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Galileoe l'eresia di Giordano Bruno
Lo storico processo a Galileo dipese anche da una erronea
identificazionedegli obiettivi dello scienziato pisano con quelli
di Giordano Bruno, ilquale usò l'astronomia come tramite per idee
politiche e teologiche
di Lawrence S. Lerner ed Edward A. Gosselin
N
el 1633 Galileo fu convocato aRoma dinanzi all'Inquisizionee
accusato di avere insegnato
che la Terra si muove. Il successivo pro-cesso impegnò la piena
autorità dellaChiesa cattolica romana in una disputascientifica e
teologica con lo scienziatopiù importante del tempo. Com'è
noto,Galileo fu costretto ad abiurare pubbli-camente le sue
convinzioni scientifichein seguito all'accusa di aver difeso la
con-cezione copernicana dell'universo, unaposizione condannata nel
1616 come«erronea in fede» e «contraria alle SacreScritture».
Questo caso è oggi universal-mente riconosciuto come un evento
cri-tico nella nascita della scienza moderna.
All'epoca del processo a Galileo eraancora vivo il ricordo di
Giordano Bru-no, anch'egli incorso, nel 1600, nei
rigoridell'Inquisizione romana. Come Gali-leo , Bruno era stato un
famoso coperni-cano, ma nel suo caso la pena applicatafu molto più
severa: la morte sul rogo.Le vicende e le persecuzioni dei due
pen-satori sono state unite in due miti, chetendono a confondere le
figure in modicuriosamente opposti. Secondo il primomito, entrambi
sfidarono una Chiesacattolica ignorante e oscurantista anima-ti da
uno spirito moderno di libertà edentrambi furono martirizzati per
la lorocausa. In questo contesto Bruno è con-siderato come una
sorta di proto-Gali-leo, o forse un Galileo mancato: egli fuun
proto-Galileo semplicemente perchéabbracciò il sistema copernicano
e subìuna variante estrema della sorte di Ga-lileo. Fu un Galileo
mancato in quanto,non avendo l'intelligenza scientifica e ilgenio
di Galileo, sfociò in un misticismospeculativo. Come spesso accade,
inquesto mito c'è un nocciolo di verità, mala documentazione
storica ci offre un re-soconto molto più ricco e complesso.
Il secondo mito è quasi l'opposto delprimo: Galileo sarebbe
stato una sorta
di Bruno redivivo nel senso che, al paridi quello, fu visto come
un rivoluziona-rio religioso e politico. Questo mito nonva
rifiutato con leggerezza come ostinatapersistenza in un vecchio
errore. Le no-stre ricerche ci hanno convinto che lacomprensione
del ruolo svolto da questomito all'inizio del Seicento è
essenzialeper penetrare più a fondo il «clima» do-minante alla
vigilia del processo di Gali-leo. Sosterremo che i guai di Galileo
fu-rono in parte una conseguenza del frain-tendimento del suo nuovo
modo di pen-sare da parte dei contemporanei, che localarono nelle
categorie più tradizionalie più familiari già espresse da
Bruno.
1-1 primo mito, che ritrae Bruno comeun Galileo fallito, ebbe
vasta diffusio-
ne nell'Ottocento e in parte del Nove-cento; la sua morale era
congeniale allavisione del mondo del liberalismo otto-centesco.
Questo mito alimentava la po-polare leggenda che Galileo,
mentreabiurava pubblicamente la fede coperni-cana, avrebbe
mormorato: «Eppur simuove». Non vi sono prove a sostegnodi
quest'episodio e al vero Galileo non èconsono il ruolo eroico
attribuitogli dallatradizione. Egli non era certo adatto asvolgere
la parte di un Guglielmo Tell odi un Nathan Hale, che, impiccato
comespia dagli inglesi durante la guerra d'in-
dipendenza americana, disse prima dimorire: «Mi spiace di avere
solo una vitada offrire al mio paese.»
Che cosa si può dire di Giordano Bru-no? La sua figura si
accorda con il primomito, che vorrebbe farne un martire del-la
scienza? Per semplicità limiteremo lanostra discussione alla sua
prima e piùimportante opera sul sistema copernica-no, La cena de le
ceneri; scritta in italia-no, venne pubblicata a Londra nel 1584.A
quell'epoca Bruno era ospite, come«suo gentiluomo»,
dell'ambasciatore diFrancia nella capitale inglese.
Se si considera la Cena un'esposizionedel sistema copernicano e
di altri argo-menti scientifici, ci si chiede con imba-razzo quale
possa essere la ragione dellasua grande notorietà. Essa ci appare
in-fatti un compendio di assurdità: unosfoggio sconnesso di errori
grossolanicollegati fra loro da passaggi incompren-sibili. Bruno ha
idee sbagliate sul model-lo copernicano del sistema solare.
Di-mostra una totale ignoranza delle nozio-ni più elementari di
geometria, per nonparlare dell'ottica geometrica. Introdu-ce
brandelli di ragionamenti pseudo-scientifici, per lo più travisati,
e procedead alate speculazioni che sembrano privedi qualsiasi
connessione con i ragiona-menti che precedono o che seguono.
