CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA CENTRE FOR HIGH DEFENCE STUDIES CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI MILITARY CENTRE FOR STRATEGIC STUDIES FORZE ARMATE ITALIANE E NUOVE MINACCE ALLA SICUREZZA NAZIONALE EVOLUZIONE DI TIPOLOGIA ED ASSETTI Supplemento 2 Osservatorio Strategico 2015
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FORZE ARMATE ITALIANE - Ministero della Difesa - … studi e ricerche di carattere strategico politico-militare; sviluppa la collaborazione tra le Forze Armate e le Università, centri
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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
CENTRE FOR HIGHDEFENCE STUDIES
CENTRO MILITAREDI STUDI STRATEGICI
MILITARY CENTRE FOR STRATEGIC STUDIES
FORZE ARMATE ITALIANEE NUOVE MINACCE ALLASICUREZZA NAZIONALE
EVOLUZIONEDI TIPOLOGIA ED ASSETTI
Supplemento 2Osservatorio Strategico 2015
Il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) è un organismo istituito nel1987 che gestisce, nell’ambito e per conto della Difesa, la ricerca su temi dicarattere strategico. Tale attività permette di accedere, valorizzandoli, a stru-menti di conoscenza ed a metodologie di analisi indispensabili per dominarela complessità degli attuali scenari e necessari per il raggiungimento degliobiettivi che le Forze Armate, e più in generale la collettività nazionale, si pon-gono in tema di sicurezza e difesa.La mission del Centro, infatti, nasce dalla ineludibile necessità del Ministerodella Difesa di svolgere un ruolo di soggetto attivo all’interno del mondo dellacultura e della conoscenza scientifica interagendo efficacemente con tale realtà,contribuendo quindi a plasmare un contesto culturale favorevole, agevolandola conoscenza e la comprensione delle problematiche di difesa e sicurezza, siapresso il vasto pubblico che verso opinion leader di riferimento.
Più in dettaglio, il Centro:● effettua studi e ricerche di carattere strategico politico-militare;● sviluppa la collaborazione tra le Forze Armate e le Università, centri diricerca italiani, stranieri ed Amministrazioni Pubbliche;● forma ricercatori scientifici militari;● promuove la specializzazione dei giovani nel settore della ricerca;● pubblica e diffonde gli studi di maggiore interesse.
Le attività di studio e di ricerca sono prioritariamente orientate al soddisfaci-mento delle esigenze conoscitive e decisionali dei Vertici istituzionali dellaDifesa, riferendosi principalmente a situazioni il cui sviluppo può determinaresignificative conseguenze anche nella sfera della sicurezza e difesa.Il CeMiSS svolge la propria opera avvalendosi di esperti civili e militari, ita-liani e stranieri, che sono lasciati liberi di esprimere il proprio pensiero sugliargomenti trattati. L’Osservatorio Strategico è uno studio che raccoglie analisi e report sviluppatidal Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), realizzati da ricercatori spe-cializzati.Gli elaborati delle singole aree, articolati in analisi critiche e previ-sioni, costituiscono il cuore dell’“Osservatorio Strategico”, sono riportati inlingua italiana ed arricchite da un Executive Summary in lingua inglese, perconsentirne la lettura anche ad un lettore internazionale. Inoltre, l’Osservatorio si arricchisce di un elaborato in lingua inglese denomi-nato “Quarterly”, pubblicato con cadenza trimestrale.
FORZE ARMATE ITALIANEE NUOVE MINACCE ALLA
SICUREZZA NAZIONALE
EVOLUZIONE DI TIPOLOGIA ED ASSETTI
Supplemento 2
Osservatorio Strategico 2015
CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE DISTUDI STRATEGICI
MILITARY CENTRE FORSTRATEGIC STUDIES
CENTRE FOR HIGHDEFENCE STUDIES
“Forze Armate Italiane e nuove minacce alla sicurezza
nazionale. Evoluzione di tipologia ed assetti”
Supplemento 2Osservatorio Strategico 2015
a cura di Centro Militare di Studi Strategici
in collaborazione con:Centro Studi Difesa e Sicurezza
Questo volume è stato curatodal Centro Militare di Studi Strategici
DirettoreAmm. Div. Mario Caruso
Vice Direttore Capo Dipartimento Relazioni InternazionaliC.V. Vincenzo Paratore
Progetto graficoMassimo Bilotta
Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa
Dipartimento Relazioni InternazionaliPalazzo Salviati
e-mail [email protected] numero è stato chiuso nel mese di luglio 2015 e finito di stampare nel mese di Novembre 2015
ISBN 978-88-99468-12-5
Introduzione 7Gen. C.A. Massimiliano Del Casale
Premessa 9Luigi Ramponi
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future? 11Luigi Ramponi
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future? 25Giulio Fraticelli
Prospettive per la configurazione delle Forze Armate 29Mario Buscemi
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future? 33Carlo Jean
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future? 39Sergio Biraghi
L’Intelligence e le attuali minacce alla sicurezza nazionale 43Bruno Branciforte
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future?, 49Alessandro Picchio
Indice
Uno sguardo al futuro 57Mario Arpino
Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostreForza Armate alle minacce attuali e prevedibilmente future?, 61Vincenzo Camporini
Aspetti relativi alla componente Aeronautica Militare 65Tiziano Tosi
In questo volume, Supplemento n. 2 dell’Osservatorio Strategico 2015 delCeMiSS, sono raccolti gli atti di un convegno che si è tenuto presso la sededel Centro Alti Studi per la Difesa, organizzato in collaborazione tra il CentroMilitare di Studi Strategici (CeMiSS) ed il Centro Studi Difesa e Sicurezza (Ce-StuDiS). L’evento ha segnato l’avvio della collaborazione tra i due Centri, offrendo unapreziosa opportunità di arricchimento reciproco che, si auspica, possa con-tribuire, in qualche misura, al rinnovamento, peraltro già avviato, delle Isti-tuzioni dello Stato e, in particolare, delle sue componenti della Difesa eSicurezza.Il convegno si proponeva di analizzare la necessità di revisionare tipologia edassetti delle nostre Forze Armate, alla luce delle nuove minacce alla sicurezzanazionale ed ha di sicuro costituito un interessantissimo momento di rifles-sione. Sento il dovere di indirizzare un particolare ringraziamento al Senatore Ge-nerale Luigi Ramponi che, in qualità di Presidente del Centro Studi Difesa eSicurezza, ha saputo coinvolgere, con una tempestività unica, relatori di ele-vatissima caratura i quali, avendo ricoperto ciascuno incarichi di verticenelle Forze Armate, hanno portato un preziosissimo ed interessantissimo con-tributo di esperienza e di pensiero che viene ora messo a disposizione dellacollettività e dei decisori istituzionali, chiamati a dare un indirizzo al nostroPaese.Ringrazio, poi, tutti i Relatori intervenuti:• Generale Mario ARPINO, già Capo di Stato Maggiore della Difesa;• Ammiraglio di Squadra Sergio BIRAGHI, già Capo di Stato Maggiore dellaMarina;• Ammiraglio di Squadra Bruno BRANCIFORTE, già Direttore del SISMI, epoi AISE, e Capo di Stato Maggiore della Marina;• Generale di Corpo d’Armata Mario BUSCEMI, già Sottocapo di StatoMaggiore dell’Esercito;• Generale Vincenzo CAMPORINI, già Capo di Stato Maggiore della Di-fesa;• Generale di Corpo d’Armata Giulio FRATICELLI, già Capo di Stato Mag-giore dell’Esercito;• Generale di Corpo d’Armata Carlo JEAN, già Presidente del Centro AltiStudi per la Difesa;• Ammiraglio di Squadra Alessandro PICCHIO, già Sottocapo di StatoMaggiore della Marina Militare nonché Consigliere Militare del Presidentedel Consiglio dei Ministri;• Generale di Squadra Aerea Tiziano TOSI, già Comandante della SquadraAerea.
