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GENNAIO 2009 DOSSIER TANZANIA Occhio agli aiuti BRASILE Nel Nordest dei contrasti MEDIORIENTE Cristiani a rischio estinzione MOZAMBICO Marxismo neoliberale 1 anno 111° -1/2009 spedizione a.p.a.2. c.20/c, legge 662/93 - DRT/DCB Torino. “taxe perçue” tassa riscossa - contiene I. R. In caso di mancato recapito, il mittente chiede la restituzione, impegnandosi a pagare la relativa tassa. Copertina ok.qxd:Copertina 16-12-2008 11:34 Pagina 2
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Jun 02, 2020

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2 MC GENNAIO 2009

cogliere informazioni di prima ma-no su quanto sta avvenendo, vienemandato Barnaba, un cristiano diampie vedute e grande empatia.Contento di quanto vede, egli inco-raggia la giovane comunità a restarfedele al Signore e si ferma per aiu-tare nell’evangelizzazione. Vedendoil grande lavoro, ha un colpo di ge-nio e pensa di chiamare un aiutan-

te, Saulo di Tarso col quale per un anno e mezzo lavorerà adistruire la comunità. La risposta dei pagani è così entusiastache il gruppo di credenti in Gesù si impone all’attenzione del-l’ambiente circostante: «Proprio ad Antiochia, per la primavolta, i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26).

In seguito giungono ad Antiochia informazioni sulla care-stia che ha colpito la Giudea e quindi i cristiani di Gerusa-lemme. Con generosa solidarietà la comunità di Antiochiamanda aiuti ai fratelli di Gerusalemme: «I discepoli allora de-cisero di mandare soccorsi ai fratelli che abitavano in Giu-dea, ciascuno secondo le sue possibilità. Così fecero: permezzo di Barnaba e Saulo mandarono i soccorsi ai respon-sabili di quella comunità» (Atti 11,30-31).

Questo quadretto della nascita della chiesa di Antiochia èun gioiello nel rappresentare cos’è la chiesa. La comunità na-sce su iniziativa di credenti perseguitati che hanno il corag-gio di andare oltre gli usuali confini geografici e culturali: par-lano di Gesù ai pagani. La chiesa di Gerusalemme viene insoccorso a questa giovane comunità, mandando Barnabasegno di comunione con Gerusalemme e missionario capa-ce di comprendere e istruire. Barnaba a sua volta cerca l’aiu-to di un altro potenziale grande missionario, Saulo. Conse-guenza di tale azione comune è la crescita della comunitàche viene ora notata e chiamata per nome anche dall’am-biente esterno, «essi sono i cristiani». Conoscendo la diffi-coltà di Gerusalemme, la comunità di Antiochia manda aiu-ti: solidarietà, scambio di doni. Da Gerusalemme è arrivata lafede, a Gerusalemme arriva l’aiuto finanziario in tempo di dif-ficoltà. Comunione di fede vuol dire anche comunione di be-ni.

Èanche notevole che Saulo, qui ad Antiochia, per la pri-ma volta fa il missionario in team con Barnaba. Comenon vedere in questo la sua preparazione, il suo tiroci-

nio per la missione universale cui sarà inviato proprio dallachiesa di Antiochia?

«Mettetemi da parte Barnaba e Sauloper l'opera alla quale li ho chiamati» (Atti13,1-4). Sarà la comunità di Antiochia chemanda Barnaba e Paolo in missione e tuttii viaggi missionari di Paolo inizieranno e siconcluderanno in questa città, in questachiesa che, essendo nata tra i pagani, sen-te più forte l’urgenza di evangelizzare i pa-gani nel mondo.

Mario Barbero

«Il sangue dei martiri è seme dinuovi cristiani» scrisse ungrande oratore africano dei

primi secoli cristiani, Tertulliano, os-servando quanto succedeva ai suoitempi. Questo è ben visibile anchenegli Atti degli Apostoli. Dopo la la-pidazione di Stefano e conseguen-te persecuzione contro i discepolidi Cristo, alcuni di essi, per evitare ilpeggio, fuggirono fino ad Antiochia di Siria (At 11,19), terzacittà dell’impero romano, dopo Roma e Alessandria, sede delgovernatore romano, con circa mezzo milione di abitanti gre-ci, siriani, ebrei; incrocio di razze, culture, religioni.

La persecuzione di Gerusalemme è come un vento che in-veste un giardino di fiori e dissemina il polline lontano. Que-sti cristiani profughi da Gerusalemme erano così entusiastidella loro fede che anche ad Antiochia continuarono non so-lo a praticarla, ma anche a diffonderla attorno a sé. Dappri-ma solo tra ebrei là residenti. Alcuni che erano di Cipro e diCirene in nord Africa, però, cominciarono a parlare di Gesùanche ai non-ebrei, ai pagani. «Si misero a predicare anche aipagani, annunziando loro il Signore Gesù. La potenza del Si-gnore era con loro, così che un gran numero di persone cre-dette e si convertì al Signore» (At 11,20-21).

La predicazione del vangelo ai pagani è un passo molto im-portante nella crescita del cristianesimo: apre una nuovastrada. Infatti agli inizi i cristiani di Gerusalemme erano tuttidi origine ebraica e sembra pensassero che Gesù era venutosolo per gli ebrei. Fu l’entusiasmo di questi cristiani originaridi Cipro e Cirene (abituati cioè a vivere la loro fede ebraicain un contesto più internazionale, a contatto coi pagani) adaprire l’evangelizzazione verso i non-ebrei (greci o pagani).

In seguito sarà soprattutto Paolo a continuare tale missio-ne; ma è bene notare che l’inizio della missione tra i paganifu opera di cristiani semplici, senza alcun mandato specialedegli apostoli, ma solo in forza della loro fede; così pure nonsi sa chi per primo abbia portato la fede cristiana a Roma: contutta probabilità furono marinai, commercianti, schiavi, chevenendo dall’Oriente per primi condivisero la loro fede nellacapitale dell’impero; Pietro e Paolo arriveranno più tardi econsacrarono la chiesa con il loro martirio.

Non occorre alcun titolo speciale per essere missionario.La chiesa è sana soltanto se i suoi laici sono evangelizzatori,nella famiglia, nel posto di lavoro, nella vita sociale. I primi epiù efficaci missionari sono i genitori cristiani, i quali tra-smettono la loro fede ai propri figli con pa-role e con l’esempio. La chiesa cattolica inCorea fu iniziata da un gruppo di laici che a-vevano conosciuto la fede cattolica da con-tatti con studiosi cinesi. In Giappone deci-ne di migliaia di cattolici conservarono e tra-smisero la fede ai loro figli, pur essendo ri-masti senza sacerdoti per 200 anni.

Frattanto la comunità di Gerusalemmeviene a conoscenza che ad Antiochia visono alcuni credenti in Gesù. Per rac-

ANTIOCHIADOVE PAOLO

IMPARA A FARE IL MISSIONARIO

Predicazione di Paolo ad Antiochia.

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MC GENNAIO 2009 3

Il titolo della storica Agenda Latinoamericana per l’anno 2009 è sicuramente curioso e stimolante:«Verso un socialismo nuovo – l’utopia continua». Il pubblico che da anni segue fedelmente questapubblicazione sa bene che l’Agenda è in realtà ben più che uno strumento per segnare e ricordare ap-

puntamenti, ma una vera e propria antologia di articoli (strutturati da sempre sul classico schema ve-dere-giudicare-agire), uno strumento ecumenico di analisi, riflessione e denuncia evangelica al servi-zio delle vittime della storia. Titolo stimolante, si diceva, per i due termini, volutamente associati, che locompongono.Innanzi tutto socialismo. Fa una certa impressione ritrovarlo nuovamente sdoganato in formaesplicita, dopo esser stato screditato a più non posso in questi ultimi anni. Gli interventi parlanodi «nuovo» socialismo, di rinnovato immaginario socialista, di socialismo alternativo. Che cosasia questo socialismo e la sua valenza politica saranno da verificare a vari livelli, iniziando pro-prio dall’applicabilità di tale concetto allo stesso contesto del continente sudamericano. Restainfatti da dimostrare quanto l’apertura a sinistra di quasi tutti i suoi paesi più importanti (ad ec-cezione della Colombia) sia rappresentativa di o possa dialogare con questa nuova visione di so-cialismo che nasce dal basso, dai movimenti, dalle minoranze etniche e sociali e che non si legain prima istanza a partiti politici tradizionali.

C’è da stare curiosamente in attesa. Il Sudamerica, oggi, è ansioso di proporre una nuova narra-zione del mondo, quasi volesse offrire ai cinque continenti un piccolo assaggio di speranza lati-noamericana, un «Yes, we can» che non sia soltanto uno slogan elettorale, ma un tenta-

tivo di risposta concreta ai grandi problemi che affliggono oggi l’umanità, in tutto il pianeta, nonsolo a Sud della California.È l’«utopia che continua». Quella utopia che, come scriveva a suo tempo Ernst Bloch, «non è fu-ga nell’irreale; è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta perla loro realizzazione». È speranza, tensione dell’umano verso un mondo altro, migliore, una for-za che manterrà la sua attrattiva e la sua vera carica rivoluzionaria nel momento in cui non si as-servirà ai poteri forti, ma continuerà ad essere la lotta dei piccoli, dei poveri, delle vittime e di co-loro che ad essi dedicano la vita: nient’altro che la logica del Regno di Dio.Anche di ciò si parlerà senz’altro nel Forum Sociale Mondiale e, soprattutto, nel Forum Mondia-le di teologia e Liberazione che si terranno a Belem, nel Nord del Brasile, alla fine di questo me-se. Speriamo che dagli stimoli amazzonici arrivi, magari con qualche corrente atlantica, una ven-

tata di freschezza per la nostra stancaEuropa e la sua ancor più stanca chie-sa, entrambe, mi sembra, con moltiproblemi e ben pochi sogni nel casset-to. Chissà che, tenendo occhi, orecchi ecuore ben aperti ai segni dei tempi, nonsi possa trovare anche noi la nostra«agenda», etimologicamente: «Ciò chec’è da fare» per dare alla speranza an-che un minimo di direzione.

A i lettori

UGO POZZOLI

... L’UTOPIA CONTINUA ...

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1 | gennaio 2009 | anno 111

SOMMARIO

Ai lettori ...L’utopia continua...di Ugo Pozzoli

Dai lettori Cari missionari(lettere a MC)

TESTIMONIGiustizia e paceMissione diritti a cura della Redazione

BrasileSogni in catenedi Fabrizio Mola

Medio OrienteChiese vulnerabili a rischio estinzionedi Biancamaria Balestra

ItaliaÈ accaduto a Cornuda... di Giuliano Vallotto

L’ALTRO MONDOMozambicoZappa, kalashnikov e coca-coladi Marco Bello

Africa OccidentaleNon solo Coranodi Giulia Lanzarini

Madre TerraContaminazione (profonda) di R.Topino e R.Novara

MilanoDegli zingari si può ancheparlare benedi Giovanni Guzzi

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IN QUESTO NUMERO VIN QUESTO NUMERO V

10 Italia14 Brasile19 Medio Oriente27 Tanzania43 Italia46 Mozambico53 Africa dell’Ovest65 Italia

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Il numero è stato chiuso in redazione il 5 dicembre 2008.La consegna alle poste di Torino è avvenuta prima del 10 gennaio 2009.

www.rivistamissioniconsolata.it

IL DOSSIER DEL MESE

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REPORTAGE COOPERAZIONE

INSIDE TANZANIA

testo e foto di Romina Remigio

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Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore.

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Direzione, redazione e amministrazione:Corso Ferrucci, n.14 - 10138 Torinotel. 011.4.400.400 - fax 011.4.400.459E-mail: [email protected] internet: www.rivistamissioniconsolata.it

Direzione:Ugo Pozzoli (direttore editoriale - .492 )Francesco Bernardi (direttore resp.)

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Internet: Paolo Moiola (.458) e Marco Bello (.436)

Archivio fotografico: Franca FantonProgetto grafico: Kreativezone, TorinoGrafico: Carlo NepoteSpedizioni ed arretrati: Angela e MiriamStampa: Gruppo Grafico Editoriale G.Canale e C. S.p.a. Borgaro T.se -Torino

Editore: MISSIONI CONSOLATA ONLUSAmministratore: Guido Filipello, tel. 011.4.400.400 Ufficio segreteria: Antonella Vianzonetel. 011.4.400.400, fax 011.4.400.411

Conto corrente postale n. 33.40.51.35:si ringraziano vivamente i lettori che sostengonol’impegno di formazione ed informazionedi «MISSIONI CONSOLATA ONLUS».Tutti i contributi o offerte sonodeducibili dalla dichiarazione dei redditi.

Sped. a.p., a.2, c.20.c., legge 662/96App. ecc. - Aut. tr. Torino - 15. 6. 48, prot. 79Iscritto reg. naz. stampa- C./5060 1/3444 17. 10. 91

MENSILE DEIMISSIONARI DELLA CONSOLATA

FONDATO NEL 1899

VI PORTIAMO NEI SEGUENTI PAESI: VI PORTIAMO NEI SEGUENTI PAESI:

IN COPERTINA: bambina di Mambone (Mozambico); foto di Marco Bello.

FOTOGRAFIE (i numeri indicano le pagine):A. Youkhanna (22) - Bello (4) - Internet (2,5,6,7,8,9,19,20,23,25,43,44,45,58,61,62,63,64)- Ismico (9) - Lelli-Masotti (4) - Mola (4) - Mushell (23) - Pozzi (20,21) - Pozzoli(10,11,12) - Scudiero (13).

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RUBRICHE

Anno paolinodi Mario Barbero

Chiesa nel mondodi Sergio Frassetto

«Così sta scritto» (35/24)di Paolo Farinella

Associataall’USPI

Associata alla

FEDERAZIONESTAMPAMISSIONARIAITALIANA

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Cari mission@riCari mission@ri

6 MC GENNAIO 2009

ce la boicottano... Questipartono dal principio chenella scuola non deve es-serci alcuna discriminazio-ne, mentre la settimanabianca le discriminazioni lecrea, perché è un lusso chemolti non possono per-mettersi: più di 500 europer 7 giorni, senza contareil costo degli sci, vestiarioecc… Per cui la settimanabianca non è certo fattoredi unione tra gli alunni, trai genitori, gli stessi docenti.

Secondo me, però, ci so-no altri due motivi per dire«no» alle settimane bian-che, o almeno rivederne lamodalità di approccio.

Il primo riguarda l’impat-to ambientale. Negli ultimianni turismo sulla neve esport invernali sono au-mentati in maniera espo-nenziale, diventando unfenomeno di massa. Datempo i naturalisti ammo-niscono che le montagnenon sono in grado di regge-re l’impatto di tale invasio-ne: contrariamente a ciòche molti pensano, quellimontani sono ecosistemiassai fragili; per esempio,riflettiamo mai sul fattoche rifiuti e immondizieabbandonate a 2-3-6 milametri di altitudine hannodei tempi di decomposizio-ne e riciclo incomparabil-mente più lunghi di quellirilevabili in pianura?

Il secondo motivo riguar-da l’incolumità personale,sempre più a rischio su cer-te piste. Tutti vogliono ci-mentarsi nelle discese libe-re, fare snowboard, andarein motoslitta, alla ricerca diemozioni sempre più forti,col risultato che ogni annosi contano decine di mortie migliaia di incidenti einfortuni che pregiudicanola possibilità di riprendereuna vita normale.

In Svizzera - dove nel2007 ci sono stati ben 70

Diritti di tutti e per tutti...

Egregio Direttore,ho letto la dichiarazionedei diritti umani. Ritengoche a detta dichiarazionemanchi qualcosa, una spe-cie di principio, come filoconduttore di tutto quelloche è possibile enunciaresui diritti umani. Ad esem-pio: «Ogni individuo nascecome titolare di tutti i dirit-ti di questo mondo, ma hapure il sacrosanto dovere diacquisire la capacità a eser-citare un qualsiasi dirittoed esercitarli anche nel pie-no rispetto dei diritti di o-gni altro individuo».

Il discorso sarebbe al-quanto lungo, ma mi fer-mo a questo piccolo princi-pio. Cosa ne dite ?

Lucio Di Martino Aosta

La Dichiarazione uni-versale dei diritti umaniha sempre bisogno di es-sere completata con nuo-vi principi e proposte, masoprattutto di essere im-plementata da tutti e pertutti gli esseri umani.

«Monti sacri» e alpinismo estremo

Cari missionari,dopo un’estate funestatada una sequenza tragica diincidenti in alta montagna(Himalaya, M. Bianco...) c’e-ra proprio bisogno di un ar-ticolo come «Monti sacri»(M.C. 9/2008 pag. 10-14).

C’è bisogno che qualcunoci ricordi che le montagne,tutte le montagne, sono o-pera di Dio, create per uniree riappacificare, non per di-videre o esasperare rivalità,tensioni, conflitti, guerre.

È ora di finirla con certaletteratura, che si ostina aparlare di «Montagne del

diavolo», con l’alpinismo e-stremo, dove vince chi arri-va prima o più in alto, conmaggior frequenza o con-sumando la minor quan-tità di ossigeno delle bom-bole, sfidando le condizioniatmosferiche più avverse el’anagrafe.

A questo alpinismo, chemi rifiuto di considerarecome attività sportiva gra-dita a Dio e conforme alvangelo, preferisco di granlunga l’alpinismo non com-petitivo, dove contano po-co o nulla arrivare primi, ilcronometro, il termometroe l’altimetro, mentre con-tano molto arrivare insie-me, arrivare tutti e in buo-ne condizioni di salute; ar-rivare senza aver deturpatol’ambiente montano con e-scrementi, plastica, scato-lame e rifiuti vari.

Alle scalate dell’Everest,del K2 e altri «ottomila»che tanto fan parlare (e liti-gare...) scalatori, commen-tatori, scienziati, sponsor egoverni nazionali, preferi-sco le iniziative di alpini-smo sostenibile, comequelle intraprese da CarloAlberto Pinelli, con la suaMountain Wilderness in Af-ghanistan, martoriato dadecenni di guerra.

Con lo slogan «dal kala-shnikov alla picozza», Pi-nelli e i suoi amici, italiani eafghani, stanno offrendoun’opportunità di riscatto

a giovani e meno giovani,indicando una via d’uscitaa chi fino a ieri non vedevaaltra possibilità di afferma-zione al di fuori delle armie dell’oppio; e stanno dan-do anche una lezione di sti-le a chi, sclerotizzato nell’a-dorazione degli «ottomi-la», sembra incapace diaccorgersi di ciò che accadeun po’ più giù…

Apriamo occhi e orecchiee ascoltiamo i richiami dinaturalisti e alpinisti pocofamosi, ma che con tantaumiltà e pazienza stannocostruendo una speranzaper le nuove generazioni erimediando ai danni peda-gogici ed ecologici fatti dailoro già celebrati colleghi.

Luciano MontenigriFano

«Monti sacri» settimane bianche

Cari missionari,spero vivamente che l’arti-colo di G. Casiraghi sul si-gnificato religioso dellamontagna (M.C. 9/2008pag. 10-14) arrivi in tantescuole e venga letto da do-centi, alunni e genitori.

Sappiamo tutti che nellescuole, specie alle superio-ri, montagna è uguale asettimana bianca: tanti labramano, la raccomanda-no, la esaltano; ma sonotanti anche quelli che inve-

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la cosa più importante è e-ducare le persone, in parti-colare i giovani, al rispettodi se stessi, degli altri, dellanatura. Voglio dare un con-siglio alle autorità scolasti-che, a cominciare dal mini-stro dell’Istruzione: primadi organizzare altre setti-mane bianche, le scuole in-vitino i volontari di Moun-tain Wilderness, si faccianodire da loro i rischi che ilpianeta corre per colpa del-

l’accanimento sciistico, siainvernale che estivo.

Si facciano anche spiega-re i motivi per i quali, negliultimi 150 anni le nostre«madri delle acque» (cosìMountain Wilderness chia-ma i ghiacciai) hanno vistola loro superficie ridursi del33% e il loro volume dimi-nuire di quasi il 50%, «tra-fitte da tralicci metallici,

costellate di grandi rifugi-alberghi, solcate da cavimetallici e mezzi battipistache ne sconvolgono gli e-quilibri, spostando ingentimasse nevose in una tristegara per assicurarsi gli ulti-mi profitti prima della defi-nitiva scomparsa delle neviperenni...».

Francesco RondinaFano

mila incidenti e nel solomese di dicembre le squa-dre di soccorso con elicot-teri hanno compiuto 300missioni, con un costo di150 milioni di euro - è statointrodotto lo skivelox. In I-talia, dall’1-1-05, c’è l’ob-bligo del casco per gli un-der 14 (pena la multa da 30a 150 euro) e di strumentielettronici per i fuoripista.

Chiaramente però questisono palliativi o poco più:

[email protected]

MC GENNAIO 2009 7

La Sulukule Platform, una vasta associazione composta daOng, professori, volontari, giornalisti, commercianti e resi-

denti del quartiere, ha aperto recentemente un Centro perbambini a Sulukule. In mezzo a tutte le macerie, detriti e spor-cizie lasciate dalle ruspe e sfidando tutte le voci e gli annun-ci sulla fine di Sulukule, la Piattaforma continua a lavorare perla gente e i bambini del quartiere.

Al motto «che Sulukule viva», la Piattaforma vuole con o-gni mezzo mostrare al mondo e al comune di Fatih che, no-nostante le tante case demolite e le tante persone costrettea sgombrare, Sulukule rimarrà finché ci sarà l’ultima personae arderà l’ultima lampada. L’apertura del Centro ha voluto di-mostrare che ci sono bambini a Sulukule!

Lo scopo principale del Centro è aiutare i ragazzi a liberar-si dal trauma subito fin dall’inizio della cosiddetta riqualifi-cazione del quartiere. Non sapendo quando le loro case sa-ranno demolite, il rumore di ogni macchinario è un allarmespaventoso per le loro tenere orecchie. Molti hanno smessodi andare a scuola: hanno paura che, al ritorno, non troveran-no più la loro casa, come se fosse in loro potere arrestare ilprocesso di distruzione.

Nel Centro hanno luogo ogni attività, senza alcuna obbli-gazione: i bambini possono scegliere ciò che piace loro. Artiplastiche, dramma, giochi all’aperto, con giocattoli Lego epuzzle, lezioni di lettura e scrittura... sono alcune delle attivitàguidate dai volontari. Lo scorso agosto, guidati da un attoreprofessionale, i ragazzi hanno rappresentato per ben 5 volteil dramma di Giulietta e Romeo, ambientato a Sulukule; ed èstato vero successo.

Nel Centro opera anche un ufficio di consulenza per i resi-denti di Sulukule per trattare relazioni e problemi con la mu-nicipalità di Fatih. I volontari redigono petizioni o danno con-sigli e assistenza legale, provocando anche cause giudiziariecontro la municipalità per le violazioni dei diritti umani. Gra-zie alla Piattaforma, Sulukule vive e speriamo che possa vi-vere e che lo lascino vivere.

Speriamo che si riesca a fermare anche le altre ruspe chestanno facendo milioni di senza tetto in tutta Istanbul. A

Kucukcekmece-Ayazma circa 2.500 famiglie sono state sfrat-tate e rilocate a Bezirganbahce; espropriate senza compen-so, si sono indebitate e ridotte in miseria; 18 famiglie, senzadenaro e senza un luogo dove andare, sono vissute in tendetutto l’anno.

La costruzione dello stadio olimpico proprio vicino adAyazma, ha avviato l’esodo dei residenti del quartiere, pre-

valentemente famiglie provenienti dall’est e sud-est della Tur-chia, di origine kurda; le abitazioni saranno ristrutturate perfarne prestigiose ville per gli eventi olimpici.

La stessa sorte incombe sulla popolazione rom di Suluku-le, perché il terreno è cresciuto molto di prezzo negli ultimianni. Così i residenti di Sulukule, ivi presenti fin dai tempi diBisanzio, devono dire addio non solo alle loro case, ma anchealla loro cultura e modi di vita. Anche Tarlabasi, altro distret-to condannato al processo di trasformazione, attende la stes-sa sorte. Sembra tuttavia che la gente di Tarlabasi, guidata dauna Ong locale, non lascerà la scena tanto facilmente: i resi-denti di questo quartiere hanno imparato bene la lezione daAyazma e Sulukule e hanno cominciato a fare causa in tribu-nale con l’aiuto di bravi avvocati.

In tutta la Turchia e specialmente a Istanbul, i distretti di ri-qualificazione urbanistica, uno per uno si stanno organiz-zando e lottano con ogni mezzo contro tale processo, con ladisobbedienza civile e citazioni giudiziarie, visite al parla-mento e ai deputati, con qualsiasi altro mezzo utile.

I distretti di Istanbul si sono organizzati in un’unica grandecoalizione (Istanbul Districts Platform) e hanno cominciato adagire insieme. Turchi, rom, kurdi, siriani... differenti per etni-cità, religione, affiliazioni politiche... ora sotto tutti mano nel-la mano contro le ruspe! Speriamo che abbiano successo eche trionfi «il diritto alla casa e residenza».

Cihan Baysal

Con questa lettera la signora Cihan Baysal, ricercatrice nelcampo dei diritti umani per la Istanbul Bilgi University, ci of-fre un aggiornamento sulla situazione della gente di alcuniquartieri di Istanbul, di cui Missioni Consolata ha racconta-to nei numeri di maggio e giugno 2008.

«CHE SULUKULE VIVA!»

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La Chiesanel mondo

a cura diSergio Frassetto

CIPRORELIGIONI E CULTURE IN DIALOGO

«Le religioni sanno che parlaredi guerra in nome di Dio è un

assurdo ed è una bestemmia. Sonoconvinte che dalla violenza e dal ter-rorismo non nasce un’umanità mi-gliore. Non credono al pessimismodello scontro inevitabile tra religionie civiltà. Nessuna guerra è mai san-ta. Solo la pace è santa!»: è questala sintesi dell’Appello di Pace 2008dei rappresentanti religiosi di oltre60 paesi del mondo, letto durante lacerimonia conclusiva del meeting in-ternazionale «Uomini e Religioni».

Il meeting, promosso dalla Comu-nità di Sant’Egidio insieme allaChiesa Ortodossa di Cipro, si èsvolto dal 16 al 18 novembre, a Ci-pro, sul tema «La Civiltà della Pace:Religioni e Culture in Dialogo». I lea-der religiosi hanno affidato l’Appel-lo nelle mani di bambini di naziona-lità diversa i quali, a nome di ogni

generazione, lo hanno consegnatoa loro volta agli ambasciatori e alleautorità partecipanti che rappresen-tavano le nazioni del mondo intero.Ingrid Betancourt Pulecio, che hapreso parte all’incontro, rivolgendosialle nazioni ha detto: «Abbiate fede,non arrendetevi, perché noi, che ab-biamo sofferto e abbiamo perso tut-to, non abbiamo perso la speranza.Vi chiediamo di credere che un mon-do migliore è possibile, che il benevince sempre il male. Il vero cambia-mento deve cominciare in ciascunodi noi. È dalla somma dei cambia-menti che ciascuno di noi è in gradodi realizzare che potremo costruireun mondo migliore. Noi siamo i co-struttori di un tempo nuovo, coloroche inaugurano un tempo nuovo del-lo spirito. Ne siamo certi, nel profon-do dei nostri cuori, il nostro è il tem-po opportuno perché i sogni diventi-no realtà. Con la fede tutto èpossibile».

(Fides)

CINAGRANDE INTERESSEPER LA CHIESA

«Vuoi conoscere la Chiesa catto-lica? Allora sei il benvenuto

all’appuntamento alla cattedrale diXi Kai»: è il testo dell’avviso pubbli-citario apparso sui principali giorna-li della città di Tian Jin, promossodalla comunità cattolica della catte-drale della città. Sotto al testo sonoindicati data, luogo e orario degli in-contri di catechismo che si svolgonopresso la cattedrale. Da quando so-no stati pubblicati questi annunci, iltelefono della cattedrale ha dovutoaffrontare un super lavoro. Il parro-co afferma: «Anche se non abbiamofatto un calcolo dettagliato, ricevia-mo comunque almeno 20 telefonateal giorno che chiedono ulterioriinformazioni. Telefonano giornalisti,liberi professionisti, ma anche tantagente comune. Dimostrano tutti un u-nico interesse: conoscere la Chiesae la fede cattolica. Non ci importa ilnumero di quanti poi riceveranno il

battesimo, per noi è importantediffondere la fede, il vangelo, la Pa-rola di Dio, tutto il resto è nelle manidi Dio». La comunità della cattedra-le si sta impegnando a fondo nell’e-vangelizzazione studiando e pro-muovendo nuovi modi di fare missio-ne. Il portone della chiesa è apertotutti i giorni e, a turno sacerdoti, reli-giose e volontari laici sono semprepronti ad accogliere tutti con caloree con amore, rispondendo alle lorodomande. Grazie a tale iniziativa,solo nell’anno scorso sono stati cele-brati 706 battesimi. La parrocchiadella cattedrale oggi conta oltre30.000 fedeli. È una comunità mol-to vivace e utilizza la tecnologia mo-derna e i mass media per promuove-re l’evangelizzazione.

(Fides)

COREA DEL NORDCON LO SPIRITO DI SAN FRANCESCO

In un’iniziativa senza precedenti, ifrati francescani della Corea del

Sud hanno istituito un «Centro diServizi per la Pace» nel territoriodella capitale nordcoreanaPyongyang. Il Centro, inaugurato direcente, ha un ruolo soprattutto uma-nitario e assistenziale: si occupa deilavoratori di una fabbrica realizzatagrazie a un progetto comune fra ledue Coree. Inoltre distribuisce ali-menti e cibo, cura la crescita deibambini, si prende cura dei malati eopera per la formazione di contadi-ni, cercando di rispondere alle esi-genze delle fasce più povere dellapopolazione locale. «Porteremo alNord lo spirito di fraternità, pace eservizio del Francesco di Assisi, cheha abbracciato il lebbroso del suotempo, riconoscendo nei poveri enei sofferenti i fratelli in cui Cristo sifaceva presente», ha affermato pa-dre Paul Kim Kwon-soon (nella foto),dell’ordine dei Frati minori che por-ta avanti l’iniziativa. «Spero che ilCentro rappresenti una pietra milia-re nell’opera di carità, riconciliazio-ne, condivisione e cooperazione, af-finché la popolazione di Nord eSud Corea possa tornare a vivere in-sieme, nell’aiuto vicendevole» ha

8 MC GENNAIO 2009

Ingrid Betancourt Pulecio, per sei anni prigioniera delle Farc in Colombia.