Idiagrammi stessi non sempre corrispon-
Il pittore seicentesco Ottavio Leoni ha raffigurato, in questo
ritratto, Galileo all'età di sessan-t'anni circa. Era un periodo di
grande speranza intellettuale per lo scienziato fiorentino e per
isuoi seguaci: poco tempo prima, nel 1623, era salito al soglio
pontificio, con il nome di UrbanoVIII, Maffeo Barberini, anch'egli
fiorentino, uomo di cultura e amante delle arti. Un arazzo
inVaticano raffigura il Barberini che perora una tesi di laurea
implicante l'accettazione dell'astro-nomia tolemaica, ma egli aveva
seguito con Nilo interesse le ricerche galileiane sul
modellocopernicano del mondo. Nel maggio e nel giugno 1624 i due
uomini ebbero una lunga serie diconversazioni. Nove anni dopo, la
loro amicizia si era tramutata in ostilità e Urbano VIIIcostrinse
Galileo ad abiurare le sue convinzioni scientifiche. Il processo a
Galileo fu per il Papaun espediente politico, anche perché nella
coscienza pubblica Galileo era stato assimilato aGiordano Bruno,
pensatore rivoluzionario in campo teologico e politico che era
stato fra i pri-mi sostenitori delle idee di Copernico, condannato
per eresia e arso vivo sul rogo nel 1600.
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L' vniuerCal e interi tione e' decha.'.€34t'rata nel
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1584.
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Il più antico ritratto di Giordano Bruno che si conosca è questa
incisione anonima eseguita all'i-nizio del Seicento, un paio di
decenni dopo la morte di Bruno per mano dell'Inquisizione
romana.Poiché non è nota alcuna fonte che risalga agli anni in cui
Bruno era in vita, la somiglianza èdubbia. Bruno è qui ritratto
nell'abito dell'ordine domenicano, al quale apparteneva, ma versoil
quale si sentì legato in grado diverso in differenti periodi della
sua vita. Bruno è indicato conil nome latino da lui scelto quando
entrò nell'Ordine. (Il suo nome al secolo era Filippo.)L'aggettivo
«nolanus» si riferisce al suo luogo d'origine, Nola, cittadina nei
pressi di Napoli.
dono ai ragionamenti che si riferisconoa essi nel testo.
Ma doveva esservi dell'altro: un signi-ficato più profondo, ma
ben evidenteagli occhi dei contemporanei di Bruno.Se egli fosse
stato semplicemente un fol-le, sarebbe potuto essere oggetto
discherno, ma non si sarebbe imbattuto in
un'ostilità così violenta e in una rispostaufficiale così
energica. L'Inquisizionenon si sarebbe sicuramente data tanto
dafare per ridurlo al silenzio e reprimerlo:egli fu tenuto in
carcere per otto anni esottoposto a innumerevoli udienze e
in-terrogatori prima di essere giustiziato sulrogo.
Bruno chiarisce ripetutamente che laCena non riguarda in realtà
il sistemacopernicano: essa è solo marginalmenteun lavoro
scientifico e non dev'essere af-fatto presa alla lettera. Come dice
il ti-tolo stesso, l'argomento centrale è la na-tura
dell'eucarestia: la cerimonia cristia-na della comunione. Bruno
elogia dacompetente Copernico, come l'«aurora,che doveva precedere
l'uscita di questosole» di un nuovo giorno. Egli additaperò al
disprezzo del lettore l'autoreanonimo della prefazione al De
revolu-tionibus orbium coelestium di Coperni-co, riconoscendo che
essa è spuria: l'a-nonimo prefatore, in un eccesso di pru-denza,
aveva suggerito che l'astronomiacopernicana doveva essere intesa
sem-plicemente come un'ipotesi utile ai finidel computo astronomico
e non comeuna spiegazione della realtà fisica. (Oggisi sa che la
prefazione fu scritta da An-dreas Osiander, un teologo luterano
chefu allievo di Copernico.)
Per Bruno il valore del sistema coper-nicano non risiede nei
suoi particolariastronomici tecnici, ma nella sua capaci-tà di
fungere da veicolo poetico e meta-forico per una speculazione
filosofica diportata molto più ampia. La sostituzionecopernicana
del Sole alla Terra comecentro del sistema solare è per Brunouna
restaurazione simbolica di quellache chiama «antiqua vera
filosofia»; è aquesta filosofia che ci si deve volgere percapire il
vero significato dell'eucarestia.
:antiqua vera filosofia era per Bruno il marchio dell'ermetismo,
una con-cezione mistica fondata su scritti neopla-tonici del II e
III secolo d.C. Al tempodi Bruno era diffusa la credenza che
au-tore di tali scritti fosse il semidivino Er-mete Trismegisto,
ritenuto un contem-poraneo di Mosè. La filosofia ermeticasarebbe
stata tramandata attraverso Or-feo, Zoroastro, Pitagora, Platone e
i tar-di filosofi greci e, per altra via, attraver-so la tradizione
giudeo-cristiana. Nelcorso di questi passaggi, però, essa erastata
svilita e corrotta e a ciò si doveva,secondo Bruno, lo stato
lamentevoledella condizione umana al suo tempo.
Secondo la concezione ermetica bru-niana, l'uomo è partecipe
della divinitàed è perciò, almeno potenzialmente, incostante
comunione con Dio. Il princi-pio divino universale si estende poi,
oltreall'uomo, anche alle entità che compon-gono l'universo
macrocosmico: tanto lestelle quanto i pianeti (Bruno non distin-gue
fra le due categorie di corpi celesti)sono vivi e dotati di
un'anima ed è pos-sibile agire su di essi per mezzo dellamagia allo
scopo di provocare mutamen-ti sociali e politici. Riscoperta e
rifinitada Bruno, l'antiqua vera filosofia avreb-be liberato dai
ceppi l'essenza divina im-prigionata dentro tutti gli uomini. La
suavirtù avrebbe potuto sanare ferite reli-giose e politiche e dare
origine a unanuova età dell'oro.
