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La letteratura sulla fauna acquatica delle torbiere dell’Europa centrale e settentrionale è particolarmente ricca. Numerosi studi dettagliati, in particola- re in Inghilterra, Olanda e Belgio, han- no rivelato una fauna piuttosto povera in quanto a numero di specie, ma peculiare in relazione alle caratteristi- che ambientali illustrate nei precedenti capitoli di questo volume. Notevole impulso alle conoscenze delle torbiere è venuto dal progetto Telma, finanziato dall’UNESCO negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, che ha avuto come obiettivo la stesura di un piano di conservazione delle torbiere dell’Europa set- tentrionale, nonché dalla recente Direttiva Habitat e dal progetto Natura 2000, che negli ultimi dieci anni hanno consentito di accrescere notevolmente le conoscenze su questi habitat di interesse comunitario. Nonostante le peculiarità e l’interesse di questi ambienti, alla ricchezza di lette- ratura estera fa riscontro una grande povertà di studi faunistici ed ecologici nel- la letteratura italiana, studi per lo più limitati alle torbiere dell’arco alpino. Se è pur vero che il numero e l’estensione delle torbiere diminuiscono a mano a mano che si scende da nord a sud - tanto che tali ambienti divengono sporadi- ci nell’Italia meridionale ed insulare - è indiscutibile che a tale rarità corrisponde un crescente interesse per questi biotopi, che si configurano come piccole “isole” di biodiversità e sono pertanto a crescente rischio di scomparsa. Le nostre conoscenze sugli invertebrati acquatici delle torbiere alpine derivano soprattutto dalle ricerche di Giorgio Marcuzzi e collaboratori (Università di Padova), iniziate nel dopoguerra e continuate sporadicamente per circa un trentennio. Tali studi sono stati di recente ripresi soprattutto in funzione dei monitoraggi nei “siti di interesse comunitario” (categoria di aree protette alla quale appartiene la maggior parte delle torbiere alpine ancora esistenti) in Trentino-Alto Adige e nel Friuli Venezia Giulia; scarsissime permangono invece a tutt’oggi le conoscenze sulle torbiere appenniniche ed insulari. 55 Gli invertebrati acquatici FABIO STOCH Ninfa di odonato zigottero (Ischnura elegans) Particolare di un cumulo di sfagni
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Gli invertebrati acquatici - FAB · Le nostre conoscenze sugli invertebrati acquatici delle torbiere alpine derivano soprattutto dalle ricerche di Giorgio Marcuzzi e collaboratori

Feb 14, 2019

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Page 1: Gli invertebrati acquatici - FAB · Le nostre conoscenze sugli invertebrati acquatici delle torbiere alpine derivano soprattutto dalle ricerche di Giorgio Marcuzzi e collaboratori

La letteratura sulla fauna acquaticadelle torbiere dell’Europa centrale esettentrionale è particolarmente ricca.Numerosi studi dettagliati, in particola-re in Inghilterra, Olanda e Belgio, han-no rivelato una fauna piuttosto poverain quanto a numero di specie, mapeculiare in relazione alle caratteristi-che ambientali illustrate nei precedenticapitoli di questo volume. Notevoleimpulso alle conoscenze delle torbiereè venuto dal progetto Telma, finanziatodall’UNESCO negli anni ’60 e ’70 delsecolo scorso, che ha avuto comeobiettivo la stesura di un piano di conservazione delle torbiere dell’Europa set-tentrionale, nonché dalla recente Direttiva Habitat e dal progetto Natura 2000,che negli ultimi dieci anni hanno consentito di accrescere notevolmente leconoscenze su questi habitat di interesse comunitario.Nonostante le peculiarità e l’interesse di questi ambienti, alla ricchezza di lette-ratura estera fa riscontro una grande povertà di studi faunistici ed ecologici nel-la letteratura italiana, studi per lo più limitati alle torbiere dell’arco alpino. Se èpur vero che il numero e l’estensione delle torbiere diminuiscono a mano amano che si scende da nord a sud - tanto che tali ambienti divengono sporadi-ci nell’Italia meridionale ed insulare - è indiscutibile che a tale rarità corrispondeun crescente interesse per questi biotopi, che si configurano come piccole“isole” di biodiversità e sono pertanto a crescente rischio di scomparsa.Le nostre conoscenze sugli invertebrati acquatici delle torbiere alpine derivanosoprattutto dalle ricerche di Giorgio Marcuzzi e collaboratori (Università diPadova), iniziate nel dopoguerra e continuate sporadicamente per circa untrentennio. Tali studi sono stati di recente ripresi soprattutto in funzione deimonitoraggi nei “siti di interesse comunitario” (categoria di aree protette allaquale appartiene la maggior parte delle torbiere alpine ancora esistenti) inTrentino-Alto Adige e nel Friuli Venezia Giulia; scarsissime permangono invecea tutt’oggi le conoscenze sulle torbiere appenniniche ed insulari.

55Gli invertebrati acquaticiFABIO STOCH

Ninfa di odonato zigottero (Ischnura elegans)

Particolare di un cumulo di sfagni

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nelle diverse ore della giornata; l’ampiezza di tale variazione è da mettere inrelazione con la stagione, la piovosità, la ventosità e l’ombreggiatura del sito.Un marcato gradiente di temperatura (anche di 8-10°C in estate) si può mani-festare nei primi 10 cm superficiali del tappeto di sfagni; questo, infatti, è uncattivo conduttore di calore e la temperatura tende a stabilizzarsi negli stratipiù profondi. La sera la superficie si raffredda più velocemente degli strati sot-tostanti e, pertanto, il gradiente si inverte.Differenze marcate di temperatura si possono trovare anche tra le diverse par-ti della sfagneta, in particolare tra i cumuli e le pozze d’acqua libera. Questedifferenze termiche determinano la distribuzione delle specie nell’ambito dellasfagneta, in particolare di quegli elementi frigostenotermi (cioè legati ad acquefredde) che costituiscono una parte importante dei popolamenti sfagnicoli.Anche l’intensità luminosa decresce rapidamente dalla superficie verso l’inter-no di un cumulo di sfagni, limitando pertanto la presenza di microorganismifotosintetici (in prevalenza microalghe: desmidiacee, diatomee, flagellati delgenere Euglena, vedi scheda di pagg. 58-59) e dei loro predatori ai primi cen-timetri dello strato superficiale.Parallelamente alla luminosità varia la concentrazione di ossigeno disciolto,che dipende dall’attività fotosintetica, sia delle cellule dello sfagno che dellemicroalghe; inoltre, la presenza di decompositori (batteri e funghi) riduce dra-sticamente la quantità di ossigeno all’interno di un tappeto di sfagni e nel sedi-mento: usualmente una condizione di anossia si raggiunge al di sotto dei 20cm dalla superficie; a questa profondità non sono pertanto più presenti inver-tebrati.Uno dei fattori più importanti è però indubbiamente la quan-tità d’acqua che un pulvino riesce a trattenere; una piccolapozza superficiale ed un pulvino di sfagni offrono in generemicrohabitat molto diversi, che albergano solitamente faunulediverse. La microfauna che si può ottenere spremendo uncumulo di sfagni - usualmente protozoi, rotiferi, nematodi, oli-gocheti, gastrotrichi (vedi disegno), copepodi arpatticoidi,coleotteri idrofilidi ed idrenidi, larve di ditteri - è infatti bendiversa da quella ottenibile filtrando l’acqua delle pozzette(ove dominano idrozoi, copepodi ciclopoidi, cladoceri, coleot-teri ditiscidi ed eterotteri). Infine, la presenza della maggior parte delle specie acquaticheè limitata dalle condizioni di acidità; nelle sfagnete italiane unpH inferiore a 6.5 è frequente, mentre è inusuale un pH inferiorea 4. Queste condizioni di acidità consentono la presenza di alcu-ne specie acidofile di invertebrati che sono comuni alle torbiere italiane ed aquelle dell’Europa settentrionale.

■ La vita degli invertebrati degli sfagneti

Le principali peculiarità, che si possono osservare nella distribuzione degliinvertebrati acquatici nelle torbiere, sono dovute alla presenza o meno di sfa-gni. Nonostante questi vegetali caratterizzino prevalentemente le torbiere altee richiedano un certo grado di acidità, non è infrequente che alcune specieformino tappeti anche nelle torbiere piane. Pur mancando studi di dettaglio,per quanto sinora noto, le faunule albergate dagli sfagni presenti in questediverse tipologie ambientali non sono significativamente diverse tra loro,dipendendo verosimilmente dagli stessi parametri ambientali.Studi condotti prevalentemente sulle torbiere dell’Europa settentrionale hannodimostrato come il mosaico ambientale delle sfagnete consenta l’instaurarsi diun popolamento acquatico costituito da organismi piccoli a sufficienza da abi-tare in superficie la sottile pellicola d’acqua presente nelle concavità dellefoglie e, più in profondità, l’acqua trattenuta dai cumuli di sfagni. Questimicroorganismi in genere tollerano condizioni chimico-fisiche peculiari, condi-zioni che tra l’altro variano molto sia nello spazio (ad esempio procedendo dal-la sommità alla base dei cumuli di sfagno) sia nel tempo (spesso anche nell’ar-co delle 24 ore). La temperatura, la luce, la quantità d’acqua trattenuta, l’ossi-geno disciolto e l’acidità (espressa dal pH) sono tutti fattori che condizionanodrasticamente la presenza delle specie sfagnicole.La temperatura superficiale di un tappeto di sfagni varia considerevolmente

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ALT

EZ

ZA

DE

LL

A S

UP

ER

FIC

IE (

CM

)

TEMERATURA (°C)

superficie dello

sfagneto

11.30 h

18.30 h

16.00 h

16

10

5

0

-5

-10

-1518 20 22 24

Variazione giornaliera estiva della temperatura neglistrati superficiali di un tappeto di sfagni

PR

OF

ON

DIT

À (

cm)

INTENSITÀ LUMINOSA (unità di mis. arbitraria)

superficie dello sfagneto

25 50 75 100

0

2

4

6

8

10

Variazione dell’intensità luminosa al di sotto dellasuperficie di un pulvino di sfagni

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5958 Fabio StochForme microscopiche di vita fra gli sfagni

Se osservati da vicino e con attenzione,gli sfagni rivelano una struttura tridi-mensionale molto complessa. L’intrec-cio di foglioline crea un mosaico dimicroambienti che divengono ancor piùevidenti osservando piccole porzionidella pianta con l’ausilio di una lente o diun microscopio binoculare. Per questomotivo si può ritenere che l’abitabilità diun tappeto di sfagni sia tanto maggiorequanto più piccolo è l’organismo che loabita. Un microscopico protozoo perce-pirà gli sfagni come un immenso labirin-to, più complesso e vasto di quantopotrà percepirlo un copepode o unnematode. Ancora minore sarà lo spaziodisponibile agli occhi di un coleottero,mentre un anfibio non troverà tra gli sfa-gni uno spazio idoneo in cui vivere.Questo fenomeno è riconducibile a ciòche gli ecologi chiamano “struttura frat-tale” dell’habitat. Poiché lo spazio abita-bile cresce con la diminuzione delledimensioni di chi lo abita, risulta eviden-te come i microorganismi siano moltopiù numerosi tra gli sfagni rispetto aglialtri invertebrati.Per questo motivo gli sfagni presentanouna microflora ed una microfauna ricca

e diversificata; da studi compiuti su tor-biere inglesi risulta che il numero di spe-cie di alghe microscopiche, protozoi erotiferi censiti nelle torbiere ammonta aoltre 300, mentre tutta la restante partedella fauna, trattata nei capitoli di que-sto volume, non comprende più di uncentinaio di specie.Le alghe microscopiche più comunisono le desmidiacee, presenti nelle sfa-gnete con svariate decine di specie;molte appartengono al genere Closte-rium, e sono talora esclusive delle acquedi torbiera. Ogni individuo è costituito dauna singola cellula divisa in due metàsimmetriche, fatto questo che rende ledesmidiacee immediatamente riconosci-bili; le dimensioni variano da un centesi-mo di millimetro a poco più di un milli-metro. Una possibile spiegazione dellanotevole presenza di questi microorgani-smi è presumibilmente da ricercarsi nelfatto che gli sfagni fanno aumentare l’a-cidità dell’acqua da essi trattenutamediante scambio ionico: con il diminui-re del pH aumenta la disponibilità di ani-dride carbonica libera, che aiuta le alghefotosintetiche a prosperare.Abbondanti in questo ambiente sono

anche le diatomee, che si possono otte-nere in gran numero spremendo gli sfa-gni. Queste microalghe sono spesso piùnumerose delle desmidiacee, ma soven-te presenti con un minor numero di spe-cie, soprattutto nelle torbiere acide. Lediatomee sono organismi unicellulariprotetti da un frustulo siliceo di strutturacomplessa, che le rende particolarmen-te allettanti per l’osservazione al micro-scopio.Accanto a diatomee e desmidiacee sonopresenti in gran numero altri microorga-nismi fotosintetici, quali cianobatteri (oalghe azzurre), crisoficee e fitoflagellati.Tra questi ultimi sono comuni le cellule diChlamydomonas di cui esiste una spe-cie, denominata C. acidophila, che nelletorbiere dell’Europa settentrionale puòraggiungere densità di oltre 50.000 cellu-le per centimetro quadrato.Ma i microorganismi forse più incredibiliche vivono tra gli sfagni sono le tecame-be e gli eliozoi. Le prime costruiscono,attorno all’unica cellula del loro corpo,una “teca” che consiste di una secrezio-ne trasparente che ingloba minute parti-celle minerali o organiche, formandosplendide e variegate figure, per lo più a

forma di bottiglia, che le hanno rese giu-stamente famose tra i microscopisti. Lalunghezza di queste teche non supera ingenere il decimo di millimetro. Ancorapiù incredibili sono gli eliozoi, quali Acti-nophrys sol, dal cui corpo, unicellulare esferoidale, si irradiano pseudopodi allun-gati che fanno assomigliare questomicroorganismo ad un piccolo sole.Tra i protozoi, infine, abbondano nellesfagnete i ciliati, il cui corpo è ricopertoda minuscole ciglia che battono ritmica-mente permettendo all’organismo dimuoversi anche molto velocemente.L’osservazione al microscopio di una“spremitura” di sfagni ne rivelerà moltis-simi, appartenenti a numerose specie:un vero brulichio di vita in una gocciad’acqua.Per concludere questa breve rassegnasul mondo microscopico, non possiamonon ricordare alcuni microorganismi plu-ricellulari che sovente pullulano nellespremiture; tra questi molte specie dirotiferi, nonché gastrotrichi e tardigradi.Questi ultimi, che si arrampicano comepiccoli bradipi sui fusticini degli sfagni,sono forse tra gli organismi più curiosiche popolano questo piccolo mondo.

