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OLMS SPUDASMATA BAND 173 Troiane classiche e contemporanee a cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci e Antonio Ziosi
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Hymen funestus: i paradossi di Elena nelle Troades senecane, in F. Citti, A. Iannucci, A. Ziosi (a cura di), Troiane classiche e contemporanee, Spudasmata, Olms Hildesheim, Zurich,

Mar 14, 2023

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OLMS

SPUDASMATABAND 173

ISBN 978-3-487-15373-5

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Il mito fondativo della caduta di Troia, nel suo passaggio dall’epos al teatro, ha dato origine a due tra le tragedie più commoventi e per-turbanti della letteratura classica. Le Troiane di Euripide e di Seneca mettono in scena, infatti, il dram-ma della guerra – e quello ancor più spietato dei postumi della guerra – dalla prospettiva di chi è sconfitto due volte: le donne e gli innocenti, vittime sia della morte (dei mariti, dei padri, dei figli), sia della vita, che li costringe a sop-portare ulteriore violenza, morte e schiavitù. I saggi raccolti in questo volume analizzano diversi aspetti letterari delle due tragedie ed esplorano snodi fondamentali della loro ricezione e della loro fortuna critica: dal momento del-la riscoperta delle forme tragiche nel rinascimento europeo all’arte moderna e contemporanea, dal-le riletture cinematografiche alle messe in scena del teatro contem-poraneo, fino all’analisi dei testi alla luce delle moderne categorie dei Trauma Studies.

The foundational myth of the fall of Troy, in its movement from epic to drama, has given rise to two of the most moving and unsettling tragedies of classical literature. The Trojan Women by Euripides and by Seneca stage the tragedy of war – and its even more ruthless af-termath – from the perspective of its victims, women and innocent children, who are defeated both by death (the death of husbands, sons, fathers) and by life itself, which forces them to suffer further violence, further death and slavery. The essays collected in this volume analyse different literary aspects of the two plays and explore pivotal moments in their reception and their critical assessment. They range from the rediscovery of tragic forms in the European Renaissance to modern and contemporary art, from cinema to contemporary theatre performances, even up to textual analysis in the light of Trauma Studies theory.

Citti / Iannucci / Ziosi (ed.)

Troiane classiche e contemporanee

Troiane classiche e contemporaneea cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci e Antonio Ziosi

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SPUDASMATA

Studien zur Klassischen Philologie und ihren Grenzgebieten Begründet von Hildebrecht Hommel und Ernst Zinn

Herausgeberinnen Irmgard Männlein-Robert und Anja Wolkenhauer

Wissenschaftlicher Beirat Robert Kirstein (Tübingen), Jürgen Leonhardt (Tübingen), Marilena Maniaci (Roma/Cassino), Mischa Meier (Tübingen) und Karla Pollmann (Canterbury)

Band 173

TROIANE CLASSICHE E CONTEMPORANEE 2017

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK

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TROIANE CLASSICHE E CONTEMPORANEE

a cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci,

Antonio Ziosi

2017

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK

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Published in July 2017. Gedruckt mit Unterstützung der Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica und des Dipartimento di Beni Culturali. Das Werk ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

ISO 9706 Gedruckt auf säurefreiem und alterungsbeständigem Papier Herstellung: KM-Druck GmbH, 64823 Groß-Umstadt Umschlagentwurf: Inga Günther, Hildesheim Alle Rechte vorbehalten Printed in Germany © Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2017 www.olms.de ISBN 978-3-487-15373-5 ISSN 0548-9705

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INDICE

F. Citti — A. Iannucci — A. Ziosi, Premessa ....................................... VII

Valeria Andò, Guerra, politica e funzione poetica tra Troianee Ifigenia in Aulide ............................................................................... 1

Neil Croally, Troades’ remarkable agon .............................................. 19

Giovanni Fanfani, Moduli di rappresentazione corale nelleTroiane di Euripide ............................................................................. 31

Alfredo Casamento, Due padri, due figli: modelli drammatici‘al maschile’ nelle Troiane di Seneca ............................................... 49

Rita Degl’innocenti Pierini, Hymen funestus: i paradossidi Elena nelle Troades senecane ....................................................... 73

Gianni Guastella, Fata si poscent: la costruzione dell’intreccionelle Troades di Seneca ..................................................................... 107

Thomas David Kohn, Combat Trauma and Seneca’s Troades .............. 131

Giuseppina Brunetti, Per la ‘riscoperta’ europea delle tragedie diSeneca: note sulle Troiane in alcuni manoscritti e commentimedioevali ............................................................................................ 151

Antonio Ziosi, Il fantasma del modello. Le umbrae delle Troadessui bastioni di Elsinore e «i Polacchi in slitta» ............................... 165

Maria Paola Funaioli, Le Troiane in Francia tra xvi e xviii secolo ......... 193

Luigi Giuliani, Le Troades nel teatro del Siglo de Oro spagnolodall’imitazione frammentaria alla traduzione esempla-rizzante ................................................................................................ 201

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Indicevi

Martina Treu, Quattro donne, un coro: Euripide destrutturato.Riscritture e allestimenti recenti delle Troiane ............................. 217

Gian Luca Tusini, Eredità delle Troiane nell’arte contempo-ranea: macerie della postmodernità ................................................ 245

Roberto M. Danese, Le Troiane di Euripide e di Vittorio Cottafavi ...... 273

Giacomo Manzoli, Bigger than theatre: le dive troiane diMichael Cacoyannis ........................................................................... 299

Abstracts ...................................................................................................... 313

Abbreviazioni bibliografiche .................................................................... 317

Indice analitico ............................................................................................ 345

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Rita Degl’Innocenti Pierini

HYMEN FUNESTUS: I PARADOSSI DI ELENA

NELLE TROADES SENECANE

1. Il personaggio di Elena non svolge certo una funzione dramma­turgicamente rilevante e tanto meno molto incisiva nelle Troades sene­cane1: in relazione allo sviluppo della vicenda del sacrificio di Polissena, Elena appare in scena nel IV atto, accompagnata dalla fanciulla (vv. 861­887), dialoga solo con Andromaca anche dopo l’arrivo in scena di Ecuba (vv. 888­954), annuncia alle prigioniere troiane a chi sono state assegnate (vv. 972­980), viene riproposta infine all’attenzione del pubblico nella rhesis finale del nuntius, mentre accompagna la vergine troiana al rito sacrificale (vv. 1132­1136). Se volessimo offrire in apertura della nostra analisi un articolato e coerente sguardo d’insieme sulla sua presenza nel dramma, ci troveremmo in qualche difficoltà nel dare conto delle nu­me rose inarcature contraddittorie, che caratterizzano il suo intervenire nell’agon drammatico: in un primo momento Elena si dice costretta, ob­bli gata (cogor, iubeor, vv. 864­865, concetto ribadito poi da iussa, v. 870, e da sceleris coacti culpa, v. 871) a farsi strumento dei Greci e ad agire

1 Il testo delle tragedie senecane riproduce quello oxoniense di Zwierlein 1988, anche nella scelta del titolo (recentemente qualche studioso è voluto ‘tornare’ a quello traman­da to nella recensio A, e cioé Troas, vd. Stroh 2008 e 2014, seguito ora da Harrison 2015b, in particolare 138). Data la vastità della bibliografia sulla figura di Elena nella letteratura e nell’immaginario antico mi limiterò a citare solo alcuni titoli: su Elena nelle Troades il solo contributo specifico è Tsirpanlis 1970, piuttosto sommario e cursorio; altri sguardi d’insieme su Elena a Roma nei brevi saggi di Carbonero 1989; Fratantuono­Braff 2012; Prince 2014. Lo studio recente più approfondito e persuasivo su Elena nel mondo greco e romano è costituito da Brillante 2002; vd. anche Brillante 2009. Non privo di suggestioni di lettura è il volume di Suzuki 1989; di taglio più divulgativo Blondell 2013; Edmunds 2016.

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contro i Frigi, ricorrendo a quella che è lei stessa a definire la sua ars e la sua fraus2 (vv. 866­867 arte capietur mea / meaque fraude concidet Paridis soror), consolandosi poi con la considerazione gnomica che per la vittima ignorare l’avvento della morte è positivo (v. 869 optanda mors est sine metu mortis mori); in seguito, rivolgendosi a Polissena (vv. 871­887), tesse il suo inganno con un discorso ambiguo, dove non si fa il nome di Achille, ma che appare fortemente caratterizzato dalla presenza del lessico tecnico del rituale matrimoniale (vv. 873 ss. felici… dotare3 thalamo; 874 tale coniugium; 877 sancta lecti iura legitimi; 883 cultus… festos cape; 886 crinemque docta patere distingui manu). Il primo intervento di Elena si chiude con una gnome che, nella sua sinteticità, richiama, con un realismo così antieroico da rasentare il sarcasmo, il tema del prodesse4, v. 888: profuit multis capi5. Dopo la violenta requisitoria di Andromaca contro di lei, vv. 888­902, il tono di Elena cambia, e lei procede a perorare la sua causa, pur ben con sapevole di farlo iudice infesto6, arrivando ad enunciare il più estremo dei paradossi, e cioè che è la sua la più misera delle condizioni (v. 907 graviora passa), giacchè, rapita dalla sua patria per volontà divina, ha vissuto come prigioniera a Troia per dieci anni, e la sua condizione deve essere considerata la più disperata, in quanto esclusa dalla comunità femminile7 e quindi perfino impossibilitata alla condivisione del pianto e del lamento (vv. 913­914 vos levat tanti mali / comitatus).

2 Su Elena come creatrice di espedienti ed intrighi, basti citare Eur. Hel. 811 ss. (vd. Holmberg 1995, 36).3 L’uso del verbo doto, hapax in Seneca tragico, denuncia una chiara dipendenza da Ovidio Met. 13.523, dove Ecuba afferma a proposito di Polissena funeribus dotabere, regia virgo (vd. Jakobi 1988, 34; sugli echi ovidiani nelle Troades importante Stok 1988­1989). Naturalmente a sua volta Ovidio si ispira a Verg. Aen. 7.318 sanguine Troiano et Rutulo dotabere, virgo, passo anch’esso comunque ben presente a Seneca: Elena porta come dote la fine di Troia secondo Aesch. Ag. 406 ἄγουσά τ᾽ ἀντίφερνον Ἰλίῳ φθοράν.4 Utili i suggerimenti esegetici proposti da Jakobi 1988, 34­35: in particolare Ov. Her. 3.54 di Briseide ad Achille, utile dicebas ipse fuisse capi.5 Si potrebbe idealmente contrapporre l’eroica affermazione di Polissena nell’Ecuba di Euripide, v. 378 τὸ γὰρ ζῆν μὴ καλῶς μέγας πόνος. 6 Sulla terminologia giuridica del passo, vd. in particolare quanto osserva Petrone 1994, 131-132.7 Cenni interessanti sulla presenza di Elena nel dramma in Wilson 1983, 38­40. Sulla con sapevolezza dell’importanza del compianto anche per l’Elena omerica, vd. Pantelia 2002.

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2. Certo è quindi che l’Elena senecana si presenta come un perso­naggio consapevole soprattutto della sua complessa storia letteraria e che non può quindi essere giudicata tanto sul metro delle capacità sce­niche senecane quanto sulla volontà dell’autore di sussumere, e spesso variare, tutta una lunga tradizione. La cifra drammatica, che mag gior­men te la caratterizza, è il sentimento di esclusione e di doloroso iso­lamento8, è l’ostilità che percepisce sia da parte dei vinti Troiani che dei Greci vincitori: emblematica in questo senso appare soprattutto l’ica­sti ca sententia del v. 914, in me victor et victus furit. Elena so stiene che la sua sofferenza è paradossalmente maggiore di quella delle Troiane, perché il suo dolore non trova la via della comunicazione esteriore e del com planctus, è un dolore occulto e segreto, che Elena teme di palesare e che si scontra con il rigoroso senso di superiorità etica di Andromaca.

Non sarà un caso quindi che l’unico dramma greco che vede Elena, cir condata dalla solidarietà femminile e compianta dal coro (vv. 164 ss.), sia l’Elena di Euripide, dove la ‘vera’ Elena può legittimamente ram ma­ri carsi della sua cattiva fama, provocata dal suo eidolon, e, incolpevole spett atrice, dal lontano Egitto assistere all’evolversi dei drammi scaturiti dalla guerra troiana (vd. per es. vv. 52­55)9. Infatti la tradizione più diffusa del dopoguerra troiano implica, come è ovvio, che Elena sia una figura negativa, o quantomeno ambigua: nelle Troiane euripidee, di fronte a Menelao ed Ecuba, essa si difende strenuamente e capziosamente10 (per suasione seduttiva e malvagità la contraddistinguono secondo le pa role del Coro, vv. 966­968), riversa su Paride la colpa originaria dei lutti troiani, risalendo fino alla storia profetica del tizzone nel sogno di Ecuba, vv. 919 ss., si lascia interpretare come vittima del volere superiore di «una non piccola dea», Afrodite, e di Paride suo alastor, demone ven dicatore della dea11, vv. 940­941. L’Ecuba delle Troiane euripidee la

8 Concordo con Brillante 2002, 168­171 nel vedere in questo un aspetto nuovo del per so­naggio di Elena, anche se non ne condivido del tutto la conclusione: «solo in questa tra­ge dia il personaggio si dichiara apertamente solidale con i vinti e soggetto al medesimo de stino», soggetto al destino sì, ma solidale è forse eccessivo.9 Su Elena nell’omonima tragedia interessante il punto di vista di Galeotti Papi 1987, che vi vede da parte di Euripide un volontario ribaltamento del personaggio delle Troiane.10 Utili osservazioni in Lloyd 1984, 303­313.11 Vd. Geisser 2002, 156. Sul tema dell’alastor in relazione a Paride e Elena, Eur. Hec. 948­949 ἐξῴκισέν τ᾽ οἴκων γάμος, οὐ γάμος ἀλλ᾽ ἀ­/ λάστορός τις οἰζύς (vv. 943­949 «ma ledicendo Elena sorella dei Dioscuri, e il mandriano dell’Ida, Paride rovina: le loro noz ze, non nozze, tormento mandato da un demone, mi hanno fatto perdere la terra

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condanna senza appello e ne chiede la morte non tanto per le uccisioni ed i dolori causati, per i quali intenderebbe invece punirla Menelao, quanto perché essa potrebbe costituire un monito per il suo comportamento, per il suo essere adultera (vv.1031­1032): l’elemento retorico, e al limite del paradossale, del discorso di Ecuba implica comunque forte distanza dal mondo di Elena e l’assoluta indifferenza nei suoi confronti. Per l’Ecuba dell’omonima tragedia euripidea era lei, Elena, da scegliere come vittima sacrificale al posto di Polissena, Hec. vv. 264­27012:

ἀλλ᾽ οὐδὲν αὐτὸν ἥδε γ᾽ εἴργασται κακόν.Ἑλένην νιν αἰτεῖν χρῆν τάφῳ προσφάγματα: κείνη γὰρ ὤλεσέν νιν ἐς Τροίαν τ᾽ ἄγει. εἰ δ᾽ αἰχμαλώτων χρή τιν᾽ ἔκκριτον θανεῖν κάλλει θ᾽ ὑπερφέρουσαν, οὐχ ἡμῶν τόδε: ἡ Τυνδαρὶς γὰρ εἶδος ἐκπρεπεστάτη, ἀδικοῦσά θ᾽ ἡμῶν οὐδὲν ἧσσον ηὑρέθη.