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le minoranze religiose (cattolici, cri-stiani di varie confessioni, ma ancheislamici ahmadi). Questa legge, in-fatti, darà un terribile potere di con-trollo, di tipo sovietico, sui gruppi re-ligiosi. La nuova normativa proibiscequalsiasi attività religiosa non appro-vata, anche solo riunirsi per pregareo fare attività caritativa. Severe penesono previste per i trasgressori. Ne-cessaria l’autorizzazione per ogniattività missionaria, come pure perl’importazione di testi religiosi. I«piccoli gruppi religiosi» potrannosvolgere attività religiosa solo per iloro fedeli, ma non mantenere luoghidi devozione «aperti a tutti». Absat-tar Derbisail, leader tra i nufti islami-ci, la considera una legge «molto po-sitiva», che può colpire «le molte set-te che hanno causato problemi inparecchie famiglie».

(Asia news)

GIAPPONE188MARTIRI

Il 24 novembre, almeno 30 milapersone hanno partecipato alla

beatificazione di Pietro Kibe Kasui,gesuita, e di 187 martiri giapponesiuccisi tra il 1603 e il 1639. La ceri-monia si è tenuta al Big N, lo stadiodi baseball di Nagasaki, una cittàin cui i cristiani ammontano all’1%della popolazione, di circa 100 mi-la persone; a partecipare non sologente del posto, ma fedeli di ogniparte del paese e anche stranieriprovenienti da Corea del Sud,Taiwan e Filippine. La cerimonia èstata presieduta dal card. José Sa-raiva Martins, inviato del Papa e exprefetto della Congregazione vati-cana per le cause dei santi. «È statoun intenso cammino di preparazio-ne materiale e spirituale che ci hacondotto verso l’evento» ha dettol’arcivescovo di Nagasaki JosephTakami. Un percorso iniziato 25 an-ni fa, nel 1981, quando GiovanniPaolo II visitò il Giappone ed esortòa valorizzare la grande eredità deisuoi martiri. «Credo - ha aggiunto ilprelato - che tutto l’interesse e l’at-tenzione suscitati nella popolazione,in un certo senso, possono aiutare lanostra opera di evangelizzazione:certamente la missione avrà nuovalinfa e nuove speranze».

(Misna)

detto mons. Lazzaro You Heung-sikpresidente della «Caritas Corea»,nella cerimonia inaugurale. Si trattadi un evento molto importante inquanto è la prima istituzione ufficia-le della Chiesa coreana nel territoriodel Nord, a partire dalla storica di-visione della Corea in due parti, do-po la guerra del 1950-1953.

(Fides)

KAZAKISTANNO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Il Parlamento kazako ha approvatola nuova legge sulla libertà religio-

sa e c’è grande preoccupazione tra

SUDAFRICA: NUOVO VICARIO APOSTOLICO

Il Santo Padre Benedetto XVI, in data 24 novembre 2008, ha nominato vicario apostolico di Ingwavuma (Sudafrica)padre José Luís Gerardo Ponce de León, Missionario della Consolata, assegnandogli la sede titolare vescovile di

Maturba. Il padre José Luís Gerardo Ponce de León, è nato l’8 maggio 1961 a Buenos Aires (Argentina). Ha studiatocon i missionari della Consolata a Buenos Aires e a Roma, mentre ha completato i corsi di teologia all’Università ge-suita Javeriana, a Bogotà, in Colombia. Si è consacrato a Dio con la professione religiosa il 9 gennaio 1983 ed èstato ordinato sacerdote il 2 agosto 1986. Dopo l’ordinazione sacerdotale, dal 1986 al 1993, è stato direttore del-l’animazione missionaria e vocazionale e della rivista «MisionesConsolata»; quindi ha svolto il ruolo di formatore nel seminario filosofico.Nel frattempo ha ricoperto l’incarico di vice superiore regionale. Destinatoal Sudafrica, tra il 1994 e il 1998, ha svolto servizio pastorale nella dio-cesi di Dundee, lavorando nelle parrocchie di Damesfontein/Mpuluzi, PietRetief e Madadeni. Dal 1999 al 2004 è stato superiore regionale dei mis-sionari della Consolata in Sud Africa e ha adottato la cittadinanza di que-sto paese mantenendo quella argentina. Nel 2005 ha assunto la cura pa-storale della parrocchia di Daveytown (Johannesburg). Nello stesso annoha partecipato al Capitolo generale della Consolata in Brasile. Nel 2006,dopo il Capitolo generale, è stato nominato segretario generale dell’Istitutoa Roma e procuratore presso la Santa Sede. Il Vicariato apostolico diIngwavuma ha una superficie di 12.309 km2 e una popolazione di 618mila abitanti dei quali poco più di 20 mila sono cattolici.

(IMC)Mons. José Luís Gerardo Ponce de León,nuovo vicario apostolico di Ingwavuma.

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GIUSTIZIA E PACE

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OGGI: LEZIONE DI DIRITTI UMANI

Conversazione con Luca Lorusso,coordinatore del «settore scuola» delCentro di Animazione missionaria diTorino.

Luca, facci un esempio del tuo la-voro di animazione e formazioneai diritti umani nelle scuole.

È da alcuni anni che propongonelle scuole secondarie di primo e disecondo grado (le vecchie scuolemedie inferiori e superiori) un per-corso formativo dal titolo «I dirittidei minori», incentrato sulla «Con-venzione internazionale sui dirittidell’infanzia e dell’adolescenza»(1989). Insieme agli insegnanti, pro-pongo ai ragazzi la lettura e l’elabo-razione personale e di gruppo deltesto del documento, offro un ap-profondimento su alcune violazionidi diritti e le loro cause e stimolol’auto riflessione della classe su taleargomento. Ecco questo è un picco-lo esempio di ciò che faccio.

Come è nato questo tuo interes-se? Perché lo fai?

Sono un laico missionario dellaConsolata e mi occupo a tempo pie-no di animazione missionaria. Ben-ché già sporadicamente presentinelle scuole attraverso testimonian-ze missionarie e incontri su popoli opaesi del cosiddetto Sud del Mon-do, da qualche anno alcuni laici, tracui il sottoscritto, hanno ricevuto ilcompito di pensare, progettare e at-tuare interventi di educazione alla

mondialità didatticamente qualifi-cati e metodologicamente innovati-vi che sfruttino le testimonianze dichi vive direttamente l’incontro conaltre culture e i contributi dell’«e-sperto» in materia. Tutto ciò al finedi poter permettere un accesso an-cora più ampio della missionarietàalle scuole.

Più concretamente, a chi ti rivolgi?Da ormai quattro anni incontro

bambini, ragazzi, adolescenti di ognizona di Torino e della provincia, dal-le zone «bene» a quelle più periferi-che, dalla prima cintura cittadina, aipiccoli comuni della provincia, di o-gni estrazione sociale e provenienzageografica.

I percorsi di educazione alla mon-dialità sviluppati in questi anni ci

hanno permesso di approfondiremolti degli aspetti sociali, culturali,ambientali che caratterizzano ilmondo globalizzato in cui viviamo.

Avendo presente questo contestoproponiamo nuovi stili di vita aibambini delle elementari attraversofiabe e giochi che aiutano a entrarenelle storie dei prodotti di consumo.Per esempio, riflettiamo coi ragazzisulla difficoltà di stabilire a priori sesia migliore la qualità di vita di un ra-gazzo italiano o di un ragazzo africa-no attraverso il confronto tra le lorodue giornate tipo. Oppure, offriamoloro strumenti ed elementi criticiper comprendere i meccanismi del-la comunicazione massmediatica edei condizionamenti che ne deriva-no; approfondiamo con i ragazzi lecause storiche e attuali dell’impove-

Parlando ancora di diritti umani

Sulla scia di «Diritti e Rovesci», monografia sui diritti umani pubblicata dalla nostra rivista lo scorso ottobre, due interviste per tener vivo l’argomentoe illustrare due modi in cui i missionari della Consolata mettono questo temanell’agenda delle loro attività di animazione e formazione.

MISSIONE DIRITTI

a cura della Redazione

Intercultura e mondialità in classe.

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MISSIONI CONSOLATA

fondamentale importanza il coin-volgimento dell’insegnante e, possi-bilmente, la sua condivisione delle i-dee proposte nel percorso.

Occorre quindi la sua partecipa-zione attiva durante gli incontri, maanche l’approfondimento che puòoffrire durante le ore di lezione dellasua materia, in modo da aiutare laclasse ad avere un approccio interdi-sciplinare a quanto riflettuto e a farsedimentare gli imput ricevuti du-rante il mio intervento in classe.

Altri segni sono, ovviamente, l’em-patia e la partecipazione degli stu-denti stessi, oltre alla qualità dei di-battiti, delle riflessioni, la passionecon cui a volte nascono confronti tradi loro e con me.

Spesso mi trovo stupefatto nelconstatare quanto gli studenti sianosensibili e permeabili ai temi sociali,spesso mi trovo confermato nelpensiero che, nonostante la man-canza di informazione adeguata, oaddirittura la presenza di informa-zione parziale, distorta, stereotipa eideologica, i ragazzi desideranoprofondamente un mondo migliore,non solo per se stessi, ma per tutti.Desiderano vivere una vita più uma-na, più sobria di quella proposta daimodelli dominanti, desiderano au-tenticità in un mondo che non fa al-tro che proporre amori, felicità, pro-messe, soddisfazioni inautentiche.

Se nei ragazzi non ci fossero que-sti semi di amore per la vita e per il

mondo, anche quando sconosciuti aloro stessi, il mio lavoro di animazio-ne missionaria nelle scuole sarebbevano. Proprio perché questi semi cisono il mio lavoro si incardina conqualche speranza nel più ampio la-voro che la chiesa e la società devo-no fare con i più giovani: educare,cioè tirare fuori l’umanità grandeche si dibatte dentro di loro e aiutar-li a darle forma.

A parte qualche caso isolato hosempre avuto la fortuna di trovarmidi fronte bambini, ragazzi, giovani,insegnanti pieni di umanità e pienidi voglia di imparare qualche truc-chetto nuovo per approfondirla, alcontrario di ciò che i mass mediavogliono farci credere sulla scuola esulle giovani generazioni, e per for-tuna ho sempre trovato personeche non avevano bisogno di unmaestro che, in quanto «esperto»,arrivasse a dispensare sapienza ebuone maniere da acquisire a sca-tola chiusa e seduta stante, ma diuna persona semplicemente capa-ce di mettersi in ascolto e di propor-re condivisione.

C’è un argomento fra quelli chepresenti che va per la maggiore?

Uno dei temi che certamente su-scita maggiore partecipazione epassione è il tema degli immigrati,soprattutto nei periodi in cui l’infor-mazione nazionale spinge molto suitasti dell’emergenza e della sicurez-za. In questi casi, i condizionamentidella comunicazione di massa di-ventano particolarmente evidenti ele polarizzazioni rischiano spesso diassumere i connotati dei dibattiti te-levisivi in cui parlare non significanecessariamente essere ascoltato eascoltare. Questo permette di stimo-lare dinamiche utili ad educare i ra-gazzi alla gestione di una discussio-ne sempre, aperta alla modifica del-le proprie opinioni, piuttosto chealla chiusa contrapposizione.

Ad ogni buon conto, il grande te-ma dei diritti umani trova sempreterreno fertile, un terreno in conti-nua mutazione, un terreno «liquido»che richiede sempre nuovi metodidi semina, ma pur sempre terreno a-datto a far crescere piante (forse di-verse da quelle che ci aspettavamo)che poi daranno frutti (forse diversi,forse migliori di quelli che avremmovoluto gustare).

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rimento di gran parte della popola-zione mondiale o della diffusione diepidemie.

Infine, condividiamo conoscenzee analisi sull’impatto ambientale delnostro stile di vita e sulle alternativepossibili. Tutto per creare coscienza,allargare gli orizzonti, vivere in ma-niera libera e consapevole la nostravita di tutti i giorni. Sono spazi im-portanti di comunicazione, condivi-sione e crescita nell’alterità, per mol-ti ragazzi possibili soltanto in am-biente scolastico. Spero che chi stapensando alla riforma della nostrascuola ne tenga conto.

E come parli dei diritti umani?Direttamente o indirettamente,

questo tema risulta presente in mo-do costante in tutti gli interventi: inqualsiasi incontro io faccia nellescuole inevitabilmente arrivo a ri-flettere con i ragazzi sull’essere u-mano e sui diritti che, in ogni partedel mondo, vengono negati attra-verso i vari tipi di violenza struttura-le, economica, interpersonale, co-municativa.

I miei interventi cercano di far e-mergere quanto i ragazzi già sannoe l’esperienza che possono aver per-sonalmente maturato di un deter-minato diritto.

Per educare ai diritti umani, quin-di, non credo sia sempre necessarioparlarne esplicitamente. L’umanità èlo sfondo, la passione e l’amore peressa, la voglia e la gioia di conoscerlain tutte le sue espressioni, l’impegnoper sentirsene parte e per prender-sene cura sono gli obiettivi a lungoe lunghissimo termine del mio lavo-ro nelle scuole.

E i giovani come rispondono alletue provocazioni? Vedi il matura-re di frutti nel tuo lavoro?

Come sempre accade in campoeducativo, è molto difficile, se nonimpossibile, valutare a breve termi-ne il raggiungimento di un obietti-vo. Tanto più se la possibilità di re-lazione con i ragazzi si riduce a 6 o8 ore distribuite su tre o quattrosettimane.

Certamente però ci sono vari «se-gni» che aiutano a comprendere seun intervento abbia o meno qual-che possibilità di lasciare un’impron-ta significativa nell’immaginario deiragazzi oppure no. Innanzitutto, è di

Luca Lorusso, del Centro di anima-zione missionaria di Torino.

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GIUSTIZIA E PACE

CI VOGLIONO VISIONEE METODO

Conversazione con padre GiovanniScudiero, membro del direttivo inter-nazionale di Pax Christi, e coordinato-re della Commissione Giustizia e Pacedella Regione italiana dei missionaridella Consolata.

Diritti umani violati, diritti umanipromossi. Da sempre te ne sei oc-cupato nel corso della tua espe-rienza missionaria, spiccatamenteorientata alla promozione dellagiustizia e della pace. Dove nascel’interesse alla pace nel vostro isti-tuto, oltre che dal vangelo, ovvia-mente?

Secondo le sensibilità proprie diciascuno, si possono dare mille ri-sposte a questa domanda, dalla piùspiritualista a quella più marcata-mente orientata allo sviluppo. Cre-do, però, che anche su questo temameriti in qualche modo rifarsi al no-stro fondatore e all’eredità spiritualeche ci ha lasciato.

Mi riferisco in modo particolare auna visione iniziale e quindi a unsenso della missione che nel beatoAllamano porta a universalizzare ilsenso di fraternità, ad allargarne iconfini, non limitandolo esclusiva-mente alla città di Torino dove ha e-sercitato praticamente tutto il suoministero sacerdotale, ma esportan-dolo all’Africa, al mondo.

C’è in questo sguardo ampio unapremessa fondamentale per un di-scorso sui diritti umani: di ugua-glianza, di comunione, di solidarietà,di fraternità universale. E questo di-scorso si radica nel suo essere cri-stiano, un cristiano impegnato inmodo specifico, ministeriale, nel ser-vizio agli altri, a tutti gli altri, e quindiaperto alla missione. La sua espres-sione di solidarietà universale è, se-condo me, una versione ante-tem-pus di quello che diventerà poi nelnostro istituto il discorso sui diritti u-mani. Abbiamo tutti diritto alla vitae fondamentalmente questo dirittonasce dal nostro essere uguali, di pa-ri dignità; tutto ciò a prescindere daogni differenza di tipo etnico, geo-grafico o culturale.

Il diritto alla pari dignità è un con-

cetto che diventa totalmente insi-gnificante se rimane un concetto a-stratto e non è vissuto nella recipro-cità... senza trasformarsi in una ma-niera concreta di relazionarsi. Direiche nell’Allamano è importante que-sta visione iniziale, ma ancor più si-gnificativo è il metodo che ne deriva.

A cosa fai riferimento quandoparli di metodo?

Il fondatore risponde da cristianoa questa esigenza di solidarietà: siorganizza e soprattutto si cerca uncollaboratore, nella persona del ca-nonico Camisassa, che sembra averedoti straordinarie in certi aspetti piùpratici, su un piano più umano e disviluppo. L’Allamano non si va a sce-gliere un filosofo, un teologo, o unpadre spirituale: va a cercare quelloche lui sa in qualche modo di nonessere, o di non essere a sufficienza.

Si completa, scegliendosi una per-sona capace di interagire con larealtà concreta, dedicando tempo ecura al dettaglio dell’opera che l’Al-lamano aveva in testa. Questo soda-lizio è stato in grado di compiereun’operazione fondamentale: leg-gere la realtà, i fatti, intuire e poi ca-pire che tipo di struttura organizza-tiva fosse necessaria per svolgerel’azione pastorale ed evangelizzatri-ce, tanto in Italia quanto in missione.

Questo metodo consisterebbedunque soltanto nella scelta, di-ciamo così, del «personale»?

Certamente no. Il fatto che lui siscelga questo tipo di collaboratore,riconduce secondo me a un’ideacentrale nell’Allamano, che ancorprima di inviare gente in missione a-

veva ben chiara in mente: l’impor-tanza di formare la persona prima difare e formare il cristiano.

Ci sono tanti aspetti della vita delfondatore, tante scelte da lui fatte,che sottolineano questa sensibilitàche lui ebbe. Pensiamo, per esem-pio, alI’affetto speciale che ebbe peri fratelli coadiutori, quei religiosi chededicano la loro vita in modo parti-colare al lavoro e quindi all’edifica-zione dell’ambiente. O ricordiamoanche soltanto l’enfasi che pose sullavoro, e soprattutto il lavoro ma-nuale, come criterio formativo per isuoi missionari e le sue missionarie.Il «prima uomini e poi cristiani» nonè assolutamente un concetto perife-rale nel fondatore.

Fondamentale, ripeto, è la sua ca-pacità di leggere la realtà, tanto quiin Italia come in Africa, in modo da o-rientare le proprie risposte verso ob-biettivi mirati.

È interessante notare come, me-diante i corsi del convitto ecclesiasti-co, forma i giovani preti diocesani at-traverso, anche, l’organizzazione dicorsi di morale, sociologia, politica,per prepararli a rispondere alle esi-genze più svariate in modo coerenteai bisogni espressi dal territorio. Pernon parlare dell’attenzione data almondo della comunicazione, deimedia diremmo oggi.

Questo stile lo applica a maggiorragione per i suoi missionari, che do-vranno guardare la realtà con delleprospettive più ampie.

Con loro instaura un rapporto for-mativo basato sul dialogo. Non sol-tanto si sente maestro nei confrontidei missionari che invia, ma eglistesso vuole imparare, vedere, co-

Giovanni Scudiero durante un laboratorio di formazione.

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MISSIONI CONSOLATA

noscere. Vuole capire come una vi-sione possa diventare realtà attra-verso delle scelte concrete. Sa dinon aver sempre la risposta prontadi fronte a una determinata esigen-za o a una certa sfida e la consape-volezza della giustezza o meno diun criterio da applicare gli vieneproprio dalla comunicazione co-stante con i missionari che lavoranosul campo, attraverso i loro diari e laloro corrispondenza: lettere dove luiviene a riflettere, pregare, discerne-re le scelte che verranno fatte, dan-do a una visione di missione unastoria concreta.

Voleva sapere tutto di tutti, siinformava sull’andamento degli in-contri, sulla situazione delle perso-ne, voleva conoscere i nomi. Questoradicarsi profondamente nella storialocale, nella fattualità e nelle proble-matiche della gente dà vita a un an-nuncio incarnato in un contesto sto-rico, rispondente in primis alla situa-zione di vita della gente.

Una missione, quindi, improntatatantissimo sull’ascolto dell’altro...

Sì. Del resto tantissimi testimoni ri-cordano la capacità di ascolto delnostro fondatore. Questa dell’ascol-tare era una prassi che lui esercitavae che pretendeva nel limite del pos-sibile che fosse praticata anche daisuoi missionari. Purtroppo, noi mis-sionari non siamo così capaci di col-tivare sempre questa mentalità di a-scolto. Non sempre riusciamo a in-serirci in un contesto storicoconcreto con gli «occhi vergini», ov-

vero senza pregiudizi, con la pazien-za di inserirsi, ascoltare chi ne sa piùdi noi: gli anziani del posto, il confra-tello più esperto, ecc.

Anzi, penso che questa nostra po-ca attenzione dedicata all’ascolto èquello che ci sta bloccando soprat-tutto nel nostro ad gentes oggi in I-talia, nel nostro fare missione qui, dadove siamo partiti. Chi sono le per-sone in Italia che noi siamo prontiad ascoltare?

Oggi poi, sentiamo l’esigenza di«aguzzare l’orecchio» e dare al no-stro ascolto una dimensione più am-pia, che ci permetta di andare oltrela metodologia usata finora: quelladella lettura concreta di una realtà alfine di rispondere a bisogni concretie localizzati. Con il tempo siamo arri-vati a capire i profondi legami che le-gano il locale con il globale, a cercarele radici di un problema che sembrariguardare una singola comunità inun contesto ben più ampio.

Di fronte a un problema di man-canza di risorse in un determinatoposto è giusto intervenire offrendouna mano tesa e un aiuto immedia-to pratico. Ma è anche fondamenta-le farsi, e fare anche in giro, qualchedomanda sul perché di un servizio eo di un bene negati a una comunitàche ne avrebbe diritto.

E questo lo si fa?Non sempre. Del resto, ciò che più

o meno da tutti si tende a fare è darerisposte semplici e immediate ai pro-blemi concui dobbiamo quotidiana-mente confrontarci nella vita di mis-sione. Manca l’ospedale, facciamol’ospedale... Sono risposte semplicianche se, non nego, richiedono risor-se e fatica. Sono semplici nella loro a-nalisi e nella loro conclusione.

Nella nostra storia missionaria nonsempre abbiamo sottolineato l’im-portanza di una riflessione e un’ana-lisi che penetrassero più in profon-dità, toccando non soltanto gli effet-ti di un problema, ma sfidandone lecause. Molte volte, la fretta e l’urgen-za di risolvere un bisogno pratico (oquello che noi percepivamo cometale) ci ha distolto dal dovere di an-dare alla radice del nostro agire, allaricerca delle vere cause, magari per iltimore di imbarcarsi in percorsi versoi quali non ci sentivamo sufficiente-mente attrezzati e preparati.

Oggi, invece, ci rendiamo contoche quelle risposte superficiali, isola-te da un contesto culturale o non ri-spondenti alla sfida sociale che met-te in pericolo o ferisce una comu-nità, rischiano di essere semplicicerotti su ferite che diventano sem-pre più grandi e profonde.

Una promozione umana, seria, ra-dicata in un contesto, che si poneprospettive di futuro alternativo nonpuò, oggi come oggi, prescindere daun lavoro di coscientizzazione e for-mazione sui diritti fondamentali del-la persona; lavoro che in alcuni casipuò anche assumere il ruolo di gridoprofetico e di denuncia. Significa da-re alle nostre risposte uno sguardopiù ampio, che non si fermi allo spe-cifico problema locale, ma guardi piùin là, alle radici del problema.

Senza questo sguardo e alla do-manda di giustizia che ne deriva lenostre opere ci renderanno neces-sariamente eterni. La gente conti-nuerà a dipendere dal missionariocapace di trovare soluzioni ai loroproblemi più immediati, problemiche si rigenereranno in continuazio-ne e avranno bisogno di semprenuovi interventi, aggiustamenti, per-fezionamenti e manutenzioni. ■

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Per ulteriori informazioni:http://www.missionariconsolataitalia.it/animazione_scuola.html

Durante una marcia per la pace da Perugia ad Assisi.

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14 MC GEN-

L a BR101, nel tratto in cui attra-versa lo stato di Alagoas, si ri-duce ad appena due corsie di

marcia che, nella stagione dellepiogge, si tempestano di buche e-normi sotto il continuo passaggiodei lunghi camion che, lungo questa

strada di 4.551 chilometri, attraver-sano il Brasile da nord a sud.

Percorriamo questa interminabilepista di curve, che si insinuano tra lecolline, e arriviamo al bivio che ciporterà finalmente alla cittadina diJoaquim Gomes. A indicarci l’arrivo

è un enorme cartello su cui, ancheda lontano, si può leggere a chiarelettere il nome del paese e, appenasotto, la scritta: «Construindo conEla», ossia «Costruendo con Lei».

Quel «Lei» è l’autocelebrazione diCristina Brandão, donna senza scru-poli, arrivata all’improvviso nel pae-se pochi mesi prima delle elezioniamministrative e che ha trasformatoil suo bagaglio di denaro in unascontata vittoria. Questa le ha per-messo di acquistare, nel vero sensodel termine, il titolo di sindaco, cheda queste parti è, più che un incari-co, un finanziamento con introiti as-sicurati, tramite un sistema di corru-zioni e di deviazione di denaro pub-blico conosciuto da tutti madiffusamente impunito.

Joaquim Gomes sarà la nostra ca-

BRASILE testo e foto di Fabrizio Mola

Vivere a Joaquim Gomes

Quindici giovani del gruppo «Amici di JoaquimGomes» di Piossasco (To) hanno speso le lorovacanze aiutando le suore di San Giuseppe di Pinerolo a realizzare i loro progetti nella cittadinabrasiliana: un’esperienza indimenticabile, a contatto con situazioni disperate e nell’impegnodi solidarietà nella lotta silenziosa per rivendicarediritti umani e dignità.

SOGNIIN

CATENE

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MISSIONI CONSOLATA

sa per più di un mese e sarà il nostro«campo base» nel viaggio tra le infi-nite realtà di contrasti, di ingiustiziee di diritti negati in questo Brasile incui, ogni volta di più, aumenta il di-vario tra ricco e povero, tra progres-so e arretramento, tra tecnologie epossibilità di accedere ad esse.

Le guide che ci accompagneran-no nel capire questo mondo saran-no un gruppo di donne che in que-sto paese ci vivono da anni e che daanni lottano per affermare la giusti-zia, i diritti e la dignità di ogni perso-na, tramite un’instancabile azione dirivendicazione e di promozione u-mana e l’annuncio del messaggio disperanza del vangelo. Sono le suoredi San Giuseppe di Pinerolo, in partemissionarie italiane e, ormai in mag-gioranza, giovani e determinatesuore brasiliane. Il loro lavoro è quel-lo di cercare di rimediare alle caren-ze che nel paese colpiscono la partepiù debole della popolazione; unapopolazione che attualmente risultacomposta dalle donne, da qualcheanziano e da moltissimi bambini.

Di uomini a Joaquim Gomes sene vedono davvero pochi; lamaggioranza di essi, infatti, è

costretta a emigrare in altre regionidove la manodopera è più richiesta,finendo in uno stato di semi schia-vitù, in lontane ed estese piantagio-ni di canna da zucchero, da cui, inmolti casi, non riescono più a torna-re, lasciando così alla propria sortemoglie e figli.

Nel solo anno 2007 da JoaquimGomes sono partiti più di 3 mila uo-mini, su una popolazione di 22 milaabitanti, in cerca di un lavoro chepermettesse loro di far sopravviverele proprie famiglie; ma quasi sempresono diventati vittime del meccani-smo messo in atto dai fazendeiros,che, tramite esperti intermediari, rie-scono a incastrare migliaia di uomi-ni rendendoli debitori dei loro dato-ri di lavoro ancora prima di entrarein servizio. La strategia è molto sem-plice: a ogni lavoratore viene antici-pato il denaro per i costi del viaggio,

e per pagarsi il vitto, gli attrezzi di la-voro e il proprio sostentamento; anessuno è permesso lasciare il postodi lavoro fino a quando non avrà ri-pianato il debito col padrone. Un im-pegno quasi impossibile, con un la-voro sottopagato. Anche se qualcu-no riesce nell’impresa, rimaneancora il problema di acquistare ilbiglietto del viaggio di ritorno, chepermetta loro di percorrere i tregiorni di pullman che separano ilMato Grosso (terra solitamente didestinazione dei lavoratori stagio-nali) dalle loro famiglie in Alagoas.

In assenza degli uomini, che rara-mente riescono a inviare denaroalle proprie famiglie, sono le don-

ne che lottano per la sopravvivenzadei loro figli, portando avanti la casae provvedendo alle loro necessità.Sono donne forti e provate dalla fa-tica giornaliera.

Fin dalle cinque del mattino lesentiamo passare per le vie, fuoridalla porta della casa che ci ospita; levediamo scendere al fiume; in testaportano enormi bacinelle con i ve-stiti da lavare, in mano qualche pen-tola e attorno i figli più grandi con inbraccio quelli più piccoli, pronti peril bagno nell’acqua torbida che scor-re lenta tra le colline del paese.

Ancora prima dell’alba, gli uominirimasti nel paese ci svegliano men-

tre, seduti in piazza, colpiscono conlunghe e forti strisciate del machetele pietre della pavimentazione, perpreparare la lama alla lunga giorna-ta nel taglio della canna. Poco dopo,passano vecchi pullman per caricarlie portarli nelle piantagioni, dallequali torneranno soltanto quandofarà notte. Dopo una giornata di la-voro, chi è più forte riesce a guada-gnare di più, portando a casa appe-na un euro per ogni tonnellata dicanna tagliata, sotto il sole cocente econ i vestiti che li coprono da capo apiedi per proteggersi dalle foglie ta-glienti.

Li si vede scendere dai pullmanuno ad uno e diramarsi nei variquartieri, con passo rapido, machetein mano e borraccia a spalle; rag-giungono le loro case di fango dove,consumato un misero pasto, torne-ranno finalmente a riposarsi perriacquistare le energie da consuma-re nella dura giornata successiva.

Questa è la vita di un numero infi-nito di uomini, donne e bambini incentinaia e migliaia di paesi che so-no sparsi, come Joaquim Gomes,nelle aree rurali di questa estesa re-gione del Brasile. E proprio da que-sta situazione siamo partiti e abbia-mo potuto conoscere le altre diffe-renti realtà che impregnano dicontrasti questa terra.

Tuttavia abbiamo potuto scorge-

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A sinistra: arcobaleno sullacittadina di Joaquim Gomes;povertà e droga incatenano i sognidel giovane Thiago.A destra: una famiglia a JoaquimGomes.

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e bambini che si immergono conti-nuamente in acqua, anche per alcu-ni metri, e portano in superficiemasse di fango putrido, mischiatoalle conformazioni di molluschi che,portate a riva, vengono passate alledonne per la pulitura. Piegate sul-l’acqua, immerse fino alle ginocchia,esse passano giornate intere a scro-stare questa specie di cozze, che,una volta ripulite, vengono venduteai ristoratori di lusso per un prezzoirrisorio: un secchio pieno di talimolluschi, frutto del lavoro giorna-liero di un’intera famiglia, viene pa-gato l’equivalente di un euro circa.

