag. 71. p. 072 19 Si veda: JOHANN HEINRICH BARTELS, Lettere sulla Calabria, Rubbettino ed. (Riedizione), Soveria M. 2007 20 Per un inquadramento generale sull’imprenditoria siculo-calabrese, nella quale i Florio furono protagonisti, v.: JOHN DAVIS,

Società e imprenditori nel Regno borbonico: 1815-1860, Laterza, Bari 1979.

Giulio Candido: relazione da Santo Stefano del

Bosco. Pagina autografa

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Questo stralcio di vita cittadina a Bagnara prima e dopo il 1783, focalizzata sulla famiglia Florio, rivela una buona attività lavorativa in campo artigianale, applicata alle costruzioni pesanti e ai particolari, in special modo i cantieri navali; essa rendeva e consentiva agli interessati di lanciarsi in operazioni immobiliari e agrarie, coll'acquisto di case e vigne, il massimo dell'aspirazione sociale che a quel tempo si potesse immaginare. Non reinvestimenti per migliorare l'attività artigianale e allargare il business, ma consolidamento di patrimoni con destinazione dell'autofinanziamento generato dalla produzione. Aumentò e in modo considerevole lo scambio commerciale fra Bagnara e la Sicilia Occidentale. Bagnara esportava legname semigrezzo e lavorato in ceste e doghe, conserve del pescato e dei prodotti agricoli, seta, vino, olio, manna e granaglie e importava pietra di Siracusa e altro materiale edile, alimentari confezionati (pane compreso), cera, carta e altro materiale di consumo.

Uno dei rilievi di Padre Eliseo della

Concezione sui danni provocati dal

terremoto del 1783

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Si occupava di questi traffici anche mastro Paolo Barbaro, il marito di Mattia Florio, la sorella di Paolo. I contatti commerciali fra Bagnara, i porti della bassa Calabria e le stazioni portuali della Sicilia, s’intensificarono ulteriormente e iniziarono a trattare anche i coloniali come attività intermediaria. I Bagnaroti che sostavano nei porti siciliani, acquistavano i coloniali per poi piazzarli lungo le soste, occupandosi anche di trasportare a nolo per conto di commercianti locali. Palermo da questo punto di vista, non cessava di crescere di attività, tant’è che Barbaro pensò di associare alla propria attività il cognato Paolo Florio e così nel 1790 nacque a Bagnara la Ditta Florio e Barbaro e i due soci navigarono con successo per diversi anni, affinando sempre più l’esperienza di marinai d’alto bordo e di intuitivi commercianti. La frequenza degli scali a Palermo divenne così intensa che nel 1797 i due soci decisero di rilevare la bottega di compare Salvatore Bottari, un vecchio Bagnaroto ormai da anni a Palermo. La bottega fu costantemente fornita dai due soci e le vendite andarono benissimo tant’è che nel 1801 i due soci si trasferirono a Palermo dedicandosi a questa attività specifica.

Durò fino al 1803, quando Paolo Barbaro fu pervaso dalla nostalgia del mare e riprese la propria attività di marinaio. La società bagnarota si sciolse e Paolo Florio allargò la presenza a Palermo aprendo altri negozi in punti diversi della Città. Lo aiutarono a farsi conoscere i tanti Bagnaroti che a Palermo s’erano trasferiti per meglio commerciare soprattutto il legname che proveniva da Bagnara. Nel 1807 Paolo Florio a 35 anni, morì improvvisamente lasciando donna Peppa con un figlio ancora in tenera età. Prima di morire, Paolo manifestò al fratello Ignazio la volontà che si prendesse cura di suo figlio Vincenzo e continuasse l’attività commerciale così ben avviata. Andò benissimo e a diciotto anni, Vincenzo e lo zio Ignazio inaugurarono la Florio Ditta di Commercio, soprattutto specializzata nei coloniali e fra essi, la corteccia di china. Da lì in avanti fu un galoppare di business fra tonnare e filande. Don Ignazio morì nel 1828 e così Vincenzo restò l’unico gestore della Ditta che si occupò di vini Marsala (apprendendo e poi superando gli inglesi della Ingham), navi da trasporto, monopoli, editoria, manifatture, fonderie, zolfatare e alla fine finanza. Cosa resterà di Bagnara nella grande dinastia destinata a dominare la vita siciliana dell’Ottocento? Solo un piccolo episodio del 1878, quando il comm. Florio in memoria del padre, il senatore don Vincenzo, varò in Inghilterra un grande piroscafo, il Vincenzo Florio e decise, in omaggio al padre, di farlo sostare per qualche ora nella rada di Bagnara. In quella occasione, il comm. don Antonio Candido, Sindaco di Bagnara, donò alla nave, a nome della Città, una bandiera italiana. Dopo: niente altro.

