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fisica-aristotele-giardina

Jun 03, 2018

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  • 8/12/2019 fisica-aristotele-giardina

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    SYMBOLONSTUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

    Direttore: Francesco Romano

    UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO

    LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI

    PROBLEMI E PROSPETTIVE

    Atti del Seminario

    Catania, 26-27 settembre 2003

    a cura di

    R. LoredanaCARDULLO e Giovanna R. GIARDINA

    Prefazione di

    Francesco ROMANO

    CATANIA 2005 CUECMISBN 88-86673-75-2 14,00 (i.i.) SYMBOLON

    LA

    FISICA

    DIARISTOTELEOGGI

    PROBLEMIEPROSPETTIVE

    R.LOREDANACARDULLO

    GIOVANNAR.GIARDINA

    2828

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    SYMBOLONSTUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

    Direttore: Francesco Romano

    UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO

    LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI

    PROBLEMI E PROSPETTIVE

    Atti del Seminario

    Catania, 26-27 settembre 2003

    a cura di

    R. Loredana CARDULLO e Giovanna R. GIARDINA

    Prefazione di

    Francesco ROMANO

    CATANIA 2005 CUECM

    28

    suvmbola ga;r patriko;" novo"e[speiren kata;kovsmon

    Or. Ch. Fr. 108 dP

    SYMBOLON

    STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

    Direttore: Francesco Romano

    UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO

    11. AA.VV.,Momenti e Problemi di Storia del Platonismo (1984)

    12. Luciano Montoneri,I Megarici (1984)

    13. Francesco Romano,Porfirio e la Fisica Aristotelica (1985)

    14. R. Loredana Cardullo,Il Linguaggio del Simbolo in Proclo (1985)

    15. Concetto Martello,Simbolismo e Neoplatonismo in G. Scoto Eriugena (1986)

    16. Francesco Romano e Antonio Tin, cur., Questioni Neoplatoniche (1988)

    17. Francesco Romano,Proclo. Lezioni sul Cratilo di Platone (1989)

    18. Daniela P. Taormina,Plutarco di Atene. LUno, lAnima, le Forme (1989)

    19. Thomas Leinkauf,Il Neoplatonismo di Francesco Patrizi (1990)

    10. Daniela P. Taormina,Il Lessico delle Potenze dellAnima in Giamblico (1990)

    11. Concetto Martello,Analogia e Fisica in Giovanni Scoto (1990)

    12. Eva Di Stefano,Proclo. Elementi di Teologia (1994)

    13. Maria Di Pasquale Barbanti,Filosofia e Cultura in Sinesio di Cirene (1994)14. R. Loredana Cardullo,Siriano Esegeta di Aristotele, vol. I (1995)

    15. R. Loredana Cardullo,Siriano Esegeta di Aristotele, vol.II (2000)

    16. Francesco Romano e R. Loredana Cardullo, cur.,Dunamis nel Neoplatonismo (1996)

    17. Rosario V. Cristaldi,Saggi (Filosofia, Ermeneutica, Iconologia) (1997)

    18. Concetto Martello,Fisica della creazione. La cosmologia di Clarembaldo di Arras

    (1998)

    19. Maria Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo.

    Aspetti psicologici e prospettive religiose (1998)

    20. Giovanna R. Giardina, Giovanni Filopono matematico. Commentario a Nicomaco

    (1999)

    21. Francesco Romano,Domnino di Larissa. La svolta impossibile della filosofia mate-

    matica neoplatonica (2000)

    22. Concetto Martello,Lanfranco contro Berengario nel Liber de corpore et sanguine Do-

    mini (2001)

    23. Giovanna R. Giardina,I fondamenti della fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I

    (2002)

    24. Maria Barbanti e Francesco Romano, cur.,Il Parmenide di Platone e la sua Tradi-

    zione (2002)

    25. Maria Di Pasquale Barbanti, Origene di Alessandria tra Platonismo e Sacra Scrittu-

    ra. Teologia e Antropologia del De principiis (2003)

    26. Giovanna R. Giardina,Erone di Alessandria. Le radici filosofico-matematiche della

    tecnologia applicata (2003)

    27. Francesco Romano,Luno come fondamento. La crisi dellontologia c lassica (2004)

    28. R.L. Cardullo e G.R. Giardina, cur.,La Fisica di Aristotele oggi (2005)

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    In copertina: testa di Aristotele, Kunsthistorisches Museum di Vienna.

    Nel frontespizio: Ecate raffigurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies inMagical Amulets, Michigan Univ. 1950).

    Department of Sciences of Culture, Man and TerritoryUniversity of Catania

    Propriet letteraria riservata

    Catania 2005 - Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di MagisteroVia Etnea, 390 - 95128 Catania - Tel. e fax 095 316737 - C.c.p. 10181956

    Tutti i diritti di riproduzione sono riservati. Sono pertanto vietate la conser-vazione in sistemi reperimento dati e la riproduzione o la trasmissione, an-

    che parziali, in qualsiasi forma e mezzo (elettronico, meccanico, incluse fo-tocopie e registrazioni) senza il previo consenso scritto delleditore.

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    INDICE

    Prefazione (Francesco Romano) p. 7

    Premessa 15

    Le origini della teoria aristotelica delle cause (MarioVegetti) 21

    Primato della fisica? (Enrico Berti) 33

    Lanalogia tevcnh-fuvsi~ e il finalismo universale inAristotele, Phys. II (R. Loredana Cardullo) 51

    La causa motrice in Aristotele, Phys. III 1-3 (Gio-vanna R. Giardina) 111

    Le cose mosse da altro per natura (Ferruccio FrancoRepellini) 151

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    PREFAZIONE

    Poche parole per presentare questa pubblicazione degli Atti

    di un Seminario che poco pi di un anno fa si tenne a Catania sumia iniziativa, ma per merito soprattutto delle mie due colleghe,esperte studiose di filosofia antica e tardoantica, R. Loredana Car-dullo e Giovanna R. Giardina, le quali peraltro hanno partecipatoai lavori del Seminario con due loro contributi che qui trovanoposto e che dimostrano la loro indiscussa competenza anche suAristotele. Anzitutto voglio ringraziare ufficialmente, oltre chequeste due colleghe, gli altri tre colleghi, Mario Vegetti, EnricoBerti e Ferruccio Franco Repellini, che hanno partecipato al Se-minario con importanti contributi qui contenuti. Si tratta di tre il-lustri studiosi di Aristotele con i quali si discusso ampiamentesu quello che, a mio parere, uno dei principali trattati aristoteli-ci, la Fisica, tanto commentato nel corso dei secoli quanto non

    adeguatamente analizzato e studiato in tempi recenti, come inve-ce accaduto e accade ancora oggi nel caso di altri due trattati al-trettanto importanti, laMetafisica e lEtica Nicomachea. Pesa forsesu questa disparit di trattamento la tradizionale diffidenza versounopera che ha certamente subito le repulse pi feroci fin dallanascita della scienza moderna. facile constatare come dal puntodi vista storiografico la Fisica soffra di una bibliografia di granlunga pi esigua e, sotto certi aspetti, pi prevenuta rispetto allaMetafisica e alle due Etiche, per non parlare degli scritti dellOrga-non. Ci non toglie che grandi studiosi abbiano consacrato allaFisica di Aristotele massicci e meritori studi: basti citare, ad esem-pio, nomi quali Ross, Mansion, Solmsen e Wieland. stata questala ragione che ci ha spinto a tentare di realizzare un incontro tra

    specialisti, allo scopo di fornire dei nuovi contributi di studio inun campo tanto carente.

    7

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    Non entrer nel merito dei singoli contributi che sono conte-

    nuti nel presente volume, ma tenter ugualmente di farne unamolto sintetica esposizione di contenuto.Mario Vegetti affronta il non facile tema delle origini della

    teoria aristotelica della causalit, procedendo oltre gli immediatiantecedenti storico-dottrinali in Platone (Phlb. 26e6-8: identifica-zione tra ai[tion e poiou`n) alla scoperta di quello che egli chiamalantecedente pi preciso e pi importante, e cio un passaggio

    di Antica medicina, dove si dice che causa specifica di ciascunamalattia ci che, se presente, la provoca necessariamente, se as-sente o alterato la fa cessare. Certamente, soggiunge Vegetti, Ari-stotele presenta una teoria delle cause molto pi complessa chequella dei suoi predecessori, non fossaltro perch vale anche inquesto caso il principio squisitamente aristotelico che lessere si

    dice in molti modi, e quindi anche la causa pollacw`~ levgetai.Lindagine di Vegetti prosegue nel rintracciare i momenti salientidella ricerca aristotelica appunto sui vari modi di dire la causa, ecio sulla valutazione linguistico-dialettica dello stesso concetto dicausa, recuperando interessanti e significativi addentellati congran parte della tradizione non solo filosofica (naturalistica), maanche storiografica (Tucidide) e soprattutto medica (alcuni testi

    quali ilDe flatibus e il Peri tekhnes). Certo, conclude Vegetti, lacomplessit storico-teoretica dellanalisi aristotelica della causalitne ha impedito una teorizzazione lineare, e al limite meccanici-stica, ma in compenso ne ha determinato quellimportanteaspetto per cui la Fisica di Aristotele, se estranea alla genealo-gia della scienza moderna, non lo per alla discussione contem-poranea sulla struttura della spiegazione causale, cosa che vienetroppo spesso trascurata dagli interpreti.

    Enrico Berti affronta il tema del rapporto tra fisica e metafisi-ca, allo scopo di rafforzare gli argomenti con i quali Wieland hainteso contestare la communis opinio secondo cui spetta alla meta-fisica il ruolo di scienza (o filosofia) prima, per restituire il pri-mato alla fisica, fossanche come primato metodico nel senso

    spiega Berti che la metafisica in Aristotele non risulta com-prensibile senza la fisica, mentre la fisica pu essere compresa au-

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    tonomamente e di per s. In effetti, sostiene Berti, la fisica

    scienza dei principi, di tutti i principi ovverosia dei principi ditutta la realt. La fisica, in tal modo, possiede per Aristotele unprimato che potremmo definire iniziale, nel senso che essa dinizio alla ricerca dei principi di tutte le cose, il che proprio diuna filosofia prima, ma poi affida il compimento, o laffinamen-to, di tale ricerca, ma soltanto per una parte di questi principi, al-la metafisica, la quale in tal modo ottiene un primato che potrem-

    mo definire finale. La tesi di fondo di Berti che la prima fasedellevoluzione del pensiero di Aristotele caratterizzata dal fattoche egli non distingue ancora la fisica dalla metafisica, identifican-dole entrambe in una scienza prima che egli considera teoretica eche distinta dalla scienza pratica. Tale fase del pensiero aristote-lico certamente quella giovanile, e precisamente quella a cui ap-

    partengono, da un lato il Protreptico e dallaltro lato i libri a e Ldella Metafisica. Essi contengono una sorta di Urmetaphysik eprecisamente una fisica-metafisica, chiamata fisica in quantoscienza della natura, alla quale Aristotele attribuisce il ruolo difilosofia prima, in quanto ricerca delle cause prime della natu-ra. Tutto ci dimostra conclude Berti anche che, per Ari-stotele, la metafisica non n ontologia, n teologia, n la sintesi

    di ontologia e teologia, cio lonto-teologia, di cui parlano Hei-degger e i suoi innumerevoli ripetitori. La denominazione di fi-losofia prima, dunque, spetta a tale scienza, che primariamentefisica. Donde il primato della fisica che il titolo di questo con-tributo di Berti.