Nel tessuto argomentativo ed espressivo del dramma greco in rela­zio ne alla figura di Elena viene messa in luce comunque la sua bellezza, la sua seduttività lussuriosa13, la sua inclinazione verso le lusinghe del la vita orientale rappresentata da Paride, un elemento che è spesso pre sen te anche in altri testi antichi nel secolare riuso e dibattito su questa em ble­ma tica figura dell’immaginario antico: in un altro dramma euripideo, l’Ore ste, un’Elena rientrata in patria con Menelao e agli antipodi dal mon do etico di Elettra e Oreste (ricordiamo che deve divenire col suo assassinio strumento di ricatto nei confronti di Menelao), viene sugge­sti vamente evocata all’interno del palazzo, circondata e protetta da servi fri gi, che si occupano di specchi e profumi (v. 1112), ha portato con sé il lusso troiano (v. 1113), le si rimprovera di considerare l’Ellade una di mora troppo piccola per lei (1114)14. Un motivo questo che ritorna pre­

patria»: trad. Battezzato).12 «Ma Polissena è innocente di tutto. Era Elena che doveva chiedere Achille come vittima sacrificale sulla sua tomba. Lei l’ha condotto a Troia e alla morte. Se poi tra le prigioniere c’era da scegliere una donna che spiccasse per bellezza straordinaria, questa non è tra noi. Infatti è la Tindaride la donna più bella ed è provato che lei non è meno colpevole di noi Troiani» (traduzione di Battezzato con qualche adattamento).13 Si insiste in particolare sull’uso dello sguardo, come in Eur. Tr. 772 καλλίστων γὰρ ὀμμάτων ἄπο, 892­894, Hec. 442­443 (vd. anche il passo citato sopra nel testo). Su Elena seduttrice, utile l’analisi di Belfiore 1980­1981.14 Particolari che poi saranno sottolineati anche nella descrizione degli eventi fatta dal servo frigio scampato all’eccidio interno alla casa e provocato da Oreste e Pilade: Elena si fa ventilare dal flabello com’è usanza barbarica (vv. 1427 ss.) e indossa sandali d’oro

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po tente in Ovidio, per fare un esempio più vicino a Seneca, quando il Pa ride delle Heroides nella sua lunga lettera ad Elena attribuisce uno spazio notevole al tema del potere seduttivo delle ricchezze orientali per con vincerla a seguirlo (vv. 177­18815).

In Seneca invece Elena non è mai descritta in relazione alla sua bel­lez za, c’è solo un cenno alla vicenda che la lega ad Afrodite e alla scelta di Paride16 (vv. 918­921), lo sguardo è costantemente rivolto al desolato scenario del campo di battaglia, alle vittime passate e presenti, al destino che attende le prigioniere, al pianto e al lamento; del resto già il prologo del dramma, affidato alla voce di Ecuba, si lega indissolubilmente al paesaggio delle rovine17, alle fiamme che imperversano nella città di­strutt a, ai fuochi che lacerano e divorano anche i rapporti umani, nella con sapevolezza della fine imminente; lo sviluppo drammatico è come spes so in Seneca compresso già dal suo incipit, ma rivitalizzato attraverso im magini e motivi­guida che lo rendono fortemente evocativo18.

3. A proposito del rapporto dialettico tra Ecuba e Elena nelle Troia-ne euripidee, cui abbiamo prima accennato, dobbiamo osservare che questo scontro agonale è reso impossibile nel dramma senecano, perché già dal prologo Ecuba assume su di sè, senza possibilità di equivoci, ogni responsabilità del tizzone che ha portato in seno, Paride, definito da Euripide «funesta immagine d’una face» (Tr. 922 δαλοῦ πικρὸν μί­μη μα) proclamandosi lei stessa una vana vates (v. 37) ancor prima della figlia Cassandra. Ecuba esalta il suo ruolo di vittima, ma nello stesso tem po anche quello di ‘causa prima’ delle future sciagure19: colpevole del l’incendio troiano non è stato Ulisse, non è stato Diomede, non è sta­to Sinone, ella afferma in modo perentorio, meus ignis iste est, facibus ar detis meis, «quel fuoco è mio, voi Troiane ardete per fiac cole che mi

(v. 1468).15 Molto approfondito e utile il commento di Michalopoulos 2006; più in generale su Paride come figura ‘orientale’ a Roma, vd. Fabre­Serris 2012.16 Sul motivo della scelta di Paride nella tragedia greca, rimando a Stinton 1965.17 Importante lo studio di Mazzoli 2011.18 Vd. la ben documentata analisi del prologo di Gazich 2012.19 Per Elena in Eur. Tr. 919 ss. causa prima è appunto Ecuba e il tizzone, in Eur. Hel. 229 ss. la ‘causa prima’ è il frigio che tagliò l’albero per costruire la nave di Paride, come Argo per la nutrice di Medea: un cenno al tema della nave frigia nelle parole di Elena in Sen. Tro. 920 ss., citate infra nel testo.

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appar tengono20», v. 4021. Questa iniziale assunzione di responsabilità materna quale capro espiatorio di tutti i dolori22, questa devotio familiare pone implicitamente Ecuba in una condizione di forte distanza anche rispetto alla vicenda di Elena e non può essere quindi lei a ribatterle e ad accusarla, come nelle Troiane euripidee: ancor prima di conoscere il tragico destino di Astianatte e Polissena, assumerà su di sé ogni lutto23, arrivando quasi in conclusione a sostenere che quisquis est Hecubae est miser (v. 1062)24.

Come abbiamo già sottolineato, Elena si presenta nel dramma se­necano solo nel IV atto, con un ‘a parte’25 dal tono fortemente sentenzioso e generalizzante26, vv. 861­863:

Quicumque hymen funestus, inlaetabilislamenta caedes sanguinem gemitus habet,est auspice Helena dignus27.

Il quicumque iniziale mi pare che implichi la volontà senecana di metterci da subito di fronte ad una sorta di presa di coscienza lette raria del personaggio­Elena, consapevole della sua lunga storia nel mito e nella tragedia, come mi sembra confermato anche dall’Agamemnon 795, dove Cassandra, presaga di sciagure, afferma Helena ubi est, Troiam puta28.

20 Quando non specificato la traduzione delle Troades è mia.21 Nel dramma senecano la maternità dolorosa dà alla vecchia regina, definita in Sen. Ag. 706 fecunda in ignes, uno spessore emotivo più umano al punto tale, a mio parere, da rendere meno misterioso, e quindi comprensibile anche sul piano dei sentimenti terreni, il famoso tema di Paride­fiaccola, che nel sogno le devasta le viscere, presente nell’Alexandros euripideo e che ben conosciamo anche attraverso Ennio (vd. Timpanaro 2005, 91­149; Degl’Innocenti Pierini 2007, 150­151), bandendo quindi, come spesso in Seneca, la dimensione divina dalla cornice prologica del dramma, Ecuba sente solo ‘gli avversi numi’: v. 28 testor deorum numen adversum mihi; vd. anche poi v. 983 Quis tam sinister dividit captas deus? 22 Osserva acutamente Moretti 2012, 89 a proposito di Ecuba nel finale delle Troades: «di nuovo, e con ancora maggiore chiarezza, Ecuba si propone come donna­popolo, epitome delle sventure della sua gente».23 Sul tema del dolore materno in Grecia, vd. Pellizer 2010.24 Sull’interpretazione del verso condivido l’esegesi di Traina 2003.25 Sulla tecnica senecana degli ‘a parte’, vd. ora Aygon 2014; Paré­Rey 2014, solo con brevi cenni su quello di Elena (Aygon 2014, 117; Paré­Rey 2014a, 135, 141).26 Vd. le osservazioni di Keulen 2001, ad loc.27 «Ogni rito matrimoniale senza gioia, funesto, che nutre in sè lamenti di morte, gemiti insanguinati, è degno di avere Elena come pronuba».28 Vd. Tarrant 1976 ad loc., che, rimandando al suo commento del v. 25, cita come esempi di «awareness of one’s mythical reputation […] characteristic of Senecan people», Med. 166 Medea superest, 171 Medea fiam, 566-567 incipe quidquid potest / Medea, 933-934

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Ele na è personaggio spesso presente in scena, oppure indirettamente evo cato, in numerosi drammi greci incardinati nei tumultuosi e dolorosi eventi del dopoguerra troiano29: è ben noto che la sua storia si snoda decli nata in molteplici sfaccettature e punti di vista30, anche opposti e con traddittorii, segnata da forti inarcature paradossali31, emblema di una vicenda complessa, ma caratterizzata al tempo stesso comunque dal ricor­rere costante di Leitmotiv ‘forti’, come in particolare quello delle nozze32.

Molto suggestiva in questo senso è in Seneca la presenza quasi inci­pitaria della iunctura, fortemente ossimorica, hymen funestus, che mi pare voglia simboleggiare in estrema sintesi tutto il percorso del mito di Elena ed enuclearne anche formalmente il paradosso esistenziale, che si va poi qui a saldare con il tema delle ‘nuove’ nozze di Polissena, che si trova costretta a fingere di celebrare. La metonimia che implica tra di­zionalmente il canto gioioso di nozze, hymen33, si associa qui ad attri bu ti cupi e dissonanti, che ne contraddicono l’essenza e il rito stesso: inlae ta-bilis, aggettivo di forte impatto, sul modello di sonorità espressive della tragedia arcaica, richiama ovviamente non solo l’assenza di gioia, ma, a mio parere, sembra voler soprattutto implicitamente suggerire la tragica sterilità34 delle famigerate «nozze non nozze» di Paride e Elena35. Quanto

e Tro. 867 ss. Un’argomentazione significativa in questo senso offre Petrone 2008, 361.29 Molto più ampia ovviamente era la presenza rispetto alle nostre conoscenze: per i frammenti tragici di Sofocle ben informa De Sanctis 2012, 49­56.30 Rimando alla trattazione complessiva di Brillante 2002.31 Sugli aspetti paradossali della figura di Elena, non senza qualche eccesso interpretativo, vd. Vellacott 1975; valide esegesi in Croally 1994. 32 Importanti osservazioni in relazione al tema del matrimonio in Croally 1994, 86­97.33 Sul termine, ancora valida la trattazione di Muth 1954. Dopo che l’ombra di Achille, ri chiesto il sacrificio di Polissena (v. 195 desponsa nostris cineribus), si era ritirata, nelle acque del mare, ormai calmo, ecco che si era palesato un paradossale canto nuziale, v. 202, Tritonum ab alto cecinit hymenaeum chorus; su questa parte della tragedia, vd. ora Degl’In nocenti Pierini 2016b. Ritengo anche possibile una sugge stione derivante dalle note parole di Andromaca in Aen. 3.325-330 nos patria incensa diversa per aequora vec-tae / stirpis Achilleae fastus iuvenemque superbum / servitio enixae tulimus; qui deinde secutus / Ledaeam Hermionen Lacedaemoniosque hymenaeos / me famulo famu lam que He leno transmisit habendam e soprattutto del discorso di Giove a Giunone, dove si parla di lutto e nozze, Aen. 12.805­807 terris agitare vel undis / Troianos potuisti, in fan dum ac cendere bellum, / deformare domum et luctu miscere hymenaeos .34 Vd. per es. Verg. Aen. 3.707 Hinc Drepani me portus et illaetabilis ora; 12.619 confusae so nus urbis et inlaetabile murmur.35 Intendo naturalmente alludere qui all’immagine presente in un famoso frammento tra gico arcaico, pacuviano per i più, vv. 80­82 R2., dove leggiamo, qua tempestate Hele-nam Paris innuptis iunxit nuptiis, che risale alla iunctura ἄγαμος γάμος, presente nel­

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al tema del canto nuziale, stravolto nel suo rito e nella sua essenza, è appena il caso di accennare all’importanza delle analoghe paradossali dis sonanze dell’imeneo di Cassandra nelle Troiane euripidee, vv. 307­341, seguito da un dibattito agonale con Ecuba, nel quale risuona spesso il nome di Elena e del suo matrimonio funesto (v. 357 Ἑλένης γαμεῖ με δυσχερέστερον γάμον): come è ben noto, lo straniamento menadico di Cassandra coniuga imeneo e threnos in un ribaltamento esibito e para­dos sale del rito nuziale36.

Funestus37 evoca un’idea di morte che non lascia spazio ad alcuna forma di autodifesa per il personaggio di Elena, se non lo snodo sar­ca stico, che in qualche modo la lega indissolubilmente al suo passato lett erario già ampiamente scritto; lo scarto paradossale viene poi esa spe­rato nelle parole successive del dibattito da un’interlocutrice ostile come Andromaca, ai vv. 888 ss., che completano e giustificano il dettato gno­mi co iniziale, gravando proprio l’hymen di Elena della responsabilità di aver provocato lo scenario di desolazione che si apre davanti agli occhi, vv. 892­895:

Pestis exitium luesutriusque populi, cernis hos tumulos ducumet nuda totis ossa quae passim iacentinhumata campis? Haec hymen sparsit tuus38.

Se nel prologo Ecuba, gravida del tizzone, è la prima profetessa di sven tura per il rogo Troiano, anche l’implicita profezia di Elena sul suo ruolo nella vicenda di Polissena appare ‘facile’ ed è destinata ad avverarsi a breve, inverata com’è dalla sorte letteraria di una schiera di eroine che ve­do no annodarsi indissolubilmente il tema del matrimonio a quello della mor te. Non credo si possa considerare casuale che l’unica occorrenza di funestus nell’Eneide si legga nelle parole di Giunone del VII libro, v. 322, quando la dea si augura che nel Lazio si ripresentino funestaeque iterum

l’Ele na di Euripide (v. 690), ma anche Hec. 948.36 Vd. Contiades­Tsitsoni 1994, in particolare 56; Cerbo 2009, 87­96.37 Importante la presenza dell’aggettivo nella descrizione dell’Erinys nell’Octavia, vv. 160­165: Tunc sancta Pietas extulit trepidos gradus / vacuamque Erinys saeva funesto pede / intravit aulam, polluit Stygia face / sacros penates, iura naturae furens / fasque omne rupit. Di nozze maledette si parla a buon diritto nell’Oedipus, vv. 20‐21: thalamos parentis Phoebus et diros toros / gnato minatur impia incestos face.38 «Le vedi queste tombe di condottieri, esclama Andromaca, le ossa che giacciono qua e là nella pianura nude e insepolte, queste ossa è il tuo imeneo che le ha disperse».

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recidiva in Pergama taedae, un verso la cui eco si era già fatta palese nel­le Troades, nelle parole di Andromaca rivolte al piccolo Astianatte (vv. 469­474), quando si illudeva che, attraverso il figlio, sarebbe venuto un ri scatto per i recidiva Pergama39:

O nate sero Phrygibus, o matri cito,eritne tempus illud ac felix diesquo Troici defensor et vindex solirecidiva ponas Pergama et sparsos fugacives reducas, nomen et patriae suumPhrygibusque reddas?

Giunone del resto evoca qui anche il motivo del ventre di Ecuba, che «fiam me nuziali ha figliato» (come Fo traduce 7.320 ignis enixa iugalis), asso ciandolo al tema delle nozze maledette di Enea, Paris alter, nozze votate ad insanguinare il Lazio sotto la tutela di Bellona, divenuta ora pronuba in luogo di Giunone stessa (v. 319).

4. L’Elena di Seneca, che assume nel presentarsi i toni generalizzanti delle gnomai dei cori tragici, all’inizio non si difende, prende solo atto, direi, del suo passato letterario, ed esprime con tono solenne e assiomatico il suo legame con il tema nuziale, che segna emblematicamente il suo ap­pa rire sulla scena letteraria del dramma antico e che apre la strada al con­ti nuo oscillare di diverse reazioni rispetto alla sua vicenda, comunque caratt erizzata costantemente dal vederla imputata nel tribunale della storia letteraria40, e del resto non possiamo non ricordare che un idillio di Teo crito, il XVIII, è un epitalamio dedicato alla figura di Elena spartana41. Elena si trova costretta in Seneca a favorire le nozze architettate per in­gan nare la vittima sacrificale Polissena secondo uno schema narrativo, che non risulta attestato prima, ma che ovviamente sembra modellarsi

39 Su Virgilio come modello di Andromaca nelle Troades, vd. Schiesaro 2003, 195, che par la di un «futuro virgiliano» auspicato da Andromaca per il figlio; vd. anche Danesi Ma rioni 1999, Zissos 2008, e soprattutto Biondi 2013, 124­128, che propende per un in­flusso più diretto di Aen. 4.344, dove ricorre anche il verbo pono. Significativa eco vir gi­lia na è nel passo prima citato a n. 3 con l’ironia sul tema della dote.40 Basterà ricordare le note difese oratorie di Elena in Gorgia e Isocrate, la palinodia di Stesicoro, la stessa Elena di Euripide: per recenti contributi su questo tema, oltre a Bril­lan te 2002 e Zajonz 2002, 11­20, mi limito a citare Holmberg 1995; Blank 2013; Pratt 2015. 41 Per un’efficace analisi del componimento, vd. Brillante 2003.

