1 Giornata di Studio dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) Sezione di Psicologia Sociale “Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri” Roma, 18-19 Settembre, 2008 LA COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI DI ACCULTURAZIONE IN UNA PICCOLA COMUNITÀ LOCALE 1 . Tiziana Mancini Dipartimento di Psicologia, Università di Parma 1. Introduzione Gli studi sui processi di acculturazione costituiscono uno dei principali orientamenti che la psicologia ha fornito al tema dei rapporti tra gruppi etnici diversi all’interno dei contesti multiculturali (Berry, 2001). Tale orientamento, derivante dagli studi antropologici, trova una consolidata tradizione soprattutto nel contesto nord-americano dove è stato ampiamente elaborato all’interno della prospettiva della psicologia interculturale. Più recente risulta invece l’interesse che alcuni paesi dell’Europa occidentale, tra i quali anche l’Italia, hanno dedicato a questo ambito di ricerca (cfr. Piontkowski, Florack, Hoelker, Obdrzálek, 2000; Navas, García, Sánchez, Rojas, Pumares, Fernàndez, 2005 tra gli altri). Rifacendosi alla definizione classica del concetto di acculturazione (Redfield, Linton, Herskovitz, 1936) 2 e allo schema bidimensionale elaborato da Berry (1989), i più recenti modelli hanno in particolare cercato di integrare la natura bidirezionale e le implicazioni al tempo stesso individuali e collettive dei processi di acculturazione (Berry, Sam, 1997). Un esempio in questa direzione è fornito dal Modello Interattivo dell’Acculturazione (Interactive Acculturation Model, IAC) di Bourhis e collaboratori (1997), in cui gli esiti del contatto intergruppi vengono analizzati all’interno di un framework che prende in considerazione diverse prospettive (il punto di vista degli immigrati, della comunità etnica presente nel contesto ospitante e del contesto ospitante) e diversi possibili livelli di analisi (nazionali, istituzionali ed individuali). Come hanno sostenuto gli stessi autori, lo IAC 1 Per la realizzazione della ricerca si ringrazia la dott.ssa Paola Dadà che ne ha curato la raccolta e parte dell’elaborazione dei dati. 2 L’acculturazione è quel fenomeno che accade quanto due gruppi con culture diverse entrano in contatto tra loro: tale contatto determina numerosi cambiamenti culturali in entrambi i gruppi, cambiamenti che investono da un lato gli stessi gruppi, dall’altro i singoli individui che ne sono parte
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Giornata di Studio dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) Sezione di Psicologia Sociale
LA COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI DI ACCULTURAZIONE IN UNA PICCOLA COMUNITÀ LOCALE1.
Tiziana Mancini
Dipartimento di Psicologia, Università di Parma
1. Introduzione
Gli studi sui processi di acculturazione costituiscono uno dei principali orientamenti che la
psicologia ha fornito al tema dei rapporti tra gruppi etnici diversi all’interno dei contesti
multiculturali (Berry, 2001). Tale orientamento, derivante dagli studi antropologici, trova una
consolidata tradizione soprattutto nel contesto nord-americano dove è stato ampiamente
elaborato all’interno della prospettiva della psicologia interculturale. Più recente risulta invece
l’interesse che alcuni paesi dell’Europa occidentale, tra i quali anche l’Italia, hanno dedicato a
questo ambito di ricerca (cfr. Piontkowski, Florack, Hoelker, Obdrzálek, 2000; Navas, García,
Sánchez, Rojas, Pumares, Fernàndez, 2005 tra gli altri).
Rifacendosi alla definizione classica del concetto di acculturazione (Redfield, Linton, Herskovitz,
1936)2 e allo schema bidimensionale elaborato da Berry (1989), i più recenti modelli hanno in
particolare cercato di integrare la natura bidirezionale e le implicazioni al tempo stesso individuali
e collettive dei processi di acculturazione (Berry, Sam, 1997). Un esempio in questa direzione è
fornito dal Modello Interattivo dell’Acculturazione (Interactive Acculturation Model, IAC) di Bourhis
e collaboratori (1997), in cui gli esiti del contatto intergruppi vengono analizzati all’interno di un
framework che prende in considerazione diverse prospettive (il punto di vista degli immigrati,
della comunità etnica presente nel contesto ospitante e del contesto ospitante) e diversi possibili
livelli di analisi (nazionali, istituzionali ed individuali). Come hanno sostenuto gli stessi autori, lo IAC
1 Per la realizzazione della ricerca si ringrazia la dott.ssa Paola Dadà che ne ha curato la raccolta e parte
dell’elaborazione dei dati. 2 L’acculturazione è quel fenomeno che accade quanto due gruppi con culture diverse entrano in contatto tra loro:
tale contatto determina numerosi cambiamenti culturali in entrambi i gruppi, cambiamenti che investono da un lato gli stessi gruppi, dall’altro i singoli individui che ne sono parte
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cerca, infatti, di integrare in un unico schema di riferimento sia l’orientamento di acculturazione
adottato dai membri delle minoranze immigrate e dalla stessa comunità di immigrati presenti sul
territorio ospitante, sia le aspettative che gli ospitanti hanno rispetto alle modalità con cui gli
immigrati dovrebbero integrarsi nel nuovo contesto, queste ultime connesse a loro volta con le
politiche immigratorie e di integrazione adottate dagli stati ospitanti. La combinazione tra questi
due orientamenti (quello delle minoranze immigrate e degli autoctoni) conduce a tre diversi esiti
sul versante delle relazioni interculturali: consensuale, problematico e conflittuale. Le relazioni di
tipo consensuale sono caratterizzate da comunicazioni positive tra gli appartenenti alle diverse
culture, da atteggiamenti e stereotipi positivi, da una bassa tensione intergruppi e da scarsi segnali
di disagio legato allo stress da acculturazione. Secondo gli autori, questo tipo di relazioni tende a
prevalere quando sia la società ospitante, sia le minoranze immigrate, condividono entrambe lo
stesso orientamento verso l’acculturazione e quando l’orientamento condiviso è caratterizzato
dall’integrazione, dall’assimilazione o dall’individualismo. E’ invece la non congruenza tra
l’orientamento della società ospitante e quello delle minoranze immigrate a generare relazioni di
tipo problematico o conflittuale destinate non raramente a sfociare in forme anche violente di
discriminazione sociale.
