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Page 1: Génesis.pdf

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Walter Brueggemann

Collana Strumenh - Commentari:

9. 10. 12. 15. 17. 19. 20. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 29. 31. 37. 38. 41.

Walter BRUEGGEMANN, Genesi Fred B. CRADDOCK, Luca Charles CouSAR, Galati J. Gerald JANZEN, Giobbe Lamar WlLUAMSON jr, Marco Terence E. FRETHEIM, Esodo Thomas G. LONG, Ebrei Walter BRUEGGEMANN, I e II Samuele James LrMBURG, / dodici profeti. Parte prima Dermis T. OLSON, Numeri Joseph BLE.NKTNSOPP, Ezechiek Douglas R.A. HARE, Ateteo Carol M. BECHTEL, Ester Paul D. HANSON, Isaia 40 - 66 Elizabeth ACHTEMEIER, I dodici profeti. Parte seconda W. Sibley TOWNER, Daniele Gerard SLOYAN, Giovanni Robert W. JENSON, Cantico dei Cantici

G E N E S I Edizione italiana a cura

di Teresa Franzosi

Claudiana - Torino www.claudiana.it - [email protected]

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Walter Brueggemann, a Columbia Theological Seminary docente di Antico T « ^ ° X „ d i a l i di esegesi veterotesamentaria. Tra

(USA),euno dei maggioii « £ r n MAnlico Testamento. Ucanoneel tmmagma-

- . .„ m,hhiirota con il conlritalo dcl/'S%<, delta Chiesa evan-

zhmento.

SchedabibliograHcaClP

Brueggeman, Walter Genesi / Walter Brueggemann; traduzione di Teresa Franzosi

Torino: Claudiana, 2002 488 p.; 24 cm. - (Strumenti) ISBN 88-7016-4144 1. Bibbia. Vecchio Testamento. Genesi - Commenti

222.1107 (CDD21)

I S B N 88-7016-414-4

Titolo originale: Genesis © John Knox Press, Atlanta, 1982

Per la traduzione italiam: © Claudiana srl, 2002

Via San Pio V15 -10125 Torino Tel. 011.668.98.04 - Fax 011.65.75.42 e-mail: [email protected] sito internet: www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed in Italy

Ristarnpe:

12 11 10 09 08

Copertina di Umberto Stagnant

Stampa: Stampatre, Torino

4

1 2 3 4 5 6

Sommario dell'opera

Introduzione

Parte prima. La «pre-istoria»: La chiamata sovrana di Dio Genesi 1,1 -11,29

Introduzione 1 Genesi 1,1 - 2,4a 2 Genesi 2,4b-3,24 3 Genesi 4,1-16 4 Genesi 4,17 - 6,4 5 Genesi 6,5 -9,17

6 Genesi 9,18 -1032; 11,10-29 7 Genesi 11,1-9

Parte seconda II ciclo di Abramo: la chiamata di Dio accolta Genes i 1130 - 25,18 Introduzione

8 Genesi 11,30 -12,9

9 Genesi 12,10 -13,18 10 Genesi 14,1-24 11 Genesi 15,1-21

12 Genesi 16,1 -18,15 13 Genesi 18,16-1938

14 Genesi 20,1 - 21,34

27

29

43

61

77 89 99

115 125

135 137 149 159 169 175 187 199 215

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15 Genesi 22,1-24 16 Genesi 23,1-25,18

K d o d G l a c o b b e : La chiamata dl Dio contrastata

Genesi 25,19-36,43

225

235

245

Introduzione 17 Genesi 25,19-34 18 Genesi 26,1-34 19 Genesi 27,1-45 20 Genesi 27,46-28,9 21 Genesi 28,10-22

22 Genesi 29,1-3155 23 Genesi 32,1-33,17

24 Genesi 33,18-3431 25 Genesi 35,1-36,43

Parte quarta Ii ciclo di Giuseppe: La chiamata di Dio occulta Genesi 37,1 - 50,26 Introduzione 26 Genesi 37,1-36 27 Genesi 38,1-30 28 Genesi 39,1-23 29 Genesi 40,1-23 30 Genesi 41,1-57 31 Genesi 42,1-44,34

32 Genesi 45,1-28 33 Genesi 46,1-4731 34 Genesi 48,1-50,14 35 Genesi 50,15-26

Indice dei nomi Indke dei iesti citati

Bibliografia

247 257

267 273

285 291 301 313

329 337

347 349 359 369 375 385 391 401 411 421 429 441

453

455

471

r Prefazione ai Commentari

Progettando questa serie all'intemo della collana «Strumenti» - ii cui nome costituisce di per s6 un programma editoriale - ci si e interrogati sulla necessita di pubblicare commentari biblici e su quale genere di commentario proporre ai lettori italiani.

Nel corso del tempo si sono susseguite numerose collane di com-menti alia Bibbia, tutte fortemente segnate dall'autore, dall'epoca e dal-lo stato della ricerca esegetico-teologica. Per limitarci all'ultimo secolo e all'ambito protestante - di cui bene o male siamo tutti figli - nello stu­dio della Bibbia vanno ricordate le due grandi correnti, progressiva-mente allontanatesi in una dicotomia assai pemiciosa per la vita della chiesa: quella che potremmo definire biblicistica e quella dell'esegesi storico-critica. Ambedue hanno genera to commentari legati alia Iettera del testo o alle ricerche esegetiche e storiche concentrandosi in partico-lare, l'una, suU'elaborazione dei dati biblici e sul messaggio, la pieta e la spiritualita, le altre su un'analisi puntuale di singoli versetti o termi­ni nello sforzo di comprenderne il senso all'intemo del contesto storico e di renderlo attuale.

La nuova concezione della serie di commentari che qui proponiamo nasce in ambienti di lingua inglese, in particolare nordamericani, con l'intento di conciliare la grande tradizione dell'esegesi storico-critica con una proposta biblica - ma non biblicistica - capace di parlare alia spiri­tualita e alia sensibilita dei credenti del nostra tempo, e di integrate gli aspetti piu propriamente teologici e omiletici articolando una riflessio-ne di teologia biblica fortemente ancorata al testo della Bibbia. Tenia cio& di non disperdere i tesori di conoscenza storica ed esegetlca e al tempo stesso di rendere riconoscibili le diverse impostazioni teologiche dei singoli libri biblici in modo da valorizzarle e non ridurle a un de-

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Parte prima -Genesi 14-11,29

II nostra testo dunque termina con una dispersione. Non c e ascolto, no Ma c'e tuttavia una disseminazione dell'umamta, un suo popolare la terra che e conforme a quello die era stato 11 volere di Dio sin dall'i-nizio (1,28). E si profila un'attesa - l'attesa di una nuova parola, di una nuova chiamata che dara vita a una nuova comunita. Tutta la creazio-ne attende con impazienza di vedere se Abramo sapra ascoltare e ave-re fiduria, se Sara (cfr. 1U0) ridera, se alia fine Isacco verra al mondo. Poi vi sara un altro «diffondersi», in quella famiglia, il diff ondersi di una benedizione, e non del timore o della collera (cfr. Gen. 28,14). Dopo 11,1-9,1'umanita vive una profonda crisi linguistica. Non si fa parola, qui, d'una sua soluzione. Ma anticipando i tempi possiamo rivelare che a 50,21 Giuseppe sapra servirsi di un linguaggio nuovo con i suoi fratel-U. Essi verranno a lui lerrorizzati, ma egli parlera «al loro cuore». E le loro vite ne saranno trasformate. Nel complesso della narrazione della Genesi, il racconto della torre guarda indietro, a Genesi 1, in cui vigeva ancora un parlare fedele e un ascolto obbediente, e avanti, al nuovo par-lare che sara di Giuseppe, quel parlare in grado di creare una comunita. Ma la comunita di f iducia che verra istituita al capitolo 50 sara solo prov-visoria. II solco che a Babele si e aperto nel linguaggio e un solco profon-do, una ferita non facilmente rimarginabile. Non vi sara ripristino di un parlare e di un ascolto autentici sincM non verra dato lo Spirito (Atti 2), come il primo soffio che s'insuffld per dare la vita (Gen. 1,2).

Parte seconda

II ciclo di Abramo: la chiamata di Dio accolta

Genesi 11,30 - 25,18

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Introduzione

Per fate Abramo, quandofu chiamato, ttbbidi, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in ereditd;... (Ebr. 11,8).

Petfede anche Sara, benchtfuori di eta, ricevette forza di conce­pts, perchi ritenne fedele colui che avevafatlo ia promessa... (Ebr. 11,11).

Per fede Abramo, quandofu messo alia prova, offri Isacco; egli, che aveva rkevuto le promesae, offri il suo unigenito... Abramo era persuaso che Dio e potente da muscitare anche i morti;... (Ebr. 11,17.19).

Colui chechiama all'esistenza i mondi formula ora una seconda chia­mata. Questa chiamata e specifica, II suo oggetto e storicamente identi-f icabile. La chiamata e rivolta all'anziano Abramo e alia sterile Sara. Sco po della chiamata e dar vita a una comunita aiternariva nella creazione che ha fallito, dar forma concreta, nella storia umana, al potere della be-nedizionedivina. La speranza di Dio e che in questa nuova famiglia 1'in-tera storia umana potra essere condotta a queH'unita e armonia preor-dinati sin dall'inizio da Colui che chiama.

Nella sua forma canonica, la Genesi e chiara su due cose. Primo, il Dio che forma il mondo e lo stesso Dio che crea lsraele. £

lo stesso Dio a chiamare all'esistenza il creatoe la comunita di fede. Que-sto stesso Dio traduce in realta i suoi potenti disegni creativi e intervie-ne in modi sorprendenti e redentivi. La chiamata di Sara e di Abramo non ha a che fare soltanto con la creazione di lsraele, ma con la ri-crea-zione della creazione stessa, la trasformazione delle nazioni. Le vicen-

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18

de di questa famiglia non sono fine a se stesse, ma premessa di piu va-sti disegni di Dio. Pertanto, Gen. 11,35 - 25,18 va letto nel contesto di Gen. 1,1 -11,29.

Secondo, e chiaro che Abramo e Sara, a differervza dell umamta riot-tosa e diffidente presentata in Gen. 1 -11 (se si escludono le due im­portant! eccezioni della aeazione nel capitolo 1 e di Noe), sono ricetti-vi e disponibili. Essi accolgono pienamente la chiamata di Dio. Chie-dersi se questa sia l'unica famiglia che Dio abbia chiamato in questo mo­do sarebbe un mero esercizio accademico (cfr. Am. 9,7). Ma senza dub-bio questa famiglia ha risposto in modo particolarissimo e fedele. In questo ciclo c'e una toccante corrispondenza tra chiamata di Dio e ri-sposta di Abramo e Sara. E sara questa corrispondenza a fornirci la te-matica di promessa efede, intomo a cui questa sezione si incentrera. I te-sti, nella forma in cui ci sono pervenuti, prescindendo cioe dalla storia della loro redazione, vanno analizzati in rapporto alle tematiche di pro­messa e fede. La promessa e il modo in cui Dio e presente in questi rac-conti. La promessa e il potere e la volon ta di Dio di creare un f uturo nuo-vo, radicalmente diverso dal passato e dal presente. La promessa e la decisione di Dio di dar vita a una nuova comunita, creata soltanto da un miracolo e dipendente solo dalla fedelta di Dio. La fede, come rispo-sta a quella promessa, e la capacita di accettare quel futuro annunciato con una passione tanto intensa da far addirittura rinunciare, per quel futuro, al presente.

Problematiche critiche

Anche se sara impossible affrontarle e risolverle tutte, e comunque opportuno prendere atto delle problematiche critiche presenti nel ciclo di Abramo e Sara.

1. £ indubbio che il testo di Gen. 11,35 - 25,18 e il risultato di una com-plessa evoluzione della tradizione. Nella sua forma definitiva, il testo e costituito da van element!, raggruppati intorno a piu tematiche distin-te. Gli studiosi hanno raggruppato e analizzato i materiali in molti mo­di diversi. Essi annoverano i seguenti elementi:

a. Materiali relativi alia famiglia di Abramo: i) Materiali concernenti Sara:

• Sara moglie in pericolo (12,10-20; 20) • Sara e i suoi due figli (16; 18,1-15; 21) • Morte di Sara (23)

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Introduzione

ii) Materiali concernenti Lot: • Lot e la terra (13) • Sodoma e Gomorra (19,1-29) - Lot ele sue figlie (19,30-38)

iii) Materiali concernenti lsacco: • II sacrificio (22) (Cfr. piu oltre, d.iv, su questo racconto co­

me asserzione teologica). • Una moglie per lsacco (24)

iv)Genea!ogia di Abramo (25,1-18) b. Materiali relativi al pat to di Dio con Abramo:

i) La tradizione piu antica (15,7-21) ii) La tradizione piu recente (17)

c. Una narrazione di eventi pubblici (14): d. Asserzioni teologiche:

i) La promessa iniziale (12,1-9) ii) La fede di Abramo (15,1-6) iii) La nuova giustizia (18,16-32) iv) Abramo messo alia prova (22).

Non e facile far rientrare questi materiali in uno schema, e quello qui adottato non intende escludcrne altri. Cio che possediamo e una rac-colta di racconti, ed e nella natura dei racconti essere specific e pecu­liar!. Percio non vanno proposti schemi che possano in qualche modo decurtare il carattere particolare dei materiali.

2. £ opinione comune degli studiosi che questi testi contengano ma­teriali molto antichi, le cui fonti storiche non e piu possibile ricostruire. (Questa opinione e stata messa in dubbio soprattutto da John VAN SE-TERS, Abraham in History and Tradition, 1975. Tuttavia, il precedente con-sensocontinuaattualmenteaprevalere).Accantoaquesti materiali mol­to antichi, che non rivelano particolare intenzionaiita teologica, sono presenti materiali piu speculativi, che invece formulano asserzioni teo­logiche intenzionali.

Nella forma in cui ci sono pervenuti, i testi sono una combinazione dei due tipi di materiali. Un'esegesi corretta deve fare in modo che que-ste due prospettive interagiscano. Cio significa che i materiali tradizio-nali piu antichi andranno trattati cosi come sono, nel rispetto di tutta la loro pregnanza. Ma al tempo stesso andranno visti alia luce delle asser­zioni teologiche piu tarde, che li trasformano. Di conseguenza, i materia­li piu antichi diverranno veicoli di asserzioni teologiche di cui origina-riamente non erano portatori.

Infine, si cerchera di prestare ascolto ai testi nella forma definitiva in cui ci sono pervenuti, cosi come sono stati riuniti nell'insieme del ca-none. Se considerati cosi, nel loro complesso, i materiali diventano un'as-

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„vrana di Dio e sul dispiegarsi di questa pro-

rale asserzione di promessa edi fede. • •. . „ : A » relative a questi testi non sono meno 3. Le problematiche stonche relahve a q n e c e 5 s a r i o s o f .

complesse di ̂ * > ^ £ £ £ £ % gli studiosi concorda-fermarcisi a J * * ^ J K k stone di Abramo an-vano (in base a dab archecJograj s ^ dassero collocate."* -med, E»MWTbronzo di dati archeologici extra -bibbampa*coure

^ S r i r S S S e ^ ^ Seias w t r l m ;„ History and Tradition, 1975) eThompson (The Histori-c i W i S MrieroW Narr-rtfaes, 1974). Di conseguenza, ora non e piu cHara se questi materiali possano essere collocatt in un contesto ster­eo , d ™ n t t S e . Una tesi ancor piu radicale e giunta a mettere in dub-bfo one questi racconti abbiano tout court dei concreti nferiment, stori-c Si ritoma cosi alio scetticismo degli studiosi delle generaz.oni pre­cedent., che non avevano avuto modo di avvalersi delle modeme sco-perte archeologiche. Ai fini del nostra commento non e necessano ad-dentrarsi in queste polemiche, perche ci siamo nproposti d, considera-re il testo nella sua forma canonica. Le problematiche stonche sono in-dubbiamente important!, ma ci6 che ci riproponiamo, qui, e prestare ascolto alle asserzioni teologiche del testo nella forma in cui esso ci e pervenuto.

4 Sulla scoria di Westermann (Types of Narrative in Genesis, in The Pro­mises to the Fathers, 1964, pp. 71-73), possiamo individuate quattro as­serzioni teologiche su cui focalizzare il nostra commento.

a 12 1-9 Viene annunciata la tematica chiave della novita radicale. Questa 'sezione narra della prima chiamata di Dio, della pronta rispo-sta di Abramo, e del suo essere, oltre che benedetto personalmente, re-so fonte di benedizione per le nazioni. Come ha osservato Wolff (The Kerygma of the Yahwist, "Interpretation" [1966]), quella benedizione pud essere vista come un principio organizzatore che connette Abramo a Ult­ra una serie di persone, tra cui il faraone (12,10-21), Melchisedec (14,17-24), Ismaele (21,9-21) e Moab e Ammon (19,30-38).

b. 15,1-6. Questo testo ci propone una peculiarissima asserzione sul senso della fede (cff. v. 6). £ questa tematica a fornire 1'indizio che ci gui-da a discernere la coerenza dell'intera tradizione abramitica. La fede di Abramo diverra poi un elemento programmatico dell'esegesi paolina

140

Introduzione

di Abramo, in Romani e Galati, e successivamente della tradizione del­la giustificazione per grazia attraverso la fede, propria della Riforma.

c. 18,16-33. Questo brano non ha ricevuto 1'attenzione che merita. La fede di Abramo si manifesta qui nell'audace atteggiamento da lui as-sunto nei confront! di Dio. Abramo si comporta quasi da «maestro di dottrina» neiconfronti di Dio, sollecitandoload assumere unnuovo con­cetto di giustizia. Come cercheremo di mostrare, questo testo rappre-senta una delle piu audaci analisi teologiche dell'intero ciclo.

d. 22,1-9. Riguardo al Dio di Israele, questo testo ne asserisce auda-cemente l'unita, dialettica ma cruciale. Dio e colui che mette alia prova (e richiede sacrifici ai suoi) e colui che provvede (e fornisce quanto e ne-cessario per poter avere un futuro). La collocazione di questo testo nei lezionario accanto ai racconto della trasfigurazione di Mc. 9,1-9 e a Rom. 831-39 e suggestiva: anche nella narrazione della Genesi vi e una tra­sfigurazione, 1'apparizione di una «nuova forma di Dio», non meno ra­dicale della «metamorfosi» del racconto di Marco, mentre e la compre-senza del mettere alia provafprovvedere a rendere appropriato 1'accosta-mento a Rom. 831-39. £ la stupefacente sorpresa di Dio in 22,13 a dare la certezza che non esiste separazione definitiva da lui.

A s s e r z i o n i t e o l o g i c h e e s p u n t i e s e g e t i c i

II lungo processo redazionale a cui questi materiali vennero sotto-posti non mirava in primo luogo alia formulazione di un pensiero teo­logico coerente. Questi materiali erano una venerata memoria, la cui funzione era quella di costituire e tramandare Yethos di questo popolo, Israele. Tuttavia e ragionevole concludere che, nei corso di un lungo pe-riodo, e attraverso un'abile e sapiente rielaborazione, i materiali assun-sero di fatto la fisionomia di un pensiero teologico coerente. Divennero l'umile contenitore di un tesoro di fede. Ed e di questo tesoro di fede che il nostra commento si occupera.

1. Nella sua forma attuale, la promessa riguarda fondamentalmente la terra. Le questioni fondamentali sono se Dio manterra quella pro­messa e se Abramo sara capace di vivere di quella promessa. Ma all'in-terno del contesto della terra promessa, la promessa di un erede assume via via sempre piu importanza. La promessa della terra non potra av-verarsi se non vi sara un erede. La promessa dell'erede e sempre in fun­zione della promessa della terra. E infatti nei racconto 1'attenzione si

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18

sposta man mano sempre piu sulla promessa dell'erede, che conferisce aU'intreccio la dinamica primaria.

I vari racconti sono stati elaborati in modo da dar vita complessiva-mente a un pensiero teologico arricolato e denso di sorprese e di su­spense. L'intreccio principale approda, da una profunda tensione, a un'j-naspettata risoluzione. II dipanarsi della trama e delimitato da due pro­messe, quella in 12,1-3 e la sua reiterazione in 22,15-18. La tensione ini-ziale e per un erede che possa ricevere la terra, che e finalmente con-cesso in 21,1-7. Ma subito, in 22,1-3, viene messo a repentaglio. Tutta-via, non appena Abramo mostra che accetterebbe di perderlo, la pro­messa viene riconfermata, e da qui in avanti la suspense si allenta. I ca-pitoli 23,1 - 25,18 sono sostanzialmente costituiti da materiali di transi-zione estranei aU'intreccio principale- Nel complesso, il ciclo afferma che Dio manterra la sua promessa e che Abramo e Sara sapranno con-fidare in essa.

2.1 punti di maggior interesse teologico di questo materiale sono enunciati nel capitolo 11 della lettera agli Ebrei (si vedano i tre brani ci-tati in apertura di questa Parte). Sono infatti tre gli elementi di interes­se teologico.

a. Ebr. 11,8-10. La promessa di una lerra viene fatta a un popolo privo di terra. Non ha importanza quale si scelga, tra le ipotesi formulate ne-gli ultimi decenni dagli studiosi: che Abramo fosse un nomade, un ric-co mercante, o un carovaniere. In ogni caso, non ha terre di sua pro-prieta. E proprio questo aspetto della promessa non va assolutamente tralasdato: il suoessere rivolta alio «straniero», a colui che viene da fuo-ri e non possiede nulla.

b. Ebr. 11,11-12. La promessa di un erede viene fatta a una coppia steri­le che ormai non spera piu in una discendenza. La prima promessa, quella della terra, dipende dal realizzarsi della seconda, dall'avvento di una seconda generazione. La narrazione segue questa vicenda sino al­ia nascita dell'erede tanto atteso, nel capitolo 21. II testo centrale e 18,1-15, in cui la promessa di un figlio viene presentata come scandalosa e impossibile. L'interrogativo posto nel racconto e quello di tutti coloro che credono: «Vi e forse qualcosa che sia troppo difficile per il SiGNO RE?» (18,14). Un interrogativo sempre attuale per quanti professano la fede biblica (cfr. Mc. 10,23-31).

c Ebr. 11,17-19. Abramo viene messo alia prova con Yordine di sacri-ftcare Isacco. Nel complesso del ciclo questo puo sembrare un evento se­condare. Ma Titer della promessa dal capitolo 12,1-3 al capitolo 22,15-18 mostra (ed Ebr. 11 lo conferma) che per Tintera tradizione questo evento non e meno cruciale delle promesse della terra e di un erede. Questo evento mette tutto in crisi. La fedelta di Dio viene messa in dub-

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Introduzione

bio, e la speculare fedelta di Abramo profondamente messa alia prova. L'interrogativo che solitamente sorge di fronte a questo episodio e se davvero Dio metla alia prova in questo modo. Ma ce n'e un altro, ancor piu spinoso: se dawero Dio proweda. II racconto ispira all'autore della lettera agli Ebrei, che si rivolge a una comunita perseguitata, una pro-clamazione della risurrezione. La risurrezione viene vista come il mo­do in cui Dio, stupefacentemente, mantiene, contro ogni evidenza, le sue promesse.

Le tre tematiche insieme, (a) il credere che verra data una terra, (b) il credere che verra al mondo un erede, (c) il credere che Dio possa prov-vedere, oltre che mettere alia prova, sospingono la comunita d'ascolto verso la tematica centrale: la fede.

La tradizione confessa che Abramo fu un «campione della fede». Ma la testimonianza dei singoli testi e piu composita. Senza dubbio, i mo-menti di fede sono profondi e intensi. Abramo parte subito per rispon-dere alia chiamata (12,4). E poi nuovamente si awia sollecitamente por-tando con se il figlio (22,3). E tra le due ubbidienti partenze, erede nel­la promessa (15,6). La fede di Abramo e la principale asserzione del rac­conto, reiterata all'inizio (12,3), a meta (15,6) e alia fine (22,1-13).

Ma la fede di Abramo non si sviluppa nel vuoto. Abramo deve vi-vere nella storia. E cosi non sempre si fida. Ecco allora che ricorre al-Tinganno per salvarsi la vita (12,10-20; 20,1-18), si provvede di una mo-glie alternativa, se caso mai qualcosa dovesse andare storto (16,1-16), si intestardisce su Ismaele, quando Dio ha in mente invece Isacco (17,18). Questi testi ci tutelano dal rischio di interpretare la fede di Abramo co­me una fede facile e priva di lotte interiori.

3. La fede a cui Abramo e chiamato e per cui e celebrato e il ricono-scimento di un Dio peculiare. Abramo ha fede in un Dio che puo viola-re le convenzioni religiose (cfr. 18,16-32), sovvertire le normali defini-zioni di realta (18,14), e suscitare cose nuove e inaspettate (21,1-7). Isac­co - a lungo promesso, infine concesso, e subito ridomandato - e la per-sonificazione del «nuovo» che Dio & in grado di suscitare in questa fa-miglia segnata dalla sterilita. La Bibbia parla di questa novita radicale fondamentalmente in tre modi: (a) la creazione dal nulla, (b) la risurre­zione dai morri, (c) la giustiheazione per grazia attraverso la fede (cfr. Rom. 4,17). Nella saga di Abramo, a compendiarli tutti e tre e la nasci­ta di Isacco. Abbiamo a che fare con un Dio di cui non esiste analogia o parallelo, Questo racconto solleva interrogativi e critiche contro un mon­do ancorato a quanto e sicuro, prevedibile, controllabile. Afferma che tra ci6 che e e cio che Dio promette esiste una discontinuity. La novita che Dio ha promesso non sara tratta dalle cose che gia sono, ma creata in modo completamente nuovo da Dio, nella sua sublime fedelta. Que-

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conda-Genea 11,30 -25,18

dfv te a una comunita minori.aria, la .minoranza abramihca. basa a su nulla P » * e il riso di Sara (21,6), che anticipa U anso pasquale. del-

la comunita di Gesu. 4. Non sorprende che il Nuovo Testamento abbia trovato il ciclo di

Abramo particolarmente pregnante. Anricipa la buona novella (cfr. Gal. 3 8) Enuncia o preannuncia le tematiche principal! dell evangelo. C16 ri'sulta evidente nelle riflessioni di Ebrei 11, e anche nella trattazione del-la fede che Paolo fa in Rom. 4; Gal. 3 - 4. Certo, il contrasto Isacco/Ismae-le, e l'appaiamento allegorico Sara/Agar, Sion/Sinai di Gal. 4, va al di la delle intenzioni del testo della Genesi. Ma indubbiamente Paolo ne ha colto il dato essenziale: il figlio della promessa e nato per essere li-bero (Gal. 4,31 - 5,1).

Una menzione speciale merita l'affermazione criptica e minacciosa di Giovanni Battista in Mt. 3,9:

Non pensate di dire dentro di voi: «Abbiamo per padre Abramo»; per­ch^ io vi dico che da queste pietre Dio pu6 far sorgere dei figli ad Abra­mo.

Le novita della buona novella e la realta della vita nuova dipendono unicamente dal volere di Dio. Questa affermazione di Giovanni e l'in-tera saga abramitica emettono un severo giudizio contro quanti perse-verano in atteggiamenti contrari alia dimensione della promessa.

5. II ciclo di Abramo ofrre innumerevoli spunti all'esegesi. Cid che narra si contrappone nettamente a ogni ideologia o visione del mondo che interpret! il mondo come qualcosa di fisso e stabilito. £ ironico e in-quietante che il mondo moderno, che tanto esalta la liberta, contempo-raneamente tenda a credere che la vita presente sia fine a se stessa, una sorta di cerchio chiuso. 11 mondo modemo (contesto in cui va condotta la nostra esegesi) parte dal presupposto che non possa piu esservi al-cuna autenHca novita, alcun nuovo dono. Questo tipo di visione del mondo induce o (a) a un atteggiamento di indisciplinata presunzione, nel­la convinzione che il mondo sia completamente in mano nostra, o (b) a un atteggiamento di profonda disperazione, nella convinzione che l'a ttuale realta d, ingiushzia e oppressione sia destinata a durare in eterno, e che ne m aelo nein terra vi sia potere in grado di operare un vero cambia-o a r t n n r t ^ ^ P r e s u n z i o r * che queila della disperazione u n ^ e ^ S r * 0 t f , S m ° n d ° Sia "stonzialmente un artefatto umano, e che rutte le poss.bihta dipendano dalle capacita umane.

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Introduzione

Contro queste due visioni del mondo, il ciclo di Abramo propone una realta alternativa, che salva tanto dalla presunzione quanto dalla di­sperazione. Afferma che il mondo non e stato affidato totalmente al-l'essere umano. Per sua grazia insondabile, Dio si e riservato lo straor-dinario dono della vita.

La «buona notizia» preannunciata (cfr. Gal. 3,8) e buona novella per quanti disperano. Annuncia che cib che il mondo riteneva impossibile e possibile grazie alia potenza di Dio (cfr. Gen. 18,14; Mc. 10,27). £ pos-sibile, grazie alia promessa di Dio, essere liberati dal mondo insterilito dell'oppressione, dell'ingiustizia, della disperazione. Coloro che sono nella disperazione se ascoltano questi testi saranno in grado di unirsi al «riso pasquale» di Sara (cfr. Gen. 21,6).

La buona novella preannunciata e sconvolgente per quanti affronta-no il mondo con presunzione. Questo ciclo afferma che i nostri piani piu elaborati possono essere mandati all'aria, che i nostri sotterfugi (cfr. 12,10-20; 20,1-18) e stratagemmi (16; 17,18) non sono in grado di opporsi al volere di Dio e al suo modo, talvolta bizzarro, di sistemare le cose. In questo ciclo la vita stessa viene rimessa in discussione da buone e cat-tive nuove: queila di aicuni conosce una nuova speranza, queila di al-tri resta sconvolta, ma - cosi si spera - in vista di un cambiamento, di un qualcosa di nuovo.

6. Questa interpretazione del ciclo di Abramo e Sara ci permette di comprendere in modo nuovo il significato di Gesu, figlio di Abramo. Per Gesu di Nazareth, «Regno di Dio» (cfr. Mc. 1,14-15) e la formula che sintetizza la novita data dalla promessa di Dio. £ il Regno a dar nuova vita a quanti sono insteriliti (Lc. 7,22), E questo suscita scandalo ogni qual volta accade (v. 23). £ il Regno che giunge, novita dirompente, a ri-dar vita ai morti. E come era prevedibile, suscita resistenza (cfr. Mc. 3,5-6), perche con la sua potenza salvifica annienta il regno presente (Mc. 5,17).

II rischio e le potenzialita illustrate dal ciclo di Abramo e Sara ci met-tono in crisi. £ la crisi che insorge quando si tratta decidere se vivere per la promessa, affrancandosi dalla sterilita della realta presente, o contro la promessa, perseverando in queila realta. Nella descrizione che Luca fa degli effetti della predicazione di Gesu ritroviamo le stesse due reazio-ni alia promessa documentate da questo ciclo: (a) Aicuni vi oppongono resistenza: «l capi dei sacerdoti, gli scribi e i notabili del popolo cerca-vano di farlo morire» (Lc. 19,47). (b) Altri la accolgono con entusiasmo: «tutto il popolo, ascoltandolo, pendeva dalle sue Iabbra» (Lc 19,48). La fede nella promessa di Dio e una possibility che il mondo riticne scan-dalosa. Cerchera dunque di annientare la promessa e di soffocare la «possibilita impossibile>» ricorrendo a ogni sorta di ideologic confor-

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Introduzione

rmsmo, morahsmo mpressivo, o all'opposto edonismo e individuali-smo. E questo perche la promessa mette in crisi tutto ci6 a cui il mondo e attaccato. Malgrado tutto, perd, Sara e la comunita di Abramo avran-no 1'ultima nsata (Gen. 21,6; Lc. 6,21; Giov. 16,20; Ebr. 11,12). Ed e pro-prio questo riso il fondamento di questa storia «risibile», che tratta del nostro rischio piu grande e, insieme, della nostra piu grande speranza.

Schema del commento

II grafico schematizza i punti che verranno maggiormente messi in evidenza nel commento che segue. I due fulcri dell'esegesi sono la pro­messa iniziale in 12,1-9 e la messa alia prova in 22,1-13. Questi due te-sti reiterano le promesse fondamentali e costituiscono i due capisaldi della narrazione. Al loro interno verranno messi in evidenza l'asserzio-ne sulla fede del capitolo 15 e la riflessione teologica di 18,16-33, in cui compare anche una rormulazione sintctica della promessa (18,18). I rac-conti dei capitoli 16; 17; 18,1-15 (sebbene composti di materiali diversi) verranno considerati insieme, in quanto preannunci dcll'erede promesso. II grafico segnala che il terzo di questi, 18,1-15, 6 il piu cruciate per lo sviluppo della narrazione. Gli episodi di 12,10-20 e il capitolo 13 ver­ranno trattati come paralleii, giacche- trattano di Abramo come esempio di «uomo di fede», e viceversa di «uomo di poca fede». Diversamente da quanto ci si sarcbbe potuti aspettare, la nascita tanto attesa (21,1-8) non viene narrata con cnfasi, e anche noi, nel commentarla, ci atterre-mo a questa sobrieta. I capitoli conclusivi, 23,1 - 25,18, sono estranei al-l'intreccio principale, e il capitolo 14 non sembra essere correlato al re-sto.

Al termine di questo ciclo, la promessa (12,1-9) non solo e stata man-tenuta viva e intatta, ma e maturata teologicamente attraverso 1'analisi della fede di 15,1-6, la prodamazione di una nuova giustizia di 18,16-33 e la rivelazione del Dio che mette alia prova e prowede di 22,1-14. In modo del tutto indipendente, il capitolo 24 costituisce una ripresa della tematica del Dio di bonta efedclta (vv. 12.14.27), che concede suc-cesso (vv. 21.40.42) e guida il suo popolo (vv. 27.48). Dio fa tutto questo per gli sterili, per coloro che non hanno una terra. Si consolino dunque, ch6 di lui possono avere fiducial

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Genesi 11,30 -12,9

Questo testo e di cardinate importanza nella Genesi. Connette le tra-dizioni della prozvidenza di Dio per ii mondo a quelle deU'elezione da partedi Diodi Israele. Propone ancheun primomodelloesemplare del-la promessa di Dio che inaugura la storia di Israele, e della risposta a quella promessa, la fede di Israele, incamata da Abramo. II nostro com-mento trattera in particolare (a) della situazione di Israele che riceve la chiamata di Dio, (b) della parola efficace di Dio, che irrompe e opera una Genesi in questa famiglia, (c) degli inizi della rischiosa vita di fede di Abramo.