a

b

c

d a

b

c

Differenti teche di tecamebe (a, b, c) e fitoflagellato del genere Phacus (d) Le desmidiacee Netrium (a), Xanthidium (b), Closterium (c)

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■ Gli invertebrati delle torbiere

In relazione alle peculiari caratteristiche ambientali, le torbiere alte ed i tappetidi sfagni ospitano interessanti specie acidofile, presumibilmente relitti glaciali,che presentano spesso una distribuzione geografica di tipo boreoalpino (vedischeda a pagg. 76-77). Si tratta, cioè, di specie presenti sia nell’Europa set-tentrionale che sull’arco alpino, che talora si spingono verso sud lungo gliAppennini ove permangono solo in alcune stazioni relitte; annoveriamo in par-ticolare, in questa categoria, alcune specie di copepodi arpatticoidi, di ditterichironomidi e di coleotteri.Molto più note in Italia, le torbiere piane in assenza di sfagni albergano inveceuna fauna meno peculiare e non dissimile da quella di altre paludi in cui non siriscontra presenza di torba. Si tratta in genere di ambienti di origine piuttostorecente, con acque eutrofiche (cioè ricche in nutrienti), basiche o solo legger-mente acide, e con brusche variazioni dei parametri ambientali; la fauna adinvertebrati acquatici è pertanto in genere povera di specie. Studi completi con-dotti su torbiere del Trentino, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia hanno per-messo di censire in media meno di un centinaio di specie di invertebrati acqua-tici per ogni biotopo; i gruppi tassonomici più ricchi di specie in tali ambientisono risultati i nematodi, seguiti dai crostacei copepodi, dagli insetti (in preva-lenza coleotteri e ditteri, con rari efemerotteri, odonati, plecotteri ed eterotteri) edai molluschi; gli altri gruppi sono presenti con pochissime specie. Studi zoogeografici condotti su alcune di queste torbiere hanno permesso diappurare che le specie dominanti in questo ambiente sono quelle cosmopoliteo subcosmopolite (cioè specie la cui distribuzione geografica è molto ampia, erisultano presenti in tutti, o quasi tutti, i continenti), oloartiche (cioè ampiamen-te distribuite nell’emisfero settentrionale del pianeta: Nordamerica ed Eurasia) opaleartiche (solo nel vecchio continente); le rimanenti specie sono tutte adampia distribuzione in Europa, mentre insignificante (e ovvia, in relazione altopoclima di tali aree) è la presenza di specie mediterranee. Non esistono tra gliinvertebrati acquatici sinora studiati specie endemiche, cioè specie ad arealeristretto (ad esempio esclusive dell’Italia o di una piccola porzione del territorioitaliano). La spiegazione di questo fatto va forse ricercata nel carattere giovani-le del popolamento, che sicuramente deve essersi formato durante il post-gla-ciale, cioè sostanzialmente nel corso degli ultimi 10.000 anni.Tra i numerosi gruppi tassonomici che sono presenti nelle torbiere italiane, nericorderemo in questa breve trattazione solo i principali, omettendo pertantotutte quelle specie ad ampia valenza ecologica che colonizzano sia l’ambien-te di torbiera che stagni, paludi, ruscelli o rive dei laghi, ma rivolgendo invecela nostra attenzione alle specie tirfofile o di particolare rilievo per la biogeo-grafia italiana.

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La parte inondata di una torbiera nell’area della Foresta di Tarvisio (Friuli Venezia Giulia)

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Molluschi. Rarissimi o adirittura assenti nelle torbiere acide, in relazione allapresenza di carbonato di calcio nei loro gusci che diviene solubile in ambien-te acido, i molluschi sono invece ben rappresentati nelle torbiere piane edalcaline con numerose specie, spesso ad ampia valenza ecologica, ma talvol-ta localmente così abbondanti da meritare di essere ricordate: Lymnaeaperegra, Galba truncatula, Gyraulus albus, Bithynia tentaculata, Valvata cri-stata sono alcune delle più comuni. Tra i bivalvi, che si infossano nel sedi-mento di fondo delle pozze, sono presenti Sphaerium corneum nonchénumerose specie del genere Pisidium, quali P. casertanum, P. subtruncatum,P. obtusale e P. nitidum.

Cladoceri. Molto frequenti nelle pozze, sono presenti anch’essi in genere conspecie ad ampia valenza ecologica, quali Simocephalus exspinosus, S. vetulus,Ceriodaphnia pulchella, Alona affinis, Alona quadrangularis, per citarne solo alcu-ne. Interessante il recente ritrovamento in Italia di una specie nuova per la nostrafauna, Alona rustica, raccolta spremendo muschi in una torbiera in Val d’Aosta.

Copepodi. Sono presenti nelle torbie-re italiane i rappresentanti di due diver-si ordini di questi crostacei, i ciclopoidie gli arpatticoidi. I copepodi ciclopoidi frequentano inparticolare le pozze, grandi e piccole,che si trovano all’interno delle torbiere,ove si possono rinvenire in numeromolto elevato. Le specie più abbon-danti nelle nostre torbiere sono per lopiù specie banali e ad ampia valenzaecologica, quali i predatori Macrocy-clops albidus, Megacyclops viridis,Diacyclops bicuspidatus ed i fitofagi

e/o detritivori Eucyclops serrulatus, Paracyclops fimbriatus, Tropocyclops pra-sinus, Thermocyclops dybowskii. La specie più comune nelle torbiere d’altaquota è invece Acanthocyclops vernalis, ad ampia distribuzione in Europa, cheraggiunge sulle Alpi i 2800 m.Accanto a queste specie, di grandi dimensioni (grandi per i copepodi significa0.7-1.8 mm), troviamo tra i ciclopoidi alcune specie di piccola taglia (di pocosuperiore al mezzo millimetro) specializzate a vivere tra i muschi, gli sfagni ed ildetrito torboso; tra queste Diacyclops languidus e Diacyclops hypnicola, occa-sionalmente presenti anche in acque sotterranee, sono elementi caratteristicidelle torbiere alpine, appenniniche e dell’Europa centrale e settentrionale.

Cnidari. Molto comuni nelle torbiereitaliane sono le idre, piccoli polipi pre-datori che si nutrono di altri minuscoliinvertebrati, quali crostacei (cladoceri,copepodi), larve di ditteri e talora addi-rittura giovani larve di tritone. Tra lespecie presenti ve ne è una, riportataper una torbiera piana del Veneto,Hydra hadleyi, sinora descritta solo peril Nordamerica; la specie non è peròpiù stata ritrovata in Italia; questo fatto,nonché la sua assenza dalla checklistdelle specie della fauna italiana, è pre-sumibilmente da porre in relazione con

la scarsissima attenzione che hanno ricevuto questi invertebrati negli studifaunistici nel nostro Paese.

Nematodi. I popolamenti a nematodi delle torbiere italiane sono ben cono-sciuti per quanto riguarda i biotopi dell’arco alpino, dove questi organismicostituiscono spesso il gruppo tassonomico di gran lunga dominante. Accan-to a specie presenti tra le radici delle piante, in genere banali e ad ampiavalenza ecologica, troviamo nelle torbiere italiane per lo più elementi sia dul-ciacquicoli che terricoli, cioè presenti anche nei suoli umidi. Si tratta sempre dispecie ad ampia distribuzione geografica, talora localmente abbondanti, qualiPlectus parietinus, Rhabdolaimus terrestris, Monhystera filiformis, Paractino-laimus macrolaimus. Da uno studio condotto in torbiere del Veneto risulta chei nematodi sono presenti sia nel detrito di fondo delle pozze di torbiera, sia in

quello galleggiante in superficie. Inematodi delle torbiere hanno un regi-me alimentare molto vario, compren-dendo batteriofagi, fitofagi, predatorinonché forme parassite.

Oligocheti. Pur essendo onnipresentinelle torbiere italiane, questi organismisono rappresentati da poche specie adampia distribuzione e valenza ecologi-ca, presenti in numerosi ambienti d’ac-qua dolce (ruscelli, pozze e stagni);Lumbriculus variegatus ed Eiseniellatetraedra sono tra le specie più comuni.

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Oligocheti

Cnidario del genere Hydra

Copepode arpatticoide (Bryocamptus)

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I copepodi arpatticoidi invece, pur essendo presenti con poche specie comu-ni (quali Canthocamptus staphylinus e Attheyella crassa) anche nelle pozze,annoverano specie che vivono nel sedimento, tra gli sfagni, nei muschi e per-sino nel suolo imbibito d’acqua; tra queste sono comuni nelle nostre torbiereBryocamptus pygmaeus, Epactophanes richardi, Phyllognathopus viguieri.Altre specie sono molto interessanti, in quanto strettamente legate alle torbie-re e all’ambiente interstiziale montano, quali Bryocamptus veidovskji, Elaphoi-della gracilis, Moraria mrazeki, Moraria alpina, Maraenobiotus veidovskji,Hypocamptus brehmi. Le ultime quattro in particolare potrebbero essere ele-menti boreoalpini; la loro tassonomia e distribuzione è però ancora oggetto distudio da parte degli specialisti.

Idracari. Le conoscenze sugli acari acquatici delle torbiere italiane sono anco-ra piuttosto frammentarie. Questi interessanti aracnidi, dal ciclo biologicocomplesso ed ectoparassiti, durante gli stadi giovanili, di varie specie di inset-ti acquaioli, sono predatori di piccole dimensioni (pochi millimetri) piuttostofrequenti nelle torbiere alpine ed appenniniche. Tra le specie citate per torbie-re italiane ricordiamo quelle dei generi Panisus e Protzia, diffuse in biotopi del-l’arco alpino con acque lievemente fluenti, e Arrenurus (Megaluracarus) cylin-dratus, presente in torbiere dell’Italia centrale.

Efemerotteri e Plecotteri. Non vi sono in Italia efemerotteri esclusivi delle tor-biere. Negli studi effettuati in torbiere alpine e prealpine sono state più voltesegnalate le ninfe di Cloeon dipterum, specie ubiquista che frequenta acqueferme, quali stagni e pozze, ove forma quasi sempre popolamenti monospeci-fici. Quando l’acqua della torbiera presenta un maggiore ricambio, nonché neirivoletti che si originano talora dalla torbiera stessa, C. dipterum è sostituito daaltre specie, quali Centroptilum luteolum e Habrophlebia lauta, che presentanomaggiori esigenze in quanto ad ossigenazione delle acque.Anche i plecotteri, le cui ninfe, acquatiche, prediligono acque correnti e benossigenate, sono molto scarsi nelle torbiere; uniche specie rinvenute di fre-quente sono quelle del genere Nemoura, come N. cinerea e N. sinuata.

Odonati. Le larve di odonati (libellule e damigelle) sono predatori che si pon-gono al vertice delle piramidi alimentari delle pozze di torbiera, ove sono mol-to frequenti; la loro dieta include nei primi stadi microcrostacei (copepodi ecladoceri) e piccole larve di insetti, mentre le forme preimmaginali si alimenta-no di invertebrati di maggiori dimensioni, nonché di girini di anfibi e giovani tri-toni. Per il ruolo ecologico che rivestono, grossa importanza è stata data allespecie di odonati quali bioindicatori in questi ambienti e notevole rilievo assu-mono come specie di interesse comunitario nella Direttiva Habitat della Comu-

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Ischnura elegans

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Coleotteri. Numerose sono le famiglie di coleotteri acquaioli che frequentanole torbiere; ognuna di esse presenta specifiche preferenze alimentari e uncaratteristico modo di vita.Gli aliplidi comprendono specie fitofaghe, che si nutrono in particolare a spese dialghe filamentose; sono comuni negli stagni e, essendo buoni nuotatori, fre-quentano in particolare le pozze di torbiera. Gli aliplidi sono acquatici sia allo sta-dio larvale che adulto. La specie più diffusa in tali ambienti è Haliplus ruficollis. I girinidi sono coleotteri predatori; le larve si nascondono tra i detriti di fondo,mentre gli adulti vivono in superficie, ove si possono talora notare muoversinumerosi e velocemente nelle pozze di torbiera. Ad un modo di vita così pecu-liare corrisponde anche una morfologia particolare; gli occhi composti sonoinfatti scissi nettamente in due parti: quando l’insetto nuota in superficie, quel-la superiore è in emersione, mentre quella inferiore è parzialmente immersa,permettendo all’insetto di scorgere le prede sia sopra sia sotto la superficiedell’acqua. Ma le specializzazioni più sorprendenti si trovano negli arti; quellianteriori sono modificati in organi sia raptatori (idonei cioè a catturare la preda)sia idonei al movimento sull’acqua, essendo a forma di spatola; gli altri artisono invece completamente trasformati in organi natatori appiattiti e ricchi disetole. Tra le specie più frequenti nelle torbiere ricordiamo Gyrinus paykulli.

nità Europea. Tra le specie frequenti nelle torbiere italiane annoveriamo in pre-valenza specie comuni e ad ampia diffusione, quali Ischnura elegans e Aeshnajuncea, accanto ad alcune specie rare e particolarmente legate a torbiere epaludi, come Somatochlora alpestris, Aeshna caerulea e Leucorrhinia pectora-lis. Quest’ultima è inserita nell’allegato II della Direttiva Habitat ed è segnalatain torbiere alpine dell’Italia nord-orientale e nelle torbiere del Sebino al Lagod’Iseo. In pochi siti dell’Italia nord-orientale è segnalata la presenza di Neha-lennia speciosa, il più piccolo odonato europeo.