L’idea che immigrati ed autoctoni possano avere un diverso livello di controllo sul processo di
acculturazione che nel IAC viene implicitamente ricondotta all’influenza in tal senso esercitata
dalle ideologie derivanti dalle politiche di integrazione adottate dagli stati ospitanti (livello
istituzionale), è stata più ampiamente sviluppata da Piontkwoski, Rohmann e Florack (2002) nel
Modello di acculturazione basato sulla Concordanza (CMA) in cui si parla più direttamente di
gruppo dominante e di gruppi dominati. Secondo questo modello sono gli autoctoni a controllare i
processi di acculturazione e a decidere quindi, in ultima istanza, se gli immigrati (i gruppi dominati)
possono o meno mantenere la propria cultura e se possono o meno avere relazioni con la cultura
dominante. Una decisione che, secondo le ricerche condotte in alcuni paesi europei (Piontkowski,
Florack, Hoelker, Obdrzalek, 2000), tende a declinarsi in funzione di alcune variabili chiaramente
riconducibili ai presupposti della SIT (Tajfel, 1981), quali il bias a favore del proprio gruppo di
appartenenza, la percezione della somiglianza ingroup-outgroup, il grado di contatto intergruppi e
la percezione della rigidità/permeabilità dei confini tra i gruppi, nonchè in relazione al gruppo
culturale considerato. Come Bourhis et al. (1997), anche anche Piontkwoski e collaboratori (2000,
2002) hanno individuato tre diversi tipi di relazione interetnica, derivanti dalla
concordanza/discordanza degli orientamenti di acculturazione espressi dagli ospitanti e dagli
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ospitati: consensuale, conflittuale e problematica. Rispetto al modello precedente, gli autori
hanno evidenziato tuttavia anche la necessità di distinguere gli esiti che potrebbero derivare da
una discordanza sul possibile mantenimento della cultura di origine degli immigrati da quelli,
invece, legati alla questione del contatto e della partecipazione alla cultura ospitante.
Vari studi condotti in diversi paesi europei (Jasinkaja-Lahti, Liebkind, Horenszyk, Schnitz, 2003;
Zick, Wagner, Van Dick e Petzel, 2001; Kosic, Manetti e Sam, 2005; tra gli altri) hanno confermato
la validità predittiva di entrambi i modelli, pur riconoscendone al tempo stesso alcuni limiti. Come
hanno recentemente evidenziato un gruppo di ricercatori spagnoli (Navas et al., 2005), uno di
questi limiti riguarda la necessità di prendere in considerazione vari aspetti o domini della realtà
socio-culturale con i quali sia la maggioranza autoctona, sia le minoranze immigrate devono
confrontarsi al fine di strutturare specifici atteggiamenti e/o specifiche pratiche di acculturazione;
l’altro limite concerne la distinzione tra diversi piani di realtà e più in particolare tra le strategie di
acculturazione preferite (situazione ideale) e quelle realmente adottate (situazione reale) da
entrambi i gruppi. Introducendo entrambi gli aspetti, Navas e collaboratori hanno messo punto e
verificato su due gruppi di immigrati (nord-africani e sud-sahariani) in Almería il Modello Esteso
dell’Acculturazione Relativa (Relative Acculturation Extended Model, RAEM). Il RAEM prevede
indubbiamente un maggior grado di complessità considerando in particolare 1) la possibilità che
più orientamenti (situazione ideale) e più strategie di acculturazione (situazione reale) possano
essere preferiti/adottati sia dal gruppo dei “nativi”, sia dagli immigrati, e che 2) che le persone
possano preferire o utilizzare strategie diverse in funzione di contesti o in situazioni diverse.
Prendendo a riferimento il sistema di classificazione proposto da Leunda (1996), Navas e
collaboratori (2005) distinguono lo spazio socio-culturale all’interno del quale i contatti tra gruppi
diversi possono realizzarsi, in sei diversi domini o aree collocati lungo un ipotetico continuum che
li organizza a seconda della loro posizione centrale o periferica nella cultura di appartenenza (dal
sistema politico, al dominio del lavoro, all’area economica; alle relazioni familiari, a quelle sociali
prevalentemente amicali, fino all’area delle rappresentazioni della realtà che prendono forma
attraverso l’ideologia, la filosofia e la religione). La distinzione tra ambiti centrali e periferici dello
spazio di incontro tra autoctoni ed immigrati, permette agli autori di ipotizzare diverse soluzioni
dell’incontro interculturale. In linea con il modello elaborato da Piontkwoski e collaboratori
(2002), Navas e colleghi (2005) ipotizzano un più facile processo di adattamento reciproco negli
ambiti legati alle scelte lavorative ed economiche dove le strategie di integrazione e di
assimilazione tenderebbero ad essere privilegiate sia dai nativi che dagli immigrati, una maggiore
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resistenza al cambiamento nelle aree intermedie e relazioni potenzialmente più conflittuali negli
altri ambiti di contatto inter-culturale dove gli immigrati tenderebbero a preferire soluzioni di
separazione dalla cultura ospitante, mentre i nativi tenderebbero a propendere per l’assimilazione
o l’integrazione nella cultura ospitante.
