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FIGURE DEL SUONO SOGGETTIVO (titolo provvisorio) Il mio lavoro si propone di studiare le articolazioni enunciative del suono nella loro relazione con le immagini all’interno del film narrativo. Questo argomento ha interessato la ricerca narratologica in modo limitato. Gli studi in questo campo, infatti, si sono piuttosto concentrati sulla problematica del punto di vista e, più specificatamente, del cosiddetto regard-caméra, dunque del potere narrativo proprio dell’immagine. Tuttavia, una certa attenzione al suono soggettivo è riscontrabile in alcuni testi “classici” di teorici dell’enunciazione filmica quali François Jost e Dominique Château 1 , Christian Metz 2 , André Gardies 3 e in alcuni specialisti dell’analisi del suono filmico come Michel Chion 4 e Laurent Jullier 5 . Le loro osservazioni e i loro primi tentativi di classificazione delle occorrenze sonore mi hanno fornito una base concettuale e terminologica indispensabile. 1 Vedere diversi passaggi del loro libro comune, Nouveau cinéma, nouvelle sémiologie, Ed. 10/18, Paris, 1978, ripubblicato nel 1983 presso le Editions de Minuti. Vedere anche Château D., “Projet pour une sémiologie des relations audiovisuelles dans le film” in Musique en jeu, Paris 1976, pp. 82-98; Jost F., “L’oreille interne. Propositions pour une analyse du point de vue sonore”, in La parole au cinéma, numero 3/1 della rivista Iris, pp. 21-34; Jost F., L’œil-caméra, Presses Universitarie de Lyon, 1987, capitoli I-II-III; Jost F., “Pour une approche narratologique des combinaisons audiovisuelles”, in Prothée, Chicoutimi (Quebec), volume 13, numero 2, estate 1985, pp 3-19. 2 Metz. C., L’enonciation impersonelle ou le site du film, Ed. Klincksiek, Paris, 1991, capitolo II (trad. it. L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995); Metz C., Essais sémiotiques, Ed. Klincksiek, Paris, 1977, capitolo Le perçu et le nommé. 3 Vedere diversi passaggi nel libro Gardies A., Approche du récit filmique, Ed. Albatros Paris, 1980. 4 Chion M., La voix au cinéma, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 1982; Chion M., Le son au cinema, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 1985; Chion M., L’audiovision. Son et image au cinéma, Nathan, Paris, 1990 (trad. it., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Ed. Lindau, Torino, 1999); Chion M., Un art sonore, le cinéma. Histoire, esthétique, poétique, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 2003. 5 Jullier L., Les sons au cinéma et à la télévision, Ed. Colin, Paris, 1995.
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FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

Mar 18, 2023

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Page 1: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

FIGURE DEL SUONO SOGGETTIVO

(titolo provvisorio)

Il mio lavoro si propone di studiare le articolazioni enunciative

del suono nella loro relazione con le immagini all’interno del

film narrativo. Questo argomento ha interessato la ricerca

narratologica in modo limitato. Gli studi in questo campo,

infatti, si sono piuttosto concentrati sulla problematica del punto

di vista e, più specificatamente, del cosiddetto regard-caméra, dunque

del potere narrativo proprio dell’immagine. Tuttavia, una certa

attenzione al suono soggettivo è riscontrabile in alcuni testi

“classici” di teorici dell’enunciazione filmica quali François

Jost e Dominique Château1, Christian Metz2, André Gardies3 e in

alcuni specialisti dell’analisi del suono filmico come Michel

Chion4 e Laurent Jullier5. Le loro osservazioni e i loro primi

tentativi di classificazione delle occorrenze sonore mi hanno

fornito una base concettuale e terminologica indispensabile.

1 Vedere diversi passaggi del loro libro comune, Nouveau cinéma, nouvelle sémiologie, Ed. 10/18, Paris, 1978, ripubblicato nel 1983 presso le Editions de Minuti. Vedere anche Château D., “Projet pour une sémiologie des relations audiovisuelles dans le film” in Musique en jeu, Paris 1976, pp. 82-98; Jost F., “L’oreille interne. Propositions pour une analyse du point de vue sonore”, in La parole au cinéma, numero 3/1 della rivista Iris, pp. 21-34; Jost F., L’œil-caméra, Presses Universitarie de Lyon, 1987, capitoli I-II-III; Jost F., “Pour une approche narratologique des combinaisons audiovisuelles”, in Prothée, Chicoutimi (Quebec), volume 13, numero 2, estate 1985, pp 3-19. 2 Metz. C., L’enonciation impersonelle ou le site du film, Ed. Klincksiek, Paris, 1991, capitolo II (trad. it. L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995); Metz C., Essais sémiotiques, Ed. Klincksiek, Paris, 1977, capitolo Le perçu et le nommé. 3 Vedere diversi passaggi nel libro Gardies A., Approche du récit filmique, Ed. Albatros Paris, 1980.4 Chion M., La voix au cinéma, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 1982; Chion M., Le son aucinema, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 1985; Chion M., L’audiovision. Son et image au cinéma, Nathan, Paris, 1990 (trad. it., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Ed. Lindau, Torino, 1999); Chion M., Un art sonore, le cinéma. Histoire, esthétique, poétique, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 2003.5 Jullier L., Les sons au cinéma et à la télévision, Ed. Colin, Paris, 1995.

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L’obbiettivo del mio lavoro consiste in particolare nel tentativo

di specificare le categorie elaborate da F. Jost e C. Metz con il

supporto di una trasposizione sul piano sonoro del sistema

tassonomico delle figure della caméra subjective costruito da François

Niney6: soprattutto i concetti di panacustica neutra (versione sonora

della panottica neutra) e di audience caméra sonora hanno rivelato una

notevole pertinenza analitica, permettendomi di distinguere più

precisamente diverse ipologie all’interno della categoria

d’auricolarizzazione zero proposta da Jost. Tuttavia, prima di

cominciare ad esporre il mio lavoro di classificazione è

indispensabile riflettere sui problemi sollevati dalla natura del

suono e dal suo eventuale statuto enunciativo all’interno del

testo audiovisivo, nonché sulle difficoltà che si pongono a chi

voglia effettuare un’analisi narratologica del suono soggettivo.

***

La prima difficoltà che è necessario affrontare abbordando il

problema della dimensione soggettiva del suono nel film risiede

nel fatto che il suono offre, in rapporto all’immagine, minori

possibilità di orientamento enunciativo o, per meglio dire, lo

statuto enunciativo del suono è molto più arduo da accertare,

salvo quando esso si organizza nella forma del linguaggio verbale.

Ciò accade per diverse ragioni. Innanzitutto sono da considerare

dei fattori “culturali”: lo spettatore è abituato a subordinare

l’udito alla vista, secondo una tendenza psicologica che è alla

base di ciò che Chion ha definito «valore aggiunto»: l’immagine è

un “parassita” del suono, essa si appropria del valore informativo

o espressivo veicolati da quest’ultimo, fino al punto da dare

l’impressione che tale informazione o tale impressione siano già

6 Cfr. Ninet F., L’épreuve du réel à l’écran, Ed. De Boeck Université, Bruxelles, 2000.

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contenute nell’immagine stessa. Spinta all’estremo, questa

inclinazione ad ancorare o ad associare un suono e i suoi valori

narrativi o espressivi ad un’immagine può sfociare in veri e

propri stati allucinatori in cui lo spettatore vede immagini

inesistenti: è il celebre caso, illustrato da Chion, delle porte

scorrevoli in Guerre stellari che si “sentono” apparire insieme al

suono sibilante che le accompagna abitualmente, anche se in realtà

esse non sono sullo schermo. In secondo luogo, prima di porre la

vera e propria questione del punto di ascolto narratologico, è

necessario riconoscere che lo statuto stesso del punto di ascolto

nel suo senso spaziale7 o percettivo è per sua natura problematico.

