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Pubblicato in: G. Frege, Leggi fondamentali dell’aritmetica, Teknos, Roma 1995, pp. IX-LXVI. Frege e le origini della logica matematica 1. Lo spirito delle Leggi Vi sono numerose opere molto citate e poco lette. Un luminoso esempio è dato dalle Leggi fondamentali dell’aritmetica [Grundgesetze der Arithmetik] Vol. 1 (1893) e Vol. 2 (1903) di Gottlob Frege (1848-1925), di cui in questo libro viene data parziale traduzione. Le Leggi constano di tre parti, precedute da una lunga prefazione e da una breve introduzione e seguite da un’appendice. 1 Nella prima parte, dal titolo ‘Esposizione dell’ideografia’ (Vol. 1, §§ 1-52), si formulano le nozioni fondamentali, gli assiomi e le regole di inferenza del sistema (detto, appunto, ideografia), si discutono alcuni principi generali sulle definizioni e si definiscono alcuni concetti fondamentali. Nella seconda parte, dal titolo ‘Dimostrazioni delle leggi fondamentali del numero cardinale’ (Vol. 1, §§ 53-179 e Vol. 2, §§ 1-54), si dimostrano nel sistema vari teoremi concernenti i numeri naturali finiti e il numero infinito (cioè il numero di tutti i numeri naturali finiti). Nella terza parte, dal titolo ‘I numeri reali’ (Vol. 2, §§ 55-245), si prospetta una teoria dei numeri reali e si esaminano criticamente varie teorie alternative. Tale parte è, però, incompleta e si chiude rimandando ad un “prossimo compito”. 2 Questo farebbe supporre che Frege intendesse scrivere un terzo volume dell’opera, sulla teoria dei numeri irrazionali, e in effetti sia Jourdain e Wittgenstein ebbero l’impressione che Frege avesse questa intenzione, ma essi gli sconsigliarono di farlo perché dubitavano che un tale volume avrebbe potuto essere “da tutti i punti di vista all’altezza del primo e del secondo per originalità e acutezza”. 3 Di fatto un terzo volume non vide mai la luce. L’opera si chiude con un’appendice in cui si dà notizia del paradosso di Russell, se ne individuano le cause e si tenta di darne una soluzione. Il presente volume offre una traduzione della prefazione, dell’introduzione e dei §§ 1-48, cioè di quasi tutta la prima parte delle Leggi. Sono stati tralasciati i §§ 49-52, che contengono solo qualche esempio di dimostrazione nel sistema. Le Leggi sono la principale opera di Frege. La sua importanza deriva dal fatto che, insieme alla precedente Ideografia [Begriffsschrift] (1879), di cui rappresenta il perfezionamento e il completamento, essa ha dato origine alla logica matematica e alla ricerca sui fondamenti della matematica. Eppure, nonostante la sua rilevanza, essa ha avuto più citazioni che attenti lettori. Certo, a ciò ha molto contribuito la scoperta del paradosso che Russell comunicò a Frege con una lettera del 16 giugno 1902, quando il secondo volume delle Leggi era ormai stato completato. Il paradosso era disastroso per le Leggi, perché comprometteva definitivamente il disegno dell’opera di mostrare che tutta la matematica esistente (tranne la geometria) poteva essere fondata sulla sola logica, disegno che si inseriva nel filone di quella concezione logicista della 1 Una traduzione di alcune sezioni della prefazione e della terza parte, e una traduzione integrale dell’appendice, si possono trovare in G. Frege, Logica e aritmetica, a cura di C. Mangione, Torino (Boringhieri) 1965, pp. 480- 594. 2 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, rist. anastatica, Hildesheim (Olms) 1962, p. 243; trad. it. in Logica e aritmetica, cit., p. 570. 3 G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, Torino (Boringhieri) 1983, p. 103.
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FREGE_TEKNOS

Aug 03, 2015

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Carlo Cellucci
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Page 1: FREGE_TEKNOS

Pubblicato in: G. Frege, Leggi fondamentali dell’aritmetica, Teknos, Roma 1995, pp. IX-LXVI.

Frege e le origini della logica matematica

1. Lo spirito delle Leggi

Vi sono numerose opere molto citate e poco lette. Un luminoso esempio è dato dalle Leggi fondamentali dell’aritmetica [Grundgesetze der Arithmetik] Vol. 1 (1893) e Vol. 2 (1903) di Gottlob Frege (1848-1925), di cui in questo libro viene data parziale traduzione. Le Leggi constano di tre parti, precedute da una lunga prefazione e da una breve introduzione e seguite da un’appendice.

1 Nella prima parte, dal titolo ‘Esposizione dell’ideografia’ (Vol. 1, §§ 1-52), si formulano le

nozioni fondamentali, gli assiomi e le regole di inferenza del sistema (detto, appunto, ideografia), si discutono alcuni principi generali sulle definizioni e si definiscono alcuni concetti fondamentali. Nella seconda parte, dal titolo ‘Dimostrazioni delle leggi fondamentali del numero cardinale’ (Vol. 1, §§ 53-179 e Vol. 2, §§ 1-54), si dimostrano nel sistema vari teoremi concernenti i numeri naturali finiti e il numero infinito (cioè il numero di tutti i numeri naturali finiti). Nella terza parte, dal titolo ‘I numeri reali’ (Vol. 2, §§ 55-245), si prospetta una teoria dei numeri reali e si esaminano criticamente varie teorie alternative. Tale parte è, però, incompleta e si chiude rimandando ad un “prossimo compito”.

2 Questo farebbe supporre che Frege intendesse scrivere un terzo

volume dell’opera, sulla teoria dei numeri irrazionali, e in effetti sia Jourdain e Wittgenstein ebbero l’impressione che Frege avesse questa intenzione, ma essi gli sconsigliarono di farlo perché dubitavano che un tale volume avrebbe potuto essere “da tutti i punti di vista all’altezza del primo e del secondo per originalità e acutezza”.

3 Di fatto un terzo volume non vide mai la luce. L’opera si chiude con un’appendice in cui si dà

notizia del paradosso di Russell, se ne individuano le cause e si tenta di darne una soluzione. Il presente volume offre una traduzione della prefazione, dell’introduzione e dei §§ 1-48, cioè di quasi tutta la prima parte delle Leggi. Sono stati tralasciati i §§ 49-52, che contengono solo qualche esempio di dimostrazione nel sistema. Le Leggi sono la principale opera di Frege. La sua importanza deriva dal fatto che, insieme alla precedente Ideografia [Begriffsschrift] (1879), di cui rappresenta il perfezionamento e il completamento, essa ha dato origine alla logica matematica e alla ricerca sui fondamenti della matematica. Eppure, nonostante la sua rilevanza, essa ha avuto più citazioni che attenti lettori. Certo, a ciò ha molto contribuito la scoperta del paradosso che Russell comunicò a Frege con una lettera del 16 giugno 1902, quando il secondo volume delle Leggi era ormai stato completato. Il paradosso era disastroso per le Leggi, perché comprometteva definitivamente il disegno dell’opera di mostrare che tutta la matematica esistente (tranne la geometria) poteva essere fondata sulla sola logica, disegno che si inseriva nel filone di quella concezione logicista della

1Una traduzione di alcune sezioni della prefazione e della terza parte, e una traduzione integrale dell’appendice,

si possono trovare in G. Frege, Logica e aritmetica, a cura di C. Mangione, Torino (Boringhieri) 1965, pp. 480-594. 2G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, rist. anastatica, Hildesheim (Olms) 1962, p. 243; trad. it. in

Logica e aritmetica, cit., p. 570. 3G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, Torino (Boringhieri) 1983, p. 103.

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matematica le cui origini risalgono almeno a Leibniz. In particolare, secondo Leibniz, il principio di contraddizione o di identità sarebbe bastato da solo “a dimostrare tutta l’aritmetica e tutta la geometria, cioè tutti i principi matematici”.

4 Col principio di contraddizione soltanto, però, ben difficilmente si sarebbe potuto

realizzare il disegno logicista, e nelle Leggi Frege si propone di determinare quali principi logici aggiuntivi sarebbero necessari per farlo. Il fallimento del suo tentativo non spiega del tutto la scarsa frequentazione dell’opera, che contrasta col vivo interesse che, invece, specie nell’ambito della cultura anglosassone, hanno riscosso e continuano a riscuotere altre opere di Frege, come I fondamenti dell’aritmetica [Die Grundlagen der Arithmetik] (1884), che pure si iscrivono nel suo disegno logicista. Forse la spiegazione più plausibile sta nel fatto che, mentre altre opere di Frege sembrano presentare più valenze, le Leggi sono così essenzialmente e indissolubilmente legate al disegno logicista che non si prestano agevolmente ad altre letture, anche se non mancano, come vedremo, tentativi di leggere diversamente alcuni paragrafi dell’opera. Va subito chiarito, però, che nelle Leggi il disegno logicista non era fine a sé stesso ma era solo un mezzo per raggiungere una finalità epistemologica più generale, cioè quella di “confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica”.

5 La responsabilità di tali dubbi viene individuata da Frege in perfetta

sintonia con le coeve denunce di Cantor. In una recensione, peraltro parzialmente critica, a un lavoro di quest’ultimo, Frege dichiara di poter ripetere, “con piena approvazione, una frase dell’autore: ‘Così vediamo la potente scepsi accademico-positivistica ora imperante in Germania, finalmente giunta anche all’aritmetica, dove sembra trarre le ultime conseguenze che ancora le sono possibili, con il risultato più clamoroso e forse per lei medesima più fatale’. Proprio così!”.

6 Parlando di scepsi accademico-positivistica Cantor intende riferirsi in

particolare a Kronecker e a Helmholtz. Kronecker proclamava, contro Weierstrass e Cantor, che le grandezze irrazionali e continue andavano eliminate dalla matematica e che l’uso dell’infinito attuale era infondato. Secondo lui tutte le discipline matematiche, ad eccezione della geometria, potevano, e quindi dovevano, essere ridotte all’aritmetica in senso stretto, e un giorno si sarebbe riusciti “a fondarle unicamente sul concetto di numero naturale nel senso più ristretto di questo termine; così come a eliminare le modifiche e gli ampliamenti di questo concetto (intendo qui esplicitamente le grandezze irrazionali e continue) che sono stati causati per lo più dalle applicazioni della geometria e della meccanica”.

7 Dal canto suo Helmholtz addirittura faceva entrare il

soggettivismo nel concetto stesso di numero naturale, affermando che “l’aritmetica o la teoria pura dei numeri è un metodo poggiante su fatti puramente psicologici”.

8

Frege si unisce a Cantor nella sua lotta contro Kronecker e Helmholtz. Egli respinge la riserve sugli irrazionali di Kronecker, che li considera “non solo come inessenziali, ma addirittura come non aritmetici, tali cioè che le dimostrazioni condotte col loro ausilio poggiano su qualcosa che intorbida la purezza dell’aritmetica”.

9 Al contrario, secondo Frege, si deve vedere se si possa “riuscire a definire i numeri irrazionali

per via puramente aritmetica; e noi tenteremo di aprire una tale via”.10

A proposito dei dubbi sull’infinito attuale, egli osserva che nascono dal fatto che “all’infinito vengono attribuite proprietà che non gli spettano, sia in quanto gli si trasferiscono, come evidenti, proprietà del finito, sia in quanto si trasferisce a tutti gli infiniti una proprietà che spetta solo all’infinito assoluto”.

11 Una parte dei dubbi deriva dalla confusione che si fa tra

infinito attuale e infinito potenziale pretendendo che quest’ultimo sia un infinito in senso proprio, e a causa di tale confusione “molti scienziati ammettono solo l’infinito potenziale. Ora Cantor felicemente mostra che questo infinito presuppone l’infinito proprio o attuale, cioè che il ‘limite in mutamento’ non può fare a meno di un percorso infinito, se deve via via mutare senza interruzione”.

12 Le ricerche di Cantor sull’infinito attuale

4G.W. Leibniz, Die philosophischen Schriften, a cura di C.I. Gerhardt, Hildesheim (Olms) 1965, VII, 355.

5G. Currie, Frege: An introduction to his philosophy, Brighton (Harvester) 1982, p. 141.

6G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 417.

7L. Kronecker, ‘Über den Zahlbegriff’, Crelle Journal, vol 101 (1887), pp. 337-355.

8H. von Helmholtz, ‘Zählen und Messen erkenntnistheoretisch betrachtet’, in Philosophische Vorträge und

Aufsätze, a cura di H. Hörz e S. Wollgast, Berlin (Akademie) 1971. 9G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 155, nota; trad. it. cit., p. 556.

10G. Frege, op. cit., p. 155, nota; trad. it. cit., p. 556.

11G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 414.

12G. Frege, op. cit., p. 414.

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3

conducono ad “un vero ampliamento della scienza, sopra tutto notevole in quanto riesce ad aprire una via puramente aritmetica verso numeri infiniti superiori (potenze)”.

13

A proposito del saggio di Helmholtz, Frege osserva: “Ben poco mi si è presentato di meno filosofico di questo articolo filosofico, e ben poche volte è stato più misconosciuto il senso della questione epistemologica di come qui accade”.

14 Se si prendesse sul serio l’idea di Helmholtz che l’aritmetica poggia su fatti puramente

psicologici, non si potrebbe più parlare, ad esempio, del numero 2, ma ci sarebbero tanti numeri 2 distinti quante sono le persone, e così “bisognerebbe precisare ogni volta: il mio 2, il tuo, un 2, tutti i 2”.

15 E “col

crescere di nuove generazioni di uomini, sorgerebbero sempre dei nuovi 2; e chi può sapere se essi non si evolverebbero coi secoli, talché il prodotto 2×2 non divenisse un giorno eguale a 5?”

16

A Kronecker e Helmholtz, Frege accomuna anche il primo Hussserl, secondo cui i numeri sono solo “rappresentazioni, risultati di un processo o di un’attività spirituali”.

17 Identificando i numeri con le loro

rappresentazioni simboliche, Husserl “si avvicina considerevolmente alle opinioni di Helmholtz e di Kronecker. Il numero dovrebbe quindi mutare se venissero mutati i segni. Noi avremmo numeri del tutto diversi da quelli degli antichi Greci e Romani”.

18 Se un geografo vedesse un trattato di oceanografia in cui l’origine dei mari

venisse spiegata psicologicamente, lo vedrebbe come una bizzarria. Un’analoga impressione viene provocata a Frege dalle opinioni sull’aritmetica di Husserl. Certo, c’è una differenza, perché “il mare è qualcosa di reale, mentre il numero non lo è; ma ciò non gli impedisce di essere qualcosa di oggettivo; e questo è l’importante”.

19

Leggendo le opinioni di Husserl, dice Frege, “ho potuto misurare quanto estesa sia la desolazione provocata dall’intrusione della psicologia nella logica, e ho ritenuto mio compito meterrne bene in luce il danno”.

20

Attraverso questa rovinosa intrusione della psicologia nella logica, “tutto sfocia nell’idealismo, e con la massima conseguenzialità nel solipsismo”.

21

Con i suoi argomenti distruttivi, la potente scepsi accademico-positivistica ormai imperante in Germania apriva la porta al soggettivismo, al relativismo e allo scetticismo in matematica. Per metterla definitivamente a tacere, si sarebbe dovuto mostrare che la conoscenza matematica poteva essere fondata su una base assolutamente sicura e certa. Questa finalità epistemologica costituisce lo scopo ultimo, non solo delle Leggi, ma di tutta l’opera di Frege, nella quale non risuonano molte note ma si cerca la perfezione di un’unica nota: fondare la sicurezza e certezza della matematica. Fin dall’Ideografia questa è la preoccupazione principale di Frege. Per lui “il riconoscimento di una verità scientifica passa di solito attraverso vari gradi di sicurezza”.

22 Inizialmente una legge scientifica viene

forse indovinata a partire da un numero limitato di suoi casi particolari, ma nessuna legge scientifica può essere stabilita conclusivamente in tal modo perché essa contiene come casi particolari infiniti casi singoli, essendo una “proposizione generale”.

23 Però, man mano che si riesce a collegarla mediante catene deduttive con altre

verità scientifiche, essa “viene consolidata in modo via via più sicuro”.24

Dunque la prima via per assicurare la sicurezza della matematica consiste nell’organizzarla come un sistema di catene deduttive, ossia come un sistema assiomatico, stando ben attenti, però, che nelle catene deduttive non si insinuino in alcun modo considerazioni empiriche o intuitive ma si faccia uso solo di inferenze logiche. Infatti le considerazioni empiriche o intuitive possono essere fonte di errore, mentre “il modo più sicuro di condurre una dimostrazione è quello puramente logico, che, astraendo dalla natura particolare delle cose, si basa soltanto sulle leggi sulle

13

G. Frege, op. cit., p. 326. 14

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 140, nota; trad. it. cit., p. 552. 15

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 259. 16

G. Frege, op. cit., p. 259. 17

G. Frege, op. cit., p. 434. 18

G. Frege, op. cit., pp. 434-435. 19

G. Frege, op. cit., p. 436. 20

G. Frege, op. cit., pp. 436-437. 21

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, rist. anastatica, Hildesheim (Olms) 1962, p. XIX; qui a p. . 22

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 103. 23

G. Frege, op. cit., p. 103. 24

G. Frege, op. cit., p. 103.

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4

quali si fonda ogni conoscenza”.25

Per raggiungere il massimo della sicurezza, Frege vuole mostrare che in tutta la matematica si può procedere “in modo puramente deduttivo, basandosi solo sulle leggi del pensiero, che sono al di sopra di ogni particolarità”.

26

Questo, però, da solo non basta a fondare la sicurezza della matematica, perché non garantisce che gli assiomi da cui partono le dimostrazioni siano sicuri. Infatti, secondo Frege, nel caso della geometria la sicurezza degli assiomi è garantita dall’intuizione a priori dello spazio, perché “gli elementi di tutte le costruzioni geometriche sono intuizioni, e la geometria si rivolge all’intuizione come fonte di tutti i suoi assiomi”.

27 Invece, per i motivi che esamineremo in seguito, questo non vale per le altre parti della matematica,

per le quali Frege non vede altra soluzione che fondarne la sicurezza sulla logica, mostrando che tutti i loro concetti sono riducibili a concetti logici e tutti i loro teoremi sono derivabili da assiomi logici. Solo in questo modo “si riesce a raggiungere la necessaria sicurezza”.

28 Se si potesse effettuare una tale riduzione, si

raggiungerebbe lo scopo “di elevare al di sopra di qualsiasi dubbio la verità dei singoli teoremi”.29

Inoltre, per ogni proposizione matematica, si comprenderebbe su che cosa poggia la sua giustificazione, e così si giudicherebbe “la base ultima su cui è fondata la sua verità”.

30 Questa base ultima, spera Frege, dovrebbe

risultare essere la logica. Questa interpretazione delle Leggi, che ne individua lo scopo ultimo nella finalità epistemologica di fondare la sicurezza e certezza della matematica, contrasta con la lettura, dovuta soprattutto a Dummett, che ha prevalso nell’ultimo ventennio nell’ambito della filosofia anglosassone, la quale mira a creare un pedigree per l’indirizzo analitico in essa predominante, in cui Frege figurerebbe come “il padre della ‘filosofia linguistica’”.

31 Secondo tale lettura la rilevanza delle Leggi, come di tutta l’opera di Frege, non sarebbe legata

al tentativo di conseguire uno scopo epistemologico, ma starebbe piuttosto nell’aver fatto dell’analisi dei significati l’oggetto primario della filosofia. Anzi, lo stesso Frege avrebbe interpretato in tal modo la sua opera, dal momento che, secondo Dummett, “per Frege il primo compito di ogni indagine filosofica è l’analisi dei significati”.