Rispetto ai modelli precedenti, al lavoro di Navas e collaboratori va sicuramente riconosciuto il
merito di avere sottolineato l’importanza sia degli aspetti qualitativi (i domini dello spazio socio-
culturale), sia degli aspetti rappresentazionali (le aspettative sui processi di integrazione) implicati
nei processi di acculturazione. Nel privilegiare il metodo comparativo della psicologia
interculturale, anche questo modello, come gli altri descritti, finisce tuttavia per trascurare l’analisi
del contesto e dei significati all’interno dei quali gli esiti del contatto intergruppi tendono a
strutturarsi. L’interesse per il confronto – prevalentemente quantitativo e statistico – tra gli
atteggiamenti di acculturazione attesi dagli ospitanti e le strategie di acculturazione
preferite/adottate dai diversi gruppi di immigrati rimane in tutti questi modelli l’unico reale focus
dell’analisi empirica. In questo modo la dimensione contestuale, anche quando ipotizzata a livello
teorico, come ad esempio accade nell’IAC di Bourhis e collaboratori (1997), viene utilizzata
soltanto come schema interpretativo generale applicato post-hoc ai risultati ottenuti. Una
dimensione contestuale che, coerentemente con l’approccio adottato, tende a privilegiare il livello
istituzionale e nazionale, trascurando invece di considerare le caratteristiche dei contesti locali in
cui gli esiti dei processi di acculturazione tendono più concretamente a realizzarsi. Ed è proprio a
tali caratteristiche che alcuni autori (Phinney, Horenczyk, Liebkind, Vedder, 2001) imputano il
legame non particolarmente stretto e congruente tra le politiche immigratorie adottate dagli stati
ospitanti e i processi di integrazione delle minoranze immigrate riscontrato nelle ricerche trans-
nazionali (cfr. ad esempio i risultati del progetto ICSEY; Berry, Phinney, Sam, Vedder, 2006).
Tra le caratteristiche dei contesti locali che possono incidere sui processi di integrazione delle
minoranze etniche nei contesti ospitanti, alcuni autori hanno messo in evidenza l’importanza della
dispersione o della concentrazione di particolari gruppi di immigrati in specifiche zone geografiche
(Umana-Taylor, Diversi, Fine, 2002), della rete di relazioni amicali e familiari in cui sono essi inseriti
(Kosic, Kruglansky, Pierro, Manetti, 2004), degli atteggiamenti e delle attività promosse dalle
associazioni e dalle istituzioni locali ed in particolare dalla scuola (Keaton, 1999) e più in generale
di variabili di natura sociologica. Scarsa attenzione è stata invece dedicata ai processi di
costruzione e di negoziazione dei significati che strutturano lo spazio all’interno del quale le
relazioni tra autoctoni ed immigrati si realizzano.
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Partendo dalla prospettiva della psicologia culturale (Cole, 2004; Mantovani, 2004; Mazzara, 2007)
l’obiettivo di questo lavoro è stato proprio quello di descrivere i processi di costruzione sociale
delle modalità di integrazione tra autoctoni e immigrati di religione musulmana in una piccola
comunità locale. Adottando un approccio emico e privilegiando il metodo ideografico, l’obiettivo
di questo studio è stato quello di cogliere l’unicità e l’esclusività delle espressioni culturali del
contesto analizzato e di ricostruire, attraverso i significati attribuiti ad alcuni eventi che l’hanno
attraversato, lo spazio simbolico all’interno del quale le relazioni tra abitanti locali e comunità
immigrata tendono a strutturarsi. Il contesto scelto come oggetto della ricerca è un piccolo paese
caratterizzato da una ampia comunità di immigrati musulmani e segnato negli ultimi anni da due
eventi particolari, ovvero l’apertura di una moschea (1999) e l’individuazione di una possibile
cellula terroristica islamica nel paese (2003). I contesti di significato all’interno dei quali si sono
strutturati i rapporti tra appartenenti alla comunità locale autoctona e appartenenti alla comunità
musulmana sono stati ricostruiti utilizzando diversi punti di vista e diversi strumenti di rilevazione.
2. Metodologia
2.1 Il contesto
Lo studio è stato condotto in un piccolo paese della Lunigiana, una regione situata tra la Toscana e
la Liguria, racchiusa tra l'Appennino, le Alpi Apuane e il Mar Ligure ed oggi identificata con la
vallata del Magra e quella dei suoi affluenti. Il paese contava alla fine del 2006 – anno nel quale la
ricerca è stata condotta - 2100 abitanti locali e 86 immigrati di cui 46 provenienti dal Marocco.