    Loredana Cardullo tratta dellanalogia tekhne/phusis in fun-zione di quello che essa chiama il finalismo universale in Aristo-tele Phys. II. Tale analogia, che Aristotele affronta in polemicacon la nozione platonica della phusis, anche nel suo rapportocon la tekhne, quale viene esposta nel Timeo e nel X libro delleLeggi, ha un valore metodologico-conoscitivo, nel senso che laphusis non pu essere compresa se non attraverso la tekhne. LaCardullo si diffonde in una sottile e interessante analisi dei due

    concetti, condotta, oltre che sui testi menzionati di Platone, sul li-bro II della Fisica di Aristotele confrontato con alcuni passaggi

    PREFAZIONE 9

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    dellaMetafisica. La tesi di fondo della Cardullo che Aristotele,

    in polemica con Platone, attribuisce un primato ontologico allaphusis e quindi una superiorit di questa sulla tekhne, al contrariodi quel che accadeva in Platone. Tale primato viene giocato sulcampo della nozione di mimesis, a proposito della quale si regi-stra ancora un contrasto tra Platone e Aristotele. Su tutto ci siinnesta il discorso che la Cardullo dedica alle diverse interpreta-zioni della teoria delle quattro cause, che da un buon numero di

    interpreti viene intesa nel senso che, a parte la causa efficiente, inAristotele la nozione di causa indica non gi una concreta realtcapace di produrre come suo effetto unaltrettanto concretarealt, bens un modo di spiegare il perch una certa realt quello che , lungi, quindi, da ogni significato moderno del termi-ne causa intesa come un agente concreto, qualcosa che agisce e

    che, attraverso tale azione, produce un effetto. Una tale interpre-tazione, generalmente sostenuta nel mondo anglosassone, nonconvince la Cardullo, che le contrappone una serie di argomenticritici atti a svalutarla a vantaggio del carattere realistico o prag-matista o empirista, in una parola ontologico dellaitia aristoteli-ca. Di qui il passo breve per dimostrare il valore finalistico del-lanalogia tekhne-phusis in Aristotele. Cosa che la Cardullo fa, ed

    efficacemente, nella parte conclusiva del suo contributo.Giovanna R. Giardina affronta il problema della causa mo-trice nei primi tre capitoli del libro III della Fisica di Aristotele.Si tratta di unacuta, approfondita e convincente analisi di unaparte del testo aristotelico che presenta notevoli difficolt di lettu-ra e di interpretazione. Il discorso della Giardina si muove sulladirettrice della teoria generale del movimento, che Aristotele trat-ta nelle sue linee essenziali in quei tre capitoli prima di utilizzarlasecondo modi specifici in vari trattati fisici particolari, primi fratutti ilDe motu animalium e ilDe generatione animalium. La tesidi fondo della Giardina che la dottrina della causa motrice inAristotele legata a quella generale del movimento, nel senso cheto; kinouvmenon presuppone necessariamente to; kinoun. Il discorso

    della Giardina si muove pertanto tra la definizione di movimentoe quella di causa motrice, lungo un percorso criticamente efficace

    10 FRANCESCO ROMANO

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    e metodologicamente rigoroso in cui vengono affrontati in modo

    sistematico e organico tutti, dico tutti, i passaggi logici che hannoguidato la mente di Aristotele dalla prima alla seconda definizio-ne, cio dal movimento alla causa motrice. Sono analizzate e va-lutate tutte le proposizioni contenute nelle pagine di Phys. III1,200b12-2,202a3 e III 2,202a3-3,202b29 rispettivamente dedica-te al movimento e alla causa motrice. Sono tenuti in gran conto, egiustamente, tutti gli esempi con cui Aristotele accompagna le sue

    argomentazioni e le sue definizioni, perch spesso proprio dagliesempi possibile ricavare il significato effettivo del ragionamen-to aristotelico. Mi sembra buona norma metodologica non trascu-rare gli esempi concreti che il Filosofo adduce per spiegare fino infondo ci che vuole dire. A tale proposito interessante lanalisiche la Giardina fa dei due termini/concetti, molto spesso confusi

    o scambiati tra loro, di ejnevrgeia e ejntelevceia. Se non si distin-guono tra loro questi due termini/concetti non si capisce il di-scorso di fondo che porta Aristotele a dimostrare il movimentoattraverso la causa motrice in tutte le loro rispettive accezioni. Ri-sulta infatti e la Giardina lo sottolinea esplicitamente chelejntelevceia altro non che una ejnevrgeia ajtelhv~, cio un attoincompiuto, ed incompiuto perch ancora presente il poten-

    ziale, il dunatovn. E questo lo si afferra proprio in virt dellesem-pio della costruzione di una casa oijkodovmhsi~ con cui Aristo-tele accompagna il suo ragionamento. Lanalisi del movimento, o,meglio, degli argomenti con cui Aristotele definisce il movimen-to, rende necessaria lanalisi della causa motrice, che occupa lul-timo paragrafo, il pi lungo, del contributo della Giardina. Il mo-vimento si spiega con il rapporto motore-mosso: il motore,

    to;kinou`n, causa motrice, perch ci che trasmette una certa for-ma, ei\dov~ ti, che Aristotele spiega secondo quelle che sono le ca-tegorie del mutamento, cio sostanza, quantit, qualit. Ciascunadi queste forme detta ajrch; kai; ai[tion th`~ kinhvsew~, quindi to;kinou`n pu benissimo essere definito o{qen hJ ajrch; th`~ metabolh`~,oppure come o{qen hJkivnhsi~.

    Ferruccio Franco Repellini discute la problematica che emer-ge dalla lettura del cap. IV del libro VIII della Fisica, soprattutto

    PREFAZIONE 11

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    in ordine allaporia sul motore immobile: tutto ci che mosso,

    mosso da qualcosa; tutto ci che mosso da qualcosa, o mossoda altro o mosso da se stesso; nel primo caso impossibile nonrisalire a un primo mosso che mosso da se stesso, perch si pro-durrebbe un regressus in infinitum; nel secondo caso ogni motoredi se stesso si articola necessariamente in una parte (o aspetto)che mossa e in unaltra parte che motrice immobile; la colle-zione di primi motori immobili cos introdotta deve essere, alme-

    no in parte, eterna e finita, ed meglio che sia uno anzich molti. questo lo schema dellintera argomentazione che Aristotelesvolge nel libro VIII della Fisica, almeno fino al cap. 6, dove essasi conclude con lintroduzione di un primo motore immobile. Latesi di fondo di Franco Repellini che in tutto questo rimaneestranea la nozione di fuvsi~, giacch in nessuno di questi passi

    dimostrativi la natura presente in modo indispensabile. Tutta-via la natura appare presente in modo rilevante soltanto nel cap.4, dove si dimostra che tutto ci che mosso, mosso da qualco-sa. Aristotele giunge a tale conclusione non mediante una dimo-strazione diretta, bens con un percorso pi tortuoso: producen-do una casistica esaustiva delle cose mosse, e facendo vedere inciascun caso il qualcosa che assolve il ruolo di motore. Le diffi-

    colt interpretative del cap. 4 nascono dal fatto che Aristotele, daun lato non pretende di far derivare la necessit di un motore perogni movimento dalla definizione di natura, dallaltro lato per siesprime scrive Franco Repellini come se non ci fossero pro-blemi di compatibilit tra la definizione di natura come principiodi movimento e la tesi della necessit di un motore per ogni movi-mento. Per dissipare ogni aporia, occorre leggere questo cap. 4solo nellottica generale del libro VIII che quella di riconosce-re la necessit dellesistenza di un livello di motori immobili eter-ni, come condizione delleternit della ghenesis, dalla quale a suavolta dipende lintelligibilit del mondo.

    Non voglio andare oltre come ho promesso allinizio que-ste sintetiche presentazioni dei cinque testi che qui sono raccolti e

    pubblicati. Mi premeva soltanto di dare almeno una testimonian-za dellinteresse che mi ha guidato, prima nel proporre liniziativa

    12 FRANCESCO ROMANO

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    di questo Seminario, e dopo nel trarre profitto scientifico dalla di-

    scussione e dalla lettura dei singoli lavori presentati dai colleghiAristotelisti.Le colleghe che hanno curato il volume forniranno a parte,

    nellIntroduzione, i criteri e le ragioni del loro lavoro editoriale elo faranno con tanta maggiore efficacia in quanto sono, esse s,addette ai lavori nel settore degli studi aristotelici.

    Giudicher il lettore se sia valsa la pena di concludere la no-

    stra iniziativa con la pubblicazione di questiAtti.Catania, Universit, febbraio 2005

    Francesco Romano

    PREFAZIONE 13

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    PREMESSA

    Dopo lavvento della fisica moderna la Fisica di Aristotele ha

    perduto gran parte del suo antico prestigio e della sua credibilita ragione del fatto che i principali fisici moderni, a cominciare daBacone e Galilei, come si sa, la liquidarono come inefficace e su-perata, giudicandola pi che una scienza vera e propria comeAristotele laveva considerata una metafisica del mondo sensi-bile. Questo spiega perch gli studi che sono stati dedicati allaFisica dopo il XVII sec. sono poco numerosi: una povert checontrasta con il successo che altre opere di Aristotele hanno gua-dagnato fra gli studiosi. Il fenomeno prosegue a tuttoggi: gli studisulla Fisica pubblicati negli ultimi due secoli sono pochi, anzi ad-dirittura rari.

    Oggi forse non pi possibile sottoscrivere laffermazione diHeidegger, secondo cui la Fisica di Aristotele il libro fonda-

    mentale della filosofia occidentale, ma certamente questoperaha profondamente e durevolmente segnato il nostro modo di pen-sare e su un punto Heidegger ha ragione: la natura aristotelica,nella sua opposizione agli altri campi del pensiero, cio la sovra-natura, larte e la storia, la nostra natura. Se quindi da un lato impossibile aderire ad una concezione continuista della storiadella fisica in cui la Fisica di Aristotele sarebbe la progenitrice diquelle di Galilei, di Cartesio e di Newton, nondimeno essa non n estranea n assente nel dibattito contemporaneo, in cui rap-presenta ancora un oggetto di studio interessante per la storia del-la scienza e per la filosofia. Tuttavia, se i tempi della filosofia nonsempre coincidono con i tempi della scienza, la Fisica, pi di tantialtri trattati aristotelici, continua a far sentire il suo peso, ponen-

    dosi a giusto titolo in quella atemporalit che segna le pi grandiproduzioni del pensiero umano. Tutti questi motivi rendono oggi

    15

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    particolarmente urgente e stimolante una riflessione sulla Fisica

    aristotelica e sul ruolo che essa ha svolto e continua a svolgere neldibattito contemporaneo.La scelta di fare discutere, in due giornate di studio e di rifles-

    sione critica sulla Fisica di Aristotele, un gruppo di aristotelisti,alcuni dei quali si segnalano anche per le loro ricerche sulla tradi-zione neoplatonica alla quale Aristotele non certo estraneo, na-sce da un autentico interesse sia per la filosofia dello Stagirita in

    quanto tale, sia appunto per la presenza di essa nella speculazionedegli esegeti neoplatonici. La lettura preliminare, attenta e capil-lare, del testo di Aristotele e della relativa letteratura critica, chelo studio dei commentari aristotelici di autori neoplatonici sem-pre necessariamente comporta, ha fatto nascere in noi, quasi co-me uno sbocco naturale, un interesse sempre crescente per il pen-

    siero dello Stagirita, e il desiderio di dedicarvi pi tempo e pienergie. Per tale ragione da qualche anno alcuni di noi hanno, percos dire, trasgredito agli orientamenti principali del gruppo di ri-cerca che ha sempre in Francesco Romano il suo cuore pulsan-te scegliendo di convogliare la propria attenzione verso la filoso-fia aristotelica.