Ci accompagnano due giovanisuore brasiliane, che operano inquesto ambiente, e Vania, la corag-giosa leader della favela. Senza dilei è impossibile e, soprattutto, ri-schioso addentrarsi nei vicoli tra lebaracche, che, oltre ad essere strettida permettere il passaggio di unasola persona, sono spesso pieni dirifiuti e degli scoli delle fogne. Gra-zie a lei possiamo avere un’idea, an-che se solo accennata e da osserva-tori, di cosa significhi nascere e so-pravvivere da favelados in talicondizioni.

Presentandosi subito con il suo fa-re deciso e fiero, Vania ci racconta lasua storia: è nata nella favela; sin daragazzina è stata coinvolta nei giridella droga, prostituzione e narco-

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re, al tempo stesso, barlumi di inten-sa speranza, a partire dalle favelasdella caotica capitale fino agli ac-campamenti di senza terra, isolatinella sperduta area del sertão.

La capitale dello stato di Ala-goas è Maceio, città con circa800 mila abitanti, che si esten-

de a metà tra l’oceano e la laguna.Verso l’oceano sorgono i quartieripiù ricchi, dove si trovano palazzi ealberghi di lusso, boutique di altamoda e design, ristoranti e club, pa-lestre e scuole, dove autisti privati

attendono i figli delle famiglie bene-stanti alla fine delle lezioni.

A pochissimi chilometri di distan-za, verso la laguna, inizia invece l’i-ninterrotta serie di favelas dove mi-gliaia di famiglie vivono in baracchecostruite con pannelli di legno, car-toni, cartelli pubblicitari, lamiere eteli di nylon recuperati nelle aree cir-costanti.

Visitiamo una di queste favelas,quella di Sururù de capote, così chia-mata dal nome del mollusco che vi-ve nella laguna lungo la quale sonosituate le baracche. Vediamo adulti

COME VINCERE LE ELEZIONI

I l 5 ottobre 2008, Cristina Brandão ha vinto nuovamente le elezioni amministra-tive, riuscendo così a conquistarsi il secondo mandato da sindaco di Joaquim

Gomes. Il successo è frutto di una campagna elettorale in cui la corruzione e l’ille-galità hanno vinto ancora una volta. Ogni singola preferenza è stata infatti com-prata giocando sulla miseria, sulla necessità e sull’inconsapevolezza della gente, chepur di ricevere una minima quantità di denaro, ha venduto il proprio voto al candi-dato disposto a offrire la somma maggiore. Tale pratica è molto diffusa nella re-gione ed è nota a tutti; ma a causa della paura raramente vengono denunciati i reatidi corruzione; più raramente ancora alle denunce seguono processi e condanne. Per avere un’idea dei soldi investiti nella campagna elettorale in un paese comeJoaquim Gomes, con poco più di 20 mila abitanti, basta sapere che la signoraCristina Brandão ha venduto una delle fazendas (fattorie agricole) comprate du-rante il suo precedente mandato. Tra i costi sostenuti vi sono quelli derivanti dalle numerose manifestazioni celebra-tive del sindaco stesso, dove, ad esempio, sono stati pagati centinaia di partecipantiper affollare le ripetute sfilate propagandistiche, in cui vigeva un tariffario ben pre-ciso in base al tipo di partecipazione. Se si marciava a piedi, muniti di bandiera si ri-ceveva infatti una certa somma di denaro; le tariffe aumentavano se si sfilava in bi-cicletta, in moto o in automobile. Un altro «investimento» effettuato dal sindaco per le nuove elezioni è stato quellodi iscrivere nelle liste elettorali di Joaquim Gomes decine di persone che vivononei quartieri poveri della capitale dello stato. Il giorno delle elezioni, il sindaco hapoi gentilmente messo a loro disposizione un pullman per raggiungere il paese,consegnando a ciascuno una banconota da 50 reali (circa 20 euro) prima di recarsialle urne. La stessa somma di denaro è stata offerta per comprare il voto delle per-sone che vivono nel paese. Per evitare, però, che questi elettori accettassero piùvolte il denaro, la candidata a sindaco ha pensato bene di contrassegnare le tessereelettorali di chi aveva già ottenuto il suo «pagamento», in modo che fossero rico-noscibili dalla sua équipe. Il giorno delle elezioni, però, è venuto alla luce questo fatto del contrassegno e lepersone che avevano venduto il proprio voto, non si sono più presentate alle urneper paura di essere denunciate. Nei giorni successivi è stata quindi offerta loro unasomma di denaro dieci volte superiore a quella ricevuta per il voto, al fine di com-prare il loro silenzio. Il fatto fondamentale è però che, secondo la legislazione bra-siliana, il voto è considerato obbligatorio. Per questo motivo attualmente le per-sone coinvolte in questa faccenda si ritrovano nel dilemma di pagare la sanzioneper non essersi presentati alle urne o autodenunciarsi essendo rimasti implicatinell’operazione di acquisto e vendita dei voti. Le denunce di corruzione sono state presentate al Tribunale elettorale locale, cheha avviato subito il processo, convocando la neoeletta e una trentina di testimoni.Adducendo un certificato medico, l’imputata non si è presentata alla prima udienzané a quelle successive, ma la giustizia ha fatto ugualmente il suo corso: venerdì 29novembre il giudice della zona elettorale, Gilvan Santana, ha annullato l’elezionedella Brandão, con l’interdizione per tre anni da ogni incarico pubblico. Una vittoriasignificativa e incoraggiante, almeno per il momento. C’è, infatti, il rischio che il ri-corso al Tribunale elettorale dello stato di Alagoas possa annullare la sentenza.

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traffico; ha avuto 12 figli, di cui seimorti prima ancora di nascere a cau-sa della denutrizione e delle sostan-ze stupefacenti da lei assunte in gra-vidanza. Ma ora Vania è cambiata, ilsuo carattere e la sua voglia di lotta-re hanno fatto di lei una leader dellafavela: ha creato intorno a sé una co-munità che si sostiene reciproca-mente, forte nelle rivendicazioni peri propri diritti, superando la lotta ditutti contro tutti per la sopravviven-za in un crescente desiderio di rima-nere uniti e solidali.

Mentre giriamo nella favela, Vaniainterrompe i suoi racconti per richia-mare i bambini che litigano, per leg-gere un documento a un uomo a-nalfabeta che chiede il suo aiuto econsiglio, per spiegare alla gente chisiamo; nel frattempo il suo sguardoè sempre attento nell’osservare e vi-gilare su ogni cosa che succede in-torno.

Vania conosce la gente della fave-la e non ha paura di raccontarcenela vita: ci indica bambine di nove an-ni che, per un piatto di riso o di fa-gioli, si prostituiscono con i taxistiche passano nell’avenida, bambini

drogati con la colla, che tornano dalcentro della città, dove hanno passa-to la giornata a vagare e a borseg-giare i passanti; ci racconta la storiadi una ragazza che, dopo anni di la-voro come domestica in una fami-glia benestante, è stata licenziataappena i padroni hanno scopertoche viveva nella favela... E tante altrestorie di discriminazione, attuate an-che da parte del governo e istituzio-ni, che non permettono ai bambinidi studiare, di essere protetti, di ave-re un futuro e sperare nelle minimeopportunità.

Con fierezza ci racconta come laCaritas tedesca l’abbia mandata aBrasilia in aereo, lei, donna senza i-struzione sempre vissuta nella fave-la, per denunciare davanti al gover-no le condizioni in cui vive la suagente e rivendicare i diritti basilari.

Nella nostra visita siamo accol-ti in un’abitazione dove siconsuma un altro dramma di

sofferenza e disperazione. Un geni-tore, rimasto solo con due bambinipiccoli, dopo aver perso la moglie ele figlie in morti violente, è costretto

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Alcuni bambini in una stretta viadella favela di Maceio.Donne di Joaquim Gomes lavano i panni al fiume.

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a sprangare la porta della baraccaper impedirne l’entrata alla figlia di12 anni, poiché la ragazza, che vivein strada, ogni volta che torna a casacerca di portare via qualcosa, ogget-ti o alimenti, per scambiarli con unadose di droga*.

Prima di lasciare la favela e saluta-re le frotte di bambini che ci hannoseguito nella nostra visita, ci aspettal’incontro più inatteso. Nell’ultimabaracca in cui siamo invitati a entra-re ci attende infatti l’impatto con ilparadosso più grande dell’amorematerno, un incontro che, pur pas-sando attraverso i nostri occhi, rima-ne incredibile per i nostri schemimentali, sviluppati in un mondo cheda qui sembra ancora più distante.

Sdraiato per terra, su un sottilepezzo di gommapiuma, Thiago, unragazzo di 13 anni, ci accoglie subito

con un sorriso di felicità, ma il suosguardo è perso nei drammi di unavita bruciata da droga e violenza. Unsuo polpaccio è avvolto da unagrossa catena, chiusa con un luc-chetto, che lo tiene legato al tavolodi casa.

La madre è al suo fianco e ci spie-ga che sono ormai venti giorni daquando ha deciso di tenere il figliocosì legato per cercare in qualchemodo di salvargli la vita. Thiago ave-va solo nove anni quando cominciòa fare uso di crack e a essere coinvol-to nei traffici di droga; ora, minaccia-to di morte a causa di conflitti e lottetra bande, la sua vita è a rischio.

La madre è sicura che se il figlio u-scisse di casa, sarebbe ucciso in bre-vissimo tempo. Per proteggerlo eper allontanarlo dalla droga, hachiesto aiuto ai servizi sociali, manon ha ricevuto alcun aiuto; per cuiha messo in atto una soluzione cosìdrastica, già usata con la sorella esperimentata da altre madri nella fa-vela verso i propri figli.

Thiago ci racconta col sorriso infaccia la sua vita e, salutandoci, au-gura a se stesso di poterci vedereancora; ci confida che vorrebbe an-dare in giro per il mondo, ma am-mette con le sue stesse parole chetutto ciò rimarrà nei suoi sogni, con-fessando di essere ben consapevoleche o a causa della droga o per ma-no dei suoi nemici la sua vita saràdavvero breve.

Un ragazzo così giovane, macon occhi e sogni privi di spe-ranza, richiama alla mente

tutti gli altri contrasti e sofferenzeincontrate nella breve esperienza inBrasile. Il suo volto rimarrà scolpitoin modo indelebile nei nostri ricordi,insieme al senso di impotenza e in-giustizia che si prova di fronte a certidrammi.

Eppure il sorriso di Thiago ricordaanche l’impegno di tante persone,come le suore Giuseppine e la si-gnora Vania, che continuano nel lo-ro servizio per dare vita e speranza achi rischia di perderla, a chi non neha mai potuto godere pienamente,a chi, ancora così giovane, di tuttoquesto è stato derubato. ■

* La ragazza di cui si parla è rimasta uccisa in una rissa fra ragazzi di strada alla fine di novembre 2008.

Vania, la nostra guida nella favela.Suore di San Giuseppe di Pinerolo,presenti a Joaquim Gomes: da sinistra, suor Maria Teresa, suor Rosa e suor Daniela.Giovani del gruppo di Piossasco al lavoro in un progetto delle suoreGiuseppine in Brasile.

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possibilità di approfondire le ragionidi quest’oscuramento e riscoprire ilpatrimonio spirituale e culturale chein duemila anni la cristianità orienta-le non ha cessato di esprimere.

Pur necessariamente incompleto,

Delle tre sedi patriarcali in cuiera suddivisa la chiesa delleorigini, due si trovavano sulla

riva orientale del Mediterraneo, nellecittà di Alessandria e Antiochia. Nulladi strano che nei primi secoli dellanostra era il cristianesimo fosse vivosoprattutto in prossimità dei luoghiche avevano visto la predicazione diGesù e da cui era partita l’azione e-vangelizzatrice degli apostoli. Pro-prio dalla Palestina il nuovo credo siera irradiato lungo le strade dell’Im-pero Romano, fino ai suoi estremi

confini, e vi aveva trovato rapida dif-fusione, favorito da un clima cultura-le ricettivo, dalla tolleranza verso gli«dei stranieri», dall’ordine e dallaconvivenza pacifica che la pax roma-na garantiva.

È, invece, più difficile da capire per-ché il cristianesimo occidentale ab-bia finito per oscurare la memoriadella chiesa orientale, da cui esso hatratto le proprie origini. Ben venga,dunque, la nuova monografia curatadal professor Aldo Ferrari, Popoli echiese dell’oriente cristiano, che dà la

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«Popoli e chiese dell’oriente cristiano»

Da più parti il cristianesimo è consideratoessenzialmente occidentale, dimenticando leantiche comunità cristiane fiorite nel Vicino Oriente,prima dell’espansione islamica. Il volume «Popoli e chiese dell’oriente cristiano» di Aldo Ferrari* vuoleriparare a tale dimenticanza, presentando la lorotradizione storica e spirituale, la difficile situazioneattuale di alcune chiese orientali, che rischiano di scomparire dalle loro sedi millenarie.

CHIESE VULNERABILI A RISCHIO ESTINZIONE

di Biancamaria Balestra

Sua beatitudine Gregorio III Laham,patriarca greco-cattolico melkita di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme(sopra), mentre celebra l’eucaristianella basilica di Santa Maria inCosmedin (a sinistra).

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per la difficoltà di contenere nellospazio di un volume la storia dellenumerose comunità cristiane d’o-riente, il panorama che ci è qui offer-to si presenta di una sorprendentevarietà: comprende le chiese coptaed eritrea in Africa, le chiese melkita,ortodossa e cattolica, e maronita nelvicino Oriente, la chiesa sira occiden-tale, ortodossa e cattolica, e sira o-rientale, assira e caldea, in Mesopota-mia e Iran, le chiese armena, apostoli-ca e cattolica, e georgiana ortodossanel Caucaso.

LA FRATTURA DOTTRINALE

Come emerge chiaramente dallepagine del volume, il quasi oblio incui sono cadute le chiese orientalinella coscienza dei cristiani d’occi-dente si può spiegare con due ordinidi ragioni: interne ed esterne allachiesa.

I primi secoli videro la chiesa, anco-ra unica e indivisa, impegnata in unintenso dibattito volto a stabilire ifondamenti del credo cristiano. Nel IVsecolo fu affrontata la questione tri-nitaria e si arrivò a definire la formuladella consustanzialità delle tre Perso-ne. Già allora si corse il grave rischiodi una spaccatura interna, a causa del

consenso suscitato dalle tesi del pre-te alessandrino Ario, il quale non ri-conosceva al Figlio una natura ugua-le a quella del Padre. Questo pericolofu evitato con la convocazione delprimo concilio ecumenico a Niceanel 325.

Non altrettanto felice fu l’esito del-le controversie cristologiche, che nelV secolo contrapposero le scuole teo-logiche di Antiochia e Alessandria. Ladefinizione dogmatica della duplicenatura di Cristo, divina e umana, fumateria dei due concili di Efeso e Cal-cedonia, dove si scontrarono posizio-ni teologiche diverse. A Efeso, nel431, fu condannato il patriarca Ne-storio, che aveva portato alle estre-

me conseguenze la teologia duofisi-ta della scuola di Antiochia e chiama-va Maria madre di Cristo, ma non ma-dre di Dio. Il concilio di Calcedonia,20 anni più tardi, si concluse con lariabilitazione della scuola di Antio-chia e la condanna della dottrinaprofessata da quella di Alessandria.

Le diatribe cristologiche ebbero lanefasta conseguenza di aprire unafrattura, non solo tra Oriente e Occi-dente, ma anche nella stessa cristia-nità orientale, che si divise in efesinae non efesina, calcedonese e non cal-cedonese. Non efesini sono i cristianiche fanno riferimento alla chiesa siraorientale, non calcedonesi sono i sirioccidentali, gli armeni, i copti e gli e-ritrei. La «grande chiesa», cioè quelladi tradizione calcedonese, sia grecache latina, chiamò nestoriani i primi emonofisiti i secondi, termini che, oltrea essere imprecisi, sono percepiti co-me offensivi dai diretti interessati.

Oggi si è fatta strada la coscienzache quelle controversie nacquero piùa causa di fraintendimenti nell’uso einterpretazione dei termini teologici,che di vere e proprie divergenze nelmodo di concepire la natura di Cristo.«In realtà, il linguaggio teologico del-le due scuole era profondamente di-verso e questo impediva una realecomprensione delle reciproche posi-zioni» leggiamo nel saggio di PaolaPizzi sui cristiani melkiti; mentre Ales-sandro Mengozzi, autore del saggiosulla chiesa sira, parla di una «fratturalinguistica, culturale e politica tra ilcentro dell’impero bizantino e regio-ni periferiche, ma culturalmente e so-cialmente vivaci, come l’Egitto, la Si-ria, la Mesopotamia o l’Armenia».

E cita un passo di un teologo sirooccidentale, che nel XIII secolo scrive-va, con una perspicacia davvero sor-prendente: «Dopo aver molto pon-derato il problema, mi sono convintoche queste dispute dei cristiani fra lo-ro (sulla cristologia) non riguardanonulla di sostanziale, ma piuttosto so-no questioni di parole e termini, per-ché tutti confessano che Cristo no-stro Signore è Dio perfetto e uomoperfetto, senza commistione, mesco-lanza e confusione delle nature».

Dopo sette secoli questa stessaconvinzione ha ispirato le dichiara-zioni congiunte di fede firmate daGiovanni Paolo II e dai patriarchi dellachiesa sira occidentale e della chiesad’Oriente. Purtroppo, quelli che noi

Incontro tra il patriarca Zakka I(rosso), capo della chiesa ortodossasiriana, il catholicos Aram I (nero),capo della chiesa ortodossaarmena, e abuna Paulos (bianco),leader spirituale della chiesaortodossa etiopica.

Nerses Bedros XIV, patriarca armenocattolico del Libano.

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ora giudichiamo equivoci dovuti aconsuetudini linguistiche diverse so-no stati fonte di molti mali per i cri-stiani tutti. La presunzione di eresiaha inquinato i rapporti tra le chiese,aprendo un profondo solco d’incom-prensione tra le diverse sponde delMediterraneo.

Rende bene l’idea di quali sianostate le conseguenze di questa divi-sione il fatto menzionato da A. Cam-plani e A. Elli nel saggio sulla chiesacopta. Essi ricordano che, dopo avertolto la Palestina ai musulmani, i cro-ciati confiscarono i beni dei cristianiorientali, che consideravano eretici, eimpedirono loro l’accesso ai luoghisanti. Quando nel 1187 i crociati furo-no sconfitti dal Saladino e costrettiad andarsene, «i copti accolsero congioia la riconquista di Gerusalemme,perché veniva così loro concesso diriprendere, dopo quasi 90 anni, i pel-legrinaggi al Santo Sepolcro».

LA CONQUISTA ISLAMICA

Alla frattura dottrinale, nel VII secolosi aggiunse quella causata dalla con-quista araba. Questa volta fu l’inter-vento di una forza esterna a divideretra loro le comunità cristiane. Il conti-nuo stato di belligeranza tra la nuovapotenza araba e l’Europa rese ancorapiù difficili i contatti tra una parte el’altra del Mediterraneo, quando nonli interruppe del tutto, e finì per isola-re l’Oriente dall’Occidente cristiano,se si esclude il breve e controverso in-tervallo dei regni crociati.

Dalla metà del VII secolo, i cristianiche vivevano nei territori dell’ImperoRomano d’Oriente, con l’eccezionedella penisola anatolica, si trovaronosoggetti a un potere teocratico, quel-lo dei califfi, che assegnava loro unacondizione d’inferiorità rispetto aisudditi musulmani. Anche se ciò, in li-nea di principio non significava il di-vieto del culto, essere, o meglio, rima-nere cristiani diventava oneroso, enon solo perché si era gravati dimaggiori tasse rispetto a coloro chesi erano convertiti all’islam.

Il rapporto tra le comunità cristianee le autorità registrava continui alti ebassi: a periodi di convivenza pacificasi alternavano periodi di discrimina-zione, se non di vera e propria perse-

cuzione. Ciò spiega la progressiva e-rosione del numero dei cristiani interra islamica. Alla vigilia della con-quista ottomana essi costituivano or-mai meno del 10% della popolazione.

Paradossalmente, fu proprio l’arri-vo degli ottomani, che fino alla finedel XVII secolo furono percepiti dallacristianità occidentale come una mi-naccia alla sua sopravvivenza, a mi-gliorare la vita dei cristiani in Oriente.

Sulla vita delle comunità cristianeinfluì positivamente il sistema deimillet istituito dal governo ottomano.Si trattava di una forma di autogover-no, che concedeva alle comunità reli-giose, ufficialmente riconosciute dal-la Sublime Porta, una considerevoleautonomia amministrativa. Questanuova forma di organizzazione socia-le diede ai cristiani maggiore stabilità

e garanzie nei rapporti con le auto-rità islamiche e contribuì a una note-vole ripresa demografica all’internodelle loro comunità.

RESISTENZA E ISOLAMENTO

Per i siri orientali l’isolamento dalresto dell’ecumene cristiano iniziòmolto prima del VII secolo. La chiesasira ebbe origine a Edessa, nell’altaMesopotamia. In questa città già nel-la seconda metà del II secolo è docu-mentata la presenza di una vivacecomunità cristiana, che si contraddi-stingueva per l’uso liturgico di unavariante locale di aramaico.

Edessa si trovava all’estrema perife-ria dell’Impero Romano e una partedella comunità sira, quella orientale,che prese poi il nome di «Chiesa d’O-

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Beirut, chiesa greco ortodossa di san Giorgio.

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MEDIO ORIENTE

riente», si trovò ben presto a svilup-parsi all’esterno dei suoi confini, nelleterre dei persiani, arcinemici di Roma.Ciò rese difficili i contatti con gli altricentri cristiani e ostacolò la parteci-pazione dei rappresentanti di questacomunità ai concili ecumenici. Co-stretta a contare sulle sue sole forze,la Chiesa d’Oriente si organizzò in to-tale autonomia, nella fedeltà al lega-me originario con la scuola di Antio-chia e alla sua teologia duofisita.

Nonostante la precarietà in cui vis-se, seppe produrre uno straordinario

slancio missionario, che portò i suoimonaci lungo le strade carovanierefino in India, in Asia Centrale, in Mon-golia e in Cina. Si pensi, ad esempio,che la fondazione della prima chiesasira a Ch’ang-an, capitale della dina-stia cinese dei T’ang, nonché punto dipartenza della via della seta, risale al638. Erano proprio gli anni in cui l’Im-pero Bizantino, da una parte, e quellopersiano, dall’altra, stavano per esseretravolti dalle schiere arabe.

Anche nei pochi casi in cui i cristia-ni in Oriente non si trovarono in con-dizione di minoranza tra fedeli di al-tre religioni, il loro destino non è maistato facile. Le chiese etiope, armenae georgiana hanno rappresentatodelle isole di cristianesimo in territorisempre più islamizzati.

Grazie alla sua posizione remota,lontana dal Mediterraneo e dallegrandi vie di passaggio, l’Etiopia riu-scì a contenere l’espansione dell’i-slam, a prezzo, però, di un isolamentodurato secoli. In Armenia e in Geor-gia il cristianesimo si affermò comereligione nazionale dal IV secolo e si èmantenuto tale fino ai nostri giorni,ma ha dovuto opporre una strenua

resistenza alla pressione dei vicinimusulmani, cui gli armeni e, in parte, igeorgiani, furono anche soggetti po-liticamente. La storia del cristianesi-mo in queste terre presenta un pe-sante bilancio di violenze e martirio.

RISCHIO ESTINZIONE

Leggendo questo volume, paginadopo pagina, ci si rende conto di co-sa abbia voluto dire essere cristiani inoriente. Rimanere nella chiesa è stataper gli orientali una scelta impegna-tiva, scomoda e mai scontata, haspesso voluto dire vivere in condizio-ni d’inferiorità, con diritti limitati e li-mitate possibilità di sviluppo. Nono-stante questo essi hanno saputo cu-stodire intatta la propria fede e labellezza delle loro liturgie.

La chiesa occidentale non può i-gnorare questo prezioso patrimoniodi spiritualità, se non a prezzo di unsuo enorme impoverimento. Il secoloprecedente ha fatto molto per il riav-vicinamento tra le chiese, non solonella ripresa di contatti tra le gerar-chie, ma anche in termini di reale co-noscenza reciproca, dopo secoli di si-lenzi. Tuttavia, molto rimane da fare.

L’orizzonte dell’Occidente rimaneancora troppo autoreferenziale, e i

Bodbe (Georgia), chiesa delmonastero ortodosso dove sonoconservate le reliquie di santa Nino,evangelizzatrice della popolazionegeorgiana.

A sinistra, Aleppo, cattedralemaronita.A destra, mons. Paulos Faraj Rahho,arcivescovo caldeo di Mosul (Iraq), rapito da milizie islamiche e trovato ucciso il 12 marzo 2008.

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MISSIONI CONSOLATA

cristiani non fanno eccezione, sianoessi capi di stato o semplici cittadini.Spesso nelle questioni che riguarda-no l’Oriente, gli occidentali si muovo-no senza considerare quali conse-guenze i loro interventi possono ave-re sul difficile equilibrio tra leminoranze cristiane e le società in cuisono inserite.

Quando papa Giovanni Paolo IIchiedeva accoratamente che al po-polo iracheno fosse risparmiata l’e-sperienza di un’altra guerra, pochi ca-pivano che il suo sguardo era rivoltocon particolare preoccupazione allecomunità cristiane del Medio Orien-te. Egli sapeva bene, infatti, che unconflitto avrebbe avuto su di lorogravi conseguenze, perché i cristianisono visti come alleati dell’Occiden-te, con cui condividono la fede. Laguerra ha provocato un vero e pro-prio esodo dei cristiani dall’Iraq e neha in pochi anni dimezzato la pre-senza nel paese.

Anche in condizioni di pace, i cri-stiani in Oriente rimangono a

tutt’oggi un gruppo sociale tra i piùvulnerabili. Le tensioni internazionalie quelle interne ai rispettivi paesi siripercuotono in modo particolaresulle loro comunità, spingendo moltia emigrare.

L’emigrazione verso l’Occidente, i-niziata già a fine Ottocento, ha assun-to in questi ultimi decenni propor-zioni sempre maggiori ed è difficileprevedere un’inversione di tendenza,finché permangono le condizioniche spingono i cristiani ad andarse-ne: mancanza di libertà, mancanza di

sicurezza personale e precarietà eco-nomica.

Il fenomeno è tale da far pensareall’estinzione dei cristiani, almeno inMedio Oriente. Se ciò accadesse sa-rebbe una perdita incalcolabile, nonsolo per il cristianesimo, ma ancheper la stessa civiltà islamica, cui i cri-stiani hanno dato un contributo uni-co, nelle arti, nella letteratura, nelpensiero e nella modernizzazione.

Ci sarà, dunque, un futuro per lechiese in Oriente? È la domanda concui si concludono alcuni dei saggi.Per i loro autori, come per chiunqueabbia conosciuto e incontrato larealtà di queste chiese, pare impossi-bile che tutto ciò possa sparire. E allo-ra si trova conforto nel loro passato,che le ha condotte fino a noi, pur trainfinite e dolorose prove; si trovaconforto nei piccoli segni di cambia-mento, che sembrano far intravederel’avvento di tempi più benigni.

Ma anche questo non sarebbeniente, se non ci fosse la speranza,«forse la più mondana delle virtùteologali, quella intrecciata per natu-ra alle vicende storiche di questomondo e destinata con la fede a spe-gnersi a favore della carità nel mon-do a venire» (A. Mengozzi). ■

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*Aldo Ferrari, curatore del volume «Popoli e chiesedell’oriente cristiano» è professore di lingua e lettera-tura armena presso l’Università Ca’ Foscari di Vene-zia, responsabile del Programma di ricerca Caucaso-Asia centrale dell’Istituto di studi di politica internazio-nale (Ispi) di Milano.

Mons. Dinkha IV, patriarca dellaChiesa assira orientale, inaugurauna scuola per cristiani assiriemigrati in Usa.

Battesimo di un bambino, per immersione, nella comunitàcristiana ortodossa a Toronto(Canada).

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Concludiamo il nostro lungo cammino in compa-gnia dell’evangelista Luca, il quale da par suo ciha fatto conoscere profondamente cinque perso-

naggi: un padre sconfinato che non esita a dare la vita peri figli; il figlio minore, sognatore e irrequieto, ma senza u-na propria progettualità tanto da finire subito in falli-mento; il figlio «anziano», apparentemente tutto dolce eobbediente, ma nel suo cuore è tragico senza possibilitàdi redenzione; la persona di Gesù, che non smentisce lasua natura di rivoluzionario delle convenzioni religiose esociali del suo tempo; e infine noi stessi, noi lettori, chedopo questo viaggio «dentro» la parabola del cosiddetto«figliol prodigo», non possiamo rimanere gli stessi diquando abbiamo cominciato.

PUNTO DI ARRIVO E DI PARTENZA: DOMANDE PERSONALILa parabola del figlio prodigo, infatti, penetra nel mi-

dollo della nostra anima e ci scarnifica fino all’osso comeuna spada tagliente (cf Eb 12,4). La lettura e il commen-to che abbiamo fatto ci obbligano a una presa di posizio-ne personale nei confronti di Dio e dei nostri stili di vi-ta. Le domande sono individuali. Chi è Dio «per me?». Ilcomportamento del padre che perdona senza chiedere incambio nulla, un perdono gratuito, senza condizione miscandalizza oppure mi rivela un «volto nuovo» di Dio cheprima non immaginavo? Ritengo che il comportamentodel padre sia «ingiusto» secondo i miei criteri della giu-stizia che spesso si avvicina fino a confondersi con la ven-detta? A quale dei personaggi della parabola mi trovo piùvicino? Per quali motivi? Ha senso la mia pratica religio-sa, dopo avere vissuto questa parabola dal punto di vistadel padre/Dio?

Tutte queste domande e molte altre ancora tracimanodentro di noi perché la parabola lucana è uno spartiac-que tra il «dio-idolo», che a volte ci costruiamo per gio-care a fare i religiosi, e il «Dio-Misericordia» che tranciala logica umana, esigendo da noi uno stile di vita divino,in forza del principio evangelico: «Siate perfetti come èperfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48).

Il cristianesimo è tutto qui: non è una morale, né un si-stema di pensiero, né un’organizzazione, né una religio-ne, ma è solo una «imitazione» che si trasforma in simbiosidi vita e prospettiva con una Persona. Se non impariamonei nostri rapporti, contatti, pensieri, parole, ideali, at-teggiamenti, ad agire come Dio, la nostra religiosità è unfrancobollo da cui è evaporata la colla.