La storia dei rapporti tra autoctoni ed immigrati all’interno di questa piccola comunità è segnata
da due particolari eventi. Il primo evento risale al 1999, quando un immigrato musulmano abitante
nel paese, avanza ed ottiene, dopo i dovuti controlli di agibilità, l’autorizzazione del sindaco ad
adibire un locale a Moschea. Il secondo evento accade nel dicembre 2003, quando a seguito di
intercettazioni effettuate dalla Digos, si diffonde la notizia della scoperta una presunta cellula
terroristica islamica nel paese.
A circa tre anni da tale notizia, lo studio presentato ha cercato di ricostruire ex-post i significati
attribuiti a tali eventi sia dagli abitanti locali, sia dagli immigrati musulmani per cogliere
indirettamente l’impatto che la ricostruzione simbolica di tali eventi ha avuto sulle relazioni inter-
culturali nel paese.
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2.2 Disegno della ricerca, procedure e materiali utilizzati
La ricerca è stata condotta attraverso tre studi e si è avvalsa di strumenti sia qualitativi che
quantitativi.
Il primo studio è stato realizzato attraverso tre interviste a testimoni significativi; esse sono state
condotte rispettivamente con il Sindaco, il Parroco e l’Imam della Moschea. Le interviste,
realizzate nei primi mesi del 2006, avevano come obiettivo specifico quello di ottenere una prima
ricostruzione dei rapporti tra comunità locale e comunità mussulmana visti alla luce degli eventi
che hanno caratterizzato la storia del paese. Per questo motivo è stata utilizzata una griglia
strutturata attorno ad alcuni degli avvenimenti più salienti (l’apertura della moschea; l’undici
settembre 2001; la scoperta di una presunta cellula terroristica) utilizzati come stimolo per
approfondire la ricostruzione che tali testimoni significativi hanno fatto del tipo di rapporto che si
è venuto a strutturare tra la comunità musulmana e gli abitanti autoctoni e le aspettative nei
confronti del futuro.
Il secondo studio è stato condotto attraverso la raccolta e l’analisi del contenuto di 42 articoli di
stampa tutti relativi alla scoperta di una presunta cellula terroristica e seguito di alcune
intercettazioni effettuate dalla Digos. L’obiettivo era quello di analizzare, attraverso gli articoli
scritti a seguito di questo evento, le immagini veicolate dalla stampa in merito agli immigrati
musulmani e alle modalità/possibilità di relazioni tra questi ultimi e la comunità autoctona locale.
Tutti gli articoli sottoposti ad analisi del contenuto, tranne due, risalgono alla prima decade del
dicembre 2003. Dei 42 articoli considerati 30 sono stati pubblicati in delle testate cartacee più
diffuse in questa area, cioè “Il Secolo XIX” (13 articoli) e “La Nazione” (18) e 12 derivano da
diverse testate on-line tra le quali solo Spezia.com è rappresentata da più di 1 contributo (4
articoli). Tutti e 42 gli articoli sono stati classificati come articoli di “cronaca”; 24 articoli sono
corredati da almeno 1 immagine.
I testi e, se disponibili, le immagini degli articoli sono state sottoposte ad un’analisi del contenuto
tematico per la quale ci si è avvalsi di una griglia finalizzata a rilevare: a) gli aspetti
tecnici/strutturali dell’articolo (es. testata, data, numero della pagina e localizzazione all’interno di
essa, ecc.); b) gli aspetti grafici (es. contenuto, coerenza/incoerenza con il titolo dell’articolo,
rispetto o meno della legge sulla privacy, ecc.); c) l’analisi del testo vero e proprio in riferimento a
sia a se e come viene descritta l’appartenenza culturale dei soggetti implicati nella descrizione
dell’evento, sia a se e come viene descritta la relazione immigrati/autoctoni.
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Il terzo studio è stato realizzato attraverso un questionario semi-strutturato declinato in due
versioni e somministrato rispettivamente a 105 adulti autoctoni e a 19 adulti immigrati dal Nord-
Africa.
Duplice era l’obiettivo di questo ultimo studio: da un lato quello di ricostruire attraverso la “voce”
degli abitanti locali (autoctoni ed immigrati) i significati attribuiti ai due eventi selezionati
(costruzione della Moschea e presunta cellula terroristica); dall’altro quello descrivere, seguendo
alcuni dei più recenti modelli sull’acculturazione (cfr. Introduzione), le relazioni tra autoctoni ed
immigrati di religione musulmana mettendo a confronto le strategie di acculturazione e gli esiti dei
processi di identificazione culturale che gli autoctoni pensano gli immigrati mettano in atto con
quelle effettivamente dichiarate dagli immigrati stessi.
Al fine di rilevare le strategie di acculturazione la prima del questionario misurava le pratiche
culturali adottate dagli immigrati/le pratiche culturali che gli autoctoni presumevano che gli
immigrati adottassero, in 6 differenti ambiti: uso orale e scritto della lingua italiana/della lingua
d’origine (8 item); utilizzo di tradizioni culturali legate al mangiare, cucinare, seguire le festività,
ascoltare la musica e vestire gli abiti arabi/italiani (10 item); modalità di rapportarsi
all’informazione, attualità, politica e cultura attraverso giornali, telegiornali (8 item); preferenze
per amicizie arabe/italiane e per attività ricreative/associative frequentate prevalentemente da
arabi/italiani (14 item); fruizione dei servizi socio-sanitari e utilizzo di medici arabi/italiani (6 Item);
tipo di religione praticata (mussulmana/cattolica; 2 item).