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sull’analoga situazione presente nell’Ifigenia in Aulide42, anche se lì Clitemnestra, che è descritta al suo apparire in rituale funzione di νυμ­φα γωγός, si illude parlando di un matrimonio fortunato (vv. 609­610 ἐλπίδα δ᾽ ἔχω τιν᾽ ὡς ἐπ᾽ ἐσθλοῖσιν γάμοις / πάρειμι νυμφαγωγός, «nutro speranza di essere accompagnatrice per mia figlia di fortunate nozze»), mentre è Agamennone che, ambiguamente, intreccia la trama d’inganno; del resto il fatale riproporsi dell’analogia tra le due vicende, che segnano la partenza ed il ritorno della flotta achea, è sottolineata nel le Troades senecane, già nell’aspro scambio di battute tra Pirro e Aga­men none, vv. 246­248, quando Pirro rimarca come incomprensibile la riluttanza di Agamennone ad accettare in questo caso una vittima sa cri­fi cale per placare l’ombra di Achille, lui che, pur essendone il padre, non aveva esitato ad immolare la figlia ad Elena (at tuam gnatam parens / Helenae immolasti); Agamennone rifiuta di caricarsi anche di questa colpa43, di soggiacere alla vecors libido, che non pone fine alle vendette su una città sconfitta, vv. 287­29044, di «uccidere una vergine figlia di re, di offrirla in dono ad una tomba, che ne segni le ceneri, un delitto atroce di morte da chiamare nozze»45.

Colpisce in Seneca l’immagine di immolare una figlia ad Elena, mentre, come è ben noto, Lucrezio incolpa genericamente la ragion di stato asservita alla religio, exitus ut classi felix faustusque daretur, v. 10046: il rapporto oppositivo e compensativo fra Ifigenia e Elena era già presente nell’Iphigenia di Ennio 101 Joc.47, dove, nelle parole di Aga­men none rivolte a Menelao, emerge la netta contrapposizione tra la filia,

42 Schiesaro 2003, 200 parla di una scena che «embodies the power of repetition in a perverserly effective way». 43 Si è parlato non a torto di un Agamennone ‘re clemente’: vd. Flamerie de Lachapelle 2011, 172­178.44 Sen. Tro. 287­290 regia ut virgo occidat / tumuloque donum detur et cineres riget / et facinus atrox caedis ut thalamos vocent, / non patiar. In me culpa cunctorum redit: / qui non vetat peccare, cum possit, iubet.45 Elementi tutti che sono già presenti nella memorabile presenza latina di Ifigenia, di ascendenza tragica, nel primo libro di Lucrezio, vv. 84­101: il sangue della vittima sa cri­ficale sull’ara di Diana, l’evocazione dell’ingannatorio rito matrimoniale attraverso la de scrizione dell’acconciatura femminile, la negazione della gioia nuziale del mancato hymenaios.46 Immagine che ricorreva peraltro molto simile in Eschilo Ag. 227, dove l’uccisione era de finita «rito preliminare alla partenza delle navi», προτέλεια ναῶν.47 Vv. 204­206 Joc. Pro malefactis Helena redeat, virgo pereat innocens? / Tua reconcilietur uxor, mea necetur filia?

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virgo innocens, e l’uxor Elena, colpevole di malefacta, in un gioco di antitesi che non casualmente ci è giunto tramandato da un retore co­me Giulio Rufiniano proprio per esemplificare la figura retorica del la syncrisis48. L’uccisione sacrificale di Polissena in Seneca sembra mo­del larsi del resto anche sulla tradizione retorica, della quale leggiamo qual che breve estratto nella terza suasoria del padre Seneca49, dedicata al tragico dilemma paterno di Agamennone: non è certo possibile discu­ter ne nei dettagli, ma basti sottolineare che emerge anche qui la forte an titesi Ifigenia/Elena, per esempio nella divisio di Fusco 3.3, dove leg­giamo peti [Helenam], impendi Iphigeniam; vindicari adulterium, com-mitt i parricidium, così come è presente l’agudeza di designare la vittima sa crificale quale moram naturae, maris et ventorum, mentre in Seneca Tro. 1126 è Polissena ad essere definita classis moram.

Nelle Troades senecane Elena è una presenza caratterizzata, anche nel l’agon con Andromaca, dal ricorrere del linguaggio tecnico del ma­tri monio e questo crea, a mio parere, come accade sovente in Seneca, un suggestivo effetto drammatico non propriamente di immediato impatto sce nico, ma caratterizzato dal paradosso e dall’ironia tragica50, filtrata attraverso l’uso mirato e sapiente del lessico51. La presenza di hymen, come termine tecnico evocativo del rito, è rafforzata dalla conclusione del l’asserto gnomico (Quicumque hymen funestus, inlaetabilis / lamenta caedes sanguinem gemitus habet, / est auspice Helena dignus) con l’effetto ri tardato innescato dalla presenza del nome Elena, nome che, come ben sap piamo, la tragedia greca aveva risemantizzato nel suo significato distrutt ivo52, qui avvicinato ad auspex, sinonimo rituale romano di pro-nuba53: si crea anche qui un ossimorico e paradossale adynaton, giacché

48 RhLM p. 47,16 Halm syncrisis sive antithesis, comparatio rerum atque personarum inter se contrariarum. 49 Per un commento alla suasoria, vd. Feddern 2013, 305­338.50 In Seneca quando il personaggio riflette su se stesso ha spesso quest’esito sottilmente ironico, come suggerisce una riflessione prologica di Medea sullo stesso tema delle nozze, vv. 37­39: Hoc restat unum, pronubam thalamo feram / ut ipsa pinum postque sacrificas preces / caedam dicatis victimas altaribus.51 Il lessico matrimoniale è presente in particolare nel sacrificio di Polissena come è nar­ra to da Licofrone, come documenta Ciampa 2004; ritengo comunque difficile ipotizzare Li cofrone come fonte di Seneca (vd. Ciampa 2004, 527) oppure fonti alessandrine che ri salgano ad antichi rituali (Fontinoy 1950).52 Vd. Aesch. Ag. 681­687, discusso infra nel testo; cf. Calder 1970. Sul tema del nomen e le sue valenze nella tragedia senecana, vd. soprattutto Traina 1991 e Petrone 1988.53 Così credo vada inteso trattandosi di un testo poetico, anche se le testimonianze sul

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Elena contraddice l’essenza stessa del ruolo che le è imposto di svolgere. Infatti in una nota di derivazione varroniana Servio ad Aen. 4.16654 sot­to linea che alla pronuba era richiesto che uni tantum nupta, cioè che fos se univira, mentre Elena nella tradizione anche latina non solo segue Paride, ma dopo la sua morte si unisce a Deifobo55, ed è quindi, come la definisce già Eschilo nell’Agamennone, v. 62, donna dai molti uomini (πολυά νορος ἀμφὶ γυναικὸς).

5. Se Elena rappresenta l’antipronuba per eccellenza, avendo vio­lato così apertamente l’essenza stessa del vincolo che dovrebbe pro teg­gere, tanto da contaminarlo, se è destinata solo a suggellare patti che portino morte e dolore, è evidente che il suo ruolo ribaltato evoca im­me diatamente il motivo ampiamente diffuso, anche in ambito latino, del l’Erinni come pronuba di un matrimonio funesto, l’Erinni, che nel­l’Octa via 16156 è definita non a caso saeva funesto pede, apportatrice con taminante di morte: inoltre ancora in un dramma ‘ipersenecano’ co­me l’Octavia è Agrippina, identificata con l’Erinni, a svolgere per Ot­tavia lo stesso ruolo che qui ricopre Elena (vv. 23­24 Illa, illa meis tristis Erinys / thalamis Stygios praetulit ignes). Il motivo dell’Erinni pro nuba ha origini lontane, e si associa alla figura di Elena fino dal suo appa ri re sulla scena tragica greca57: infatti nell’Agamennone di Eschilo la Spar­ta na non è personaggio presente in scena, ma è ampiamente evocata co me causa prima dei dolori e del sangue che lega il dopoguerra degli

rito matrimoniale talvolta parlano di una figura maschile, con funzioni augurali: vd. per es. Lucan. 2.371 e Comment. Lucan. 2.371 auspex dicitur paranimphus, qui interest nuptiis eo quod ab eo nuptiae auspicentur et quod primus ‘feliciter’ dicat. Sugli auspices, vd. Hersch 2010, 115­119; sulla figura della pronuba, 191-199.54 Serv. ad Aen. 4.166 et pronuba Iuno quae nubentibus praeest. Iunonem autem dedisse signa per tempestatem constat et pluvias, quae de aere fiunt. Varro pronubam dicit quae ante nupsit et quae uni tantum nupta est: ideoque auspices deliguntur ad nuptias.55 Su questi aspetti del mito di Elena, vd. Brillante 2009, 110­112.56 Coglie bene alcuni snodi sarcastici del contesto Fantham 1982, ad loc.: il commento di Keulen 2001, pur ricco di paralleli, non sempre è altrettanto attento a cogliere le sfu­ma ture più sottili del testo. Non mi pare però che si possa consentire con la Fantham che in questa fase del dramma Elena sia semplicemente auspex, mentre invece solo in con­clu sione sarebbe «ill­omened»; così intendendo si stempera l’ironia drammatica della qua le parla anche la stessa Fantham per le parole di Elena, dimostrata in particolare dalla peri frasi con dignus, tratto tipico del sarcasmo senecano.57 Sulla demonizzazione di Elena nella tragedia greca, vd. De Romilly 1988; sulla carat­te riz zazione ambigua nella retorica greca, vd. Zagagi 1985.

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Atridi alla saga troia na58, a partire dalle parole dell’anghelos che intona il peana delle Erinni, canto di gioia e di vittoria per il ritorno di Agamen ­none, ma mac chiato dal sangue della guerra (v. 645), uno scarto di forte im patto dram matico, caratterizzato dall’ossimoro come il nostro passo senecano59. Il famoso coro successivo (vv. 681­809) fa risalire ad Elena il dipanarsi della catena di sciagure, che hanno insanguinato il passato eroico di una civiltà, interpretando il suo nome come «distruttrice di navi, di uomini, di città» (vv. 689­690 ἑλένας, ἕλανδρος, ἑλέπτολις) ­ un gioco etimologico che arriverà fino all’Anticlo di Pascoli60 ­ suggerendo, immediatamente dopo, il tema delle nozze funeste61, e soprattutto evo­cando l’intrecciarsi ed il sovrapporsi del lamento al canto nuziale, l’am­bi guo κῆδος ὀρθώνυμον, vv. 699­71262:

Ἰλίῳ δὲ κῆδος ὀρθ­ώνυμον τελεσσίφρωνMῆνις ἤλασεν, τραπέζας ἀτί­μωσιν ὑστέρῳ χρόνῳκαὶ ξυνεστίου Διὸςπρασσομένα τὸ νυμφότι­ μον μέλος ἐκφάτως τίοντας, ὑμέναιον, ὃς τότ᾽ ἐπέρ­ ρεπεν γαμβροῖσιν ἀείδειν: μεταμανθάνουσα δ᾽ ὕμνον Πριάμου πόλις γεραιὰ

58 Un parallelismo tra sorelle, Clitennestra e Elena, già eschileo (Ag. 1468­1470), che non manca di essere accentuato nella riscrittura senecana, come nota Lohikoski 1966, 63: vd. per es. Sen. Ag. 795 [Ag.] Hic Troia non est. [Ca.] Ubi Helena est, Troiam puta.59 Sull’importanza dell’ossimoro in relazione al canto e al threnos nella tragedia greca, vd. Loraux 2001, che sostiene in particolare (p. 108) «in questa coincidentia oppositorum vedo la figura tragica per eccellenza»; poi discute passi relativi proprio alla dissonanza del canto come il peana accompagnato da epiteti che ne negano l’essenza profonda (a p. 109 parla di «dissonanti consonanze»).60 In un abbozzo drammatico pascoliano, riportato e discusso da Mirto 2008, 234, leg­giamo che «Elena è quella per cui tanti morirono, la scuotitrice di fiaccola, la bel lissima Erinys, colei la cui voce rassomiglia a quella di ciascuna amata pur che sia lungi quella che svanì».61 Sul tema delle nozze funeste di Elena, utile in particolare Seaford 1987, 123­130. Sulle nozze funeste nella tragedia greca, vd. Rehm 1994.62 Riproduco la traduzione di Medda: «E vere nozze luttuose ha compiuto per Ilio / l’Ira che porta a termine i suoi disegni, / chiedendo conto dopo molto tempo / dello spregio fatto alla mensa / e a Zeus protettore del focolare / a coloro che a voce piena intonavano il canto nuziale, / l’imeneo, che allora toccò ai parenti dello sposo di cantare. / Ma costretta a dimenticare quel canto / per impararne uno nuovo di lamento / l’antica città di Priamo leva alti gemiti, / chiamando Paride ‘l’uomo dalle funeste nozze’».

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πολύθρηνον μέγα που στένει κικλήσκου­ σα Πάριν τὸν αἰνόλεκτρον

Dopo le due strofe relative al famoso ainos del leoncino, il coro torna ad evocare ampiamente la figura di Elena, prima morbidamente seduttiva e poi assimilata ad un’Erinni, vv. 737­74963:

πάραυτα δ᾽ ἐλθεῖν ἐς Ἰλίου πόλιν λέγοιμ᾽ ἂν φρόνημα μὲν νηνέμου γαλάνας, ἀκασκαῖον <δ᾽> ἄγαλμα πλούτου,μαλθακὸν ὀμμάτων βέλος, δηξίθυμον ἔρωτος ἄνθος. παρακλίνασ᾽ ἐπέκρανεν δὲ γάμου πικρὰς τελευτάς, δύσεδρος καὶ δυσόμιλοςσυμένα Πριαμίδαισιν, πομπᾷ Διὸς ξενίου, νυμφόκλαυτος Ἐρινύς.

Credo che il nesso νυμφόκλαυτος Ἐρινύς debba essere interpretato come intende Fraenkel nel suo magistrale commento, e come è rispec­chia to nella traduzione di Medda, «un’Erinni che causa pianto alle spose»64 e mi pare confermarlo proprio Seneca nelle Troades, che innesta il motivo in un analogo tessuto argomentativo ed emotivo, dove si mescolano sa­pien temente motivo nuziale e compianto: se non si vuole pensare ad un influsso diretto dell’Agamennone di Eschilo, tragedia che comunque ora viene sovente considerata modello di Seneca65, certo è che un rivolo signi ficativo, scaturito dalla tradizione da essa rappresentata, giunge sen z’altro ad incrementare il potenziale allusivo del nostro plot tragico e soprattutto del suo immaginario espressivo. E del resto nelle Troiane

63 «Potrei dire che in principio venne alla città d’Ilio / una sensazione di sereno senza vento, / un gentile ornamento di ricchezza, / un dolce dardo degli occhi, / un fiore d’amo­re che pungeva il cuore. / Ma poi, cambiando all’improvviso, portò a termine / un amaro com pimento delle nozze, / avventandosi contro i Priamidi, / funesta compagna e funesta abi tante / inviata da Zeus protettore dell’ospite, / un’Erinni che causa pianto alle spose» (trad. Medda).64 Consente esplicitamente con questa interpretazione Timpanaro 2005, 5 n. 7. Per l’in­terpretazione che fa invece riferimento a Paride, «Erinni rovina per lo sposo», vd. Bril­lan te 2002, 114­115, 2009, 126 n. 44.65 Utile la recente disamina critica di Degiovanni 2004, 373, n 1; molti confronti, non tutt i convincenti, sono proposti da Lavery 2004, 183­194. Ben diversa era la posizione di Tarrant 1976 nel suo commento all’Agamemnon senecano, che negava ogni rapporto; con tra opportunamente Aricò 1996, 137 e passim.