È possibile chiarire questo problema comparando il concetto di

punto di ascolto a quello punto di vista, nozione in base alla

quale esso è stato modellato. L’immagine nel cinema narrativo

segue gli stessi principi costitutivi dell’opera pittorica

stabiliti all’epoca del Rinascimento italiano. È proprio della

pittura rinascimentale organizzarsi intorno ad un punto in cui

convergono le linee che rappresentano le rette perpendicolari al

piano della pittura stessa e parallele tra esse nella realtà

tridimensionale. Si tratta della perspectiva artificialis che pone il punto

di fuga principale, immagine del punto di convergenza all’infinito

di questo insieme di rette, come segno della posizione dell’occhio

del pittore. Questo punto geometrico coincide appunto con il punto

di vista che costituisce la pittura stessa. È evidente che la pittura

nel suo esse percipi farà sempre riferimento al punto, alla

collocazione di questo sguardo che la costruisce e che coincide

con l’occhio dello spettatore. Lo stesso accade nel cinema: ogni

immagine rimanda il suo spettatore ad un certo punto di vista

7 Il punto fisico dal quale si sente un suono.

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chiaramente deducibile dall’immagine stessa, si tratti del punto

vista della macchina da presa o della soggettiva di un qualsiasi

personaggio. Al contrario il suono al cinema (almeno quello

monopista, ma le cose non stanno diversamente, come vedremo,

neanche per quello multipista o stereofonico) non ha “prospettiva”

e di conseguenza non è capace, per se stesso, di determinare

quello che è stato definito un punto di ascolto, nel suo senso

spaziale. Nel film di Alejandro Amenabar The others (2001) il

personaggio interpretato da Nicole Kidman è una donna ossessionata

da degli strani rumori che infestano la sua sinistra,

bachelardiana dimora. Ora, la prima volta che sente questi rumori,

la donna leva gli occhi verso il soffitto. Lo spettatore comprende

in questo modo che qualcosa sta accadendo al piano superiore e che

questi rumori provengono da lì. Ma se lo spettatore avesse chiuso

gli occhi, senza vedere Kidman alzare i suoi verso il soffitto,

non sarebbe stato in grado di localizzare la provenienza

“diegetica” di tali rumori, avrebbe soltanto potuto identificarne

al massimo la sorgente indiretta, l’altoparlante8. Dunque, è

letteralmente attraverso la vista che lo spettatore “sente” questi

rumori scendere dalla parte superiore dello schermo. Per

localizzare questi suoni ha avuto bisogno di individuare tramite

la vista un personaggio potenzialmente portatore di un punto

d’ascolto (Kidman), di identificarsi ad esso (identificazione

acustica secondaria9) e infine di piazzare il suono al di sopra8 Con grande difficoltà, tra l’altro, a causa della natura multidirezionale del suono.9 Metz ha definito identificazione cinematografica primaria la «capacità dello spettatore di identificarsi con il soggetto della visione, con l’occhio della macchina da presa che ha visto prima di lui, senza la quale ogni film non sarebbe nient’altro che una successione di ombre». Con identificazione cinematografica secondaria ha invece inteso l’identificazione « diegetica, l’identificazione con il rappresentato, con il personaggio, ad esempio, in un film di finzione». Con identificazione acustica intendo riferirmi a tali

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della sua testa osservando le reazioni della donna ai rumori (i

movimenti degli occhi). Ma il suono non ha potuto localizzarsi in

virtù della sua sola materia. Il punto di ascolto, cioè, non ha potuto essere

dedotto dalla “prospettiva” del suono. Tutto il film di Amenabar gioca su

questo dispositivo. Si può dire che siamo in presenza di un punto

di ascolto (e dunque di un suono) contestualizzato tramite la

vista. In effetti, anticipando la nostra tassonomia, è possibile

definire la situazione enunciativa sonora del film di Amenabar

come un entre-deux acustico10. Ritorno adesso alla problematica

principale. A cosa si deve la mancanza di collocazione del suono?

Prima di tutto è necessario porre in evidenza il fatto che l’udito

“reale” o tridimensionale è di per sé meno preciso nell’ancoraggio

spaziale dei suoni di quanto non lo sia la vista con gli oggetti

visivi. In particolare la lateralizzazione del suono è indebolita

a causa della natura multidirezionale del suono stesso. È per

questo che anche nell’ascolto diretto dei suoni a volte la vista

gioca un certo ruolo nella localizzazione sonora, venendo in aiuto

dell’udito. Ci si trova allora in quella che gli psicologi

chiamano una «localizzazione dinamica del suono», un fenomeno

molto importante per il cinema, come dimostra l’esempio tratta dal

film di Amenabar11. Secondariamente. Quando si passa al suono

filmico registrato su un supporto magnetico o digitale, il suono

cessa di essere lateralizzato e in più diventa completamente

definizioni considerate nella loro dimensione sonora.10 Vedere più avanti.11 È il fenomeno che psicologico che determina quel che Chion ha chiamato «la calamitazione spaziale di un suono da parte di un’immagine», cfr. Chion M., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, pp. 63-65.

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acusmatico12. Come fa notare Roger Odin, «l’ascolto filmico è

doppiamente acusmatico:

- In relazione alle fonti dirette dei suoni (si tratta di suoni

registrati),

- E in relazione alle fonti indirette: lo spettatore non vede

l’altoparlante.

Così, radicalmente sganciato dalla sua origine, il suono filmico

fluttua nello spazio di proiezione»13.

Il suono filmico (registrato) ha dunque due fonti: la fonte

originaria che ha prodotto il suono e l’altoparlante che lo

diffonde nella sala. Tutte le coordinate sonore che potevano

aiutare, nell’ascolto diretto, a localizzare il suono si sono

perdute. Il suono perde ogni individualità e non permette di

determinare dei punti di ascolto particolari.

È da sottolineare a questo punto come le recenti e pur notevoli

innovazioni tecniche riguardanti il sonoro cinematografico (Dolby

Stereo, Dolby Stereo sr, Dolby Surround 5.1, Sensurround, DTS,

etc.) non cambino a mio avviso i termini di fondo della

situazione, almeno ai fini della mia dimostrazione. Da una parte

bisogna evidenziare che i progressi tecnologici sono stati

indirizzati verso degli obiettivi, per così dire, “sinestetici”,

cioè miranti a generare effetti «per cui il suono diviene veicolo

di tutte quelle sensazioni che la pellicola facendo leva sul

primato della sola vista non aveva mai valorizzato[…] Comodo sulle

poltrone dei nuovi cinema lo spettatore si trova di fronte a uno

12 «Acusmatico (un’antica parola di origine greca recuperata da Jerôme Peignot e teorizzata da Pierre Schaeffer) significa che “si sente senza vedere la causa originaria del suono”, o “che fa sentire dei suoni senza la visione delle loro cause», Chion M., ibidem, p. 65.13 Odin R., “À propos d’un couple de concepts: son in vs son off”, Sémiologiques, Presses Universitaire de Lyon, Lyon, 1977, p. 111.

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schermo ma soprattutto in mezzo a un suono avvolgente che

trasforma la visione in un’esperienza immersiva totalizzante»14.

Paradossalmente queste esperienze novatrici non hanno segnato dei

successi decisivi sul piano della direzionalità del suono (anche a

causa di problemi tecnici che sembrano insormontabili), ma sono

espressione di una tendenza per la quale «il cinema contemporaneo

abbandona la prospettiva sonora e l’umanesimo di cui essa si

faceva ideologica traduzione visiva e sonora; lascia la dimensione

frontale dello spettacolo per gettare lo spettatore in una

dimensione aprospettica, in cui come in una bolla di suoni egli

galleggi immerso nel quadro dell’immagine»15. D’altra parte

attrezzare le sale di altoparlanti dedicati ai sei canali digitali

o analogici discreti (tre destinati ai diffusori dietro lo

schermo, due surround articolati in destro e sinistro che

abbracciano la platea e uno dedicato alle basse frequenza) non

significa che i suoni «verranno percepiti come non provenienti

dallo schermo, e questo a dispetto dell’evidenza dei nostri sensi

che, con la semplice analisi spaziale, potrebbero stabilire che,

in realtà, provengono da un altro luogo.