Gli esiti dei processi di identificazione culturale sono stati misurati, nella seconda parte del
questionario, attraverso tre scale che misuravano le tre dimensioni dell’identità sociale seconda la
definizione data da Tajfel (1981): l’autocategorizzazione, misurata attraverso l’Overlap of Self,
Ingroup and Outgroup elaborato da Schubert and Otten (2002) e attraverso un ulteriore reattivo
grafico in cui si chiedeva ai soggetti di indicare la loro posizione tra due cerchi intersecati che
rappresentavano rispettivamente gli abitanti locali e le persone provenienti dai paesi arabi che nel
paese; il legame emotivo con il proprio gruppo di origine (e con quello ospitante) misurato
attraverso 4 item della Ethnocultural Attachment Scale di Brown et al. (1986); la stima di sè
(personale e collettiva) misurata attraverso 6 items tratti dalla Collective Self Esteem scale di
Luhtanen e Crocker (1992).
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Per ogni item i soggetti dovevano rispondere su una scala a 4 punti dove 1 = per niente vero, 2 =
poco vero, 3 = abbastanza vero, 4 = molto vero.
Per ricostruire i significati attribuiti alla costruzione e alla presenza della Moschea nel paese, la
terza parte del questionario comprendeva domande finalizzate a rilevare la conoscenza e l’utilizzo
della moschea, le immagini personali ad essa associate (rilevate attraverso la tecnica delle libere
associazioni) e gli atteggiamenti – misurati su una scala di accordo/disaccordo a 4 punti - del
proprio gruppo di appartenenza nei confronti di alcune opinioni positive e negative raccolte nel
paese (es. gli abitanti di …/I membri della comunità musulmana di … considerano la Moschea un
luogo da tenere sotto controllo, … una risorsa per il paese, …).
Sull’episodio relativo alle intercettazioni relative alla presenza di una presunta cellula terroristica,
dopo aver richiamato alla memoria l’evento attraverso lo stralcio di un articolo di giornale, i
soggetti sono stati inviatati a dichiarare se ricordavano o meno l’evento e solo in caso di risposta
affermativa a dichiarare il loro grado di accordo/disaccordo con alcune affermazioni relative alle
possibili conseguenze sui rapporti inter-culturali imputabili a tale evento (es. A seguito delle notizie
apparse sui giornali in merito alle intercettazioni di una cellula terroristica ad … si sono modificati i
rapporti tra membri della comunità musulmana e la popolazione del paese, ho avvertito
personalmente cambiamenti nei miei rapporti con la popolazione locale di …).
L’ultima parte del questionario comprendeva una scheda socio-anagrafica.
Tutti partecipanti a questo studio sono stati reclutati nel paese o in aree limitrofe attraverso un
campionamento di comodo. La tabella 1 riporta le caratteristiche dei 105 partecipanti autoctoni e
dei 19 partecipanti immigrati dal Nord-Africa.
Tabella 1 – Caratteristiche dei partecipanti al terzo studio
Autoctoni Immigrati
Sesso Maschi 43 16 Femmine 62 2
Età Media 44.03 27.42
Range 18-77 18-39
Provenienza Italia 18 Marocco 1 Tunisia
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2.3 Analisi dei dati
Per motivi di spazio verranno qui sintetizzati solo alcuni dei principali risultati emersi dai tre studi.
La prima parte dell’analisi in particolare sarà dedicata e ricostruire i significati attribuiti ai due
eventi e alle loro possibili ricadute che essi possono avere avuto sui rapporti tra comunità
autoctona e comunità musulmana. A tal fine verranno utilizzati i risultati di tutti e tre gli studi.
Nella seconda parte, utilizzando i risultati del terzo studio, verranno invece ricostruite e messe a
confronto le strategie di acculturazione e gli esiti dei processi di identificazione culturale che gli
autoctoni pensano gli immigrati mettano in atto con quelle effettivamente dichiarate dagli
immigrati stessi. Sui dati raccolti attraverso il questionario sono state applicati il test non
parametrico di Mann-Whitney e il test non parametrico di Wilcoxon.
3. Risultati
3.1 La ricostruzione dello spazio simbolico dei rapporti inter-culturali nella comunità locale
Considerando i principali risultati emersi dall’analisi del contenuto delle interviste condotte
con i testimoni significativi (studio 1), la ricostruzione dei rapporti tra comunità locale e comunità
mussulmana a seguito degli eventi che hanno caratterizzato la storia del paese fa emergere una
spiccata contrapposizione tra le opinioni del sindaco e dell’imam che si collocano su una posizione
similare e quelle diametralmente opposte del parroco. A fronte degli eventi che hanno riguardato
l’apertura della Moschea, sono in particolare i racconti del parroco a lasciare trasparire contenuti
di disapprovazione e sentimenti di esclusione dalla vicenda, come emerge chiaramente dal
seguente brano
“Io ero in Italia al momento dell’istituzione della moschea ma non sono stato contattato da nessuno in merito a questa
vicenda. Sono stato completamente ignorato, forse pensavano che avrei esposto il problema che nella zona questa era
l’unica moschea presente e che quindi si sarebbero potuti verificare disagi dovuti all’elevata affluenza di praticanti
musulmani (derivanti dall’alta Toscana e dalla Liguria di levante)...come poi è stato!”.