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euripidee con notevole forza evocativa è Cassandra, all’imbarco fatale, a de finirsi μίαν τριῶν Ἐρινύν (v. 457).

Il riferimento ad Elena come Erinni66 appare comunque avvalorato an che da un altro luogo tragico significativo: nell’Oreste di Euripide, dove, come già abbiamo detto, Elena è personaggio su cui si gioca molto del l’azione scenica, lo schiavo frigio che esce dal palazzo e si accinge a nar rare la presunta uccisione di Elena, lamenta la sorte di Ilio caduta «per colpa della bellezza dalle ali di cigno» di Elena, Elena la maledetta, δυσελένας δυσελένας, ξεστῶν περγάμων Ἀπολλωνίων ἐρινύν, «Erin­ni della ben costruita rocca di Apollo», dove è evidente la presenza al­lu siva dell’Agamennone eschileo. E non posso non fare riferimento al no tissimo frammento dell’Alexander enniano, dove la profetessa Cas­san dra parla di Elena come Lacedaemonia mulier, Furiarum una (56 R.2= 49 Joc.67).

6. D’altra parte il giudizio dell’Elena senecana sul suo stesso operato viene completato e confermato dalle parole che le rivolge subito dopo An­dro maca, ai vv. 892­893, definendola pestis exitium lues utriusque populi, ac comunando quindi l’Oriente e l’Occidente in un destino di morte (v. 896 tibi fluxit Asiae, fluxit Europae cruor), come si legge a Roma a partire dal carme 68 di Catullo68 (v. 89 Troia nefas commune sepulchrum Asiae Euro paeque69) e come diventerà topico per alludere ad uno scenario di

66 Su Elena menadica in Virgilio, vd. Panoussi 2009, 141­144.67 Vv. 54­56 R2. eheu, videte! / Iudicavit inclutum iudicium inter deas tris aliquis: / quo iudicio Lacedaemonia mulier, Furiarum una, adveniet. Jocelyn 1967, 218­219 sostiene, ma, a mio parere, non dimostra, che Furia e Erinys non si identificherebbero, criticando anche Fraenkel 1950. La ricca esemplificazione di Berno 2007, 84 n. 37 invece documenta bene questa identificazione.68 Interessante la presenza di Catullo in questa parte della tragedia: Elena, per tessere la sua subdola trama d’inganno, attinge ad elementi eruditi tratti dal carme 64 di Catullo co me testimonia l’alternanza a breve distanza di Thetys / Thetis (Sen. Tro. 879­880 Te magna Tethys teque tot pelagi deae / placidumque numen aequoris tumidi Thetis e Catull. 64.29­30 tene Thetis tenuit pulcerrima Nereine? / tene suam Tethys concessit du-ce re neptem; vd. Stok 1999, 140). Inoltre anche la figura stessa di Polissena è elemento che, nel comune richiamo ad Ifigenia, non va sottovalutato, attivato dal sostrato nuziale pre sente nel carme 64; sulla figura di Polissena nel carme catulliano, si veda la disamina di Fernandelli 2012, che mette in luce la dipendenza anche da temi tragici, in particolare 48­49; 101; 117; 286­287; 297. Importanti considerazioni sul ruolo di Polissena nella tra ge­dia greca e latina offre Aricò 1995.69 Vd. Verg. Aen. 1.385 Europa atque Asia pulsus; 7.223­224 actus uterque / Europae at-que Asiae fatis; 10.90­91 quae causa fuit consurgere in arma / Europamque Asiamque

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guerra totale, già comunque prefigurato nelle Troiane euripidee: qui infa tti, ai vv. 770­771, per bocca di Andromaca, viene negata l’origine di vina ad Elena, già definita figlia del Demone vendicatore, del Rancore, del l’Assassinio e del Lutto, «perché mai potrò credere che Zeus abbia ge­nerato te, rovina di molti, barbari e Greci» (οὐ γάρ ποτ᾽ αὐχῶ Ζῆνά γ᾽ ἐκ φῦσαί σ᾽ ἐγώ, / πολλοῖσι κῆρα βαρβάροις Ἕλλησί τε)70. Il carattere con taminante e pervasivamente devastante di Elena71, che emerge nei se necani pestis e lues, risale anch’esso molto probabilmente alla tragedia greca72: penserei in particolare all’Oreste di Euripide 1584, dove Elena è chia mata τὴν Ἑλλάδος μιάστορ᾽, apportatrice di miasma pestilenziale per la Grecia73.

Queste premesse comportano inevitabilmente anche un breve ri fe­ri mento al famoso episodio di Elena nel II dell’Eneide, senza ovviamente pre tendere di fornire in questa sede una trattazione esaustiva di una que stione così indagata e problematica74: premettendo che sono sempre sta ta più convinta della tesi dell’autenticità, così persuasivamente difesa da Conte75, per quello che ci riguarda qui da vicino, non si può non sott o­

et foedera solvere furto?; Prop. 2.3.35­36 olim mirabar, quod tanti ad Pergama belli / Europae atque Asiae causa puella fuit; Ov. am. 2.12.17­ 18 Nec belli est nova causa mei. Nisi rapta fuisset / Tyndaris, Europae pax Asiaeque foret; Sen. Ag. 273-274 ignovit Helenae: iuncta Menelao redit / quae Europam et Asiam paribus afflixit malis; Stat. Achill. 1.81­82; Val. Fl. 3.393­396 Sat vellera Grais / et posse oblata componere virgine bellum. / Quemque suas sinat ire domos nec Marte cruento / Europam atque Asiam prima haec committat Erinys (dove Medea è Erinni tout court). 70 Sul rapporto del passo col tema dell’Erinni, vd. Geisser 2002, 219­221.71 Sul carattere ‘contagioso’ di Elena in relazione alla sua funzione furiale in Virgilio, vd. le interessanti pagine di Bocciolini Palagi 2007, 64­67.72 Vale la pena ricordare un significativo luogo ciceroniano (di derivazione tragica?), dove nel paragone Elena­Antonio si evoca la stessa immagine di distruzione contaminante: Phil. 2.55 Ut Helena Troianis, sic iste huic rei publicae [belli] causa pestis atque exitii fuit. In Ennio, nella profezia dell’Alexander, inc. fab. 16 R2.= v. 61 Joc., Paride era definito exitium Troiae, pestem Pergamo.73 Vd. Geisser 2002, 159­161, anche per l’etimologia e il collegamento con alastor.74 Horsfall 2008, 553­586 dedica un’intera Appendice del suo documentato commento al II libro dell’Eneide alla discussione dell’annosa questione, cui rimando per un esame dett agliato delle testimonianze e della bibliografia: segnalo comunque che, a mio parere, il confronto più articolato e argomentato con Seneca si legge in Berres 1992, 63­65. Il con tributo più recente che conosco, Peirano 2012, 242­263, considera l’episodio un ‘fake’ da attribuire all’ambito della scuola di retorica sulla base anche dello stile, ma senza espri mersi sugli aspetti intertestuali in relazione ai poeti latini.75 Vd. Conte 1978, ripubblicato nel 1984 e, in traduzione inglese, nel 1986, e soprattutto Conte 2006; una significativa tessera esegetica a favore dell’autenticità offre Delvigo 2006.

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lineare come il v. 573 di Virgilio, Troiae et patriae communis Erinys, ap­paia in evidente rapporto con i testi che abbiamo finora esa minato76. Mi sembra che sia Seneca a subire l’influsso virgiliano, anche se in misura meno eclatante rispetto a Lucano 10.57, dove il paradigma di Elena77 è chia ramente evocato in funzione identificativa con Cleopatra Latii feralis Erynis78. Alla luce del percorso esege tico fin qui svolto, sembra quindi fon datamente ipotizzabile che Se neca presupponga l’episodio virgiliano di Elena, anche se vi allu derebbe in modo sottilmente evocativo e sal­tan do alcuni passaggi ‘logici’: è appena il caso di sottolineare che l’Elena per sonaggio tragico senecano non può autodefinirsi tout court un’Erinni, co me è invece stigmatizzata nell’Agamennone di Eschilo, nel frammento en niano trag. 49 Joc. e soprattutto nell’episodio virgiliano79.

Nell’immaginario antico l’elemento di raccordo, anche iconografico, tra l’Erinni e una pronuba, qual è Elena per le nozze di morte di Polissena, è costituito dalla presenza della fiaccola, un motivo questo che nelle Troades senecane culmina in un paradossale e straniante concettismo, ancora nelle parole di Andromaca, per la quale è la città stessa di Troia

76 Soprattutto con Eur. Tr. 771; vd. anche Murgia 2003, 415, nonostante una non per spi­cua affermazione alla n. 20: «Despite Zwierlein 42, Sen. Tro. 853f., 892 f., and 896 imitate not the Helen Episode, but Seneca’s own models in the genre of tragedy». Per Murgia 2003, 424 ovviamente Lucano precederebbe l’interpolato episodio dell’Eneide, mentre di versamente argomenta Conte 2006, 160­161 con convincenti approfondimenti.77 Interessante sarebbe stato sicuramente il giovanile poemetto lucaneo Iliacon (sulle cui caratteristiche mi permetto di rimandare a Degl’Innocenti Pierini 1999, 177­198): in un enigmatico frammento, fr. 5 Courtney atque Helenae timuisse deos, risuona il no me di Elena. Il frustulo è tramandato da Lact. Plac. Stat. Theb. 3.641 a proposito delle pa­role di Anfiarao, vv. 640­645 Vidi ingentis portenta ruinae, / vidi hominum divumque me tus hilaremque Megaeram / et Lachesin putri vacuantem saecula penso. / Proicite arma manu: deus ecce furentibus obstat, / ecce deus! miseri, quid pulchrum sanguine victo / Aoniam et diri saturare novalia Cadmi? Nemmeno il commento antico serve ad illu minare sulla pertinenza del contesto lucaneo (guerra totale? gli dei di Elena sono le Furie?): VIDI HOMINVM (DIVVMQVE METVS) manifestus iam metus est. DIVVM quare? Aut propter Venerem aut Iunonem, quarum altera Thebanis, altera timebat Argivis. An omnium, quia Capaneus animos erat elaturus in caelum? Vt Lucanus Iliacon: ‘atque Helenae timuisse deos’. 78 Elena è ricordata subito dopo ai vv. 60­62 Quantum inpulit Argos / Iliacasque domos facie Spartana nocenti, / Hesperios auxit tantum Cleopatra furores: per un documentato com mento, vd. Berti 2000 ad loc. Sulla Furia quale è evocata nella tragedia e l’uso an­to nomastico del termine a Roma, vd. Berno 2007, 69-91: Catilina nella ciceroniana De domo 99 viene bollato quale furia et pestis patriae (Berno 2007, 84­85); Sofonisba in Liv. 30.13.12 è illam furiam pestemque.79 Condivisibili valutazioni su questi passi con lucida sintesi offre Conte 2006, 160 n. 1.

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con le sue fiamme a costituire la fiaccola per le nozze funeste apprestate da una pronuba maledetta e contaminante come Elena, vv. 898­902:

Perge, thalamos appara.Taedis quid opus est quidve sollemni face?Quid igne? thalamis Troia praelucet novis80 .Celebrate Pyrrhi, Troades, conubia,celebrate digne: planctus et gemitus sonet.

Al di là della possibile, ma vaga, suggestione derivata dal VI libro dell’Eneide, dove Deifobo ricorda Elena, che brandisce la fiaccola per fin gere l’invasamento orgiastico e in realtà fare segnali ai Greci81, il ‘pro­vo catorio’ impiego da parte di Andromaca di un verbo tecnico come prae luceo82, che si riferiva proprio alla luce della fiaccola del corteo nu­ziale, come suggerito chiaramente da un frammento varroniano83 di sede

80 Qui tradurrei thalamis… novis con «Troia è la fiaccola di queste nozze inusitate», quasi mostruose: non rende il senso paradossale del passo la traduzione di Caviglia 1981: «Da vanti al nuovo corteo splende la luce di Troia!».; vd. invece Stok 1999: «C’è Troia che illumina queste nuove nozze!». Novus in Seneca tragico ha sovente questo valore sar­ca stico, allusivo al ribaltamento dei valori etici: mi limito a segnalare, oltre a Tro. 1154 no vumque monstrum est Pyrrhus ad caedem piger, Oed. 944-946 Natura in uno vertit Oedipoda, novos / commenta partus, supplicis eadem meis / novetur.81 Aen. 6.515-519 cum fatalis equus saltu super ardua venit / Pergama et armatum pe di-tem gravis attulit alvo, / illa chorum simulans euhantis orgia circum / ducebat Phrygias; flammam media ipsa tenebat / ingentem et summa Danaos ex arce vocabat. Sull’episodio di Deifobo, vd. Scafoglio 2004; Brillante 2009, 133­135. Dal mio punto di vista mi sembra im portante mettere in luce anche qui i paradossali riferimenti alle nozze di Elena in una sorta di pirandelliano ‘gioco delle parti’: qui è Deifobo, il nuovo sposo troiano, ad es sere tradito nell’infelix thalamus (Aen. 6.521), mentre sarcasticamente Elena è egregia coniunx, e l’amans è Menelao, dal quale ci si deve far perdonare col dono fatale della vita del nuovo sposo nella speranza di ‘riabilitarsi’ (523­527 egregia interea coniunx arma omnia tectis / emovet, et fidum capiti subduxerat ensem: / intra tecta vocat Menelaum et limina pandit, / scilicet id magnum sperans fore munus amanti, / et famam exstingui veterum sic posse malorum). 82 Per praeluceo in senso tecnico rituale, vd. soprattutto Apul. Met. 10.32 velut nuptialis epulas obiturae dominae coruscis praelucebant facibus; il commento di Keulen 2001, ad loc. accorpa invece passi di diverso tenore. Sul valore tecnico in ambito del rito nu­ziale del preverbio prae­, si ricordi almeno Prop. 4.3.13­14 quae mihi deductae fax omen praetul i t , / illa traxit ab everso lumina nigra rogo; Ov. Her. 6.45-46 tristis Erinys / praetul i t infaustas sanguinolenta faces; Sen. Oct. 23-24 illa, illa, meis tristis Erinys / thalamis Stygios praetul i t ignes; Tac. Ann. 14.30 in modo Furiarum, veste ferali, cri ni-bus deiectis faces praeferebant ; come appare confermato anche dalla descrizione del fal so rito per Polissena nelle parole del nuntius, Sen. Tro. 1132-1133 Cum subito thalami more praecedunt faces / et pronuba illi Tyndaris.83 Utile la disamina di Ramminger 1985, 255­259, che è autore anche del lemma praeluceo nel Thesaurus linguae Latinae.

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incerta, citato nelle Adnotationes super Lucanum 2.35684, venienti novae nuptae funal praeluceat, e come conferma in modo inequivocabile la parodia matrimoniale presente in un noto epigramma di Marziale85; im­pli ca quindi che nel caso di Polissena si tratta di novi… thalami, nozze ec cezionali nella loro essenza di inganno perverso, e quindi ‘mostruose’, contro natura.