32 Dummett conviene che le Leggi siano l’opera più importante di Frege, e che “quello che è detto

nei Grundgesetze ha più peso di qualsiasi altra cosa”.33

Ma egli si riferisce a quei limitati paragrafi delle Leggi che possono considerarsi rilevanti per l’analisi dei significati e che spesso, nell’ambito della cultura anglosassone, vengono letti fuori del contesto e facendo astrazione dalla finalità principale dell’opera. Secondo Dummett, per Frege l’analisi dei significati sarebbe “il fondamento di tutta la filosofia, e non l’epistemologia, come Descartes ci ha erroneamente portato a credere”.

34 La fondamentale acquisizione di

Frege starebbe “nel fatto che egli ignorò totalmente la tradizione cartesiana e fu in grado, dopo la morte, di imporre la sua prospettiva a altri filosofi della tradizione analitica”.

35 Quindi, possiamo “datare un’intera epoca

della filosofia a partire dal lavoro di Frege, esattamente come possiamo fare con Descartes”.36

Frege avrebbe impresso una svolta anticartesiana alla filosofia, in quanto avrebbe distinto nettamente il compito di analizzare i significati da quello “di stabilire che cosa è vero e quali sono i nostri fondamenti per accettarlo”.

37 E avrebbe

considerato principale il primo compito e subordinato il secondo. Questo non significa che egli non avesse interesse per l’epistemologia, ma solo che non individuava in essa l’oggetto primario della filosofia. L’argomento di Dummett è del tipo seguente. È vero che lo scopo originario di Frege era quello epistemologico

25

G. Frege, op. cit., p. 103. 26

G. Frege, op. cit., p. 104. 27

G. Frege, Kleine Schriften, a cura di I. Angelelli, Hildesheim (Olms) 1990, p. 50. 28

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 218. 29

G. Frege, op. cit., p. 222. 30

G. Frege, op. cit., p. 223. 31

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, 2a ediz., London (Duckworth) 1981, p. 683. 32

M. Dummett, op. cit., p. 667. 33

M. Dummett, The interpretation of Frege’s philosophy, London (Duckworth) 1981, p. 8. 34

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 669. 35

M. Dummett, op. cit., p. 667. 36

M. Dummett, op. cit., p. 669. 37

M. Dummett, op. cit., p. 667.

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5

di indagare la nostra conoscenza matematica per “scoprire i fondamenti della teoria dei numeri e dell’analisi”.38

Egli ritenne di individuare tali fondamenti nella logica. Ma, nel tentativo di elaborare gli strumenti logici necessari per mettere in opera quei fondamenti, Frege “si trovò spinto verso indagini sulla teoria generale del significato”.

39 E, secondo Dummett, queste indagini finirono per assumere ai suoi occhi un ruolo così

preponderante che “è questa parte della filosofia che egli trattò come fondamentale per tutto il resto”.40

In tal modo Frege sarebbe arrivato ad affermare il primato della teoria del significato sull’epistemologia, operando così una svolta anticartesiana nella filosofia. Questo argomento di Dummett si basa su una confusione tra mezzi e fini. Esso afferma che, siccome per affrontare il problema epistemologico di stabilire i fondamenti della sicurezza e certezza della matematica Frege ritenne necessario svolgere indagini sulla teoria del significato, per lui quest’ultima, e non l’epistemologia, avrebbe costituito l’oggetto primario della filosofia. In questo modo Dummett scambia quello che per Frege era solo uno strumento, per il suo oggetto primario di indagine, trascurando così ciò che lo stesso Frege sottolinea con forza, e cioè che nella sua opera “quasi tutto è legato all’ideografia”.

41 Rispetto

all’ideografia, non solo la teoria del significato non è che uno strumento, ma non è neppure lo strumento principale, perché uno strumento certo ancor più fondamentale è il metodo assiomatico. Se si dovesse prendere sul serio l’argomento di Dummett, si dovrebbe affermare che il merito di aver operato una svolta anticartesiana nella filosofia non andrebbe attribuito a Frege ma a Locke, e che quindi si dovrebbe datare un’intera epoca della filosofia a partire da quest’ultimo piuttosto che da Frege. Infatti, anche Locke era partito con l’intento, tutto epistemologico, di “esaminare l’estensione e la certezza della nostra conoscenza”.

42 Ma, nel tentativo di farlo, anch’egli si trovò spinto a riconoscere che la conoscenza “ha una

connessione così stretta con le parole, che a meno che non si osservassero bene prima la loro forza e il modo della loro significazione, si potrebbe dire ben poco in modo chiaro e pertinente circa la conoscenza”.

43 Infatti

“c’è un rapporto così stretto tra le idee e le parole, e le nostre idee astratte e le parole generali hanno una relazione così costante tra loro, che è impossibile parlare chiaramente e distintamente della nostra conoscenza, che consiste tutta di proposizioni, senza considerare prima la natura, l’uso e il significato del linguaggio”.

44

Tuttavia nessuno potrebbe sostenere seriamente che Locke abbia operato una svolta anticartesiana nella filosofia assegnando il ruolo primario alla teoria del significato, e questo perché il tentativo di Locke era tutto interno alla tradizione epistemologica. Raffinate indagini sul significato erano già state condotte nel Medio Evo, ma la novità di Locke sta proprio nel fatto che egli fece di queste indagini uno strumento per lo studio della conoscenza. Certamente le indagini sul significato sono, per Locke, uno strumento importante, perché le idee e le parole sono “i grandi strumenti della conoscenza”.

45 Ma, nonostante la loro importanza, esse

rimangono pur sempre uno strumento rispetto al fine di indagare la questione dell’estensione e della certezza della nostra conoscenza. Analogamente, anche il tentativo di Frege è tutto interno alla tradizione epistemologica, perché le sue indagini sul significato sono strumentali e subordinate rispetto allo scopo principale di fondare la conoscenza matematica onde confutare i dubbi sulla sua validità. A tal fine egli ritiene necessario condurre indagini, per esempio, sulla distinzione tra funzione e oggetto e sulla natura del giudizio, indagini che, da lui svolte subito dopo la pubblicazione de I fondamenti dell’aritmetica come parte del lavoro preparatorio per le Leggi e pubblicate in vari articoli, rifluiranno poi nell’opera principale, dal che appare evidente il loro carattere strumentale rispetto allo scopo primario di quest’ultima. Una prova conclusiva di questa interpretazione è data dal fatto che, come vedremo in seguito, nel momento in cui, a causa del paradosso di Russell, la teoria del significato di Frege nelle Leggi si rivelerà inadeguata rispetto allo scopo di confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, Frege non esiterà a battere un’altra strada, non basandosi per raggiungere il suo scopo su una nuova teoria del significato, bensì su un diverso strumento, cioè sull’intuizione a priori dello spazio, in barba alla presunta primarietà dell’analisi dei significati.

38

M. Dummett, The interpretation of Frege’s philosophy, cit., p. 62. 39

M. Dummett, op. cit., p. 63. 40

M. Dummett, op. cit., p. 63. 41

G. Frege, Scritti postumi, Napoli (Bibliopolis) 1986, p. 307. 42

J. Locke, An essay concerning human understanding, III, 9, 21. 43

J. Locke, op. cit., III, 9, 21. 44

J. Locke, op. cit., II, 33, 19. 45

J. Locke, op. cit., IV, 21, 4.

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6

La finalità epistemologica di eliminare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica spiega la veemenza polemica di Frege, nelle Leggi e in molti altri suoi scritti, contro quel naturalismo, caratterizzato dall’opposizione a ogni forma di a priori e dall’adesione ad un radicale empirismo, che si era venuto affermando in Germania a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, come reazione contro l’idealismo, e che aveva a Jena, nella stessa università di Frege, nel naturalista e biologo Haeckel, uno dei suoi grandi sostenitori. Nel naturalismo rientrava quella che Cantor chiamava la potente scepsi accademico-positivistica giunta ormai anche all’aritmetica. Per esempio, con la tesi di Helmholtz secondo cui l’aritmetica era un metodo che poggiava su fatti puramente psicologici, si affermava la tesi pericolosa che “l’aritmetica, la più esatta fra tutte le scienze, dovesse proprio fondarsi sulla psicologia, ancora tanto vacillante e malsicura”.

46 Inoltre con Helmholtz lo

psicologismo si coniugava con un’altra forma di naturalismo, cioè l’empirismo, e in tal modo si aveva un “accostamento di psicologia ed empiria che non fa che aumentare l’oscurità”.

47 Ciò che queste forme di

naturalismo avevano in comune era il rifiuto di ammettere che “il vero è tale indipendetemente dal nostro riconoscimento”.

48 Ma, non accettandolo, ogni “disputa intorno alla verità sarebbe futile. Mancherebbe un

campo di battaglia comune: ogni pensiero sarebbe racchiuso nel mondo interiore di ciascuno e una contraddizione tra i pensieri dei singoli individui sarebbe come una battaglia tra noi e i marziani”.

49 Perciò

“non si darebbe scienza, né errore, né correzione dell’errore, non si darebbe insomma niente di vero nel senso comune del termine”.

50 In contrapposizione al naturalismo, Frege vuol ancorare la conoscenza matematica a

qualcosa di assolutamente oggettivo e indipendente da noi perché, se non lo si facesse, “allora cesserebbe la conoscibilità del mondo e tutto precipiterebbe in una grande confusione”.

51

Ciò inserisce Frege a buon diritto in quella tradizione cartesiana ignorando la quale, secondo Dummett, egli avrebbe impresso una svolta epocale alla filosofia. Per sfuggire ai dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, Descartes ricorre addirittura a Dio. Frege non si spinge fino a tanto, ma anch’egli vuole realizzare l’ideale filosofico di una scienza basata su principi che siano al di là di ogni dubbio. Mentre la geometria corrispondeva a questo ideale filosofico, perché era una scienza assiomatica i cui principi erano dati immediatamente dall’intuizione a priori dello spazio, tale ideale non era soddisfatto dalla matematica sviluppata dal Seicento all’Ottocento, rappresentata soprattutto dall’analisi infinitesimale. Perciò Frege si pone il problema di come far sì che anche quella parte corrisponda a quell’ideale. Contrapponendo Frege a Descartes, Dummett afferma che “Descartes, come altri razionalisti dopo di lui, riteneva che fosse necessario per tutta la conoscenza raggiungere la condizione che si pensava Euclide avesse conferito alla conoscenza geometrica - renderla consapevolmente chiara e assolutamente certa”.

52 Ora, è esattamente questo che, da buon

razionalista, Frege intende fare nelle Leggi per l’analisi infinitesimale. 2. L’analisi delle Leggi Mentre Dummett ritiene che per Frege l’analisi dei significati sia il compito principale della filosofia, un altro tipo di analisi sembra preoccupare Frege nelle Leggi, e spiega la sua esigenza di confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica: l’analisi infinitesimale. Quest’ultima ha svolto un ruolo cruciale nella scienza moderna di cui è stata lo strumento matematico fondamentale, ma, secondo Frege, questa parte della matematica “lascia quasi tutto a desiderare, confrontata con l’ideale che non a torto ci si fa di questa scienza, e se si considera che, per la sua stessa natura, dovrebbe essere più idonea di altre discipline ad avvicinarsi al suo ideale”.

53 Nell’analisi infinitesimale regna la più grande confusione, dal momento che

“espressioni di uso comune, come ‘funzione’, ‘variabile’, ‘eguale’, vengono spiegate in modo completamente diverso dai vari autori, e queste divergenze non sono solo marginali, ma riguardano l’essenza stessa della

46

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 259. 47

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 140, nota; trad. it. cit., p. 552. 48

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 239. 49

G. Frege, op. cit., pp. 240-241. 50

G. Frege, op. cit., p. 240. 51

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 216. 52

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 676. 53

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 271.

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7

questione”.54

Avviene così che, per esempio, “un matematico spieghi l’espressione ‘integrale definito’ come un certo valore limite di una somma. Lo stesso autore però non si fa scrupoli di adoperare quell’espressione come se intendesse in realtà un complesso di segni, di cui l’integrale è una parte componente”.

55

Per avvicinarsi all’ideale che, secondo Frege, non a torto ci si fa della matematica, anche l’analisi infinitesimale dovrebbe basarsi su principi assolutamente certi e indubitabili. Questo compito non può essere realizzato ricorrendo all’intuizione geometrica, come in effetti si è fatto dal Seicento all’Ottocento e come, secondo Frege, si continua a fare nella matematica contemporanea, per esempio con Cantor nel quale “il fattore decisivo viene spostato sulla geometria, col che la teoria non è più puramente aritmetica”.

56 L’intuizione

geometrica è affidabile nel campo delle figure finite di cui si occupa la geometria, ma non in quello delle grandezze infinite o infinitesime che occorrono nell’analisi infinitesimale. Proprio perché ha estrapolato l’intuizione geometrica dal campo del finito a quello dell’infinito e dell’infinitesimo, l’analisi infinitesimale è andata incontro ad errori e persino a contraddizioni. Di qui l’esigenza di Frege di fondare l’analisi infinitesimale su principi assolutamente sicuri e certi. Come appare chiaro, ad esempio, da de L’Hôpital, a partire da Leibniz l’analisi infinitesimale si era basata sui seguenti principi: 1) due quantità che differiscono solo per un infinitesimo possono essere considerate eguali; 2) leggi che valgono per le quantità finite valgono anche per gli infinitesimi; 3) operazioni che valgono per le quantità finite, per esempio l’addizione, possono essere ripetute un numero infinito di volte dando luogo a una quantità finita.

57 I primi due principi comportavano che gli infinitesimi fossero considerati eguali a zero in

certi contesti e diversi da zero in altri contesti, il che dava luogo a errori e contraddizioni. Anche il terzo principio spesso dava luogo a errori e contraddizioni. È a questa difficoltà che si riferisce Frege quando dice che, nelle parti della matematica diverse dalla geometria, tradizionalmente si procedeva in modo meno rigoroso che non in quest’ultima, e che questa tendenza alla mancanza di rigore “si accentuò ancora maggiormente dopo la scoperta dell’analisi superiore; da un lato infatti parvero elevarsi difficoltà gravi, quasi insormontabili, contro ogni tentativo di esporre l’analisi in forma rigorosa, dall’altro parve che il loro superamento non dovesse dar luogo a risultati capaci di ricompensare gli sforzi compiuti. Tuttavia gli sviluppi ulteriori mostrarono in modo sempre più chiaro che in matematica non è sufficiente una pura e semplice persuasione morale, fondata sul gran numero di applicazioni riuscite”.

58 Qui ‘la

scoperta dell’analisi superiore’ si riferisce alla creazione dell’analisi infinitesimale; lo elevarsi di ‘difficoltà gravi, quasi insormontabili’ si riferisce ai problemi derivanti da principi come quelli già menzionati di de L’Hôpital; la ‘persuasione morale, fondata sul gran numero di applicazioni riuscite’ si riferisce alla convinzione, sviluppatasi nel periodo che va dal Seicento all’Ottocento, che, nonostante l’analisi infinitesimale poggiasse su principi incoerenti, in pratica la si poteva usare nelle applicazioni alla fisica perché funzionava in moltissimi casi. Le difficoltà dell’analisi infinitesimale vennero in gran parte, sebbene non del tutto, risolte nella seconda metà dell’Ottocento, soprattutto ad opera di Weierstrass, Dedekind e Cantor, che in vario modo mostrarono come gli infinitesimi potessero essere eliminati dall’analisi infinitesimale basandone l’intera costruzione sull’aritmetica e realizzando così la cosiddetta aritmetizzazione dell’analisi. Per esempio, anche secondo Dedekind l’analisi infinitesimale faceva “appello, più o meno consapevolmente, a rappresentazioni geometriche o suggerite mediante la geometria”.

59 Ora, “nessuno vorrà sostenere che una simile introduzione al

calcolo differenziale possa pretendere di essere scientifica.60

In particolare, la rappresentazione geometrica veniva usata “nella dimostrazione del teorema che ogni grandezza costantemente ma non illimitatamente crescente tende certamente a un limite”.

61 Tale teorema poteva “essere considerato in un certo senso come un

fondamento sufficiente dell’analisi infinitesimale. Pertanto si trattava solo di scoprirne l’origine autentica negli

54

G. Frege, op. cit., p. 271. 55

G. Frege, op. cit., p. 272. 56

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 95; trad. it. cit., p. 530. 57

Cfr. C. Houzel, J.-L. Ovaert, P. Raymond e J.-J. Sansuc, Philosophie et calcul de l’infini, Paris (Maspero) 1976, pp. 212-3; A. Robinson, Non-standard analysis, Amsterdam (North-Holland) 1970, pp. 264-265. 58

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 221. 59

J.W.R. Dedekind, Scritti sui fondamenti della matematica, Napoli (Bibliopolis) 1982, p. 64. 60

J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 63. 61

J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 63.

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8

elementi dell’aritmetica”.62

Per farlo, occorreva “cercare il modo di definire completamente i numeri irrazionali

mediante i soli numeri razionali”.63

Questo venne realizzato da Dedekind attraverso il cosiddetto metodo delle sezioni, in base al quale egli poté dimostrare facilmente il teorema già menzionato secondo cui una grandezza variabile che cresce sempre ma non illimitatamente tende a un limite, dando così una fondazione aritmetica all’analisi infinitesimale. Al pari di Weierstrass, Dedekind e Cantor, anche Frege vuol dare una fondazione aritmetica dell’analisi infinitesimale. Per lui “il calcolo infinitesimale, nella sua essenza, è puramente aritmetico, e non è lecito, per la definizione o la giustificazione dei suoi concetti fondamentali, rifarsi alla geometria”.

64 Ma egli

contesta che la fondazione di Weierstrass, Dedekind e Cantor sia puramente aritmetica. Il loro approccio riduce l’analisi infinitesimale, non alla sola aritmetica, bensì all’aritmetica più la teoria degli insiemi. In tal modo si elimina una nozione oscura, quella di infinitesimo, ma solo ricorrendo ad un’altra altrettanto oscura, quella di insieme. Per esempio Cantor, nel trattare tale nozione, “pretende astrazioni impossibili e rimane oscuro sul problema che cosa debba intendersi per ‘insieme’”.

65 Quindi, con la fondazione di Weierstrass, Dedekind e

Cantor, si risolve un problema ma se ne crea un altro altrettanto serio. Inoltre, come abbiamo visto, Frege contesta che, per esempio nel caso di Cantor, si eviti del tutto il ricorso a rappresentazioni geometriche. Di fronte a questa situazione, nelle Leggi Frege prospetta una soluzione radicale: egli si propone di fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica. La sua motivazione principale nel prospettare tale soluzione è che, come abbiamo visto, per lui la logica ha la peculiarità che, astraendo dalla natura particolare delle cose, si basa soltanto sulle leggi sulle quali si fonda ogni conoscenza. Ridurre l’analisi infinitesimale alla logica ne darebbe una fondazione contro la quale non si potrebbero sollevare obiezioni perché, se lo si facesse, allora nessuna conoscenza sarebbe propriamente possibile. Se il progetto di Frege avesse successo, l’aritmetica dei numeri naturali e dei numeri reali diverrebbe “null’altro che una logica ulteriormente sviluppata, e ogni proposizione aritmetica acquisterebbe il carattere di una legge logica, anzi di una legge dedotta. Le applicazioni dell’aritmetica alla scienza della natura si presenterebbero come pure e semplici elaborazioni logiche di fatti d’osservazione; eseguire calcoli equivarrebbe a ricavar conclusioni”.

66

Anche Dedekind parla “dell’aritmetica (algebra, analisi) solo come di una parte della logica”.67

Anch’egli considera il concetto di numero del tutto indipendente dalle rappresentazioni o intuizioni dello spazio e del tempo, e lo ritiene piuttosto “un’emanazione diretta delle pure leggi del pensiero”.