Eterotteri. Molto comuni nelle torbiere sia montane che planiziarie, gli eterot-teri (cimici d’acqua) delle torbiere sono con poche eccezioni predatori che sinutrono di microcrostacei, larve di insetti acquatici nonché (per le specie chevivono in superficie) di piccoli insetti accidentalmente caduti nell’acqua. Glieterotteri costituiscono una delle componenti più costanti dei popolamenti adinvertebrati acquatici delle torbiere, anche se nessuna specie è particolarmen-te legata a questo tipo di ambienti. Frequentano in particolare le pozze di mag-giori dimensioni, ove ritroviamo sia specie nuotatrici (Notonecta maculata, Ily-coris cimicoides), sia specie che vivono sul pelo dell’acqua ove si muovonosfruttando la tensione superficiale (generi Gerris e Velia).

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Ilyoris cimicoidesNotonecta maculata

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nello stesso ambiente. Caratteristiche di paludi e torbiere sono Dryops dode-roi, presente nell’Italia appenninica e nelle isole, Dryops anglicanus dell’Italiasettentrionale e Dryops similaris ad ampia distribuzione nel nostro Paese.Infine, sono frequenti tra il detrito delle torbiere le larve degli scirtidi (generiCyphon e Scirtes in particolare), detritivori; gli adulti sono invece terrestri evivono su arbusti ed erbe anche lontano dall’acqua.

Tricotteri. A differenza dagli altri gruppi tassonomici trattati, la fauna a tricotte-ri (le cui larve sono note come portasassi o portalegna) è molto più ben cono-sciuta nelle torbiere dell’Italia appenninica che non in quelle dell’arco alpino,poiché maggiormente studiata in questi ambienti da ricercatori dell’Universitàdi Perugia. I tricotteri frequentano nelle torbiere in particolare pozze e rivolid’acqua, solo poche specie si rinvengono tra gli sfagni. La maggior parte del-le larve di tricotteri che frequentano le torbiere, con rare eccezioni, si costrui-scono un fodero con rametti e pezzi di legno, foglie morte, detriti vari (taloragusci di gasteropodi), tenuti assieme da fili di seta. Il loro regime alimentare èdetritivoro; le specie tagliuzzano e frammentano le foglie morte ed altro detritoorganico presente sul fondo delle pozze di torbiera, contribuendo pertanto allademolizione della sostanza organica grossolana. Solo alcune specie, che vivo-no in genere nei tratti ad acqua corrente, non si costruiscono foderi e sonopredatrici; queste specie richiedono in genere un substrato ghiaioso o ciotto-loso e sono presenti pertanto solo in ambienti marginali, come i rivoli che siformano spesso a valle delle torbiere montane.

I ditiscidi sono predatori di dimensioni variabili da pochi millimetri a oltre trecentimetri; abili nuotatori, frequentano anch’essi pozze ed aree ad acqua libera.Sono acquatici sia allo stadio larvale che adulto. Numerose sono le specie rac-colte nelle torbiere italiane, anche se nessuna è esclusiva di tale tipologiaambientale. Tra quelle, in base alle attuali conoscenze, più strettamente legatealle torbiere citiamo Bidessus grossepunctatus, Hydroporus melanarius, H. tri-stis, Agabus congener, Ilybius aenescens, Graphoderus austriacus. Tra le spe-cie più comuni e localmente abbondanti, ma ad ampia valenza ecologica, ricor-diamo Copelatus haemorrhoidalis, Hydroporus memnonius, Agabus bipustula-tus, Hydaticus seminiger e, tra quelle di maggiori dimensioni, Dytiscus margina-lis, che preda in particolare grosse larve di insetti, nonché girini e larve di anfibi.Frequenti sono anche gli idrenidi, famiglia di coleotteri nerastri di piccole o pic-colissime dimensioni (talora sotto i 2 mm). Si rinvengono tra il detrito, nei tap-peti di sfagni, nei ruscelli emissari (generi Ochthebius, Hydraena, Haenydra,Limnebius); sono tutti raschiatori e si nutrono delle microalghe e delle patinefungine che si sviluppano sui detriti sommersi. Acquatici solo allo stadio adul-to, le larve si rinvengono invece nel terreno umido ai margini delle torbiere.Molto frequenti nelle torbiere sono i rappresentanti della famiglia degli elofori-di, piccoli coleotteri nerastri facilmente riconoscibili per il pronoto solcato lon-gitudinalmente. Sono rappresentati da numerose specie del genere Helopho-rus, di difficile identificazione. Si tratta di specie onnivore che frequentano inparticolare i tappeti di sfagni, ove si annidano tra le fronde o il detrito; sonoacquatici solamente allo stadio adulto.La famiglia di coleotteri meglio rappresentata nelle torbiere è costituita dagliidrofilidi, acquatici sia allo stadio larvale (durante il quale sono predatori) cheadulto (quando sono in genere fitofagi o detritivori). Troviamo in questa fami-glia sia specie bentoniche che ripariali, appartenenti a numerosi generi (i piùfrequenti sono Berosus, Helochares, Enochrus, Anacaena, Limnoxenus,Hydrobius e Laccobius, quest’ultimo ricco di specie). I rappresentanti deigeneri Laccobius ed Anacaena, oltre che nel detrito, sono frequenti nei tappe-ti muscinali e nelle sfagnete, ove si possono trovare facilmente comprimendo-ne la superficie con la mano: i coleotteri vengono così spremuti in superficie erisulta facile vederli muoversi impacciati nell’acqua libera.Molto simili agli idrofilidi e con le stesse abitudini di vita sono gli sferidiidi, di cuiCoelostoma orbiculare è uno dei componenti più tipici della fauna delle torbiere;anche in questo caso si tratta però di un coleottero a più ampia valenza ecologi-ca, che si ritrova in tutte le tipologie di acque lentiche (pozze, stagni, paludi).Sono frequenti nelle torbiere anche alcune specie della famiglia dei driopidi.Questi coleotteri popolano le rive, i cespi di Carex spp. e gli ammassi di sfagni;in questo ambiente si nutrono delle microalghe e dei vegetali in decomposizio-ne. Le uova vengono deposte nei detriti marcescenti e le larve si sviluppano

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Larva di tricottero del genere Sericostoma

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Tra le specie più frequenti, seppure non esclusive, ricordiamo quelle dei generiLimnephilus (L. lunatus, L. borealis), Micropterna, Plectrocnemia, Sericostoma,Stenophylax e, tra quelle prive di astuccio, le numerose specie di Rhyacophila,quali R. dorsalis, R. intermedia, R. orobica.

Ditteri. Se si escludono i chironomidied i culicidi, scarsissime sono le cono-scenze sulle altre famiglie di ditteri del-le torbiere italiane, le cui larve popolanonumerose ogni sorta di microambienti(ricordiamo le famiglie ceratopogonidi,psicodidi, tipulidi, limoniidi, ragionidi,straziomiidi, tabanidi e sirfidi). Le larve di chironomidi sono onnipre-senti in tutti i microambienti delle tor-biere, ove troviamo specie sia detriti-vore che predatrici, con prevalenza diqueste ultime, appartenenti alla sotto-famiglia dei tanipodini. Alcune specieerano considerate veri e propri ele-menti tirfobionti, cioè esclusivamentelegate a tali ambienti; oggi si tendepiuttosto a considerarle come tirfofile,cioè specie che prediligono l’ambientedi torbiera ma non ne sono esclusive. Presumibilmente la loro distribuzione èlimitata non tanto dalla struttura dell’habitat delle torbiere, quanto dalla pre-senza di un pH acido, che può sussistere anche in altre tipologie ambientali(laghi distrofici, acque moderatamente inquinate). Sono segnalate in torbierealpine numerose specie tirfofile; di particolare rilievo sono Acamptocladiusreissi (di recente rinvenimento in Italia nel Trentino-Alto Adige), Schineriellaschineri (specie molto rara, di cui sono note tre sole stazioni europee, una del-le quali in Italia), Labrundinia longipalpis (unica specie europea di un genereche ne annovera numerose in Sudamerica, nota anche come subfossile alLago di Nemi); talora abbondanti sono inoltre le specie del genere Psectrocla-dius, quali P. platypus e P. oligosaetus. Infine Telmatopelopia nemorum è spe-cie di frequente rinvenimento nelle torbiere e, come indica il nome specifico,nelle pozze boschive (prevalentemente in ontaneta).Per quanto attiene le larve di culicidi (zanzare), nelle pozze di torbiera possonosvilupparsi numerose alcune specie, quali Aedes vexans; si tratta di filtratori deldetrito organico fine che si trova in sospensione nell’acqua. Questi ditteri si svi-luppano solo in presenza di acque ferme, rifuggendo quelle debolmente correnti.

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Astuccio larvale di tricottero del genere Limnephilus

Larva di dittero culicide (zanzara)

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Il popolamento di invertebrati terrestridelle torbiere montane italiane non è néricco di specie né adeguatamente cono-sciuto. Diverse sono le ragioni della rela-tiva povertà faunistica di questi ambien-ti. Innanzitutto, ne sono responsabili ledifficili e selettive condizioni topo- emicroclimatiche, già discusse in altricapitoli di questo volume. In secondoluogo vanno considerate le piccoledimensioni di quasi tutte le torbiere, cherappresentano quindi delle “isole” trop-po piccole per sostenere a tempo indeterminato popolazioni sufficientementenumerose, e quindi vitali, di molte specie. Ma vi sono anche ragioni più specifi-che. Prima tra queste la dominanza di piante come gli sfagni, e le briofite in gene-re, che - per ragioni ancora poco chiare - sono praticamente prive di interesse,dal punto di vista alimentare, per quasi tutti gli insetti fitofagi. Altra ragione chespiega il basso numero di invertebrati terrestri frequentanti la vegetazione delletorbiere è la scarsità di fioriture capaci di offrire abbondanti quantità di polline e,soprattutto, di nettare. Quest’ultima condizione dà ragione del fatto che alcunilepidotteri, che pure trovano in torbiera le piante nutrici (mirtilli, soprattutto) di cuisi alimentano le loro larve, sono costretti da adulti a cercare il nutrimento a qual-che distanza, in formazioni vegetali capaci di offrire fioriture più interessanti. Molto poche, dunque, sono le specie tirfobionti, strettamente legate cioè a que-sti ambienti con substrato torboso, e poche anche le specie tirfofile, che vi siritrovano abitualmente ma non in modo esclusivo. Numerose sono peraltro lespecie di insetti e di altri invertebrati che vi si ritrovano più o meno occasional-mente e che gravitano invece su formazioni vegetali diverse, erbacee o forestali,presenti nelle aree prossime ad una torbiera. Di quest’ultime specie, natural-mente, non è il caso di dare un elenco. Ma è importante tenerne conto, sia per-ché in termini di biodiversità esse possono rappresentare la frazione più rilevan-te della fauna censita in una torbiera, sia perché la loro presenza sottolinea l’in-cessante e spesso massiccio flusso di organismi che esiste fra ecosistemi diver-si, a dispetto di tutte le nostre schematizzazioni concettuali.

73Gli invertebrati terrestriALESSANDRO MINELLI

L’ortottero Roeseliana roeseli

Le aree di torbiera sono caratterizzate dascarse fioriture

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Ragni e opilioni. I predatori più impor-tanti, tra gli invertebrati delle torbieremontane, sono senza dubbio i ragni,presenti quasi sempre con un numeroelevato di specie, per lo più forme igro-file che costruiscono tele in mezzo allavegetazione (come i rappresentantidelle famiglie dei teridiidi, dei linifiidi,degli araneidi, dei dictinidi e moltitetragnatidi), ovvero cacciano all’ag-guato (i tomisidi o ragni-granchio)oppure inseguono le loro vittime vaga-bondando sul terreno o tra le piante (ilicosidi, i clubionidi e i salticidi).Molto diverso è l’aspetto delle telecostruite dai ragni delle diverse famiglie. Fra la vegetazione più bassa abbon-dano, in particolare, i ‘baldacchini’ di seta non vischiosa costruiti dai piccolirappresentanti dei linifiidi, mentre le tele circolari caratteristiche degli araneidirichiedono più spesso il sostegno di piante più alte e robuste.Molto ricca è la documentazione disponibile a riguardo dei ragni delle torbieredell’Europa centrale, dove questi invertebrati predatori possono essere pre-senti, nelle diverse facies della torbiera, con un numero elevato di specie,anche una cinquantina.Del tutto frammentarie sono invece le conoscenze sui ragni delle torbieremontane italiane. Qualche dato recente è disponibile per l’affine gruppo degliopilioni, ma solo per torbiere di media quota. Anche in questo caso, la fauna èpiuttosto ricca di specie, ma non si riscontrano elementi specifici degliambienti di torbiera.

Ortotteri. La biomassa degli insetti fitofagi presenti nelle torbiere, come inmolti altri ecosistemi terrestri, è costituita in larga misura dagli ortotteri (nel-l’ambito dei quali esistono peraltro anche specie zoofaghe), oltre che dallelarve dei lepidotteri. Fra gli altri utilizzatori di piante, la componente maggioreè rappresentata dagli emitteri (cimici, cicadelle e afidi soprattutto), succhiato-ri di linfa.Poche sono le specie di ortotteri che si rinvengono nelle torbiere montane, mail loro breve elenco include anche qualche entità specializzata. Alcune di que-ste, come Xiphidion dorsalis, Roeseliana roeseli, R. azami minor, Chrysoch-raon dispar e Ch. beybienkoi, utilizzano alcune piante palustri per deporvi leuova, grazie al loro lungo ovopositore a forma di sottile spada. La distribuzio-ne di alcune di queste specie in Italia è molto limitata o addirittura puntiforme.

