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C. A. HELVETIUS
Dello spirito (1758)
Traduzione di Franco Virzo
(2006)
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Titolo originale: De lesprit 1( 1758)
Di C. A. Helvtius (1715-1771)
Traduzione di Franco Virzo (2006)
Traduzione condotta sul testo tratto dal database di Frantext
realizzato da: Institut National de la Langue Franaise (INaLF)
Prefazione
1 La parola francese esprit lequivalente delle differenti parole
italiane: spirito, mente, intelletto, ingegno, pensiero, animo,
umore, carattere, attitudine ecc. Nella traduzione del presente
testo, ho scelto il termine che mi sembrato pi adatto a rendere,
volta per volta, il pensiero dellautore. Sar, poi, lo stesso
Helvtius a chiarire, nelle pagine che seguono, ci che, a suo
avviso, deve pi propriamente intendersi per esprit, principale
oggetto di questa sua opera. (ndt)
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Loggetto che mi propongo desaminare in questopera interessante;
per di pi nuovo. Fino ad ora lo spirito stato considerato soltanto
sotto alcuni suoi aspetti. I grandi scrittori non hanno fatto altro
che gettare un colpo docchio rapido sulla materia, ed ci che
mincoraggia a trattarla. La conoscenza dello spirito, quando si
prende questa parola in senso lato, cos strettamente legata alla
conoscenza del cuore e delle passioni delluomo, che era impossibile
scrivere sullargomento, senza parlare almeno di quella parte della
morale comune agli uomini dogni nazione, e che pu avere, nei
governi, soltanto il bene pubblico come oggetto.
I principi che pongo sulla materia sono, penso, conformi
allinteresse generale e allesperienza. Dai fatti risalgo alle
cause. Ho creduto di dover trattare la morale come tutte le altre
scienze, e di far morale come la fisica sperimentale. Ho ceduto a
questidea solo per la persuasione che ho che qualsivoglia morale i
cui principi sono utili al pubblico necessariamente conforme alla
morale della religione, che soltanto il perfezionamento della
morale umana. Per il resto, se mi sono sbagliato, e se, contro la
mia aspirazione, alcuni dei miei principi non fossero conformi
allinteresse generale, sarebbe un errore della mia mente e non del
mio cuore, e dichiaro in anticipo di sconfessarlo.
Chiedo solo una grazia al mio lettore, ed dascoltarmi prima di
condannarmi, di seguire il nesso che lega insieme le mie idee,
dessere giudice e non avversario. Questa richiesta non leffetto di
uningenua fiducia; ho troppo spesso ritenuto sbagliato la sera,
quello che avevo ritenuto buono il mattino, per avere unalta
opinione dei miei lumi.
Forse ho trattato un soggetto al disopra delle mie forze: ma,
quale uomo conosce tanto se stesso da non presumerne troppo? Almeno
non dovr rimproverarmi di non aver fatto ogni sforzo per meritare
lapprovazione del pubblico. Non ottenendolo, ne sar pi addolorato
che sorpreso: in questo genere di cose non basta desiderare, per
ottenere.
In tutto ci che ho detto, ho cercato soltanto il vero, non
soltanto per lonore di dirlo, ma perch il vero utile agli uomini.
Se me ne sono
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allontanato, trover proprio nei miei errori motivi di
consolazione, se, come dice De Fontenelle, gli uomini non possono
arrivare a qualcosa di ragionevole, in qualsiasi campo, se non dopo
aver consumato, in quello stesso campo, tutte le sciocchezze
immaginabili. I miei errori potranno perci essere utili ai miei
concittadini: con il mio naufragio avr segnalato lo scoglio. Quante
stupidit, aggiunge De Fontenelle, non diremmo noi oggi, se gli
antichi non le avessero gi dette prima di noi, e se non ce le
avessero, per cos dire, portate via! Lo ripeto quindi: garantisco
della mia opera soltanto la purezza e lonest delle intenzioni.
Tuttavia, per quanto certo delle intenzioni, i proclami dellinvidia
sono cos favorevolmente ascoltati, e le sue frequenti declamazioni
cos atte a sedurre anime pi oneste che illuminate, che si scrive,
per cos dire, tremando. Lo sconforto nel quale imputazioni, spesso
calunniose, hanno gettato gli uomini di genio, sembra gi presagire
al ritorno dei secoli dignoranza. E soltanto nella mediocrit dei
talenti, in ogni settore, che si trova un asilo contro le
persecuzioni degli invidiosi. La mediocrit diventa quindi una
protezione; e questa protezione, me la sono verosimilmente cercata
mio malgrado.
Daltronde, credo che linvidia potrebbe difficilmente imputarmi
il desiderio di ferire qualcuno dei miei concittadini. Il genere di
questopera, in cui non prendo in considerazione nessun uomo in
particolare, ma gli uomini ed i popoli in generale, deve mettermi
al riparo da ogni sospetto di malignit. Aggiunger anche che
leggendo questi discorsi, ci si accorger che amo gli uomini, che
desidero il loro bene, senza odiare e disprezzarne nessuno in
particolare. Alcune delle mie idee appariranno forse azzardate. Se
il lettore le giudica false, lo prego di ricordarsi, nel
condannarle, che soltanto allaudacia dei tentativi si devono spesso
le scoperte delle pi grandi verit, e che il timore di sostenere un
errore non deve in nessun modo distoglierci dalla ricerca della
verit. Invano uomini ignobili e pusillanimi vorrebbero
proscriverla, e imporle talvolta il nome odioso di licenza, in vano
ripetono che le verit sono spesso pericolose. Supponendo che
talvolta lo fossero, a qual pi gran pericolo ancora non sarebbe
esposto il popolo che acconsentisse a languire nellignoranza? Una
nazione priva di lumi, quando esce dallo stato
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barbaro e feroce, una nazione degradata, e presto o tardi
soggiogata. Fu pi la scienza militare dei romani che non il loro
valore a trionfare sui Galli.
Se la conoscenza di una verit pu avere qualche inconveniente ad
un dato momento, passato questo, la stessa verit ridiventa utile ai
secoli ed alle nazioni. Questa infine la sorte delle cose umane:
non ce n nessuna che non possa diventare pericolosa in certi
momenti, ma solo a queste condizioni che se ne gode. Maledizione su
chi volesse, con questa motivazione, privarne lumanit.
Nel momento stesso che simpedisse la conoscenza di talune verit,
non sarebbe pi permesso dirne alcuna. Migliaia di persone potenti e
spesso anche malintenzionate, con il pretesto che talvolta saggio
tacere la verit, la bandirebbero dalluniverso. Sicch il pubblico
illuminato che solo ne conosce interamente il valore la richiede
incessantemente: non teme desporsi ad eventuali mali, per godere
dei vantaggi reali che essa procura. Tra le qualit degli uomini,
quella che apprezza di pi la grandezza dellanima che si rifiuta
alla menzogna. Sa quanto utile pensare e dire tutto, e che gli
errori stessi cessano desser pericolosi, quando consentito
contraddirli. Allora sono presto riconosciti come errori: si
depositano rapidamente da soli negli abissi delloblio, e soltanto
le verit galleggiano sulla vasta distesa dei secoli.
Primo discorso - Capitolo primo
Dello spirito in se stesso.
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Si discute ogni giorno su quello che va chiamato spirito: ognuno
dice la sua, nessuno abbina le stesse idee a questa parola, e tutti
parlano senza capirsi.Per poter dare unidea giusta e precisa della
parola spirito e delle diverse accezioni in cui presa, bisogna
innanzitutto esaminare lo spirito in se stesso.
Si considera lo spirito o come leffetto della facolt di pensare
(e lo spirito, in tal senso, non altro che il raggruppamento dei
pensieri delluomo), o come la facolt stessa di pensare.
Per capire ci che lo spirito, preso in questultimo significato,
occorre conoscere quali sono le cause produttrici delle nostre
idee. Abbiamo in noi due facolt, o, se oso dire, due potenze
passive, la cui esistenza generalmente e distintamente
riconosciuta. Una la facolt di ricevere le diverse impressioni che
fanno su di noi gli oggetti esterni: chiamata sensibilit fisica.
Laltra la facolt di conservare limpressione che questi oggetti
hanno fatto su di noi: chiamata memoria, e la memoria non altro che
una sensazione continuata ma indebolita. Queste facolt, che
considero come le cause produttrici dei nostri pensieri, e che
abbiamo in comune con gli animali, ci farebbero tuttavia sorgere
solo un piccolissimo numero didee, se non fossero unite in noi ad
una certa organizzazione esterna. Se la natura, invece delle mani e
delle dita flessibili, avesse completato i nostri polsi con zoccoli
di cavallo, chi dubita che gli uomini senzarte, senzabitazione,
senza difesa contro gli animali, completamente presi dalla
preoccupazione di provvedere al cibo e devitare le bestie feroci,
non sarebbero ancora erranti nelle foreste come branchi fuggitivi?
Orbene, in questa supposizione, evidente che lopera di
civilizzazione non avrebbe raggiunto, in nessuna societ, il grado
di perfezionamento al quale pervenuta attualmente. Non c nazione
che, in fatto di spirito, non sarebbe restata di molto inferiore a
taluni popoli primitivi che non hanno nemmeno duecento idee,
duecento parole per esprime le loro idee, ed il cui linguaggio, di
conseguenza, ridotto, come quello degli animali, a cinque o sei
suoni o gridi, se si tolgono da questa stessa lingua le parole
arco, frecce, reti, ecc. che suppongono luso delle mani. Da cui
concludo che, senza una certa organizzazione esterna, la
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sensibilit e la memoria sarebbero in noi soltanto facolt
sterili. Adesso bisogna esaminare se, con lausilio di
questorganizzazione, le due citate facolt hanno realmente prodotto
i nostri pensieri.
Prima dintraprendere un qualsiasi esame in merito, mi si chieder
forse se queste due facolt sono modificazioni duna sostanza
spirituale o materiale. La questione, un tempo agitata dai
filosofi, e riproposta ai giorni nostri, non entra necessariamente
nel piano della mia opera. Quello che ho da dire sullo spirito
concorda perfettamente tanto con luna quanto con laltra ipotesi.
Osserver in proposito soltanto che, se la chiesa non avesse fissato
la nostra credenza su questo punto, e che pertanto si dovuto, con i
soli lumi della ragione, elevarsi fino alla conoscenza del
principio pensante, non si potrebbe non convenire che nessuna
opinione in questo genere di cose suscettibile di dimostrazione,
che bisogna prendere in considerazione le ragioni pro e contro,
bilanciare le difficolt, risolversi in favore del pi gran numero di
verosimiglianze, e di conseguenza emettere solo giudizi provvisori.