Ripercorriamo brevemente il cammino fatto con Luca ela sua parabola. Siamo partiti da alcune domande posteda un lettore: «Da dove Lc ha attinto questa parabola, nonessendo apostolo? Come spunta questa meravigliosa “per-la”, visto che è esclusiva di Lc e non compare negli altri e-vangelisti? L’ha pronunciata veramente Cristo?».

Le domande sono radicali e dimostrano la poca fre-quenza, oltre la lettura di prassi, con la complessità dellaformazione dei vangeli e del NT. Un dato è certo: i catto-lici conoscono poco, pochissimo, quasi niente le sacrescritture, che dovrebbero essere il fondamento della lorofede. Essi, infatti, sono molto religiosi, ma scarseggianodi fede e di conoscenza. Officiano, senza amare.

CONOSCERE LA SCRITTURA E IL SUO CAMMINODi fronte a tali presupposti abbiamo proposto una car-

rellata veloce sulla formazione dei vangeli, spiegando chei vangeli non sono nati per tramandare aneddoti su Gesù,ma sono stati «predicati» per fare conoscere Gesù ai pro-pri contemporanei. Da questa predicazione orale, fatta dapersone innamorate di Gesù, sono nati i primi scritti co-me elenchi di miracoli, di parabole, di detti o sentenze aduso in genere dei catechisti e dei predicatori.

Questi documenti sparsi giravano per le chiese e co-minciarono a essere abbinati come «Parola di Dio» allalettura dell’AT nelle assemblee eucaristiche. A circa 30anni dalla morte di Gesù, quando ormai Paolo aveva va-licato i confini della Palestina e fondava chiese nell’at-tuale Turchia e in Grecia, l’evangelista Marco, per primo,inventa un genere letterario nuovo che chiama «vangelo»,preso più tardi a modello da altri due progetti pensati daMatteo e da Luca. Nascono così i vangeli «sinottici» per-ché se si mettono in colonne affiancate Marco, Matteo eLuca, si possono leggere simultaneamente o, come si di-ce in gergo biblico, in «sinossi» che significa «con un col-po d’occhio».

Lo schema dei vangeli «sinottici» è semplice: a) predi-cazione di Giovanni Battista; b) predicazione e attività diGesù, prima in Galilea e poi in Giudea/Gerusalemme; c)passione, morte e risurrezione di Gesù. A questo schema,in epoca successiva, Mt e Lc aggiungono i primi due ca-pitoli dei rispettivi vangeli che si chiamano in blocco«vangeli dell’infanzia», perché trattano di Gesù Bambino,ma visto e descritto alla luce della pasqua già avvenuta.

L’evangelista Gv non segue questo schema, ma si ponesu un piano più teologico, perché fa emergere una «cri-

DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (35)(LC 24,46)

a cura diPaolo Farinella

biblista

Così sta scritto

LA PARABOLA DEL «FIGLIOL PRODIGO» (24)

«DIO È AMORE» «Ridammi la gioia della tua salvezza e rendimi stabile in uno spirito risoluto» (Sal 51/50,14)

(Mt 23,26)

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stologia» alta: Gesù infatti fa lunghi discorsi che sono in-verosimili storicamente, mentre sono essenziali per ilprogetto di Gv che ci presenta Gesù, l’uomo di Nazaret,come il «Lògos» eterno incarnato nella storia.

Dopo questa premessa essenziale e didascalica, abbia-mo parlato del capitolo 15 di Lc, che riporta tre parabo-le secondo le bibbie ordinarie, mentre abbiamo dimo-strato che le parabole sono due, di cui la prima quella delpastore è ripetuta anche in versione femminile (la donnache perde e trova la moneta). Il capitolo 15 di Lc è unospartiacque, il vertice di tutta la rivelazione del NT, dopol’affermazione giovannea che «Il Lògos-carne/fragilità fufatto» (Gv 1,14). Successivamente abbiamo presentato iprotagonisti della parabola con una breve scheda storicadei pubblicani, scribi, farisei e sinedrio che fanno dasfondo e da pretesto alla parabola.

LUCA 15: UNA NUOVA PROSPETTIVAInfine, abbiamo avanzato l’ipotesi, che ci sta a cuore e

di cui siamo convinti: il capitolo 15 di Luca, compresaquindi la parabola del figliol prodigo, non è una inven-zione di Lc, ma è un «midràsh» del capitolo 31 di Gere-mia. Abbiamo spiegato che il midràsh è un modo giudai-co di esegesi che si basa sul prin-cipio che la scrittura si spiegacon la scrittura. Lc prende il testodel profeta Geremia che appar-tiene all’AT e lo commenta noncon un altro testo dell’AT, ma condue parabole messe in bocca aGesù, dicendoci così che la paro-la di Gesù è sullo stesso pianodell’AT: è Parola di Dio.

Gesù ha parlato ai suoi uditoridi pecore, di monete e di figli: neabbiamo molti esempi nei vange-li; ma nella forma espressa da Lc,l’intero capitolo è una costruzio-ne per tradurre in forma cristianail capitolo 31 di Geremia che par-la di un pastore, di una donna e didue figli.

Il contesto di Geremia è «lanuova alleanza» (Ger 31,31) che èla chiave di comprensione di tut-ta la vita di Gesù. Egli porta la no-vità di un Dio che trasforma la vendetta in perdono, l’e-sclusione in inclusione, l’emarginazione in elezione, ilpeccato in grazia, il rifiuto in accoglienza. La novità ri-guarda anche la religione: dagli atti esterni di culto pub-blico o privato si passa all’adesione del cuore, all’eticadell’intenzione, alla purezza del cuore, al perdono senzacondizione.

In MC (Luglio/agosto 2006) scrivemmo: «Lc 15 è dun-que un midràsh di Ger 31 o, se si vuole, una omelia checommenta il testo profetico. La comunità cristiana delleorigini prima e Lc successivamente hanno riletto il capi-tolo 31 del profeta Geremia con gli occhi fissi su Gesù,tanto che l’evangelista nel redigere il capitolo, ha mante-

nuto lo stesso ordine dei personaggi come si trovano nelprofeta: un pastore, una donna, un padre con un figlio.Per potersi rendere pienamente conto di quanto profon-do e attualizzante sia il rapporto tra Lc 15 e Ger 31, è ne-cessario leggere il testo del profeta Geremia e quello diLc in sinossi, cioè in modo speculare»: nello stesso nu-mero mettemmo a disposizione dei lettori i due testi aconfronto per vederne somiglianze e differenze.

Noi cattolici siamo abituati a leggere il vangelo e il NTin genere con la nostra mentalità occidentale latina, sen-za alcun riferimento, se non in forme marginali, all’am-biente vitale dove questi scritti sono nati, sono stati pen-sati e sono stati messi su pergamena.

IL GIUDAISMO, AMBIENTE VITALE DEL VANGELOA questo scopo, abbiamo insistito molto nel dire che

corriamo il rischio di non capire il 90% del vangelo se cilimitiamo a leggerlo con le nostre categorie culturali enon ci sforziamo di situarlo nel suo ambiente vitale, cul-turale e religioso del suo tempo. Gesù è un ebreo, Mariaè un’ebrea, Giuseppe è un ebreo della stirpe di Davide,gli apostoli sono ebrei osservanti, i primi cristiani sonoebrei figli di Abramo: non possono non pensare e non e-

sprimersi da ebrei. Essi conosco-no non solo la scrittura ebraica,che è Toràh, i Profeti e gli Scritti(corrispondenti ai nostri Sapien-ziali), essi conoscono anche especialmente la «bibbia orale»,che è tramandata solo oralmenteattraverso la predicazione e la si-nagoga con i Targum e i Midràsh.

Affinché non andasse perduta,la maggior parte della predicazio-ne orale fu messa per iscritto du-rante la diaspora tra il sec. II e ilsec. VI d.C., ottenendo così i testiche conosciamo con il nome diMishnàh, Talmud, Tosèphta,Ghemarà, che riportano i com-menti alla scrittura di tutti i saggid’Israele dal sec. III a.C. al sec. VId.C. È un materiale immenso, cer-tamente tardivo, ma che contienemateriale anche antico da valuta-re di volta in volta. Noi cattolici

non conosciamo quasi nulla di tutto questo e spesso ciscandalizziamo, perché consideriamo il NT un frutto deltutto avulso dal mondo che lo ha generato e partorito.Finché non si ritornerà alla bibbia come libro fonda-mentale della nostra fede, basato nel contesto giudaico,il nostro cristianesimo sarà molto superficiale e anchefalsato.

Abbiamo presentato la parabola, cercando di eviden-ziarne il vocabolario peculiare, mettendo in risalto ilcomportamento del padre che riflette il modo di esseredi Dio nei nostri confronti. S’è scoperto che il figlio mag-giore è rappresentativo del mondo farisaico, che rigettaGesù per difendere il proprio potere, e che il figlio mi-

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dell’opportunismo, del comportamento cioè di chi tra-ma nell’acqua senza mai esporsi. Egli ha goduto, almenocrediamo di averlo bene chiarito, della partenza del figlioe già faceva i calcoli della «sua roba» alla morte del padreche aspettava con ansia. La sua vita è rovinata dal padreche accoglie il fratello e, come è stato assente per tuttala sua vita dalla vita del padre, così alla fine egli resta fuo-ri del banchetto e non può indossare l’abito delle nozze.Egli che è rimasto sempre in casa, di fatto era partito daun pezzo ed era rimasto lontano, molto più lontano delpaese dove è andato a gozzovigliare il fratello; il minoreinvece, andato fisicamente via da casa, è tornato perchénel suo cuore, anche a sua insaputa, era rimasto legatoal padre di cui aveva inconsciamente nostalgia.

GLI ULTIMI PRECEDONO I PRIMIAbbiamo pure visto concretizzarsi la «legge» biblica del

ribaltamento delle posizioni codificato nel Magnificat diMaria e la «legge della sostituzione» che percorre la bib-bia dalle origini alla fine: l’ultimo prende il posto del pri-mo e il secondogenito subentra nell’asse ereditario al pri-mogenito. Strano e illogico, secondo i parametri umani,il Dio che è delineato nella parabola del figlio prodigo!

Egli è un Dio senza dignità e senza rispetto per se stes-so, perché, travolgendo ogni costume sedimentato e o-gni razionalità, si «mette a correre» per venire incontro achi non ha più speranza, a chi è morto e bandito dalla so-cietà e dalla religione. Egli è un Dio senza pudore che ab-bandona il tempio, le chiese, conventi e monasteri, dovei figli sono al sicuro e corre per le strade del mondo a cer-care la pecora smarrita, la moneta perduta e il figlio tra-viato. A buon diritto il lettore può dire: egli viene per me.

Un’attuazione pratica della parabola si ha nell’eucari-stia, che è il commento sacramentale, o «midràsh sacra-mentale», della parabola della tenerezza del Padre che tra-sforma la vita del Figlio unigenito in parola, pane e vinoperché i figli dispersi e smarriti possano rifocillarsi nell’a-scolto, nel cuore e nel corpo per ritrovare il Volto di Dio,che in Gesù si manifesta e rivela a noi come Padre/Madre.

È questo il senso ultimo della parabola della paternitàsconfinata che sa rigenerare, perché ama senza scopo esenza interesse. Se dovessimo sintetizzare il capitolo 15di Lc in una parola, non avremmo dubbi perché c’è unasola parola, come ci suggerisce Paolo in 1Cor 13, e que-sta parola è «Agàpē», il nome nuovo del Dio di Gesù Cri-sto: «Dio è Agàpē» (Gv 1Gv 4,8) che tradotto alla letterasi può rendere con «Dio è Amore a perdere».

nore ha tutte le caratteristiche dei pubblicani. Comequesti, anche il minore non è giustificabile, ma nella lo-gica della parabola non è determinante che egli chiedaperdono, come spesso si legge nei commenti e negli usiliturgici di questa parabola, perché il cuore della paginanon è il figlio minore o maggiore, ma è l’accoglienza delpadre/Dio, che previene i figli al di là dei loro meriti.

In sostanza abbiamo visto che il significato ultimo del-la parabola è la tenerezza di Dio, che si commuove finoalle viscere se vede un figliolo che si sta perdendo in «unpaese lontano»: egli allora spinto dal suo viscerale amoresenza fondo e senza confini, perde se stesso pur di gua-dagnare il figlio/figli. Alla fine abbiamo scoperto con a-marezza che riesce nel caso del figlio minore, ma falliscenel caso del figlio maggiore.

LETTURA SCIENTIFICA E INSEGNAMENTO SPIRITUALEAbbiamo impegnato 15 puntate per commentare i sin-

goli versetti della parabola lucana, mettendo in evidenzaanche aspetti psicologici, oltre che esegetici, pastorali espirituali: il nostro commento infatti non voleva esseresolo un rendiconto asettico delle questioni letterarie otestuali, ma un momento di valutazione anche della no-stra vita alla luce della parola di Dio, più profondamentecompresa. Lo studio della bibbia più è scientifico più di-venta spirituale, perché dandoci il senso genuino del te-sto scritto, ci permette di entrare nel messaggio autenti-co della rivelazione.

All’interno del commento abbiamo imparato il signifi-cato del vitello grasso, il cui sacrificio ristabilisce i termi-ni dell’alleanza qui tra figlio e padre e in termini più ge-nerali l’alleanza che in Gesù si stipula tra l’umanità e Dio,fermo restando il mestiere per eccellenza di Dio che è lamisericordia. «I sandali, la tunica e l’anello» ci hanno sve-lato il senso nascosto nella tradizione giudaica di reinte-gro nell’eredità materiale, nella dignità personale e nel-l’identità filiale; siamo così arrivati a scoprire il capovol-gimento delle situazioni di partenza: il figlio che ha chie-sto la vita del padre per poterla sperperare nella dissolu-tezza e nell’impurità (paese lontano) ora si ritrova im-merso in quella stessa vita che lo ha salvato dall’infernodella dannazione (porci) e dalla presunzione di se stesso.

LA CONVERSIONE INTERESSATATroppa retorica si è fatto attorno al figlio prodigo e al-

la sua conversione, tanto che è diventato un classico, du-rante la quaresima, imbastire una liturgia penitenzialedove lo si prende a modello di conversione e di penti-mento. Il figlio minore invece è motivato dalla «necessitàdi sopravvivere» e la sua conversione, se c’è, avviene do-po, nel silenzio della parabola, quando il padre lo fa en-trare nella sala del banchetto con la veste nuziale che glicambia l’aspetto e quello che più conta il cuore. Ancorauna volta è il padre il perno di ogni movimento.

Abbiamo anche ridimensionato drasticamente il figliomaggiore, verso il quale si è di solito più indulgenti, per-ché apparentemente non ha mai dato dispiaceri al padre,restando sempre in casa. Il commento ha evidenziato lanatura perversa di questo figlio, simbolo del fariseismo e

Nota. Dal prossimo numero cominceremo il commento alracconto delle nozze di Cana, sempre in chiave del contestogiudaico per scoprire il senso nascosto e poco conosciuto diquesto racconto che è un commento all’alleanza del Sinai e aquanto l’ha preceduto. Ricordiamo di nuovo ai lettori la raccolta dei primi due anni diquesta rubrica: PAOLO FARINELLA, Bibbia parole segreti misteri, IlSegno dei Gabrielli Ed. 2008, € 13,00. Chiedere in qualsiasi li-breria cattolica o direttamente all’Editore: tel. 045 7725543 - fax 045 6858595; e-mail: [email protected]. In primavera sarà pubblicato un volume con tutta la paraboladel figlio prodigo.

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DOSSIER

Reportage sulla cooperazione internazionale laica e religiosa

testo e foto di Romina Remigio

MISSIONI CONSOLATA

INSIDE TANZANIA

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DOSSIER

Un giornalista non è soloun rigoroso traduttore

di informazioni, ma ancheun cantastorie. La voce dichi non ha voce. Gli occhi dichi non può o non vuole ve-dere. Ha la possibilità e lacapacità di potersi fermare.Fermarsi a riflettere, os-servare, parlare, ascoltaree ascoltare. E questo hoscelto di fare per sei mesi divita in Tanzania. Il mio rapporto con il Tanza-nia è stato da subito visce-rale. Il 15 dicembre 2007la prima sensazione è statadi soffocamento. Un ventocaldo, umido mi ha bloccatole narici e i polmoni, ma ilcuore era tornato a casa.«Inside Tanzania» non è so-lo un reportage. Ma unesperimento di sei mesi divita a Mbagala, periferia diDar Es Salaam, e in altrislum musulmano-integrali-sti, vivendo la quotidianità egli effetti della cura antire-trovirale su malati diAids/Hiv. Insieme. Come lo-ro e con loro. Questo era ilmio obiettivo.

Un progetto di reportagenato nel luglio 2007

con la mia collega Alessan-dra Sinibaldi per indagarecome mai nonostante la mo-le mondiale di fondi stanzia-ti da qualsiasi tipo di asso-ciazione, ente o strutturagrande e piccola per pro-getti in Africa, questa terracontinuasse a morire ineso-rabilmente. Un’inchiestasulla cooperazione interna-zionale decentrata e non,laica e religiosa. Avevamo passato un mesea girare fotografando e la-vorando senza freni. Inter-viste, riprese, traduzioni, vi-site, libri, incontri nei villag-gi con musulmani, cristiani,protestanti, malati, dottorie scatti e scatti.

Sono tornata in Tanzania il 15dicembre 2007, stavolta sola.Alessandra ha dovuto subire

un intervento al ginocchio.Il soggetto del reportage era lo

stesso: indagare come vengono in-vestiti e impiegati i fondi interna-zionali per la cura dell’Aids. Ma perfare ciò dovevo prima di tutto ren-dere «protagonisti», nel reportagee nella mia vita, la gente dei villag-gi. Dovevo diventare una di loro.Rassicurarli e farmi conoscere.

Sono stanchi di essere fotografa-ti da jeep cariche di bianchi, che

scattano per riportare a casa la fo-to del poverissimo africano. Ormaiè un rito per molti volontari di on-lus o associazioni fare il cosiddet-to «giro turistico» per i villaggi, ma-scherato anche dal termine «eco-turismo» ora estremamente dimoda, ma pochi sono gli esempi dieco-turismo nel senso etimologico.

I masai sanno dai loro fratelli im-piegati nei villaggi turistici e da-vanti a resort, rigorosamente ve-stiti con gli indumenti tradizionalie costretti a scimmiottare la lorocultura per affascinare il turista,

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Dove gli aiuti... aiutano davvero

Pur disponendo di enormi risorse leorganizzazioni internazionali non riescono araggiungere risultati soddisfacenti sia nel campodello sviluppo che nella lotta all’Aids in Africa.Missionari e missionarie, invece, con scarsissimiaiuti e senza la ribalta mediatica, riescono a fareautentici miracoli a favore della popolazione. Lo evidenzia una giovane giornalista nel suodocumentario «Inside Tanzania», elaborato in sei mesi di vita africana.

Una scena caratteristica in una via di Mbagala, periferia di Dar Es Salaam.

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MISSIONI CONSOLATA

che molti bianchi realizzano fotoche poi vendono a riviste, quindivogliono essere pagati.

Per sei mesi con la genteLa maggior umiliazione per un

fotoreporter è pagare il suo sog-getto. È la via più semplice e velo-ce per non instaurare nessun tipodi contatto o fiducia, ma dalle fotoquesta sensazione salta agli occhi.

Ho vissuto nella periferia più de-gradata, colpita da quella piagache sta «fucilando» l’Africa da de-

cenni. Senza acqua, senza luce, in«case» con lastre di lamiera infuo-cate, dove solo delle coraggiosis-sime missionarie operano la loroevangelizzazione. Nei campi, nel-le moschee e madrase, davanti aun piatto di polenta e fagioli e da-vanti a un piatto vuoto, su stuoie,negli ospedali e nei dispensari.

Ho vissuto sei mesi della mia vi-ta seguendo famiglie che mi han-no accettato come figlia, sorella eamica, nella loro speranza di guer-ra all’Aids, scoraggiandomi e en-tusiasmandomi con e per loro. Vi-

vere sei mesi, nella stagione piùcalda dell’anno, nella zona più cal-da, e satura di persone non è sta-to facile! Ma la voglia di racconta-re attraverso la mia macchina e lamia stessa pelle questo spaccatodi vita vera era più forte di qual-siasi malaria, malattia o paura.

Incontri con realtà... specialiLa curiosità, l’interesse giorna -

listico e, prima ancora, la voglia dicapire e raccontare mi hanno fat-to girare gran parte del Tanzania,

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BASTA MOSCHE ...SUGLI OCCHI

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DOSSIER

indagando e scoprendo le realtàmolteplici di cooperazione. Ho co-nosciuto realtà di fede profonda,di ritmi di vita scanditi dalla paro-la di Dio.

Da un Dio che scuote il corpo ela mente sostenendoti in lavorimassacranti di aiuto gratuito.

E ho visto realtà di egoismo e su-perficialità che sembrano giocarecon la vita delle persone e con i sol-di dei fondi mondiali. Ho conosciu-to anche grandi associazioni comeil «Cuamm», «Medici con l’Africa»,il cui personale medico è attivo an-che in strutture governative.

Uno di questi medici è Mario Bat-

tocletti, medico chirurgo, pressol’ospedale governativo di Iringa, acui fa capo più di un milione di per-sone. Mario vive a Iringa con suamoglie e i suoi tre bambini. Quan-do sono andata a casa sua, ho sco-perto un grandissimo professioni-sta con il sogno di lavorare in Afri-ca e salvare vite. Ed è quello che fada mattina a sera, scontrandosicon la realtà confusa e purtroppocorrotta della società e dell’ospe-dale. Ma non si arrende.

Poi ci sono i laicimissionari e sin-goli volontariche fanno tanto

e lo fanno senza rumore, ma concreatività, ingegno e impegno. Piùosservavo, giravo, conoscevo, epiù sentivo che questo reportagestava diventando una missione.Una missione di informazione nonsolo sul Tanzania, stato scono-sciuto se non per la bellezza deisuoi parchi e delle sue spiagge, masul mondo dei missionari che ope-rano in un continente a noi ancorasconosciuto seppure ne siamo as-suefatti.

Assuefatti all’idea che i media cihanno sempre proposto e conti-nuano a propinarci, alla convin -zione che come l’Iraq, l’Afghani-stan, sono realtà irrisolvibili ma perquali fattori? Perché? Conosciamosolo il bimbo con la mosca nell’oc-chio e la pancia gonfia, la guerra inSomalia, i bambini soldati, le vio-lenze in Congo, Ruanda, Darfur e lemeravigliose spiagge di Zanzibar,Pemba, Sharm e Marsa Alam!

Tra stereotipi e disinformazioneChi conosce l’Africa (non me ne

vogliano i grandi esperti di geopo-litica, cultura e tradizioni) è chi leg-ge i giornali missionari che attra-verso le voci, le testimonianze dimissionarie, missionari, volontarie operatori di pace, che vivonotrenta, quaranta, settanta anni la

realtà, hanno la voglia e la pa-zienza di fermarsi ad ascolta-re, aiutare e poi raccontare.

Chi vive la quotidianità deigiornali, degli special tele-

visivi ha imparato at-traverso esponentidel mondo dello

spettacolo, inoti «amba-sciatori» adonare uneuro attra-verso l’smsall’Africa chenon va mai

In alto, suor Ida con la signora Anastasia, colpitada fortissime febbri malariche, ricoveratanell’ospedale di Mbagala, gestito dallemissionarie della Consolata.

Mbagala: Dodo concoraggio e forza divolontà sfida e superail suo handicapfisico.

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che attraverso la pubblicità pre-sentano modelli sbagliati..., masarà anche colpa nostra, che ab-biamo perso di vista i valori fon-damentali di dignità, onestà e se-rietà e li abbiamo sostituiti con lacorsa frenetica al raggiungimentodel denaro.

Una carissima amica missiona-ria, di una saggezza stravolgente,mi disse un giorno: «Voi andateavanti seguendo la regola delle treS: sesso, successo e soldi». Noigiovani, usciti da poco dalle uni-versità, non possiamo che confer-mare che il fine delle lauree è gua-

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avanti... a quell’Africa che muoredi fame sempre e comunque. Al-l’Africa fatta di uomini e padri cheschiavizzano le mogli e i figli purdi non lavorare, a un popolo chemuore di Aids perché superficialee poligamo.

E poi veniamo a scoprire che tut-to il denaro mandato tramite sms,per il Darfur o per le famiglie col-pite dallo tsunami non è mai arri-vato a destinazione. È bloccato inuna banca belga o svizzera, ma èsolo questione di tempo, recita lasmentita sui giornali, ma comenon c’era un’emergenza?

A me verrebbe da dire «tanto cisono i missionari che, attraversoamici, parenti, benefattori e l’ani-mazione, sono in grado di aiutarela gente, anche senza milioni didollari!».

Allora due sono le cose o i mis-sionari, avendo la corsia preferen-ziale di dialogo con Lui, riescono amoltiplicare i soldi, come Qualcu-no moltiplicava i pesci, o sono an-geli straordinari prestati a noi co-muni mortali per insegnarci a vi-vere.

E l’interrogativo dominante: «Macome mai, sono decenni che man-diamo, mandiamo e rimandiamosoldi attraverso queste grandi as-sociazioni e la situazione è dege-nerata in un’emorragia acuta? Il da-to certo è che se ne sono sentitetante. E la gente non si fida più o,se si fida, è perché la comunica-zione di quella associazione è sta-ta fatta seguendo le teorie e le tec-niche migliori della comunicazio-ne di massa.

Una comunicazione che ha scre-ditato e criticato in maniera velatama fin troppo efficace, per anni, lacooperazione religiosa di congre-gazioni presenti da decenni chedopo sessanta, settanta, cento an-ni ora sembrano non essere più ingrado di insegnare, curare e aiuta-re. Io da conoscitrice del mondogiornalistico la spiegherei attra-verso due fattori.

Primo fattore: sono religiosi. E inItalia sappiamo che qualsiasi per-sona sia religiosa o legata alla chie-sa, da sempre sinonimo di sfarzoe di eccesso, non va più di moda.Pensateci!

È vero che ci sono tanti laici chehanno una fede profonda, ma sesiamo arrivati alla società attuale,sarà colpa dell’economia che nonva, dei nostri governanti che nonsanno fare il loro lavoro, dei media

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Stracci e persone, persone e stracci. Sporcizia, zanzariere bucate, mu-ri neri, porte e finestre arrugginite. Mi ritrovo a scavalcare cadaveri.

Gente sui letti e gente sotto i letti, su stuoie o materassi finiti. Lamenti,gemiti rauchi di chi non ha più voce. Occhi fuori dalle orbite che fannorumore. Ti fissano, ti cercano, vogliono toccarti, ti chiedono: perché? Cor-pi finiti, pelle tesa, giovani vite troppo malate. Non c’è futuro per loro. So-no tutti malati terminali di Hiv, ma per i loro cari saranno tutti morti didiabete. Tuttora paura e discriminazione sono forti. E dire la verità è co-me vendere la pietà.

Esco dall’ospedale di Temeke, uno dei due ospedali governativi di DarEs Salaam, impotente. Gli occhi e le orecchie mi fanno male. Immagini disguardi, sorrisi e corpi si affollano nella mia mente. Alla mia missionarianon servono parole per capire cosa provo. Il mio senso d’impotenza è ilsuo. Il mio dolore è il suo da anni. Per il governo sono solo malati. Per suorIda sono persone che hanno bisogno di un conforto e un sostegno psi-cologico e religioso.

Suor Ida scuote la mia mente, fissa in quelle immagini, con le mille co-se da fare. Daladala (minibus), jeep e tassisti mi sfrecciano a destra e si-nistra sulle uniche strade asfaltate dai giapponesi. Il mio corpo bolle suun sedile ormai bagnato. Salto cercando istintivamente di evitare la pros-sima buca tra l’asfalto nuovo e la vecchia non strada. Attraversiamo laKilwa Road da mesi in rifacimento e non saranno solo i polmoni a risen-tirne, ma anche i miei capelli che diventeranno ogni volta sempre più ra-sta e di un giallo paglierino intenso.

Mi dirigo all’Ocean Road, ospedale per la cura del cancro, l’unico inTanzania, paese con oltre 60 milioni di abitanti.

Tornerò spesso a visitare le mamme e giocare con i bambini prima diriuscire a scattare. Occhi sgusciati via e sorrisi maestosi per un occhio dicapra. Pance gonfie, seni amputati, lesioni, fratture, bozzi di ogni tipo edimensione. Oggi ho la macchina al collo e la mia fedele traduttrice. Miriconoscono, mi chiedono da dove vengo. Di quale tribù sono. E inizio ascattare con la loro complicità. Sono l’amica mzungu (bianca) che già satutto. I bimbi mi corrono incontro.

Ho giocato con loro, li ho abbracciati e baciati senza paura, reazionenon comune in questa parte di mondo terrorizzata dalla trasmissione delvirus, tanto più che io sono la mzungu. Il pregiudizio del bianco carico didollari è duro a morire in una società dove cooperazione è significato, peranni, il bianco che regala dollari in base all’orrore delle miserie e dei dram-mi fisici.

Occhi stanchi, spenti, vuoti, sgranati mi fissano. La mia amica mi invi-ta a fare come lei. Ascoltarli, parlare con loro, far loro sentire che non so-no soli. Che nonostante tutto questo dolore, c’è il Signore che li sostienee li ama incondizionatamente. Lei ci riesce benissimo. È una sua dote in-nata. Io dalla mia parte ho una genetica vivacità dialettica, ma purtropponon su questo argomento.

Mi siedo sui letti, sulle lenzuola infette da un corpo malato. La meravi-glia apre i loro cuori. Raccontano la vita, vengono da tutto il Tanzania.Hanno percorso centinaia di chilometri in bus. E io conosco quei bus!

Hanno figli grandi e piccoli, mariti e campi che hanno dovuto lasciare ela preoccupazione è tanta. Parlano e ridono del mio kiswahili sgramma-ticato. Le storie sono drammatiche e tristi fin dentro al midollo. Eppure lisenti pregare.

AMICA MZUNGU

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dagnare, guadagnare per permet-tersi tutto.

Il secondo fattore per cui attual-mente i missionari non hanno piùil successo di una volta è che nonsono dottori. Sono poche le voca-zioni. Poche le missionarie dotto-resse e i missionari dottori laurea-ti. In un dispensario in capo almondo, in una zona dove non c’èluce, acqua, ma solo povertà e ma-lattia ci sono suore missionarie set-tantenni, solo infermiere, che la-vorano 15-18 ore al giorno, inse-gnando e formando praticamenteClinical Officer, capaci di sostituir-le un domani, ma per i nostri dot-torini e dottori delle Ong, non van-no più bene. «Non sono preparate.Sono superficiali» mi sono sentitaripetere.