Ciò vuol dire che vi è nel cinema una calamitazione spaziale del suono

tramite l’immagine. Un suono percepito come fuori campo o

localizzato sulla destra dello schermo è tale soprattutto

mentalmente, almeno se abbiamo a che fare con una proiezione

monopista.

Il problema dei tentativi di spazializzazione reale condotti nei

primi anni del suono multipista – in cui il suono è realmente

situato a destra dello schermo o nella sua parte sinistra – è

14 Valentini P., Il suono nel cinema. Storia, teoria e tecniche, Ed. Marsilio, Venezia, 2006, p.111.15 Ibidem, p. 119.

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proprio che essi si sono scontrati con questa spazializzazione

mentale[…] Con l’attuale manipolazione del Dolby, si è fatto

tesoro di questi tentativi di spazializzazione realista e dei loro

effetti di quinta, e i missaggi multipista che si realizzano sono

molto spesso dei compromessi tra localizzazione mentale e

localizzazione reale»16.

Questa mancanza di spazializzazione, di “prospettiva”17 (dunque di

individualizzazione), questo carattere fluttuante del suono oppone

una grande resistenza a ogni tentativo di analisi narratologica

pura e astratta del suono. Se non esistono suoni individualizzati

o punti di ascolto rintracciabili in modo soddisfacente a partire

dal suono stesso, dove trovare i possibili operatori di

modalizzazione enunciativa sonora?

Se dal livello puramente percettivo-psicologico del suono filmico

si passa sul terreno narratologico, tentando di appoggiarsi ai

concetti elaborati per mezzo dell’analisi dei testi letterari e

filmici, si arriverà allo stesso impasse. Seguendo l’esempio

proposto da Jost, leggiamo questo passo di Marcel Proust tratto

dall’inizio di La prigioniera:

«Sin dal mattino, la testa ancora volta verso la parete, e prima

ancora di aver visto, sopra i grandi tendaggi della finestra, di

qual colore fosse la striscia luminosa del giorno, sapevo già che

tempo faceva. Me lo avevano appreso i primi rumori della strada,

secondo che mi giungevano smorzati e deviati dall’umidità, o

vibranti come frecce nell’aria risonante e vuota di un mattino

spazioso, glaciale e puro; sin dal rotolio del primo tram, avevo

16 Chion M., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, pp. 64-65. 17 Naturalmente questa mancanza di prospettiva non è totale. A parte il caso delsuono multipista, è da rilevare come ad esempio la dimensione della profondità sia attiva, seppur in forme diverse, almeno potenzialmente in ogni film, anche in quelli con audio monopista. Tratteremo questo problema più avanti.

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sentito se se ne stava intirizzivo nella pioggia o era in partenza

per l’azzurro…»18.

Individuare ciò che Jost chiama un fenomeno di

«auricolarizzazione» è piuttosto semplice nello scritto, a causa

della presenza evidente di modalizzatori («prima ancora di aver

visto», «me lo avevano appreso i primi rumori della strada»,

«avevo sentito» dislocano appunto la narrazione sul registro

uditivo e determinano il soggetto di questo agire sonoro). Non

credo sia necessario fermarsi sul concetto di punto di vista nel

romanzo e nel cinema a causa dell’imponente numero di lavori

dedicati alla questione. Quello che mi interessa mettere in

evidenza è che sia la teoria del punto di vista nel romanzo e nel

cinema, sia il concetto, più recente, di auricolarizzazione nel

romanzo sono caratterizzati da una relativa facilità di

individuazione dei modalizzatori all’interno dei testi filmici e

letterari. Ora, nel caso del suono filmico, è il materiale stesso

dell’analisi (il suono) e il suo carattere acusmatico a creare

grandi difficoltà ad un approccio narratologico al sonoro

cinematografico. Se un suono filmico non ha una prospettiva

facilmente individuabile, come sarà possibile stabilire quale

personaggio lo sente? Come si potrà stabilire se il campo sonoro

di questo eventuale personaggio coincida parzialmente, interamente

o non coincida per nulla con quello dello spettatore?

Per quel che ho detto circa la differenza tra punto di vista e

punto di ascolto, non è certo possibile pensare che una semplice

applicazione della teoria del punto di vista cinematografico alla

dimensione sonora possa generare i concetti operativi necessari

18 Proust M., La prigioniera, Ed. Einaudi, Torino1952, p.5.

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alla nostra analisi. Jost ha evidenziato con precisione questo

problema:

«Bisogna tenere ben presente che, se l’ocularizzazione non ricopre

semplicemente la realtà semiologica - nella misura in cui non ogni

posizione della macchina da presa rinvia ad un’istanza narrativa

-, resta il fatto che essa si deduce in parte dalla posizione e

dai movimenti di questo apparecchio senza il quale il film non

esisterebbe. Che si tratti dell’ocularizzazione interna primaria

(subordinata a delle deformazioni ottiche o al “tremato” del

movimento) o dell’ocularizzazione secondaria (costruita tramite

l’incidenza angolare, il montaggio, i raccordi, ecc.),

l’ancoraggio dello sguardo si realizza tramite un ancoraggio

materiale relativamente facile da individuare. Non è possibile

dire altrettanto dei criteri che permettono di ancorare un rumore,

un’atmosfera sonora o una parola»19.

Un’analisi narratologica del suono al cinema non può limitarsi

alla semplice considerazione del suono “puro”, preso di per sè

(appunto perché, da questo punto di vista, non possono esistere

dei suoni soggettivi “in sé”20) e non potrà fare a meno della

constatazione che esiste un rapporto decisivo tra la vista e

l’udito, vale a dire che vi è nel cinema quel che Chion chiama un

contratto audiovisivo che fa sì che il testo audiovisivo non sia la

semplice somma del suono e dell’immagine ma ne sia piuttosto il

risultato. Un suono in o off è tale soltanto in relazione

all’immagine e non in virtù del suo carattere puramente sonoro.

Allo stesso modo uno scampanio errante nell’aria può diventare un

suono semi-soggettivo se la macchina da presa inquadra in primo19 Jost F., «L’oreille interne. Propositions pour une analyse du point de vue sonore», in Iris, n. 3/1, 1985, p.21. 20 A parte le parziali eccezioni di alcune occorrenze della soggettiva acustica personaggio, come si vedrà più avanti.

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piano un volto di donna che l’ascolta. L’auricolarizzazione si

ancora nell’ocularizzazione21: prendiamo in esame un’inquadratura

in camera car in cui la cinepresa inquadra a precedere,

dall’esterno, una macchina, all’interno della quale si vede una

coppia che sta discutendo. Lo spettatore sente il loro discorso in

un primo piano sonoro. Si tratta con tutta evidenza di una

soggettiva acustica (una soggettiva acustica personaggio, secondo la

nostra tassonomia), ma la dimensione soggettiva non dipende dal

dialogo in se stesso né dal timbro o dalla profondità delle voci,

ma dall’immagine che le accompagna e che ci fa capire che il

dialogo non è sentito attraverso il punto di ascolto microfonico,

che coincide sempre con il punto in cui è collocata la macchina da

presa, ma attraverso il punto di ascolto della coppia all’interno

della vettura. Se lo stesso dialogo ci fosse stato presentato

accompagnato da un’inquadratura in la macchina da presa riprende

dall’interno in piano medio una coppia che discute seduta in un

ristorante, il piano sonoro del dialogo avrebbe perduto il suo

statuto di soggettiva personaggio per essere invece percepito dallo

spettatore come una panacustica neutra.

