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SALACHAS – I criteri circa l’ecumenicità di un concilio nella
prassi dei primi secoli
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I CRITERI CIRCA L’ECUMENICITÀ DI UN CONCILIO NELLA PRASSI DEI
PRIMI SECOLI*
S.E.R. Mons. Prof. DIMITRIOS SALACHAS Vescovo tit. di
Gratianopolis
Esarca Apostolico per i Cattolici di Rito Bizantino in
Grecia
Sommario: §1. Nota introduttiva. §2. Il ruolo dell’imperatore
nella convocazione dei concili ecumenici. §3. Contesto storico del
settimo Concilio ecumenico di Nicea II (a. 787). §4. Il “caso” di
Hièria: un concilio respinto e privo di carattere ecumenico. §5. La
“sinergia” del Papa di Roma e l’assentire dei Patriarchi orientali.
§6. Il computo moderno dei concili ecumenici nella Chiesa
cattolica. §7. La presidenza dei concili ecumenici. §8. La
conformità di un concilio ecumenico con i precedenti concili e con
la tradizione. §9. La dimensione universale della dottrina di un
concilio ecumenico. §10. La receptio di un concilio da parte del
popolo cristiano. §11. I sette primi concili ecumenici riconosciuti
dalle Chiese cattolica ed ortodossa. §12. Assemblee sinodali della
Chiesa ortodossa nel secondo millennio. §13. Qualche considerazione
di natura conclusiva. §1. Nota introduttiva I concili ecumenici1
nella vita della Chiesa dei primi secoli erano delle grandi
assemblee straordinarie di vescovi, rappresentanti dell’episcopato
provenienti da diverse aree geografiche dell’impero, radunati
occasionalmente in oriente per affrontare varie eresie e formulare
l’ortodossia della fede, non trascurando allo stesso tempo
l’ordinamento della disciplina ecclesiastica, emanando i sacri
canones, i quali già prima del concilio Calcedonense superavano il
numero di cinquecento2. Ad esempio: * Relazione presentata alla
Giornata di Studio in occasione del cinquantesimo anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962-1965) sul tema: «I
Concili Ecumenici: aspetti storico-giuridici e canonistici», Roma,
Pontificio Istituto Orientale, 4 dicembre 2012. 1 Cfr. SALACHAS D.,
Problemi ecclesiologici e di disciplina ecclesiastica nel contesto
della controversia iconoclastica, in DISTANTE G. (a cura di), La
Legittimità del Culto delle icone, Atti del III Convegno Storico
interecclesiale (Bari, 11-13 maggio 1987), Bari 1988, 145-159. Cfr.
anche SALACHAS D., Problemi ecclesiologici e di disciplina
ecclesiastica nel contesto della controversia iconoclastica, in
Nicolaus, 1-2 (1988), 145-159; PERI V., I concili e le Chiese.
Ricerca storica sulla tradizione d’universalità dei sinodi
ecumenici, Roma 1965, 21-34; SALACHAS D., Orient et Institutions –
Théologie et discipline des institutions des Eglises orientales
catholique, selon le Nouveau Codex canonum Ecclesiarum Orientalium,
Paris 2012. 2 GIOVANNI PAOLO II, Cost. Apost. «Sacri canones» (del
18 ottobre 1990), in AAS 82 (1990), 1033-1044. Ed anche, tra gli
studi, ved. ŽUŽEK I., Common Canons and Ecclesiastic Experience in
the
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«il primo concilio “ecumenico” ha luogo a Nicea nel 325, quando
l’imperatore Costantino vi convoca i vescovi responsabili delle
comunità cristiane nelle varie parti dell’impero allo scopo di
elaborare un atteggiamento comune nei confronti dell’arianesimo e
di assicurare così la pace religiosa dell’impero stesso. Che
un’assemblea generale di vescovi cristiani si riunisse nel 325
appare – a prima vista – molto tardi rispetto alle origini della
Chiesa e, insieme, troppo presto se si ricorda che solo nel 313 con
l’editto di Milano il cristianesimo era uscito dalla stagione delle
persecuzioni o, quanto meno, dell’irrilevanza pubblica. A ben
vedere però l’assemblea nicena ha una ricca serie di precedenti,
che contribuiscono in misura decisiva a spiegare l’evento
stesso»3.
I primi concili ecumenici ebbero luogo in città storiche
dell’impero bizantino (Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia),
città più accessibili ai vescovi occidentali; infatti i dogmi
fondamentali della fede cristiana sulla Trinità e sul Verbo di Dio
incarnato da Maria Vergine sono stati definiti in concili ecumenici
celebrati in oriente, senza però che una normativa codificata
regolasse i requisiti, i criteri per la loro celebrazione
(convocazione, composizione, presidenza, rappresentatività
dell’episcopato, approvazione)4. Nessun concilio ha avuto in mente
di dettare formalmente delle norme “giuridiche” sui requisiti e
criteri per l’ecumenicità di un concilio. L’ecumenicità dei primi
concili, celebrati nella piena comunione tra le Chiese d’oriente e
d’occidente, era un fatto di coscienza della Chiesa (suneædhsiò
th=ò *Ekklhsæaò), spontaneamente manifestata per Provvidenza
Divina, cioè presso i pastori e fedeli, che mossi dallo Spirito
Santo, rispondevano alla necessità in concrete contingenze ed
opportunità storiche di professare e difendere la fede dalle varie
eresie e salvaguardare la tradizione che deriva dagli Apostoli
attraverso i Padri. Perciò la celebrazione dei concili ecumenici
risponde al sensus fidei suscitato e sorretto dall’attività dello
Spirito Santo nel corpo ecclesiale. Si tratta – come ha osservato
ALBERIGO – di:
«una delle più interessanti e significative manifestazioni della
dinamica di comunione a livello inter-ecclesiale, che caratterizza
il cristianesimo dei primi secoli e che non cessa di animarlo
(...).
Oriental Catholic Churches, in Idem, Understanding the Eastern
Code, «Kanonika» 8, Roma 1997, 203-238. 3 Cfr. ALBERIGO G. (a cura
di), Decisioni dei Concili Ecumenici, Introduzione, Torino 1978, 9.
4 Cfr. DUPREY P., La structure synodale de l'Eglise dans la
théologie orientale, in Proche-Orient Chrétien 20 (1970), 123-145;
LANNE E., L’origine des synodes, in Theologische Zeitschrift 27
(1971), 201-222.
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È sorprendente come i concili abbiano suscitato quasi sempre
un’attenzione intensa nel popolo dei comuni cristiani, malgrado che
la loro partecipazione diretta alle assemblee sia sempre stata
esterna e marginale. I lavori conciliari e le vicende della fase
post-conciliare hanno abitualmente generato un’acuta attesa e un
coinvolgimento, carico di speranza (…). Da un lato i grandi concili
dell’antichità, riuniti per iniziativa dell’autorità imperiale e
celebrati sotto la sua ombra hanno avuto una loro
caratterizzazione, nell’alveo della tradizione del cristianesimo
orientale di lingua greca. Vi emergono tre elementi: la
concentrazione primaria sulla formulazione di “professioni di fede”
[o{roi]. Professioni che sono ispirate dal vitale bisogno di
“rendere conto della fede”, ancorché siano condizionate in misura
elevata dal confronto con le correnti eretiche. Alle professioni si
aggiungono statuizioni disciplinari per la vita interna delle
comunità (canones). In secondo luogo la partecipazione ai lavori
conciliari appare “aperta” sia ai teologi che a laici, ancorché sia
essenziale (ma non esclusivo) l’intervento di vescovi e, via via,
divenga conditio sine qua con il coinvolgimento dei cinque
patriarcati apostolici (Pentarchia). Infine, costituisce un fattore
di particolare rilievo la partecipazione di rappresentanti degli
ambienti monastici, dato il loro crescente prestigio spirituale e
sociale»5.
Infatti i monaci influenzarono in modo dinamico – ora in
positivo ora in negativo – il popolo cristiano nell’accoglienza ο
perfino talvolta nel rigetto delle decisioni conciliari. Dagli atti
dei primi concili ecumenici risulta che i firmatari erano i
rappresentanti o delegati delle grandi sedi patriarcali, anche se
presbiteri – come è il caso dei legati romani – e tutti i vescovi
partecipanti convenuti dall’oriente e dall’occidente. §2. Il ruolo
dell’imperatore nella convocazione dei concili ecumenici I primi
concili ecumenici sono stati riuniti effettivamente per iniziativa
dell’autorità imperiale6, e celebrati sotto la sua egida, ma solo
de facto e non de iure, cioè per via di fatto e non in virtù di un
diritto acquisito concesso dalla Chiesa. Non esiste infatti una
norma canonica che stabilisca un tale diritto dell’imperatore. Il
consenso della Chiesa di Roma e delle altre Chiese della Pentarchia
in Oriente rivestiva di canonicità la convocazione 5 ALBERIGO G.,
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Introduzione, X, Bologna1962,
132. Qui di seguito abbreviato sempre con l’acronimo “CŒD”. 6 Sul
tema, tra i molti, ved. CECCARELLI MOROLLI D., “Princeps legibus
solutus” (D. 1.3.31), ovvero qualche nota sul Bασιλεὺς τῶν
‘Ρωµαίων, in «Iura Orientalia»VII (2011), 1-9.
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imperiale; mentre ai legati romani, qualora assistessero, era
riservato un posto non solo di onore, ma erano i primi a firmarne
gli atti, in quanto rappresentanti del vescovo di Roma, la prima
sede episcopale nella comunione universale delle Chiese. Dal
momento in cui il cristianesimo fu proclamato come religione di
Stato, l’imperatore divenne “soggetto” direttamente coinvolto nella
convocazione dei concili ecumenici, proprio come protettore della
religione cristiana contro i nemici della fede cristiana, i
disordini interni e la violazione dell’ordinamento ecclesiastico7.