Dove finiscono gli aiuti?Potrei fare un elenco delle strut-

ture internazionali e associazioniche operano in Tanzania con me-todologie e scopi diversi dai mis-sionari. Ma non è il mio obiettivo.

Con il mio reportage non ho af-fatto intenzione di osannare solole missionarie della Consolata, poi-ché ho incontrato tante congrega-zioni cattoliche; mi ha molto col-pito, per esempio, la realtà dellemissionarie della Carità, le suore di

ragazzi e adulti che abbiano fortihandicap mentali e fisici, una sor-ta di Cottolengo.

Anzi le suore del Cottolengo cisono in Tanzania, ma anziché mantenere il carisma che hanno inItalia, con il lavoro straordinarioche portano avanti, in Tanzania sioccupano della pastorale... forseanche il carisma oltre oceano su-bisce un cambiamento climatico,fisico!

Ma non posso, inoltre, non sot-tolineare la diffidenza motivatadelle persone quando si parla di of-ferte, donazioni e aiuti economicia istituti religiosi che magari sem-brano sconosciuti o inaccessibili

Madre Teresa, che accolgono orfa-ni anche con gravi handicap e an-ziani. Anche i protestanti anglica-ni e luterani, le associazioni di lai-ci missionari o volontari fannotanto e bene.

Mi ha lasciato molto perplessainvece, il fatto che in uno stato do-ve il 10% della popolazione nascecon handicap fisici e mentali, no-nostante la massiccia presenzadelle Ong e associazioni di aiuto,non ci sia in tutto il Tanzania unastruttura di ricovero per bambini,

Camion carichi di legname,esportato illegalmente dalle foresteattorno a Kibiti.

Allamano Centre a Iringa, fondato e gestito dalle missionarie dellaConsolata.

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materialmente, perché talmenteimpegnati sul campo che sono fuo-ri dalla comunicazione on-line, te-lefonica satellitare e per principipropri, fuori dalla pubblicità capil-lare.

Mai nessun missionario dellaConsolata manderà cartoline, fotodi bambini tristi e malati, a tutti gliitaliani, augurando loro buon na-tale, buona pasqua, buona festadella mamma e del papà... per col-pire il cuore e le menti degli italia-ni, popolo statisticamente tra i piùsentimentali e sensibili al mondoin materia di aiuto, nonostante ilmaterialismo dominante, direbbequalcuno!

Non sarò certo la prima a farescoop o a dichiarare che istituzio-ni mondiali come l’Unicef, spen-dono l’85% delle loro entrate trapubblicità e stipendi, lo stesso va-le per la Croce Rossa e una miria-de di associazioni, grandi e picco-le, che ci mandano bollettini, car-toline, e-mail... chiedendo offerte.

Con ciò non voglio dire che que-ste grandi realtà non abbiano fat-to nulla di concreto negli anni, an-zi! Il punto è però un altro: se sihanno a disposizione dieci, venti,cento milioni di dollari e l’85% vie-ne investito non nell’istruzione,nella lotta all’Aids e alla malaria(che, non dimentichiamo, in Africaprovoca la morte di un bambinoogni 5 minuti, ma piuttosto in sti-pendi, pubblicità, trasporti e tuttociò che riguarda la gestione dell’i-stituzione, è evidente che non riu-sciremo a fermare un bel niente, acambiare nulla.

Ci saranno solo progetti che par-tiranno e avranno un iter di due an-ni, cinque anni, fino al momento incui ci saranno i soldi decisi e stan-ziati. Il progetto non sarà rifinan-ziato e il dottore di turno a capo,andrà via e tutto tornerà come pri-ma. Secondo lo stesso Mario Bat-tocletti: «Il problema è la non coo-perazione tra le realtà private inprimo luogo tra loro, e poi conquelle statali. Non c’è una pro-grammazione di governo, ma èpur vero che sempre più spessoogni Ong tende a fare autonoma-mente e quindi c’è una dispersio-ne di aiuti».

Un approccio diversoAltra cosa che mi ha fatto riflet-

tere e decidere di farmi portavocedei missionari e in particolare del-

periore alla paga stabilita dal go-verno.

I ritmi sono diversi. In un di-spensario non c’è orario. A Mba-gala, periferia di Dar Es Salaam, ildispensario delle missionarie del-la Consolata visita quotidiana-mente dalle 500 alle 600 persone.Non ho mai visto suor Franca LidiaCochis, la suora che lo gestisce,mandar via qualcuno. Ho sentitoinvece dalle due di notte, passi si-lenziosi di mamme che si mette-vano in fila, dopo aver percorso20-30 km per far vedere i lorobambini alla sister, perché l’uma-nità è diversa. L’approccio e la cu-ra sono diversi. Lo staff professio-nalmente competente visita, pre-scrive, fa iniezioni e dà le stessemedicine a prezzi inferiori.

Suor Franca Lidia, con un imma-ginabile sforzo, gira tutta Dar Es

le missionarie della Consolata, at-traverso un reportage che fosseuna missione di sensibilizzazionee informazione sulla realtà tropposcomoda delle grandi strutture dicooperazione, è la vita stessa e lestrutture dei missionari rispetto al-le altre. A livello igienico, sanitario,lavorativo ho visto e fotografato di -spensari e centri gestiti da missio-nari, in villaggi senza acqua e luce,che non hanno nessuna carenza ri-spetto alle strutture delle Ong. Cer-to minor personale, ben pagato,logicamente non come quello del-le «grandi», ma di gran lunga su-

In alto, il dottor Mario Battocletti con un paziente nell’ospedalegovernativo di Iringa.Sopra, suor Franca Lidia accoglie i malati nella clinica di Mbagala.

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1. Un’infermiera nel dispensario delle missionarie dellaConsolata a Mbagala.2. Un reparto dell’ospedalegovernativo di Temeke(Dar Es Salaam).3. Bambino natoprematuro all’ospedalegovernativo di Iringa, dove manca l’incubatrice.4. Camera di un asilotenuto dalle Missionariedella carità.

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5. Pazienti con gravimalattie agli occhi, curatinel dispensario di Kibiti. 6. Una corsia dell’ospedalegovernativo di Ocean Road(Dar Es Salaam).7. Kibiti, lezione di suorVivalda nel dispensario di maternità.8. Mbagala, una famiglia in preghiera.

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Io non pretendo e non posso da-re risposte e soluzioni ai problemiriguardanti il bisogno di fondi eco-nomici per la cura antiretrovirale oper le strutture dei missionari, mami chiedo e vi chiedo: nel momen-to in cui scegliamo di lavorare nel-l’ambito della cooperazione è per-ché abbiamo interesse e obiettivia realizzare qualcosa che sia di aiu-to a quello stato e alla sua genteperché in difficoltà.

Quindi possiamo anche declina-re l’invito a lavorare seguendo lenorme e gli standard mondiali dimarketing e pubblicità. Proviamoa fare i missionari! Abbiamo fami-glie, figli da mantenere, non pos-siamo lavorare gratuitamente per-ché la vita è altissima, è chiaro enoto a tutti. Non dico di fare solo ivolontari, ma anziché andare inuna parte del mondo per fare car-riera o ridurre gli anni che ci avvi-cinano alla pensione o per guada-gnare quattromila, settemila euroal mese, con progetti destinati asalvare la vita di esseri umani,grandi e piccoli, fermiamoci a unguadagno di mille, mille e cinque-cento euro e il resto investiamolonella totalità del progetto.

Per molti sarà un’utopia. La cer-tezza è che continuando così nonaiuteremo nessuno ma continue-remo solo a riempirci la bocca diAfrica, aids, malaria e morte, ali-mentando il binomio Africa=mor-te e a disperdere i fondi.

Un esempio...Ho conosciuto una coppia di ita-

liani a Dar Es Salaam che mi ha col-pito particolarmente: un medico

italiano, fisioterapista, AugustoZambaldo, che dirige il reparto diriabilitazione dell’ospedale Ccbrt(Comprehensive Comunity BasedRehabilitation, Centro riabilitativosu base comunitaria del Tanzania)che lavora nell’ospedale specializ-zato per problemi alle ossa (Ccbrt,Comprehensive Community BasedRehabilitation Tanzania), costruitoda una Ong tedesca, ottimo dalprofilo medico, e sua moglie Lau-ra, una graziosissima insegnante.

Augusto Zambaldo vive da più di20 anni in Tanzania con la sua fa-miglia. Ha lavorato per anni primain Kenya e poi in Tanzania in strut-ture ospedaliere anche di missio-nari, preferendo vivere con uno sti-pendio molto più basso rispetto al-la media dei suoi colleghi, con ritmi di vita altrettanto massacran -ti, animato solo dalla voglia di aiu-tare e sapeva di esserne in grado.

Le figlie sono nate in Kenya, han-no studiato in Tanzania e ora unafrequenta l’università in Italia. Au-gusto e Laura hanno scelto la stra-da più difficile. Non sono diventa-ti mai ricchi, materialmente, macredo che le emozioni che hannovissuto in questi decenni sono sta-te un’immensa ricchezza. Le diffi-coltà non sono state e non sonopoche soprattutto per l’equilibriofamiliare.

Mi raccontavano che una delle fi-glie voleva tornare in Italia, perchéla scelta di vivere in Tanzania aiu-tando gli altri, non era la sua, mala loro, gli ripeteva. È normale cheuna ragazza giovanissima, nata ecresciuta in Africa, una volta arri-vata in Italia, dove tutto sembrapossibile e realizzabile con minorsforzo, voglia vivere nel bel paese!

Augusto e Laura erano in crisiperché significava separarsi, dopouna vita vissuta sempre l’uno alfianco dell’altro. Augusto non con-cepiva l’idea di lasciare tutto e tor-nare, ma non poteva nemmeno di-re di no a sua figlia. Il lavoro di unmedico in quei posti è una missio-ne. E per Augusto lo è.

Laura aveva deciso di tornare inItalia per stare vicina alla figlia, maAugusto sapeva che un figlio ha bi-sogno di entrambi i genitori. Non socosa ha poi deciso Augusto, maqualsiasi sia stata la sua scelta credoproprio che non sia stato semplice.

Salaam per comprare le medicinea prezzi inferiori dai Medical Store.Perché lo fa? Non ha uno stipendio.Non è più giovanissima. È guidatasolo dalla fede e dalla scelta che hafatto cinquant’anni fa, quando hadeciso di diventare una suora mis-sionaria della Consolata.

Cambiare: si può e si deveNon ho visto uffici e centri delle

Ong nei villaggi di periferia dellegrandi città, degradati e difficili permotivi di ordine non solo sociale esanitario ma anche religioso, fattaeccezione per la zona di Iringa,realtà in cui c’è una maggiore con-centrazione di strutture di coope-razione e sviluppo. Una consisten-te presenza di tali uffici l’ho vista,invece, nella parte ricca di Dar EsSalaam, davanti all’Oceano India-no, dove la vita è altissima rispet-to alla media della popolazione e ilmare è un incanto. Ma questa scel-ta sarà stata solo una coincidenza!

In una delle proiezioni del docu-mentario con il quale sto girandol’Italia, con lo stesso scopo di sen-sibilizzare sulla realtà anche diffi-cile e traumatica nella quale ope-rano i missionari, perché è giustonon far vedere sempre e solo ilbambino con la mosca negli occhi,ma in troppi pensano che la vitadel missionario sia affascinante, inposti bellissimi, con ritmi di vitamolto più tranquilli dei nostri, conmeno preoccupazioni; allora il mioobiettivo è anche scuotere la gen-te, dicevo che mi ha colpito uncommento di un padre. «Siamo tutti missionari. Dal momento delbattesimo, siamo tutti missionari».

Il dottor Augusto Zambaldo direttore del reparto di ortopedianell’ospedale Ccbrt.

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Conosco suor Floriana Come, missionaria della Con-solata di origine mozambicana, già dal luglio 2007.

Fa parte della comunità della missione di Mbagala. Miha colpito subito per il suo impegno con i giovani. Ri-cordo serate a parlare fino a tardi, anche durante gli ul-timi sei mesi, delle problematiche del mondo giovani-le. Mi chiedeva, voleva capire, conoscere.

Ma suor Floriana non si preoccupa solo di insegnarein molte classi di 140-170 studenti delle SecondarySchool di Dar Es Salaam; gestisce come direttrice di-dattica una scuola materna a Mbagala, con classi riem-pite dai bimbi del villaggio, logicamente senza vincolidi religione. Musulmani, cattolici, protestanti. È mem-bro attivo della Pro-life in Tanzania, movimento mon-diale per i diritti della vita; è impegnata con un’asso-ciazione di donne del villaggio che fanno vari lavori eper ultimo, ma non certo come importanza, cerca conun’accurata selezione di concedere microcrediti con leofferte che arrivano dai benefattori.

Mi porta a visitare alcune donne: una farmacista, unasignora che vende carbone, una mamma che alle-

va polli. Ogni storia è impressionante per coraggio, for-za e inventiva. La prima, dopo aver studiato come far-macista, lavorava in alcune duka (farmacie) di indiani,che detengono il monopolio del commercio farmaceu-tico e medico, ma come consuetudine sempre sottopa-gata e sfruttata. Ha una famiglia. Un marito che lavorama vive la sua stessa condizione e lo sconforto au-mentava. Chiede un prestito a delle banche di Dar EsSalaam, ma i tassi sono troppo alti, poi sente di una si-ster Floriana.

La suora decide di aiutarla con un microcredito chenon segue le logiche della cooperazione internaziona-le. Nel senso che i microcrediti concessi dalle struttureinternazionali spesso chiedono dei tassi d’interesse sul-la restituzione, che portano il richiedente ad affondarecon le sue stesse mani. I microcrediti di suor Florianasono prestiti che hanno un contratto, ma dove l’unicoobbligo per il richiedente è restituire il prestito conces-

sogli entro un determinato periodo di tempo o di anni. «È difficile concedere un microcredito - mi dice Flo-

riana -. Non posso negarti che tanti non hanno resti-tuito, ma una buona parte come queste donne che haiconosciuto, lo hanno fatto». L’entusiasmo, il sorrisodella ragazza farmacista mi contagia. E così la donnache vende il carbone, sola con figli a cui non vuole so-lo assicurare un piatto di polenta e fagioli al giorno, maanche un’istruzione, la possibilità di andare a scuola.

Adija, la donna che alleva i polli, è diventata un’im-prenditrice. Ha il marito malato, uno dei figli è nato conritardi mentali e la figlia più piccola le è tornata a casaincinta. Ha un pollaio molto grande con più di 150 pol-li, la cui cura in Africa non è semplice; pole pole (pianopiano) ha costruito un altro pollaio, ha risistemato lasua casa con il cemento e ha comprato un bel pezzo dishamba (terreno) che coltiva da sola con l’aiuto saltua-rio della figlia.

Come tutte le altre, ha restituito il suo prestito a suorFloriana e ora: «Sono contenta, perché vivo bene, la miafamiglia sta bene, mangia bene e mi sento realizzatacome donna, mamma e moglie» mi dice con un baglio-re negli occhi.

I POLLI DI ADIJA

Suor Floriana Come, missionaria della Consolatamozambicana, e la signora Adija.

Farmacia realizzata grazie al microcredito di suorFloriana.

Adija e il suo pollaio, realizzato mediante ilmicrocredito di suor Floriana.

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DOSSIER

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Un odore di cipolla, misto asudore e urina mi blocca lenarici. Joseph è lì che aspet-

ta solo di morire. La malattia è de-vastante. È devastato! Metastasi dipensieri mi bloccano il cervello. Ètroppo giovane. È un bravo ragaz-zo. Non si può morire così. Ma èsereno. Crede in Dio e mi dice chele missionarie della Consolata glihanno fatto sentire l’amore di Dioe le volontarie dell’Allamano Cen-tre lo aiutano.

La moglie non c’è. È andata a prostituirsi, per una manciata discellini, contagiando altri o andan-do con altri contagiati che a suavolta trasmetteranno il virus. Nonc’è famiglia che non sia stata col-pita dall’Aids. Il pombe, un fer-mentato alcolico, ubriaca la testa el’anima. E il virus si propaga. L’a-more e il sesso qui sono la stessacosa. L’amore è libero per natura.

Non ci sono preconcetti, non c’èprotezione, non c’è contraccettivomentale. «Siamo tutti malati. Il con-dom non ha fermato la trasmissio-ne, anzi - mi dice Joseph -, quindiè inutile rinunciare.

Due ore nel bush con Concet-ta e i volontari dell’Allama-no Centre, struttura per la

cura e il sostegno a malati siero-positivi, ideata, realizzata e gesti-ta dalle missionarie della Consola-ta, con l’aiuto di medici, psicologie personale tanzaniano.

Un caldo che ti scioglie il mi-dollo. Non sento più le labbra

arse dal caldo e il corpo. Sal-

tiamo buchi, attraversiamo campidesolati, mangiamo polvere. Con-cetta, una straordinaria italianache ha scelto di vivere qui aiutan-do le missionarie della Consolata ei tanzaniani, tira dritto. Guida de-cisa nel bush. Ormai lo conosce be-ne. È da più di un anno che ac-compagna i volontari dell’Allama-no Centre nel giro ai malatiterminali, quelli che non hanno piùla forza di andare al centro perprendere le medicine.

Ogni giorno è un colpo al cuore.Bambini e giovani che vede mori-re, o trova già morti. Ma Concettariesce a strappargli e strapparti unsorriso, sempre. E tutti le voglionobene. Girare con lei è un diverti-

Iringa: una giornata con i volontari dell’Allamano Centre

SCUOLA CON... BATTISCOPAFondato e diretto dalle suore missionarie della Consolata, l’Allamano Centrecomprende asili, scuole, ambulatori e assistenza medica, soprattutto conattività di prevenzione dell’Aids e di attenzione a famiglie e singole personesieropositive. Oltre a una ventina di persone impiegate a tempo pieno (medici,infermieri, consulenti, addetti ai laboratori, ecc.), il Centro si avvale dellacollaborazione di 70 volontari che giornalmente assistono i malati a domicilio.

Joseph, un malato terminale visitatoa domicilio.

Dora, una pazientedell’Allamano Centre

di Iringa.

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MISSIONI CONSOLATA

MC GENNAIO 2009 39

mento. Con un accento tipicamen-te campano parla in kiswahili. Do-po ore di sabbia, spine e campi digirasole, imbalsamati dal sole, ar-riviamo a casa di un altro malato.Anastasia. Cinque figli. Tre morti.Il marito già morto l’ha contagiata,forse senza saperlo.

Una lamiera arrostita a 35°, gira-soli a seccare. Un bimbo in lacrimeci viene incontro, spaventato e in-curiosito. Vivono talmente distan-ti dalla città e così internati nel bu-sh che avrà visto raramente i wa-zungu. Si avvicina, vuole toccare lamia macchina fotografica, ma siferma a dieci centimetri dal mio gi-nocchio e immobile mi fissa. Misfiora un ginocchio continuando afissarmi. Due grandi pupille neremi sfondano il cuore. Ha solo treanni e probabilmente è malato.

Torniamo a casa e ci accogliesuor Luisella Benzoni. Unapazzesca suora missionaria

che, oltre a prendersi cura di unasilo affollatissimo, insegna e sioccupa di altre cento cose, cometradizione per le missionarie dellaConsolata.

Luisella mi prende subito il cuo-re. Visito la sua scuola, che gesti-sce in tipico stile lombardo. Mi fasorridere la sua precisione, la suaorganizzazione in una realtà dovenon esiste ordine. Non esiste laparola organizzazione. E lei lo sabene e ride con me di questo. Dueocchi blu e un accento brescianoche mi hanno fatto ridere e diver-tire per settimane. La sua serietà eorganizzazione è direttamenteproporzionale alla sua ironia esimpatia.

Ma questa sua ironia, sono con-vinta, è una protezione contro la

disperazione che vive e sente ognigiorno. La sua scuola è un asilo escuola pre-elementare che ha bi-sogno di tanto, ma la sua cura e ilsuo amore lo fanno sembrare bel-lissimo. Personaggi della Walt Di-sney disegnati sui muri ci danno il

karibu (benvenuto) e 130 bambi-ni, bene ordinati, mi intonano l’in-no del Tanzania, mi cantano la Vec-chia fattoria, mimando gli anima-li e mi rendono partecipe in unaloro lezione.

Suor Luisella ha fatto una dellecose più difficili ma necessarie: in-segnare alle maestre e ai bambiniche la scuola è fondamentale maper essere accessibile a tutti deveessere curata, un senso civico chemanca da troppo tempo anche anoi italiani. Ho conosciuto le suemaestre che ridipingevano un bat-tiscopa, una cosa del tutto estra-nea alla cultura africana. Questodimostra quello che ho semprepensato e sostenuto: l’Africa nonha bisogno di una scuola da terzomondo, dove bisogna acconten-tarsi, dove la creatività fatta ancheda poco, l’ordine, la pulizia sonosolo eufemismi.

Concetta porta la frutta ai malatiterminali di Aids con i volontaridell'Allamano Centre.Lo staff dell'Allamano Centre a Iringa.

Sotto, suor Luisella con i suoibambini. A destra, una classe dellascuola di suor Luisella.

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DOSSIER

40 MC GENNAIO 2009

Sono ripartita da Dar Es Salaamil 21 maggio alle 21.20 con unvolo della Swiss Air, dopo aver

saltato per più di un’ora e mezzaper le strade di Mbagala, nel taxi diGoldwin, accompagnata da dueamiche speciali che hanno volutoaddolcire quello che sarebbe statoil trauma della partenza.

Era già notte, quando ho lascia-to Mbagala, il villaggio che mi haospitato per mesi; anche la luceelettrica come sempre se n’era an-data. Abbiamo caricato la macchi-na, illuminati solo da un cielo stel-lato straordinario, che mi ha augu-rato safari jema (buon viaggio).

Ho salutato velocemente gli ami-ci, le bibi (nonne) e zie con un ine-vitabile nodo alla gola. Su un sedi-le di velluto liso, cercavo di fissarenella mente, naso e orecchie im-magini, odori e suoni di Mbagala.

Arriviamo in aeroporto che già lagente è in fila per il check-in. Unvento caldo e umido mi attraversae mi sbatte in faccia. Penso che stoper partire, sto per lasciare il Tan-zania. Ogni passo verso il check-inmi tuona dentro come una pugna-lata. Devo salutare le mie amiche epenso alle altre missionarie che mihanno rapito il cuore, ma non rie-sco a reggere l’affetto dei lorosguardi. Carica di zaini, borse econ una zucca, che sarà motivo didiscussione da Dar Es Salaam in Svizzera, perché sembra troppo

stravagante girare con una grandezucca, le abbraccio ed entro.

S alita sull’aereo avverto imme-diatamente la fredda consa-pevolezza di essere in Euro-

pa. Caos, musica e sorrisi africanisono stati prontamente sostituitida distratti sguardi svizzeri.

Un’italiana, contenta e con-vinta di aver trovato un’altra

italiana, mi vomita tutto ilsuo risentimento nei con-

fronti dei tanzaniani edel caos del Tanzania;me la cavo con un«sorry, I don’t speach

italian» (spiacente,non parlo italiano) e, in-

collata al finestrino, l’iPodimpiantato nelle orecchie,

cerco di confondere pensieri e ri-cordi che affollano la testa. Lasciola pista di Dar Es Salaam con EltonJohn che canta Your song. Chiudogli occhi sperando solo di addor-mentarmi e svegliarmi a Zurigo.

Arrivo alle 6.45 in una Zurigo gri-gia, umida e fredda. Un aeroportomodernissimo, pulitissimo, fighis-simo... tutto issimo. Ordinati e inun silenzio troppo fastidioso se-guo i miei compagni di viaggio alcontrollo bagagli. Ci esaminanocome fossimo terroristi. Gli appa-recchi elettronici devono seguireun accurato controllo «svizzero».

E io in tipico stile profuga: infra-dito africane, jeans stra-scoloriti estrappati, felpa ancor più scolori-ta, abbondavo di apparecchiatureelettroniche. Mi sento due occhiaddosso. Alzo lo sguardo e mi ri-trovo di fronte una «donnona» cheesamina attentamente le macchi-ne fotografiche, obbiettivi, com-puter, come se una fotoreporter

Romina Remigio, autrice di questoreportage, saluta la bibi Victoria,una nonna masai a Mbagala.

E non finisce qui

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MISSIONI CONSOLATA

fosse un mercante d’armi.Accendo il telefonino che inizia

a squillare all’impazzata per glisms di amici che mi danno il ben-venuto in Europa, tra sguardi urta-ti compostissimi vicini. Voglio ilTanzania! Voglio il caos, la musi -

ca, le grida dei bambini, i clacsondelle macchine, la polvere e le bu-che!

O sservo due africani, cercan-do nei loro occhi la mia stes-sa disperazione. Sono una

delle ultime a salire sull’aereo.Nemmeno il cioccolatino svizzero,in puro cioccolato al latte finissimo,riuscirà ad addolcire l’ultima ora emezza di viaggio. Sorvoliamo Ro-ma. La guardo dall’alto. Bella comesempre, ma sono davvero arrivata!

E ora sono qui, divisa tra duemondi, con la certezza che nonposso tornare alla mia vita senzaaiutare seriamente gli amici chehanno vissuto con me e le straor-dinarie missionarie capaci di pren-dere in mano il cuore dei più po-

veri e disperati tra i poveri, acca-rezzarlo e dargli la forza e il co-raggio di andare avanti, vivendocon loro e cercando di aiutarli conprogetti reali, ma fuori moda per leistituzioni internazionali di coope-razione.

Credenti o meno, atei o non atei,la mia considerazione oggettiva fi-nale, è che aiutando i missionari si-curamente possiamo aiutare que-sto popolo a liberarsi dal giogo chelo soffoca da decenni.

Ho nostalgia della semplicità della vita quotidiana, delle strade dissestate, dei colori del Tanzania.

Romina Remigio, nata a Ortona(CH), laureata in Scienze dellacomunicazione di massa,fotografa professionista efreelance, si occupa di reportagesociale e culturale, realizzandolavori che l’hanno portata agirare gran parte dell’Europa espesso a trovarsi nei posti dovele cose accadono. Ha pubblicatosu varie riviste italiane edestere, vinto numerosi concorsifotografici locali, nazionali eeuropei. Attualmente vive tra Roma,Ortona e l’Est Africa,occupandosi di cooperazioneinternazionale e promuovendomostre fotografiche a favore diprogetti umanitari in Tanzania.Sta lavorando a un librofotografico per il centenario difondazione delle missionarie dellaConsolata, che uscirà entro il2010 e sarà tradotto in seilingue.

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DOSSIER INSIDE TANZANIA

FINE42 MC GENNAIO 2009

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Èstato sicuramente eccessivo ilmio entusiasmo quando, in oc-casione dell’incontro interreli-

gioso di sabato 27 settembre 2008,ho paragonato Cornuda alla Bagh-dad dei califfi. Ma, ne valeva la pena!

Cornuda è un comune del trevi-giano, di circa 6 mila abitanti, nellacui aula consigliare, il giorno succes-sivo alla «Notte del destino», 27ª diRamadan, si è svolto un incontro tracristiani e musulmani sul tema dellalibertà religiosa. I due relatori princi-pali furono Brunetto Salvarani, per laparte cattolica, e Adel Jabbar, per laparte musulmana. Il parroco di Cor-nuda, don Mauro Motterlini, ha pre-sentato il messaggio vaticano di fineRamadan ai musulmani presenti,consegnandone il testo all’imamdella città di Treviso.

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ITALIA di Giuliano Vallotto

Esperienza esemplare di incontro interreligioso

«Non v’è costrizione in religione»:l’espressione, tratta da una sura del Corano,è stato il tema del sestoincontro-dibattito tracristiani e musulmaninella diocesi di Treviso.L’originalitàdell’esperienza sta nelfatto che tale incontro si è tenuto nella sala del municipio di Cornuda (TV), a promuoverlo e dirigerlo sono stati il sindaco e il vicesindaco.

È ACCADUTO A CORNUDA...

Il panorama e il municipio di Cornuda.

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44 MC GENNAIO 2009

ECUMENISMO

Lo cheick Mahamoud Khalil, inqualità di ospite speciale delle co-munità islamiche della provincia diTreviso durante tutto il mese di Ra-madan 2008, ha esposto la dottrinamusulmana circa i rapporti con le al-tre religioni. Il professor Ometto, unfervente cristiano sposato con unamusulmana sciita, ha citato integral-mente a memoria in arabo e inter-pretato filologicamente i versetti co-ranici che fanno riferimento alla li-bertà religiosa e da cui era statotratto il tema della giornata: «Nonv’è costrizione in religione».

La città di Treviso sovente finiscenei giornali, soprattutto come pro-totipo dell’intolleranza e del becerorifiuto della convivenza con la co-munità islamica. Il centinaio di per-sone, cristiani e musulmani in partiquasi uguali, che hanno partecipatodurante tutto il pomeriggio a que-sto evento, costituisce una seccasmentita all’omologazione giornali-stica avvenuta in questi anni tra lacittà di Treviso, ma soprattutto i suoirappresentanti politici, e il resto delterritorio provinciale.

Salvate le proporzioni tra ciò che èavvenuto a Cornuda e ciò che acca-deva con frequenza alla corte dei ca-liffi, dove si ripetevano con una cer-ta regolarità incontri e dibattiti tra e-sponenti di varie religioni, non erainfondato il nostro sentimento disentirci per una sera un po’ anchecittadini di Baghdad.

SESTO INCONTRO

L’esperienza di Cornuda non è laprima di questo genere nel territoriodella diocesi di Treviso. È ormai dasei anni che alcuni cristiani e alcunimusulmani si danno appuntamentoverso la fine del Ramadan per passa-re insieme mezza giornata, confron-tandosi sulla base di esperienze reli-giose vissute dalle due parti e rom-pendo il digiuno della giornataall’ora stabilita.

I primi quattro incontri, a partiredal Ramadan 2003, si sono svoltinella comunità monastica di Maran-go. Si pensava allora, e continuiamoa pensarlo anche oggi, che «il mona-stero» in sé è un luogo di incubazio-ne di civiltà e di tempi nuovi. Esso sipone sui punti terminali di una ci-viltà in crisi, per aprirla a un nuovofuturo.

La nostra voleva essere una sfida auna società che, pur fondata su unimmenso potere scientifico, tecnolo-gico ed economico, non è ancora ingrado di affrontare e risolvere i pro-blemi della convivenza.