21

21 Si veda: ORAZIO CANCILA, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale siciliana, Bompiani ed., Milano 2008;

SALVATORE REQUIREZ, Storia dei Florio, Flaccovio ed., Palermo 2007; ROMUALDO GIUFFRIDA-ROSARIO LENTINI,

L’Età dei Florio, Sellerio ed., Palermo 1986. Tommaso Florio falegname in Melicuccà, era di religione ebrea e il trasferimento a

Bagnara del figlio, fu agevolato dalla presenza in Città di una Giudecca che nel 1502 contava quattro fuochi o famiglie. Ancorché

questa giudecca non si fosse più rilevata nel 1508, restarono a Bagnara diversi cittadini con cognome di origine ebrea e molto attivi

fra il 1720 e il 1831, con qualche riserva sulla troppo meccanica assegnazione:

Ignazio Florio

Ritratto Di Vincenzo Florio di Francois Cruciani

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Quaderni Bagnaresi – Nuova Serie – Quaderno nr. 2, Agosto 2015 Pag. 13

Dovi – Isaja – Pavia – Spoleti – Triulcio – Zoccali – Caia – Barillà - Caruso - Ciccone - Durante - Foti Ma -

lafronte – Mazzitelli - Millino - Parma – Riso - Saija – Siena - Sofio - Sollito – Squillaci

(FRANCO MOSINO, Ricerca sugli ebrei a Bagnara Calabra in età moderna: il metodo storico-linguistico, Calabria Sconosciuta

(93\2002); C. COLAFEMMINA, Per la storia degli ebrei in Calabria, saggi e documenti, Rubbettino ed., Soveria M. 1996, pg. 85;

C.COLAFEMMINA, Minoranze Etniche in Calabria e in Basilicata, Gli ebrei in Calabria e in Basilicata, Di Mauro ed., Cava dei

Tirreni 198, pg. 179; FELICE DELFINO, La presenza ebraica nella storia reggina, Disoblio ed., Bagnara (RC) 2013, pag. 69.

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Tito Puntillo: I Florio a Bagnara

Quaderni Bagnaresi – Nuova Serie – Quaderno nr. 2, Agosto 2015 Pag. 14

Quantità dé prodotti che si

esportano all'Estero e Sicilia

Quantità

dè pesi

Valore preventivo di

ciascun genere

(in Ducati)

Comune da cui

derivano

Luogo per dove

son diretti

Mezzi con cui si

esportanoOperazioni

(1a. Parte)

n.d. Ducati

Cerchi e fasci 34.949 21.970 Bagnara Marsiglia Brigantini soggetti a dazio

Castarecce 5.300 11.000 S. Eufemia Malta Bovi soggetti a dazio

Tavole 150 5 S. Eufemia Malta Bovi soggetti a dazio

Verghella fasci 3.000 300 Bagnara Malta Brigantini esenti da dazio

(2a. Parte)

Cerchi fasci 29.316 11.726 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Castarecce 198.325 39.665 S. Eufemia Sicilia Brigantini esenti da dazio

Cremore di tartaro

(Cantaya) 19,3 390 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Carboni (cantaya) 930 425 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Castagne (cantaya) 1.600 48 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Doghe 3.484 6.968 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Ginelle 30.000 600 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Legna da fuoco (cant.) 3.210 612 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Mela (cantaya) 25 75 Melicuccà Sicilia Brigantini esenti da dazio

Pertiche 18.677 186 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Pelle col pelo di

agnello (cantaya) 12 120 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Scorze di faggio (cant.) 100 100 Solano Sicilia Brigantini esenti da dazio

Tavole 145.936 29.183 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Travi 1.841 3.782 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Verghella fasci 4.030 400 Bagnara Sicilia Brigantini esenti da dazio