Più esterna risulta invece la posizione del sindaco che sembra piuttosto riportare tale richiesta ad
una situazione di normalità e di diritto:
“Non sono sorti alcuni dibattiti poiché il rappresentante musulmano della comunità di …,era semplicemente venuto a
fare una comunicazione per ottenere il nullaosta da parte del comune per poter adibire il locale a moschea. L’Italia si
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presenta come stato laico e in quanto tale consente a chiunque di poter professare la propria religione: proprio per
questo non ci sono voluti permessi particolari se non quelli relativi all’agibilità del locale”.
Il riconoscimento del diritto di ciascuno a professare la propria religione è anche il tema
prevalente nelle parole dell’imam della Moschea.
“Fin dall’inizio ho ritenuto che potesse essere una cosa positiva per chi, come me, sente il bisogno di riunirsi in
preghiera”.
In riferimento a questo evento, sia il sindaco che l’imam della Moschea riferiscono una situazione
di accettazione da parte degli abitanti locali:
“Non ho percepito alcuna reazione anche perché questa comunità di musulmani era già presente da anni a … ed erano
ben integrati” (Sindaco), “Io personalmente non ho percepito alcuna reazione particolare qui a … mi sono sempre
sentito ben accetto sia prima che dopo l’apertura della moschea” (Imam).
Non dello stesso parere il parroco che nell’esprimere le sue preoccupazioni personali per il
disturbo che l’affluenza alla Moschea avrebbe comportato per la popolazione locale, riferisce al
contrario di alcune azioni intraprese dagli abitanti locali e non riconosce a tale evento alcuna
potenzialità positiva rispetto alle relazioni inter-culturali:
“Un gruppo di uomini del paese hanno scritto una lettera all’affittuario (che ho consegnato io stesso) insospettiti di un
piazzamento strategico,fatto in sordina per ottenere un vantaggio economico! (…) non c’è un vero contatto con questa
comunità ... i rapporti non sono aumentati neppure nell’amicizia”.
Più comuni sono invece le posizioni che i tre intervistati hanno assunto sia nei confronti dell’11
settembre, sia a seguito delle intercettazioni della Digos. In entrambi i casi, tutti e tre negano che
tali eventi possano in qualche modo avere modificato i rapporti interetnici, come emerge dai brani
qui sotto riportati e riferiti agli eventi del dicembre 2003:
“Non ci sono stati cambiamenti, almeno da parte nostra non è cambiato niente e non abbiamo percepito
atteggiamenti diversi dai giorni precedenti da parte della popolazione locale” (imam). “Come me,anche gli Abitanti di
…, passato lo stupore iniziale, hanno intuito che potesse essere un evento isolato e probabilmente infondato: a seguito
di ciò non ci sono state reazioni da parte della popolazione, di nessun tipo … La popolazione autoctona è rimasta
incredula alla notizia, la maggior parte degli abitanti del paese non ci ha creduto e il tempo ha dato ragione a queste
persone, infatti non ci sono stati sviluppi in questa vicenda … alcuni di loro sono venuti a rassicurarmi sulla vicenda
dicendomi che non c’era bisogno di allarmarsi perché all’interno della moschea veniva solo predicata la pace e non la
guerra” (sindaco). “In generale l’attenzione si è concentrata relativamente sulla nostra realtà...non ci sono stati gesti
che hanno suscitato sospetti. Cambiamenti io non ne ho rilevati,né in positivo,né in negativo …” (parroco).
Ciononostante sembra che entrambi gli eventi non abbiano lasciato del tutto indifferente la
comunità considerata. A conferma di ciò non mancano sia nei discorsi del parroco riferimenti
all’esistenza di prove volte ad attestare gli avvenuti festeggiamenti in occasione dei noti fatti
dell’11 Settembre; riferimenti che giustificano, d’altro canto, le posizioni di smentita della
comunità mussulmana riferite dall’imam:
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“La comunità musulmana ha minimizzato in merito ai probabili festeggiamenti dell’11 settembre. Ci tenevano molto a
sottolineare che lì a .. l’imam non era presente, che loro erano solo dei suoi rappresentanti e che il vero imam si trova
nei gradi centri urbani” (parroco). “La gente del paese ci conosce, sa che ci riuniamo solo per pregare,pregare il
bene, la pace e la salute e non il male e la morte. Posso tranquillamente affermare che non ci sono stati
festeggiamenti di nessun genere anche perché il Corano vieta l’alcool e le droghe” (imam).
Le opinioni dei testimoni intervistati circa gli attuali rapporti tra popolazione locale e comunità
musulmana confermano le due contrapposizioni sopra sottolineate. Infatti, la visione del sindaco e
dell’imam concordano nel ribadire che la comunità musulmana si è ben integrata nel paese, il
parroco invece sottolinea il fatto che non si può parlare di integrazione imputandone la
responsabilità unicamente agli immigrati:
“Mentre da parte “nostra” c’è stata, e continua ad esserci, apertura verso l’integrazione, da parte” loro” no, c’è una
totale chiusura e tendenza a rimanere in disparte”
Lo stesso parroco augurandosi che “in futuro si possa parlare di “integrazione”nel vero significato
del termine” richiama all’auspicio di
“una maggiore apertura da parte della comunità musulmana. Auspico una maturazione da parte della comunità
musulmana che faccia emergere la propria cultura per arrivare ad una conoscenza, reciproca, migliore”.