Abitualmente, dunque, il suono soggettivo dipende dalla relazione tra un piano

sonoro e un piano visivo.

Tuttavia, vi sono delle eccezioni a questa regola. Il suono, in

certe condizioni, è capace per se stesso di suggerire una

colorazione soggettiva, dotata addirittura del potere di

condizionare lo statuto dell’immagine stessa.

Prima di tutto, un suono può essere manipolato nelle sue

caratteristiche di “colore”, intensità, riverbero, fino a

provocare degli effetti di distorsione o di alterazione

21 Cfr. Jost F., ibidem.

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particolarmente marcati che possono essere associati, ad esempio,

all’udito di un uomo ubriaco, drogato, in preda ad un’emozione

sconvolgente o condizionato da un’infermità acustica. In questo

caso è il suono stesso a essere soggettivo ed avrà la possibilità

di soggettivizzare l’immagine22.

In secondo luogo, come abbiamo già accennato in precedenza a

proposito delle innovazioni tecnologiche, la mancanza di

prospettiva del suono filmico non è totale. Lasciando da parte le

problematiche concernenti il suono multipista stereofonico23, è da

segnalare che anche nel caso del suono monopista esiste una

dimensione sonora capace per se stessa di collocare il suono

abbastanza agevolmente in relazione ad un punto di ascolto. Si

tratta della profondità o della distanza tra la sorgente di

emissione del suono filmico e il punto di ascolto. Tuttavia è

necessario considerare che la dimensione della profondità del

suono filmico è spesso ben differente da quella del suono reale:

essa viene «colta dall’orecchio a partire da indizi come uno

spettro armonico scolorito, il carattere affievolito e meno

presente degli attacchi e dei transitori, la mescolanza tra suono

diretto (in senso acustico) e suono riflesso, la presenza di

22 Chiarirò meglio questo punto nella parte del mio lavoro dedicata alla figura della soggettiva sonora.23 Oltre alle osservazioni già fatte in precedenza, bisogna aggiungere che le potenzialità della stereofonia riguardano comunque una parte limitata della produzione cinematografica (in grosso il cinema degli ultimi trent’anni, e non tutto: registi come Allen, Rohmer, Straub-Huillet si sottraggono spesso all’obbligo dell’aggiornamento tecnologico fine a se stesso), e sono legate al livello delle apparecchiature di riproduzione dell’oggetto filmico: che cosa resta delle alchimie sonore di un film per il cui audio è stato utilizzato il sistema SDDS in una sala non disposta di un adeguato numero e di una corretta disposizione dei diffusori o addirittura in un DVD letto al computer? Il problema del suono stereofonico è senz’altro importante: ma per tutte le ragioniche ho già esposte ritengo che la mia decisione di non trattarlo specificatamente in questo lavoro non pregiudichi la fondatezza della mia analisi narratologica.

Page 13: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

riverbero, ecc.»24 mentre nel cinema monopista è necessario

«tradurre gli allontanamenti e gli avvicinamenti tramite delle

semplici variazioni di intensità, corrispondenti a degli

abbassamenti o aumenti di potenziometro»25.

Nonostante la sua efficacia limitata (se questa prospettiva sonora

può suggerire una distanza essa non può orientare questa stessa

distanza e lo spettatore l’interpreterà secondo la

lateralizzazione risultante dalle indicazioni reperite

nell’immagine), questa versione “metonimica” della profondità

sonora gioca comunque un certo ruolo nella dimensione soggettiva

dei suoni e la considererò nella mia sistematizzazione

tassonomica. Essa costituisce infatti un importante fattore di

spazializzazione auditiva, dunque un modalizzatore che agisce a

livello sonoro presente sia nel cinema monofonico sia il quello

stereofonico (ovviamente con una qualità enormemente più elevata:

si pensi solo alla corsa del dinosauro in Jurassic Park, 1993).

Prima di affrontare la prima delle figure che compongono la mia

proposta di tassonomia, vorrei trattare brevemente la questione

del punto di ascolto microfonico, che rappresenta uno dei due poli

(l’altro è il punto di ascolto del personaggio) la cui relazione

determina la modalizzazione del dispositivo d’enunciazione filmica

sonora. Considero il punto di ascolto microfonico piazzato

immediatamente sopra la macchina da presa. Esso coinciderà dunque

con il campo sonoro proprio di un soggetto virtuale (la cinepresa)

che rappresenta anche il punto di vista con il quale si identifica

lo spettatore (identificazione primaria) per vedere il film. Come

24 Chion M., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, p. 65.25 Bernhart, Traité de prise de son, Ed. Eyrolles, Paris. Ho trovato questa interessante digressione tecnica sul trattamento della profondità sonora nell’articolo di Jost “L’oreille interne. Propositions pour une analyse du pointde vue sonore”, già citato.

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la macchina da presa, lo strumento di questo sentire, il

microfono, dovrà restare invisibile. È ben nota la preoccupazione

quasi maniacale dei registi e dei tecnici del suono affinché il

microfono non appaia sullo schermo. Ci si potrebbe interrogare

sulla sproporzione tra questa angoscia del “microfono in campo” e

il reale pericolo di rottura del patto finzionale determinato da

una sua eventuale comparsa sullo schermo, che solo uno spettatore

molto attento sarebbe in grado di cogliere. Si potrebbe avanzare l’ipotesi

che il microfono sullo schermo provochi metonimicamente l’apparizione della zona

interdetta, di quel che è stato chiamato l’ “al di qua”26, del luogo inaccessibile da cui

proliferano tutte le immagini del mondo? Che il microfono arrivi ad infrangere il tabù di

quel «fuori campo assoluto» che la macchina da presa soggettiva si limita a sfiorare

senza mai riuscire a conquistare? Mi fermo qui e continuo il mio discorso.

Naturalmente questa collocazione del punto di ascolto microfonico

è largamente convenzionale e approssimativa: prima di tutto la

distanza del punto d’ascolto microfonico e del punto di vista

della macchina da presa rispetto a ciò che è filmato e ascoltato

in realtà non coincide mai, neanche nel caso della presa diretta,

poiché, per delle ragioni di acustica, è necessario che il

microfono sia più vicino della cinepresa a quel che bisogna

filmare27.

Inoltre, è noto che nella gran parte dei casi, il suono filmico

non è il semplice risultato di una registrazione sul campo a

26 Cfr. Vernet M., Figures e l’absence, Ed. Cahiers du cinéma, Parigi, 1998, pp. 29-58. Si tratta di un concetto che Vernet trae dalla distinzione di sei tipi di fuori campo effettuata da Burch (in Praxis du cinéma, Ed. Gallimard, Parigi, 1969. Trad it. Prassi del cinema, Ed. Pratiche, Parma, 1980): cinque tipi (i quattro lati più il «dietro») sono considerati elementi dello spazio diegetico, mentre il sesto, di cui si appropria Vernet caratterizzandolo appunto come al di qua, il “davanti” dello schermo, è un vuoto, un “non luogo”, «il solo fuori campo che non diventerà mai campo» (Casetti F., Dentro lo sguardo, Ed. Bompiani, Milano, 1986). 27 Chion M., Le son au cinéma, p. 52.

Page 15: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

partire da un punto di ascolto “reale” ma è piuttosto il prodotto

di una rielaborazione in cui intervengono diverse professionalità

(dal montatore al tecnico di missaggio al sound designer) in

diversi momenti.

Tuttavia, la nozione di punto di ascolto microfonico, nella

misura in cui, ne venga riconosciuta la natura puramente

convenzionale, ha rivelato una grande efficacia operativa, perché

è con esso che lo spettatore identifica il proprio punto di

ascolto a livello di identificazione acustica primaria, e dunque

lo utilizzerò come uno dei principali riferimenti della mia

tassonomia.