Un bell’esempio di ironia tragica per bocca di Andromaca, che ha colto la reale natura delle nozze, e che invita le Troiane a celebrarle into­nan do l’unico canto possibile per la sposa di Pirro, un canto lamentoso, per ché implica un’umiliante unione col nemico. Elena, nelle parole d’in­vettiva di Andromaca, è, ricordiamolo, pestis, exitium, lues (v. 892) per entrambi i popoli, ma è anche l’opportunista e la stratega, a causa del­la quale è scorso il sangue di due continenti (tibi fluxit Asiae, fluxit Eu ropae cruor), mentre lei osservava dall’alto86, quasi una dea potente e insensibile87, i duelli degli eroi, lenta, cioè con il distacco necessario ad elaborare con ambigua equidistanza i suoi disegni fraudolenti (cum di micantes lenta prospiceres viros, incerta voti). È soprattutto l’epiteto lenta, posto al centro del verso, che rappresenta il cuore dell’arringa li vorosa di Andromaca, perché sottolinea appunto la mancanza di un’aff ettività profonda ed empatica88: non a caso lentus nel linguaggio

84 Adnotationes 2.356: legitimaeque f(aces), id est matrimonium proprie , ut ait Varro … 85 Mart. 12.42.1­5: Barbatus rigido nupsit Callistratus Afro, / hac qua lege viro nubere vir go solet. / Praeluxere faces , velarunt flammea vultus, / nec tua defuerunt verba, Talasse, tibi. / Dos etiam dicta est.86 L’uso di prospicere richiama ovviamente la teichoskopia: una situazione molto ben esem plificata da Hor. Carm. 3.2.6-9 Illum ex moenibus hosticis / matrona bellantis tyranni / prospic iens et adulta virgo / suspiret, dove traspaiono evidenti echi omerici opportunamente rimodulati. Su questi temi, vd. ora il recentissimo saggio di Fuhrer 2015.87 Il pensiero va, a mio parere, anche alla Giunone virgiliana di Aen. 12.134-137 At Iuno ex summo […] / prospiciens tumulo campum aspectabat et ambas / Laurentum Troumque acies urbemque Latini, oltre che all’Elena omerica della teichoskopia del terzo li bro dell’Iliade, il cui rimpianto verso il passato è indotto comunque dal volere divino; per prospicio usato per gli dei che osservano dall’alto, vd. Tib. 2.2.58; Lucan. 1.115. Anche Ele na nell’Iliade è presentata come ambiguamente ‘equidistante’ rispetto ai due fronti, non fosse altro perché viene descritta mentre tesse una tela che raffigura le vicende belliche dei Greci e dei Troiani, «quanto per lei patirono nelle battaglie di Ares», trad. Ciani (Il. 3.126­129).88 Come mi suggerisce Enrico Magnelli in margine ad una lezione da me tenuta per l’AICC fiorentina all’Accademia La Colombaria su questo tema il 22.2.2016, Andromaca sem bra implicitamente contrapporre il suo slancio passionale in un famoso passo di Il. 22.460 ss., quando si precipita a vedere il duello del marito con Achille μαινάδι ἴση e poi

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ero tico elegiaco89 implica, con varie sfumature, se non sempre disaffe­zione, quantomeno una limitazione razionale dei propri istinti. Infatti il successivo intervento di Elena (vv. 903­926) inizia proprio con il sot­to lineare il difficile tentativo di opporre un ‘ragionamento’ articolato90 alla mera espressione di pathos posta in campo da Andromaca e quindi Ele na argomenta difendendo la sua causa, consapevole di farlo iudice infesto (v. 906): persegue una linea difensiva marcata dal motivo del dolore, dalla paradossale, quanto esibita, gara nella sofferenza in una tra gedia caratterizzata, come abbiamo avuto modo di notare, soprattutto nelle parti corali, dal pianto comune delle prigioniere91. Solo Elena si ram marica di essere stata costretta a piangere il suo sposo Paride occulte in un solitario silenzio92, lei che, perduta la nuova patria Ilio, ora teme la sua città natale Sparta93, lei, paradosso dei paradossi, è la vera captiva, perché è stata prigioniera a Troia per dieci anni, lei ha un dominus che nep pure è stato sorteggiato e che l’ha trascinata come una famula94. Una sorta di comparativus senecanus del dolore, che ha come scopo ultimo la

arriva a perdere i sensi.89 Sul variegato impiego di lentus in poesia, utili precisazioni in Gauly 1995; sulla pre­sen za del linguaggio elegiaco in altri interventi dell’Andromaca delle Troades, oltre Fantham 1982, 322, indaga Danesi Marioni 1999, 489­490.90 Che il discorso di Elena sia volutamente elaborato retoricamente a significare la sua ca pacità di ‘frenare’ razionalmente le emozioni testimonia il confronto con quanto Se­neca osserva nelle sue consolazioni: Ad Pol. 3.2 Parum autem me indignari scio; nihil est enim difficilius quam magno dolori paria verba reperire; 4.1 Nam lacrimis nostris nisi ratio finem fecerit, fortuna non faciet; Ad Helv. 1.2 Omnis autem magnitudo doloris modum excedentis necesse est dilectum verborum eripiat, cum saepe vocem quoque ipsam intercludat.91 L’elemento del pianto, già molto presente nelle Troiane euripidee (vd. per es. Suter 2003), assume un’ulteriore forza drammaturgica in Seneca, come opportunamente argo­menta Aricò 2006, 62­69 (vd. anche le considerazioni di Aricò 1996 relative al coro del­l’Aga memnon), e come dimostra anche Petrone 2006, 87­92. Sul tema delle emozioni nel le Troades, segnalo qui il recentissimo contributo d’insieme di Fabre­Serris 2015, che con fronta giustamente anche l’opera filosofica.92 Nell’Iliade 3.142 Elena piange sommessamente ricordando Menelao e la patria, mentre par lando con Priamo, v. 176, afferma di consumarsi nel pianto.93 Si vedano le analoghe immagini per Ecuba ai vv. 988­990 Nunc victa, nunc captiva, nunc cunctis mihi / obsessa videor cladibus: domini pudet / non servitutis. 94 Come spesso in Seneca, il lessico, pur inserito in un contesto tragico, palesa una certa qual leziosità espressiva, frutto dell’influsso ovidiano, direi, in particolare dalle Heroides, per la presenza appunto di termini come iugum, captiva, famula, che configurano anche l’atteggiamento delle eroine abbandonate ovidiane, che pur di seguire gli amati accett e­reb bero anche tale condizione servile.

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ri cerca della solidarietà femminile, negata ad Elena da vincitori e vinti, che lei sente entrambi imperversare, furere, contro di lei: vv. 903­926:

Ratione quamvis careat et flecti negetmagnus dolor sociosque nonnumquam suimaeroris ipsos oderit, causam tamenpossum tueri iudice infesto meam,graviora passa. Luget Andromacha Hectoremet Hecuba Priamum: solus occulte Parislugendus Helenae est. Durum et invisum et grave estservitia ferre? Patior hoc olim iugum,annis decem captiva. Prostratum Ilium est,versi penates? Perdere est patriam grave,gravius timere. Vos levat tanti95 malicomitatus: in me victor et victus furit.Quam quisque famulam traheret incerto diucasu pependit? Me meus traxit statimsine sorte dominus. Causa bellorum fuitantaeque Teucris cladis? Hoc verum puta,Spartana puppis vestra si secuit freta;sin rapta Phrygiis praeda remigibus fuideditque donum iudici victrix dea,ignosce † Paridi96: iudicem iratum meahabitura causa est: ista Menelaum manentarbitria. Nunc hanc luctibus paulum tuis,Andromacha, omissis flecte ­ vix lacrimas queoretinere.

95 Mi discosto qui dal testo di Zwierlein, che pubblica la correzione di Bentley tantus: os serva Zwierlein 1986, 104 «comitatus kann schwerlich absolut stehen» e confronta Sen. Epist. 7.6 impetum vitiorum tam magno comitatu venientium e altri passi senecani, do ve in effetti appare accompagnato da qualificazioni: si può agevolmente obiettare che ci sono attestazioni in altri autori col genitivo come in Seneca (vd. per es. Verg. Aen. 12.336; Sen. Contr. 9.5.6). La locuzione tantum malum, parallela a tanta clades del v. 918, è attestata per es. in Cic. Verr. 2.1.48; Fam. 6.4.4; Liv. 39.16.2; Sen. Contr. 2.1.11. Inoltre non è l’ampiezza del comitatus che conta, quanto la condivisione di una sciagura così de vastante: infatti vd. anche già ai vv. 904­905 sociosque nonnumquam sui / maeroris. 96 Difende il testo tràdito Petrone 1994; così anche Boyle 1994. Leo emendava in praedae, ac colto a testo da Fantham 1982 e Stok 1999 (raptae è correzione di Schrader difesa con buoni argomenti nel commento da Caviglia 1981, che, pur traducendola, però la pub­bli ca a testo inspiegabilmente con la crux); Zwierlein 1986, 104­106, pur suggerendo la correzione captae, preferisce poi stampare a testo la lezione tràdita con la crux. Pur nel l’e­vidente incertezza del testo mi sembrano condivisibili alcune osservazioni a favore di una correzione, che si riferisca ad Elena, sviluppate da Zwierlein 1986: in particolare che l’an­titesi è qui tra ignosce e iudicem iratum, e poi il confronto con Sen. Ag. 273-274 Ignovit He-lenae: iuncta Menelao redit / quae Europam et Asiam paribus afflixit malis (e Eur. Tr. 950).

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L’Elena di questo intervento (ed anche del successivo, vv. 938­944, quando sottolinea che le è negato anche il morire97 e quindi l’ultima, e uni ca, forma di eroicità tragica al femminile) è una vera ‘apolide’ del dolore ­ dolore che non le è consentito esternare e condividere98 nella soli darietà di un comitatus99 femminile­ un pianto che comunque afferma in conclusione di riuscire a trattenere, dimostrando, a mio parere, come Seneca voglia dipingerla soprattutto come un’abile stratega dei suoi sen­timenti100.

7. Compiuto con asettica stringatezza, come si conviene a sentenze irre vocabili con una rapida sticomitia (vv. 972­980), il suo ruolo di portavoce dei Greci nell’indicare alle Troiane il dominus cui sono state assegnate, la presenza di Elena nel dramma si completa definitivamente nelle parole del nuntius, dove si conferma la sua solitudine e anche la sua ambigua presenza, specialmente agli occhi di quella folla, di vinti e vincitori101, che costituisce la vera protagonista dei due ‘spettacola­ri’102 sa crifici pub blici in cui culmina il dramma: ter ror att oni tos te net /

97 Vv. 938­942 Vtinam iuberet me quoque interpres deum / abrumpere ense lucis invisae mo ras / vel Achillis ante busta furibunda manu / occidere Pyrrhi, fata comitantem tua, / Polyxene miseranda. Naturalmente basterà qui notare l’esibita allusione alla Didone virgiliana di Aen. 4.631 invisam quaerens quam primum abrumpere lucem.98 Sull’importanza dell’elemento corale nelle Troades e quindi della condivisione del dolore, vd. il recente saggio di Moretti 2012, in particolare 94 ss.99 Dell’immagine del comitatus vitiorum o virtutum in Seneca mi sono occupata in un saggio dal titolo In compagnia della virtù: orgoglio e solitudine nell’esilio di Cicerone, Ovidio e Seneca, presentato al Convegno Le regard de l’exilé, La Sorbonne Paris 3­5 aprile 2013 (si attendono gli Atti). Vd. anche il mio articolo del 2016.100 Elena sostiene che «a mala pena può trattenere il pianto» a differenza del modo più comune di esprimersi che implica «non posso trattenere il pianto», dimostrando di es se­re lenta, fredda come la definisce Andromaca.101 Nell’Ecuba euripidea il resoconto di Taltibio, vv. 520 ss., parla solo dell’esercito acheo al completo, che assiste all’uccisione, e che ammira la giovane che si avvia al sacrificio (v. 553), ma non c’è traccia del motivo dell’osservazione quasi perversa del dolore altrui, che invece in Seneca accomuna anche i Frigi i quali, con evidente paradosso, si affollano a vedere un funus che li riguarda da vicino, che è appunto suum (vv. 1129­1130 nec Troes minus / suum frequentant funus). La partecipazione corale di entrambi i popoli deriva dal XII libro dell’Eneide, dove è comunque indice di costruzione di un possibile futuro di coesistenza, non segna una frattura insanabile: sui rapporti con Virgilio valide osservazioni in Mader 1997, 323­326.102 Nelle Troades la critica ha recentemente individuato in modo molto efficace il mo tivo co mune a tutto il teatro senecano dello ‘spectare’ anche come forma di esacer bazione del nefas e come elemento metateatrale: segnalo in particolare gli studi di Leigh 1997,

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u trosque po pu los, vv. 1136­1137. È in silenzio Elena, come tace Polissena103: in questo modo spicca più forte il contrasto delle due figure femminili, anche perché entrambe procedono a testa bassa, (vv. 1133­1134 pronuba … Tyndaris, maestum caput / demissa104; vv. 1137­1138 ipsa deiectos gerit / vultus pudore), ma il passaggio di Elena nel ruolo di pronuba è addirittura ac compagnato da espliciti commenti di disprezzo105 di quel leve vulgus, che, accomodatosi clivo levi per assistere agli eventi more theatri (vv. 1123­1131), come stigmatizza acutamente Seneca per bocca del nuntius, odit scelus spectatque, e, parteggiando apertamente per Polissena, sono i vinti Frigi ad auspicare che ‘Tali nubat Hermione modo’ / Phryges pre cantur, ‘sic viro turpis suo / reddatur Helena’ (vv. 1134­1136). Alle parole sprezzanti rivolte ad Elena si contrappone per Polissena l’ac­

284­285; Mader 1997; Shelton 2000; Benton 2002; Schiesaro 2003, 235­243; Littlewood 2004, 240­258; Erasmo 2008, 40­53; Tschiedel 2008; Ker 2009, 131­134; Ariemma 2010; Moretti 2012; Mowbray 2012 (tutti gli studiosi citano a loro volta ulteriore bibliografia sul tema).103 Sul silenzio di Polissena, è da leggere l’analisi di Aricò 1995.104 Si potrebbe arrivare anche a pensare all’allusione ad un ‘finto’ atteggiamento di pudica mesti zia della turpis Elena, considerando quanto leggiamo in Sen. Epist. 11.7 Artifices scaenici, qui imitantur affectus, qui metum et trepidationem exprimunt, qui tristitiam repraesentant, hoc indicio imitantur verecundiam. Deic iunt enim vultum, verba summittunt, f igunt in terram oculos et deprimunt : ruborem sibi exprimere non possunt; nec prohibetur hic nec adducitur.105 Viene talvolta ricordata a confronto (così per es. Mader 1997, 341­342; Shelton 2000, 99) una famosa epistola di Seneca, la 7, dove si esamina a fondo il comportamento del pub blico negli spettacoli sanguinari del circo (senza eccedere nel confronto il ferus spectator di Tro. 1088 può essere non lontano dal Seneca involontariamente imbarbarito di Epist. 7.3 crudelior et inhumanior, quia inter homines fui); vorrei aggiungere che particolarmente interessante è anche il fatto che siano citati in forma diretta i commenti del populus, come nel nostro passo delle Troades: 7.5 ‘Sed latrocinium fecit aliquis, occidit hominem.’ Quid ergo? quia occidit, ille meruit ut hoc pateretur: tu quid meruisti miser ut hoc spectes? ‘Occide, verbera, ure! Quare tam timide incurrit in ferrum? quare parum audacter occidit? quare parum libenter moritur? Plagis agatur in vulnera, mutuos ictus nudis et obviis pectoribus excipiant.’ Le parole dei Frigi rimandano a motivi di esecrazione comuni per la figura di Elena a partire dalla teichoskopia iliadica, dove leggiamo, vv. 146­160, i commenti degli anziani che bisbigliano sull’apparizione di Elena, bella come una dea, ma che chiedono che «se ne vada via sulle navi, non rimanga più qui per la rovina nostra e dei figli», trad. Ciani. E così del resto anche nelle parole di Ecuba in Eur. Hec. 264­270, citato supra nel testo, la richiesta è la stessa: è Elena che deve pagare. Ma il popolo Troiano, che assiste in Seneca alle nozze sacrificali di Polissena, non esita a definire Elena turpis, un epiteto ingiurioso che risuonava già contro di lei per bocca di un’eroina così emblematicamente segnata dalla guerra troiana come la Laodamia delle Heroides, 13.133 Quid petitur tanto nisi turpis adultera bello? Per la turpitudo di Elena nella tragedia greca, vd. Eur. Tr. 773 αἰσχρῶς τὰ κλεινὰ πεδί᾽ ἀπώλεσας Φρυγῶν.