Introduzione
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A tutti loro va la riconoscenza per aver saputo condurre questo incontro, es-primendosi come portatori di idee innovative e pertinenti, delineando conchiarezza l’ambiente ed i presupposti attraverso i quali deve essere condottoqualsiasi processo di rinnovamento istituzionale.
Generale di Corpo d’Armata Massimiliano DEL CASALEPresidente del Centro Alti Studi per la Difesa
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Le Forze Armate, nell’ambito dell'Organizzazione difesa e sicurezza di unanazione, costituiscono lo strumento dello Stato per proteggerla dalle minacceche tendono ad incidere negativamente sulla sua sicurezza nonché per svolgeregli ulteriori compiti previsti per legge (istituzionali e concorsi) o connessi conla salvaguardia degli interessi nazionali.Esse esistono quindi per fronteggiare tali situazioni. Debbono pertanto esserein condizione di intervenire con successo e vanno calibrate sulla forza, pe-ricolosità e imminenza delle situazioni da affrontare. La loro struttura e tipo-logia devono naturalmente adeguarsi nel tempo al variare delle minacce, aglisviluppi della tecnologia applicata ai sistemi di difesa, agli impegni delle al-leanze difensive eventualmente concordati.Tale adeguamento della tipologia e dell’entità delle forze avviene progressi-vamente e richiede sempre tempi lunghi per essere realizzata, considerata lacomplessità sia dell’intera organizzazione sia, la sofisticazione tecnologicadei sistemi e dei mezzi di difesa. La stragrande maggioranza dei sistemid’arma, oggi presenti negli arsenali bellici dei più avanzati paesi al mondohanno, salvo qualche rara eccezione e con qualche adeguamento, dai venti aiquarant’anni di vita e sono stati concepiti dieci, venti anni prima di esseremessi in campo. E’ pertanto necessario, da una parte controllare con la massima attenzionel’evolversi della minaccia e i suoi possibili sviluppi nel tempo e dall’altra cer-care di impostare la realizzazione di nuovi assetti e strumenti, con il massimopossibile anticipo, proprio in funzione dell’entità e della tipologia che le mi-nacce assumeranno nel momento in cui potranno essere attuati i cambiamentie schierati i nuovi sistemi.L’apparire di nuove minacce deve comportare tempestivi adeguamenti dellostrumento difensivo, auspicabilmente partendo con il massimo possibile anti-cipo, in funzione delle segnalazioni e previsioni di una efficiente intelligence,cosi come l’attenuarsi o lo scomparire di vecchie minacce deve indurre, al-trettanto tempestivamente, alla riduzione o eliminazione di vecchi sistemi didifesa non più utili.Il convegno vedrà l’esposizione del proprio pensiero in proposito, da parte deivari relatori che in precedenza hanno assunto incarichi di responsabilità divertice nell’ambito delle Forze Armate nazionali.
On. Luigi RamponiPresidente del Centro Studi Difesa e Sicurezza
pegno presumibilmente compatibili con quelli che scaturiranno dalla revisione
strategica Se cosi non fosse il discorso andrebbe rivisto.
Tenuto conto di quanto già osservato sia sull'evoluzione della minaccia sia su
talune cautele da cui non si può prescindere ,appare condivisibile una struttura
terrestre su 9 brigate per fronteggiare ,insieme alle altre componenti ,tutti i
compiti previsti, con alcune precisazioni e modifiche riguardo alla composi-
zione delle forze.
La prima riguarda l'esigenza, non più rimandabile, di un ulteriore potenzia-
mento delle Forze Speciali e suggerisce di prevedere un altro complesso del
livello Brigata oltre a quello esistente (9°, 4° e 185° rgt). La soluzione più lo-
gica appare quella di una graduale trasformazione di una brigata leggera e in
particolare della Brigata Paracadutisti Folgore, con i suoi tre reggimenti (183°,
186° e 187°) in questa nuova Brigata. Non può essere un cambio repentino,
poiché' per fare un incursore servono non meno di trentasei mesi e quindi ci si
riferisce a un target di operatività di almeno 3-5 anni. La trasformazione potrà
anche riguardare una revisione della distinzione tra "forze speciali" e "forze
per operazioni speciali", per tendere a un allineamento verso l'alto della capa-
cità operativa delle odierne unità. In tale contesto potrebbero essere adeguati i
procedimenti di impiego delle forze speciali, rivisitando, ad esempio, il con-
cetto del distaccamento; ciò al fine di tener conto delle nuove esigenze imposte
da una più spiccata ed estesa materializzazione sul terreno della minaccia ter-
roristica. In una prospettiva più lunga, la trasformazione in forze speciali po-
trebbe essere estesa a un'aliquota selezionata di altre unità leggere dell'Esercito
(Brigate alpine).
La seconda precisazione riguarda la necessità di una più decisa presenza dello
strumento nella nuova dimensione del cyber space. La componente terrestre,
al pari delle altre, deve tendere a realizzare, nella trasformazione già in atto,
una struttura più robusta e convincente dell'attuale CERT(Computer Emer-
gency Response Team), che è solo un embrione di risposta a questa esigenza.
E deve farlo con un orientamento non solo all'aspetto difensivo, ma anche a
quello offensivo, aspetti non separabili se si vuole essere efficaci nel contrasto
a tale tipo di minaccia. Tendere solo a "sopravvivere" nella nuova dimensione,
mentre si sta portando avanti un programma "contenitore" come Forza NEC
(Network Enabled Capability), è un'impostazione troppo limitativa e illusoria.
La conoscenza del potenziale avversario, fondamentale nel contrasto di qual-
siasi minaccia, dovrebbe qui essere accompagnata dalla sua neutralizzazione,
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Osservatorio Strategico
poiché' il passaggio di questo genere di attività, dallo stato potenziale a quello
esecutivo, può essere istantaneo e senza preavviso.
Una vera qualificazione cyber dell'Esercito presuppone un percorso formativo
e operativo in cui coniugare innovazione ed esperienza. Personale militare, in
particolare dell'area C4I (Command, control, communications, computers, in-telligence), in servizio ma anche della riserva (per ora riserva selezionata, più
avanti utilizzando nuove opportunità) e personale civile qualificato possono
costituire una vera capacità specifica della Forza Armata, ovviamente da rac-
cordare alle altre componenti, sia in ambito nazionale sia in quello internazio-
nale, soprattutto NATO. Abbiamo tutti un'idea della complessità
dell'argomento, che coinvolge non solo l'ambito militare ma tutta l'organizza-
zione statale e l'apparato produttivo del paese. Ciò tuttavia non può costituire
un alibi per ritardi nell'adozione di contromisure minime a tutti i livelli. E' per-
tanto giusto inquadrare il problema anche sotto il profilo normativo, ma è in-
dispensabile ,parallelamente, organizzarsi sotto il profilo tecnico-operativo,
acquisendo apparecchiature e formando il personale in modo da ridurre al mi-
nimo l'isteresi nella capacità di operare in questa nuova dimensione.
Un’ultima considerazione riguarda il tema delle risorse. A prima vista sembre-
rebbe un tema fuori programma; infatti il nuovo quadro delle minacce e dei ri-
schi trattato in questo convegno prospetta un livello di spesa sostanzialmente
simile o persino inferiore all'attuale, in cui le modifiche suggerite verrebbero
quindi attuate a costo zero, utilizzando i risparmi conseguibili con la riduzione
degli assetti non più necessari.
Per le osservazioni già fatte in premessa sull' impossibilità di procedere in
modo bilanciato e in tempi brevi con tutte le misure suggerite, soprattutto per
le forze convenzionali, uno spostamento di risorse è fattibile ma in misura li-
mitata e forse non sufficiente a coprire le spese per il potenziamento delle forze
speciali e della capacità cyber. Si può però pensare di recuperare qualcosa dalla
struttura di supporto. Comunque, è chiaramente un argomento ineludibile se
si vuole dare una patina di fattibilità all'insieme delle misure proposte. Ma è
anche un argomento da affrontare in modo tecnicamente completo.