È caratteristico – come scrive lo storico EUSEBIO – che
l’imperatore COSTANTINO (imp. dal 306 al 337), indirizzandosi ai
Vescovi Padri del Concilio di Nicea (anno 325), pronunziò la frase:
uJπ’ του = Θεοu= καqιστάµενος εjπίσκοπος τ§ν ejκτός a]ν ei[hn, cioè
“potrei, se mi volete, se me lo permettete, essere costituito da
Dio come vescovo per gli affari esterni”. Certamente quando
COSTANTINO asseriva ciò, egli era certamente già un fedele
catecumeno. La convocazione fatta dall’imperatore non era la causa
della convocazione di un concilio, ma il “contesto sociale” entro
il quale tale evento ecclesiastico si svolgeva. Infatti, è stato il
sensus fidelium, ossia la coscienza di fede della Chiesa,
manifestata dalla sinfonia dei vescovi del mondo cristiano, specie
di quelli delle grandi sedi patriarcali, e sancita dalla Sede
apostolica di Roma, che imponeva la convocazione di un concilio
ecumenico per difendere la fede dalle varie eresie e ristabilire
l’ordine nella Chiesa. L’iniziativa imperiale era giustificata e
naturale, dato che per Bisanzio, ove si sono celebrati i primi
concili ecumenici, un tale concilio era un avvenimento
straordinario, un momento di più denso significato della vita della
Chiesa, ma coinvolgeva direttamente anche l’ordine pubblico. Le
circostanze e condizioni della vita religiosa e politica a
Bisanzio, in quell’epoca, obbligavano l’imperatore, prima di
decidere a convocare un concilio ecumenico, di studiare tutto
quello che era necessario per evitare delle tensioni e controversie
e turbamenti tra i diversi gruppi di cittadini “ortodossi” ed
“eterodossi” o “eretici”. È proprio a Bisanzio che avvennero le
prime scissioni per la contestazione delle formule dogmatiche dei
concili di Efeso e di Calcedonia. Inoltre adunare un gran numero di
vescovi a Bisanzio non era sempre una impresa tanto facile sotto
l’aspetto organizzativo, tecnico ed economico, quindi l’imperatore
aveva la possibilità e la potestà per provvedere alle spese di
viaggio, il soggiorno e la sicurezza dei partecipanti a
Costantinopoli o in altre città, e soprattutto la celebrazione
stessa, l’esecuzione e l’applicazione delle decisioni del concilio
nella vita della 7 Sul tema, tra i molti, ved. CECCARELLI MOROLLI
D., Brevi note giuridiche su “ortodossia” ed “eresia” nell’Impero
Romano d’Oriente, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s.
47 (2010), 85-96.
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Chiesa e dell’impero a Bisanzio, non certo sotto l’aspetto
ecclesiastico dottrinale di ricezione ed applicazione, ma sotto
l’aspetto di conseguenze sociali e di ordine pubblico. Tuttavia non
mancarono imperatori strenui difensori degli avversari della fede
ortodossa e sostenitori degli eretici, come anche quelli
sostenitori degli Ortodossi e difensori della fede. Quindi si può
dire che la convocazione di un concilio era un fatto prettamente
ecclesiastico, la causa della convocazione era il Magistero della
Chiesa, ma la sua realizzazione pratica era garantita
dall’imperatore, salvaguardando nello stesso tempo l’ordine
pubblico nello Stato, così gravemente turbato nei primi secoli
dalle eresie. Il fenomeno ereticale non era solo un problema
religioso, ma aveva delle gravi implicanze sociali, si trasformava
per lo più in fenomeno di agitazioni sociali. Ma poiché i primi
concili avvennero a Bisanzio per affrontare le prime eresie ivi
sorte, anche i Patriarchi di Costantinopoli hanno avuto un ruolo
particolare nella convocazione dei primi concili ecumenici, ma
nessun concilio ecumenico è stato convocato, celebrato ed
approvato, senza il parere, il consenso espresso o tacito, il
concorso, la partecipazione o l’accettazione – concomitante o
susseguente – della Chiesa apostolica di Roma e delle altre sedi
patriarcali in oriente. Gli imperatori e i Patriarchi hanno sempre
riconosciuto espressamente o tacitamente nell’antichità questo
ruolo della Chiesa apostolica di Roma nella celebrazione dei
concili ecumenici, come risulta dallo studio degli atti di detti
concili. §3. Contesto storico del settimo Concilio ecumenico di
Nicea II (a. 787) È proprio nel contesto storico della vicenda
iconoclastica affrontata dal settimo Concilio ecumenico di Nicea II
(a. 787) che per prima volta, sebbene marginalmente, si è posto il
problema dei criteri di ecumenicità di un concilio. Come è noto,
alla fine del sec. VII nella Chiesa in oriente fece la sua
apparizione una violenta corrente di opposizione e di polemica
contro il culto delle immagini. Strenuo difensore degli avversari
delle icone e del loro culto divenne l’imperatore LEONE III
L’ISAURICO (714-741), il quale nel 726 prese l’iniziativa di una
condanna del culto delle icone, cosa che suscitò una uguale
violenta opposizione sia in Occidente, dove nel 731 Papa GREGORIO
III (R. P. dal 731 al 741) scomunicò gli iconoclasti, che in
Oriente dove i monaci furono i protagonisti della campagna
anti-iconoclastica. Nel 754 si riunì a Hièria e a S. Maria
Blacherna in Costantinopoli un sinodo, sotto l’imperatore
COSTANTINO V COPRONIMO (741-775), il quale condannò i difensori
delle icone e del loro culto. Tale sinodo fu convocato mentre la
sede patriarcale costantinopolitana era vacante, dopo la morte del
patriarca ANASTASIO. Vi presero parte 338
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vescovi e fu presieduto dal vescovo di Efeso TEODOSIO,
iconoclasta dichiarato. Il Papa di Roma e i Patriarchi di
Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme non furono rappresentati
in quel sinodo, mentre l’imperatore COSTANTINO V COPRONIMO aveva
nominato solennemente come Patriarca di Costantinopoli il monaco
COSTANTINO, allora vescovo di Sylæum. Il sinodo del 754 annunciava
al popolo la decisione eretica iconoclastica8. Gli atti completi
del sinodo non ci sono pervenuti. Abbiamo soltanto la lunga
definizione dogmatica e la sua introduzione, inseriti negli atti
del concilio di Nicea II. All’inizio degli atti, il sinodo
iconoclasta del 754 si autoqualifica come “il settimo concilio
grande ed ecumenico”. Ciò suscitò ulteriori polemiche. Il concilio
di Nicea II, prima di pervenire alla condanna dell’iconoclasmo, ha
riesaminato gli atti del suddetto sinodo del 754 per negarne
l’ecumenicità. Il Patriarca TARASIO di Costantinopoli aveva
esortato l’imperatrice IRENE – che regnava in luogo del figlio
COSTANTINO VI (780-797) ancora soggetto a tutela – ad indire un
concilio ecumenico che riportasse gli iconoclasti a maggiore
moderazione, ricostruisse l’unità della Chiesa e condannasse ciò
che aveva deciso il conciliabolo che si era svolto nel 754 a Hièria
e in S. Maria Blacherna a Costantinopoli. Tale convocazione fu
comunicata al vescovo di Roma il 29 agosto 784, con una lettera di
COSTANTINO e IRENE, con l’esortazione di intervenire personalmente
o mandare legati. TARASIO stesso inviò l’annunzio al vescovo di
Roma e ai patriarchi orientali con lettere sinodali. Il papa
ADRIANO I (R. P. dal 772 al 795) si mostrò, a certe condizioni,
favorevole al concilio e mandò quali suoi legati l’arciprete PIETRO
e l’abate PIETRO del monastero greco di S. Saba di Roma. Gli
storici ammettono che i legati papali presiedettero il concilio e
sottoscrissero per primi gli atti; in realtà TARASIO diresse i
lavori e per disposizione del concilio, ne riferì a ADRIANO I con
queste parole: «dopo la lettura delle tue lettere fraterne, tutti
le hanno accolte»9. Perciò, il Niceno II fu convocato con un editto
dell’imperatore nell’estate del 786, con la richiesta del Patriarca
di Costantinopoli TARASIO, consenzienti gli altri Patriarchi
d’oriente, e con l’adesione ed approvazione del Papa di Roma10.
8 Cfr. TEOFANE IL CONFESSORE († 817), Theophanis Chronographia,
(dall’anno 284 all’anno 813), t. II, Bonn 1839, 659. 9 MANSI XIII,
460. MANSI J. D., Sacrorum Conciliorum nova et amplissima
collectio..., 53 voll., Florentiæ - Venetiis - Parisiis- Lipsiæ
1759 ad 1927; qui di seguito sempre abbreviato come “MANSI,”. 10
Cfr. CŒD,131-132.
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Da segnalare che anche il concilio di Nicea II non aveva in
mente di trattare ex professo dal punto di vista giuridico il
problema dell’ecumenicità di un concilio; un tale argomento non
figurava nell’agenda dei lavori del concilio, come risulta anche
dagli Atti del concilio della sesta sessione11; lo ha dovuto fare
proprio per rigettare la pretesa del pseudo-sinodo di Hièria di
essere “il settimo concilio grande ed ecumenico”, elencando una
serie di criteri in base ai quali un’assemblea sinodale possa
essere ritenuta come ecumenica. §4. Il “caso” di Hièria: un
concilio respinto e privo di carattere ecumenico All’apertura della
sesta sessione, il concilio Niceno II - il quale si auto qualifica
come «santo, grande ed ecumenico concilio» - ordinava la lettura
della definizione eretica del suddetto conciliabolo di Hièria e la
sua condanna12. GREGORIO, vescovo di Neocesarea, leggeva dei passi
della suddetta definizione, mentre i diaconi GIOVANNI ed EPIFANIO
leggevano la condanna13. In questo contesto i padri conciliari
respinsero la pretesa del suddetto conciliabolo di essere il
“settimo concilio grande ed ecumenico”, approvando il testo
pronunziato dal diacono GIOVANNI, con cui si precisa in modo
descrittivo i requisiti per l’ecumenicità di un concilio, testo che
fa parte degli atti del concilio di Nicea II, ed è per questa
ragione che assume particolare vigore di carattere normativo, anche
perché il Niceno II è stato sempre ritenuto, tanto dalla Chiesa di
Roma quanto dalle Chiese Ortodosse, come sacrosanto ed ecumenico,
prima ancora della rottura della comunione ecclesiastica tra
oriente ed occidente. Per il Niceno II un concilio ecumenico per
essere tale doveva avere la partecipazione o almeno l’invio di
legati del Papa di Roma e dei quattro Patriarchi orientali; inoltre
doveva professare una dottrina conforme a quella definita dai
precedenti concili ecumenici; e, infine, le sue decisioni dovevano
essere recepite dalle Chiese dell’ecumene cristiano. L’insigne
storico italiano VITTORIO PERI (1932-2006) ha tradotto e analizzato
il testo del Niceno II relativo a tale questione. Inoltre gli atti
del concilio Niceno II – computabile come settimo ecumenico – sono
stati tradotti recentemente anche dal DI DOMENICO in tre volumi;
nel secondo volume appare il testo in esame14. È forse opportuno
fare qui riferimento ai punti più salienti di tale documento
storico dagli atti del Concilio:
11 MANSI, XIII, coll. 208 D-209 B. 12 HEFELE C. J. &
LECLERCQ F., Histoire des conciles, III, 2, Paris 1910, 770-711.