Succederebbe, con questo problema, come con uninfinit daltri che
non possono essere risolti se non con laiuto del calcolo delle
probabilit. Non mi soffermo quindi pi a lungo sullargomento. Vengo
al mio oggetto e dico che la sensibilit fisica e la memoria, o, per
parlare pi correttamente, la sensibilit da sola produce le nostre
idee. In effetti, la memoria non pu essere altro che uno degli
organi della sensibilit fisica: il principio che in noi sente, deve
necessariamente essere il principio che ricorda, poich ricordarsi,
come dimostrer tra poco, non in realt altro che sentire.
Quando, per effetto delle mie idee o per la vibrazione che
taluni suoni causano nellorgano del mio orecchio, riporto alla
mente limmagine duna quercia, allora i miei organi interni debbono
necessariamente trovarsi allincirca nella stessa situazione in cui
erano in vista di quella quercia. Questo fatto deve, pertanto,
produrre incontestabilmente una sensazione: quindi evidente che
ricordare sentire. Posto questo principio, dico ancora che nella
nostra capacit appercettiva delle rassomiglianze o differenze,
delle corrispondenze o discordanze che hanno fra loro gli oggetti
diversi, che consiste ogni operazione dello spirito. Pertanto
questa capacit
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non che la sensibilit fisica stessa: tutto si riduce dunque al
sentire. Per assicurarci di questa verit, prendiamo in
considerazione la natura. Questa ci presenta oggetti che hanno
rapporto con noi e rapporti fra loro. La conoscenza di questi
rapporti forma quello che chiamiamo spirito: esso pi o meno grande,
secondo che le nostre conoscenze in questo campo sono pi o meno
vaste. Lo spirito umano sinnalza fino alla conoscenza dei rapporti,
ma sono limiti che non valica mai. Cosicch tutte le parole che
compongono le diverse lingue e che possiamo considerare come la
collezione dei segni di tutti i pensieri delluomo, ci ricordano o
immagini, tali le parole, quercia, oceano, sole, o designano idee,
cio i diversi rapporti che gli oggetti hanno tra loro, e che sono o
semplici, come le parole, grandezza, piccolezza, o composte, come
vizio, virt. Esse esprimono infine o i rapporti diversi che gli
oggetti hanno con noi, vale a dire la nostra azione su di loro,
come nelle parole, rompo, scavo, sollevo, o la loro impressione su
di noi, come in, ferisco, abbaglio, spavento. Se qui sopra ho
delimitato il significato della parola idea che presa in accezioni
molto diverse, dato che si esprime alla stessa maniera lidea di un
albero e lidea di virt, che il significato indeterminato di questa
espressione pu talvolta far cadere negli errori cagionati sempre
dallabuso delle parole. La conclusione di quello che ho appena
detto, che, se tutte le parole delle diverse lingue non designano
mai altro che oggetti o i rapporti di questi oggetti con noi e tra
loro, lo spirito di conseguenza consiste nel paragonare sia le
nostre sensazioni sia le nostre idee, vale a dire, a cogliere le
rassomiglianze e le differenze, le corrispondenze e le discordanze
che hanno tra loro. Ora, siccome la valutazione non altro che
lappercezione stessa, o almeno lenunciato di questa appercezione,
ne consegue che tutte le operazioni dello spirito si riducono a
valutare. Posta la questione entro questi limiti, esaminer adesso
se valutare non sia sentire. Quando valuto la grandezza o il colore
degli oggetti che mi sono presentati, evidente che la valutazione
sulle differenti impressioni che gli oggetti hanno fatto sui miei
sensi non altro che una sensazione. Posso altres dire: valuto o
sento che, di due oggetti, uno che chiamo tesa, fa su di me
unimpressione differente da quello che chiamo piede, e che il
colore che chiamo rosso agisce sui miei occhi in maniera differente
da quella che
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chiamo giallo. Da cui concludo che in questo caso valutare non
mai altro che sentire. Ma, si dir, supponiamo che si voglia sapere
se la forza preferibile alla corpulenza, si pu essere sicuri allora
che valutare sia sentire? Risponder di s, poich per fare una
valutazione su questargomento, la mia memoria deve tracciarmi di
seguito il quadro delle differenti situazioni in cui posso trovarmi
pi comunemente nel corso della mia vita. Ora, valutare riconoscere
che, nelle diverse situazioni, la forza mi sar spesso pi utile
della corpulenza. Ma, si replicher, quando si tratta di giudicare
se, in un re, la giustizia preferibile alla bont, si pu immaginare
allora che un giudizio non sia altro che una sensazione?
Questopinione, senza dubbio, ha innanzitutto laria di un paradosso:
tuttavia, per verificarne la veridicit, supponiamo in un uomo la
conoscenza di quello che si chiama bene e male, e che questuomo
sappia ancora che unazione pi o meno cattiva, secondo che
pregiudica pi o meno il benessere della societ. In questa
supposizione, quale arte deve utilizzare il poeta o loratore, per
rendere pi viva lappercezione che, in un re, giustizia preferibile
a bont, che salvaguarda pi cittadini per lo stato? Loratore
presenter tre situazioni allimmaginazione di questo stesso uomo.
Nel primo, gli raffigurer il re giusto che condanna e fa uccidere
un criminale. Nella seconda, il re buono fa aprire la segreta di
questo stesso criminale e gli toglie i ferri. Nel terzo
rappresenter il criminale che, armatosi di pugnale alluscita della
prigione, corre a massacrare cinquanta cittadini. Ora, quale uomo,
alla vista di questa terza situazione, non sentir che nel re, la
giustizia che attraverso la morte di un singolo previene la morte
di cinquanta uomini, preferibile alla bont? Tuttavia questo
giudizio non altro che una sensazione. In effetti, se con
labitudine dassociare le idee alle parole, stimolando lorecchio con
determinati suoni, possiamo, come dimostra lesperienza, provocare
in noi pi o meno le stesse sensazioni che proveremmo alla presenza
stessa degli oggetti, evidente che allesposizione di queste tre
situazioni, giudicare che, in un re, giustizia preferibile a bont,
equivale a sentire e vedere che, nella prima situazione, simmola
solo un cittadino e che nel terzo se ne massacrano cinquanta. Da
cui concludo che la valutazione non altro che una sensazione. Ma,
si dir, bisogner ancora collocare nel rango delle
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sensazioni i giudizi portati, per esempio, sulleccellenza pi o
meno grande di metodi, tali quali il metodo atto a collocare molti
oggetti nella nostra memoria, o il metodo delle astrazioni, o
quello dellanalisi. Per rispondere a questobiezione, bisogna prima
determinare il significato della parola metodo. Un metodo soltanto
il mezzo di cui ci serviamo per pervenire allo scopo che ci
proponiamo. Supponiamo che un uomo abbia lo scopo di memorizzare
oggetti o idee, e che per caso il tutto sia collocato in maniera
tale che il richiamo alla mente di un fatto o di unidea gli abbia
rievocato il ricordo di un'infinit daltri fatti o daltre idee, e
che abbia cos impresso pi facilmente e pi profondamente oggetti
nella memoria. Allora, giudicare che questordine il migliore e
dargli il nome di metodo, dire che si fatto meno sforzo
dattenzione, che si provata una sensazione meno faticosa, studiando
in questordine che non in un altro. Ora, riportare alla mente una
sensazione faticosa, sentire: dunque evidente che, in questo caso,
giudicare sentire. Supponiamo ancora che, per verificare la
veridicit di certe proposizioni di geometria e per farle pi
facilmente capire ai propri discepoli, un geometra abbia deciso di
far loro considerare le linee indipendentemente dalla larghezza e
dallo spessore: allora, giudicare che questo mezzo o questo metodo
dastrazione il pi idoneo a facilitare negli alunni la comprensione
di talune proposizioni geometriche, equivale a dire che essi fanno
meno sforzo dattenzione, e che provano una sensazione meno
faticosa, servendosi di questo metodo che non dun altro.
Supponiamo, come ultimo esempio, che con un esame disgiunto di
ciascuna delle verit che racchiude una proposizione complicata, si
sia pi facilmente raggiunto la cognizione di questa proposizione:
valutare allora che il mezzo o il metodo danalisi il migliore, dire
ugualmente che si fanno meno sforzi dattenzione, e che di
conseguenza si provata una sensazione meno faticosa, quando si
considerato singolarmente ciascuna delle verit racchiuse nella
proposizione complicata, che non quando si voluto afferrarle tutte
contemporaneamente. Da quello che ho detto risulta, che i giudizi
portati sui mezzi o i metodi che il caso ci presenta per arrivare
ad un certo scopo non sono altro che delle sensazioni, e che,
nelluomo, tutto si riduce a sentire. Ma, si dir, come mai fino ad
oggi si
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supposto in noi una facolt di giudicare distinta dalla facolt di
sentire? Questa supposizione, risponder, dovuta solo
allimpossibilit in cui si creduto finora di spiegare in altra
maniera taluni errori dello spirito. Per superare la difficolt, nei
capitoli seguenti, mostrer che i nostri falsi giudizi ed i nostri
errori si riconducono a due cause che suppongono in noi soltanto la
facolt di sentire, e che sarebbe, di conseguenza, inutile e anche
assurdo ammettere in noi una facolt di giudizio che non
spiegherebbe niente che non si possa spiegare senza. Entro dunque
in argomento e dico che non c falso giudizio che non sia effetto
delle nostre passioni o della nostra ignoranza.
Discorso 1 - Capitolo 2
Degli errori cagionati dalle nostre passioni.
Le passioni cinducono in errore, perch fissano la nostra
attenzione su un lato delloggetto che ci presentano, e perch non ci
consentono in alcun modo di considerarlo sotto tutte le sue facce.
Un re geloso del titolo di conquistatore: la vittoria, dice, mi
chiama in capo al mondo, combatter, vincer, spezzer lorgoglio dei
miei nemici, gli metter i ferri ai polsi, ed il terrore del mio
nome, come una muraglia invalicabile, difender lentrata del mio
impero. Inebriato da questa speranza, dimentica che la fortuna
incostante, che il fardello della miseria quasi in ugual modo
sopportato dal vincitore e dal vinto. Non avverte per nulla che il
bene dei sudditi serve solo da pretesto alla sua figura di
guerriero, e che lorgoglio a forgiarne le armi e spiegarne gli
stendardi: la sua attenzione concentrata sul carro e la pompa del
trionfo.
Non meno potente dellorgoglio, il timore produrr gli stessi
effetti; lo si vedr creare spettri, spanderli intorno alle tombe, e
nelloscurit dei boschi offrirli agli sguardi del viandante
spaventato, impadronirsi delle doti della sua anima, e non
lasciarne nessuna libera per considerare lassurdit dei motivi di un
terrore cos vano.
