padre nomade della Valle Onsernone. Era opi- nione diffusa che i nomadi non fossero in grado di educare i figli, che venivano tolti alle madri: l’80% finì in istituti e riformatori, pochi studiaro- no, perché considerati (a torto) portatori di tare genetiche. «Non si può saltare una pagina così buia della nostra storia, è doveroso spiegare ai giovani cosa è successo anche in Ticino», dice. Il cane lupo azzannava chi scappava Anche la storia di Luigi Roncoroni aiuta a capire quegli anni. Rimane orfano di madre a 5 anni; suo padre, che ha una ditta edile, muore quattro anni dopo. I fratelli maggiori, si occupano di lui. «Ero vivace, ma non ho mai creato problemi». Dopo qualche anno, il prete e un’operatrice di Pro Infirmis di Losone, fanno pressioni per mandarlo al collegio St. Iddazell a Fischingen (Turgovia). L’undicenne si ritrova su un treno per la Svizzera tedesca. Era il 1952: «Non sapevo il tedesco e quell’istituto era peggio di un Gulag. Eravamo in 250. Venivamo picchiati con una frusta in ciliego per ogni errore, come, ad esem- pio, non rifare bene il letto. Si viveva nel terrore», ricorda. Alcuni erano costretti a inginocchiarsi per ore, altri venivano rasati: «Ricordo un ragaz- zo che era fuggito, il direttore gli sguinzagliò dietro il suo cane lupo, che lo azzannò alla gam- ba destra. Lo distesero in corridoio. Ci fecero sfi- lare tutti. Il direttore voleva mostrarci cosa suc- cedeva a chi tentava la fuga. Guardai la ferita sanguinante, gli avevano anche rasato al testa». Schivare le punizioni non era l’unico problema in quella giungla. «Un giorno nell’orto, si avvici- nò il prete ungherese (faceva il giardiniere) mi blocco le mani, voleva violentarmi. Ero agile, scappai e raccontai tutto al direttore: mi fece fir- mare un foglio, dove c’era scritto che la mia de- nuncia era falsa. Presi tre rigate sulle mani». Dopo scuola, si lavorava nei campi per i contadi- ni, Roncoroni porta ancora oggi il segno di una forcata sulla gamba. Mentre riannoda i ricordi di quell’inferno, ci mostra le foto, le lettere dei suoi fratelli (ignari di quei maltrattamenti) all’istitu- to e viceversa. «Se avevo lividi di frustate mi vie- tavano di rientrare in Ticino per le vacanze, si in- ventavano una scusa e rimanevo al collegio fin- ché ero guarito. Cestinavano le lettere, dove rac- contavo ai miei fratelli che cosa succedeva». Ha tenuto tutto, per non dimenticare: i cedolini da 100 franchi della retta mensile, tutte le fatture, scorriamo una lista, ci sono 14 franchi per la ri- parazione delle scarpe: «Che nessuno ha mai ri- parato». È rimasto quasi due anni nell’istituto con altri due ticinesi. Per Pasqua tornò a casa, suo fratello vide le cicatrici sulla schiena e lo ten- ne in Ticino, dove studiò e aprì uno studio di ar- chitettura. A maggio 2014, l’Associazione monastero di Fi- schingen ha chiesto scusa per le ingiustizie av- venute fino agli anni 70 tra le mura dell’istituto, che ha ospitato Luigi e altri 6’500 ragazzi. Dopo la denuncia nel 2010 di ex convittori sono emer- se violenze quotidiane commesse da maestri, frati, suore, giardinieri e un direttore. Nelle 170 pagine del rapporto, si legge di personale impre- parato e punizioni per chi denunciava gli abusi. Frustati... per nulla di Simonetta Caratti Decine di migliaia di bimbi privati dei genitori, piazzati a forza dallo Stato in istituti dove spes- so subivano violenze. La loro colpa era essere fi- gli di madri sole, povere, vedove, ribelli o di una cultura che non era quella dominante. A decide- re non era un tribunale, ma un notabile del pae- se, un prete, un istitutore. Questo avveniva in Svizzera fino al 1981, Ticino compreso, come di- mostrano le storie pubblicate da questo giorna- le: Sergio Devecchi, 66 anni, figlio illegittimo nato a Lugano ha raccontato le violenze negli istituti (tra Lugano e Pollegio): «Quando denun- ciavo gli abusi mi prendevo una sberla». Oggi, si chiede perché il parroco e le autorità di Lugano l’abbiano strappato a sua madre: lui che una ma- dre l’aveva. Elisabetta M., 70 anni, ha ricordato quando da adolescente è stata sterilizzata in un istituto a Bombinasco: la sua colpa era avere un LA POLITICA In