8.1 La giustapposizione sterilita/parola di Dio

Non c'e dubbio che tra 11,32 e 12,1 si e voluto introdurre nclla strut-tura della Genesi una svolta narrativa decisiva, la piu importante forse dell'intero Antico Testamento, e senz'altro della Genesi. Questa svolta separa la storia deH'umanita dalla storia di Israele, o la storia della ma-ledizione dalla storia delta benedizione. Sara dunque neccssaria qual-che spiegazione sul modo in cui tratteremo i versetti 11,30 - 12,9, cioe come soUizione di continuita nell'ambito di questa svolta. La funzione dei versetti 1130 -12,9 e mostrare che Dio non da inizio alia storia di Israele ex mhilo. La nuova storia inaugurata dalla chiamata di Dio in 12,1-3, la storia della promessa, non nasce dal nulla: viene creata dalla potenza di Dio a partire dalla situazione di 11,30-32. II collegamento tra 11,30-32 e 12,1-9 viene qui proposto perche" si possa comprendere ap-pieno la natura della palingenesi suscitata dalla potenza della parola di Dio.

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straordinario di tutta la • j -„,„, i aH'annuncio pift straordinano ai tutta la l.Ci troviamc qui dnw>*1 « » P v i a n a t u r a l e

4<zkm di Isracte. La ̂ * * S Lite eenealogie di Gen. 10 .„ a. a v i s t o r i c i , come dettagliato nelle genealog* d a m a O T e d

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,1 , ,to non rifleS sulle cause di questa sterilita, non accenna a even-u U Z z i o n i o maledizioni. Si limita a rifenre che questa fam.gha (e

con L tutta la «famiglia» di Gen. 1 -11) ha esaunto .1 suo uturo, e giunta al termine delta sua storia. Sterilita: e questo 1 esito della storia umana Ecco un'efficace metafora delta totale assenza di speranza. Non c'e piu alcun futuro in vista. E non c'e potere umano che possa gene-rarlo.

La sterilita non £ pero soltanto la disperata condizione di un uma-nita priva di speranza. II miracolo della fede biblica e che essa e anche U teatro dell'azione vivificante di Dio. In questa nuova famiglia della promessa la sterilita non e un evento isolato. Dopo Sara, Rebecca (25,21), Rachele (29,31), e Anna (I Sam. 1,2) saranno sterili. E sterile sara anche Israele in esilio (Is. 54,1 ss.). La corretta interpretazione dei testi del ci-clo di Abramo e Sara dipende dalla comprensione della metafora della sterilita. Essa annuncia che questa famiglia inizia la sua vita in una si-tuazione di irreparabite assenza di speranza.

2. Poi, ecco 12,1. Se fosse toccato a noi, inaugurate una nuova storia, senz'altro avremmo fatto in modo che questo inizio avvenisse in un con-testo di maggior speranza. Ma questo Dio non agisce cosi. Questo Dio sceglie di proferire la sua parola efficace proprio in un contesto di ste­rilita. £ questo il fondamento della buona novella. Questo Dio non di­pende dalle potenzialita di quelli che chiama. Abramo e Sara, infatti, ne sono del tutto privi. La parola di Dio non si attende nulla da quelli che chiama: ha in s£ tutto cio che basta a dar vita a un nuovo popolo nella storia. La potenza di questa parola e srraordinaria. Essa parla di futuro a una famiglia che non ha alcuna speranza di futuro. La giustapposi-zione sterilita di Israele I parola di Dio e paradigmatica per Israele. Dei due termini «stenlita>> sta a indicate la profonda irrilevanza di Israele, «pa-rola di Dio.. la liberta e potenza con cui Dio realizza il proprio volere tra .^sperar^^llrestodeltestoesemplicementel'annuncio che la pa­rola di Dio tnonfa sulla sterilita della realta umana.

P a r o I ^ d f a u t t n ^ V I 0 ^ " ^ ^ ^ " S l G N O R E <»«e W - **

risurrezione. Questa Z ^ S T T ? * ™ P " * " 8 ™ 1 ^ urrezione e la chiamata degli sterili a mettersi in

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Genesi 11,30-12,9

cammino. La parola di questo Dio stimola a una risposta di fede quan-ti sino a quel momcnto erano incapaci di rispondere.

£ gia Paolo a promuovere questa interpretazione della risurrezio­ne, quando parla del Dio in cui Abramo credette, come colui «... che fa rivivere i morti, e chiama all'esistenza le cose che non esistono» (Rom. 4,17). Cio che non esisteva e che ora esiste e Israele, un popolo creato dalla parola di Dio per serbare la sua promessa e compiere la sua volonta. Al tempo di Abramo, al tempo di Paolo, ai tempi nostri, il mondo teme quella parola. E in preda al timore, le preferisce il si-lenzio, le ideologie, la propaganda; roso dal dubbio, finisce per pre-stare ascolto a parole incomparabilmente meno potenti. Ma il nostro testo afferma che la parola di Dio e in grado di spezzare tutte queste resistcnze.

8.2 La promessa e la risposta

1. La prima chiamata di Dio e consistita nel chiamare all'esistenza i mondi, il creato. In questa seconda chiamata, come recita 1'articolo del­la Confessione di fede della United Church of Christ, «Dio ci chiama nella chiesa», chiama una comunita alternativa, un'altemativa agli ste-rili, ai duri di cuore che hanno smesso di ascoltare, e di conseguenza di sperare, e di vivere. Dio chiama i senza speranza a far parte di una co­munita che ha un futuro, i sedentari a mettersi in cammino.

La parola rivolta da Dio a questa famiglia sterile e dunque una chia­mata all'abbandono, alia rinuncia, alia resa. Una chiamata a partire per un viaggio irto di rischi, abbandonando il mondo conosciuto, fatto di norme e certezze inveterate. L'ordine e conciso e perentorio, esige che Abramo (e Sara) si mettano in cammino «ad occhi chiusi ... e, abban­donando il tuo paese, ti affiderai completamente a me» (Calvino). Cer-to, parlare di rinuncia in una cultura come la nostra, che non fa che esor-tarci all'induigenza verso noi stessi - «perche e un tuo diritto!» - risul-ta estremamente difficile. Ma si nori che questa chiamata non e ne leg-ge ne- disciplina: £ promessa. II testo sa che questa rinuncia alle certez­ze £ Tunica via d'uscita dalla sterilita. Tutto il ciclo di Abramo si fonda su questa apparente contraddizione: runanere al sicuro e restare sterili; affrontare il rischio e avere una speranza.

Questa chiamata sovrana sara riecheggiata dall'invito di Gesu: «Per-che chi vorra salvare la sua vita, la perdera; ma chi perdera la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salvera» (Mc. 835). Adesso come allo-

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P a r t e j e * ^ ^

, ^trineono gli ascoltatori a chiedersi: Voghamo dav-ra, queste parote costnngo g ^ ^ . ^ p r e z z Q t r o p p Q ^ ^ verosottrarcullasterU ta^r ^ ^ ^ ^

CMc 116 20; 10,28). Con Gesu, come per Abramo la chiamata e penco-osamente aperta verso l'ignoto. Come le chiamate di Gesu, la chiama­te rivolta ad Abramo e un imperative. Ma un imperative come quelle che abbiamo incontrato in Gen. 1,1 - IM- Un imperative che e un invi­to, che permette di uscire da una vita di sterihta, come quell altro impe-ra'tivo/invito traeva fuori dal caos.

2. AU'imperativo fa seguito la promessa, estemata in cinque asser-zioni alia prima persona singolare (vv. 2-3u): (1) Io far5 di te, (2) Io ti be-nediro, (3) Io renderd grande il tuo nome, (4) Io benedirb quelli che ti benediranno, (5) Io maledird chi ti maledira. Io/Io/Io/Io/Io! (Si noti quanto sapientemente questa auto-affermazione di YHWH contrasta con l'auto-affermazione distnjttiva del primo uomo e della prima donna in Gen. 3,10-13). II futuro che attende Israele non e una conquista di Israe-le. £ un dono di Colui che sa dare «buoni doni» (Mt. 7,11). Questo suo-nera strano a quanti condividono i valori del nostro mondo competiti­ve £ mai possibile immaginare di vivere in un mondo basato sulla gra-tuita? £, in fondo, il dilemma della chiamata. Se mai fossimo capaci di credere che siamo dawero interpellati da un Dio che ci chiama all'esi-stenza, allora potremmo anche accettare che Colui che ci chiama abbia in animo di/arci dei doni. Ma noi non crediamo alle chiamate, e sospettia-mo di chiunque voglia farci dei doni.

Sui doni della promessa vale la pena soffermarsi. Essi sono indice di ci6 che piu desideriamo: benessere, prosperita, sicurezza, preminenza (cfr. Mc. 10,30). La situazione profetizzata in 12,2 contrasta radicalmen-te con quella di 11730. La prosperita, Abramo e Sara non possono rag-giungerla con le loro forze: puo solo essere data. Ma questo dare di-pende dal ncevere, dal fatto che Israele accetti che l'iniziativa sia nelle marud1unA]tro.Enecessarioabbandonarel'ideoIogia delta modermta, secondo cm tunc dipende da noi. Non e'e promessa, senza Qualcuno ^ • ^ ' S O T S ^ T a ^ ^ e « ^ - 8 e ^ P e r g l i s t e r i l i , s e s i v u o l

Lr a t ! lT^ i q u e s t 0 ^ l'abbandonodiogniatt^ri . fe b P r o m e s s a a e s , S e r e

creduto e glorificato. ' A e g h d a V l t a e <** v u o 1 e s s e r e

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Genesi 11,30-12,9

3. Secondo una tradizione antichissima, queste promesse si realizza-no in Davide e Salomone. Forse questo testo fu composto all'epoca dei grandi sovrani di Israele (cfr. I Re 1,47), e forse la particolare espressio-ne delle promesse si riferiva a loro e alia loro prosperita. Quello della prosperita regale e uno dei possibili contesti delle promesse. La pro­messa offre esattamente ci6 che la gente di Babele (11,4) aveva cercato invano di ottenere con le proprie forze. £ un'offerta di quella premi­nenza che anche i discepoli, pur nel loro fraintendimento dell'evange-lo, vagheggiano (Mc. 10,35-37). La promessa, consona tanto a Davide e Salomone quanto ai discepoli di Gesu, si ripropone lungo tutta la sto-ria di questo popolo. Questo popolo e sempre lo stesso, desideroso di ci6 che non e in grado di ottenere da se" e costretto ad attendere, mentre vorrebbc tutto subito.

4. La promessa si conclude con quello che sembra essere un manda­te (v. 3b). La prosperita di Israele contiene in potenza la prosperita del­le altre nazioni. A Israele non e mai permesso vivere in uno splendido isolnmento: deve sempre vivere con, per, e tra gli altri. Ora proprio agli sterili vicne affidato il mandate di provvedere ai bisogni degli altri! Que­sto testo allude a quella che succcssivamente divenne la missione della chiesa nel mondo. Come ha osservato Wolff [The Kerygma of the Yahwi-st, 1966), «in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» diviene una frase programmatica per Israele. Sara utilizzata in 18,18; 22,18; 26,4; 28,14, e poi da Paolo (in Gal. 3,8), che la considera la «buona notizia» preannundata ad Abramo. Questa buona novella preannundata e che Dio vuole la vita di tutti i popoli, la dona gratuitamente e per riceverla non e necessario «qualificarsi». Molto probabilmente il sense della fra­se non e che Israele abbia la diretta responsabilita di far qualcosa per gli altri, ma che la sua vita sotto il giogo della promessa infondera energia alle altre nazioni e fungera loro da modello, cost che anch'esse possano ricevere benedizioni da questo Dio.

Lo stesso testo viene usato nel scrmone di Pietro (At. 3,25), questa vol-ta come motivazione di un appello agli «uomini d'Israele» perche ab-braccino 1'evangelo di Gesu. Questo suo uso negli Atti subito dopo il rac-conto della Pentecoste al capitolo 2 merita un approfondimento. Fa pen-sare che la giustapposizione di Atti 2 e 3 sia parallela alia struttura di Gen. 11,1-9 (a cui si allude ad Atti 2) e Gen. 12,14 (citata ad Atti 3). Si-gnificativamente il discorso di Atti 2 concern? tutte le nazioni, mentre 1'appello di Atti 3 e rivolto in particolare ai giudei. Cosi, la giustapposi­zione proii'idenza/elezione di Genesi 11 -12 viene reiterate ad Atti 2 - 3 .

5. U collegamento tra Abramo e gli emarginati e particolaimente evi-dente nel Vangelo di Luca, vangelo particolarmente attento agli *squa-

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18 ^

lificati* in cui i frequenti riferimenti ad Abramo lasciano intendere che Gesu, come prima di lui Abramo, e colui nel quale gh «emarginati squa-lificati»sonobenedetti:

a U Magnificat di Maria (Lc 1,46-55) e un cantico sul capovolgimento delle sorti operato da Dio a favore degli «squalificati»: la serva nella sua bassezza (v. 48), gli umili (v. 52), gli affamati (v. 53). E significativamen-te questa rivoluzionaria proclamazione di benedizioni termina con le parole «come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alia sua dlscen-dertza per sempre».

b. In Luca 13,10-17, la tradizione abramitica viene evocata nel rac-conto di una donna storpia. Emarginata dalla sua infermita, ella e l'im-magine stessa di chi e fatto oggetto di rifiuto. Per diciotto lunghi anni e vissuta sotto una maledizione. Significativamente, Gesu identifica ap-propriatamente quest'ignota donna come una «figlia di Abramo» (v. 16).

c. Nella parabola di Lc. 16,19-31, vengono nettamente contrapposti il «ricco», palesemente benedetto, e il povero, Lazzaro, che per tutta la vita manca del benche* minimo segno di benedizione. II racconto narra di come colui che era sempre vissuto sotto il segno della maledizione, venga poi ricompensato con la benedizione. E infatti il povero a venir porta to nel seno di Abramo (v. 22). Anche in questo insegnamento, sep-pur mediatamente, e il patriarca Abramo a benedire 1'emarginato, il reietto.

d. Nel celebre racconto di Zaccheo (Lc. 19,1-10), il pubblicano e pa­lesemente un diverso disprezzato. Gesu, nell'annunciargli la salvezza, afferma che quest'uomo totalmente emarginato e anch'egli, proprio lui anzi, un «fig!io d'Abramo» (v. 9).

Questi quattro testi insieme rivelano che Luca ha colto il carattere ra-dicale della benedizione abramitica.

6. La promessa di Dio di 12,1-3 domina la pericope; si colloca tra la famigha immobilizzata di 11,30 e la famiglia pronta a partire di 12,4 ss., e determina a trasformazione dall'una all'altra condizione. Ma sebbe-ne il teste si focahzzi sulla promessa di Dio di 12,1-3, e il versetto 4 ad ~ Z , r ^ A l 3 " ^ 1 2 2 3 1 1 ^ d i * " * » l a s e z i^e 12,1 - 25,18. La S X t e Zf b f a Z d a "*>Viene «*»"«• Abram^ part (v. 4)!

™ < 2 a S e l l Z T ^ -S b e d l N ° n P°se dom™de. Credere nella ten^otT^T U * d 6 < * * Si i n t e n d e Per fede (anche se il S r d i v i L T 0 " rUSat0)" U B i b b i a * s t r u»^ta per mostrare - C ^ ^ ^ '* chiaLa e creda poli che lasciano ogni cSa ne L ^° * * pr°t0tiP° d i m t n j d i s c e '

sere mantenuto e stabUire a u X ™° p e r s m c e r a ^ se possa es-quan siano i cosri d'una simile decisione.

Genesi 11,30-12,9

8.3 La f a m i g l i a i n c a m m i n o

Nel resto di questa sezione (12,4-9) sono tre gli elementi che puo es-sere interessante approfondire.

1. Questo testo introduce la metafora del viaggio come modo per de-scrivere la vita di fede. A credere alle notazioni geografiche dei vv. 5-9 (e non e'e ragione per non farlo), Abramo attraversa il paese fino a Si-chem e Betel, i grandi santuari settentrionali. Poi muove verso la regio-ne meridionale, il Negev e in particolare Ebron, dove la tradizione di Abramo ha il suo locus classicus. (II riferimento alia «quercia di More» e oscuro). Sebbene queste notazioni geografiche siano importanti, il con­cetto di viaggio non va inteso in senso esclusivamente materiale. Non e un certo che, come alcuni sostengono, Abramo fosse un nomade che migrava per sopravvivere. Ancor meno e probabile che, come altri han-no ipotizzato, fosse un mercante che si spostava sistematicamente con le sue carovane. Piu probabilmente, questo riferimento al viaggio non va inteso come una notazione storico-geograh'ca, ma come un programma teologico. La vita di fede e una vita che pone Israele alia ricerca della terra promessa. Ma Abramo non arrivera a destinazione. Egli crede nel­la promessa. Ma la sua vita non riuscira a vederne I'adempimento. Egli e gia nella terra promessa. Ma ancora non la possiede.

a. La metafora del viaggio e una metafora radicale. £ una sfida per le ideologie dominanti del nostra tempo, che mirano a una sistemazione, a una rassicurante condizione stanziale. La vita di questa famiglia ha co­me corrispettivo il modo d'essere dello stesso YHWH. YHWH non e un Dio che si ferma ad abitare in un luogo fisso, ma un Dio che si sposta e va ora qua ora la (II Sam. 7,4-6). Nella tradizione davidica, che polemizza contra l'assolutismo regale, YHWH e presentato come un Dio noto sopra ogni altra cosa per la sua liberta sovrana. Questa famiglia e chiamata al­io stesso tipo di liberta, contrassegnata dalla prccarieta e dal pericolo, da quegli stessi risclii che YHWH stesso assume dimorando con Israele.

b. La metafora del viaggio per descrivere la fede verra ripresa dal Nuovo Testamento e diventera molto importante per il cristianesimo.

i) II discepolato cristiano viene inteso come un seguire «la via» (Mt. 8,22; 9,9; 10,38). Come metafora, la «via» non e caratterizzata in modo preciso, ma e di volta in volta la via di Gesu, la via della croce, la via della sofferenza, la via che conduce a Gerusalemme. II termine con-traddistingue i cristiani come coloro die vivono in antitesi a ogni forma di vita fissa e prestabilita, e seguono un Dio che non si contenta di conv promessi umani che tradiscano il Regno nelle sue esigenze di giustizia e liberta. La sequela della «via» naturalmente porto la chiesa primitiva

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c : c ^ a -gnesnUO- 25,18

asccntrarsicon Welea tee false vie che miravanoaUa h.teladeg.iin-

K r a N * S e 1 e " S * o n e del viaggiodi Ebr. 11 Abramo e Sara ' „ nrSemaH come due esseri umani che, anziche pretendere sta-

m AclSare la rievocazione della lettera agl. Ebre, a nostra passo e tateressante per varie ragioni. Primo, l'attesa della realrzzaztone della promessa nonpuo mai essere unigenerazionale. Ogra generazrone cre-de che se la promessa non si e ancora realizzata, e perche- sara una ge-nerazione futura a vederla realizzata. Questo testo si contrappone quin-di aU ideologia uni-generazionale Kpica della nostra culture, che pre-tende tutto subito. Secondo, questo capitolo non e una mere celebra-zione di grandi nomi del passato, ma un'esortazione alia fede a fronte della persecuzione presente. Asserisce che lo stile di vita contrario alia promessa va contrastato e vinto da quest'altro stile di vita, antitetico e molto piu potente.

iii) Nell'appassionato appello alia chiesa di Corinto di I Cor. 4,7-13, Paolo si awale del tema del viaggio, della vita itinerante:

Pino a questo momento, noi abbiamo fame e sete. Siamo nudi, schiaf-feggiati e senza fissa dimora.

Questo e lo stato presente. Ma del presente, Paolo osserva anche che (a) tutto rid che abbiamo e dono (v. 7), (b) il comportamento redentivo puo essere praticato (v. 12), fc) farlo attira il disprezzo del mondo (v. 13).

Certamente non ne attira il favore! Intraprendere questo «viaggio» e vivere in un modo che espone al disprezzo e alia persecuzione del mon­do, o quanto meno a molti disagi e all'incomprensione. La «minoranza abramitica* costituisce sempre una spina nel fianco di un mondo che ha abbracciato la sterilita e la chiama vitalita.

2. n testo di Gen. 12,5-9 e frutto di un pensiero teologico decisamen-te consapevole. L'ingresso di Abramo nella terra promessa si scontra con la realta dei cananei. Ovviamente. La promessa non viene mai for-mulata in un «vuoto» astorico. E la realta dei cananei (colore cioe, che non credono nella promessa) fa rrascere interrogativi complessi e tur-bativi. Che diritto si puo accampare sulla terra promessa, quando quel-la terra risulta gia occupata da altri? La risposta dipende dall'ottica so­ciology che si assume. Se Israele viene inteso (come probabilmente e Z? ZT•a• }C°meUnacomunit4diPro™ghidisperati,porsido-ramc , r , d e ' C a M n d * m l u s s o <*« ™ ci si puo permettere, dT^T^preTsore50 M ** S l a r e a " ^ ^ i n t e r e S S i

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Genesi 11,30-12,9

Ma non e questa la situazione prospettata nella Genesi. In questo ca-so e megho dire che la presenza dei cananei rimanda a due realta reli­giose. Primo, la promessa di Dio non e mai facUe da credere ne da pra-ticare. Va sempre creduta e praticata tra gente che pratica stili di vita piu scaltri, vantaggiosi e allettanti. U «famiglia abramitica» e sempre chiamata a essere una minoranza in seno a quanti vivono e gestiscono la societa in antitesi alia promessa. Secondo, Abramo e chiamato a una relazione con i cananei. Mentre alcuni degli esegeti anteriori vedono nei cananei semplicemente l'incarnazione di un paganesimo a cui bi-sogna resistere, Von Rad osserva giustamente che Abramo e condotto da Dio «a una relazione enigmatica» con i cananei. Da un lato, non ci sono dati nella tradizione abramitica che testimonino conflitti coi ca­nanei. (Cfr. la stessa tematica in Gen. 34). I cananei costituiscono forse una tentazione per Abramo, perche, a confronto del lento procedere della promessa di YHWH, il loro stile di vita risulta senz'altro allettan-te. Dall'altro, non ci sono neppure dati che testimonino che Abramo cerchi di convertire i cananei. Convertire, fondare una chiesa non e com-pito di Abramo. Egli k chiamato a vivere tra i cananei, a credere nella promessa e a metteria in pratica. Impressionare il prossimo non e com-pito suo, e a rigore neppure rendcre testimonianza a Dio: egli deve sem­plicemente permettere alia realta della benedizione di operare. L'af-fermazione del versetto 6 lascia trasparire una situazione delicata, una vita legata alia promessa, chiamata a far atto di presenza e a mobilita-re il potere della vita a beneficio degli altri, senza sostituirsi a loro n6 convertirli.

3. Soffermiamoci sulla frase «(Abramo) invoco il nome del SlGNORE» (v. 8). In primo luogo il testo afferma che Abramo e un costruttore di al-tari, e con questo allude senz'altro a una prassi cultuale. Ma vi si pud vedere anche dell'altro:

a. «Invocare il nome» significa volgersi a colui che si invoca come unico referente della propria vita. Cosi, la prassi cultuale di Abramo concretizza la dedsione esistenziale da lui presa al versetto 4. Non e pe-regrino connettere questa dedsione di Abramo al comandamento fon-damentale di non avere «altri dei». La celebre interpretazione che Lu-tero diede a questo comandamento e che «Tutto cio a cui il tuo cuore s'attacca e in cui confida, quello e il tuo Dio». II fatto che Abramo invo-chi il nome di YHWH significa che ha deciso di non confidare in altri che neH'Autore della promessa. La costruzione di un altare nella terra dei cananei e una confessione di fede neH'Autore della promessa, in pole-mica contro ogni altro Dio e ogni altra fede. Questo atto di Abramo, che rende concreta e visibile una dedsione esistenziale, si colloca nella tra­dizione di Gen. 4,26.

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i di Dio compendia l'intera gamma dei sen-fa. L'tavocazione de norne a & ^ A ^ ^ ^ forf(,.

Hmentiumam.Daunlato.eF

Cantate e salmeggiale a lui, . S l a t e suluttele sue meranghe! (Sal. 10M )

dali-altroeappassionataSB^levatanelladistretta:

I wami deUa morte mi avevano circondato,

mi aveva raggiunto la disgrana e tl dolore. MaioinvocaiilnomedelStCNORB:

«SlCNORE, libera l'aiuma mia!» (Sal. IHVM;.

Questi due escAmpirispeccHanoiparametridella vita di fede: lodee

s u p * a , prosperita e distretta. E sempre, tanto nell una quarto nell'al-

tra c'e il volgersi a VHWH: a YHWH e a nessun altro. c Sequesta formula di 123 andasse intesa semphcemente come una

lappa della storia deUe religioni, non sarebbe i case d, attnbuirle trop-pTLportanza. Ma se sappiamo intravederv, le tracce della fede della comunita, allora questo teste puo addinttura essere accostato all ap-passionata confessione di Am' 4,12:

In nessun altro e la salvezza; perche non vi e sotto 11 cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati.

L'uso di questa formula ad Atti 4,12 fornisce un interessante spunto al nostro commento. In Gen. 12 abbiamo appena vtsto la giustapposi-zione (a) deUa promessa di benedizione per tulte le nazioni e (b) del-l'invocazione cultuale del nome di VHWH. La prima (12,36) proclama un'mclusmB che si estende a tutti i popoli; la seconda (12,8) un'esclusiva fedelta a YHWH. La stessa combinazione di «inclusivita orizzontale» ed «esclusivita verHcale»> ritoma negli Atli. In Atti 3,25 la promessa inclu-siva e rivolta a tutti. In Atti 4,12 la rivendicazione esclusiva 6 fatta per un unico nome. Insieme, questi due aspetti sono usati per far appello agli ..uomini di Israele» e rendere testimonianza ai «capi e agli anzia-ni». La combinazione dei due aspetti mette in guardia sia da un gretto esclusivismo sociale che dal compromesso religioso.

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Genesi 12,10 -13,18

In 12,1-9 Abramo viene presentato come il fedele esemplare, 1'uomo pio per eccellenza. Riceve la chiamata e parte, facendo affidamento so­lo sul nome (12,8) e sulla parola (12,l-4fl) di questo Dio che improvvi-samente ha rivoluzionato la sua vita. La chiamata di Dio £ stata piena-mente accolta. Qui comincia la storia di Israele. Senza dubbio Abramo e offerto come modeilo alia fede di Israele (come attesta Ebr. 11). Ma pre-so da solo il modeilo non risulta convincente. In quei versetti Abramo non sembra «vero». La fede non e cosi facile. La fede e sempre una lot-ta. Anche il patriarca Abramo deve lottare per mantenersi fedele. I due episodi che ora analizzeremo, 12,10-20 e 13,1-18, danno realta concreta al problema della fede. In questi episodi sorgono due interrogativi. Que­sto Dio manterra la sua straordinaria promessa? E i due che per quella promessa hanno intrapreso il viaggio sapranno continuare a credere nel-la promessa? Questi due interrogativi non coinddono. Ma ricorrono sempre insieme. I testi che ora prenderemo in esame costituiscono un contrappunto a 12,1-9. Le tematiche ivi annunciate vengono ora messe alia prova alia luce della realta e delle sue dure esigenze.

I due racconti ora collegati, 12,10-20 e 13,1-18, originariamentc non avevano nulla a che fare l'un con 1'altro. Fu la tradizione a unirli. La no­stra tesi e che costituiscano una coppia perfetta, che analizza a fondo, in positivo e in negativo, la tematica della fede.

I due racconti rivelano una notevole perizia narrativa. La lore strut-tura e a grandi linee simile. Entrambi iniziano con un problema: la ca-restia (12,10) e un sovraffollamento delle greggi (13,2-7). Ed entrambi si concludono con un lieto fine: Abramo parte ricco (12,16.20), Abramo le­va le tende con una nuova promessa di terra (13,14-17). In entrambi la struttura colloca un riferimento decisivo a YHWH tra il problema inizia-le e la soluzione finale. In 12,17 il Signore colpisce il faraone. In 13,14 il Signore formula una promessa. Ciascun racconto e costruito in modo

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Parte ̂ >mla 'Gw»tU,30- 25,18

eta 11 ritwtawn»« vnwiupprtlrt in certo qua! motto wwasorto. 9en«« tl RUO Intervwto dweun rwconto potwbbe gta mm ima itoria com-PU,tfl M« non Mrebta la aorta »l fed© (• di pott tede) che ft ora, II t*. »to afforma eta le vtta ft come 11 raceonto. I 'Intervene doctatvodi YI IWI i rt »ituft nrt punto in cui le ppamww e I rltchi lono mnggkm", Prendem-mo in eanetdmrian* i due eptaodi wpfiratamente, e pot ragloncrumo sullal.m>glustapp">ldimr.

9.1 Abramo in Egitto

In netto contrasto con 12,1-9, il brano di 12,10-20 presenta Abramo come un uomo ansioso e di poca fede, che si affanna a ordire aotterfu-gi a salvaguardia delta propria incolumita perchd in quests OCcaslorte non riesce a confidarc esclusivamente nella promessa. Lutero osserva acutamente che qui Abramo «perde di vista la Parola». Si noti che que­sts sua tentazione, questa sua crisidi fede sopravvieneiinmediatamente dopo il momento piu sublime delta sua vita di credente, la decisione per la fede. (Una giustapposizione non dissimile da quella di Marco 8,27-33: ai versetti 27-30 Pietro e lodato per la sua grande fede, e subito, ai versetti 31-34, viene rimproverato per la sua poca fede).

1. Le problematiche critiche da prendere in considerazione sono pa-recchie.

a. II testo e un'unita indipendente e sembra costituire un'interruzio-ne nel racconto, che va da 12,9 a 13,2. Inoltre, il racconto probabilmen-te non C una storia originale israelita: ricalca infatti un topos assai diffu­se, quello della «progenitrice in pericolo». Israele si e dunque appro­priate di un topos diffuso e comune per i propri fini. Che questo sia un topos comune risulta evidente dagli episodi parallel! di 20,1-18 e 26,7-11. Evidentemente, questo topos era popolare e importante in Israele. La relazione che intercorre tra questi tre racconti paralleli e oscura. Secon-do Gunkel e van Seters (Abraham in History and Tradition, pp. 167-183), dei tre 12,10-20 sarebbe la forma primitiva. II racconto a 12,10-20 con­vene dimensioni di mistero imperscrutabile che le altre versioni cerca-no di risolvere. Dal momento che approfondire le oscure relazioni che intercorrono'tra le tre versioni non sarebbe particolarmente utile ai fini del nostro commento, sara meglio accantonare questa problematics cri-tica, e occuparci del testo nella forma in cui ci e pervenuto.

b. t stato ipotizzato, in particolare da Speiser (Genesis, AB 1969, pp. 89-94), che il racconto rifletta un'arcaica prassi vigente in Ur, secondo

Cens»l 12,10 -1348

ttil iiMti tMoglJt'piiU,vfleBw.W''rtdoHiitfl»'aim*Mor('llfl/pints) modorte-vaiii fl una miglinr portdort* aortal*. Punqw* dtatro A\ letferftigio dl Abramo d aarebba un fcmdamento itorico, t*d egll in realta non avreb-be merit I to agli egtetanl. Ma quail che rieno f traKoml atorlrt (che re-utano iiuerij), II racconto,nella*ua forma all mile, non puoeaaereInter-pretdto cm\. Ufltorlfldipendechf.irfltm'nteddll'flnimlMlon*eh* Abra­mo rnentlva,

c.Secondo I Vter Weimar (UtitsmtchuneenxurRedaktlonsgoschlchtedit Pentateuch, 13ZAVV 146, p. 16), il brano c presenl.ito in forma di chiasmo, e questa atruttura pub rivelaraf utile ail'lnterpretaztone delta storia:

v. If) introduzione; azione di Abramo w. 11-13 prima scenai discorso di Abramo

| vv. 14-16o seconds scena: azione alia corte egiziana vv. 17-19 terza scena: discorso del faraone

v. 20 conclusione: azione del faraone.

L'introduzionce la conclusione narrano le azioni dei due protagoni-sti, Abramo c il faraone. Le scene prima e terza i discorsi dei due pro­tagonist!. AI centro si colloca la transazione principal che avviene tra j due. Ma proprioli, eccochesiha 1'interventodi YliWH, chesorprendei protagonisti - e fors'anchc il narratore. Ora il protagonista e YHWH.

2. II racconto e semplice e Iineare. Confidando nella promessa, Abra­mo lascia la ricca Mesopotamia. Ma presto scopre che la terra promes­sa 6 terra di carestia. E la carestia lo costringe ad avere a che fare con la realta dell'impero egiziano. Segue I'interazione tra I'impero potente e spietato e quest'uomo la cui un'unica risorsa e una promessa che I'im­pero non riconoscerebbe. II racconto si basa sulIa tragicomica giustap­posizione di forza e impotenza. (Un contrasto caratteristico delia fede biblica, sivedaperesempio Es. 1,15-20, dove avviene tra donneegizia-ne e levatrici ebree, o Giov. 18,33 -19,16, dove lo scontro imparl e tra Ge-su e Pilato). Ci troviamo qui di fronte, come spesso accade nell'Antico Testamento, a un tipico esempio di letteratura di sopravvivenza redat-ta da una minoranza. Questo e un racconto elaborato da una comunita priva di potere per conservare la propria identita e mantenere dignira e coraggio nei confronti di un potere impari e soverchiante. II racconto compensa lo squilibrio tra realta imperiale e fede impotente introdu-cendo YHWH, la nuova realta di cui ne l'affamato patriarca Abramo ne il potente faraone avevano tenuto conto.

a. II racconto consente a Israele di beffare e ridicolizzare I'impero -quello egizio o qualsiasi altra forma di potere oppressivo - e pu6 be-nissimo ancora assolvere questa funzione per un'odiema comunita di

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Parte Mttmda-CenesiU^ 25,18

feddi se owsfc comunM e w» mlnoronw Wsognosa di conserve u rmpha idontita a rinovaw eoosione e coraggio riei confront! di diSu. L i l u u v e svhiavvianti e valori wttli. II Mavnlo e di uno humour eh* K o b e evntelluute a fondo: 1'ashi/ia di Abramo, 1 irresistibile h*|. leu* di Sara (neU* forma altuaU\ una be l low un po' attempatal), l*in. conrenibile M i n e defl'EgStto e del suo signore, il faraone: di t u t te le

donnedisponihilinelt'imjxw, desiderateproprio la matriaiva Sara! Co-si la storia assolve una funzume sociologies. Si colloca nell'arnbito del-la libera/tone, della delegittimazume dramnuttea e verbale dell'auto-rita imperiale.

b. Veniamo aU'aspetto morale del racconto. Abramo 6 un uomo di-sperato, ehe agisce senza scrupoli, giungendo addirittura a mettere in pericolo Sara pur di salvare se stesso. Lutero cerca in tutti i modi di sal-vaguardame la moralita, Calvino si limita a osservare che non seppe confidare nella grazia di Dio, com'era chiamato a fare.

c. Mala nostra interpretazionenon si incentrera sulla comicita ne: sul-l'etica, bensi sullo strano modo in cui Abramo viene trascinato nel mec-canismo dellebenedizioni e maledizioni di Dio. C'£ molto, qui, che non viene, e non va, spiegato. L'azione vera e propria trascende tanto il sot-terfugio di Abramo quanto la prudenza del faraone. Non viene spiega­to perche" Dio debba colpire il faraone (v. 17), quando palesemente e Abramo ad aver suscitato il problema. Ne viene detto come faccia il fa­raone a sapere che la punizione che subisce e legata a Sara e Abramo (vv. 18-19). Alcune lacune evidenti non vengono colmate. II narratore non se ne cura. Gli basta che facciano parte degli imperscrutabili dise-gni di Dio.