Sempre rispetto al futuro, anche la posizione del sindaco lascia intravedere qualche perplessità
come emerge chiaramente dal brano sotto riportato:
“Sicuramente questi immigrati via non ci tornano perché, come si suol dire <qui hanno trovato l’America!> e quindi
sono costretti ad integrarsi nella nostra società. Forse tra due o tre generazioni, quando tutti crederanno che questi
immigrati si siano ormai completamente integrati nel nuovo paese, ci sarà qualche frustrato, fanatico che si ribellerà
facendo qualche attentato anche qui da noi, proprio come è successo tempo fa in Inghilterra”.
A fronte di tale necessità, vista tuttavia anche come una potenziamento economico e culturale per
entrambe le comunità, è curioso riscontrare come il sindaco riconosca proprio alla Chiesa e alle
associazioni del paese un ruolo rilevante nel favorire tale processo di integrazione.
Dall’analisi delle interviste non ci sembra quindi di poter rintracciare un sistema condiviso di
significati rispetto al modo di vedere le relazioni tra autoctoni e immigrati. Emergono piuttosto
due posizioni contrapposte che lasciano presupporre la mancanza di un relazioni significative tra i
due mondi che di fatto nelle rappresentazioni dei rispettivi rappresentanti presentano aspetti di
relativa incomunicabilità.
Negativa ed allarmistica è anche l’immagine dei rapporti tra immigrati musulmani e
popolazione autoctona locale che sembra risultare dai 42 articoli di giornale considerati nel
secondo studio. In essi l’attenzione del lettore sull’accaduto (intercettazioni effettuate dalla Digos
circa la possibile presenza di una cellula terroristica ad Albiano Magra) viene stimolata utilizzando
12
diverse strategie, ad esempio ricorrendo a titoli allarmistici, riservando ampio spazio all’articolo o
corredandolo da immagini particolarmente accattivanti.
Dall’analisi degli aspetti grafici emerge infatti che sono più della metà (24) gli articoli che
contengono immagini; di queste fotografie, 14 sono a colori e 10 in bianco e nero. Se, come è
noto, la presenza di immagini, soprattutto a colori, stimola l’attenzione del lettore, occorre
ricordare come l’introduzione di un’immagine possa anche influenzare l’approccio con cui esso si
avvicina al contenuto dell’articolo. A tal proposito non è irrilevante constatare la frequente
discordanza riscontrata sia tra le immagini presentate ed il titolo dell’articolo (17 volte su 24), sia
tra le immagini ed il contenuto del testo (9 volte su 24).
Delle 24 foto solo in tre non vengono rappresentate immagini di persone: in 17 foto le persone
sono rappresentate in secondo piano, in 6 in primo piano e solo in 1 caso sullo sfondo
dell’immagine. E’ interessante constatare che complessivamente le immagini che contengono
rappresentazioni di individui ricorrono all’oscuramento del viso, in rispetto della legge sulla
privacy, soltanto in tre casi su 21. Un dato, quest’ultimo, che richiama ulteriormente l’attenzione
che la stampa ha voluto dare ai protagonisti della vicenda. Le immagini presentate contengono,
infatti, per lo più (nel 75% dei casi, pari a 18 casi su 24) foto di persone (da sole o in gruppo) i cui
connotati richiamano indubbiamente alla loro appartenenza culturale e al loro status di immigrati,
mentre solo in 1 foto su 3 circa (8 su 24) vengono rappresentate solo o anche persone autoctone.
Sono infine 9 le immagini che, oltre alle persone, riprendono internamente (5) o esternamente la
Moschea, 3 immagini rappresentano cartine e 2 grafici esemplificativi: nello specifico sono
rappresentati i legami della cellula terroristica scoperta dalla digos tramite intercettazioni
telefoniche.
Il ricorrente riferimento alle caratteristiche legate all’etnicità delle persone collegate all’evento e
alla loro religione, richiama indubbiamente ad un tentativo di stigmatizzazione dei membri della
comunità musulmana presente nel paese. Questo risulta evidente non solo dalle immagini poste a
corredo dell’articolo (si vedano le immagini selezionate nella fig. 1), ma anche dai titoli e dai
contenuti degli articoli considerati.
L’analisi lessicale condotta attraverso il software t-lab sulle parole contenute nei titoli dei 42
articoli conferma il tono “allarmistico” e “stigmatizzante” spesso riscontrato nelle immagini. Come
si può vedere dall’analisi delle 176 parole chiave selezionate dal programma (grafico 1), i termini
13
che ricorrono più frequentemente richiamano alle indagini effettuate dalla polizia (Indagare,
indagine, blitz, scoperta), alle accuse di terrorismo rivolte agli islamici (cellula, terrorismo, Qaeda,
rete, strage) rimarcando la loro condizione di clandestinità (clandestino, ombra) e attribuendo più
o meno direttamente la “colpa” dell’evento alla presenza della moschea nel paese e più in
generale alla religione islamica (islamico, imam, islam, Jihad, pregare).
Figura 1. Alcune immagini corredate ai 42 articoli considerati.
14
Grafico 1. Parole chiave con frequenza < 2 contenute nei titoli dei 42 articoli selezionati.
I toni spesso allarmistici dei titoli degli articoli sono chiaramente rintracciabili nei titoli sotto
riportati:
“Cellula … nella rete delle stragi”, “L’ordine dell’imam: stare nell’ombra”, “La predicazione della violenza”, “Terrorismo,
ombre su cellula islamica”, “Se uccidete per Allah andrete in paradiso”, “Dovete morire combattendo”.