68 Ma, sebbene egli

ritenga di fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica, in realtà non è così in quanto adopera come primitive le nozioni di ‘insieme’ (o, come dice Dedekind, ‘sistema’) e ‘appartenenza’, cioè le nozioni primitive della teoria degli insiemi, le quali secondo Frege, contrariamente a quanto ritiene Dedekind, non sono nozioni puramente logiche. Il lavoro di Dedekind contraddice l’idea di basare l’analisi infinitesimale sulla logica, “perché le espressioni che usa, ‘sistema’ e ‘una cosa appartiene ad un’altra cosa’, non sono consuete in logica e non vengono ricondotte a qualcosa la cui natura logica sia riconosciuta”.

69 Alternativamente Frege nelle Leggi

si propone di fondare l’analisi infinitesimale solo su nozioni genuinamente logiche. A tale scopo egli sviluppa una aritmetica generalizzata, che dovrebbe permettergli di trattare tutti i tipi di numeri (naturali, razionali, reali, complessi) basandosi unicamente su nozioni e principi logici. Nel parlare dell’aritmetica (algebra, analisi) come una parte della logica considerando il concetto di numero del tutto indipendente dalle intuizioni dello spazio e del tempo, Dedekind non rappresenta, però, una posizione isolata. Contrariamente a un’opinione diffusa, la concezione di Frege di un’aritmetica generalizzata basata solo sulla logica, totalmente distinta dalla geometria la quale richiede invece uno speciale tipo di intuizione (l’intuizione a priori dello spazio), non costituisce una innovazione di Frege ma corrisponde a un’idea ben presente nella matematica dell’Ottocento, da Gauss fino a Dedekind e addirittura a Kronecker, secondo cui i numeri sono prodotti puri del nostro intelletto mentre lo spazio ha un carattere differente. Per esempio Kronecker afferma che “non bisogna intendere la parola ‘aritmetica’ nel suo consueto significato

62

J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 64. 63

J.W.R. Dedekind, op. cit., pp. 68-69. 64

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 409. 65

G. Frege, op. cit., p. 415. 66

G. Frege, op. cit., p. 327. 67

J.W.R. Dedekind, Scritti sui fondamenti della matematica, cit., p. 79. 68

J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 80. 69

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VIII; qui a p. .

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9

limitato; si tratta in realtà di comprendere con essa tutte le discipline matematiche, tranne la meccanica e la geometria, e precisamente anche l’algebra e l’analisi”.

70 Kronecker sottolinea la radicale differenza tra

l’aritmetica in questo senso esteso, da un lato, e la meccanica e la geometria, dall’altro. E, richiamando con evidente adesione una lettera di Gauss a Bessel del 9 aprile 1830, ricorda che “la principale differenza tra la geometria e la meccanica, da un lato, e le rimanenti discipline matematiche qui compendiate col termine ‘aritmetica’, dall’altro, consiste secondo Gauss in questo, che l’oggetto di queste ultime, il numero, è un prodotto puro del nostro spirito, mentre sia lo spazio che il tempo hanno anche una realtà esterna al nostro spirito, le cui leggi non siamo capaci di prevedere completamente”.

71 L’innovazione di Frege non sta, quindi,

tanto nell’aver concepito l’idea di un’aritmetica generalizzata basata solo sulla logica, quanto piuttosto nell’aver sviluppato un apparato tecnico, cioè l’ideografia, per realizzarla e metterla così alla prova. La necessità di fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica derivava per Frege, oltre che dal fatto che essa, nella fondazione datane da Weierstrass, Dedekind e Cantor, richiedeva la nozione di insieme infinito attuale, anche dalla circostanza che essa faceva uso di metodi dimostrativi che permettevano talora di ‘dimostrare’ proposizioni false, cioè proposizioni che non valevano in generale ma avevano delle eccezioni, e che sollevavano quindi il problema di determinarne l’esatto ambito di validità. È a questa difficoltà che allude Frege quando sottolinea che, come risposta, nella matematica contemporanea si delinea “la tendenza a dare dimostrazioni rigorose, a tracciare con esattezza i limiti di validità dei diversi teoremi, e, per poter raggiungere questo scopo, a determinare con precisione i concetti”.

72 O quando ricorda che, attraverso la dimostrazione

rigorosa di una proposizione, “si vengono pure a riconoscere con maggiore esattezza le sue condizioni di validità”.

73

Anche qui, per risolvere questa difficoltà occorreva, in primo luogo, determinare con precisione i concetti riducendoli a concetti logici. Infatti, perché “una simile impresa possa avere successo, naturalmente, i concetti di cui si ha bisogno devono essere afferrati con precisione”.

74 E, in secondo luogo, occorreva dare

dimostrazioni rigorose usando solo inferenze logiche e partendo solo da assiomi logici, e per farlo occorreva sviluppare un sistema logico adeguato, che è quello che Frege si propone di fare con la sua ideografia nelle Leggi. Determinare i concetti con precisione non basta perché, “anche quando i concetti siano stati concepiti con precisione, senza uno specifico strumento ausiliario sarebbe difficile, anzi addirittura quasi impossibile, soddisfare i requisiti che qui dobbiamo esigere sulla conduzione delle dimostrazioni”.

75 L’ideografia fornisce,

appunto, “un simile strumento ausiliario”.76

Frege si ripromette un fecondo impiego della sua “ideografia ovunque debba venir dato un particolare rilievo alla connessione del processo dimostrativo, come per esempio nella fondazione del calcolo differenziale e del calcolo integrale”.

77

La soluzione delle difficoltà dell’analisi infinitesimale prevista da Frege va vista sullo sfondo del suo ideale del rigore, che costituisce una componente essenziale della sua ricerca di una fondazione assolutamente sicura e certa della matematica. Questo ideale ha per Frege una tale importanza che per lui, “alla domanda in che cosa stia propriamente il valore delle conoscenze matematiche, la risposta deve essere: meno in ciò che si conosce che nel modo in cui si conosce, meno nella materia del sapere che nel grado della sua chiarificazione teorica e della comprensione della connessione logica”.

78 Tale ideale non sembrava trovare risonanze profonde

tra i contemporanei di Frege: “Se paragono l’aritmetica ad un albero che dispiega i propri rami verso l’alto in una molteplicità di metodi e teoremi, mentre la radice cerca di raggiungere la profondità, mi sembra che la tendenza della radice, almeno in Germania, sia piuttosto debole”.

79 La tendenza dei rami è verso l’alto, verso i

teoremi, mentre quella della radice è verso il basso, verso la chiarificazione dei fondamenti e quindi verso il rigore, ma persino in coloro, come Schröder, che sono orientati in questo senso, “la tendenza dei rami ha

70

L. Kronecker, ‘Über den Zahlbegriff’, cit. 71

L. Kronecker, op. cit.. 72

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 222. 73

G. Frege, op. cit., p. 223. 74

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 1; qui a p. . 75

G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p. . 76

G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p. . 77

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 106. 78

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 271. 79

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. XIII; qui a p. .

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10

tuttavia di nuovo il sopravvento e, ancor prima che sia stata raggiunta una maggiore profondità, determina una curvatura verso l’alto e un dispiegamento di metodi e teoremi”.

80

L’ideale del rigore coincide per Frege con quello del ‘sistema’, dal momento che “solo attraverso il sistema si può fare piena chiarezza e ordine”.

81 Per ‘sistema’ Frege intende ‘sistema assiomatico’: per lui il

metodo della matematica è il metodo assiomatico, e il suo ideale del rigore si ricollega all’ideale aristotelico di una sistemazione assiomatica della conoscenza. Come Aristotele, anche Frege ritiene che la matematica esiga “che sia dimostrato tutto quel che è e che non ci si arresti fino a che non ci si imbatte in qualcosa di indimostrabile”.

82 Questo qualcosa sono le verità primitive della matematica, nelle quali, come in un seme, è

racchiusa tutta la matematica. Perciò “solo quando conosceremo queste verità primitive avremo davvero fatto chiarezza su che cos’è la matematica”.

83 Una volta che saremo riusciti a farlo, e una volta che le proposizioni

primitive così raggiunte saranno state riconosciute come delle verità inoppugnabili, la matematica “si presenterà come un sistema di verità connesse fra loro da inferenze logiche”.

84 In quanto basata su verità primitive

inoppugnabili e derivata da esse mediante inferenze logiche incontrovertibili, la matematica risulterà essere un sistema assolutamente sicuro e certo. La riduzione dei sistemi ai sistemi assiomatici risulta evidente anche dal ruolo attribuito da Frege alle definizioni. La tradizione assiomatica, da Pascal fino a Peano e Hilbert, nega alle definizioni ogni ruolo creativo e ogni valore conoscitivo, considerandole semplici imposizioni arbitrarie di nomi e abbreviazioni. Anche per Frege “le definizioni propriamente non sono creative”.

85 Attraverso esse noi ci limitiamo ad introdurre “un

nuovo nome stipulando che esso dovrà avere lo stesso senso e lo stesso referente di qualche nome composto di segni già conosciuti”.

86 Le definizioni “introducono solamente designazioni abbreviative (nomi) delle quali si

potrebbe fare a meno se la lunghezza non ponesse delle invincibili difficoltà estrinseche”.87

Nessuna definizione “estende la nostra conoscenza, ma è solo un mezzo per riassumere un contenuto molteplice in una breve parola o segno, in tal modo rendendocelo più facile da maneggiare”.

88 Quindi la concezione delle

definizioni di Frege si inserisce in quella della tradizione assiomatica. La funzione dei sistemi di fare piena chiarezza e ordine in un dato corpo di conoscenze viene assolta dai sistemi assiomatici in due modi differenti. In primo luogo, essi fissano i punti di partenza di tutte le dimostrazioni, così come dev’essere, dal momento che “colui che inferisce deve sapere quali sono le sue premesse”.

89 E se si vuole che questi punti di partenza siano indubitabili, essi devono essere costituiti da

assiomi logici. In secondo luogo, i sistemi assiomatici stabiliscono regole logiche in base a cui si dovranno dedurre tutti i teoremi dagli assiomi, così come dev’essere, dal momento che “per la costruzione del sistema è necessario che si proceda con consapevolezza attraverso inferenze logiche”.

90 All’ideale aristotelico di rigore

Frege aggiunge, dunque, due nuovi requisiti. Il primo è che tutte le dimostrazioni del sistema debbano constare di inferenze logiche. In questo modo si va “al di là di Euclide”.

91 Contrariamente a Euclide, dunque, Frege

pretende “che tutti i modi di inferire e di trarre conclusioni che vengono applicati siano specificati all’inizio”.92

Così si evita che nelle dimostrazioni matematiche si trovino “passaggi che non sono eseguiti sulla base di leggi logiche riconosciute, ma piuttosto sembrano basarsi su una conoscenza intuitiva”.

93 Il secondo requisito è che,

nel caso dell’analisi infinitesimale, le proposizioni primitive del sistema debbano essere, non solo, come

80

G. Frege, op. cit., p. XIII; qui a p. . 81

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 381. 82

G. Frege, op. cit., p. 335. 83

G. Frege, op. cit., p. 335. 84

G. Frege, op. cit., p. 335. 85

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p. . 86

G. Frege, op. cit., pp. 44-45; qui a p. . 87

G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. . 88

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 263. 89

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 336. 90

G. Frege, op. cit., p. 335. 91

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p. . 92

G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. . 93

G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p. .

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11

richiede Proclo, verità autoevidenti, ma anche verità logiche, perché ci sono verità e verità e le verità logiche sono più fondamentali, sicure e inoppugnabili di tutte le altre. Con questo secondo requisito si va, non solo oltre Euclide, ma anche oltre Aristotele. Per Frege non esiste alcuna legge dell’analisi infinitesimale che non possa essere ridotta alla logica, e nelle Leggi egli si propone di verificarlo “attraverso la derivazione delle leggi più semplici dei Numeri mediante mezzi solamente logici”.

94 Ciò su cui si fonda l’analisi infinitesimale non può essere l’intuizione geometrica,

per la mancanza di rigore nelle dimostrazioni a cui questo condurrebbe, né può essere l’osservazione fisica, perché in tal modo essa sarebbe “privata della sua applicabilità generale, che va molto al di là del fisico”.

95 Non

rimane che fondarla sulla logica.

3. Il rigore delle Leggi

Per realizzare il suo ideale del rigore, nelle Leggi Frege formula un sistema assiomatico nel quale tutti gli assiomi sono principi logici, tutti i teoremi si dimostrano a partire dagli assiomi mediante inferenze puramente logiche, e tra i teoremi sono compresi tutti i risultati dell’analisi infinitesimale. La formulazione del sistema avviene precisando A) il tipo di entità di cui si occupa il sistema; B) i giudizi, cioè le asserzioni del sistema; C) gli assiomi e le regole di inferenza del sistema. A) Le entità di cui si occupa il sistema sono costituite da funzioni e oggetti. Per Frege “gli oggetti si contrappongono alle funzioni”.

96 La distinzione tra funzioni e oggetti sta nel fatto che una “funzione di per sé è

incompleta, ha bisogno di completamento, è insatura”.97

Invece un oggetto è tutto ciò che non è una funzione, quindi è completo, non bisognoso di completamento e saturo. Una funzione, per esempio 2x3+x, ha bisogno di completamento perché presenta una lacuna, rappresentata dall’argomento x. Invece un oggetto, per esempio 5, non ha bisogno di completamento perché non presenta alcuna lacuna. L’uso, da parte di Frege, dei termini ‘insaturo’ e ‘saturo’ per caratterizzare funzioni e oggetti, chiaramente si ispira a una metafora chimica.

98

Secondo Frege si deve “risalire al tempo della scoperta dell’analisi superiore se si vuol sapere che cosa si intese originariamente in matematica con la parola ‘funzione’. A questa domanda si ottiene la risposta: ‘Per funzione di x si intese un’espressione di calcolo che contiene x, una formula che include la lettera x’. Perciò, ad esempio, l’espressione 2x3+x sarebbe una funzione di x”.

99 L’unico aspetto che Frege trova insoddisfacente in

questa definizione è che in essa non si distingue “il segno dal designato”.100

Per esempio non si distingue

2x3+x, che è un’espressione di funzione, dalla funzione, che è il referente di quell’espressione.101

A parte questa distinzione, la nozione di funzione a cui Frege si richiama è quella di Euler, secondo cui “una funzione di una quantità variabile è un’espressione analitica composta in un modo qualsiasi da quella quantità variabile e da numeri o quantità costanti”.

102 Tale nozione era standard nel Settecento, come appare dall’Encyclopédie dove

si definisce “funzione di x, o in generale di una quantità qualsiasi, una quantità algebrica composta di tanti termini quanti si vuole, nella quale x si trova in un modo qualsiasi, mescolata o non con delle costanti”.

103

94

G. Frege, op. cit., p. 1; qui a p. . 95

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 104. 96

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 5; qui a p. . 97

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 128. 98

Su questo punto cfr. E. Picardi, La chimica dei concetti. Linguaggio, logica, psicologia 1879-1927, Bologna (il Mulino) 1994, cap. IV. 99

G. Frege, Kleine Schriften, cit., pp. 125-126. 100

G. Frege, op. cit., p. 126. 101

Frege usa le virgolette per distinguere un’espressione dal suo referente. Qui non seguiremo quest’uso, adottando invece la prassi degli attuali manuali di logica matematica di usare le virgolette solo nei casi in cui potrebbero nascere confusioni. Questo, in primo luogo, per evitare inutili pedanterie, e in secondo luogo, perché l’uso delle virgolette in alcuni casi può a sua volta essere fonte di confusioni, come mostra ad esempio A. Church, Introduction to mathematical logic, vol. I, Princeton (Princeton University Press) 1956, p. 62, nota 136. 102

L. Euler, Introductio in analysin infinitorum, in Opera omnia, a cura di F. Rudio, Leipzig (Teubner) 1911. 103

J.-B. d’Alembert, Encyclopédie, art. ‘Fonction’.

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12

Questa nozione di funzione non va confusa con quella di Dirichlet che sta all’origine dell’attuale nozione insiemistica secondo cui y è una funzione di x se x sta in una relazione con y tale che, “a ogni x corrisponde uno e un solo y”.

104 La fondamentale differenza tra la nozione di funzione di Euler e quella di

Dirichlet sta nel fatto che, nella prima, una funzione è data da un’espressione come 2x3+x, mentre nella seconda questo non è richiesto e si considerano funzioni qualsiasi, comunque definite. La nozione di funzione di Frege è lontana da quella di Dirichlet e dalla attuale nozione insiemistica. Egli rimane ancorato alla tradizionale nozione di funzione del Seicento e Settecento, e questo non per mancanza di conoscenza ma per una scelta deliberata. Frege è ben consapevole della nozione di Dirichlet, che egli descrive come quella secondo cui y è una funzione di x se “ad ogni numero di un dominio x è associato un numero”.

105 Come egli giustamente sottolinea, il punto

cruciale di tale definizione è “nascosto nella parola ‘associato’ ”.106

La definizione “non contiene alcuna

asserzione sulla legge di associazione”.107

Essa, secondo Frege, “non ha alcun senso a meno che non venga

completata con la specificazione della legge in base a cui avviene l’associazione”.108

L’unico modo per specificarla è attraverso un’eguaglianza “in cui nel lato sinistro sta la lettera ‘y’, mentre a destra compare un’espressione di calcolo consistente di cifre e della lettera ‘x’, come per esempio ‘y=x2+3x”.

109 È vero che in tempi recenti questo concetto di funzione “è stato considerato troppo ristretto. Tuttavia questo inconveniente potrebbe benissimo essere evitato introducendo nuovi segni nel linguaggio dell’aritmetica”.

110

Per Frege, dunque, non c’è alcun bisogno della nozione di Dirichlet: basta usare espressioni in cui compaiono nuovi segni oltre quelli tradizionalmente usati per l’addizione, la moltiplicazione, ecc.. Quali nuovi segni egli abbia in mente viene da lui dichiarato esplicitamente quando afferma che il concetto di funzione di Euler si è venuto estendendo perché “si è ampliato l’ambito dei tipi di calcolo che contribuiscono alla formazione di una funzione. All’addizione, moltiplicazione, esponenziazione e alle loro inverse si sono aggiunti i diversi tipi di passaggio al limite”.

111 Ci si è anche spinti oltre ricorrendo al linguaggio comune, “perché il

linguaggio simbolico dell’analisi non bastava quando, ad esempio, si doveva parlare di una funzione il cui valore è 1 per i numeri razionali e 0 per i numeri irrazionali”.

112 Per quanto riguarda il primo ampliamento,

dunque, Frege continua ad assumere che una funzione debba essere data da un’espressione linguistica, anche se di un linguaggio più ampio di quello tradizionale. Questo mostra quanto errata sia l’affermazione di Dummett secondo cui Frege era pronto “ad ammettere tutte le funzioni ‘qualsiasi’ definite su tutti gli oggetti’.

113

Oltre a questa estensione della nozione di funzione di Euler, secondo Frege se ne è venuta operando anche un’altra, cioè “si è ampliato l’ambito di ciò che può essere assunto come argomento e come valore di una funzione, con l’inclusione dei numeri complessi. Conseguentemente si è dovuto anche determinare più ampiamente il senso delle espressioni ‘somma’, ‘prodotto’, ecc.”.