Molluschi terrestri. L’ambiente di torbiera è tra i più inospitali per i molluschiterrestri, soprattutto quando queste formazioni vegetali risultano insediate susuoli già di per sé acidi. Il problema è ovviamente più drammatico per le spe-cie provviste di conchiglia, la cui presenza è condizionata dalla disponibilità dicarbonato di calcio. La vegetazione, inoltre, non è delle più appetibili per que-sti animali, data la prevalenza delle briofite (pochissimo utilizzate dagli anima-li, come si è detto) e delle ciperacee, dalle foglie scarne e dure.Nelle torbiere montane si rinvengono per lo più solo specie euriecie, più fre-quenti nei prati umidi o nella lettiera dei boschi, e di minuscole dimensioni, comei rappresentanti dei generi Carychium, Cochlicopa, Nesovitrea, Punctum edEuconulus. Dal punto di vista del regime alimentare, questa fauna appartienealla categoria dei fitosaprofagi piuttosto che a quella dei fitofagi in senso stretto.Il popolamento si fa un poco più ricco là dove il substrato circostante la tor-biera è di natura calcarea; si possono infatti aggiungere specie dei generi Val-lonia, Columella, Vitrea e Vertigo. Quest’ultimo genere è rappresentato soprat-tutto da Vertigo antivertigo e da V. angustior, mentre sono molto rare V. genesiie V. geyeri, due specie elencate nell’allegato II della Direttiva Habitat.Più lontano dall’acqua, dove vengono meno il carattere nettamente acido delsubstrato di torbiera e la sua perenne umidità, si possono aggiungere specieigrofile e calcifile montane, come l’elicide Arianta arbustorum, il clausiliideMacrogastra plicatula, nonché la limaccia Arion subfuscus ed i curiosi rappre-sentanti dei generi Vitrinobrachium e Semilimax, dalla conchiglia rudimentale.I due ultimi generi citati comprendono specie a distribuzione circoscritta all’arcoalpino. Fra gli altri molluschi terrestri rinvenibili in ambiente di torbiera, le speciepiù interessanti dal punto di vista zoogeografico sono Nesovitrea hammonis e N.petronella, entrambe a distribuzione boreoalpina (vedi scheda a pagg. 76-77).

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Araneus diadematusCochlicopa lubricaEuconulus fulvus

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7776 Alessandro MinelliLe glaciazioni e le specie boreoalpine

L’areale geografico che una specieoccupa sulla faccia della Terra è spiega-to solo in parte dalle esigenze ecologi-che della stessa specie. Questa, infatti,può mancare in molte aree che sembre-rebbero potenzialmente adatte alla suapresenza, come del resto si può spessoverificare a seguito dell’introduzione diuna pianta o di un animale in un’areadiversa da quella di cui era originaria.Oltre che dell’ecologia, gli areali sonoanche il prodotto della storia: una storiadi variazioni climatiche, di migrazioni, diestinzioni locali, di ricolonizzazioni. Inaltre parole, gli areali non sono immuta-bili; al contrario, possono modificarsisensibilmente ed anche in tempi brevi,soprattutto in periodi di più intensimutamenti climatici.È quanto è accaduto in buona parte del-l’Europa durante gli alterni episodi gla-ciali e interglaciali del Quaternario.Nei periodi più freddi, l’avanzata deighiacci veniva spingendo le faune e leflore verso latitudini più meridionali, findove le naturali barriere geografiche(montagne e mari soprattutto) potevanoconsentirlo. Le grandi penisole mediter-ranee (penisola iberica, penisola italica,penisola balcanica) hanno rappresenta-to così, per moltissime specie, dellearee di rifugio dove fu loro possibilesopravvivere durante i periodi di massi-mo glaciale e da cui sono poi ripartiteper una nuova colonizzazione dell’Euro-pa centrale e settentrionale.L’orografia del nostro continente è peròmolto accidentata, soprattutto per lapresenza del grande sistema montuosoche dai Pirenei, attaverso le Alpi e lemontagne della Balcania, si spinge finoai rilievi dell’Anatolia: un sistema mon-tuoso orientato grosso modo secondo iparalleli e, quindi, tale da frapporsi alledirettrici di ricolonizzazione che veniva-no portando verso nord le speciesopravvissute ai massimi glaciali.Alle quote elevate di queste montagne,

soprattutto sulle Alpi, sono rimaste cosìaccantonate numerose popolazioni che,anziché risalire lungo i meridiani dalleregioni mediterranee verso il cuore del-l’Europa, presero a risalire lungo le vallie le pendici meridionali delle montagne,a mano a mano che queste venivanoliberandosi della coltre di ghiacci ecominciavano a godere di condizionitopoclimatiche più accettabili. In qualche caso, a partire da una stessaarea meridionale di rifugio è partita unamigrazione che per via si è sdoppiata,dando origine da un lato a popolazioniche si sono insediate sulle Alpi, al disopra del limite superiore degli alberi, edall’altro lato a popolazioni (della stessaspecie) che hanno proseguito il lorocammino fino a raggiungere la Scandi-navia, ma senza fermarsi stabilmentenell’Europa centrale. Si trattava di spe-cie ben adattate alla vita in ambientifreddi (periglaciali e simili), il cui areale siè così suddiviso in due parti, separatetra loro da grandissime distanze: unareale settentrionale, di regola circo-scritto ad una parte della penisola scan-dinava, ed uno più meridionale, corri-spondente ad un tratto (più o menoesteso e continuo) dell’arco alpino.Le specie animali o vegetali con questotipo di areale di distribuzione vengonodette boreoalpine. Modeste varianti sul-lo stesso tema possono prevedere lapresenza di ulteriori frammenti di areale,ad esempio sui monti della Scoziaoppure sulle cime più alte dell’Appenni-no abruzzese, ma l’origine di questiareali è sempre la stessa, in dipendenzacioè dalle vicende climatiche dell’ultimaglaciazione e del successivo postglacia-le. Si tratta, quindi, di areali geograficiche hanno preso forma in tempi piutto-sto recenti, dell’ordine degli ultimi dieci-mila anni.Un così modesto intervallo temporalenon è stato sufficiente, in genere, per-ché le popolazioni alpine e quelle scan-

dinave accumulassero un sufficientelivello di divergenza genetica da poterleconsiderate specie distinte.Specie animali a distribuzione boreoal-pina (o boreomontana, se la sezionemeridionale dell’areale non è limitataalle sole Alpi) sono presenti in ambienti“freddi” come le torbiere montane. Traqueste, ricordiamo i molluschi gastero-podi Nesovitrea hammonis e N. petro-nella, il coleottero stafilinide Euscneco-sum tenue, il coleottero nitidulide Epu-raea placida ed alcuni imenotteri tentre-dinidi del genere Dolerus.

Un esemplare di Nesovitrea e, sotto, ladistribuzione borealpina di Nesovitrea petronella

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ali ridotte. Quest’ultimi, naturalmente, non volano, mentre l’attitudine al volo deimacrotteri va di volta in volta verificata, perché alla presenza di ali normali nonsempre si accompagna un altrettanto normale sviluppo dei muscoli deputati alloro movimento. In Ph. diligens, comunque, prevalgono gli individui brachitteri.Altra specie presente nelle torbiere montane è Pterostichus rhaeticus, che èprovvisto di ali, ma non è comunque in grado di volare. Non è raro negli sfa-gneti, dove a volte è presente anche una specie molto affine, Pt. nigrita, cheama peraltro stazioni meno fredde di quanto non siano in genere le torbieremontane.Vanno ricordati ancora Loricera pilicornis (a distribuzione oloartica), Europhilusgracilis (sibirico-europeo) ed Agonum afrum (europeo). Nei canneti marginalisono frequenti, infine, specie come Oodes helopioides e Odacantha melanura,che però sono tipiche di quote più basse e di ambienti senza sfagni.

Coleotteri stafilinidi. Questi coleotteri dal corpo allungato (spesso moltoallungato) e con le elitre corte, che lasciano scoperta una parte più o menorilevante dell’addome, sono uno dei gruppi di invertebratimeglio rappresentati nella fauna terrestre delle torbieremontane. Conviene in proposito distinguere tre tipologieambientali, che ospitano comunità diverse di stafilinidi.Delle vere torbiere a sfagni sono caratteristici, ancorché inmodo non esclusivo, Acylophorus glaberrimus (vedi dise-gno) e Atanygnathus terminalis. Il primo è noto per l’Italiada torbiere di media quota, ma anche di pianura, mentrela seconda specie, più sporadica, è stata segnalataanche nell’area di Bressanone. Legato agli sfagni, ma raro,è Tetartopeus sphagnetorum. Nelle torbiere basse con vegetazione erbacea poco elevatala specie più caratteristica è la piccola Atheta (Philhygra)fallaciosa, a cui si possono associare la congenere A. gramini-cola, Boreophilia eremita, Gabrius trossulus, Gymnusa brevicollis, Oxypo-da islandica, Philonthus corvinus, Quedius boopoides, Q. fulvicollis, Stenusbifoveolatus, S. crassus, S. fulvicornis. I rappresentanti di quest’ultimo genere siriconoscono facilmente per i grandi occhi sporgenti e sono provvisti di un lab-bro inferiore mobile che può essere proiettato di scatto sulla preda, in manierasimile a quello (detto ‘maschera’) degli stadi giovanili, acquatici, delle libellule.A quote più elevate, oltre i 2000 m, la specie più frequente fra gli stafilinidilegati alle ciperacee diventa Euscnecosum tenue, a distribuzione boreoalpina.Presso le acque debolmente correnti, tra i muschi ed ai piedi delle piante erba-cee, si trovano inoltre Gnypeta coerulea, Olophrum consimile, Philonthuscoracion e Quedius unicolor. È interessante notare come una traccia di questa

Roeseliana roeseli, ad esempio, è circoscritta a stazioni delle Alpi Orientali,mentre è sostituita sulle Alpi Occidentali da R. azami minor; Chrysochraonbeybienkoi, invece, è presente solo sulla Sila. Per Ch. dispar esistono soloantiche segnalazioni per l’Alto Adige e non è escluso che la specie sia attual-mente estinta in Italia.In alcune torbiere di alta quota si possono trovare anche specie tipiche di pra-terie alpine, come Kisella alpina, che colonizza i cespugli di Rhododendron suresti di formicai che si elevano di qualche centimetro al di sopra della superfi-cie intrisa d’acqua di piccole torbiere altoatesine.Si può mettere in conto anche la presenza di specie dei generi Gryllotalpa,Tetrix, Xya, nonché di Stetophyma grossum, di Parapleurus alliaceus e di spe-cie più generaliste come Poecilimon ornatus, Xiphidion discolor, Tettigoniacantans, T. viridissima, Metrioptera brachyptera, etc.

Coleotteri carabidi. Per questa importante famiglia di predatori, l’elementopiù prestigioso presente nelle torbiere montane è Agonum ericeti, specie tirfo-fila per la quale esistono antiche segnalazioni da località del Trentino, dellaquale però non vi sono testimonianze recenti di una presenza attuale in Italia.La presenza più significativa risulta quindi quella di Phonias diligens. Si trattadi una specie tirfofila, a distribuzione euroasiatica, che in Italia si spinge versosud fino all’Appennino Ligure. Si riproduce in primavera e lo sviluppo larvale sicompie durante l’estate.Al pari di altri carabidi, soprattutto all’interno della tribù dei pterostichini, pre-senta polimorfismo alare. In altre parole, lo sviluppo delle ali può essere diver-so, all’interno della stessa specie o anche di una singola popolazione: vi sonoindividui macrotteri, con ali normalmente sviluppate, e individui brachitteri, ad

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Phonias diligens Pterostichus rhaeticus

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sono piuttosto insolite: anziché nutrirsidi piante terrestri come i suoi numerosicongeneri, esso attacca infatti unapianta acquatica, l’Utricularia. Fra irappresentanti delle altre famiglie dicoleotteri, meritano una citazione ilcriptofagide Telmatophilus typhae, chesi rinviene sulle infiorescenze di Typhae di Sparganium, nei cui semi si svilup-pa la larva, i kateretidi Kateretes pedi-cularis e K. pusillus, entrambi legatialle carici, ed il nitidulide Epuraea pla-cida, specie subalpino-montana adistribuzione boreoalpina, che trascor-re la vita sotto le cortecce dei pini, anche di quelli che si insediano nelle tor-biere, dove si nutre probabilmente di ife fungine.

Imenotteri tentredinidi. Gli adulti di questa vasta famiglia di imenotteri hannoaspetto vagamente simile a quello delle vespe, ma senza il caratteristico “viti-no”, cioè la profonda strozzatura alla base dell’addome. Gli adulti frequentanospesso i fiori; le larve, simili a bruchi di farfalla, si nutrono generalmente difoglie. Al genere Dolerus appartengono alcune specie di tentredinidi a distribu-zione geografica boreomontana legate ad ambienti umidi, anche di torbiera.Le loro larve si sviluppano soprattutto su graminacee, ciperacee e juncacee.Degno di nota è il fatto che alcune di esse possono svilupparsi a spese degliequiseti, piante assai poco appetite dagli altri animali. Gli adulti di questi ten-tredinidi fanno la loro comparsa piuttosto presto, in corrispondenza della fiori-tura dei salici prostrati su cui vanno ad alimentarsi.Proprio sui salici compiono il loro intero ciclo biologico gli Amauronematus(diverse specie, tutte rare, che possono interessare gli ambienti di torbiera) e lePontania, che sulle foglie dei salici, compresi quelli nani degli orizzonti più ele-vati, inducono la formazione di caratteristiche galle. Il genere Amauronematuscomprende numerosissime specie localizzate nelle regioni boreali e subartiched’Europa, Asia e America, per cui la presenza di alcune specie nella regionealpina deve interpretarsi come un relitto bioclimatico.