Totale ducati 127.555

di cui:

Destinazione Ducati

Marsiglia 21.970

Malta 11.305

Sicilia 94.280

STATO DEI PRODOTTI ESTRATTI ALL'ESTERO E PER LA VICINA SICILIA

COMUNE DI BAGNARA - ANNO 1843

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3.- VERSO L’INIZIO DI UNA GRANDE FORTUNA: I TRASPORTI NEL MEDITERRANEO

Fra la Sicilia, la Calabria e Napoli, funzionò fino al 1839 il servizio postale marittimo. Con i “pacchetti” a vapore, la rotta Napoli-Palermo si copriva in una notte a differenza dei “pacchetti” a vela che impiegavano dai due ai tre giorni. Dall’8 maggio 1840

divenne operativo il servizio giornaliero di staffette a cavallo fra Napoli e Villa S. Giovanni e viceversa. La staffetta partiva al tramonto da Villa per Napoli e da Palermo per Villa S. Giovanni. Erano attive cinque corse settimanali: lunedì – mercoledì – giovedì – sabato – domenica. La staffetta era organizzata per cavalcare o seguendo la “via delle montagne” o quella “della marina”. Il corriere a cavallo aveva ordini tassativi di non fermarsi per nessun motivo se non per il cambio del cavallo alla stazione di posta e lo scambio della corrispondenza. Da Villa a Napoli la staffetta impiegava 60 ore mentre la diligenza, che trovava difficoltà a percorrere la via delle Calabrie, a volte appena un tracciato sterrato, ne impiegava 112. Ogni 15 miglia, la staffetta cambiava il cavallo. Per usufruire del servizio, si applicava una tariffa doppia rispetto al normale e sulle buste si apponeva il timbro “Staffetta giornaliera”. Effettuato il pagamento della tariffa convenuta, sulla busta l’ufficio postale apponeva il timbro “Franca”. Funzionò benissimo fino all’agosto 1840, quando venne sospeso per il ripristino del trasporto a mezzo vapore a ruota fra Napoli e Palermo. Con la “staffetta” un manoscritto da Napoli a Palermo impiegava, da mani mittente a mani destinatario, 4 giorni; 3 giorni da Messina a Napoli. Non solo Pony Express dunque, ma anche un efficiente servizio che nel Regno delle Due Sicilie fu molto apprezzato. Dal 1855 si inaugurò una corsa settimanale del piroscafo Maria Cristina di 237 tonnellate che per l’occasione e dopo importanti lavori di ammodernamento, fu ribattezzato Pompei. Garantiva la corsa alle stazioni portuali di Napoli – Paola – Pizzo – Reggio C., Messina – Palermo – Napoli22 In precedenza, Villa fu scelta come sede della posta centrale, perché idonea allo smistamento della corrispondenza fra Sicilia e Napoli. Nel 1817 iniziarono i lavori per la costruzione di un grande palazzo idoneo a questa importante funzione, ma alla fine delle opere di approntamento, Reggio si oppose fermamente pretendendo che l’ufficio delle poste fosse trasferito in essa.

22 (LAMBERTO RADOGNA, Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie, 1734-1860, Mursia ed., Milano 1982:

il Corriere Siciliano "Vincenzo Florio" nel 1852

Donna Franca Florio a Villa Igiea a Palermo

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Tito Puntillo: I Florio a Bagnara

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Nel 1823 il Porto di Villa fu scelto come punto di approdo della nuova linea navale dei Florio per l’imbarco dei passeggeri e della posta diretti a Napoli e Palermo, e anche in questo caso, Reggio si oppose e ottenne l’imbarco. L’Intendente di Calabria Ultra fu in quel tempo don Ciccio Ruffo, già aiutante principale del fratello don Fabrizio nella spedizione della Santa Fede del 1799. Don Ciccio fu l’ultimo utile signore di Fiumara di Muro e della Motta, in aspra lite col Comune di Villa per i terreni “Foresta d’Aspromonte”, assegnati a Villa e sui quali don Ciccio rivendicò la proprietà. Il conflitto si risolse in modo insolito: il Comune di Villa accettò che due volte la settimana il maestro di nautica don Pietro Barbaro di Bagnara, tenesse a Villa lezione sull’arte marinara, a beneficio dei locali pescatori e gente di mare. Villa infatti, contava bel 323 marinai e 36 barche di varie dimensioni. Nel 1833 fu quasi terminata la strada da Torre Cavallo a Reggio mentre le carrozze postali da Napoli ormai si spingevano fino a Lagonegro, ed erano anche attivate le linee postali fra Cosenza e Monteleone. Dunque l’ultimazione dei lavori della strada sul tratto Torre Cavallo-Reggio, consentì l’ultimazione del progetto della linea postale con Messina. I lavori stradali attorno a Capo dell’Armi poi, avrebbero