    Le risultanze del dibattito seminariale sono contenute in que-

    sto volume, che raccoglie contributi preziosi che sono altres testi-monianze della partecipazione degli studiosi italiani al dibattitointernazionale su Aristotele e sulla scienza aristotelica: di ci il let-tore pu rendersi conto gi leggendo la presentazione che, nellepagine precedenti, ha fatto F. Romano disegnando un rapido maefficace profilo di ciascun contributo.

    Nel curare questo volume abbiamo cercato di rispettare il pipossibile le scelte redazionali dei singoli autori: abbiamo percievitato di uniformare le citazioni degli autori antichi o le sigle diuso comune, lasciando inalterati i testi che ci sono stati inviati da-gli autori. Anche le note seguono criteri differenziati, in quantoper motivi di snellezza adottato il metodo anglosassone nei no-stri due contributi (che quindi presentano nelle rispettive pagine

    finali le indicazioni bibliografiche a cui si fa rapidamente riferi-mento nelle note), e il metodo classico invece nei rimanenti.

    16 PREMESSA

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    Nel licenziare questo volume, ringraziamo i Colleghi che han-

    no reso possibile liniziativa e che ci hanno consentito di poterefruire di un dibattito scientifico altamente qualificato e stimolantesu temi di nostro interesse, sui quali ogni giorno ci interroghiamoanche in vista di nuovi studi aristotelici destinati a prossime pub-blicazioni.

    Catania, Universit, febbraio 2005

    Le curatrici

    PREMESSA 17

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    LA FISICA DI ARISTOTELE OGGIPROBLEMI E PROSPETTIVE

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    LE ORIGINI DELLATEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE

    Mario Vegetti*

    1. Vorrei proporre, per cominciare, una sorta di esperimento

    esegetico. Se Aristotele si fosse limitato alla definizione riassuntivadi causa proposta a proposito della sola arche kineseos , nelcapitolo 3 del II libro della Fisica, non sarebbe stato difficile rico-struire la genealogia di questa posizione. In questo passo si diceche in generale causa [efficiente] ci che produce ci che vie-ne prodotto e muta ci che viene mutato (194b31 sg.: o{lw~ to;poiou`n tou` poioumevnou kai; to; metabavllon tou` metaballomevnou)(e si veda negli stessi termini Metafisica Delta 2 1013a sg.). As-sisteremmo in questo caso ad un passo significativo del percor-so concettuale che sarebbe culminato nella teoria di Hume dellacausa come antecedente lineare e necessario del relativo effetto. Iprecedenti pi vicini ad Aristotele potrebbero venire rintracciatiin alcuni testi platonici: nel Fedone,1 intanto, almeno laddove la

    causa descritta come il perch ogni cosa viene ad essere, peri-sce ed esiste (96a9: dia; tiv givgnetai e{kaston kai; dia; tiv ajpovllu-tai kai;dia;tiv e[sti); ma soprattutto poich il Fedone insiste sul-la modalit finale della causazione in un importante passo delFilebo, dove aition epoioun vengono di fatto identificati (26e6-8:to;poioun kai;to;ai[tion ojrqw~ a]n ei[h legovmenon e{n).

    Ma lantecedente pi preciso e pi importante sarebbe da in-dividuare in un passo diAntica medicina, un testo ippocratico che

    21

    * Universit di Pavia.1 Cf. su questi passi D. Sedley, Platonic Causes, Phronesis 43, 1998, pp.

    114-32; F. Fronterotta, Mevqexi~.La teoria platonica delle idee e la partecipazionedelle cose empiriche, Scuola Normale Superiore, Pisa 2001, pp. 206-22. Sulla po-sizione antiplatonica di Aristotele sul tema delle cause, cf. C. Natali, Problemidella nozione di causa in Aristotele, con particolare attenzione alla causalit finale,Quaestio 2/2002 (La causalit, a cura di C. Esposito-P. Porro), pp. 57-75.

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    pu venire datato alla fine del V secolo, e che porta a compimen-

    to un lungo e incerto percorso del pensiero medico in direzionedi una concettualizzazione della causalit (senza tuttavia cancel-larne le oscillazioni, come vedremo pi avanti). Scriveva dunquelautore ippocratico: dobbiamo certamente considerare che cau-sa (aitia) di ogni malattia siano quei fattori che quando sono pre-senti producono necessariamente una malattia di un tipo partico-lare, che invece cessa quando essi mutano (19.3: dei` tau`ta

    ai[tia eJkavstou hJgei`sqai ei\nai, w|n pareovntwn toioutovtropon aj-navgkh givnesqai, metaballovntwn pauvesqai). Una causa dunque tale (1) quando la sua presenza produce un certo effetto, (2)quando questo effetto determinato necessariamente e in modounivoco, (3) quando la sua assenza o alterazione determina il ve-nir meno delleffetto.

    Aristotele avrebbe dunque raccolto non solo i precedenti pla-tonici, ma soprattutto la pi chiara e univoca teorizzazione ippo-cratica della forma generale della causalit (quella, per inten-derci, che egli nella Fisica limitava alla sola modalit efficiente).

    Quanto agli sviluppi successivi di questa posizione, essi pos-sono venire sicuramente riconosciuti nella teoria stoica di Zenonee Crisippo, cui si deve la celebre distinzione fra aition come causa

    (che necessariamente corporea) e aitia come spiegazione (checonsiste in un logos).2 Di qui si giunge fino alla tesi dogmaticaattestata in Sesto Empirico (Schizzi pirronianiIII 14: una causa ci mediante la cui attivit si produce un effetto) e pi oltre,come si diceva, appunto fino a Hume.

    2. Ma, come ben noto, Aristotele non pu venire inserito inquesta linea genealogica perch la sua teoria della causalit, discus-sa nel II libro della Fisica, e per altro ripresa nel capitolo diMetafi-sica Delta cui mi sono riferito, assai pi complessa, o, come scri-

    22 MARIO VEGETTI

    2 Zenone (SVF I 89) definiva laition come il diho, e sosteneva che non esi-ste causa senza il relativo effetto; cf. anche Crisippo, SVF II 336. In proposito fondamentale il saggio di M. Frede, The Original Notion of Cause, in Essays in

    Ancient Philosophy, Oxford, U.P. 1987, pp. 125-50.

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    ve Sorabji, pi liberale,3 bench, dal punto di vista della moder-

    nit, forse pi arcaica, delle posizioni che ho fin qui delineato.Questa teoria ha al suo centro lanalisi delle modalit con cuisi pu rispondere alla domanda perch (dia ti) (II 7 198a14sgg.), che sono inevitabilmente plurali e irriducibili, dal momentoche le cause si dicono in molti modi (II 3 195a29: levgetai ga;rai[tia pollacw`~). Aristotele ne riconosce quattro modalit princi-pali, ognuna delle quali presenta sei tropoi(il particolare, il gene-

    rale, il sumbebekos, il genere del sumbebekos, isolati o combinatifra loro), che a loro volta possono venir presi in senso attuale opotenziale: in tutto 48 possibili modi di formulare la risposta aquella domanda (II 3). A chiunque abbia in mente la teoria linea-re della causalit cui si fatto cenno, il linguaggio e gli esempicon cui Aristotele introduce la sua classificazione dei modi della

    causazione e della spiegazione causale non possono che risultaresconcertanti. Il primo tipo di risposta a quella domanda consistenellenunciare ci da cui si genera una cosa e che vi permane,come il bronzo per la statua. Il secondo nellindicare leidos, cio,platonicamente, ilparadeigma (come il rapporto 2:1 per lottavamusicale). Il terzo modo di rispondere riguarda il principio delmutamento o dellimmobilit, nel senso che ne aitios (causa, o

    anche responsabile) chi ha preso la decisione (ho bouleusas),o il padre del figlio. La quarta modalit di risposta rappresenta-ta dallenunciazione dello scopo, to; ou| e{neka (alla domandaperch passeggia? rispondiamo per star bene).4

    A partire da Ross, e specialmente con Wieland, gli interpretihanno giustamente sottolineato lassenza di qualsiasi forma di de-duzione o dimostrazione di questa teoria della causazione, omeglio della spiegazione causale, di cui per contro chiaro il ca-rattere di risultato di unanalisi delluso linguistico,5 e in sostan-

    LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 23

    3 R. Sorabji, Necessity, Cause and Blame, Duckworth, London 1980, p. 42.4 R. Sorabji, op. cit., p. 40, parla di four modes of explication; allo stesso

    modo R.J. Hankinson, Cause and Explanation in Ancient Greek Thought, Cla-rendon Press, Oxford 1998, di explanatory categories (o becauses).

    5 W. Wieland, La fisica di Aristotele (1962), trad. it. Il Mulino, Bologna1993, p. 331.

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    za la natura dialettica. Essa deriva quindi dalle opinioni comuni,

    anzi, secondo Irwin, proprio in quanto troppo aderente alleopinioni comuni che dovrebbe spiegare, non riesce a chiarire lacentralit della causa efficiente.6 Noto fin dora che questa criticaassume come riferimento valutativo proprio la linea genealogicache ho prima descritta, e alla quale Aristotele ha deciso di sottrar-si, non senza, come vedremo, qualche vantaggio teorico.7

    Mi interessa per ora, prima di discutere questo problema, an-

    dare oltre il riferimento generico allanalisi linguistica, e allinda-gine dialettica sulle doxai, per ricostruire unaltra genealogia dellaposizione aristotelica, facendola risalire non semplicemente al lin-guaggio e alle opinioni comuni, bens ad una ricca e complessatradizione culturale. Quali sono dunque i linguaggi e le opinioni,retaggio di questa tradizione, a partire dai quali prende forma la

    concettualizzazione aristotelica della causalit?3. A dire il vero, questa domanda sembra avere una risposta

    obbligata, e del resto notissima, perch lo stesso Aristotele a in-dicarcela nel libro Alpha dellaMetafisica: la tradizione di cui eglidichiara di essere lerede quella tutta filosofica che va daTalete fino a Platone. Ma si tratta di una risposta attendibile? Il ri-

    sultato sorprendente di una ricerca sul lessico della causalit neiframmenti dei pensatori presocratici prescindendo, sintende,dalle testimonianze di esclusiva origine aristotelica la pressochtotale assenza di un qualsiasi linguaggio relativo a questo ambito.8

    24 MARIO VEGETTI

    6 T. Irwin,I principi primi di Aristotele (1988), trad. it. Vita e Pensiero, Mi-lano 1996, pp. 121-22.

    7 Questa mi sembra anche la posizione di C. Natali, AITIA in Aristotele.Causa o spiegazione?, in H.C. Gnther-A. Rengakos (hsg.),Beitrge zur AntikenPhilosophie. Festschrift f. W. Kullmann, Steiner Verlag, Stuttgart 1997, pp. 113-24 (Natali ritiene per che, in luoghi diversi da quelli della Fisica, Aristotele teo-rizzi la causalit non solo come spiegazione, ma descrizione di connessioni rea-li di dipendenza che esistono nel mondo).