Noi di parte cristiana in manieraparticolare abbiamo la convinzioneche «il monastero» era e rimane il

supplemento d’anima, il luogo di ri-generazione di energie e atteggia-menti che hanno in sé le potenzia-lità che occorrono per rendere piùumana la nostra convivenza, basan-dosi su rapporti densi di profondaspiritualità.

Inoltre il fascino indubbio che su-scita un luogo di preghiera, nato al-l’interno di una società opulenta eapparentemente priva di Dio comequella occidentale, ci sembrava il cli-ma più adatto per vivere insiemecon i musulmani qualche ora del lo-ro lungo percorso ascetico e spiri-tuale.

Queste furono le ragioni che ci a-vevano spinti per 4 anni di seguito adomandare ospitalità alla giovanecomunità monastica di Marango(Venezia) per realizzare i nostri in-contri. Essi si svolgevano con grandediscrezione e impegnavano esclusi-vamente la ricerca e la coscienzadelle persone che vi partecipavano.

A partire dall’anno 2007 questi in-contri hanno incominciato a svol-gersi invece dentro un quadro pub-blico, offerto direttamente da dueamministrazioni comunali: Giavera eCornuda. Ma se l’anno scorso questosignificativo spostamento si riduce-va a essere poco più di un’intuizione,quest’anno invece esso è frutto diuna scelta ormai matura e ragionata.

DAL MONASTEROALL’AULA CONSIGLIARE

Il ragionamento che sta alla basedi questo spostamento parte dallasemplice constatazione della realtàplurale delle nostre comunità pae-sane, comprese quelle più piccole.

Sono molti i musulmani, buddisti,sik che ormai si sono radicati all’in-terno delle nostre comunità tradi-zionalmente cristiane. La presenzadi queste persone di religione e cul-tura diversa ha acquisito in questidue decenni delle caratteristichenuove. Non ci sono soltanto musul-mani e sik; ci sono ormai delle co-munità musulmane e sik, che pro-gressivamente sono venute struttu-randosi.

Potremo a tal proposito fare unparagone con la presenza ebraica inItalia. Essa non si limita al fatto che cisiano nel nostro territorio, da sem-pre, un numero più o meno grandedi ebrei, ma essa ha le caratteristiche

Brunetto Salvarani, teologo laico,saggista, giornalista, è autore dimolte pubblicazioni sul dialogoecumenico e interreligioso e dirige la rivista «Cem Mondialità»e la collana della Emi «Le parole delle fedi».Adel Jabbar, sociologo, ricercatorenell'ambito dei processi migratori e interculturali, svolge attività didocenza per diverse università.

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MISSIONI CONSOLATA

di una comunità che ha una sua im-magine, una sua rappresentanza,una sua struttura e visibilità anche apartire dai luoghi di culto che le so-no propri. La stessa cosa potremmodire di queste altre giovani comu-nità che si sono affermate tra noi.

L’obiezione più frequente che vie-ne rivolta, soprattutto alla comunitàmusulmana, è che essa tende ad ac-corpare nella dimensione religiosaanche quella civile e politica. Ciò èprobabilmente vero in molti paesi alarga maggioranza musulmana, an-che se non in tutti. Ma questo non èil caso dell’Italia.

Ora è evidente che, nell’attualepanorama inedito offertoci dalla no-stra società, occorre che qualcunoprenda l’iniziativa per costruire unapiattaforma d’intesa, che si propon-ga di favorire la pace sociale tragruppi caratterizzati da religioni eculture diverse e di confermare i va-lori fondamentali della nostra cultu-ra civile, sociale e politica, in vista diuna condivisione di essi da parte ditutti: sia i vecchi che i nuovi cittadini.

Occorre perciò rimettersi all’inizia-tiva di un «terzo» attore, che nonpuò essere nessuna delle comunitàreligiose in quanto inevitabilmenteesse sarebbero di parte. Un attoreche necessariamente abbia l’auto-rità di convocare tutti e che possa e-sigere da tutti il rispetto delle regoledel gioco.

Ai promotori dell’incontro è sem-brato che questo potrebbe e do-vrebbe essere il compito di un’am-

ministrazione comunale, ma anchedi ogni altro livello dell’amministra-zione pubblica. La sua natura, infatti,può favorire un ruolo di «terzietà»che la può costituire moderatrice diun eventuale «tavolo delle religioni»in vista del bene comune e della pa-ce sociale.

A Cornuda è accaduto proprioquesto: al centro del tavolo sedeva-no il sindaco e il vicesindaco e ai duelati i vari rappresentanti delle duecomunità religiose, quella cattolica equella musulmana.

L’impressione che se ne ricavavaera molto forte. La laicità di cui si of-friva la prova non era quella dell’in-differenza dell’ente pubblico neiconfronti dell’individuale scelta reli-giosa, ma quella di un’amministra-zione comunale laicamente attiva,consapevole del proprio ruolo, sen-za alcuna invasione di campo.

IL TEMA

Il tema dell’incontro è stato ricava-to da una sura del Corano : «Non v’ècostrizione in religione», filologica-mente tradotto dal prof. Ometto:«Non si può costringere nessuno adabbracciare una credenza verso laquale si prova un netto rifiuto».

Il tema della libertà religiosa è si-curamente un tema sensibile parti-colarmente in questi tempi in cuitutte le società, anche le più tradi-zionalmente omogenee, tendono adiventare pluraliste o a causa delmescolamento di popolazione o per

l’incursione dei messaggi e degli stilidi vita veicolati dai mass media.

Il prof. Jabbar, rifacendosi al pattodi Medina, ha ricordato la capacitàche l’islam ha avuto, soprattutto agliinizi e in certi momenti storici, dimettere insieme culture e religionidiverse, facendole convergere versoun patto di cittadinanza che non co-stringeva all’assimilazione.

Ad ascoltarlo si ricavava l’impres-sione che ci siano zone e tempi ine-splorati dell’islam, che sarebbe utileriportare alla memoria sia per noisia, a dire del prof. Jabbar, per i mu-sulmani stessi.

Il prof. Salvarani, oltre ad affermarela necessità e la convenienza deldialogo, ha parlato della libertà reli-giosa come condizione mai total-mente compiuta e che occorre con-tinuamente porre in essere, perchéessa non si situa mai in un punto dinon ritorno. Più che una condizionegià raggiunta è una continua con-quista. Per questo sarebbe preferibi-le parlare, non solo di libertà comevalore, ma di liberazione come pro-cesso e acquisizione di gradi semprepiù elevati di libertà per tutti.

Successivamente il parroco di Cor-nuda ha consegnato all’imam ilmessaggio vaticano, facendone unabreve sintesi riguardante la famigliacome valore condiviso da cristiani emusulmani e come luogo «in cui siapprende il rispetto dell’altro, nellasua identità e nella differenza. Il dia-logo interreligioso e l’esercizio dellacittadinanza non possono dunqueche beneficiarne».

Alla conclusione dell’incontro ci fuuna brevissima preghiera, durante laquale ognuno ha accolto con inte-riore partecipazione la preghieradell’altro. Un momento brevissimo,ma efficace quanto un lampo nellanotte.

La rottura del digiuno, con i cibiche caratterizzano le varie abitudinialimentari e che erano stati genero-samente offerti dalle diverse comu-nità etniche presenti, ha confermatol’impressione che ci eravamo detti almomento di lasciare l’aula consiglia-re: «Usciamo da quest’incontro conl’impressione di sentirci un po’ mi-gliori di prima». ■

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Don Mauro Motterlini, parroco di Cornuda, saluta il dottor PietroBenetton, ex sindaco di Cornuda.

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MOZAMBICO

Alla scoperta di … paesi, storie, persone: Mozambico (prima puntata)

Una nazione ricca con l’economia in forte crescita.Un popolo povero che ha sofferto la colonizzazione e 30 anni di guerra. Uno degli ultimi regimi socialisti del continente, ma al tempo stesso aperto al neoliberismo. Il Mozambico è costretto ad accettare le imposizioni dei donatori internazionali, perché il bilancio dello stato dipende da loro. Intanto la democrazia fa piccoli passi in avanti, in attesa di un necessario decentramento amministrativo e di un migliore sfruttamento delle terre.

ZAPPA, KALASHNIKOVE COCA-COLA

Testo e foto di Marco Bello, da Lichinga

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gnato il potere e Samora Machel è ilprimo presidente della repubblicapopolare. Il regime opta per l’ideolo-gia marxista-leninista e una sua ap-plicazione piuttosto rigida. Naziona-lizzazioni, emigrazioni forzate perpopolare il nord e campi di rieduca-zione. I beni della chiesa sono confi-scati e i missionari costretti a lasciarele missioni sono radunati nelle città.

Negli stessi anni, portoghesi fuo-riusciti appoggiati dalla Rhodesia diJan Smith (l’attuale Zimbabwe) e dalSudafrica dell’apartheid, organizza-no una guerriglia controrivoluziona-ria: la Renamo. La guerra fratricida ècruenta, i campi pullulano di mine ediventa difficile per i contadini farrendere la terra. Solo gli accordi ge-nerali di pace di Roma (4 ottobre1992), con un importante ruolo gio-cato dalla chiesa, riportano la pace.

Il Mozambico indipendente è de-vastato, e inizia allora i primi passiverso lo sviluppo. L’intervento deidonatori internazionali, di Fondomonetario internazionale (Fmi) e diBanca mondiale (Bm) sono massicci.

ECONOMIA: MACRO E MICRO

Negli ultimi 5 anni il paese ha pre-sentato indicatori macroeconomiciche rispecchiano un’economia dina-mica: crescita del pil intorno al 7-8%, inflazione tenuta al 13,2% da unambizioso piano governativo, buoniscambi commerciali. Ma il mozambi-cano medio continua ad avere unasperanza di vita intorno ai 42 anni,mentre solo il 38,7% dei maggiori di

Lichinga, Mozambico. Il boeing737-200 della Lam (Lineas aereasmoçambicanas) atterra nella ca-

pitale della provincia di Niassa. Sullapista, ad attenderlo da un paio d’ore,decine di bandiere rosse, donne euomini in abiti colorati, frenetici suo-natori di tamburi e di bidoni di pla-stica. Sono alcune centinaia, arrivaticon i camion dalle diverse zone del-la provincia, una delle più poverema più fertili del paese. Sull’aereoc’è una folta delegazione che ac-compagna Felipe Paunde, segreta-rio generale del Frelimo (Fronte di li-berazione del Mozambico), il partitoal potere. Decollato la mattina dallacapitale Maputo, ha anticipato l’oradella partenza, lasciando a terramolti passeggeri «normali».

È il penultimo giorno di campa-gna elettorale per le elezioni muni-cipali, previste per il 19 novembre, inun paese che, a sedici anni dagli ac-cordi di pace, fatica ancora a trovareuna via verso lo sviluppo. Il segreta-rio generale viene ad appoggiare ilcandidato alla presidenza del comu-ne di Lichinga.

Elezioni importanti in un paese e-norme (800 mila kmq, due volte emezza l’Italia, ma con un terzo di a-bitanti), dove il decentramento am-ministrativo, essenziale per gover-nare un paese così grande, sta muo-vendo solo i primi passi. Mentretutto o quasi, resta centralizzato aMaputo, capitale troppo lontana, si-tuata all’estremo sud del paese (cir-ca 2.300 km da Lichinga), incastratatra il mare e il vicino ricco di sempre:il Sudafrica.

Nella consultazione elettorale si af-frontano soprattutto i due maggiorischieramenti: il Frelimo e la Renamo(Resistenza nazionale del Mozambi-co). Sono i vecchi nemici di sempre,della feroce guerra civile che ha in-sanguinato il paese dalla sua indi-pendenza dal Portogallo, nel 1975,alla firma degli accordi di pace a Ro-ma nel1992. Oggi si affrontano conle urne, in un contesto di grande dif-ferenza di mezzi a disposizione. IlFrelimo al potere da 33 anni, ha dallasua parte una macchina propagan-

distica ben rodata e mezzi economi-ci a volontà. Non così i concorrenti.

Quest’anno sono 43 i consigli mu-nicipali e i presidenti dei comuni(sindaci) che devono essere eletti. Diquesti 10 sono nuovi, ovvero è la pri-ma volta che si costituiscono. Segnoche qualche piccolo passo avanti neldecentramento si sta facendo.

Il segretario generale è appenasceso dall’aereo e rilascia la primaintervista. Intanto i passeggeri rima-sti scendono e attoniti cercano difarsi largo tra la folla per raggiunge-re l’area recupero bagagli.

LA GUERRA NON PERDONA

Il paese oggi resta segnato da 500anni di dominazione portoghese,ma anche da quasi tre decadi diguerra che contraddistinguono lasua storia recente. All’inizio degli an-ni ’60 quando la maggior parte deipaesi africani diventavano indipen-denti, le colonie portoghesi si vede-vano negato questo fondamentalepassaggio.

Nel 1964 l’intellettuale EduardoMondlane, in esilio in Tanzania, fon-da il Frelimo e dichiara l’inizio dellaguerra d’indipendenza.

Il conflitto è cruento e i portoghe-si non mollano. Il Frelimo riesce acontrollare vaste zone nel Nord delpaese. È il 1975 i tempi sono maturi.L’anno prima la ribellione militare inPortogallo ha chiuso con i regimidittatoriali di Salazar e del successo-re Caetano. Il Mozambico diventa in-dipendente, il Frelimo si vede conse-

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Lichinga, 15 novembre 2008: il segretario generale del Frelimo,Felipe Paunde, arriva da Maputo. Di fianco: donna lavora la terra neipressi di Maua (Niassa).

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15 anni risultano alfabetizzati. Unasituazione socio-economica com-plessa che vede il paese al 172simoposto su 177 della classifica Onu ba-sata sull’indice di sviluppo umano.Quanto basta per dire che è «tra ipiù poveri del mondo».

«L’economia mozambicana, inclu-so il bilancio dello stato, continua aessere finanziata in larga parte daidonatori esteri. Un gruppo di 19partner, tra cui Unione europea, Ca-nada, Usa, Giappone, ma anche Fmi

e Bm». Chi snocciola l’elenco èBrazão Mazula, professore, già retto-re della maggiore università delpaese, la Eduardo Mondlane. Mem-bro storico del Frelimo, che nel 1994gli affidò l’organizzazione delle pri-me elezioni libere nel paese. Mazulasi è formato come missionario dellaConsolata, diventando anche padreper poi uscire dall’Istituto.

«Se il governo vuole gli aiuti inter-nazionali, sono i donatori che deci-dono qual è la direzione che deve

prendere il Mozambico per il suosviluppo. Anche questi indicatori e-conomici rispondono a un loro de-siderio. A novembre una missionedel Fmi ha valutato positivamentela performance dell’economia mo-zambicana».

Ma il professore è realista: «Un'al-tra cosa è dimostrare che questacrescita economica ha un impattosul benessere della gente. Non ci sipuò fermare a Maputo per dire chequesto è il paese». Maputo è unacittà moderna, con centri commer-ciali, grosse vie con marciapiedi, pa-lazzi, luci e vecchie case in architet-tura coloniale. Circolano molte auto-mobili, anche costose. Ma comeaccade spesso in Africa, la capitalenon è specchio della situazione e lecondizioni di vita nell’«interno» so-no molto diverse.

POVERI IN UN PAESE RICCO

«La povertà è reale - continua ilprofessore - secondo dati ufficiali il70% della popolazione è in stato di

Superficie: 799.380 kmqCapitale: MaputoPopolazione: circa 21 milioni di abitanti (stima 2006) Gruppi etnici: makua 47,3%, tsonga 23,3%, malawi12%, shona 11,3%, swahili 9,8%, yao 3,8%, makonde6,5%, meticci 0,5%, bianchi 0,1%, indiani 0,1%, altriLingue: portoghese, makua, tsonga, makonde, shona,nyassa, chicheva, swahili, altre lingue bantuReligioni: culti tradizionali 25,8%, cattolici 23,8%, atei23%, musulmani 17,8%, protestanti 7,8%, altri 1,7%Crescita demografica: 1,8% (2000-2005) Aspettativa di vita: anni 42Mortalità infantile: 10,4% entro 1 anno, 15% entro i 5anni di etàMortalità materna: 4,1 su 1.000 nati vivi (2004)Alfabetizzazione: 38,7% (dei maggiori di 15 anni)Ordinamento politico: RepubblicaIndipendenza: 25 giugno 1975 (dal Portogallo)Capo di stato e governo: Armando Emilio Guebuza(con mandato di 5 anni)Reddito pro capite: circa 364 dollari Usa (2006)Debito estero: 5,121 miliardi di dollari (2005)Crescita Pil: +8 nel 2006, +7% nel 2007Inflazione: 13,2%Indice di sviluppo umano (Onu): 172 su 177 paesiRisorse economiche: gas naturale, carbone, betonite, titanio, bauxite; industria: produzione idroelettrica(Cahora-Bassa), raffinerie, alluminio, agroalimentari, tessili, cemento; in crescita l’industria turistica; agricoltura di esportazione: canna da zucchero, cotone, palma da cocco, mogano, ebano, cedro; di sussistenza:cereali, patata dolce, manioca; allevamento, pesca.

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grava la povertà». «Un esempio concreto sono i bio-

combustibili, come quelli ricavatidalla canna da zucchero. Le impreseproduttrici hanno bisogno di mi-gliaia di ettari. Se questi progettinon sono ben applicati i sacrificatisaranno i contadini».

Le potenzialità agricole del paesesono enormi e variano a secondadella regione e fascia climatica. Laterra è fertile (in particolare al nord),bagnata da grandi fiumi e da unastagione delle piogge estesa, in me-dia, da fine novembre a marzo.

Le produzioni principali per uso a-

limentare sono mais, manioca, sor-go, riso, legumi, patata dolce e bana-ne. Per l’esportazione si producecanna da zucchero, tabacco, tè, coto-ne e palma da cocco.

Ma la terra in generale non è bensfruttata: resterebbero almeno 4milioni di ettari da valorizzare. Inol-tre ci sono ancora mine antiuomonei campi (sono sempre all’operasquadre di «sminamento»). Moltodiffusa è l’agricoltura famigliare disussistenza.

«La minaccia è che nella visionedi economia di scala, si vuole tra-sformare il contadino in un lavora-tore per grandi imprese agro-indu-striali. Un problema è che il nostrocontadino è analfabeta. Non è un’o-perazione che si può fare da ungiorno all’altro. C’è la questionedell’educazione».

Gli interessi economici internazio-nali sono grandi e quindi ci sonomolte pressioni sul governo: «Di-

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indigenza e la maggior parte di essarisiede in campagna».

Ma come vive e sopravvive il mo-zambicano medio, nel mezzo diquesta situazione così grave, nelcontrasto tra uno sviluppo econo-mico effettivo e una povertà diffu-sa?

«La popolazione è ancora orienta-ta a un’economia di sussistenza. Inparticolare è importante la questio-ne della terra per il contadino: se haterra sufficiente, coltiva il suo mais, lamanioca. Il problema sorge quandola legge mette a rischio la sicurezzadella terra per il futuro. Togliere laterra al contadino è come toglierglila cittadinanza» insiste il professorMazula. E continua: «Le politichemacro economiche degli ultimi anniportano alla privatizzazione delleimprese, ma anche della terra. Il con-tadino un giorno si trova di fronteun connazionale (o uno straniero),che gli presenta dei documenti e glidice che la terra, suo unico sostenta-mento, fa parte di un’altra proprietàe non è più sua. «È questo che ag-

A sinistra: pescatore sul fiume Save,nei pressi di Mambone. Sopra: donne prendono l’acqua daun pozzo in un villaggio vicino aMambone.Sotto: venditrici di gamberetti nelmercato di Guiúa (Inhambane).

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pende da noi, dobbiamo accrescerela nostra capacità di negoziazione.Nessun investitore investe per per-dere. Le istituzioni internazionalinon vengono a fare la carità, ma af-fari. Dobbiamo avere capacità tecni-ca e di negoziazione, in modo cheentrambi, noi e loro, possiamo gua-dagnare da questa situazione».

Si ricorda che metà del bilanciodello stato è appannaggio dei dona-tori internazionali, mentre si parla diaiuti per 435 milioni di dollari nel2008. Una parte dei quali per finan-ziare l’ambizioso «Piano d’azioneper la riduzione della povertà asso-luta (Parpa)».

Da qui il ruolo della formazione

superiore, per formare risorse uma-ne in quantità e qualità, che cono-scano le leggi, l’economia, il com-mercio internazionale. «È una nostrasfida. La stabilità economica e politi-ca passa dall’educazione e dalla for-mazione del cittadino. Lo sviluppo,per me, è libertà di scegliere» conti-nua il professore.

Non solo educazione di basequindi, che Bm e Fmi «impongono elimitano», ma una formazione cheporti il cittadino a essere meno ma-nipolabile possibile e in grado discegliere.

«Il governo decide le politiche, madovrebbe negoziare con il cittadino.Al contrario, per la crescita economi-

ca, il nostro governo rende conto dipiù ai donatori che ai mozambica-ni... perché da questi non vengonosoldi».

Sul piano dell’educazione il paesesi è dato un piano strategico 2006-2011. «Questo mostra buona vo-lontà. La coscienza che c’è qualcosada cambiare: centrare lo sviluppo sulcittadino e non sui desideri delle isti-tuzioni finanziarie internazionali.

Non possiamo pretendere chetutte le persone vadano all’univer-sità... ma che ogni cittadino, a qual-siasi livello termini la sua formazio-ne, sia in grado di lavorare o dare la-voro e di produrre ricchezza. Ilministero dell’educazione sta facen-do uno sforzo, in questo senso».

Il programma prevede la costru-zione di 4.100 aule scolastiche in am-bito rurale ogni anno e che in ognidistretto ci sia la scuola secondaria.

VERSO IL MARXISMONEOLIBERALE

A partire dalla seconda metà deglianni ’80, il Frelimo ammorbidisce ilmodello socialista e inizia le riforme

Sopra: scuola primaria a Guiúa,provincia Inhambane.A fianco: centro nutrizionale gestitodalle suore della Consolata aMassinga (Inhambane).

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per far spazio al mercato. Il cambia-mento è favorito da un avvicenda-mento al vertice: Samora Machel,leader intransigente, muore in unmisterioso incidente aereo nell’otto-bre del 1986. Disastro in cui sareb-bero implicati i servizi segreti suda-fricani.

Gli succede Joaquim Chissano, uo-mo diplomatico, comunicatore, cheimposta la transizione e traghetta ilpaese alla pace. Il nuovo presidente,pragmatico, accetta le condizionidei partner internazionali, come unanuova costituzione di fine 1990 chelegalizza il multi partitismo (ancorarivista nel 2004). Si procede poi auna serie di privatizzazioni, non pri-ve di scandali. Si forma così una nuo-va classe borghese legata al Frelimo,che si arricchisce grazie alle venditedei beni statali. E la corruzione, feno-meno quasi sconosciuto per i diri-genti del partito all’indomani del-l’indipendenza, aumenta.

«La corruzione deve essere com-battuta, ma occorre anche capirecome è iniziato questo fenomenonel nostro paese - denuncia FelipeCouto, missionario della Consolata,magnifico rettore dell’Università E-duardo Mondlane e persona in-fluente nel Frelimo -. Noi eravamol’unico partito: ci hanno imposto ilmulti partitismo. Poi ci hanno detto:dovete entrare nel Fmi, nella Bm, do-vete aprirvi al neoliberismo econo-mico. Così sono arrivate le agenzieinternazionali e le Ong. Hanno ini-ziato a girare molti soldi. La corruzio-ne dipende da noi, ma non solo».

Nel novembre 2000 è assassinatoil giornalista Carlos Cardoso, cheportava avanti un’inchiesta sulla pri-vatizzazione delle due più grandibanche del paese: il Banco Comercialde Moçambique e il Banco Austral. Cisono stati alcuni arresti, ma i verimandanti sono ancora liberi.

Nelle elezioni del 2004 Chissano siritira e gli succede Armando Guebu-za (febbraio 2005), l’allora segretariogenerale. È un avvicendamento alvertice non privo di cambiamenti.Guebuza, oltre a essere numero unodi un partito comunista è anche unodei più ricchi uomini d’affari mo-zambicani. La sua rete di business vadalla birra alle costruzioni, all’export,al traffico nel porto di Beira.

In politica si rivela più tradizionali-sta. Subito cerca di imporre un mag-

gior rigore: lancia la seconda fasedella riforma del settore pubblico(2005-2011), che include un ambi-zioso programma di lotta alla corru-zione.

DONNE E INTEGRITÀ AL GOVERNO

«Il programma del governo preve-de quattro punti: riduzione della bu-rocrazia, lotta alla corruzione, allacriminalità e alle malattie endemi-che come l’Aids» ci racconta VitóriaDiogo, ministro della Funzione pub-blica. Testa alta e parlata chiara, qua-si da campagna promozionale. Fiera

di essere, donna e capo del maggiordatore di lavoro del paese, con167.000 impiegati.

Nel governo mozambicano, ci so-no otto donne ministro (incluso ilpremier) e si arriva a tredici con i vi-ceministri. Anche nel parlamento,forte è la partecipazione femminile,circa il 30%.

La «strategia di lotta alla corruzio-ne» varata dal governo nell’aprile2006 prevede, dice il ministro di «i-stituzionalizzare l’integrità» ovveropromuovere l’integrità come valoreumano. «Tra il 2006 e il 2007 sonostati identificati 2.414 casi di corru-zione, seguiti da processi disciplina-ri, di cui 813 espulsioni». Sicura, il mi-nistro Diogo, elenca i risultati perquello che riguarda la «piccola cor-ruzione».

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Maputo: traffico sulla Avenida daGuerra Popular. La capitale èspecchio di un’economia dinamica.

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Di fatto la corruzione è ancoramolto radicata a tutti i livelli e si puòavvertire non appena si passa la do-gana in aeroporto. C’è però ancheuna campagna pubblica, con tantodi manifesti, che invita la società ci-vile e la gente in generale, a denun-ciare casi di pressioni e malversazio-ni dei funzionari.

Ma il salario minimo legale è an-cora molto basso: 1.950 meticais (65euro) al mese, anche se si stannostudiando sistemi di incentivo. In unpaese in cui il costo della vita (alme-no in città) è simile a quello euro-peo. La benzina, madre di tutti iprezzi, in quanto influisce sui tra-sporti, arriva a costare anche 1,5 eu-ro al litro, il gasolio 1,23. Il regime distipendi bassi non facilita la riduzio-ne di questa piaga.

La strategia anti corruzione dipen-de dal Gabinetto centrale di lotta al-la corruzione, di competenza del pri-mo ministro, Luisa Diogo, sorella diVitória.

Secondo la classifica della corru-zione, stilata ogni anno dall’OngTransparency International, il Mo-zambico è sempre nella fascia deipaesi più corrotti al mondo: nel 2008occupa il 128simo posto su 180.

La riforma del settore pubblico,prevede inoltre il miglioramentodelle prestazioni dei servizi, vuole«mettere il cittadino al centro», in-centivare la buona governance e au-mentare la professionalizzazionedelle risorse umane.

«Il funzionario per servire ogni

volta meglio il cittadino» è lo sloganufficiale della riforma.

Programmi questi molto amati (esollecitati) dai donatori e che il go-verno cerca, tra mille difficoltà, dimettere in atto.

LE PRIORITÀ

Come decano dell’università, ilprofessor Brazão Mazula identificaquattro aree importanti per far usci-re il paese dalla povertà e portarloverso lo sviluppo. Aree che identifi-cano settori prioritari per la forma-zione di quadri del paese: educazio-

ne integrata, formativa e critica, sa-nità, agricoltura e pesca (il mare èuna ricchezza), turismo. Quest’ulti-mo, grazie alla posizione geograficae alle bellezze del paese (parchi na-turali, spiagge da sogno, isole) è di-ventata la prima industria del paese.Gli investimenti dei vicini sudafrica-ni in questo settore sono notevoli.Basti pensare che per i mondiali dicalcio del 2010 in Sudafrica, i pac-chetti turistici prevedono, dopo lepartite, alcuni giorni sulle spiaggedel Mozambico.

Sul piano della salute l’emergenzamaggiore è l’Aids. «I casi sono in co-stante aumento, non si riesce a fre-nare - racconta suor Raquel Gil Mas,missionaria dominicana, medico,che si spende ormai da anni sul te-ma -. In alcune province si parla del27% di sieropositivi». Mentre i datiufficiali sono intorno al 17% a livellonazionale. Un programma del go-verno fornisce farmaci antiretroviraligratuitamente a tutti coloro che ri-sultano positivi e si affidano alle cu-re di un centro. «Questo è un aiutofondamentale perché riusciamo afar vivere tanta gente che altrimentisarebbe già morta. Il problema è chearrivano da noi quando ormai sonoin stato terminale».

ELEZIONI MONOCROMATICHE

Alle elezioni municipali di novem-bre il Frelimo ha stravinto, togliendoalla Renamo anche i cinque munici-pi storicamente sotto il suo control-lo, e ottenendo la maggioranza nel-le assemblee municipali e i sindaci.Tranne a Beira, seconda città delpaese, dove succede a se stesso l’in-dipendente Daviz Simango, già Re-namo.

Il leader della Renamo, AlfonsoDhlakama ha da tempo perso in po-polarità ma non vuole farsi da parte.Questa sconfitta, però, lo mette inseria difficoltà e si parla di avvicen-damento alla testa del partito, il piùgrande, nonostante tutto, all’opposi-zione.

«Ci sarà vera opposizione soloquando il Frelimo avrà una scissioneal suo interno» sostiene qualche os-servatore. Intanto, si attendono le e-lezioni presidenziali di fine 2009, nelperenne equilibrio tra compiacere aidonatori e autodeterminazione delproprio futuro. ■

Vitória Diogo, ministro dellaFunzione pubblica del Mozambico.Sotto: manifestanti del partito alpotere, durante la campagnaelettorale di novembre.

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sce attorno a sé i discepoli adulti ecelebra e commenta alcuni passag-gi dei testi fondamentali della reli-gione islamica: il Corano, la Sunna e itesti delle scienze islamiche.

Le scuole coraniche, invece, hannolo scopo di formare i giovani allievi(generalmente di età compresa fra i5 e i 15 anni) sia da un punto di vistamorale che conoscitivo, per forgiareuomini e donne al servizio di Dio edelle sue leggi. L’Islam proponeun’educazione omogenea del corpoe dello spirito, in coerenza con i det-tami della religione. Per questo mo-tivo l’insegnamento islamico è unprocesso di formazione e di trasfor-mazione intellettuale, morale e spiri-tuale, sulla base dei principi del Co-rano.