consentito il collegamento di Reggio col Distretto di Gerace, così come la “Strada di San Jeiunio” per la comunicazione fra i Distretti di Gerace e Palmi (anche se solo per il transito a cavallo e non in carrozza). L’Intendete informava che in quell’epoca sull’intera Provincia … regna … la più perfetta tranquillità, e traversare il viandante i più reconditi sentieri nella maggior sicurezza …23

La storia dei Florio da qui in avanti, è troppo nota anche solo per riepilogarla su queste

pagine.

I Florio ricchi imprenditori originari di Bagnara, non ebbeto col loro paese d’origine, nessun rapporto diretto e non mostrarono gratitudine e rispetto della memoria. Eppure Bagnara diede loro tutti gli strumenti per formarsi, crescere e apprendere mestieri che po saranno la loro fortuna. Non so se la concessione della direzione del giornale “L’Ora” di Palermo, riconosciuta a Vincenzo Morello, possa considerarsi una “carezza” alla vecchia Bagnara, il crederlo sarebbe forse peccare di molta fantasia. Ebbero i Florio palermitani tutte le leve per reggere un impero industriale di notevoli dimensioni: vigne prestigiose e lavorazione del prodotto, zolfatare, tonnare e lavorazione

23 ANNALI CIVILI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, Consiglio generale della Provincia di Calabria Ulteriore, vol. I (Genn.-

Apr. 1833), tip. Real ministero degli Affari Interni, Napoli 1833, pagg. 10-11.

Donna Franca Florio

nel suo massimo splendore La collana era formata da 365 perle. Lei viaggiava sempre portando tutti i gioielli in una capiente borsa sacco in fili d'oro che poteva portare un peso di 20 kg.

Il Senatore Vincenzo Florio

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del prodotto, linee di navigazione, informazione giornalistica, editoria, catene di negozi specializzati, colture agricole, edilizia, la Targa Florio. La giovane sposa Franca Florio entrava in famiglia nel 1893, Il Re del Siam e i reali d’Inghilterra furono ospiti a Villa Igiea nel 1909, fu quindi la volta del Kaiser Guglielmo II e l’Imperatrice Augusta Vittoria, ospiti all’Olivuzza, D’Annunzio entrò in confidenza con Ignazio Florio nel 910, il Duce fu da loro, a Palermo nel 1924 e nel 1925 Re Giorgio d’Inghilterra colla Regina Mary. Dopo la Grande Guerra, inizia il declino dell’impero Florio. La vita mondana e l’attività politica, tolesro forza propositiva alle attività di produzione e commercio. Rilassati in una Vita ovattata della quale non vedevano la fine, i Florio furono aggrediti dalla concorrenza in veloce sviluppo dovuti a investimento nella ricerca e nelloo sviluppo che i Florio, leve verso le quali i Florio non credettero, fiduciosi della loro potenza acquisita. Dal 1929 al 1935 il crac prese forma e si abbatté su tutte le attività familiari.

Dopo la guerra, Ignazio e Franca Florio vivono una vita crepuscolare che s’annulla nella frequentazione dei figli e nipoti fino a ridursi a un pefetto anonimato e fino a quando, quella che fu la bellissima Donna Franca Jacona della Motta dei baroni di San Giuliano, da tutti amata e desiderata Donna Franca Florio, si spegne con un sorriso sulla bocca. A Migliarino Pisano era il 10 novembre 1950.

Vincenzo Florio sr (1799-1868) con la moglie Giulia, il figlio Ignazio sr (1838-1891) e la nuora Giovanna.

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Donna Franca Florio

ritratta con una straordinaria collana a girocollo

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