    8 Ho discusso pi ampiamente la questione in Culpability, responsibility,cause: Philosophy, historiography and medicine in the fifth century, in A.A. Long(ed.), The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, Cambridge, U.P.1999, pp. 271-89.

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    Aitia compare una sola volta in Democrito (DK B 83), con il

    significato di ragione o motivo. Prophasis (DK B 119) ha ilvalore di scusa, giustificazione che normale, come vedremo,negli storici e nei medici. In Gorgia aitia, che compare nellElenae nel Palamede (DK B 11, 11a) mantiene naturalmente il significa-to di colpevolezza o responsabilit che consueto nel discor-so giuridico e morale. Basta ricordare, in proposito, la secondaTetralogia di Antifonte, dove in questione la responsabilit di

    un giovane che lanciando il giavellotto ha ucciso un compagnoentrato per errore nel campo di tiro, o laneddoto di Pericle eProtagora (DK 80A10), che discutono su chi siano i responsabi-li (appunto aitioi) delluccisione di un altro giovane in circostan-ze simili. Si tratta in tutti questi casi di dibattiti sulla responsabi-lit e la colpevolezza in contesti religiosi, morali e giuridici di-

    battiti che raggiungono forse il loro punto pi alto nellEdipo aColono di Sofocle, dove Edipo si dichiara moralmente e legalmen-te innocente perch i suoi crimini erano stati involontari e incon-sapevoli (vv. 546-8, 266-72). Ma a sua volta Edipo era stato pre-ceduto dallAgamennone omerico, quando aveva dichiarato nonio sono il colpevole (aitios), bens Zeus, la Moira e le Erinni (Ilia-de XIX 86).

    Pi interessanti sono i risultati della ricerca sul linguaggio re-lativo ai nessi di dipendenza fra cose ed eventi nei pensatori natu-ralisti, cui Aristotele fa largamente riferimento nel libro AlphadellaMetafisica. Nel pi antico di essi di cui ci sia pervenuto unframmento forse originale, Anassimandro, il ciclo del cosmo fat-to dipendere da un avvicendarsi di colpa e punizione (adikia,tisis) (DK B1), cio in termini giuridico-morali piuttosto che cau-sali. Pi in generale, il termine ricorrente laddove ci si potrebbearistotelicamente attendere aitia quello di arche, che vale certoprincipio, punto di inizio di un processo, ma che mantienesempre anche il valore politico di potere. Cos ad esempio Em-pedocle parla di Amore e Odio come archai che dominano(krateousi) a turno nel volgere del tempo (B 17.28), e Anassagora

    descrive il Nous come un autokrates che esercita la sua forza (kra-teuei, ischeuei) e possiede il potere (arche) di iniziare il movimen-

    LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 25

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    to di rotazione del mondo (B 12). Sembra chiaro, dunque, che

    queste forme embrionali di pensiero causale sono del tutto avvol-te in linguaggi metaforici che derivano dalla sfera politica, oppureda quella giuridico-morale.

    Non dunque dai linguaggi e dalle doxaidei naturalisti preso-cratici che Aristotele pu aver derivato la sua classificazione deimodi con cui si risponde alla domanda perch. Evidentemente,una radicale elaborazione di questo ambito di pensiero poteva

    farne emergere le questioni del rapporto fra forma e materia, fraagente e fine, che in esso erano per tuttaltro che evidenti ed ela-borate. Ci si pu chiedere perch Aristotele abbia deciso di far di-pendere da questa tradizione, o meglio dalla sua trattazione dia-lettica (il cui senso stato perfettamente illustrato da Enrico Ber-ti)9 la derivazione doxastica della sua teoria della causalit. Una

    risposta possibile pu consistere nella sua intenzione di costruireunautonomia della tradizione filosofica o almeno di quellache egli istituiva come tale rispetto a un retroterra culturale piampio e variegato che doveva per ora venire per cos dire censu-rato perch estraneo allautogenesi dello spazio della scienza ri-cercata, la zetoumene episteme su cui verteMetafisica Alpha.

    4. Qualche indizio che ci porta nella direzione di questo re-troterra culturale della teoria aristotelica della causalit affioratuttavia ancora in alcuni passi significativi.

    InAnalitici PosterioriII 11 Aristotele fa un esempio relativoalla causa (to dia ti) della guerra medica contro Atene. Alla do-manda perch i Persiani hanno combattuto gli Ateniesi?, la ri-

    sposta : perch questi ultimi hanno cominciato per primi leostilit effettuando la spedizione contro Sardi. Secondo Aristo-tele, si tratta qui di una spiegazione basata sulla causa efficien-te, to; kinh`san prw`ton. Ma la fonte certamente extrafilosofica:si tratta senza dubbio dellepisodio narrato da Erodoto (V 99-

    26 MARIO VEGETTI

    9 Cf. E. Berti, Sul carattere dialettico della storiografia filosofica di Aristote-le, in G. Cambiano (a cura di), Storiografia e dossografia nella filosofia antica, Tir-renia, Torino 1986, pp. 101-25.

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    102), che i Persiani addussero a pretesto per la loro rappresaglia.

    Nella stessa Fisica (II 7 198a19 sg.), torna un esempio simile: alladomanda perch si fatta la guerra?, si pu rispondere per-ch avevano compiuto una razzia (qui la risposta ancora di ti-po erodoteo, e in questo caso viene enunciata la causa efficien-te), oppure per dominare (una risposta che ricorda piuttostola spiegazione tucididea della guerra del Peloponneso, I 23.6,e che ha la forma dellenunciazione della causa finale, tivno~

    e{neka).Questi esempi indicano con chiarezza il terreno di formazione

    di un linguaggio in cui termini come aitia e aition significano pri-mariamente responsabilit o imputabilit.10 Si tratta eviden-temente del dibattito politico quale viene rappresentato ed elabo-rato nella storiografia da Erodoto a Tucidide. Lopera del primo

    inizia appunto con una discussione della aitia delle guerre fraGreci e Barbari: le ragioni e i motivi del conflitto sono disputatifra le due parti, che si accusano a vicenda di esser responsabilidellingiustizia (adikia) che ha motivato la rappresaglia dando ori-gine alle ostilit. In Erodoto il valore primario di aitia resta quellodi accusa per un crimine commesso, e quindi di colpevolezzache costituisce motivo di punizione (cf. per esempio I 137.1). Ad

    esso si connette strettamente il termineprophasis, che vale giusti-ficazione, pretesto, scusa. Ma ci sono anche in Erodoto segni diuna vaga e incerta transizione dal linguaggio dellimputabilit aquello della causalit: egli sostiene ad esempio che il sole aitiosdelle piene del Nilo, dunque responsabile ma in un certo sensoanche causa.

    Linizio della Storia di Tucidide interamente erodoteo: vi sidescrivono le accuse e le dispute (aitiai/diaphorai, I 23.5), cio imotivi (aitias) pubblicamente addotti dalle parti in conflitto pergiustificare lo scoppio delle ostilit fra Ateniesi e Spartani. C inverit un celebre passo (I 23.6) in cui Tucidide afferma che laprophasis pi vera, bench occultata nella discussione pubblica,

    LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 27

    10 R. Sorabji, op. cit., p. 40, definisce aition come what is responsible, oranswerable; cf. anche M. Frede, op. cit., p. 132.

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    fu la necessit degli Spartani di iniziare la guerra per il timore del-

    la crescente potenza ateniese. Ma prophasis non significa, comehanno creduto molti interpreti, la causa ultima celata dietro ipretesti addotti. Il termine, che deriva daphaino,11 vale portarealla luce, e laffermazione tucididea andr dunque intesa in que-sto senso: il motivo pi autentico che io posso mostrare, nono-stante il suo occultamento.

    Anche in Tucidide compare tuttavia almeno un passo in cui si

    assiste ad unincerta transizione dal linguaggio della responsabi-lit e dellimputazione a quello della causalit. Si tratta del celebreresoconto dellepidemia di Atene (II 48.3). Tucidide ritiene cheognuno, medico o profano, debba esprimere la sua opinione sulleaitiai che possono aver posseduto una forza (dunamis) tale daprovocare la catastrofe. Interessante qui la connessione di aitia

    con dunamis, nel senso di capacit di produrre effetti, che qua-lifica in senso decisamente causale il valore del termine.Questo passo ci indirizza verso il linguaggio della medicina, di

    cui qui Tucidide largamente debitore. Va detto che anche neitesti ippocratici del V secolo il linguaggio della causalit risultatuttaltro che chiaramente definito. Esso per esempio del tuttoassente in testi importanti ed autorevoli come ilDe locis in homi-

    ne e il Prognostico, e anche altrove difficile trovare paralleli allaposizione diAntica medicina (un testo che anche per questo, co-me per altri aspetti, risulta anzi piuttosto isolato).

    Allinizio delMale sacro troviamo la celebre dichiarazione se-condo la quale anche questa affezione, lepilessia, non di originedivina ma possiede una sua natura e una suaprophasis: il terminenon vale qui causa, ma, esattamente come in Tucidide, spiega-zione pubblicamente enunciabile, al contrario di quelle proposteda maghi e purificatori, che rendono gli di colpevoli (aitioi)del male (1.20). Sulla stessa linea, ma anche pi interessante dalnostro punto di vista, il trattato sulleArie, acque, luoghi. A pro-

    28 MARIO VEGETTI

    11 Cf. J. Irigoin, Pralables linguistiques linterprtation de termes techni-ques attests dans la collection hippocratique, in F. Lasserre-P. Mudry, Formes de

    pense dans la collection hippocratique, Droz, Genve 1983, pp. 173-80.

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    posito dellimpotenza che affligge gli Sciti (22), e di cui essi attri-

    buiscono la responsabilit (aitia) agli di, lautore ippocratico so-stiene che la malattia in effetti dipende da una pluralit di ragioniapertamente spiegabili (prophaseis), come labitudine di cavalcareda parte dei ricchi e le stesse incisioni con le quali essi si curano,cui si aggiungono inoltre labitudine di indossare calzoni e la con-nessa diminuzione del desiderio sessuale. Questo sistema com-plesso di spiegazioni del fenomeno (indicato dal ricorso sistemati-

    co a preposizioni come apo e dia) non rinvia certo ad una formalineare di causalit ma presenta uninteressante variet di punti divista esplicativi sulla pluralit di circostanze e ragioni che rendo-no razionalmente comprensibile il fenomeno.

    Ci sono infine due testi probabilmente di matrice iatrosofi-stica di particolare interesse per la nostra analisi. Il primo, De

    flatibus, comincia con lo stile di uninchiesta giudiziaria (cap. 2):Tutte le malattie hanno la stessa forma e causa (idea/aitia). Qua-le sia questa causa cercher di mostrarlo nel discorso che segue.E scrive il nostro autore, a conclusione della sua requisitoria: chiaro dunque che le arie inspirate (pneumata) sono il fattore piattivo in tutte le malattie; tutte le altre cose sono cause concomi-tanti e secondarie (sunaitia/metaitia). Ho dunque dimostrato che

    questa la causa (aition) delle malattie (cap. 15). Il linguaggio,come si diceva, quello di uninchiesta giudiziaria aperta conunipotesi accusatoria e conclusa con lindividuazione del colpe-vole e dei suoi complici. Nellambito di questa arringa di tipo so-fistico o tribunalizio, si disegnano tuttavia i lineamenti di una ri-cerca causale precisa e fin troppo rigorosa nella sua pretesa di in-dicare un fattore causale dominante rispetto al quale gli altri ap-paiono al pi concomitanti e secondari. Da questo punto di vista,ilDe flatibus appare come un diretto antecedente del celebre pas-saggio del Fedone platonico, considerato come la prima riflessio-ne filosofica sul problema della causalit, dove pure si ricorre aunipotesi di partenza e si distingue la causa principale da quelleconcomitanti (99b-100a).

    Il secondo dei testi cui facevo riferimento il Peri technes.Bench esso impieghi i termini di aitia e aitios nel consueto senso

    LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 29

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    di colpevolezza e responsabilit (cap. 7), assistiamo anche

    qui ad un interessante sviluppo epistemologico. Polemizzandocontro chi sostiene che la medicina inutile, perch le malattie senon letali guariscono spontaneamente, lautore sostiene che nonesistono terapie spontanee, perch nellambito di ci che su-scettibile di spiegazione causale (dia ti) la spontaneit (automa-ton) sparisce: e a questo ambito appartiene appunto la medicina,in cui il dia tirende i fenomeni spiegabili e perci razionalmente

    prevedibili (cap. 6). Anche qui siamo certamente nella direzioneconcettuale che conduce al Fedone, e per altri aspetti, come fa-cile vedere, al II libro della Fisica aristotelica.

    5. La sommaria descrizione di questa tradizione di pensieropu contribuire a mostrare come Aristotele, nella sua sistemazio-

    ne teorica del pensiero causale, abbia in effetti compiuto una scel-ta o meglio una decisione teorica, che sembra essere stata quelladi accoglierne tutta la complessit, senza sacrificarla a quel suoesito che da un punto di vista moderno pu apparire il pi matu-ro, cio quello diAntica medicina.

    Ci sono certo elementi che provengono dal linguaggio filoso-fico (come la materia e la forma) tuttavia rappresentati e

    reinterpretati mediante quello tecnico (il bronzo per la statua, ilrapporto dottava). E c soprattutto una ricca variet di punti divista causali che provengono dal linguaggio giuridico-politico, eoltre ad esso medico, della responsabilit e della imputabilit,per quanto riguarda la modalit efficiente della causazione. Lostesso linguaggio, mediato dalla storiografia, riguarda la modalitfinalistica, il cui primo esempio lintenzione o decisione(ho bouleusas). Importante ricordare a questo proposito che Ari-stotele ne sottolinea, come gli storici, il carattere soggettivo: il fine comunque il bene, ma non fa alcuna differenza se si tratti delbene in s o di ci che pu apparire come tale (195a25 sg.).

    Non credo che in questa pluralit di punti di vista sulla causa-zione e sulla spiegazione causale sia da ravvisare una sorta di ar-

    caismo teorico da parte di Aristotele, una sua incapacit di com-prendere la centralit della causa efficiente, secondo la critica di

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    Irwin. Si tratta piuttosto, a mio avviso, di una consapevole sele-

    zione e riorganizzazione dei frammenti di riflessione sui temi dellaresponsabilit, dellimputabilit e della causalit che gli venivanoproposti da una tradizione culturale ricca bench incerta e oscil-lante. Questa opzione ha certamente impedito ad Aristotele diimboccare con sicurezza quella via verso una teoria della causalitlineare, e al limite meccanicistica, di cui si detto allinizio. Incompenso, gli ha consentito di elaborare uno schema dei nessi di

    causazione capace di spiegare tanto la struttura di cose, come spe-cie animali e manufatti, quanto la dinamica di processi, comequelli produttivi e riproduttivi, e di condotte (fare la guerra, anda-re al mercato). E di spiegare tutto questo nel contesto di unin-chiesta e di un dibattito dialetticamente aperti ed insidiosi, comemostra la sua preoccupazione di non limitarsi ai quattro punti di

    vista principali dellesplicazione causale, bens di analizzarli nei48 tropoicon cui possono venire enunciati in quel contesto. An-che per questo aspetto, si pu forse dire che la Fisica di Aristote-le, se estranea alla genealogia della scienza moderna, non lo per alla discussione contemporanea sulla struttura della spiega-zione causale. E che deve questo, almeno in parte, a quella tradi-zione culturale in cui essa affonda, dialetticamente, le sue radici, e

    che viene troppo spesso dimenticata dai suoi interpreti.

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    PRIMATO DELLA FISICA?

    Enrico Berti*

    Di primato della fisica in Aristotele ha parlato Wolfgang

    Wieland, il quale lo ha inteso come primato metodico, nel sen-so che la metafisica in Aristotele non risulta comprensibile senzala fisica, mentre la fisica pu essere compresa autonomamente edi per s. A sostegno di questa tesi Wieland cita i seguenti passi:

    1) in Top. I 4, 105 b 20 ss., Aristotele divide le premesse e iproblemi in logici, fisici ed etici, includendo nei problemi fisicilintero ambito del sapere teoretico;

    2) inAn. Post. I 33, 89 b 7 s., rimanda per lanalisi di concetticome dianoia, nous, epistm, tekhn, phronsis, sophia alla fisica ealletica, considerando di nuovo la fisica come lintero sapere teo-retico;

    3) nel Protreptico la parola programmatica per lambito del sa-pere teoretico phusis (fr. 13 Ross);

    4) nella classificazione delle scienze in teoretiche, pratiche epoietiche (Metaph. E 1 e K 7) solo la fisica presentata senzaltrocome scienza teoretica, mentre lesistenza della metafisica condi-zionata alla soluzione del problema della sostanza immobile;

    5)Metaph. A rimanda, per la dottrina delle cause, alla Fisica;6)Metaph. a fa coincidere la scienza teoretica con la fisica;7) la prima met diMetaph. L presenta come premessa neces-

    saria alla teologia una ricapitolazione della dottrina dei principisviluppata nella Fisica;

    8) la teologia diMetaph. L trova il suo fondamento in Phys.VIII (dimostrazione del motore immobile);

    9) in Phys. VIII 3, 253 a 35 ss., tutte le scienze sono impegna-te nello studio del movimento.

    33

    * Universit di Padova.

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    Perci Wieland afferma che lesistenza della metafisica risul-

    ta questione di confine di una fisica concepita da Aristotele co-me scienza generale dei principi e che la distinzione tra fisica emetafisica cade dunque per cos dire allinterno stesso della fisi-ca.1

    Ritengo che Wieland abbia ragione e che a conferma della suatesi possano essere addotti i seguenti ulteriori argomenti.

    La fisica nasce come scienza della natura. Ma che cosa cerca

    della natura? Le cause e i princpi primi. Scrive infatti Aristote-le allinizio della Fisica:

    Poich il sapere e lavere scienza derivano, in tutte le trattazio-ni che hanno a che fare con princpi, cause ed elementi, dalla cono-scenza di questi allora infatti riteniamo di conoscere ciascuna cosa,quando ne abbiamo conosciuto le cause prime e i princpi primi, e

    siamo giunti fino agli elementi chiaro che anche la scienza dellanatura dovr sforzarsi di determinare anzitutto ci che riguarda iprincpi.2

    Dunque anche la fisica conoscenza delle cause prime e deiprincpi, come risulter essere secondo la celebre definizione diMetaph. A 2 la filosofia prima, detta poi metafisica. Nel caso

    della fisica si tratta, naturalmente, delle cause prime e dei princpidella natura, perch questo loggetto della scienza in questione.Ma le cause prime e i princpi della natura non sono diversi daquelli dellintera realt, come risulta dallo stesso libro I della Fisi-ca, dove essi vengono individuati nei due contrari, cio nella for-ma (eidos o morph) e nella privazione di essa (stersis), nonchnel sostrato di entrambe (hupokeimenon), cio nella materia

    (hul).3 Sempre nel I libro della Fisica Aristotele afferma che possibile dire le stesse cose, cio indicare gli stessi princpi, mate-ria, forma e privazione, facendo riferimento alla potenza e allatto

    34 ENRICO BERTI

    1 W. Wieland,La Fisica di Aristotele, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1993, pp.16-17, nota 2 (I ed. tedesca 1962). In una lettera del 15.08.2003 Wieland mi hacomunicato di professare ancora questa convinzione.

    2 Phys. I 1, 184 a 10-16.3 Phys. I 7, 190 b 24-29.

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    (kata tn dunamin kai energeian).4 A questo proposito egli rinvia

    ad una precedente trattazione, nella quale avrebbe trattato dellapotenza e dellatto con maggiore accuratezza, e gli interpreti ingenere concordano nellidentificare questa trattazione col libro DdellaMetafisica, il famoso dizionario dei termini filosofici, il quale considerato uno dei primi scritti di Aristotele. Ora, in questo li-bro la potenza e latto sono presentati come due significati gene-rali dellessere, coestensivi a tutte le categorie, e quindi a tutti gli

    enti.5 Dunque gi nella Fisica, identificando i princpi con la ma-teria, la forma e la privazione, o con la potenza e latto, Aristoteleavrebbe indicato i princpi dellintera realt.

    Che questi siano per Aristotele princpi dellintera realt pro-vato dal fatto che, a proposito di essi, il filosofo confronta la suaposizione con quella dei pensatori a lui precedenti, cio sia con

    quella dei presocratici che con quella di Platone. Ora, che i preso-cratici cercassero i princpi dellintera realt, certo, anche se essiidentificavano lintera realt, secondo Aristotele, con la natura(phusis), e perci erano da lui chiamati fisici (phusikoi). Ancorpi certo che i princpi dellintera realt erano loggetto, sempresecondo Aristotele, della ricerca di Platone, poich nelle dottrinenon scritte, testimoniate proprio da Aristotele, Platone ricondu-

    ceva le Idee e i numeri ideali, che a loro volta sono cause di tuttele realt sensibili, a due princpi supremi, lUno e il Grande e pic-colo, detto anche Diade indefinita, che in tal modo venivano adessere princpi dellintera realt.6 Ebbene, nella Fisica Aristoteleconfronta i suoi princpi con quelli di Platone e critica precisa-mente il Grande e piccolo, affermando che il principio opposto al-la forma duplice, ma non in quanto grande e piccolo, bens inquanto materia e privazione.7 Infine conclude che lindagine sulprincipio inteso come forma, se esso sia uno o molti, e quale sia oquali siano, spetta per la sua esattezza alla filosofia prima.8

    PRIMATO DELLA FISICA? 35

    4 Phys. I 8, 191 b 28-29.5 Metaph. D 7, 1017 b 1-9.6 Metaph. A 6.7 Phys. I 9, 192 a 10-25.8 Phys. I 9, 192 a 35-b 1.

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    Dunque la fisica indica quali sono, in generale, i princpi di

    tutte le cose, cio materia, forma e privazione; essa la dottrinadei princpi (la Prinzipienlehre, per usare lespressione degli stu-diosi delle dottrine non scritte di Platone) di Aristotele, alternati-va alla dottrina dei princpi di Platone, riferita dallo stesso Aristo-tele come dottrina non scritta. Lindagine pi precisa sulla for-ma, a causa della sua immaterialit, attribuita da Aristotele adunaltra scienza, che prima, cio prima rispetto alla fisica, e

    coincide con quella che poi sar chiamata metafisica. Questa at-tribuzione ulteriormente chiarita in seguito, cio nel II libro del-la Fisica, dove si dice che anche lo studio della forma, come quellodel fine, spetta alla fisica, ma si tratta della forma che non sepa-rabile dalla materia. Lo studio, invece, di ci che separato dallamateria (khriston), del suo modo di essere e della sua definizione,

    spetta alla filosofia prima.9

    Troviamo qui un residuo, peraltroconservato da Aristotele, come vedremo, anche nella sua maturit,della concezione platonica della filosofia, secondo la quale la verascienza conoscenza delle Idee, cio delle realt separate dallamateria, che in Aristotele si configura per come scoperta dellanecessit che, tra le cause della natura, ne esista almeno una che separata dalla materia, cio quello che sar il motore immobile.

    La fisica, in tal modo, possiede per Aristotele un primato chepotremmo definire iniziale, nel senso che essa d inizio alla ri-cerca dei princpi di tutte le cose, il che proprio di una filosofiaprima, ma poi affida il compimento, o laffinamento, di tale ri-cerca, ma soltanto per una parte di questi princpi, alla metafisica,la quale in tal modo ottiene un primato che potremmo definirefinale.

    Anche inMetaph. N, criticando le dottrine dei princpi di Pla-tone e degli Accademici, Aristotele contrappone ad esse la stessadottrina di Phys. I, secondo cui i princpi di tutte le cose, sia sen-sibili che immobili, sono i contrari, cio la forma e la privazione, eil sostrato di essi, cio la materia. Egli attribuisce infatti allUno,posto dai Platonici, la funzione della forma, e alla Diade indefini-

    36 ENRICO BERTI

    9 Phys. II 2, 194 b 10-15.

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    ta la funzione della materia, rilevando tuttavia vari difetti nella

    formulazione platonica di questi princpi e contrapponendovi lapropria concezione della materia, o del non essere, come poten-za.10 Si tratta della stessa dottrina della Fisica, ma impiegata chia-ramente in un contesto che dovremmo definire metafisico, riguar-dando la critica alla dottrina dei princpi formulata da Platone edagli altri Accademici.

    La stessa dottrina, infine, si incontra nella prima met del li-

    bro L dellaMetafisica, dove, accanto allindicazione, come prin-cpi, della materia, della forma e della privazione, ovvero dellapotenza e dellatto, e alla critica di pensatori presocratici comeAnassimandro, Empedocle, Anassagora e Democrito,11 si trovaanche lindicazione della causa motrice,12 e la critica a coloro chepongono come elementi lEssere e lUno, cio ai Platonici.13 Eb-

    bene, Aristotele presenta questa parte del libro come una ricercadei princpi e delle cause delle sostanze sensibili, quindi comeunindagine di fisica, ma i princpi e le cause a cui essa approdasono gli stessi che incontriamo nel libro N dellaMetafisica, cio inun contesto chiaramente metafisico.

    Infine non bisogna dimenticare, come ha notato anche Wie-land, che la famosa dottrina delle quattro cause, materiale, forma-

    le, efficiente e finale alla luce della quale, nel libro A dellaMeta-fisica, Aristotele critica tutti i tentativi a lui precedenti di indivi-duare le cause prime dellintera realt, cio di realizzare quellache per lui la sapienza (sophia), ovvero la filosofia prima, eche dunque egli sembra considerare come la sua principale sco-perta , viene formulata per la prima volta nella sua interezza nelII libro della Fisica.14 A questo infatti Aristotele rinvia nel libro AdellaMetafisica, affermando che tali cause sono state da noi trat-tate adeguatamente (hikans) nei libri sulla natura.15 Dunque la

    PRIMATO DELLA FISICA? 37

    10 Metaph. N 1, 1088 b 1-2; 2, 1089 a 28-29.11 Metaph. L 2.12 Metaph. L 3, 1070 a 21-22; 4, 1070 b 34-35; 5, 1071 a 35-36.13 Metaph. L 4, 1070 b 7-9.14 Phys. II 3.15 Metaph. I 3, 983 a 34-b 1. Cf. Phys. II 3.

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    pi importante dottrina metafisica di Aristotele, quella delle

    quattro cause, nata nella Fisica e quivi ha trovato la sua tratta-zione pi adeguata. Come non parlare, allora, di un primato,sia pure soltanto iniziale, della fisica?

    A ci non si oppone minimamente laffermazione, compiutain Phys. I 2, che lindagare se lessere uno e immobile non faparte della fisica, perch la discussione con chi nega i princpi diuna scienza spetta a una scienza diversa o ad una comune a tut-

    te. Ecco le parole di Aristotele:Indagare se lessere uno e immobile non indagare sulla na-

    tura; come infatti il geometra non ha alcun argomento contro chinega i princpi, ma ci spetta a una scienza diversa o ad una comunea tutte, cos neppure colui che si occupa dei princpi. Infatti non vi pi alcun principio, se lessere solo uno ed uno in questo modo,

    poich il principio di qualche cosa o di alcune cose.16

    In questo passo, infatti, per princpi Aristotele non intendei tre princpi-elementi, di cui la fisica sicuramente si occupa, malesistenza della molteplicit e del movimento, che la condizionedellesistenza della stessa fisica e che la fisica ammette sulla basedellesperienza.17 La scienza diversa e quella comune a tutte,

    a cui Aristotele attribuisce la discussione di tali princpi, potreb-bero essere rispettivamente la metafisica e la dialettica, ovvero,poich la dialettica per Aristotele non una scienza, una metafisi-ca strutturata dialetticamente, come ho cercato di mostrare altro-ve.18 Tuttavia la discussione con coloro che negano i princpi, ciola confutazione delleleatismo, si trova poi allinterno della stessaFisica, giustificata nel modo seguente:

    Dal momento che, se anche non sulla natura, ad essi tuttaviaaccade di sollevare problemi di tipo fisico (phusikas aporias), forse

    38 ENRICO BERTI

    16 Phys. I 2, 184 b 25-185 a 5.17 Ivi, 185 a 12-14.18 E. Berti, Physique et mtaphysique selon Aristote, Phys.I 2, 184 b 25-185 a

    5, in I. Dring (Hrsg.), Naturphilosophie bei Aristoteles und Theophrast, Verhand-lungen des 4. Symposium Aristotelicum, Heidelberg, Stiehm, 1969, pp. 18-31.

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    sta bene discutere per un poco a proposito di essi; tale discussionepresenta infatti un interesse filosofico (ekhei philosophian).19

    Dunque la fisica discute anche con coloro che negano i suoistessi presupposti, vale a dire lesistenza della molteplicit e delmovimento, cio svolge essa stessa quel tipo di indagine che Ari-stotele ha appena attribuito ad una scienza diversa e comune atutte. A conferma di ci sta il fatto che allinterno della fisica si

    trova anche il famoso argomento con cui Aristotele confuta la ne-gazione eleatica del movimento e con ci stesso ne dimostra lesi-stenza:

    Se dunque (il movimento) opinione falsa, o interamente opi-nione (doxa), il movimento esiste ugualmente, e anche se frutto diimmaginazione (phantasia), e anche se talora sembra essere cos e ta-lora diversamente, poich sia limmaginazione che lopinione sem-brano essere anchesse forme di movimento.20

    C poi un passo famoso del libro L dellaMetafisica, il cui si-gnificato stato chiarito soltanto di recente, dove Aristotele affer-ma che lo studio delle sostanze mobili, corruttibili o eterne (corpiterrestri e corpi celesti), spetta alla fisica, mentre quello delle so-stanze immobili spetta ad unaltra scienza solo se non c alcunprincipio comune ad esse e agli altri due generi di sostanze.

    Le sostanze sono di tre generi: una di genere sensibile dellaquale luna eterna e laltra corruttibile, cio questa che tutti am-mettono, ad esempio le piante e gli animali, e quella eterna e di es-sa necessario cogliere gli elementi, sia che siano uno sia che sianomolti; laltra di genere immobile, e di questa certuni dicono che

    separata, alcuni dividendola in due, altri ponendo in una stessa natu-ra le forme e gli oggetti matematici, altri ancora ammettendo fra talicose solo gli oggetti matematici. Le prime due spettano alla fisica,poich hanno movimento, mentre questultima spetta a una scienzadiversa, se (eiper) non vi alcun principio comune ad esse.21

    PRIMATO DELLA FISICA? 39

    19 Ivi, 185 a 17-20.20 Phys. VIII 3, 254 a 26-30.21 Metaph. L 1, 1069 a 36-b 2.

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    Tutti i commentatori interpretano il se (eiper) dellultima ri-

    ga non come ipotetico, ma come giustificativo, cio come se equi-valesse a poich, dal momento che, se vero che, dando intal modo per scontato che non vi alcun principio comune ai tregeneri di sostanza e che pertanto lindagine sul terzo genere, la so-stanza immobile, spetta ad una scienza diversa dalla fisica. Ma dalseguito del libro L risulta che non solo tutte le cose hanno glistessi princpi per analogia (di nuovo materia, forma e privazio-

    ne), ma anche hanno la stessa causa motrice, cio il primo moto-re, che comune non per analogia, ma individualmente. Di esso,che poi risulta essere la sostanza immobile, non si cercano i prin-cpi perch, come ha notato giustamente Frede, esso stesso principio.22 Se ci vero, allora vi sono alcuni princpi, o almenouno, comuni ai tre generi di sostanze, quindi, come ha giustamen-

    te osservato Donini, non c bisogno che il terzo genere, vale a di-re la sostanza immobile, sia oggetto di una scienza diversa dalla fi-sica, e la fisica stessa assume il ruolo di filosofia prima.23

    La scienza diversa dalla fisica, cui spetterebbe lo studio del-le sostanze immobili, se non vi fosse alcun principio comune traesse e le sostanze sensibili, probabilmente la metafisica dei Pla-tonici, ai quali appartengono le tre diverse concezioni delle so-

    stanze immobili riferite nel passo appena citato (Platone, Speusip-po e Senocrate), che ovviamente non sarebbe stata da questi chia-mata metafisica, perch essi non riconoscevano alla fisica il va-lore di scienza, ma che costituiva per essi la scienza, o la filosofia,tout court.24 I Platonici, infatti, cercavano le cause e i princpi del-le sostanze immobili, cio delle Idee e dei numeri ideali (o, nel ca-

    40 ENRICO BERTI

    22 Cf. M. Frede,Introduction eMetaphysicsL 1, in M. Frede and D. Charles(eds.), Aristotles Metaphysics Lambda. Symposium Aristotelicum, Oxford,Oxford University Press, 2000, pp. 1-52 e 53-81.

    23 P. Donini,Il libro Lambda della Metafisica e la nascita della filosofia pri-ma, Rivista di storia della filosofia, 57, 2002, pp. 181-199.

    24 A questo proposito mi permetto di rinviare al mio saggioIl libro Lambdadella Metafisica di Aristotele tra fisica e metafisica, in G. Damschen, R. Enskatund A. Vigo (Hrsgg.), Platon und Aristoteles sub ratione veritatis. Festschrift

    fr Wolfgang Wieland zum 70. Geburtstag, Gttingen, Vandenhoek & Ruprecht,2003, pp. 177-194.

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    so di Speusippo, dei numeri matematici), e li ravvisavano nelluno

    e nella Diade indefinita (o, nel caso di Speusippo, nel Molteplice).A questo proposito il sopra citato Donini si dichiara daccor-do con unipotesi avanzata da me una ventina di anni fa, cio chenella fase giovanile del suo pensiero, di cui espressione il Pro-treptico, Aristotele ancora non avesse distinto la fisica e la metafi-sica, ma avesse adottato soltanto la distinzione tra filosofia teoreti-ca e filosofia pratica, identificando la prima con una scienza che

    insieme fisica e metafisica, e la seconda con una scienza che in-sieme etica e politica. C infatti un frammento del Protreptico opera sicuramente composta da Aristotele nel suo periodo acca-demico, cio prima della morte di Platone, perch legata allAnti-dosis di Isocrate che del 353 a. C. in cui si dice:

    Che noi abbiamo la possibilit di apprendere le scienze con-

    cernenti le cose giuste e giovevoli (peri tn dikain kai tn sumphe-rontn), ed inoltre quelle concernenti la natura e la rimanente verit(peri phuses te kai ts alls altheias), facile mostrare.25

    Il fatto che qui Aristotele parli di scienze (epistmas) al plu-rale significa solo che egli vuol fare delle considerazioni di caratte-re generale, ma la scienza a cui egli pensa solo la filosofia, alla

    quale il Protreptico vuole esortare. Questa divisa in due parti,quella che poi sar chiamata filosofia pratica, la quale si occupadelle cose giuste e giovevoli, che poi risultano essere lanima ele sue virt, e quella che poi sar chiamata filosofia teoretica, laquale si occupa della natura e della rimanente verit, cio ricer-ca le cause e gli elementi della natura, che poi risultano essere ilfuoco, o laria, o il numero o alcune altre realt, cio le realtsupreme (ta akra) o le realt prime (ta prta).26 Come si vede,tra queste ultime ci sono sia i princpi della natura, ammessi daipresocratici, sia altri princpi, quali i numeri e altre realt, pre-

    PRIMATO DELLA FISICA? 41

    25 Aristot. Protr. fr. 5 Ross, 32 Dring. Il brano tratto dal Protreptico diGiamblico, che per questa parte era costituito da estratti del perduto Protrepticodi Aristotele. Cf. Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, a cura di Enri-co Berti, Torino, Utet-Libreria, 2000.

    26 Ivi, fr. 5 Ross, frr. 34-36 Dring.

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    sumibilmente le Idee, ammessi dai Platonici. Queste ultime sono

    probabilmente la rimanente verit, cio una verit diversa daquella che si raggiunge mediante la conoscenza della natura, unaverit non fisica, bens diremmo oggi metafisica. Dunquein questa fase della filosofia di Aristotele fisica e metafisica nonsono ancora distinte e formano ununica e medesima scienza.

    A questa stessa fase evolutiva appartiene, a mio avviso, ancheil libro a della Metafisica, il famoso alpha elatton, cos chiamato

    perch originariamente era anchesso un libro alpha, cio un libroI, unintroduzione, probabilmente lintroduzione a unedizionedellaMetafisica precedente a quella a noi pervenuta e che si iniziacol libro A, detto alpha meizon perch pi lungo di alpha elat-ton.27 In questultimo, infatti, Aristotele presenta la filosofia comericerca della verit (per ts altheias theria) o scienza della

    verit (epistm ts altheias), e la distingue in teoretica e pra-tica,28 esattamente come nel Protreptico. Inoltre, descrivendo ilmetodo della filosofia teoretica, egli si esprime nel modo seguente:

    Perci bisogna essere stati istruiti su come ciascuna scienza de-ve dimostrare, perch assurdo cercare nello stesso tempo la scienzae il modo di procedere della scienza, n facile apprendere luna elaltra cosa. Lesattezza matematica non deve essere richiesta in tutte

    le cose, ma solo in quelle che non hanno materia. Pertanto questomodo di procedere non fisico, perch forse la natura tutta interaha materia. Di conseguenza si deve indagare anzitutto che cos lanatura; cos infatti sar chiaro intorno a quali cose verte la fisica e sespetta a una sola scienza o a molte studiare le cause e i princpi. 29

    Qui, come si vede, la scienza della verit, cio la filosofia,

    identificata con la fisica, cio col modo di procedere fisico (phu-

    42 ENRICO BERTI

    27 Ho sviluppato questa tesi in E. Berti, Note sulla tradizione dei primi duelibri della Metafisica, Elenchos, 3, 1982, pp. 5-38; eLa fonction de Metaph.alpha elatton dans la philosophie dAristote, in P. Moraux-J. Wiesner (Hrsg.),Zweifelhaftes im Corpus Aristotelicum, Akten des 9. Symposium Aristotelicum,Berlin-New York, de Gruyter, 1983, pp. 260-294; con cui Donini si dichiaradaccordo.

    28 Metaph. a 1, 993 a 30, b 20-21.29 Ivi, 3, 995 a 12-20.

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    sikos ho tropos), e si dichiara che essa deve indagare anzitutto

    che cos la natura (ti estin h phusis), e che in tal modo risul-ter chiaro intorno a quali cose verte la fisica, e se spetta a unasola scienza, cio presumibilmente alla fisica stessa, o a molte,cio anche ad una scienza diversa, studiare le cause e i princpi. lo stesso problema che Aristotele formula alla fine del cap. 1 diMetaph. XII. Per queste ragioni ho sostenuto che il Protreptico, illibro a dellaMetafisica, il libro L della stessa (e presumibilmente

    anche il libro N) appartengono ad una fase evolutiva anterioreagli altri libri, e formano quella che, con linguaggio jaegeriano, sipotrebbe chiamare la Urmetaphysik di Aristotele. La mia tesi che in questa Urmetaphysik Aristotele non aveva ancora distintola fisica dalla metafisica, e dunque attribuiva alla fisica-metafisi-ca, chiamata fisica in quanto scienza della natura, il ruolo di

    filosofia prima, in quanto ricerca delle cause prime della natura.Di questo primato iniziale della fisica, del resto, rimane trac-cia anche nei libri pi maturi dellaMetafisica, dove si attribuisceesplicitamente il primato tra le scienze teoretiche alla metafisica.Un primo passo in cui ci si pu notare si trova nel libro G, quelloche introduce la nozione di filosofia come scienza dellessere inquanto essere, del tutto assente nei libri pi antichi, anzi in tutti

    gli altri libri di Aristotele, fatta eccezione per il libro E, che lacontinuazione diretta di G (il libro D infatti il famoso dizionario,introdotto nella posizione in cui si trova dagli editori), e per il libroK, il quale non che un riassunto, probabilmente post-aristotelico,dei libri BGE. Esaminando a chi spetta discutere, cio stabilire sesiano veri o falsi, gli assiomi, vale a dire il principio di non contrad-dizione e quello del terzo escluso, Aristotele afferma che ci spettaal filosofo, cio a colui che studia lessere in quanto essere, perch isuddetti assiomi sono coestensivi allintero essere. E poi aggiunge:

    Perci nessuno di coloro che compiono indagini particolari sisforza di dire alcunch intorno ad essi, se cio sono veri o no, n ilgeometra n laritmetico, ma solo alcuni dei fisici lo hanno fatto, fa-cendo questo a buon diritto (eikots). Essi pensavano infatti di esse-

    re i soli a indagare sullintera realt e sullessere. Ma poich vi qualcuno che ancora pi in alto del fisico (la natura infatti solo

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    un genere dellessere), a colui che indaga in universale e sulla so-stanza prima spetter anche lindagine intorno a questi. Anche la fi-sica una sorta di sapienza (sophia tis), ma non la prima.30

    La fisica dunque una sorta di sapienza, cio di sapere su-premo, perch la natura, su cui essa verte, stata ritenuta costitui-re lintera realt, ad esempio da parte dei presocratici; ma, dalmomento in cui si scoperto che la natura non lintera realt, inparticolare ad opera dei Platonici, la fisica ha dovuto cedere il suoprimato ad una scienza diversa, che qui Aristotele qualifica comela scienza dellessere in quanto essere. chiaro, tuttavia, che lanuova scienza dellessere in quanto essere, introdotta da Aristote-le, assorbe in s, per cos dire, sia le funzioni che aveva la fisicaper i presocratici, sia quelle che aveva la scienza delle Idee, cio ladialettica, per i Platonici.

    Un altro passo in cui si conserva traccia del primato inizialedella fisica contenuto nel libro E dellaMetafisica e fa parte dellacelebre classificazione delle scienze teoretiche:

    Se c qualcosa di eterno, immobile e separato, chiaro chespetta a una scienza teoretica conoscerlo, non tuttavia alla fisica, per-ch la fisica si occupa di alcune cose mobili, n alla matematica, ma

    ad una scienza anteriore a entrambe. La fisica infatti si occupa direalt separate ma non immobili, mentre alcune parti della matema-tica si occupano di realt immobili, ma forse non separate bens inqualche modo esistenti nella materia. Invece la scienza prima si oc-cupa di realt sia separate che immobili. necessario che tutte le cau-se siano eterne, ma soprattutto queste, poich queste sono cause diquelle visibili tra le realt divine. Di conseguenza le filosofie teoreti-

    che saranno tre, la matematica, la fisica e la scienza teologica; non infatti oscuro che, se il divino esiste in qualche luogo, esso esiste inuna natura di questo tipo, e la scienza pi degna di onore deve ri-guardare il genere di realt pi degno di onore. Le scienze teoretichesono dunque le pi degne di essere desiderate rispetto alle altre, maquesta lo sar rispetto alle altre scienze teoretiche (corsivo mio).31

    44 ENRICO BERTI

    30 Metaph. G 3, 1005 a 29-b 2.31 Metaph. E 1, 1026 a 10-23.

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    Qui non c dubbio che il primato tra le scienze teoretiche

    spetta alla scienza teologica, cio alla metafisica, ma le spetta per-ch essa si occupa di realt divine, e queste realt divine sono lerealt immobili, le quali sono divine perch sono cause delle realtdivine visibili. Ora, le realt divine visibili non possono essere che icorpi celesti, cio gli astri, i quali secondo Aristotele sono eterni edivini. Le cause divine delle realt divine, che sono a loro volta, an-zi a maggior ragione, eterne e divine in quanto cause di realt eter-

    ne e divine, risulteranno essere i motori immobili degli astri, causeappunto dei loro movimenti. La scienza teologica, cio la metafisi-ca, riceve dunque la sua dignit, e quindi il suo primato, dal fatto dioccuparsi delle cause degli astri, cio delle cause di realt sensibili emobili, ancorch eterne, il che esattamente il compito della fisica.Da questo passo insomma risulta che la metafisica ha assunto, anzi

    pu assumere, essa il compito che inizialmente era della fisica,quello cio di cercare le cause prime delle realt sensibili e mobili, elo pu assumere solo nel momento in cui risulti chiaro che fra que-ste cause ce ne sono alcune, le quali sono immobili, e quindi vannooltre lambito della natura, cio oltre lambito della fisica.

    Ci viene perfettamente confermato dalla continuazione econclusione dello stesso passo, dove Aristotele pone la nota que-

    stione se la filosofia prima, cio la scienza teologica, sia anche uni-versale, cio coincida con la scienza dellessere in quanto essere:

    Qualcuno potrebbe sollevare il problema se mai la filosofia pri-ma sia universale oppure se verta su un qualche genere particolare esu una qualche natura soltanto. Nemmeno nelle matematiche infatti lecose vanno allo stesso modo, ma la geometria e lastronomia vertono

    su una qualche natura particolare, mentre quella universale comunea tutte. Se dunque non c alcuna sostanza diversa da quelle costituiteper natura, la fisica sar la scienza prima; se invece c qualche sostan-za immobile, questa sar anteriore e la filosofia che se ne occupa sarprima, e sar universale in questo senso, cio nel senso che prima; ea questa spetter studiare, a proposito dellessere in quanto essere, siache cos sia quali propriet gli appartengano in quanto essere.32

    PRIMATO DELLA FISICA? 45

    32 Metaph. E 1, 1026 a 23-32.

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    Qui Aristotele afferma esplicitamente che, se non ci fosse nes-

    suna sostanza diversa da quelle costituite per natura, cio i corpiterrestri e celesti, sensibili e mobili, la fisica sarebbe senzaltro lascienza prima. Poich allinizio della ricerca delle cause primenon ancora chiaro se tra queste ve ne siano di immobili, allini-zio la fisica dunque la scienza prima: ecco il primato inizialedella fisica. Solo alla fine della ricerca, se e quando risulter la ne-cessit dei motori immobili e non bisogna dimenticare che ci

    avviene negli ultimi due libri della Fisica, il VII e lVIII allora sipotr dire che la fisica non la filosofia prima, ma c unaltrascienza ad essa superiore. Questa sar, come dice Aristotele, uni-versale in quanto prima, espressione che ha suscitato tante per-plessit negli interpreti moderni, i quali sono arrivati a parlare alseguito di Heidegger, sicuramente grande filosofo, ma altrettanto

    sicuramente non grande esegeta di Aristotele di una metafisicacome onto-teologia. In realt, Aristotele vuol dire semplice-mente che la scienza prima necessariamente universale, in quan-to conosce le cause prime, le quali, per il fatto di essere prime, so-no cause dellintera realt. Se tra le cause prime, cio dellinterarealt, ce n una immobile, allora la scienza universale sar la me-tafisica; se invece non ce n nessuna di immobile, allora la scienza

    universale sar la fisica. Luniversalit attribuita da Aristotele allametafisica potrebbe valere benissimo anche per la fisica, qualorala scienza prima fosse la fisica. Essa non legata al carattere teo-logico della metafisica, ma al sua carattere di scienza prima.

    Quando Aristotele presenta come filosofia prima la scienzadella sostanza immobile, non intende con questa espressione unascienza che ricerca i princpi e le cause delle sostanze immobili(che il modo in cui lintendevano Platone e gli Accademici), mauna scienza che, nella ricerca dei princpi e delle cause dellente inquanto ente, approda al riconoscimento della necessit di sostan-ze immobili. Sono stati i commentatori neoplatonici che hannoenfatizzato la distinzione tra fisica e metafisica, nellintento diteologizzare, cio di platonizzare Aristotele il pi possibile.

    Essi hanno presentato il libro L dellaMetafisica come la teolo-gia di Aristotele e ne hanno fatto il culmine della Metafisica,

    46 ENRICO BERTI

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    mentre per Aristotele esso un libro che mette insieme fisica e

    metafisica, e appare del tutto indipendente dal resto dellaMetafi-sica. Del resto anche Andronico non lo ha collocato allultimo po-sto tra i libri dellaMetafisica, ma solo al terzultimo, dunque nonlo ha considerato il punto di arrivo dellintera trattazione.

    La gerarchia delle scienze di Aristotele si presenta come radi-calmente diversa rispetto a quella di Platone. In Platone, infatti,non c una scienza fisica, perch la natura, in quanto mutevole,

    non pu essere oggetto di scienza, essendo la scienza per defini-zione conoscenza dellimmutabile. Potrebbe aspirare al titolo discienza, per Platone, la matematica, in quanto conoscenza di ve-rit necessarie, cio eterne, ma, come noto, nel VI libro dellaRepubblica Platone afferma che essa solo dianoia, cio ragiona-mento, perch si fonda su premesse puramente ipotetiche, senza

    saperle giustificare. Vera, e unica, scienza per Platone la dialetti-ca, cio la scienza delle Idee, dei numeri ideali e dei loro princpi.Essa metafisica ante litteram, perch ha per oggetto realt im-mobili e indica i princpi di queste in realt anchesse immobili,lUno e la Diade indefinita; ed anche universale, si potrebbe di-re con Aristotele, in quanto prima, se non fosse unica, perch iprincpi delle Idee e dei numeri ideali sono princpi dellintera

    realt, sia immobile (vera realt) che mobile (realt dimidiata, viadi mezzo tra lessere e il nulla).In Aristotele la fisica diventa, per la prima volta, vera scienza

    per i presocratici essa era scienza, ma non era soltanto fisica,bens insieme anche metafisica , in quanto capace di conoscereverit, se non necessarie ed eterne, almeno valide per lo pi,cio nella maggior parte dei casi.33 Anche la matematica, per Ari-stotele, vera scienza, ma subordinata alla fisica, in quanto i suoioggetti (numeri e figure) sono misure, o dimensioni, dei corpi fisi-ci, cio accidenti di questi.34 Dunque la fisica, se non la scienzaprima, certamente la seconda, ma una scienza che diviene se-conda solo nel momento in cui, per cos dire, genera da s la me-

    PRIMATO DELLA FISICA? 47

    33 Phys. II 8, 198 b 35.34 Cf. Phys. II 2.

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    tafisica, dimostrando lesistenza, tra le cause prime degli enti na-

    turali, di realt immobili. E la metafisica , s, scienza prima, invirt della priorit (per s, non per noi) del suo oggetto, ma siregge sulla fisica, senza la quale non potrebbe essere prima. Sitratta, dunque, di un primato diverso da quello della dialettica diPlatone, cio si tratta di quello che chiamerei un primato finale,giustificato dal primato iniziale della fisica.

    Tutto ci dimostra anche che, per Aristotele, la metafisica non

    n ontologia, n teologia, n la sintesi ibrida di ontologia e teo-logia, cio lonto-teologia, di cui parlano Heidegger e i suoi in-numerevoli ripetitori. Non ontologia (parola non greca, ma co-niata nel Seicento), perch Aristotele le attribuisce come oggettolessere in quanto essere solo allo scopo di risolvere la prima apo-ria diMetaph. B, cio se lo studio di tutti i generi di cause sia pro-

    prio di una sola scienza o di pi scienze. Egli risponde infatti che,poich le cause prime sono cause dellessere in quanto essere,cio dellintera realt, lo studio di esse spetta alla scienza delles-sere in quanto essere, cio alla scienza dellintera realt.35 In talmodo la metafisica viene ad assumere il compito che inizialmenteera proprio della fisica, quello cio di cercare le cause prime.Questa concezione appartiene certamente alla fase pi matura del

    pensiero di Aristotele, nella quale egli definisce la metafisica nonpi platonicamente come scienza delle realt immobili, contrap-posta quindi alla fisica, ma come scienza dellintera realt, inclu-dente dunque in un certo senso la fisica.

    E non si pu nemmeno dire che la metafisica, per Aristotele,sia teologia, perch questo termine, come hanno mostrato pi diun secolo fa Paul Natorp e pi recentemente Richard Bods, inAristotele non appartiene ad una scienza, ma indica soltanto i mitisugli di narrati dai poeti.36 Essa scienza teologica, cio avente

    48 ENRICO BERTI

    35 Cf.Metaph. G 1.36 P. Natorp, Thema und Disposition der aristotelischen Metaphysik, Philo-

    sophische Monatshefte, 24, 1888, pp. 37-65 e 540-574 (trad. it. col titolo Temae disposizione della Metafisica di Aristotele, a cura di G. Reale, Milano, Vita epensiero, 1995); R. Bods, Aristote et la thologie des vivants immortels, St.Laurent, Qubec, Editions Bellarmin, 1992, pp. 9-14.

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    a che fare col divino, perch, come abbiamo visto sopra, tra le

    cause prime vi sono cause di realt divine, quali gli astri, che dun-que sono esse stesse divine. Ma essa teologica perch fa proprioil compito che inizialmente era della fisica, cio quello di cercare lecause prime anche degli astri. Il nome pi appropriato a tale scien-za dunque quello aristotelico di filosofia prima, che essa in uncerto senso eredita dalla fisica, ovvero quello posteriore di meta-fisica, che conserva il significato di discorso ulteriore rispetto alla

    fisica, ovvero di continuazione, di sviluppo, della fisica.37

    PRIMATO DELLA FISICA? 49

    37 Anche a questo proposito sono costretto a rinviare, per maggiori giustifi-cazioni, a miei precedenti lavori, cioLa Mtaphysique dAristote: onto-tholo-gie ou philosophie premire?, Revue de philosophie ancienne, 14, 1996, pp.61-85;Il dibattito odierno sulla cosiddetta teologia di Aristotele, Paradigmi,21, 2003, pp. 279-297.

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    LANALOGIA TECNH-FUSIS E IL FINALISMO UNIVERSALEIN ARISTOTELE, PHYS. II

    R. Loredana Cardullo*

    Si manifesta come prima quella che chiamiamo in vista diqualcosa: questa infatti lessenza, e lessenza principio co-s nei prodotti della techne come in quelli dellaphusis.

    Aristot.De part. anim. I 1, 639b 11-21

    Premessa1

    Lanalogia, per Aristotele, costituisce un importante e privile-giato modello di argomentazione, uno strumento linguistico-con-cettuale unificante, atto, cio, a permettere laccostamento e laconsiderazione sinottica di fenomeni o di realt apparentementediversi tra loro per struttura, statuto ontologico, valore o funzio-ne, ma collegabili insieme grazie ad una comune struttura analo-gica fatta di precisi rapporti e proporzioni di ordine matematico.2

    In effetti il termine ajnalogiva (da ajna;lovgon) mantiene il significa-

    to originario di proporzione e rapporto di carattere matematicoproprio del sostantivo lovgo~, derivante dalla radice leg///log delverbo levgein, il cui valore etimologico rimanda anzitutto al calco-

    51

    * Universit di Catania.1 Desidero ringraziare i colleghi e gli amici che sono intervenuti al dibattito

    in occasione del Colloquio, ma un ringraziamento particolare va ad E. Berti,G.R. Giardina e F. Romano, che hanno letto e annotato con cura il testo, per-mettendomi di realizzarne una migliore stesura. Degli errori, com ovvio, soloio sono responsabile.

    Una prima stesura di questo contributo apparsa su Annali della Facoltdi