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Le passioni non soltanto non ci lasciano considerare se non
alcune facce degli oggetti che ci presentano, ma cingannano ancora
nel mostrarci spesso questi stessi oggetti l dove non esistono. La
storiella del curato e la dama galante nota: avevano sentito dire
che la luna era abitata, lo credevano, e, telescopio alla mano,
tutti e due provavano a riconoscerne gli abitanti. Se non sbaglio,
disse per prima la dama, scorgo due ombre che sinclinano luna verso
laltra: non ne dubito affatto, sono due amanti felici Eh! Vergogna,
signora, ribatte il curato, le due ombre che vedete sono due
campanili di una cattedrale. La storiella la nostra tesi: la
maggior parte delle volte percepiamo coscientemente nelle cose
soltanto quello che desideriamo trovarci e, sulla terra come sulla
luna, passioni differenti ci faranno sempre vedere l o amanti o
campanili. Lillusione un effetto necessario delle passioni, la cui
forza si misura quasi sempre con il grado di offuscamento nel quale
ci sprofondano. E quello che aveva molto ben percepito non so quale
donna, che, sorpresa dall'amante tra le braccia del suo rivale, os
negargli il fatto di cui era testimone.
- Come ? le disse lui, spingete a tal punto limpudenza- Ah,
perfido, esclam lei, lo vedo, non mi ami pi, credi pi a
quel che vedi che a quel che ti dico.
Il motto non applicabile solamente alla passione dellamore, ma a
tutte le passioni. Tutte ci colpiscono con laccecamento pi
profondo. Quando lambizione, per esempio, mette le armi in pugno a
due nazioni potenti, e che i cittadini inquieti si chiedono
reciprocamente notizie, da una parte, quale leggerezza nel credere
alle buone, dallaltra, quale incredulit sulle cattive! Quante volte
una troppo stupida fiducia in monaci ignoranti non ha fatto negare
a qualche cristiano la possibilit degli antipodi? Non c secolo che,
con qualche affermazione o negazione ridicola, non predisponga a
ridere il secolo successivo. Una follia passata illumina raramente
gli uomini sulla loro follia presente.
Per il resto, queste stesse passioni, che devono essere viste
come il germe di uninfinit derrori, sono anche la fonte dei nostri
lumi. Se ci perdono, soltanto esse ci danno la forza di camminare,
esse soltanto
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possono strapparci allinerzia ed alla pigrizia sempre pronta a
ghermire le virt della nostra anima.
Ma non questo il luogo per esaminare la verit di questa
proposizione. Passo quindi alla seconda causa dei nostri
errori.
Discorso 1 - Capitolo 3
Dellignoranza.
Ci sbagliamo, quando mossi da passione, e concentrando la nostra
attenzione su una delle facce di un oggetto, vogliamo, attraverso
quellunica faccia, valutare loggetto intero. Ci sbagliamo ancora,
quando ci ergiamo a giudici su un argomento, mentre la nostra
memoria non dispone affatto di tutti gli elementi di ponderazione
dai quali dipende in questambito la correttezza delle nostre
decisioni. Non che ognuno non abbia ladeguata disposizione: ognuno
vede bene quello che vede, ma, giacch nessuno diffida abbastanza
della propria ignoranza, ognuno crede troppo facilmente che ci che
si vede in un oggetto tutto ci che vi si pu vedere.
Nelle questioni di una certa difficolt, lignoranza deve essere
considerata come la principale causa dei nostri errori. Per capire
quanto, in questo caso, facile crearsi illusioni e come, traendo
conseguenze sempre vere dai principi, gli uomini arrivino a
risultati totalmente contraddittori, sceglier comesempio una
questione alquanto complessa, ossia quella del lusso, sulla quale
sono stati espressi giudizi molto diversi, assecondo che questo
stato considerato sotto un aspetto o un altro.
Siccome la parola lusso vaga, non ha alcun senso ben
determinato, ed normalmente solo unespressione relativa, bisogna
prima di tutto assegnare un valore ben definito alla parola lusso
presa nel significato rigoroso, e dare in seguito una definizione
del lusso considerato in rapporto ad una nazione e in rapporto ad
un singolo. Si deve intendere per lusso, nel significato rigoroso,
ogni specie di superfluit, vale a dire, tutto ci che non
assolutamente necessario
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alla conservazione delluomo. Quando si tratta di un popolo
civile e degli individui che lo compongono, la parola lusso ha
tuttaltro significato: diventa assolutamente relativa. Il lusso
duna nazione civile lutilizzo delle ricchezze per ci che chiama
superfluit il popolo con il quale si raffronta quella nazione. E
questo il caso in cui si trova lInghilterra in rapporto alla
Svizzera. Il lusso, in un singolo, ugualmente limpiego delle sue
ricchezze per quello che si deve chiamare superfluit, rispetto al
posto che questuomo occupa in uno stato, ed al paese nel quale
vive: tal era il lusso di Bourvalais.2
Data questa definizione vediamo sotto quali differenti aspetti
stato considerato il lusso delle nazioni, quando gli uni lhanno
considerato utile, e gli altri nocivo allo stato.
I primi hanno guardato agli opifici che il lusso realizza, ed al
fatto che lo straniero saffretta a scambiare i suoi tesori contro
loperosit duna nazione. Vedono laumento delle ricchezze tirarsi
dietro laumento del lusso ed il perfezionamento delle arti atte a
soddisfarlo. Il secolo del lusso gli appare come lepoca della
grandezza e della potenza di uno stato. Labbondanza di denari che
esso presuppone e che attira, rende, dicono, la nazione prospera
allinterno e temibile allesterno. E con i denari che si assolda un
gran numero di truppe, che si costruiscono magazzini, che si
forniscono arsenali, che si contratta, che si stringono alleanze
con grandi principi, e che infine una nazione pu non solamente
resistere ma per di pi comandare a popoli pi numerosi e di
conseguenza pi realmente potenti. Se il lusso rende uno stato
temibile allesterno, quale prosperit non gli procura allinterno?
Ingentilisce i costumi, crea nuovi piaceri, provvede con questo
mezzo alla sussistenza di uninfinit di lavoratori. Stimola una
cupidigia salutare che strappa luomo allinerzia, alla noia che deve
essere considerata come una delle malattie pi comuni e pi crudeli
dellumanit. Diffonde dappertutto un calore vivificante, fa
circolare la vita in tutti i membri
2Poisson de Bourvalais, Paul (morto nel 1719) figlio di
contadini, riusc a diventare un finanziere potentissimo, al punto
che il suo intervento fu in certi momenti determinante per l'esosa
politica di Luigi XIV; fu oggetto di satire e pamphlets.- (fonte
internet), ndt)
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di uno stato, vi risveglia lindustria, fa aprire porti, vi
costruisce vascelli, li guida attraverso loceano, e rende infine
comuni a tutti gli uomini le produzioni e la ricchezza che lavara
natura rinchiude nei baratri dei mari, negli abissi della terra, o
che tiene disseminate in mille climi diversi. Ecco qual , penso,
pressappoco laspetto sotto il quale si presenta il lusso per coloro
che lo considerano utile agli stati.
Esaminiamo adesso laspetto sotto il quale si presenta ai
filosofi che lo considerano funesto per le nazioni.
La beatitudine dei popoli dipende dal benessere di cui godono
allinterno, e dal rispetto che suscitano allesterno.
Nel primo caso, pensiamo, i filosofi diranno che il lusso e le
ricchezze che questo attira in uno stato, renderebbero i soggetti
pi soddisfatti, se le ricchezze fossero distribuite in maniera meno
disuguale, e che ciascuno potesse procurarsi le comodit di cui
lindigenza lo costringe a privarsi. Il lusso non dunque nocivo come
lusso, ma semplicemente come effetto duna grande sperequazione tra
le ricchezze dei cittadini. Il lusso, perci, non mai estremo se la
ripartizione delle ricchezze non eccessivamente impari. Esso
singrandisce a misura che questultime si concentrano in un pi
piccolo numero di mani, giunge infine alla sua ultima fase, quando
la nazione si suddivide in due classi, di cui una abbonda del
superfluo, e laltra manca del necessario. Una volta giunto a questo
punto, lo stato di una nazione tanto pi crudele quanto pi
incurabile. Come ristabilire allora un po duguaglianza tra le
fortune dei cittadini? Luomo ricco avr comprato grandi signorie:
essendo in grado di profittare dello sconcerto dei vicini, avr
aggiunto, in poco tempo, uninfinit di piccole propriet al suo
possedimento. Diminuito il numero dei proprietari, quello dei
braccianti sar cresciuto: quando questultimi saranno aumentati
abbastanza perch ci siano pi operai che lavoro, allora il
bracciante seguir il corso di qualsiasi genere di merce, che perde
valore quand abbondante. Daltronde, luomo ricco, che dispone di
lusso in misura ancora maggiore delle ricchezze, interessato ad
abbassare i prezzi delle paghe giornaliere, ad offrire al
bracciante soltanto il salario assolutamente necessario alla sua
sussistenza. Il bisogno costringe
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questultimo ad accontentarsene, ma se gli sopraggiunge qualche
malattia o qualche aggravio familiare, allora, in mancanza di cibo
sano o abbastanza abbondante, diventa infermo, muore, e lascia allo
stato una famiglia di mendicanti. Per prevenire una simile
disgrazia, occorrerebbe far ricorso ad una nuova ripartizione delle
terre: ripartizione sempre ingiusta ed impraticabile. E dunque
evidente che, quando il lusso ha raggiunto un certo stadio,
impossibile restaurare una qualsivoglia uguaglianza tra la fortuna
dei cittadini. Allora i ricchi e le ricchezze vanno nelle capitali,
dove sono attirati dai piaceri e dalle arti del lusso, mentre la
campagna resta incolta e povera: sette o otto milioni duomini
languiscono nella miseria, mentre cinque o seimila vivono
nellopulenza che li rende odiosi, senza renderli pi felici. In
effetti, che cosa pu aggiungere alla felicit di un uomo leccellenza
pi o meno grande della tavola? Non gli basta aspettare daver fame,
di proporzionare esercizi o durata delle passeggiate al cattivo
gusto del suo cuoco, per trovare delizioso ogni alimento che non
sia sgradevole? Daltronde, la frugalit e lesercizio non lo fanno
sfuggire a tutte le malattie cagionate dalla golosit stuzzicata
dalla buona cucina? La felicit non dipende quindi dalleccellenza
della tavola. Non dipende nemmeno dalla magnificenza degli abiti o
dagli equipaggiamenti. Quando si compare in pubblico coperto da un
abito ricamato e portato in giro da una splendida carrozza, non si
provano piaceri fisici, che sono gli unici piacerei reali: si ,
tuttal pi, colti dal piacere della vanit, la cui privazione sarebbe
forse insopportabile, ma il cui godimento insipido. Senza
accrescere la propria felicit, luomo ricco, con lo sfoggio del
lusso, non fa choffendere il genere umano ed il disgraziato che,
paragonando gli stracci della miseria agli abiti dellopulenza,
simmagina che tra la felicit del ricco e la sua non c meno
differenza che tra i loro vestiti: chi, in questoccasione, richiama
alla mente il ricordo doloroso delle pene che sopporta, e chi si
trova cos privato dellunico sollievo dello sventurato, loblio
momentaneo della miseria. E dunque certo, continueranno i filosofi,
che il lusso non fa la felicit di nessuno, e che presupponendo una
troppo grande disuguaglianza di ricchezze tra i cittadini, esso ne
presuppone il danno della maggior parte. Il popolo, nel quale
penetra il lusso, non dunque felice allinterno: vediamo se
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-
rispettabile allesterno.