L’ordine geopolitico europeo del post-guerra fredda, determinato dall’allarga-
mento della NATO e dell’UE nell’Europa centrorientale e dalle speranze di
costituire uno spazio di sicurezza euro-asiatico con la collaborazione di Mosca,
è sfidato dalle iniziative russe in Ucraina e dalla crisi del “sogno europeo”. A
esse si aggiungono un consistente riarmo russo (convenzionale e nucleare), la
politica più assertiva di Mosca nei confronti dell’Intermarium ponto-baltico e
del Caucaso, la progettata estensione dell’Unione Eurasiatica, la crisi dell’Ea-stern Dimension della UE e l’inesistenza/inconsistenza della politica comune
europea di sicurezza e di difesa.
Quella che si può definire “minaccia russa” sarà solo marginalmente attenuata
dalla crisi economica e demografica di Mosca. Il dinamismo in politica estera
è essenziale per il mantenimento degli assetti del potere interno al Cremlino.
Attuato il programma di “democrazia sovrana” e di “verticale del potere”,
Mosca rivendica il ruolo di grande potenza non solo regionale, ma anche glo-
bale (SCO, esercitazioni con marina cinese in Mediterraneo, dinamismo poli-
tico nel Baltico e nei paesi MENA - e -, soprattutto in Siria, in Iran e anche in
Grecia, ecc.).
L’Europa si sta invece frammentando sotto le spinte della crisi dell’euro, della
ridotta crescita economica, del declino demografico, della riduzione delle spese
militari europee e delle forze nazionaliste e populiste. Fondamentale per la
coesione e forse per la stessa sopravvivenza dell’UE rimane la presenza ame-
ricana. Gli USA hanno però diminuito grandemente l’entità delle loro forze sia
sul continente che in Mediterraneo. Sono però gli unici che possano garantire
la sicurezza dei paesi europei centrorientali. Lo dimostrano la loro reazione
alla crisi ucraina e la volontà di preposizionare mezzi pesanti nei Paesi Baltici
e nel territorio degli alleati centrorientali. La loro opinione pubblica è però
sempre più marcatamente favorevole a un parziale disimpegno dall’estero. Gli
europei continuano ad affidare fideisticamente la loro sicurezza agli USA.
L’importanza dell’Europa è diminuita per gli USA, mentre questi ultimi riman-
gono essenziali per l’Europa.
Carlo Jean (*)
“Adeguatezza dell’assetto e della tipologia delle nostre Forze Armatealle minacce attuali e prevedibilmente future?”
(*) Generale di Corpo d’Armata, già Presidente del Centro Alti Studi per laDifesa.
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Interesse fondamentale per la sicurezza dell’Italia resta la solidità della NATO,
in particolare dell’art. 5 e della difesa comune. Solo gli USA hanno reagito a
quella che è percepita dai popoli centrorientali europei come una minaccia. Le
tensioni con Mosca crescono e possono sfuggire di mano. L’Alleanza resta il
riferimento principale della strategia di sicurezza italiana sia in Europa sia in
Mediterraneo/Medio Oriente-Africa Settentrionale (estesa al Corno d’Africa
e al Sahel).
Un altro scacchiere geopolitico di diretto interesse strategico per l’Italia è co-
stituito dai Balcani Occidentali, dove tuttora irrisolta resta la “questione alba-
nese” e dove sintomi di destabilizzazione sono avvertibili soprattutto in
Macedonia. La crisi greca può farle esplodere. Per fronteggiare l’instabilità
balcanica, oltre quella mediorientale è poi essenziale la cooperazione della Tur-
chia. Ankara rimane il riferimento essenziale di quanto resta delle popolazioni
musulmane nei Balcani. Mediterraneo, Balcani e Intermarium ponto-baltico
sono i tre scacchieri le cui esigenze hanno equivalente importanza per la sicu-
rezza dell’Italia e per la promozione dei nostri interessi nazionali. Il successo
delle forze curdo-siriane dell’YPG (Unità di Protezione Popolare), che hanno
cacciato l’ISIS dall’area di Tal Abyap, tagliando la principale via di riforni-
mento del Califfato, e la prospettiva di un governo di coalizione ad Ankara fra
l’AKP e il curdo HDP, fa intravvedere la possibilità di un ruolo più attivo della
Turchia nella Mezzaluna Fertile. Una soluzione della questione curda all’in-
terno della Turchia potrebbe preludere a un mutamento della politica turca
verso i curdi siriani e anche iracheni. Un blocco curdo-turco potrebbe costituire
la premessa per la riconquista di Mosul e per infliggere al Daesh una sconfitta
che ne diminuirebbe notevolmente la pericolosità anche nelle aree in cui Abu
Badr al-Baghdadi (ovvero il Califfo Ibrahim) ha ottenuto dichiarazioni di fe-
deltà da parte di gruppi islamisti radicali già operanti in esse. La questione è
particolarmente importante per la sicurezza italiana. L’ISIS, infatti, da Derna
(da cui è stato cacciato qualche giorno fa dagli islamisti della Brigata dei Mar-
tiri Abu Salim, legata all’Ansar al-Sharia) stanno rafforzando le loro posizioni
nella provincia di Sirte, occupando anche la base aerea di Gardabya, situata a
una quindicina di km. a sud della città. Potrebbero effettuare attacchi aerei sui-
cidi contro il nostro territorio, con i Mig che hanno catturato dall’aeronautica
siriana.
Altrettanto preoccupante è il fatto che qualche nucleo di miliziani si è infiltrato
a Tripoli e a Sabrata, ha respinto l’attacco delle milizie di Misurata e cerca di
in maniera eccessiva per evitare che all’indomani gli venga contestato di non
aver dato corso ad arresti od espulsioni.
Credo che dovremmo anche fare un’altra riflessione, in relazione ai recenti
eventi francesi, sulla libertà di espressione. Visti anche gli effetti prodotti
dall’applicazione di questo principio nei confronti di una religione, forse an-
drebbe valutata l’eventuale necessità di istituire delle misure legali che ne li-
mitino l’impiego. Non si tratta di negare un principio democratico, ma di
regolarne l’uso per questioni di sicurezza nazionale: il problema principale
della nostra società pare essere oggi quello di convincere alcuni che non è pos-
sibile fare o dire ciò che si vuole. Come usiamo dire che in democrazia la li-bertà dell’individuo ha fine dove inizia la libertà di un altro, dovremmo nel
mondo attuale considerare un reato il mancato rispetto di una religione.
Lo stesso tipo di approccio dovrebbe essere assunto nell’affrontare le proble-
matiche dei rapimenti dei connazionali all’estero. Alcuni anni fa, quando
giornalisti o organizzazioni umanitarie andavano ad operare in aree a rischio,
la loro protezione era affidata ai contingenti nazionali dislocati in loco. Nei
tempi più recenti giornalisti e operatori umanitari vanno in aree di crisi senza
alcuna protezione, offrendo alle organizzazioni terroristiche locali l’opportunità
di rapimenti a scopo di estorsione. Per la risoluzione di queste problemati-
che, che dovrebbero essere evitate con un preventivo coordinamento con i Ser-
vizi e le F.A., devono successivamente intervenire i Servizi rischiando uomini
e mezzi.
Per individuare invece i possibili provvedimenti da intraprendere nel campo
tecnologico è necessario innanzitutto individuare quali tipi di attacco possono
essere condotti dal terrorismo internazionale e contro quali targets. Oltre a per-
sone specifiche sono a rischio di attacchi fisici, biologici, chimici e cyber, le
istituzioni in generale, i sistemi di distribuzione dei servizi, le comunicazioni,
il sistema dei trasporti, il sistema finanziario, per dirla in breve gli obiettivi
strategici nazionali.