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cen tuazione della sua bellezza soprattutto attraverso l’evocazione del pudico splendore dei suoi occhi106, vv. 1138­1139 sed tamen fulgent genae magisque solito splendet extremus decor, «il suo sguardo scintilla più che mai», come ben traduce Caviglia, e quella bellezza che sa già di mor te è però soffusa di un fulgore più brillante, «come la vampa del sole che è sul punto di tramontare suole manifestarsi con più dolcezza, quando si avvicendano le stelle e la luce incerta del giorno è incalzata dal l’avvicinarsi della notte» (vv. 1139­1142). Ecco quindi che l’hymen fu nestus paventato, ma propiziato da Elena, si compie e con raffinato gusto letterario Seneca incastona nel racconto del messaggero un evi­den te tema lirico­epitalamico107 esaltando la bellezza virginale della spo­sa108 e paragonandola a fenomeni celesti, legati però qui non all’alba fo riera di gioie nu ziali109, ma ad un tramonto venato di dolce malinconia, con una luce ormai indistinta tra giorno e notte, come indistinti sono per

106 Per la sposa è atteggiamento consueto quello di abbassare la testa: vd. Hersch 2010, 65; 103.107 Sui motivi epitalamici, utile rassegna per la poesia greca offre Lyghounis 1991; sulla Medea senecana si sofferma con interessanti notazioni relative al complesso paragone della sposa con gli astri Bellandi 2010, 487­490 a proposito di Med. 95­98 Sic cum sole perit sidereus decor, / et densi latitant Pleiadum greges, / cum Phoebe solidum lumine non suo / orbem circuitis cornibus alligat (non confronta il nostro passo: infatti nessun com mento alle Troades ne sottolinea l’affinità con temi epitalamici). Su motivi simili per la figura di Ippolito, la sua bellezza e mors immatura, vd. anche Degl’Innocenti Pierini 2009, 267-271.108 Credo si possa imputare a questa volontà senecana di accentuare gli aspetti legati alla verginità rituale del falso matrimonio, assente in Euripide, il fatto che Seneca omett a un particolare della morte eroica di Polissena che del resto accompagnava le sue ul ti­me parole, Hec. vv. 556 ss., il lacerarsi della veste per mostrare e offrire al carnefice il seno, bellissimo come quello di una statua, per poi al momento del suo cadere a terra pu dicamente coprirsi per evitare sguardi maschili vv. 568­570 (sul tema, vd. Loraux 1988, 58­63; Scodel 1996, 121­126; Castellaneta 2013, 99­102); una scena questa che Ovidio aveva chia ramente evocato in Met. 13.477­480 illa super terram defecto poplite labens / pertulit in trepidos ad fata novissima vultus; / tunc quoque cura fuit partes velare tegendas, / cum ca deret, castique decus servare pudoris, ricordandola anche per la pudica Lucrezia dei Fasti 2.831­834 Nec mora, celato fixit sua pectora ferro, / et cadit in patrios sanguinulenta pedes. / Tum quoque iam moriens ne non procumbat honeste / respicit: haec etiam cura ca dentis erat. Il pesante cadere al suolo della silenziosa Polissena senecana, v. 1158­1159 cecidit ut Achilli gravem / factura terram, prona et irato impetu, è un «hostile act» come commenta acutamente Fantham 1982, ad loc. Per un’analisi della figura di Polissena nella tragedia greca, vd. Basta Donzelli 2008.109 Catull. 61.109­110 Sed abit dies: / prodeas nova nupta. Del resto nell’epitalamio di Elena la fanciulla, che va sposa a Menelao, è paragonata all’aurora, che mostra il suo bel volto: Theocr. 18.26­28.

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Polissena e per tutti gli astanti i confini tra rito nuziale e funebre. Infatti i commenti che seguono, questa volta riportati in forma indiretta, di­mo strano bene la compresenza di elementi tipicamente nuziali, come la lode della bellezza della sposa (v. 1144 hos movet formae decus), e fu ne­bri, da epicedio110, come l’esecrazione della mors immatura (v. 1145 hos mollis aetas), e la lamentatio sulle alterne e tragiche vicende umane (v. 1145 hos vagae rerum vices).

Il leve vulgus, che, come uno spettatore a teatro «odia il delitto, ma nello stesso tempo se ne fa spettatore partecipe» (v. 1128), è emoti va­mente coinvolto nel suo complesso: vv. 1147­1148 omnium mentes tre-munt111 / mirantur ac miserantur. Emerge qui evidente la traccia della teo ria aristotelica della catarsi tragica112, dove il mirari, la fun zione visi­

110 Noto en passant che questo elemento da laudatio funebris sembra avvalorare, a mio parere, l’autenticità dell’affermazione sentenziosa dei vv. 1143­1144 et fere cuncti magis / peritura laudant, che Zwierlein (vd. la sintesi delle argomentazioni in Keulen 2001, 520) espunge dal testo, come del resto già Fantham 1982, mentre Boyle 1994 è favorevole a man tenerli.111 Il v. 1147 è espunto da Zwierlein, che ampiamente argomenta in Zwierlein 1986, 112­114, ma più convincente mi pare la posizione di chi mantiene il verso come Fantham 1982, 380­381 e, pur con qualche dubbio, Keulen 2001, 521­522. A mio parere, ha molta im portanza che si mantenga il tricolon tremunt, mirantur ac miserantur, per cui vd. le con siderazioni svolte infra nella nota seguente e nel testo: in questo senso si pronuncia anche in breve Littlewood 2004, 256.112 Cenni nei commenti ad loc. di Fantham 1982, 380­381 e Boyle 1994, 231; vd. anche Schie­sa ro 2003, 243­251; Littlewood 2004, 256; Staley 2009, 89­92. Non entro qui naturalmente in merito alla complessa questione della definizione di catarsi e all’interpretazione di Poet. 1449 b 24­28; certo è che Seneca tocca temi simili nell’opera filosofica e sembra affidare al l’energia empatica, che si crea tra pubblico e pièce teatrale come ben argomenta Mazzoli 1970, 127: «la relazione simpatetica che viene a stabilirsi tra azione drammatica e situazione emotiva dello spettatore, per cui questi risponde analogicamente e in modo primordiale alle varie componenti affettive dell’intreccio», riferendosi in particolare a De ira 2.2.4-5 Cantus nos nonnumquam et citata modulatio instigat Martiusque ille tubarum sonus; mo-vet mentes et atrox pictura et iustissimorum suppliciorum tristis aspectus; inde est quod adridemus ridentibus et contristat nos turba maerentium et effervescimus ad a liena cer-tamina. Ci possiamo limitare a citare, senza pretese interpretative, semplicemente il con­fronto con Poet. 1452 a 1­7, dove emergono tutti e tre gli aspetti emotivi relativi agli spet­tatori delle Troades, tremere, mirari, miserari: ἐπεὶ δὲ οὐ μόνον τελείας ἐστὶ πράξεως ἡ μίμησις ἀλλὰ καὶ φοβερῶν καὶ ἐλεεινῶν, ταῦτα δὲ γίνεται καὶ μάλιστα [καὶ μᾶλλον] ὅταν γένηται παρὰ τὴν δόξαν δι᾽ ἄλληλα: τὸ γὰρ θαυμαστὸν οὕτως ἕξει μᾶλλον ἢ εἰ ἀπὸ τοῦ αὐτομάτου καὶ τῆς τύχης, ἐπεὶ καὶ τῶν ἀπὸ τύχης ταῦτα θαυμασιώτατα δοκεῖ ὅσα ὥσπερ ἐπίτηδες φαίνεται γεγονέναι. Del resto ancora Mazzoli 1970, 128 richiama De ira 2.17.1, dove ricorrono termini come metus e misericordia, ma, senza impegnarsi direttamente qui in un confronto con la poesia tragica senecana, mette anche giustamente in guardia contro una piatta identificazione delle teorie senecane con le tesi aristoteliche:

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va ‘attiva’ degli spettatori, si unisce al phobos e sfocia inevi tabilmente nel l’eleos, sentimenti estranei allo Stoicismo, che qui non è il caso co­mun que di invocare, perché si prende atto di passioni che sgorgano spon tanee in una folla che si lascia coinvolgere, quasi contagiare dalla vista del sacrificio di una vergine, simbolo anche della fine di una città; final mente si trovano uniti in un comune compianto vincitori e vinti, ma paradossalmente sono gli Achei a potersi permettere di esprimere più espliciti lamenti113, vv. 1160­1161 Vterque flevit coetus; at timidum Phryges / misere gemitum, clarius victor gemit «piansero entrambi i po­po li, i Frigi emisero un più fievole lamento, a voce più alta pianse il vincitore».

In nome della condivisione dello spettacolo del dolore si uniscono vin citori e vinti, solo Elena è sola.

Appendice114

un recupero tassiano: Sofronia e Polissena, consonanze e dissonanze

La storia della fortuna delle Troades senecane nella letteratura italiana mi pare ancora quasi tutta da scrivere115 (ammesso che ci sia ve­ra mente la possibilità di scriverla), ma questo bell’incontro con gressuale

vd. ancora Mazzoli 1970, 129­134. D’altra parte affermazioni non dissimili fanno parte del comune sentire antico anche nel considerare i rapporti tra eventi e partecipazione emotiva del popolo, come dimostra bene per Tacito Levene 1997; in particolare sulla questione teorica relativa a paura e pietà, vd. 128­133.113 Naturalmente non dimentichiamo quanto il nuntius aveva osservato per la morte di Astianatte: vv. 1119­1120 flevitque Achivum turba quod fecit nefas, / idem ille populus aliud ad facinus redit.114 Vorrei dedicare queste brevi considerazioni tassiane alla memoria di un grande ita­lia nista, Lanfranco Caretti, che mi onoro di aver avuto Maestro a Firenze e che in un me morabile corso mi ha fatto conoscere a fondo ed amare La Gerusalemme liberata; tra l’altro riprendendo in mano l’edizione del poema da Lui curata, trovo miei appunti del corso che mi confortano nella mia modesta lettura di questo torno di testo. Cito, per esem­pio, su Olindo e Sofronia notazioni come “eroismo erotico ed epico, sacro e profano”, “epi­sodio drammatico e teatrale”, “s’apre il sipario” (ad ott. 17), “duetto Sofronia­Aladino, con di dascalie teatrali”, “coro di popolo”(ad ott. 27 e 37). Del resto è stato recentemente do cu­men tato con grande approfondimento da Stein 2012, 55­151 come dall’episodio tassiano si siano originati numerosi testi drammatici nel XVII secolo: titolo del capitolo dedicato al nostro episodio è, significativamente, «Oh spettacol grande: Olindo e Sofronia, il rogo sul palco».115 Importanti e recenti approfondimenti si sono incentrati sul mito troiano in rapporto a Omero: vd. Ruggiero 2005; Prosperi 2013.

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ci ha dato la possibilità di approfondirla, soprattutto sul versante del le letterature europee. Proprio in virtù dell’interesse culturalmente sti mo­lante del nostro incontro ravennate, vorrei qui ora solo aggiungere una breve nota su un evidente recupero degli ultimi versi delle Troades sene­cane da me citati, vv. 1160­1161, Vterque flevit coetus; at timidum Phryges / misere gemitum, clarius victor gemit, in un importante episodio del II libro de La Gerusalemme liberata del Tasso. È stato il collega ispanista Giu liani nella sua relazione a citare i vv. 289­290, ottava 37, dell’episodio di Olindo e Sofronia a confronto con la tragedia Isabela di Lupercio Leo­nardo di Argensola116:

Qui il vulgo de’ pagani il pianto estolle: piange il fedel, ma in voci assai piú basse.

Colpita da tanto fedele recupero del testo senecano, ne ho cercato trac cia nei principali commenti al poema e soprattutto in studi, anche datati, tesi a mettere in luce le fonti classiche del poema117, ma non ne ho trovato cenno (come è ovvio data l’ampiezza della bibliografia, lo dico con la consapevolezza, e, oserei dire, quasi con l’auspicio di po­ter essere smentita): l’intarsio senecano in questo particolare snodo del l’episodio tassiano mi pare di grande rilevanza, perché nell’ottava pre cedente, 36, Sofronia, legata al palo del supplizio con Olindo, si era espressa invitando il giovane innamorato a pensieri più alti che l’amore, a soffrire il martirio in nome di Dio, a cercare la consolazione nel cielo, e questo suo atteggiamento suscita la compartecipazione affettiva degli astanti, siano essi fedeli o infedeli, con la sottolineatura che chi le è più vicino si trova costretto a manifestare più debolmente il suo lamento. Non solo, perfino il carnefice ha un’esitazione, che lo trasfigura: Pirro in Seneca, v. 1154 novumque monstrum est Pyrrhus ad caedem piger, e Aladino in Tasso, ott. 37, vv. 291­294 «Un non so che d’inusitato e molle / par che nel duro petto al re trapasse. / Ei presentillo, e si sdegnò; né

116 Vd. già l’edizione di Lupercio Leonardo de Argensola, curata da Giuliani, Zaragoza 2009, 320 e ancora Giuliani 2009, 93­106. Si veda il saggio di Giuliani in questo volume che sottolinea giustamente e per primo l’importanza della mediazione tassiana nella presenza delle Troades nella tragedia Isabela.117 Mi riferisco a studi, che tengono conto anche dei commenti più antichi del poema, come Multineddu 1895; Vivaldi 1893, che dedica alle fonti dell’episodio di Olindo e Sofronia molte pagine, 50­98; vd. anche le recenti note di sintesi di Bocca 2014, 360 n. 5 e Ferretti 2013, n. 32.

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volle / piegarsi, e gli occhi torse, e si ritrasse». Emerge anche in Tasso quella spettacolarità della virtù virginale, che abbiamo prima riscontrato nel discorso del nuntius senecano: simile il timore del popolo dei fedeli atter rito che teme una strage (Sen. vv. 1136­1137 Terror attonitos tenet / utrosque po pulos; Tasso, ott. 13, vv. 99­100, «ch’attoniti restàr, sì gli sor­prese / il timor de la morte omai presente»), simile anche la curiosità che spinge a farsi spettatori del supplizio118: Sen. vv. 1125­1126 Concursus frequens / implevit omne litus; vv. 1129­1130 nec Troes minus / suum frequentant funus; Tasso, ott. 17, vv. 129­130 «S’ode l’annunzio intanto, e che s’appresta / miserabile strage al popol loro»; ott. 27, vv. 209­210 «Divul gossi il gran caso, e quivi tratto / già ‘l popol s’era», fino alla subli mazione della coinvolgente e simpatetica esclamazione del poeta in ott. 31, vv. 243­244 «Oh spettacolo grande ove a tenzone / sono Amore e ma gnanima virtute!».