Labbondanza di denari che il lusso attira in uno stato simpone
innanzitutto allimmaginazione. Quello stato , per qualche momento,
uno stato potente: ma il vantaggio ( supposto che possa esistere un
vantaggio indipendente dal benessere dei cittadini) , come nota
Hume, soltanto un vantaggio passeggero. Abbastanza assomiglianti ai
mari, che prima abbandonano e poi coprono mille spiagge diverse, le
ricchezze devono percorrere mille climi diversi successivamente.
Quando, con la bellezza dei manufatti e la perfezione delle arti di
lusso, una nazione attira a s i soldi dei popoli vicini, evidente
che il prezzo delle derrate e della mano dopera deve
necessariamente calare in quei popoli impoveriti, e che questi,
portando via qualche proprietario manifatturiero, qualche operaio
alla nazione ricca, possono impoverirla a loro volta rifornendola,
a prezzi pi convenienti, delle merci di cui quella nazione li
forniva. Orbene, appena la penuria di soldi si fa sentire in uno
stato abituato al lusso, la nazione cade nel disprezzo.
Per sottrarvisi, occorrerebbe avvicinarsi ad una vita semplice,
ma costumi e leggi vi si oppongono. Cosicch il periodo del pi gran
lusso duna nazione comunemente lepoca pi vicina alla sua caduta ed
alla sua depressione. La felicit e la potenza apparente conferite
dal lusso alle nazioni per qualche momento, comparabile alle febbri
violente che danno, nel delirio, una forza incredibile al malato
che stanno divorando, e che sembrano moltiplicare le forze dun uomo
soltanto per privarlo, al fine della crisi, delle stesse forze e
della vita.
Per convincersi di questa verit, diranno ancora gli stessi
filosofi, ricerchiamo ci che deve rendere una nazione realmente
rispettabile per i vicini: , incontestabilmente il numero, la forza
dei cittadini, lattaccamento alla patria, ed infine il coraggio e
la virt.
In quanto al numero dei cittadini, si abbia per certo che i
paesi di lusso non sono i pi popolati, che nella stessa estensione
territoriale, la Svizzera pu contare pi abitanti della Spagna,
della Francia e anche dellInghilterra.
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-
Limpiego duomini, che comporta necessariamente una grande
attivit commerciale, non in questi paesi lunica causa dello
spopolamento: il lusso ne crea mille altri, giacch attira le
ricchezze nelle capitali, lascia le campagne nella penuria,
favorisce il potere arbitrario e di conseguenza laumento dei
tributi, e poich infine conferisce alle nazioni opulente la facilit
di contrarre debiti di cui non possono inseguito liberarsi senza
sovraccaricare i popoli dimposte onerose. Ora queste diverse cause
di spopolamento, sprofondando un intero paese nella miseria, vi
debbono necessariamente provocare lindebolimento della costituzione
corporea. Il popolo dedito al lusso non mai un popolo robusto: dei
suoi cittadini, gli uni sono snervati dalle mollezze, gli altri
estenuati dal bisogno. Se i popoli barbari o poveri, come nota il
cavalier Folard, hanno, al riguardo, una gran superiorit sui popoli
dediti al lusso, perch il lavoratore , nelle nazioni povere, spesso
pi ricco che nelle nazioni opulente e perch un contadino svizzero
si sente pi a suo agio di un contadino francese. Per plasmare corpi
robusti, occorre un cibo semplice, ma sano ed abbondante, un
esercizio che senza essere eccessivo sia forte, una grande
abitudine a sopportare le intemperie delle stagioni: abitudine che
acquisiscono i contadini, che, per questa ragione sono
infinitamente pi adatti a sostenere le fatiche della guerra dei
proprietari manifatturieri, la maggior parte dei quali abituata ad
una vita sedentaria. E altres presso le nazioni povere che si
formano le armate infaticabili che cambiano i destini degli
imperi.
Quali difese potrebbe opporre a queste nazioni un paese dedito
al lusso e alle mollezze? Non pu incutere timore n per numero, n
per forza degli abitanti. Lattaccamento alla patria, si dir, pu
supplire al numero ed alla forza dei cittadini. Ma chi potrebbe far
nascere in questi paesi il sano amore della patria? La classe dei
contadini, che compone da sola i due terzi di ogni nazione, l
sventurata, quello degli artigiani non vi possiede nulla.
Trapiantato dal proprio villaggio in una manifattura o bottega, e
da questa bottega ad unaltra, lartigiano si familiarizzato con
lidea dello spostamento, non pu contrarre attaccamento per nessun
luogo.
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Garantito quasi dappertutto della sussistenza, deve essere visto
non come cittadino di un paese, ma come abitante del mondo.
Un simile popolo non pu dunque distinguersi a lungo per
coraggio, perch, in un popolo, il coraggio normalmente, o leffetto
della forza corporea, della fiducia cieca nelle proprie forze che
cela agli uomini la met del pericolo al quale si espongono, o
leffetto di un amore violento per la patria che gli fa disdegnare i
pericoli. Ebbene, il lusso prosciuga, alla lunga, le due sorgenti
di coraggio. Forse la cupidigia ne aprirebbe una terza, se
vivessimo ancora nei secoli barbari in cui si riduceva il popolo in
schiavit, e si abbandonavano le citt al saccheggio. Il sodato non
essendo pi adesso mosso da questo motivo, pu esserlo solo da quello
che si chiama onore. Orbene, il desiderio dellonore si raffredda in
un popolo, quando lamore per le ricchezze vi si accende. Si
affermerebbe invano che le nazioni ricche guadagnano almeno in
felicit ed in piacere quello che perdono in virt e coraggio: uno
spartano non era meno felice dun persiano, i primi romani, il cui
coraggio era ricompensato con il dono di qualche derrata, non
avrebbero affatto invidiato la sorte di Crasso. Caio Duilio, che,
per ordine del senato, era ogni sera riaccompagnato a casa con luci
di fiaccole e suoni di flauti, non era meno sensibile a questo
concerto grossolano di quanto lo siamo noi per le pi brillanti
sonate. Ma, ammettendo pure che le nazioni opulente si procurino
qualche comodit ignota ai popoli poveri, chi godr di quelle
comodit? Un piccolo numero duomini privilegiati e ricchi, che,
prendendosi per la nazione intera, concludono dalla loro agiatezza
particolare che il contadino felice. Ma quantunque queste comodit
fossero ripartite tra il pi gran numero di cittadini, quanto costa
tal beneficio paragonato a quelli che procurano a popoli poveri
unanima forte, coraggiosa e nemica della schiavit? Le nazioni nelle
quali penetra il lusso sono prima o poi vittime del dispotismo:
presentano mani deboli e fragili ai ferri di cui la tirannia li
vuole caricare. Come sottrarvisi? In queste nazioni, gli uni vivono
nelle mollezze, e le mollezze non pensano e non prevedono, gli
altri languiscono nella miseria, ed il bisogno pressante,
interamente dedito a soddisfarsi, non innalza per niente lo sguardo
fino alla libert. Nella forma dispotica, le ricchezze delle
nazioni
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appartengono ai padroni, nella forma repubblicana, appartengono
ai potenti, come ai popoli coraggiosi che gli stanno vicino.
Apportateci i vostri tesori, avrebbero potuto dire i romani ai
cartaginesi, essi ci appartengono. Roma e Cartagine hanno voluto
entrambe arricchirsi, ma hanno intrapreso percorsi diversi per
arrivare allo scopo. Mentre voi incoraggiavate lindustriosit dei
vostri concittadini, che creavate manifatture, che coprivate il
mare con i vostri vascelli, che andavate a scoprire posti
inabitati, e che attiravate da voi tutto loro di Spagna e dAfrica,
noi, pi prudenti, tempravamo i nostri soldati alle fatiche della
guerra, nesaltavamo il coraggio, sapevamo che lindustrioso non
lavorava che per lintrepido. Il tempo di godere arrivato: rendeteci
i beni che siete incapaci di difendere. Se i romani non hanno
utilizzato questo linguaggio, la loro condotta prova almeno cherano
affetti dai sentimenti che questo discorso presuppone. Come la
povert di Roma non avrebbe comandato alla ricchezza di Cartagine, e
conservato, a riguardo, il vantaggio che quasi tutte le nazioni
povere hanno avuto sulle nazioni opulente? Non si forse vista la
frugale Lacedemone trionfare sulla ricca e commerciante Atene? I
romani schiacciare coi piedi gli scettri doro dAsia? Non si sono
visti lEgitto, la Fenicia, Tiro, Sidone, Rodi, Genova, Venezia,
soggiogate o almeno umiliate da popoli che chiamavano barbari? E
chi sa se non vedremo un giorno la ricca Olanda, meno felice
allinterno della Svizzera, opporre ai nemici una resistenza meno
ostinata? Ecco sotto quale aspetto si presenta il lusso ai filosofi
che lhanno considerata funesta per le nazioni.
La conclusione di quello che ho appena detto, che gli uomini,
vedono bene quello che vedono, traggono conseguenze molto giuste
dai loro principi, arrivano per a risultati spesso contraddittori,
perch non hanno in memoria tutti i termini di paragone dai quali
deve risultare la verit che cercano. Einutile, penso, dire che
presentando la questione del lusso sotto due aspetti differenti,
non pretendo affatto decidere se il lusso realmente nocivo o utile
agli stati: occorrerebbe, per risolvere in maniera corretta questo
problema morale, entrare in dettagli estranei alloggetto che mi
propongo. Ho soltanto voluto provare, con questo esempio, che,
nelle questioni complicate e sulle quali si giudica senza passioni,
si
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-
sbaglia sempre soltanto per ignoranza, vale a dire, immaginando
che il lato che vediamo di un oggetto tutto quello che c da vedere
in questo stesso oggetto
DISCORSO 1 - CAPITOLO 4
Del cattivo uso delle parole
Unaltra causa derrore, derivante parimenti dallignoranza, il
cattivo uso delle parole, ed i concetti poco chiari che vi si
attribuiscono. Locke ha trattato in maniera cos felice
questargomento che me ne permetto lesame solo per risparmiare lo
sforzo delle ricerche ai lettori, che non hanno tutti allo stesso
modo presente in mente lopera di questo filosofo.
Descartes aveva gi detto, prima di Locke, che i peripatetici,
barricati dietro loscurit delle parole, erano alquanto simili a dei
ciechi che, per rendere la lotta pari, attirassero un uomo
chiaroveggente in una caverna buia: che questuomo, aggiunge, sappia
illuminare la caverna o che costringa i peripatetici ad attribuire
concetti chiari alle parole di cui si servono, il suo trionfo
assicurato. Con Descartes e Locke, mi accingo quindi a dimostrare
che in metafisica ed in morale, il cattivo uso delle parole e
lignoranza del loro significato , se oso dire, un labirinto in cui
i pi grandi geni si sono talvolta perduti. Prender come esempi
alcune delle parole che hanno acceso le dispute pi lunge e pi vive
tra i filosofi: tali sono, in metafisica, le parole materia, spazio
ed infinito.