***

François Jost nel suo libro L’œil à la caméra affina il suo concetto di

ocularizzazione e tenta di approfondire l’intuizione del concetto

di auricolarizzazione. Entrambi devono essere distinti da ciò che

in narratologia viene definita la focalizzazione. Nel romanzo, il

vedere (o il sentire) non coincide sempre con il sapere28. Ma per

il narratologo del romanzo non è importante distinguere tra sapere

e vedere perché per lui il concetto di focalizzazione concerne

principalmente i problemi del sapere narrativo e tutti i dati

veicolati tramite la vista o l’udito o altri sensi dovranno

necessariamente essere convertiti nella scrittura, cioè saranno

tutti detti. Per quel che riguarda romanzo, il “punto di vista”

resterà sempre un’espressione metaforica per designare un foyer

enunciativo “personalizzato”. Al cinema però le informazioni

narrative possono essere sia dette e sentite, sia effettivamente

viste. Un film può dirci o comunicarci in vario modo (per esempio

28 Cfr. Jost F., L’œil-caméra, op. cit..

Page 16: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

inquadrando il testo di una lettera) ciò che un personaggio sa, ma

può anche mostrarci ciò che il personaggio vede. È la differenza

stabilita presso la critica anglosassone tra showing e telling. Il

sapere di un personaggio e del narratore è la risultante ancora

più complessa di tutto ciò che ha visto, sentito o detto il

personaggio. Ora, Jost, conserva il termine di focalizzazione per

quel che riguarda il sapere polimorfo del personaggio o del

narratore e utilizza il termine di ocularizzazione per

caratterizzare la relazione tra quel che mostra la macchina da

presa e ciò che si reputa il protagonista veda, mentre

l’auricolarizzazione ne è l’equivalente sul piano acustico. La

focalizzazione può comprendere il visto e il sentito soggettivi ma

non vi si riduce e designa ad esempio anche le soggettivizzazioni

puramente mentali, comuni al cinema e al romanzo: come scrive

Metz, «lo stesso termine designerà la stessa cosa nelle due

narratologie. Molti flash-back detti soggettivi corrispondono in

realtà a semplici focalizzazioni, cioè, secondo la definizione

tradizionale in letteratura e affermata da Genette, a

personalizzazioni della fonte informativa, senza che

l’orientamento ottico vi si conformi, e senza che l’inquadratura

si distacchi minimamente dal normale»29 . I termini di

ocularizzazione e di auricolarizzazione concernono piuttosto il

“come”, le modalità sensoriali per veicolare allo spettatore i

dati audiovisivi soggettivi. Ora, a mio avviso, un difetto della

teoria di Jost consiste nell’elaborazione, all’interno delle

modalità di ocularizzazione e di auricolarizzazione, di un modello

binario che non credo sia sufficiente a rendere conto della

complessità dello statuto enunciativo delle immagini e dei suoni

29 Metz C., L’enunciazione impersonale o il luogo del film , p. 131.

Page 17: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

al cinema. Mi occuperò da questo momento soltanto della parte

della teoria di Jost che riguarda il suono ma sono dell’opinione

che le nostre affermazioni abbiano un valore anche sul piano

visivo.

Jost riconosce, all’interno della modalità dell’auricolarizzazione

due categorie: l’auricolarizzazione interna, che designa la

soggettività sonora di un personaggio (sentiamo quel che sente il

personaggio) e l’auricolarizzazione zero che comprende tutti i

casi in cui «il suono non è ancorato a o veicolato da nessuna

istanza diegetica»30.

Il modello tassonomico che propongo distingue all’interno della

seconda modalità elaborata da Jost una bipartizione articolata

secondo le seguenti figure:

1. Panacustica neutra.

2. Audience caméra acustica.

È vero che nessuna istanza diegetica è attiva all’interno di

queste categorie, ma ognuna di esse opera una personalizzazione

differente della fonte enunciativa, lasciando trasparire dietro la

mancanza apparente di un filtro acustico soggettivizzante la

presenza di due istanze extradiegetiche che è necessario

distinguere: la vera e propria macchina da presa “neutra”, quello

che potremmo definire “il giocoliere dei suoni” e che corrisponde

30 Jost f., L’œil-caméra, p. 57.

Page 18: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

a ciò che è stato chiamato «le grand imagier»31 o «le montreur

d’ombres».

1. Panacustica neutra

È la categoria identificata da un’interpretazione ristretta della

definizione dell’auricolarizzazione zero proposta da Jost: «il

suono non è ancorato né veicolato da nessuna istanza diegetica».

Il caso più significativo della panacustica neutra è l’occorrenza di

ciò che Chion chiama il suono d’ambiente nelle inquadrature in cui la

presenza di una folla indeterminata o l’assenza di personaggi

umani la cui gestualità riveli una particolare concentrazione

sull’atto dell’ascolto, e che quindi vengano percepiti dagli

spettatori come “vettori” di suoni, non permettono di reperire

nell’immagine dei punti di ascolto ben individualizzati, capaci di

autorizzare l’identificazione acustica. In questi casi il punto di

ascolto microfonico si limita a ricevere meccanicamente i suoni

come un terzo imparziale. Se nella sua originaria accezione ottica

il termine proposto da Gardies (panottica neutra) voleva

sottolineare la capacità di questa figura della macchina da presa

soggettiva di «vedere di più», la mia versione acustica mette in

evidenza il carattere indifferenziato, non ancorato né orientato

di certe occorrenze sonore. Perché si possa parlare di panacustica

neutra, inoltre, è necessario evidentemente un rapporto armonico e

coerente tra la profondità prospettica dei suoni e la distanza31Cfr. Laffay A., Logique du cinéma, Ed. Masson et Cie. Paris, 1964. Per Laffay il «grand imagier», il “facitore di immagini” è un’istanza enunciativa che emerge nel film grazie a certi “indizi” come il passaggio dallo sfocato al nitido, un brutale cambio di scala dei piani, l’uso di inquadrature fortemente “marcate” come le plongée o le contreplongée o di particolari movimento di macchina, indizi che rivelano l’azione di un narratore virtuale che manipola le immagini per guidare la nostra attenzione su questo o quel particolare o per fornirci informazioni e che non può essere identificato con alcun personaggio diegetico oextradiegetico.

Page 19: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

rispetto alle fonti dei suoni del punto di ascolto microfonico. È

semplice trovare degli esempi: è il caso delle inquadrature che

mostrano l’animazione di una sala di caffè, di un saloon, di una

piazza, delle inquadrature paesaggistiche, delle inquadrature di

dialoghi realizzati con i campo-controcampo più banali32. Esistono

inoltre dei casi di panacustica neutra molto interessanti che mostrano

bene come i processi di auricolarizzazione sollecitino allo stesso

titolo dell’ocularizzazione problematiche di tipo narratologico.

Prendo in prestito a Chion il caso della conversazione telefonica

in cui la macchina da presa inquadra uno dei due interlocutori

nella stanza in cui si trova: se sentiamo soltanto la voce

dell’interlocutore che è nella stanza ma non le repliche

dell’altro, il punto di ascolto è evidentemente ancorato al punto

di ascolto microfonico ed è soltanto tramite esso che ascoltiamo

la conversazione. Ora, questa panacustica neutra sposta la

narrazione sul piano della focalizzazione esterna (lo spettatore

ne sa meno del personaggio) e si distingue dall’altro tipo di

panacustica neutra che ho appena considerato che è a

focalizzazione zero. La panacustica neutra a focalizzazione zero

pone dunque lo spettatore nella situazione di terzo escluso e per

questo viene utilizzata abbastanza spesso nei film gialli. Non

bisogna confondere però questo genere di parallissi33 con le

parallissi sonore “marcate”, di cui Bergman ci ha dato dei saggi

magistrali (L’ora del lupo, Persona, Sussurri e grida) e che consistono, ad

esempio, in questi film, nella cancellazione improvvisa della voce

dell’attore, o nella sovrapposizione senza alcuna giustificazione

32 Tuttavia, lo statuto delle inquadrature in cui uno degli interlocutori attendela replica fuori campo dell’altro può oscillare, a seconda della gestualità dell’attore, tra panacustica neutra e semisoggettiva sonora.33 «Ritenzione di un’informazione logicamente portata con sé dal tipo adottato», Genette G., Nuovo discorso del racconto, Ed. Einaudi, Torino, pp. 55-56.