due mesi a Berna 60 richieste di risarcimento LA NUOVA LEGGE Dal 1° agosto archivi trasparenti per i sopravvissuti Infanzie rubate e in Ticino siamo solo all’inizio di una ricostruzione storica, doverosa verso chi oggi soffre ancora. Per anni sono stati chiusi gli occhi davanti alle denunce di pochi, che voleva- no infrangere un glaciale muro di silenzio. Ma ora sono centinaia i sopravvissuti che racconta- no le stesse atrocità: adozioni forzate per deci- sione delle autorità amministrative, senza un processo. Mamme sole o genitori accusati di ‘oziosità’, di ‘condotta dissoluta’... separati a forza dai figli, che venivano piazzati in istituti o fami- glie. Per alcuni si aprivano così le porte ad abusi, maltrattamenti... Centocinquanta libri scritti dalle vittime; il regista Imboden ha preso ispira- zione per il film svizzero di maggiore successo degli ultimi anni ‘Der Verdingbub’; una mostra (www.enfances-volees.ch) con 300 racconti. Mamma Helvetia sta riscrivendo un capitolo doloroso della sua storia: un anno fa le scuse uf- ficiali del governo, il parlamento riabilita, con una legge, le persone internate sulla base di de- cisioni amministrative. A giugno 2013 viene isti- tuita una tavola rotonda, saranno risarcite le 20mila vittime ancora viventi. Sono già arrivate una sessantina di richieste al fondo immediato alle vittime di misure coerciti- ve e collocamenti extrafamiliari fino al 1981, isti- tuito due mesi fa dal delegato per le vittime di misure coercitive Luzius Mader e la Catena del- la solidarietà. Si tratta di 8 milioni (di cui 5 co- perti dai Cantoni) alimentati a titolo volontario da Comuni, privati, Città, istituti. «Vanno alle vit- time che sono in condizioni precarie», spiega Mader, cui vanno inviate le richieste (www.fuer- sorgerischezwangsmasnahmen.ch, 031 322 42 84) sino a fine luglio. Saranno versamenti unici: dai 4mila ai 12mila franchi. Sarà risarcito chi ha subito maltrattamenti, abusi, sterilizzazioni co- atte, adozioni forzate e oggi si trova nel bisogno. «Non chiediamo prove in senso giuridico, non è un’indennità, ma piuttosto una forma di solida- rietà collettiva», conclude. Ad agosto entrerà in vigore la Legge federale sulla riabilitazione delle persone internate su decisioni amministrativa: riconosce i torti inflit- ti alle vittime, prevede l’elaborazione scientifica dei fatti, garantisce la conservazione dei docu- menti e il diritto a consultarli. Oggi anziane, le vittime vogliono ricostruire i loro passati, ma trovano tanti ostacoli: documenti distrutti, co- muni, archivi, associazioni poco collaborativi. Ciò cambierà perché da agosto l’accesso sarà obbligatorio e gratuito. In Ticino, qualche se- gnalazione è arrivata nelle scorse settimane al delegato per l’aiuto alle vittime e all’archivio di Stato: i due punti di appoggio definiti da Berna. Diversi Cantoni hanno presentato scuse ufficiali alle vittime; Lucerna, Turgovia, Berna stanno fa- cendo una ricostruzione storica. In Ticino c’era- no vari istituti e migliaia di bimbi internati, ma il tema è tabù. «È come se una lunga ombra in Ti- cino coprisse questa pagina di storia, se ne parla poco, va fatto un grande lavoro di sensibilizza- zione», dice il deputato al Nazionale Giovanni Merlini. Con la collega Marina Carobbio è nel comitato interpartitico dell’iniziativa per la ripa- razione (www.iniziativa-riparazione.ch) che ol- tre agli indennizzi per le vittime sollecita uno studio per chiarire questa pagina di storia. Merlini: ‘Una lunga ombra copre il nostro passato’ L’approfondimento 2 venerdì 6 giugno 2014 Luigi Roncoroni racconta l’inferno di botte e abusi nell’istituto St. Iddazell a Fischingen, dove è stato internato quando è rimasto orfano. Altre migliaia di vittime reclamano giustizia Luigi Roncoroni, 73 anni, messo in istituto a Fischingen, racconta delle frustate per un letto non fatto bene, del tentato abuso nell’orto, dei cani sguinzagliati dietro ai ragazzi... Rimasto orfano a 9 anni, viene cresciuto dai fratelli a Losone, finché il prete e un’operatrice di Pro Infirmis lo inviano al collegio. Come lui, migliaia di vittime, collocate a forza, chiedono giustizia. In Ticino emergono i primi casi.