Forse il racconto £ una messa alia prova sia di Abramo che di YHWH. Ad Abramo e stato detto «in te saranno benedette tutte le famiglie del-la terra*. E il racconto mostra che in effetti Abramo ha il potere di evo-care una benedizione, ma anche una maledizione, sugli alrri (cfr. 12,3). E l'elemento curioso del racconto e che la maldestra azione di Abramo suscita una maledizione, che pero non si abbatte su di lui (come ci sa-rebbe da aspettarsi da un buon insegnamento morale), ma sugli alrri, per di piu innocenti. Tanto Abramo che il faraone sono avvertiti: avere a che fare con Abramo e pericoloso. Qualcosa di potente e all'opera, qui, di piu potente di Abramo e anche dell'impero. Quando Abramo agisce senza fede, come palesemente ha fatto, la maledizione si abbatte sul mondo. La fede e/o la mancanza di fede di Israele non riguarda sol-tanto Israele. E decisiva per le nazioni. Per questo strano meccanismo, israele e m grado di avere un impatto determinante sulla vita delle na­zioni. era stato preannunciato dalla promessa programmaHca di 12,3b, eora questo racconto lodimostra.

162

GiMiesi 12,10-13,18

d. L'altro elemento ineomprensihile e Impewcrutabile del racconto e che, malgrado la sua codardla, Abramo continue a essere protetto da YMWn. II Dio che ha formulate la promessa continuera a salvare Abra­mo dal faraone e a suscitare benedizione (vv. 16e20; 13,1-2). II raccon­to ci propone dunque due verifiche. Primo: Abramo credera nella pro­messa? Chiaramente no. E questa mancanza di fede e portatrice di mor-te (v. 17). Secondo: Yl iwn manterra la sua promess.1? Inequivocabilmente $1 e ben al di la di qualunque ragionevole aspettativa (cfr. II Cor. 1,19-20). La benevolenza di Dio e pienanicnte confermata. La fedelta di Israe­le, in questa primissima messa alia prova, si rivcla insufficionte. Come osserva Von Rad: «I1 detentore della promessa e il maggior nemico del-la promessa*. Ma se Abramo non sa aver fede nella promessa, non per questo la promessa viene rcvocata. Dio manterra la sua promessa «no-nostante* Abramo. Abramo ha rifiutato di «getrare su di lui ogni (sua) preoccupazione*. Ma ugualmente resta veroche «cgli ha cura di voi* (I Pie. 5,7). Prescindcndo da quella etica e da quella umoristico-politica, le tematiche principal! del racconto sono dunque la sublime fedelta di Dio e la codarda infedelta di Israele. Questo teste rivela alia comunita d'ascolto il mistcro abissale della potenza di Dio che persegue i propri fini nel la storia. Neil faraone n«5 Abramo possono, in ultima analisi.eser-citare il controllo sulla potenza della benedizione. £ Dio a detenerlo, in piena, sovrana liberta.

9.2 A b r a m o e Lot

13,1-18 costituisce un eloquente contrappunto a 12,10-20. La pro­sperity di Abramo assume ora connotazioni territorial!. £ sufficiente la terra? E come andra gestita? Come la si potra conservare, e viceversa, come la si perdera? In antitesi a 12,10-20, in questo racconto Abramo viene presentato come un perfetto esempio di fede. Essendo lo zio, e piu anziano, avrebbe potute accaparrarsi la terra migliore. Ma sicconie con-fida nella promessa, non dubita che alia fine ricevera la terra che Dio vuole dargli. E cosi riscbia tutte, permettendo a Lot di scegliere. L'in-tervento di YHWH, mentre in 12,17 apportava maledizione, in 13,14 ar-reca benedizione.

1. II racconto originariamente fu forse funzionale a scopi tribali. a. Solitamente viene collegato a Gen. 18 -19 come parte di un ciclo

di storie su Lot. 11 collegamento £ fornito dal vcrsetto 13. Probabilmen-te in origine la storia ebbe una funzione etnologica: spiegare perche" al-

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18

cune tribu non israelite avevano ricevuto parte della terra e avevano di-ritto a risiedervi. Ma come vedremo, nella sua forma attuale il raccon-to non e interessato a questo aspetto.

b. Secondo David Daube (Studies in Biblical Law, 1947, pp. 28-36), le due azioni, di Lot prima (v. 10) e di Abramo poi (v. 14), rispecchiereb-bero un'arcaica prassi legale, secondo la quale si veniva in possesso di tutta la terra che si poteva abbracclare con lo sguardo. Dunque, l'invi-to di YHWH ad Abramo (vv. 14-17) sarebbe un modo concreto di far as-sumere a Israele il possesso legale della terra (cfr. Deut. 3,27; Lc. 4,5 e forse Is. 39/M;Mc. 11,11).

c. Come l'episodio precedente, anche questo racconto e chiaro e li-neare. Sia Abramo che Lot, grazie alia benedizione di YHWH, hanno pro-sperato (cfr. 30/27-30), e ora proprio la loro prosperita fa nascere il pro­blema della necessita di piu terra. A un dato stadio evolutive, il racconto nspecchiava forse un conflitto tra Abramo e altri gruppi, forse di piu anhco stanziamento, presenti nel paese. Ma questo eventuale fonda-rnento stonco ormai non e piu ricostruibile. Sebbene in questa necessita di piu terra, acqua e pascoli covino i germi di un conflitto, il racconto ci sorprende: non c'e conflittualita da parte di Abramo. In contrapposi-zione all'egoismo mostrato in 12,10-20, qui Abramo si rivela estrema-mentemagnanimo. Mentre nel precedente racconto la sua incapacita di hdarsi deUa promessa lo aveva reso pavido, qui la sua fiducia nella pro­messa permette (a) a lui di essere fonte di vita per Lot (una delle nazio-ru, cfr. 12/3b), (b) alia benedizione di riversarsi su entrambi.

2. n testo induce a riflettere su come la fiducia nella promessa di Dio consenta una diversa percezione della realta - anche economica. La con-cezione modema e comune a capitalisti e marxisti dell'economia si ba-sa sulla scarsda. U poliHca sociale, la condotta personate, la politica in-temazionale vengono tufte condotte sul presupposto della scarsita, Ne consegue che, nelle quesdoni economiche, conflittualita, competizione e aggresstone sono ritenute strategie appropriate e legittime. Ed era que­sta anche la mentalita dei pastori del bestiame di Abramo e di Lot (13,7-S). La spartizione delle ricchezze e un ambito in cui voters della -promes­sa e ,deohg,a della scarsita entrano drasticamente in conflitto. • t '• a ' 1 2 , 1 3 " 2 1 G e s u s i hova ad affrontare lo stesso problema. La

ncniesta da giudizio viene giustificata da una scarsita di beni. Ma la ri-sposta di Gesu e ben nota: egli trasforma la quesflone della spartizione aei beni m un problema di avarizia, un sentimento che a sua detta con-Tfa\\T. mT t e ' " n c c o d i L " « 12,13-21 (forse lo stesso che in Luca 10,19-31 implora il patriarca Abramo) possiede sempre piu beni, e poi 011 piu, e di p,u ancora - sinche alia fine perde l'unica cosa veramente preziosa: se stesso. U detto conclusivo e eloquente: Gesu contrappone,

Genesi 12,10 -13,18

ai «tesori (accumulati) per sd», l'essere «ricco davanti a Dio» (Lc. 12,21). E ai versetti 22-31, proclama che l'alternativa all'avidita e la fiducia nei buoni doni del Padre. £ pertinente ai due racconti che stiamo esami-nando che in Luca 12,15-31 Gesu metta in relazione tra loro i tre ele-menti dell'avidita (v, 15), deO'ansia (vv. 22 e 25) e della poca fede (v. 28). Questa triade di elementi di Luca 12 ricorre anche nella storia di Gen. 13. Anche qui c'e il problema di spartirsi un'eredita. I pastori dei due uomini danno prova di avidita (v. 7). Ma non Abramo, che anzi mostra di esserne del tutto esente. (Lot non prende posizione: in questo rac­conto e una figura passiva). In antitesi a 12,10-20, qui Abramo non e in ansia per la sua vita (cfr. Lc. 12,22). Incarna la figura esemplare del-l'uomo di fede, serenamente pago di far affidamento sulla promessa di Dio. Percid agisce come un uomo «ricco davanti a Dio» (Lc. 12,21).

b. La tematica dell'eredita, esplicita in Luca 12,13-21 e implicita in Genesi 13, viene fatta oggetto di particolare attenzione ai capitoli 3 e 4 della lettera ai Galati, un testo strettamente correlato alia tradizione di Abramo. La concezione che Paolo ha del problema viene in genere con-siderata «spiritualizzata». Noi dobbiamo badare che la concreta stori-citri della tematica non vada perduta. Paolo interpreto correttamente Pimento della tradizione abramitica. La sua tesi e che i buoni doni di Dio, comunque siano caratterizzati, dipendono in ultima analisi dalla loro qualita di doni. Non ce ne si pud appropriare, essi non possono es­sere avocati/confiscati o incamerati, perdu5 farlo sarebbe pervertire l'es-senza della promessa. E dunque in Gal. 3,18 Paolo conclude:

Perche se I'eredita viene dalla legge essa non viene piu dalla promessa; Dio, invece, concesse questa grazia ad Abramo, mediante la promessa.

II problema per Abramo e credere e fidare soltanto nella promessa. E questo egli fa in 13,1-18, in antitesi a 12,10-20. II nostra testo, come Gal. 3 e Lc. 12, compendia esigenze della promessa e concrete realta della vi­ta economica. La vocazione di Abramo e vivere in un'economia della promessa che a tutti i seguad della «legge» non potrd che apparire stol-tezza, follia. Ma i discendenti di Abramo sono chiamati a essere eredi: non predatori, acquisitori o ladri.

105

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Parte seconda-Genesi 11,30-25,18

9.3 La giustapposizione di 12,10-20 e 13,1-18

Entrambi i testi, 12,10-20 e 13,1-18, risultano reciprocamente i U u m i . nati, se vengono giustapposti. fe infatti propno la loro giustapPoS i2 i o . ne a sintetizzare l'ardua questione della fede.

1 Non abbiamo a che fare con un vago romanticismo religioso m a

con una mutata percezione della realta sociale ed economica. Nel p r i mo racconto, ad Abramo preme sopra vvivere al soverchiante potere del l'impero. Nel secondo, la crisi insorge a proposito di greggi e pascoli Nel primo racconto, Abramo resta intimidito, ma alia fine non cede al potere del faraone. Nel secondo, respinge 1'ideologia della scarsita e agi-see secondo un'ottica diversa, perch£ non dubita della promessa di Dio

Se le attuali previsioni circa le risorse energetiche e I'ecologia si ri-veleranno corrette, in futuro noi uomini e donne che crediamo in que-sti testi ci troveremo a dover decidere suIla realta di Dio, sull'efficacia e validita della promessa - e sulla nostra «poca fede» neUa bonta di Dio che puo cambiare la nostra percezione della realta. £ nostra abitudine confinare lesolenni asserzioni sulla fede esulla promessa all'ambito pri-vato e religioso. Ma questo testo, come allora sollecitava Abramo, cosi oggi sollecita i suoi discendenti a decidere tra la realta della promessa e le altre realta, piu seducenti forse, ma ingannevoli.

2. Quando la realta di Dio e le altre realta si scontrano, sono molte le risposte possibili. E questi racconti non tentano di dissimularlo, per esempio idealizzando Abramo, ma anzi analizzano a fondo le alterna­tive. Nel primo racconto, Abramo persegue egoisticamente i propri in-teressi. Non si fida che della propria astuzia e pur di sopravvivere sa-rebbe disposto a sacrificare gli affetti piu cari.

Nel capitolo 13, Abramo e molto diverse Non si preoccupa di se o del domani (cfr. Mt. 6,15-34). E in 13,1-13 si potrebbe pensare che a co-stituire la sua ricompensa sia la sua stessa virtu. £ solo ai versetti 14-17 che il narratore viene al punto. In quei versetti la promessa della terra viene formulata compiutamente, e il suo contenuto va ben oltre le spe-ranze suscitate da 12,1-3.7. In quei versetti e solo YHWH a parlare, e il suo discorso ecoshtuito da due imperative

Alza ora gli occhieguarda... (v. 14) Alzati,percorriilpaese... (v. I7fl)

seguiti da due proposizioni causali:

166

Genesi 12,10 -13,18

.. .perchi tutto il paese che vedi lo dar6 a te (w. 15). ...perch£iolodar6a te(v. 175).

Questo discorso di YHWH non e un'aggiunta, anche se forse si tratta di una «tradizione successiva». Ora comunque I'intero racconto esiste in funzione di questo discorso. Esso giunge inatteso. Abramo, quando al versetto 9 rischia, non s'immagina questa conclusione. La promessa si colloca sempre oltre l'orizzonte del credente. Non e eccessivo soste-nere che qui Abramo anticipa I'insegnamento di Mt. 6,15-33: cerca in-fatti soltanto la giustizia di Dio. E i versetti 14-17, forse successive dt-vengono un equivalente di «tutte queste cose vi saranno date in piu».

3. II contrasto tra i due racconti non potrebbe essere piu netto. Nel-I'uno Abramo e «in ansia per la sua vita, di che cosa mangera o che co-sa berra» (Mt. 6,25). Nell'alfro rischia tutto per amore della promessa. Ma il testo non vuole che scegliamo tra i due. II primo apporta una no-ta di crudo realismo. II secondo dipinge una fede ferma e coraggiosa. Ma il narratore non sottende mai che 1'uno sia da preferire all'altro, n6 che l'uno possa andare a detrimento dell'altro. I due racconti coesisto-no, giustapposti. La comunita fa memoria e fa tesoro di entrambi.

I due insieme (e mai uno solo dei due) prescntano la fede cosi come realmente e. Come Abramo, anche noi siamo uno strano misto di cau-tela e di fiducia. Ma in entrambe e all'opera la buona novella.

In entrambi i racconti e all'opera il Dio autore della promessa, il Dio dispensatore di benedizioni. Certo, la fiducia di Abramo ha la sua im-portanza, in questi racconti. Ma non e decisiva. A essere decisiva e la fe-delta di YHWH a questa famiglia.

Focalizzato sul patriarca Abramo, 12,10-20 ne mostra la fede debole, che dubitando della promessa e causa di sventura. Al contrario, 13,1-18 mostra un Abramo credente e fiducioso che di viene fonte di prosperity. YHWH interviene ambedue le volte. La prima in modo nefasto, ma sen-za abbandonare Abramo. La seconda tardi - ma al momento giusto per Abramo. I testi rimettono alia comunita di fede il compito di prendere le proprie decisioni. Ma il racconto afferma anche che, quali che siano le decisioni prese, YHWH da parte sua vigila comunque sempre fedel-mente sulla sua promessa.

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Genesi 14,1-24

II capitolo 14, il piu enigmatico della Genesi, appare totalmente iso-lato e privo di connessioni con altre fonti o element! della tradizione rin-venibili nel resto del libro. Apparentemente venne collocato qui per via della menzione di Lot ai versetti 12-16.

11 testo si compone di tre segment! II rapporto che li lega non d chia-ro. I tre segment] sono (a) il resoconto di una guerra fra nazioni (w. I-11); (b) un intervento di Abramo a favore di Lot (w. 12-16), (c) un suc­cessive incontro con Melchisedec, re di Salem (w. 17-24). La parte che sembraoffriremaggiori possibility di approfondimentoteologicoequel-la conclusiva, ed e di questa che ci occuperemo soprattutto, dopo aver brevemente passato in rassegna alcune problematiche critiche del capi­tolo.

10.1 Problematiche critiche

Analisi e valutazione di questo capitolo risultano estremamente dif-ficili.

1.1 dati storid (specialmente quelli relativi ai w . 1-11) sono del tut-to oscuri. Gli studiosi hanno tentato di collocare I'episodio ivi narrate in tutte le epoche possibili, dalla media eta del bronzo al periodo Mac-cabeo. Impossibile anche identiheare i sovrani dei w . 1-11; la contesa insorta tra di loro avrebbe potuto riguardare dei diritti minerari, ma le varie identificazioni storiche proposte restano tutte da dimostrare.

2. L'intervento nel conflitto di Abramo a favore di Lot (w. 12-16) e un episodio curioso, che mal si attagiia al tipo di letteratura rappresen-tata dalla prima parte del capitolo. Pud darsi sia stato collocato qui fit-

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Hziamente, per accrescere la reputazione di Abramo con I'attestazione

del suo coraggio e della sua generosita verso .cong.unh In ogni modo, l'associazione qui suggerita tra Abramo (w. 12-16) e la Stona con la "S" maiuscola (vv. 1-11) e unica in questo testo.

3. L'incontro con Melchisedec re di Salem (w. 17-24) presenta parti-colare interesse, ma anche grandi difficolta. Melchisedec potrebbe for-se essere collegato a Sadoc, sacerdote di Davide (II Sam. 8,17; I Re 1,8 ss.), se «Salem» (v. 18) alludesse a Gerusalemme. Su questa base, c'e chi sostiene che il testo si riferisca al luogo sacro di Gerusalemme e sia sta­te collocato qui per servire agli interessi della classe dirigente davidica. Lo scopo sarebbe stato connettere Israele alle anteriori pratiche cultua-li cananee e alle memorie di Abramo, in modo da conferire legittimita storica a un regime di parvenu. Ma questa ipotesi resta tutta da dimo-strare. La nostra conoscenza dei legami tra tradizione israelita e reli-gione cananea e alrrettanto scarsa quanto quella della storia politica a cui alludono i versetti 1-11.

4. La menzione della decima (v. 20) non allude a un atto di pieta re-ligiosa, ma a un obbligo formale. La decima dunque non e un'offerta spontanea, ma il riconosdmento di una relazione di subordinazione a un superiore da parte di un subaltemo.

10.2 Quattro cons ide raz ion i e s e g e t i c h e (vv. 17-24)

1. Una particolare attenzione andrebbe riservata alia formula dosso-logica dei versetti 18-20. Si tratta di una formula molto antica, proba-bilmente pre-israelitica, forse collocata qui in epoca davidica. II Dio qui menzionato non e il Dio di Israele, ma il «Dio altissimo» (El Elyon), som-ma ovinia del pantheon cananeo. II testo parrebbe un inno rivolto a una diyimta cananea le cui funzioni e i cui attributi vennero successi-vamente assegnati a YHWH, Di0 d i k r a e l e « D i o a l t i s s i m o > > e u n h tolo

3 ? « S ' V'611116 a S S e 8 n a t ° a Y H W H m e P o c a t a r d a - & significativo 7lz£%T° S O p r a f t U t t° i n D a n i e l e && 4,17.24.25.32.34; 5,18.21; particoknT,;:!11 Tu M]zio™tarda- che presenta una dottrina di Dio £ S ^ QfXsto HEoI° v™e ™*° * ^ntest i che tra-s u c S o . k r a d e ' P e r f 0 r m u l a « affermazioni universali sul

tortuosi processi d d l ^ J 1 * ' P?Zi0SO p e r c o m P r e r i d e r e i potenti e P ocessi del smcrehsmo. Indubbiamente problematic, il sin-

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Genesi 14,1-24

cretismo £ per6 anche un modo tramite cui funzioni estranee vengono mediate da altri dei e attribuite al Dio di Israele per accresceme la glo­ria. In questo testo, YHWH, reso con SIGNORE, viene menzionato solo al versetto 22 e non nell'inno (vv. 19-20). Ma, in base alle varianti testuali, anche questa menzione viene ritenuta tarda. Le varie versioni non so-no dovute semplicemente all'incertezza dei manoscritti, ma rispecchia-no la storia della lotta attraverso cui il Dio di Israele usurpd le funzioni di altri dei e giunse a essere confessato come il «Dio altissimo» di Ca­naan. Nella sua forma attuale, il testo si ripropone di identificare il Dio che veglia su Israele con il Dio creatore dcll'universo. Ma il processo che condusse a questa tdentificazione dovette essere segnato da intensi con­trast teologici. L'esito non & dissimile dallo sforzo della chicsa primiti-va di identificare e confessare (a) il «padrone dei cieli e della terra» co­me tutt'uno con (b) il «Padre di nostro Signore Gesu Cristo».

La dossologia (vv. 19-20) rispecchia questo duplice impianto. Si corn-pone di due versetti parallcli che menzionano Dio e gli tributano una benedizione. Ma dopo la duplice menzione del «Dio altissimo», gli at­tributi vanno in direzioni opposte. II primo (v. 19) si riferisce al Dio crea­tore, il secondo (v. 20) alia Iiberazione storica di Israele. Nell'elabora-zione di Israele, questa duplice formulazione osa affermare che il Dio che chiama Abramo e concede Isacco e il Dio venerato in Canaan come Dio della ferrilita, anche se i cananei non ne conoscono il vero nome. I cananei lo venerano come «Dio altissimo», ma e 1'Israele da lui libera-to a conoscerne il nome.

b. Questa peculiare rielaborazione di attributi divini e il riflesso di rivolgimenti politici e lotte di potere. Questo travaglio puo essere illu-minato dalla sofisticata asserzione teologica formulata da Paolo in At. 17,22-31. La tesi di Paolo in At. 17,22-31 6 che il «dio sconosciuto» ora si conosce: non £ un idolo che possa essere manipolato, ma un Signore che esige ravvedimento. In modo parallelo a quello di Paolo, il nostro testo si appropria di una complessa storia religiosa asserendo che Israele co­nosce il nome di questo Dio. Nella forma attuale del testo, Melchisedec il cananeo (vv. 19-20) chiama Dio solo «Dio altissimo», mentre Abramo, net rispondere (v. 22), ne rivela il vero nome. £ solo Abramo, e non il sa­cerdote di Salem, a conoscere il nome di Dio. 11 testo invito a riflettere sul nome e caratterc di Dio, e su come egli si dia a conoscere nella con-creta rivelazione storica.

Nel Nuovo Testamento lo stesso titolo viene usato (Mc. 5,7; Lc 8,28; At. 7,48; 16,17) in contest! conncssi a Gesu e ad atti di potenza saivifica. (Cfr. anche Ebr. 7,1 di cui si parlera piu avanti).

2. La formula cananea (ora attribuita al Dio di Israele) proclama che questo Dio, il Dio che viene in aiuto di Israele, c- il «padrone dei cieli e

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della terra» Questo riferirsi a Dio come creatore non e semplicemente un modo di parlare deU'origine del «cosmo»: e un modo di radicare la fede in un momento di crisi, nella realta piu profonda di cui l'uomo poss'a parlare. La formula dossologica diviene asserzione del fatto die noi non siamo, ne possiamo essere, autosufficienH. II potere della vita d trascende, e d viene dato.

Norman Habel (Yahweh, Maker of Heaven and Earth, JBL 91 [1972], pp. 321-37) ha mostrato come in Israele questa divenne una formula liturgi-ca standard. Habel ha isolato cinque usi strettamente paralleli (Sal. 115,15; 121,2; 1243; 1343 e 146,5). Nessuno di essi rivela interesse per come fu creato U mondo. Trattano tutti della realta presente di quel Dio che e in grado di fare la differenza ota. In tre (Sal. 121,2, quello piu noto; 124,8; 1463) la formula comprende il concetto di «aiuto» ('Bzar). Dalla fede in-centrata sulla creazione (creation faith) procede dunque una profonda fi-duda nel Dio che viene in soccorso, che si fa «Aiuto degli inermi»:

Quando gli aim' soccorritori falliscono, E ogni consolazione viene meno, O Aiuto degli inermi, Tu restami accanto! (Henry R LYTE, Abide with Me, 1820)

Le altre due ricorrenze (Sal. 115,15 e 134,3) non menzionano il so-stantivo aiuto. Ma parlano di benedizione, del potere datore di vita. Que­sta formula dossologica invita Israele a riflettere a fondo sul dono del­la vita che d e stato offerto. Piu di qualunque altro brano della Genesi, questi versetti del capitolo 14 (dr. 243-7) ci invitano a svincolare la fe­de creazionista (creation faith) dall'ambito delle «origini» e a vederla co­me fonte di vita, forza e gioia nelle tribolazioni quotidiane. L'uso della medesima formula nei salmi conferisce a questa solenne asserzione co-smica una sfumatura personale, che la rende appropriata alle dimen-sioni piu intime della fede individuale.

3. L'incontro di Abramo con il re di Salem (w. 17-24) ha per oggetto l'assegnazione del bottino di guerra e il riconoscimento del merito del­la vittoria. Abramo ha vinto e, a quanto pare, ha catturato non solo per-sone ma anche beni in quantita (v. 16). II dialogo che ha luogo tra i due e molto interessante. Abramo respinge l'invito del re di appropriarsi del botHno (v. 23) e formula invece una confessione di fede: non intende di-pendere, nd dare l'impressione di dipendere dal re (cfr. Giud. 7,2), ma unicamente dal Dio il cui nome conosce e a cui ha prestato giuramento (v. 22). La prosperity che Abramo gia ha, e quella che ancora ricevera, dovra essere attribuita non a macchinazioni poliriche o azioni mUitari, ma unicamente al dono gratuito di Dio.

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Genesi 14,1-24

Torniamo a questo proposito al Salmo 146 teste menzionato. Questo salmo presenta un doppio ricorso alia tematica deIl'«aiuto», una volta con il nostro termine «'8zar» (v. 5), l'altra con «fsu'8h» (v. 3), che signi­fies «aiuto salvifico».

Non confidate nei principi, n£ in alcun figlio d'uomo, in cui non e'e aiuto [Psu'Bh] II suo fiato se ne va, ed egli ritorna alia sua terra; in quel giomo periscono i suoi progetti.

Beato colui che ha per aiuto I'ezro] il Dio di Giacobbe e la cui speranza e nel SiGNORE, suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra (Sal. 1463-6").

La contrapposizione e tra (a) 1'aiuto dei principi (nel nostro testo il re di Sodoma) e (b) 1'aiuto del creatore del cielo e della terra. L'afferma-zione di Abramo in Gen. 14,22-24 e una confessione di fede militante e dunque una polemica contro le pretese del re. II Salmo 146 contrappo-ne il potere umano (dei principi) e il potere del creatore del cielo e del­la terra. E in Dan. 11,34-36 il potere umano e definito «piccolo a iu to ('ezer) e contrapposto al Dio degli dei. II concetto teologico comune a tutti e tre i testi e una fiducia esclusiva nell'unico vero Dio che porta a un ripudio assoluto di qualunque altra pretesa di aiuto. Questa fiducia totale in Dio propria di Abramo e eloquentemente contrapposta da Pao­lo alia stolta fiducia in se stessi e nei propri meriti:

Infatti, chi ti distingue dagli altri? E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perch£ ti vanti come se tu non 1'avessi ri-cevuto? (I Cor. 4,7).

Qui Abramo e gia presentato come colui che e giustificato solo dal­la propria fede in Dio: si rifiuta di vantarsi, si rifiuta di confidare nolle proprie forze (cfr. 15,6).

4. Curiosamente, per molti l'interesse principale di questo capitolo e costituito dal riferimento a Melchisedec in Ebr. 5,6-10; 6,20; 7,1-28. Ma in Genesi 14 e evidente che Melchisedec e una figura marginale. Le ci-tazioni del personaggio nella lettera agli Ebrei non hanno che un tenue legame con questo nostro capitolo. Senza dubbio, il Salmo 110,4, a cui assai presto nella storia della chiesa venne data una lettura cristologi-ca, e stato il trait a"union tra il nostro testo ed Ebr. 5 - 7. II salmo viene ci­tato spesso nella lettera agli Ebrei, mentre il nostro testo non e usato con altrettanta frequenza.

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U legame tra il nostra testo e la lettera agli Ebrei si deve a una inter-pretazione marcatomcnte tipologica del testo, die riposa su due punti: primo, Melchisedec benediee Abramo. Dal momento die e sempre il su-periore a benedire l'inferiore, Melchisedec deve essere il prototipo del solo vera sommo sacerdote, Gesu Crista, il quale pub vantare una su­periorita anche su Abramo. Secondo, Melchisedec pub essere figura di Gesu Crista perche e «senza padre, senza madre, senza genealogia, sen-za nuzio di giorni ne fin di vita...» (Ebr. 73). A proposito di questa in-terpretazuine tipologica, tre considerazioni:

a. E futile ricercare un legame storico tra Melchisedec e Gesu (cfr. Ebr. 7,16). II legame si basa su altri tip! di paralleli, non storici ma teologici.

b. 11 testo non afferma che Gesu discenda da Melchisedec, ma che e a sua «somiglianza» (7,15) o che appartiene allVordine di...» (Ebr. 6,20; 741). II legame nguarda un'analogia difumhne piuttosto che un'iden-hta di persona. Qualunque tentativo di spingersi oltre la tipologia per approdare alia storia 6 arbitrario. Ma l'affermazione dell'analogia di f un-zione non va sottovalutata; l'autore della lettera agli Ebrei cerca di ra-dicare l'autorita dell'evangelo in un qualcosa che vada al di la della sto-na. L'emgmatica evocazione di Melchisedec e funzionale a questa ri-vendicazione trans-storica.

c. 11 testo della lettera agli Ebrei non nutre interesse per Melchisedec se non come metafora e figura retorica. II suo vera argomento e la su­periorita di Gesu nei confronti di altri mediatori. Questa superiorita, in ultima analisi, non si basa sull'associazione con Melchisedec, ma sulla risurrezione, un fondamento ben diverso:

... egli divame sacerdote non per disposizione di una legge dalle prescri-zioni carnali, ma in virtu della potenza di una vita indistruttibile (Ebr.

Genesi 14 non contribuisce dunque nulla di sostanziale alia lettera agli Ebrei. Al massimo, apporta una figura, un .<tipo» per una dottrina cristologica che va ben oltre questa nostra testo. II tipo di Melchisedec non si deve a una amHnuita o a una discendtmza, ma a un dono graluito di Dio: un concetto decisivo contra tutte le sciocchezze teologiche che non di rado sono state associate a questa enigmatica figura.

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11

Genesi 15,1-21

Questo capitolo e importantissimo per il ciclo di Abramo. Dal pun-to di vista teologico e anzi probabiimente il capitolo piu importante del-1'intcra raccolta. Molti studiosi lo ritengono la piu antica confessione di fede abrnmitica, da cui le altrc derivercbbero. Paolo se nc servl per la sua dottrina cruciale, quella delta giustificazione per fede. Senza dub-bio questo capitolo contiene elemcnti cruciali per le tematiche della fe­de e del patto.

Abramo e Sara sono stati liberati dalla Ioro sterilita (11,30) dalla pa-roia potente di Dio (12,1). II loro pellegrinaggio di speranza e comin-ciato su un unico fondamento: la promessa di YHWH (12,l-4fl). Questa promessa che si contrapponeva alia sterilita. Ma quando giungiamo al ca­pitolo 15, la sterility persiste. E su quella sterilita (che la promessa non ha vinto) si incentra questo capitolo. II problema cruciale e che la pro­messa tarda ad avverarsi, al punto da far dubitare della sua veridicita. £ un aspetto arduo ed enigmatico della nostra fede, che coloro che cre-dono nella promessa e nei suo potere di vincere la sterilita, tuttavia sia-no spessocostretti a convivere con la sterilita. Perch(*,e come,continuare a confidare unicamente nella promessa, quando tutto sembra smentir-la? £ questo scandalo a venir affrontato, qui. E che Abramo lo accetti e cio che fa di lui il padre della fede.

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11.1 La fede in crisi (w. 1-6)

La sequenza dei versetti 1-6 merita di essere analizzata in dettaglio:

(v- n promessa fondamentale di YHWH (w. 2-3) protesta di Abramo (w. 4-5) risposta di YHWH vW- °) accettazione di Abramo.

Dopo 1'enunciazione della promessa, Abramo protesta, dubitando che essa possa awerarsi, date le circostanze. Ai suoi dubbi YHWH ri-sponde con una duplice rassicurazione. Alia fine del versetto 6, Abra­mo accetta la promessa. Le due rassicurazioni di YHWH (v. l e w . 4-5) sono parallele. Uaccettazione di Abramo (v. 6) contrasta con la prece-dente resistenza (w. 2-3).

L'intero brano e di intensa intimita: Abramo sta faccia a faccia con Dio e tenta di contestarne la promessa e respingeme le rassicurazioni. Evidentemente, la fede a cui Abramo e chiamato non e una pacifica, pia accettazione, ma una convinzione intensamente combattuta, sofferta e clialettica. Abramo non sara un destinatario passivo delta promessa. E pronto a discutere, a polernizzare, a far valere i propri diritti. La sua li-berta nei confronti di Dio e analoga alia liberta della creazione a Gen. 1,1 - 2,4a. Questo Dio invita e permette, ma non coercisce. Abramo non e costretto alia fede, come la creazione non era stata costretta all'obbe-dienza.