Qui di seguito abbreviato sempre come “HEFELE & LECLERCQ”. 13
MANSI, XIII, 205-363; HEFELE & LECLERCQ, III, 2, Paris 1910,
657-704. 14 Atti del Concilio Niceno secondo ecumenico settimo,
Introduzione e traduzione a cura di DI DOMENICO P. G., t. II, Città
del Vaticano 2004, 279-280.
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«Giovanni, diacono della grande Chiesa di Dio, (riferendosi ai
vescovi iconoclasti del conciliabolo di Hièria) ha letto: “hanno
incominciato da una menzogna gli accusatori dei cristiani,
assumendola in aiuto attraverso tutta questa loro novità
rivoluzionaria, e sono andati a finire nella menzogna. Come infatti
è santo il concilio che non ha neanche la nozione di ciò che è
santo? È invece maledetto, profano e falso. Quelli infatti che vi
si radunarono, per dirla alla maniera profetica, non hanno fatto
distinzione tra il sacro e il profano (cfr. Ez 22, 26), avendo
chiamato idolo l’immagine del Verbo di Dio incarnato, il Signore
nostro Gesù Cristo, come se fosse l’immagine del satana»15.
Poi il diacono GIOVANNI prosegue la sua lettura: «Come può
essere grande ed ecumenico un concilio che quanti presiedono
[provedroi] le altre Chiese non hanno accettato e con cui non si
sono trovati d’accordo, ma che hanno respinto con la scomunica?
(...) (Come può essere grande ed ecumenico un concilio che) non
ebbe come collaboratore [sunergovò] il papa della Chiesa romana di
allora, o i sacerdoti che sono con lui, né per mezzo di suoi legati
né per mezzo di una lettera enciclica, come è la norma dei concili
[kaqwVò novmoò ejstiV tai=ò sunovdoiò]? (...) Neanche che vi
acconsentirono [sumfronou=nteò] i patriarchi dell’Oriente, di
Alessandria, di Antiochia e della Città santa, o i consacrati che
sono con loro e i vescovi. Davvero il loro parlare è fumo pieno di
caligine, che acceca gli occhi degli stolti, e non lampada posta
sul lucerniere per far luce a quelli che sono nella casa (cf Mt
5,15). Le loro dichiarazioni sono state fatte di nascosto con un
luogo segreto regionalmente [topik§ò localmente], e non dall’alto
del monte dell’ortodossia. [n.d.r. il concilio di Hieria fu
celebrato dal quarto patriarca d’Oriente, quello allora iconoclasta
di Costantinopoli]. (...) «Per tutta la terra non si diffuse la
loro eco, come quella degli apostoli [ajpostolik§ò] né le loro
parole raggiunsero i confini del mondo [taV pevrata th=ò
oékoumevnhò], come quelle dei sei santi concili ecumenici (cfr.
Sal. 18,5). (...) Come può essere settimo quello che non è in
armonia con i sei santi concili ecumenici prima di esso [hJ mhV
sumfwnhvsasa]? Infatti quello che sarebbe stato celebrato come
settimo, deve essere coerente con il novero delle cose decise prima
di esso. Ciò che non ha niente a che vedere
15 Cfr. MANSI XIII, 205.
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con le cose computate, non deve essere computato. Se uno, per
esempio, mette in fila sei monete d’oro e poi aggiunge a queste una
monetina di rame, non può chiamare questa ultima settima perché è
fatta di materia diversa. L’oro infatti è prezioso e di grande
valore, mentre il rame è materiale a buon mercato e senza valore.
Così anche quel concilio, che non ha oro e niente di prezioso nelle
sue dottrine, ma è stato imputato impuro e falso, pieno di veleno
mortifero, non merita di essere annoverato tra i sei sacratissimi
concili, illuminati dalle parole d’oro dello Spirito. Con
l’arroganza di colui che dice: “Porrò il mio trono sopra le nubi”
(Is 14, 13), fa risuonare cose di questo genere»16.
Dal testo qui sopra riportato risulta che il consenso della
“Pentarchia”, cioè dei capi delle cinque grandi sedi patriarcali
(Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme), fu
indubbiamente considerato come criterio operativo dell’ecumenicità
di un concilio. Il teologo FRANCIS SULLIVAN, al riguardo, ha
sostenuto che: «come il consenso del vescovo di Roma era sempre
stato preso per espressione del consenso della Chiesa occidentale,
così ora il consenso di tutti e cinque i Patriarchi viene preso
come espressione del consenso della Chiesa universale» –
aggiungendo però che – «questo criterio relativamente semplice di
ecumenicità venne messo in discussione dai teologi franchi del
periodo carolingio, i quali insistettero sulla necessità di
consultare e di ottenere il consenso di tutti i vescovi, e non di
basarsi esclusivamente sul consenso delle cinque sedi
patriarcali»17. §5. La “sinergia” del Papa di Roma e l’assentire
dei Patriarchi orientali Innanzi tutto vi è da notare che il testo
del Niceno II non faccia alcun accenno all’imperatore in tale
materia ecclesiastica, ma, riferendosi alla Tradizione già formata
circa la celebrazione dei concili ecumenici, usa due termini
diversi per indicare rispettivamente il ruolo del Papa di Roma e
degli altri Patriarchi: il termine sunergovò (cooperatore) per il
Papa, e il termine sumfronou=teò (consenzienti, assenzienti) per i
Patriarchi d’Oriente. Ciò autorizza ad ipotizzare che secondo la
mente dei padri del Niceno II, senza ulteriori precisazioni, il
ruolo del Papa di Roma fosse considerato come una particolare
sinergia operativa nello svolgimento di un concilio ecumenico
nel
16 PERI V., I concili e le chiese. Ricerca storica sulla
tradizione d'universalità dei sinodi ecumenici, Roma, 1965, 21-34.
Cfr. testo originale in MANSI, XIII, 208-209. Atti del Concilio
Niceno secondo ecumenico settimo, Introduzione e traduzione a cura
di DI DOMENICO P. G., t. II, Città del Vaticano 2004, 279-280. 17
SULLIVAN F., Il Magistero della Chiesa cattolica, Assisi 1986,
100.
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primo millennio, dalla convocazione e celebrazione fino
all’approvazione e recezione. Anche per quanto riguarda il ruolo
degli altri Patriarchi d’Oriente, i Padri niceni, senza ulteriori
precisazioni, ritengono necessario il loro consenso. Perciò il
Niceno II intende sottolineare in termini diversi e rispettando i
rispettivi ruoli l’inseparabilità e l’intercomplementarietà tra il
sunergei=n (cooperare) del Papa e il sumfronei=n (con-assentire)
degli altri Patriarchi per l’ecumenicità di un Concilio, il quale
effettivamente diventa tale in quanto, in seguito, entra nella
coscienza di tutte le Chiese dell’ecumene cristiano, che sono le
une in comunione con le altre. Tuttavia è ovvio che il ruolo di
sunergovò del Romano Pontefice nella celebrazione di un concilio
ecumenico intende indicare una funzione attiva ed operante
determinante rispetto a quella e dell’imperatore e dei Patriarchi
delle altre sedi. Il testo però, come detto, non specifica le
modalità concrete di questa “sinergia” del Papa di Roma alla
celebrazione di un concilio ecumenico. Che poi tale concorso fosse
dato al concilio dal Papa di persona, o per mezzo di legati con
mandato di rappresentanti o mediante lettere encicliche, ciò
riguardava le concrete contingenze ed opportunità storiche. Per
questo bisogna ricorrere alla storia dei singoli primi concili
ecumenici, esaminando ciò che precedette, ciò che avvenne durante
la loro celebrazione e ciò che seguì quanto all’approvazione ed
accettazione delle loro decisioni, partendo perciò dalla loro
convocazione, dallo svolgimento dei lavori, dal dibattito sui temi
discussi, specie in materia di fede. Su tutto questo i legati della
sede apostolica di Roma – qualora fossero presenti - hanno avuto
indubbiamente un ruolo determinante, presiedendo i lavori e
sottoscrivendo per primi gli atti del concilio. Ricapitolando, si
può affermare che la convocazione dei primi concili ecumenici,
sebbene avvenuta in pratica per iniziativa dell’autorità imperiale
e sotto la sua ombra, non sarebbero stati effettivamente convocati
e celebrati senza l’adesione esplicita o implicita del Papa di
Roma, al quale fu riconosciuto il diritto di presiederli tramite i
suoi legati o per mezzo di altri. Risulta ovvio, perciò, che il
ruolo di sunergovò del Papa di Roma nella celebrazione dei primi
concili ecumenici intende riconoscere una specifica funzione attiva
e determinante rispetto a quella degli altri Patriarchi. Gli stessi
imperatori, nel convocare i concili ecumenici, erano solleciti di
avere il previo parere e consenso del Papa di Roma. Ormai appare
corrente sia in Occidente che in Oriente la teoria, secondo la
quale un concilio per essere ecumenico necessiterebbe del consenso
unanime dei cinque patriarchi apostolici e dei vescovi delle
rispettive Chiese, che sono tra loro in comunione. Non si può
sottovalutare
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il fatto che il testo citato del Secondo concilio di Nicea
utilizzi termini diversi per indicare il concorso del Papa di Roma
e dei quattro Patriarchi d’oriente. Il sumfronei=n dei Patriarchi
rispetto all’organismo conciliare in qualche cosa si differenzia
dal sunergei=n del Papa, il quale, oltre a concordare e
acconsentire, coopera con il concilio, i Patriarchi che concordano,
acconsentono, assentono. In fondo, nel caso preciso del Niceno II,
il sunergei=n del Papa ADRIANO II era messo maggiormente in
evidenza insieme con il sunergei=n del Patriarca TARASIO di
Costantinopoli dato che i Patriarchi di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme, di cui era noto il sumfronei=n nella difesa delle
icone, non hanno potuto partecipare al concilio. Indubbiamente
nella mente dei padri conciliari del Niceno II il “cooperare” del
Papa e il “acconsentire” degli altri Patriarchi ha avuto lo stesso
valore dal punto di vista della difesa e del trionfo della fede
ortodossa e la condanna dell’eresia. In questo senso il Papa PAOLO
VI (R.P. 1963-1978), nel Breve Anno Ineunte del 1967 consegnato al
Patriarca ATENAGORA, riprendendo la dichiarazione del Concilio
Vaticano II (Unitatis Redintegratio, 15) affermava che: «le nostre
Chiese hanno vissuto per secoli come sorelle, celebrando insieme i
concili ecumenici che hanno difeso il deposito della fede contro
ogni alterazione». §6. Il computo moderno dei concili ecumenici
nella Chiesa cattolica Nel computo moderno dei concili ecumenici
riconosciuti dalla Chiesa cattolica, sancito in via tradizionale,
l’ottavo concilio ecumenico è costituito dal sinodo celebrato in
Costantinopoli tra l’869 e l’870 (e detto Costantinopolitano IV),
che ha condannato il Patriarca FOZIO († 893), accusato di essersi
impadronito illegittimamente del trono patriarcale. Dopo lo scisma
del 1054 e la rottura di comunione tra oriente e occidente, «i
concili generali del medioevo presentano una fisionomia
sostanzialmente diversa, non solo per la loro limitazione alla
Chiesa latina – con le sterili eccezioni del Lionese II e del
Fiorentino – ma anche per altri significativi aspetti»18. Secondo
il computo cattolico, dopo il Costantinopolitano IV, il nono
concilio ecumenico è quello celebrato a Roma in S. Giovanni in
Laterano nel 1123, e seguirono diversi altri Concili fino al
Vaticano II: Lateranense II (1139); Lateranense III (1179);
Lateranense IV (1215); Lione I (1245); Lione II (1274); Vienna
(1311-1312); Costanza (1414-1418); Ferrara-Firenze (1438-1439);
Lateranense V (1512-1517); Trento (1545-1563); Vaticano I
(1869-1870); Vaticano II (1962-1965). 18 ALBERIGO G., CŒD,
Introduzione, X.