114 Frege accetta anche questo tipo di

estensione, senza limitarsi però ai numeri complessi, ma ammettendo come argomenti e valori di una funzione anche oggetti che non sono numeri: individui, come ‘Socrate’, e valori di verità, come ‘il Vero’ e ‘il Falso’. Per apprezzare la portata di questo ampliamento va ricordato che dal Seicento all’Ottocento si assumeva comunemente che tanto gli argomenti quanto i valori di una funzione dovessero essere numeri di qualche tipo. Frege, invece, assume che essi possano essere anche altre specie di oggetti. In particolare, egli considera: 1) funzioni i cui valori sono valori di verità, come la funzione x2=1 la quale è il Vero se si prende 1 o -1 come x, ed è il Falso altrimenti; 2) funzioni i cui argomenti sono individui qualsiasi, come la funzione ‘x è mortale’, la quale è il Vero se come x si prende ‘Socrate’, ed è il Falso se si prende ‘Dio’; 3) funzioni i cui argomenti e i cui

104

G.L. Dirichlet, ‘Über die Darstellung ganz willkürlicher Funktionen durch Sinus- und Cosinusreihen’, in Werke, a cura di L. Kronecker e L. Fuchs, Vol. I, Berlin (Reimer) 1889, p. 135. 105

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 276. 106

G. Frege, op. cit., p. 277. 107

G. Frege, op. cit., p. 277. 108

G. Frege, op. cit., p. 277. 109

G. Frege, op. cit., p. 277. 110

G. Frege, op. cit., p. 277. 111

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 131. 112

G. Frege, op. cit., p. 131. 113

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 177. 114

G. Frege, op. cit., p. 131.

Page 13: FREGE_TEKNOS

13

valori sono entrambi valori di verità, come la negazione, la congiunzione, l’implicazione o la quantificazione universale (v. appresso). Tra le funzioni in questo senso esteso, Frege ne mette in evidenza una particolare classe, che egli chiama concetti. I concetti sono le funzioni f(x) con un solo argomento, x, i cui valori sono valori di verità. Infatti “sembra appropriato chiamare appunto concetto una funzione il cui valore è sempre un valore di verità”.

115 Dunque x2=1 e ‘x è mortale’ sono concetti. Si dice che un oggetto a cade sotto il concetto f(x) se f(a)

è il Vero, dove f(a) è ciò che si ottiene da f(x) prendendo a come x. Per esempio 1 e -1 cadono sotto il concetto x2=1, e Socrate cade sotto il concetto ‘x è mortale’. Come funzioni e oggetti sono entità assolutamente distinte, così in particolare concetti e oggetti sono entità distinte, cioè “un oggetto non può mai essere nel contempo un concetto; e un concetto sotto il quale cade un solo oggetto, non deve essere confuso con tale oggetto”.

116

La nozione di funzione di Euler non si limita alle funzioni con un solo argomento, ma si estende anche a quelle con due (o più) argomenti. Tali funzioni sono date da espressioni contenenti più tipi di posti vuoti. Per esempio (x+y)2+y è una funzione con due argomenti, x e y. Analogamente la nozione estesa di funzione di Frege copre anche funzioni con due (o più) argomenti. Per esempio x·y=1 e ‘x è il maestro di y’ sono funzioni di due argomenti, x e y, i cui valori sono valori di verità. Come una funzione con un solo argomento è bisognosa di completamento, così le funzioni con due argomenti “sono doppiamente bisognose di completamento, di modo che si ottiene una funzione ad un argomento dopo che sia stato effettuato un completamento mediante un argomento”.

117 Per esempio, prendendo Platone come y in ‘x è il maestro di y’, si ottiene ‘x è il maestro di

Platone’ che è una funzione con un argomento, e prendendo in quest’ultima Socrate come x si ottiene ‘Socrate è il maestro di Platone’. Secondo Frege, è “opportuno chiamare relazioni tali funzioni”.

118 Dunque le relazioni

sono le funzioni f(x,y) con due argomenti, x e y, i cui valori sono valori di verità. Si dice che un oggetto a sta con l’oggetto b nella relazione f(x,y) se f(a,b) è il Vero, dove f(a,b) è ciò che si ottiene da f(x,y) prendendo a come x e b come y. L’introduzione da parte di Frege di un’estensione della nozione di funzione di Euler conduce a un notevole progresso rispetto all’analisi tradizionale delle proposizioni in termini di soggetto e predicato. Frege sostituisce tale analisi con un’altra in termini di funzione e argomento. Egli sottolinea la diversità della sua analisi rispetto a quella tradizionale, affermando che nella sua “presentazione di un giudizio non trova posto

una distinzione fra soggetto e predicato”.119

Il limite dell’analisi tradizionale dipende dal fatto che “finora la

logica è stata sempre troppo strettamente connessa alla lingua e alla grammatica”.120

In base a essa una proposizione può avere un unico soggetto, il che non consente di render conto del fatto che le proposizioni possono esprimere relazioni tra più soggetti. Come Frege sottolinea, “se si dice: ‘soggetto è il concetto di cui tratta il giudizio’, ebbene, questo si adatta anche all’oggetto”.

121 È soprattutto considerando funzioni con più

argomenti che si può apprezzare il progresso a cui conduce l’analisi di Frege. Per esempio, secondo l’analisi tradizionale, la proposizione ‘Socrate è il maestro di Platone’ ha come soggetto Socrate e come predicato ‘è il maestro di Platone’, il che non chiarisce che essa esprime che tra due soggetti, Socrate e Platone, sussiste la relazione: ‘è il maestro di’. Renderne conto diventa possibile, invece, usando la nozione di funzione di Frege, in base alla quale la proposizione ‘Socrate è il maestro di Platone’ può essere vista come ottenuta dalla funzione di due argomenti ‘x è il maestro di y’, prendendo Socrate come x e Platone come y. Dunque, in base all’analisi di Frege, una proposizione può avere più soggetti, il che rende conto della sua struttura relazionale. Oltre ad ammettere funzioni di più argomenti, Frege ammette anche funzioni di livello superiore. Negli esempi precedenti abbiamo considerato solo funzioni i cui argomenti sono oggetti, ma si possono considerare anche funzioni che hanno come argomenti altre funzioni. Ciò conduce a una distinzione di livello tra le funzioni. Frege chiama “le funzioni i cui argomenti sono oggetti, funzioni di primo livello; invece si possono chiamare funzioni di secondo livello quelle funzioni i cui argomenti sono funzioni di primo livello”.

122 Per

esempio ‘x è mortale’ è una funzione di primo livello con argomento x, che possiamo scrivere mortale(x),

115

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 8; qui a p. . 116

G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p. . 117

G. Frege, op. cit., p. 8; qui a p. . 118

G. Frege, op. cit., p. 8; qui a p . 119

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 111. 120

G. Frege, op. cit., cit., p. 107. 121

G. Frege, op. cit., cit., p. 111. 122

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 37; qui a p. .

Page 14: FREGE_TEKNOS

14

mentre ‘Socrate è F ’ è una funzione di secondo livello con argomento F, che possiamo scrivere F(Socrate). In mortale(x) si può prendere come x solo un oggetto, per esempio Socrate, ottenendo così la proposizione ‘Socrate è mortale’. Invece in F(Socrate) si può prendere come F solo una funzione di primo livello, per esempio mortale(x), ottenendo così ancora la proposizione ‘Socrate è mortale’. Analogamente si possono considerare funzioni di terzo livello, e così via. Come si è già detto, per Frege un oggetto è qualcosa che è completo, non bisognoso di completamento e saturo. Dunque, tra gli oggetti sono compresi “i numeri, i valori di verità, e i decorsi di valori”.

123 È

abbastanza chiaro che cosa sono i numeri e i valori di verità, ma che cosa sono i decorsi di valori? Frege non definisce esplicitamente tale nozione, ma si limita a dire che l’espressione: ‘la funzione f(x) ha lo stesso decorso di valori della funzione g(x)’ ha lo stesso referente dell’espressione: ‘le funzioni f(x) e g(x) per lo stesso argomento hanno sempre lo stesso valore’. Per esempio le funzioni x2-4x e x(x-4), poiché hanno lo stesso valore per ogni argomento x, hanno lo stesso decorso di valori. Il decorso di valori di una funzione f(x) viene indicato

da Frege con la notazione x,

f(x). Quindi x,

(x2-4x)= x,

(x(x-4)) esprime che le funzioni x2-4x e x(x-4) hanno lo stesso decorso di valori. Nel caso dei concetti, “invece di dire ‘decorso di valori della funzione’ si può dire ‘estensione del concetto’ ”.

124 La nozione di estensione di un concetto è, dunque, caratterizzata dal fatto che l’espressione: ‘il

concetto f(x) ha la stessa estensione del concetto g(x)’ ha lo stesso referente dell’espressione: ‘i concetti f(x) e g(x) per lo stesso argomento hanno sempre lo stesso valore’. Per esempio il concetto ‘x è il maestro di Platone’ ha la stessa estensione del concetto ‘x è il filosofo che fu condannato per empietà a bere la cicuta nel 399 a.C.’. Le estensioni di concetti sono dette da Frege classi (o anche insiemi). I concetti, e in generale le funzioni, sono primari rispetto alle estensioni, rispettivemente, ai decorsi di valori, sia dal punto di vista logico che da quello epistemologico. Sono primari dal punto di vista logico: “Infatti io sostengo che il concetto è logicamente primario rispetto alla sua estensione, e considero futile il tentativo di fondare l’estensione di un concetto come classe non sul concetto ma su singole cose”.

125 Sono primari dal

punto di vista epistemologico, perché solo “grazie alle nostre facoltà logiche, partendo dal concetto, ci impadroniamo dell’estensione del concetto”.

126 Dalla loro primarietà dal punto di vista epistemologico segue

che l’unico modo che abbiamo di riconoscere un’estensione, e in generale un decorso di valori, è attraverso un concetto, rispettivamente una funzione. Non possiamo apprendere gli oggetti logici altro che “come estensioni di concetti, o più in generale come decorsi di valori di funzioni”.

127

Dato un concetto f(x) sotto cui cade un unico oggetto, Frege distingue tra l’estensione del concetto,

x,

f(x), e quell’oggetto. Per farlo egli introduce una funzione, che egli indica con \ , la quale, per le estensioni di

concetti, è definita nel modo seguente: \ x,

f(x) è l’oggetto che cade sotto il concetto f(x), se sotto f(x) cade un

unico oggetto; altrimenti \ x,

f(x) è x,

f(x). Per esempio \ x,

(x è il filosofo che fu condannato per empietà a bere la

cicuta nel 399 a.C.) è Socrate, mentre \ x,

(x2=1) è x,

(x2=1) perché sia 1 che -1 cadono sotto il concetto x2=1. B) Dopo aver fissato le entità di cui si occupa il sistema, Frege passa a considerare i giudizi. Per giudizio egli intende “il riconoscimento della verità di un pensiero”.

128 Esprimere un pensiero e riconoscerne la

verità sono due cose distinte. Con l’espressione 2+3=5 non si comunica se il pensiero che essa esprime sia vero o falso, ma ci si limita a riferirsi a “un valore di verità, senza che venga detto quale sia dei due”.

129 Perciò

Frege introduce un “segno particolare per poter asserire qualcosa come vero”.130

Il segno da lui utilizzato a tale

scopo è „, quindi „ 2+3=5 asserisce che il valore di verità di 2+3=5 è il Vero. Ciò discende dalla spiegazione di

Frege dell’eguaglianza. L’eguaglianza è una funzione ζ=ξ con due argomenti, ζ e ξ, tale che il suo valore sarà

123

G. Frege, op. cit., p. 7; qui a p. . 124

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 8; qui a p. . 125

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 209. 126

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 303. 127

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194. 128

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 9; qui a p. . 129

G. Frege, op. cit., p. 9; qui a p. . 130

G. Frege, op. cit., p. 9; qui a p. .

Page 15: FREGE_TEKNOS

15

il Vero se ζ e ξ sono lo stesso oggetto, e sarà il Falso altrimenti. Allora è chiaro che „ 2+3=5 asserisce che il valore di verità di 2+3=5 è il Vero. Si noti che, in base alla nozione di funzione di Frege, gli argomenti della

funzione ζ=ξ sono oggetti qualsiasi, quindi possono essere valori di verità. Per comunicare che un pensiero è falso, invece, Frege non introduce alcun segno particolare, ma ricorre al fatto che la negazione di quel pensiero è il Vero. La negazione è introdotta da Frege come la funzione

¬ζ con un argomento, ζ, da cui “ogni valore di verità viene trasformato nel valore di verità opposto”.131

Dunque il valore della funzione ¬ζ sarà il Falso se ζ è il Vero, e sarà il Vero altrimenti. Allora possiamo usare

l’espressione „ ¬ζ per asserire che il valore di verità di ζ è il Falso.132

Oltre alla negazione, nei giudizi possono occorrere anche altre funzioni. Tra queste, nel sistema di Frege rivestono una particolare importanza l’implicazione e la quantificazione universale. L’implicazione è la

funzione ζ→ξ con due argomenti, ζ e ξ, che viene introdotta stabilendo che “il suo valore sia il Falso se come

ζ-argomento viene preso il Vero e come ξ-argomento viene preso un qualsiasi oggetto che non è il Vero; e che

in tutti gli altri casi il valore della funzione sia il Vero”.133

La quantificazione universale è la funzione ∀xζ(x)

con un argomento, ζ(x), il cui valore sarà il Vero se il valore della funzione ζ(x) “per ogni argomento è il Vero,

e altrimenti si riferisce al Falso”.134

Qui ζ(x) è una funzione di primo livello perché i suoi argomenti x sono

oggetti, mentre ∀xζ(x) è una funzione di secondo livello. Accanto a questo tipo di quantificazione universale,

in cui la variabile x può assumere come valori solo oggetti, si può considerare una quantificazione universale ∀Fζ(F) con un argomento ζ(F), il cui valore è il Vero se il valore della funzione ζ(F) per ogni argomento è il

Vero, altrimenti è il Falso. Qui ζ(F) è una funzione di secondo livello perché i suoi argomenti F sono funzioni

di primo livello, mentre ∀Fζ(F) è una funzione di terzo livello. C) Dopo aver specificato le entità e i giudizi, Frege passa a formulare gli assiomi e le regole di inferenza del sistema. Gli assiomi sono i seguenti, che vengono qui dati secondo la numerazione di Frege.

(I) ζ→(ξ→ζ) Questo assioma si giustifica in base alla definizione dell’implicazione, secondo cui esso potrebbe essere il Falso

solo se ζ fosse il Vero e ξ→ζ il Falso. Ma ciò è impossibile perché, se ζ è il Vero, anche ξ→ζ sarà il Vero.

(IIa) ∀xζ(x)→ζ(a), per qualsiasi oggetto a. Questo assioma si giustifica in base alla definizione della quantificazione universale, secondo cui esso potrebbe

essere il Falso solo se ∀xζ(x) fosse il Vero e ζ(a) il Falso. Ma ciò è impossibile perché, se ∀xζ(x) è il Vero,

allora il valore della funzione ζ(x) è anch’esso il Vero per ogni argomento, e quindi in particolare anche per l’argomento a.

(IIb) ∀Fζ(F)→ζ(G), per qualsiasi funzione del primo livello G. Questo assioma è un’estensione dell’assioma (IIa) al secondo livello. L’assioma esprime che “ciò che vale per ogni funzione di primo livello con un argomento vale anche per una qualsiasi”.

135 La sua giustificazione è

analoga a quella dell’assioma (IIa).

(III) g(x=y)→g(∀F(F(x)→ F(y))). Il significato di questo assioma risulta più chiaro considerando qualche caso particolare. Un primo caso interessante si ottiene prendendo come g l’affermazione, cioè la funzione con un solo argomento in base a cui

ogni valore di verità viene trasformato in sé stesso. Con questa scelta di g l’assioma diventa x=y→∀F(F(x)→F(y)), che esprime che, se due oggetti, x e y, sono eguali tra loro, allora y cade sotto ogni concetto sotto cui cade x. Un altro caso interessante si ottiene prendendo come g la negazione. Con questa scelta di g l’assioma diventa

¬(x=y)→¬∀F(F(x)→F(y)), che esprime che, se due oggetti, x e y, sono diversi tra loro, allora y non cade sotto ogni concetto sotto cui cade x. Questo è il principio degli indiscernibili di Leibniz, secondo cui “le cose

131

G. Frege, op. cit., p. 10; qui a p. . 132

Per semplicità qui e in seguito adoperiamo, per la negazione, l’implicazione e la quantificazione universale, invece delle notazioni originarie di Frege, quelle usate oggi più comunemente. 133

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 20; qui a p. . 134

G. Frege, op. cit., p. 12; qui a p. . 135

G. Frege, op. cit., p. 42; qui a p. .

Page 16: FREGE_TEKNOS

16

che sono diverse devono differenziarsi in qualche maniera, o avere in sé qualche diversità determinabile”.136

Si

noti che il principio degli indiscernibili esprime l’inverso dell’implicazione precedente, x=y→∀F(F(x)→F(y)),

perché si ottiene da ∀F(F(x)→F(y))→x=y per contrapposizione. L’assioma (III) si giustifica in base alle seguenti considerazioni. Se x=y è il Vero, allora x è lo stesso di y, quindi y cadrà sotto ogni concetto sotto cui

cade x, dunque ∀F(F(x)→F(y)) sarà il Vero. Se x=y è il Falso, allora y è diverso da x, quindi y non cade sotto

ogni concetto sotto cui cade x, dunque ∀F(F(x)→F(y)) sarà il Falso. Siccome, in tutti i casi possibili, x=y e ∀F(F(x)→F(y)) assumono lo stesso valore di verità, ne segue che anche g(x=y) e g(∀F(F(x)→ F(y)))

assumeranno lo stesso valore di verità, dunque g(x=y)→g(∀F(F(x)→ F(y))) sarà il Vero.

(IV) ¬(ζ=¬ξ)→(ζ=ξ).

Questo assioma si giustifica perché esso potrebbe essere il Falso solo se sia ζ=¬ξ che ζ=ξ fossero il Falso,

cioè solo se ζ non fosse eguale né a ξ né a ¬ξ. Ma ξ e ¬ξ sono entrambi valori di verità e sono sempre diversi

tra loro, quindi, poiché anche ζ è un valore di verità, esso deve sempre essere eguale a ξ oppure a ¬ξ. Perciò,

se ζ non è eguale a ¬ξ, dovrà essere eguale a ξ.

(V) ( x,

ζ(x)= x,

ξ(x))=∀x(ζ(x)=ξ(x)).

Questo assioma si giustifica, secondo Frege, in base al fatto che x,

ζ(x)= x,

ξ(x) e ∀x(ζ(x)=ξ(x)) sono “dotate

dello stesso referente”.137

In un primo momento, anzi, egli afferma che esprimono “lo stesso senso, ma in un

altro modo”.138

Poi, nelle Leggi, omette di dire che hanno lo stesso senso, affermando solo che hanno lo stesso referente. Tuttavia “questa omissione può non essere significativa. Egli afferma che (V) è una legge logica e che la si ha ‘in mente, per esempio, quando si parla di estensioni di concetti’. L’omissione può semplicemente riflettere la consapevolezza che la legge proposta era potenzialmente controversa, in quanto dichiaratamente era meno ovvia delle altre. In considerazione delle obiezioni di Kerry, la pretesa dell’identità del senso può essere sembrata a Frege un inutile incitamento al dubbio. Tuttavia è sorprendente che nelle Leggi Frege rinunci a qualsiasi seria giustificazione della legge (V)”.