1. La narrazione subisce una svolta con l'improvviso «Non temere» di Dio ad Abramo (v. 1). E una formula benevola, ma che suscita anche un profondo turbamento: disorienta Abramo, gia timoroso in cuor suo del f uturo. Egli ormai pensa che nella sua vita non vi saranno piu cam-biamenti, che la chiamata fuori dalla sterilita sia stata un falso allarme. Se la sterilita perdura, allora la promessa e vana. Ma questo Dio non e bugiardo. Egli parla (come in 12,1) con una parola che ristabilisce la pro­messa. Promessa che viene ora ripresentata con un'immagine lievemente diversa: «La tua rkompensa sara grandissima>». La «ricompensa» non viene specificata, ma a che fare con la terra (cfr. w. 18-21).

L'uso del termine «ricompensa» merita un approfondimento. II ter-mine ebraico 4kr, anche se talvolta designa una transazione economica e puo essere reso con «retribuzione», qui implica dono e non quid pro quo (cfr. il diverso uso nel ciclo di Giacobbe in 29,15; 30,28; 31,7). Qui, la ncompensa non e un premio che e stato meritato, ma il riconoscimen-to speciale che il re concede a un servo fedele che ha portato a termine

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Genesi 15,1-21

una missione audace o rischiosa. Abramo e Sara sono chiamati a vive-re le loro vite contro la sterilita. La «ricompensa» li chiama a vivere co­me creature che sperano (cfr. Ebr. 11,10) in una situazione che non da aditoalla speranza- La tematica della «ricompensa» e una delle piu com-plesse da interpretare. E chiaro che credere non e la causa dell'adem-piersi della promessa, perche questo ridurrebbe le cose a un quid pro quo. D'altro canto, e chiaro anche che il dono sara dato solo a quanti spera­no. Dal punto di vista razionale tutto ci6 non e molto Iogico. Ma questo £ un concetto chiave della fede biblica, non astrattamente teologico, ma frutto della concreta esperienza della grazia di Dio. II dono di Dio e con-cesso soprattutto a quanti credono e accettano di rischiare in base alia promessa. Questa stessa difficile affermazione viene fatta anche nelle Beatitudini di Gesu. Esse si concludono in Mt. 5,12 con la promessa di un «premio nei cieli»- In Mt. 5,46 la ncompensa di quanti sperano e con-trapposta al «premio» di quanti vivono nella sfiducia. E in Mt. 6,1.2.5.16 vengono contrapposti premi degli uomini e ricompense date da Dio, che non si possono estorcere ma unicamente ricevere con fede. Per tre volte la contrapposizione viene ribadita:

Questo e i! premio che ne hanno (w. 2.5.16). ... II Padre tuo, che vede nel segreto, te ne dara la ricompensa (vv. 4.6.17)

Le ricompense di Dio non vanno indebitamente spiritualizzate. Qui chiaramente la ricompensa di Abramo e la terra. E anche in un inse-gnamento come Mc. 10,29-30, le ricompense sono si la vita etema, ma anche «case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzio-ni...». Analogamente, in Mc. 9,41 la «ricompensa» e legata alia concre­ta sollecitudine e carita verso il prossimo, secondo 1'esempio di Gesu. Visto il ruolo di primo piano di Abramo in Ebrei 11, la menzione della ricompensa in quel capitolo, benche" riferita a Mose, merita particolare attenzione:

Stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto, perche" aveva lo sguardo rivolto alia ricompensa (v. 26; cfr. 1035).

Parlare di ricompensa come fanno questi testi e rischioso, perche: po-trebbero essere fraintesi per mercificazioni della fede. E tuttavia e. pro-vato che e I'abbandono fiducioso a fare la differenza, e che Dio si mo-stra generoso verso chi ha fede. Passare questo argomento sotto silen-zio, o Iasciarlo ai propagandist! religiosi che lucrano sulle cose sacre pro-mettendo ogni sorta di benefici, non sarebbe giusto. Semmai, le ricom­pense si possono intendere come la generosa risposta di Dio a quanti

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accolgono la sua chiamata e seguono la sua via. Ed e questo che viene offerto ad Abramo.

2. Ma una ricompensa sotto forma di terra presuppone che vi siano degli eredi. La terra non e mai per una generazione soltanto. Bisogna che la si possa trasmettere alle generazioni future. Dunque, la sublime promessa dipende dal concretissimo problema dell'avere o meno un erede. Ed eccoci cosi ritornati (vv. 2-3) al problema della sterilita. Dio non ha ancora fatto l'unica cosa indispensabile per il futuro. Puo, il grem-bo chiuso del presente, venir aperto e dar vita a un nuovo futuro? Per aprirlo e necessario un erede. Un erede che si contrapponga alio schiavo che non fa che proseguire il presente privo di speranza. Abramo e Sara possono anche possedere molti schiavi. Ma uno schiavo non e segno del futuro, e segno solo di necessita, di rassegnazione al fato, di accomo-damento a cui si e costretti. G o che invece e necessario e un erede che spezzi il potere della necessita (cfr. Ger. 2,14).

Abramo ha l'audacia di sollevare una duplice protesta: «Io me ne va-do senza figli / tu non mi hai dato discendenza» (vv. 2-3). II testo ebrai-co del versetto 2 e notoriamente difficile. Ma il suo significato e chiaro quanto basta. Abramo, che non ha figli, e deluso dalla prospettiva che avra come unico erede uno schiavo adottato. Questo dettaglio del fare di uno schiavo adottato il proprio erede rispecchia forse un'antica pras-si vigente in Ur. In ogni modo, il tormento di Abramo e non aver avu-to figli. E nessun «ragionevole sostituto» lo puo consolare. Si scontrano qui promessa potente (v. 1) e altrettanto potente confutazione (vv. 2-3). La totale impossibilita della promessa fatta a questa famiglia si palesa in tutta la sua evidenza. Abramo sa bene che cosa e possibile e che co­sa non lo e. Vive in un tormento incessante. Trova che la promessa di Dio non sia convincente.

3. Dopo la duplice protesta (w. 2-3), YHWH ribadisce ancora una vol-ta la promessa (w. 4-5). II testo e chiarissimo: null'altro viene offerto, se non la parola. Gli stratagemmi dell'adozione o della biologia umana non danno accesso al futuro. Abramo e Sara vengono lasciati nella con-dizione in cui si trovavano al capitolo 12, con la sola realta di questa biz-zarra promessa. YHWH proferisce la sua parola sovrana da cui dipende tutta la fede biblica: «Colui che nascera da te sara tuo erede» (v. 4).

La risposta che Dio da ad Abramo si articola in due parti: (a) nel ver­setto 4 la reiterazione della promessa; (b) nel versetto 5 un segno: le stel-le del cielo. Ma il segno non prova nulla. Come potrebbe, quella molti-tudine di stelle, essere promessa di un figlio? Non dobbiamo equivoca-re l'universo retorico die e all'opera qui: questo non e un ragionamen-to, e una visione, una rivelazione che sovverte la realta precedente. Noi

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Genesi 15,1-21

stiamo lottando, come allora stava lottando Abramo, per il consegui-mento di una certezza che si basa non sulla ragione umana ma su un'es-senziale consapevolezza del fatto che Dio e Dio. E in questo suo mo-mento di profonda oscurita, questa certezza viene concessa ad Abramo. Egli comprende, e il suo comprendere non si deve che alia misericor-diosa e amorevole grazia di Dio. Lo stesso Dio che formula la promes­sa la rende anche credibile. Solo questa nuova consapevolezza che Dio e realmente Dio fomisce un fondamento saldo al futuro di Abramo. II Salmo 8 forse, potrebbe esser letto a commento di questa strana rivela­zione che avviene attraverso la contemplazione delle stelle e dei cieli:

Quand'ioconsideroi tuoi cieli... Le luna e le stelle (cfr. Gen. 15,5), che cos'e 1'uomo [erede?] o il figlio dell'uomo [Isacco?]

II salmo istituisce un collcgamento fra it timore revcrcnziale suscita-to dalla creazione, a quello ancor maggiore suscitato dalla sollecitudi-neche Dio mostra per l'uomo. (Cfr. lo stesso ragionamento in Ger. 33,19-26). £ la misericordiosa sovranita di Dio a determinare questo collega-mento. Quello stesso Dio che ha creato I'infinita moltitudine delle stel­le puo anche far nascere un figlio a questa famiglia sterile. E a noi non e dato penetrare n£ l'uno ne l'altro dei misteri.

4. II risultato: egli credetle (v. 6)! II versetto conclusivo di questa se-zione e il fulcro del nostro testo. Come ben si sa, questo e stato un testo chiave da Paolo a Lutero. Pone il problema di che cosa sia la fede e di come giunga. Non vi 6 nulla, nei versetfi 1-5, che possa persuadere. La nuova promessa (vv. 4-5) non offre nuovi dati che Abramo gia non co-noscesse quando confuta la promessa di ricompensa (w. 2-3). L'ele-mento interpretativo piu suggestivo di questo testo e la sua struttura. Le due parti (w. 1-3 e w . 4-6) sono strutlurate alio stesso modo. In en-trambe vi e una promessa e una risposta. Le promesse sono sostanzial-mente uguali. Ma le due risposte sono assai diverse. La prima (vv. 2-3) k una protesta sfiduciata, una dolorosa rimostranza. La seconda (v. 6) e un atto di fede. L'interrogativo che si pone all'tnterpretc e: perch£ que­sta differenza? Che cosa induce Abramo a una risposta diversa? Egli di sicuro non avverte nei lombi un rinnovato vigore. N£ si fa illusioni sul­la fertilita di Sara. Egli non nutre nuove speranze legate alia carne, ma piuttosto giunge a fidarsi di Colui che gli rivolge la promessa. Permet-te a Dio di essere non un'ipotesi di futuro, ma la voce intorno a cui tut­ta la sua vita si organizza.

a. Abramo si k pentito. Ha abbandonato una lettura della realta ba-

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sata su quanto riesce a vedere, toccare, gestire. Questo nuovo orienta-mento non e una generica pia iltusione che «tutto andra per il verso giu-sto»; Abramo non e reo di pie abdicazioni. £ semmai una risposta del tutto specifica a una promessa concreta che gli giunge da Uno che egli conosce. La fede di Abramo e certa di una cosa: c'e in serbo per lui un futuro che sara nuovo e affrancato dalla sterilita presente. Egli crede che Dio possa operare una svolta tra il presente sterile e un futuro fecondo. Crede in una autentica, reale Genesi.

b. L'approccio di Dio al versetto 1 e ai versetti 4 - 5, benche" sostan-zialmente analoghi, presentano una differenza. II secondo comporta un segno. La moltitudine delle stelle viene percepita da Abramo come un segno della potenza di Dio nella sua vita. II segno non e ne" una prova ne" una dimostrazione: e un sacramento per quanti sanno scorgere la connessione tra realta visibile e promessa. Abramo intraprende un di-scernimento sacramentale (cfr. 1 Cor. 11,29). Nel commentare questo ele-mento del passaggio di Abramo dalla protesta (w. 2-3) alia fede (v. 6), si pud far riferimento ai segni operati da Gesu, soprattutto nel quarto Van-gelo (p. es., Giov. 2,11.23).

c. Ma in ultima analisi, la nuova realta della fede di Abramo va con-siderata un miracolo operato da Dio, La fede di Abramo non va inter-pretata in senso romantico, come una conquista o una decisione mora­le del singolo. Questo Abramo nuovamente pronto a mettersi in cam-mino e invece una creatura della parola, la parola che formula la pro­messa. La situazione di Abramo ha un parallelo nella confessione di Pie-tro (Mt. 16,15-17). Tutt'a un tratto e senza spiegazioni, Pietro compie questa stessa svolta, confessando: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vi-vente». Anche il racconto evangelico vuole riflettere sull'interrogativo: Come e giunto, quest'uomo, a una confessione simile? Com'e possibile la fede, in una vita di incredulita? La risposta di Gesu rivela che la fede e miracolo:

Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perch£ non la came e il sangue ti hanno rivela to questo, ma il Padre mio che e nei cieli.

Ecco com'e, questa fede di Abramo. Egli non passa dalla protesta (w. 2-3) alia confessione (v. 6) grazie alia saggezza o al convincimento, ma grazie al potere di Dio, che rivela e fa si che la rivelazione venga accet-tata. II nuovo viaggio di Abramo non si fonda sulla carne ormai decre-pita di Sara, ne" sulle sue ormai stanche ossa, ma sulla parola rivelatri-ce del Signore.

5. Questa affermazione e un momento rivoluzionario nella storia del­la fede. «Egli credette al SiCNORE, che gli conth questo come giustizia»

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Genesi 15,1-21

(v. 6). Von Rad (preceduto, owiamente, da Calvino e Lutero) ha osser-vato che Abramo viene qui ex abrupto designate uomo gradito agli oc-chi di Dio. II testo annunzia ancora una volta che cosa significhi essere le creature che siamo stati creati per essere, cioe essere giusti. Significa credere nel futuro di Dio e vivere certi di quel futuro anche se il pre­sente e di morte. Questo rivoluzionario concetto di giustizia e la fine di tutti gli «-ismi» (non solo del moralismo, del dogmatismo, del pietismo, ma anche dell'esistenzialisnio, del positivismo, del marxismo, del capi-talismo, dell'umanesimo), perche" ogni «-ismo» & un modo di esercitare un controllo sul presente. Questa nuova giustizia e un rinunciare al con-trollo del presente perche si crede in una Genesi. Abramo e una <-nuo-va creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio... affinche" noi diventassimo giustizia di Dio» (II Cor. 5,17-18.21). Ncssun altro testo deU'Antico Testamcnto ha cser-citato un influsso altrettanto determinante sul Nuovo Testamcnto.

a. Questo testo e particolarmentc importante per le tesi paoline di Rom. 4 e Gal. 2 - 4. Paolo ha ben compreso 1'affermazione di questo te­sto. II futuro della grazia di Dio e aperto a quanti confidano in quel fu­turo e non cercano ne" di aggrapparsi al presente ne" di crearsi da se" un futuro alternativo. Ma Paolo ha capito anche che in ultima analisi non e la fede a fare la differenza. La fede risponde a una grazia gia data. Que­sta fede non e un'accettazione della grazia gia presente nel mondo, ma un'accettazione delta grazia di Dio promessa malgrado il mondo sia cosi com'e. La fede di Abramo non & riposta in qualcosa che egli veda nel mondo, ma in una parola che vincera la sterilita del mondo. La fede e fiducia nella promessa di Dio che egli vincera il mondo (cfr. Giov. 16,33).

b. £ importante, nella Iettera ai Galati, che Paolo ritenga che la liberta della nuova giustizia abbia important) implicazioni etiche. Cosi, in Gal. 5,21, egli usa il simbolo dell'eredita. Coloro che manifestano il frutto dello Spirito (vv. 22-23) sono coloro che vivono nella terra della pro­messa. II frutto dello Spirito £ la messa in pratica attiva della promessa nella vita della comunita umana.

c. £ interessante che questo stesso testo sia usa to in Giacomo 2,23 ss. Si e spesso sostenuto che Giacomo avrebbe frainteso o travisato Paolo, o lo si e tacciato di rappresentarc un giudeo-cristianesimo che non riu-sci a cogliere appieno la potenza dell'evangelo. Ma questo testo rivela cheGiacomo sviluppo una dialettica fede-opcre che lo stesso Paolo, nel­la sua appassionata veemenza, non seppe formulare. Giacomo viene spesso interpretato come un sostenitore delle opcre come unica vera espressione di fede. Ma il passo pu6 anche essere interpretato nel sen­so che le opere rendono possibile la fede, che agire in base alia convin-zione della promessa e in effetti un modo concreto, incamato, di met-

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tere in pratica la promessa. Le «opere», allora, non sono una dimostra-zione estrinseca, una prova, o un prezzo da pagare, ma un ingrediente essenziale nel sostenere la promessa. La promessa va messa in pratica dalla comunita altemativa di Dio. Giacomo comprese la realta dell'e-vangelo neUo stesso realistico modo in cui gli Alcolisti Anonimi com-prendono I'importanza di Iradune in pratica la lore promessa. E cosi la chiesa pud inneggiare:

AU'operare, che fa la fede forte e soave, Al confidare, che trionfa sul male. (Wasliington GLADDEN, O Master, Let Me Walk with Tliee, 1879).

d. I vangeli sinottici, in parHcolare Matteo, sono consapevoli della lotta per la fede nella chiesa. Dei discepoli non viene nascosto che essi hanno grand, difficolta neU'accogliere e nel trasmettere la potenza del mturocos, come si palesa nella persona, negli insegnamenti e nelle ope-rfonn l vT.L ° C a n t 0 ' ' V a n S e l i "«"«<> di come Io stupefacente CM, sTin , m j s c , a l u r i s c a inaspettato. Cos! e per la fede del centurione 8 4R1 d n ' ' 8 a m i d d e l PWditJeo (9,2), dell'emorroissa (9,22; Lc. della n r " 3 " 0 3 b CUi fi«lia e «°™entata da un demonio (Ml. 15,28), m S ^ i T d i S i m o n e " f a r i s«> (Lc 7,50),del ciecodi Ceri-co (Lc. li.,42) e dei lebbrosi (Lc. 1719)

In tutti questi casi la fede fu pronta accoglienza della novitt costi-bam i n ? T m ° d i W >">mini e di quelle donne aveva un fu-b imlon ie a n U S Q t a ' d i m a l a t l i a ° d i emarginazione. Ma seppe * -S S i 5: , U a Z i°n e W n z a s b o<*° « ncevette la <.ricompensa» giun^erlh " * ' f u , a l o r o fede a pennettere al dono di rag-

U h!a 13. « 3 8 , a r i , a / 0 (Mt" 9'22- Lc 8,48; 17,19) La tua fede h ha salvata/o (U. 730).

Genesi 15,1-21

o loro a nor?dutei i eH n S P e r a K d i v e n , a n ° « v e r i esperti della fede. Sono 1, gem su dilloro P r ° m e S S a - P ^ c t t e n d o cosi al nuovo eone di sor-

s a a T u a ™ ^ ^ ' 0 ^ Wrfto^ a t 8 ^ a l P r e s m t e - impedendo cosi la venuta del

de» perche si r t 2 ? P e s e m P ' ° - i discepoli sono «gente di poca » 8 » inbafia d e f i C U P a n 0 * * e C ° S a ™ngeranno e berranno. In Ml 'M^XflLT?^0 <*«* d i P O - fede» perche credono

empesta sia piu forte di Gesu. In Mt. 14,31, Pietro i «uomo d. pc-

ca fede» perche dubita delle proprie capacita e/o della potenza di Ge­su- In Mt. 16,8 i discepoli sono «gente di poca fede» perch** non capi-scono come sia capace di nutrire di Gesu e si preoccupano del cibo ma-teriale; anche nella loro incapacity di scacciare i demoni dimostrano di avere «poca fede» (17,20; cfr. 21,21; 28,17).

Come nella Genesi, anche nei Vangeli il problema della fede non vie­ne presentato come un problema degli atei. Tanto Matteo quanto la Ge­nesi mostrano che la fede e un problema di quanti hanno udito la chia-mata di Dio alia vita nuova e vorrebbero accoglierla.

11.2 II vincolo del patto (vv. 7-21)

La questione della fedee dunque stata posta con chiarezza nella tra-dizione abramitica. Consideriamo ora cio che si dice a 15,7-21 a propo-sito della confermazione di questo atto di fede. Nella loro forma attua-le, i versetti 1-6 e 7-21 possono essere considerati come il rapporto tra un atto di impegw e la drammatica affermazione di quell'impegno. {Per quanto riguarda la storia del testo, e probabile che le due parti antica-mente non fossero correlate, e che 7-21 sia il testo piu antico). Questo brano pud essere diviso in rre parti:

1.1 versetti 7-11.17 (in particolare 9-11.17) descrivono uno strano ri-tuale, probabilmente molto antico. Sebbene oscuro nei parhcolari, que­sto rituale sancisce un vincolo solenne tra i due partner. Forse si tratta di una sorta di patto di sangue, il cui scopo e- confermare visibilmente la promessa (cfr. Ger. 34,18). II versetto 17 lascia intendere che in qual-che modo la misteriosa e invisible Presenza di YHWH partccipa a que­sta azione rituale.

2.1 versetti 12-16 contengono una riflessione storica sul decorso del­la promessa nella storia di Israele. Forse intendono fornire una risposta al problema del perche" la promessa tardi cosi tanto ad avvcrarsi. Pas-sano in rassegna la storia di Israele, con particolare riferimento all'op-pressione in Egitto e all'Esodo. (Trarre conclusioni specifiche dalla cro-nologia del v. 13 e alquanto aleatorio). Questa riflessione teologica in forma onirica contiene tre asserzioni di grande importanza: (a) La pro­messa verra mantenuta. La parola e certa, non c'e da dubitame. (b) La promessa tardera ad awerarsi, per le ragioni storiche che vengono det-tagliate. (c) Abramo, a cui la promessa e rivolta per primo, non se ne de-ve turbare: deve bastargli la certezza che la promessa si avverera nelle

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generazioni seguenti. Pub andare incontro alia vecchiaia e alia morte serenamente.

Questo testo funge da spiegazione teologica del perche" la promessa tardi tanto ad awerarsi. In quanto tale, b di grande valore teologico. Nella vita di fede, infatti, proprio chi crede piu fermamente, talvolta constata che la promessa non si avvera (come in 15,2-3). Una possibile reazione al mancato awerarsi delle promesse di Dio e invischiarsi in di­scussion! teoretiche di teodicea. Ma questo testo non lo fa; preferisce mantenersi entro i confini delle spiegazioni storiche. Sotto questo pro-filo, e simile a Giud. 2,1 - 3,6. Riflessioni storiche di questo genere non vanno prese ne" come resoconti storici attendibili ne- come giustificazio-ni teologiche cogenti. Si limitano a riflettere sul fatto che esiste un gra­ve problema per una fede che creda nella realizzazione storica delle pro­messe: la storia e profondamente recalcitrante e non si piega facilmen-te alia promessa. Ma perlomeno questo testo non si sottrae dall'affron-tare il problema dell'attesa, un'attesa assai lunga, che si protrae per ge­nerazioni.

Quella della lunga attesa si rivela dunque la tematica dominante di questo capitolo, e a ben vedere dell'intera tradizione abramirica. Abra­mo non ha eredi, e dovra ancora attendere a lungo (vv. 1-6). L'attesa si protrarra per generazioni (w. 13-16). Forse furono l'interesse per l'atte­sa e la fede a far si che questo brano fosse ripreso in Abac. 2,2-4. Questo passo, che fomisce un collegamento con Paolo, afferma non solo che «il giusto vivra per fede* - questa interpretazione e ben nota - ma esorta anche,

Se tarda, aspettala; poichC certamente verra; e non tardera (Abac. 2,3).

II problema della fede e attendere anche quando l'attesa sembra in-terminabile. Ecco un dato prezioso che l'esegesi pud segnalare agli es-seri umani d'oggi. Nel nostro prometeico pretendere di crearci da soli un future, noi non siamo disposti all'attesa. Nella nostra febbrile impa-zienza, siamo propensi a concludere che se qualcosa non si avvera su-bito non si avverera mai. L'impazienza di Abramo (vv. 2-3) rispecchia la stessa mentalita. Ma i doni non possono essere estorti. Le cose futu­re sono nelle mani di Dio, che le concede. Come si e visto in 12,10-20, anche questa figura esemplare della fede fu tentata di crearsi un future altemativo im media to.

3.1 versetti 18-21 concludono questo brano di grande valore teolo­gico con un patio formulate sotto forma di una promessa di terra. Que­sto e l'unico testo del ciclo di Abramo in cui si rinvengano tracce del

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Genesi 15,1-21

patto come parte dell'antica tradizione abramitica. (Gli altri usi in Gen. 17 sono senz'altro piu tardi). Al patto e stata data espressione liturgica nei versetti 9-11.17. Qui il patto e semplicemente una promessa, un im-pegno unilaterale di Dio verso Abramo, che non esige reciprocita: un impegno di grazia gratuita.

L'impegno incondizionato di Dio nei versetti 18-21 ha la sua contro-parte al versetto 6. In entrambi si afferma che lo slancio di Dio verso Abramo e gratuito e incondizionato. Abramo non deve far altro che cre­dere. I versetti 18-21 descrivono probabilmente gli effettivi confini del­la monarchia al suo apice, sotto Salomone (cfr. I Re 4,24). La promessa e dunque articolata daU'ottica del suo adempimento.

4. £ la prome$$a pa I turtle delta terra l'elemento unificante dei versetti 7-21. La promessa iniziale di Dio riguarda la terra (v. 7). E la domanda ini-zialc di Abramo (v. 8, non dissimile dalla protesta dei vv. 2-3) riguarda la terra. La promessa e domanda dei versetti 7-8 all'inizio, e la promes­sa dei versetti 18-21 alia fine formano la cornice di questa sezione. Tra la promessa iniziale e quella finale si collocano un atto liturgico (vv. 9-11.17) e una riflessione storica (vv. 13-16), entrambi alquanto oscuri. Ma la tematica principale del brano e (a) che Dio e 1'autore della promes-Sit(b) che Abramo ne e il destinatarfo, e (c) la terra I'oggetto. Sinche la promessa non si realizzera, il patto e il modo in cui essa si traduce.

Nel complesso, il testo di Genesi 15 si domanda se Abramo possa, di fatto, credere. E se YHWH possa effettivamente esser creduto. E la fede a permetterc ad Abramo di credere e a Dio di essere creduto. Ed e la fede incerta a interrogarsi sul ritardo. Qui sono stati posti i qucsiti. II resto del ciclo di Abramo esamina le risposte.

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Genesi 16,1 -18,15

Incongruenza e tensione non potrebbero essere piii intense che al ca-pitolo 15. La rassicurazionedi 15,4 non potrebbeessere piu chiara: «Co-lui che nascera da te sara tuo erede». E tuttavia cid non si avvera. Subi-to, 16,1 lo ribadisce: la promessa non e stata mantemita. L'erede pro-messo nascera? E ancora possibile un future? Si pud credere a Dio?

In questa sezione analiz.zeremo tre brani distinti, 16,1-16; 17,1-27 e 18,1-15. In modi diversi, tutti e tre ruotano intorno al problema della fe-de in un Dio la cui promessa tarda ad avvcrarsi. Commenteremo bre-vementeiprimi due brani, perpoi focalizzarci su 18,1-15, il piu ricco di spunti per I'esegesi. Al termine di 18,1-15 la promessa e ancora in una sorta di limbo. Sara continua a non aver figli. E il ciclo procede incal-zante verso la nascita di Isacco in Genesi 21. Compito dell'interprete 6 descrivere il tormento di questi testi. Queste sono sofferenze che si ri-veleranno doglie di parto, ma qui ancora non lo si sa. Questi testi pre-sentano la creazione «gemente in travaglio ... gemiamo dentro di noi aspet-tando I'adozione a figli, la rcdenziom dei noslri carpi. Poiche in questa $pc-ranza siamo staii salvati» (Rom. 8,22-24). Questi progenitori della fede avrebbero potuto dire lo stesso. La storia delle loro vite e la storia di un travaglio speranzoso ma impaziente, in attesa della redenzione dei lo­ro corpi e della loro storia.

I tre brani, pur trattando della stessa tematica, provengono da fonti diverse e rispecchiano i van modi in cui Israele reagi all'angoscioso tar-dare della promessa.

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12.1 La promessa a Ismaele

II capitolo 16 e un racconto molto antico, di contenuto non specula-tivo che va Iasciato aperto a piu soluzioni interpretative, perche con-tiene numerosi element! oscuri. E per non sciuparne la suggeshone, que-sta oscurita va rispettata. La storia si basa su due realta: il permanere della sterilita e la significativa presenza di Ismaele. Alcune versioni si interrompevano forse al versetto 6, che ha nell'espulsione di Agar una convincente conclusione. Nella forma atruale, invece, il capitolo nsulta incompleto, e per una piena fruizione rimanda al capitolo 21. II carat-tere folkloristico dei versetti 1-6 presenta analogie con 12,10-20, e de-scrive un triangolo famigliare foriero di problemi che Abramo non rie-sce a gestire. Questa strategia altemativa per assicurarsi un erede non deve essere oggetto di giudizi morali, in quanto in epoca biblica si trat-tava di una prassi consentita. Ma da un punto di vista teologico, il rac­conto afferma che Abramo e Sara non credettero nella promessa. Come in 12,10-20, anche qui Abramo dimostra di non essere disposto ad at-tendere che Dio realizzi i propri imperscrutabili disegni. Calvino defi-nisce la fede di Abramo e Sara «incompleta». Ecco il problema princi-pale da approfondire. La fede non e cosa facile. Richiede una perseve-ranza che va contro il senso comune. Richiede che si creda in un dono divino che e smentito da tutti i dati presenti.

1. La storia, che nell'ottica di un ciclo sulla fede di Abramo e Sara ri-sulta sorprendentemente anomala, ha come protagonista Agar. All'ini-zio drammatico (vv. 1-6) fa riscontro il lieto fine della nascita (w. 15-16). Tra l'uno e l'altra, nella parte centrale (w. 7-14), si ha l'intervento di Dio per mezzo di un angelo. Solo indirettamente la storia trarta anche di Abramo e Sara.

Come in 12,17 e 13,14, al versetto 7 si ha la svolta con l'intervento di Dio. Una svolta curiosa: tutti, Abramo, Sara, Agar, considerano in fon-do chiusa la questione. Tutti tranne Dio! £ Dio che la riapre. II dato po-sitivo e che anche qui Dio prende a cuore la sorte degli ultimi. Ma, nel­l'ottica della promessa, il dato negativo del racconto e che Ismaele co­stituisce una tentazione per Abramo, la tentazione di credere nel frutto delle proprie opere anziche nella promessa (cfr. 17,18). Ismaele e dun­que una tentazione, una prova. Paolo ha trasformato Agar e Ismaele in un simbolo della legge (Gal. 4), il che e troppo fantasioso. E tuttavia ha visto giusto in questo: Agar e Ismaele rappresentano un'alternativa al­ia promessa. Sono la prova visibile che, nei tempi brevi, assumere I'ini-ziativa anziche attendere l'intervento di Dio pud produrre risultati po-sitivi.

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Genesi 16,1 -18,15

2. La parte centrale (w. 7-14) d dominata dal discorso del messagge-ro, e anche in questo caso le parole divine si rivelano decisive. L'ange-lo del SIGNORE parla quattro volte: «E le disse... (v. 8); L'angelo del Sl-GNORE le disse... (v. 9); L'angelo del SlGNOREsoggiunse... (v. 10); L'an­gelo del SIGNORE le disse ancora... (v. 11)». I quattro interventi si sus-seguono con ritmo incalzante sino a culminare, al versetto 11, nell'an-nuncio della nascita di Ismaele.

a. Questo annuncio inaugura una storia altemativa a quel la di Abra­mo e Sara ma anch'essa benedetta da Dio, e si conclude (v. 12) con una benedizione per colui che sara esule e bandito. Una benedizione po-tente, che non e tuttavia la benedizione abramitica della terra. Una be­nedizione che sancisce che Ismaele vivra al trove, fuori dalla terra pro­messa, e delle proprie risorse, cioe non della promessa prioritaria.

b. La parte centrale si conclude con un'oscura eziologia (vv. 13-14). Dal punto di vista teologico, la tesi piu convincente e quella proposta da Frank CROSS {Canaanite Myth and Hebrew Epic, 1973, p. 46), che rav-visa in questo Dio la somma divinita del pantheon cananeo. El, i cui at-tributi vengono trasferiti a YHWH (cfr. 14,19-20). Dal punto di vista sto-rico e linguistico, stabilire il significato di questa perifrasi risulta im-possibile. Apparentemente, significherebbe all'incirca «il Dio che mi ve-de vive», il che si presta a divagazioni esegetiche circa il caratteredi que­sto Dio che si prende a cura la sorte degli ultimi, ma non deve disto-glierci dalla tematica principale. La tradizione non ha mai attribuito grande importanza a questa rivelazione, e dunque e meglio lasciarla nella sua oscurita.

3. La presenza di Ismaele suscita due riflessioni. Se la si considera verticalmente, in rapporto a Dio, essa asserisce che Dio non si e legato esclusivamente ad Abramo e a Sara. La sua sollecitudine non e riserva-ta soltanto alia progenie eletta. C'e passione e sollecitudine anche per quanti, al di fuori di quella stirpe, soffrono. Visto orizzontalmente, in­vece, in riferimento alia vicenda di Abramo e Sara, Ismaele costituisce una tentazione, la tentazione di non credere alia promessa. Quello stes-so bimbo che rivela la passione di Dio per il reietto, costituisce dunque una minaccia di non poco conto per 1'eletto.

II primo racconto di questa sezione termina con un nulla di fatto. L'i-niziativa di Sara (v. 2) per aggirare la promessa ha provocato solo con-flitti (cfr. Prov. 30,21-23). E ora la promessa e messa a repentaglio da que­sta altemativa.

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12.2 La promessa di un patto eterno

II capitolo 17 ci introduce in un universo lessicale e concettuale del tutto diverso. Mentre ii capitolo 16 possedeva tutta la vivacita di un aneddoto, il capitolo 17e solenne, severe-, simmetrico. II testo appartie-ne alia fonte P, ed e maggiormente auto-cosriente, nelle sue formula-zioni teologiche, del capitolo 16 Q). Ma la tematica e sempre la stessa: la solenne dichiarazione della promessa, a cui fa riscontro la schiacciante realta della mancanza di un erede. Segnaliamo quattro elementi che me-ritano un approfondimento esegetico:

1. La promessa ad Abramo viene qui formulata con maggior comple-tezza e solennita, nella forma stilizzata tipica della fonte P. Nella fonte P la promessa non compare mai a caso. £ tematica ed e collocata ad arte in modo da guidare la narrazione (cfr. 1,22.28; 9,1.7; 283; 35,11; 47,276; 48,4; Es. 1,7). Nella presentazione della fonte P, 1'intera narrazione viene ora sussunta sotto la categoria della promessa. La promessa (a) e legato alia creazione, giacche il lessicoe lostesso (vv. 6.20; Gen. 1,28). Abramo e dun-que il primo frutto della nuova creazione, il latore di cio che era previ-sto nella creazione. Egli e dawero la «-nuova creatura» (II Cor. 5,17; Rom. 833; Giac. 1,18); (b) e una promessa regale (vv. 6.16.20), che senza dubbio connette Abramo alle speranze davidiche di II Sam. 7; (c) e una promes­sa «eterna» (vv. 73.13.19), che assicura prosperity permanente nel paese; (d) concerne la relazionefondamentale tra YHWH e Abramo, una relazione di appartenenza reciproca. La promessa si conclude infatti con le paro­le: «Sar& loro Dio» (v. 8). Questa e una promessa ancor piu fondamenta­le di quella della terra. L'azione e unilateral, e si parla solo deH'impe-gno contratto da Dio nei confront! di Abramo, ma la formula presuppo-ne chiaramente la controparte:<•Voi sarete il mio popolo*. (Cfr. Es. 6,2-7 per la formula estesadiP.Cfr.ancheGer.7,23;11/l;24,7;31,1.33;Ez. 11,20; 14,11; 34,24; 36,28; 37,23.27). Questa formula divenne cruciale per Israe-le (in P, cfr. anche Ceremia ed Ezechiele) proprio neU'esiiio del VI scco-lo,quandoitradizionaliriferimentiistituzionalivenneromeno. Fbr. 11,16 e senz'altro un commento relativo a questa promessa: «Pcrci6 Dio non si vergogna di esscre chiamato il loro Dio». Dio non si scandalizza di es-sere il Dio degli esuli. La promessa e una promessa grandiosa e allarga-ta. Non si esaurisce con Abramo, si amplia alia sua diseendenza. Ma le grandiose visioni di Dio esigono il reaiizzarsi di una concreta realta sto-rica, E questa non si e ancora realizzata.