In ogni epoca e volta per volta si sostenuto che la materia era
sensibile o che non lo era, e sullargomento si discusso molto a
lungo e molto vagamente. Ci si decisi molto tardi a chiedersi su
che cosa si discuteva, ed a dare unidea precisa alla parola
materia. Se per prima cosa se ne fosse fissato il significato, si
sarebbe riconosciuto che gli uomini erano, se oso dire, le creature
della materia, che la materia non era un essere, che cerano in
natura solo individui ai quali era stato dato il nome di corpi, e
che con la parola materia si poteva intendere soltanto la
collezione delle propriet
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-
comuni a tutti i corpi. Definito in tal modo il significato
della parola, non si trattava pi che di sapere se lestensione, la
solidit, limpenetrabilit erano le uniche propriet comuni a tutti i
corpi, e se la scoperta di una forza, tale, per esempio,
lattrazione, non poteva far supporre che i corpi avessero ancora
propriet sconosciute, come la facolt di sentire, che,
manifestandosi soltanto nei corpi organizzati degli animali, poteva
essere tuttavia comune a tutti gli individui. Ridotta la questione
in questi termini, si sarebbe allora sentito che, se impossibile, a
rigore, dimostrare che i corpi sono assolutamente insensibili,
qualsiasi uomo, che non , su tale soggetto, illuminato dalla
rivelazione, pu risolvere la questione soltanto calcolando e
paragonando la probabilit di questopinione con la probabilit
dellopinione contraria. Per chiudere la discussione, non era quindi
necessario costruire differenti sistemi del mondo, perdersi nelle
combinazioni delle possibilit, e fare sforzi mentali prodigiosi che
sono approdati e hanno potuto realmente approdare soltanto ad
errori pi o meno artificiosi. In effetti (che mi sia permesso di
notarlo qui), se occorre trarre tutto il partito possibile
dallosservazione, occorre muoversi soltanto con essa, fermarsi al
momento che ci abbandona, ed avere il coraggio dignorare quello che
non si pu ancora conoscere.
Istruiti dagli errori dei grandi uomini che ci hanno preceduto,
dobbiamo sentire che le nostre osservazioni moltiplicate e messe
insieme sono appena sufficienti a formare alcuni di questi sistemi
parziali contenuti nel sistema generale, che fino ad ora quello
delluniverso stato attinto dal profondo dellimmaginazione, e che,
se non si hanno mai altro che notizie incomplete dei paesi lontani
da noi, alla stessa maniera i filosofi non hanno mai altro che
notizie incomplete del sistema del mondo. Con molto ingegno e
combinazioni, ne produrranno sempre soltanto favole, fino a che il
tempo ed il caso abbiano dato loro un fatto generale al quale tutti
gli altri possono essere rapportati.
Quello che ho detto della parola materia, lo dico dello spazio:
la maggior parte dei filosofi ne ha fatto un essere, e lignoranza
del significato di questa parola ha dato adito a lunghe
discussioni. Avrebbero potuto abbreviarle se avessero attribuito
unidea chiara a
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-
questa parola: avrebbero allora convenuto che lo spazio,
considerato astrattamente, il puro nulla, che lo spazio,
considerato nei corpi, ci che si chiama estensione; che dobbiamo
lidea di vuoto, che costituisce in parte lidea di spazio,
allappercezione dellintervallo tra due alte montagne. Tale
intervallo, essendo occupato soltanto dallaria, vale a dire da un
corpo che da una certa distanza non fa su noi alcuna impressione
sensibile, ha dovuto darci unidea del vuoto, che non altra cosa se
non la possibilit di rappresentarci montagne lontane le une dalle
altre, senza che la distanza che le separa sia riempita da alcun
corpo.
Riguardo allidea dinfinito, contenuta ancora nellidea di spazio,
dico che la dobbiamo soltanto al potere che ha un uomo che si trovi
in una spianata di arretrarne sempre i limiti, senza che si possa,
a tal proposito, fissare il termine al quale la sua immaginazione
debba fermarsi: lassenza di limiti dunque, in qualsiasi campo,
lunica idea che possiamo avere dellinfinito. Se i filosofi, prima
di emettere opinioni in merito a questargomento, avessero definito
il significato della parola infinito, credo che, costretti a
adottare la definizione qui sopra, non avrebbero perso tempo in
dispute frivoli. E alla falsa filosofia dei secoli precedenti che
si deve principalmente attribuire lignoranza grossolana nella quale
siamo del vero significato delle parole: questa filosofia
consisteva quasi interamente nellarte dabusarne. Questarte, che
rappresentava lintera scienza degli scolastici, confondeva le idee,
ed il buio che gettava su qualsiasi espressione si estendeva
generalmente a tutte le scienze e principalmente alla morale.
Allorch il celebre De La Rochefoucault disse che lamor proprio il
principio di ogni nostra azione, quanto lignoranza del vero
significato della parola amor proprio non sollev gente contro
lillustre autore. Si prese amor proprio per orgoglio e vanit, e ci
simmagin, di conseguenza, che De La Rochefoucault poneva nel vizio
la fonte di ogni virt. Era tuttavia facile avere lappercezione che
amor proprio, o amore di s, non era altro che un sentimento
impresso in noi dalla natura, che questo sentimento si trasformava
in ogni uomo in vizio o in virt, secondo i gusti e le passioni che
lanimavano, e che lamor proprio, modificato in maniera diversa,
produceva in ugual modo lorgoglio e la modestia.
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-
La conoscenza di queste idee avrebbe preservato De La
Rochefoucault dal rimprovero tanto ribadito di vedere lumanit
troppo in nero; egli lha conosciuta tal qual . Convengo che veder
chiaramente lindifferenza di quasi tutti gli uomini verso di noi
uno spettacolo amareggiante per la nostra vanit, ma, infine,
bisogna prendere gli uomini come sono: irritarsi contro gli effetti
dellamor proprio, come lamentarsi dei rovesci di primavera, degli
ardori estivi, delle piogge dellautunno, e del ghiaccio
dellinverno.
Per amare gli uomini, bisogna aspettarsene poco: per vederne i
difetti senza acredine, bisogna abituarsi a perdonarglieli, sentire
che lindulgenza una giustizia che la debole umanit in diritto
desigere dalla saggezza. Ora, niente pi adatto a disporci
allindulgenza, a chiudere i nostri cuori allodio, ad aprirli ai
principi duna morale umana e dolce, della conoscenza profonda del
cuore umano come laveva De La Rochefoucault: cosicch gli uomini pi
illuminati sono quasi sempre stati i pi indulgenti. Quante massime
piene dumanit sparse nelle loro opere! Vivete, diceva Platone, con
i vostri inferiori ed i vostri domestici come con amici sfortunati.
Sentir sempre, diceva un filosofo indiano, i ricchi gridare,
Signore, colpisci chiunque ci rubi la minima particella dei nostri
beni, mentre, con voce piagnucolosa e mani stese al cielo, il
povero dice, Signore, fammi partecipe dei beni che prodighi ai
ricchi, e se qualcheduno pi miserabile me ne leva una parte, non
implorer la tua vendetta, e considerer questi ladrocini con locchio
con cui, al tempo delle semine, si considerano le colombe gettarsi
qua e l nei campi per cercarvi cibo. Del resto, se la parola amor
proprio, mal intesa, ha sollevato tanta gente gretta contro De La
Rochefoucault, quali dispute, ancora pi serie, non ha provocato la
parola libert? Dispute che sarebbero finite facilmente, se tutti
gli uomini, amici della verit come il p (?) [parola incompleta nel
testo francese] Mallebranche, avessero convenuto, con questo
valente teologo, nella sua premozione fisica3, che la libert era un
mistero. Quando mi si spinge su questargomento, diceva, sono
costretto a fermarmi tout court. Non che non sia possibile farsi
undea chiara della parola
3 Nicolas Malebranche (1638-1715) Rflexions sur la prmotion
physique (Riflessioni sulla premozione fisica) - Parigi 1715.
(ndt)
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-
libert, presa nel significato comune. Luomo libero luomo che non
incatenato, n detenuto nelle prigioni, n intimidito, come lo
schiavo, dalla paura dei castighi. In tal senso, la libert delluomo
consiste nel libero esercizio della sua potenza: dico della sua
potenza, poich sarebbe ridicolo prendere per una non-libert
limpotenza in cui siamo di trapassare le nuvole come laquila, di
vivere sotto le acque come la balena, di farci re, papa o
imperatore.
Si ha dunque unidea chiara della parola libert, presa nel
significato comune. Non cos quando si applica la parola libert alla
volont. Che sarebbe allora la libert? Si potrebbe intendere, con
questa parola, soltanto il potere libero di volere o di non volere
una cosa, ma tale potere supporrebbe che ci possa essere volont di
volere o di non volere una cosa; tale potere, per, supporrebbe che
ci possa essere volont senza motivo, e di conseguenza effetti senza
cause. Sarebbe necessario allora che potessimo volerci bene e male:
supposizione assolutamente impossibile. In effetti, se il desiderio
del piacere il principio di ogni nostro pensiero ed azione, se
tutti gli uomini tendono continuamente verso la felicit reale o
apparente, ogni nostra volont non allora che leffetto di questa
tendenza. In tal senso, non si pu quindi attribuire nessuna idea
chiara alla parola libert. Ma, si dir, se siamo costretti ad
inseguire la felicit dappertutto dove la percepiamo, siamo almeno
liberi sulla scelta dei mezzi che utilizziamo per renderci felici?
Si, risponder: ma libero non allora che un sinonimo dilluminato, e
non si fa che confondere queste due nozioni. Secondo che un uomo
conoscer pi o meno procedure e giurisprudenza, che sar guidato
negli affari da un avvocato pi o meno abile, prender un partito
migliore o meno buono, ma qualsiasi partito prenda, il desiderio
della propria felicit gli far sempre scegliere il partito che gli
apparir pi adeguato ai suoi interessi, ai suoi gusti, alle sue
passioni, ed infine a ci che considera come la propria felicit.
Come si potrebbe spiegare filosoficamente il problema della
libert? Se, come Locke ha dimostrato, siamo discepoli degli amici,
dei parenti, delle letture, ed infine di tutti gli oggetti che ci
circondano, occorre che tutti i nostri pensieri e le nostre volont
siano effetti immediati o conseguenze necessarie delle impressioni
che abbiamo
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-
ricevute[ p. 38]. Non ci si pu dunque formare alcuna idea della
parola libert, applicata alla volont; bisogna considerarla come un
mistero, esclamare come san Paolo, o altitudo![sic!] Convenire che
solo la teologia pu discutere su una materia simile e che un
trattato filosofico della libert sarebbe soltanto un trattato degli
effetti senza causa.