Nonostante l’innegabile allusività, quasi da traduzione emulativa119, appare quindi sottintesa, ma in certa misura direi volutamente dissi­mu lata dal poeta, la lontana filiazione di Sofronia da Polissena e quindi dal la tragedia delle Troiane: nel quadro di una comune situazione con­flittuale nella quale emergono crudeltà e tirannia, ci troviamo di fronte

118 Non escluderei che l’immagine del popolo dei vinti e dei vincitori, che assiste nelle Troades senecane more theatri alle vicende conclusive della guerra troiana, possa essere echeggiata nella memoria del Tasso quando verso la fine del poema descrive Solimano, che sale sulla torre di Gerusalemme e osserva la battaglia che si combatte sotto le mura: GL 20.73.577­584 «Or mentre in guisa tal fera tenzone / è tra ’l fedel essercito e ’l pagano, / salse in cima a la torre ad un balcone / e mirò, benché lunge, il fer Soldano; / mirò, quasi in teatro od in agone, / l’aspra tragedia de lo stato umano: / i vari assalti e ‘l fero orror di morte, / se i gran giochi del caso e de la sorte».119 È interessante ricordare a questo proposito che Tasso rielabora, con pochi adattamenti, anche un famoso verso di Properzio dell’elegia di Tarpea 4.4.32 et formosa oculis arma Sabina meis per Erminia GL 6.104 «O belle a gli occhi miei tende latine!», in un episodio che, come osserva Tellini 1994, cui si rinvia anche per ulteriore bibliografia, ha solo qualche punto di contatto col modello latino; mi sembra perfettamente condivisibile e adattabile anche al nostro caso il commento di Tellini 1994, 76­77: «importa osservare che quell’unico, scoperto e vivido, rinvio properziano di 6.104.2 («O belle a gli occhi miei tende latine!») non può non essere letto che come citazione ammiccante, allusiva nel senso inteso da Pasquali: un invito al lettore perché consideri il trattamento speciale a cui la materia classica è stata sottoposta, perché misuri lo scarto dal modello, anzi la sua metamorfosi profonda, e valuti e soppesi gli esiti inediti che sono stati raggiunti». Analisi convincenti e ben documentate sulle tecniche allusive del Tasso nel volume di Ruggiero 2005, in riferimento soprattutto ai classici greci (segnalo in particolare «la re­to rica dell’allusione» alle pp. 5­6).

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nei due casi al sacrificio di una vergine, volontario per la martire cri­stia na, imposto per la figlia di Priamo, ma poi affrontato da entrambe con piena e forte consapevolezza. Se però andiamo a rileggere l’episodio tas siano, che non parafraso data la notorietà, pochi tratti mi paiono pas­si bili di evocare tracce di suggestioni senecane120 di un qualche peso, non paragonabili comunque alla palpabile evidenza evocativa dei versi prima citati. L’elemento più significativo, ancorché piuttosto banale, è l’atteggiamento di pudore121, che in entrambe le eroine si palesa nell’ab­

120 Non è certo possibile entrare qui in merito alla presenza di Seneca in Tasso, un au­to re certo poco citato e addirittura dissimulato nella famosa valutazione negativa del pro prio stile come «parlar disgiunto», quando nella lettera a Scipione Gonzaga del 1 ottobre 1575 (L.P. 27.18, 225 Molinari), riferendosi a memoria ad un famoso aneddoto relativo a Cali gola (Svet. Cal. 53 lenius comptiusque scribendi genus adeo contemnens, ut Senecam tum maxime placentem ‘commissiones meras’ componere et ‘harenam esse sine calce’ diceret) attribuisce il dictum non a Seneca, ma a Virgilio, il suo ‘divinissimo’ poeta. Commenta meglio di tutti il significato profondo del lapsus Raimondi 1980, 57: «Dalla sovrapposizione intanto viene fuori una sigla di gusto, quello senechiano, proprio sulla linea di un nuovo classicismo drammatico»; secondo Raimondi, anche se non in modo esplicito, il gusto tassiano deriva quindi da un classicismo anticiceroniano, che s’identifica col senechismo, con l’eloquenza delle minutissimae sententiae, cioè una bre vità nervosa e scandita. Ovviamente Seneca tragico è autore la cui lettura emerge nel Torrismondo, e, come documentano le note di Martignone 1993, sono soprattutto la Phaedra e la Medea ad essergli state presenti: non ho fatto certo ricerche approfondite ed esaustive, ma pochissimi mi paiono i casi di riprese letterali (e spesso vengono citati a confronto passi non sempre congrui). Inoltre solo una volta, mi pare, si occupa di Se neca ne I discorsi del poema eroico, affermando: «E se gravissima è la tragedia, niun’altra avrebbe maggior bisogno che la sua soverchia severità fosse temperata con la pia cevolezza d’amore. Né questa piacevolezza ricusò di darle Euripide ne la sua Fedra; e di poi Seneca ne l’Ippolito». Per la Liberata, Vivaldi 1907, 44­46 fa una rassegna, peraltro molto sommaria, delle fonti greche e latine, ma Seneca tragico non è citato, mentre c’è Lu cano; per quanto riguarda le Lettere, l’unico passo è quello che ho già citato qui sopra (troviamo conferma indiretta nell’assenza di opere senecane in Basile 2000). Si è voluto far dipendere La lettera sul matrimonio (n. 414 dell’edizione Guasti) dal perduto De matrimonio senecano (vd. l’edizione curata da V. Salmaso, Padova 2007, per es. XX; 16), ma mi pare che la que stione andrebbe ulteriormente approfondita. Non ho analizzato la restante produzione del Tasso: solo mi sembra utile ricordare che, per quanto riguarda I dialoghi, numerose citazioni dal De clementia, non letterali, ma parafrasate, si leggono ne Il Costante overo de la clemenza: più interessanti per noi le citazioni da Seneca tragico ne Il Porzio overo de le virtù, dove cita Sen. Thy. 344­349; 380­390 (cioè famose sequenze corali che iniziano rispettivamente con Regem non faciunt opes […]; Mens regnum bona possidet […]) introducendo i versi come «sentenze maravigliose e piene di gravità» e contrapponendoli a versi della Phaedra, vv. 132­135, che sono vituperati come parole che «da la bocca di un vilissimo istrione, vinto da concupiscenza, possono ancora uscire».121 Sul tema del pudore nell’episodio una bella analisi offre Ferretti 2013; cito da p. 12: «In modo alquanto reticente, infatti, il narratore suggerisce che Sofronia sia non solo

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bas sare gli occhi (Sen. 1137-1138 ipsa deiectos gerit / vultus pudore; Tasso 18, v. 138, «raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta»), e poi si tra sforma in una forza virile (Sen. 1146 movet animus omnes fortis et leto obvius, 1151 audax virago non tulit retro gradum , vv. 1153­1154 con versa ad ictum stat truci vultu ferox. / Tam fortis animus omnium mentes ferit; Tasso 19, vv. 145­148 «Mirata da ciascun passa, e non mira / l ’altera donna, e innanzi al re se’ n viene. / Né, perchè irato il veggia, i l piè ritira, / ma il fero aspetto intrepida sostiene», passo nel quale l’am mirazione suscitata negli astanti, pur elemento molto presente e topico in poesia italiana, sembra dovere qualcosa anche al passaggio di Polissena in Seneca, vv. 1143­1145 stupet omne vulgus […] hos movet formae decus, / hos mollis aetas.

Altri elementi strutturali e generativi del plot tassiano sono certo più opinabili e sfuggenti, ma mi sembra utile almeno suggerirli: il du pli­ce sacrificio di due giovani eroici, Olindo e Sofronia, può trovare un pre­cedente in Seneca dove, prima di Polissena, il popolo assiste commosso al sacrificio di Astianatte eroico suicida (vv. 1090­1103); essi subiscono divisi il martirio, ma sono accomunati idealmente nel loro atteggiamento fiero e nelle reazioni degli astanti nella parte finale della tragedia senecana122, mentre in Euripide i due sacrifici si compiono, come ben sappiamo, in due distinte tragedie, Troiane e Ecuba. Inoltre il tema dell’amore così cen trale in Tasso, ma tanto discusso dal poeta stesso e dai revisori del suo poema, viene sublimato nel finale tassiano dove l’irrompere sulla scena di Clorinda (ott. 38.1­2 «Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero / (ché tal parea) d’alta sembianza e degna»), vero e proprio deus ex machina, porta ad un repentino lieto fine (ott. 53.1­2 «Avventuroso / ben veramente fu d’Olindo il fato»), sacralizzato dalle nozze (ott. 53.5 «Va dal rogo alle nozze»123): una sorta di implicita oppositio in imitando

pudica, ma anche consapevole del proprio fascino. Al contrario di Armida, tuttavia, la quale si proporrà di sedurre i nemici dissimulando l’impudicizia, Sofronia, che è “l’alternativa cristiana di Armida”, mette al servizio della vocazione al martirio anche l’eros involontariamente promanato dalla propria persona, lasciando – non è dato sapere se ad arte oppure no – che esso parli in favore di sé». Una lettura come quella di Yavneh 1999 si colloca invece più sul piano delle valutazioni antropologiche e dell’intenzionalità dell’autore, senza indagare sugli aspetti più propriamente letterari.122 Vd. v. 1167 concidit virgo ac puer, che accentua una sorta di simultaneità ideale degli eventi.123 Si veda del resto già l’ottava 34: «Altre fiamme, altri nodi Amor promise, / altri ce n’apparecchia iniqua sorte […] Piacemi almen, poich’in sí strane guise / morir pur déi,

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rispetto alla tragedia senecana, dove Elena contribuisce ad ordire la tra­ma delle finte nozze, svelata a Polissena e al popolo solo nel finale del dram ma. E del resto che qui Tasso, trasgredendo in qualche modo i rigidi con fini tra generi letterari, che lui stesso discute nei suoi scritti teorici, si modelli non sull’epica, ma sulla tragedia appare qualcosa di singolare e quindi, credo, per questo volutamente dissimulato dal poeta124: un ac­cen no sintomatico è l’accusa rivolta al finale dell’episodio incriminato «ulti mamente, che la soluzione fosse per machina»125.

Fin qui le consonanze, ma emergono forti dissonanze rispetto alla tra gedia senecana, in primis l’eloquenza di Sofronia che si contrappone certo al silenzio di Polissena, nonché l’insistenza sul suo aspetto fisico, caratt erizzato da pudore e fierezza quasi virile, ma non certo privo di nota zioni ispirate da una morbida sensualità126, tale da attrarre il giovane Olin do, che si esprime anche col linguaggio consono alla poesia d’amore, pur nel legame dei tormenti. Vorrei considerare proprio quest’ultimo aspett o che mi pare suggerire un’ulteriore prova della presenza del sacri­ficio di Polissena: infatti qui, a mio parere, è il ricordo dell’Ecuba euri­pidea, che appare riesumato dalla fantasia creativa tassiana, giacché la Polissena euripidea non solo è creatura eloquente, ma dotata di una fisi­

del rogo esser consorte, / se del letto non fui; duolmi il tuo fato, / il mio non già, poich’io ti moro a lato».124 Val la pena ricorrere alla sensibilità di lettura di Raimondi 1980, 76 e ss.: «a sfogliare l’epi stolario tassiano del ‘75­’76, gli anni di revisione della Gerusalemme, si resta colpiti dal l’insistenza dei riferimenti al modello drammaturgico»; numerosi «in fondo i confronti isti tuiti dal Tasso in alcune sue lettere con i testi drammatici di Sofocle e di Euripide, a fronte di quelli dell’epos omerico e virgiliano»; «l’ethos del personaggio si specifica e si colorisce mediante il pathos della sua performance in uno spazio teatralizzato». Un esempio significativo di interferenze tragiche, Reso e Filottete, su tessuto iliadico è analizzato da Ruggiero 2005, xvii-xviii; dello sviluppo drammatico delle vicende di al cu­ni personaggi della Liberata tratta con amplissima documentazione Stein 2012.125 Vd. Tasso, Lettere poetiche, Molinari 1995, 339­340: «In quanto all’episodio di Sofronia, ho pensato di aggiungere otto o dieci stanze nel fine, che ’l farà parer più connesso; e di quel le sue nozze farò come vorrano. In ogni modo quella stanza, ‘Va dal rogo a le nozze’, avea da esser mutata».126 Nella descrizione dell’ott. 18, vv. 141­144 «Non sai ben dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose. / Di natura, d’Amor, de’ cieli amici / le negligenze sue sono artifici», traspare, a mio parere, un’eco delle strategie seduttive, che dall’Ars ama-to ria ovidiana si irradiano poi in tanta poesia italiana: basti citare per l’opposizione ars / ca sus in Ov. Ars 3.153-156 Et neglecta decet multas coma; saepe iacere / hesternam credas; illa repexa modo est. / Ars casum simulat; sic capta vidit ut urbe / Alcides Iolen, ‘hanc ego’ dixit ‘amo. Per echi ovidiani nelle parole di Olindo, vd. Ferretti 2006, 176­177.

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cità prima esibita, e poi pudicamente nascosta, come si conviene ad una vergine127. C’è anche qui un popolo ed un re, Agamennone, vv. 553 ss., c’è un giovane, che pur votato a sacrificare la fanciulla, non rimane im­mu ne dal fascino del gesto di svestirsi il seno e dalle parole (vv. 533­534 «volendo e non volendo per pietà della fanciulla, recide col ferro le vie del respiro»).

Il Tasso, acuto percettore di dissonanze, si fa interprete di questa evi­den te contraddizione della rappresentazione della fanciulla sottoli neando la compresenza di pudore e plastica carnalità, nella stretta della tortura, nel la percezione di una bellezza il cui candore fa baluginare in lontananza il ricordo della statua cui è assimilata la Polissena euri pidea128, ott. 25­26, vv. 197­208:

Non speri piú di ritrovar perdonocor pudico, alta mente e nobil volto;e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudodi sua vaga bellezza a lei fa scudo.Presa è la bella donna, e ’ncrudelitoil re la danna entr’un incendio a morte.Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito,stringon le molli braccia aspre ritorte.Ella si tace, e in lei non sbigottito,ma pur commosso alquanto è il petto forte;e smarrisce il bel volto in un coloreche non è pallidezza, ma candore.

Non ci meraviglia la presenza dell’Ecuba euripidea nella filigrana tas siana, perché Euripide è autore ricordato anche nelle Lettere129 e in un luogo del III libro de I discorsi del poema eroico (p. 612 Mazzali) si

127 Rimando alla trattazione del motivo e ai passi citati nella n. 108. Un tipo di sensibilità chia roscurale, che emerge benissimo nelle arti figurative: penso qui al famoso dipinto di Pie tro da Cortona Il sacrificio di Polissena, circa del 1630, che è conservato a Roma nei Musei Capitolini.128 L’immagine risale fino al Petrarca Triumphus Mortis, 1.166 ss. «Pallida no, ma più che neve bianca»; il passo tassiano si va ad aggiungere all’ampia rassegna di Feo 1975, 321­361. Un significativo accordo anche con Lodovico Dolce nella cui Hecuba leggiamo per Polissena, vv. 1411­1412 «Venir si vide su quel punto estremo / pallido no, ma più ch’a vorio bianco» (consonanza che integra significativamente quelle rilevate nell’analisi di Giazzon 2011a).129 Si legga Epist. 87 nell’edizione Guasti (Firenze 1852): «Ma tre sono le tragedie in Eu ripide, in cui l’unità è una di molti; e sono le Fenisse, le Supplici e le Troiane: e sono al meno le Fenisse e le Troiane, de le più belle, de le più care, quelle che sono state più sti mate e più piacciono».

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ri ferisce in modo esplicito alla Polissena euripidea, ma citandola nel la traduzione latina di Erasmo da Rotterdam, che pare il suo modo con sue­to di utilizzo di quei testi tragici130:

E che da l’ombre de’ morti fosse ricercata la vendetta e ’l sagrificio d’umana vittima, si conferma co’l testimonio d’Euripide ne l’Ecuba, ne la quale è scritto che l’ombra d’Achille dimandava d’esser placata co’l sangue di Polissena, come si raccoglie da que’versi:

Namque e sepulchro visus Aeacides suo,Argivum Achilles tenuit omnem exercitumremum ad penates dirigentem ponticum.Meam is sororem postulat Polyxenam.