Page 20: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

diegetica di suoni che sovrastano la voce stessa rendendola

incomprensibile. In questo caso l’“impossibilità” di questi suoni

o di queste assenze di suoni marca la presenza di un’istanza di

mediazione sonora e l’enunciazione si renderà evidente. Si tratta

dell’apparizione, a livello sonoro, del «grand imagier» o del

“giocoliere dei suoni”; ci si sposta allora nella dimensione

dell’audience caméra acustica.

2. Audience caméra acustica

Gerard Genette distingue, all’interno del racconto letterario, tre

tipi di focalizzazione: interna (punto di vista del personaggio

alla prima o alla terza persona), esterna (punto di vista situato

al di fuori del personaggio, sguardo dall’esterno, racconto

behaviorista come in certo Hemingway) e focalizzazione zero: punto

di vista di Dio, di dovunque o di nessun luogo, sguardo

onnisciente.

Come si è visto, Jost propone un modello binario del concetto di

ocularizzazione: in particolare, egli non considera come una

categoria a parte l’equivalente filmico della focalizzazione

esterna di Genette, vale a dire, secondo la definizione di Metz:

«i diversi tipi di marcatura che non possono essere attribuiti a

un personaggio (sarebbero allora “interni”) e che tuttavia si

discostano dal regime di ripresa considerato normale per l’epoca

e per il genere, e costitutivo dunque della focalizzazione zero

(definibile anche come assenza di focalizzazione)»34. Jost rifiuta

la categoria di ocularizzazione esterna a beneficio della

posizione zero, poiché considera che le inquadrature marcate ma

non soggettive (nel senso ristretto che si riferisce alla

34 Metz C., L’enunciazione impersonale, op. cit., p. 140.

Page 21: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

soggettività di un’istanza diegetica), le angolazioni

“impossibili” della macchina da presa, come in Welles ad esempio,

non abbiano valore narrativo, ma che siano dei fenomeni puramente

stilistici o retorici. Metz contesta questa posizione facendo

notare come il concetto di ocularizzazione, ma di conseguenza

anche quello di auricolarizzazione, interessi tutti gli aspetti

del dispositivo di enunciazione e come la narrazione inglobi anche

la posizione del foyer narrativo su ciò che è raccontato e dunque,

inevitabilmente, anche gli elementi stilistici e retorici. Metz

propone di distinguere queste figure, segnalate da un intervento

diretto dell’attività enunciativa, dal filmare “neutro” e le

chiama «immagini oggettive orientate». Queste immagini, anche se

rivelano la presenza di una marcatura di enunciazione, non possono

essere definite soggettive perché esse provengono «dal foyer

enunciativo che, per una convenzione costitutiva, rappresenta il

luogo dell’oggettività […] o almeno non possono esserlo,

evidentemente, nello stesso senso delle “immagini di

personaggio”»35. Queste immagini sono quelle che determinano ciò

che si è chiamato “audience caméra”36 e che, a livello sonoro,

trovano un’equivalenza nelle prospettive acustiche “impossibili”,

in occorrenze sonore (o in mancanze di occorrenze sonore) sfasate

o incoerenti in relazione al contesto diegetico veicolato

dall’immagine. L’ascolto di queste occorrenze non potrà essere

ricondotto al punto di ascolto microfonico che si reputa essere

fisicamente presente nello spazio diegetico “reale” determinato

dall’inquadratura, ma segnalerà la presenza di un’istanza

extradiegetica (il giocoliere dei suoni) responsabile della35 Ibidem.36 «Welles chiama “audience caméra” […] questi casi di punti di vista impossibili– attraversamenti di tetti, di porte, di quinte di teatro in Quarto potere»; NineyF., L’epreuve du réel à l’écran, Ed. De Boek Università, Bruxelles, 2000, p. 212.

Page 22: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

produzione di questi suoni dalla configurazione e dalla

provenienza inesplicabile.

Un caso tipico e molto frequente di audience caméra acustica è quel che

Chion chiama la «musica da buca, quella che accompagna l’immagine

da una posizione off, al di fuori del tempo e del luogo

dell’azione»37 . Rientrano in questa categoria anche le occorrenze

sonore legate musicali e libere-concrete, per utilizzare la

terminologia dell’utilissima classificazione delle combinazioni

audiovisive elaborata da Jost e Dominique Château38. La prima si

verifica quando un suono più o meno musicale si sostituisce al

rumore appropriato alla fonte sonora identificata sullo schermo o

dal contesto diegetico generale o quando un suono eterogeneo si

ancora ad un’immagine in seguito a un movimento che l’ “aggancia”

a quest’ultima39 a causa della proprietà di attrazione

dell’immagine a cui si è accennato in precedenza: in Halloween

(1978) di John Carpenter, Jamie Lee Curtis guarda la finestra

della casa che fronteggia la sua che s’illumina spesso; un suono

stridente non motivato si accompagna a questa occorrenza visuale e

crea nello spettatore una sensazione di allarme. Anche le

occorrenze vuote dei suoni40 rientrano in questa categoria. È

necessario a questo punto considerare che spesso la collocazione

di un’occorrenza sonora nell’una o nell’altra categoria è legata

al sapere personale di ogni spettatore: Michel Fano racconta, ad

37 Chion M., L’audiovisione, op. cit., p. 73.38 Château D., Jost F., Nouveau cinéma, nouvelle sémiologie, ed. U.G.E., 10/18, Paris, 1983.39 Château parla a questo proposito di ponctuactions sonores.40 Un’occorrenza vuota di suono, secondo Château, si verifica quando alla percezione visiva di una fonte sonora presente nell’immagine non corrisponde la percezione acustica del suono che ci si aspetterebbe che essa produca: un esempio è l’inquadratura nel film L’ora del lupo di Bergman in cui la voce di Von Sidow, il cui viso è in primo piano, scompare.

Page 23: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

esempio, che «in Le territoire des autres (2003)41, si sente lungo tutto il

film un suono piuttosto strano, che è in realtà il grido del

grande gallo Tetre. Ma, poiché quest’ultimo somiglia al suono di

una macchina fotografica che si ricarica, alcuni spettatori hanno

pensato che fosse un suono completamente artificiale, dalla

provenienza sconosciuta, semplicemente perché non lo conoscevano.

Cultura individuale: lo spettatore può intendere come non

denotativo un suono che in realtà lo è»42. Dunque, a secondo che si

riconosca o meno il grido di questo animale questa occorrenza

sonora verrà considerata come un suono d’ambiente, dunque una

panacustica neutra, o come un intervento arbitrario dell’enunciatore

che impone un suono in un contesto in cui non corrisponde ad esso

alcun enunciato iconico adeguato43, dunque come una audience caméra

acustica. La stessa cosa vale per le occorrenze vuote. Tutti gli

spettatori si accorgeranno che qualcuno ha “cancellato” la voce di

Von Sidow in L’ora del lupo, ma pochissimi tra loro noteranno la

depurazione sonora effettuata da Bresson in diversi suoi film (in

particolare in Un condannato a morte è fuggito, 1956), che contribuisce

alla particolare atmosfera “metafisica” in cui essi sembrano

immersi e che partecipa anch’essa dell’intervento enunciativo.