Si vede quale eterno germe di dispute e di calamit contiene
spesso lignoranza del vero significato delle parole. Senza parlare
del sangue versato dallodio e le dispute teologiche, dispute quasi
tutte fondate su un cattivo uso di parole, quali altre disgrazie
ancora non ha prodotto questignoranza, e in quali errori non ha
gettato le nazioni?
Gli errori sono pi numerosi di quello che si pensa. E noto il
racconto dello svizzero ch'era stato messo a guardia di una porta
delle tuileries, con divieto di lasciarvi entrare chiunque. Un
borghese vi si presenta: Non si entra, gli dice lo svizzero.
Allora, risponde il borghese, non voglio affatto entrare, ma
soltanto uscire dal Pont-royal Ah! Se si tratta duscire, signore,
riprende lo svizzero, potete passare. Chi lo crederebbe? Questo
racconto la storia del popolo romano. Cesare si presenta nella
piazza pubblica, vuole farvisi incoronare, ed i romani, senza aver
attribuito idee precise alla parola regalit, gli accordano, con il
nome dimperatore, la potenza che gli rifiutano con il nome di rex
[sic!]. Quello che dico dei romani pu generalmente essere applicato
ai governi ed i consigli dei principi. Tra i popoli, come tra i
sovrani, non c nessuno che non sia cascato in qualche errore
grossolano per il cattivo uso delle parole. Per sfuggire a questa
trappola, occorrerebbe, secondo il consiglio di Leibnitz, creare
una lingua filosofica, nella quale si definirebbe il significato
preciso di ciascuna parola. Gli uomini allora potrebbero
intendersi, trasmettersi idee. Le dispute, perpetuate dal cattivo
uso delle parole, finirebbero; e gli uomini sarebbero ben presto
costretti a adottare gli stessi principi in ogni scienza.
Ma, lattuazione di un progetto cos utile e cos auspicabile forse
impossibile. Non ai filosofi, ma al bisogno che si deve linvenzione
delle lingue; ed il bisogno, in questo caso, non difficile da
soddisfare. Di conseguenza, si innanzitutto attribuito qualche
falsa
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-
idea a delle parole, poi si sono combinate, comparate fra loro
idee e parole: ogni nuova combinazione ha prodotto un nuovo errore,
questi si sono moltiplicati e, moltiplicandosi, si sono talmente
complicati che sarebbe adesso impossibile, senza fatica e lavoro
interminabile, seguirne e scoprirne la sorgente. Succede con le
lingue come col calcolo algebrico: vi sinsinuano inizialmente degli
errori, che non sono avvertiti, si procede quindi secondo i primi
calcoli, e di proposizione in proposizione, si arriva a conseguenze
completamente ridicole. Se ne avverte lassurdit: ma come ritrovare
il posto dove si inserito il primo errore? A tale effetto,
bisognerebbe rifare e riverificare un gran numero di calcoli,
sfortunatamente c poca gente in grado di farlo ed ancora meno sono
quelli che lo vogliono, soprattutto quando linteresse degli uomini
potenti si oppone alla verifica.
Ho mostrato le vere cause dei falsi giudizi; ho fatto vedere che
tutti gli errori della mente hanno origine o nelle passioni o
nellignoranza, sia di certi fatti, sia del vero significato di
alcune parole. Lerrore non dunque essenzialmente legato alla natura
dello spirito umano; i nostri falsi giudizi sono leffetto di cause
accidentali che non presuppongono in noi una facolt di giudicare
distinta dalla facolt di sentire. Lerrore non quindi che un
incidente, da cui segue che tutti gli uomini hanno essenzialmente
la giusta facolt dintendere.
Una volta ammessi questi principi, nulla mi vieta adesso
daffermare, che giudicare, come ho gi dimostrato, non altro che
sentire. La conclusione generale di questo discorso, che lo spirito
pu essere considerato o come la facolt produttrice dei nostri
pensieri, e lo spirito, in tal senso, non altro che sensibilit e
memoria, o pu essere visto come un effetto di queste stesse facolt;
e in questo secondo significato, lo spirito non che un assemblaggio
di pensieri, e pu suddividersi in ogni uomo in tante parti quante
questi ha didee.
Ecco i due aspetti sotto i quali si presenta lo spirito
considerato in se stesso: esaminiamolo adesso in rapporto alla
societ. [trad. Franco Virzo]
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.DISCORSO 2 - CAPITOLO 1
Dello spirito in rapporto alla societ.
La scienza non che il ricordo o dei fatti o delle idee altrui:
lo spirito [qui sta per intelletto, ndt], distinto dalla scienza,
quindi lunione didee nuove qualsiasi.
Questa definizione dello spirito anche molto istruttiva per il
filosofo, ma non pu essere adottata in maniera generale: per il
pubblico occorre una definizione che lo metta in grado di
confrontare i diversi spiriti tra loro e di valutarne la forza e la
grandezza. Ora, se si adottasse la definizione che ho appena dato,
in che modo il pubblico potrebbe valutare lo spirito di un uomo?
Chi gli darebbe una lista precisa delle idee di quelluomo? E come
distinguere in lui scienza da intelletto? Supponiamo che io reclami
la scoperta di unidea gi conosciuta; per sapere se io meriti
realmente al riguardo il titolo di secondo inventore, occorrerebbe
che il
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pubblico, sapesse in via preliminare quello che ho letto, visto
e sentito: conoscenza che non vuole e non pu acquisire. Daltronde,
nellipotesi impossibile che il pubblico potesse avere
unenumerazione esatta della quantit e del genere delle idee di un
uomo, sostengo che per effetto di detta enumerazione, il pubblico
sarebbe spesso costretto a porre nel rango dei geni, uomini ai
quali non supponeva nemmeno che si potesse accordare il titolo
duomini dingegno [desprit]: tali sono in generale gli artisti.
Per quanto frivola possa apparire unarte, essa nondimeno
suscettibile dinfinite combinazioni. Quando Marcel4, con la mano
appoggiata alla fronte, locchio fisso, il corpo immobile, ed in
atteggiamento di profonda meditazione, esclam improvvisamente,
vedendo danzare una sua allieva: Quante cose in un minuetto! certo
che in quel momento il ballerino, dalla maniera di piegare,
esaltare e cadenzare i passi, percepiva chiaramente segni dabilit
invisibili agli occhi normali, e che la sua esclamazione era
grottesca solo per la troppo grande importanza data a piccoli
dettagli. Ora, se larte della danza racchiude un grandissimo numero
dide e di combinazioni, chi pu dire se larte oratoria non
presuppone, nellattrice che vi eccelle, altrettante idee che ne
utilizza un politico per formare un sistema di governo? Chi pu
garantire, quando si consultano le nostre brave cronache, che, nei
gesti, lornamento ed i discorsi studiati di una perfetta
civettuola, non entrano altrettante combinazioni ed idee che nesige
la scoperta di qualche sistema del mondo, e che in campi molto
diversi, la Le Couvreur e Ninon De LEnclos5 non abbiano avuto
altrettanto ingegno [esprit] dAriosto e Solone?
4 Franois-Robert Marcel (?- 1759) Ballerino francese membro
dellAcadmie royale de Danse di Parigi, maestro rinomato di minuetto
(ndt.).
5La Le Couvreur la celebre Adriana Lecouvreur (1692-1730),
considerata la pi grande attrice dei suoi tempi, ed amante di
Voltaire. Tenne un salotto a Parigi frequentato dai pi bei nomi del
momento -
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Non pretendo di dimostrare in maniera rigorosa la verit di
questa proposizione, ma far soltanto capire che, per quanto possa
sembrare ridicola, non c tuttavia nessuno in grado di risolverla in
maniera ineccepibile. Troppo spesso vittime della nostra ignoranza,
prendiamo per limiti di unarte quelli che la stessa ignoranza gli
attribuisce, ma supponiamo che si fosse arrivati, a tal proposito,
a disingannare il pubblico, affermo che illuminandolo non si
cambierebbe nulla nel suo modo di giudicare. Esso non baser mai la
valutazione di unarte soltanto sul numero pi o meno grande di
combinazioni necessarie per riuscirvi: 1) perch lenumerazione n
impossibile da realizzare, 2) perch deve considerare lingegno
[esprit] solo dal punto di vista sotto il quale importante
conoscerlo, vale a dire, in rapporto alla societ. Ora, sotto
questaspetto, sostengo che lingegno [esprit] non che un insieme, pi
o meno consistente, non soltanto didee nuove, ma per di pi didee
interessanti per il pubblico, e che meno al numero e alla finezza,
che alla scelta felice delle nostre idee, che stata legata la
reputazione di genio. In effetti, se le combinazioni del gioco
degli scacchi sono infinite, se vi si pu eccellere senza farne un
gran numero, perch il pubblico non d ai grandi giocatori di scacchi
il titolo di grandi ingegni? Il fatto che le loro idee non gli sono
utili n perch gradite n perch istruttive e che di conseguenza non
ha alcun interesse ad apprezzarle: pertanto, linteresse presiede
ogni nostro giudizio. Se il pubblico ha tenuto sempre in poco conto
gli errori la cui invenzione presuppone talvolta pi combinazioni ed
ingegno della scoperta di una verit, e se stima pi Locke che
Mallebranche, che misura sempre la propria valutazione col proprio
interesse. Con quale altra bilancia potrebbe pesare il merito delle
idee degli uomini? Ciascun privato valuta le cose e le persone
dallimpressione gradevole o sgradevole che ne riceve: il
pubblico
Anne, detta Ninon de Lenclos (1616-1705), enfant prodige come
suonatrice di liuto, plurilingue, tenne anchessa un salotto a
Parigi frequentato dalle pi note personalit, ed ebbe numerosissimi
amanti (sembra fino a 70 anni), tanto da essere chiamata Notre Dame
degli Amori. Conobbe poco prima di morire Voltaire al quale releg
la somma di 1000 franchi per acquisto di libri. (ndt.)
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-
non che linsieme dei privati, non pu quindi mai prendere altro
che la propria utilit come regola delle proprie valutazioni.
Il punto di vista, sotto il quale esamino lintelletto [esprit],
, credo, lunico sotto il quale deve essere considerato. lunico modo
dapprezzare il merito di ciascunidea, di fissare su questo punto
lincertezza dei nostri giudizi, e di scoprire infine la causa della
stupefacente diversit delle opinioni degli uomini in materia
dintelletto [esprit]; diversit assolutamente dipendente dalla
differenza delle passioni, delle idee, dei pregiudizi, dei
sentimenti, e di conseguenza degli interessi.
Sarebbe, in effetti, abbastanza singolare che linteresse
generale avesse messo un prezzo alle differenti azioni degli
uomini, che le avesse chiamate virtuose, viziose o permesse,
secondo che fossero state utili, nocive o indifferenti al pubblico,
e che questo stesso interesse non fosse stato lunico distributore
della stima o del disprezzo legato alle idee degli uomini.
Le idee, come le azioni, possono essere catalogate in tre classi
differenti.
Le idee utili: e prendendo questespressione nel senso pi lato,
intendo, con questa parola, ogni idea propria ad istruirci e
divertirci. Le idee nocive: sono quelle che fanno su di noi
leffetto contrario. Le idee indifferenti: voglio dire tutte quelle
che, poco gradevoli in se stesse o diventate troppo familiari, non
fanno su di noi quasi alcun effetto. Ora, simili idee hanno breve
esistenza, e, per cos dire, possono portare solo un istante il nome
dindifferenti: la durata o la successione, che le rende noiose, le
fa presto rientrare nella classe delle idee nocive.
Per far capire quanto questa maniera di considerare lintelletto
[esprit] sia piena di verit, applicher successivamente i principi
che stabilisco, alle azioni ed alle idee degli uomini, e prover che
in ogni tempo, in ogni luogo, tanto in campo morale che in
quellintellettuale, linteresse personale che detta il giudizio dei
singoli, e linteresse generale che detta quello delle nazioni: che
cos
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-
sempre, da parte del pubblico come da parte dei privati, lamore
o la riconoscenza che loda, lodio o la vendetta che disprezza.
Per dimostrare questa verit, e far capire lesatta e perpetua
rassomiglianza delle nostre maniere di giudicare, sia le azioni,
sia le idee degli uomini, considerer la probit e lo spirito a
diversi livelli, e relativamente, 1) ad un singolo, 2) ad una
piccola societ, 3) ad una nazione, 4) ai diversi secoli e i
differenti paesi, 5) alluniverso intero: e prendendo sempre
lesperienza come guida delle mie ricerche, mostrer che, sotto
ciascuno di questi punti di vista, linteresse lunico giudice della
probit e dello spirito. [traduzione Franco Virzo]
DISCORSO 2 - CAPITOLO 2
Della probit, in rapporto ad un privato.
Largomento trattato in questo capitolo non quello della vera
probit in senso stretto, vale a dire, della probit in rapporto al
pubblico, ma semplicemente della probit considerata relativamente a
ciascun privato. Sotto questo punto di vista, affermo che un
privato chiama probit, negli altri, soltanto labitudine delle
azioni che gli sono utili: dico abitudine, perch non una sola
azione onesta, non pi di una sola idea ingegnosa, che ci fa avere
la qualifica di virtuoso o di genio. E risaputo che non c avaro che
non si sia mostrato almeno una volta generoso, generoso che non sia
stato almeno una volta avaro, briccone che non abbia compiuto una
buonazione, stupido che non abbia detto una buona parola, ed uomo
infine che, se si raffrontano alcune azioni della sua vita, non
appaia dotato dogni virt e di tutti i vizi contrari. Maggiore
coerenza nella condotta degli uomini supporrebbe in loro una
continuit dattenzione di cui sono incapaci: differiscono solo di
poco gli uni dagli altri. Luomo assolutamente coerente non esiste
ancora, ed la ragione per cui non c nulla di perfetto sulla terra,
n nel vizio, n nella virt.
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E quindi allabitudine delle azioni che gli sono utili che un
privato assegna il nome di probit. Dico delle azioni, perch non si
per niente giudici delle intenzioni. Come si potrebbe esserlo?
Unazione non quasi mai leffetto di un sentimento: ignoriamo spesso
noi stessi i motivi che ci spingono. Un uomo opulento rende ricco
un uomo apprezzabile e povero: fa senza dubbio una buona azione, ma
si tratta solamente delleffetto del desiderio di fare qualcuno
felice? La piet, la speranza della riconoscenza, la vanit stessa,
tutti questi diversi motivi, separati o messi insieme, non possono,
a sua insaputa, averlo indotto a questazione lodevole? Ora, il pi
delle volte ignoriamo noi stessi i motivi delle nostre buone
azioni, come potrebbe il pubblico percepirle chiaramente? E quindi
soltanto attraverso le azioni degli uomini che il privato pu
giudicarne la probit.
Convengo che questa maniera di valutare ancora fallace. Un uomo
ha, per esempio, venti gradi di passione per la virt, ma
innamorato, ha trenta gradi damore per una donna, e questa ne vuole
fare un assassino: in tale ipotesi, certo che questuomo pi vicino
al crimine di quello che, avendo solo dieci gradi di passione per
la virt, non avr che cinque gradi damore per la cattiva donna. Da
cui concludo che, di due uomini, il pi onesto nelle azioni talvolta
il meno fervente per la virt. Sicch, qualsiasi filosofo conviene
che la virt degli uomini dipende infinitamente dalle circostanze
nelle quali vengono a trovarsi. Troppo spesso si sono visti uomini
virtuosi cedere ad una successione infausta davvenimenti
sorprendenti. Colui che, in tutte le situazioni possibili, risponde
della sua virt, un impostore o un imbecille di cui bisogna
ugualmente diffidare.
Dopo aver definito lidea che attribuisco alla parola probit,
considerata in rapporto al privato, occorre, per assicurarsi della
correttezza della definizione, far ricorso allosservazione, la
quale cinsegna che ci sono uomini ai quali una fortunata
disposizione naturale, un desiderio vivo di gloria e di
reputazione, ispirano per la giustizia e la virt, lo stesso amore
che gli uomini hanno comunemente per le grandezze e le ricchezze.
Le azioni
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personalmente utili a tali uomini virtuosi sono le azioni
giuste, conformi allinteresse generale, o che almeno non gli sono
contrarie. Questi uomini sono in cos piccolo numero, che li
menziono qui solo in onore dellumanit. La classe pi numerosa, e che
compone da sola tutto il genere umano, quella in cui gli uomini,
unicamente attenti ai loro interessi, non hanno mai portato lo
sguardo allinteresse generale. Concentrati, per cos dire, sul
proprio benessere, questi uomini assegnano il nome donest solo alle
azioni che gli sono personalmente utili. Un giudice assolve un
colpevole, un ministro innalza agli onori un soggetto indegno: luno
e laltro sono sempre giusti, al dire dei loro protetti, mentre il
giudice che punisce ed il ministro che rifiuta, saranno sempre
ingiusti agli occhi del criminale e del disgraziato.
Se i monaci, incaricati, sotto la prima dinastia, di scrivere la
vita dei nostri re, non tramandarono che la vita dei loro
benefattori, se designarono gli altri regni solo con le parole
nihil fecit, e se hanno dato il nome di re fannulloni a principi
molto apprezzabili, che un monaco un uomo. E che ogni uomo, nei
suoi giudizi, prende consiglio solo dal proprio interesse. I
cristiani, che davano giustamente il nome di barbarie e di crimine
alle crudelt che esercitavano su di loro i pagani, non diedero
forse il nome di zelo alle crudelt che esercitarono a loro volta
sugli stessi pagani? Che si osservino gli uomini, si vedr che non c
crimine che non sia messo nel rango delle azioni oneste dalle
societ alle quali questo crimine utile, n azione utile al pubblico
che non sia biasimata da qualche societ particolare per chi la
stessa azione nociva.
Quale uomo, in effetti, se sacrifica lorgoglio di dirsi pi
virtuoso degli altri allorgoglio di esser pi vero, e se sonda, con
attenzione scrupolosa, tutte le pieghe della sua anima, non
percepir chiaramente che soltanto alla maniera differente con cui
linteresse personale si modifica, che si debbono i propri vizi e le
proprie virt? Che tutti gli uomini sono mossi dalla stessa forza?
Che tutti tendono ugualmente alla loro felicit? Che la diversit di
passioni e di preferenze, di cui alcune sono conformi ed altre
contrarie allinteresse pubblico, che decide delle nostre virt e dei
nostri vizi? Senza disprezzare il vizioso, bisogna compiangerlo,
felicitarsi della
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-
propria natura fortunata, ringraziare il cielo non di averci
dato inclinazioni e passioni, che ci avessero costretti a cercare
la nostra felicit nelle disgrazie altrui. Poich alla fine si
ubbidisce sempre al proprio interesse; e da qui la parzialit dei
nostri giudizi, lappellativo di giusto ed ingiusto conferito alla
stessa azione, relativamente al vantaggio o allo svantaggio che
ciascuno riceve. Se luniverso fisico sottomesso alle leggi del
movimento, luniverso morale non lo di meno a quello dellinteresse.
Linteresse , sulla terra, il potente incantatore che cambia agli
occhi di ogni creatura la forma degli oggetti. La pecora pacifica,
che pascola nelle nostre pianure, non forse oggetto di spavento e
dorrore per i minuscoli insetti che vivono nello spessore delle
foglie derba? Fuggiamo questanimale vorace e crudele, direbbero,
questo mostro, la cui gola inghiotte uno per volta noi e le nostre
citt. Perch non prende esempio dal leone e dalla tigre? Questi
animali non distruggono le nostre abitazioni, non si nutrono del
nostro sangue, giusti vendicatori del crimine, puniscono la pecora
per le crudelt che essa perpetra su di noi. E cos che interessi
differenti trasformano gli oggetti: il leone ai nostri occhi
lanimale crudele, a quelli degli insetti, la pecora. Sicch si pu
applicare alluniverso morale quello che Leibenitz diceva
delluniverso fisico: che questo mondo sempre in movimento, offre ad
ogni istante un fenomeno nuovo e differente a ciascuno dei suoi
abitanti. Questo principio cos conforme allesperienza, che, senza
intraprendere unanalisi pi ampia, mi credo in diritto di concludere
che linteresse personale lunica ed universale misura del merito
delle azioni degli uomini, e che cos la probit, in rapporto ad un
privato, non , conformemente alla mia definizione, che labitudine
delle azioni personalmente utili a quel privato.
DISCORSO 2 - CAPITOLO 3
Dello spirito in rapporto ad un privato.
Trasferiamo adesso alle idee i principi che ho appena applicato
alle azioni: si sar portati ad ammettere che ciascun privato d il
nome di spirito soltanto allabitudine delle idee che gli sono
utili, sia perch
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istruttive, sia perch gradite, e che a questo nuovo proposito,
linteresse personale ancora lunico giudice del merito degli
uomini.
Qualsiasi idea che ci presentata ha sempre qualche rapporto con
il nostro stato, le nostre passioni o le nostre opinioni. Ora, in
tutti questi differenti casi, noi apprezziamo tanto pi unidea
quanto pi questidea ci utile. Il pilota, il medico e lingegnere
avranno pi stima per il costruttore di vascelli, il botanico ed il
meccanico che non ne avranno per questi stessi uomini, il libraio,
lorafo e il muratore, che gli preferiranno sempre il romanziere, il
disegnatore e larchitetto. Quando si tratter didee atte a
combattere o a favorire le nostre passioni o le nostre preferenze,
le pi apprezzabili ai nostri occhi saranno, innegabilmente, le idee
che lusingheranno quelle stesse passioni o quelle stesse
preferenze. Una donna terr pi in considerazione un romanzo che non
un libro di metafisica, un uomo quale Carlo XII preferir la storia
dAlessandro a qualsiasi altra opera, lavaro trover certamente
qualit soltanto in coloro che gli indicheranno il mezzo di piazzare
il proprio denaro allinteresse maggiore.
In fatti dopinioni, come in fatti di passioni, per apprezzare le
idee altrui, bisogna essere interessati ad apprezzarle; sul che
osserver che a questultimo proposito gli uomini possono essere
mossi da due specie dinteresse.
Ci sono uomini animati da orgoglio nobile e illuminato, che,
amanti del vero, legati al loro sentimento senzostinazione,
conservano lo spirito in questo stato di sospensione che lascia
unentrata libera alle nuove verit: a questo novero, appartengono
qualche spirito filosofico e qualche persona troppo giovane per
essersi formata opinioni e vergognarsi di cambiarle. Queste due
categorie duomini apprezzeranno sempre, negli altri, le idee vere,
brillanti, e atte a soddisfare la passione che lorgoglio illuminato
d loro per il vero. Ci sono altri uomini, e, in questo novero, li
comprendo quasi tutti, che sono animati da unambizione meno nobile;
questi possono apprezzare negli altri soltanto idee conformi alle
loro ed atte a giustificare lalta opinione che hanno tutti della
giustezza del proprio intelletto [esprit]. E su questanalogia didee
che sono fondati il loro
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odio o il loro amore. Da qui listinto sicuro e pronto che hanno
quasi tutte le persone mediocri nel riconoscere ed evitare le
persone meritevoli. Da qui lattrazione potente che gli uomini
dingegno hanno gli uni per gli altri, attrazione che li costringe,
per cos dire, a ricercarsi, nonostante il pericolo costituito
spesso nei loro rapporti dal comune desiderio di gloria che hanno.
Da qui la maniera sicura di giudicare del carattere e della natura
[esprit] di un uomo dalla scelta di libri e damici: uno sciocco, in
effetti, ha sempre soltanto amici sciocchi. Qualsiasi legame
damicizia, quando non fondato su un interesse donest, damore, di
protezione, davarizia, dambizione, o su qualche altro motivo
simile, suppone sempre una corrispondenza didee o di sentimenti tra
due uomini. Questo ci che unisce gente di condizione molto
differente; ecco perch gli Agusto, i Mecenate, gli Scipione, i
Giulio, i Richelieu ed i Cond vivevano familiarmente con gente di
cultura [esprit], e quello che ha generato il proverbio la cui
banalit prova di verit: dimmi con chi vai, ti dir chi sei.
Lanalogia o la conformit delle idee e delle opinioni, deve
dunque essere considerata come la forza attrattiva e repulsiva che
allontana o avvicinagli uomini gli uni agli altri.
Che si conduca a Costantinopoli un filosofo, che, non essendo
per nulla illuminato dalla luce della rivelazione, pu soltanto
seguire i lumi della ragione. Che questo filosofo neghi la missione
di Maometto, le visioni ed i pretesi miracoli del profeta. Chi pu
allora dubitare che quelli che sono chiamati buoni mussulmani non
allontanino quel filosofo, e non lo guardino con orrore, e non lo
trattino da pazzo, dempio e talvolta anche duomo disonesto? In vano
questi direbbe che, in una simile religione, assurdo credere ai
miracoli di cui non si personalmente testimoni, e che, se c pi da
scommettere su una bugia che su un miracolo, crederlo troppo
facilmente, credere meno in Dio che negli impostori. In vano
mostrerebbe che, se Dio avesse voluto annunciare la missione di
Maometto, non avrebbe per nulla fatto prodigi ridicoli agli occhi
della ragione meno preparata. Qualsiasi ragione della sua
incredulit adducesse il filosofo, non otterrebbe mai la reputazione
di saggio e donesto tra i buoni mussulmani, se non diventando
abbastanza imbecille per credere cose assurde, o abbastanza falso
per fingere di
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crederle. Tanto vero che gli uomini giudicano le opinioni degli
altri soltanto dalla conformit che queste hanno con le loro. Sicch
non si persuadono mai gli sciocchi se non con sciocchezze.
Se il selvaggio del Canada ci preferisce agli altri popoli
dEuropa, che accettiamo di pi i suoi costumi, il suo stile di vita
ed a questa compiacenza che dobbiamo il magnifico elogio che crede
di fare di un francese, quando dice: un uomo come me. In fatto di
costumi, dopinioni e didee, sembrerebbe quindi che sempre se stessi
che si apprezza negli altri ed la ragione per la quale i Cesare,
gli Alessandro, e generalmente tutti i grandi uomini, hanno sempre
avuto altri grandi uomini ai loro ordini. Un principe abile, prende
in mano lo scettro: appena salito al trono, che tutti i posti si
trovano occupati da uomini superiori. Il principe non li ha messi
insieme, sembra anche che li abbia addirittura presi a caso, ma,
portato a stimarne ed elevarne ai primi posti soltanto uomini il
cui spirito sia conforme al suo, far necessariamente sempre buone
scelte, per questa ragione. Un principe, al contrario, poco
illuminato: portato, per questa stessa ragione, ad attorniarsi di
gente che gli rassomigliano, far obbligatoriamente quasi sempre
cattive scelte. E la corte di simili principi che ha fatto spesso
avvicendare sciocco a sciocco nei posti pi importanti per parecchi
secoli. Cosicch i popoli, che non possono conoscere personalmente
il loro maestro, lo giudicano soltanto dal talento degli uomini di
cui si avvale e sulla stima che ha per la gente meritevole. Sotto
un monarca stupido, diceva la regina Cristina, tutta la corte o lo
o lo diventa. Ma, si dir, si vedono talvolta uomini ammirare, negli
altri, idee che non avrebbero mai avute, e che addirittura non
hanno alcuna analogia con le loro. E nota la frase di un cardinale.
Dopo la nomina a papa, il cardinale savvicina al santo padre e gli
dice: Eccovi eletto papa, lultima volta che sentirete la verit,
sedotto dalle attenzioni, vi crederete ben presto un grande uomo,
ricordatevi che prima della vostra esaltazione eravate solo un
ignorante ed un ostinato. Addio, mi predispongo a adorarvi.
Pochi cortigiani senza dubbio sono dotati dello spirito e del
coraggio necessari per tenere un siffatto discorso, ma la maggior
parte di loro, simile ai popoli che volta per volta adorano e
fustigano il loro idolo,
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sono affascinati in segreto nel vedere umiliare il padrone al
quale sono sottomessi. La vendetta gli ispira lelogio che fanno di
simili figure, e la vendetta un interesse. Colui che non per nulla
animato da un interesse di questa sorta, non apprezza e addirittura
non percepisce che le idee conformi alle proprie: perci la
bacchetta, atta a scoprire un merito nascente e sconosciuto, sta e
deve realmente stare soltanto tra le mani della gente competente,
perch non c che il gioielliere che sia esperto in diamanti grezzi,
e lo spirito che capisce lo spirito. Era solo locchio di un Turenne
che poteva scorgere, nel giovane Curchill, il famoso
Marlborough6.
Qualsiasi idea troppo estranea alla nostra maniera di vedere e
di sentire ci sembra sempre ridicola. Lo stesso progetto, che bench
vasto e grande, apparir ci nondimeno desecuzione facile al gran
ministro, sar giudicato, da un ministro mediocre, pazzo, insensato,
e il progetto, per servirmi della frase usuale tra gli sciocchi,
sar rinviato alla repubblica di Platone. Ecco la ragione per la
quale, in certi paesi, in cui le menti, irritate dalla
superstizione, sono pigre e poco capaci di grandi imprese, si crede
coprire un uomo del pi gran ridicolo, quando gli si dice: E un uomo
che vuole riformare lo stato. Ridicolo che, agli occhi degli
stranieri, povert, spopolamento dei paesi, e di conseguenza
necessit duna riforma, fa ricadere sui burloni. Ce ne sono di
popoli e di spiritosi gregari che credono di disonorare un uomo,
quando dicono di lui, con tono scioccamente furbo: un romano, una
mente [esprit]. Scherno che ricondotto al senso preciso, dice
soltanto che questuomo non gli rassomiglia per niente, vale a dire,
che non n sciocco, n briccone. Quante ammissioni imbecilli e frasi
assurde non sente nelle conversazioni, uno spirito attento, le
quali ridotte al loro significato esatto, stupirebbero molto quelli
che le utilizzano? Pertanto, luomo di merito deve essere
indifferente alla stima come al disprezzo del privato, di cui
lelogio o la critica non significano nulla, se non che quelluomo
pensa o non pensa come lui. Potrei ancora, con
6 Henri de la Tour dAuvergne, visconte di Turenne (1611-1675),
condottiero della guerra dei trentanni e della Fronda- John
Churchill (1650-1722), generale e statista inglese, ottenne il
titolo di Primo Duca di Marlborough. (ndt)
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uninfinit di altri fatti, provare che apprezziamo sempre
soltanto le idee conformi alle nostre, ma, per costatare questa
verit, occorre basarla su prove di puro ragionamento.
Discorso 2 - Capitolo 4
Della necessit nella quale ci troviamo di non apprezzare che noi
negli altri
Due cause ugualmente potenti vi ci decidono: una la vanit, e
laltra la pigrizia. Dico vanit, perch il desiderio di stima comune
ad ogni uomo; non che qualcuno tra loro non voglia aggiungere, al
piacere dessere ammirati, il merito di disprezzare lammirazione; ma
questo disprezzo non vero, e mai lammiratore stupido agli occhi
dellammirato: ora, se ogni uomo avido di stima, ciascuno di loro,
istruito dallesperienza che le sue idee non appariranno stimabili o
disprezzabile agli altri per quanto saranno conformi o contrarie
alle loro opinioni; ne consegue che ispirati dalla vanit, ciascuno
non pu astenersi da stimare negli altri una conformit didee che lo
assicurano della loro stima; e di odiare in loro una opposizione
didee, garante sicuro del loro odio o almeno del loro disprezzo che
si deve guardare come un calmante dellodio.
Ma, nella supposizione stessa che un uomo fece, allamore della
verit, il sacrificio della propria vanit; se questuomo non affatto
animato dal desiderio pi vivo distruirsi, dico che la sua pigrizia
non gli permette davere, per opinioni contrarie alle sue, che una
stima sulla parola. Per spiegare quello che intendo per stima sulla
parola, distinguer due sorte di stima.
Una, che si pu considerare come leffetto o del rispetto che si
ha per lopinione pubblica o la fiducia che si ha nel giudizio di
certe persone, e che chiamo stima su parola. Tale quella alcune
persone concepiscono per romanzi molto mediocri, unicamente perch
li credono di qualcuno dei nostri scrittori celebri. Tale ancora
lammirazione che si ha per i Descartes ed i Newton;