Proprio il fatto che Tasso legga Euripide nella traduzione latina di Erasmo ci conferma nel considerare probabile l’interferenza e/o la so­vrap posizione nella sua memoria della saga di Polissena nella versione eu ripidea con quella senecana131: un modo di affrontare il tema troiano che condivide con Lodovico Dolce, traduttore di Seneca e autore in pro­prio di drammi132 di ambientazione troiana come l’Hecuba e le Troiane133.

E il cerchio si chiude, almeno per ora134, leggendo le parole del Tasso in una famosa lettera poetica allo Scalabrino, 30:

Ma per consolazion vostra et anco del Signore, da i quali so ch’è amato altrett anto il mio poema quanto da me, dirò questo solo: che, se l’unità di molti è lecita nella tragedia, molto maggiormente deve esser lecita

130 Quando in una lettera richiede le opere di Euripide si riferisce a traduzioni latine: vd. Basile 2000, 236, che cita la lettera 682 Guasti ad A. Mori dove parla di «Euripide latino». 131 Vd. l’ampia trattazione di Giazzon 2008, in particolare 16­18 e nn. 56­57.132 Vd. Giazzon 2008, passim (sulla morte di Polissena vd. in particolare 365­368); Giazzon 2011b.133 Lodovico Dolce nella prefazione della sua tragedia Troiane datata 1566 afferma di se guire Seneca, ma di distaccarsene quando lo ritiene più opportuno; cito letteralmente la parte che più ci interessa (da una copia on line dell’edizione di Venezia 1567): «A pro­po sito di Giorgio Gradinico, gentilhuomo adorno di belle lettere, e dottato di finissimo giu dicio mi esortò a ridur nella nostra lingua, anzi più tosto a far mia la presente Tra­ge dia; ottenendo la latina tra le altre tragedie di Seneca il medesimo principato, che tra quelle di Sofocle tiene l’Edippo. Laonde essendomi io valuto solo della inventione, e di quello, ch’o stimato il migliore della sua tragedia, e dettatala nella guisa ch’è paruto al mio debole ingegno senza obligarmi a cosa di Seneca». Particolarmente evidente il divario con Seneca nel quarto atto, quando assistiamo ad un dialogo anche tra Elena e Polissena per convincere la fanciulla alle finte nozze: è evidente l’intento di ridare spes­sore alla figura di Polissena. Sulla presenza nelle Troiane di Dolce di Euripide e Seneca, vd. Giazzon 2011b, 24.134 Mi auguro di poter ritornare in seguito sul tema con un esame più ampio della pre­sen za, esibita o dissimulata, di Seneca in Tasso.

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nel l’epopeia: così prova ogni ragione, se ben vi mancano auttorità; autto­rità, dico, di poeti, non di luoghi d’Aristotele. Ma tre sono le tra ge die in Euripide, in cui l’unità è una di molti; e sono le Fenisse, le Sup plici e le Troiane: e sono, almeno le Fenisse e le Troiane, delle più belle, delle più care, quelle che sono state più stimate e più piacciono. Or, per che dia volo (se ben non ci è essempio di chi l’abbia fatto in epopeia, se non quello d’Apollonio, di Stazio e di Quinto Calabro, che non son del­la prima bussola, come Euripide) per che diavolo, dico, non deve esser lecito nell’epopeia? Mi risponderai: Aristotele non loda sempre Eu ri­pi de nella constituzione della favola. È vero; ma, avendolo ripreso in par ticolari di minor importanza, l’avria ripreso in questo che tanto im­porta. E sì come disse ch’aveano errato coloro ch’aveano scritte le mol te attioni di Bacco e di Teseo, così anco, se l’avesse stimato difetto, avria detto ch’erra Euripide, ricevendo nelle Fenisse Eteocle e Polinice, co m e persone egualmente principali, e com’egualmente principali, per un’al­tra considerazione, Edippo e Iocasta. E più chiaramente avria det to ch’erra nelle Troiane e nell’Ecuba (or mi sovviene), ove Polis­se na, Polidoro, Astianatte, Ecuba, Andromache, Elena sono persone niente più unite in una considerazione, e forse meno che non sono nel mio poema Goffredo, Rinaldo, Tancredi, etc. Leg gan­si quelle tragedie e considerisi e vedrassi ch’io sono un uomo da bene.

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ABSTRACTS

Valeria Andò, Guerra, politica e funzione poetica tra Troiane e Ifigenia in Aulide.This paper examines the political meaning of Euripides’ Trojan Women through

a comparison with Iphigenia in Aulis by focusing on the representation of the death of two innocent victims. While the meaning of the death of Astyanax (which seals the destruction of Troy) is very clear, the representation of the sacrifice of Iphigenia is rather ambiguous. From the war of Troy as mythical paradigm (reused by Euripides in different ways) one can draw indications on the author’s critical stance regarding the war and his role as a poet.

Neil Croally, Troades’ remarkable Agon.The agon in Euripides’ Troades has aroused much scholarly interest. It has often

been noted – sometimes disparagingly – how different the scene is to the rest of the play, which is notable for its grimness and the extremity of suffering depicted. In this paper I argue that the agon, coming as it does after Asyanax has been led away to be executed, is necessary emotional relief for the audience, while at the same time it con-tinues to explore the issues represented and examined elsewhere in the play. I also argue that Euripides develops a category of the comically inappropriate and grotesque, an example of which is the joke in the agon. Other examples of such a category in Euripides are briefly looked at; similar instances are noted in Seneca and in recent American film.

Giovanni Fanfani, Moduli di rappresentazione corale nelle Troiane di Euripide.This contribution explores the function of the choral voice and the mechanisms of

choreia in Euripides’ Trojan Women as displayed both by the stasima and, less conven­tionally, by the lyric monodies of the play. Through well­known devices like choral self­referentiality and choral projection, and by means of a pervasive use of musical imagery, Euripides dramatizes the theme of the end of a tradition of Trojan choreia, continuously evoked and reenacted by the chorus (as an ensemble of singers­dancers, and as lyric narrator) and by the actors in their songs, and the emergence of the paradoxical mousa thrēnōn (Muse/music of lament).

Alfredo Casamento, Due padri, due figli: moduli drammatici ‘al maschile’ nelle Troiane di Seneca.

In Seneca’s Troades the female component plays a prominent role; nevertheless the tragedy stages, with an evident reduplication, two exemplary cases of male pairs con­sisting of a father and a son: Achilles and Pyrrhus on the one hand, Hector and Astyanax

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on the other. The paper deals with this issue, according to the idea that Seneca composes the drama by re­reading the myth in the light of a crucial aspect of the Roman thought such as the inheritance of values and patterns of behavior that passes from father to son.

Rita Degl’innocenti Pierini, Hymen funestus: i paradossi di Elena nelle Troades senecane.

Though a figure characterised by a minor dramatic role and by a certain lack of co-herence in her psychology, Helen in Seneca’s Troades is definitely conscious of her long ‘literary history’. The oxymoron in the iunctura hymen funestus seems to point, from the very beginning, to the paradoxical complexity of the Helen myth, which Seneca inherits from the Roman rewritings of Greek drama. The stress on the language of marriage rites seems, in fact, to hint at a thick web of allusions to Greek tragedy that underline the author’s will to recall the topos of ‘death in marriage’.

Gianni Guastella, Fata si poscent: la costruzione dell’intreccio nelle Troades di Seneca.

In 1559, Jasper Heywood, the first English translator of Seneca’s tragedies, defined the Troades as an ‘imperfect’ tragedy. Which flaws did he find in it? And which flaws have modern interpreters found in it? And on what grounds, on the other hand, has re-cent scholarship praised the literary and dramatic features of this tragedy? The analysis of a pivotal passage in the Troades serves as a brief reflection on the changing of the ‘critical taste’ in the centuries.

Thomas D. Kohn, Combat Trauma and Seneca’s Troades.Recently, scholars have taken to examining such ancient authors as Homer, Plato

and Xenophon for signs of Post Traumatic Stress Disorder (PTSD). This is being done not only to illuminate the texts in question, but also in the hopes that it can aid those suffering from PTSD to better deal with their condition and more easily reintegrate into society. A close reading of Seneca’s Troades reveals that the eponymous Trojan women present many symptoms of PTSD. Recognizing that the Chorus and others suffer from this mental disorder can explain many of the issues that critics have objected to in the play, offer insight into the characters, and possibly provide direction for staging certain elements of the tragedy.

Giuseppina Brunetti, Per la ‘riscoperta’ europea delle tragedie di Seneca: note sulle Troiane in alcuni manoscritti e commenti medievali.

The essay explores the manuscript tradition of the tragedies of Seneca, in particular the one dating from the 14th century, and the role of Bologna in the textual transmission, as shown by the manuscript Biblioteca Universitaria di Bologna, nr. 2219. The focus of the essay then shifts to the discussion of some important manuscripts of the Troades, with particular regard to a text transmitted by the mss. Vat. Lat. 1769, Urb. Lat. 355 and Vat. Lat. 1650 (which are here collated). The end deals with an example of Petrarch’s particular interpretation of the Troades and with the review of three significant loci of Seneca’s tragedy.

Antonio Ziosi, Il fantasma del modello. Le umbrae delle Troades sui bastioni di Elsinore e i «Polacchi in slitta».

Although the philological claim of reconstructing a classical ‘model’ for most Renaissance tragedies seems to have waned, Senecan drama and its multifarious recep­tion are still inescapable for the analysis and the understanding of modern tragic forms.

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This paper seeks to show how ‘reception’ can even concur to the ecdotics of a modern ‘text’: the intertextual rhetoric of Seneca’s description of the ghosts, in Troades, can help us read the text (and the ghost) of Shakespeare’s Hamlet and emend a notorious crux.

Maria Paola Funaioli, Le Troiane in Francia tra xvi e xvii secolo.The great fortune of this tragic theme largely depends on its flexibility. It started, in

Garnier’s Troade, as a moral and politic apologue; then, in accordance with the medieval French traditions, it was developed with the expansion of the amorous elements, with the addition of modern gallantry and bienséance. Almost always the endings had con-solatory elements, that feature even in the last tragedy, by Chateaubrun, a complicated plot showing the cruelty of war. These traits were joyfully parodied by Vadé.

Luigi Giuliani, Le Troiane di Seneca nel Siglo de Oro spagnolo: dall’imitazione frammentaria alla traduzione.

If compared with the importance (and the number) of tragedies in the Italian, French and English Renaissance, the tragic genre in the Spanish Siglo de Oro is puz-zlingly less explored. This paper examines, on the one hand, the scant intertextual pres-ence of Seneca’s Troades in the works of the so­called Philippine playwrights (written towards the end of the reign of Philip II). On the other hand, it considers Jusepe Antonio González de Salas’ translation and analysis of the play: a daring attempt to combine the classical heritage of Senecan drama and the features of the flourishing Tragedia Nueva of the 1620s and 1630s.

Martina Treu, Quattro donne, un coro: Euripide destrutturato. Riscritture e allesti-men ti recenti delle Troiane.

The title refers to a recent trend in the reception of Euripides’ Trojan Women, a tragedy which may be adapted with many possible variations and combinations of an-cient and modern texts, sometimes divided ‘in fragments’ and rebuilt, in order to exploit the possibility of having single actresses playing the main female roles (Christa Wolf’s Cassandra, or the solo voices of Hecuba, Cassandra, Helen, Andromache in Mitipretese’s production), but also to enhance choruses of great effect (for instance the international production directed by Thierry Salmon, 1988, or the 2004 Italian adaptation written by Laura Curino and directed by Serena Sinigaglia).

Gianluca Tusini, Eredità delle Troiane nell’arte contemporanea: macerie della postmodernità.

In the history of contemporary art, especially in the Nineteenth century, but also in the early Twentieth, the stories told by Euripides in Trojan Women are painted and sculpted by important artists. However, for the most part, these are portraits of the pro-tagonists of the diaspora, an exile that follows a prosopographic criterion, sometimes expressed on robust compositions of ‘pittura di istoria’. The works of Gavin Hamilton, Antonio Canova, Heinrich Fussli and Richard Leighton are remarkable in this sense, while in the early Twentieth century the figures of Hector and Andromaca obsessively inspired De Chirico’s imagination. However, the inheritance of pain and death that the women of Troy carry with them, allows the art historian to broaden his research. The ancient myth is thus combined with the most popular themes in contemporary artistic research, such as the fragility of the female condition, masterly interpreted by Marina Abramovic, with regard to the tragic events of the last century, while the rubble of the war is seen in its sacred silence by Anselm Kiefer.

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Roberto Danese, Le Troiane di Euripide e di Vittorio Cottafavi.In 1967 the director Vittorio Cottafavi produced the TV movie Le Troiane from

Euripides. He used the ‘classical’ Italian translation by Enzio Cetrangolo, but also created an original film adaptation, inspired by Brecht’s conception of staging ancient drama. He did not use costums or set design, but relied only on the simple performance of the actors, highlighted by the shooting technique. The absolute sense of tragedy is perceived by the audience through emotional engagement and imagination. This is how the Trojan war becomes every war, and the pain of the Trojan women becomes the pain of every victim of every war.

Giacomo Manzoli, Bigger than theatre: le dive troiane di Michael Cacoyannis.This essay focuses on how the Greek director Michael Cacoyannis adapted Euripides’

tragedy into a typical Hollywood drama, mostly based on the appeal of a quartet of in-ternational female stars (Hepburn, Redgrave, Bujold and Papas). The following issues are targeted: the figure of Cacoyannis as an amblem of Greek culture in the field of the emerging world cinema of the late Sixties and Seventies; differences and similarities between the original Broadway version of The Trojan Women that Cacoyannis himself had staged in 1963 and the movie; the critical reception of the latter; the use of the play as a political metaphor to tell the situation of Greece during the Regime of the Colonels; how the director works on the body of hese actresses in the attempt to shape Euripides’ characters as ‘updated’ symbols of oppression in popular culture.

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ISBN 978-3-487-15373-5

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Il mito fondativo della caduta di Troia, nel suo passaggio dall’epos al teatro, ha dato origine a due tra le tragedie più commoventi e per-turbanti della letteratura classica. Le Troiane di Euripide e di Seneca mettono in scena, infatti, il dram-ma della guerra – e quello ancor più spietato dei postumi della guerra – dalla prospettiva di chi è sconfitto due volte: le donne e gli innocenti, vittime sia della morte (dei mariti, dei padri, dei figli), sia della vita, che li costringe a sop-portare ulteriore violenza, morte e schiavitù. I saggi raccolti in questo volume analizzano diversi aspetti letterari delle due tragedie ed esplorano snodi fondamentali della loro ricezione e della loro fortuna critica: dal momento del-la riscoperta delle forme tragiche nel rinascimento europeo all’arte moderna e contemporanea, dal-le riletture cinematografiche alle messe in scena del teatro contem-poraneo, fino all’analisi dei testi alla luce delle moderne categorie dei Trauma Studies.

The foundational myth of the fall of Troy, in its movement from epic to drama, has given rise to two of the most moving and unsettling tragedies of classical literature. The Trojan Women by Euripides and by Seneca stage the tragedy of war – and its even more ruthless af-termath – from the perspective of its victims, women and innocent children, who are defeated both by death (the death of husbands, sons, fathers) and by life itself, which forces them to suffer further violence, further death and slavery. The essays collected in this volume analyse different literary aspects of the two plays and explore pivotal moments in their reception and their critical assessment. They range from the rediscovery of tragic forms in the European Renaissance to modern and contemporary art, from cinema to contemporary theatre performances, even up to textual analysis in the light of Trauma Studies theory.

Citti / Iannucci / Ziosi (ed.)

Troiane classiche e contemporanee

Troiane classiche e contemporaneea cura di Francesco Citti, Alessandro Iannucci e Antonio Ziosi