È importante capire che l'adozione
della scienza da parte di Bruno per pro-muovere obiettivi più
ampi di naturateologica, etica, sociale e politica costi-tuiva un
tratto caratteristico della visio-ne del mondo rinascimentale. Per
gli uo-mini del Rinascimento la scienza era let-teralmente una
branca della filosofia, al-la quale si faceva spesso ricorso per
illu-strare problemi non scientifici. Le per-sone intelligenti e
colte vedevano spessoparalleli espliciti e altamente
antropo-centrici fra conoscenza scientifica e altriaspetti della
vita. Quando salta a conclu-sioni sui rapporti fra esseri umani e
Diofondandole su teorie relative al modo difunzionamento del
macrocosmo, e vice-versa, Bruno ha un comportamento
rap-presentativo di quello degli ermetici delsuo tempo.
Agli occhi di Bruno, una conseguenzainevitabile di un ritorno
alla «vera filo-sofia» sarebbe stato il
riconoscimentodell'essenziale unità fra i settori piùaperti dei
protestanti d'Inghilterra e deicattolici di Francia. Il tema
dell'unità rie-cheggia in tutta la Cena. Per esempio, ilsistema
tolemaico poneva una distinzio-ne di fondo fra la Terra, che era
consi-derata immobile, e le stelle e i pianeti,che si riteneva si
muovessero su sfereconcentriche attorno alla Terra; d'altrocanto,
una volta accettata la concezionecopernicana, la Terra, mobile,
veniva acondividere una stessa condizione congli astri. Bruno
popolò in effetti un uni-verso infinito di un numero infinito
distelle, tutte in movimento e tutte centraliin modo equivalente
rispetto a ciò chestava loro intorno. Analogamente, nellesue opere
raffigurò una situazione in cuile opinioni sull'eucarestia dei
protestantie dei cattolici meno intransigenti potes-sero essere
essenzialmente equivalenti.
QQuali erano le implicazioni di questaconcezione sul quadro
politico con-
temporaneo? Nell'intento di conservaregli equilibri di potere,
l'Inghilterra eratradizionalmente solita allearsi con laFrancia o
con la Spagna, a seconda diquale fosse la nazione più debole.
Versola fine del Cinquecento la Spagna eraforte e sosteneva con la
massima decisio-ne l'ortodossia religiosa. La Francia erainvece
travagliata al suo interno da unalunga e cruenta guerra di
religione, nellaquale la Spagna appoggiava il partito or-todosso
dei Guisa contro i protestanti. Ilre di Francia, il moderato Enrico
III, e isuoi fautori rimasero intrappolati fra ledue posizioni
estreme. L'alleanza fra imoderati francesi e l'Inghilterra,
chesembrava auspicabile a entrambe le par-ti, fu nondimeno bloccata
dall'impegnoufficiale della Francia a favore del catto-licesimo. Un
ponte che avesse permessodi valicare le differenze di
religioneavrebbe avuto perciò un grande valorenel promuovere
l'alleanza.
Bruno era convinto che un monarcaispirato e illuminato
dall'ermetismo a-vrebbe potuto condurre il mondo a un'e-tà dell'oro
sotto la guida della «vera fi-
losofia». I suoi candidati a ricoprire que-sto ruolo furono via
via Enrico III diFrancia, Elisabetta I d'Inghilterra e, in-fine ,
Enrico IV di Francia. Due anni do-po la pubblicazione della Cena,
egli con-fidò in effetti a Guillaume Cotin, il bi-bliotecario
dell'abazia di Saint-Victor aParigi, di essere stato dal 1582 al
1585una sorta di ambasciatore intellettualedei cattolici meno
intransigenti vicini aEnrico III presso la corte protestante
diElisabetta I. L'entusiasmo di Bruno perle aspettative fatte
nascere dall'ascesa altrono di Enrico IV fu tale che nel 1591egli
interruppe imprudentemente i suoivagabondaggi attraverso l'Europa
pertornare in Italia. Pare che l'obiettivo ul-timo del suo ritorno
fosse quello di con-vertire il pontefice stesso
all'ermetismobruniano.
Questo comportamento sconsideratolo condusse quasi subito al
disastro. Eglivenne arrestato e poi incarcerato sullabase di accuse
pretestuose da parte del-l'Inquisizione veneziana. Trasferito aRoma
un anno dopo, vi rimase in carce-re per altri sette, fino alla
morte. In car-cere Bruno non costituiva più una mi-naccia reale per
il papato, non avendoné seguito, né denaro, né influenza. Inuna
situazione normale, avrebbe potutorimanere semplicemente in carcere
peril resto della sua vita o finché non fossestato dimenticato.
Pare che la sua esecu-zione sia stata oggetto di uno
scambiopolitico marginale fra la Santa Sede e gliAsburgo di
Spagna.
Eliminando Bruno, sia il papato sia laSpagna annunciavano a
tutti gli interes-sati di non essere disposti a tollerare sfi-de né
all'ortodossia religiosa né allo statuquo a cui l'ortodossia era
strettamenteconnessa, come vedremo più avanti.L'eredità filosofica
di Bruno sopravvissenondimeno all'inizio del Seicento in
unacostellazione piuttosto vaga di credenzerappresentate da un
gruppo non orga-nizzato di intellettuali noti come Rosa-croce. Gli
intenti e le speranze dei Ro-sacroce per un ritorno del
pitagorismofurono alimentati nel 1613 dalle nozzedel Grande
elettore del Palatinato rena-no , Federico V, con Elisabetta
Stuart,figlia di Giacomo I d'Inghilterra. Il ma-trimonio, che venne
enfaticamente chia-mato «le nozze mistiche del Tamigi e delReno»,
parve preannunciare il ritornoall'età aurea di Elisabetta I.
Nel 1618 Federico ed Elisabetta furo-no eletti re e regina di
Boemia, un paeseche di tanto in tanto fu un centro di li-bertà e di
tolleranza in campo religioso.La loro deposizione, avvenuta poco
do-po, da parte dell'imperatore del Sacroromano impero asburgico,
fu il pretestoiniziale della guerra dei Trent'anni, cherinnovò le
contese politiche e religiosedel tardo Cinquecento. Negli anni
im-mediatamente successivi si diffuse l'al-larme per un presunto
pericolo rappre-sentato dai Rosacroce: un timore forte eirrazionale
di una sovversione rosacro-ciana nelle roccaforti del
cattolicesimo.
LACE NA DEle Ceneri.
Giordano Bruno espose la sua versione dellaconcezione
copernicana dell'universo in La ce-na de le ceneri, di cui è
riprodotto il frontespi-zio. L'opera fu scritta in italiano e
pubblicataa Londra nel 1584. Essa si propone, nella for-ma, come
una discussione incentrata sul siste-ma copernicano; ma il vero
obiettivo di Brunoera di estendere allegoricamente le idee di
Co-pernico a speculazioni teologiche e politiche.Il sottotitolo
conduce inesorabilmente al temadell'unità sottolineato in tutta
l'opera: «De-scritta in cinque dialogi, per quattro interlo-cutori,
con tre considerationi, circa doi sug-getti, [dedicata] all'unico
refugio de le Muse».
Fra questo il clima politico e religioso
i dominante quando, nel 1632, fupubblicato il Dialogo sopra i
due massi-mi sistemi del mondo, in cui Galileo for-niva
un'esposizione popolare delle sueconcezioni copernicane. Questa
pubbli-cazione acquistò un significato profondoper coloro che
avevano ancora vivo enitido il ricordo dei conflitti di
religionedella fine del Cinquecento. In un'atmo-sfera politica e
religiosa che assomigliavamolto a quella dell'ultimo decennio
delsecolo precedente era fin troppo facileconfondere gli obiettivi
di Galileo conquelli di Bruno. È in questo contesto chenasce il
secondo mito: per l'opinionepubblica del 1633 con Galileo tornò
invita, anche se contro la sua volontà, quelsimbolo che era stato
tre decenni primaBruno.
Oggi sappiamo che il pensiero di Ga-lileo segnò un distacco
radicale dalleconcezioni rinascimentali. In effetti, èstato spesso
sostenuto che il massimocontributo di Galileo consistette nel
suomodo di guardare all'universo fisico.Purtroppo, questo fatto non
fu per nullachiaro alla grande maggioranza dei con-temporanei di
Galileo, spesso incapacidi capirne non solamente i metodi e
leconclusioni, ma anche gli obiettivi e leintenzioni.'
9091
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Tommaso Campanella, raffigurato in un'incisione seicentesca di
Nicolas de Larmessin il Vecchio,fu imprigionato nel 1599 per aver
guidato una rivolta contro il dominio asburgico
nell'Italiameridionale. Torturato e lasciato quasi morire di fame e
di freddo in carcere, vi scrisse nondi-meno molte opere sulle idee
ermetiche e sugli aspetti filosofici del copernicanesimo. Nel
1616scrisse l'Apologia pro Galilaeo, in cui sostenne che le
concezioni astronomiche di Galileo eranoin accordo con la teologia
cattolica romana ortodossa. Campanella godette poi per un certo
tempodel favore del Papa, ma cadde di nuovo in disgrazia. La sua
figura ebbe grande rilievo nell'in-treccio di eventi che condusse
Galileo dinanzi all'Inquisizione. Il motto «Propter Sion non
tacebo»ricorda l'impegno di Campanella: «Per amor di Sion [ossia
della Città celeste] non tacerò».
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tr-sxH. RM. NEPOS.
Il cardinale Roberto Bellarmino, che ebbe una parte importante
nel decidere la sorte di Bruno,ammonì Galileo, nel 1616, a non
sostenere o difendere la dottrina copernicana del moto dellaTerra.
Dal colloquio Galileo ricavò però la convinzione che Bellarmino non
escludesse lo studiodella concezione copernicana come ipotesi
scientifica. La morte di Bellarmino prima del processoa Galileo del
1633 lasciò un'ambiguità sull'esatta posizione della Chiesa esposta
a Galileo. Ilritratto di Bellarmino e i suoi resti mortali si
trovano nella chiesa romana di Sant'Ignazio.
Alla mancanza di comprensione delsuo pensiero si aggiunge il
fatto che illettore del tardo Rinascimento era pre-parato ad
affrontare scritti deliberata-mente oscuri persino quando non
esiste-vano precisi motivi che giustificasserouna simile oscurità,
la quale si spiega inparte con l'amore per l'ornato e per
l'e-leganza elaborata dell'espressione; erainoltre diffusa l'intima
convinzione chela conoscenza fosse riservata agli iniziatie che una
comprensione che valesse lapena di essere conseguita doveva
costarepareccbia fatica. Gli scritti del tempo diGalileo pullulano
spesso di significatimolteplici, consentendo così al lettoresagace
di spostarsi da un piano di signi-ficati all'altro. Si riteneva che
una tale
ricercatezza rispecchiasse nel modo piùadeguato il mondo
naturale, che rivelasegreti progressivamente più profondisolo alle
persone diligenti e dotate. Nonoccorre dire che Bruno usò a piene
maniquesta impostazione.
Galileo si distaccò decisamente da talemodo di scrivere, ma è
molto più facilerendersene conto oggi di quanto non lofosse nella
prima metà del Seicento. Aquel tempo molti erano inclini a
pensareche anche i suoi scritti celassero livelli disignificato
multipli; in particolare, ilDialogo sopra i due massimi sistemi
delmondo poteva essere visto facilmentecome un seguito della Cena
de le ceneri.
Su quali ragioni si fondava quest'opi-nione? Innanzitutto si
possono conside-
rare quelle che potremmo chiamare ra-gioni letterarie esteriori.
In precedenzaGalileo aveva scritto il Sidereus nuncius,titolo che
fu da molti interpretato come«ambasciatore sidereo»
(interpretazionesconfessata da Galileo, che spiegò il ti-tolo come
«Ambasciata o Avviso Side-reo, e non Ambasciatore» n. d. t.),
laddo-ve Bruno nella Cena aveva chiamato lestelle «que'
ambasciatori, che annunzia-no l'eccellenza de la gloria, et maestà
deDio». Inoltre, tanto la Cena di Brunoquanto la Lettera a Madama
Cristina diLorena, Granduchessa di Toscana scrit-ta da Galileo
esprimevano atteggiamentisimili verso la Sacra Scrittura.
Entrambele opere affermavano che la Bibbia parlaspesso secondo la
comune comprensio-ne del volgo, cosicché può accadere chedica sulla
natura cose che non devonoessere intese alla lettera.
Quest'opinioneera sufficientemente insolita da giustifi-care una
stretta associazione di Galileocon Bruno. Vale infine la pena di
ricor-dare che tanto Galileo quanto Brunousarono per la teoria
copernicana l'ag-gettivo «pitagorica», una qualificazionespesso
adoperata come sinonimo del ter-mine «ermetico», che aveva
connotazio-ni politiche spiacevoli.
Jn secondo luogo, la Cena di Bruno e i Massimi sistemi di
Galileo hanno una
forma notevolmente simile. Per esem-pio, entrambi i dialoghi
contrappongonocome interlocutori gentiluomini compitie aristotelici
dogmatici. In entrambi idialoghi viene discusso estesamente
unesperimento mentale di meccanica: se silascia cadere una pietra
dalla cima di unalbero di una nave in movimento, dovecadrà la
pietra sulla coperta della nave?Entrambe le opere danno la stessa
rispo-sta corretta: la pietra cadrà alla base del-l'albero. Non
importa che le osservazio-ni fatte in proposito nelle due opere
sia-no del tutto diverse, oche i ragionamentidi Bruno vengano
snaturati se li si con-sidera in un contesto puramente fisico.Una
mente sospettosa e non incline alragionamento scientifico potrebbe
con-fondere facilmente le intenzioni di Gali-leo con quelle di
Bruno. Inoltre, entram-bi i dialoghi non erano scritti in
latino,bensì in volgare. Sappiamo che le ragioniche indussero i due
autori a mettere daparte la consuetudine accademica deltempo erano
del tutto diverse, ma dinuovo un lettore sospettoso potrebbepensare
che in entrambi i casi l'uso delvolgare fosse inteso a suscitare
una di-scussione e un dissenso intellettuale i piùvasti
possibile.
Fra le due opere vi è poi un'ulterioresomiglianza, più generale,
che potrebbecondurre facilmente a una conclusioneerronea circa le
opinioni di Galileo. Inentrambe le opere il sistema copernica-no è
difeso in un modo non matematicoe non tecnico, ignorando del tutto
i par-ticolari che ne fanno uno strumento in-teressante e utile per
l'astronomo di pro-fessione. Abbiamo già visto che Bruno
si serve della visione copernicana comedi una rappresentazione
simbolica per isuoi obiettivi religiosi e riunionistici. Ildialogo
di Galileo è un'opera puramentefilosofica e scientifica, ma
anch'esso nondifende il sistema copernicano nella for-ma corrente
allora. Galileo amplia in-vece la discussione per arrivare a
formu-lare un giudizio fra la sua filosofia dellanatura e quella
aristotelica. I Massimisistemi sono così esposti al sospetto cheil
loro intento principale si celasse sottola superficie, proprio come
nel caso dellaCena bruniana.
La stretta connessione fra politica ereligione che abbiamo sopra
ricordato èalla base di un terzo importante motivodi confusione fra
Galileo e Bruno. Il co-pernicanesimo era associato da molti
alpensiero politico e religioso rivoluziona-rio. Nel 1599 Tommaso
Campanella,frate domenicano già incorso nei rigoridel tribunale
dell'Ordine, guidò una ri-volta contro il dominio asburgico
spa-gnolo in Calabria. Campanella intende-va richiamare in vita la
famosa anticacittà pitagorica di Crotone, ma la suarivolta fu
prontamente schiacciata e ilfilosofo, catturato, dovette
trascorrere isuccessivi ventisei anni in carcere, du-rante i quali
fu però tutt'altro che ozioso.Nel 1600 scrisse La Città del Sole,
operadi chiara ispirazione ermetica e coperni-cana (anche se non in
senso astronomi-co). Dopo alcuni anni di detenzione, isuoi
carcerieri gli consentirono di scrive-re in relativa tranquillità,
cosa della qua-le approfittò abbondantemente.
Nel 1616 Campanella apprese che ilgesuita Roberto Bellarmino
intendevaammonire Galileo riguardo a pericoloseimplicazioni
teologiche dei suoi insegna-menti scientifici. Si affrettò allora a
scri-vere un'Apologia pro Galilaeo in cui ten-tava di dimostrare
che le concezioni diGalileo erano in accordo con la
teologiaaccettata più di quanto non lo fosse ilsistema tolemaico.
Le argomentazioniteologiche presentate su questo puntoda Campanella
sono molto simili a quel-le di Bruno e di Galileo. A (forse)
ulte-riore danno per la causa di Galileo, l'A-pologia è l'unica
opera di Campanella incui sia menzionato Bruno.
Campanella scrisse anche varie letterea Galileo dal carcere. Le
lettere chiari-scono che egli considerava Galileo inmodo molto
simile a quello in cui Brunoaveva considerato Copernico: un
genioche annunciava l'aurora della nuova ve-rità, senza capire il
significato filosoficodelle sue scoperte. Tale atteggiamentoera
quasi certamente condiviso da altriche avevano verso Galileo un
atteggia-mento mOlto meno amichevole di quellodi Campanella.
Dal canto nostro abbiamo il forte so-spetto che la stretta
associazione di
Galileo con Campanella, anche se certa-mente non voluta dallo
scienziato tosca-no, sia stata un elemento importantenelle vicende
che condussero all'abiura
di Galileo. Quando Campanella fu infi-ne liberato dal carcere,
entrò nelle graziedel Papa. Verso la fine degli anni ventigli
spagnoli, sempre più irritati per la po-litica filofrancese, in
parte segreta mapiuttosto maldestra, di Urbano VIII, siimpegnarono
in una guerra psicologicache sfruttava la credenza di Urbano
VIIInell'astrologia: alcuni astrologi predisse-ro la morte del Papa
in concomitanzacon l'eclisse di Sole prevista per il giugno1626 e,
successivamente, per quella deldicembre 1630. Poiché Campanella
eranoto come mago, Urbano VIII si assicu-rò il suo aiuto per
compiere una magiaantieclisse. La magia, a quanto pare, eb-
be successo, poiché Urbano VIII nonmorì.
Per qualche anno Campanella, graziea questo suo fortunato
intervento, fuammesso nella cerchia di coloro che go-devano della
fiducia del Papa. Era perònecessario che le operazioni
magichefossero coperte dal più stretto segreto.Nel 1600 il padre
gesuita Martin AntonioDel Rio, influente teologo, aveva con-dannato
in nome della Chiesa molte for-me di magia. Non si doveva dunque
as-solutamente lasciar trapelare in pubblicoche il Papa era
coinvolto in un'attivitàche si poteva ritenere eretica.
Campanella mise a frutto il successo
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DIALOGODI
GALILEO GALILEI LINCE()MATEMATICO SOPRAORDINARIO
DELLO STVDIO DI PISA.
E Filofofo, e Matematico primario del
SERENISSIMO
GRADVCA DI TOSCANA.Doue ne i congreflì di quattro giornate fi
difeorre
fopra i due
MASSIMI SISTEMI DEL MONDOTOLEMAICO, E COPERNICANO;
Proponendo indeterminatamente le ragioni Filofofiche, e
Naturalitanto per Nota , quanto per l'altra parte .
IN FIORENZA, Per Gio:Batifia Landini MDCXXXII.
CON LICENZA -.DE' SVFEIV
Il frontespizio del dialogo di Galileo sui Massimi sistemi è
decorato con un'impresa, o emblema,dello stampatore, raffigurante
tre pesci che si inseguono in cerchio. Il simbolismo
involontariodell'emblema suscitò irritazione nella Curia romana. I
pesci, senza alcuna giustificazione ainostri occhi, furono
interpretati come delfini e i delfini furono intesi senza indugio
come una rap-presentazione delle idee ermetiche e bruniane già
condannate dalla Chiesa. Nel contesto dellaGuerra dei Trent'anni
che allora infuriala, l'emblema fu interpretato anche come
indicazionedi un sostegno filosofico e teologico alla Francia. Il
motto «Grandior ut proles» (Troppo grandeper essere un discendente)
fu interpretato nel senso che Galileo intendesse estendere l'opera
diBruno risalendo a un predecessore più illustre, forse Apollo, o
Pitagora o Ermete Trismegisto.Queste figure erano associate alla
filosofia ermetica, che era allora ufficialmente screditata.
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CON PRI
della magia antieclisse per promuoverele sue concezioni
ermetiche, e non senzafortuna, tanto che Urbano autorizzò
ad-dirittura Campanella a fondare un colle-gio di missionari - che
prese nome dallafamiglia del Papa, Barberini -, per con-vertire il
mondo a un cattolicesimo «ri-formato», «naturale». (Questi
aggettivierano parole d'ordine ermetiche.) Urba-no trovò congeniale
a sé l'ermetismo diCampanella e ne fu incoraggiato nellasua linea
politica filofrancese, tanto da
entrare in un'alleanza con la Francia.Nel frattempo, però, i
francesi avevanoaccordato il loro sostegno al re prote-stante
svedese Gustavo Adolfo. Nel1632 i successi militari conseguiti da
Gu-stavo Adolfo erano stati tali da prospet-tare una grave minaccia
sia per la vitalitàpolitica del Sacro romano impero sia perla
vitalità religiosa della Chiesa di Romain gran parte della
Germania.
La politica filofrancese risultò dunque«troppo fortunata» e non
fu più possibile
al Papa ignorare la crescente ostilità daparte degli Asburgo. In
un simile climapolitico non sorprende che Urbano VIIIabbia
cominciato a considerare Campa-nella un falso profeta e i suoi
insegna-menti pericolosi. Poiché Campanella,Bruno, l'ermetismo e il
copernicanesi-mo erano tutti strettamente associati,non c'era che
un passo perché, nellamente di Urbano VIII. l'associazione
siestendesse a un altro eminente coperni-cano, Galileo. In una
siffatta atmosferadi timore e di sospetto, questa e
altreassociazioni potevano predisporre il Pa-pa e le autorità di
Roma a considerareerroneamente Galileo un antipapista,un religioso
poco ortodosso e forse unermetista.
Vi è una quarta ragione che spiega la
confusione seicentesca fra la posi-zione di Galileo e quella di
Bruno, unaragione che al nostro modo di vederemoderno sembra
alquanto bizzarra. Sulfrontespizio dei Massimi sistemi il
tipo-grafo, Giovan Battista Landini, avevastampato un emblema
raffigurante tredelfini che si inseguivano nuotando incerchio.
L'emblema poteva essere inter-pretato - e lo fu - in un modo
estrema-mente dannoso. In una lettera a un ami-co del suo maestro,
Filippo Magalotti,discepolo romano di Galileo, narra uncolloquio da
lui avuto con Niccolò Ric-cardi, un fiorentino che era assurto a
unaposizione di grande importanza nella bu-rocrazia pontificia,
tanto da diventareMaestro del Sacro Palazzo, ossia teologodel Papa.
Magalotti scrive fra l'altro:
«Lunedì mattina ... venne a posta acercarmi ... il Padre Maestro
sopradetto..., il quale ... con molta segretezza, misignificò che
era stata fatta molta refles-sione sopra l'impresa, che io credo
chesia nel frontespizio del libro ... e sono,s'io non m'inganno,
quei tre delfini, chel'uno tiene in bocca la coda dell'altro,con
non so che motto. A questo non po-tetti tenermi dal ridere ...
credevo di po-ter assicurare che il S.` Galileo non pen-sava a
queste bassezze e minuzie, con lequali volesse coprir gran misteri,
avendodetto le cose assai chiare; e credevo ri-solutamente poter
affermare che fossedello stampatore. A questo dimostrògrandissimo
contento, e mi aggiunse chese io l'assicurava di tal cosa ... ,
potevaresultarne benefizio grandissimo all'au-tore». Il delfino era
un elemento alquan-to comune negli emblemi del Rinasci-mento, ma
quello usato nei Massimi si-stemi non era un eliche standard. La
ri-cerca del suo «vero» significato fu unodei primi fattori che
suscitarono a Romaun clima di sospetto attorno al dialogo.Riccardi
nutriva simpatia per Galileo ela sua agitazione, assieme al
suggerimen-to che l'intera causa contro Galileo di-pendesse
dall'impresa sul frontespizio,dimostra quanta importanza si
attribuis-se a questa vicenda. Non era cosa inso-lita trasmettere
messaggi segreti sfrut-tando simboli. Le autorità di Roma fu-
rono indotte a sospettare che Galileo eil tipografo Landini
avessero escogitatoassieme l'impresa per occultarvi un mes-saggio,
o forse per fornire una chiave oun compendio dell'opera.
Non c'era limite alle interpretazionicapziose che si potevano
dare dell'em-blema, a tutto danno di Galileo. I delfinifurono
associati innanzitutto al tempiodel dio Apollo a Delfi. Nella
mitologiagreca Apollo era il padre di Asclepio,una fra le figure
principali dei miti erme-tici. Inoltre, nell'Iliade di Omero
Apolloera stato il principale sostenitore divinodei troiani e una
leggenda voleva cheuno fra i troiani sopravvissuti fosse statoil
leggendario fondatore della dinastiareale francese. A rafforzare
questa spe-culazione, la parola «delfino», oltre cheil cetaceo,
designava anche l'erede altrono di Francia. Nel contesto
dellaGuerra dei Trent'anni una tale connes-sione fra la Francia e
Troia era suscetti-bile di una grave interpretazione: quelladel
passaggio del manto di Apollo - o, intermini cristiani, dello
Spirito Santo checonferisce autorità al Papa - da Roma aun ramo
collaterale discendente dai tro-iani in Francia.
In seguito tutte queste speculazioni sisciolsero come neve al
sole. Dopo unimbarazzante ritardo, Magalotti poté in-fine
consegnare a Niccolò Riccardi unaltro libro di Landini, pubblicato
in pre-cedenza, su cui figurava la medesima im-presa. Ma nel
frattempo era stata buttataaltra benzina sul fuoco: Riccardi si
mo-strò interessatissimo alle argomentazio-ni teologiche esposte da
Galileo nellaLettera a Madama Cristina di Lorena,alla cui esistenza
sotto forma di mano-scritto Magalotti aveva alquanto
inop-portunamente fatto cenno. Abbiamo giàmenzionato alcune frate
difficoltà susci-tate dalla lettera; da quel momento inpoi gli
avversari di Galileo ebbero que-stioni più consistenti cui
appigliarsi.
possiamo ora descrivere in che modol'associazione spuria fra
Galileo e la
tradizione ermetica si sia intrecciata allarealtà politica
contemporanea conferen-do una forte spinta iniziale alla
macchinagiudiziaria che travolse infine Galileo.Urbano VIII
preferiva evitare gli estre-mi dell'ortodossia religiosa e
dell'entu-siasmo controriformistico. Le sue incli-nazioni politiche
e personali lo portaro-no a distaccarsi dalla Spagna e ad
avvi-cinarsi alla Francia, cosa che però, comeabbiamo già
accennato, suscitò una cre-scente irritazione negli spagnoli.
Nel 1631 il cardinale Gaspare Borgia,ambasciatore spagnolo
presso la Santasede, esercitò crescenti pressioni per in-durre il
Papa a un esplicito sostegno afavore della causa spagnola. Questi
rico-nobbe il pericolo a cui una crescente osti-lità degli spagnoli
poteva esporlo e si di-chiarò disponibile a cercare di dissuade-re
la Francia da un'alleanza con la Sve-zia. Nonostante questa mossa,
nel mar-zo del 1632 il Borgia attaccò apertamen-
te il Papa in Concistoro, l'assemblea deicardinali. Urbano VIII
era furioso, masi controllò per timore di un'aperta rot-tura con
Filippo IV di Spagna.
Per rabbonire la Spagna, Urbano VIIIavrebbe potuto adottare un
atteggia-mento antifrancese, ma ciò avrebbe po-tuto condurre a una
rottura con la Chie-sa francese. L'unica via che restava aper-ta
era quella di compiere un gesto discarsa consistenza pratica ma dal
fortevalore simbolico, come quello di sacrifi-care pubblicamente
una persona la cuiimmagine fosse associata alla politica
fi-lofrancese a alla filosofia ermetica, dacui il Papa aveva un
fortissimo bisognodi dissociarsi. Campanella era la sceltaovvia,
essendo chiaramente legato nonsolo alla politica filofrancese, ma
anchealla filosofia che ne era alla base; inoltre,lo si poteva
sacrificare senza eccessivirimpianti.
Ma Campanella sapeva troppo. Sefosse stata intrapresa contro di
lui unaforte azione diretta, sarebbe certamentevenuta a galla la
storia poco edificante diun Papa che era dedito alla magia
ereti-ca. Dopo Campanella la scelta miglioreera Galileo. Che agli
occhi del pubblicoi suoi legami con Campanella fosserostretti è
testimoniato dal fatto che l'e-stensore della relazione preliminare
delcomitato incaricato di investigare suiMassimi sistemi al posto
del nome di Ga-lileo aveva in un primo tempo scrittoquello di
Campanella, che aveva poi do-vuto cancellare.
Ma persino in una situazione così de-licata, si può pensare che
Urbano VIII,prima di optare per Galileo, abbia fattotutto il
possibile per trovare un altro ca-pro espiatorio, dato che per
molto tem-po aveva tenuto Galileo in grande con-siderazione.
Purtroppo, con singolareintempestività lo scienziato fiorentinoera
riuscito a ferire i sentimenti del Papa.Urbano VIII aveva detto che
Dio, nellasua onnipotenza, avrebbe potuto realiz-zare i suoi scopi
in un'infinità di modidiversi; come aveva detto a Galileo: nonsi
devono imporre condizioni a Dio. Co-noscendo le opinioni
copernicane di Ga-lileo , Urbano VIII gli aveva intimato dinon fare
una scelta definitiva fra i sistemitolemaico e copernicano. Galileo
seguìle istruzioni alla lettera: il Dialogo soprai due massimi
sistemi del mondo terminacon un passo in cui si rinuncia
espressa-mente a scegliere fra le due posizioni.'Questa rinuncia è
peraltro chiaramentefalsa e, per di più, le opinioni del Papasono
messe in bocca al dogmatico e ot-tuso Simplicio. Di conseguenza,
UrbanoVIII, quando si impose la necessità di unsacrificio, non
esitò affatto a scegliereGalileo.
Vediamo dunque convergere qui trecircostanze: la situazione
politica, che ri-chiedeva un sacrificio; gli scritti di Gali-leo ,
che interpretati da uomini intelli-genti ma all'oscuro dei suoi
veri intendi-menti facevano di lui una scelta proba-bile; l'accusa
di essersi voluto far beffe
del Papa. Questi tre fattori privaronoGalileo del sostegno di
Urbano VIII inun momento cruciale. L'interpretazioneerronea in
chiave ermetica dei suoi scrittiaveva messo in moto una catena di
even-ti che sarebbero stati sostenuti in seguitoda altre forze.
pra le spiegazioni tradizionali che sonostate date delle
sfortune di Galileo
una fra le meno convincenti è quella cheil suo processo sia
stato sostenuto dall'a-nimosità personale del Papa. Ma i
senti-menti del solo Urbano VIII non sareb-bero bastati a indurlo a
mettere in motocontro di lui l'immensa macchina del-l'Inquisizione.
L'enorme disparità fra laposizione sociale e politica del Papa
equella di Galileo avrebbe reso del tuttoinappropriata una tale
risposta a un af-fronto personale. Ampliando la spiega-zione
generalmente accettata del proces-so per prendere in considerazione
ancheil contesto politico e culturale, risulta as-sai meglio
comprensibile la forte reazio-ne di Urbano VIII. Se si considerano
leesigenze di Stato e il fatto che Galileosembrava soddisfare un
bisogno politi-co, il momentaneo concorso di tale biso-gno e del
risentimento personale di Ur-bano creò una situazione
decisamentesfavorevole a Galileo.
Date queste premesse si possono ca-pire meglio anche le
ambiguità del suc-cessivo trattamento riservato a Galileo.Questi
era vecchio e in condizioni di sa-lute precarie quando fu convocato
a Ro-ma e Urbano VIII si rifiutò di mitigarele condizioni di
arresto domiciliare an-che quando l'anziano scienziato fu ridot-to
alla cecità. Eppure il Papa non tentòmai di interferire con il
persistente in-censamento di Galileo persino da partedi principi
della Chiesa, né fece alcuntentativo per impedire con decisione
aGalileo di pubblicare i suoi scritti, comeavrebbe senza dubbio
fatto se lo avesseritenuto pericoloso al di fuori del conte-sto
della politica spagnola. Una volta cheGalileo ebbe assolto la
funzione di vitti-ma simbolica, le ulteriori azioni di Ur-bano VIII
parvero derivare da semplicestizza personale e non da
un'inimiciziaufficiale.
Galileo divenne così una vittima sim-bolica, esattamente com'era
accaduto aBruno prima di lui, in un'epoca che at-tribuiva un grande
valore ai simboli. Eglifu vittima di una fama paneuropea e delfatto
di essere un personaggio molto invista; la sua punizione esemplare
vollerinnovare la lezione del 1600: che gli at-teggiamenti politici
antiasburgici, filo-francesi e volti a una conciliazione reli-giosa
erano eretici o almeno molto vicinia esserlo. I nemici di Galileo e
le circo-stanze del momento contribuirono a ri-durre l'uomo reale a
lineamenti carica-turali, cosicché fu un Giordano Brunoredivivo
quello che nel 1633 si presentòdinanzi all'Inquisizione per fornire
unmito attorno a cui si potesse riformulareuna morale
aggiornata.
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