In Senegal, la scuola coranica è ladaara, termine che deriva dal nome

Lo studio del «libro santo», il Co -rano, permette ai fedeli musul-mani di orientarsi nel mondo e

di conoscere la loro missione terre-na, perché: «La parola di Dio è l’ar-chitettura del mondo, è il mondostesso».

Le tre strutture fondamentali nella

trasmissione del sapere religiosocontenuto nel Corano sono: le mo-schee, all’interno delle quali secon-do la tradizione profetica è sempreprevista una zona dedicata all’edu-cazione dei fedeli; le associazioni re-ligiose (dahira); le scuole coraniche.

Nelle prime due il maestro riuni-

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Cosa succede nelle scuole coraniche

Affidati da piccoli al «Maestro» imparano a memoriail libro sacro. Ma non solo. La daara è una scuola di vita e di formazioneintegrale. Si insegnano valori come l’umiltà, la solidarietà e la convivenza pacifica. Ma quando il Maestro si trasferisce in città i rischi di sfruttamento e di mendicità sono elevati. Non bisogna generalizzare.

NON SOLO CORANO

di Giulia Lanzarini, foto di Marco Bello

La Grande moschea di Djenné, in Mali. Il maggiore edificiointeramente costruito in bankò (fango e paglia).

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arabo dâr, che significa dimora, ca-sa. Le famiglie affidano i bambini intenera età a un maestro, con cui so-litamente hanno legami di parente-la o di conoscenza, e gli chiedonodi adempiere alla formazione deiloro figli.

I maestri religiosi sono consideratitra gli esseri più vicini a Dio, perchésono le guide degli uomini sul cam-mino della fede. Essi godono di unriconoscimento speciale in seno allecomunità religiose e sono conside-rati garanti dell’armonia sociale, nelrispetto delle norme coraniche.

L’appellativo marabout (marabut-to), attribuito ai maestri coranici, è o-riginario della Mauritania e significa«uomo votato alla vita ascetica» perdescrivere l’attitudine alla preghie-ra, allo studio e all’insegnamentoche li contraddistingue.

LA LINGUA SACRA

Il bambino soggiorna presso ilmaestro per diversi anni, durante iquali percorre le varie tappe dell’in-segnamento islamico, iniziando dal-la recitazione mnemonica del Libro,atto di lode a Dio, per proseguirecon lo studio di tutte le altre materiereligiose, come la teologia, il dirittomusulmano e la tradizione profeti-ca. La pratica corretta della religioneislamica, a cominciare dall’obbligodella preghiera cinque volte al gior-no, presuppone, infatti, la memoriz-zazione dei versi coranici e la capa-cità di pronunciarli correttamente inlingua araba (celebrare la parola diDio in modo scorretto è consideratoun grave sacrilegio).

Il Corano è un’opera colossale: ècomposto da 114 sure, raggruppatein trenta parti, ciascuna suddivisa indue porzioni, le hizb, ripartite inquarti, i rubu, articolati a loro volta inotto parti, i sumun, composte ciascu-na da 17 o 18 linee. È evidente quan-to sia ardua l’impresa di memorizza-re integralmente tutta l’opera (ne-cessario in passato per la rarità delleopere scritte), non solo per la quan-tità di versi che la compongono, masoprattutto per la lingua in cui essaè scritta, di difficile accesso per lepopolazioni non arabe.

In quanto lingua della rivelazionedivina, l’arabo classico è consideratodai popoli musulmani come l’alfa-beto santo per eccellenza e cometale deve essere tramandata di ge-nerazione in generazione. Essa stes-sa è considerata uno strumento diaccesso al soprannaturale.

La sacralità della scrittura, secon-do la percezione dei credenti mu-sulmani, è confermata dalla pro-gressiva sostituzione degli amuletidella tradizione africana con i sac-chetti di cuoio contenenti un pezzodi carta con alcuni versi coranici, maanche dalla tradizione popolare, laquale vuole che un foglio su cui sia-no scritti versi coranici resista allefiamme. Il libro non può essere toc-cato se non dopo aver eseguito le a-bluzioni minori ed esso stesso vienesovente adoperato come amuletocontro la cattiva sorte.

Per quanto riguarda lo studio deicontenuti, seconda tappa nel per-corso formativo, la conoscenza del«libro» permette di scoprire la ric-chezza delle indicazioni divine che

regolano ogni aspetto della vita del-l’individuo. Non solo da un punto divista spirituale, nel suo rapporto conl’Onnipotente, ma anche per il ruoloche egli deve svolgere all’internodella società. Il libro racchiude tuttala legislazione musulmana rispettoalle questioni religiose, giuridiche,sociali ed economiche. L’educazionecoranica, in senso ampio, compren-de quindi non solo la nozione di i-struzione, ma anche quella di forma-zione dell’allievo ed è consideratafondamentale nella vita di ogni mu-sulmano.

A SCUOLA DI SEMPLICITÀ

La scuola coranica in cui i giovanidiscepoli vengono formati si trovaquasi sempre all’interno della casadel maestro. L’austerità del luogo incui viene dispensato l’insegnamen-to ha radici profonde e risponde auna scelta pedagogica ben precisa,che raramente cambia al variare del-le possibilità economiche del mara-bout. Egli educa i propri allievi sottoun semplice riparo, una tettoia o unalbero, e i bambini sono seduti agambe incrociate su stuoie di pa-glia, le stesse che servono come gia-ciglio durante la notte.

L’unico strumento di cui dispon-gono gli allievi, almeno per i primianni di formazione destinati alla me-morizzazione del Corano, è una ta-voletta in legno su cui quotidiana-mente il maestro scrive i versi cora-nici da memorizzare nel corso dellagiornata.

La giornata dei taalibe (dall’arabotâlib, ossia studente) comincia all’al-ba con la recita della preghiera delmattino e si conclude con la pre-ghiera della sera.

Lo studio dei versi impegna l’allie-vo per diverse ore al giorno, in alter-nanza con le faccende domestiche eil lavoro agricolo. La distribuzionedei compiti fra gli studenti è propor-zionale all’età di ognuno. Secondo latradizione, il maestro possiede alcu-ni terreni coltivabili, fonti di soste-gno per la sua famiglia e per tutti isuoi discepoli. Le famiglie degli allie-vi contribuiscono raramente e in mi-nima parte al mantenimento dei

Un esemplare delle tavoletteutilizzate dagli alunni nelle scuole coraniche in Mali.

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in lingua araba tra quelli che com-pongono le opere di teologia, di di-ritto e di grammatica.

Tuttavia, diversi studiosi avanzanomolti dubbi rispetto all’efficacia diquesta metodologia educativa, so-prattutto per quanto riguarda lo svi-luppo della capacità di rielaborazio-ne dei concetti, inibita dalla predo-minanza della facoltà mnemonicasu quella analitica.

Va evidenziato che molti inse-gnanti della scuola pubblica ele-mentare non sono dello stesso av-viso, poiché la loro esperienza di-mostra che, se l’allievo hafrequentato una daara per alcunianni prima di essere introdotto nel-l’insegnamento laico, ha più facilità

nell’apprendimento e recupera il ri-tardo sul programma in tempi rela-tivamente brevi.

Nella stessa prospettiva, moltiquadri senegalesi, sia del settorepubblico che privato, riconoscononegli anni trascorsi presso il loromaestro la chiave del loro successosociale ed economico.

Tra gli elementi di forza del siste-ma va segnalato, infatti, che la sceltadella daara da parte delle famiglie ègiustificata non solo dal desiderio dirispettare le indicazioni coraniche ri-guardo all’educazione dei giovanimusulmani, ma anche dalla promo-zione sociale che questi studi assicu-rano. L’hafitz (colui che ha completa-to lo studio del Corano), nel sistematradizionale, gode infatti di un gran-de prestigio sociale.

Dal punto di vista dell’educazionemorale, la permanenza prolungatapresso la daara (per diversi anni)vuole creare le naturali condizioniper l’assimilazione dei principi mora-li e delle norme sociali che il maestroe la realtà comunitaria trasmettono.

FORMAZIONE INTEGRALE

Contemporaneamente all’istru-zione, il sistema educativo coranicosi propone di sviluppare la persona-lità del bambino, stimolando lo spiri-to comunitario tra i taalibe dellastessa daara che per anni condivido-no momenti di studio, di lavoro e diquotidianità. La solidarietà fra i bam-bini è una conseguenza naturale

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bambini, che spetta invece al mae-stro stesso. Per definizione, infatti, ilmarabout beneficia del sostegno di-vino per adempiere alla sua missio-ne e ciò rappresenta per le famigliela garanzia più importante dellabuona sorte dei propri figli.

Oltre a partecipare ai lavori agrico-li, i bambini lasciano la daara negliorari dei pasti per percorrere il vil-laggio più vicino e chiedere del cibodi casa in casa, per necessità mate-riale, ma al tempo stesso affinchéimparino il valore dell’umiltà. L’ele-mosina concessa ai piccoli costitui-sce una partecipazione reale dellacomunità alla formazione religiosadei suoi giovani membri.

PARERI A CONFRONTO

Il modello della daara tradizionalepresenta elementi di forza e di de-bolezza. Da un punto di vista peda-gogico è riconosciuta l’efficacia del-la metodologia adottata riguardo al-lo sviluppo della memoria. Infatti, gliesercizi di memorizzazione ripetutiper diversi anni sembrano avere ef-fetti prodigiosi sulla capacità di im-magazzinare informazioni. È fre-quente incontrare allievi delle scuo-le coraniche che, avendo proseguitolo studio delle scienze islamiche, rie-scono a ricordare migliaia di versetti

Sopra: articoli religiosi in unmercato nel nord del Burkina Faso.Di fianco: nelle daara senegalesisi impara la convivenza e la solidarietà.

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AFRICA OCCIDENTALE

della convivenza prolungata in con-dizioni difficili, che stimolano l’unio-ne, al fine di superare le avversità ditutti i giorni.

A questo riguardo, tuttavia, sonopertinenti le considerazioni di P.Marty sull’autonomia pedagogicadel maestro coranico, dalle cui qua-lità personali dipende interamentel’insegnamento dei principi morali,poiché non sottomesso a controlli e-sterni di strutture superiori.

La lontananza fra bambini e geni-tori, che si protrae per anni, è in par-te voluta dal sistema educativo delladaara, che vede in questa separazio-ne un fattore essenziale per il pro-cesso di crescita del giovane taalibe.Allo stesso tempo, i genitori si sento-no autorizzati in molti casi ad ab-bandonare i bambini nelle mani delmarabout, non facendogli visita pertutta la durata del soggiorno nellascuola e non informandosi del suostato di salute.

Questo fenomeno può essere inparte giustificato sulla base delledifficoltà economiche, che impedi-scono alla famiglia di affrontare ilviaggio per raggiungere la zona incui si trova la daara, e della tradizio-ne che prevede l’affidamento totaledel bambino a un parente per con-solidare i legami tra i membri dellafamiglia, fenomeno valido a mag-gior ragione se il congiunto in que-stione è un maestro spirituale.

Tuttavia, questi elementi di rifles-sione sulle cause del disimpegnogenitoriale non trovano giustifica-zione nei testi sacri, poiché sia il Co-rano che la tradizione profetica insi-stono sulla responsabilità della fami-glia, in primo luogo, rispettoall’educazione del bambino. Inoltre,non alleviano il dramma del senti-mento di estraneità che si crea fra ilbambino, allontanato troppo prestodal nucleo famigliare, e i genitori,che può essere accompagnato dafrustrazione e senso di abbandono.Il rapporto affettivo con il maestrocoranico può compensare solo inparte il vuoto lasciato dai genitori,poiché questi è responsabile di di-verse decine di bambini tra i qualideve dividere le proprie attenzioni.

STUDIO E LAVORO

Riguardo alle prove che il bambi-no deve superare nel suo percorso

di formazione in seno alla daara tra-dizionale, è fondato il dubbio chepossano essere eccessive per la gio-vane età dell’allievo, poiché il taalibepuò raggiungere livelli di sofferenzache rischiano di inibirne lo sviluppo-fisico e intellettuale.

La carenza di riposo, date le pocheore di sonno concesse fra la sessioneserale di studio e la sveglia mattuti-na per pregare (si tratta solitamentedi un tempo inferiore alle sei ore), ele rare occasioni di vacanza, posso-no sul lungo periodo indebolire il fi-sico del bambino.

Solo una minoranza dei maestri èfavorevole all’interruzione delle le-zioni e al ritorno presso la famiglia,in occasione delle feste religiosedella Korité, la festa della rottura deldigiuno del mese di Ramadan (il no-no mese dell’anno lunare) e dellaTabaski, la festa del sacrificio (cele-brata nel dodicesimo mese dell’an-no lunare, in ricordo della fede di A-bramo, pronto a sacrificare il suostesso figlio per obbedire a Dio).

Molto più comune è l’usanza diconsacrare il riposo settimanale, dalmercoledì pomeriggio al venerdì

pomeriggio, e le ricorrenze religioseai lavori domestici o al ripasso dellelezioni apprese. I maestri coranici ri-tengono in genere che una pausapossa interferire negativamente sul-la concentrazione dei taalibe, cheuna volta rientrati alla daara dovran-no spendere più energie per ripren-dere il ritmo di studio abituale. Perquesta ragione molti allievi nonrientrano presso la casa paterna, cheuna volta completato lo studio inte-grale del Corano.

Riguardo ai metodi correttivi a-dottati, va rilevato che in alcuni casiè stata constatata una dismisura nelricorso alle punizioni corporali. Poi-ché oltre al maestro, anche i taalibepiù grandi sono autorizzati a punireil discepolo, gli atti di questi ultimi, acausa dell’immaturità, possono de-generare in gravi incidenti.

LE SCUOLE MIGRANTI

Le considerazioni fatte riguardanoil sistema della daara tradizionale,che, per quanto austero, garantiscele condizioni essenziali di sicurezzae di crescita del bambino. Esse assu-mono, invece, una connotazionegrave se analizzate alla luce dell’evo-luzione che ha caratterizzato il siste-ma delle scuole coraniche nella se-

Taalibe nel nord del Senegal: sonocostretti a mendicare per dare uncontributo alla propria daara.

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MISSIONI CONSOLATA

conda metà del XX secolo. Come abbiamo detto, l’insegna-

mento coranico tradizionale si svi-luppa originariamente in ambito ru-rale, in una dimensione comunitariadi villaggio, dove i piccoli taalibe, an-che al di fuori della daara, beneficia-no del controllo e della protezionesociale, su cui si basano i rapporti frale famiglie che abitano lo stesso ter-ritorio.

Tuttavia, dopo l’indipendenza, es-so non rimane indenne al fenomenomigratorio verso i centri urbani, checolpisce tutta la società senegalese.

Alla fine degli anni ’70, infatti, lasituazione economica nazionale sitrasforma rapidamente, a causa dilunghi periodi di siccità che colpi-scono il paese, obbligando i conta-dini ad abbandonare i loro villaggie a spingersi verso i poli economiciin cui dominano settori diversi daquello agricolo.

L’esodo rurale, che spinge mi-gliaia di persone verso le città, fa sìche le infrastrutture cittadine, anco-ra deboli, non riescano a contenerela pressione demografica, con un ri-versamento in direzione delle peri-ferie dove si sviluppano distese dicase abusive, le cosiddette fakk-dekk, costruite con materiali di re-cupero, sprovviste di tutti i servizi ein cui la gente vive in condizioni i-gieniche e sanitarie precarie.

In queste circostanze si sviluppa ilfenomeno delle scuole coranichemigranti, le noorane kat. Poiché, co-me tutti gli altri contadini, i mara-butti installati nelle campagne han-no grandi difficoltà ad assicurare l’a-limentazione delle decine dibambini che hanno in affidamento,sono costretti a trasferirsi verso lezone urbane.

Le scuole coraniche migranti si di-stinguono in due categorie: le scuo-le stagionali e quelle stanziali. Le pri-me si installano nelle periferie dellecittà solo durante i mesi della sta-gione secca, per cercare nei centriurbani i mezzi di sostentamento,poiché i terreni aridi non garantisco-no più un raccolto sufficiente a co-prire i bisogni di tutto l’anno.

Durante la stagione delle piogge,nel periodo che va da giugno a set-

tembre, il marabout e i suoi discepolitornano nel villaggio originario perpraticare l’agricoltura.

Le scuole stanziali, invece, sonoquelle in cui il maestro, provenienteda un’altra regione o dalle campa-gne, si trasferisce definitivamentecon i suoi taalibe ai margini dellacittà. Naturalmente il fenomeno mi-gratorio non riguarda solo il nucleofamigliare del maestro, ma anchetutti i suoi discepoli, che egli portacon sé. Le famiglie stesse dei taalibeincitano il marabutto a trasferirsi, i-dentificando nella migrazione l’uni-ca soluzione di sopravvivenza per iloro figli ed, eventualmente, un’oc-casione di inserimento nel mercatodel lavoro, che il villaggio non offre eche potrebbe portare beneficio atutta la famiglia.

SFRUTTAMENTO E MENDICITÀ

Le conseguenze della migrazioneverso i centri urbani sulle condizionidi vita dei taalibe sono spesso dram-matiche, poiché la principale fontedi reddito del marabutto diventa lamendicità degli allievi, che ognigiorno, oltre a occuparsi del proprionutrimento, devono assicurare unacerta cifra che permetta al maestroe alla sua famiglia di sopravvivere.

È evidente che in questo contestoil rischio di sfruttamento del bambi-no è elevato. Egli si trova in un con-testo estraneo, meno protetto ri-spetto alla realtà comunitaria di vil-laggio, esposto a nuovi pericoli,legati al traffico automobilistico, al

rischio di abuso, alle condizioni igie-niche e alimentari penose.

Le violenze subite dei taalibe chepraticano la mendicità attirano sem-pre di più l’attenzione dell’opinionepubblica, che chiede allo stato e agliorganismi internazionali di interve-nire per tutelare la salute fisica ementale del bambino, pur conser-vando la tradizionale trasmissionedel sapere religioso attraverso lescuole coraniche.

Il contesto urbano è inoltre piùsoggetto al fenomeno di installazio-ne di scuole coraniche create da falsimaestri, che vedono nell’insegna-mento una possibile fonte di reddi-to. In questi casi il bambino trascor-re tutta la giornata per strada a rac-cogliere l’elemosina e, seinterrogato sul verso coranico chesta imparando, risponde a stento econ una pronuncia scorretta i primiversi della fâtiha, la prima sura inse-gnata nelle scuole coraniche. In ge-nerale, il traguardo della memoriz-zazione del libro in questi casi nonviene mai raggiunto.

In questi casi estremi, che non de-vono essere generalizzati a tutto ilsistema delle scuole coraniche, iltaalibe non beneficia né di un’istru-zione in materia religiosa né di unaccompagnamento nel suo proces-so di crescita e di formazione ai valo-ri morali e sociali. Al contrario, le si-tuazioni che vive quotidianamentepossono compromettere profonda-mente il suo sviluppo, creargli trau-mi fisici e psicologici che lo accom-pagneranno per tutta la vita. ■

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Aula di lezione di una scuolacoranica nel Mali: la semplicità è un aspetto fondamentale.

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Nell’articolo precedente (MC, set-tembre 2008) ci siamo occupatidell’inquinamento, che conta-

mina buona parte dei fiumi della ter-ra. In questa puntata, vedremo invececome anche le falde idriche sotterra-nee non stiano affatto bene di salute,anzi in certi casi la situazione è oltre-modo drammatica. Ricordiamo che, inItalia, le acque di falda rappresentanoil 50% del totale (che è di 70 miliardi dim³) delle acque fornite annualmentedagli acquedotti nazionali, mentre il15% proviene dai corsi d’acqua super-ficiali e il 35% dalle sorgenti.

A livello mondiale, le falde idricheprofonde racchiudono circa 45.000km³ di acqua, proveniente dalle pre-cipitazioni atmosferiche e a loro è af-fidata una importante funzione di ri-serva.

L’infiltrazione d’acqua nel sotto-suolo dipende dalla consistenza delterreno, ma anche dal grado della suacementificazione, che è senz’altro unfattore limitante. Il tempo per il riciclodelle falde è lunghissimo, circa 1.400anni, contro i 20 giorni dei fiumi. Èevidente che la percolazione di so-stanze inquinanti nelle falde può ri-durre drasticamente la disponibilitàdi acqua, oltre che comprometterepericolosamente la salute di milionidi persone. Purtroppo, le capacità au-todepuratrici degli ecosistemi acqua-

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L’acqua, un bene vitale in grave pericoloSeconda puntata: l’inquinamento delle falde

NOSTRA MADRE TERRA

di Roberto Topino e Rosanna Novara

Contaminazione da nitrati e fitofarmaci, ma anche da arsenico, cromo, materialiradioattivi: le acque di falda sono in grave pericolo. Esse rappresentano il 50%del totale, ma in Italia il 28% di esse risulta ormai contaminato. Nonostantel’inadeguatezza dei controlli, i casi di inquinamento sono all’ordine del giorno.Per capire la gravità del problema, va ricordato che l’acqua dolce non è unarisorsa illimitata. Spetta ai cittadini aprire gli occhi ed agire di conseguenza.

tici sono diventate spesso insufficien-ti, a causa della contaminazione sem-pre maggiore di sostanze poco o pernulla biodegradabili.

In Italia, secondo i dati forniti dall’A-pat (Agenzia per la protezione dell’am-biente e per i servizi tecnici), relativi al-l’ultimo triennio, il 28% delle acque difalda risulta contaminato. Oltre lametà dei pozzi esaminati ha mostratosegni di compromissione, nelle noveregioni, che hanno aderito alla cam-pagna di monitoraggio chimico. Inparticolare sono risultate più inquina-te le falde del nord Italia, cioè delle re-gioni più industrializzate e dedite al-l’agricoltura di tipo intensivo, soprat-tutto per la presenza di erbicidi comel’atrazina (vietata a partire dagli anni’80, ma tuttora presente nei terreni,data la sua scarsa biodegradabilità), laterbutilazina, il bentazone, utilizzatospecialmente nelle risaie (quindi pre-sente in elevata quantità nelle acquedel pavese e del vercellese) e il meto-laclor, utilizzato in quantità industria-le nelle grandi distese di mais dell’a-rea padano-veneta.

L’invasione dei nitrati

Il problema dell’inquinamento del-le acque di falda con prodotti fitosani-tari è duplice, poiché, se da un lato l’u -so di tali prodotti è inquinante per le

CONTAMINAZIONE(profonda)

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na. Oltre alle sostanze suddette, ungravissimo problema per le acque difalda è rappresentato dalla presenzadi nitrati, che in molti casi (talvoltaanche nell’acqua potabile) arrivano asuperare i limiti di legge, fissati in 50mg/l. I nitrati derivano dai fertilizzantiazotati, dai reflui dei grandi alleva-menti e dagli scarichi civili non op-portunamente depurati e in alcunearee, come la pianura padana, carat-terizzata da agricoltura e allevamentiintensivi, essi raggiungono livelli re-cord d’inquinamento. Questo proble-ma è molto esteso in Europa, di con-seguenza la Commissione europeaha emanato una direttiva in materia(Direttiva nitrati 91/676).

Alla contaminazione da compostiazotati contribuiscono anche le piog-ge acide, che riportano al suolo e alleacque i contaminanti dispersi nell’at-mosfera. In Italia si sono avuti gravi

casi di contaminazione da nitrati inPiemonte, Lombardia, Toscana, Mar-che e Campania. Emblematico è il ca-so di Fano (Ancona), rifornita per annicon acqua potabile, in cui sono statiriscontrati livelli di nitrati fino a 150mg/l. I danni da nitrati sono cono-sciuti fino dal 1945, quando è stato ri-portato, per la prima volta, su Jamaun caso letale di intossicazione.

In particolare un’alta concentra-zione di nitrati nell’acqua rappresen-ta un grave problema per i lattanti,soprattutto nei primi tre mesi di vita,poiché i nitrati, a opera della florabatterica intestinale, si trasformanoin nitriti, che vengono assimilati esono in grado di alterare l’emoglobi -na, con conseguente difficoltà di tra-sporto dell’ossigeno ai tessuti. I ni-trati possono peraltro causare seridanni anche nella popolazione adul-ta, poiché i nitriti, da essi derivanti,possono formare nitrosamine, spe-cialmente a livello dello stomaco,per reazione con amine secondariedi origine alimentare e alcune diqueste sostanze sono dei potenticancerogeni. In particolare, degli stu-di condotti in Danimarca, Inghilterra,Ungheria, Italia, Cile, Colombia e Cinahanno associato l’esposizione ai ni-trati con una maggiore frequenzadei tumori gastrici.

«Di tutto, di più»... nelle nostre acque

Oltre ai fitofarmaci e ai nitrati, nelleacque di falda italiane si trovano,spesso in quantità di molto superioriai limiti di legge, sostanze residue diattività industriali di vario genere. Inquesti casi, le cause di contaminazio-ne sono legate sia alle acque di pro-cesso, che a quelle di raffreddamentodegli impianti.

È particolarmente pesante l’impat -to ambientale dell’industria chimica,dove gli inquinanti presenti nelle ac-que di processo variano, a secondadel tipo di produzione; ad esempio,gli effluenti della produzione di de-tersivi sono contaminati da tensioat-tivi e da fosfati, quelli delle resine sin-tetiche da solventi e da sostanze or-ganiche, mentre quelli dell’industriadegli inorganici di base contengonometalli pesanti. Altri settori, che van-

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falde, dall’altro si rischia di avere lacompromissione della qualità deiprodotti agricoli, come conseguenzadell’irrigazione con acque di faldacontaminate.

In Piemonte, l’inquinamento dellefalde da fitofarmaci è in costante au-mento dal 2000 e attualmente oltreun quarto dei campioni relativi allefalde superficiali risulta contaminato,come il 7% dei campioni relativi allefalde profonde (è stata riscontrata lapresenza di 18 principi attivi, su un to-tale di 60 molecole ricercate); in parti-colare risulta contaminato il 60% deicampioni esaminati, in provincia diVercelli e il 10% in provincia di Cuneo.

Questo fatto induce a pensare chenon tutti gli agricoltori rispettino lanormativa regionale e nazionale circail divieto di utilizzo di determinate so-stanze, come atrazina e bentazone, al-tamente dannose per la salute uma-

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NOSTRA MADRE TERRA

no dalla siderurgia all’industria ali-mentare, possono contribuire in di-verso modo all’inquinamento delleacque. Ad esempio le sostanze ado-perate per la sterilizzazione dei cibipossono agire come inibitori, nei pro-cessi di biodegradazione dei sistemiacquatici.

Molto spesso le cause di contami-nazione chimica delle falde sono cor-relate con lo smaltimento sul suolo onel sottosuolo degli scarichi indu-striali, effettuato in modo abusivo, oin mancanza di collettori idonei. Ne-gli ultimi anni i casi più gravi d’inqui -namento industriale delle falde si so-no avuti per perdita di liquidi dagliimpianti stessi, o da serbatoi interrati,oppure da rifiuti sepolti nel sottosuo-lo. Vale la pena di ricordare alcuni casidi gravissimo inquinamento ambien-tale, che si sono verificati in Italia ne-

gli ultimi anni. In Maremma, nellaprovincia di Grosseto 22 siti, corri-spondenti a circa 300 ettari, sono sta-ti contaminati da arsenico e da mer-curio, finiti nei pozzi dell’acqua pota-bile, mentre polveri di pirite, piombo,cadmio e manganese sono stati ac-cumulati nei terreni coltivabili (Corrie-re della Sera, 12/05/2001).

Le attività dell’Eni: chi inquina, non paga

Queste sostanze derivano dall’atti-vità di industrie, come l’Eni e la Tioxi-de, produttrice di biossido di titanio.Oltre ad esse è stata rilevata la diossi-na proveniente dall’inceneritore diScarlino (Grosseto), appartenente allasocietà «Ambiente S.p.A.» dell’Eni,entrato in funzione nel 1999 e sortosui tre forni, in cui si arrostiva la pirite

(minerale impiegato nella produzio-ne dell’acido solforico).

La Iarc (International agency for re-search on cancer) classifica l’arsenicocome «cancerogeno di gruppo 1» e,secondo un suo studio, per valori ditale sostanza compresi tra 0,35 e 1,14mg /l nell’acqua, è molto elevato il ri-schio di tumori a vescica, rene, cute,polmone, fegato e colon.

Nell’acqua di un pozzo di Scarlino èstata rilevata una concentrazione diarsenico pari a 3,3 mg/l. Sono stati av-velenati una quindicina di pozzi, chefino al 1997 hanno pescato dalle faldeidriche sotterranee. I 3 pozzi, che per25 anni hanno servito Follonica sonostati chiusi e in uno di loro il mercuriosuperava di 50 volte i limiti di legge.Arsenico e mercurio penetrati nellefalde della provincia di Grosseto, Ar-gentario compreso, derivano dalla la-

ARTA: Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente.

ATRAZINA: è un principio attivo usato come erbicida, apparte-nente alla classe delle cloro tiazine. È adatto al diserbo princi-palmente di mais, sorgo e canna da zucchero. Presenta eleva-ta persistenza ambientale, con conseguente rinvenimento nel-le acque superficiali e di falda. È assai poco biodegradabile. InItalia ed in altri Paesi europei, il suo uso è proibito dal 1992, da-ta la sua possibile azione cancerogena.

BENTAZONE: è un erbicida, che inibisce la fotosintesi clorofillia-na, causando la deplezione delle riserve di carboidrati e la per-dita dell’integrità della membrana dei cloroplasti (organuli cel-lulari deputati alla fotosintesi clorofilliana).

BEQUEREL: unità di misura dell’attività di una sostanza radioat-tiva.

BIOSSIDO DI TITANIO: per il suo elevato potere coprente e la suagrande inerzia chimica, è attualmente il prodotto più impie-gato come pigmento bianco (bianco di titanio) nelle pitture evernici, nella carta, nei laminati plastici, nelle fibre tessili, nel-la gomma, nei prodotti ceramici, negli inchiostri e nei cosme-tici.

CESIO: alcuni suoi isotopi radioattivi si formano nelle reazionidi fissione nucleare e sono probabilmente pericolosi, perchévengono fissati dagli organismi vegetali ed animali. Nell’inci-dente di Chernobyl del 1986 è stato uno dei principali re-sponsabili della contaminazione radioattiva.

COLIFORMI: sono un gruppo di microorganismi a forma di ba-stoncello, gramnegativi, aerobi ed anaerobi facoltativi, nonsporigeni, che fermentano il lattosio, con produzione di gas edi acido. I coliformi fecali di origine umana sono delle Entero-batteriacee. Essi rappresentano un indubbio indice di conta-minazione delle acque. Tra questi batteri sono comprese le Sal-monelle, che sono delle Enterobatteriacee responsabili di ma-lattie infettive di tipo gastroenterico, oltre che, in alcuni casi,di malattie setticemiche a sede extraintestinale.