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Il Papa GIOVANNI XXIII (R.P. 1958-1963), convocando il concilio
Vaticano II, lo ha qualificato come «un nuovo Concilio ecumenico in
aggiunta e in continuazione della serie dei venti grandi
Concili»19. Circa l’elenco dei concili ecumenici YVES CONGAR
(1904-1995) espose la propria opinione come segue:
«Non esiste veramente un computo e un elenco dei concili
ecumenici che si impone nella Chiesa cattolica con una autorità di
valore dogmatico. È vero che alcuni concili si sono dichiarati o
sono stati chiamati “ecumenici”: Trento, Vaticano I, Vaticano II. È
vero che Giovanni XXIII ha parlato, per questo ultimo, di ventesimo
primo Concilio ecumenico, come anche Paolo VI ha denominato il
Concilio di Costanza come il “decimo sesto ecumenico”. Non si
tratta di dichiarazioni di portata dogmatica. I Papi si sono
conformati a un uso già recepito, ma questo uso richiede di essere
analizzato storicamente e valorizzato criticamente [...]
Numerazione ed elenco sono quelli di San Roberto Bellarmino nelle
sue “Controversiae” (1586) [...] È proprio a partire dal Bellarmino
[...] che si è fissata pragmaticamente la lista dei concili
ecumenici comunemente ammessi presso di noi»20.
Anche il teologo SULLIVAN ha affermato al riguardo che: «la
Chiesa cattolica non ha mai definito esplicitamente che cosa si
intenda con l’espressione “Concilio ecumenico”, né ha mai compilato
un elenco definitivo di tali concili. Comunque, le Chiese cristiane
sia orientali che occidentali riconoscono come ecumenici sette
concili della Chiesa antica: Nicea (325), Costantinopoli (381),
Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli II (553),
Costantinopoli III (681) e Nicea II (787)»21. E – sempre il
SULLIVAN – ha rimarcato che: «fino al secolo XVI nella Chiesa
occidentale persistette l’idea che solo quei concili nei quali
avevano preso parte sia l’Oriente sia l’Occidente meritavano il
titolo di “ecumenici”. Furono Bellarmino e Baronio che per primi
inclusero i concili medievali d’Occidente nell’elenco dei concili
ecumenici»22.
19 Cfr. Cost. Apost. «Humanæ salutis» del 25 dicembre l961, con
la quale viene indetto il Concilio Vaticano II, in AAS 54 (1962),
12 ed ora anche in Enchiridion Vatticanum I, 19*. 20 CONGAR Y.,
1274-1974: Structures ecclésiales et conciles dans les relations
entre Orient et Occident, in Revue des Sciences Philosophiques et
Théologiques, tom. 58 (1974) 3, 378-379. Cfr. anche PERI V., Il
numero dei concili ecumenici nella tradizione cattolica moderna, in
Aevum 37 (1963), 430-501. 21 SULLIVAN F., Il Magistero della Chiesa
cattolica, op. cit., 70. 22 Ibid., 71.
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L’insigne storico tedesco HUBERT JEDIN (1900-1980), riferendosi
specie ai cinque concili Lateranensi, affermò che:
«essi annunciavano la tradizione apostolica e avevano la somma
autorità di insegnare e che tutto questo aveva il proprio
fondamento e la propria radice nelle parole pronunciate, nel primo
concilio della Chiesa, dagli apostoli riuniti insieme, sotto la
presidenza di Pietro pastore degli agnelli e delle pecore: “Abbiamo
deciso lo Spirito Santo e noi… (At 15, 28)”»23.
Sotto l’aspetto solo storico, nel secondo millennio, dopo la
rottura di comunione ecclesiastica tra i Patriarcati orientali e la
sede di Roma, «l’evoluzione storica sembra caratterizzata da una
progressiva riduzione dell’”ecumenicità” dei concili - da
universali a occidentali, da occidentali a romani - e anche del
loro orizzonte»24. Del resto non vi sono più stati dei concili
ecumenici a guisa di quelli della Chiesa antica indivisa. I concili
generali del medioevo presentano una fisionomia sostanzialmente
diversa, non solo per la loro limitazione alla Chiesa latina – con
le eccezioni ad es. del Lionese II e del Fiorentino – ma anche per
altri significativi aspetti. Lo stesso Papa PAOLO VI nella sua
lettera in cui commemorava il settimo centenario del secondo
concilio di Lione (1274-1974), annoverato come ecumenico nella
lista occidentale, lo ha descritto come «il sesto dei sinodi
generali tenuti in occidente»25 nel senso che, pur celebrato in
occidente, limitato alla Chiesa latina ed annoverato tra i sinodi
ivi convocati, la dottrina da esso definita ha un tenore
universale, ecumenico. Come il Niceno II ha solennemente confermato
la “tradizione ecclesiastica scritta e non scritta”26, punto di
riferimento normativo per la fede e la disciplina della Chiesa,
così avvenne per il concilio di Lione, in cui i padri conciliari
affermarono il proprio desiderio di conservare intatte tutte le
tradizioni della Chiesa, che sono state loro affidate, siano esse
scritte o non scritte. §7. La presidenza dei concili ecumenici
Quanto alla presidenza dei primi concili ecumenici è da notare
anzitutto che è stato sempre dato il posto di onore ai legati del
Papa, sebbene le sedute conciliari siano state dirette o dal
Patriarca di Costantinopoli oppure alla presenza dello stesso
imperatore.
23 Cfr CŒD, Prefazione. 24 ALBERIGO G, CŒD, Introduzione, XIV.
25 «Ce Concile de Lyon, compté comme le sixième des Synodes
généraux tenus en Occident (...)»: PAOLO VI, Lettera al Cardinale
J.Willebrands del 5 ottobre 1974, in AAS 66 (1974), 620-625; cfr.
anche La Documentation catholique 2 (1975), 63-65; Irénikon XLVII/4
(1974), 532-536. 26 Cfr. MANSI, 399 C.
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Nel primo concilio ecumenico di Nicea (325) era presente
l’imperatore COSTANTINO tuttavia:
«non si sa chi abbia presieduto i lavori: sappiamo solo dagli
elenchi dei vescovi che ci sono pervenuti – sulla cui autenticità
esistono dubbi – che Osio di Cordova, e i preti Vito e Vincenzo,
legati della sede apostolica, ebbero la precedenza su tutti gli
altri. È piuttosto da condividere l’opinione che le sessioni
fossero presiedute da Eustazio di Antiochia e da Alessandro di
Alessandria. Queste incertezze dipendono dal fatto che i verbali
non furono probabilmente mai redatti dai notai»27.
Al secondo concilio ecumenico di Costantinopoli I (381),
convocato dall’imperatore TEODOSIO I, con l’accordo del
co-imperatore GRAZIANO, fu presieduto inizialmente da MELEZIO di
Alessandria, e fino alla sua conclusione, da NECTARIO di
Costantinopoli. Non c’è stata una rappresentanza del vescovo di
Roma, allora Papa DAMASO (R. P. dal 366 al 384). Non sembra che i
vescovi orientali abbiano avuto in mente di chiedere formale
conferma a Roma dei decreti conciliari; infatti il concilio fu
riconosciuto posteriormente da Roma. Tuttavia è stata data notizia
al Papa DAMASO delle decisioni dogmatiche del concilio stesso.