Se si eccettuano le infrastrutture della Difesa, la quasi totalità dei predetti obiet-
tivi è scarsamente protetto sia sotto l’aspetto fisico che elettronico. A quest’ul-
timo aspetto voglio riferirmi quando affermo che queste strutture sono
vulnerabili. Da anni si parla di protezione delle infrastrutture strategiche del
paese ma nella sostanza nessuna di queste infrastrutture è più sicura di alcuni
anni fa. Le reti telematiche interne e le comunicazioni di strutture strate-
giche non sono spesso protette da cifranti nazionali.
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Osservatorio Strategico
Eppure il clamore dei casi Wikileaks e Snowden avrebbe dovuto suggerire
alla leadership del paese di avviare rapidamente un programma di sviluppo
tecnologico per dotarci di cifranti nazionali, invece di limitarsi a proporre im-
probabili programmi europei o dichiarazioni di sorpresa per l’esistenza di at-
tività di spionaggio nei confronti di alleati.
L’unica iniziativa avviata si riferisce alla creazione di diversi CERT presso un
certo numero di Ministeri o organismi per il rilevamento di attacchi informatici
alle reti telematiche, ma questa organizzazione non appare avere un potere di
contrasto ai predetti attacchi se non quando sono già portati a termine.
Il vero problema è invece dotare le reti, di sistemi di difesa che impediscano
l’attacco, e per evitare che ciascun attore proceda seguendo strade diverse, è
indispensabile che venga stabilita da chi è preposto a farlo (Presidenza del Con-
siglio) una road map per la produzione della tecnologia e della normativa per
il suo impiego da parte di ogni organizzazione sensibile nazionale.
La Presidenza del Consiglio potrebbe assicurare lo sviluppo della tecnologia
per la protezione delle comunicazioni e dei sistemi di gestione delle attività
delle infrastrutture strategiche nazionali, costituendo un Comitato Scientifico
Nazionale con cui guiderebbe l’attività di produzione di un Polo industriale
comprensivo delle realtà nazionali già esistenti nel settore. Detto Polo, assistito
anche dal settore universitario dovrebbe in tal modo fornire soluzioni tecnolo-
giche standardizzate quando possibile agli attori operativi agenti nel settore,
eliminando di conseguenza duplicazioni di spesa.
La realizzazione in ambito nazionale di tale progetto innalzerebbe enorme-
mente il livello di sicurezza garantendoci dallo spionaggio politico, industriale
e sociale.
Oltre alla predetta attività di carattere difensivo, quello che deve essere incre-
mentato è il livello di controllo tecnologico delle attività dei gruppi terro-
ristici in coordinamento con le istituzioni degli altri paesi che combattono la
stessa battaglia.
Se infatti rimane rilevante la capacità humint dei Servizi tesa ad ottenere in-
formazione attraverso la ricerca condotta attraverso gli informatori, oggigiorno
i servizi informativi non possono fare a meno del mezzo tecnologico per la ri-
cerca, la pianificazione e la condotta delle loro operazioni: mi riferisco quindi
alle capacità di intercettazione di comunicazioni ed immagini e di esplorazione
del mondo internet attraverso sistemi convenzionali e satellitari .
Controllo tecnologico significa intercettare le comunicazioni, rilevarne la po-
sizione geografica, gli orari, analizzarne il contenuto.
e identificazione, in grado di integrarsi con il sistema statunitense, che ha più
volte fornito, anche all'Italia, importanti “warnings” per mettere in sicurezza
alcuni satelliti nazionali da possibili collisioni.
In tale contesto, il Governo italiano aveva richiamato nel documento di politica
spaziale che ho prima citato “la sorveglianza dello Spazio (Space SituationalAwareness), indispensabile per evitare l'alto rischio oggi presente di collisioni
accidentali dei satelliti con detriti pericolosi e salvaguardare gli assetti in orbita
. . . ” come uno dei “settori sui quali è necessario concentrare l'attenzione e gli
sforzi per l'importanza delle possibili applicazioni nell'ambito dei programmi
europei ed internazionali”.
So che recentemente è stato portato a realizzazione con un finanziamento del
MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), a suo tempo
interessato sul progetto dalla Presidenza del Consiglio, il prototipo del Fly-
eyes un sistema di osservazione che costituisce un nuovo fiore all'occhiello
per l'inventiva e la capacità italiana. Si tratta ora di sostenere, con un investi-
mento di pochi milioni, la realizzazione del progetto brevettato in Italia per
consentire all'industria nazionale di consolidare la posizione leader conquistata,
attrarre così investimenti europei benefici anche per l'occupazione e impedire
che altri possano appropriarsi dell'idea indebitamente.
3. Cyber space
Così come accade per lo spazio terrestre, marittimo ed aereo, la Difesa ha pri-
marie ed ineludibili responsabilità dirette militari nella difesa dello spazio ci-
bernetico e deve dunque avere organizzazione, mezzi e uomini dedicati nella
giusta necessaria quantità alla difesa, al contrasto ed all'offesa nel cyber spazio;
non mi riferisco ovviamente alla difesa del cyber space delle Forze armate, per
il quale sono già attivi i CERT Difesa, ma del cyber space nazionale sul quale
essa deve essere in grado di intervenire efficacemente in caso di attacchi mas-
sicci o di scenari complessi nei confronti dei quali i sistemi di protezione delle
singole organizzazioni, già oggi esistenti ed attivi, non dovessero riuscire da
soli a fermare l'aggressione. La nostra Difesa deve anche dare un contributo
altamente qualificato e di adeguate capacità quantitative, anche in ambito
Unione Europea e NATO.
E' necessario quindi potenziare la Struttura di Difesa Nazionale nel cyber space,
in via di realizzazione secondo quanto previsto da DPCM dedicato, prevedendo
un organismo totalmente interforze, di adeguata capacità e potenzialità, in
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Osservatorio Strategico
prima analisi con un livello di forza di almeno alcune centinaia (1.000-1.500)
specialisti.
Questo anche perché la minaccia terroristica, come l'ISIS ha dimostrato, cerca
di aumentare la propria efficacia e potenza sfruttando la libertà di comunica-
zione in generale e la libertà di divulgazione di notizie assicurata da INTER-
NET; ciò sia per l'organizzazione propria e delle attività operative dei gruppi
terroristici, con finalità anche di “comando e controllo” e di funzionamento
della rete terroristica internazionale, in secondo luogo per la diffusione di im-
magini violente e di forte impatto emotivo per un'efficace e mirata azione di
influenza psicologica (vere e proprie PSYOPS) sulla popolazione del mondo
occidentale e con un altrettanto mirata azione di influenza sulla popolazione
islamica per propaganda, proselitismo e sostegno alle iniziative terroristiche.
E' anche proprio in questo spazio della comunicazione che utilizza per lo più
strumenti del mondo cibernetico che si deve contrastare e combattere la mi-
naccia terroristica.
A proposito della tematica della cyber defence con soddisfazione ho potuto ve-
dere che il Libro Bianco della Difesa di recente pubblicato dà rilevanza alla
specifica questione e ha previsto la costituzione di un Comando interforze.
4. Personale, integrazione interforze e leadership
In ultimo, ma non per importanza che è invece assolutamente primaria, le que-
stioni del personale, dell'integrazione interforze e della leadership. Sono settori
questi in cui la Difesa ha perso, secondo il parere di molti osservatori, nume-
rosissime opportunità e c'è realmente tantissimo da fare e presto.