2, Intimamente connesso alia promessa, e forse persino versione al-ternativa della promessa, e il patto (vv. 2-7). In tutto il ciclo di Abramo

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Genesi 16,1 -18,15

l'unico altro riferimento al patto e in 15,18. La strana cerimonia di 15,9-11.17 era probabilmente un antico rituale di patto. Ma solo ora le prete-se e la realta del patto vengono presentate chiaramente. £ probabile che questa specifica formulazione del patto sia relativamente tarda. II pat­to e la metafora fondamentale per comprendere il rapporto di Israele con Dio ed e questo a offrire a Israele il dono della speranza, la realta di una identita, la possibility di una appartenenza, la certezza di una vo-cazione.

3. La parte centrale del testo (vv. 10-14) tratta della circoncisione, se­gno e suggello della fede nella promessa e dell'entrata nel patto. Que­sto testo ci permette di riflettere sull'importanza di un simbolismo reli-gioso concreto e istituzionalizzato.

L'interprete non deve farsi distrarre dalla storia dell'isrituzione. Le origini della circoncisione, legate forse a pratiche magiche o a preoccu-pazioni igieniche, restano ignote. In Es. 4,24-26 e Gios. 5,2-9 si rinven-gono resoconti piii antichi di questa prassi in Israele Sebbene anterio-re al nostro testo e diffusa anche al di fuori di Israele, la prassi assunse peculiare importanza teologica per Israele dopo il 587 a.C., quando i tra-dizionali riferimenri istituzionali della comunitS vennero meno. In esi-lio, la circoncisione contribul a fomire un'identita agli -eletti" di una re-ligione che erano stati dichiarati «reietti» da Babilonia.

Le caratteristiche teologiche della circoncisione, in quanto distinteda quelle fenomcnologiche, possono esscre riassunte in quattro punti:

a. In quanto atto liturgico, la circoncisione conferisce un importante signi f icato concreto a un'asserzione teologica. Cio che viene detto e pen-sato va anche tradotto in pratica, non solo per il suo effetto drammatico ededificantc,mapercheattraversoquestoattovieneeffettivamentesan-cita un'-appartcnenza». II significante ha un ruolo nelle cose significa-te. La fede biblica non e mai cerebrale. £ sempre vissuta e agita. Ap-partenere a questa strana comunita e credere in una promessa scanda-losa richicde un segnodisrintivo. La circoncisione proclama chegli israe­lii appartengono unicamente a questa comunitS e a questo Dio.

b. In quanto simbolo teologico positivo, la circoncisione f unse in Israe­le da metafora di una fede autentica, se-ria, profonda. Cosi, la tradizio-ne parla di circoncisione del cuore (Lev. 26,41; Deut. 10,16; Ger. 4,4; 9,26; Ez. 44,7), un'immagine che suggerisce la sottomissione di se\ delle pro-pric passioni c delta propria volonta al partner del patto (cfr. Rom. 2,29).

c. Questo tipo di atti/simboli religiosi sono importantissimi per il rafforzamento della fede. Ma e'e anche un rischio. il simbolo pu6 smar-rire il suo referente teologico e la sua vitalita, c assumcre vita propria. E in questa sua autonomia pu&divenire un vuoto formallsmocheall-menta soltanto illusioni. O uno strumento di oppressionc e di confor-

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mismo. In quanto tale, anziche' rafforzareimmobilizza. Apparentemente rid e quanto accadde al simbolo delta circoncisione. E fu senz'altro que-sto a causare controversie nella chiesa primitiva (At. 15,1-5) e a suscita-re 1e critiche di Paolo (Rom. 2,25; 4,12; Gal. 5,2-12; 6,12-16; Col. 3,11). NelPesegesi cristiana & necessario non limitare questa consapevolezza critica al segno della circoncisione, che la chiesa non adottd, e interro-garci invece suite tentazioni autonomistiche dei nostri segni, simboli e sacramenti. Per esempio: e possibile che anche il battesimo abbia as-sunto una vita propria, priva d'intrinseca relazione con le affermazioni della fede?

d. La tradizione della circoncisione 6 importante per i cristiani, per­che illumina la prassi del battesimo in quanto accesso a una nuova vi­ta, inizio di una nuova fedelta a una nuova comunita. £ davvero ironi-co che dopo tutte le critiche che il Nuovo Testamento muove alia cir­concisione, considerata un vuoto formalismo o addirittura un ostacolo all'evangelo, proprio la circoncisione venga utilizzata come metafora per far comprendere il significato del battesimo:

In lui siete anche stati circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d'uomo, ma della circoncisionediCristo.checonsistenellospogliamento del corpo della came: siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Voi, che eravate mora" nei peccati e nella incirconcisione della vostra came, voi, dico, Dio vi ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati... (Col. 2,11-13).

II fine della circoncisione e dunque anche quello del battesimo. E, co­me la circoncisione, anche il battesimo ha in se" il potenziale d'essere sia un simbolo vitale della fede, sia un'alternativa negativa alia fede. I cri­stiani hanno dunque verso 1'istituzione della circoncisione un atteggia-mento dialettico. Da un lato sono consapevoli del fatto che pud diven-tare un vuoto formalismo. Dall'altro non conoscono modello migliore per comprendere i loro stessi sacramenti di vita e fede. Nel commenta-re questo testo sara importante mantenere viva e visibile questa dialet-tica.

4. Genesi 17 tratta dell'instaurarsi tra Abramo e Dio di un vincolo di fede radicale. E tuttavia nei versetti 17-18 Abramo mostra di non credere affatto alia promessa, ne ride in cuor suo e invoca semmai Dio per il fi-glio che gia ha. Abramo, il padre della fede, e qui nuovamente presen-tato come un uomo senza fede, incapace di fidarsi e deciso a far affida-mento su un'alternativa alia promessa.

a. Siamo ora in grado di vedere in che senso Ismaele costituisca una

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minaccia alia promessa. Abramo non e piu motivate a credere in un ere-de che gli verra dato, perche ne ha gia uno, anche se non da Sara. Abra­mo £ deciso a puntare rutto il suo futuro su Ismaele. Non ha compreso appieno la promessa e il suo carattere peculiare. II suo ridere, il suo men-zionare Ismaele (w. 17-18) sono in fondo tentativi di eludere la radica­le, sconvolgente pretesa che Dio ora accampa su di lui.

b. La defaillance di Abramo a questo punto della Genesi e parago-nabile alia durezza di cuore dei discepoli, che non vogliono o non san-no credere alia promessa dell'evangelo. In Marco 8,14-21 i discepoli as-sistono alia miracolosa moltiplicazione dei pani per i cinquemila (Mc. 630-44) e per i quattromila (Mc. 8,1-10). Eppure non comprendono. So­no incapaci di credere alle risorse di vita e di futuro present! nella per­sona di Gesu. Quasi con rassegnazione, Gesu riconosce la loro incapa­city di capire (v. 21). L'incapacita di capire non £ questione di intelli-genza, ma di volonta. I discepoli non capiscono perche U loro cuore e indurito (6,52).

Ancor pju drammaticamente, i discepoli non comprendono la voca-zione alia crocifissione o il futuro della risurrezione. Nei detti sulla pas­sione di Gesu (Mc. 831; 9,31; 10,33-34), essi si oppongono (8,32), non comprendono (9,32), oppure litigano a proposito del futuro (10,35 ss.). In ogni caso, non colgono il punto essenziale, che in Gesu la potenza di Dio e all'opera per dar vita a un «nuovo» del tutto inedito e divcrso dal «vecchio».

II parallelo tra l'incomprensione dei discepoli e 1'incredulita di Abra­mo nel nostro testo non e soloformale. Esiste una seconda connessione, sostanziale. In entrambe e presentc la medesima crisi di fede. Come i di­scepoli non sanno discernere il potere vivificante del pane (I Cor. 1139), cosi Abramo non sa discernere nella promessa di Dio la capacity di crea-re nuova vita. Come i discepoli sono incapaci di compmndem i detti sul­la passione, cosi Abramo e incapace di accettare la discontinuita tra la sterilita e l'erede su cui si basa il patto. La potenza di Dio vuo! fargli do-no di un figlio, il figlio della promessa. Ma Abramo si aggrappa a un h-glio della came. A differenza di Pictro nella sua grande confessione, Abramo non comprende.

c. II fulcro del problema e stato colto da Paolo in Gal. 4,24-31. Paolo ha compreso che il figlio della necessita non pud ereditare. Soltanto il figlio dei doni gratuiti e delle promessc apertc pud entrare nel Regno. 11 testo rifiette sulla trasformazione dal mondo della costrizione a quel­lo dei doni. Ismaele ha un suo valore, e infutti in 17,20 e'e per lui una grande promessa (ma si badi: principi, non re; cfr. il v. 6). La svolta perd si ha al versetto 21, con queU'avversahvo: «Ma». La promessa priorita-ria non riguarda Ismaele. £ rivolta esclusivamente a queH'altro figlio, it

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Parte secooda - Genesi 1130 - 25,18

figSo cancess© per sola gnzia (dr. un avversarivo simile in U Sam. 7,15, non prnro forse di eoDegamenti con qiie5B%faitenieTOdltradudnneteor logka).

1 2 3 II rise di Sara

A paragone della solennita del capitolo 17,18,1-15 ha piu liberta e immaginazione Appartiene a una rradizione piu antica, e presenta al-cune afhhita col capitolo 16. Non disdegna la suspense e conferisce al-la rivelazione che ne e al centro una sapiente forma narrativa e dram-marica.

II problema esegetico prindpale riguardal'identita del visitatore. Nel­la scena iniziale (w. 2-8) e in quella di commiato (v, 16) sono «rre uo-mini». Ma nel versetto 1 e nella scena clou dei versetti 9-11 e «il SlGNO RE*. Non e necessario tentare di armonizzare le due version!, farle risa-lire a due diverse fonti o ravvisarvi un preannuncio della Trinita cri-stiana. La storia descrive semplicemente un'esperienza di rivelazione. Tut to qui. E I'indeterminatezza accresce il mistero della fontc da cui ta­le rivelazione promana. L'interprete fara bene a esporre la storia cos! com'e, senza accanirsi a razionalizzarla.

II racconto si suddivide in due parti;

1. Nella prima, il protagonists e Abramo (vv. 1 -8), che domina la sce­na con una serie di verb! attivi. Si crea un'atmosfera di concitazione (vv. 6-7), Abramo si mostra cstremamentedeferen te. La narrazione vuol sug-gerirci che quakosa di inatteso e particolarmente importante sta per ac-rauVro.

2. Nella soconda parte (vv, 9-15), tutto cambia. Per rendere tutta la solennita e il pathos dell'evento, il ritmo rallenta. L'inizialiva c passata al/i visilatore/i, Abramo si limitn ad ascoltare la buona novella che gli viene annunciata. Fulcro del racconto (di cui i versetti 1-8 costituiscono soltnnto la cornice scenografica) e l'annuncio della nasdtfl (v. 10). (Que-ito imuindo ha Importnntl parallels negli annunci di Giud. 6,12-18 c 13,6, e Luca 1 ne e senz'allro memore). La forma dell'onnuncio, con il suo drammattco senso di stupore, c all'alte/.zo del contenuto. E la sor-presa e ancora una volta costiluita da un evento fatten (speech-event) che rivoluziona il mondo di Abramo a Sara. II loro mondo di sterilita c vin-Joda una nuova possibility che trascende le ragionevoll aspettative del loro orizzontc percettivo.

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n racconto e ccstruito in modo da mostrare la tensione tra parola im-peiscrutabUe di Dio (che assume forma di promessa) e resistenza e di-leggio di Abramo e Sara, che dubitano della parola e non riescono a cre­dere nella promessa. Israele sra dinanzi alia parola di promessa di Dio, ma tipicamente trova quella parola irragionevole e incredibile. Abramo, e sopratrutto Sara, non sono proposh", qui, come modelli di fede, ma co­me modelli di incredulita. La promessa potentedi Dio trascende di gran lunga la loro capadta di accoglierla.

Ancora una volta, questo racconto mostra quanto sia scandalosa e difficile la fede. La fede non e un atto ragionevole che rientri nei nostri normali schemi esistenziali e percetrivi. La promessa della buona no­vella non e un tradizionale insegnamento sapienziale che ben si armo-nizzi con tutto cio che conosciamo. L'accogliere questa dottrina radica-le comporta una rottura col passato, una discontinuita. Abramo e Sara si erano ormai abituati alia loro sterilita. Erano rassegnati al loro futu-ro senza sbocco. Avevano accettato quella loro situazione senza spe-ranza come «normale». La buona novella 11 trova non fiduciosamente ricetfivi, ma sospettosamentc refrattari. In questa storia e'e della volu-ta ironia: l'intera vicenda di Abramo e Sara tratta di una chiamata ac-colta. Ma proprio in questo racconto cenirale, la chiamata viene respin-ta come assurda. E in effetti, se il nuovo non potesse venire dal di fuo-ri, se dovesse dipendere dalle risorse di cui si dispone, la promessa qui annunciata sarebbe davvero assurda.

3. Ma la nostra interpretazionedeve focalizzarsisulladisarmante do­manda del SlCNORE (v. 14); «Vi e forse qualcosa che sia troppo difficile per il SJGNOKl-:?» Questa domanda jntende confulare c mettere a tacere le protested! questa coppia che non sa piu sperare. La confu tazione non viene espressa in forma di proposizione, asscrzione, o proclamazione, ma di domanda. Viene espressa cosl perdu? la buona novella esige una decisione. E questa decisione non pub venire dall'alto. Deve venire da Abramo e Sara.

a. «Vi e forse qualcosa die sia troppo difficile per il StGNORE?» £ que­sta la domanda SU cui si impernia tutto questo confronto. £ una do­manda aperla, una domanda che attende una risposta. £ la domanda cheemerge ovunque, nella Uibbiajadornandafondamentalea cui ognu-no di noi deve rispondere, e la cui risposta determine ognl altra cosa.

Se alia domanda del Signore si rfsponde: «Si, alcune cose sono trop­po difficili, impossibili per Dio», allora Dio non e ancora confessato co-metale. Ancora non gliabbiamoconcessolibertii radicnle. Abbtamoacel-to di vivere in un universo chiuso, in cui tutto e stabile, prevedibile, af-fidabile - e senza speranza. Se Irtveoe alia domanda si risponde: -No, nulla 6 impossibile per Dio», questa e una risposta die accetta la liberta

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di Dio a tal punto che il proprio io e il mondo sono totalmente affidati a Dio, e a lui soltanto. Una risposta che non va data alia leggera. Gen. 18 auspica che risponderemo affidandoci pienamente a questo Dio di grazia, deponendo ogni nostra iniziativa per la nostra vita.

b. Fare l'impossibile! La buona novella di questo testo trascende il nostro orizzonte di riferimenti, infrange i parametri di ragione, saggez-za, morale, buon senso. Mette in discussione 1'epistemologia tradizio-nale. Sowerte i sistemi di valori invalsi. E la piu aspra critica possibile alle nostre definizioni di realta.

4. Molto dipende dalla risposta di Sara e Abramo. E la loro risposta e negativa (w. 12-15). C'e un dialogo curioso, alia fine, umoristico ma anche carico di pathos: «Allora Sara neg6, dicendo: "Non ho riso"; per-ch6 ebbe paura. Ma egli disse: "Invece hai riso!"». E l'episodio s'inter-rompe qui, irrisolto. II riso di incredulita sembra respingere l'invito im-plicito nella domanda. II mondo in cui Abramo e Sara credono e stato attaccato. Ma essi hanno respinto l'attacco. E il racconto li lascia per-suasi che il loro mondo di riferimenti sia ancora intatto.

Ma non tutto dipende dalla loro risposta. La decisione di Dio di inau-gurare un futuro tramite un nuovo erede non dipende dalla prontezza di Abramo e Sara nell'accettarla. Dio non muta i suoi piani, e li portera comunque a termine. Cio che deve awenire awerra, se non in un con-testo di pronta e sollecita fede (qui rifiutata), in un contesto di pavida e riottosa irrisione. II racconto si conclude. Abramo e Sara dubitano an­cora.

Ma la parola e stata proferita. Sara, Abramo e la comunita d'ascolto non potranno mai piu vivere ante-promessa. Le loro vite sono ormai state rivoluzionate dall'impatto di questa parola promissoria che tro-vera il modo di avverarsi. La Bibbia e una testimonianza in definitiva «pienamente convinta che quanta egli ha promesso, e anche in grado di compierlo» (Rom. 4,21; cfr. Gios. 21,43-45), che noi si sia pronti o meno.

5. Se in definitiva la testimonianza biblica e convinta della capacita di Dio di realizzare l'impossibile, la domanda di questo testa continua a circolare per tutta la storia della discendenza di Abramo. Vi e forse qualcosa che sia troppo difficile per Dio? n potere sovrano di Dio e in ultima analisi limitato dalle nostre aspettative? Una domanda che si po-trebbe anche tradurre cosi: Dio e Dio? O c'e qualche altra norma o po­tere che lo limita? II mondo, in ultima analisi, pud dire di no al creato-re? Abramo e Sara possono precludergli il loro futuro?

a. L'interrogativosi ripropone agli israeliti oppressi dai hlistei (Giud. 13,18-25), che si interrogano sul dono di un giovane liberatore che in-vertira il corso della storia. E torna a riproporsi nell'esilio. Innanzitut-

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to: davvero Dio abbandonerebbe il suo popolo (Ger. 32,27); e poi: dav­vero e in grado di risuscitare il suo popota dalla morte al «nuovo», dal­la sterilita alia speranza (Ger. 32,17)?

b. Nel Nuovo Testamento lo stesso interrogativo viene posto riguar-do Elisabetta (Lc. 1,18.37). E Maria viene presentata come colei che, a differenza di Sara e di Zaccaria, non dubitd (v. 38). Lei si e un modello per la fede della comunita, perchi «ha creduto che quanta le e stato det-to da parte del Signore avra compimento* (v. 45).

Ma 1'interrogativo non si limita certo all'impossibilita di concepire. Si estende all'impossibilita del discepolato, della fede, di una nuova co­munita. Ogni credente, ogni comunita sa bene quanta debole sia la no­stra fede e quanta protanda la resistenza che opponiamo all'evangelo, anche quando vorremmo essere dei buoni cristiani. In quel riconosci-mento, la parola sovrana rivelata a Pietro e ai discepoli e la stessa data prima ad Abramo e Sara e poi alia cfuesa tutta: «Agli uomini e impos­sibile, ma non a Dio; perche ogni cosa e possibile a Dio» (Mc. 10,27). In-fine, sulle labbra di Gesu 1'interrogativo posto ad Abramo e Sara riceve una risposta definitiva. E la riceve da parte di colui che accetth appie-no la realta che Dio e libero di essere Dio. Gesu esorta i suoi seguaci ad abbracciare con lui quella fede radicale, e «niente vi sara impossibile» (Mt. 17,20).

c. L'interpretazione che abbiamo proposto puo prestarsi a un frain-tendimento: che la fede renda possibile tutto cio che si desidera. Ma non tutto e stato promesso. L'ambito del «possibile» e caratterizzato solo da cio che rientra nella promessa di Dio. Solo ci6 che corrisponde ai suoi benevoli disegni, cioe, e possibile. Egli ha promesso un futuro in una nuova comunita, non indiscriminatamente tutto ci6 che desideriamo.

Ai discepoli che in Mc 10,27 si chiedono chi possa essere salvato, Ge­su da una risposta inequivocabile: «Agli uomini e impossibile, ma non a Dio; perche ogni cosa e possibile a Dio» (Mc. 10,27). Signif icativamente, 1'interrogativo si ripropone a Gesu stesso al Getsemani. Qui anch'egli si pone la domanda di Gen. 18,14, pregando: «Padre! Ogni cosa ti e pos­sibile* (e qui riafferma cio che aveva detto a 10,27 ai discepoli). «AUon-tana da me questo calice! Per6, non quello che io voglio, ma quello che hi vuoi» (Mc. 1436). Tutto e possibile a Dio - tranne una cosa. La sola cosa impossibile e allontanare il calice. Cio che Dio non vuole (o non puo?) fare e eludere la realta della sofferenza, del dolore, della croce. U nostro testo, dunque, non consente facili trionfalismi, non avalla la con-vinzione semplicistica che ogni cosa sia possibile. Per la natura stessa di questo nostro Dio, tutto e possibile per quanti vegliano con lui lun-go la notte oscura della sterilita. Per Abramo e Sara non esiste un itine-rario semplice, retHlineo e indolore per giungere a ottenere un erede. E

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Parte s e m n d a - G e n e s i l U O - 2 5 , 1 8

cuando giungeremo alio strazio di Genesi 22 vedremo che l'«™poss,W-ffifrac?. ccLessa per grazia', non e una poss.bU.ta esente da dolore

C " S u e , i visitatori se ne vanno (Gen. 18,16) senza che 1'interrogati-vo abbia ricevuto risposta. La risposta viene data solo a htolo prowi-sorio nella Genesi, sempre in attesa di vedere se D.o sia in grado di fa­re quanto dice. La fede e scandalo. La promessa va al di la delle nostre aspettative, al di la di ogni evidenza. L'«impossibilita-possibilita» di Dio ha un effetto formidabile, nel senso etimologico del termine, sul nostra future. Non stupisce, dunque, che Sara abbia avuto paura (cfr. v. 15). Questi tre episodi (16,1-16; 17,1-27; 18,1-15) servono ad accrescere l'in-certezza della promessa formulata in 15,4. La promessa e stata fatta. Ma la comunita e chiamata a una lunga attesa (cfr. Mc. 14,37-42).

'lsacmtNjfT.).

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Genesi 18,16 -19,38

Questa sezione contiene tre elementi distinti. Al centra vi e la storia di Sodoma e Gomorra (19,1-29). La precede una riflessione teologica di grande interesse (18,16-32). La segue un racconto concemente le figlie di Lot (19,30-38). I tre brani sono molto diversi per forma e contenuto e risalgono ad autori diversi. Elemento unificante e la figura di Lot. L'in-tera sezione e collegata a 18,1-15 dallo stratagemma dei «tre uomini» in 18,16.22, che in 19,1.15 diventano «angeli», sebbene anche qui il termi­ne possa essere reso con «uomini». Bencht* i racconti originariamente non fossero connessi, lo stratagemma narrativo degli «uomini/angeli» viene usato per collegarli, con la riflessione teologica di 18,16-32 posta nel mezzo come soluzione di continuity. Nella disposizione attuale ab-biamo quindi una presentazione parallela (a) della visita dei messag-geri a Sara ed Abramo (18,1-15) e (b) della distruzione di Sodoma e Go­morra (19,1-25). Entrambi gli episodi sono prcsentati come strane in-trusioni di Dio.

Gli strani «uomini» di Gen. 18,1 -19,29 hanno due compiti. Uno e promettere un inizio. E questo lo fanno in 18,1-15 con Sara e Abramo. L'al-tro £ decretare una fine. E questo lo faranno in 19,1-28. II terribile compi-to di Dio (e dei suoi inviati) e determinare inizi efini, un potere che sol-tanto Dio possiede (cfr. Deut. 3239; I Sam. 2,6; Is. 45,7; Sal. 75,7). I tem­pi d'inizio e fine sono quelli in cui il mistero della vita si fa piu urgen-te, e porre quesiti teoiogici diventa un'esigenza imprescindibile. Peter Berger, nel titolo di un suo libra del 1969 ha definito questi interventi di Dio Rumors of Angels (Voci messe in giro dagli angeli). In questo testo ci so­no due tipi di «voci messe in giro dagli angeli*: corre voce che verra concesso un erede (18,1-15) e corre voce che una citta sara distrutta (19,1-

28). Due voci entrambe imperscrutabili. Questo testo va interpretato con estrema cautela. Puo infatti fcicil-

mente indurre a conclusioni di arido meccanicismo sulla realta e 1'ope-

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rato di Dio. Se non lo si interpreta con estrema cautela, questo testo pub venir usatoa sostcgno di test teologiche acritiche e distruttive. I perico-li piu ovvi di una interpretazione erronea riguardano (a) la descrizione stilizzata e stereotipa della condanna e distruzione di Sodoma e Go-morra (19,24-28); (b) le enumerazioni dei giusti in 18,26-32, che sin trop-po facilmente si prestano a una riduzione dei disegni di giustizia di Dio ad aridi calcoli aritmetici; (c) il peccato di Sodoma, che nell'interpreta-zione popolare, e forse in 19,5, e l'omosessualita. Se questi rre fattori -condanna stereotipa, enumerazioni e moralismi semplicistici sull'omo-sessualita - si sommano, e vengono interpretati secondo il sentire po­polare, dal testo si ricavera un insegnamento del tutto estraneo a He in-tenzioni della Bibbia. Con I'interpretazione qui proposta cercheremo di mostrare che tali conclusioni sono estranee alle intenzioni del testo.

II testo consente molte possibility interpretative, in quanto giustap-pone un racconto piu antico, non speculativo (19,1-28), e un insegna­mento teologico piu recente e consapevole (18,16-32). Come vedremo, 19,29 e il cardine che connette i due testi. Giacche' 18,16-32 sembrereb-be essere una riflessione successiva su un racconto piu antico, 19,1-28, cominceremo dal materiale piu antico, cosi da poter meglio compren-dere la riflessione successiva. (I versetti 30-38 del capitolo 19 verranno trattati a parte, come un'unita indipendente).

13.1 La distruzione di Sodoma e Gomorra (19,1-28)

Questo racconto sulla visita di Dio alle citta corrotte di Sodoma e Go­morra, con la sua visione semplicistica della malvagita e la sua conce-zione stilizzata della distruzione (19,1-28), non sembra appartenere al­ia narrativa storica di Israele. £ semmai affine a quelle affermazioni ge-neriche sulla storia umana che si rinvengono in Gen. 3 -11. £ solo il le-game con Lot ad aver dettato la sua collocazione tra i materiali abrami-tici. Senza quel legame, questa storia non ha piu fondamento storico di quelle di Caino o di Nob. II racconto (insieme a 18,16-32, e soprattutto a 19,29) e strutturato per mostrare il contrasto tra lafede di Abramo e la riotlosith delgenere umano.

1. La visita iniziale (w. 1-11) ricorda quella ricevuta da Abramo in 18,1-8. In entrambi i casi l'ospitesi prodiga con soiledtudine. Certo, qui la pratica dell'ospitalita e assai piu disagevole e rischiosa. (L'episodio dei w . 4-9 ha un paralleio nel truce racconto di Giud. 19).

200

Genesi 18,16-19,38

Negli ultimi decenni si e molto discusso sulla natura del peccato de-gli uomini di Sodoma. Se si prescinde dal nome popolare di «sodomia» derivato da Sodoma, U testo non fornisce molti elementi per determi-nare di che peccato si tratti. L'atto viene indicato solo come desiderio di «cotwscere» (yd') (v. 5). Questo termine, in questo racconto, e stato po-polarmente interpretato come desiderio di avere rapporti omosessuali. Questa interpretazione e suffragata dal paralleio di Giud. 19,22-25 do­ve viene anche usato il termine n'bfildh («follia») per caratterizzare un at-to sessuale inaccettabile. (Cfr. 34,7per 1'unico altro uso del termine «fol-lia» nella Genesi).

L'interpretazione probabilmente pub essere piu generica o piu spe-cifica. £ possibile interpretare il peccato di Sodoma con riferimento specifico alia sessualita. Ma se si propende per questa interpretazio­ne, I'atmosfera esagitata del raccontosuggerisce una violenza di grup-po piu che un atto privato di «sodomia» o qualche altro tipo di atto omoerotico.

La Bibbia tuttavia fornisce numerose prove che il peccato di Sodoma non era specifico e sessuale, ma generico: era cioe il disordine generale di una societa che si oppone a Dio. Cosi, in Is. 1,10; 3,9 si parla d'ingiu-stizia; in Ger. 23,14 d'una varieta di atti malvagi, corrotti e irresponsa-bili; in Ez. 16,49 il peccato e l'orgoglio, I'ozio indolente e 1'abbondanza congiunta ail'indifferenza verso i bisognosi.

Gli studiosi dissentonosul «peccato di Sodoma» perche" la Bibbia per prima non e unanime sul fatto che fosse l'omosessualita. L'uso del ter­mine «grido» in 18,20-21 e 19,13 fa propendere per un generico abuso di potere. (Cfr. Is. 5,7, senza un'accusa esplicita. E cfr. anche Lc. 10,8-12). £ probabile che il problema sessuale fosse solo un aspetto di un disor­dine piu generico, ma non viene presentato in modo tale da poter ri-sultare utile al dibattito odiemo suU'omosessualita.

2. Gen. 19,15-23 era forse originariamente un racconto indipenden­te, riguardante il nome del villaggio di Soar. Questo singolare dialogo con Lot contiene due importanti motivi. Primo, 1'ordine di fuggire (v. 17, cfr. v. 20) e una forma tipica per avvisare qualcuno di salvarsi da car-neficina imminente (cfr. Gios. 6,17.22; Ger. 6,1). Come Raab, a cui viene riservato un trattamento particolare, Lot e la sua famiglia vengono ri-sparmiati dalla distruzione generale. Secondo, il trattamento speciale riservato a Lot come eccezione alia regola generale viene definito spe­ciale «fedelta» del Signore (v. 19), in virtu della quale egli «risparmia» (v. 16) Lot, mostrando di tencrne conto in modo particolare (v. 21). Questo lessico e particolarmente significativo. Ma nel racconto cosi come ci e pervenuto non ci vengono date motivazioni per questo trattamento spe­ciale. Solo alia fine (v. 29) il narratore ce ne da la ragione. E questa ra-

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18

gione si rivela del tutto avulsa dall'evento o da Lot. Ha a che fare solo con Abramo, che sembrava estraneo all'intera storia.

3. La raf figurazione della distruzione (vv. 24-28), una pioggia di «zolfo e fuoco», si avvale di un'immagine stilizzata (cfr. Deut 29,23; Is. 34,9; Ez. 38,22; Sal. 11,6; Giob. 18,15; Lc. 17,29; Apoc. 9,17-19; 14,10; 19,20; 20,10; 21,8), divenuta convenzionale, ma che non va intesa letteralmen-te. E infatti usata per il suo forte effetto drammatico. Popolarmente fu invece intesa letteralmente, come descrizione di un reale evento stori-co. Se un simile linguaggio descrittivo ha senz'altro alia base una con-creta esperienza storica, come l'eruzione di un vulcano o un terremoto, questa ha poi dato luogo a una immagine allegorica, di cui si avvar-ranno in special modo le tradizioni apocalittiche, che trascendono il lin­guaggio storico-descrittivo. Si tratta di un modo allegorico di descrive-re il giudizio piu terribile sulla storia umana che mente umana possa immaginare. Immagini piu blande sarebbero state inadeguate. La de­scrizione non va pertanto intesa letteralmente. In Is. 30,33, per esempio, e chiaramente allegorica. II suo scopo e descrivere in modo incisivo la severita del giudizio che Dio pud pronunciare sul mondo. Ma non vi sono element! a sostegno del letteralismo a cui alcuni potrebbero esse-re tentati da questo passo. Questa suggestiva raffigurazione non deve fard perdere di vista l'andamento strutturale del racconto. Questi ver-setti sono di fatto una condanna a morte che fa seguito aU'accusa generi-ca del versetto 13.

4. La digressionesulla moglie di Lot (19,26) e probabilmente un com-mento eziologico su qualche grande salina, forse ubicata nei pressi del Mar Morto. Si noti il ricorso a questa tradizione di Luca 17,32, dove l'e-pisodio viene citato per esortare a un piu intenso discepolato. Anche qui la distruzione di Sodoma viene usata nel contesto di un insegnamento di genere apocalittico.

5. Dopo averlo esaminato nei particolari, consideriamo ora la strut-tura generale del brano su Sodoma. E la struttura, infatti, a rivelarne 1'intento complessivo. II brano si compone di due elementi dissonanti: il grande affresco collcttivo e 1'atteivzione per lo speciale desttno di Lot.

a. II grande affresco collettivo, riguardando una citta corrotta, si ri-solve nel semplice resoconto di un processo in cui i trasgressori vengo-no puniti.

i) In 19,13 abbiamo un'accu$a per un peccato non meglio specificato:

.. .il grido contro i suoi abitanti e grande davanti al SiGNORE... (cfr. 18,20).

ii) E, in 19,24-29, una condanna a morte basata su quelPitccusu:

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Genesi 18,16 -19,38

... Allora il SiGNORE fece piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte del SiGNORE; egli distrusse quelle citta...

La struttura, essenzialmente teologica e tipica della fede profetica di Israele, presenta un netto parallelismo con la forma processuale vi­sta all'inizio del racconto del diluvio. L'asserzione teologica e che l'u-manita (le due citta) e stata disobbediente a YHWH e quindi merita la di­struzione.