139

(VI) y=\ x,

(y=x). Questo assioma si giustifica in base alla considerazione che, per ogni oggetto fissato y, la funzione con un solo

argomento x espressa da y=x è un concetto sotto cui cade un unico oggetto, cioè y, perciò \ x,

(y=x) è y e quindi

y=\ x,

(y=x) è il Vero. Oltre agli assiomi (I)-(VI), il sistema contiene anche varie regole di inferenza, che sono di tre tipi: 1) regole di semplificazione, per esempio regole per amalgamare sottocomponenti identici o per eliminare

parentesi; 2) regole proposizionali, per esempio il Modus ponens: da ζ e ζ→ξ si può inferire ξ; 3) regole

quantificazionali, per esempio la Generalizzazione universale: da ζ(y) si può inferire ∀xζ(x). Le regole quantificazionali non sono formulate da Frege del tutto correttamente, e in generale le regole di inferenza del sistema delle Leggi sono un po’ farraginose, perciò ne omettiamo qui un esame dettagliato, anche perché l’aspetto critico del sistema non sono le regole di inferenza ma gli assiomi. Anche senza analizzare in dettaglio le regole di inferenza, è interessante notare che, riguardo al loro numero, le Leggi segnano un’inversione di tendenza rispetto all’Ideografia. In quest’ultima Frege aveva adottato numerosi assiomi proposizionali e pochissime regole di inferenza, mentre nelle Leggi egli usa pochissimi assiomi proposizionali e numerose regole di inferenza. Questo cambiamento viene giustificato da Frege in base alla considerazione che in tal modo si ottengono dimostrazioni più brevi. Egli dichiara di aver fatto un tacito uso della interscambiabilità dei sottocomponenti (condizioni) e della possibilità di fondere sottocomponenti identici, e di non aver ridotto i modi di inferire e di trarre conclusioni al minor numero

136

G.W. Leibniz, Die philosophischen Schriften, cit., II, 249. 137

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 7; qui a p. . 138

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 130. 139

T. Burge, ‘Frege on extensions of concepts, from 1884 to 1903’, The Philosophical Review, vol. 93 (1984), pp. 3-34.

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17

possibile, onde garantirsi “una maggiore libertà di movimento e per evitare eccessive lungaggini”.140

Chi conosca la sua Ideografia “sarà in grado di arguirne come anche qui si sarebbe potuto ottemperare ai requisiti più severi, ma che ciò avrebbe richiesto un considerevole aumento dello spazio disponibile”.

141 Dopo Frege,

considerazioni in parte simili indurranno Gentzen a proseguire su questa strada, eliminando del tutto gli assiomi e usando numerose regole di inferenza. Secondo Gentzen, in tal modo “nella maggior parte dei casi le derivazioni delle formule valide sono più brevi”.

142 E questo perché in esse solo raramente si hanno occorrenze

ripetute della stessa formula, mentre, nelle derivazioni dei sistemi basati su assiomi, “una stessa formula solitamente occorre diverse volte (come parte di altre formule)”.

143

In Frege è presente anche un’altra idea che verrà poi ripresa da Gentzen, cioè quella secondo cui, mediante le regole di inferenza del sistema delle Leggi, i passaggi delle dimostrazioni matematiche che non sono eseguiti sulla base di leggi logiche riconosciute e che sembrano basarsi su una conoscenza intuitiva, “sono scomposti in semplici passaggi logici”.

144 Questo, per Frege, costituisce un importante progresso perché “nel

passaggio a nuovi giudizi non ci si deve mai accontentare, come finora i matematici hanno fatto quasi sempre, che il passaggio appaia chiaramente giusto, bensì lo si deve scomporre nei passaggi logici semplici di cui è composto, che spesso non sono affatto pochi”.

145 Anche Gentzen, attraverso le sue regole di inferenza, cercherà

di scomporre le dimostrazioni matematiche in passaggi logici semplici, tanto semplici da non essere più ulteriormente analizzabili. Come osserva Prawitz, “sembra lecito affermare che una dimostrazione costruita mediante le inferenze atomiche di Gentzen è completamente analizzata, nel senso che difficilmente si può immaginare la possibilità di scomporre le sue inferenze atomiche in inferenze più semplici”.

146

4. La caduta delle Leggi La formulazione del sistema delle Leggi va incontro ad almeno due difficoltà, che riguardano entrambe la nozione di decorso di valori. 1) La prima difficoltà deriva dal fatto che i decorsi di valori sono introdotti nel sistema attraverso l’assioma (V), il quale non ci dice che cosa sono i decorsi di valori, non li determina univocamente, ma ci dice solo quando due funzioni hanno lo stesso decorso di valori. Che esso non determini univocamente i decorsi di valori ha come conseguenza che noi non possiamo “decidere se un oggetto che non ci viene dato come tale sia o no un decorso di valori, e a quale funzione esso appartenga, né possiamo in generale decidere se un dato decorso di valori abbia una data proprietà, a meno che non sappiamo che questa proprietà è connessa ad una proprietà della funzione corrispondente”.

147

Per vedere che l’assioma (V) non determina univocamente i decorsi di valori basta considerare una funzione g(x) che soddisfa le due seguenti condizioni:

(1) ∀x∀y((x=y)=(g(x)=g(y))), (2) ∀x¬ x=g(x).

Dall’assioma (V) e da (1) segue che ∀x(ζ(x)=ξ(x)), x,

ζ(x)= x,

ξ(x) e g( x,

ζ(x))=g( x,

ξ(x)) hanno tutte lo stesso

referente. Invece da (2) segue che ¬ x,

ζ(x)=g( x,

ζ(x)), cioè che il valore della funzione g(x) per il decorso di

valori x,

ζ(x) come argomento non è eguale a quel decorso di valori. Se ne conclude, allora, che il referente di

x,

ζ(x) non è determinato univocamente. Dunque il referente di un decorso di valori non è determinato

140

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p. . 141

G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. . 142

G. Gentzen, ‘Ricerche sulla deduzione logica’, in D. Cagnoni (a cura di), Teoria della dimostrazione, Milano (Feltrinelli) 1981, p. 91. 143

G. Gentzen, op. cit., p. 91. 144

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VII; qui a p. . 145

G. Frege, op. cit., p. 1; qui a p. . 146

D. Prawitz, ‘Idee e risultati nella teoria della dimostrazione’, in D. Cagnoni (a cura di), Teoria della dimostrazione, cit., p. 138. 147

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 16; qui a p. .

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18

univocamente se esiste una funzione “il cui valore per un decorso di valori come argomento non sia sempre eguale al decorso di valori stesso”.

148

Per risolvere il problema di determinare univocamente i decorsi di valori, la soluzione più ovvia sarebbe di darne una definizione esplicita, introducendo il decorso di valori di una funzione f(x) come una classe di coppie ordinate (x,y), dove y è il valore che la funzione f(x) assume per l’argomento x. Ma questo richiederebbe di spiegare che cosa sono le classi. Ora, secondo Frege esistono solo due concezioni delle classi, “che possiamo caratterizzare nel modo più chiaro con le espressioni ‘aggregato’ e ‘estensione del concetto’”.

149

La prima concezione è inadeguata, per cui si deve adottare la seconda. Una classe non può essere concepita come un aggregato perché quest’ultimo è una riunione in un tutto di oggetti del nostro pensiero. Infatti, in primo luogo, “un tutto, un sistema, viene sempre tenuto insieme di relazioni, che sono essenziali”.

150 Per esempio, “un

esercito è distrutto quando viene meno la sua coesione, anche se i singoli combattenti continuano a vivere. Al contrario, per la classe sono indifferenti le relazioni in cui stanno reciprocamente gli oggetti ad essa appartenenti”.

151 In secondo luogo, “dal fatto che sia dato un tutto, non è ancora determinato quali delle sue

parti siano da prendere in considerazione. Come parti di un reggimento posso considerare i battaglioni, le compagnie o i singoli soldati”.

152 Invece, quando “è data una classe, allora è determinato quali oggetti

appartengono ad essa. Alla classe dei numeri primi appartengono solo numeri primi, ma non la classe dei numeri primi della forma 4n+1; questa classe non è infatti un numero primo”.

153 Dunque, alla nozione di classe

come aggregato manca “la rigorosità che si deve sempre esigere in matematica”.154

Oltre a queste ragioni di ordine generale, vi sono due esempi che mostrano l’inadeguatezza del concepire le classi come aggregati. Il primo esempio è dato dalla classe vuota. Se si ammette, come è necessario, tale classe, allora “non è certamente possibile riguardare gli oggetti (individui, enti) che appartengono alla classe come ciò che la determina”.

155 Invece, la classe vuota non causa alcun problema se si

concepiscono le classi come estensioni di concetti, perché con tale concezione ciò che determina una classe “sono le note caratteristiche, cioè le proprietà di cui un oggetto deve godere per appartenere ad essa. Può allora accadere che queste proprietà si contraddicano l’una con l’altra oppure che non vi sia alcun oggetto che le riunisca in sé. La classe in tal caso è vuota, senza essere però per questo meno degna di considerazione dal punto di vista logico”.

156 Il secondo esempio è dato dalle classi infinite, che non possono essere concepite

come aggregati a causa della finitezza dell’intelletto umano, che non ci permette di riunire in un tutto infiniti oggetti del nostro pensiero. Invece le classi infinite non causano alcun problema se si concepiscono le classi come estensioni di concetti, per esempio “il numero che spetta al concetto ‘numero naturale finito’ è un numero infinito”.

157

A causa delle difficoltà a cui va incontro la concezione delle classi come aggregati, difficoltà che, invece, non sorgono concependole come estensioni di concetti, Frege ritiene che si debba adottare quest’ultima concezione. Ciò comporta immediatamente che non si possa definire il decorso di valori di una funzione come una classe di coppie ordinate. Infatti, sarebbe circolare definire i decorsi di valori come classi, cioè come estensioni di concetti, e nello stesso tempo definire le estensioni di concetti come decorsi di valori. Per questo motivo Frege tenta di dare una diversa soluzione al problema di determinare univocamente i decorsi di valori. Secondo lui, l’importante non è sapere che cosa sono i decorsi di valori, ma quali proprietà dei decorsi di valori sono necessarie per lo sviluppo del sistema delle Leggi. Ora, i decorsi di valori sono oggetti, ed essi, intanto svolgono un ruolo nel sistema, in quanto possono comparire come argomenti di funzioni. Perciò le proprietà dei decorsi di valori che occorre conoscere per lo sviluppo del sistema si riducono a una sola: quale valore assumono le funzioni del sistema quando prendono decorsi di valori come argomenti?

148

G. Frege, op. cit., p. 16; qui a p. . 149

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 301. 150

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194. 151

G. Frege, op. cit., p. 194. 152

G. Frege, op. cit., p. 194. 153

G. Frege, op. cit., p. 194. 154

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 302. 155

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 145. 156

G. Frege, op. cit., p. 145. 157

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 324.

Page 19: FREGE_TEKNOS

19

Basta, dunque, che per ogni funzione del sistema “venga determinato quali siano i suoi valori quando ha come argomenti decorsi di valori, come è determinato per tutti gli altri argomenti”.

158 Ora, tutte le funzioni del

sistema sono formate a partire da alcune funzioni base, le funzioni primitive del sistema, per cui ci si può limitare a considerare queste ultime. A loro volta, tutte le funzioni primitive del sistema si possono ridurre a una

sola, cioè all’eguaglianza. Dal momento che “così si è ricondotto tutto alla considerazione della funzione ξ=ζ,

domandiamoci quale valore essa abbia quando come argomento compare un decorso di valori”.159

Più in

generale domandiamoci quale valore di verità abbia l’eguaglianza ξ=ζ per ogni argomento possibile, ξ e ζ.

Ora, se entrambi gli argomenti, ξ e ζ, sono decorsi di valori, l’assioma (V) ci dice che l’eguaglianza ξ=ζ è il Vero se le funzioni corrispondenti a tali decorsi di valori hanno sempre lo stesso valore per lo stesso

argomento, e il Falso altrimenti. Se entrambi gli argomenti sono valori di verità, allora l’eguaglianza ξ=ζ è il

Vero se ξ e ζ sono lo stesso valore di verità, mentre è il Falso altrimenti. Se uno degli argomenti, per esempio ξ

, è un decorso di valori, diciamo x,

ρ(x), mentre l’altro non lo è, allora l’eguaglianza ξ=ζ ha la forma x,

ρ(x)=ζ

dove ζ non è un decorso di valori. Questo caso può essere trattato facilmente osservando che nel sistema

compaiono “come oggetti solo i valori di verità e i decorsi di valori”.160

Perciò si può supporre che ζ sia un valore di verità. Ma si possono sempre identificare i valori di verità, il Vero e il Falso, con due decorsi di valori distinti qualsiasi, cioè “è sempre possibile stipulare che un decorso di valori arbitrario sia il Vero, e che un altro

arbitrario decorso di valori sia il Falso”.161

Quindi l’eguaglianza x,

ρ(x)=ζ si riduce alla forma x,

ρ(x)= x,

σ(x), e così si ritorna al caso i cui entrambi gli argomenti sono decorsi di valori. Tale caso, come si è già detto, è

trattato dall’assioma (V), in base al quale x,

ρ(x)= x,

σ(x) è il Vero se ∀x(ρ(x)= σ(x)) è il Vero, e il Falso altrimenti. Frege sostiene che in questo modo “abbiamo determinato i decorsi di valori nel modo più ampio che qui sia possibile”.

162 Ma è davvero così? La risposta è negativa perché, per determinare quale sia il valore

dell’eguaglianza quando uno dei suoi due argomenti è un decorso di valori, Frege fa uso dell’assioma (V). Ora, come come vedremo tra poco, l’assioma (V) sta all’origine del paradosso di Russell. Ma, anche indipendentemente dal paradosso di Russell, la soluzione di Frege appare comunque insoddisfacente. Essa si basa su un principio assunto in un primo momento da Frege, il cosiddetto principio del

contesto, secondo cui “le parole significano qualcosa soltanto entro il contesto di una proposizione”.163

Il principio assicura che le proprietà dei decorsi di valori che sono necessarie per lo sviluppo del sistema sono quelle espresse dalle proposizioni del sistema in cui occorrono decorsi di valori. Ora, in tali proposizioni i decorsi di valori possono comparire solo come argomenti di funzioni, per cui l’unica loro proprietà che occorre conoscere è quale valore assumano le funzioni del sistema quando prendono decorsi di valori come argomenti. Ma, nel caso dei decorsi di valori, il principio del contesto confligge radicalmente con le ragioni del disegno logicista di Frege. Quest’ultimo esige che, per eliminare tutti i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, i principi logici debbano essere assolutamente sicuri e certi, e perciò che le proprietà degli oggetti logici debbano essere assolutamente chiare e trasparenti. Gli oggetti logici devono presentarsi a noi “come oggetti che sono dati direttamente alla nostra ragione, oggetti che essa può scrutare fin nelle più profonde intimità, poiché le appartengono integralmente”.

164 Ma il principio del contesto non assicura che l’assioma (V)

determini univocamente i decorsi di valori, bensì solo che esso sia sufficiente per determinare quell’unica loro proprietà che è necessaria per lo sviluppo del sistema. Tutte le altre proprietà rimangono indeterminate, per cui non si può affatto dire che i decorsi di valori, in quanto oggetti logici, siano oggetti che la ragione può scrutare fin nelle più profonde intimità perché le appartengono integralmente.

158

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 16; qui a p. . 159

G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p. . 160

G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p. . 161

G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p. . 162

G. Frege, op. cit., p. 18; qui a p. . 163

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 299. 164

G. Frege, op. cit., p. 344.

Page 20: FREGE_TEKNOS

20

Il fatto che molte proprietà dei decorsi di valori rimangano indeterminate, mentre tutte le proprietà degli oggetti dati direttamente alla ragione sono completamente determinate, significa che ci devono essere proprietà dei decorsi di valori che non sono date direttamente alla ragione, e che quindi quest’ultima da sola non può afferrare. Verosimilmente considerazioni del genere stanno all’origine dell’accentuata tendenza di Frege, a partire dalle Leggi, a considerare le proprietà degli oggetti logici come indipendenti dal nostro riconoscerle come tali: se l’assioma (V) permette di determinare solo alcune proprietà dei decorsi di valori, mentre molte altre rimangono indeterminate perché la ragione da sola non può afferrarle, allora è naturale concluderne che le proprietà dei decorsi di valori non dipendono dalla nostra ragione. Tali proprietà, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerle come tali, ma sono anche del tutto indipendenti dal nostro pensarle. Esse sussistono “già da prima e non solo dal momento della loro scoperta”.

165 In effetti, esse “sono atemporali

e aspaziali nella loro essenza”.166

2) La seconda difficoltà relativa ai decorsi di valori è data dal paradosso di Russell. Per rendersi conto di come esso sorga nel sistema, osserviamo che è facile vedere che l’assioma (V) è equivalente al cosiddetto principio di comprensione:

∀y(f(y)=y∈ x,

f(x)),

dove ∈ indica l’appartenenza, e in particolare y∈ x,

f(x) esprime: y appartiene al decorso di valori x,

f(x). Tale

principio asserisce che, per ogni funzione f(x), esiste un oggetto, cioè x,

f(x), che è il decorso di valori di quella funzione. In particolare, per ogni concetto, esiste un oggetto che è l’estensione di quel concetto. Prendiamo

allora nel principio di comprensione il concetto ¬x∈x come f(x). Si ottiene

∀y(¬y∈y=y∈( x,

¬x∈x)),

da cui in particolare, prendendo x,

¬x∈x come y, segue

¬( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x)=( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x), che è una contraddizione. Più informalmente, la contraddizione si ottiene nel modo seguente. Come sopra, nel principio di

comprensione prendiamo ¬x∈x come f(x). Consideriamo il concetto y∈( x,

¬x∈x), con argomento y. Ora, per ogni concetto è determinato quale sia il suo valore di verità per ogni argomento, quindi dev’essere determinato

quale sia il valore di verità del concetto y∈( x,

¬x∈x) quando si prende x,

¬x∈x come argomento y. Dunque

( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x) dev’essere un valore di verità, e quindi il Vero o il Falso. Se ( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x) è il

Vero, allora per il principio di comprensione si ottiene ¬( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x). Se ( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x) è il

Falso, allora ¬( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x), dunque di nuovo per il principio di comprensione si ottiene ( x,

¬x∈x)∈

( x,

¬x∈x). In entrambi i casi dall’ipotesi segue la sua negazione, e quindi si ha una contraddizione. Analizzando il paradosso di Russell, si vede che esso trae origine da due diversi fattori: A) il principio

di comprensione, il quale permette di formare, a partire dal concetto ¬x∈x, un oggetto corrispondente, cioè la

sua estensione x,

¬x∈x; B) l’assunzione che, per ogni concetto del sistema, debba essere determinato quale sia

il suo valore di verità per ogni argomento, il che permette di affermare che, per il concetto y∈( x,

¬x∈x),

dev’essere determinato quale sia il suo valore di verità quando si prende x,

¬x∈x come argomento y. Perciò, per evitare il paradosso di Russell, si deve abbandonare o il principo A) oppure l’assunzione B). Ora, abbandonare l’assunzione B) significherebbe rinunciare al principio del terzo escluso, perché è a causa di tale principio che per ogni concetto del sistema è determinato quale sia il suo valore di verità per ogni argomento. In effetti il principio del terzo escluso è dimostrabile nel sistema, e di esso si fa uso per concludere

165

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 240. 166

G. Frege, op. cit., p. 242.

Page 21: FREGE_TEKNOS

21

che ¬( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x)=( x,

¬x∈x)∈( x,

¬x∈x) è una contraddizione. Ma rinunciare al principio del terzo escluso contraddice l’idea di Frege che “il concetto deve essere nettamente delimitato; di ogni concetto deve valere che o cade o non cade sotto quel concetto. Non può darsi indeterminatezza”.

167 Il principio del terzo

escluso esprime, appunto, “l’esigenza che il concetto sia rigorosamente delimitato. Un qualunque oggetto ∆ cade sotto un concetto oppure non cade sotto di esso: tertium non datur”.