Una testimonianza dei toni accusatori è invece riportate nei seguenti articoli in cui si riconosce
tuttavia anche la connivenza di alcuni personaggi autoctoni locali:
“La centrale degli immigrati clandestini” e nel sottotitolo “De documenti falsi a 1600 euro e ‘premi’ ad un imprenditore
…”, ed ancora “Dai cantieri ai visti per clandestini ecco l’imprenditore in affari con l’imam”; “Le carte false per i
clandestini”.
Al di là delle accuse rivolte a persone autoctone del luogo, alcuni titoli riportano reazioni di
solidarietà degli autoctoni verso i membri della comunità musulmana:
“Il paese è solidale: ‘gente come noi’”; “Non sono terroristi ma brave persone e padri di famiglia”
Non mancano infine titoli ed articoli in cui lo stesso imam o alcune persone a lui vicine
smentiscono e cercano di difendersi dalle accuse loro rivolte:
La moglie DELL’ “IMAM”: “Hanno portato via computer e video ma non abbiamo nulla da nascondere”; “ma il capo
indagato non si indigna ‘L’Islam insegna a non uccidere’”; il fratello DELL’ ‘IMAM’: “Non c’entriamo con la jihad
lavoriamo e rispettiamo la legge”.
98
75
3
2
5145
40
28
17
11
islamico
imam
cellula
indagare
Provincia X
terrorismo
paese X
clandestino
paese
Qaeda
blitz
imprenditore
indagine
islam
jihad
marocchino
moschea
ombra
persone
pregare
rete
Scoperta
strage
Peso su 1000 lemmi Freq. del lemma
15
Andando ad esaminare il contenuto degli articoli selezionati ben 32 di essi (su 42, pari al 76% degli
articoli) trattano di argomenti legati al terrorismo e 16 della criminalità. La vita religiosa praticata
dalla comunità musulmana del paese è rappresentata in 30 (pari al 71%) dei 42 articoli, mentre
soltanto in 7 articoli (16,7%) si fa riferimento ad avvenimenti di vita quotidiana che coinvolgono le
persone musulmane. Questo dato trova conferma nella tipologia degli eventi che vengono
descritti e che fanno riferimento, come è possibile notare dal grafico 2, in larga misura alle
operazioni esplicate in relazione all’evento (inchieste, perquisizioni, indagini, perquisizioni,
sequestro, arresti), alle accuse e più in generale a quelle di terrorismo. Più raramente vengono
descritte le reazioni di smentita delle persone coinvolte (12 articoli) e quelle di solidarietà da parte
degli abitanti autoctoni (6); 4 articoli riportano infine alcuni atteggiamenti di fanatismo dei membri
della comunità musulmana e 1 articolo le statistiche relative agli immigrati irregolari.
Grafico 2. Tipologia degli eventi descritti nei 42 articoli selezionali (valori percentuali)
Un quadro quindi, che tende a confermare l’ipotesi secondo la quale a seguito dell’evento i media
abbiano cercato di creare una situazione generale di allarmismo accompagnata da chiari tentativi
di stigmatizzazione dei membri della comunità musulmana. Ad ulteriore conferma di tale ipotesi si
può evidenziare il fatto che siano state in larga misura le testate orientate più a destra del
continuum politico a parlare dell’evento (in larga misura Il secolo XIX e La nazione), ma soprattutto
le modalità con le quali la questione è stata affrontata. Basta fare a questo proposito riferimento
alla frequenza con cui negli articoli i giornalisti richiamano a caratteristiche legate all’etnicità:
infatti, i riferimenti alla comunità musulmana di … si ritrovano nel 69% (29) degli articoli raccolti,
contro l’11,9% (5) degli articoli in cui si fa riferimento agli abitanti autoctoni di …, con un evidente
81
73,8
73,8
61,9
47,6
45,2
31
31
28,6
14,3
11,9
11,9
9,5
4,8
2,4
Inchieste
Terrorismo
Indagini
Accuse
Perquisizioni
Intercettazioni
Violazioni di norme
Sequestri
Smentite dei fatti rilevati
Solidarietà da parte delle persone …
Reazioni delle persone coinvolte
Attentati
Festeggiamenti
Arresti
Dati statistici relativi agli immigrati …
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sbilanciamento del focus di attenzione sugli immigrati di religione musulmana. Tale
sbilanciamento si rinviene anche negli articoli che fanno riferimento a singoli soggetti coinvolti
nella vicenda (in questo casi si contano 23 articoli, pari al 54,8% che fanno riferimento anche a
singoli individui musulmana e 13 articoli, pari al 31% che fanno riferimento a singole persone
autoctone) che si ritrovano nel 31% dei casi. Ma il dato più interessante riguarda come le due
comunità e le persone che vi appartengono vengono descritti: infatti, mentre gli autoctoni
vengono descritti quasi sempre attraverso le loro caratteristiche personali e molto più raramente
in relazione alla loro provenienza geografica (11 volte) e alla loro religione (2 volte), al contrario gli
immigrati musulmani sono rappresentati attraverso chiari riferimenti alla loro appartenenza
religiosa, alla loro provenienza geografica, ma anche alla loro condizione di non appartenenza al
contesto italiano e di illegalità. Le qualifiche utilizzate per fare riferimento agli italiani richiamano
così più spesso il loro ruolo all’interno della società (es. imprenditore, sindaco); mentre per i
membri della comunità musulmana si fa più frequentemente riferimento alla loro appartenenza