Nella misura in cui ruota intorno ai concetti di accusa e condanna, Genesi 19 presenta una visione della realta morale ampiamente condi-visa da persone di ogni livello sociale, che senza aver mai riflettuto a fondo suU'argomento, sono inclini a connettere it ruolo di Dio a com-piti moralistici. Dio e cioe colui che punisce i «peccatori». La struttura base del capitolo 19 rispecchia una semplice dottrina retributiva secon-do cui «i giusti prosperano e i malvagi soccombono». Alia base del rac­conto vi e un presupposto piuttosto semplicistico, invalso tanto negli ambienti secolari quanto in quelli religiosi. D'altronde, la teologia re­tributiva era la semplicistica premessa di gran parte della letteratura sa-pienziale del mondo antico. E ancor oggi, nella societa con tern poranea, legittima cruente vendette. Sin troppi testi ed esperienze pratiche av-valorano questa visione del mondo. Un'esegesi autenticamente fedele all'evangelo non deve farsene sostenitrice. Se si estrapola il capitolo 19 dal suo contesto lo si fraintende, gli si fa suffragare una «teologia del terrore» moralistica, che gli e del tutto estranea. Ma come vedremo nel­la prossima sezione, nel testo che la tradizione ha collegnto a 19,1-29 questa teologia semplicistica viene criticata e modificata da una piu ple­na proclamazione della buona novella.

b. L'altro tema del racconto e il destino speciale di Lot. Questo contro-tema si articola in due episodi: pratica deU'ospitalita (vv. 1-11) e salva-taggio (vv. 15-23). Confrontiamo cio che si dice di Sodoma e cid che si di­ce di Lot:

di Sodoma:

valuta zione:

processo

verdetto:

colpevole (v. 13)

distruzione (vv. 24-28)

di

ospitale (w. 1-11)

salvezza (vv. 15-23)

Lot:

assoluzione

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l*rtrK»nwvtul*^{rt\wHt(;W'lM» • t (;.mwiiHjft.iv;i«

\due teml Mine Mptentaneittt tntrvcctatl P U M aU'flllro. II M K ahuuiio del »iv*to» pre*?ntfl im'tiltoituuivn nl dwltivo genem'

damoutm* schema ivtubuilvo. La HMtU.glA qvd prop^tfl e ftnc<ir spfnpfg rigirnvtameuleielilhutivo,

e. Solo al vcrwlto 39 la giuslapposirione Wnirthl dl Witttomifl (per Sn-domi.lo^ihvitrtsfVV'Mli'ipt'i'l.oOvuMUHvnoni'iylalrt. Iluairatoivhaabil--me-nte piwtaMin.uo uino a quwto momenta il punta owen/lalc; In dl« wrsUA di ti attumeuto non dipoude M dn I ol ne da \ I iwi t, ma da Abra» mo, II ricofdo vii Abramo ft alhvti.mio cruciate, qui, quanta quelle dl Noft io Gen. s.i, n\a qui il narrators non consents che modiRcni I'inbv ra vUvudn. i.Viticacia di Abramo o thnttata a Lot. Sotto questo profile, e assai tnrertore a quelle, di Ni*o nel racoon to paratielo. Questo raceon* to attends una novetia ancor pin «buona»,

13.2 Una critics leologica

La tosidi 18,16-32 tenta di eontuture ta visionodel niondo aridamcnto retributiva di 19,1-28.

1. O n . 18,16-32 e una critica kerygmatica della tradizionale conce-zione religiose su cui si base 19,1-28, e fu forse scritto propria in pole-mica con quest ultimo. A un paragone, tra i due capitoli 19,1-28 risulta superiore, perlomeno quanta a effetto drammatico. Ma se & inteso per cidche £, un'audace tentativo di polemica teologica, 18,16-32 solleva un problema teologico che il semplicismo del capitolo 19 non potra mai ri-durre al silenzio. Infatti £ tuttora attuale: c'e, nella buona novella, un modo alternative di essere nel niondo? O siamo condannati alia «piog-gia di zolfo e fuoco», che inevitabilmente fa seguito alle nostre tra-sgressioni (19,24-28)? Nel suo celebre studio suila letteratura sapien-ziale, Hartmut O s e ha osservato che Israele ha in larga misura adotta-to uno schema retributivo diffuso in tutto I'antico Vicino Oriente (Leh-re und Wirklkhkeit in der Alten Webheit, 1958, pp. 45-50). Ma la peculia­rity e novita di Israele e che la sua inedita interpretazione di Dio rende possibile I'interporsi della grazia tra giudizio (19,13) e castigo (19,24-28). II nostra commento trattera di questo «cuneo» di grazia (18,22-23) come critica del qui pro quo retributivo (19,1-28). La posta in gioco teo­logica qui e molto alta, perche dobbiamo decidere se anche per Sodo-ma, la ritta peccaminosa, vi sia una buona novella. E anche quella pa-

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«|imiltM1> MHiIln nil.l,|"'l'hi''IJUilllnrirvnll Indlviillli lull,ipjiuhill III qui'-Mn schema chlttio della rwM MWIIIW A un Interpewl della nm/.\n.

2. Come 18,22-23 viene offrrionmie crlllin ill 19,1-28, eual Abramo offw uu'tcUtanto critics dl vnwii. fi come nv YIIWII accettaMe wmpli-Clsl left memo in prassl populate rfsptcchtatfi da 19.1-28, ilnchft Abramo non pone I'lnterrogatlve dl IH,22 <23.£ eomew Abramo qui foaaeil m a * itro dl YIIWII in materia ill teologlfl, e gli ponewa un Interrogative per lultotatmentenuovo, L'lmerrogatlvo concei ne Indisponlbllitadl YIIWII ad accrtntnnare Io schema rdrlbulivo e a rapportarsl a! mondo In un at-tro modo. Abramo si fa portatoredl una nuovn possibility teologica, OB* porn audacl domande a YIIWH.

11 rapporto Abramo-YHWH In questo passu merltn dl essere csami-nato uei dettagU. SI noti In tan to un problema testuale davveru illuml-nnnte: nella forma attuale, 18,22 recite: «Abramo rinuwc ... davanti al SlCNORE», il che indica la subordinazione di Abramo a YIIWII. Questo 6 quanta d aspetteremmo. Ma una note testuale molto antlca e di Indub-bla aulorita o aulenlicita documenla che il testo origmuriamente dice-va: «YHVVII rimase davanti ad Abramo*. Quests immagine conferma il nostra commento su Abramo «nucstru di teologia di Yi IWI l». ti come se fosse Abramo a presiedere I'incontro. Ma questo audace immagine di Mivvii tenutoa render eonto ad Abramo fu rttenuta dagli scrlbi antlchi irriverente e scandaloso. Percid il testo fu trasformato nella versione che possediamo. Ma la versione piu antica rivela con grande candore 1'au-dacia dell'atteggiamento di Abramo e del problema che solleva. Indi-pend en lemon te dal fat to che la variante testuale venga accettata o me­nu, questo testo sostiene che YHWH deve modificare le sue idee teologi-che. Dio viene insistentemente esortato da Abramo a prendere in con-siderazione un'alternativa.

3. In 18,17-19 Abramo viene legittimato da Dio in modo incquivoca-bile.OAiestitreverseUiricchissimidipossibiUtainterpretaHvenonlasciano dubbi sul fatto che, malgrado tutta la sua umana fragilita, Abramo sia il destinatario del progetto di YHWH. Egli ^ colui che e stato eletto, bene-detto e delegato da YHWH, U destinatario uniCO di tutte le sue prornesse. II testo contiene un'importante affermazione non solo su Dio, ma anche su Abramo. (Queste ottimecredenziali permetteranno ad Abramo di lan-ciare la sua sfida a Yirwn nei versetti 22-23). Si notino questi tre punti:

a. Viene qui reiterata (v. 18) la promessa di 12,1-3, incluso I'accenno alle altre nazioni (qui forse Moab e Ammon per tramite di Lot; cfr. 19,30-38). Sotto questo profilo, 19,29 e un testo cruciale nel collegare Abramo alia prosperity degli altri popoli. Come vedremo, questo versetto mo-stra che Abramo £ efficace nella sua vocazione a favore del prossimo.

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b. Questa e Tunica volta che T«eIezione» di Abramo viene asserita cos! esplicitamente (v. 19). Con notevole ironia, il verbo usato £ yada', «conoscere», esattamente lo stesso usato a 19,5 per Taggressione di So-doma. Questo dato non va trascurato. Lo stesso verbo viene usato per la scelta di Abramo da parte di YHWH e per Taggressione di Sodoma ai danni degli stranieri.

c. L'elezione di Abramo non e fine a se stessa. II suo fine e tradurre in pratica i disegni di rettitudine e giustizia di YHWH (v. 19). Questa e Tunica occasione in cui nella Genesi ricorre questa coppia di vocaboli (rettitudine e giustizia). Altrove essa e usata per riassumere Tinsegna-mento dei profeti (Is. 5,7; Am. 5,7.24; 6,12; Ger. 23,5; 33,15). In h. 5,7 i due vocaboli ricorrono insieme in giustapposizione a «grido», lo stesso vocabolo usato in Gen. 18,20-21 contro le citt& (cfr. 19,13). Gen. 18,19 e considerato dalla maggior parte degli esegeti un'interpolazione nel te­sto, in quanto dottrina estranea alia tradizione abramitica, che e estre-mamente severa ed rigorosa. Ma nella forma in cui il testo ci e perve-nuto, il versetto offre un netto contrasto tra vocazione di Abramo e con-cezione popolare della giustizia retributiva di 19,1-28. La vocazione di Abramo (1) contrasta con la depravazione di Sodoma, e (2) gli consen-te di sollevare obiezioni sulla giustizia di YHWH. La rettitudine e la giu­stizia di Abramo non sono mera obbedienza morale. Sono anche pas-sione per il bene del prossimo, anche di quanti hanno offeso Dio. Cal-vino commenta che Abramo in questo passo ha «senso d'umanita». Di conseguenza, egli mette in discussione il senso di umanita presente nel­la citta traviata e in YHWH. E il senso di umanita di YHWH gli appare non meno manchevole di quello di Sodoma.

II racconto insiste sulle qualita non comuni e sull'autorita di Abra­mo per giustificare Taudacia delTinterrogativo che egli porra a YHWH. Come il suo parallelo nella racconto del diluvio (cfr. Gen. 6,6), anche questo testo contiene un'eccezionale innovazione teologica. La si trat-tava della sofferenza di Dio. Qui del fatto che Dio tiene conto dei giusti piu di quanto desideri la distruzione dei malvagi.

4.1 versetti 17-19 descrivono Tinattesa familiarita con YHWH di Abra­mo, degno di essere messo a parte dei segreti del Signore e di discute-re con Iui di questioni teologiche. Questo ci prepara ai versetti 23-33, in cui Abramo pone Tinterrogativo che scardina non solo i presupposti del capitolo 19 e della morale popolare, ma anche (se ci e Iecito esprimerci cosi) quelli a cui lo stesso YHWH si attiene riguardo a giudizio e castigo. Per usare le parole di Schmidt (De Deo, BZAW 143 (1976), pp. 150-156), Tinterrogativo e il seguente: «Pu6 Dio, se veramente e Dio, e non un ti-ranno capriccioso, distruggere un'intera citta?». Cioe, pub Dio, se vera­mente e tale, approvare Tinflessibile meccanismo di giudizio-castigo del

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Genesi 18,16 -19,38

capitolo 19? Oppure il vero Dio deve intervenire, nella sua misericor-diosa liberta e grazia gratuita (gracious freedom and free graciousness), per spezzare il circolo giudizio-castigo?

a. Argomento di questi versetti central! (18,23-33) e la giustizia. Essi si interrogano sulla natura della giustizia di Dio e sul suo potere e au-torita sulla malvagita. II rapporto tra I'innocente e il colpevole (si noti il passaggio al lessico giuridico) non conceme la salvezza del «resto in-nocente» dalla massa dei colpevoli.

E vero che tale preoccupazione per i singoli individui nel contesto di una colpa collettiva pare affiorare nel capitolo 19 in relazione a Lot e fa-miglia. Ed e una tematica importante in Ez. 14,12-20; 18,15 ss., dove si afferma che i giusti si possono salvare dal castigo collettivo. Ma a que­sto proposito Ezechiele e chiaro: i giusti possono salvare solo se stessi. Per Ezechiele non esiste una «assoluzione per associazione», una giu­stizia vicaria che un individuo possa esercitare a favore d'un altro. In-vece in questo testo Abramo osa spingersi oltre Ezechiele, e pone pro-prio questo interrogativo.

b. L'idea tradizionale, rispecchiata in Gen. 19, e che gli innocenti pos-sano salvare solo se stessi. I colpevoli possono trascinare alia rovina gli innocenti, ma non esser salvati da loro. II potere della colpa e cioe piu forte di quello delTinnocenza. Con tutta la debita deferenza per questa teologia tradizionale, Abramo pone due stringenti interrogativi:

Farai dunque perire t'mnocertte insieme col colpevole (18,23)?

11 giudice di tutta la terra non fara forse giustizia (18,25)?

Abramo osa cosi esortare Dio a comportarsi da Dio, e non in modo puerile e vendicativo.

Era le due domande dei versetti 23 e 25c e interposto il duplice re­frain (v. 25):

Nonsia mai... Non sia mai!

Ma questa traduzione tradizionale e debole e infedele- In realta e un grido: «Cid e profanoN: contaminato, impuro. Abramo, cioe, sostiene che una simile prassi sarebbe indegna della santita di Dio, perchb la san­tita di Dio deveescluderecibchee profano. L'argomentazione di Abra­mo non fa leva su criteri morali, ma sulla santita di Dio. Se agisse in mo­do cosi meschino, Dio sminuirobbe e profanerehbe la sua stessa santita. Cost Abramo (o il rivoluzionario teologo che parta per bocca sua) in-staura un collegamento tra giustizia misericordiosa di Dio e santita di Dio.

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In dlscuwione non e .solo la gluitizia nclla storm unumu ma la nature, di Dio. Abramo non e mai irriverontc o offensive ma 1'audacin e la forza della sua dlalettlca richiamano alia memoria Ciobbe nulla sua diatriba piu appassionato (cfr. Ciob. 31,35). E la sua logica riccheggia quclla di Ezechiele, che conclude chc Dio c misericord ioso per nmore del proprio nome, dclla propria reputoziunc (Ez. 20,9.39). Si noti che in Ez. 20,9, «perch6 non fosse profanato...-, il ternu'ne ebraico per «profanato» c lo stcsso usato due volte da Abramo («Non sia maf...» N.Kiv.) al versetto 25. La spcranza per I'umanita finiscedunque per radicarsi nulla tutela che Dio ha deila propria natura e reputnzione, e proprio su questo ar-gomento si basa la sfida che qui Abramo lancia a Dio.

c. Abramo passa quindi a casi concreti di potere vicario. Secondo la concezione tradizionale, un esiguo numero colpevoli pud causare la di-struzione di un'intera comunita, mentre il potere dell'innocenza vale solo per gli innocenti. Ma gli interrogativi posti da Abramo contempla-no un'altra possibilita, che Dio e ora tenuto considerare. La possibility che gli innocenti abbiano il potere di salvare altri, oltre a se stessi, e di annullare la distruttivita della colpa. Questo il principio teologico pro-pugnato. II resto dei versetti cerca di scoprire quanti innocenti siano ne-cessari per questa azione vicaria. E, come nelle contrattazioni di un ba­zar mediorientole, la trattativa di Abramo ne fa calare il numero da 50 a 10.

Quello dei numeri e un espediente letterario e non va preso alia let-tera. Schmidt ha ipotizzato che i numeri si riferiscano a unita militari o amministrative. Sarebbe come chiedere quante compagnie militari so-no necessarie per la sicurezza di una divisione (cfr. Es. 18,25; Am. 5,3). I numeri sono secondari. £ il principio che conta. E I'esito della dispu­te e che bastera un esiguo numero di giusti per salvare una comunita, anche se composta in gran parte di colpevoli. La drammaticita del rac-conto segnala che questo e un mutamento epocale da parte di Dio. Egli ora bada piu ai giusti che ai malvagi, si lascia commuovere da chi ob-bedisce, anziche indignarsi per chi trasgredisce. Questo mette a tecere turte le caricature di Dio come il Dio calcolatore, geloso custode della moralita, pronto a giudicare e punire. No, Dio e pronto a riconoscere, esaltare, accreditare a tutti la giustizia di pochi

d. La disputa termina assai bruscamente. Questa conclusione cosi brusca lascia stupiti, innanzitutto perche la «contrattazione» si inter-rompe a died giusti (v. 33). A voler essere petulanti, si potrebbe soste-nerecheaodimostracheigiustidebbonoesserealmenodieci,echeno-ve non sarebbero suffidenti. Ma cosi d si lascerebbe sfuggire il punto « n a a l c . U i conversazione termina perchee stato stabilito il punto es-senziale, che il potere della giustizia trionJa sulla malvagita. Non e ne-

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Cenesi 18,16-19,38

cessa rio che la drammaticadisaminaprosegua. In secondo luogo, la bru­sca conclusione lascia stupiti perche, dopo i'accanito braccio di ferro del capitolo 18, nelcapitolo 19la»toria prosegue come se nulla fosse. Ci6e probabilmcnte dovuto al fatto che (1) il capitolo 19 ecomposto da anti-co materiale tradizionale che non poteva esserc altera to, (2) il capitolo 18 propone una tesi teologica innovativa che solleva un interrogativo che andra ulteriormente discusso, piu che raggiungere una conclusio­ne definitiva che possa influire sul capitolo 19. La possibilita proposta da Abramo e forse troppo radicalt*. Essa viene suggerita e poi lasdata germinare nel cuore di Dio. Permane una dialettica tra affermazione in-novativa (18,23-33) etradizioneantica(\9,l~28). A 18,23-33 viene affermato ti principio di una nuova giustizia. A 19,1-28 invece sembra che 1'es-senziale sia solo salvare gli innocenti (Lot e famigiia), senza curarsi dei colpevoli. La teologia tradizionale di 19,1-28 propende per l'individua-lismo e piacera ai fedeli conservatori. 18,23-33 e invece depositario di una teologia piu diffidle e intellettualmente esigente, che si contrappo-ne al diffuse moralismo per cui ognuno ha d o che si merita. £ la buona novella di 18,23-33 e non ti moralismo convenzionale di 19,1-28 a pre-ludcre a Gesu di Nazareth. Ma come per una sottile ripresa, anche nel moralismo convenzionale del capitolo 19, il v. 19,29 insinua un refolo del capitolo 18. Lot si salva non in virtu della propria giustizia, ma del potere vicario di Abramo:

Fu cosi che Dio si ricordo d'Abramo, quand'egli distrusse le citta della pianura, e fece scampare Lot al disastro, mentre distruggeva le citta do­ve Lot aveva abitato.

Grazie alia nuova matematica di 18,23-33 (e 19,29), uno solo e suffi-ciente a salvare (cfr. Rom. 5,15-17).

5. Questa dottrina di una nuova giustizia che ha ti potere di salvare puo essere seguita in piu direzioni

a. Bencheminoritaria,essa ricorrein altri testi dell'AnticoTestamento. Nel suo autorevole commento. Von Rad ha richiamato rattenzione su due testi estremamente importanti.

i) Primo, Os. 1123-9 (che abbiamo gia dtato in relazione al racconto del dilu vio) presenta Dio nell'atto di adottaxe un nuovo concetto di giu­stizia. Con riferimentoesplidtoa Sodoma e Gomorra (al v. 8, Adma/Se-boim - Sodoma/Gomorra), Dio infrange le convenzioni, e dichiara che non distruggera. Dedde di non agire da «uomo», punendo i colpevolL, ma da Dio (che e d o che chiedeva qui Abramo). C'e una bella differen-za: la differenza Dio/*uomo» e quella tra misericordia sah ifica e ven-

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Parte second* - Ggtosj 11,30-25,18

delta retributive, Si noli li verho haphak, reao dalla RSV m Qa. 11.8 con wecotl*1 the eolpisee Dio noll'intimo con laeerante violtW. Queste verho o testes*) ussto in Gen, lW3&», e «ao con «dlstruggere*, p a r de^rivewlavioIen/adu'siabbatlosullocilia.Os.n.S^rivolaunaniio. va dimensione di Dio tottawmentecorrelata al nostra racconto. Questo lesto soatiene infatii che Dio ha usunto in propria violenw su di si, an-sicM scalenarla contro le cltta, e che non si fa ccmdizionare dalle con. venaioni umane. II che non signific* che sia indifferente, o negligent* mente indulgente, 0 che non tenga piU conto della culpa, ma che per amore del mondo rivolge contra di s6 la propria collera.

ii) Secondo teste segnalato da Von Had e Is. 53,5.10. Quest! versetti sono la quintessence, della dottrina biblica sulla sofferenza vicaria con effetlo redenlivo. QuestO testo sombre basarsi propriosulla tematicasol-levata in Gen. 18. Da infalti per presupposto che 1'innocente abbia un potere salvifico stille vite degll altri, non semplicemento nnnullandone la colpa, ma assumondola su di s£, nel proprio corpo, e privandola co-sl della sua vcemenza e del suo polere mortifero.

b. Questa storia ha caratteristiche che ricordano la storia del diluvio di Gen. 6,5 - 9,17. U avevamo visto che, nulla svolta cruciale di 8,1, tut-to dipendeva dal miracolo per cui «Dio si ricordd». Nel teste che slia-mo esaminando, 19,29 contiene elementi sia della dottrina piu antica di 19,1-28 sia della nuova proposta di 18,16-33. In questo versetto crucia­le, di nuovo la svolta avviene perehe* «Dlo si ricordo». Nella storia del diluvio la ca'azione si salva perehe! Dio si ricorda di Noe, uomo giusto (6,9). Nel nostro testo. Lot e la sua famiglia si salvano perehe" Dio si ri­corda di Abramo, il giusto. La svolta che pone fine al diluvio (8,1) ha co­me pendant la svolta che limita la pioggia di zolfo c fuoco (19,29).

c. La capacita di uno di salvare molti e il fondamento della dottrina di Paolo sulla giustizia di Dio di Rom. 3,21-26. La giustizia di Dio pale-sala in Gesii Cristo c una giustizia che va oltre la legge:

E coslfu per dtmostrare la giustizia di Oh, perehe* rttila sua divina pazienza egli ha usato tolterauza verso i peccati commml in passato; cost fu per dimo-strare al tempo presents che egli e giusto e che giustifica coltil che ha/ede in Ge-sir (vv. 25-26).

2 RSV ha -My hnrt recoil* within m*», II ilgnlflato del v«rbo «to recoil" * -indlc-twpgbut inn raCC*pHccJo», ma inch* -rii-aiit-rc »u», uritorWBli iontm», il die con«nttl aii'A. quests lflt*jrpret**ione, non altrettento eompreniJbil* alia luce dalle vernloni it*-liancchc rendonoeon «il mlocuowil eommuov* ftittodentro di me» (N.RIv,); -il mio Intimo frvrrv di COmpMiiOtl** (CBI) (N,dX).

Coneal 18,16 -19,38

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Per Paolo, giustizia che va oltre la legge signifies che DiO ha ri* nunclnto a far calculi, esattamente quelle che Abramo propone in 18,22-33. II nostro testo odunquefontedi una sublime aswrzioneteo-logica; annuncia che la Ilbertn di Dio ha spezzato il letale meccanl* stno di giudizio-castigo. La capacita di spezzare questo meccanlsmo (checondanna tutti noi, o qualunque citta) e 1'essenza sterna della san-tita di Dio,

Qtianto alia tradizione Abramo-Sara, si 6 possfltl dalla categoria sit-rilith/fcrtilila (Gen. 15,1-6), nei cui ambito Abramo lia combattuto la sua lotto per credere, alia categoria cmpicihMdwzza. Le categoric sono cam* biate, ma la tematica o la stessa: la volenti di Dio di spezzare le catego-rie della necesairn che imprigionano le nostre vite. P. Abramo il giusto (Gen. 15,6; Kom. 4,3) ad aver compresoche Dio, con la sua santifa trion-fante, spezza la morsa della sterilila e del male.

d. La realtfl della nuova giustizia di Dio e dichiarata a 18,22-23. La nuova giustizia non e mern contabilito di quantoci si e meritati, non e riservata a individui eletti. P. un potere altivo che vince il male nel mondo.

6. II nostro testo tratta della nuova giustizia di Dio, ma la nuova giu­stizia rtguarda anche la fede e la condotta degli csseri umani. Ed ecco altera che in Mt, 5,20 e Rom. 10,1-5, i dtocepoli di Gesu sono esortatl a una nuova giustizia che si ispiri alia nuova giustizia di Dio. La quin-tessenza di questa nuova giustizia c riassunta in Mt, 5,43-48 neli'amare i propri nemici. Questa infatti 6 la nuova giustizia di Dio, che egli ama i propri nemici <• trionfa sull'inimicizia (cfr. Ef. 2,14-16).

a. Ci sono elementi, qui, per un nuovo, rivolu/ionario annuncio sul­la personality, il potere, la santito di Dio. MolU? persons vivono nel ter-rore di Dio, convinte che Dio non abbia altro proposfto che applicare con il massimo rigore i! meccanismo giudizio-castigo. E in effetti win* brerebbe questo la premeaaa deil'esortnzione alia retUtudinc di II Pie. 2,6-10. In quella aituazlone di penweuztone, 1'apostolo fa ricorso a un concetto piuttoato aempllciatico df retribution*. Ma il nostro testo vun-le abbattcrt* quello stereotipo. Dio non i» un'indifferente 0 tirannico di* spensatoredi premi ecastighi, an/i e continuamentc alia HccrCtdl una via di scampi) alia niorte per noi tutti.

b. Ma questo testo si rivela prezioso atu he a livello pastorale, perdu) contiene elementi per una nuova valutazione della vocazione umana. P. facile diventareciniei,convincersi che tanto non e'e nulla da fare, per­du-il male h troppo grand*. EaltrettantotocUe*diventore*gol*h,con* vincersi che ci sia unasatve/za privata tut la per noi. Questo testo smen* tliCe entramhe le convin/ioni. I'rirno, non c'i> salve/za privata, perdu* vi v condivisione tra noi, e conuinione di deslino, (Questa c la teal ill

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P a r t c sc<ondri_-Gcnosi 11,30 -25,18

,822A33, sebbene in 19,29 ricompnia la vecchia teologia). Sec o n d o , virnle Pobbedienza deigiusl, hanno grande valore agl, occhi d | D°- •» hanno facolta redentiva.

7 II testo termina in 19,27-28. Abramo ya a vedore. E ci6 che vedea la fumante, torribile quiete che segue una devastazione. Ogni vita e s t ta spew* Solo morte e disperazione regnano sovrane. Uno s c e „ a T; drammatico, che purtroppo non abbtamo difficolta a immaginare- e l„ scenario che potrebbeprodurre in un tstante un conflitto nucleate opia gradualmente il nostra sperpero delle risorse del pianeta, o il lento can era della disumanizzazione. Uno scenario che ci risulta drarnmatica mente iamiliare. Questo il patriarca Abramo dovette vedere. E il rac! conto vuole che lo vediamo anche noi. Siamo la, anche noil Spinti a pren" dere coscienza della nostra vocazione di dedizione e obbedienza. Que­sts e la risorsa che pud stomare la collera divina e la morte. Insieme ad Abramo dobbiamo contemplarc lo scenario di distruzione e compren. dere qualcosa di essenziale sulla chiamata che Dio ci rivolge.

E per meglio rifiettere su questa chiamata, tomiamo all'elezione di Abramo nel nostra testo. In 18,19 Abramo viene esaltato come eletto del Signore. In questo esplicito insegnamento teologico, Abramo ci viene proposto come modello di fede. Certo, egli e un modello di rettitudine. Per suo mezzo moid sono benedetfci. Ma, molto significativamente, in questo testo la sua fede consiste nel costringete con grande audacia Dio a essere pita misericordioso. Abramo ha la temerita di esortare Dio, di proporglisi addirittura come maestro di teologia, per farlo rifiettere piu lucidamente e responsabilmente sulla propria vocazione. C'e qualcosa di temerario, nell'atteggiamento di Abramo, che ci fa sembrare la sua intercessione quasi irrispettosa nei confronti di Dio. Ma non perdiamo di vista il punto essenziale. Questa rivoluzione nel cuore di Dio (cfr. Os. 11,8-9) si verifies perche Abramo interviene. L'intercessione conta, ec-come (cfr. Giac. 5,16). Questa non e una supplica pro forma. La supplies di Abramo e ancor piu elevata di quella di Giobbe (Giob. 31). Giobbe pregava per se, ritenendo di essere un giusto. Abramo prega per gli altri, altri che sono notoriamente dei peccatori. Abramo disputa con Dio sul significato della sua Divinita. £ chiaro sia ad Abramo sia a YHWH (in quest'ordine) che Dio e, non un tiranno, ma veramente Dio. E da do sca-turiscono buone novelle.

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Genesi 18,16 -19,38

13.3 La famiglia di Lot

Di 19,30-38 sari sufficicnte dire che 6 una saga priva di collegamen-ti con gli argomenti che pid ci intercssano. Si tratta di un racconto mol­to antieo, volto a spiegate 1'origine di due tribu, che vengono cost dt-chiarote illegittime; un racconto indubbiamente destinatoa maggior po-polarita in Israele che non in Moab e Amnion. Si noti perd che il com-portamento delle due protagoniste non viene stigmatizzato; il racconto sembraanziesallarleper la loroazioneaudaceederoica, indubbiamente al di fuori delle convenzioni. I due figli cosi concepiti perlomeno di-scendono da una stirpe pura. E Lot e le sue figlie sono chiaramente trat-tati da membri delia famiglia della promessa. Pur nella sua bizzarna. questa e un'ulteriore prova dell'attitudine inclusiva della Genesi verso gli altri popoli. Se Lot e salvato grazie ad Abramo (cfr. 19,29), dunque anche Moab e Ammon sono benedetti grazie ad Abramo (cfr. 12,3; 18,18).

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14

Genesi 20,1 - 21,34

In questi due capitoli ritroveremo tematiche gia incontrate. In 20,1-18 rratteremo un motivo gia incontrato in 12,10-20, Abramo che si ser­ve di Sara per la propria incolumita. In 21,S-20 avremo a che fare di nuo-vo con una contesa causata da Ismaele, come nel capitolo 16. Tra i due episodi verra finahriente narrata (21,1-7), senza eccessiva enfasi, la na-scita di Isacco, U figlio della promessa.

La nasdta promessa si a\Ahdna. Ma I'itinerario che conduce ail'av-verarsi della promessa e incerto e tortuoso. In quanto parte di questo iter tortuoso, questa sezione e uno strano coacervo di materiali dall'or-dine apparentemente casuale. Abbiamo riunito questi due capitoli in parte per comodita, in parte perche i materiali concernenti Abramo e Abimelec di 20,1-17 e 21,22-34 costituiscono una sorta di cornice, al mi intemo e collocato il materiale sui due figli di Abramo (21,1-21: w. 1-8 Isacco; w. 9-21 Ismaele). Quest'ultimo e quello che piu ci interessa. Ini-zieremo il commento dai materiali su Abramo e Abimelec

14.1 Abramo e Abimelec

1. II materiale di 20,1-18 e da considerarsi una versione altemativa delle tematiche di 12,10-20. Qui tuttavia 1'aspetto folkloristico e molto piu attenuate e l'intento teologico assai piii consapevole. (Si rivedano a questo proposito i commenti a 12,10-20). A quanto pare, l'autore di 20,1-18 ebbe a disposizione il materiale piii anrico, che presentava Abra­mo irretito in una riprovevole menzogna, e lo rielaboro in modo da ren-derlo meno dannoso alia reputazione del patriarca. 11 testo si rivelera prezioso in situazioni didathche per esplorare le interrelazioni interne

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Parte sewnda - Genusl 11,30 - 25,18

i ,il. Vrittura • studiare dinamica e intenzionalita del p r o w s s o , . «il vcnne formandosi la Iradizione. "«•

W a Come ha osservato Weimar {Untmuchmgm zur Mnl<li„IK,

*£»****. °Z A W m * 69"72)'" lCStr.f.COS,it"ito d a t a * stinti eruppi di dialoghi. Innanzttulto, viene stabihto il contesto (vv, 2) un?emigrazione in terra straniera. Seguono (1) i dialoghi tra YMVVH * Abimelec (vv. 3-8), (2) i dialoghi tra Abimelec e Abramo (vv. 9-13) J forma di mntmversie, e (3) i dialoghi e le aziom di Abimelec e Abramo

di carattcre concilialorio (vv. 14-18). Nella prima scena pud sorprenderj che Abimelec, lo straniero, abbia un rapporto intenso e dialogic c o n

YHWH, il Diodi Israele, senza la mediazione degli israeliti. II dialogotra

Abimelec e Dio e una sorta di processo. Abimelec e accusato, si difen. de ed e riconosciuto innocente. Nella sua riabilitazione viene usato il vocabolo «integrita» (vv. 5.6), sinonimo di grande devozione, attribui-to ad Abramo (Gen. 17,1) e a Giobbe (Giob. 1,1.8; 2,3), il giusto per ec-cellenza. Qui dunque e il non-israelita a venir lodato per la sua devo­zione.

La seconda scena (w. 9-13) e una disputa tra l'israelita e il non-israe­lita. Le scuse accampate da Abramo per giustificarsi sono deboli e po-co convincenti. Sebbene dichiari d'aver agito cosi perche Abimelec non temeva Dio, e evidente che (1) Abimelec lo temeva eccome, e semmai (2) era proprio Abramo a temere molte alfre cose piu di Dio. Viene cosi enfatizzata la contraddizione per cui proprio colui che e stato chiama-to alia fede e al timor di Dio si rivela infedele e timoroso del mondo. E cosi Calvino pub dire, «Abramo non confidava sufficientemente nella divina prowidenza». II contrasto tra Abimelec e Abramo e analogo a quello, evidenziato da Gesu, tra non-israeliti credenti e israeliti incre-duli: «Io vi dico in verita che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede cosi grande!» (Mt. 8,10). Qui b Abimelec a fungere da esempio di quel-la fede che e carente in Abramo, il padre della fede.

Ciononostante, la riconciliazione finale (vv. 14-18) vede Abimelec del tutto subalterno e sottomesso ad Abramo, che dal racconto esce con au-torita e potere non solo intatti, ma accresciuti. Vale a dire che colui che ha menrito (benche, a differenza di 12,10-20, qui si cerchi di interpre-tarne positivamente la meraogna), resta ugualmente il preferito, men-tre colui che si e rivelato moralmente integro e ancor sempre subordi-nato a Israele. La preminenza di Abramo qui non si deve alia sua virtu, ma alia promessa di Dio.

b La storia ha qualcosa di strano, forse perche il narratore-teologo che la elaborb voile sostenere una tesi che mat si attagliava al matena-e tradmonale a sua disposizione. Nella forma in cui ci e pervenuto, il testo atferma che Abramo diviene 1'eletto di Dio non per le sue parole

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Cenesi 20,1-21,34

(assenti) o per la sua fede (qui decisamente debole), ma unicamcnte in virtu della grazia di Dio, Resta pertanto insupcrata la sintesi temalica che no diode Calvino: «Debolczza dcll'uomo e grazia di Dio». La debo-lezza dei due uomini £ evidente. Ma la grazia di Dio trionfa su tutto. Su Abimelec, salvandolo da un peccato mortalc (v. 6). E in modo ancor piu eclatante su Abramo. Malgrado la sua ambiguita morale, e la sua pre-ghiera a venire ascoltata (vv. 7.17). Non solo, dunque, come argomenta Paolo, Isacco £ figiio unicamcnte in virtu della promcssa (Gal. 3 - 4), ma anche Abramo e padre unicamente in virtu della promessa. Quest'uo-mo che coi suoi intrighi ha quasi causato la morte di Abimelec (v. 3), e tuttavia sempre ancora il mezzo scolto da Dio per elargire vita e bene-dizione (vv. 17-18); indegno com'd, £ eletto da Dio a veicolo di benedi-zione per le nazioni.