L’esempio dato serve a portare l’attenzione sul fatto che, da un

certo punto di vista, ogni suono che non è stato registrato “sul

campo” è “artificiale” e dunque è segno di un intervento

extradiegetico. Anche nel caso del suono in presa diretta sono poi

oramai molto frequenti arricchimenti, eliminazioni, manipolazioni41 Si tratta di un documentario girato da Michel Fano, Gérard Vienne e François Bel, sulle specie animali europee costrette dai cacciatori ad abbandonare i loroterritori.42 Fano M., «Le son et le sens», in Cinémas de la modernité : films, théories, Parigi, 1981,p. 141.43 Si tratta della combinazione audiovisiva libera-concreta secondo il modello di Jost.

Page 24: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

dei suoni molto difficili o impossibili da individuare. La

questione riguarda il carattere problematico della nozione stessa

di suono “oggettivo” o “neutro” e della corrispondente categoria,

la panacustica neutra: nel film, l’enunciazione è presente ovunque,

soprattutto a livello sonoro, tramite gli effetti musicali, di

post-sincronizzazione, di doppiaggio, etc.. Quel che distingue un

suono in panacustica neutra da un suono in soggettiva acustica-personaggio o

in audience caméra acustica etc. è che negli altri casi l’enunciazione

si manifesta tramite delle marche ostensibili e, per dire così,

isolabili, mentre nel primo caso l’enunciazione è dovunque e in

nessun luogo, essa è soltanto presupposta. Tuttavia l’enunciazione

rimane soltanto presupposta nella misura in cui la nostra

competenza variabile o la nostra attenzione di spettatori non ci

rende coscienti della sua costante attività. Di conseguenza, la

categoria di panacustica neutra si colloca in una sorta di orizzonte

che restringe i suoi confini proporzionalmente alla finezza

dell’udito o alla profondità del sapere acustico dello

spettatore44.

L’audience caméra acoustique può, come la sua versione visiva, proporre

un vero discorso di commento sugli avvenimenti della storia: nel

film di Alan Pakula, Tutti gli uomini del presidente (1976), un’inquadratura

mostra i due giornalisti che hanno denunciato il caso Watergate

battere a macchina gli articoli decisivi, mentre un televisore in

primo piano diffonde le immagini della cerimonia di investitura di

Richard Nixon; all’inizio di questa inquadratura i suoni

provenienti dal televisore coprono il rumore delle macchine da

scrivere, ma nel corso dell’inquadratura una dissolvenza

44 In L’enunciazione impersonale Metz è arrivato alle stesse conclusione relativamentealla dimensione dell’immagine.

Page 25: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

incrociata sonora porta in primo piano sonoro il ticchettio,

esprimendo così metaforicamente la vittoria del “quarto potere”.

È evidente che l’audience caméra acustica, nella costituzione delle

prospettive sonore “impossibili”, privilegerà la dimensione

autonoma della profondità: Tati ha spesso tratto delle gags da

questa facoltà di ancoraggio spaziale del suono. In Playtime (1967),

un’inquadratura ci presenta un uomo che cammina in un lunghissimo

corridoio dentro gli uffici di un’impresa, avanzando verso la

nostra direzione. Il suono dei suoi passi risulta piuttosto

debole, coerentemente con la sua distanza dal punto di ascolto

microfonico. Tuttavia, senza che la macchina da presa si sia

spostata, all’improvviso il suono dei passi aumenta bruscamente di

intensità, poi diminuisce, poi aumenta e diminuisce ancora. Il

suono si slega completamente di ogni relazione con l’immagine e

l’enunciazione afferma chiaramente la sua presenza.

Un’altra tipologia di occorrenze sonore che può collocarsi nella

categoria dell’audience caméra acustica comprende le occorrenze che

Jost chiama occorrenze slegate: un suono in occorrenza legata (vale a

dire ancorata “realisticamente” ad un enunciato iconico) continua

in un contesto in cui ad esso non corrispondono più adeguati

enunciati iconici45. È il caso, ad esempio, dei suoni di ambiente

di una scena che si è svolta in un bar che “slittano” su

inquadrature seguenti che non hanno più continuità spaziale con le

precedenti.

3. Semi-soggettiva acustica/entre-deux acustico

Jean Mitry è stato il primo ad isolare il tipo particolare di

soggettiva visiva che è stata chiamata semi-soggettiva. La

45 Jost F., L’oreille interne, op. cit.

Page 26: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

particolarità di questa figura è, come dice Metz, di oggettivare

il “soggettivizzatore” all’interno di una stessa immagine

soggettiva; essa permette allo spettatore di «vedere colui che

vede», come in un’oggettiva, e, allo stesso tempo, di vedere ciò

che egli guarda, come in una “vera” soggettiva. Il caso classico è

una soggettiva con il personaggio “di quinta”, cioè con la machina

da presa piazzata all’altezza della spalla del personaggio che

guarda; la versione “linguistica” di questa figura è: io vedo con

lui.

Ora, se si tenta di trasporre questa figura al livello del sonoro,

si troveranno forti difficoltà a distinguere quelle panacustiche

neutre in cui sono presenti dei personaggi abbastanza

individualizzati e le semi-soggettive acustiche. A causa della natura

onnidirezionale del suono, se non sussiste una forte

contraddizione tra l’intensità del suono e la distanza della fonte

da punto di ascolto del personaggio da un lato e dal punto di

ascolto microfonico dall’altro, si potrà dire che, in questo caso,

si sente sempre con un personaggio ma in una dimensione

indistinguibile dalla panacustica neutra. Tuttavia, credo sia

possibile trovare degli equivalenti a livello sonoro della seni-

soggettiva visiva. Il caso più evidente è quello in cui l’immagine

testimonia la presenza di ostacoli che possano funzionare come un

mascherino sonoro46 e che permettano allo spettatore di individuare

come differenti campi sonori si dispongano attorno ai punti di

ascolto di certi personaggi e di definire le loro relazioni con il

punto di ascolto microfonico. Propongo un esempio che chiarisca

questa situazione. In Playtime un’inquadratura ci mostra due uomini,

46 L’espressione è di Michel Chion e designa gli ostacoli materiali alla propagazione del suono; essa è calcata sull’espressione che in francese indica imezzi di punteggiatura filmica visiva come gli iris (cache).

Page 27: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

uno sulla strada, l’altro all’interno dei locali di un’azienda,

che discutono attraverso un vetro che impedisce ai suoni di

propagarsi. Poiché il punto di ascolto microfonico è piazzato

all’interno della sala noi sentiamo soltanto le parole proferite

dall’uomo che si trova dalla nostra stessa parte, all’interno

dell’immobile, mentre l’altro ci appare privato della parola. In

questo caso l’immagine tramite una vetrata che non lascia filtrare

i suoni “ritaglia” due campi sonori diversi che corrispondono ai

due diversi punti di ascolto dei personaggi, uno all’interno,

l’altro all’esterno dell’immobile. Lo spettatore diviene cosciente

allora che il suon punto di ascolto si piazza all’interno del

campo sonoro di uno solo tra i due punti di ascolto presenti (non

può sentire che ciò che rientra nel campo sonoro del personaggio

all’interno dell’immobile, ma senza identificarsi a lui47 ) e quindi di

sentire con lui (e non con l’altro). Il fatto che esistano due

campi sonori differenti e isolati, associati a due diversi

personaggi e che lo spettatore sia piazzato nell’uno e escluso

dall’altro provoca una sorta di partecipazione o di solidarietà acustica che

si distingue dalla semplice panacustica neutra. Se la vetrata fosse

stata assente e lo spettatore avesse potuto sentire parlare anche

il secondo personaggio, egli avrebbe avuto la sensazione di

sentire insieme sia all’uno sia all’altro e l’identificazione, anche

se parziale, non sarebbe stata possibile. In questo caso non ci

sarebbe stato un “io sento con lui” ma un “si sente” (panacustica

neutra).