L’approvazione diretta del vescovo di Roma manca ai canoni. Papa
GREGORIO MAGNO (R. P. dal 590 al 604) ha riconosciuto l’autorità
dogmatica del concilio; dai sette canoni attribuiti a questo
concilio, DIONIGI IL PICCOLO, nella sua traduzione latina, conobbe
solo i primi quattro canoni, gli unici riportati nelle collezioni
occidentali. Il terzo concilio ecumenico di Efeso (431) fu
convocato dall’imperatore TEODOSIO II insieme a VALENTINIANO III e
con il consenso del Papa CELESTINO I (422-432); ad esso vi presero
parte i legati romani: i vescovi ARCADIO e PROIETTO e il presbitero
FILIPPO. Il Papa aveva designato CIRILLO di Alessandria come
legato-presidente del Concilio, al quale si sono associati i legati
romani. Papa SISTO III, poco dopo la sua ordinazione (avvenuta il
31 luglio 432), approvò quanto il concilio aveva stabilito28. Il
quarto concilio ecumenico di Calcedonia (451) fu convocato per
ordine dell’imperatore MARCIANO dopo il noto “latronicio” di Efeso
(del 449), prima che fosse noto il parere del Papa LEONE MAGNO
(440-461); tuttavia il Papa provvide ad inviare dei legati
abilitandoli a presiedere in suo nome il concilio (erano i vescovi
PASCASINO di Lilibeo (Marsala) e 27 CŒD, 2; Cfr. anche HEFÉLE &
LECLERCQ, vol. I, 391 n. 3. 28 SCHWARTZ E., Acta Conciliorum
Oecumenicorum: t. I Concilium universale Ephesinum (5 voll.); t. II
Concilium universale Chalcedonense (6 voll.), Berolini et Lipsiæ
1927-1932. Qui di seguito sempre abbreviato con l’acronimo “ACO,”.
Il passo è in ACO, vol. I, I, 7, 144 s.
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Lucensio ed i presbiteri BONIFACIO e BASILIO e il vescovo
GIULIANO di Cos); infatti i legati romani sedettero al primo posto
ed alla loro destra vi erano i commissari imperiali col compito di
mantenere l’ordine delle discussioni conciliari29. Nella
definizione dogmatica, il Tomus Leonis è espressamente
menzionato30. Il concilio ha promulgato 27 canoni disciplinari, ma
nelle antiche collezioni greche sono attribuiti al concilio 30
canoni. Il noto can. 28 sull’onore da riservare (taV presbei=a th=ò
timh=ò) alla sede di Costantinopoli, fu respinto dai legati romani.
Il Papa approvò i decreti dogmatici, respingendo invece il can.
XXVIII31. La ragione non era solo il fatto che alla Sede di
Costantinopoli veniva attribuita la parità di onore con la Chiesa
di Roma, ma perché questo onore era basato sul criterio politico di
capitale dell’impero. Di questi quattro primi concili ecumenici, il
Papa GREGORIO MAGNO (R. P. 590-604) affermò: «confesso di venerare
ed accogliere i quattro concili come i quattro libri del santo
evangelo (...)»32. Il quinto concilio ecumenico di Costantinopoli
II (553) fu convocato dall’imperatore GIUSTINIANO I e dal Papa
VIGILIO (537-555); ma effettivamente fu convocato dall’imperatore
stesso a Costantinopoli, e finalmente il Papa rifiutò di
parteciparvi. Fu presieduto da EUTICHE, Patriarca di
Costantinopoli. In seguito, il Papa VIGILIO approvò il concilio con
una lettera a EUTICHE di Costantinopoli l’8 dicembre 55333. Il
concilio non promulgò norme disciplinari ma si limitò a condannare
i “Tre Capitoli” che contenevano delle eresie trinitarie. Il sesto
concilio ecumenico di Costantinopoli III (680-681), convocato
dall’imperatore COSTANTINO IV con l’adesione del Papa AGATONE (R.
P. dal 678-681), per concludere la questione monotelita, è stato
presieduto dallo stesso imperatore. I legati romani portarono a
Costantinopoli una lettera di Papa AGATONE contenente una
professione di fede nella quale era condannato il monotelismo. Gli
atti del concilio furono approvati dal Papa LEONE II (R. P. dal 682
al 683), successore di AGATONE. Anche questo concilio non ha
promulgato norme disciplinari. Proprio per questa ragione
l’imperatore GIUSTINIANO II (685-695) convocò un concilio chiamato
“in-Trullo” o “Trullano” (691-692), posteriormente detto
Quinisextum (Penqevkth), per completare il quinto e il
29 Gli atti in ACO, vol. II. 30 ACO II I 2, 126-130. 31 È da
notare che il Vaticano II, Decreto «Orientalium Ecclesiarum» 7,
nota n. 8, cita il can. 28 di Calcedonia per comprovare
l’antichissima origine dell'istituzione patriarcale. 32 GREGORIUS
I, Epistola I, 25, in Patrologia Latina LXXVII, 468. 33 MANSI, IX,
413-432.
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sesto concilio ecumenico; il Trullano provvide ad emanare ben
102 canoni34. Tale concilio, nella sua interezza, ha per l’Oriente,
fino ad oggi, valore ecumenico35; la Chiesa cattolica, prescindendo
dal problema del riconoscimento formale dell’ecumenicità di detto
concilio, e da qualche riserva circa alcuni canoni contrari agli
usi latini, non sembra contestare oggi l’importanza della sua
normativa, specie del canone 2. Infatti la stessa costituzione
apostolica «Sacri Canones» (del 18 ottobre 1990) – promulgante il
Codex Canonum Ecclesiarium Orientalium – fa esplicito riferimento
al can. 2 del concilio Trullano che conferma i canoni emanati dai
concili precedenti36. Il settimo concilio ecumenico di Nicea II
(787) – come già accennato sopra – fu convocato dall’imperatrice
IRENE con l’adesione di Papa ADRIANO I (R. P. dal 772 al 795). Il
Papa provvide ad inviare due suoi legati, i quali presiedettero il
concilio sottoscrivendone per primi gli atti. Il concilio fu
diretto dal Patriarca TARASIO di Costantinopoli37. Il concilio
reiterò la proclamazione del dogma cristologico e condannò il
conciliabolo iconoclasta del 754 a Hieria, emanando 22 canoni
disciplinari. §8. La conformità di un concilio ecumenico con i
precedenti concili e con la tradizione La seconda condizione per
l’ecumenicità di un concilio è la sua conformità con la tradizione:
come può essere settimo quello che non è in armonia con i sei santi
concili ecumenici prima di esso (hJ mhV sumfwnhvsasa) non diede il
suo accordo)? I padri conciliari del Niceno II rigettando e
condannando la definizione (o{roò) del conciliabolo del 754 e
promulgando una nuova definizione di fede ortodossa circa il Dio
Trino, il Verbo incarnato, la Madre di Dio, la Vergine Maria,
provvidero a ristabilire così il culto delle immagini; parimenti
essi avevano la coscienza di essere radunati in concilio
34 Su tale concilio ampia è la bibliografia, tra i molti ved.:
NEDUNGATT G. & FEATHERSTONE M. (eds.), The Council in Trullo
Reivisited, «Kanonika» 6, Roma 1995; SALACHAS D., La normativa del
Concilio Trullano commentata dai canonisti bizantini del XII
secolo, Zonaras, Balsamone, Aristenos, in Oriente Cristiano 2-3
(1991), numero monografico (Palermo 1991). 35 Cfr. SALACHAS D. e
FARRUGIA E., s.v. Trullo, Concilio, in FARRUGIA E. G. (ed.),
Dizionario Enciclopedico dell’Oriente Cristiano, Roma, 780-793,
præsertim 781; CECCARELLI MOROLLI D., Sources of the Canons of
CCEO, in NEDUNGATT G. (ed.), A Guide to the Eastern Code. A
Commentare on the Code of Canons of the Eastern Churches,
«Kanonika» 10, Roma 2002, 897-903, præsertim 899. 36 Cfr. SALACHAS
D., Il diritto canonico della Chiese orientali nel primo millennio,
Roma-Bologna 1997, 13-15; CECCARELLI MOROLLI D., I canoni del
Concilio Quinisesto o Trullano ed il Codex Canonum Ecclesiarum
Orientalium, in Oriente Cristiano 36/4 (1996), 29-39; SALACHAS D.,
La normativa del Concilio Trullano commentata dai canonisti
bizantini del XII secolo Zonaras, Balsamone, Aristenos, in Oriente
Cristiano 31 2/3 (1991), numero monografico (Palermo 1991), 5-9; 37
MANSI, XIII, 460.
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ecumenico, il settimo nella serie di quelli già celebrati,
poiché le sue decisioni concordano con i sei santi ed ecumenici
concili precedenti ad esso. L’esplicito riferimento ai sei concili
precedenti, già ecclesiasticamente ritenuti e riconosciuti
ecumenici, indica implicitamente che, nella storia dei concili
ecumenici, ogni concilio ecumenico nuovo viene a sancire tale
riconoscimento dei precedenti, confessando perciò la fede da essi
definita e inserendosi in tal modo nel medesimo computo. Difatti
nel canone I del concilio Niceno II così come anche nella sua
stessa definizione dogmatica si fece esplicito riferimento ai santi
sei concili ecumenici precedenti nonché si confermarono i canoni
promulgati dai sei concili ecumenici precedenti. La conferma
susseguente da parte di un concilio delle decisioni dei precedenti
attribuisce ad essi il carattere di ecumenicità. Ad esempio, il
can. 1 del concilio di Costantinopoli (381) ed il concilio di Efeso
(431) confermano la professione di fede dei trecentodiciotto santi
Padri del concilio precedente di Nicea I (325); il can. 1 del
concilio di Calcedonia (451) conferma i canoni stabiliti in tutti i
concili fino a quel momento celebrati. Ugualmente il can. 2 del
concilio in Trullo (691-692). Il Niceno II (787) si auto qualifica
come il “santo ed ecumenico concilio”. Anche lo stesso conciliabolo
del 754 ha tentato di inserirsi nella serie dei sei concili
ecumenici precedenti, solo che la sua dottrina non concordava in
nessun modo con la fede definita dai sei precedenti. È
significativa, al riguardo, l’affermazione dei padri del Niceno II
nell’o{roò dogmatico:
«(…) Dopo ricerche, quindi, e discussioni approfondite, con
l’unico scopo di seguire la verità, noi né togliamo né aggiungiamo
cosa alcuna, ma conserviamo intatto il patrimonio dottrinale della
Chiesa cattolica (universale), nel solco dei sei santi concili
ecumenici, e specialmente di quello riunito nella splendida sede
metropolitana di Nicea (325) e dell’altro celebrato più tardi nella
città imperiale, che Dio protegge (il secondo concilio ecumenico di
Costantinopoli 381): Crediamo in un solo Dio (…) [n.d.r. segue il
simbolo Niceno-Constantinopolitano]»38.