2.11 materiale di 21,22-34 si compone di alcuni frammenti che ruota-no intorno ad Abimelec e contengono materiale eziologico su Beer-Se-ba relativo ai vocaboli «sette», «giuramento» e «pozzo». Questi verset-ti sembrano proseguire Ia tematica dei rapporti Abimelec-Abramo di 20,18, senza interruzione. La sezione inizia con un'affermazione teolo-gica programmatica: «Dio £ con te». Questa formula £ una sintetica di-chiarazione di protezione divina, e diverra ancor piu centrale nella pro­messa a Giacobbe (28,15). II testo fa dichiarare al non-israelita la posi-zione di preminenza dell'israelita. Come s'e visto, Dio nella sua grazia incondizionata £ con Abramo.

Ma cio non rende Abramo piu affidabile. Pertanto, il testo avverte la necessita di introdurre un patto che leghi Abramo ad Abimelec in un vincolo di mutua benevolenza (liesed) (v. 23). 11 resto del brano descrive ia) la stipulazione del patto, (b) la formulazione di giuramenti solenni, (c) la risoluzione di una contesa relativa a diritti idrici. Pub rivelarsi uti­le riflettere, qui, sul passaggio, evidente tanto ad Abimelec che ad Abra­mo, riguardante la differenza tra affermazione verticale («Dio e con te») (v. 22) e realta orizzontale (<*usami la stessa benevolenza-) (v. 23). Non ne-cessariamente da una retta fede procedono retti comportamenti nei rap­porti di potere tra esseri umani. £ dunque necessario provvedere a sta-bilire delle garanzie istituzionali per la dimensione sociale. Benche' ri­conosciuto come 1'eletto di Dio, nell'ambito dei rapporti umani Abra­mo deve pagare sino in fondo il dovuto, come tutti gli altri. £ chiaro che la sua elezione da parte di Dio non deve tradursi in un mezzo da cui trarre vantaggi economici.

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Parte mvnmto - Genusi 1U0 - 25.1S

14,1L* nasclU

TVa I'uno e Itattro del due brum su Abimelcc di 20,1-18 e 21,22-34, ec-cu finalmente il MCCcmto della nascita dcll'ervde lanln alteso. In 21,1-18 si ha radempimento centrale dell'lnlera Iradizione abramilica, l.n rut-seita del bambino e Vavverarsi di lulte le pmmesse, il risolversi di tut-te le aivsie, bppure, 11 racconto e etvsi singotarmente privn di enfasi ehe quasi si risehia di non afl'ertame ltaccrvionalit.1. TVanne che per I'ac-eenno alia •vtxvhiai.v- (vv. 2,7), quasi nun si ammette che el siano stall problemi. L'avverarsi della promessa6 stranamente poco enfatico, do­pe la tanto travagtiata attesa. Questo racconto sembra curiosamente di-staccato da quanta e avvenuto in precedenza.

1. Ma questo non sminuisee affatto il carattere cnieiale del testo. Tut-to dipende da questo evento. E questo 6 evidence sin dnl verselto ini-ziale, che contiene il duplice refntiiv. «Come aveva detto» 'antar), «come aveva annunziato* (dinar). Questa non e una nascita ottenuta pet via naturale. Le vie naturali si sono rivelate tutte insufficienti. Questa e una nascita ingiustificata in tutti i sensi.cheavvieneunicamente in virtu del­ta promessa di Dio. II testo collega parola di Dio e nascita fie/ bambino. L'in-tera storia, a ben vedere, dipende da questo collegamento, che ribadi-sce che progetto eterno di Dio e concreta realta biologica non sono separa­ble". La chiesa, nella concreta pratica della fede, si e sempre trovata a combattere contro due tentazioni: da un lata la tendenza a un'eccessi-va spiritualizzazione della parola di Dio, a scapito della concretezza car-nale della nascita. Dall'altro, la tendenza a una eccessiva attenzione al­ia realta mondana della nascita, a scapito dell'importanza della parola diDio.

Quanta a quest'ultima, sulla scorta di Von Rad, i biblisti, nell'inter-pretare la tradizione patriarcale, hanno riconosciuto appieno la straor-dinaria importanza della promessa in questi testi. Ciononostante, e evi-dente che nella maggior parte dei contesti odierni e compito assai dif­ficile rendereun'efficace testimonianza al carattere promissorio della fe­de. Per farlo e necessario abbandonare la nostra visione del mondo pro-saica, che non crede alia parola di Dio come forza attiva in grado di cam-biare il mondo. Noi tendiamo invece ad adattare in qualche modo que­sto strano mistero alia nostra ragione, per non farci turbare da questo evento inesplicabile.

Ma l'asserzione principale di questo testo non e tanto l'annuncio del­la nascita avvenuta grazie alia promessa. £ piuttosto che sia stata man-tenuta la promessa fatta a questa coppia in eta avanzala. Accanto alia dif-ficolta di proclamare il carattere promissorio della fede in un mondo do-

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Genoti 20,1 - 21..U

L

mlnalo dalla Wglorre tecnologlca, c'o un'altra tentazlone, quells ill ra-nianllei/yare la promessa e rlnuiowrta il.il conlesto della realta storlca. Si dove Invar* badare che si coign che la promessa vlene mantenuta pro-pvio a quest'uomo e n questa donna, e vlene reali/zata propria atlra-verso di lore, che il mondo considerava test*. Upieli dolla matte- (libr. 11,11-12),

2, Quest! due pericoll (che tecnlcamente si definiscono ehionismo < docetismo) si rionqpongono nella nostra inlerprela/ione della nascita dl Gesvj, Chi esagera 1'importanza della nascila vlrglnale tende a negare ll ruolo non solo del padre ma anche della madn> umana. All'estremo op-posto, chi non toiler, lo scandalo riliene che la dotlrlna dl una nascita soprannaturale non sin che vuota retorica teologica. 11 prohlenvi dl espn-mere fedelmente 11 sottile equilibria di questa dottrina C il problema chiave di una fede incarnazionista (iiinmio/irmiif faith): la vita vlene so­lo dalle pramfssn; la promessa vlene solo nella came di nuonff mm tanru speranu. Come la nascita di Gesu, anche quelle di Isacco e annunciata da angeli (18,1-15). Ma non e avulsa delta sttmca, senile realtit di Abremo e Sara. La promessa si adempie nella viva concretezza della came.

3. La nascita avviene come promesso. Tutto dipende dalla potenza c fedelta deirautore della promessa. Senz'altro 6 in diretto riferimento a questo che Paolo pu6 affermare: ..La parola di Dio non e vemtta metto-(Rom. 9,6). Questo e 1'argomento centrale che I'interpretazione di que­sto testo deve affrontare. La parola di Dio e scandnlosa. Non si prcsen-ta mai alia nostra fruizione nel modo in cui ci saremmo aspettati. Alcu-ni ne concludono che sia -vemtta meno-, e tornano a far ricorso alio lo-ro risorse, apparentemente valide. Altri ne concludono che sia -vemtta meno-, ma non avendo risorse cadono in preda alia disperazione. Lo stesso patriarca Abramo non sa separarsi dal figlio delta serva (cfr. 17,18). Persino questo padre delta fede non sa essere radicale.

II figlio nasce alia coppia -gilt segnata dalla morte-, a due persone che non avevano ragione di sperare. La fede kerygmatica si regge sulla Can­dida affermazione che la realta umana ha in se ragione di speranza. Ec-co perche Paolo (Rom. 4,17) connette la nascita di Isacco (a) alia crea-zione del mondo ex niltilo e (b) alia risurrezionc dei morti. Secondo Ern­st Kasemann, la risurrezione (dai morti), la gitistificazione (per sola gra­zia) e la creazionc {ex niltilo) sono tutte affermazioni riguardanti la stes-sa realta (cfr. H.H. SCHMIDT, Rechtferligttng ah Scltbpfitngsgescliehen, in J. FRIEDRICH, W. POHLMANN e P. STUHLMACHER [a cura di), Reclttfertigttng,

1976, p. 403). Testimoniano tutte delta straordinario potere di Dio di su-scitare e ri-suscitare la vita, per sua grazia, e non a partire da un -po-tenziale-vita» preesistente, ma da una situazionc in cui non e'e ragione

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• JT'

^ c o n d a - G e n e s U U O - i W ! Genesi 20,1 - 2134

di speranza. Analogamente alia dottrina paolina delta giustificazione,

di speranza-Ana.og.m-. a r e ^ n o i 5 t e s s l e C1 p e r s u a d e

irLlldeS^rnddonoa.Diochesirive.afede.ea,,esuepro.

* m ° l t T Z * v e S nuovamente rivelato che non siamo vin-

LTaTdSa n ^ s t m a daha liberla deiramore di Dio, offerto in f,

del& 4 Per questo Sara ride (v. 6). Al di la deile spiegazioni etimologiche

che collegano Isacco a «ridere», al di la dell'imbarazzo per aver dubita-to Sara ride perche- «Dio mi ha dato di che ndere». Con la sua parola potente, Dio ha spezzato la morsa della morte, della disperazione, del-la sterilita. Un riso gioioso pone fine all'afflizione e al pianto (Mt. 5,4; Lc 6,21; Gov. 16,20-24). II riso e un modo tipicamente biblico di acco-gliere una novita inspiegabile. La novita k mero dono - immotivato, in-giustificato. La sterilita ora e divenuta ridicola. Ora se ne pub ridere per-ch6c'e «gioiapiena» (Gov. 16,24). Non sorprende che la nascita, e in par-ticolare quella di Isacco, nella Bibbia sia uno dei principali segni della fedelta di Dio. £ proprio grazie alia straordinarieta e impossibility (cfr. 18,14) di Isacco, che le fortune di Israele vengono restaurate. Ha dun-que ragione Gunkel a collegare questo passo al Salmo 126:

Quando il SlGNORE restaurb le fortune di Sion, ci sembrava di sognare. allora la nostra boccafu piena di risa, la nostra lingua digrida di gioia; allora si diceva tra le nazioni, •»// SlGNORE ha fatto cosegrandi per loro». II SIGNORE lia fatto cosegrandi per noi; e noi siamo nella gioia (Sal. 126,1-2)

«Restaurare le fortune* e la metafora con cui Israele allude alia fine dell esrho (Cer. 29,14; 30,3; 33,7.11.26). Isacco e la fine d'ogni esilio nel regno della necessita.

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14.3 L'altro figlio

Giunto alio svezzamento di Isacco (v. 8) il nostro racconto muta bru-scamente registro. I versetti 9-21 trattano dell'incompatibilita tra figlio della promessa e figlio della serva. Questo testo ha importanti punti di contatto con il capitolo 16.

£ complesso il conflitto tra i due figli, tra le due madri, e con l'irre-soluto, riluttante padre (cfr. 16,1-6). La storia sa bene che cosa vuol nar-rare: Isacco e il futuro. Ma fatica a imporre la propria volonta sui per-sonaggi- Ismaele non e disposto a lasciarsi mettere da parte tanto facil-mente. Ha dei diritti. £ il primogenito di Abramo. Non e un figlio adot-Hvo, non e un intruso: e nato dall'uomo della promessa. E Abramo non e disposto a rinunciarvi (cfr. 17,18). Non e ancora pronto ad abbando-nare le tradizioni della primogenitura. (Lo stesso angoscioso problema si riproporra poi a Isacco, a proposito del figlio maggiore, cfr. 27,37). Ma quel che piu conta, Dio ha fatto una promessa a Ismaele (cfr. 16,7-12). Per qualche imperscrutabile ragione, Dio stesso non e del tutto prepa-rato ad assecondare il suo progetto primario. E cost, come tra due uo-mini alle prese con una donna intrattabile, Dio dice ad Abramo: «L/i$cia che Sarafaccia cib che vuole. Non ti preoccupare, perche iofarb in modo che tutto vada per il meglio» (w. 12-13). Nel mezzo di un racconto che tratta di Isacco, viene riservato ampio spazio alia promessa che Dio rivolge ad Agar di fare di Ismaele una grande nazione (v. 18), e aH'afferrrtazio-ne che Dio e con Ismaele (v. 20) non meno che con Abramo (v. 22). Epi-sodio estremamente commovente e poetico, Ismaele viene soccorso e dissetato nel deserto (v. 19). Dio si prende cura di questo emarginato che la tradizione vorrebbe abbandonare. Questo «altro» figlio non vie­ne stigmatizzato. Tutti lo ritengono prezioso - YHWH, l'angelo. Agar, Abramo - tutti tranne Sara. Ma Sara ha un interesse, che le preclude questa realta.

Da una parte, dunque, la gioiosa nascita di Isacco; dall'altra Yangc-sciosa situazione di Ismaele. L'uno ha diritti che vanno rispettati. L'altro suscita risa di gioia e di festa. Questo testo non ci costringe a scegliere. E questo dovrebbe farci riflettere. II testo e chiaro e inequivoco: Isacco e il figlio della promessa. Su questo non c'e dubbio. U narratore sa che bisogna esporre la storia «canonica». E quella storia ha per protagoni-sta Isacco. Ma il testo e altrettanto chiaro riguardo al fatto che Dio ha a cuore Ismaele. L'«altro figlio» non dcve essere estromesso dalla fami-glia. II racconto ci mantiene in quello stato di tensione che ricorre spes-so nella Bibbia, la tensione tra Yeietto e il non-eletto che perb e ugual-mente amato. Certo, la promessa che riceve Ismaele e inferiore a quella

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di taor. Ma * oomunquc una pn>me» ^ * T & % £

to delle sue viscera (ctr. Is. 49,15).

14.4 La storia de i d u e figli (Gen . 21,1-21)

1. L'esegesi pin autorevoledi questo racconto t quelle di Paolo inGa-lali 4. £ chiaro die enlrambe lc coppie, Agar-Isniaelc e Sara-Isacco, di-vengono qui Hpi teologici. Vengono loro assegnali significati teologici eomplessi, die trascondono lc effermazioni del testo della Cenesi. Agar e Ismaole, figli del monte Sinai, vengono collocati nel mondo della ne-ccssita, della coeicizione e del fato. Sara e Isacco, eredi del monte Sion, nel mondo del dono, della liberta e del dcslino. Un'inlerpretazione cri-stiana del nostra testo della Genesi (se giustapposto a quello di Galati 4) ha sostanzialmente due compiti: (a) chiarire che tutto quel simboli-smo non era originariamente presente nel racconto della Genesi, ma (b) che la nostra tradizione cristiana ha scelto una certa lente attraverso cui leggere quel racconto. II banco di prova, per l'interprete, non sta nel-l'insistere sui significati «originari» del racconto, ma nel trovare i modi in cui 1'interpretazione illumina il nostro destino umano nel contesto dell'evangelo. Senza voler essere riduzionisti in senso paolino-lutera-no, e chiaro che il fato de!l'«uomo secondo la carne>. e il «pellegrinag-gio dei figli della promessa»> sono due modi distinti di intendere la vi­ta. Isacco e un dono che non puo essere spiegato altrimenti che come un miracoio. E Ismaele e un figlio ottenuto con precisa delerminazione e ac-curata pinnificazione. In quanto primogenito, Ismaele e il figlio del «di-ritto», in possesso di tutti i diritti naturali. L'allegoria di Paolo non e dunque lontana da quanto si afferma nel racconto della Genesi. £ chia­ro che vivere nel mondo della delerminazione, della pianificazione, del-le prestazioni e problematico. £ uno stile di vita che logora lo spirito e checonsegna l'individuoal mondodella compulsione, del controllo del-I'alienazione. £ il tentativo di vivere «di solo pane» (cfr. Deut. 8,3). In antitesi a questo stile di vita, Paolo comprese che vivere nel contesto del «miracolo» e la via che conduce alia liberta e alia gioia.

2. La giustapposizione dei due figli in questo capitolo ci consente an-che di nflettere suila parabola dei due figli narrate da Gesu (Lc 1511-3 ,,' ["J, ,,Ue teH " ° n K i s t e u n l e 8 a m e espl'dto, ma la temat.ca e pa-rallela. Nella parabola di Gesu, il figlio maggiore ha di tutti i diritti, com-

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Gftu'sl 20,1-21,34

place II padfe, obbedlsce alio regole, qulndl avrebbe tutti lc ragionl dl aspcllarsi moltO. Egll b II monte Sinai pcrsoniflMto (non divcrsatnente, aulndl, da Ismaele). Ma (• II figlio minora a rloevera vita, e la riceve In dono. Come gi.t avevamo visto in riferimento a Luce 13,16; 16,19-31 e 19,1, anclie qui il Vangelo di l.uca interpret.! corretl.unente I'intento del racconto della Genesi. l/esegesi di Paolo e la parabola di Gesti, come il racconto della Genesi, comprendono che la liberta di Dio non b llmita-ta dalle sterilit.l, dalle vecchiaia, dalle primogenitura. Dio solo ha il po-tere di far nuove tutto le cose.

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Genesi 22,1-24

Questo capitolo e tra i piu noti e teologicamente complessi dell'inte-ra tradizione abramitica. Pone scottanti interrogativi sulla natura della fede e sull'atteggiamento di Dio verso il fedele. Per piu versi rappre-sentai'acmedramrnaticodella tradizione abramitica. Costituisceunptri-dant alia chiamata alia fede con cui si apre il ciclo (12,l-4«). In 22,18 vie-ne infatti riaffermata la promessa di 12,3. Certo, la Genesi non termina qui, ma dopo questo capitolo l'intensita drammatica della narrazione si attenuasensibilmente. Questo tes to servedunqueacompendiareleprin-cipali asserzioni della tradizione abramitica.

Abbiamo posto Abramo sotto la rubrica «La chiamata di Dio accol-ta». Con qualche esitazione, egli e stato un uomo di fede, ha creduto nel-la promessa di Dio. Lo si e visto nella sua prontezza a partire in 12,1-4, nella sua risposta alia promessa in 15,6, nella sua accettazione della cir-concisione in 17,22-27. Tutto cio e stato ricompensato in 21,1-8 con la na-scita di Isacco. Dopo questa nascita, non e subito chiaro come evolvera lo sviluppo drammatico della tradizione. Se la storia di Abramo si con-cludesse con la nascita di Isacco (21,1-7), quello che avremmo sarebbe un racconto delle origini.

Ma nel testo che prenderemo ora in esame accadono fatti del tutto inattesi. Solo ora scopriamo quanto impegnativa sia la fede. Questo epi-sodio rivela che questo non e un racconto delle origini, ma la storia di una fede tormentata. II racconto e notoriamente di difficile interpreta-zione. Le difficolta iniziano con I'immediata avversione che suscita un Dio che ordini a un padre di uccidere il proprio hglio. Erich Auerbach (Mimesis, 1953, p. 12) sosriene che questo testo, come altri nella tradi­zione di Israele, e «plurisemantico» proprio per permettere il libero gio-co dell'interpretazione. L'intento non e im media tamente chiaro. Esige una decisione da parte dell'interprete.

II racconto e sostanzialmente circoscritto dai versetti 1-13. U verset-

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A , nenesi 11,30 - 25,18

t0 W M ' « I « ? • » - . j L ^ o d a t o risalto agli dementi cultu^ s t e r io re . M » f , ' ^ r

6a irpretazione si concentrera sul l 'ass e r 2 i o*

W g f o H i irifici umani a quelii animal non e d, particolare uti-S S l ™ n c h e trattate da questo teste sono ben p,u c o m p l y

7 S 1 5 - 1 8 vengono solitamente ntenut, un aggmnta posteriore. La nosm, taterpretazione mostrera che tuttavta nentrano a pie™ titolo ntireoanomia del dclo. Non prenderemo mvece m cons.derazione i da-^ 'i^gici (w. 20-24).

15.1 La struttura del brano

1. Inizieremo dall'analisi della complessa e simmetrica struttura del brano- II testo si articola intorno a tre serie di formule interlocutorie di chiamata/risposta affermazione (con altri elementi variabili):

Serie 3

Chiamata dell'angelo (v. 11) Risposta di Abramo (v. 11) L'angelo dispensa Abramo (v. 12)

Serie 1 Chiamata di Dio (v. 1) Risposta di Abramo (v. 1) OrdinediDio(v.2)

Serie 2

Richiesta di Isacco (v. 7) Risposta di Abramo (v. 7) Domanda di Isacco (v. 7) Affermazione di Abramo (v-8)

Si nori il modo particolare in cui si presenta la seconda serie. La pri­ma e la terza serie hanno solo a/b/a, , cioe chiamata, risposta, ordine, Nella seconda serie, invece, abbiamo a /b /a j /b , , cioe richiesta, rispo­sta, domanda di Isacco e un quarto elemento (al v. 8). Questo quarto ele-mento viola la struttura normale, e quindi e degno di nota: «Figlio mio, Dio stesso si prowedera I'agnello per l'olocausto». Non ci sono dubbi suua centrahta cruciale di questa affermazione dal punto di vista strut-rura e : n on ha paralleli nella prima e nella terza serie, e totalmente a se

b te^arti " P U m ° d i m a 8 8 i ° r 6 n f a s i ' V i 0 l a I a s t r u t t u r a b a S e deI"

Dio2;"21 'eUr- Ttl°Strutturalenotevolee jl Parallelo tra l'ordinedi ^ o (v. 2) e la nsoluzione della vicenda (v. 12):

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Genesi 22,1-24

prendi ora tuo figtio, U tuo unico, colui che ami, Isacco... (v. 2). Non mi hai rifiutato tuo figlio, I'unico tuo... (v. 12).

Questi due versetti circoscrivono il dramma. II primo provoca la cri-si. II secondo la risolve. La crisi vera e propria si svolge tra i versetti 2 e 12, e si articola al versetto 8, che, come gia si e detto, e decisive I ver­setti 2 e 12 manifestano l'imperscrutabile intenzione di Dio. Non cono-sciamo le ragioni ne" della risoluzione della vicenda al versetto 12, nd dell'ordine del versetto 2. Non sappiamo perchd Dio inizialmente pre-tenda da Abramo il sacrificio del figlio, nd perchd alia fine revochi l'or­dine. Tra le due affermazioni di divina imperscrutabilitar si colloca il ver­setto 8, che ci propone il piu profondo mistero della fede umana e del-Yumano patire.

3. Si noti che concetto almente (anche se non necessariamente in ter­mini di struttura) vi e un altro, intimo legame tra i versetti 1 e 12. II ver­setto 1 introduce la prova, lasciando intendere che Dio vuole sapere qualcosa. (Cfr. il desiderio di «$apere» di Dio a 18,21, che anche la porta a una crisi). Dio non sta giocando. Davvero non sa. E il versetto 12 lo conferma: «Ora so». C'e davvero un'evoluzione nella trama. II progre-dire della narrazione produce degli effetti sulla consapcvolezza di Dio. Egli non sapeva. Ora sa. II racconto non va interpretato come un'insul-sa «messa alia prova». Pud essere compreso solo se viene visto come una reale, autcntica evoluzione del rapporto tra YHWH e Abramo. L'e-voluzione e dal «prendi» (v. 2) al «non mi hai rifiutato» (v. 12), e dalla «prova» (v. 1) all'«ora so» (v. 12), e in entrambi i casi si compie grazie al-I'affermazione del versetto 8, un'enigmatica dichiarazione di fede in-condizionata. Solo grazie al versetto 8 la storia si evolve dal problema alia soluzione. Quel versetto contiene la rivelazione fondamentale su Dio: «Dio provvedera». E nello stesso versetto abbiamo anche la rive­lazione fondamentale su Abramo: egli crede.

15.2 L' interaz ione tra A b r a m o e D i o

Consideriamo ora la situazione di Abramo e di YHVVH in questo rac­conto.

1. II racconto pone Abramo di fronte a una parola. a. Come abbiamo visto, per tre volte Abramo e chiamato, e per tre

volte risponde: «EccomU. Questo e cid che sappiamo sulla posizione di

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Parte secol , u l a . Genesi 11,30 - 25,18

r .li <t, di fronto a una pwoU. 6 Chiamato. E risponde p r o r i . Abramo. M * * " £ r i s p o s , ache d . a l»ceo nel secondo dial, 1 tt»«te c « * £ * * " $ i m 0 c , w | terzo. Che lo chiainino d,,l £

£ d £ £ r W * dipenderc da un aim, di non ddenere r £ S i v a P l a .topria adatena. Abramo questo lo sa 6 quosto p o b b e . 'lie n radical* di Abramo. Egli M di essew una cna tu r . della p a r o U

Iniuestra raoonto, a dili'emnw di altri, non omlcn*, non pwcrastina, „„„ K s l W l i ditowto. Come in 12,4, la sua risposto e pronto e incondizio.

" b 11 versetta 8, che come abbiamo visto e centrale dol punto di vista, stmiturale! merita particular,' atten/.ionc, «Dio prowedcrta. £ una di. chiara/ione di fed* e fiducia assoluta, e per di piii al buio. Abramo non risponde a tutte le domande di lsacco, perchd egli stesso non sa. Non sa, per il momenta, so e con lsacco che Dio provvedera, o se invece prov. vederta salvarlo, Potrebbe essere in un modo 0 noU'altro: lsacco o un'al-temativa a lsacco. Abramo non lo sa, ma la sua fiducia e senza riserve. Egli e pronto a riporre la sua sorte nel Signore:

Riponi la tua sorte nel Stc'.NORE; confida in lui, ed egli agirr) (Sal. 37,5).

Abramo confida esclusivamente nel Dio che provvede, lo trova im-perscrutabile, ma degno difede. Abramo si e convertito dalle proprie vie a quelle di Dio, che sorpassano la sua intelligenza (cfr. Is. 55,8-9), ma in confonnita alle quali e pronto ad agire concretamcnte.

2. II racconto conduce a una nuova rivelazione di Dio. All'inizio, Dio e cotui che metlc alia prova (v. 1). Alia fine e colui che prouvedc (v. 14). Que-ste due affermazioni su Dio costituiscono la cornice che circoscrive la storia. Calvino e Lutero ammettono molto francamente che Dio si con-traddice. Calvinocommenta; ..L'ordinee la promessa di Dio sonoincon-flitto». Lutero afferma che questa e una «conrraddizione con cui Do contraddice se stesso». La promessa di Dio e che da lsacco uscira la di-scendenza che portera il suo nome (21,12; cfr. Rom. 9,7). L'ordine di Dio e che lsacco va sacrificato. Di conseguenza non ci sara discendenza, ne future. Rieccoci alia sterilita. Tutto il faticoso cammino da 11,30, dun-que, e stato invano. Abramo ha avuto piena fiducia nella promessa. Ora la promessa verra annullata. Puo, lo stesso Dio che promette la vita, or-dinare poi la morte?

L'interprete non deve fomire spiegazioni, perche cosi vuole il testo. ta assenza di spiegazioni il testo ci porta ad affrontare la realta che D o e Dio. II racconto ha per argomento la tormentata presa di coscienza di

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Genesi 22,1-24

Abramo die D o e Dio. Lo si p„, r c b be „ c c t , s t J r e , &

fife.* 1 D o che p o t a t o ogni altro dio, ogni altra fede. Vuol essere cr^ duto Un solo, e totalmente,

lo sono il SlONORE, il tuo Dio, che H ha fatto useiro.. Non nvew altri dei oltre a me

[ libera zione) [proibizioiu'l

Dio si riveU tanto liberamente sovrano quanta mftgnantoamente fe-dele. U lotto che provveda rivela la sua magnonima fedetta. It fatto che metta alia prova rivela la sua libera sovranita, Abramo acopro che le due caratteristlche di Dio sono sempre abbtnate II problem*, di questa rac­conto e contemperare o accettare sin I'escww online di Dio che la sua ht-mhioxi prmem. Questa strana cuntraddi/ione nel euore di Dio h un'ab tra rivelazione di queUn stessa realta che abbiamo gia visto nella storia del diluvio (6,6-7; 8,20-22). Dice bene Lutero che non c'e. ragionc uma-nn o Rlosofia che possa compivndere queste due caratterisliche di Dio, La fede £( la dispouibilit^ a rispondere a questa strana contraddi/.ione presente in Dio. La fede dice di «st» alia promessa, e gia mm 6 cosa da poco. E dice di «sl» anche aH'ordine-ehe fa delta promessa proprio sol-tanto, una promessa.

3. Important! parallel! a questo episodio si rinvengono nel primo e secondo capitolo di Giobbe. Come Giobbe, Abramo £ un uomo integro (17,1) che teme Dio (cfr. Giob. 1,1.8; 2,3). Come Giobbe e disposto a cre­dere totalmente nel Dio che da e che toglie (cfr. Giob. 1,21). II ricorso al libro di Giobbe potrebbe quindi rivelarsi utile all'analisi del nostro te­sto.

11 Hbro di Giobbe pub rivelarci molto bene I'intimo sentire di Abra­mo, che Genesi 22 ci tiene discretamente celato. I dialoghi di Giobbe con i suoi amici (Giob. 3 - 27) e con Dio (Giob. 29 - 31; 38 - 42,6), esprimono tutto lo sbigottimento e la costernazione di quest'uomo profondamen-te fedele che scopre che nel rapporto con Dio i costi superano ampia-mente i benefici. N6 il libro di Giobbe n£ questo racconto trattano del male o della giustizia di Dio. Piuttosto, si interrogano sulla fede, che, come ha mostrato Kierkegaard, prima di essere abbandono di se a Dio e timore e tremore.

II testo passa dal luminoso tema delta perfetta obbedienza di Abra­mo al problema di Dio. L'interprete pub allora forse portare la comu-nita d'ascolto a interrogarsi su questa parola: «Dio». Che cosa inten-diamo, nel pronunciare questa prcziosa parola? Che significato ha, in una fede seria, e in che differisce da quello che ha nella tiepida, solipsi-stica devozione di una religione formale? In che misura siamo prepa-rati al Dio di Giobbe e di Abramo, al Dio che da e che toglie, che pro-

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18 Gencsi 22,1-24

mette, ma artche ordina e mette alia prova? E analogamente, in che mi-sura siamo preparati al Dio radicale che ci viene incontro nel Crocifis-so risorto? Insieme a questi due uomini timorati di Dio siamo sollecita-ti a spingerci oltrc gli amici di Giobbe, oltre la facile devozione forma-le contemporanea, che non conosce il timore di Dio e va avanti per for-za d'inerzia.

4.11 racconto suscita questo interrogativo su Dio: davvero Dio met­te alia prova? La premcssa della storia e che si, Dio mette davvero alia prova.

a. Da Es. 20,20; Deut. 8,16; 13,3; 33,8 risalta che la messa alia prova 6 tematica tipica di epoche di sincretismo, come quella di Acab e Izebel (Cfr. 1 Re 17 -19; 21). L'espressione «mettere alia prova» (n8s8h) e frequente nel Deuteronomio, libro in cui il sincretismo e affrontato in modo molto di-retto. La messa alia prova di lsraele da parte di Dio deve vcrificare se Israele sapra confidare solo in YiiwH o adorera anche altri dei. Ma per comprendcre correttamente questo «mcttere alia prova» (o <-provare»), e necessario prendere in considerazione non solo il termine ntitflh, usato nel nostro testo, ma anche il termine bahan, che significa anch'esso «mette-re alia prova» (cfr. Sal. 7,9; 17,3; 26,2; 66,10; 81,7; Prov. 17,3; I Cr. 29,17, e le numerose ricorrcnze in Geremia, 6,27; 9,7; 11,20; 12,3; 17,10; 20,12). II campo semantico di questo termine (diverso da quelle di ntisiih) e piu esplicitamente giuridico. C'e infine da considerare la messa alia prova da parte di Satana, in particolar modo nella sua personificazione a Giob­be 1 - 2. Questi termini, insieme a nSslih, dimostrano che il mettere alia prova non e un concetto marginale per la fede di lsraele. Si tratta di un concetto che ha ragione d'essere solo in una fede in cui un unico Dio esiga una fedelta indivisa, una situazione non applicabile alia maggior parte delle religioni formali. I tempi della prova, per Israele e per tutti noi che di Abramo siamo eredi, sono quei tempi in cui trovare un'al-ternativa a Dio piu semplice e meno esigente e una tentazione fortissi-ma. Le prove che subiamo nella storia - quel le che vengono da Dio - ci portano a scoprire se cid che diciamo della nostra fede, cioe che si fon-da unicamente sull'evangelo, lo intendiamo sul serio.

b. Sofisricati come siamo, forse troveremo primitivo il concetto di «mettere alia prova». Ma i cristiani non si consolino pensando che que­sto el'Antico Testamento. La stessa tematica e ribadita chiaramente nel Nuovo Testamento. Non c'£ luogo, anzi, in cui sia piu visibile che nel Padre Nostro. Come suona strano che dei credenti tiepidi e per nulla tormentati preghinoregolarmente: «Non ci esporre alia tentazione» (Mt. 6,13; Lc. 11,4)! La preghiera che Gesu ci raccomanda di rivolgere a Dio e che non ci metta in una situazione di prova, in cui saremmo costretti a scegliere, decidere e rischiare per la nostra confessione di fede. Sup-

plichiamo che la nostra situazione di fede non sia mai cosi drammatica da rivelare tutta la nostra pochezza. La preghiera del Padre Nostro tra-disce il timore che se ci toccasse una simile prova non ne saremmo at-l'altezza'.

La chiesa primitiva del Nuovo Testamento sapeva bene che vi sono tempi di prova (cfr. Mc. 13,9-13; I Pie. 1,7; II Pie. 2,9). Una dimensione della prova e la tentazione di compiacere il mondo, di cedere a quelle pressioni che portano a una fede di compromesso. Le prove mettono in evidenza il profondo conflitto tra i progetti di Dioe gli obiettivi dell'«etl presenter E in genere noi "credenti" trcmiarno al pensicro di dover prendere una decisione. Pochi rispondono con la prontezza di Abramo. Questo raccontc) afferma che dobbiarno decidere se fare affidamento so­lo sulla promessa. La prova, alia fine, non si puo eludere.