Imenotteri formicidi. Il popolamento mirmecologico delle torbiere è condizio-nato dalle caratteristiche del suolo, in cui la componente minerale è totalmenteassente, o quasi. Resta pertanto esclusa la presenza di quelle formiche, anchetra le più comuni, che nidificano solo in un substrato minerale, come molti rap-presentanti dei generi Lasius, Camponotus e Formica. Le condizioni edafiche

comunità sia stata ritrovata anche in torbe subfossili, olo-ceniche, accumulatesi in prossimità di ghiacciai sulle Alpi

Svizzere.Sui fiori, inoltre, si rinviene Eusphalerum minutum (vedi

disegno), rappresentante di quella sottofamiglia delleomaliine in cui le elitre sono in genere molto più lunghe

rispetto a quanto si osserva in genere negli stafilinidi.Nelle situazioni in cui sono particolarmente sviluppate le

piante erbacee di maggiori dimensioni, cioè nei can-neti e nei magnocariceti, che, pur essendo più carat-teristici in Italia dell’area padana, sono ancora presen-

ti nel piano montano, la cenosi a stafilinidi appare piùricca. Vi abbondano in particolare Erichsonius cinera-

scens, Myllaena intermedia e Schistoglossa viduata, a cui si accompagnanoAtheta (Philhygra) elongatula, A. (Ph.) volans, A. (Ph.) parca, Calodera ligula, C.parca, Cryptobium fracticorne, C. collare, Euaesthetus ruficapillus, Lathrobiumimpressum, L. brunnipes, L. magistrettiorum, L. rufipenne, Myllaena minuta,Paederus melanurus, Philonthus nigrita, Ph. fumarius, Staphylinus erythropte-rus, Stenus argo, S. juno, S. phyllobates, S. trivialis, Tachyporus transversalis,Tetartopeus paeninsularum, T. terminatus.I microambienti più frequentati da questa fauna sono i grandi cespi di Carex,soprattutto quelli di C. elata, che garantiscono una minore esposizione ai preda-tori ed alle fluttuazioni ambientali. In caso di aumento del livello dell’acqua, que-sta fauna tende a portarsi verso le parti più elevate delle piante, anche se moltespecie sono in grado di spostarsi senza rischio sulla superficie dell’acqua. GliStenus, in particolare, sono provvisti di due paia di ghiandole, che si aprono invicinanza dell’ano e che producono delle sostanze chimiche (terpeni) che,emessi in minuscola quantità, sono in grado di abbassare bruscamente la ten-sione superficiale dell’acqua, fornendo all’insetto una rapida spinta in avanti.Per molte di queste specie, la cui distribuzione geografica gravita sull’Europacentrale, le stazioni dell’Italia settentrionale rappresentano le estreme propag-gini meridionali di un areale spesso alquanto discontinuo. In altri casi, le spe-cie italiane sono vicarianti di altre specie, filogeneticamente ed ecologicamen-te affini, che vivono a nord delle Alpi.

Altri coleotteri. Della vasta famiglia dei crisomelidi, rappresentata nelle tor-biere montane soprattutto da specie tipiche delle formazioni vegetali circo-stanti, caratteristica è la presenza di alcune specie di donaciini (Donacia, Pla-teumaris), legate alle fanerogame semisommerse e ripariali. Va inoltre citato ilpiccolo Longitarsus nigerrimus, che è spesso associato allo stafilinide Tetarto-peus sphagnetorum, sopra ricordato. Le preferenze alimentari di L. nigerrimus

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Plateumaris sericea

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sono invece favorevoli all’insediamento delle Myrmica e dei Leptothorax. Laforte umidità del substrato, già a pochi centimetri (se non millimetri) di profon-dità, è un altro elemento che favorisce l’insediamento delle Myrmica e che risul-ta positivo anche per alcune Formica. Infine, le forti escursioni termiche e lenotevoli fluttuazioni diurne nel livello di insolazione, dovute all’abituale mancan-za di copertura arborea, favoriscono un popolamento a carattere continentale,a scapito della mirmecofauna tipica dei prati o del sottobosco.Poche, dunque, sono le specie di formiche presenti in questi ambienti, anchein considerazione delle limitate risorse alimentari che la torbiera può offrire.Si tratta, peraltro, di ambienti sufficientemente stabili, alla scala temporale diquesti insetti, al punto che in torbiere a basso impatto antropico è possibileritrovare gli stessi nidi anche a distanza di dieci anni. Questo stretto legame fral’insetto e l’ambiente suggerisce la possibilità di utilizzare il popolamento mir-mecologico come indice del grado di naturalità di un ambiente di torbiera.Dal punto di vista zoogeografico, anche per questo gruppo zoologico si notauna prevalenza di specie a gravitazione settentrionale, comprese alcune entitàmolto rare in tutto il settore alpino. Fra le specie che più di frequente nidifica-no in torbiera vanno ricordate Myrmica laevinodis, M. ruginodis, M. lobicornis,Leptothorax muscorum, Formica lemani e F. truncorum. A queste si possonoaggiungere altri elementi, provenienti dagli ambienti prativi o forestali circo-stanti, come Lasius niger, Dendrolasius fuliginosus, Camponotus herculeanus,C. ligniperda, Formica fusca e F. sanguinea.

Lepidotteri. Povero di specie è ancheil popolamento lepidotterologico dellenostre torbiere montane. Poche tra lefarfalle diurne possono essere consi-derate frequentatrici abituali di taliambienti. Tra queste, il ninfalide Bolo-ria eunomia, il cui bruco vive su Poly-gonum bistorta e che è sporadica-mente presente, in Italia, in stazionimolto localizzate delle Alpi centro-orientali. Non arriva in Italia, invece, lacongenere B. aquilonaris, che in Euro-pa centrale frequenta le torbiere aSphagnum medium e che si sviluppaa spese di Vaccinium oxycoccus.Limitato nel nostro paese al Tarvisiano, ma più diffuso a nord delle Alpi, è ilpiccolo satiride Coenonympha tullia, che forma piccole colonie legate alleRhynchospora e agli Eriophorum, a spese dei quali vive la sua larva; fre-

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Il ninfalide Boloria eunomia

Coenonympha tullia

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ri, come il glifipterigide Glyphipteryx hawortana, la cui larva è legata agliEriophorum, al pari di quella dell’elachistide Elachista morandinii, nuova spe-cie appena descritta, recentemente trovata in una torbiera nei dintorni di Tol-mezzo. Alla Calluna è invece legato il gelechiide Aristotelia ericinella, mentrealtre specie della stessa famiglia prediligono i mirtilli (Chionodes viduella) o altriarbusti nani a foglia caduca (Prolita sexpunctella).Vaccinium myrtillus è anche la pianta nutrice dei bruchi del geometride Jodisputata (una specie mesofila, presente nelle torbiere montante ma di questenon esclusiva), mentre un altro lepidottero della stessa famiglia, Carsia soro-riata, si sviluppa invece su Vaccinium oxycoccus.Non mancano infine alcune specie igrofile e tirfofile nell’ambito della vastafamiglia dei nottuidi. Esse sono legate soprattutto a ericacee dei generi Vacci-nium e Arctostaphylos, come nel caso di Acronycta menyantidis, di Lithomoiasolidaginis, di Anarta cordigera e di Protolampra sobrina. A queste specie sipuò aggiungere Eurois occulta, un grosso nottuide pure legato al mirtillo, manon esclusivo degli ambienti di torbiera.Altro macrolepidottero presente nelle torbiere montane, ma con bruco viventea spese di foglie di betulle e ontani, è il notodontide Furcula bicuspis, il cui bru-co, a somiglianza di quello delle altrespecie congeneri, presenta due lungheappendici posteriori ed una bella livreaverde, con macchie dorsali brune chelo rendono praticamente invisibile,quando se ne sta immobile sulla suapianta nutrice. Come già si è notato,molto rare sono le specie di insetti chesi nutrono di briofite. Ciò vale ancheper i lepidotteri: tra le poche eccezionia questa regola va ricordato il piccolotortricide Phiaris palustrana.

Ditteri. Praticamente nulle sono le conoscenze sulla ditterofauna delle torbie-re italiane. Qualche indicazione può essere però ottenuta dagli studi effettualiin qualche paese dell’Europa centrale. In uno studio dedicato alla torbiera diHranièní slaù nella Repubblica Ceca, furono studiate 16 famiglie di ditteri aca-litteri, complessivamente rappresentati da 88 specie; le famiglie piu abbon-danti erano quelle degli sferoceridi, con 30 specie, e dei cloropidi, con 15 spe-cie. Fra le specie raccolte, nessuna delle due entità considerate tirfobionti èfinora nota per l’Italia, ma almeno due delle sei specie classificate come tirfo-file (gli sferoceridi Pteremis fenestralis e Spelobia nana) sono presenti anchenel nostro paese.

quenta le torbiere a Sphagnum madium e le formazioni a Carex davalliana eC. lasiocarpa.Meno stretta è la dipendenza dall’ambiente di torbiera nel caso di altre specie,alcune delle quali sono maggiormente diffuse nel nostro paese, come i ninfali-di Brenthis ino e Boloria napaea, o come il pieride Colias palaeno, il cui brucovive su Vaccinium myrtillus e V. uliginosum, ed il licenide Albulina optilete, chevola tra gli 800 e i 2100 m, ed è pure legata ad ericacee del genere Myrtillus.Molto interessante è la biologia di un altro licenide, Maculinea alcon, che, sep-pure più frequente a quote inferiori, può comunque interessare anche la faunadelle torbiere montane. Il bruco di questa specie vive su alcune Gentiana, suicui boccioli fiorali la femmina depone, isolatamente, le sue piccole uova bian-che. All’avvicinarsi dell’autunno, però, la larva di Maculinea alcon si lascia tra-sportare nei formicai da alcune specie di Myrmica (M. ruginodis, M. scabrino-dis), con cui entra in un rapporto di simbiosi: viene apertamente “accettata”dalle sue ospiti, delle cui larve peraltro si nutre, soprattutto nella fase finaledella sua vita larvale, che fa seguito ad un periodo di riposo (diapausa) inver-nale. Sempre all’interno del formicaio avviene l’impupamento.Più stretto è il legame con piante di torbiera nel caso di alcuni microlepidotte-

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Brenthis ino

Bruco di Furcula bicuspis

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8786 Alessandro MinelliTorbiere e insetti del Quaternario

Si è già detto in altra scheda (pagg. 18-19) dell’importanza delle torbiere comearchivi del passato. Archivi della prei-storia umana ma, soprattutto, archiviche conservano le tracce dei mutamen-ti climatici che hanno interessato lenostre regioni nelle fasi più recenti delQuaternario.Fra i resti organici che si conservano neiletti di torba, i pollini sono certo i piùabbondanti e i più studiati, anche in Ita-lia, ma non mancano i resti di animali,sia acquatici che terrestri. Si tratta, perlo più, di porzioni più o meno estese del-l’esoscheletro di artropodi.Tra le forme acquatiche prevalgono ingenere gli ostracodi, minuscoli crostaceidi cui si conserva il carapace bivalve.Tra le forme terrestri, i resti più abbon-danti sono in genere quelli dei coleotte-ri, rappresentati soprattutto da elitre, daframmenti di torace (più spesso, dalrobusto protorace, il segmento del cor-po che segue immediatamente allatesta). Non mancano però tracce di altrigruppi, ad esempio emitteri, fra gli inset-ti, oppure acari, fra gli aracnidi.Lo studio dei resti di artropodi che sisono conservati all’interno dei depositidi torba ha dato origine ad una vera epropria disciplina scientifica, l’entomo-logia del Quaternario, che si è sviluppa-ta in un primo tempo in Gran Bretagna,trovando poi numerosi cultori in altripaesi, sia in Europa che in Nordamerica.Molto spesso, questi resti sono ricondu-cibili a specie ancor oggi viventi, il cuiareale geografico attuale, però, noninclude la regione in cui se ne sono tro-vate le tracce nelle lenti di torba.Le alterne vicende climatiche del Qua-ternario, infatti, possono averne sposta-to l’area di distribuzione verso terre piùmeridionali più calde, o verso terre set-tentrionali più fredde, a seconda dellespecifiche esigenze ecologiche di cia-scuna specie. Nell’interpretare questidati si assume, in genere, che l’ecologia

dell’insetto non sia sensibilmente cam-biata durante gli ultimi millenni e che, diconseguenza, sia possibile utilizzare laspecie come un indicatore più o menosensibile delle condizioni ambientali chevigevano nella torbiera all’epoca in cui laspecie vi era rappresentata da unapopolazione vivente.In Italia, a differenza del buon livello del-le ricerche fin qui condotte sui polliniconservati nelle torbiere, le conoscenzesull’entomologia del Quaternario sonopressoché nulle.Vale la pena, pertanto, di illustrare i risul-tati di una ricerca condotta alla fine deglianni ’80 in un sito dell’Italia nordorienta-le, in comune di Ca’ di David (provinciadi Verona). Si tratta di una cava dighiaia, in località Bernascone, a circa 60m slm, dove una lente torbosa vennealla luce al di sotto di una coltre di circa5,60 m di ghiaie. Determinazioni radio-metriche (con l’uso del radiocarbonio)hanno attribuito a questa lente ricca dimateriale organico, spessa 5-10 cm,un’età di 18870±300 anni.L’analisi palinologica, cioè lo studio deipollini, ha dimostrato la presenza di unacopertura forestale poco densa, a coni-

fere (pino mugo e pino cembro), conqualche betulla nana; nelle aree di tor-biera dominavano gli eriofori (Eriopho-rum o Trichophorum), a cui si accompa-gnavano piante acquatiche o palustricome Potamogeton, Lemna, Myriophyl-lum, Sparganium e Typha. Vi sono inol-tre tracce di carici, di salici e dell’ontanoverde (Alnus viridis).I resti di insetti, piuttosto abbondanti,sono costituiti soprattutto da coleotteri(21 specie) a cui si accompagnano dueemitteri (una specie acquatica dellafamiglia dei corixidi ed una specie terre-stre appartenente ai ligeidi). Tra i coleot-teri, alcune specie sono decisamenteacquatiche, come un piccolo ditiscidedel genere Hydroporus, predatore, edun ancor più piccolo idrenide del genereLimnebius, rappresentante di un gruppoche si nutre soprattutto di alghe filamen-tose.Molto ben conservate sono le elitremetalliche di tre crisomelidi (Plateumarissericea, Donacia clavipes e D. margina-ta), tre specie fitofaghe legate a piantepalustri. Attualmente, P. sericea risultanutrirsi delle foglie di alcune specie diCarex e di iris gialla (Iris pseudachorus),