168 Inoltre, se il principio del terzo

escluso non valesse per i concetti quando si prende una classe x,

¬x∈x come argomento, allora si dovrebbero

considerare “le classi - e anzi i decorsi di valori in generale - come oggetti impropri”.169

Le classi non potrebbero comparire come argomenti di tutte le funzioni. Ma sembra “oltremodo difficile stabilire un completo sistema di leggi mediante le quali poter decidere in generale quali oggetti sarebbe lecito assumere come argomenti di quali funzioni”.

170

Per questo motivo, invece di abbandonare l’assunzione B), Frege preferisce abbandonare il principio A), rinunciando ad assumere che, per ogni concetto, esista un oggetto corrispondente, cioè la sua estensione. Questa soluzione richiede di “riconoscere le estensioni concettuali o classi come oggetti nel vero e pieno significato di questa parola, concedendo però nello stesso tempo che la concezione finora accettata dell’espressione ‘estensione di un concetto’ debba essere sottoposta a revisione”.

171 Abbandonando

l’assunzione B), Frege dà implicitamente ragione a Cantor che, recensendo I fondamenti dell’aritmetica, lo aveva criticato osservando che non per ogni concetto esiste un oggetto corrispondente, cioè la sua estensione, dal momento che “l’estensione di un concetto è determinata quantitativamente solo in certi casi; infatti è vero che, ove sia finita, le spetta un numero determinato; ma d’altra parte per una tale determinazione il concetto ‘numero’ dev’essere già dato”.

172 A questa critica Frege aveva risposto accusando Cantor di non aver capito la

sua definizione di numero di un concetto. La critica di Cantor sarebbe stata pertinente se la sua definizione avesse implicato che il numero delle lune di Giove era l’estensione del concetto ‘luna di Giove’, ma essa implicava invece che il numero delle lune di Giove era l’estensione del concetto ‘equinumeroso col concetto ‘luna di Giove’’, dunque in essa non interveniva affatto la “determinazione quantitativa dell’estensione del concetto”.

173 Così Frege non aveva colto l’avvertimento di Cantor che non per ogni concetto esiste un oggetto

corrispondente, avvertimento che, se raccolto, avrebbe potuto evitargli di andare incontro al paradosso di Russell. Ora, con la scoperta del paradosso, egli può vedere a sue spese la fondatezza di quell’avvertimento. Poiché il principio di comprensione è equivalente all’assioma (V), abbandonare il principio A) significherebbe abbandonare tale assioma. Per giustificare questa soluzione, Frege cerca di accreditare l’idea di aver sempre nutrito forti dubbi sull’assioma (V). Questo, però, non appare molto plausibile dal momento che, prima della scoperta del paradosso di Russell, egli affermava, a proposito del suo sistema: “Come confutazione riconoscerei solo che qualcuno mi mostrasse con i fatti che un edificio migliore e più duraturo possa essere costruito sopra convinzioni fondamentali diverse, oppure che qualcuno mi mostri che i miei principi conducono a conseguenze palesemente false. Ma ciò non riuscirà a nessuno”.

174 Invece proprio questo sarebbe riuscito a

Russell. È vero che in quella fase Frege dichiarava che, per quanto gli era dato di vedere, avrebbero potuto sorgere dubbi solo sulla sua “legge fondamentale sul decorso di valori (V)”.

175 Ma con questo non intendeva

dire di dubitare che (V) fosse una legge logica, ma solo che, se qualcuno avesse voluto contestare i suoi assiomi, la contestazione avrebbe potuto riguardare al massimo la sua legge fondamentale (V), perché questa forse non era “stata ancora espressamente enunciata dai logici, sebbene la si abbia in mente, per esempio, quando si parla di estensioni di concetti”.

176 Del resto che, prima della scoperta del paradosso di Russell, Frege

non dubitasse della legge fondamentale (V), e addirittura la ritenesse una legge logica, risulta da una sua 167

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 380. 168

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 69; trad. it. cit., p. 501. 169

G. Frege, op. cit., p. 254; trad. it., cit., p. 576. 170

G. Frege, op. cit., p. 255; trad. it., cit., p. 577. 171

G. Frege, op. cit., pp. 255-256; trad. it., cit., p. 578. 172

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 112. 173

G. Frege, op. cit., p. 112. 174

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. XXVI; qui a p. . 175

G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p. . 176

G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p. .

Page 22: FREGE_TEKNOS

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esplicita dichiarazione: “Io la ritengo puramente logica”.177

Già precedentemente egli aveva affermato: “Che ora sia possibile concepire la generalità di un’eguaglianza tra valori di funzioni come un’eguaglianza, e cioè come un’eguaglianza tra decorsi di valori, a mio avviso non è dimostrabile, ma dev’essere riconosciuto come una legge logica fondamentale”.

178 La ragione per cui, per Frege, l’assioma (V) era una legge logica era, come

abbiamo visto, che secondo lui ∀x(ζ(x)=ξ(x)) e x,

ζ(x)= x,

ξ(x) avevano lo stesso referente. Dopo la scoperta del paradosso di Russell, Frege cambia un po’ le carte in tavola dichiarando, circa l’assioma (V), di non essersi mai “nascosto che esso non è così evidente come tutti gli altri e come propriamente si deve esigere da una legge logica”.

179 E aggiunge: “Infatti ho accennato a questa debolezza anche a pagina

VII della prefazione al primo volume”.180

Ma a pagina VII, subito dopo l’affermazione che una eventuale contestazione degli assiomi del sistema avrebbe potuto riguardare solo la legge fondamentale (V) perché questa non era stata ancora espressamente enunciata dai logici, si trova solo la dichiarazione che Frege considera (V) una legge puramente logica. Per trovare una via di uscita al paradosso, Frege cerca di trarre il massimo di indicazioni possibili dall’assioma (V). Ora, tale assioma è la congiunzione di due implicazioni. La prima, cioè

(Va) ∀x(ζ(x)=ξ(x))→( x,

ζ(x)= x,

ξ(x)), esprime che, se due funzioni hanno sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, allora hanno anche lo stesso decorso di valori. La seconda, cioè

(Vb) ( x,

ζ(x)= x,

ξ(x)) →∀x(ζ(x)=ξ(x)), viceversa esprime che, se due funzioni hanno lo stesso decorso di valori, allora hanno anche sempre lo stesso valore per lo stesso argomento. In un primo momento Frege pensa che la responsabilità del paradosso debba attribuirsi a (Va), cioè “che non sempre sia permessa la trasformazione della generalità di un’eguaglianza in un’eguaglianza di decorsi di valori”.

181 Ma successivamente egli si convince che tale responsabilità vada

ricercata in (Vb). Per lui ora “l’errore può trovarsi solo nella nostra legge (Vb), che quindi dev’essere falsa”.182

Anzi egli dimostra che (Vb) è realmente la causa dell’errore, e perciò ne conclude che “nulla impedisce la trasformazione della generalità di un’eguaglianza in un’eguaglianza di decorsi di valori; solo la trasformazione inversa è da riguardare come non sempre lecita”.

183

Avendo individuato l’origine del paradosso di Russell in (Vb), Frege cerca di escogitare una via di uscita e crede di trovarla nei due assiomi seguenti, che dovrebbero prendere il posto di (Vb):

(V’b) ( x,

ζ(x)= x,

ξ(x))→∀y(¬y= x,

ζ(x)→(ζ(y)=ξ(y)))

(V”b) ( x,

ζ(x)= x,

ξ(x))→∀y(¬y= x,

ξ(x)→(ζ(y)=ξ(y)))

Qui (V’b) esprime che, se due funzioni ζ(x) e ξ(x) hanno lo stesso decorso di valori, allora esse hanno anche

sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, tranne quando l’argomento sia il decorso di valori di ζ(x).

Analogamente (V”b) esprime che, se due funzioni ζ(x) e ξ(x) hanno lo stesso decorso di valori, allora esse hanno anche sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, tranne quando l’argomento sia il decorso di valori

di ξ(x). Frege non sembra nutrire dubbi sul fatto che in tal modo si evitino i paradossi, perché afferma che, sostituendo (Vb) con (V’b) e (V”b), “non sorge alcuna contraddizione”.

184 Quest’affermazione è corretta se

viene intesa nel senso che, con questa modifica del sistema, non sorge il paradosso di Russell, ma non lo è in assoluto perché, anche se la sostituzione blocca il paradosso di Russell, essa non impedisce il sorgere di una nuova contraddizione. Infatti, usando (V’b) e (V”b), nel sistema risultante si può dimostrare che esiste al

177

G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p. . 178

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 130. 179

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 253; trad. it. cit., p. 575. 180

G. Frege, op. cit., p. 253; trad. it., cit., p. 575. 181

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 185. 182

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 257; trad. it. cit., p. 581. 183

G. Frege, op. cit., p. 257; trad. it., cit., p. 582. 184

G. Frege, op. cit., p. 265; trad. it., cit., p. 593.

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massimo un oggetto. D’altra parte nel sistema si può anche dimostrare che i due valori di verità, il Vero e il Falso, sono distinti tra loro, e quindi esistono almeno due oggetti. Si ha così una contraddizione.

185 Dunque la

soluzione di Frege del paradosso di Russell non offre una reale via di uscita.

5. Le nuove tavole della legge Sebbene non vi sia alcuna prova che Frege sia mai stato consapevole della possibilità di derivare una nuova contraddizione nel suo sistema modificato sostituendo (Vb) con (V’b) e (V”b), ciò nonostante egli non dev’essere stato molto soddisfatto della sua soluzione se, col passare degli anni, finì per abbandonarla. La ragione di ciò sta probabilmente nel fatto che, ovviamente, egli si preoccupava che, bloccando il paradosso di Russell, non venisse impedita nel sistema la dimostrazione di risultati matematici già noti. Per verificarlo si sarebbe reso “necessario un controllo su tutte le proposizioni fin qui trovate”.

186

Ora, anche da un primo rapido esame appare evidente che, nel sistema risultante dalla sostituzione di (Vb) con (V’b) e (V”b), non si può più dimostrare che ogni numero naturale ha un successore. Per la sua elementarità e importanza nell’aritmetica dei numeri naturali, è verosimile che questa proprietà sia stata una delle prime di cui Frege abbia controllato la dimostrabilità nel sistema, e perciò “è probabile che Frege si sia reso conto molto rapidamente dell’inutilità della sua soluzione”.

187 Questo deve averlo indotto ad

abbandonarla. Naturalmente, che nel sistema non si possa dimostrare che ogni numero naturale ha un successore, va inteso nel senso: non lo si può dimostrare senza far uso del fatto che il sistema è incoerente. Infatti, poiché il sistema è incoerente, in esso si può dimostrare qualsiasi cosa. Ma Frege non sapeva che il suo sistema fosse incoerente, né ovviamente sarebbe stato soddisfatto che qualcosa fosse dimostrabile nel sistema solo in virtù della sua incoerenza. La dimostrabilità nel sistema di una proprietà dei numeri naturali così fondamentale come quella che ogni numero naturale ha un successore, ovviamente era essenziale per il programma di Frege di fondare l’analisi infinitesimale sulla logica: un sistema in cui non fosse stata dimostrabile una proprietà così elementare non sarebbe stato idoneo per una tale fondazione. È ragionevole supporre che, essendosi reso conto che la sua soluzione del paradosso di Russell non permetteva di dimostrare la proprietà in questione, e quindi di realizzare il suo disegno logicista, e non riuscendo a trovare una soluzione alternativa, alla fine egli si sia convinto che non esistevano altre soluzioni e che il disegno logicista era irrealizzabile. Questa conclusione deve aver trovato conforto in altri tentativi contemporanei di fondazione della matematica, come la teoria dei tipi di Russell (1908) o la teoria assiomatica degli insiemi di Zermelo (1908), che sebbene evitassero i paradossi noti e permettessero di dimostrare tutti i risultati della matematica esistente, tuttavia richiedevano l’uso di assiomi non logici e quindi, dal punto di vista di Frege, erano inaccettabili.

188

Tali tentativi si basavano su una concezione ‘genetica’ degli insiemi che era “aliena a Frege”.189

Questi tentativi gli ricordavano che anche la sua soluzione, oltre ad andare incontro alla difficoltà già ricordata sul successore, sotto questo aspetto non era priva di pecche. Infatti, mentre l’assioma (V), secondo Frege, era giustificato dal punto di vista della sua teoria del significato, egli non poteva dire altrettanto per i nuovi assiomi (V’b) e (V”b). La loro giustificazione non si basava sulla sua teoria del significato, ma solo sulla considerazione pragmatica che essi permettevano di evitare il paradosso di Russell. Sia (V’b) che (V”b) si limitavano a

introdurre eccezioni nei casi y= x,

ζ(x) e y= x,

ξ(x), rispettivamente, ma chiaramente si trattava di una soluzione

185

Cfr. B. Sobocinski, ‘L’analyse de l’antinomie russellienne par Lesniewski’, Methodos, vol. 1 (1949), pp. 94-107, 220-228, 308-316; W.V. Quine, ‘On Frege’s way out’, Mind, vol. 64 (1955), pp. 145-159; P.T. Geach, ‘On Frege’s way out’, Mind, vol. 65 (1956), pp. 408-409. 186

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 265; trad. it. cit., p. 594. 187

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. xli. 188

Per una presentazione di questi sistemi, oltre che per una riformulazione molto modernizzata del sistema di Frege, si rimanda, ad esempio, a W.S. Hatcher, Fondamenti della matematica, Torino (Boringhieri) 1973. 189

C. Parsons, ‘Some remarks on Frege’s conception of extensione’, in M. Schirn (ed.), Studien zu Frege I. Logik und Philosophie der Mathematik, Stuttgart-Bad Cannstatt (Frommann-Holzboog) 1976, p. 277.

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ad hoc. Se qualche pianeta non avesse soddisfatto le leggi della meccanica newtoniana, sarebbe stato illusorio risolvere la difficoltà dicendo che le leggi della meccanica valevano per tutti i corpi celesti tranne che per quel pianeta: eppure, questo è esattamente quanto facevano (V’b) e (V”b). Il carattere ad hoc della soluzione ripropone a Frege la questione: “Come intendiamo gli oggetti logici, in particolare i numeri? A che titolo siamo autorizzati a riconoscere i numeri come oggetti?”

190 A ciò Frege non sa dare una risposta soddisfacente, anche

se è convinto di essere sulla buona strada: “Anche se la soluzione di questo problema non è così avanzata come io pensavo nel comporre questo volume, non dubito tuttavia che sia stata trovata la via per giungere ad essa”.

191

Più in generale, il fatto che Frege debba ricorrere a una soluzione ad hoc, mostra che egli non è riuscito ad individuare una soluzione del paradosso di Russell basata su principi radicalmente nuovi e alternativi rispetto all’assioma (V). Egli continua a non vedere come l’aritmetica possa essere fondata sulla sola logica, e come i numeri possano essere compresi e trattati come oggetti logici, se non è “permesso - almeno in modo condizionale - passare da un concetto alla sua estensione”.

192 In una lettera a Russell egli così esprime la sua

angustia: “Qui si tratta della domanda: come concepiamo oggetti logici? e io non ho trovato altra risposta che questa: li concepiamo come estensioni di concetti, o più in generale come decorsi di valori di funzioni. Non ho mai negato che ciò comporti difficoltà, che sono ancora aumentate dalla Sua scoperta della contraddizione; ma quale altra via ci può essere?”.

193

Di fronte all’accumularsi di queste difficoltà che sollevano pesanti dubbi sul disegno logicista, Frege si dibatte a lungo e cerca di resistere, ma alla fine è costretto ad arrendersi all’evidenza e si risolve ad abbandonare tale disegno. Con lucidità e coraggio egli riconosce che tutti i suoi “sforzi di far chiarezza sulle questioni che circondano la parola ‘numero’, i singoli numerali e i segni numerici, sono terminati, a quanto pare, in un completo insuccesso”.

194 Il progetto di fondare l’analisi infinitesimale sulla logica è fallito. Questo

non significa che Frege rinunci ad assegnare alla logica un ruolo nella matematica, ma egli abbandona la pretesa che gli assiomi del sistema possano essere, oltre che, come voleva Proclo, verità autoevidenti, anche verità logiche. La logica rimane per lui solo come un’istanza di igiene dimostrativa, cioè come l’esigenza che tutte le proposizioni di un sistema matematico debbano essere dedotte dagli assiomi solo mediante inferenze logiche, senza far appello a considerazioni intuitive. L’insuccesso degli sforzi di Frege richiede che il sistema delle Leggi venga abbandonato, perché, se il sistema “accettato fino ad ora si mostra insufficiente, va demolito e sostituito con un nuovo edificio”.

195

Abbandonarlo, per Frege, significa non basarsi più sulla sua teoria del significato. Questa, infatti, lo ha indotto

ad assumere che ∀x(ζ(x)=ξ(x)) e x,

ζ(x)= x,

ξ(x) abbiano lo stesso referente, e quindi che (V) sia una legge logica. Questo comporta che, per ogni concetto, debba esistere un oggetto corrispondente, cioè la sua estensione, ma il paradosso di Russell dimostra che “questa trasformazione di un concetto in un oggetto è inammissibile”.

196 L’analisi dei significati è tanto più insidiosa in quanto “l’espressione ‘l’estensione del

concetto F ’ sembra essere del tutto naturale a causa del suo impiego molteplice”.197

L’articolo determinativo ingenera l’impressione che con questa espressione si stia designando un oggetto, mentre invece non v’è alcun oggetto che possa essere così designato, e “di qui sono nati i paradossi della teoria degli insiemi, che hanno annientato quella teoria”.

198 Lo stesso Frege è stato indotto in tale errore: “Io stesso, nel tentativo di fondare

logicamente i numeri, sono stato vittima di quest’inganno col voler concepire i numeri come insiemi”.199

Ciò

190

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 265; trad. it. cit., p. 594. 191

G. Frege, op. cit., p. 265; trad. it., cit., p. 594. 192

G. Frege, op. cit., p. 253; trad. it., cit., p. 575. 193

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194. 194

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 411. 195

G. Frege, op. cit., p. 429. 196

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 68. 197

G. Frege, op. cit., p. 70. 198

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 416. 199

G. Frege, op. cit., p. 416.

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25

mostra “quanto sia facile impantanarsi: il che purtroppo è capitato anche a me”.200

E così accadde che, dopo il

completamento delle Leggi, gli “crollò l’intero edificio”.201

Non vedendo come sottrarsi alle insidie dell’analisi dei significati, Frege decide di battere una strada completamente differente. La sua teoria del significato era solo un mezzo rispetto al fine di assicurare la sicurezza e certezza della matematica, ed egli la abbandona non appena individua un altro mezzo. Questo mostra quanto fuorviante sia l’interpretazione di Dummett secondo cui per Frege il compito primario della filosofia sarebbe l’analisi dei significati. Nel suo nuovo tentativo di fondazione Frege deve dare una risposta alla domanda: se non si può fondare l’analisi infinitesimale sulla logica, su che cosa la si può fondare? La risposta a cui, dopo lunga meditazione, egli approda è: sull’intuizione a priori dello spazio, su quella stessa intuizione a priori dello spazio che egli precedentemente aveva ritenuto inadatta a tale scopo. Questo è il nuovo mezzo a cui egli ora intende ricorrere in sostituzione della sua teoria del significato. In base a quest’ultima egli aveva ritenuto che da un concetto si potesse passare a un oggetto (la sua estensione), e che quindi la ‘fonte conoscitiva logica’ potesse darci degli oggetti, ma il paradosso di Russell gli ha insegnato che “attraverso questa fonte conoscitiva soltanto non ci è dato alcun oggetto”.