5. Ma il testo pone anche un secondo interrogativo su Dio. Un inter­rogativo che non viene posto spesso, ma e altrettanto complesso. 11 rac­conto inizia con Dio che mette alia prova. Ma finisce con Dio che prov-vede.Questaaffermazionepotrebbeesseredataperscontata.Invecenon £ meno problematica. Accettare questa seconda affermazione compor-ta da parte di Abramo un atto di fede non meno radicale di quello ne­cessario per accettare la prima. L'affermare che Dio provvede esige una fede altrettanto intensa quanto quella necessiria per accettare che Dia metta alia prova. Equivale ad affermare che solo Dio, e nessun altro, e la fonte della vita. L'enigmatica affermazione di Abramo (v. 8) e la con-clusione (v. 14) confessano che il montone che sostituisce Isacco non compare per caso, per combinazione, o per fortuna (v. 13), ma che lo stesso Dio che con sovranita mette alia prova, per grazia poi risolve la prova. In un mondo dominato da umanesimo, scientismo e naturali-smo, affermare che solo Dio provvede non e meno scandaloso che af­fermare che Dio mette alia prova.

H termine «provvedere» (vv. 8e 14) presenta qualchedifficolta. t" una traduzione poco comune del termine rB'tth, in altri contesti reso con «ve-dere». Karl Barth (Ktnhlkhe Dogmatik, III, 3, pp. 3e 35) acutumente ri-manda al latino pro-video, che appunto contione nell'etinio il verbo «ve-dere». La traduzione latinadunque(eov\iamentequellaitaliana,N.J.T.), rende molto bene il collegamento tra «vedere» e «prov-vedcre». Barth basa sul nostro testo tutta la sua intcrpretazione della "prowidenza*, la dottrina secondo cui Dio si premura di (ornire alle sue creature tutto cid di cui necessitano. Teologicamente, la difficolta posta dal concetto di Dio come colui che provvede c duplice. Innanzitutto, per la nostra razionalita moderna, il concetto risulta problematico se si riferisce a do-n i spc*cifici. E qui, molto concretamente, la comparsa del montone e at* tribuita al «prov-vederc» di Dio. Secondo, connettere il nostro vocabo-

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V - ' - '

Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18 Genesi 22,1-24

lo «vedere» all'affermazione dell'esistenza di una divina provvidenza, costituisce la piu esauriente delle confessioni che la vita rientra nel cam-po d'azione di Dio, e che noi siamo destinati a vivere secondo U suo be­nevolo volere. Barth associa questo concetto a sentimenti di sbllecitu-dine, cura e protezione. E se il verbo in s6 risulta inappropriato, nel con-testo del racconto, la traduzione tradizionale, che rende con pro-video, pro-vide, provvidenza e foriera di importanti spunti teologici. Questa con-fessione di Abramo (v. 8) e la conclusione che egli ne trae (v. 14) chiari-scono che l'intero episodio della messa alia prova rientra nel contesto delta benevola e premurosa sollecitudine di Dio.

L'Antico Testamento riconosce anche altrove la presenza dell'azione prowidenziale ebenevola di Dio, per esempio nell'episodio della man­na (Es. 16,15), nella sua soluzione del problema dell'autorita e del co-mando in Israele (I Sam. 16,1; 17), e nel riconoscimento apparentemen-te prosaico ma in realta intensamente poetico, dell'intrinseca bonta del­la vita (Sal. 104,27-30; 145,15-19). Dio e Colui che e attento alle necessita e ai bisogni, anche molto concretamente materiali, delle sue creature.

La stessa affermazione radicale su Dio come Colui che provvede e presente nel Nuovo Testamento. La stessa chiesa che prega per non es-sere messa alia prova invoca la divina provvidenza. II Padre Nostra rico­nosce che non esiste altra fonte di provvidenza. Pertanto, la chiesa pre­ga per il pane quotidiano (Mt. 6,11; Lc. 11,3). La comunita neotesta-mentaria confessa che e soltanto il sostegno di Dio a rendere la vita pos-sibile (Mt. 6,25-33; 7,11; Mc. 6,30-44; 8,1-10; Ef. 3,20-21).

15.3 Prova e provvidenza: un mistero

Questo testo colloca dunque la vita di Abramo al centra della con-traddizione tra messa alia prova eprow/dcnzn;tralibertasovrana, che esi-gecompleta obbedienza, efedelta misericordiosa e piena di grazia,che elargisce buoni doni; tra ordine e promessa; e tra parola di morte che toglie e parola di vita che da. La chiamata di Abramo e una chiamata a vivere alia presenza di questo Dio che viene verso di noi e contempo-raneamente ci si sottrae (cfr. Ger. 23,23). Molti credenti saranno tentati di accettare solo la prima parte. Soprattutto una religiosity come quel-la odierna, tiepida e condiscendente, tollerera solo un Dio che provve­de, non un Dio che mette alia prova. Per reazione, altri vorranno solo un Dio che mette alia prova, e rifiuteranno la sua generosa provviden­za. Altri ancora, con modcrno cinismo, considereranno sciocche en-

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trambe le affermazioni, ritenendo che non dobbiamo rispondere a nes-suno ne confidare in nessuno, dal momento che siamo liberi e capaci di realizzarci da soli. Ma il patriarca Abramo si confessd non-libero di sot-trarsi alia prova e in-capace di provvedere autonomamente a se stesso.

1. II testo afferma dunque che Dio si comporta cosl con il suo popo-lo- Affermare che Dio mette alia prova e provvede suscita seri proble-mi soprattutto in quelli nel proprio Dio cercano «ragionevolezza». Ma questo testo non si sottrae ne" si blocca dinanzi all'irrazionalita di que­sta storia. Dio non e una premessa logica tenuta a comportarsi secondo una ratio coerente. Dio e libera e sovrano, fa cid che vuole. In quanto «Alto e Santo», mette alia prova il suo popolo per vagliarlo, per scopri-re chi prende sul serio la fede, di quali vite e veramente Signore. E in quanto soccorritore degli «umili e degli oppressi», provvede buoni do­ni imperscrutabili e inattesi. Questo testo non ci permette di scegliere tra queste caratteristiche di Dio (cfr. Is. 57,15).

Lutcro ha detto che questa contraddizione tra prova e provvidenza (promettere Isacco, volerselo riprendere, salvarlo in extremis) puo es-sere riconciliata solo nella parola di Dio. In sua assenza la nostra ragio-ne e la nostra fede restano disorientate. Quella parola che riconcilia e che colui che e morto vive. £ la parola della risurrezione a guidarci at-traverso questo testo al Dio che ci sorprende con la vita. Cid non equi-vale semplicemente a dire che se Isacco fosse stato ucciso, sarebbe poi stato risuscitato. Questa sarebbe una congettura: il testo non lo dice. Ebrei 11,17-19 connette Isacco alia potenza della risurrezione, ma non nel senso che il morto venga risuscitato. Risurrezione e il mantenimen-to di una promessa in cui non si sperava piu. E fede altro non e se non fiducia nel potere della risurrezione a dispetto di qualunque circostan-za di morte. Abramo, al di la di ogni ragionevolezza, sa che Dio trovera un modo per immettere vita persino in questo scenario di morte. Que­sta e la fede di Abramo. Questa la fede della comunita d'ascolto. E que­sto il significato del montone all'uttimo momento. II sostituto non lo procura Abramo: e Dio a donarlo, nella sua grazia imperscrutabile.

2. E legittimo associate questa dialettica prova/provvidenza, toglie-re/darealla realta diGesudi Nazareth. In tutti etreidetti ai discepoli sulla passione riportati da Marco (Mc 8,31; 931; 1033-34), Gesu parla di crocifissione e risurrezione. Questi dueeventi sono due facce di un'u-nica realta, non possono essere separati. I due insieme, il dare la vita e il riceveme una nuova, riassumono il messaggio di Gesu. Annunciano tutta la buona novella accessibile alia chiesa. La crocifissione di Gesu e I'espressione estrema della messa alia prova di Dio. Come Abramo, Ge­su nel Getsemani (Mc. 14,32-42) si trova in una situazione in cui deve

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18

scegliere. In quella situazione, Gesu e il Padre verificano che Gesu, co­me Abramo, confida unicamente nella promessa. E i detri sulla passio-ne, come parlano della prova della crocifissione, cosi parlano anche del­ta risurrezione come estrema prowidenza di Dio. La risurrezione e U miracolo con cui Dio prowede nuova vita in una situazione in cui non ci si aspettava che morte. La dialettica proiw/prowidenza del nostro te­sta diviene dialettica di crocifissione/risurrezione nella fede della chiesa.

3. II nostro testa illumina la vita di Gesu, soprattutto la crocifissione e risurrezione. E parallelamente illustra le caratteristiche di un disce-polato fedele. La struttura del testa trova riscontro in un insegnamento centrale sul discepolato: «Perch£ chi vorra salvare la sua vita, la perdera; ma chi perdera la sua vita per amor mio e del vangelo, la salvera» (Mc

8,35).

4. Paolo to capi. E nella I Corinzi riusci a congiungere mirabilmente le due tematiche. Riguardo al culto degli idoli, concluse infatti: «Dio e fedele, e non permettera che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tcnlazbne provvcdera anche la via d'uscirne, affinche" la possiate sop-portare* (1 Cor. 10,13). £ lo stesso Dio a tentare e a prowedere. n nesso tra queste due realta apparentemente inconciliabili e che Dio d fedele. In ultima analisi,questoracconto non trattaforsedell'accertamento del­la fedelta di Abramo, ma della rivelazione della fedelta di Dio.

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Genesi 23,1 - 25,18

II ciclo di Abramo ha ormai compiuto la sua parabola e raggiunto il suo traguardo. Da 12,1 a 22,19 si e passati da un'iniziale fiducia nella promessa (12,1-4) a una finale, radicale messa a rischio dell'erede. La parte centrale della tradizione abramitica e racchiusa tra la promessa di 12,1-3 e la sua reiterazione a 22,15-18. Ora la promessa pud essere tra-sferita alia generazione successiva. Nei capitoli che ci attendono avre-mo a che fare con tre element! del trapasso della promessa alia genera­zione di Isacco: (a) la morte della madre (23,1-20),(IJ) una sposa per il fi-glio ed erode (24,1-67) e (c) la morte del padre (25,1-18). Questi demen­ti di transizione seguono 1'allcntarsi della massima tensione della nar­razione in 22,1-13.1 capitoli che prenderemo ora in esame assolvono la stcssa funzione, nel ciclo di Abramo, dei capitoli 34 - 36 nel ciclo di Gia-cobbe c 47,28 - 50,26 in quello di Giuseppe. Trattano di questioni ne-cessarie alio sviluppo della narrazione, ma sono estranel alio sviluppo drammatico principale.

16.1 La sepoltura della madre (23,1-20)

Questo brano autonomo (23,1-20) tratta della sepoltura di Sara, co-let che aveva mentito per Abramo (12,10-20), si era fatta beffe della p r o mcssa (19,8-15) e infine aveva riso il riso pasquolc (21,6), La struttura del brano e semplice e rcttilinea. Inizia con la necessity di una tomba (vv. 1-4) e si conclude con la soluzione del problema (vv. 17-20). Tra pro-blema e soluzione vi e una lunga e dettagliata descrizione delle muta­tive (vv. 5-16) che rendono possibile la soluzione.

Probabilmenteilraccontoris[x-cchialarealeabitudiiieatrattativemol-

23,5

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to cerimoniose e levantine finalizzate a spuntare il prezzo migliore, e si ritiene riproduca la procedura legale seguita per assicurarsi un titolo di proprieta con l'avallo di testimoni. Sebbene siano stati indicati speciHci parallel! con la prassi ittita del II millennio a.C, piu probabilmente il rac-conto rispecchia un'ancor piu comune procedura mediorientale.

Ma forse si tratta soltanto delta descrizione di una specifica transa-zione commerdale. Dio non viene mai menzionato. Nel testo non c'e traccia di intenzionalita teologica. Comunque, al di la del vero e proprio scopo, procurarsi una tomba, colpisce il tono quasi comico delle tratta-rive, dominate dal verbo «dare» (w. 4.9.11.13), che non e che un eufe-mismo per comprare e vendere. Se c'e una cosa che ne" l'una ne l'altra parte intendono fare, infatti, e «dare» via alcunche. Questo tono rag-giunge l'apice nel discorso di Efron (v. 15), che alia fine, riluttante, men-ziona una cifra, verosimilmente alta. Dice infatti: «Che cosa sono 400 si-cli tra amici?». Probabilmente la risposta dovrebbe essere «Mka pocol»r

ma la cifra viene accettata, e si giunge a un accordo. {Le manovre per giungere a un accordo confacente a entrambi ricordano la serrata con-trattazione tra Abramo e Dio di 18,23-33).

Forse il testo andrebbe preso cosi, come il vero resoconto di una rran-sazione privo di significati reconditi. Ma a voler leggere tra le righe, so­no possibili tre interpretazioni:

1. Vi e una manifesta incongruenza tra la generica definizione che Abramo da di se stesso (v. 4): «Io sono straniero e di passaggio tra voi», e il titolo attribuitogli dal capo ittita (v. 6): «Un principe di Dio». La RSV propone in alternativa «un principe potente», traduzione senz'altro pos-sibile; ma non pud essere irrilevante che in ebraicovisia«e/o/imi»:«Dio». La traduzione «un principe di Dio»>, se la si accetta, suggerisce che per il racconto e lo straniero senza terra a essere principe di Dio. £ il senza ter­ra il destinatario di tutte le promesse. Ed 6 proprio questa incongruen­za a enfatizzare il tema centrale delta Genesi. Lutero richiama giusta-mente I'attenzione su un suggestivo parallelo neotestamentario in Ef. 2,19. II senza terra, lo straniero, e reso concittadino dalla potenza del-I'evangelo. Al termine del nostro racconto (vv. 17-20), Abramo e entra-to in possesso della terra e vi «appartiene» in un modo nuovo.

2. Probabilmente, 1'atto di assicurarsi con un chiaro titolo legale que­sto luogo di sepoltura vuol essere una garanzia, simbolica ma concreta, di possesso di tutta la terra. Dal momento che il testo viene attribuito al­ia tradizione Sacerdotale, edatato all'epoca deU'esilio del VI secolo, il far memoria di questa transazione evidentemente rassicurava gli esuli, co-Ioro che nuovamente e forzatamente erano stati resi «stranieri», e che co-si avevano la certezza di possedere una patria, un luogo sicuro. Questo

Genesi 23,1-25,18

piccolo pezzo di terra era simbolico di tutta la terra, sicuramente pro-messa e indubitabilmente destinata, un giomo, ad essere loro.

3. £ legittimo infine un rimando a Ger. 32,1-15, testo probabilmente contemporaneo e unico altro passo veterotestamentario in cui il diritto di possesso della terra venga altrettanto approfondito. Non e improba-bile che Ger. 32 intenda interpretare Gen. 23, e quanto ad attenzione per la procedura legale eguaglia senz'altro il nostro testo. Ger. 32,15, pero, da esplicitamente all'azione legale una lettura teologica: «Infatti cosi parla il SiGNORE degli eserciti, Dio d'Israele: "Si compreranno ancora case, campi e vigne, in questo paese'V

L'azione legale di acquisizione e un investimento globale in una pro­messa che e 1'opposto delle circostanze attuali. Indubbiamente, un'in-terpretazione simile di Gen. 23 travalica la lettera del testo. Parte dal presupposto che questo testo, come altri nella Genesi, sia interamente sotteso e sostenuto dalla promessa. Pertanto Abramo e Sara, «confes-sando di essere forestieri e pellegrini sulla terra ... dimostrano di cer-care una patria" (Ebr. 11,13-14), e persino la morte della madre e ideata per tradursi in occasione di intensa fiducia nella promessa.

16.2 Una sposa per il figlio ed erede (24,1-67)

II secondo di questi materiali di transizione (24,1-67) riguarda il fi­glio ed erede. 24,1-67 non aveva originariamente rapporto con il capi-tolo 23. Stile e tono sono del tutto diversi. Ma nella forma definitiva del testo, i due vennero collegafi (24,67), in modo da connettere armonio-samente morte di Sara e matrimonio di Isacco.

II testo, come ha notato Von Rad, si presta a essere suddiviso in quat-tro scene, ciascuna con una diversa combinazione di personaggi:

(1) w. 1-9, Abramo e il servo innominato; (2) w. 11-27, il servo e Rebecca; (3) vv. 28-61, il servo e i parenti di Rebecca; (4) vv. 62-67, Isacco e Rebecca. Stilisticamente il racconto presenta tratti novellistici analoghi a quel-

li del ciclo di Giuseppe. £ piuttosto lungo, e la trama, pur non disde-gnando le digression!, si sviluppa disciplinatamente: ogni scena e pro-gettata per assolvere a una funzione particolare, e il tutto e sapiente-mente articolato. Al tempo stesso, pero, non mancano gustosi momen­ta di humour, che l'interprete deve saper mettere in evidenza.

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II problema del racconto e trovare una sposa confacente per Isacco, cosicche la promessa possa avere un futuro. Questo obiettivo non vie-ne particolannente enfatizzato, e costituisce forse solo un contesto pe r la storia. A prenderlo sul serio, invece, potrebbe esser visto da un lato come un riflesso dell'avversione ai cananei (cfr. 26,34; 27,46 - 28,9), da l -1'altro come una valutazione positiva della connessione con gli aratnei, a cui nel ciclo di Abramo non viene altrimenti dato rilievo (cfr. Deut. 26,5). Maquesteproblematicheesulanodalla coerenza drammatica del-la storia, che tratta semplkemente del problema di trovare una sposa provvista di requisiti confacenti.

l.Le scene prima (vv. 1-9) equarta (vv. 62-67) sono essenziali in quan-to espongono il problema e ne testimoniano la sohtzione. Ma l'intensita drammatica si raggiunge nelle due scene central!.

a. La scena prima (vv. 1-9) presenta Abramo come uomo intensa-mente determinato e profondamente credente. Particolarmente inte-ressante il duplice uso della formula «YHWH, Dio dei cieli» (vv. 3.7), in-consueta, qui, e forse indizio di una diversa origine della storia.

b. La scena seconda (vv. 11-27) e abilmente collocata tra la preghiera dei w. 12-14 e la dossologia dei versetti 26-27, che proclama che la pre­ghiera e stata esaudita. La parola chlave della scena e «bontdfedele» (/.«•-sed), che si rinviene due volte nella preghiera (vv. 12.14) e poi di nuovo nella corrispondente dossologia (vv. 26-27). Abramo ha af-fidato l'inte-ra impresa a YHWH. Anche il servo ha sperimentato che Dio e piena-mente degno di fede. Tra le due preghiere dei versetti 12-14 e 27 e inse-rito un vivace racconto (vv. 15-28), in cui il servo contcmpla la bellezza della fanciulladestinata ad andare in sposa a Isacco,e valuta le ricchezze della famiglia (v. 21). Viene introdotto il motivo del «successo». L'aspctto umoristico di questa scena e che il successo che YHWH accorda b fac-cenda tutta terrena: (a) ottima genealogia, (b) bell'aspetto, (c) tanti cam-melli, (d) vergine (come l'avra saputo?). Le benedizioni del cielo giun-gono in terra sotto forma di «pacchetto» decisamente molto esaustivot

c. La terza scena (vv. 28-61) e lunga. Contribuisce ad ampliarla l 'elo-quentediscorso del servo (vv. 34-49)che ripete dettagliatamente le istru-zioni ricevute. Questo artificio retorico serve a incrementare la suspen­se e a catturare 1'attenzione delI'ascoltatore. Si noti che il lungo discor-so inizia e finisce con una benedizione:

II SlGNORE ha benedetto abbondantemente il mlo signore... (v. 35); ...ho benedetto il SIGNORE (V. 48)

ed e ulteriormente racchiuso tra due affermazioni di Labano di gran-de spessore teologico (vv. 31.50). La strutlura e la seguente:

Hpr"""^ Genesi 23,1 - 25,18

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v. 31, Labano: Entra, benedetto dal SlCNORE... v. 35, il servo: II SlGNORE ha benedetto abbondantemente il mio signo­re... v. 48, il servo: Mi sono inchinato, ho adorato il SlGNORE e ho benedetto il SlGNORE v. 50, Labano: La cosa procede dal SlGNORE...

La risposta di Labano (v. 50) e di complete, adesione al piano di Abra­mo. Essa verra riecheggiata in seguito dalla completa resa di Labano a Giacobbe, in Gen. 31,29. Ovviamente e importante per la storia che La­bano parli qui come un credente in YHWH che non solo ne conosce il no-me, ma gli si sottomette totalmente, concedendogli tutto. II racconto non e perb privo di arguzia. Da un lato e senz'altro importante che Labano pronunci il nome del Dio di Abramo, dall'altro vi e una sottile ironia: Labano ha appena visto anelli, bracciatetti, cammelli (v. 30). Forse non sara un credente escmplare, ma di certo non e uno sciocco!

d. La vicenda si risolve alia fine delta scena terza (vv. 52-60), che de-scrive con slile solcnne e cerimonioso i preparativi per la dote. Si noti, in questa scena, la reiterazionedi due motivi. Primo, il servo aveva chie-sto a YHWH di mostrargli la sua bonta (vv. 12-14), il suo saldo amore e la sua fedclta (v. 27, hesed e '''met). Poi, con le stesse parole, chiede bonta e fedclta a Labano (v. 49). Secondo, 1'interrogativo riguardante il suc­cesso, posto al versetto 21, ha ora ricevuto risposta (v. 56). La scena si chiude (vv. 60-61) di nuovo col motivo della benedizione, quest'uitima corrispondente a quella di Abramo (v. 1). Come Abramo, membro del­la vecchia generazione, chiude la sua vicenda terrena riccamente bene­detto, cosi Rebecca, madre della generazione futura, la inizia con una benedizione e una sorta di mandate imperiale per la terra gia promes­sa (cfr, ileommentoa22,17suquesta formula). L'accoglienza, nella quar­ts scena (vv. 62-67), £ lieta e calorosa. E su questa nota di «consolazio-ne« (v. 67) si chiude questo materiale di transizione.

2. Particolare attenzione meritano i seguenti motivi: a. Tutta la famiglia, 1'intero mondo di Abramo e copiosamente bene­

detto. II motivo della benedizione inizia con Abramo (v. 1, riconfermato neU'identita del servo al v. 31) e perdura sino alia partenza di Rebecca (v. 60). Alia benedizione di YHWH fa eco quella che del servo che bene-dice YHWH (v. 27, reiterata al v. 48).

b. Strettamente connesso, il motivo del successo ricorre in tutta la sto­ria (vv. 21. 40. 42. 56). Questo motivo si ripresentera nel ciclo di Giu­seppe (39,2-3.23). Ma gia qui abbiamo un genere letterario (la novella) adeguato a esprimere la multiforme potenza della protezione prowi-denziale di YHWH.

2 W

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Parte seconda - Genesi 11,30 - 25,18 Genesi 23,1 -25,18

c. Abbiamo gia osservato che 1'uso del vocabolo «bonta» insieme a «fedelta» e importante. La coppia ricorre due volte, qui. Viene chiesta (v. 12 e 14) e ottenuta da Dio (v. 27), e chiesta (v. 49) e ottenuta da Laba-no - bench£ questo non sia derto esplicitamente. Questa formula, hexed e vmet, viene pri\ ilegiata per designate un rapporto veramente profon-do e sincere,

d. Un quarto motivo e I'invisibile, imperscrutabile guida divina. An-che il servo sa di essere stato guidato (v. 27) e ripete questa convinzio-ne (v. 4S). YHWH non ha fatto nulla direttamente. Non ci sono stati se-gni ne segnali. Non c'e stata ricerca n£ richiesta di guida. Solo lo spon-raneo riconoscimento a cose fatte. La menzione dell'angelo (v. 40) e estre-mamente singolare e non viene ulteriormente sviluppata nel racconto. Forse 1'angelo e un artificio tramite cui questa «guida» viene connessa alia pen?grinazione nel deserto. Piii verosimilmente, mette il lettore sul-l'awiso che questa sequenza apparentemente «nahirale» di fatti ha die-tro qualcos'altro, che gli occhi non possono seorgere. Dio e all'opera, qui. Ma solo il credente, con gli occhi della fede, scorge I'angelo. Per gli altri, quesri eventi straordinari saranno soltanto do\ruti alia "buona sor­ter.

L'uso del motivo della guida divina merita particolare attenzione. II termine nitf0i («guidare») non ricorre in alcun altro luogo della Gene­si- I suoi due usi cararteristici si riferiscono (a) alia guida durante le pe-regrinazioni nel deserto (Es. 13,17; Sal. 60,9; 78,14; 53; 108,10), e (b) alia guida personale in tempi di angoscia e pericolo (si vedano soprattutto iSalmidilamentazione:5^;27,ll;31^;433;73,24).Laricorrenzasenz'al-tro piu nota e Sal. 23,2-3, una dichiarazione di piena fiducia nell'amo-revole protezione di Dio:

II SlGNORE ... mi guida lungo le acque calme, Egb mi ristora 1'anima, mi guida per sentieri di giustizia per amore del suo nome.

A motivo della guida e introdotto molto incisivamente nel nostro te-sto (v. 14) e poi ripreso al versetto 44. Si afferma che la fanciulla e colei che YHWH ha «destinata» ad andare in sposa a Isacco. La parola «desti-nata» e inconsueta in quest'uso, ma e indice dello spessore teologico di questo brano; la storia non ha dubbi che ad aver governato questi even­ti e un precise concreto progetto di YHWH.

Riassumendo, dunque, sono quattro i motivi che fomiscono le coor­dinate per una riflessione teologica su questo racconto: (1) la benedizio-ne di Dio agli uomini e degli uomini a Dio, (2) il successo, (3) la bontd e fe-delta {besed e ''met), e (4) la guida divina.

I

3. Questa storia e sotto mold profili una storia «laica»: attribuisce molta importanza aU'esperienza umana, e Dio non vi interviene mai di­rettamente. £ un ottimo esempio di quella che Von Rad ha definito «let-teratura illuminista» (cfr. Old Testament Theology 1,1962, pp. 48-56). Se-condo Wolfgang Roth (The Wooing of Rebekah, CBQ 34 (1972), pp. 177-87) vi si ravviserebbero tracce di influenza sapienziale. Ma al tempo stes-so, questa storia d una profonda confessione di fede in Dio, non solo, come era legittimo attendersi, da parte di Abramo, ma anche nelle pa­role e negli atti del servo di Abramo e di Labano.

a. Dal racconto trapela la convinzione che tutti gli eventi siano sotto la protezione prowidenziale di YHWH. Egli Ii condurra a buon fine. Cer-to, YHWH non fa nulla di visibile. C'e un giuramento in suo nome (w. 3.7), un'invocazione a lui (w. 12.14) e ii relativo rendimento di grazie (w. 26-27). Questa non e anzitutto e perlopiii una descrizione delle ge-sta di YHWH (come invece altre parti del ciclo di Abramo), ma un'espo-sizione di che cosa significhi vivere in un ethos in cui la vita viene ac-cettata e percepita come dono di YHWH. II testonon fa intervenire YHWH. Ma presenta una visione del mondo in cui non ci sono parti dell'espe-rienza che si situino al di fuori del suo progetto. In questo, come in mol-ti altri aspetti, il ciclo di Abramo ha affinita con quello di Giuseppe (cfr. 50,20). II corso degli eventi vieneattribuitoalla vigile presenza di YHWH.

Di fronte a un racconto come questo viene spontaneo domandarsi: dawero Dio guida e conduce a questo modo? La risposta non scaturi-sce direttamente dal testo, che mette I'accento piu sulla fedele sequela dei protagonisti che sulla guida di YHWH. I protagonisti accettano un'in-terpretazione della realta che fa perno su YHWH, e interpretano gli even­ti di conseguenza. A dispetto della sua apparente ingenuita, questo rac­conto e una profonda e matura riflessione sulla fede. Insegna a leggere retrospettivamente negli eventi la bonta e la fedelta di Dio. Non sem-pre riusciamo a discemere a priori i doni di Dio. Ma in una prospettiva di fede possiamo discernere a posteriori il suo intervento prodigioso in eventi che non avevamo notato, o avevamo attribuito ad altre cause. Sia-mo dunque come U servo di questo racconto (v. 21), che deve riflettere sugli eventi per trarre una conclusione. Solo dopo una simile riflessio­ne e possibile giungere a una simile conclusione, e attribuire un senso agli eventi (come ii w . 26-27.48.56).

Questo testo offre al lettore l'opportunita di riflettere sulla fede, su che cosa essa sia e su come si manifesti. In una cultura alia spasmodica ricerca di segni visibili della fede, incline alio scientismo e attratta dal­le ciarlatanerie religiose, questa storia scredita ogni scorciatoia e cari-catura della fede. Gli interventi di Dio non sono spettacolari, ostentati, magici. L'individuo perviene alia rivelazione di Dio grazie a un sobrio

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discemimento e alia disponibilita a credere che la quotidianita possa es-sere trasformata. II testo e particolarmente poco enfatico, ma tutt'altro che reticente riguardo alia fede: sa trovare accenti di solenne e profon-da riconoscenza per i doni che YHWH concede.

c. Ci6 che pub produrre nel lettore questa storia e una nuova consi-derazione delta serenita ottimistica in cui vive la fede. Certo, e possibi-le che questa interpretazione della realta sia illusoria. Ma questo e il ri-schio di questo tipo di visione del mondo. II servo e Labano potrebbe-ro sbagliarsi, nel ravvisare in tutto cid che accade 1'intervento di Dio, ma il racconto non concede spazio a simili sospetti. II racconto colloca il nostra orizzonte esistenziale nella certezza, non nel sospetto. Certo, una simile interpretazione della realta non va fatta con leggerezza. E non e per tutti. Lutero ha parole sagge su cib che questo testo afferma su Dio: «Secondo la legge, a Dio non si potrebbe imporre nulla. Ma se-condo 1'evangelo, i pii che non soggiacciono alia legge possono farlo». A Lutero b chiaro che il tipo di fede esemplata dal servo in questa sto­ria non pub esigere o aspettarsi troppo. Di conseguenza, ne elogia la preghiera: «Ffl' che accada. Fa'che tutto vada per il verso giusto» (vv. 12-14). La fede di questo racconto e una fede per cui le cose accadono in modo apparentemente foriuito, eppure vengono attribute a Dio. Questo te­sto educa a una fede matura, che rifugga sia da un facile romanticismo che da un rozzo cinismo. La comunita d'ascolto pub dunque cantare, di Colui checi guida anche quando sembreremmo procedere di nostra ini-ziativa:

Guidaci, Padre Celeste, guidaci Per il pelago fortunoso del mondo; Guidaci, custodiscici, nutria, Giacchb non abbiamo altro aiuto che Te, Ma e gia nostra ogni benedizione, Se abbiamo Te, nostra Dio, per Padre. flames EDMESTON, Lead Us, Heavenly Father, Lead Us, 1821)

La fede qui proposta e per quanti sono disposti a farsi guidare. II mandato di Abramo (v. 7) e memore di 12,1, e colloca questa fede esat-tamente dove va vissuta: tra il luogodi un tempo, abbandonato, e il luo-go nuovo, ancora da ricevere. Chi crede a questo modo b in grado di confessare,retrospettivamente,rincredibile,tempestiva,premurosasoI-lecitudine di Dio (v. 15; cfr. Is. 65,24).

Genesi 23,1 - 25,18

16.3 La morte del padre (25,1-18)

II terzo elemento di questa sezione (25,1-18) narra la morte di Abra­mo e il definitivo trasferimento della promessa a Isacco. Sorvoleremo sulle nozze di Abramo con Chetura (w. 1-4) o sul fatto che, oltre alle mogli, Abramo avesse anche delle concubine. Mentre a questo propo-sito Calvino lo critica aspramentc, secondo Lutero a indurlo a queste al-tre relazlorti fu soltanto lo zelante assillo di generare un eredeper la pro­messa. In ogni modo, qucsti versetti, che potrebbera anche riflettere un autcntico dato storico, sottolineano la fecondita di Abramo.

Su questo testo possono essere utili le seguenti osservazioni:

1.1 versetti 5-6 trattano del rapporto tra Isacco e Ismaele. Non c'e, qui, alcuna negativity nei confront! degli altri figli; non sono ripudiati o negletti, anzi, Abramo ha per loro le dovute premure. Ma il testo si premura di sottolincare la differenza qualitativa. Mentre gli altri rice-vono «doni» (v. 6), a Isacco «egli diede tutto cib che possedcva» (v, 5). Isacco riceve la benedizione quasi come una sostanza identificabile e tangibile (v. 11). H testo enfatizza la diversita tra Vctezione alia promes­sa e una generosita che si estcndc a tutti i popoli.

2.1 versetti 7-10 possono essere utilizzati per riflettere su che cosa si-gnifichi fare una buona morte. Abramo ha vissuto una vita lunga e be-nedetta. Si e ben preparato alia morte. E la sua morte e serena, perche egli muore circondato dalla sua discendenza, nella serena consapevo-lezza che tutte le cose di valore che possedeva sono state trasmesse a(i) suo(i) figli(o). Non viene detto ma e ovunque sottinteso che la morte e un evento posto sotto il segno della speranza (Ebr. 11,17-19). Eppure, persino Abramo non potrebbe morire illuminato dalla speranza, in se-no alia comunita che gli b sorta intorno, se non avesse vissuto intensa-mente, in seno a quelia comunita. Questo aspetto del testo, benche se-condario, pub costituire un utile elemento di contrasto rispetto al no­stra sfrenato individualismo. Noi moriamo soli perchb cosi, soli, ten-diamo a vivere (Rom. 14,7-9).

3. II versetto 9 nota che alia sepoltura provvedono entrambi i figli, il figho del diritto e il figlio della promessa (cfr. 35,29). Questo dato b in-dice anche di una certa solidarieta tra i fratelli (cfr. Sal. 133). Senza dub-bio la storia propende per Isacco. E tuttavia non sconfessa Ismaele o i suoi diritti. (Come risalta anche nella gcnealogia ai w. 12-18). Al ver­setto 19 1'attenzione del testo, come era logico aspettarsi, si sposta su Isacco. Ma non ignora I'altro fratello. Anche se il ciclo seguente trattera di Isacco, Ismaele non e un uomo senza storia e senza futuro. Anche lui

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Parte terza

// ciclo di Giacobbe: La chiamata di Dio contrastata

Genesi 25,19 - 36,43

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