In seguito all'abolizione della leva era stata a suo tempo progettata la trasfor-
mazione della struttura del personale Forze armate in un sistema di soli pro-
fessionisti, con un'ampia basa di personale con rapporto di impiego a termine
che doveva garantire di alimentare e di avere in servizio nelle forze operative
risorse umane giovani, indispensabili alle esigenze di impiego nelle operazioni,
per una reale efficienza ed efficacia operativa delle forze.
Per vari motivi ed interferenze, il progetto ha subito poi profonde modifiche
che ne hanno snaturato l'armonicità iniziale, con la conseguenza che oggi le
Forze armate vedono aumentare sempre più l'età media del personale, fatto che
porta con sé notevoli problemi di impiego ed effetti negativi sulla operatività.
La riforma in senso interforze della Difesa varata negli anni '90, per effetto di
provvedimenti entrati in vigore negli anni seguenti e anche di un'azione interna
Una visione aerospaziale militare indubbiamente sottende un certo numero di
problematiche d’ordine dottrinale e culturale. Eppure, il nuovo libro Bianco –
pur apprezzabile in termini di sforzo – non ne fa cenno, se non in mezza riga
di un certo paragrafo. Eppure, già oggi non si può più parlare del mezzo aereo
in modo separato dalla sua collocazione ambientale, che include ormai anche
lo Spazio, o dal loop del Comando e Controllo. E’ giocoforza allora parlare
più correttamente, piuttosto che di generici mezzi aerei, di “sistemi aerospa-
ziali”. Il concetto è forse un po’ ampio, ma sicuramente più confacente alle at-
tese che, oggi, proiettano al presente ciò che ancora ieri sembrava solo futuro.
I tempi ancora non consentono un discorso sereno e maturo, e la difficoltà di
procedere con la nuova ristrutturazione riduttiva – l’ennesima – è puntuale te-
stimonianza di una vision sfocata, ancora non condivisa. Dopo 100 anni i si-
stemi sono stati accettati, ma persiste la difficoltà di far accettare anche i sistemi
organizzati che servono a razionalizzarne l’impiego, ovvero le Aviazioni mili-
tari. Il discorso tocca perfino gli Usa, e l’Italia non ne è esente. Dico ciò con
cosciente serenità, dopo due remoti - ma completi - cicli di esperienza profes-
sionale interforze.
Credo che tutto ciò che abbiamo visto dalla prima guerra del Golfo in poi rap-
presenti una tendenza ormai consolidata almeno per i prossimi cinquant’anni,
con le sole correzioni – mai concettuali - apportate dal rinnovarsi delle possi-
bilità offerte dalla tecnologia. Sta venendo il momento in cui tutti i mezzi
“amici” dovranno potersi muovere e reciprocamente posizionarsi in una sorta
di “etere informato” globale, di cui è necessario avere la chiave di accesso. Chi
non farà parte del sistema sarà emarginato o dovrà accettare di essere confinato
a ruoli ancillari. Ormai il sistema aerospaziale militare globale, almeno in Oc-
cidente, ha superato la fase iniziale di “impianto” e sta perfezionandosi. Lo fa
– a qualcuno può dispiacere, ma è così - avendo come riferimento il sistema
aeronautico statunitense.
E’ bene chiarire subito il campo perché, non essendoci alternative credibili, è
meglio contribuire a un sistema amico occidentale piuttosto che contrapporvisi,
sprecando risorse per inventare autarchici surrogati, destinati all’isolamento.
Mario Arpino (*)
Uno sguardo al futuro
(*) Generale, già Capo di Stato Maggiore della Difesa.
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Osservatorio Strategico
Contribuire e’ possibile, perché quello statunitense è un sistema aperto dove
ciascuno, se osserva determinate regole, può aggiungere il contributo delle pro-
prie nicchie. E noi ne abbiamo più d’una. Qui mi limiterei, anche sulla base di
ciò che ho imparato nei miei ultimi dieci anni di attività “retribuita”, vivendo
a contatto con industrie italiane e straniere, a cercare di descrivere l’”ambiente”
in cui i mezzi “aerospaziali”, si muoveranno nei prossimi cinquant’anni.
Se consideriamo le risorse in campo occidentale assieme alla riluttanza “mili-
tare” europea, è abbastanza facile immaginare che l’ambiente operativo aero-
spaziale globale del futuro sarà, come si è già accennato, quello predisposto
dagli Stati Uniti, e per essi dall’Usaf, il cui interesse per le attività spaziali mi-
litari non è mai venuto meno. Ancora molti anni prima dell’11 settembre, il
generale Charles “Chuck” Horner, già responsabile di Desert Storm e poi Co-
mandante dell’ U.S. Space Command, scontento della lentezza dei ritorni in-telligence e della gestione dei mezzi satellitari, si poneva come obiettivo la
centralizzazione delle attività spaziali di interesse militare. Oggi, negli Stati
Uniti l’intero comando e controllo della parte strutturale di ogni operazione
aerospaziale è saldamente nelle mani dell’Usaf.
Con Obama anche la vision statunitense si è alquanto offuscata, ma, nei fatti,
l’impostazione concettuale del Pentagono ha proseguito in questa direzione.
D’altra parte, anche prima delle modifiche strutturali, e indipendentemente dal
fatto che si trattasse di attività civili o militari, il controllo del DoD sui vari
programmi è sempre stato molto stretto ed esercitato per lo più attraverso i ca-
nali dell’Usaf. Chiunque abbia assistito a un lancio di “shuttle” al Kennedy
Space Center o abbia semplicemente visitato il Johnson Space Center di Hou-
ston si sarà reso conto che tutti i sistemi di controllo aerospaziale sono sempli-
cemente di proprietà dell’Air Force,
Se vogliamo spendere ancora due parole sulla dottrina, appare evidente come
negli Usa lo Spazio militare – nuovo concetto di Milspace - cominci ad avere
un peso sempre maggiore, fino ad aver reso indispensabile la revisione dello
stesso concetto di Air Power, tanto da trasformarlo in quello assai più ampio
di Space Control. Con buona pace del vecchio trattato di Mosca sull’uso mili-
tare dello Spazio (che la Cina, ad esempio, non ha mai rispettato). Ho voluta-
mente insistito sullo scenario futuro, sulle strutture e sulla dottrina perché,
come sempre è avvenuto, tutto ciò – presumibilmente - finirà per diventare
anche patrimonio della Nato e, quindi, anche noi saremo tenuti, almeno per le
preventiva oppure con il disturbo elettronico sulle bande di frequenza dei si-
stemi di radiocomando o con lo schieramento di tiratori scelti per la soppres-
sione fisica del drone prima del suo arrivo sulla verticale del target, ecc..
La cyber threat nel settore della home land defence non presenta specificità
aeronautiche particolari. Va invece sottolineato come la capacità di lavorare in
data link ed in network dei velivoli di ultima generazione consente una signi-
ficativa resilienza all’offesa cibernetica, resilienza che sarà ancora maggiore
con l’acquisizione di vettori della prossima generazione.
MISSIONI AL DI FUORI DEI CONFINI NAZIONALI (in coalizione o singlenation)
Va precisato anzitutto che, fino ad oggi, le missioni fuori dai confini nazionali
effettuate dalle Forze Armate italiane si sono sempre svolte in coalizioni di più
stati nonché sotto l’egida o con la legittimazione di organismi internazionali.
Peraltro, ai fini della valutazione qualitativa delle possibili minacce, l’essere
in teatro operativo come membro di una coalizione o come nazione singola
non comporta significative differenze.
Contemporaneamente in tutti i teatri in cui fino ad oggi si è operato, ci si è
sempre trovati in condizioni di air superiority quando non di air supremacy in
quanto le “forze contrapposte” o non possedevano alcuna capacità di air powero le campagne preventive di soppressione delle difese aeree (SEAD) avevano
raggiunto pienamente il loro obiettivo di inabilitazione.