Il concilio Niceno II ha avuto dunque una importanza capitale
per l’intera Chiesa, poiché mirava «affinché la sacra tradizione
della Chiesa cattolica assumesse autorità mediante l’approvazione
comune»39.
38 MANSI, XIII, 378, B-C 39 Ibidem, 376
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Il Beato Papa GIOVANNI PAOLO II (R. P. dal 1978 al 2005) nella
sua Enciclica «Duodecimum Sæculum» (del 4 dicembre 1987) in
occasione del XII centenario del concilio Niceno Secondo ebbe a
sottolineare:
«Il Niceno II ha solennemente affermato l’esistenza della
“tradizione ecclesiastica scritta e non scritta” (cfr. Mansi XIII,
399C), come riferimento normativo per la fede e la disciplina della
Chiesa. I Padri affermano il loro desiderio di “conservare intatte
tutte le tradizioni della Chiesa, che sono state (loro) affidate,
siano esse scritte o non scritte. Una di esse consiste precisamente
nella pittura delle icone, conformemente alla lettera della
predicazione apostolica” (Mansi XIII 378 B–C). Contro la corrente
iconoclasta, che pure aveva fatto appello alla Scrittura e alla
Tradizione dei Padri specialmente allo pseudo–sinodo di Hieria del
754, il secondo concilio di Nicea sanziona la legittimità della
venerazione delle immagini, confermando “l’insegnamento divinamente
ispirato dei santi Padri e della tradizione della Chiesa cattolica”
(Mansi XIII, 378). I Padri del Niceno II intendevano la “tradizione
ecclesiastica” come tradizione dei sei precedenti Concili ecumenici
e dei Padri ortodossi, il cui insegnamento era comunemente accolto
nella Chiesa. Il Concilio ha così definito come dogma della fede
quella verità essenziale, secondo cui il messaggio cristiano è
tradizione “paràdosis”, come la descrive san Paolo: “Vi ho
trasmesso ciò che ho ricevuto” [n.d.r. parevdwka gaVr uJmi=n o}
kaiV parevlabon]. Nella misura in cui la Chiesa si è sviluppata nel
tempo e nello spazio, la sua comprensione della tradizione, della
quale è portatrice, ha conosciuto anch’essa le tappe di uno
sviluppo, la cui investigazione costituisce, per il dialogo
ecumenico e per ogni autentica riflessione teologica, un percorso
obbligatorio»40.
I concili ecumenici nella Chiesa, tenuti lungo i secoli, hanno
formato il Magistero autentico costituendo l’organo supremo per la
formulazione infallibile ed interpretazione autentica della Sacra
Scrittura e della Sacra Tradizione. Attraverso i concili ecumenici,
la Chiesa, alla quale Cristo Signore ha affidato il deposito della
fede, non solo ha combattuto le varie eresie, sorte nel corso dei
secoli che scossero la Chiesa, e ha salvaguardato l’unità e la
comunione ecclesiale tra le Chiese locali, ma con l’assistenza
dello Spirito Santo ha custodito santamente la verità rivelata,
l’ha scrutata 40 Cfr AAS 1987; L’Osservatore Romano, del 5 febbraio
1987.
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profondamente, l’ha annunciata e l’ha esposta fedelmente.
Infatti i primi sette Concili ecumenici hanno essenzialmente
consolidato e irrobustito la fede della Chiesa nascente41. §9. La
dimensione universale della dottrina di un concilio ecumenico La
terza condizione per l’ecumenicità di un concilio è la dimensione
universale della dottrina da esso insegnata e della materia da esso
affrontata e decisa, che l’intera oékoumevnh cristiana è tenuta a
professare ed osservare: Quanto al pseudo-concilio di Hiéria «per
tutta la terra non si diffuse la loro eco, come quella degli
Apostoli [ajpostolik§ò] né le loro parole raggiunsero i confini del
mondo [taV pevrata th=ò oékoumevnhò], come quelle dei sei santi
concili ecumenici (cf. Sal. 18,5). Come infatti può essere
ecumenico un concilio di cui decisioni né alla maniera degli
Apostoli si diffuse il loro suono e le loro parole raggiunsero i
confini del mondo, come quelle dei sei santi concili ecumenici?» Il
conciliabolo del 754 non poteva pretendersi ecumenico, essendo
un’assise sinodale locale costantinopolitana. Infatti i Padri del
Niceno II, riferendosi ad esso, affermano che: «davvero il loro
parlare è fumo pieno di caligine, che acceca gli occhi degli
stolti, e non lampada posta sul lucerniere per far luce a quelli
che sono nella casa (cf Mt 5,15). Le loro dichiarazioni sono state
fatte di nascosto con un luogo segreto regionalmente [topikwvò,
cioè localmente], e non dall’alto del monte dell’ortodossia». I
primi sette concili ecumenici, anche se celebrati in oriente, hanno
difeso e definito la fede ortodossa della Chiesa universale. I
Padri del Niceno II nella loro Definizione dogmatica (o{roò)
illustrano il carattere dell’universalità della dottrina definita,
affermando che:
«in tal modo si rafforza l’insegnamento dei nostri santi padri,
ossia la tradizione della Chiesa cattolica (universale), che ha
accolto il Vangelo da un confine all’altro della terra. Così
diventiamo seguaci di Paolo, che ha parlato in Cristo, del divino
collegio apostolico, e dei santi padri, tenendo fede alle
tradizioni che abbiamo ricevuto (cfr. 2 Th 2,15) […] Chi, perciò,
oserà pensare o insegnare diversamente, o, conformemente agli empi
eretici, o oserà impugnare le tradizioni ecclesiastiche, o
inventare delle novità, o gettar via il Vangelo […] in questo caso,
quelli
41 Cfr. CONGAR Y., Il primato dei quattro primi Concili
ecumenici, in Il Concilio e i concili. Contributo alla storia della
vita conciliare della Chiesa, , Roma 1961 (trad. it.), 117-166.
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che sono vescovi o chierici siano deposti, i monaci e i laici
vengano esclusi dalla comunione»42.
I Padri del Niceno II si trovarono d’accordo sul fatto che un
concilio ecumenico per essere tale dovesse vedere le sue decisioni
ricevute dalle Chiese, alla maniera degli Apostoli la cui dottrina
si diffuse e raggiunse i confini del mondo, come quella dei santi
concili ecumenici precedenti. Questa accoglienza e ricezione delle
decisioni di un concilio ecumenico non avviene per virtù della
ragione umana, ma per opera dello Spirito Santo, poiché tali
decisioni, come furono quelle dei i sei precedenti concili
ecumenici, sono «le auree parole dello Spirito Santo». Come
l’insegnamento dei santi apostoli raggiunse tutte le genti e ogni
parte della terra, così avviene per l’insegnamento dei santi padri
radunati in concilio ecumenico. I concili ecumenici rappresentano
l’ultima istanza per risolvere i problemi pendenti, dottrinali e
disciplinari, che per loro natura riguardano l’intera Chiesa, anche
se sono sorti localmente. Il carattere universale di un concilio
ecumenico connota precisamente il tenore ecumenico delle sue
decisioni. Perciò, nell’antichità avvenne che i concili ecumenici
si convocavano occasionalmente per trattare al vertice e in modo
autonomo e autorevole delle materie propriamente religiose, ma i
cui lavori si svolgevano in pratica come già detto – su
convocazione dell’imperatore, alla sua presenza o con l’intervento
dei suoi funzionari, secondo un ordine del giorno e un calendario
da lui approvati43. Un altro fatto storico da segnalare è che non
sempre tutte le Chiese sparse nel mondo cristiano hanno potuto
intervenire tramite i loro vescovi ai concili ecumenici, e poi,
spesso le questioni trattate e le decisioni prese erano destinate a
zone limitate. Al riguardo il PERI osservava:
«Si va affermando l’uso che i concili inviino “lettere
sinodali”, alle Chiese che non sono intervenute per informarle
delle decisioni prese, soprattutto quando queste sono di rilevanza
universale. Si manifesta anche una differenziazione tra queste
assemblee, che non dipende solo dal numero dei partecipanti, ma
soprattutto dalla diffusione e dalla normatività che le decisioni
di alcuni concili acquistano, ben al di là dei confini delle Chiese
rappresentate all’assemblea. Emerge cioè la tendenza spontanea a
valorizzare per aree molto vaste le decisioni di singoli concili
per sé destinate a zone limitate»44.
42 MANSI XIII, 378. 43 Cfr. PERI V., La grande Chiesa bizantina,
Brescia 1981, 37. 44 Ibidem, 11.
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§10. La receptio di un concilio da parte del popolo cristiano La
domanda ora è la seguente: per l’ecumenicità di un concilio si
richiede la receptio cioè l’approvazione, la ratifica,
l’accettazione, l’adesione formale da parte del popolo? La
Costituzione dogmatica «Lumen Gentium» del Vaticano II, al nr. 25,
afferma che: «i Vescovi radunati in Concilio Ecumenico, sono per
tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale, e alle
loro definizioni si deve aderire in tutta sottomissione di fede»45.
La stessa «Lumen Gentium» 12, sottolinea anche il ruolo del Popolo
di Dio rispetto al supremo Magistero della Chiesa. Secondo la
dottrina cattolica, si può dire che il senso della fede e i carismi
del Popolo di Dio rendono anch’esso indefettibile nella fede,
testimone e difensore della fede proposta infallibilmente dal
Magistero autentico della Chiesa, a cui appartiene per volontà di
Cristo di definire e interpretare il deposito della fede.