D. clavipes di cannuccia di palude(Phragmites australis) e di trifoglio fibri-no (Menyanthes trifoliata), D. marginatadi Sparganium erectum e, forse, di qual-che Carex.Su infiorescenze di Carex attaccate dafunghi del gruppo dei “carboni” (ustila-ginali) si alimentava Phalacrus substria-tus, rappresentante dei falacridi, unafamiglia di minuscoli coleotteri dal dorsolucidissimo. Di detriti vegetali zuppi d’acqua si nutri-vano invece i due idrofilidi trovati nelletorbe del Bernascone, cioè Chaetarthriaseminulum e Coelostoma orbiculare. Meno legati all’ambiente di palude sonoforse i tre stafilinidi raccolti, mentre fra leotto specie di carabidi si annoverano lepresenze di maggior interesse. Tra que-ste vi sono infatti Phonias diligens, di cuisi è detto a pag. 78, e soprattutto Amaraalpina, che oggi vive nelle regioni dellatundra artica, sia in Eurasia che in Nord-america, e in Europa è attualmente con-finata alle zone di brughiera delle mon-tagne della Scozia e della Scandinavia.Significativo è anche il fatto che ben seispecie di coleotteri presenti nelle torbedel Bernascone si ritrovino oggi in tor-biere montane del Canton Ticino ricchedi relitti glaciali.L’insieme di questi dati paleofaunisticisuggerisce una ricostruzione ambienta-le in accordo con quanto indica la data-zione al radiocarbonio, che colloca que-sta lente di torba nel massimo glacialedell’episodio würmiano. Si può stimareche le temperature medie fossero alloradi 8-9°C inferiori rispetto a quelle attuali,il che corrisponde ad un abbassamentodegli orizzonti climatici di circa 1000 m. Sarebbe oltremodo auspicabile chequesto tipo di ricerca fosse perseguitosistematicamente, prima che i delicati eprecari resti di queste faune quaternarievadano definitivamente dispersi, o sem-plicemente bruciati con la torba che li haconservati fino ai nostri giorni.

Elitra destra fossile di Plateumaris sericea,rinvenuta in una torbiera del Veneto e datata acirca 19.000 anni fa, ripresa al microscopioelettronico a scansione

Esemplare di Plateumaris sericea attuale,ripreso al microscopio elettronico a scansione:questo coleottero è ancor’oggi presente negliambienti di torbiera

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Le torbiere montane non sono ambienti particolarmente ricchi di specie di ver-tebrati anche se, talvolta, possono ospitare un grande numero di individui, purriferibili a poche specie. Uno dei limiti principali alla presenza di un’elevata bio-diversità è rappresentata dal clima: l’ambiente montano, infatti, è caratterizza-to da inverni lunghi e rigidi, brevi stagioni favorevoli e lunga permanenza delgelo e della neve. Questi fattori sono fortemente limitanti per numerose specieanimali, compresi molti vertebrati. Inoltre, l’acidità dell’acqua e la relativa scar-sità di ossigeno possono rappresentare un ulteriore limite alla presenza ani-male (ad esempio per i pesci). Le classi meglio rappresentate sono gli anfibi ei rettili, che trovano in questi ambienti gli habitat idonei per la riproduzione eper lo svolgimento delle attività trofiche. Questi vertebrati, infatti, conosconouna lunga sospensione dell’attività durante l’inverno e così riescono a soppor-tare meglio le difficoltà della stagione avversa. Praticamente assenti sono ipesci che frequentano, eventualmente, i torrenti collegati alle torbiere, ma nonutilizzano le pozze al loro interno. I mammiferi sono presenti con un buonnumero di specie di piccole dimensioni anche se, generalmente, si tratta dispecie ubiquitarie che riescono ad utilizzare anche le torbiere e solo raramen-te di forme che scelgono le torbiere come habitat d’elezione. Gli uccelli, infine,frequentano solo marginalmente questi ambienti e ne utilizzano generalmentegli aspetti più ricchi di rocce e di cespugli.

■ Anfibi

Gli anfibi sono vertebrati la cui vita è legata, allo stesso tempo, all’acqua edagli ambienti terrestri. La grande maggioranza delle specie europee ed italianefrequenta gli ambienti acquatici per la riproduzione e per la vita larvale, mentregli adulti possono allontanarsene in diversa misura a seconda della specie edella stagione. In Italia sono presenti due ordini di anfibi: gli urodeli (salaman-dre e tritoni) e gli anuri (rane, rospi e raganelle).Gli urodeli mantengono la coda anche allo stadio adulto e sono caratterizzatida fecondazione interna e riproduzione tramite uova o piccoli che vengonopartoriti come larve o come individui già metamorfosati. Si nutrono di piccoliinvertebrati e sono, generalmente, abbastanza longevi: un tritone può talvoltasuperare i 15 anni di età.

89I vertebratiAUGUSTO GENTILLI

Arvicola agreste (Microtus agrestis), microtino tipico di torbiere e praterie sortumose non pascolate

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La salamandra alpina è un anfibio con un ciclo biologico molto interessante. Siaccoppia sul terreno umido, al termine di un elaborato corteggiamento alseguito del quale il maschio emette una spermatofora che è raccolta dallafemmina con le labbra della cloaca. Dopo una gravidanza di due anni, la fem-mina partorisce due piccoli già metamorfosati, che fin dal primo momentosono svincolati dall’acqua. L’intera vita di questa specie si svolge, quindi, inambiente terrestre. Si può ritenere che questo sia un adattamento all’ambien-te alpino freddo e con una breve estate: in questo modo, infatti, la femminapuò ottimizzare lo sviluppo dei piccoli e permettere alle giovani larve, che por-ta nel suo addome, di superare l’inverno. Frequenta, oltre alle torbiere, le fore-ste di abete rosso e i pascoli montani fino a oltre 2100 metri di quota.Nelle pozze delle torbiere delle Alpi centro orientali è invece facile osservare iltritone alpestre, piccolo urodelo di circa 11-12 cm di lunghezza. A quote infe-riori è talvolta presente (ad esempio nella grande torbiera di Pian Gembro inprovincia di Brescia, 1400 m s.l.m.) il tritone crestato italiano, di maggioridimensioni. Questa specie, pur non essendo tipicamente montana (difficil-mente si rinviene oltre i 1400 m di quota), è presente nelle torbiere, dove fre-quenta le pozze più ampie e con acque più profonde.Tra gli anuri, la specie più tipica delle torbiere è la rana temporaria (Rana tem-poraria), anche se talvolta altre specie (ad esempio il rospo comune o le raneverdi) possono frequentare questi ambienti. Questa specie appartiene al grup-po delle rane rosse, rane che frequentano l’acqua solamente per la riproduzio-

Gli anuri sono privi di coda allo stadio adulto, hanno sempre fecondazioneesterna (nel caso delle specie europee), depongono uova dalle quali schiudedopo alcune settimane una larva (girino) che in seguito ad uno sviluppo dialcuni mesi compie la metamorfosi acquistando i caratteri dell’adulto. Sonogeneralmente poco longevi (4-6 anni), anche se alcune specie (ad esempio ilrospo comune) possono superare i 15 anni. Si nutrono di piccoli invertebrati.Queste caratteristiche biologiche ci aiutano a capire perché questi vertebratisi adattano bene alla vita in torbiera. L’abbondanza d’acqua durante tuttol’anno permette loro di svolgere il ciclo vitale e la ricchezza di insetti e di altriinvertebrati offre un’abbondante fonte di nutrimento. Inoltre, alcune speciesvolgono il letargo sul fondo delle pozze ottenendo così un valido riparo dalgelo invernale. È importante ricordare che la respirazione cutanea svolge unruolo molto importante nel metabolismo di questi vertebrati e permette loro disuperare l’inverno in uno stato di quiescenza nel fango, sul fondo delle pozze.Il rallentato metabolismo invernale, con una ridotta necessità di ossigeno, nefacilita la sopravvivenza.Tre sono gli urodeli che è possibile incontrare negli ambienti di torbiera: lasalamandra alpina (Salamandra atra), il tritone alpestre (Triturus alpestris) e,seppure più occasionalmente, il tritone crestato italiano (Triturus carnifex). Inalcune torbiere delle Alpi sud-orientali, inoltre, è talora possibile incontrare iltritone punteggiato d’oltralpe (Triturus vulgaris vulgaris), che in questi habitatconvive sia con l’alpestre che con il crestato italiano.

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Una coppia di rospi comuni (Bufo bufo)Salamandra apina (Salmandra atra)

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9392 Augusto GentilliIl tritone alpestre

Il tritone alpestre (Triturus alpestris) è unanfibio di medie dimensioni, con maschilunghi fino a 11 cm e femmine fino a 12cm. I maschi si riconoscono, soprattuttodurante il periodo riproduttivo, per la pre-senza di una cresta vertebrale che siestende lungo tutto il dorso, bassa e dalprofilo rettilineo, in continuità con quelladella coda. Nei maschi in amore, inoltre,la cloaca è vistosamente rigonfia. La spe-cie si distingue dal tritone crestato per leminori dimensioni, per la cresta rettilineae per il ventre privo di macchie. Nella sot-tospecie alpina (T. a. alpestris) entrambi isessi hanno ventre e gola aranciate, privedi macchie, a differenza dalla sottospecieappenninica (T. a. apuanus). Le parti dor-sali sono scure, in particolare nei maschidove sfumano in una fascia lateraleargentea e celeste. La larva, di 7-8 mmalla schiusa, raggiunge i 30-50 mm allametamorfosi. Il dorso è giallastro o brunochiaro; il ventre è immacolato. Frequentisono i casi di neotenia.Triturus alpestris è una specie prevalen-temente centro-europea. In Italia la spe-cie è presente con tre sottospecie: T. a.alpestris sulle Alpi, ove diventa via via piùraro spostandosi da est verso ovest, T. a.apuanus sulle Alpi Marittime e sull’Ap-pennino fino ai Monti della Laga e T. a.

inexpectatus in Calabria settentrionale. InItalia, il tritone alpestre è una specie tipi-camente montana e può raggiungere i3000 m sulle Alpi; circa l’80% delle sta-zioni riproduttive del nord Italia si trovatra i 900 e i 2400 m di quota. In alcunesituazioni la sottospecie nominale è repe-ribile anche in aree di bassa quota, al disotto dei 200 m, mentre quella appenni-nica si spinge anche in pianura.Fra i nostri tritoni è quello più strettamen-te legato all’acqua; è difficile fornire infor-mazioni precise sulla permanenza in taleambiente, poiché sono state verificatesituazioni molto differenti anche in areemolto vicine. A bassa quota, comunque,l’entrata in acqua è molto precoce, giàdall’inizio di febbraio, e gli animali virestano fino a novembre inoltrato. Insituazioni favorevoli, dove l’acqua è pre-sente tutto l’anno, i tritoni alpestri posso-no svernare nel detrito di fondo. Talvoltagli adulti restano attivi sotto il ghiaccio,continuando a nutrirsi regolarmente.Frequentano raccolte d’acqua di variogenere: pozze di dimensioni medio-pic-cole, laghetti alpini e piccoli corsi d’acquacon debole corrente, ma anche siti di ori-gine antropica, come pozze d’alpeggio,abbeveratoi e cisterne. In Italia questaspecie è stata trovata in acque con durez-

za compresa fra i 10 e i 15 gradi francesi.I siti riproduttivi sono generalmente situa-ti in aree aperte, ma è possibile rinvenireT. alpestris anche all’interno dei boschi.La densità di popolazione di quest’anfi-bio è variabile tra le diverse popolazionie, all’interno della stessa popolazione,nel corso degli anni, rimanendo comun-que compresa fra 0.01 e 10 individui/m2.La riproduzione delle popolazioni di altaquota avviene a partire dal decimo annodi età e gli individui più vecchi hanno piùdi venti anni. In tali popolazioni la riprodu-zione può avvenire con ciclo biennale,perciò non tutti gli individui adulti si ripro-ducono tutti gli anni. La biologia degliindividui subadulti, estremamente elusivie quasi esclusivamente terricoli, è in granparte ignota. Il rapporto tra sessi è varia-bile, anche se normalmente è vicino all’u-nità; esistono casi di rapporti molto sbi-lanciati a favore delle femmine, ad es. 1:3.Le uova, circa 150 per femmina, sonodeposte singolarmente, attaccandole apiante sommerse o emergenti di formalineare ed evitando di norma quelle rami-ficate. I tempi di sviluppo delle uova edelle larve sono fortemente variabili indipendenza dai fattori climatici. In alcunicasi le larve che non sono riuscite a com-piere la metamorfosi entro l’autunno tra-

scorrono l’inverno in acqua, completan-do lo sviluppo nella primavera successi-va. Sono stati spesso segnalati casi dineotenia, cioè di raggiungimento dellamaturità sessuale pur in presenza dicaratteri larvali (ad esempio le branchie).L’alimentazione in acqua si basa preva-lentemente su piccoli invertebrati sia difondo sia quelli che il tritone può trovaresulla pellicola superficiale, mentre quellaterrestre risulta prevalentemente a caricodi piccoli artropodi che trova negli stratisuperficiali della lettiera. Nel complessosi tratta, quindi, di un opportunista ali-mentare, che si ciba delle prede di voltain volta più comuni, con forti variazionistagionali ed annuali.I tritoni alpestri sono abitualmente predatida pesci (normalmente salmonidi), altrianfibi (ad es. T. carnifex), rettili (serpentidel genere Natrix) e uccelli, nonché daalcuni macroinvertebrati acquatici, tra cuicoleotteri, emitteri e larve di odonati. Leuova sono predate da insetti (coleotteriditiscidi) e da altri tritoni; la predazione è lamaggiore causa di mortalità per le uova.La minaccia principale per i tritoni è,comunque, l’immissione di salmonidi,che nell’arco di un breve periodo puòportare a completa estinzione interepopolazioni.