L’unica minaccia alle operazioni aeree delle forze delle varie coalizioni è stata,
in tutti i teatri, la presenza di armamenti anti-aerei (difesa d’area con batterie
fisse di missili superficie-aria; difese di punto con batterie mobili, missili manportable, artiglierie radar asservite o convenzionali). Contro questo tipo di mi-
nacce le attuali difese (missili antiradiazioni, contromisure elettroniche, auto
protezione con chaff e flares, tattiche di impiego) sono risultate sempre molto
efficaci e risolutive.
Minacce non convenzionali (biologiche e chimiche) non sono mai state speri-
mentate proprio per la difficoltà intrinseca, da parte di forze non organizzate
ed addestrate, nella gestione degli specifici armamenti e nel loro uso (costitu-
iscono concrete indicazioni, in proposito, tanto gli episodi durante “Desert
Storm” in Iraq quanto i più recenti episodi in Siria).
Una minaccia sempre presente e concretizzatasi contro gli elementi di stanzial-
ità delle forze aeree (basi, piste di volo, depositi munizioni e carburante, ecc.)
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Osservatorio Strategico
è stata quella costituita da azioni terroristiche e/o di guerriglia urbana e non, il
cui contrasto, oltre a rifarsi ai mezzi ed alle tecniche comuni a tutte le FF.AA.
ed alle forze di sicurezza che operano “boots on the ground”, può avvalersi del
supporto ravvicinato di immagini (foto e video in tempo reale) e di fuoco forniti
dalla componente aerea (velivoli pilotati e non).
LESSONS LEARNED (operazioni in Afghanistan e Libia)
AFGHANISTAN (ISAF – International Security Assistance Force)
Lineamenti generali
● 11 anni di operazioni in teatro a connotazione aeroterrestre con impiego di
forze ed armamenti convenzionali; effettuate quasi 30.000 ore di volo; perso-
nale avvicendatosi in teatro: circa 13.000 unità;
● componenti aeree schierate: velivoli aerotattici pilotati (PA200 ed AMX),
velivoli non pilotati (Predator A e B), velivoli da trasporto strategico (C130J e
Boeing 737) e tattico intra-teatro (C27J); vettori per forze speciali e guerra
elettronica (C27J special ops e JEDI – disturbatore comunicazioni); elicotteri
(AB212);
● tipi di missioni volate: ricognizione, attacco al suolo, supporto ravvicinato a
fuoco e con immagini video alle truppe della coalizione; avio rifornimento;
aviolancio; aviosbarco forze speciali; interdizione elettronica alle comunica-
zioni; trasporti tattici e strategici; COMBAT SAR;
● protezione della base di Herat con fucilieri AM; nuclei di Forze Speciali as-
segnati alla TF 45;
● addestramento di componenti di personale dell’aeronautica militare afghana
come piloti, specialisti di volo e di manutenzione, controllori traffico aereo,
gestione servizi di emergenza e logistica generale aeroportuale.
Lezioni imparate
Il “campione” in esame ha caratteristiche di ampiezza e durata tali da renderlo
idoneo alla individuazione ed apprendimento di alcune lezioni:
● l’indiscutibile efficacia delle operazioni condotte sia in volo che a terra è
stata sempre strettamente connessa alla validità delle informazioni intelligence
rese disponibili a chi doveva operare; in questo senso è stata determinante la
meritoria attività ed il massimo utilizzo della Divisione Intelligence di RC Westche ha operato come un vero Fusion Center integrando fra loro e rendendo
facilmente fruibili tutte le informazioni che affluivano dai vari “sensori” umani,
tecnologici, di analisi, ecc.; informazioni raccolte nei mercati zonali e nelle
moschee si sono rivelate fondamentali, ad esempio, per sospendere le oper-
azioni di detonazione indotta di IED (Improvised Explosive Device) - azioni
effettuabili con il JEDI - a causa del rischio di possibili danni collaterali;
● la configurazione “omologa” delle strutture dei vari comandi e la con-
seguente facilità di comunicazione fra i vari elementi di organizzazione ha reso
sempre facile la chiarezza dei rapporti e dell’interlocuzione consentendo ra-
pidità di comunicazione, unicità di intenti nonchè l’azione integrata joint e
combined delle componenti dei vari services impegnati (spessissimo i vettori
non pilotati ed i velivoli hanno operato in supporto a forze di altre nazioni ope-
ranti sul territorio afghano in aree al di fuori della giurisdizione di RC West);● spesso è risultata vitale l’azione delle forze speciali nelle loro attività di sco-
perta, sorveglianza e neutralizzazione di elementi leader dei guerriglieri nonché
nel fiancheggiamento asimmetrico delle operazioni sul terreno; quasi sempre
è avvenuto il supporto, diurno e notturno, di monitoraggio d’area o di obiettivi
puntiformi (sia fissi che mobili) fatto con i vettori a pilotaggio remoto;
● il problema di evitare al massimo i cosiddetti “danni collaterali” ha vincolato
all’impiego di solo armamento guidato ed ha insegnato che in ambiente urbano,
e talvolta anche in aree non urbane, l’uso di armamento di lancio o di caduta
di grosse dimensioni e peso è poco efficace ed anzi controproducente; l’inter-
vento di droni armati con piccoli missili a carica esplosiva ridotta a pochi kg,
spesso è la rapida ed efficace risoluzione sia di situazioni di grave rischio per
truppe di terra sia di azioni terroristiche di posizionamento di ordigni IED;
● nell’ambito delle azioni terroristiche poste in atto nel teatro afghano, mano
a mano che procedeva con successo l’addestramento delle forze locali ed il
loro coinvolgimento in attività operative, è risultato crescere in proporzione
anche il fenomeno del fuoco “green against blue” conseguenza di azioni di in-
timidazione e ricatto nei confronti di militari afghani operate anche con mi-
naccia o rapimento di loro familiari;
● nel rispetto dei dettami del NATO comprehensive approach ci sono stati ot-
timi risultati nei rapporti con le autorità e le popolazioni locali grazie all’azione
del PRT (Provincial Reconstruction Team) di Herat e la Divisione di RC Westdedicata alla Stability;● di fondamentale importanza è risultato il sostegno logistico diretto alle op-
erazioni, fornito con grande impegno e non senza difficoltà data la distanza
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Osservatorio Strategico
dall’Italia del teatro operativo; fattore vincente è stato il riuscire a mantenere
sempre uno stretto e diretto contatto fra operativi e logistici così che si è con-
solidata una perfetta conoscenza delle esigenze operative ma anche una piena
consapevolezza delle concrete possibilità logistiche.
CAMPAGNA DI LIBIA (Odissey Dawn e Unified Protector)
Lineamenti Generali
● 32 settimane di operazioni in teatro a connotazione aeronavale per la coa-
lizione (impiego di navi e velivoli); le forze di terra erano costituite dalle for-
mazioni di insorti contro il regime;
● 18 nazioni in coalizione, di esse 4 non NATO; oltre 200 velivoli stranieri
impegnati con più di 2000 uomini schierati nelle basi AM e che hanno fruito
del supporto generale e specifico fornito dall’AM;
● componente AM: velivoli aerotattici (Eurofighters, F 16, PA 200, AMX), ve-
livoli non pilotati (Predator B), velivoli tanker (KC130J e Boeing KC 767),
velivoli da trasporto (C130J e C 27J), velivolo SIGINT (G222VS), elicotteri
(HH3F); 4800 uomini impiegati continuativamente nelle basi coinvolte;
● tipo di missioni volate: difesa aerea (CAP di controllo della no-flight zone),
SEAD, RECCE (con velivoli pilotati e non), OCA (Offensive Counter Air), ri-
fornimenti in volo, trasporto uomini, materiali e munizionamenti; COMBATSAR;● armamenti utilizzati: solo missili e bombe con guida di precisione
(laser/GPS/inerziale) per minimizzare il rischio di eventuali danni collaterali;
● attrezzature elettroniche di sorveglianza di obiettivi sensibili utilizzate da
componenti di fucilieri ed incursori AM in attività di sorveglianza anti terro-
rismo delle basi aeree AM.