CROMO ESAVALENTE: i composti, da esso derivati, hanno largo im-piego nella produzione di vernici, vetri, ceramiche ed inoltrenella concia delle pelli, nell’industria tessile, per la colorazio-

ne dei tessuti, nella preparazione di diversi prodotti chimici enei trattamenti di superficie di metalli meno nobili (cromatu-ra) per le sue proprietà antiruggine. La maggior parte dei com-posti del cromo presenta una tossicità relativamente elevataper tutti gli organismi viventi.

FLUORURI: composti del fluoro con metalli e non-metalli. Nel pri-mo caso si possono considerare sali dell’acido fluoridrico, co-me il fluoruro d’alluminio, usato nella raffinazione dell’allu-minio. I fluoruri con i non-metalli comprendono una serie dicomposti molto reattivi, che il fluoro forma con gli altri aloge-ni, con il boro e con il silicio.

FOSFATI: sali degli acidi fosforici. Sono degli ottimi concimi, poi-ché il fosforo costituisce un elemento essenziale per lo svilup-po delle piante.

IPERCHERATOSI: abnorme aumento dello spessore dello strato cor-neo dell’epidermide, in alcune zone della cute. Può essere cau-sato da diversi fattori, tra cui l’azione dei raggi ultravioletti. Inquesto caso si parla di cheratosi attinica, che è una precance-rosi.

METOLACLOR: principio attivo di protezione del mais, efficace so-prattutto contro le infestazioni da graminacee.

NITRATI E NITRITI: sali dell’acido nitrico solubili in acqua, ossidan-ti allo stato fuso, ma non in soluzione acquosa. I nitrati dei me-talli alcalini, a temperature elevate perdono ossigeno, trasfor-mandosi in nitriti. Il nitrato di sodio è il componente principa-le del nitro del Cile, che era l’unica fonte di fertilizzanti azotatiprima della diffusione dei concimi chimici sintetici. Il nitratod’ammonio ed il nitrato di calcio sono impiegati come fertiliz-zanti azotati. Il nitrato d’argento è impiegato in chimica anali-tica, per riconoscere e dosare gli alogeni. Il nitrato di potassioo salnitro è usato nella polvere da sparo, nella fabbricazionedei fiammiferi e dei fuochi d’artificio.

NITROSAMINE: nitrosoderivati con attività carcinogenetica perl’uomo, in cui agiscono sia per inalazione, che per ingestione.Sembra accertato che i nitrosoderivati si formano nell’organi-smo, attraverso il metabolismo di nitroderivati e di ammine.

PLUTONIO: è un metallo notevolmente reattivo, come l’uranio. Il

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MISSIONI CONSOLATA

vorazione della pirite, che prima Mon-tedison e poi Eni hanno accumulato acielo aperto in vere e proprie collinedi rifiuti tossici, poggianti su acquitri-ni, come quelli del Casone e del Padu-le di Scarlino, dove l’acqua è ormai ditutti i colori. Qui la pirite è stata accu-mulata in vecchie vasche di acidosolforico, che ha facilitato la cessioneall’ambiente di arsenico e di mercurio,come spiega Roberto Barocci di ItaliaNostra, docente di Economia e Asset-to del territorio e autore di Arsenico(Stampa Alternativa).

Inoltre, la Coldiretti ha accusato l’E -ni di avere ceduto gratuitamente agliagricoltori, come materiale sterile einerte, gli scarti della lavorazione del-la pirite, da utilizzare nel rifacimentodel fondo delle strade interpoderali.L’Eni si è sempre difesa, sostenendoche gli scarti della pirite non hanno

ceduto metalli pesanti all’acqua inquantità tossica ed è stata sostenutain tal senso dall’Arpat, secondo laquale l’arsenico e le altre sostanze inquell’area ci sono da sempre e ne co-stituirebbero una caratteristica geo-logica. Tale conclusione avrebbe evi-tato all’Eni i costi di bonifica.

Di diverso avviso è stato però ilPubblico ministero (Pm) di GrossetoVincenzo Pedone, che ha decretato ilsequestro dell’inceneritore di Scarli-no, ha definito il degrado ambientaledel comprensorio Follonica-Scarlinocome «fatto notorio e addiritturaeclatante, per ciò che attiene alla gra-vissima compromissione delle risorseidriche», ha anche constatatol’assenza di controlli pubblici e ha in-viato l’avviso di garanzia al direttore eall’amministratore delegato di Am-biente S.p.A. Nel frattempo, alcune

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biossido di plutonio è impiegato come combustibile nucleare,in miscela con il biossido di uranio. Allo stato elementare è par-ticolarmente adatto come materiale fissile, per armi nucleari.

REDOX: abbreviazione di ossido-riduzione; si tratta di una rea-zione,in cui avvengono in contemporanea l’ossidazione di uncomposto e la riduzione di un altro. Il primo composto, cioè,acquisisce elettroni, mentre il secondo li cede.

SOLVENTI AROMATICI: solventi contenenti nella loro molecola de-gli anelli aromatici a 6 atomi di carbonio. Hanno un caratteri-stico odore (da cui il nome) e sono cancerogeni. Tra loro ab-biamo il benzene, il toluene e lo xilene, comunemente defini-ti benzolo, toluolo e xilolo.

SR-90 O STRONZIO-90: isotopo radioattivo dello stronzio. Si for-ma nelle esplosioni nucleari e, attraverso la catena alimenta-re, può entrare nell’organismo umano, dove tende a fissarsinelle ossa e nei denti, causando l’insorgenza di gravissime ma-lattie da radiazione. Trova applicazioni come tracciante in me-dicina ed in biologia.

TENSIOATTIVI: sostanze che, sciolte in piccola quantità in soluzioniacquose, ne diminuiscono la tensione superficiale, aumen-tandone il potere bagnante. Come conseguenza si ha un au-mento delle proprietà schiumogene, detergenti, emulsionan-ti, disperdenti e della capacità di penetrazione in materiali po-rosi delle soluzioni acquose contenenti tensioattivi.

TERBUTILAZINA: diserbante utilizzato sul mais. È un «non classifi-cato» per i rischi umani, ma è stata documentata la sua inci-denza sui tumori mammari dei topi. È altamente tossico per gliorganismi acquatici quindi, a lungo termine, può avere effettinegativi sull’ambiente acquatico.

TRIZIO: isotopo radioattivo dell’idrogeno, che presenta un nu-cleo con un protone e due elettroni. Si forma in quantità piùo meno rilevanti in tutti gli impianti nucleari, sia durante lafissione dell’uranio, sia nei reattori raffreddati ad acqua pe-sante, in seguito all’irraggiamento neutronico del deuterio.Può dare origine a diverse reazioni nucleari, sfruttabili per ot-tenere energia termonucleare, in modo controllato. Può es-sere usato in chimica, medicina e biologia, come tracciante ra-dioattivo.

pericolose discariche dell’Eni hannocambiato proprietà.

Dal Piemonte all’Abruzzo

Altri casi d’inquinamento delle fal-de sono, ad esempio, quello del rinve-nimento nella falda di Aosta, nel giu-gno 2004, di eccedenze, rispetto ai li-miti fissati dal D. Lgs. 152/99, di cromoesavalente, di fluoruri, di nichel, di sol-venti clorurati come tetracloroetilenee cloroformio e di solventi aromatici.Tali sostanze sono correlabili soprat-tutto con l’attività della Cogne AcciaiSpeciali di Aosta e inoltre, special-mente per la presenza in falda di ferroe manganese, con la discarica di Bris-sogne. Altri casi sono l’inquinamentoda cromo esavalente nella falda diAsti, quello recentissimo (maggio2008) sempre da cromo esavalente a

Inquinamento del fiume Merse in provincia di Grosseto.

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Spinetta Marengo (Alessandria), quel-lo da arsenico a S. Antonino di Susa(Torino).

Il caso più grave in Italia e forse inEuropa è però quello dell’inquina-mento delle falde di Bussi e della ValPescara in Abruzzo, un disastro am-bientale di proporzioni inimmagina-bili per le potenziali conseguenzesulla salute di 500.000 cittadini, chehanno usufruito per anni dell’acquainquinata prelevata dal campo pozziS. Angelo di Bussi. I valori degli inqui-nanti tossici e cancerogeni in faldahanno raggiunto punte di 300.000volte i limiti di legge per il clorofor-mio, di 420.000 volte per il tetracloro-metano, di migliaia o decine di mi-gliaia di volte per altre sostanze peri-colose, tra cui mercurio, cloruro divinile, tricloroetilene, tetracloruro dicarbonio, ecc. Queste sostanze, se-condo il Pm Aceto, che ha condottol’inchiesta, al termine della quale hainviato 33 avvisi di garanzia, sono sta-te riversate nel fiume Pescara fino al1963 e successivamente stipate inmegadiscariche, lungo i fiumi Tirino ePescara.

Anche in questo caso si tratta degliscarti di lavorazioni della Montedi-son. L’inchiesta è nata da una denun-cia del WWF, basata sui referti di anali-si condotte e pagate privatamente datale associazione, già nel 1997 (ripe-tute nel 2007) e seguite da analisi del-l’Arta nel 2004, a seguito delle quali ipozzi S. Angelo, che servivano l’areametropolitana di Chieti-Pescara, sonostati chiusi nel 2005 e riaperti parzial-mente nel 2007, dopo l’utilizzo di filtri

a carbone attivo (tali pozzi, a montedei quali si trova una grande industriachimica, erano attivi dal 1990).

La vicenda è resa ancora più grave,se possibile, dal fatto che l’Istituto su-periore di Sanità aveva espresso unparere, in cui dichiarava le acqueemunte da questi pozzi come «nonidonee al consumo umano»; ma, se-condo il pm Aceto, nessun sindaco oamministratore e nemmeno la Dire-zione sanitaria dell’Asl hanno reagitocon la dovuta fermezza; anzi, que-st’ultima ha appoggiato in pienol’operato del responsabile del Sian(Servizio igiene alimenti e nutrizione)dell’Asl, ora indagato.

Peraltro, secondo il magistrato, i re-sponsabili della Montedison erano aconoscenza dell’inquinamento dellefalde e delle conseguenze sui pozzidestinati all’acquedotto già dal 1992.I 33 avvisi di garanzia sono statiemessi nel maggio 2008.

Contaminazione radioattiva? Presente!

In mezzo a tutti questi veleni, pote-vamo farci mancare una contamina-zione radioattiva delle falde? No, na-turalmente; infatti il 17 agosto 2006l’assessorato all’Ambiente della regio-ne Piemonte ha reso pubblica la con-taminazione radioattiva delle falde aSaluggia, dove dall’intercapedine del-la piscina dell’impianto Eurex, conte-nente un deposito di materiali ra-dioattivi, c’è stato un rilascio di acquacontaminata dal radionuclide Sr-90.

Peraltro, già nel giugno 2004, la So-

gin (esercente dell’impianto Eurex)aveva comunicato che la piscina pre-sentava una fuoriuscita di liquido ra-dioattivo, con una contaminazionedella parete esterna della sua interca-pedine di 1.000 Bq/dm². A Saluggiagli impianti nucleari e la piscina dellaEurex si trovano proprio sopra le fal-de acquifere, che meno di 2 Km a val-le alimentano i pozzi dell’acquedottodel Monferrato, che porta l’acqua apiù di cento comuni nelle province diTorino, Asti e Alessandria.

Va detto che, per incidenti di que-sto tipo, siamo in buona compagnia.In Francia, infatti, nel maggio 2006 èstata rilevata radioattività nelle faldeacquifere della Normandia 7 volte su-periore al limite imposto da una leg-ge europea di 100 Bq/l. In questa zo-na è stato costituito un deposito di ri-fiuti radioattivi provenienti dalle 58centrali nucleari francesi, ma anchedalla Germania, Olanda, Belgio, dalGiappone, Svizzera e Svezia (nono-stante sia illegale per la legge france-se stoccare materiali radioattivi pro-venienti dall’estero).

L’acqua della falda è risultata con-taminata da trizio, che è un indicato-re di futura contaminazione da altriradionuclidi, come stronzio, cesio eplutonio, sostanze cioè sicuramentecancerogene.

È invece di quest’anno, luglio 2008,l’incidente francese di Tricastin, dovesono stati registrati anomali valori diuranio nell’acqua di falda. Secondo laCriirad (Commissione di ricerca e diinformazione indipendente sulla ra-dioattività), tale contaminazione è daattribuire, più che all’incidente occor-so all’impianto di Tricastin, alla pre-senza di materiale radioattivo di unaprecedente installazione militare, cheaveva funzionato in quella zona tra il1964 e il 1996 per la produzione di ar-mi atomiche, grazie all’arricchimentodell’uranio. I residui della lavorazionevennero interrati, senza particolariprecauzioni e l’acqua piovana ha po-tuto scorrere a contatto delle scorie,disperdendo l’uranio nel terreno. Lafuoriuscita di uranio nella falda di Tri-castin ammonta a 74 Kg.

Occhio alle acque minerali

A leggere cose come queste, si po-trebbe pensare che forse è meglio

NOSTRA MADRE TERRA

La Cogne Acciai Speciali di Aosta.

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MISSIONI CONSOLATA

bere acqua minerale, anziché del ru-binetto, ma prima di farlo, è beneconsiderare il fatto che esiste un de-creto legge del 29/12/2003, dell’allo-ra ministro della Salute Sirchia, sulleacque minerali, il quale ha introdottouna soglia di tolleranza per svariatesostanze tossiche ad alto rischio.

Le aziende produttrici di acque mi-nerali possono così immettere sulmercato dei prodotti, che prima sa-rebbero stati fuorilegge e che contra-stano con le normative europee. Inpratica, grazie a questo decreto esisteuna lunga lista di sostanze, tra cuitensioattivi, oli minerali, antiparassi-tari, policlorobifenili, idrocarburi, ecc.,per le quali, al di sotto della soglia dirilevabilità strumentale, le aziendeproduttrici possono continuare a di-chiarare come esenti da ogni tipod’inquinamento le acque mineraliche producono.

Nel giugno 2003, la procura di Tori-no avviò un’inchiesta, da cui emerseche 23 delle 28 marche di acqua mi-nerale analizzate non rispettavanol’obbligo di legge di essere comple-tamente prive delle sostanze tossi-che suddette; successivamente il nu-mero delle marche non in regola èsalito a 86.

La differenza tra le quantità di so-stanze ammesse per le acque mine-rali, rispetto all’acqua potabile, è do-vuta al fatto che le minerali vengonoconsiderate «bevande», come il vinoad esempio, e quindi sono soggette auna normativa meno restrittiva, di

quella per l’acqua potabile. Se consi-deriamo la possibile contaminazioneda piombo, il valore soglia del vino èmolto superiore a quello dell’acquapotabile, perché si ritiene che il con-sumo quotidiano della bevanda vinodebba essere decisamente inferiore aquello dell’acqua. Così vengono mes-se in vendita acque contaminate «anorma di legge».

Inquinamento naturaleda fluoruri e da arsenico

Esistono, inoltre, in parecchie areegeografiche della terra, dei casi d’in -quinamento delle falde, talora ancheper cause naturali e non solo antropi-che, che hanno portato milioni dipersone in condizioni di salute dram-matiche. Si tratta delle contaminazio-ni delle falde da fluoruri e da arsenico.

L’inquinamento da fluoruri ha de-terminato la comparsa di fluorosischeletrica, una malattia che danneg-gia soprattutto gli arti in crescita eche può arrivare a compromettereanche la spina dorsale e il sistemanervoso, in milioni di bambini in In-dia, ma anche in Cina, in Niger, inEtiopia, laddove cioè sono state in-stallate pompe manuali nei villaggi,per fornire alle popolazioni acqua si-cura, cioè non contaminata, come leacque superficiali, da coliformi e daaltri agenti patogeni responsabili digravissimi casi di colera, tifo e diarrea.

I fluoruri sono sostanze normal-mente presenti nelle rocce granitiche

del sottosuolo di gran parte dell’Indiae di altre aree geografiche e possonosciogliersi lentamente nelle acque difalda, senza peraltro allontanarsi mol-to dallo strato granitico. Ciò significache risultano contaminate solo le ac-que dei pozzi profondi, mentre quel-le dei pozzi superficiali risultano puli-te.

Purtroppo, però, i continui prelievid’acqua, alla lunga determinano unabbassamento delle falde e la neces-sità di scavare pozzi più profondi.

L’inquinamento più grave è peròquello da arsenico, che ha provocatoquello che dall’Oms viene definito «ilpiù grave avvelenamento della storiadell’umanità», che riguarda soprat-tutto il Bangladesh e il delta del Gan-ge. A causa di tale avvelenamento, ilfuturo della popolazione del Bangla-desh è gravemente compromesso.

Ma l’arsenico ha colpito anche altrezone del delta del Gange, come ilBengala occidentale in India e partedel sud del Nepal. Questo problema èpresente anche nelle falde di Argen-tina, Cile, Messico, Cina, Vietnam,Taiwan, Nepal, Myanmar, Cambogia,Ungheria, Romania e di parecchie zo-ne del sud-ovest degli Stati Uniti.

In Bangladesh, negli anni ’70, per li-mitare i casi di dissenteria e di colera,l’Unicef ha promosso la diffusione dipompe manuali a tubo, che nel giro

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Una fabbrica del polo industriale di Bussi sul Tirno in Abruzzo.

Fiume inquinato dagli scarichi industriali: uno tra i casi infiniti.

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NOSTRA MADRE TERRA

di pochi anni sono diventate semprepiù numerose. Negli stessi anni inizia-va la cosiddetta rivoluzione verde,cioè un programma di agricoltura in-tensiva, soprattutto di riso, legumino-se e ortaggi vari, che ha comportatol’uso di grandi quantità di fertilizzantie pesticidi, nonché di acqua. L’acquaestratta dalle pompe, molto spessocontaminata da arsenico, viene utiliz-zata in grande quantità a scopo irri-guo, per cui questo minerale entranella catena alimentare.

Di solito i primi sintomi dell’avvele-namento cronico da arsenico si av-vertono dopo una decina di anni diesposizione e si manifestano soprat-tutto come ipercheratosi, disturbicardiovascolari e circolatori, tumoripolmonari, renali, epatici, ma soprat-tutto cutanei. L’avvelenamento acutosi manifesta invece con i sintomi diuna forte gastroenterite.

Si calcola che, attualmente, muoia-no circa 3.000 persone all’anno, tracoloro che hanno ingerito per anniacqua e cibi contaminati, ma sarebbe-ro almeno 65 milioni le persone espo-ste a rischio e 200.000 coloro che pre-sentano i sintomi dell’arsenicosi.

Le prime tracce di arsenico nellefalde del Bangladesh sono state rile-vate nel 1993, ma solo dal 1995 è ini-ziata l’analisi sistematica dei pozzi, unventennio dopo la posa delle primepompe a tubo. Queste ultime sareb-bero fortemente responsabili di que-sta situazione, perché altererebberole condizioni redox del terreno, favo-

rendo il rilascio di arsenico. Purtrop-po, per anni non vennero effettuateaccurate analisi dell’acqua estrattadalle pompe, cioè in pratica l’arseniconon veniva cercato, e ciò ha portatoall’avvelenamento silenzioso di mi-lioni di persone.

Attualmente esiste una diatriba trascienziati, circa l’origine di tale avve-lenamento. In pratica ci sono scien-ziati, che sostengono l’origine esclu-sivamente naturale dell’arsenico nelterreno: secondo costoro il mineralesi sarebbe formato nelle rocce dellacatena himalayana, da cui nasce ilGange e sarebbe stato trascinato avalle, fino al delta, dove verrebbeestratto dalle pompe. Questa tesi, inqualche modo, assolve l’operato del-le multinazionali e dell’Unicef.

Secondo gli scienziati indiani, inve-ce, la quantità eccessiva di arseniconel terreno sarebbe strettamentecorrelata all’uso massiccio di fitofar-maci, indispensabili per la coltivazio-ne intensiva del riso, in quanto è stataosservata una correlazione tra arseni-co e fertilizzanti organo fosforici.

La prima tesi è il frutto di ricerchecondotte dalla British Geological Sur-vey e dalla McDoland Ltd (Regno Uni-to); tali ricerche sono state finanziatedalle agenzie internazionali e dallemultinazionali, che hanno una possi-bile responsabilità nell’avvelenamen-to da arsenico, per cui il loro risultatopotrebbe essere viziato.

È vero che l’arsenico è un elementonaturale, che può trovarsi in discreta

quantità, ad esempio sotto forma diarseniopirite, in certe aree geografi-che, ma secondo i geologi indiani, neldelta del Gange non esiste una quan-tità di arseniopirite tale da giustifica-re un avvelenamento di così vasteproporzioni.

Una certa esperienza nel campodella ricerca ci porta a pensare chesia più corretta la tesi degli scienziatiindiani. Tra l’altro uno studio condot-to al Massachusetts Institute of Tech-nology (Mit) da Charles F. Harvey, do-cente di ingegneria civile e ambien-tale, è giunto alla conclusione che lepompe a tubo alterano in mododrammatico il flusso delle acque sot-terranee, modificando la chimica del-le falde e determinando il rilascio diarsenico, a seguito della degradazio-ne microbica del carbonio organico,trascinato nelle falde dalle stessepompe.

Il dovere di «aprire gli occhi»

Dai casi d’inquinamento delle faldeappena visti appare chiaro che quasisempre ci si dimentica che il sistemadell’acqua dolce è un sistema chiuso.L’acqua dolce non è illimitata, quindinon ci si può permettere di renderlain parte inutilizzabile, perché inquina-ta. Non possiamo lasciare un’ereditàcosì pesante alle generazioni future.

Soprattutto non possiamo dimen-ticare che l’acqua fa parte di noi, ditutti noi, quindi è inaccettabile cheper il profitto di qualcuno, tantissimisi ritrovino a fronteggiare situazioniestreme. E non è accettabile che chideve controllare chiuda gli occhi, da-vanti a disastri, come quelli appenavisti. O che chi deve fare ricerca nonricerchi la verità, ma un modo per sol-levare da ogni responsabilità coloro,a cui ha deciso di asservirsi. ■

FONTI:

Un pianeta senz’acqua, Fred Pearce,il Saggiatore, 2006.

www.legambienteonline.it/news2000/falde.htm

http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Arsenico_nell_acqua_in_Bangladesh/1288312

www.fao.orgwww.sos-arsenic.net

La prevenzione dell’inquinamentodelle falde acquifere comincia con ilmonitoraggio delle acque dei fiumi.

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Non è usuale per una rivistamissionaria occuparsi di mu-sica, in particolare di una ma-

nifestazione in prevalenza dedicataalla musica «classica». Pur a distanzadi tempo, diventa quasi un obbligofarlo quando, nell’ambito di essa, sicolgono aspetti che la rendono inte-ressante anche oltre lo specifico va-lore musicale.

Il riferimento è alla seconda edi-zione di «MITO Settembre Musica, il

MILANO di Giovanni Guzzi - foto di Lelli-Masotti

A Milano, dal 7 al 12 settembre, la seconda edizionedel MITO (Festival Internazionale della musicaorganizzato dai comuni di Milano e Torino) ha datorisalto alla cultura dei Gitani, con un «viaggiomusicale» dal Rajasthan all’Andalusia, passando perPakistan, Iran, Turchia, Balcani. Un’occasione persuperare pregiudizi e stereotipi verso un popoloaffascinante per la sua storia e cultura millenaria.

DEGLIZINGARI SI PUÒ ANCHE

PARLARE BENE

«Il viaggio musicale dei Gitani» al MITO Settembre Musica 2008

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MILANO

Festival Internazionale che, dal 2007,vede l’esperienza trentennale dellastorica rassegna torinese estendersial capoluogo lombardo e ad altreimportanti città attorno alle duemetropoli. Quasi un intero mese dispettacoli che ha proposto oltre 230eventi di musica - classica, contem-poranea, jazz, pop, rock, etnica -, ras-segne cinematografiche, incontri di«arte e musica», cicli monografici. Èstato appunto uno di questi ultimi, il«Viaggio musicale dei Gitani» a offrir-ci lo spunto per scriverne su MissioniConsolata.

Pur ponendosi l’obiettivo di coin-volgere un pubblico più ampio ri-spetto a quello che usualmente fre-quenta le sale da concerto, il MITOresta un festival di musica colta che,

per lo più, si svolge in prestigiosi tea-tri quali la Scala e gli Arcimboldi diMilano o il Regio e l’Auditorium Raidi Torino; frequenta Conservatori,storici circoli dove si fa cultura, luo-ghi ricchi di arte e architetture mo-numentali; e non trascura il sacro dichiese e basiliche che offrono a cre-denti e non credenti momenti di si-gnificativa elevazione spirituale.

Si tratta evidentemente di un con-testo che appare quanto di più lon-tano possa esistere dalla realtà di vi-cende drammaticamente tragiche e

di quotidiana disperazione di vita aimargini delle nostre città, che i me-dia ogni giorno, continuamente, de-scrivono quando si occupano di co-loro che, semplificando, chiamiamo«zingari».

Sia chiaro, nessuno nega i proble-mi e le difficoltà che il porsi in rela-zione con queste persone presenta,né in questa sede si vogliono com-mentare in alcun modo i provvedi-menti presi dalle autorità o quelliche si vorrebbe prendessero.

Nella pagina precedente, esibizione di musicisti e danzatricidel Rajasthan (India).A sinistra, gitani della Tunisiapartecipano al «Viaggio musicale».

Sopra, gitani delle montagneafghane e pakistane fannorisuonare la loro musica millenarianel Teatro dell’Arte di Milano.A sinistra, esibizione dei gitani dellaRomania nel Teatro VentaglioSmeraldo di Milano.

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MISSIONI CONSOLATA

Tuttavia, il fatto che nell’ambito diun festival con le caratteristiche de-scritte fosse ospitata, non marginal-mente ma, anzi, promossa come unarassegna di rilievo, un’intera settima-na dedicata a questo particolareviaggio musicale, ci è parsa già diper sé una notizia degna di rilievo.

Un’occasione per parlare dei po-poli nomadi anche in positivo. Nonper nulla la musica è, forse, il lin-guaggio umano che più accomunae commuove; anche nel senso lette-rale di «muovere con»,predisponen-do ragione ed emozione al rapportocon l’altro.

Così è stato oltremodo signifi-cativo che, nella stessa mani-festazione, sui cui palchi si so-

no avvicendate grandi orchestre in-ternazionali come la LondonSymphony e l’Orchestre National deFrance, ad aprire la sezione del«Viaggio musicale dei Gitani» sia sta-ta, nel salone d’onore della Triennaledi Milano, proprio la «Banda del vil-laggio solidale».

È, quest’ultima, un gruppo musi-cale costituitosi nell’ambito dellamilanese Casa della Carità: istituzio-ne voluta dal cardinal Martini, peraiutare le persone in difficoltà a su-perare la propria condizione di disa-gio. Don Virginio Colmegna, presi-dente dell’omonima fondazione chela sostiene, ricordando il migliaio dipersone di 80 nazionalità accoltedalla struttura in un triennio, ha pre-sentato l’ensemble definendolo:concreta manifestazione di un ope-rare che vuole promuovere e far cre-scere l’espressione culturale dei di-versi mondi ospitati; nella convinzio-ne che dando visibilità allerappresentazioni artistiche e musi-cali delle culture immigrate si possaaumentare il livello di comunicazio-ne positiva e favorire la coesione so-ciale.

Le foto pubblicate in queste pa-gine descrivono perciò unviaggio sonoro, cominciato

con saltimbanchi, musicisti e danza-trici appartenenti alle ultime casteerranti del Rajasthan (India del nord)e origine stessa del popolo Rom;gente che ha conosciuto lo scintilliodelle pietre preziose di antichi pa-lazzi come la ruvidezza delle roccedel deserto.

Un viaggio proseguito con i Gitaniche hanno attraversato il Medio O-riente per arrivare fino in Tunisia. Fraquesti, quelli dell’Alto Egitto tuttoratramandano nella musica l’epopeadel mondo beduino del X secolo; inTurchia, invece, sono maestri di clari-netto e a loro si deve la conservazio-ne del repertorio festivo e virtuosi-stico delle danze regionali, oltre al-l’aver posto il loro strumento inposizione preminente in tutti i Bal-cani.

La terza tappa ha ricondotto ilpubblico in Asia, con artisti arri-vati dalle montagne di Paki-

stan e Afghanistan, che hanno por-tato al MITO la loro tradizione mille-naria (risalente al 4.000 a.C.),

mostrandone anche le somiglianzecon quelle dell’antica Grecia eviden-ziate, ad esempio, nel comune usodel flauto a due canne.

I contributi dall’Europa sono, inve-ce, venuti in primo luogo da due tra-dizioni della Romania. Quella dei di-scendenti delle famiglie di «ursari»(ammaestratori di orsi) superstiti al-l’olocausto e alle persecuzioni dellapolizia comunista, che si esibiscononel canto accompagnato da percus-sioni rudimentali e dal ballo delledonne che fanno roteare gonne escialli coloratissimi.

E quella dei «lăutari», i migliori

musicisti popolari di Romania. Finoalla metà del XIX secolo essi eranoschiavi del principe regnante, raccol-ti in corporazioni professionali fon-date nel XVII secolo; oggi vedono ri-nascere l’interesse del pubblico perla loro musica, i cui stili si adattavanoalla realtà storica e ambientale deigruppi sociali cui era destinata: con-tadini, operai, intellettuali...

Immancabile è poi stato il passag-gio attraverso l’icona della donna gi-tana nella musica colta occidentale:principalmente identificata nel mitodella Carmen di Bizet, ma presente,affascinante e ambigua, anche inVerdi, Brahms, Leoncavallo, Liszt... fi-no alla grazia del chitarrista DjangoReinhardt, che sedusse la Franciadegli anni Trenta.

Il «Viaggio musicale dei Gitani»non poteva, infine, che concludersicon la chitarra flamenca e il cantejondo (canto profondo) che, partitidai locali e dai porti di Siviglia, Cadi-ce e Jerez de la Frontera negli anni’40 del 1800, e pur restando fedeli al-la tradizione, continuano però a e-volversi, conservando la capacità,descritta da Federico Garcia Lorca, ditrasportare il pubblico sul marginedell’abisso.

Una ricchezza dunque, quella quitratteggiata, seppur sinteticamen-te, che merita di essere più cono-sciuta, perché il nostro giudizio suun popolo e sulla sua cultura, purnon disconoscendo le difficoltà chesono reali, non sia limitato a stereo-tipi negativi. ■

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Danza andalusa di Carmen Cortez,accompagnata da musica gitana e chitarra flamenca.

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