Tritone alpino (Triturus alpestris) Tritone crestato italiano (Triturus carnifex)

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9594 Augusto GentilliLa rana temporaria

La rana temporaria (Rana temporaria) èuna specie di dimensioni medio-grandi(i maschi sono lunghi fino a 107 mm e lefemmine fino a 111 mm), con parti dor-sali grigie, brune, rossastre o giallastre,di solito macchiate, chiazzate o marmo-rizzate. Le parti ventrali sono bianco-giallastre nel maschio e da giallo pallidead arancione nella femmina.I maschi hanno un paio di sacchi vocaliinterni ai lati della gola, quest’ultima èbluastra o violacea durante il periodoriproduttivo; essi hanno anche arti ante-riori più robusti, palmatura dei piedi piùestesa e un grosso cuscinetto basale sullato interno del primo dito della mano,coperto durante la fregola di fitte spinulecornee nere. Scopo di questo cuscinettonuziale è di migliorare la presa sulla fem-mina durante l’accoppiamento.La larva, che presenta dorso di coloremarrone scuro, ventre nero con punteg-giatura metallica e coda ottusamentearrotondata, è lunga alla metamorfosicirca 45 mm.La specie è diffusa in tutta Europa, conesclusione delle porzioni più meridiona-li. In Italia è presente su tutto l’Arco Alpi-no e sull’Appennino fino al tratto tosco-emiliano; una popolazione isolata èlocalizzata sui Monti della Laga (Lazio).R. temporaria in Italia è una specie tipicadelle zone montane e collinari, sebbenein alcune aree possa frequentare anchele zone di pianura. Le quote minimesegnalate in Italia sono di circa 20 m neipressi di Finale Ligure (SV) mentre lequote massime sulle Alpi sono situateintorno ai 2800 m.L’attività ha generalmente inizio all’arri-vo della primavera, con variazioni dipen-denti dalla temperatura ambientale edalla piovosità. In alcune zone è stataregistrata una temperatura media del-l’acqua di circa 7°C all’epoca in cui ini-zia la deposizione delle uova, che inseguito può avvenire anche a tempera-ture più basse. L’influenza delle condi-

zioni climatiche nel proseguimento del-l’attività è fortemente variabile.I maschi arrivano ai siti riproduttivi piùprecocemente delle femmine e vi resta-no fino alla fine del periodo riproduttivo:le femmine, al contrario, emigrano disolito immediatamente dopo la deposi-zione, anche se in alcuni casi sono statiregistrati periodi di permanenza diparecchi giorni. La permanenza mediain acqua dei maschi varia secondo lezone, ma è di circa 15 giorni, con mini-mi di 4 e massimi di 26 giorni. L’allonta-namento dal sito di riproduzione avvie-ne normalmente con le condizionimeteorologiche più favorevoli, preva-lentemente durante le notti di pioggia;spesso le migrazioni avvengono lungorotte preferenziali in base alla morfolo-gia del terreno.La specie frequenta ambienti moltodiversi, quali foreste di latifoglie o diconifere, pascoli e zone torbose; per lariproduzione vengono utilizzate pozzesia naturali sia d’alpeggio, piccoli laghi,torbiere, pozze a margine di torrenti,abbeveratoi e cisterne. I siti riproduttividevono avere scarsa vegetazione,acqua calda durante il periodo estivo eassenza di pesci.Le ovature sono deposte prevalente-mente nei pressi delle sponde. Spessogli ammassi sono deposti uno vicinoall’altro e si fondono tra loro, arrivando acoprire intere porzioni delle pozze. Inuna popolazione piemontese è statoosservato per singola ovatura un nume-ro di uova variabile da 580 a 3.410.Dopo il periodo riproduttivo gli animali siallontanano dall’acqua, muovendosiprevalentemente in condizioni di elevataumidità. Gli spostamenti giornalieri nelperiodo post-riproduttivo sono general-mente compresi tra 2 e 10 m.I maschi, se possibile, tendono a muo-versi lungo piccoli corsi d’acqua, per-correndo meno strada sul terreno. Aseconda delle zone, è possibile reperire

individui attivi di giorno, oppure conattività unicamente notturna e durantele piogge.L’alimentazione si basa su piccoli inver-tebrati, in particolare ragni, coleotteri,ditteri e formiche, che vengono predatia terra. Nel complesso, la rana tempo-raria non presenta una dieta particolar-mente specializzata.Lo svernamento avviene sia in acqua siaa terra ed ha una durata maggiore pergli adulti; negli stessi siti di svernamentopossono trovarsi individui di differentesesso ed età.La schiusa delle uova avviene dopo 3 o4 settimane; lo sviluppo larvale ha unadurata di circa due o tre mesi, per quan-

to siano noti casi di svernamento inacqua dei girini. La velocità di sviluppo èfortemente influenzata, oltre che dallecondizioni climatiche, dalla disponibilitàdi fitoplancton. I girini tendono a rag-grupparsi presso le sponde, dove l’ac-qua è più bassa, così da favorire l’as-sunzione di calore, formando una mas-sa scura compatta; sembra mancarecomunque l’associazione preferenzialetra consanguinei.Fra i predatori di questo anfibio si pos-sono ricordare numerosi mammiferi euccelli, nonché pesci (principalmentesalmonidi), serpenti (Natrix natrix, Viperaberus e, più di rado, Vipera aspis) einvertebrati acquatici.

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■ Rettili

A differenza degli anfibi, i rettili sono vertebrati schiettamente terrestri per tut-ta la durata del loro ciclo biologico. Essi depongono, in genere, uova protetteda un guscio rigido, per cui l’embrione può svilupparsi all’asciutto. Da questeuova schiudono piccoli in tutto simili agli adulti. La fecondazione è, di conse-guenza, interna. Inoltre, la pelle, ricoperta di squame cornee, li protegge benedalla disidratazione, permettendo loro di vivere anche in ambienti molto aridi.Alcune specie si sono riavvicinate secondariamente all’acqua, in alcuni casi(es. tartarughe marine) fino a tornarvi a vivere stabilmente, tranne che nelmomento della riproduzione.Nelle torbiere montane sono presenti, generalmente, due sole specie di retti-li: il marasso (Vipera berus) e la lucertola vivipara (Zootoca vivipara). Questedue specie hanno sviluppato entrambe l’ovoviviparità, come adattamento aiclimi freddi in cui vivono.Il marasso è l’unico serpente velenoso che frequenta regolarmente le torbieremontane. La sua reale pericolosità deve essere notevolmente ridimensionata;

ne all’inizio della primavera e che trascorrono il resto della stagione di attività aterra. Al contrario, le rane verdi sono marcatamente più acquatiche e trascor-rono in acqua gran parte dell’anno compreso, di solito, l’inverno. Queste rane,presenti in Europa con un complesso di forme dalla classificazione e nomen-clatura ancora incerte, a causa di estesi e insoliti fenomeni di ibridazione, nonamano le alte quote, ma possono essere occasionalmente presenti nelle tor-biere montane, come nella già citata torbiera di Pian Gembro. Nelle pozze dimaggiori dimensioni e ben soleggiate delle torbiere può essere presenteanche il rospo comune (Bufo bufo), specie che ben si adatta all’ambientemontano, potendo raggiungere e superare i 2000 m di quota. Si tratta di unaspecie scarsamente acquatica che, terminata la riproduzione, frequentaboschi e pascoli in cerca dei piccoli invertebrati di cui si nutre. Lo svernamen-to avviene di regola a terra. Nelle Alpi centro-orientali, peraltro, è possibileincontrare in ambienti umidi di quota anche l’ululone dal ventre giallo (Bombi-na variegata) che talvolta si accompagna al rospo smeraldino (Bufo viridis).Nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi il rospo smeraldino ha cospicue popo-lazioni riproduttive a 1800 metri di quota.

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Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) Biscia d’acqua (Natrix natrix), esemplare a fenotipo striato, tipico dell’Italia nord-orientale

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Il marasso (Vipera berus) è un serpenteovoviviparo velenoso di dimensionimedio-piccole: i maschi raggiungono i55-60 cm, le femmine sono in media 5-10 cm più lunghe. La colorazione difondo può essere bruno-rossiccia ogrigiastra; l’ornamentazione è costitui-ta da una sorta di greca nera centraleaccompagnata da macchie scure dor-so laterali. Localmente, possono esse-re frequenti gli esemplari melanici. Il capo è meno distintamente triangola-re rispetto a quello di altre specie delgenere Vipera. In Italia è presente sulleAlpi centro-orientali, generalmente al disopra dei 1000 metri, in una grandevarietà di ambienti (pascoli, macereti,torbiere, radure nei boschi), fino adalmeno 2500 metri di quota. Fino allafine del XIX secolo era presente anchenelle aree umide della Pianura Padanacentro-orientale, fino alla provincia diPavia. È il rettile terrestre con la piùestesa distribuzione mondiale raggiun-gendo il Circolo Polare Artico, la Sibe-ria e il Nord della Corea. I marassi escono dai rifugi invernalidurante i mesi di aprile e maggio(secondo la quota) per svolgere attività

di termoregolazione; generalmente imaschi precedono le femmine di unpaio di settimane. Nei mesi di maggio-giugno i maschi iniziano l’attività ses-suale, consistente in spostamenti perla ricerca del partner, combattimentiritualizzati e accoppiamenti. Le femmi-ne partoriranno in tarda estate 5-15piccoli autosufficienti, lunghi circa 18cm. A causa del breve periodo di atti-vità, le femmine che hanno appenapartorito non sono in grado di ricostrui-re le riserve di grasso necessarie perriprodursi l’anno successivo. I parti,pertanto, non avvengono annualmen-te, ma hanno cadenza biennale o addi-rittura pluriennale. L’alimentazione diquesta specie è costituita principal-mente da piccoli mammiferi, ma ilmarasso in realtà preda anche nidiaceidi uccelli che nidificano al suolo, anfibianuri e urodeli che in certe zone rap-presentano una parte consistente dellasua dieta. I giovani predano prevalen-temente la lucertola vivipara.La latenza invernale inizia durante laseconda metà del mese di ottobreall’interno di cavità del suolo, spessoad oltre un metro di profondità.

Il marasso Augusto Gentilli98

Marasso (Vipera berus) melanico prossimo ad andare in muta al bordo di una torbiera delle Dolomiti

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La lucertola vivipara Augusto Gentilli

La lucertola vivipara (Zootoca vivipara)è un piccolo sauro presente in Italiaquasi esclusivamente nella porzionecentro-orientale delle Alpi, pur mante-nendo ridotte popolazioni isolate siasulle Alpi occidentali sia nella PianuraPadana centro-orientale. Il suo areale èmolto esteso e comprende Europa eAsia tra l’Irlanda e l’isola di Sakhalin;inoltre è presente in Giappone nell’iso-la di Hokkaido. A sud raggiunge laSpagna settentrionale, la PianuraPadana e i Monti Rodopi in Bulgaria; illimite settentrionale è rappresentatodal 70° parallelo nord.La specie è caratterizzata da testa ezampe corte, colorazione dorsale bru-nastra e da una stria vertebrale piùscura: tale stria è generalmente conti-nua nelle femmine. Frequentementesono presenti anche bande lateraliscure e piccole macchie nere.Sulle Alpi frequenta ambienti diversiquali pascoli, pietraie, cespuglieti bas-si, greti di torrenti e torbiere, dai fon-dovalle fino a quasi 3000 m di quota;in pianura sono presenti popolazionirelitte limitate a zone umide di risorgivae torbiera.L’inizio dell’attività annuale coincide,generalmente, con i primi giorni dimaggio, per terminare verso la fine disettembre. In condizioni favorevoli, adesempio in pianura, tale periodo puòessere maggiore. Si tratta di una spe-cie prevalentemente diurna, anche sedurante l’estate a quote basse l’attivitàsi svolge maggiormente durante la not-te. L’accoppiamento avviene tra aprilee maggio, a giugno alle quote più ele-vate. Le femmine sono sessualmentericettive dall’età di tre anni e i partiavvengono verso la fine di agosto,quando vengono alla luce 3-12 piccoliautonomi e completamente neri.Recentemente è stata descritta unanuova sottospecie (Zootoca viviparacarniolica), distribuita in Pianura Pada-

na, Slovenia, Carinzia e Croazia nord-occidentale, caratterizzata da riprodu-zione tramite uova (5 o 6) che vengonodeposte con guscio perfettamente cal-cificato. Anche alcune popolazionipirenaiche, pur essendo geneticamen-te più affini a Z. v. vivipara che a Z. v.carniolica, hanno riproduzione ovipara.Sono note anche altre due sottospecie:Z. v. sachalinensis, delle coste dell’Asiaorientale, e Z. v. pannonica, distribuitanella parte sudorientale dell’Europacentrale.L’ibernazione è più breve rispetto aquella di altre specie ma non è maiinterrotta, nemmeno in condizioni cli-matiche favorevoli. La sua durata com-plessiva è comunque in relazione allaquota o alla latitudine: in condizioni piùrigide la stagione di attività, ovviamen-te, si riduce. Durante l’ibernazione,all’interno del corpo possono formarsicristalli di ghiaccio che portano l’interalucertola o una sua parte ad essere let-teralmente congelata. Alla fine dell’in-verno anche questi individui riprende-ranno una normale attività.La specie si nutre di insetti, gasteropo-di, aracnidi, miriapodi ed altri piccoliinvertebrati. Le prede più comuni,anche se possono esserci importantivariazioni stagionali, sono rappresen-tate da eterotteri e ragni oltre a collem-boli, isopodi e larve di lepidotteri. Se sisente minacciata si rifugia spessosott’acqua, dove può rimanere permolti minuti.

100 in realtà si tratta di un serpente timido e poco aggressivo, il cui morso produ-ce effetti curabili nella massima parte dei casi.La lucertola vivipara è un piccolo sauro limitato in Italia a gran parte delle Alpi(fino ad oltre 2500 m di quota) e ad alcune stazioni relitte della pianura pada-no-veneta.Nelle torbiere queste due specie frequentano generalmente le porzioni menoallagate, anche se entrambe sono ottime nuotatrici e possono essere rinve-nute anche nelle aree allagate. La lucertola vivipara, in particolare, fuggespesso in acqua, nascondendosi nel fango del fondo, dove rimane nascostaper molti minuti.Nelle torbiere montane di minor altitudine, tuttavia, talora fino ai 1500-1600 mdi quota, è possibile incontrare le bisce d’acqua (Natrix natrix). Esse sono iserpenti più comuni negli ambienti umidi italiani del piano basale e collinare,e predano soprattutto anfibi e pesci.

■ Uccelli

Gli uccelli sono i vertebrati che meglio hanno conquistato gli spazi aerei eche pertanto possono fruire, con qualche rara eccezione, della massimalibertà di movimento. Il corpo, coperto da piume e penne, gode di un ottimoisolamento termico che permette agli uccelli di vivere anche in ambientiestremamente freddi.

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Galli forcelli (Tetrao tetrix) in un’arena di combattimento nuziale posta ai margini di una torbiera alpina(Alpi Carniche)

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In montagna, gli uccelli sono generalmente ben rappresentati sia per numerodi specie sia per numero di individui. Nonostante ciò l’ambiente delle torbiereè scarsamente utilizzato da questi animali e quasi esclusivamente in modomarginale, per lo più nelle porzioni che tendono a sfumare negli ambienti cir-costanti. Le arene di canto dei galli forcelli (Tetrao tetrix) sono spesso situate aimargini delle torbiere alpine, che tra aprile e maggio risuonano dei loro rumo-rosi duelli ritualizzati.Gli arbusteti e le aree sassose e rocciose, spesso presenti ai margini delle tor-biere, sono l’habitat elettivo di numerose specie che, talvolta, si spingonoall’interno delle torbiere stesse. Tra questi visitatori occasionali possiamoricordare il culbianco (Oenanthe oenanthe), il codirosso spazzacamino (Phoe-nicurus ochruros) e la passera scopaiola (Prunella modularis). Specie decisa-mente più legata alle torbiere è lo spioncello (Anthus spinoletta), piccolouccello (17 cm) con parti inferiori rosa pallido barrate solo ai lati del petto,timoniere esterne bianche, becco lungo e zampe scure. Nidifica a terra,deponendo 4-5 uova biancastre densamente macchiettate di grigio e marro-ne. La cova, effettuata dalla femmina, dura 14 giorni. Sverna in pianura, lungoi fiumi e i laghi.In realtà, però, le torbiere montane costituiscono veri e propri punti di sostaper alcune specie ornitiche che vi si soffermano soprattutto nel corso deglispostamenti migratori. In questi ambienti, nella tarda estate, è dunque possi-bile fare gli incontri più vari.

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Culbianco (Oenanthe oenanthe)Torbiera circondata da prati a sfalcio (Alpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)

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■ Mammiferi

Anche i mammiferi, grazie alla pellic-cia che ne riveste il corpo, possonoaffrontare climi rigidi e poco ospitali.Inoltre, molte specie trascorrono l’in-verno in letargo.Le torbiere montane non sono ambien-ti molto utilizzati da grandi mammiferi,anche se possono talora divenire inte-ressanti pozze per l’abbeverata di cer-vi e caprioli.In certe zone culminali dell’Arco Alpi-no, tuttavia, le torbiere di quota rap-presentano le uniche raccolte d’ac-qua a disposizione. Per questa ragio-ne esse sono regolarmente frequenta-te dai camosci (Rupicapra rupicapra)che, in alcune zone delle Dolomiti,ricercano questi ambienti in branchiparticolarmente numerosi (Livinallon-go, Col di Lana).Molto più diffusi negli ambienti di tor-biera montana sono i piccoli mammi-feri: insettivori (toporagni, crocidure),roditori (topi selvatici, arvicole) e chi-rotteri (pipistrelli). Quest’ultimo ordinenon è molto diffuso alle alte quote, maalcune particolari specie frequentano, più o meno regolarmente, questi par-ticolari habitat.I toporagni appartenenti ai generi Sorex (toporagni terrestri) e Neomys (topora-gni acquatici) sono presenti con numerose specie (Sorex alpinus, S. araneus,S. minutus, Neomys fodiens, N. anomalus), più o meno comuni in questiambienti.Fra i toporagni terrestri, il toporagno nano (Sorex minutus) è quello che megliosi adatta a suoli intrisi d’acqua ove caccia piccoli invertebrati (ragni, coleotteri,isopodi, emitteri), soprattutto sulla superficie del suolo; nella ricerca delle pre-de un ruolo fondamentale è svolto dall’olfatto.Nelle specie acquatiche (genere Neomys) le prede sono, al contrario, localiz-zate principalmente tramite i lunghissimi peli del muso, le vibrisse, che sonoriccamente innervate. I toporagni acquatici producono una secrezione neuro-

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Topo selvatico dal collo giallo (Apodemus flavicollis)

Toporagno nano (Sorex minutus)

Toporagno alpino (Sorex alpinus)

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Fra i chirotteri, che costituiscono un gruppo relativamente termofilo e, per-tanto, meglio rappresentato nei fondovalle, una specie tipica delle torbierealpine è il serotino di Nilsson (Amblyotus nilssonii). Questa specie, che sulleAlpi raggiunge i 2300 m di quota, inizia a cacciare al crepuscolo o, talvolta, anotte inoltrata. È una specie di medie dimensioni, caratterizzata da dorsobruno e peli più chiari e brillanti nella regione del capo. Ha un volo rapido edagile e caccia al di sopra di spazi aperti, sull’acqua e anche intorno alle cimedegli alberi; può posarsi sui rami per riposare. Durante il giorno si rifugia infessure; i siti riproduttivi sono situati generalmente in edifici. Sverna incaverne, gallerie e cantine.Un’altra specie presente nelle torbiere, anche se molto rara nel territorio ita-liano, è il serotino bicolore (Vespertilio murinus). Si tratta di una speciemigratrice di medie dimensioni, che sulle Alpi può raggiungere i 1900 m. Ini-zia a cacciare a notte inoltrata e continua fino all’alba. Vola in modo rapido erettilineo a circa 10-20 m dal suolo. La specie, sulle Alpi italiane, non si ripro-duce e gli esemplari catturati sull’Arco Alpino italiano sono invariabilmentemaschi in spostamento migratorio. La segregazione sessuale in periodoriproduttivo è la regola per questa specie criofila e i maschi si spostano mol-to più a sud delle femmine.

tossica che, inoculata assieme allasaliva, immobilizza le prede di mag-giori dimensioni come rane e avannot-ti. Il toporagno acquaiolo comune(Neomys fodiens) e quello di Miller (N.anomalus) si riconoscono dalle specieterrestri per la taglia maggiore e,soprattutto, per il colore nero delleparti superiori, che contrasta con ilbianco argentato di quelle inferiori. Iltoporagno acquatico di Miller è pre-

sente a quote generalmente più basse rispetto al suo congenere e difficil-mente supera i 1500 m di quota.Indagini eco-etologiche, recentemente effettuate, hanno chiarito come i duetoporagni acquaioli si dividano le risorse in caso di coabitazione. Neomysfodiens è in grado di nuotare molto bene e ricerca soprattutto invertebratibentonici, che raggiunge fino a mezzo metro di profondità. Neomys anoma-lus è un cattivo nuotatore e raccoglie piccoli animali in superficie, ai marginidi pozze, torbiere, stagni.

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Un maschio di serotino bicolore (Vespertilio murinus) ripreso presso la torbiera di Passo Pramollo (Friuli)Toporagno comune (Sorex araneus) che aggredisce un lombrico

Toporagno acquaiolo comune (Neomys fodiens)

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Altre specie che più raramente frequentano le torbiere montane sono ilvespertilio mustacchino (Myotis mystacinus) e il pipistrello nano (Pipistrelluspipistrellus).L’ultimo ordine di mammiferi che frequenta regolarmente le torbiere montaneè quello dei roditori. Questi piccoli animali sono presenti con pochi generi ingran parte appartenenti al gruppo delle arvicole (generi Microtus, Chionomyse Clethrionomys), ma sono presenti anche i topi selvatici (genere Apodemus)e il moscardino (Muscardinus avellanarius) che costruisce i suoi nidi pensilinelle macchie arbustive.Le arvicole (famiglia microtidi) sono roditori di piccole dimensioni con codacorta, corpo tondeggiante e testa poco distinta dal corpo. Le orecchie sonopiccole e poco evidenti. Vivono in gallerie che scavano appena sotto allasuperficie del suolo. In zone rocciose possono utilizzare gli interstizi e le fes-sure fra le rocce, che in qualche caso divengono il loro habitat preferenziale(Chionomys nivalis).Una delle specie più diffuse nelle nostre regioni, e ben rappresentata in tor-biera, è l’arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus). Questa specie, presen-te in montagna anche oltre i 2000 m di quota, si nutre in gran parte di foglie,

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Arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus)Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus), uno dei più piccoli chirotteri europei

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111110 cortecce, fusti e semi. Può integrare la dieta con proteine animali derivantidalla predazione di larve di insetti.A differenza delle altre arvicole, l’arvicola rossastra tende a spostarsi menosotto la lettiera o nel suolo e non è infrequente vederla saltare o arrampicarsisu arbusti. Costruisce il nido nel folto della vegetazione, fra le radici o neitronchi caduti. All’interno delle tane accumula scorte di cibo (ad esempiosemi), favorendo così la disseminazione. Questa arvicola si riproduce duran-te tutta la buona stagione; la gestazione dura circa 20 giorni e i piccoli, dauno a sei, saranno svezzati dopo circa un mese.Altre specie di microtidi che si ritrovano nelle torbiere di alta quota dell’ArcoAlpino centro-orientale, anche se la loro presenza può essere consideratapiù occasionale, sono l’arvicola campestre (Microtus arvalis), l’arvicola agre-ste (Microtus agrestis) e l’arvicola sotterranea (Microtus subterraneus). Traqueste l’arvicola agreste mostra una spiccata preferenza per i prati umidi ele torbiere.Nelle torbiere a quote inferiori è possibile rinvenire anche l’arvicola di Fatio(Microtus multiplex), l’arvicola del Liechtenstein (Microtus liechtensteini) el’arvicola di Savi (Microtus savii).

Arvicola sotterranea (Microtus subterraneus)Arvicola campestre (Microtus arvalis)

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sui cespugli nidi estivi di foglie, fili d’erba e muschio; i nidi invernali, al contra-rio, sono posti a terra tra le radici degli alberi e sono formati prevalentementeda muschio. Il letargo inizia alla fine di ottobre e si protrae fino alla metà dimarzo. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’omeotermia imperfetta,con letargo diurno o invernale, è una strategia energetica diffusa soprattuttonelle zone temperate del pianeta. Essa infatti si rivela vantaggiosa soltantodove il periodo invernale non è troppo prolungato, con crisi termiche ed ali-mentari che non si protraggono per più di sei mesi.Tra i carnivori che frequentano le zone umide di fondovalle e le torbiere mon-tane deve essere infine ricordata la puzzola (Mustela putorius putorius). Laspecie ha tendenze forestali, ma frequenta le zone umide perché preda note-voli quantità di anfibi che, in primavera e in autunno, possono costituire il 90%del suo spettro alimentare.La relativa ricchezza biologica delle torbiere di quota, comunque, attira anchealtri carnivori che in questi ambienti catturano le prede più diverse. Ai marginidelle torbiere montano-alpine è infatti piuttosto facile trovare impronte di volpi(Vulpes vulpes) e tassi (Meles meles), attirati sia dall’abbondanza di micro-mammiferi, sia dall’abbondanza di invertebrati.

113Tra i roditori appartenenti alla famiglia dei muridi (ratti e topi) solo tre specie ditopi campagnoli (Apodemus sylvaticus, A. alpicola e A. flavicollis) sono pre-senti, se alla torbiera è associata vegetazione legnosa. Questi roditori, caratterizzati da coda lunga e orecchie grosse, sono animalidalle abitudini prevalentemente notturne anche se, occasionalmente, posso-no essere osservati anche durante il dì. Questi topi campagnoli sono essen-zialmente granivori, ma non disdegnano di cibarsi di frutta e di insetti. Il toposelvatico (A. sylvaticus) ha costumi decisamente più terricoli del congeneretopo selvatico dal collo giallo (A. flavicollis) che si arrampica volentieri suglialberi. La riproduzione avviene 2-3 volte l’anno, le madri dando alla luce cin-que o sei piccoli per volta.Talvolta, in torbiere con abbondante presenza di alberi può essere presenteanche il moscardino (Muscardinus avellanarius): questo roditore, appartenen-te alla stessa famiglia del ghiro, è una specie notturna particolarmente attivaal crepuscolo e all’alba. Si arrampica con agilità e si nutre di frutta, semi, ger-mogli, ma anche di uova e nidiacei.Gli accoppiamenti del moscardino sono primaverili e, dopo circa 20 giorni,nascono tre o quattro piccoli. È una specie parzialmente gregaria. Costruisce

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Arvicola del Liechtenstein (Microtus liechtensteini) Topo selvatico (Apodemus sylvaticus)