Lezioni imparate
Anche il “campione” qui in esame ha caratteristiche di validità per l’intensità
delle operazioni (circa 250 sortite giornaliere) condotte in tutto l’arco delle 24
h da forze aeree di 18 nazioni sotto un unico comando joint e combined costi-
tuito ad hoc e che ha gestito i sottoposti Comandi di Componente Navale ed
Aerea.
● Intelligence operativo: le informazioni rese disponibili dalla catena “I” in-
terforze sono risultate generalmente insufficienti e poco aggiornate; fino al mo-
mento dell’inizio delle operazioni di volo le richieste di informazioni inerenti
la Libia non sono state soddisfatte; non è stato possibile, quindi, formulare un
prudent planning degno di affidabilità; successivamente le informazioni sulla
scorta delle quali si è operato provenivano prevalentemente dalla catena dei
paesi “willing” durante Odissey Dawn (OD) e dalla catena NATO durante Uni-fied Protector (UP); non è stato inoltre possibile fornire nessuna target list na-
zionale (obiettivi di interesse da battere ed obiettivi di interesse da preservare)
alla Divisione incaricata del Targeting presso il Comando U.P. di Bagnoli;
● la efficace suddivisione delle competenze, frutto di facilità di comunicazione
e di chiarezza dei compiti, ha consentito uno sviluppo armonico delle opera-
zioni ed una loro valida finalizzazione con un positivo ed equilibrato senso
dell’urgenza; in aggiunta, lo strettissimo link creatosi fra il Comando dell’Ope-
razione ed i Comandanti di Componente Navy ed Air, il dialogo in tempo reale
e la condivisione effettiva dei vari processi decisionali, pur nel rispetto delle
deleghe di autorità e delle competenze di ognuno, sono stati i driving factorsdi un vero spirito joint e combined; quando ad esso si è sommato il reale coor-
dinamento fra le missioni della campagna aero-navale e le operazioni dei
gruppi armati di terra (grazie anche all’attività di net-working dei consiglieri
verosimilmente affiancatisi ai leader degli insorti) i risultati sono diventati sem-
pre più conclusivi;
● la concomitanza fra l’esigenza di contenere al minimo possibile eventuali
danni collaterali e la mancanza di armamento di lancio/caduta di piccolo peso,
e come tale idoneo all’uso in ambiente urbano, ha imposto la non accettazione
di un certo tipo di target da parte del Red Card Holder nazionale;
● le missioni, sia diurne che notturne, volate con vettori non pilotati in attività
di controllo d’area ma anche di sorveglianza di “obiettivi puntiformi”, sia statici
che mobili, hanno dimostrato la estrema validità di questo tipo di impiego non-
ché la sua possibile utilizzazione anche in azioni di contrasto ad attività terro-
ristiche e malavitose in genere; la futura dotazione di armamento adeguato
consentirà una ancor più pronunciata efficacia del sistema d’arma data la pos-
sibile strettissima consequenzialità fra la scoperta e l’identificazione del target
con la sua neutralizzazione;
● il rischio, reale anche se mai particolarmente accentuato, di azioni terroristi-
che contro le installazioni delle basi aeree coinvolte nelle operazioni, è stato
controllato grazie alle informazioni intelligence ricevute ed alla sorveglianza
e protezione dei punti più sensibili effettuata con specifiche attrezzature tec-
nologiche e con unità particolarmente addestrate alla loro utilizzazione ed al-
e che abbiano capacità di sostanziare l’approccio omnicomprensivo alle crisi.
In materia di strutture orientate, è interessante affrontare il tema della indivi-
duazione e della validazione delle liste degli obiettivi possibili di una eventuale
campagna aerea. Nello specifico: la NATO dedica un’intera direttiva al pro-
cesso di targeting (è la “Allied Joint Doctrine for Joint Targeting”) dove viene
definito un ciclo reiterativo che inizia con una fase teorica di pianificazione e
si chiude con la valutazione del risultato raggiunto, passando per l‘esecuzione
materiale dell’attacco. Durante la fase di pianificazione viene fatta una valu-
tazione strategica e vengono definiti, in ordine prioritario i possibili obiettivi,
il cui elenco è sottoposto ad un processo di validazione da cui si genera la
lista di tutti quelli leciti in ordine d’importanza (Joint Prioritized Target List –JPTL). All’interno di essa compaiono anche la lista degli obiettivi da non col-
pire (No-Strike Target List – NSL), perché protetti da norme di diritto interna-
zionale o così valutati in termini di opportunità dalla leadership
dell’operazione, nonchè la lista di obiettivi legalmente validi ma che non è
possibile colpire per restrizioni dovute a ragioni di opportunità temporanee o
permanenti indicate eventualmente anche dalle singole nazioni (Restricted Tar-get List – RTL). Le liste degli obiettivi, soprattutto quella degli RTL, dovreb-
bero essere individuate nazionalmente ed essere messe a punto per ogni area
di possibile/probabile crisi e con congruo anticipo così da consentire tanto l’ac-
quisizione di tutte le informazioni necessarie quanto le attività di “prudentplanning” caratteristiche del tempo di pre-crisi. La redazione di queste liste
di obiettivi, così come già avviene in altre nazioni, dovrebbe essere compito
di Commissioni “dedicate” in cui i rappresentanti di vari dicasteri e comunque
tutti gli “stake holders” forniscano contributo di pensiero e di documentazione.
LOGISTICA
Non è certamente scoperta di tempi recenti che una logistica efficiente ed ef-
ficace è condizione indispensabile al buon esito delle operazioni in teatro.
L’enfasi recentemente posta sul positivo impatto che una buona logistica ha
avuto sulle operazioni in Afghanistan ed in Libia non fa altro che confermare
la valenza strategica dell’avere disponibili tanto un efficace, immediato e spe-
cifico supporto alle attività combat quanto un ben organizzato sostegno di ca-
rattere più generale e sapientemente proiettato nel medio/lungo periodo.
Il continuo evolvere delle situazioni e delle conseguenti esigenze operative,
anche crisi durante, impone oggi più che mai che lo strumento logistico sia
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Osservatorio Strategico
versatile al massimo e sappia compendiare le proprie due anime: quella leggera,
agile ed immediatamente reattiva del supporto combat (fornito tanto da militari
quanto da contractors civili) e quella più lenta e più pesante, ma altrettanto in-
dispensabile, dei processi logistici industriali e di più lungo periodo. In am-
biente militare, allo sforzo concettuale ed organizzativo teso al conseguimento
della massima efficienza possibile fa riscontro, purtroppo, un aumento espo-
nenziale dei costi. Questa caratteristica di costi elevati della logistica è co-
mune, però, anche alle grandi realtà industriali ed imprenditoriali in genere,
per cui è praticamente ciclico assistere, tanto nel mondo militare quanto in
quello civile, a processi continui di riorganizzazione ed ottimizzazione che non
rispondono solo all’esigenza di adeguare l’elemento logistico a quello opera-
tivo ma anche allo sforzo di conseguire tutte le possibili economie di scala ed
il miglior rapporto costo/efficacia possibile.