L’ecumenicità, dunque, di un concilio non dipende dalla receptio,
non ottiene vigore ex consensu populi, dall’ accettazione formale
susseguente da parte del popolo. Il popolo fedele non è il giudice
della verità, ma neanche un semplice ricevitore passivo della
verità propostagli dal Magistero. Il senso di fede e i carismi del
popolo di Dio lo rendono testimone e difensore della verità del
Magistero autentico della Chiesa. Questo è il senso della
dichiarazione del concilio Niceno II: «Come dunque [può
pretendersi] grande ed ecumenico [un Concilio] (...), il quale né
alla maniera degli Apostoli si diffuse il loro suono e le loro
parole raggiunsero i confini del mondo, come quelle dei sei santi
concili ecumenici?». Il termine “diffusione” significa, qui,
l’adesione del “pleroma”, ossia della comunità cristiana nella
misura in cui l’insegnamento conciliare risponde all’attività dello
Spirito Santo. La costituzione dogmatica Lumen Gentium 12 del
Concilio Vaticano II illustra il senso di questa adesione del
popolo di Dio:
«Il popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica
di Cristo, quando gli rende una viva testimonianza, soprattutto per
mezzo di una vita di fede e di carità e quando offre a Dio un
sacrificio di lode, il frutto di labbra acclamanti al suo nome (cf.
Ebr. 13,15). La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione
dello Spirito santo (cfr. 1 Gv. 2, 20 e 27) non può sbagliarsi nel
credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolare
mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo,
quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime
l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi.
Infatti,
45 Cfr. Can. 597§2 CCEO; can. 749 CIC.
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per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo
Spirito di verità, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro
magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie con la parola
degli uomini ma, qual è in realtà, la parola di Dio (cfr. 1 Tess.
2, 13), aderisce indefettibilmente “alla fede una volta per tutte
trasmessa ai santi” (Giuda, 3), con retto giudizio penetra in essa
più a fondo e più pienamente l’applica nella vita».
Il concilio ecumenico è ovviamente un’istituzione di diritto
ecclesiastico, in quanto sancito dalla prassi e la normativa della
Chiesa durante i secoli; mediante questa istituzione il Collegio
dei Vescovi – istituzione di diritto divino – che esercita in modo
solenne la potestà sulla Chiesa universale. Attraverso i concili
ecumenici, la Chiesa esercita il suo diritto nativo,
indipendentemente da qualsiasi potestà umana, e il dovere di
predicare il Vangelo a tutti gli uomini. §11. I sette primi concili
ecumenici riconosciuti dalle Chiese cattolica ed ortodossa Nella
tradizione comune delle Chiese d’oriente e d’occidente, con il
concilio di Nicea II (787) si chiude la serie degli antichi sette
primi concili della Chiesa indivisa, riconosciuti indiscutibilmente
come ecumenici: Nicea I (325); Costantinopoli I (381); Efeso (431);
Calcedonia (451); Costantinopoli II (553) e Costantinopoli III
(680-681), (completati questi due ultimi dal concilio Quinisesto o
Trullano, convocato da Giustiniano II nel 691, con la promulgazione
di 102 canoni); Nicea II (787). Le Chiese ortodosse di tradizione
bizantina riconoscono solo i primi sette concili, dal Niceno I al
Niceno II, incluso quello Trullano, mentre le antiche Chiese
orientali, dette pre-calcedonensi, riconoscono solo i primi tre,
contestando le formule dogmatiche dei concili di Efeso e di
Calcedonia. Il Beato Papa GIOVANNI PAOLO II nella già citata
enciclica Duodecimum Sæculum (del 4 dicembre 1987) ebbe a
sottolineare che:
«L’ultimo Concilio ecumenico riconosciuto dalla Chiesa cattolica
e da quella ortodossa è un esempio notevole di “sinergia” tra la
sede di Roma ed un’assemblea conciliare. Si iscrive nella
prospettiva dell’ecclesiologia patristica di comunione, fondata
sulla tradizione (…)»46.
Il Vaticano II sottolinea l’importanza e la suprema autorità dei
primi concili ecumenici celebrati in oriente, i quali hanno
definito i dogmi fondamentali della fede cristiana (Concilio
Vaticano II, decreto Unitatis 46 Cfr. L’Osservatore Romano, del 5
febbraio 1987.
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Redintegratio, 14). PAOLO VI, riferendosi al primo millennio
della Chiesa indivisa, ha ricordato che «le nostre Chiese
(d’oriente e d’occidente) hanno vissuto per secoli come sorelle,
celebrando insieme i Concili ecumenici che hanno difeso il deposito
della fede contro ogni alterazione»47. Secondo gli orientali
Ortodossi si tratta di una serie tuttora interrotta a causa della
condizione di separazione delle Chiese; secondo i cattolici questi
sette concili godono di un’autorità particolare, ma ciò non
impedisce di ritenere che altri dopo di essi siano pure stati
ecumenici. A questa diversa attitudine sono sottese concezioni
della Chiesa notevolmente divergenti, in modo particolare nel punto
di vista cattolico gioca un ruolo di primo piano il ruolo
riconosciuto all’autorità del Papa nei confronti del Concilio48.
§12. Assemblee sinodali della Chiesa ortodossa nel secondo
millennio Nel secondo millennio, la Chiesa ortodossa di tradizione
bizantina non ha convocato dei concili ecumenici, bensì dei sinodi
minori, delle consultazioni tra i Patriarchi, e in questi ultimi
decenni delle Conferenze pan-ortodosse. Non sembra facile l’avvio
del progettato sinodo pan-ortodosso, inteso come un «Santo e Grande
Sinodo della Chiesa Ortodossa». Questo fatto indica che per gli
Ortodossi lo stato attuale di non-comunione tra la Chiesa di Roma e
le Chiese ortodosse non permette di celebrare un concilio a guisa
di quelli celebrati insieme nel primo millennio, cioè dei primi
sette ecumenici. Pertanto sotto l’aspetto teorico di ipotesi si era
già posta la domanda presso i teologi e canonisti ortodossi, se
oggi sia possibile la convocazione di un concilio ecumenico, avendo
– come nel primo millennio – sunergovò il Papa di Roma e
sumfronouvnteò gli altri Patriarchi orientali; e qualora ciò
avvenisse, a chi spetterebbe la convocazione, non essendovi più un
imperatore bizantino? Il professore ellenico CRISTOFILOPOULOS
sosteneva che la convocazione di un concilio ecumenico non è oggi
possibile, poiché non essendovi più unità di fede tra le Chiese,
data la divisione dogmatica tra le diverse comunità cristiane, non
ci può essere di conseguenza un concilio ecumenico che possa
rappresentare la Chiesa intera sensu lato. Ciò che è possibile però
nella Chiesa ortodossia è solo la convocazione di sinodi
pan-ortodossi, ossia con la partecipazione di tutti i Patriarcati e
le Chiese ortodosse autocefale49.
47 Cfr. PAOLO VI, Bolla «Anno ineunte» in Tomos Agapis,
Rome-Istambul 1971, nr. 176. 48 Cfr. ALBERIGO G. (a cura),
Decisioni dei Concili Ecumenici, Introduzione, Torino 1979, 35. 49
Cfr. CHRISTOFILOPOULOS A., Diritto Ecclesiastico ellenico [in noe
greco], Atene 1965, 165.
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Questo argomento fu discusso ugualmente durante la prima
Conferenza pan-ortodossa di Rodi nel 196150, dove si è decisa la
convocazione di un “Concilio pan-ortodosso” o di un “Concilio
ortodosso ecumenico” o di un «Santo e Grande Sinodo della Chiesa
Ortodossa». Infatti, vi sono stati usati questi tre termini. Il
metropolita di Myra, CRISOSTOMOS KONSTANTINIDIS (Patriarcato
Ecumenico), aveva usato il termine “concilio ecumenico ortodosso”,
invece altri teologi ortodossi preferivano quello di “concilio
generale”, di “sinodo maggiore dell’Ortodossia”, di “concilio
pan-ortodosso”. Sembra che questi ultimi abbiano voluto riservare
il termine “ecumenico” ai sette primi concili. Il professore
ellenico IOANNIS KARMIRIS (Chiesa di Grecia) ebbe ad auspicare che
«i sinodi generali pan-ortodossi debbano funzionare, poiché
esprimono l’unità dell’Ortodossia e la continuazione dell’opera dei
sette concili ecumenici e degli altri sinodi minori della Chiesa
ortodossa, che devono essere completati»51. Occorre notare tuttavia
che questa diversità di terminologia implica una diversità di
valutazione ecclesiologica. Non si tratta forse solo di diversità
nella terminologia, ma della nozione stessa del concilio ecumenico,
anzi della nozione stessa della Chiesa universale. Dei teologi
ortodossi pensano che sarà ecumenico un concilio che riunirà i
vescovi ortodossi; per essi “pan-ortodosso” o “ecumenico” sono
termini sinonimi, in quanto per essi, la Chiesa ortodossa che si
professa l’una, santa, cattolica ed apostolica, continua la
tradizione della Chiesa indivisa, della Chiesa universale. Invece
per altri, un concilio non può essere ecumenico se non riunisce,
oltre agli ortodossi, anche gli altri cristiani, almeno quelli che
nessun concilio ecumenico ha condannato per eresia; per essi un
concilio pan-ortodosso non sarebbe un concilio ecumenico52. Il noto
canonista greco-ortodosso ALIVIZATOS ha affermato che:
«è molto difficile per la Chiesa ortodossa convocare oggi l’VIII
concilio ecumenico, dato che essa riconosce solo i primi sette.
Quando furono convocati i primi sette, la Chiesa cristiana era una,
ossia la Chiesa ortodossa cattolica. Le Chiese d’oriente e
d’occidente costituivano una sola Chiesa indivisa. Volendo oggi
convocare l’VIII concilio ecumenico, ci troveremo di fronte a un
insormontabile ostacolo. Quando oggi noi diciamo “Chiesa
50 DUPREY P., La première Conférence panorthodoxe de Rhodes
(1961), in Proche-Orient Chrétien 1 (1961), 2-20. 51 KARMIRIS J.,
in Ekklisia 38 (1961), 375; Cfr. anche ALIVIZATOS A.,
Procès-Verbaux du Premier Congrès de théologie orthodoxe à Athènes
(29 novembre-6 décembre 1936), Athènes 1939, 256 ss., 297 ss., 264
ss., 283 ss., 288 ss.; JUGIE M., Le schisme byzantin, Paris 1941,
384 ss. 52 Cfr. DUPREY P., La première Conférence panorthodoxe de
Rhodes (1961), op. cit., 2.
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ortodossa” intendiamo la Chiesa primitiva, una e indivisibile.
Se oggi la Chiesa Ortodossa convocasse l’VIII concilio ecumenico,
senza la partecipazione dei rami occidentale-romano e protestante,
allora il patriarcato di Roma sarebbe assente, mentre, ai sette
primi concili ecumenici vi ha preso parte […] Se venisse convocato,
oggi, un concilio ecumenico, cioè l’VIII, esso non potrebbe essere
ecumenico, poiché sarebbe assente il patriarcato di Roma. La stessa
difficoltà deve esistere anche presso i cattolici; essi non possono
chiamare un concilio ecumenico, se non vi partecipano la Chiesa
orientale ortodossa e quella protestante, le quali accettano il
simbolo di fede niceno-costantinopolitano»53.
Finalmente, oggi le Chiese ortodosse di tradizione bizantina con
il sumfronouvnteò dei Patriarchi e dei capi delle Chiese autocefale
stanno preparando il “Santo e Grande Sinodo della Chiesa
Ortodossa”. Per la Chiesa cattolica, invece, conformemente alla
dottrina dogmatica della Lumen Gentium, è tuttora possibile la
celebrazione di un concilio ecumenico, convocato, presieduto e
confermato dal Romano Pontefice, successore di Pietro, capo, per
volontà di Cristo, della Chiesa universale indivisa. Per
l’ecclesiologia cattolica lo scisma d’oriente, cioè la rottura di
comunione tra oriente ed occidente, non ha alienato il concetto
della Chiesa di Cristo indivisa e indivisibile, la quale subsistit
nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai
vescovi in comunione con lui. Lo storico ellenico PHIDAS, nella sua
analisi circa l’autorità del Vescovo di Roma durante il primo
millennio, “primus” della “Pentarchia”, cioè della “prima sedes”,
concludeva che ciò non fosse un semplice e teoretico onore, bensì
una essenziale e reale funzione ecclesiastica per il servizio
dell’unità della Chiesa universale nella vera fede e nell’ordine
canonico; in virtù di questa autorità il Vescovo di Roma era
autorizzato di prendere alcune iniziative ecclesiastiche o proporre
delle specifiche procedure canoniche, come le seguenti: a) il
coordinamento di tutte le sedi patriarcali per una diretta ed
effettiva difesa della vera fede contro le varie eresie; b)
l’iniziativa o l’accettazione della convocazione di un Concilio
ecumenico per la difesa della fede e per l’ordinamento canonico; c)
la presidenza del Concilio ecumenico, la firma per primo delle
decisioni sinodali, in cooperazione con gli altri Patriarchi, e
l’impegno per la loro accettazione dalle Chiese locali; d)
l’impegno di assicurare l’unanimità o il consenso delle sedi
patriarcali per le questioni riguardanti la Chiesa universale; f)
la 53 ALIVISATOS A., Note universitarie [in neo greco] Atene 1954,
43-45.
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vigilanza per la corretta applicazione dell’ordine canonico in
tutte le sedi patriarcali54. §13. Qualche considerazione di natura
conclusiva Il Beato Papa GIOVANNI PAOLO II, nella sua enciclica
«Duodecimum Sæculum» (del 4 dicembre 1987), mirabilmente riassumeva
il ruolo del Vescovo di Roma e dei Patriarchi orientali nella
celebrazione di un concilio ecumenico, come sege:
«3. Gli imperatori Irene e Costantino VI, che convocarono il
Concilio, avevano invitato il mio predecessore Adriano I in quanto
“vero primo pontefice, che presiede al posto e sulla sede del santo
e venerabilissimo apostolo Pietro” (Ivi, 985C). Egli si fece
rappresentare dall’arciprete della Chiesa romana e dall’Igumeno del
monastero greco di san Saba a Roma. Per assicurare la
rappresentatività universale della Chiesa, era anche richiesta la
presenza dei Patriarchi orientali (cf. Ivi, 1008, 1085, e Monumenta
Germaniae Historica, Epistulae V, pp. 29.30–33). Dato che i loro
territori erano sotto la dominazione musulmana, i Patriarchi di
Alessandria e di Antiochia mandarono insieme una lettera a Tarasio,
mentre quello di Gerusalemme inviò una lettera sinodale; ambedue
furono lette al Concilio (J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et
amplissima collectio, XII, 1128–1136 e 1136–1145). Era allora
comunemente ammesso che le decisioni di un Concilio ecumenico
fossero valide solo se il Vescovo di Roma vi aveva collaborato e se
i Patriarchi orientali avevano manifestato il loro accordo (Ivi,
XII, 989A e XIII, 3A). In questo procedimento, il ruolo della
Chiesa di Roma era riconosciuto come insostituibile (Ivi, XII,
1133). Così il Niceno II approvò la spiegazione del diacono
Giovanni, secondo la quale l’assemblea iconoclasta di Hieria del
754 non era legittima, perché “il Papa di Roma o i Vescovi che sono
attorno a lui non vi avevano collaborato, né mediante legati, né
mediante una lettera enciclica, secondo la legge dei Sinodi”, e “i
patriarchi d’Oriente... e i Vescovi che sono con loro non avevano
acconsentito” (Ivi, XIII, 207E–210A). I Padri del Niceno II
dichiararono d’altronde che essi “seguivano, ricevevano e
accettavano” la lettera inviata da Adriano agli imperatori (Ivi,
XII, 1085C) così come quella destinata al Patriarca. Esse furono
lette in latino e nella loro traduzione greca, e tutti furono
invitati
54 PHIDAS V., Primus inter pares, in Kanon 9 (1989),
184-185.
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individualmente a dare la loro approvazione (Ivi, XII,
1085–1112). 4. Il Concilio salutò nei legati pontifici “la Chiesa
del santo apostolo Pietro” (Ivi, XII, 993A. 1041D. 1113B; XIII,
158B. 203B. 366A) e della “sede apostolica”(Ivi, XII, 1085C),
secondo la formula romana (Monumenta Germaniæ Historica, Epistulae
III, p. 587,5); e il Patriarca Tarasio, scrivendo al mio
predecessore a nome del Concilio, riconosceva in lui colui che “ha
ereditato la cattedra del divino apostolo Pietro”, e che,
“rivestito del supremo sacerdozio, presiede legittimamente, per
volontà di Dio, alla gerarchia religiosa” (J. D. Mansi, Sacrorum
Conciliorum nova et amplissima collectio, XIII, 464B–C). Uno dei
momenti decisivi, in cui il Concilio si pronunciò a favore del
ristabilimento del culto delle immagini, sembra esser stato,
d’altronde, quello nel quale accolse unanimemente la proposta dei
legati romani di far venire in mezzo all’assemblea una venerabile
icona, affinché i Padri potessero manifestarle il loro omaggio (cf.
Ivi, 199). L’ultimo Concilio ecumenico riconosciuto dalla Chiesa
cattolica e da quella ortodossa è un esempio notevole di “sinergia”
tra la sede di Roma ed un’assemblea conciliare. Si iscrive nella
prospettiva dell’ecclesiologia patristica di comunione, fondata
sulla tradizione, come il Concilio Ecumenico Vaticano II ha
giustamente rimesso in luce. 5. Il Niceno II ha solennemente
affermato l’esistenza della “tradizione ecclesiastica scritta e non
scritta” (cf. Ivi, 399C), come riferimento normativo per la fede e
la disciplina della Chiesa. I Padri affermano il loro desiderio di
“conservare intatte tutte le tradizioni della Chiesa, che sono
state (loro) affidate, siano esse scritte o non scritte. Una di
esse consiste precisamente nella pittura delle icone, conformemente
alla lettera della predicazione apostolica” (Ivi, 378 B–C). Contro
la corrente iconoclasta, che pure aveva fatto appello alla
Scrittura ed alla Tradizione dei Padri specialmente allo
pseudo–sinodo di Hieria del 754, il secondo Concilio di Nicea
sanziona la legittimità della venerazione delle immagini,
confermando “l’insegnamento divinamente ispirato dei santi Padri e
della tradizione della Chiesa cattolica” (Ivi, 378). I Padri del
Niceno II intendevano la “tradizione ecclesiastica” come tradizione
dei sei precedenti Concili ecumenici e dei Padri ortodossi, il cui
insegnamento era comunemente accolto nella
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Chiesa. Il Concilio ha così definito come dogma della fede
quella verità essenziale, secondo cui il messaggio cristiano è
tradizione “paràdosis”. Nella misura in cui la Chiesa si è
sviluppata nel tempo e nello spazio, la sua intelligenza della
tradizione, della quale è portatrice, ha conosciuto anch’essa le
tappe di uno sviluppo, la cui investigazione costituisce, per il
dialogo ecumenico e per ogni autentica riflessione teologica, un
percorso obbligatorio»55.
Infine, da notare che gli atti del Niceno II sono stati firmati
dai legati romani, dal Patriarca TARASIO e da tutti i 365 Vescovi
partecipanti. A questo proposito – per venire ai nostri tempi – è
significativa la formula di approvazione, di conferma e di
promulgazione dei documenti del Concilio Vaticano II, che è come
segue:
«Tutte e singole le cose, stabilite in questa Costituzione
(Costituzioni, Decreti o Dichiarazioni), sono piaciute ai Padri del
sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà apostolica
conferitaCi da Cristo, unitamente ai venerabili Padri, nello
Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo; e quanto è
stato cosi sinodalmente stabilito, comandiamo che sia promulgato a
gloria di Dio. Io Paolo, Vescovo della Chiesa cattolica [seguono le
firme dei 2040 Padri]».
Terminando, non è una utopia avanzare una ipotesi: Da più di
trenta anni si svolge un dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa
cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme per ristabilire la
piena unità sulla linea della esperienza vissuta nel primo
millennio. Incerto è l’esito di questo dialogo. Dopo il tentativo
di unione nel concilio di Firenze, ci si chiede se si potrebbe
prospettare l’eventualità di un nuovo concilio ecumenico per
ristabilire la piena unità tra le Chiese d’oriente e d’occidente
come essa era vissuta e testimoniata nel primo millennio? Ciò
potrebbe essere ipotizzato con la “sinergia” del Papa di Roma e il
sumfronei=n (ossia l’accordo) dei Patriarchi orientali ortodossi,
come avvenne nel Niceno II.
✠DIMITRIOS SALACHAS
55 La lettera apostolica è rintracciabile anche al sito
ufficiale della Santa Sede come segue:
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jpii_apl_19871204_duodecimum-saeculum_it.html
[ultimo accesso dicembre 2012]