202 La fonte conoscitiva logica in particolare non

ci dà alcun numero, ci dà solo concetti. Con i concetti che essa ci fornisce, “non abbiamo i numeri dell’aritmetica, non abbiamo oggetti, ma concetti. Come è possibile pervenire in maniera ineccepibile da quei concetti ai numeri dell’aritmetica? O forse che i numeri dell’aritmetica non ci sono affatto?” 203

No, i numeri dell’aritmetica ci sono, ma non ci vengono dati dalla fonte conoscitiva logica, bensì da un’altra fonte conoscitiva, l’intuizione a priori dello spazio. Il richiamo a quest’ultima non costituisce una novità per Frege, perché compare già nella sua dissertazione di dottorato a Göttingen del 1873, nella quale egli afferma che la geometria si fonda “su assiomi che derivano la loro validità dalla natura della nostra facoltà di intuizione”.

204 All’inizio, invece, questa gli era

sembrata una base insufficiente per l’aritmetica. Già nella sua dissertazione per la libera docenza a Jena del 1874 egli dichiarava che, “poiché l’oggetto dell’aritmetica non ha alcuna intuitività, i suoi principi non possono derivare dall’intuizione”.

205 E, a maggior ragione, l’intuizione gli sembrava incapace di fondare l’infinito. Ora,

invece, la sua posizione cambia totalmente. Egli sostiene che, nel fondare l’aritmetica, poiché “la fonte conoscitiva logica da sola non ci può fornire presumibilmente alcun numero, siamo rinviati alla fonte conoscitiva geometrica”.

206 E, analogamente, laddove riconosciamo l’infinito a pieno titolo, “abbiamo bisogno

di una fonte conoscitiva speciale, e tale è appunto quella geometrica”.207

Infatti, “dalla fonte della conoscenza

geometrica sgorga anche l’infinito nel senso proprio e rigoroso del termine”.208

Questo perché “ogni segmento

di una retta, ogni circonferenza, contiene infiniti punti, e per ogni punto passano infinite rette”.209

La finalità di Frege rimane sempre la stessa: confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, fondandola su principi assolutamente sicuri e certi. Quello che cambia è il fondamento: non più la logica, ma l’intuizione a priori dello spazio. Per lui ora “aritmetica e geometria, e quindi l’intera matematica nel suo complesso, scaturiscono da un’unica fonte conoscitiva, ossia la fonte geometrica, che assurge così al rango di fonte conoscitiva matematica per eccellenza, in cui è sempre implicitamente compresa, naturalmente, la fonte conoscitiva logica”.

210 La sua precedente netta distinzione tra la geometria e il resto della matematica

scompare, aritmetica e geometria diventano un tutto omogeneo, crescono “dallo stesso terreno e, precisamente,

200

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., 70. 201

G. Frege, op. cit., p. 70. 202

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 428. 203

G. Frege, op. cit., p. 402. 204

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 1. 205

G. Frege, op. cit., p. 50. 206

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 428. 207

G. Frege, op. cit. p. 422. 208

G. Frege, op. cit., p. 421. 209

G. Frege, op. cit., p. 421. 210

G. Frege, op. cit., p. 428.

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dal terreno della geometria, così che tutta l’aritmetica è, propriamente, geometria. La matematica appare così fortemente unitaria nella sua essenza”.

211

Nel suo nuovo tentativo di fondazione della matematica, Frege non costruisce il campo dei numeri “prendendo le mosse dai numeri interi positivi”.

212 Egli, invece, si dirige “direttamente alla meta finale, ossia ai

numeri complessi”.213

Frege, infatti, vuole definire direttamente l’intero sistema dei numeri complessi, che include come sottoinsiemi i numeri reali e i numeri naturali. Alla base del suo nuovo tentativo sta l’osservazione di Gauss secondo cui, se si fanno corrispondere a “segmenti orientati nel piano di base numeri complessi, il rapporto di due segmenti dà come risultato un numero complesso, indipendentemente dal segmento scelto come segmento-unità”.

214 Ispirandosi a questa osservazione di Gausss, Frege si propone di chiamare “numero il

rapporto di due segmenti, includendovi così automaticamente i numeri complessi”.215

I numeri complessi, quindi, verranno introdotti come rapporti di segmenti in un dato piano, detto piano di base. Per far ciò Frege introduce un nuovo sistema che dovrà prendere il posto di quello delle Leggi. Le nozioni fondamentali del sistema sono i concetti di punto, retta e piano e la relazione che “è espressa dal seguente enunciato: Il punto A è simmetrico al punto B rispetto alla retta G ”.

216 Usando queste nozioni, Frege

definisce la relazione: ‘Il triangolo MAB è simile al triangolo PQR’. In termini di tale relazione, egli introduce la definizione: “Se O è l’origine e A è il punto terminale (nel piano di base), e il triangolo OAC è simile al triangolo PQR allora dico che: Il punto C corrisponde al rapporto PQ : PR”.

217 Qui per origine e punto

terminale Frege intende due punti fissati nel piano di base. Si può dimostrare il seguente teorema: “Se il triangolo OAC è simile al triangolo PQR e se il triangolo OAD è simile al triangolo PQR, allora D e C sono il medesimo punto; oppure: Se il punto C corrisponde al rapporto PQ : PR, e se il punto D corrisponde al rapporto PQ : PR, allora C e D sono il medesimo punto”.

218 In base a questo teorema, ogni rapporto di segmenti nel

piano di base può essere rappresentato mediante un unico punto C in tale piano. Un numero complesso può, allora, essere identificato con questo punto C. In questo modo Frege ritiene di poter introdurre i numeri complessi, e, a partire da essi, tutti gli altri tipi di numeri. La ragione di questo modo di introdurre i numeri complessi sta nel fatto che Frege non li può introdurre semplicemente come rapporti di segmenti di una retta, così come aveva fatto con i numeri reali nelle Leggi, dove aveva “concepito i numeri reali come rapporti di grandezze”.

219 Se “ci si volesse limitare ai numeri

reali, li si potrebbe considerare come rapporti di segmenti di una retta, intendendo con ciò segmenti orientati, con una distinzione fra punto iniziale e punto terminale”.

220 Si potrebbero allora far scorrere a piacimento i

segmenti lungo la retta, senza introdurre “con ciò alcun cambiamento essenziale per la matematica”.221

Al

contrario, per introdurre i numeri complessi, “invece di una retta si deve prendere un piano”.222

Infatti, limitandosi a considerare rapporti di segmenti di una retta, non si ottengono altro che numeri reali, perciò per introdurre i numeri complessi li si deve concepire come rapporti di segmenti nel piano di base. In virtù del teorema sopra menzionato, ogni numero complesso potrà allora essere rappresentato mediante un unico punto nel piano base. Il punto in questione non dipenderà solo dalla grandezza dei segmenti, bensì anche dall’angolo con cui essi sono orientati nel piano di base. È difficile valutare appieno questo nuovo approccio di Frege perché esso è appena abbozzato e la morte gli impedì di svilupparlo. Quel che si può dire è che esso appare piuttosto artificioso come fondazione della matematica. Indipendentemente dal suo successo, ci si può interrogare sulle ragioni che stanno alla sua

211

G. Frege, op. cit., p. 425. 212

G. Frege, op. cit., p. 429. 213

G. Frege, op. cit., p. 429. 214

G. Frege, op. cit., p. 429. 215

G. Frege, op. cit., p. 429. 216

G. Frege, op. cit., p. 430. 217

G. Frege, op. cit., p. 431. 218

G. Frege, op. cit., pp. 431-432. 219

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 155; trad. it. cit., p. 557. 220

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 429. 221

G. Frege, op. cit., p. 429. 222

G. Frege, op. cit., p. 429.

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base. Ora, certo, l’idea di fondare la sicurezza e certezza della matematica sull’intuizione a priori dello spazio è suggerita a Frege dall’istinto di conservazione. Di fronte al paradosso di Russell, la prudenza gli consiglia di ritirarsi su un terreno sicuro, e che cosa v’è di più sicuro dell’intuizione a priori dello spazio? Questo, per Frege, rappresenta una palinodia rispetto alle riserve da lui precedentemente espresse su Kant. È stato affermato che “dopo il 1884 il debito di Frege verso la filosofia kantiana diventa sempre più tenue, e la variante di realismo che egli elabora negli anni della maturità e della vecchiaia lo porterà agli antipodi della concezione kantiana, avvicinandolo sempre di più (probabilmente a sua insaputa) al punto di vista di Bolzano”.

223 Al contrario, la posizione a cui Frege approda nella vecchiaia segna una resa totale a

Kant, sia pure a un Kant mal interpretato e frainteso. Già nel 1884, ne I fondamenti dell’aritmetica, Frege era stato prodigo di riconoscimenti verso Kant: “Affermando che le verità geometriche sono sintetiche a priori, egli ha saputo per primo comprendere la loro vera natura”.

224 Certo, Kant ha sbagliato nell’attribuire quella stessa

natura alle verità aritmetiche, ma ciò non toglie “nulla di essenziale ai suoi meriti. L’importante era infatti per lui che vi fossero giudizi sintetici a priori: ha ben poca importanza che essi si presentino solo nella geometria o anche nell’aritmetica”.

225 Quest’unico errore di Kant può essere rimediato attraverso il tentativo di mostrare

che l’aritmetica consta di giudizi analitici, e questo tentativo non va visto in opposizione a Kant, ma va visto piuttosto come “un miglioramento del punto di vista di Kant”.

226 Ora, al termine della sua vita, Frege fa

ammenda anche di quell’unica sua riserva su Kant, riconoscendo che anche le verità aritmetiche sono sintetiche a priori. Non per nulla, a proposito del nuovo punto di vista di Frege, il filosofo neo-kantiano Hönigswald osservava compiaciuto che “lo spirito che lo permea e i risultati metodici ai quali esso giunge, corrispondono totalmente alle nostre aspirazioni e ai nostri desideri”.

227

Non solo Frege si arrende a Kant, ma addirittura lo scavalca, ponendo l’intuizione a priori dello spazio a fondamento, non solo della geometria, ma dell’intera matematica. In quest’ultima, secondo Frege, deve sempre “intervenire una conoscenza a priori. Ma non deve trattarsi necessariamente, come supponevo all’inizio, di una conoscenza che deriva da principi puramente logici. Può trattarsi anche di una conoscenza che scaturisce dalla fonte conoscitiva geometrica”.

228 Facendo scaturire, a differenza di Kant, anche le verità aritmetiche dalla

fonte conoscitiva geometrica, Frege non coinvolge nella sua fondazione dell’aritmetica anche l’intuizione a priori del tempo, ma pone alla sua base solo quella dello spazio. È vero che egli ammette che “accanto all’elemento spaziale si deve riconoscere anche l’elemento temporale. Anche ad esso corrisponde una fonte conoscitiva e anche da esso creiamo l’infinito”.

229 Tuttavia a questa fonte conoscitiva Frege non assegna alcun

ruolo nel suo nuovo tentativo di fondazione della matematica. Sostituire, nella fondazione della matematica, la logica con l’intuizione a priori dello spazio, dev’essere costato molto a Frege perché contraddiceva le convinzioni di una vita. Se, prima, Frege stabiliva una netta separazione tra aritmetica e geometria, ora, invece, egli ribalta completamente questa posizione. Quello che più sorprende è che questo ribaltamento avvenga senza che egli senta il bisogno di spiegare e giustificare per quale motivo le ragioni per cui prima considerava l’intuizione geometrica una base inaffidabile per l’analisi infinitesimale, ora non valgano più. Ciò dimostra che la sua preoccupazione principale, non solo non era quella di sviluppare una analisi dei significati, ma non era neppure quella di collocare la matematica in un quadro epistemologico prefissato. Egli è disposto a non basarsi più sulla sua teoria del significato e ad abbandonare totalmente il quadro epistemologico logicista adottandone un altro opposto, quando si rende conto che tutto questo non basta per assicurare quello che davvero gli sta a cuore e che costituisce il suo scopo primario: confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, fondandola su basi assolutamente sicure e certe. Questo mostra che per Frege tale scopo fa aggio su tutto il resto: sia sulla sua teoria del significato che sul quadro epistemologico logicista. In Frege la sostituzione di quel quadro epistemologico con un altro in cui l’intuizione a priori dello spazio prende il posto della logica, non dipende da una sua particolare preferenza per un approccio kantiano alla conoscenza, ma semplicemente dal desiderio di vedere la matematica posta su una base sicura con qualche

223

E. Picardi, La chimica dei concetti. Linguaggio, logica, psicologia 1879-1927, cit., p. 48. 224

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 330. 225

G. Frege, op. cit., p. 330. 226

G. Frege, op. cit., p. 348. 227

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 67. 228

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 425. 229

G. Frege, op. cit., p. 422.

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mezzo. O, per meglio dire, con qualsiasi mezzo. Se Frege finì per ricorrere all’intuizione a priori dello spazio, non è per una sua particolare predilezione per quel quadro epistemologico, che faceva a pugni con le convinzioni di una vita, ma solo perché “il ricorso alla conoscenza sintetica a priori sembrava essere il solo mezzo rimastogli”.

230 Egli riteneva che la matematica dovesse essere “assolutamente sicura dal dubbio scettico;

era per salvare la matematica da questi dubbi che egli aveva sviluppato la sua tesi logicista e aveva elaborato la sua critica dello psicologismo”.

231 Fu questa “richiesta di certezza che indusse il primo Frege a formulare il suo

oggettivismo, e il Frege successivo a ripiegare sulla conoscenza sintetica a priori della matematica”.232

Garantire la sicurezza e certezza assoluta della matematica era il fine, rispetto al quale, adottare un quadro epistemologico piuttosto che un altro, ricorrendo alla logica o all’intuizione a priori dello spazio, era solo un mezzo. In questa luce va vista la posizione di Frege, che non discende dall’adesione totale ad un quadro epistemologico privilegiato da cui dipendono tutte le sue scelte successive. La posizione di Frege ne discende tanto poco che, dopo la scoperta del paradosso di Russell, egli non solo non usa più la sua teoria del significato, ma rinuncia all’idea “che l’aritmetica sia un ramo della logica e che, di conseguenza, tutto in aritmetica debba venir dimostrato in modo puramente logico”.

233 Può darsi che Frege trovasse particolarmente congeniale il

quadro epistemologico logicista, ma è un fatto che egli non esitò ad abbandonarlo non appena fu posto di fronte all’alternativa: conservare il quadro epistemologico logicista e rinunciare alla sicurezza e certezza assoluta della conoscenza matematica, oppure salvarle e fare a meno di quel quadro. Questo suo comportamento risulterebbe inspiegabile se il suo fine ultimo non fosse stato quello di confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, realizzando l’ideale filosofico di una scienza basata su principi assolutamente sicuri e certi, bensì quello di privilegiare l’analisi dei significati o di collocare la matematica in un quadro epistemologico prefissato. Tale suo comportamento diventa ancor più chiaro se si considera che, fin dall’inizio, la sua adesione al quadro epistemologico logicista aveva un carattere dichiaratamente sperimentale. Che l’aritmetica potesse essere fondata sulla sola logica era per lui solo un’ipotesi che egli voleva verificare attraverso le sue indagini. Frege comincia a verificarla nell’Ideografia, dove pone il compito di “indagare fino a che punto si possa procedere nell’aritmetica in modo puramente deduttivo”.

234 L’ideografia è lo strumento da lui creato a tale

scopo, ma nell’Ideografia ne compare solo un frammento il quale, sebbene basti ad analizzare l’inferenza logica, non è sufficiente per analizzare in termini logici i concetti di numero naturale, numero razionale, numero reale e numero complesso. Come egli dichiara, “l’ulteriore prosecuzione del cammino indicato, l’illuminazione dei concetti di numero, di grandezza, ecc., debbono formare oggetto di successive ricerche”.

235 In seguito al

lavoro svolto negli anni immediatamente successivi, culminante ne I fondamenti dell’aritmetica, l’ipotesi comincia ad apparirgli probabile, ma non più di tanto. È vero che Frege afferma che dalle sue indagini si può concludere che, “molto probabilmente, le verità aritmetiche sono di natura analitica e a priori”.

236 Ma egli

riconosce di non poter “pretendere di aver reso altro che probabile la natura analitica delle proposizioni aritmetiche; al punto attuale, infatti, è ancora possibile dubitare che la loro dimostrazione possa venir completamente ricondotta a pure leggi logiche”.

237

Solo con un articolo pubblicato due anni dopo, Sulle teorie formali dell’aritmetica [Über formale Theorien der Arithmetik] (1896), egli sembra essersi definitivamente convinto della verità dell’ipotesi, tanto da affermare che “tutte le proposizioni aritmetiche possono essere derivate soltanto da definizioni in modo puramente logico”.

238 Ma, come unica giustificazione di questa convinzione, egli si limita a dire che “le

proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica non possono applicarsi solo ad un’area limitata”.239

Esse,

230

G. Currie, Frege: An introduction to his philosophy, cit., p. 187. 231

G. Currie, op. cit., p. 186. 232

G. Currie, op. cit., p. 186. 233

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 427. 234

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 104. 235

G. Frege, op. cit., p. 108. 236

G. Frege, op. cit., p. 348. 237

G. Frege, op. cit., pp. 330-331. 238

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 103. 239

G. Frege, op. cit., p. 103.

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29

invece, “devono estendersi a tutto il pensabile; e siffatte proposizioni estremamente generali possono a buon diritto essere ascritte alla logica”.

240 Frege ha l’impressione di aver dato una vera e propria dimostrazione

dell’ipotesi solo alcuni anni dopo, nelle Leggi, ma si tratta di un’impressione infondata, perché ben presto il paradosso di Russell rivelerà tutta la fragilità della sua presunta dimostrazione. Così l’ipotesi riacquisterà lo statuto di proposizione soltanto probabile, e le indagini successive convinceranno Frege che essa, dopo tutto, è indimostrabile, e dev’essere abbandonata e sostituita con una nuova ipotesi. L’averla considerata come una mera ipotesi spiega la relativa disinvoltura e mancanza di approfondite giustificazioni con cui Frege rinunciò al quadro epistemologico logicista per adottarne un altro totalmente differente e contrastante.

6. L’eredità delle Leggi Se l’intento fondamentale delle Leggi, di basare tutta la matematica contemporanea eccetto la geometria sulla logica, è fallito, per quale motivo quest’opera rimane così importante per la storia della logica? La sua rilevanza, insieme a quella dell’Ideografia, deriva da alcuni suoi fondamentali contributi, che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della logica e il cui interesse va al di là del programma logicista di Frege. C’è chi, come Putnam, sostiene polemicamente che, per alcuni di tali contributi, si possono trovare anticipazioni nella logica precedente o contemporanea, e si spinge fino a dire che “la logica del primo ordine (e il suo studio metamatematico) sarebbe esistita senza Frege”.

241 Putnam sminuisce il ruolo di Frege nello

sviluppo della logica matematica, affermando che “Peirce e Schröder furono il discrimine per il mondo logico prima dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead (o un discrimine - la scuola di Hilbert era già in movimento)”.

242 Invece, secondo Putnam, Frege non sarebbe stato un discrimine. Ora, che alcuni dei contributi

di Frege si possano trovare isolatamente in altri autori precedenti o contemporanei è senz’altro vero, ma questo non diminuisce il ruolo di Frege perché solo con lui essi sono stati composti in un tutto unico, dando luogo a un’originale nuova forma di logica, a quel nuovo paradigma logico che è stato dominante nell’ultimo secolo. Putnam sostiene che “oggi l’opera di Frege viene talora svilita (si intende, le acquisizioni logiche di Frege; le azioni di Frege come filosofo non sono mai state così alte)”.

243 Al contrario, un equilibrato giudizio su Frege

dovrebbe riconoscere che, “si pensi quel che si voglia della filosofia della matematica di Frege, resta in ogni caso la sua opera propriamente logica, che ha dato di colpo a questa scienza la sua forma moderna”.