Nel settore della logistica militare tanto il nostro Paese quanto molti altri in
Europa (sicuramente Francia, Germania e Gran Bretagna) hanno cercato l’ot-
timizzazione attraverso fasi successive di riorganizzazioni più o meno pro-
fonde. Anche per le FF.AA. straniere, un imprescindibile vincolo è stato, ed è
tutt’ora, il complesso delle norme che regolano le attività delle rispettive am-
ministrazioni pubbliche. Come noto in Italia tali norme sono un fardello par-
ticolarmente pesante e frenante; le riorganizzazioni possono ottimizzare
processi decisionali e dinamiche di funzionamento ma non possono certo por-
tare al bypass delle procedure di legge soprattutto quando ci si muove nel com-
plicato intreccio di talune norme molto datate e di altre più recenti che però
non le hanno completamente sostituite. L’ultimo articolato tentativo di riorga-
nizzare la logistica delle FF.AA. risale alla cosiddetta “riforma Andreatta” che
però è rimasto largamente incompiuto vuoi per resistenze interne al sistema
difesa, vuoi per oggettiva inadeguatezza di talune soluzioni a suo tempo pro-
spettate. Non è banale sottolineare come l’esistenza di forme di accentramento
di talune attività sostanzialmente comuni alle tre FF.AA. può essere un ottimo
veicolo di economie di gestione significative; contemporaneamente però va
fatta salva la specificità di taluni processi ed attività propri di ogni singola F.A.
ed indispensabili al supporto logistico operativo dedicato. Con buona appros-
simazione si può dire che un grosso limite concettuale della “riforma Andre-
atta”, nel settore della logistica, fu proprio l’idea di poter ricondurre, a strutture
e competenze fortemente accentrate, la quasi totalità della attività logistiche
lasciando ben poco spazio (ed autonomia) alle specificità della logistica combat
gimenti subitanei ma, al contrario, il parametro temporale di riferimento deve
essere almeno decennale. La logica del cambiamento deve essere duplice: ar-
rivare ad un quadro di norme aperte e moderne che siano compatibili, se non
complementari, a quelle del mondo del lavoro esterno (pur sempre nel rispetto
della specificità della condizione militare), magari ispirandosi, con le dovute
correzioni e tarature, a quanto già è vigente in molti paesi occidentali; con-
seguire un continuum logico-normativo che copra uniformemente le varie ca-
tegorie (truppa, sergenti, marescialli ed ufficiali) con istituti fra loro simili, o
quantomeno compatibili, e che normalizzino una maggior permeabilità dei
ruoli verso l’alto.
Se, come già detto, i radicali mutamenti normativi necessari alla riforma non
potranno essere introdotti senza gradualità, ci sono però alcuni istituti che, più
di altri, mostrano pesanti segni di inadeguatezza e necessitano di intervento: il
servizio permanente effettivo (SPE); le piramidi organiche; l’avanzamento nor-
malizzato; l’ordinamento (inteso come strutture ed organizzazione). La loro
obsolescenza è legata a due fattori essenziali: la datazione delle norme che li
configurano e li regolamentano; la assoluta rigidità che li caratterizza e che
contribuisce a renderli anacronistici.
Lo SPE: non esiste nessun paese occidentale in cui FFAA professionali
prevedano questo istituto così esteso, radicato e dominante in tutte le categorie
di personale. Sono due le più pesanti conseguenze: la prima è l’invecchiamento
medio degli effettivi (se un ruolo prevede 1000 appartenenti per una perma-nenza di 40 anni lavorativi, ponendo l’età di ingresso a 20 anni, la metà deimille effettivi, cioè 500 persone, sarà costantemente al di sopra dell’età mediadi 40 anni: parliamo di personale operativo e non impiegatizio) che comporta,
inevitabilmente, sia un maggior costo del modello (più il personale è anzianoper età e per servizio e più è alta la sua retribuzione media) sia una minor
adeguatezza operativa (il cospicuo numero di anziani non alimenta certo iReparti Operativi ma, tendenzialmente, costituisce incentivo a creare strutturedi staff e di comando molto articolate e densamente popolate). Esistono diverse possibilità sul come potrebbe variare lo SPE nelle varie ca-
tegorie (Ufficiali, Marescialli, Sergenti e, specialmente, Truppa) raccordandolo
con vari tipi di ferma. Anche in questo caso si tratta di prendere a modello ciò
che già avviene in altri paesi, fare tesoro degli errori e delle inadeguatezze da
loro sperimentati e produrre norme che non siano avulse dal contesto di casa
nostra.
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Osservatorio Strategico
La seconda conseguenza dell’attuale normativa sullo SPE, peraltro diretta-
mente legata alla prima, è l’appiattimento delle carriere soprattutto in quelle
categorie dove in trentacinque-quaranta anni di servizio, i gradi sono massimo
quattro o cinque peraltro conseguiti nei primi 15 anni.
L’appiattimento, nelle categorie dei marescialli, sergenti e truppa, è anche di-
retta conseguenza della struttura organica non piramidale ma sostanzialmente
cilindrica dei rispettivi ruoli. Per ritornare ad una struttura piramidale, oltre ad
una diminuzione complessiva degli organici, andrebbe prevista la creazione di
discontinuità verticali (piramidi “a gradoni” con forti differenze numeriche fra
i singoli gradoni = gradi). Il risultato si può ottenere combinando sia le pro-
mozioni con avanzamento a scelta, sia una continua e razionale previsione di
outplacement di quote consistenti di personale dopo un certo numero di anni
di servizio e comunque in età compatibile con il reimpiego nella società civile.
Il reimpiego in aziende od imprese non necessariamente del settore pubblico,
effettuato a cura di società specializzate e competenti nel settore (e non con
agenzie governative tutto fare), potrebbe avvenire, a similitudine di quanto già
accade in Inghilterra, in Francia e negli USA, sfruttando la professionalità ac-
quisita nel mondo militare, ove direttamente fruibile, o “riorientandola” medi-
ante appositi periodi ed attività di preparazione al reimpiego. Così facendo le
aziende si troverebbero a poter utilizzare personale che non necessita di adde-
stramento se non in termini di un minimo di familiarizzazione con il nuovo
ambiente di lavoro. Il poter far conto su personale di sicura affidabilità, il
risparmio dei costi addestrativi e di preparazione al mondo del lavoro unito ad
eventuali agevolazioni fiscali o contributive costituirebbero un concreto incen-
tivo all’assunzione del personale militare in uscita dalle FFAA per termine
ferma. I posti di lavoro così occupati da ex militari e non fruibili da giovani
alla prima assunzione sarebbero direttamente compensati da un pari aumento
dei reclutamenti nelle tre FFAA che, in questo modo, si proporrebbero conc-
retamente come strumento di pubblica utilità capace di produrre addestramento
e professionalità nei giovani con sicuro abbattimento di molti costi oggi a
carico delle imprese private. Peraltro, dinamiche di questa natura potrebbero
consentire, alle FFAA, di avere maggiori volumi organici nei gradi bassi (=
forza lavoro giovane) e minor presenza in quelli alti (svuotati dall’outplace-
ment) con un costo complessivo del Modello pari se non minore all’attuale. E’
evidente come i termini temporali del reimpiego in aziende civili devono sod-
disfare due requisiti essenziali: una permanenza sufficientemente lunga come
Stampato dalla Tipografia delCentro Alti Studi per la Difesa
L’Osservatorio Strategico è uno studio che raccoglie analisi e report sviluppatidal Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), realizzati da ricercatori spe-cializzati. Le aree di interesse monitorate nel 2015 sono:- Regione Danubiana – Balcanica - Turchia;- Medio Oriente - Nord Africa (MENA);- Africa Subsahariana;- Russia, Europa Orientale ed Asia Centrale;- Cina;- India ed Oceano Indiano;- Pacifico (Giappone, Corea, Paesi ASEAN, Australia);- America Latina;- Iniziative Europee di Difesa;- NATO e rapporti transatlantici;- Sotto la lente.
Gli elaborati delle singole aree, articolati in analisi critiche e previsioni, costi-tuiscono il cuore dell’“Osservatorio Strategico”, sono riportati in lingua italianaed arricchite da un executive summary in lingua inglese, per consentirne la let-tura anche ad un lettore internazionale. Inoltre, l’Osservatorio si arricchisce di un elaborato in lingua inglese denomi-nato “Quarterly”, prodotto nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre.