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1. Fingere l identità fenicia sattamente mezzo secolo dopo la pub- blicazione di un importante contributo di Sabatino Moscati sulla “questione fenicia”,1 si impone una riflessione sulla natura stessa della “identità” dei Fenici e sui fattori che con- tribuiscono a oggettivarla o, al contrario, a de- oggettivarla.2 Il tema è stato affrontato recen- temente da Sandro Filippo Bondì, che ha posto l’accento sulla percezione unitaria (dal punto di vista, però, soltanto degli studiosi moderni) della fenicità d’Oriente, di contro al- la dimensione plurale dell’identità fenicia in ambito occidentale.3 Il presente contributo si pone in relazione con il contributo di Giusep- pe Garbati, presentato in questa stessa sede, poiché entrambi gli studi sono scaturiti da un confronto sul tema della “finzione” (in senso etimologico latino) dell’identità fenicia. Se è vero che procedendo nella ricostruzio- ne storica delle realtà antiche ci si deve affi- dare inevitabilmente all’individuazione di quei “tipi ideali” descritti da Max Weber, possiamo ritenere che l’identità fenicia si configuri appunto come “tipo ideale”. Il tipo ideale, secondo Weber, «non è una rappre- sentazione del reale, ma intende fornire alla rappresentazione un mezzo di espressione univoco» e soprattutto «è ottenuto mediante l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista».4 Il tipo ideale è un’utopia che * Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico – CNR, Roma. tatiana.pedrazzi@ isma.cnr.it. 1 Moscati 1963. 2 Certamente differenti sono le problematiche che si devono affrontare discutendo di una “identità fenicia” in Oriente e in Occidente. Il problema in Oc- cidente per certi versi si semplifica, dal momento che la componente “fenicia” è esterna e provenien- te da un’area geografica lontana e “altra”; per altri versi si complica, dal momento che va contestualiz- zato in una realtà composita e stratificata. Per que- ste ragioni, la problematica dell’identità fenicia in area mediterranea occidentale non viene qui affron- tata, essendo il presente contributo dedicato specifi- camente al versante orientale. 3 Si veda Bondì c.s. Grazie alla consueta genero- sità di Sandro Filippo Bondì, ho avuto modo di prendere visione del testo prima della stampa. Inol- tre ho potuto, come sempre, beneficiare del profi- cuo confronto scientifico con Giuseppe Garbati e Ida Oggiano, ai quali sono grata anche per alcune indicazioni bibliografiche. 4 Il tipo ideale è ottenuto «mediante la connes- sione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là in minore RStFen, xl, 2 · 2012 E FINGERE L’IDENTITÀ FENICIA: CONFINI E CULTURA MATERIALE IN ORIENTE Tatiana Pedrazzi* Abstract: This paper is focused on the topic of the Phoenician identity in the Levant paying special at- tention to the history of studies and to the perspectives of a new research. The Phoenician identi- ty is discussed here as an “ideal type” (using Max Weber’s words). First of all, we try to adopt some methodological notions issued from anthropology: the identity concept has been recently de- objectivized and consequently the supposed concrete features of the Phoenician identity now become less significant in the historical reconstruction. Moreover, we suggest here that a special attention has to be paid to the study of “boundaries” (their continuous creation, transformation, negotiation). Finally, we discuss the contribution possibly provided to the question of identity by the study of the “pottery boundaries” in the Levant. Keywords: Phoenician Identity, ethnos, Levant, Iron Age, Ideal Type, Ceramic Boundaries.
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Fingere l'identità fenicia: confini e cultura materiale in Oriente, in Rivista di Studi Fenici 40/2, 2012 (2014)

Jan 24, 2023

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Bruno Fanini
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1. Fingere l’identità fenicia

sattamente mezzo secolo dopo la pub-blicazione di un importante contributo di

Sabatino Moscati sulla “questione fenicia”,1 siimpone una riflessione sulla natura stessa della “identità” dei Fenici e sui fattori che con-tribuiscono a oggettivarla o, al contrario, a de-oggettivarla.2 Il tema è stato affrontato recen-temente da Sandro Filippo Bondì, che haposto l’accento sulla percezione unitaria (dalpunto di vista, però, soltanto degli studiosimoderni) della fenicità d’Oriente, di contro al-la dimensione plurale dell’identità fenicia inambito occidentale.3 Il presente contributo sipone in relazione con il contributo di Giusep-

pe Garbati, presentato in questa stessa sede,poiché entrambi gli studi sono scaturiti da unconfronto sul tema della “finzione” (in sensoetimologico latino) dell’identità fenicia.

Se è vero che procedendo nella ricostruzio-ne storica delle realtà antiche ci si deve affi-dare inevitabilmente all’individuazione diquei “tipi ideali” descritti da Max Weber, possiamo ritenere che l’identità fenicia si configuri appunto come “tipo ideale”. Il tipo ideale, secondo Weber, «non è una rappre-sentazione del reale, ma intende fornire allarappresentazione un mezzo di espressioneunivoco» e soprattutto «è ottenuto mediantel’accentuazione unilaterale di uno o di alcunipunti di vista».4 Il tipo ideale è un’utopia che

* Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico –CNR, Roma. [email protected].

1 Moscati 1963.2 Certamente differenti sono le problematiche

che si devono affrontare discutendo di una “identitàfenicia” in Oriente e in Occidente. Il problema in Oc-cidente per certi versi si semplifica, dal momentoche la componente “fenicia” è esterna e provenien-te da un’area geografica lontana e “altra”; per altriversi si complica, dal momento che va contestualiz-zato in una realtà composita e stratificata. Per que-ste ragioni, la problematica dell’identità fenicia in

area mediterranea occidentale non viene qui affron-tata, essendo il presente contributo dedicato specifi-camente al versante orientale.

3 Si veda Bondì c.s. Grazie alla consueta genero-sità di Sandro Filippo Bondì, ho avuto modo di prendere visione del testo prima della stampa. Inol-tre ho potuto, come sempre, beneficiare del profi-cuo confronto scientifico con Giuseppe Garbati eIda Oggiano, ai quali sono grata anche per alcune indicazioni bibliografiche.

4 Il tipo ideale è ottenuto «mediante la connes-sione di una quantità di fenomeni particolari diffusie discreti, esistenti qui in maggiore e là in minore

RStFen, xl, 2 · 2012

E

FINGERE L’IDENTITÀ FENICIA:CONFINI E CULTURA MATERIALE IN ORIENTE

Tatiana Pedrazzi*

Abstract: This paper is focused on the topic of the Phoenician identity in the Levant paying special at-tention to the history of studies and to the perspectives of a new research. The Phoenician identi-ty is discussed here as an “ideal type” (using Max Weber’s words). First of all, we try to adopt somemethodological notions issued from anthropology: the identity concept has been recently de- objectivized and consequently the supposed concrete features of the Phoenician identity now become less significant in the historical reconstruction. Moreover, we suggest here that a special attention has to be paid to the study of “boundaries” (their continuous creation, transformation,negotiation). Finally, we discuss the contribution possibly provided to the question of identity bythe study of the “pottery boundaries” in the Levant.

Keywords: Phoenician Identity, ethnos, Levant, Iron Age, Ideal Type, Ceramic Boundaries.

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consente la spiegazione storica, l’interpreta-zione e la “ri-costruzione”, insomma corri-sponde a ciò che Paul Veyne definisce la «con-cettualizzazione del non évémenentiel».5L’avanzamento negli studi storici può avveni-re soltanto attraverso questa sempre più ap-profondita “concettualizzazione” progressi-va.6 In sostanza, si tratta di porre domandenuove all’insieme di tutte le fonti (archeolo-giche, epigrafiche, letterarie), nella convin-zione – forse ottimistica ma non troppo lon-tana dal vero – che «avere l’idea di “domandenuove” da porre ai documenti, “che sono ine-sauribili”, significa aver sviluppato concettiinediti».7

L’idea di una specifica “identità fenicia” daricostruire storicamente è stata la colonnaportante di molti studi, avviati da Moscati eproseguiti da altrettanto validi specialisti delladisciplina. Oggi possiamo riflettere sul tema,domandandoci su quali basi documentarie siastato (e sia tuttora) “edificato” questo “tipoideale” e quale validità sia da attribuire alla

concettualizzazione storica corrispondentealla nozione di “identità fenicia”.

Fingere l’identità significa “costruirla”,8“plasmarla”, secondo il significato primariodel verbo latino fingo. Nel campo della “sto-ria concettualizzante”, come la definiva Vey-ne, un “tipo ideale”, plasmato dallo storico,non è da ritenersi falso perché appunto “co-struito”, ma certamente può risultare più omeno condivisibile da parte degli altri stu-diosi; deve inoltre venire continuamente te-stato attraverso nuove concettualizzazionisuccessive.9

Tuttavia, l’identità fenicia non è stata sol-tanto “ricreata” dagli studiosi moderni:10 l’an-tropologia contemporanea insegna che ogni“identità culturale” viene creata e continua-mente trasformata dagli attori sociali, sia in-terni sia esterni ad un certo gruppo umano.11Dunque l’identità risulta essere una “finzio-ne” non solo in quanto oggetto della storio-grafia (l’identità di un popolo, creata a poste-riori dagli studiosi), ma anche in quanto dato

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misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti aquei punti di vista unilateralmente posti in luce, inun quadro concettuale in sé unitario» (Weber 1997,p. 108): così scriveva Weber in un saggio del 1904, daltitolo originale Die “Objektivität” sozialwissenschaftli-cher und sozialpolitischer Erkenntnis, apparso nell’«Ar-chiv fur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik» 29, pp.22-87, poi pubblicato all’interno di un volume nel1922 e tradotto in italiano nel 1958.

5 Veyne 1981, p. 31. Poco oltre Veyne precisa che«la prospettiva della concettualizzazione dà il suogiusto significato a quella che gli addetti ai lavorichiamano la storia non événementielle» (Veyne1981, p. 34).

6 «La concettualizzazione – che è solo un nomediverso per indicare il “tipo ideale” weberiano – è co-sì il procedimento grazie a cui la conoscenza storica“esce dalla sfera delle cose che sono solo vagamen-te intuite”, per citare le parole di Weber»: Veyne1981, p. 33. 7 Veyne 1981, p. 35.

8 «L’identità ha insomma un carattere “costrui-to”. L’identità è costruzione; ma essa implica ancheuno sforzo di differenziazione»: Remotti 2008, p. 9.

9 «È legato all’essenza del loro compito che tuttele costruzioni tipico-ideali debbano tramontare, mache al tempo stesso altre nuove siano sempre indi-spensabili» (Weber 1997, p. 126). Gli studiosi delle

generazioni nuove hanno il compito di continuare laricerca di chi li ha preceduti ponendo “nuove do-mande” e augurandosi di poter rispondere con“concetti inediti”, poiché «vi sono scienze alle qualiè assegnata un’eterna giovinezza; e queste sono tut-te le discipline storiche, tutte quelle cioè a cui il flui-re sempre progrediente della cultura propone dicontinuo nuove posizioni problematiche» (Weber1997, p. 126).

10 Sull’idea dell’identità fenicia come creazionedegli storici moderni, si possono leggere anche al-cune riflessioni recenti di S.F. Bondì: «Perhaps it iscorrect to claim that “Phoenicity” is, in someways, a modern invention – not in the sense, as weshall see, that elements of strong internal cohesionwere missing in what we call the Phoenicianworld, but rather that this apparent unity of iden-tity was not seen in the same way by the Phoeni-cians» (Bondì c.s.).

11 Va comunque notato che non tutti i ricercato-ri contemporanei accettano questa idea, sostanzial-mente “costruttivista”, dell’identità: «we argue thatthe prevailing constructivist stance on identity – theattempt to “soften” the term, to acquit it of thecharge of “essentialism” by stipulating that identi-ties are constructed, fluid and multiple – leaves uswithout a rationale for talking about “identities” atall»: Brubaker – Cooper 2000, p. 2.

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storico in sé (l’identità creata e trasformatadai membri stessi del gruppo umano).

In questa sede, pertanto, ci si propone di ripensare la questione identitaria fenicia traendo spunto dalle acquisizioni, recenti emeno recenti, degli studi antropologici, nellaconvinzione della necessità di un dialogo fe-condo fra le diverse scienze umane, quelle chesi occupano del passato e quelle che studianoil presente. Infatti, come ricordava Braudel, il“tempo storico” risulta sì – agli occhi di chi sioccupa di ricerche sul tempo attuale – «ap-pauvri, simplifié, dévasté par le silence, recon-struit – insistons bien: reconstruit»,12 ma que-sta necessità di “ricostruire” non è estranea aquelle scienze umane che si concentrano in-vece sul tempo presente. Di conseguenza,non è auspicabile un’eccessiva separazione tragli studi rivolti agli aspetti sociali e culturalidel passato e gli studi rivolti al presente, poi-ché «présent et passé s’éclairent de leur lu-mière réciproque».13

La riflessione parte dunque dal presuppo-sto che le acquisizioni avvenute in seno allescienze umane che prevalentemente si occu-pano “dell’attualità” (quali, in primis, l’antro-pologia) possano e debbano essere tenute ingrande considerazione per il progresso deglistudi storici. Del resto, sempre con le paroledi Braudel, «l’histoire, dialectique de la du-rée, n’est-elle pas à sa façon explication dusocial dans toute sa réalité? Et donc de l’ac-tuel? Sa leçon valant en ce domaine commeune mise en garde contre l’événement: nepas penser dans le seul temps court, ne pascroire que le seuls acteurs qui font du bruitsoient les plus authentiques; il y en est d’au-tres et silencieux».14 Nel caso dei Fenici inOriente, rivedere la “questione fenicia” inuna prospettiva “interna” può rappresentare,a nostro avviso, un primo passo in questa direzione.

2. La “questione fenicia”:alcuni cenni di storia degli studi

Il problema della definizione di una “identitàfenicia” nasce in seno alla più ampia “questio-ne fenicia”, che, nelle parole di Sabatino Mo-scati, si pone fin da subito attraverso l’inter-rogativo «chi furono effettivamente i Fenici?»,una domanda cui fa seguito la ricerca degli«elementi distintivi e caratteristici» della civil-tà fenicia.15

2. 1. Origini e definizione di un “popolo”

Agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso laquestione fenicia sembra ruotare principal-mente attorno al problema delle “origini”; secondo Moscati, tale problema è affrontatosovente in modo erroneo, «proiettando fitti-ziamente addietro di millenni un’entità chenon risulta se non in epoca relativamente tar-da della storia».16 In sostanza, quello che nel1963 è per molti studiosi «il problema delle ori-gini di un popolo» deve essere risolto, secon-do Moscati, «indagando in qual modo tale en-tità si sia costituita, attraverso il convergere dicomponenti etniche e culturali, di condizioniambientali, di stimoli e di reazioni conver-genti»:17 in tali riflessioni si coglie la tendenzaa porre il problema nei termini di quel feno-meno che noi oggi chiamiamo “etnogenesi”.

Sulla base dei dati disponibili nei primi anniSessanta del Novecento, la “questione feni-cia” resta appunto allo stato di quaestio, cioè diricerca e investigazione: si è ancora nell’im-possibilità di «tracciare un quadro storico eculturale» del popolo fenicio e occorre limi-tarsi a indicare soltanto «le premesse» di talequadro.18 Le premesse enunciate da Moscatinel 1963 sono interessanti per la storia deglistudi; in particolare, parlando di “popolo fe-nicio”, lo studioso si premura di precisare

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 139

12 Braudel 1958, p. 736.13 Braudel 1958, p. 737.14 Braudel 1958, p. 738.15 Moscati 1963, p. 485.16 Moscati 1963, p. 485. Moscati fa riferimento

a studi in cui la storia del popolo fenicio viene

fatta “iniziare” al principio del III millennio a.C. (Eissfeldt 1950) o affondare le radici nella Prei-storia stessa (Baramki 1961): cfr. Moscati 1963, p.486. 17 Moscati 1963, p. 485.

18 Moscati 1963, p. 486.

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quel che si può intendere per “popolo”, ovve-ro «un aggregato di persone che possono es-sere diverse per razza e provenienza, ma cheassumono un carattere omogeneo per averein comune un’area geografica, una lingua eun processo storico-culturale».19 Poco oltre,Moscati precisa che, in seguito alle profondetrasformazioni che investono il Levante co-stiero intorno al 1200 a.C., «l’area fenicia vie-ne a delimitarsi in quanto diverse popolazio-ni vengono a segnarne i confini».20 Taliaffermazioni rivelano la prospettiva in cui simuovevano gli studi mezzo secolo fa: da unlato, appare chiaro, dalle parole di Moscati, ildefinirsi della civiltà fenicia “in negativo”,21come se i Fenici, a partire da un certo mo-mento storico in poi, si ritagliassero uno spa-zio geografico e culturale, nel panorama delLevante costiero; dall’altro lato, si osserva co-me la creazione di “confini” (culturali, più chefisici), in Oriente, tra i Fenici e “gli altri” sia unfenomeno ascrivibile più all’azione delle altrepopolazioni che non a un’autoaffermazionedei Fenici medesimi.

Dieci anni dopo, sul primo numero della«Rivista di Studi Fenici» del 1973, Moscati trac-cia un quadro dello stato della disciplina; inquesto contesto, fra gli obiettivi futuri, riba-disce come «il paraît essentiel de définir clair-ment la civilisation phénicienne dans sa natu-re et dans ses limites, c’est-à-dire l’objetmeme des études», ricordando ancora che unpopolo e una cultura si definiscono in base al-la lingua, all’area geografica e a una serie di

“caratteri distintivi”.22 Il 1200 a.C., momentoiniziale dell’età del Ferro nel Levante, resta –secondo Moscati – il limite cronologico altoper l’esistenza stessa di una questione fenicia:è dunque questo il primo confine tracciatodagli studiosi per descrivere e definire l’iden-tità dei Fenici.

2. 2. Continuità e discontinuità

L’affidabilità di tale linea di demarcazione –l’inizio dell’età del Ferro come momento incui emerge una “identità fenicia” – viene mes-sa in discussione nei decenni successivi da altri studiosi. Nel 1984, infatti, Moscati, trac-ciando un bilancio del progredire della “que-stione fenicia”, deve rispondere alla critica diGarbini, secondo il quale è possibile parlare di“cultura fenicia” nell’area siro-palestinese almeno dall’inizio del II millennio a.C.23 Questa critica nasce dall’osservazione dellaspiccata continuità culturale tra età del Bron-zo e del Ferro nella zona costiera “fenicia”.24

I Fenici si trovano dunque nella paradossa-le condizione per cui la loro identità – il cheequivale a dire la possibilità di distinzione edifferenziazione rispetto agli “altri” (popoliprecedenti e popoli circostanti) – si definisce(si è detto “in negativo”) più per i fattori dicontinuità che per quelli di cesura e trasfor-mazione.25 La civiltà fenicia emerge nellacontinuità con la tradizione: risulta pertantodifficile – come ammette Moscati – indivi-duare cesure storiche nette.26 Anche dal pun-

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19 Moscati 1963, p. 488.20 Moscati 1963, p. 489.21 Così annoterà in seguito Moscati riguardo al

momento della cosiddetta «invasione dei Popoli delMare» intorno al 1200 a.C.: «le città costiere restanodifferenziate sia pure in negativo» (Moscati 1988,pp. 24-25). 22 Moscati 1973, p. 126.

23 Garbini 1980; Moscati 1984, p. 38.24 Il problema sarà poi discusso ulteriormente

negli anni Novanta, quando l’idea di un limite altoda porsi al 1200 a.C. per l’esistenza stessa di una “civiltà fenicia” verrà considerata rispondente «à raisons surtout d’ordre pratique et opérationnel»(Xella 1995, p. 244).

25 «Se la storia dei Fenici e la loro stessa indivi-dualità etnico-culturale si fanno iniziare intorno al1200 a.C., ciò non significa che essi siano allora giun-ti nella regione (come favoleggiavano tradizioni dietà classica), né che essi si siano allora organizzati informe nuove. Al contrario, i Fenici dell’età del Ferroerano i diretti discendenti di coloro che abitavano lastessa zona durante l’età del Bronzo, ed anche sulpiano culturale la continuità è evidente»: così Live-rani “risolve” il problema di una identità che para-dossalmente si definisce (e dunque si differenzia) attraverso la continuità con il passato locale (Live-rani 1988, pp. 693-694).

26 P. Xella sintetizza così il pensiero di Moscatisulla continuità della cultura fenicia rispetto al pas-

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to di vista linguistico, lo studioso sottolineache «rispetto al semitico siro-palestinese delII millennio, il fenicio presenta a un tempocontinuità e sviluppo», ovvero si evolve gra-dualmente, pur conservando non pochi elementi arcaici.27

In un tale contesto non si porrebbe tantol’esigenza di cercare una mediazione tra lapercezione di una cesura intorno al 1200 a.C.e la constatazione del permanere di forti le-gami con il passato,28 quanto piuttosto si do-vrebbe riconoscere la difficoltà di tracciareconfini netti intorno alla cosiddetta “identitàfenicia”, qualora si voglia intendere quest’ul-tima come un dato oggettivo in sé.

Il dilemma, invece, viene a porsi, alla metàdegli anni ’80 del secolo scorso, proprio neitermini dell’opposizione fra continuità e discontinuità, senza intaccare la presunta og-gettività dell’identità fenicia. Gli studiosi esa-minano e soppesano gli elementi che indica-no una continuità con la tradizione dell’etàdel Bronzo a fronte degli elementi di novità:fra le «connotazioni che possono dirsi tipichedell’età del Ferro» Moscati annovera, peresempio per quanto riguarda «artigianato earte», anche «lo sviluppo delle arti minori».29È interessante il ricorrere piuttosto frequenteall’idea dell’emergere delle “arti minori” co-me elemento connotante dell’identità fenicianell’età del Ferro. La nozione stessa di “artiminori” è oggi desueta, ma appare indicativoche a una tale nozione – obiettivamente vaga

nonostante gli apprezzabili sforzi compiuti daMoscati per definirla30 – si facesse riferimentocome a uno fra i possibili indicatori identitaridella “fenicità”.

In questo vero e proprio conteggio di fatto-ri, certuni elementi sono però consideratinon rilevanti; un esempio si trova nelle consi-derazioni riferite all’onomastica: «la continui-tà di alcuni nomi dall’età del Bronzo a quelladel Ferro, laddove altri scompaiono e altri ap-paiono, è condizionata dalle fonti che posse-diamo e comunque non incide sui fatti etnici,per la forte conservatività dei nomi stessi».31Tale affermazione rivela che dei fatti “etnici”e dunque “identitari” si aveva una percezioneassai ancorata a un’idea concreta dell’ethnos.Provando invece a pensare le istanze identita-rie come “azioni sociali”, piuttosto che comerealtà oggettive, risulta evidente l’importanzaanche della continuità o discontinuità nel-l’onomastica: infatti, attraverso la scelta diconservare o meno i nomi tradizionali, sia pu-re con maggiore o minore consapevolezza, siportano avanti istanze di carattere identitario,in una parola si “costruisce” (o si finge) l’iden-tità collettiva.

2. 3. Cultura materiale e “popoli”

Negli studi risalenti agli inizi degli anni No-vanta, si continua a cogliere un vivo interesseper la definizione dell’identità fenicia.32 Perquanto riguarda l’Oriente, emergono voci

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 141

sato: «le fait de rester toujours égal à soi-même dansun contexte transformé doit être lu (presque para-doxalement) comme une innovation ou au moinscomme une manifestation d’autonomie progres-sive» (Xella 1995, p. 243).

27 Moscati 1984, p. 41.28 Una tale “mediazione”, in sostanza, viene pro-

posta da Moscati nelle conclusioni del 1984: «rispet-to a venti anni fa, ritengo ancora che la civiltà feni-cia emerga in tutte le sue connotazioni intornoall’inizio dell’età del Ferro. Ma riconosco che le con-nessioni con il passato, del resto presupposte nel giu-dizio di continuità, si rivelano sempre maggiori»(Moscati 1984, p. 42).

29 Moscati 1985, p. 184.

30 Moscati infatti chiarisce che il complesso delle“arti minori” consiste in «quella amplissima produ-zione di oggetti pregiati di piccole dimensioni, facil-mente trasportabili e quindi adatti al commercio in-ternazionale» (Moscati 1983, p. 13).

31 Moscati 1985, p. 185.32 Una serie di volumi affronta il tema dell’iden-

tità dei Fenici: cfr. Gras – Rouillard – Teixidor1989; Pastor Borgoñon 1992; Baurain – Bonnet1992; Briquel-Chatonnet 1992; nello stesso anno1992, escono inoltre il Dizionario della civiltà fenicia acura di M.G. Amadasi, C. Bonnet, S.M. Cecchini, P.Xella e il Dictionnaire de la Civilisation Phénicienne etPunique a cura di E. Lipiński. In particolare, si vedaMoscati 1993, che fa il punto della situazione.

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critiche rispetto alla validità della nozionestessa di “cultura fenicia”, nozione che si pro-pone di sostituire con “cultura levantina”.33Tali proposte vengono però etichettate comeeterodosse, poiché non in grado di interpre-tare e valorizzare al meglio la “realtà etnica”sottesa, in Oriente, al nome dei Fenici.34 Vie-ne ribadita la «funzione primaria della linguaai fini dell’individuazione di qualsiasi entitàetnica»35 ed è evidenziato il parallelo conl’identità degli Etruschi, parimenti fondatanon tanto sulle origini quanto sulla condivi-sione di alcuni fattori identitari, fra cui, in primis, la lingua. Emerge un dato degno di nota: sembrano essere proprio gli studi che sifondano sull’analisi della cultura materiale36 acondurre, attraverso quella che viene consi-derata una sottovalutazione degli aspetti linguistici, alla «conseguenza sconcertante» di«rimuovere la realtà stessa dei Fenici e della loro cultura dalla storia del Vicino Oriente antico».37

Lo studio della cultura materiale, o più ingenerale l’analisi della documentazione ar-cheologica, indubbiamente, può indurre asfumare le identità specifiche, o addirittura ametterle in discussione tout court. Tale ruolodella cultura materiale, nel corso della storiadegli studi, si è rivelato spesso scomodo. Ciòè provato, oltre che dal dibattito sulla “que-stione fenicia”, anche dal dibattito sull’identi-

tà dei Filistei, o da quello “classico” sulle ori-gini degli Israeliti.38 Per esempio, GiovanniGarbini, nel discutere il problema dei Filistei,afferma la propria sfiducia nei confronti dellacultura materiale, lo studio della quale – a suodire – conduce a formulare «tesi estremisti-che» come quelle che mettono «in discussio-ne il fatto che i Filistei potessero essere consi-derati un popolo».39 In realtà, non sempre lacultura materiale ha svolto questo ruolo di“decostruzione” delle identità.40 In relazioneproprio ai Filistei, l’analisi delle testimonian-ze materiali41 – almeno quando ha beneficia-to del contributo di una prospettiva di stam-po antropologico – ha condotto alcunistudiosi a costruire modelli interpretativi co-me quello dell’assimilazione (un’identità cul-turale viene assorbita in un’altra) o dell’accul-turazione (un gruppo acquisisce alcuni tratticulturali di un altro, tramite contatto). Se-condo quest’ultimo modello (o, per dirla conWeber, “tipo ideale”), il contatto tra culture simanifesta dunque nella comparsa di nuovitratti nella cultura materiale di un gruppo,senza però alterarne l’identità specifica.42

Per quanto riguarda i Fenici, agli inizi deglianni Novanta, diversi studiosi evidenziano come l’identità fenicia emerga soprattutto facendo ricorso alle fonti scritte, e in partico-lare a quelle classiche, giungendo a conclude-re che «les Phéniciens restent, pour une très

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33 Pastor Borgoñon 1992, p. 134: «levantinischeKultur».

34 «Che la definizione “cultura levantina” in luogo di quella “cultura fenicia” possa risolvere iproblemi storici e archeologici implicati, e che quin-di l’una sia da indicare per l’uso rimuovendo l’altra,è una proposta davvero singolare, in cui l’aspetto nominalistico prevale su quello storico»: Moscati1993, p. 13. 35 Moscati 1993, p. 10.

36 Ovvero mostrano, secondo Moscati, «finalitàprimariamente archeologica» (Moscati 1993, p. 9).

37 Moscati 1993, p. 13.38 Per Garbini la “cultura materiale” è «un tipo di

cultura che appiattisce sui bisogni elementari l’indi-vidualità e la creatività dei vari gruppi umani» (Gar-bini 2012, p. 14, nell’introduzione, datata al 1996, del-la monografia sui Filistei). Nella prefazione (datataal 2011) alla seconda edizione del medesimo volume,lo studioso ribadisce tale concezione, affermando di

non condividere «l’idea che l’archeologia possa ri-solvere il problema storico posto dai Filistei in Pale-stina» (Garbini 2012, p. 8).

39 Garbini 2012, p. 7.40 Al contrario, Ann Killebrew afferma che

«ethnicity in its diverse manifestations can be identi-fied under certain circumstances in the archaeologi-cal record» (Killebrew 2005, p. 2).

41 La bibliografia relativa all’identificazione etni-ca dei Filistei tramite la cultura materiale è moltovasta; si consideri, ad esempio, lo studio di più diventi anni fa di Bunimovitz 1990; per una sintesi ag-giornata, con riferimenti bibliografici completi, siveda Yasur Landau 2010.

42 In particolare, è stato sostenuto che se da un la-to «the Philistines absorbed many outside culturalinfluences through acculturation», d’altro lato «theyretained a distinct cultural and political identity»:Stone 1995, p. 7.

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large part, une “découverte”, sinon une “in-vention” des Grecs»43 e che «c’est aux auteursgrecs que semble revenir la responsabilitéd’avoir crée le concept de “Phénicien”».44Benché Moscati tenti di ridurre la portata disimili affermazioni,45 risulta evidente che glistudiosi non possono esimersi dal porre laquestione di un’identità fenicia “plasmata”dall’esterno e giunta come tale fino a noi at-traverso soprattutto l’eredità della culturaclassica.

Se da un lato dunque, grazie anche agli in-dirizzi metodologici segnati da Moscati, il“problema delle origini” dei Fenici – almenonell’accezione di stampo diffusionistico (l’ori-gine come “provenienza”) – viene presto su-perato, o meglio accantonato46 in virtù dellarivendicazione di autoctonia dell’ethnos feni-cio, dall’altro lato si inizia invece a porre laquestione, ben più spinosa e ardua, della le-gittimità stessa di una “identità fenicia” inOriente.

3. Note per una etnogenesi fenicia

Erede della specifica questione delle “origini”è la discussione, più ampia, sull’etnogenesi, unproblema che si pone sempre, quando si vo-

glia definire un popolo e la sua identità collet-tiva. Il problema dell’etnogenesi consiste nellaricerca e nello studio non tanto del luogo diorigine e provenienza (concetto di stampodiffusionistico), quanto piuttosto del proces-so di formazione di un popolo che, a un certopunto della storia, appare come tale agli occhipropri e/o altrui. Tale questione è stata mol-to dibattuta soprattutto in riferimento al po-polo ebraico e all’identità israelitica.47 La di-scussione, assai accesa, sulla formazione delpopolo degli Israeliti è stata condizionata, nelcorso del tempo, dalla crescente o decrescen-te popolarità di alcuni modelli interpretativi,da quelli improntati al diffusionismo48 a quel-li che, in reazione (a volte persino eccessiva oaprioristica) alle teorie diffusionistiche, pro-pendevano piuttosto per origini autoctone esviluppi culturali esclusivamente locali.

In riferimento ai Fenici, l’autoctonia costi-tuisce un punto fermo, a dispetto della varie-tà di opinioni espresse in merito da parte del-le varie fonti classiche: da Erodoto (I 1 e VII89), che pone la sede originaria dei Fenici nelmare Eritreo, a Strabone (XVI 3,4) e Plinio (IV36), che richiamano affinità culturali nel Gol-fo Persico, laddove invece Filone di Biblo pro-spetta un’origine locale.49 Il fatto che i Fenici

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 143

43 Baurain – Bonnet 1992, p. 11.44 Baurain – Bonnet 1992, p. 12.45 Moscati 1993, p. 17: «tutto questo è vero, ma

non muta il fatto che quanto le iscrizioni da un latoe le notizie bibliche, assire ecc. dall’altro ci diconosulle città fenicie costituisce un complesso di cono-scenze sulla realtà etnica di cui abbiamo desunto daiGreci il nome»; ancora una volta c’è, poco oltre, unparallelismo con la questione etrusca e compare unrichiamo alle «distintive caratteristiche» che – secon-do Moscati – permettono di identificare un popolo.

46 Il saggio introduttivo del volume sui “Fenici eCartaginesi”, a cura di S.F. Bondì, è intitolato pro-prio “Il problema delle origini”, impiegando peròquesto termine non tanto nel significato di prove-nienza, quanto appunto in quello di “genesi” e “for-mazione” di un ethnos; infatti, Bondì afferma che «èevidente che sarebbe fuorviante domandarsi da do-ve vengano i Fenici, quale regione abbia visto il pri-mo sorgere della loro civiltà», confermando la pro-spettiva dell’autoctonia, come del resto è precisatoanche poco oltre («oggi l’emergere della civiltà feni-

cia appare il risultato di un’evoluzione avvenuta suiluoghi stessi che la videro fiorire»): cfr. Bondì et al.2009, pp. VII-IX.

47 Cfr. Shanks et al. 1992. In anni abbastanza re-centi è stato proposto che «the emergence of ancientIsrael should be interpreted as a process of ethno-genesis, or a gradual emergence of a group identityfrom a “mixed multitude” of peoples whose originsare largely indigenous and can be understood in thewider eastern Mediterranean context»: Killebrew2005, p. 149.

48 Nelle due varianti «stimulus and demic diffu-sion», ossia il movimento dei prodotti culturali, daun lato, e il movimento dei gruppi umani dall’altrolato (Levy – Holl 2002, p. 83).

49 Bondì et al. 2009, p. VIII. Anche gli autori mo-derni hanno comunque avanzato ipotesi differenticirca la presunta “sede originaria” dei Fenici; cfr.Moscati 1963, p. 484, che menziona almeno le ipotesi di O. Eissfeldt (Sinai o steppa arabica) e D.Harden (“ondate” semitiche dall’Arabia o dal GolfoPersico): Eissfeldt 1950; Harden 1962.

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della costa levantina non risultino giunti daun altrove più o meno distante, ma siano ge-neralmente considerati come genti locali,contribuisce a sottrarre la questione fenicia aldominio delle teorie diffusioniste e migrazio-niste che larga parte hanno avuto nella rico-struzione storica delle vicende mediterranee.Tale autoctonia rappresenta però anche unproblema, poiché – come si è visto più sopra– essa rende difficile l’individuazione di una li-nea di cesura, che delimiti, in area costiera le-vantina, ciò che è fenicio da ciò che non lo è.

Alla base del problema dell’etnogenesi feni-cia, in ogni caso, si colloca anche la questioneineludibile del nome.50 Il greco phoinikes, ri-salente ai testi omerici, non corrisponde, co-me è noto, a un’auto-designazione del popo-lo in questione. I Fenici, piuttosto, definivanose stessi “Cananei”.51 Gli studi, tuttavia, si so-no concentrati a lungo sulla ricerca della pos-sibile origine del nome greco, riuscendo a in-dicarne una remota derivazione da analoghitermini semitici; anche in questo caso, la que-stione delle “origini” è divenuta dunque de-terminante e ha consentito, in qualche modo,di “restituire” ai Fenici il loro nome. Già mez-zo secolo fa, infatti, Moscati illustrava il lega-me del termine etnico con il greco phoinix,nell’accezione di “rosso porpora”, e dimo-strava la plausibilità, almeno a suo avviso, del-

l’ipotesi di un calco greco sul termine Cana-nei, a sua volta legato a un vocabolo indican-te il colore rosso porpora. Moscati rifiutavaper altro l’idea di una derivazione dell’etnoni-mo dal colore52 e propendeva invece perl’idea contraria, ritenendo verosimile che nelII millennio a.C. l’area fenicia fosse abitata dalpopolo “cananeo” e che, in conseguenza del-l’attività di quest’ultimo, fosse stato coniatoanche il termine indicante il rosso porpora(kinahnu), attestato in accadico a Nuzi.53 Insostanza, Cananei è il nome «che compare giàprima e che i Fenici davano a se stessi»,54 men-tre i Greci non avrebbero fatto altro che effet-tuare un calco dell’etnonimo e contestual-mente del termine ad esso collegato indicanteil colore rosso. In questo modo, veniva ridi-mensionato il problema della “creazione” del-l’identità fenicia da parte dei Greci e si potevainterpretare l’etnogenesi fenicia in chiave diautonomia.

In seguito, gli studiosi hanno ulteriormenteindagato la questione dell’origine del terminegreco phoinix, indicandone la possibile origi-ne in ambito miceneo.55 Si è anche postulatoche tale vocabolo sia stato successivamenteaccostato, per assonanza, al termine egizianofenkhu (fnhw),56 un etnonimo indicante un po-polo asiatico.57 Per questa strada si sarebbegiunti, dunque, a impiegare per i Fenici, po-

144 tatiana pedrazzi

50 Nel 1963 Sabatino Moscati affermava che «unpopolo si definisce, anzitutto, nel suo nome» (Mo-scati 1963, p. 487).

51 È usualmente ricordata la testimonianza diAgostino, secondo cui ancora i Cartaginesi chia-mavano se stessi “Cananei” (Chanani): Aug. Epist.ad Rom. inch. exp. 13; per una valutazione di tale do-cumento cfr. Tsirkin 2001, p. 271, ma soprattuttocfr. il ridimensionamento del valore documentariodi questa testimonianza tarda in Xella 1995, pp.247-248, secondo il quale «cette donnée est impor-tante comme témoignage d’une culture qui se sentencore liée à l’héritage oriental, mais elle ne per-met pas d’autres spéculations d’ordre historique etgéographique sur la terre d’origine de ces popula-tions».

52 Che l’etnonimo fosse derivato, in particolare,dall’attività di produzione della porpora è stato rite-nuto ancora meno plausibile, anche in studi più recenti, poiché «it looks like a violent assumption

that people could call themselves after a manufactu-red product» (Tsirkin 2001, p. 271).

53 Moscati 1963, pp. 487-488. Su tali questioni siveda ora l’aggiornata e puntuale disamina di A. Er-colani: cfr. Ercolani in preparazione.

54 Moscati 1993, p. 18.55 Il termine miceneo po-ni-ki-jo, infatti, ha il si-

gnificato di “rosso”. Cfr. Godart 1991; Xella 1995;Tsirkin 2001.

56 Il vocabolo sembra avere avuto l’originario si-gnificato di “tagliatori di legname” per divenire soloin un secondo momento un etnonimo: Tsirkin2001, p. 275. Nel racconto di Sinuhe si fa riferimentoalla terra di fenkhu, ma anche Tutmosi III attraversafenkhu verso Irqata.

57 L’accostamento tra il greco phoinikes e l’egizia-no fenkhu è stato suggerito ormai da molti decenni;anche il nome fenkhu «was not a self-denomination,but a name given by another people» (Tsirkin 2001,p. 275).

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polazione asiatica nonché gente percepita co-me “popolo dalla pelle rossa”, il termine gre-co phoinikes derivato dal miceneo po-ni-ki-jo,58cui non sembra da attribuire nessun legamecon la porpora (che è invece pu-pu-ro, in Li-neare B) o con il colore rosso; il dato interes-sante è che comunque in alcuni casi il voca-bolo ha valenza etnica.59

4. I Fenici in Oriente: un problemadi identità, un’identità problematica

Venendo dunque alla discussione di come sipossa intendere oggi l’identità fenicia, occor-re prendere in esame le acquisizioni metodo-logiche recenti e il ribaltamento di prospetti-va che esse presuppongono.

In effetti, la definizione dell’identità feniciaall’interno del panorama culturale orientaledella fine del II e del I millennio a.C. si è fon-data, generalmente, sul presupposto che fos-se da accettare una visione sostanzialista del-l’identità stessa. In quest’ottica, l’identità deiFenici, al pari di quella degli altri popoli del-l’età del Ferro del Levante, si basa su una se-rie di elementi ritenuti “oggettivi”: alcuni va-lori condivisi, una comunanza di lingua,credenze, istituzioni.60 Un punto centrale ditale ricostruzione consiste nella postulatacoincidenza, almeno sostanziale, tra le rap-presentazioni esterne di un dato popolo e la

sua auto-rappresentazione (o rappresentazio-ne interna): tale coincidenza generalmentenon è messa in dubbio dagli studiosi.

Il ribaltamento di prospettiva, in seno al-l’antropologia, si è attuato a partire dalla finedegli anni ’60, ma tale “rivoluzione” non haportato, se non in misura limitata,61 ripensa-menti negli studi delle civiltà antiche del Vicino Oriente, che pure si presterebbero per-fettamente a un’analisi innovativa del rappor-to tra identità rappresentate dall’esterno e identità auto-rappresentate.62 Il mutamentodi prospettiva implica, infatti, l’assunzione,non scevra da difficoltà, di un punto di vistainterno alla società o al gruppo studiato: inquest’ottica, i confini, anche quelli etnici eculturali, devono essere rappresentati «noncome qualcosa di oggettivamente e definiti-vamente dato, ma piuttosto di strategica-mente prodotto attraverso pratiche sociali esimboliche.»63 I confini che risultano signifi-cativi, all’occhio dell’antropologo, sono dun-que quelli auto-prodotti a fini sociali, quellicreati dagli “attori sociali” per la propria auto-rappresentazione.

Nel caso dei popoli del Levante dell’età delFerro, il quadro è complicato, come si è visto,dal fatto che spesso l’esistenza stessa di tali popoli (e il loro stesso nome) è proclamata edefinita dall’esterno, da altri.64 Tuttavia l’esi-stenza di un “popolo fenicio”, o ancor più spe-

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 145

58 Bondì et al. 2009, p. X.59 Godart 1991, pp. 495-497.60 I gruppi etnici erano ritenuti caratterizzati da

fattori identificanti, sostanziali e concreti, quali «a bio-logical component conceived of as blood, genes,and flesh; a similar language shared by a group ofpeople; and similar general economic orientation,history, and world-view» (Levy – Holl 2002, p. 85).

61 In seno all’archeologia del Levante, la prospet-tiva antropologica (di stampo americano) è stataspesso adottata dalla scuola della cosiddetta “ar-cheologia biblica”, in particolare durante gli anniNovanta del secolo scorso, specie per lo studio deifenomeni di “acculturazione” e resistenza identita-ria: cfr. ad esempio Stone 1995, che mostra come«the Philistines provide an excellent case study inhow archaeologists studying biblical periods canboth contribute to and benefit from anthropological

research without sacrificing the integrity of theirown historical inquiry» (Stone 1995, p. 7). La defini-zione operativa di “gruppo etnico” data da Barth èstata adottata nella discussione della questione del-l’etnicità di Israele: cfr. Dever 1995, pp. 200-201.

62 Anche P. Xella ha avuto modo di sottolineareche «lo storico del mondo antico è generalmentemeno attento dell’etnologo alle prospettive internedelle varie culture e adotta solitamente un propriopunto di vista investigativo, per stabilire identità edifferenze culturali, che non sempre coincidono conquello delle stesse culture che sono oggetto dei suoistudi»: Xella 2008, pp. 69-70.

63 Fabietti 2005, p. 181.64 «Quasi sempre i loro nomi erano il risultato del

punto di vista di coloro che erano in grado di nomi-narli»: così Fabietti 2005, p. 181, nota 11, in riferi-mento ai popoli del Vicino Oriente antico.

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cificamente di un ethnos fenicio e di una cul-tura “fenicia” in Oriente, non è stata messa indiscussione, proprio perché si è postulata unacoincidenza tra la designazione del popolodall’esterno e la sua auto-percezione.

Per quanto riguarda la denominazione delpopolo fenicio, si è presa in esame la posizio-ne di Moscati. A prescindere dalla discussio-ne sui “confini” del termine “Canaan”, ter-mine che sembra designare tutta l’arealevantina costiera,65 bisogna rilevare comequesto nome non sembri alludere a una enti-tà di tipo etnico o ancor meno nazionale. Inogni caso, il dato significativo è che l’auto-de-signazione del cosiddetto “popolo fenicio”appare evidentemente plurima e non unita-ria, visto che gli abitanti delle città costiereche noi chiamiamo “fenicie” indicavano sestessi attraverso il nome della città di appar-tenenza.66 In sostanza, i “Fenici” della storio-grafia moderna (i “nostri” Fenici) possonocorrispondere ai phoinikes delle fonti antichesolo se si considerano dall’esterno quei Tirii,Sidonii e abitanti delle altre città dell’attualeLibano; in un’ottica prettamente interna, in-vece, bisogna concludere che il termine Feni-ci – che sia o meno sinonimo di Cananei –non ha alcun valore sostanziale.67

Va inoltre indagato più a fondo – seguendoquanto suggerisce un recente contributo68 – ilrapporto tra “Fenici” e “Sidonii”, attestati en-trambi in Omero, probabilmente con signifi-cati differenti. L’uso alternativo dei terminiphoinikes e sidonioi in Omero ha dato infattil’impressione che «le premier, plus général,doit etre précisé par le seconde».69 L’uso del

termine “Sidonii” è tradizionalmente statospiegato come denominazione estesa all’inte-ra popolazione e «derivante da una delle loroprincipali città, probabilmente quella che,nella fase iniziale della storia fenicia, esercita-va un riconoscibile primato su tutte le al-tre».70 Sono state avanzate però anche propo-ste differenti, fra cui l’ipotesi che il termineomerico phoinikes indicasse gli abitanti dellaFenicia settentrionale e “Sidonii” designasse,sempre in Omero, i residenti nella Fenicia me-ridionale.71

In definitiva, indipendentemente dal signifi-cato specifico del termine, il confine tracciatointorno ai phoinikes resta, in sostanza, una li-nea disegnata esclusivamente dall’esterno,dallo sguardo degli “altri”.

Per definire l’identità collettiva, un datoapparentemente incontrovertibile è sempresembrato quello linguistico: la condivisionedi una lingua, parlata e scritta, è un fattoreidentitario ritenuto indiscusso. Tuttavia, la relazione tra “identità linguistica” e identitàtout court non deve essere considerata biuni-voca. La lingua non pare giocare sempre unruolo di primo piano nella costruzione delleidentità collettive: nel Levante dell’età delFerro l’utilizzo di diverse lingue anche neglistessi contesti, oppure in contesti stretta-mente correlati, dimostra come anche la lingua rappresenti uno strumento di costru-zione di confini non sempre lineari e non facilmente tracciabili, a dispetto delle appa-renze.72

In definitiva, il ribaltamento di prospettivanell’indagine sull’identità fenicia dovrebbe

146 tatiana pedrazzi

65 Secondo Moscati, però, «l’uso di Canaan e Cananei in senso lato, per l’intera regione» era daconsiderare «un fatto secondario e relativamente tardo, legato eminentemente all’uso dell’Antico Te-stamento»: Moscati 1963, p. 488. La portata ampiadell’area “cananea” rispetto alle singole realtà regio-nali levantine è comprovata, secondo P. Xella (Xella1995, p. 248), da Gn. 10, 15-19, che ricorda che Canaanha generato Sidone, che però non è figlio unico.

66 Xella 1995, pp. 246, 249.67 Un contributo che analizza il rapporto tra

Fenici e Aramei in prospettiva fenicia, «that is, froman interest in Phoenician identity and how this may

have developed over time», afferma come presup-posto generale dello studio: «Phoenicians were theCanaanites of Tyre, Sidon and Byblos»: Peckham2001, pp. 19-20.

68 Ercolani in preparazione.69 Xella 1995, p. 245.70 Bondì et al. 2009, p. X.71 Tsirkin 2001, pp. 278-279.72 Whincop 2003, p. 12, sottolinea come l’uso di

una data lingua non possa essere considerato un in-dicatore incontrovertibile di identità etnica, speciein riferimento alla lingua scritta: «written languageis not a definitive indicator of ethnicity».

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condurre oggi gli studiosi a interrogarsi inprimo luogo sulla natura, l’entità, la durata, letrasformazioni dei confini che gli abitanti del-le città di Biblo, Sidone, Tiro e del resto dellacosta “fenicia” progressivamente costruironoe de-costruirono intorno a se stessi, nel corsodel periodo compreso tra la fine del II e la pri-ma metà del I millennio a.C. Partendo dalpresupposto di un necessario svuotamentodei contenuti “oggettivi” dell’identità – poi-ché l’identità di un popolo come “contenito-re” di valori condivisi e concreti è un’idea cheinevitabilmente decade di fronte all’evidenzadella ricerca antropologica – bisogna dunqueporre al centro della ricerca i confini stessi, lefrontiere e la loro genesi. Non più, dunque,l’etnogenesi, bensì, in un certo senso, la “ge-nesi dei confini”.

5. I “confini” nel Levante del Ferro I

Il concetto di “confine”, come insegna l’an-tropologia, ha un valore chiaramente refe-renziale «nelle discussioni sui gruppi sociali,culturali e etnici».73 Il processo di costruzionedei confini è continuo, in ambito inter- e intra-sociale: in questo processo sono ugual-mente importanti i meccanismi di identifica-zione e di appartenenza. Il legame intercor-rente fra la costruzione sociale di confini e ladefinizione e/o creazione dei gruppi etnici èstato studiato in prospettiva antropologica apartire almeno dalla fine degli anni ’60 del se-colo scorso,74 dunque già da circa mezzo se-colo. Da quel momento in poi, gli aspetti del-l’etnicità sono divenuti primari nello studiodella problematica del confine.75 In quest’ot-

tica, essenziale è proprio il confine in sé, tra ungruppo e un altro, e non i contenuti culturaliche tale confine circoscrive.76 Il confine de-termina una distinzione che, al tempo stesso,è reale e metaforica.77

Il gruppo “etnico”, infatti, diversamente dacome è inteso in una prospettiva sostanziali-sta, non è caratterizzato da una serie (ampia oristretta che sia) di elementi identificanti, ben-sì da una continua costruzione di sé in rela-zione all’altro (all’esterno), in una prospettivacontestuale. Il contesto e la relazione con l’al-tro sono i due perni della costruzione delgruppo cosiddetto etnico; il confine, dunque,può e deve diventare un oggetto di studio pri-mario, poiché rappresenta il dato più chiara-mente affidabile circa le dinamiche mutevolidella costruzione dell’identità di un gruppo.Infatti, secondo quanto proposto da Barth, bi-sogna preoccuparsi di «non ricorrere alla co-struzione di tipologie etniche, ma di esami-nare i processi di costituzione identitaria»,78ovvero di mirare non più a una descrizionedei presunti “tratti oggettivi” di un datoethnos, ma piuttosto alla comprensione – perquanto possibile – delle dinamiche interne diauto-rappresentazione.

Tuttavia anche il confine in sé, specie se in-teso come linea di demarcazione e separazio-ne, non va sopravvalutato o enfatizzato; iconfini, o meglio le “frontiere” – secondo l’ac-cezione antropologica che attribuisce a que-sto termine una valenza di spazio di intera-zione e incontro – rappresentano i luoghi incui si attuano i processi di ibridazione. I con-fini dunque appaiono per necessità “fluidi” enon lineari, mutevoli e non statici, continua-

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 147

73 Fabietti 2005, p. 177.74 Barth 1969.75 In un importante contributo sulla questione

dell’etnicità di Israele, W.G. Dever fa riferimentoproprio alla definizione data nel 1969 da Barth al“gruppo etnico”: oltre alla condivisione di determi-nati «cultural values, including language», il gruppo«has a membership that defines itself as well asbeing defined by others, as a category distinct» e so-prattutto «perpetuates its sense of separate identityboth by developing rules for maintaining “ethnic

boundaries” as well as for participating in inter-ethnic social encounters» (Dever 1995, p. 201).

76 Deve essere dunque presa in considerazione«l’affermazione di Barth secondo cui, invece di pen-sare al gruppo etnico come a qualche cosa di deter-minato dai “contenuti culturali”, sarebbe più op-portuno sostenere che tali contenuti servono percostruire il confine, e quindi definire la cultura di ungruppo» (Fabietti 1998, p. 99).

77 Cella 2006.78 Fabietti 1998, p. 96.

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mente rinegoziati, o meglio ricreati e ripla-smati. Fingere l’identità significa dunque “pla-smarla” nel senso di plasmare e creare i confi-ni, le linee di demarcazione, gli spazi difrontiera indispensabili alla percezione delledifferenze fra le culture. Proprio quegli spaziche si propongono come linee di separazionediventano in realtà territori di incontro.

Dal punto di vista propriamente storico,pertanto, ci interessa riportare alla luce – neilimiti del possibile – la “finzione fenicia”, ov-vero la forgiatura (dall’interno) dei confinidella cultura fenicia. Dal punto di vista dellastoria degli studi, invece, ci interessa osserva-re come le linee di demarcazione della cultu-ra fenicia d’Oriente siano state “create” daglistudiosi, attraverso l’enfatizzazione di alcunidati (“identificanti”) a scapito di altri (tenden-zialmente “ibridanti”).

Il Levante dell’età del Ferro si è prestato datempo alla discussione sui confini, reali o im-maginati, mutevoli o stabili, imposti con laforza o subìti, politici o sociali, aperti, per-meabili, oppure invalicabili. Per tornare – main una prospettiva rinnovata – alla domandainiziale di Moscati, di ormai mezzo secolo fa(«chi furono effettivamente i Fenici?»), possia-mo affidarci dunque piuttosto all’analisi dellanatura dei confini nel Levante tra la fine delBronzo Tardo e l’inizio dell’età del Ferro, inquel frangente storico (a cavallo tra XIII e XIIsec. a.C.) in cui, come abbiamo visto, megliopuò essere percepita l’affermazione di unaspecifica identità fenicia.

La natura delle frontiere in area levantinanella Tarda età del Bronzo è stata studiata afondo da Mario Liverani, che ha analizzato einterpretato la documentazione testuale nel-la prospettiva di valorizzare l’ottica interna,

quella degli “attori sociali”. Liverani mette inluce in primo luogo la partizione tra “spaziointerno” e “spazio esterno” e la valutazionedifferenziata dei medesimi, dal momento cheal primo vengono ascritti valori positivi e alsecondo valori eminentemente negativi. Lospazio è importante proprio nella sua dimen-sione di «rappresentazione simbolica della re-altà», dunque di «sistema di valori».79 Livera-ni mostra anche come, in luogo di unaprecedente separazione tra il “paese” (e dun-que il territorio) interno ed esterno, inveceuna «contrapposizione tra la “nostra” popola-zione interna e i popoli stranieri sembra svi-lupparsi piuttosto nell’età del ferro, quandogli stati “nazionali” subentrano a quelli “terri-toriali” dell’età del bronzo».80 Con l’età delFerro, dunque, l’accento tende a spostarsi sul-la popolazione, piuttosto che sulla terra;81 ta-le slittamento di prospettiva (il “nostro popo-lo” versus gli altri popoli, anziché il “nostropaese” versus le altre terre) avviene a maggiorragione in un’area come quella siro-palestine-se, dove non vi sono le condizioni geograficheatte a favorire una contrapposizione fisica traterritorio interno ed esterno.

Nel Levante settentrionale si pone, conl’inizio dell’età del Ferro, il problema delladifferenziazione fra un’area aramaica eun’area luvia: i confini, anche in questo caso,sono difficili da definire, anche se si coglieun processo di progressiva aramaizzazionedella Siria da est verso ovest;82 per gli Aramei vi è «clear evidence for a pastoralbackground»,83 anche se i re degli Arameinon menzionano le proprie origini nomadi-che e soprattutto, secondo il parere di alcuni studiosi, non vi è traccia di una loro auto- percezione identitaria.84

148 tatiana pedrazzi

79 Liverani 1994, p. 28.80 Liverani 1994, p. 29. Per le fasi storiche prece-

denti, invece, si può osservare nella terminologia(sumerica ed egiziana, per esempio) un’insistenzasulla contrapposizione tra paese interno e terre cir-costanti.

81 Liverani ricorda per esempio la contrapposi-zione in ebraico tra ‘am “il (nostro) popolo” e goyim“i popoli (stranieri)”: Liverani 1994, p. 283, nota 9.

82 Mazzoni 1994.83 Sader 2000, p. 67.84 «Indeed, nothing in the written record, mainly

in the inscriptions left by the Arameans themselves,indicates that they had the feeling of belonging toone nation or to a distinct cultural entity»: Sader2000, p. 70.

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In riferimento agli Israeliti è lecito eviden-ziare la creazione di un confine ideale tra il“nostro” e gli “altri” popoli,85 mentre perquanto riguarda i Fenici non vi sono indizi,nelle fonti, di un tale sentimento unitario. Ilpopolo percepisce se stesso sempre comecorrispondente agli abitanti di una singolacittà (Arwaditi, Gibliti, Tirii, Sidonii, etc.),pertanto i confini “ideali”, in ambito fenicio,sono piuttosto quelli della comunità cittadi-na, ivi compreso il territorio peri-urbano erurale.86 In ambito costiero fenicio emergeuna gerarchia fra città più o meno impor-tanti e i testi mostrano come alcune delle cit-tà fenicie fossero “affiliate” o controllate daaltre.87 La transizione dallo stato territorialea quello nazionale non pare avvenire lungola costa fenicia: la conservatività del model-lo territoriale da parte delle città-stato feni-cie, rispetto al nuovo modello gentilizio del-l’età del Ferro, emerge anche in camporeligioso, poiché, come ha rilevato PaoloXella, «il dio poliade dello stato territoriale(Melqart a Tiro, Baal/Baalat a Biblo, ancoraBaal a Sidone e a Berito, etc.) è di fatto ilproprietario del territorio i cui abitanti sonosuoi sudditi».88

La fluidità delle frontiere è ben evidente neitesti del Bronzo Tardo, nei quali si evidenzia-

no le problematiche relative allo spostamentodei confini: in questo caso, non si ha a che fa-re tanto con l’identità, quanto piuttosto conl’ideologia del dominio su un territorio quan-to più vasto possibile, ideologia a sua voltamotivabile con ragioni di ordine economico(sfruttamento di un territorio a vantaggio diuna città-stato rispetto ad un’altra).89 Consi-derata la continuità fra le città-stato fenicie ele città stato levantine della fine dell’età delBronzo, non vi è motivo di dubitare che an-che alla fine del II e agli inizi del I millennioa.C. i confini “mobili”, dal punto di vista poli-tico, fossero una realtà assai comune. L’ap-partenenza di alcuni centri (con il loro terri-torio) alla giurisdizione di altri implicava unpiù o meno marcato grado di sottomissione:due città potevano costituire “un’unità”, an-che se era sottointesa la supremazia di unadelle due; il popolo, in questo, caso assumevaal contempo un’identità “unica” (unitaria, ap-punto, come il termine stesso “identità” ten-derebbe di per sé a dichiarare), ma anche plu-rima, con una sorta di compresenza diidentità e alterità.90

In definitiva, possiamo sottolineare alcunipunti fermi: (1) la continuità (socio-politica eculturale) delle città “fenicie” dell’età del Fer-ro rispetto a quelle siro-palestinesi dell’età del

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 149

85 Liverani mette però in guardia dal fraintende-re i testi antichi, poiché spesso i “confini ideali” noncorrispondono a quelli “reali”; l’ideologia che per-mea i testi va riconosciuta. Invece, talvolta nelle ri-costruzioni degli storici moderni «i confini ideali diIsraele vengono fraintesi come limiti di formazionipolitiche effettive» (Liverani 1994, p. 49).

86 La documentazione testuale del Bronzo Tardoci mostra come le aree rurali, con i villaggi in esseinseriti, non fossero percepite sempre come stabil-mente appartenenti ad una città-stato.

87 Partendo dal presupposto che i Fenici fossero iCananei di Tiro, Sidone e Biblo, Pekcham 2001 (pp.24-26) usa i documenti ugaritici per descrivere le re-lazioni strette di queste tre importanti città con glialtri centri costieri (e interni); in particolare, mostracome tre luoghi, «Sarepta, ‘Akko and Kumidi, illu-strate the endurance of geographical boundariesand traditional allegiances among the cities of thePhoenician coast», precisando che le «Phoenician ci-

ties generally were affiliated with or controlled byone of the major centres, Tyre, Sidon or Byblos».

88 Xella 2010, p. 127.89 Liverani riporta molti esempi, fra cui il passag-

gio del territorio di Siyannu (lungo la costa siriana)dalla signoria di Ugarit al regno di Karkemish. Il te-sto recita: «sin da antico il re di Ugarit e il re di Siyan-nu erano un’unità», precisando poi che il re di Siyan-nu si è distaccato, con il tempo, dal re di Ugarit,divenendo infine “suddito” di Karkemish: Liverani1994, p. 71. L’unità cui fa riferimento il testo implicaevidentemente un certo tipo di “identità” e dunquedi appartenenza (in primis politica, senza dubbio),che però non manca di spezzarsi, per ricostituirsi inaltro modo.

90 Per esempio, gli abitanti di Siyannu fanno par-te lato sensu della popolazione ugaritica, quando laloro città è inclusa nel regno di Ugarit, ma al con-tempo costituiscono un popolo “altro” rispetto aquello ugaritico stricto sensu.

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Bronzo91 ci induce a confrontarci con i testi diquest’ultimo periodo e con la loro documen-tazione; (2) la mobilità dei confini (in primis politici), sia alla fine dell’età del Bronzo sia al-l’inizio dell’età del Ferro, implica evidente-mente una fluidità del sentimento di apparte-nenza; tale mobilità si riveste sempre di trattiideologici (sottomissione, fratellanza, appar-tenenza, tradimento) con riferimento fre-quente, certamente nei testi della fine del IImillennio, alla tradizione, cioè a “come eraprima” (la tradizione, dunque, ha un ruoloimportante nella costruzione della/delleidentità);92 (3) proprio in virtù di tale mobili-tà, le opposte prospettive dell’identità e del-l’alterità appaiono strettamente connesse,benché questo possa apparire a prima vista unparadosso; (4) per le città fenicie non si puòipotizzare uno sviluppo da una concezioneterritoriale dei confini a una concezione “na-zionale” (di ascendenza tribale) dei medesimi;possiamo anzi ragionevolmente postulareche in territorio “fenicio”, all’inizio dell’etàdel Ferro, la percezione “territoriale” dei con-fini sia rimasta quella prevalente.

6. Il contributo della culturamateriale: “confini ceramici”

e altri confini

Una volta definite le linee-guida di una possi-bile ricerca su un tema apparentemente “da-tato” come quello dell’identità fenicia, è ne-cessario verificare quale specifico apporto lacultura materiale possa fornire a un’indaginesugli “attori silenziosi” della costruzioneidentitaria.93 La premessa di una tale verificasembra – a prima vista – di segno negativo,poiché, se l’identità – come si è ripetuto – vaintesa non tanto come un “dato oggettivo”,

quanto piuttosto come una realtà “strategica-mente” definita (o creata) dagli attori sociali,da ciò dovrebbe derivare che, quanto più unafonte documentaria ci trasmette informazio-ni sull’ideologia di tali “attori”, tanto mag-giormente tale fonte può dimostrarsi utile neldescrivere l’identità. In tal senso, i testi, mol-to più dei manufatti, sono ritenuti “parlanti”,poiché i testi sembrano veicolare istanze ideo-logiche assai più degli oggetti.

Tuttavia, riteniamo che i manufatti si pos-sano suddividere in due categorie generali: daun lato quegli oggetti che, a ben vedere, sonoin grado di trasmettere contenuti ideologicinon meno dei testi (le iconografie, che talunitipi di oggetti normalmente recano, sono inun certo senso esse stesse dei “testi”); dall’al-tro lato, invece, i manufatti che non paiono –almeno ai nostri occhi – provvisti di valenzeideologiche esplicite. La prima categoria vatrattata, in ultima analisi, alla stregua dei testi.La seconda categoria, anziché essere ritenutadocumentazione “muta”, deve essere consi-derata piuttosto come una fonte documenta-ria preziosa, che consente appunto di indaga-re quei confini determinati da “attorisilenziosi”, confini che sono forse meno enfa-tizzati, ma si radicano nella realtà concretadel mondo materiale.

A questa seconda categoria appartengono imanufatti ceramici, oggetti di uso quotidia-no, presenti in tutti i contesti, connessi a unaproduzione determinata “dal basso”, cioè influ enzata dalla tradizione artigianale e soggetta alla circolazione e trasmissione dicompetenze che si diffondono verticalmente(sulla diacronia) e orizzontalmente (nellospazio).

In generale, per utilizzare i manufatti cera-mici come indicatori “identitari”, ma anche

150 tatiana pedrazzi

91 Tale continuità ci pare ben dimostrata da mol-ti studi, non ultimo quello già menzionato di P. Xel-la sui rapporti tra Ugarit e la Fenicia (Xella 1995).

92 Per il ruolo della memoria nella costruzionedell’identità, si veda il contributo di G. Garbati inquesto stesso volume, con riferimenti agli studi diAssman.

93 All’interno di tale ampia e complessa questio-ne rientra il problema – assai dibattuto in passato –della relazione “pots and peoples”; quest’ultimo co-stituisce il punto di partenza di uno studio in corsoda parte di chi scrive, dedicato alla definizione delleidentità culturali attraverso soprattutto il contributodella ceramica; in questa sede ci si limita a fornireuna prima presentazione della problematica.

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sociali e più latamente culturali, occorreprendere in cosiderazione, oltre agli aspetticrono-tipologici, anche i fattori ideo-funzio-nali. L’approccio basato semplicisticamentesull’associazione “pots and peoples” ha mo-strato ormai i propri limiti; la presunta con-notazione “etnica” delle ceramiche, infatti, èstata spesso sopravvalutata; tale connotazio-ne ha qualche valore solo se percepita cometale già dai produttori e/o utilizzatori dei manufatti stessi.94

6. 1. Natura dei “confini ceramici”

Lo studio tecnologico, tipologico, morfolo-gico e stilistico della ceramica conduce alladefinizione dei cosiddetti “confini ceramici”,che spesso sono intesi, non sempre a ragio-ne, come precisamente coincidenti con iconfini socio-culturali.95 Per il Levante al-l’inizio dell’età del Ferro, è stato sostenutoche «a detailed typological and technologicalanalysis of thirteenth-twelfth century B.C.E.pottery in Canaan, the most ubiquitous archaeological artifact, serve as a case studyin the demarcation of social boundaries».96Come è evidente, la distribuzione dei tipi ceramici suggerisce l’idea di “confini mate-riali” da tracciare tra una “realtà” e un’altra;va però definita la sostanza di questa cosid-detta “realtà”: culturale, sociale, politica, “etnica”? Tracciare i confini ceramici con-sente di valutarne anche l’eventuale corri-spondenza o la devianza rispetto ai confiniideologici evidenziabili attraverso altre fontidocumentarie.

In uno studio sull’evoluzione dei confini ce-ramici in Siria e nel Levante nella prospettivadella longue durée, inclusa la fase di transizio-ne tra età del Bronzo ed età del Ferro, è statoillustrato come «pottery provinces mirrored,in fact, the development of society and itseconomic and political boundaries»;97 le re-gioni ceramiche, derivanti dalla distribuzionedi classi apparentemente uniformi, sono stateconsiderate come paradigmi dei confini so-ciali, politici, culturali. Se la distribuzione del-la ceramica del Bronzo Tardo nel Levante set-tentrionale testimonia l’espansione deiconfini, senza che si assista a un’alterazionesostanziale del sistema regionale precedente,la ceramica dell’età del Ferro, invece, «can beused as a paradigm of extended borders butalso of a changing society».98

Benché possano dunque essere utilizzaticome paradigmi interpretativi, i confini cera-mici non sono però da intendersi come og-gettivi, essendo tracciati (soggettivamente)dai ricercatori per evidenziare la distribuzio-ne, in primis, di tipi morfologici e stili. Taliconfini sono individuati, inevitabilmente, se-lezionando ed enfatizzando alcuni fattori ascapito di altri.99 Pertanto, con ogni evidenza,nemmeno in questo caso – come si è visto inmerito ad altre fonti – è ipotizzabile una cor-rispondenza biunivoca fra la nostra percezio-ne dei confini ceramici e la percezione che nepotevano avere i produttori stessi dei manu-fatti in questione. È dunque necessario porrel’accento piuttosto sul significato dei confi-ni,100 nella consapevolezza dell’esistenza di

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 151

94 Per tali considerazioni, cfr. le riflessioni giàpresentate altrove: Pedrazzi 2009, p. 61.

95 Equilibrato e condivisibile il giudizio espressoormai diversi anni fa da S. Mazzoni, secondo cui laceramica «reflects the intensity and articulation ofboth social aggregation and its ideological context»,con la significativa aggiunta che «ecological, econo-mic and social frontiers were an essential feature ofthis scenery; their changes and alterations over thelong term resulted in a fluctuation of regional pat-terning which had an effect on pottery productionand distribution»: Mazzoni 1999, p. 139.

96 Killebrew 2005, p. 2.97 Mazzoni 1999, p. 148.

98 Mazzoni 1999, p. 147. Cfr. anche Venturi inpreparazione.

99 Da ciò dipende la difficoltà della relazione traceramica e identificazione “etnica”; come ha sotto-lineato S. Mazzoni, «material culture as evidence forhistorical research has been seriously questioned;pottery has been considered misleading when dealing with ethnicity (pots and peoples), not provi-ding clues for correct identification» (Mazzoni1999, p. 139).

100 Così la definizione dei confini assume valenzaeuristica più che descrittiva: non si tratta di descri-vere una realtà oggettiva, ma di comporre, anche inquesto caso, un “tipo ideale”.

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una pluralità di confini possibili la cui variabi-lità dipende, oltre che da fattori di ordine sto-rico, anche dai caratteri di volta in volta sele-zionati dagli studiosi per definirli.

6. 2. Le ceramiche “occidentalizzanti”come possibile caso di studio

Analizzando la distribuzione areale di unadelle classi considerate come indicatori del-l’avvento dell’età del Ferro nel Levante, la ceramica dipinta di ispirazione egeizzante,101si può in primo luogo considerare come fat-tore primario la sola attestazione di tale cera-mica: in tal modo, si nota che lungo la costasiro-palestinese, da nord a sud, questa classeceramica è presente quasi ovunque. Se vienevalutato invece un fattore ben più rilevantedella semplice attestazione, cioè la percen-tuale di frequenza all’interno degli assem-blaggi ceramici locali, si giunge a tracciareconfini assai più ristretti: le città della Fenicia,per esempio, sono caratterizzate da una pre-senza limitata di questa tipologia (si ha, dinuovo, un dato identificante “in negativo”per l’area definibile come “fenicia”). Anche lacosta palestinese settentrionale a sud del Car-melo si differenzia dalla costa meridionale(filistea) per una scarsa attestazione del co-siddetto “fenomeno della Myc. IIIC”.102 Sidevono poi rilevare ulteriori confini, basatiper esempio sulla produzione: aree in cuiqueste ceramiche sono di fattura strettamen-te locale versus aree in cui tali manufatti sonoprobabilmente importati dalle regioni circo-stanti.103

Non è rilevante, dunque, il confine in sé,quanto piuttosto ciò che ciascuno di questi

confini suggerisce: l’evidenziazione di unascarsità di ceramiche dipinte in stile occiden-talizzante, in siti ad esempio come Tel Dor,hanno fatto ipotizzare che la differenza fra lacosta centrale del Levante e la costa meridio-nale, o “filistea”, «should not be explained inethnic terms, but rather by the discourse bet-ween the symbolic properties of the materialcultural components of the newcomers, andby their local context»:104 dunque, intentisimbolici (e sociali) e dimensione contestualelocale rappresentano i punti-chiave di una ri-cerca che tenti di interpretare correttamentei “confini” tracciati dalla ceramica.

I molteplici e differenti significati di tali confini ci permettono di ottenere altrettantitasselli per costruire le identità culturali, cogliendone la molteplicità non solo sulla diacronia, ma anche, appunto, sul piano sin-cronico.

6. 3. Prospettive recenti di analisisu scala regionale

Le tendenze recenti degli studi sulla ceramicavedono con favore una prospettiva di analisiregionale, che evidenzi le specificità a fronteinvece delle omogeneità.105 Si è infatti con-statato che, pur all’interno delle medesimeampie classi tipologiche, le specificità regio-nali (e addirittura i caratteri peculiari delleproduzioni dei singoli siti) rappresentano si-gnificativi fattori di differenziazione.

Se in passato si aveva la tendenza a proce-dere su due opposti piani paralleli, da un latol’analisi e la pubblicazione, sito per sito, deisingoli assemblaggi ceramici locali, dall’altrolato lo studio complessivo di ampie classi

152 tatiana pedrazzi

101 Su questa ceramica la bibliografia è moltoampia; si vedano, fra gli altri e in specie per il Levante centro-settentrionale: Badre 1983; Kille-brew 1998; Badre et al. 2005; Lehmann 2008;Venturi 2008; Lehmann 2013; Sherratt 2013. Laquestione è stata già affrontata altrove da chi scrive:Pedrazzi 2009; Pedrazzi – Venturi 2011.

102 A Tel Dor, città nota dal racconto di Wena-mun come sede di uno dei “popoli del mare”, i Siki-la, gli elementi “occidentalizzanti” sono sfuggenti;inoltre, «the Myc IIIC and Philistine Bichrome phe-

nomena, or anything remotely similar, do not existthere»: Gilboa 2008, p. 210,

103 Per una sintesi recente, cfr. Pedrazzi – Ven-turi 2011. 104 Gilboa 2008, p. 211.

105 In rapporto, per esempio, alla definizione del-l’identità dei Filistei e dei “popoli del mare” attra-verso lo studio della ceramica, è stato recentementesostenuto, a nostro avviso con ottime ragioni, che«the “Sea Peoples” phenomenon must be fragment-ed into its local components, perhaps even investi-gated on a site-by-site basis»: Gilboa 2008, p. 234.

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tipologiche in ottica macro-regionale,106 oggisi tende piuttosto a comporre quadri (analiti-ci e sintetici) in un’ottica che potremmo definire micro- o medio-regionale.107 La valu-tazione dei repertori locali permette di inter-pretare correttamente similarità e differenzerispetto alle regioni circostanti: in questo modo, è possibile definire con maggiore pre-cisione i “nuovi” confini ceramici del Ferro Iin rapporto a quelli del Bronzo Tardo e diconseguenza interpretare – in senso sociale,economico o, meno plausibilmente, etnico –le trasformazioni in atto nel Levante nel mo-mento storico che corrisponde al manifestar-si storico dell’identità fenicia.

Il lavoro più significativo, in questo senso, èstato svolto da M.E. Aubet e F. Nuñez a Tiro;in particolare, si deve a F. Nuñez lo studio del-la sequenza ceramica di Tiro e dei siti costierilibanesi. Il primo problema che lo studioso hadovuto affrontare è quello della continuità/discontinuità nell’assemblaggio ceramico,per cercare di definire il confine tra la realtà cul-turale “cananea” del Bronzo Tardo e la realtà“fenicia”. F. Nuñez, analizzando le modalità ditrasformazione degli assemblaggi ceramicilocali, ha parlato, assai significativamente, diuna sorta di «continuous transition».108 Inol-tre, il confronto con le sequenze meridionalilo ha portato a rilevare le differenze tra l’areacostiera fenicia e l’area palestinese. Il momen-to di passaggio nella sequenza ceramica deveinfatti essere collocato all’inizio della fase co-siddetta “Kouklia” della scansione di P. Bi-kai,109 ossia in corrispondenza dello stratoXIII di Tiro e dello strato E di Sarepta, in unmomento, dunque, posteriore al passaggiotra Bronzo Tardo e Ferro nel sud. Agli inizi delFerro I palestinese, infatti, si ascrivono assem-

blaggi ceramici analoghi piuttosto a quelli del-lo strato XIV di Tiro e dello strato G1 (ed even-tualmente F) di Sarepta: si tratta di assem-blaggi in cui si conservano, in sostanza, icaratteri tipici del BT, anche se si manifestanoalcuni primi “segnali” della transizione in at-to, come la comparsa, sia pure in quantità nonrilevanti, delle ceramiche egeizzanti o Myc.IIIC, di cui si è detto poco sopra.110

Come si può vedere da questi brevi cenni,l’analisi dei “confini ceramici” della Fenicia al-l’inizio dell’età del Ferro – se condotto su sca-la “regionale”, dunque partendo dagli assem-blaggi locali delle città costiere libanesi, perricostruire una sequenza da confrontare conquella delle altre regioni (palestinese, sirianaetc.) – porta ad alcune possibili conclusioni: (1)viene confermato il quadro, già evidenziato inbase a fonti di altro tipo, di una forte continui-tà – specifica proprio delle città fenicie – tra lafacies culturale del Bronzo Tardo finale e quel-la della prima età del Ferro; (2) si coglie unadifferenziazione rispetto alle sequenze crono-tipologiche meridionali; tale differenziazionepuò essere spiegata in senso cronologico, at-traverso una diversa periodizzazione (affer-mando dunque che in Fenicia il Ferro I inizia“più tardi”), oppure può essere spiegata in sen-so culturale, evidenziando come “l’identità fenicia” della prima età del Ferro sia una “nonidentità” in rapporto alla realtà culturale ca-nanea costiera del periodo precedente.

A dimostrazione di quanto la complessitàdel quadro sia arricchita dallo studio delle se-quenze locali si può considerare anche il casodello studio e dell’interpretazione innovativadella sequenza ceramica di Tel Dor. Il quadrointerpretativo inizialmente proposto da Sternè stato recentemente rivisto da A. Gilboa, alla

fingere l’identità fenicia: confini e cultura materiale in oriente 153

106 Per vari decenni è rimasto un punto di riferi-mento il manuale di Ruth Amiran sulla ceramica delLevante meridionale (Amiran 1969). Fra gli esempidi studi su ampie classi di materiali in ottica interre-gionale, cfr. ad esempio Raban 1980 sulle anforecommerciali nel Vicino Oriente.

107 L’importanza di cogliere «local or regionaldifferences», a fronte delle similarità di repertori ce-ramici nel Levante, è stata recentemente sostenuta

da Du Pied 2008, p. 161, che così chiarisce il proprioapproccio: «I will stress the importance of lookingmore closely at the local or regional level for conti-nuities and changes, as well as for the possible mea-ning of differences and similarities in these potteryrepertoires». 108 Nuñez 2008, p. 5.

109 Bikai 1987, p. 68.110 Nuñez 2008, p. 5.

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luce dei nuovi scavi e dall’analisi dei materia-li: la studiosa ha negato che possano ricono-scersi a Dor, come Stern proponeva, una faseascrivibile culturalmente ai “popoli del mare”(Šikila o ŠKL) e una successiva fase invece “fe-nicia”. Secondo Gilboa, lo studio della cultu-ra materiale, e in particolare della ceramica,conduce ragionevolmente a considerare, al-l’interno della sequenza di Dor, i termini et-nici “fenicio” e “šikila” essenzialmente comesinonimi.111

Quest’ultimo esempio illustra compiuta-mente quanto la cultura materiale – e in par-ticolare l’analisi del repertorio ceramico nelsuo complesso e in tutte le sue valenze (nonsolo funzionali, ma anche simboliche) – pos-sa contribuire a mettere in discussione le eti-chette “identitarie”.

7. Conclusioni

«Decidere l’identità è dunque violenza contro leragnatele delle connessioni; ma è anche tentati-vo talvolta eroico (e irrinunciabile) di salvazionerispetto all’inesorabilità del flusso e del muta-mento».112

Se dunque uno dei rischi di un approccio ag-giornato e attuale all’idea di “identità” è quel-lo di giungere alla conseguenza estrema dinon poter del tutto parlare di identità, il rime-dio consiste forse nel salvare ciò che del-l’identità resta, dopo averla destrutturata.

Si è visto come la cultura materiale tenda amettere in luce le sfumature e le connessioni,le specificità locali e le dinamiche contestuali.In particolare, si è evidenziato che la cerami-ca può diventare un “indicatore etnico”, toutcourt, solo quando viene interpretata in modosemplicistico. Che cosa rimane, dunque, del-l’identità fenicia sottoposta a quel processo didecostruzione cui la moderna antropologia elo studio della cultura materiale sembranocondannarla?

L’identità fenicia è certamente un “tipoideale”, nel senso weberiano del termine: unaconcettualizzazione storica che ha avuto econtinua ad avere un’indubbia utilità episte-mologica, ma che deve essere ricondotta allapropria provvisorietà e arbitrarietà originaria.L’identità fenicia, se analizzata nel suo mo-mento formativo, non può essere disgiuntadalle molteplici “identità culturali” connessee interrelate nel panorama del Levante degliinizi dell’età del Ferro. Questo periodo for-mativo, in cui sembrano storicamente emer-gere popoli “nuovi” – tra cui, oltre ai Fenici,gli Israeliti, i Filistei, gli Aramei – deve essereconsiderato in tutta la sua complessità: in sostanza, come ha proposto Gilboa, «the Early Iron Age should be treated as a sort of“dialectic laboratory” of group identities».113

Le diverse “identità” o “entità” culturali cheemergono all’inizio dell’età del Ferro nel Le-vante pongono, come si è visto, problemi dicontinuità/discontinuità rispetto al periodoprecedente. Se tutti gli altri “nuovi popoli” delLevante del Ferro I sembrano caratterizzarsiproprio per le differenze rispetto alla prece-dente età del Bronzo, al contrario i Fenici, co-me si è ripetuto, si identificano in base allacontinuità con la civiltà cananea. È stato sug-gerito che le difficoltà incontrate dagli studio-si nell’affrontare la “questione fenicia”, anchee soprattutto in rapporto al problema dellacontinuità con il passato, possono essere «pre-squ’éliminés si l’on aborde le problème nonpas en termes de “peuple” ou de “nation”,mais plutôt en termes des de “culture” ou de“civilisation” phéniciennes».114 Tale prospet-tiva certamente permette di superare la gab-bia interpretativa dell’etnicità, consentendo divalorizzare gli aspetti culturali di un’identitàfluida e in continua trasformazione, per se-guirne il dipanarsi, come fosse un vero e pro-prio fil rouge, non solo attraverso i percorsi(spesso tortuosi) interni al Levante, ma anche

154 tatiana pedrazzi

111 Gilboa 2008, p. 211: «the entire sequenceshould be understood as one cultural continuum,with the Sikila and Phoenicians essentially synony-mous». Già altrove la studiosa aveva rilevato la con-nessione stretta tra Fenici e Šikila: Gilboa 2005.

112 Remotti 2008, p. 10.113 Gilboa 2008, p. 212.114 Xella 1995, p. 252.

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e soprattutto in ambito mediterraneo. Tutta-via tale prospettiva va ulteriormente precisa-ta: di tale “cultura” o “civiltà” dobbiamo in-dagare i confini (o meglio la dinamica ditrasformazione di questi ultimi) e non le pre-sunte caratteristiche intrinseche.

La cultura materiale può contribuire acomporre il quadro, anche (e forse soprattut-to) nelle sue manifestazioni più “silenziose”(e apparentemente “basse”). Le attuali ten-denze di studio della ceramica in prospettivaregionale permettono di determinare piùcompiutamente la sovrapposizione e la varia-zione continua dei confini.

Rilevare la complessità inestricabile dell’in-sieme, però, non equivale a negare la possibi-lità di una sintesi storica;115 quest’ultima puòessere basata (anche) sull’uso del potenzialedocumentario della ceramica: anzi, come èstato rilevato, «pottery distribution, regiona-lisms, technology and cultural complexity re-late, in a long term, in different ways and canbe used as a paradigm of social and culturalcharacterization».116

In conclusione, una ricerca attuale sul-l’identità fenicia in Oriente, nella sua fase for-mativa, deve muoversi nella direzione di unadisamina della genesi (e della trasformazio-ne) dei confini della cultura e della civiltà fe-nicia; deve, inoltre, tenere conto della com-plessità del panorama culturale levantino,declinando al plurale il termine “identità”;deve infine poter utilizzare anche le fonti do-cumentarie materiali, in primis la ceramica,cercando di riconoscere in esse le possibilitracce di auto-determinazione e auto-affer-mazione identitaria.

Per usare un termine ora in voga,117 si po-trebbe parlare, per i Fenici, del tentativo di ri-costruire una sorta di “identità liquida”, la cui

forma è determinata dal “contenitore”,118 ilche significa dai confini che di volta in voltacontengono, delimitano e definiscono tale“identità”.

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115 È vero piuttosto il contrario: una sintesi storica più puntuale e aggiornata può scaturire solodalla disamina complessiva delle molte componentiin gioco; lo dimostra, inter alia, lo studio condottoda Ida Oggiano sull’architettura sacra “fenicia” (cfr.il contributo di I. Oggiano in questo stesso volumee cfr., specialmente per l’impostazione metodologi-ca, Oggiano 2005).

116 Mazzoni 1999, p. 140.

117 Il termine è stato coniato dal sociologo polac-co Zygmunt Bauman, che ha descritto il nostro tem-po come quello della “modernità liquida” (Bauman2003). Anche Xella 2010, p. 127, riprende questa de-finizione in relazione all’epoca in cui viviamo e al-l’attualità dei Fenici rispetto al nostro tempo.

118 “Liquido” è, in fisica, quello stato in cui la ma-teria non ha una forma propria, bensì assume la for-ma di ciò che la contiene (e, dunque, la delimita).

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