244

Senza pretendere di enumerare tutti i contributi di Frege nelle Leggi e nell’Ideografia, ci limiteremo qui ad indicarne tre che appaiono particolarmente rilevanti, sottolineandone però nello stesso tempo alcuni limiti. A) Frege ha sostituito la tradizionale analisi delle proposizioni in termini di soggetto e predicato con un’analisi in termini di funzione e argomento. Ciò ha permesso di sbloccare la situazione in cui si era impantanata la logica tradizionale aristotelica, che non riusciva a render adeguatamente conto della natura relazionale delle proposizioni. Questa analisi è stata essenziale per il cambiamento della forma della logica, e solo grazie a essa si è potuto sviluppare una adeguata teoria della quantificazione. Ciò costituisce un sostanziale progresso anche rispetto alla logica di Boole, perché in questa sostanzialmente la struttura della proposizione non veniva analizzata più approfonditamente di quanto facesse Aristotele in termini delle forme A, E, I, O. Grazie alla sua analisi delle proposizioni, Frege formula un linguaggio articolato che permette di esprimere contenuti matematici, e non semplicemente, come Boole, un calcolo delle relazioni algebriche tra proposizioni. Giustamente Frege sottolinea che la sua ideografia è “in grado di esprimere, non soltanto le forme logiche come la lingua simbolica di Boole, ma pure un contenuto”.

245

Essa costituisce “una lingua characterica, destinata innanzi tutto alla matematica, e non un calculus, limitato alla logica pura”.

246 Attraverso essa, Frege non vuole “rappresentare in formule una logica astratta, ma

240

G. Frege, op. cit., p. 103. 241

H. Putnam, Realism with a human face, Cambridge, Mass. (Harvard University Press) 1990, p. 258. 242

H. Putnam, op. cit., pp. 259-260. 243

H. Putnam, op. cit., p. 259. 244

R. Blanché, La logica e la sua storia, da Aristotele a Russell, Roma (Astrolabio) 1973, p. 372. 245

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 332, nota. 246

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 82.

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esprimere un contenuto con dei segni scritti, in un modo più preciso e più distinto di quanto sia possibile fare con delle parole”.

247 Il contenuto che egli vuole esprimere è, appunto, la matematica.

Naturalmente questo non significa che, nello studio delle proposizioni, l’analisi di Frege rappresenti il punto di arrivo definitivo. Certo, essa non fornisce una rappresentazione adeguata della struttura delle proposizioni del linguaggio comune. Questo viene riconosciuto dallo stesso Frege che, a proposito delle caratteristiche più raffinate di quest’ultimo, dichiara: “[Esse] non trovano alcunché di corrispondente nel mio linguaggio di formule”.

248 Invece delle proposizioni del linguaggio comune, Frege vuole analizzare le

proposizioni dei linguaggi scientifici, e non pretende neppure di farlo in modo esauriente, ma solo quanto basta per studiare la relazione fondamentale che sussiste tra le proposizioni di un sistema assiomatico: la relazione di conseguenza logica. Come afferma Frege, nella sua analisi delle proposizioni dei linguaggi scientifici “viene preso in considerazione soltanto ciò che ha influenza sulle possibili conseguenze. Tutto ciò che è necessario per la deduzione esatta è espresso con completezza; ciò, invece, che non è necessario non viene per lo più neppure indicato”.

249

Ma, anche come analisi delle proposizioni dei linguaggi scientifici per trattare la relazione di conseguenza logica, la rappresentazione delle proposizioni di Frege ha seri limiti, perché è spesso goffa, inefficiente e poco maneggevole. Questo risulta chiaramente, ad esempio, dall’esperienza accumulata negli ultimi quarant’anni usando la rappresentazione di Frege nella meccanizzazione dell’inferenza o in altre applicazioni dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. I limiti dell’analisi di Frege hanno spinto, e continuano a spingere, a cercare modi di rappresentazione delle proposizioni più agili ed efficienti, come per esempio le reti semantiche o i cosiddetti frames, e questa ricerca è essenziale per il progresso futuro della logica. Ma è indubbio che l'analisi di Frege rimanga un punto di riferimento e un termine di paragone obbligato per ogni ricerca nel campo. B) Frege ha introdotto la nozione di sistema formale. Questa, come lo stesso Frege sottolinea, costituisce un perfezionamento della nozione aristotelica ed euclidea di sistema assiomatico, perché con essa vengono esplicitati sia il linguaggio del sistema che i suoi assiomi e le sue regole di inferenza. Ciò rappresenta davvero una fondamentale innovazione: prima non esisteva nulla del genere. Per rendersene conto basta rilevare l’incomprensione per la nozione di sistema formale mostrata da Peano nella sua recensione delle Leggi, nella quale critica Frege per aver dimostrato delle leggi logiche nel suo sistema. Peano gli obietta che le sue “dimostrazioni sono illusorie. Invero, siccome queste regole sono già le più semplici regole di ragionamento, per dimostrarle o si dovranno applicare queste regole stesse, o altre più complicate. In ogni caso si fa un giro vizioso”.

250 Come rileva Frege, l’incomprensione di Peano trova riscontro nelle sue opere, per esempio nel

fatto che nel Formulaire di Peano “il modo di condurre la dimostrazione stia sullo sfondo”.251

Questo “risulta anche dalla mancanza di regole di inferenza; infatti le formule della prima parte del Formulaire non possono offrire in cambio alcun sostituto”.

252

D’altra parte assumere, come fa Frege, che tutta la conoscenza matematica, eccetto la geometria, debba essere rappresentata nel sistema delle Leggi, se è un’importante innovazione, costituisce anche una grossa limitazione. Dal momento che Frege si prefigge di confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, egli non si preoccupa di indagare l’esperienza matematica nella sua totalità, considerando ad esempio, accanto alla questione della giustificazione della conoscenza matematica, anche quella della sua acquisizione, cioè della scoperta matematica. Quello che gli preme è solo di mostrare le basi della certezza matematica. L’uso dei sistemi formali è ideale a tale scopo, perché attraverso essi, “per la mancanza di lacune nella catena di inferenze, si ottiene che ogni assioma, ogni presupposto, ipotesi o come lo si voglia chiamare, sul quale si basa una dimostrazione, viene portato alla luce; e in questo modo si acquisisce un fondamento per giudicare la natura epistemologica della legge che viene dimostrata”.

253 Ma ciò lo induce a trascurare quegli

aspetti dell’esperienza matematica, come la scoperta, che non sono legati alla giustificazione. Tali aspetti non possono essere rappresentati nei sistemi formali, e il concentrarsi sulla giustificazione non spinge ad elaborare

247

G. Frege, Begriffsschrift und andere Aufsatze, a cura di I. Angelelli, Hildesheim (Olms) 1964, p. 97. 248

G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 111. 249

G. Frege, op. cit., p. 111. 250

G. Peano, Opere scelte, Vol. II, a cura di U. Cassina, Roma (Cremonese) 1958, p. 194. 251

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 224. 252

G. Frege, op, cit., cit., p. 224. 253

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VII; qui a p. .

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gli strumenti logici necessari per analizzarli: in effetti, invano si cercherebbero tali strumenti nell’opera di Frege. C) Frege ha dato la prima assiomatizzazione della teoria della quantificazione. La sua assiomatizzazione, non tanto quella delle Leggi quanto quella della precedente Ideografia, lungi dall’essere una mera curiosità storica, è in uso ancor oggi. Le assiomatizzazioni della teoria della quantificazione che si trovano negli attuali manuali di logica matematica sono varianti più o meno inessenziali di quella dell’Ideografia. I contributi B) e C) richiedono qualche precisazione. Essi non significano che la nozione di sistema formale di Frege, o la sua concezione della teoria della quantificazione, coincidano con quelle della logica matematica attuale. Frege non accetta la nozione di universo del discorso di De Morgan, Boole e Schröder. Per lui il sistema delle Leggi ha come dominio l’intero universo, il dominio universale, cioè le sue variabili x possono assumere come valore qualsiasi oggetto. La nozione di universo del discorso comporta che si possano considerare più universi del discorso. Un universo del discorso comprende soltanto quello che si sceglie di considerare in un dato istante e in un dato contesto, dunque gli universi del discorso possono essere cambiati a volontà. Invece per Frege è fuor di questione che si possano “cambiare gli universi. Non si può neppure dire che egli si limiti a un universo. Il suo universo è l’universo. Ovviamente, non necessariamente l’universo fisico, perché per Frege alcuni oggetti non sono fisici. L’universo di Frege consiste di tutto quel che c’è, ed è fisso”.

254

Ciò ha due importanti conseguenze: 1) per Frege le proposizioni del sistema delle Leggi non contengono alcun vocabolario non logico, i segni per le funzioni o gli oggetti che occorrono in esse non sono schemi a cui si può assegnare a piacimento qualsiasi valore, ogni proposizione ha un significato fisso e in essa non si può reinterpretare alcun segno; 2) nulla “deve, o può, essere detto al di fuori del sistema. E in effetti Frege non pone mai alcuna questione metasistematica (coerenza, indipendenza degli assiomi, completezza)”.

255

Infatti, dal momento che la logica coincide col sistema delle Leggi, tutto ciò che può essere detto dev’essere detto nel sistema. Se la logica è il sistema universale in cui si deve condurre ogni discorso razionale, non esiste alcun tribunale esterno alla logica dal quale la logica possa essere giudicata. Perciò non si può porre alcuna questione metasistematica sulla logica, cioè sul sistema delle Leggi. Che il sistema delle Leggi abbia come dominio l’intero universo, che le proposizioni del sistema non contengano alcun vocabolario non logico e che non si possa porre alcuna questione metasistematica sul sistema, è una scelta obbligata nella prospettiva logicista di Frege, nella quale si suppone che il sistema delle Leggi sia un sistema universale per tutta la logica (e quindi tutta la matematica). L’esclusione della geometria dal sistema è inessenziale, perché essa può comunque essere sviluppata nel sistema via un’interpretazione. Ma dopo il fallimento del disegno logicista, e soprattutto dopo la scoperta del teorema di incompletezza di Gödel (che implica che, non solo non può esistere alcun sistema universale basato sulla sola logica, ma non può esistere alcun sistema universale tout court, per tutta la matematica), queste assunzioni di Frege diventano insostenibili, e in effetti sono state lasciate cadere dalla logica matematica successiva. In questa sono state introdotte le seguenti modifiche: 1) si è abbandonata l’idea che possa esistere un sistema universale per tutta la matematica; 2) si è abbandonato l’universo unico di Frege e si è tornati agli universi del discorso (multipli) di De Morgan, Boole e Schröder; 3) si è abbandonata l’assunzione che le proposizioni di un sistema non contengano alcun

vocabolario non logico, si sono distinti un vocabolario logico costituito da segni come ¬,→,∀ e un vocabolario non logico comprendente segni per le funzioni e per gli oggetti, e corrispondentemente si sono distinti gli assiomi del sistema in assiomi logici e assiomi non logici; 4) si è abbandonata l’assunzione che non si possa porre alcuna questione metasistematica sul sistema, in particolare si è posto il problema se l’assiomatizzazione della teoria della quantificazione data da Frege sia completa nel senso metasistematico che essa permetta di dimostrare tutte le conseguenze logiche degli assiomi. Questo implica che, nella logica matematica attuale, la teoria della quantificazione viene considerata “come uno schematismo logico o una logica sottostante, una logica applicabile a ogni area matematica particolare, nel modo seguente: si specificano un vocabolario e particolari assiomi in questo vocabolario, e si usano casi degli assiomi quantificazionali e le regole di inferenza per ottenere risultati peculiari a quella particolare area”.

256 La logica sottostante costituisce un sistema che è completo nel senso metasistematico già

precisato. Ne segue che la attuale concezione dei sistemi formali non è quella di Frege: essa è, piuttosto, quella di Hilbert. In particolare, la odierna concezione della teoria della quantificazione non è quella di Frege. Per

254

J. van Heijenoort, Selected essays, Naples (Bibliopolis) 1985, p. 13. 255

J. van Heijenoort, op. cit., p. 13. 256

W.D. Goldfarb, ‘Logic in the Twenties: the nature of the quantifier’, The Journal of Symbolic Logic, vol. 44 (1979), p. 352.

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quest'ultimo la teoria della quantificazione non può essere una logica sottostante dal momento che la logica coincide con l’intero sistema. Per questo motivo appare fuorviante l’affermazione di Dummett secondo cui “il calcolo di Frege era un sistema formale nel senso moderno”.

257

Non è detto che il punto di vista sui sistemi formali della logica matematica attuale costituisca necessariamente un progresso rispetto a quello di Frege. In particolare, relativamente alla concezione metasistematica della completezza, la posizione di Frege, sia pure per la ragione sbagliata (cioè per la pretesa universalistica implicita nel suo assunto logicista), offre una prospettiva più aperta e ragionevole. Secondo Frege il sistema delle Leggi è completo, sebbene non in senso metasistematico, ma solo nel senso empirico che essa permette di dimostrare tutti i risultati della matematica esistente. Noi dobbiamo cercare di farci bastare gli assiomi del sistema in ogni occasione, ma se, ad un certo punto, risultasse che essi non bastano più perché non permettono di derivare qualche verità matematica, allora dovremmo chiederci “se ci siamo imbattuti in una verità che proviene da una fonte di conoscenza non logica, se si deve ammettere un nuovo modo di inferenza, o se forse il passo proposto non dovrebbe essere compiuto affatto”.

258 Se concludessimo che si deve ammettere

un nuovo modo di inferenza, allora dovremmo estendere il sistema delle Leggi aggiungendo nuovi assiomi. Dunque Frege sembra suggerire una concezione aperta della logica (e della matematica), in base a cui il sistema universale delle Leggi non dev’essere considerato come un sistema definitivo, ma pittosto come un sistema sempre estensibile ogniqualvolta se ne prospetti la necessità. In tal modo egli mostra che, anche rimanendo nel quadro della logica matematica, la attuale concezione hilbertiana dei sistemi formali non è l’unica possibile. In base a questa concezione aperta della logica, non è detto che tutti i principi della logica siano ormai conosciuti e che non se ne possano in futuro determinare di nuovi. Ciò ben si sposa con la tesi di Frege secondo cui la nozione di verità logica è indefinibile perché, con qualsiasi spiegazione della forma: ‘l’enunciato A è vero se ha queste e queste proprietà, oppure sta nella tal relazione con la tal cosa’, si sarebbe “sempre ricondotti al problema se è vero che A ha la proprietà in questione o se sta nella tal relazione con la tal cosa. La verità è evidentemente qualcosa di così primitivo e semplice che è impossibile ricondurla a qualcosa di ancora più semplice”.

259 Il fatto che il predicato ‘essere vero’ sia indefinibile non significa che non possiamo conoscerne

alcune proprietà. Come dice Frege, noi possiamo “mettere in luce ciò che è proprio del nostro predicato confrontandolo con altri predicati”.

260 E, oltre alle proprietà già note, potremo forse conoscerne anche altre in

futuro, fermo restando che non riusciremo mai ad esaurirle tutte. Che noi possiamo conoscere alcune proprietà della nozione di verità logica è provato, secondo Frege, dal fatto possiamo determinare che gli assiomi del sistema delle Leggi sono verità logiche. Ciò vale in particolare per l’assioma (V). Come si è visto, esso non ci dice che cosa sono i decorsi di valori, non li determina univocamente: ci dice soltanto sotto quale condizione due funzioni hanno lo stesso decorso di valori. Tuttavia questo è sufficiente per determinare quelle proprietà dei decorsi di valori che sono necessarie per sviluppare l’ideografia, e in particolare per mostrare che la matematica si basa solo sulla logica. Anche se noi non conosciamo tutte le proprietà degli oggetti (decorsi di valori) a cui l’assioma (V) intende applicarsi, e anche se non possediamo una definizione della verità logica, quelle proprietà dei decorsi di valori che noi conosciamo sono sufficienti per farci riconoscere che l’assioma (V) è una verità logica (o almeno così riteneva Frege prima della scoperta del paradosso di Russell). Come la logica non ci permette di conoscere che cosa sono i decorsi di valori ma ci fa conoscere alcune loro proprietà sufficienti per lo sviluppo della matematica, così essa non ci dice che cos’è la verità logica, ma ci fa conoscere alcune sue proprietà che sono sufficienti per riconoscere che gli assiomi dei Grundgesetze sono verità logiche. In generale, la concezione di Frege della logica differisce fortemente da quella della logica matematica attuale perché, a differenza di questa, lega strettamente la logica all’epistemologia. Per la logica matematica odierna la logica è solo una logica sottostante, priva di contenuto, e “le verità logiche sono completamente generali, non nel senso che sono le verità più generali sul contenuto logico, ma piuttosto nel senso che non riguardano alcun argomento in particolare, che non parlano di alcun ente o tipo di ente in particolare”.

261 Per

Frege, invece, la logica ha un contenuto. Certo, essa non si occupa del contenuto di alcuna particolare scienza naturale, perché non si può pretendere che “si addentri nella specificità delle singole discipline e dei loro

257

M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. xxxiv. 258

G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 221. 259

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 235. 260

G. Frege, op. cit., p. 235. 261

W.D. Goldfarb, ‘Logic in the Twenties: the nature of the quantifier’, cit., p. 353.

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oggetti”.262

Tuttavia essa ha un contenuto perché ci indica “quanto v’è di più generale, di valido in tutti i campi

del pensiero”.263

La logica si occupa di qualcosa, cioè delle proprietà più generali dell’universo. Perciò si può

dire che essa “è la scienza delle leggi più generali dell’esser vero”.264

Quindi le leggi logiche sono assolutamente generali perché esprimono proprietà che valgono per tutti gli oggetti dell’universo. È chiaro quanto questa concezione di Frege dipenda da quella di Kant secondo cui “la logica generale riguarda tutti gli oggetti in generale”.

265

Da questo segue che per Frege la logica non è semplicemente uno schematismo generale che bada solo alla correttezza dell’inferenza, senza preoccuparsi della verità delle proposizioni che occorrono in essa. Per la logica matematica attuale una proposizione viene considerata una conseguenza logica di un insieme di premesse quando è vera in ogni interpretazione in cui le premesse sono vere. Quindi una proposizione può essere una conseguenza logica di premesse false. Per Frege, invece, la relazione di conseguenza logica sussiste solo quando le premesse sono vere, perché “da premesse false non si può dedurre assolutamente nulla. Un semplice pensiero, che non sia riconosciuto come vero, non può affatto costituire una premessa”.

266 Perciò, quando la

logica viene usata per dedurre una conclusione da premesse false, esse viene applicata in modo improprio. In tal caso non si ha una deduzione ma una “pseudodeduzione”.

267 Questa posizione di Frege discende dalla sua

visione epistemologica della logica, secondo cui questa deve servire ad eliminare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, mostrando che le proposizioni matematiche sono sicure e certe perché si ottengono, mediante la sola logica, a partire da premesse riconosciute come vere. Deduzioni da premesse false non possono essere usate a questo scopo, e quindi devono essere bandite in quanto pseudodeduzioni. Anche qui, lo stretto legame istituito da Frege tra logica ed epistemologia mostra che, anche rimanendo nel quadro della logica matematica, la attuale concezione dei rapporti tra logica ed epistemologia non è l’unica possibile.

CARLO CELLUCCI

262

G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 234. 263

G. Frege, op. cit., p. 234. 264

G. Frege, op. cit., p. 234. 265

I. Kant, Logica, a cura di M. Capozzi, Napoli (Bibliopolis) 1990, p. 15. 266

G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 96. 267

G. Frege, op. cit., p. 23.