La possibilità di individuare questa solidarietà acustica

nell’esempio tratto dal film di Tati è legata all’esistenza del

mascherino sonoro della vetrata che determina una suddivisione

47 In questo caso avremmo avuto, come vedremo, una soggettiva acustica personaggio.

Page 28: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

abbastanza chiara dello spazio acustico, suddivisione che permette

di distinguere le relazioni tra diversi punti di ascolto. Sarebbe

inoltre forse possibile individuare una figura intermedia tra la

panacustica neutra e la semi-soggettiva acustica che potrebbe corrispondere a

quel che viene chiamato l’entre-deux. Poiché si tratta di una

categoria dai limiti piuttosto sfumati che rischia di far cadere

nell’arbitrario preferisco considerarla come una sorta di

sottogenere della semi-soggettiva acustica, posta alla frontiera con la

panacustica neutra. Si potrebbe parlare di entre-deux acustico in quei casi

in cui l’inquadratura, il gesto o l’espressione di un personaggio

concentrino l’attenzione dello spettatore sull’ascolto del

personaggio stesso. L’esempio che si è citato in precedenza

riguardante il film di Amenabar, The others, ne potrebbe costituire

un’occorrenza. Se si sente al cinema un rumore fuori campo di

vetro rotto senza che esso provochi alcuna reazione nel

personaggio inquadrato in figura intera che è sullo schermo, sarà

normalmente impossibile, per ciò che si è detto in precedenza,

localizzarlo; sarà un suono vagante e, a rigore, non si saprà

nemmeno se il personaggio l’abbia sentito o meno. Ma se un primo

piano del volto del personaggio ci mostra la sua reazione al

rumore (egli gira gli occhi verso destra, ad esempio) allora lo

stesso rumore verrà orientato e si localizzerà nella direzione

dello sguardo o del gesto del personaggio: si potrebbe dunque dire

che il suono si individualizza tramite l’ascolto dinamico del

personaggio. Il suono cioè prende una sottile colorazione

psicologica che, secondo me, se non è sufficiente a collocarlo

nella categoria di semi-soggettiva sonora, può tuttavia distinguerlo

dalla neutralità indifferente della panacustica neutra. Non si è

ancora nel “io sento con lui” ma non si è più nel “si sente”. Si

Page 29: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

potrebbe trovare un’equivalente linguistico di questa dimensione

soggettiva nell’espressione “noi sentiamo insieme”.

4. Soggettiva sonora-personaggio

La categoria comprende il suono soggettivo in senso proprio,

l’equivalente acustico della soggettiva visiva: noi sentiamo quel

che sente un personaggio con le sue orecchie.

In La doppia vita di Veronica (1991) di Kryzstof Kieslowski,

un’inquadratura ci presenta Irène Jacob che cammina nella sua

camera. Si sente un leggero rumore d’ambiente e il suono dei suoi

passi. L’attrice prende delle cuffie per ascoltare

un’audiocassetta sul magnetofono. Sentiamo allora i suoni

registrati sull’audiocassetta mentre i rumori d’ambiente e i suoni

dei passi sono scomparsi, anche se la Jacob continua a camminare

nella stanza. Il punto di ascolto microfonico si “spegne” e il

nostro punto di ascolto coincide con quello del personaggio. In

simili casi non sembra scorretto dire che lo statuto complessivo

dell’inquadratura audiovisiva sia influenzato dalla

soggettivizzazione introdotta dal suono. Tutta l’attenzione dello

spettatore si focalizza sui suoni enigmatici percepiti dal

personaggio di Veronica e le immagini sembrano tacere. Malgrado lo

statuto oggettivo dell’immagine l’inquadratura assume dunque una

coloritura soggettiva.

Se è evidente che la presenza di un mascherino sonoro (siamo

ancora all’interno del modello “conversazione telefonica”) rende

ostensibile la soggettiva acustica-personaggio, esistono altre modalità in

Page 30: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

cui questa figura viene declinata. A volte è sufficiente il solo

rapporto tra l’intensità del suono e la distanza della fonte

sonora dal punto di ascolto microfonico da un lato e il punto

d’ ascolto del personaggio dall’altro. In Tutti gli uomini del presidente

un’inquadratura ci presenta i due giornalisti che lavorano intorno

ad un tavolo, inquadrati tramite una contre-plongée molto marcata,

dal soffitto di una biblioteca. Sono piuttosto lontani dalla

macchina da presa ma lo spettatore sente il loro discorso in primo

piano sonoro. Il punto di ascolto spettatoriale coincide dunque

con il punto di ascolto dei due personaggi ma non con il punto di

ascolto microfonico, di conseguenza l’inquadratura si orienta

verso una dimensione soggettiva nonostante il punto di vista molto

marcato (è un caso di audience caméra) della macchina da presa.

Segnalo un tipo di soggettiva sonora-personaggio che si apparenta

all’audience caméra acustica nella misura in cui l’ascolto soggettivo di

un personaggio si traduce in prospettive sonore “impossibili”.

L’esempio classico è il finale di La dolce vita (1960) di Federico

Fellini in cui la voce della ragazza che chiama Marcello

Mastroianni è progressivamente coperta dal frastuono del mare che

diventa sempre più forte, e ciò senza alcuna ragione diegetica.

Questa prospettiva sonora traduce il decadimento morale del

personaggio che non è più capace di sentire il richiamo d’una vita

diversa, più pura.

Interessante è anche un altro caso di manipolazione dei suoni

secondo le modalità tipiche dell’audience caméra acustica piegata ad

esprimere la soggettività di un’istanza diegetica. Si tratta della

scena di Pickpocket (1959) in cui si mostra il primo tentativo di

furto di Michel, tentativo che si risolve in un fallimento. Qui la

soggettivizzazione del punto di ascolto si realizza non tramite un

Page 31: FIgure del suono soggettivo. Una tassonomia.

accumulo di effetti sonori ma attraverso la cancellazione totale

di tutte le occorrenze sonore che non riguardino la vittima di

Michel. Così, nell’ufficio della posta lo spettatore sente

soltanto un silenzio artificiale che permette ai suoni dei passi

della vittima di risuonare più intensamente e di tradurre

l’estrema tensione e l’ansiosa concentrazione di Michel. Tuttavia

un’analisi più approfondita del trattamento dei suoni da parte di

Bresson dimostra una ancora più sottile finezza. L’inquadratura

mostra Michel seduto di fronte allo spettatore, dietro un tavolo.

Di fronte a lui (dunque nel fuori campo orientato verso lo

spettatore) è collocata la cassa della posta verso la quale si

dirige la sua vittima. Noi non la vediamo muoversi ma sentiamo i

suoi passi che risuonano vicino a Michel quando passa accanto a

lui. Il posizionamento della cassa è confermato alla fine

dell’inquadratura da uno sguardo di Michel, seguito da un

controcampo che ci mostra la vittima mentre ritira del denaro. Ma

l’intensità di questi passi invece di diminuire (come sarebbe

logico visto che il punto di ascolto è stato focalizzato su Michel

e che la vittima si allontana da lui) aumenta. Questa

contraddizione tra lo sguardo e l’orecchio provoca nello

spettatore un senso di confusione, di perdita dei punti di

riferimento spaziali che traduce l’indecisione morale di Michel

che non riuscirà a compiere il furto.

Un altro caso di soggettiva sonora personaggio è rappresentato dai suoni

mentali. Ricordi sonori, voci interiori, monologhi interni, ecc..

Un caso molto interessante è presente in Il cielo sopra Berlino (1987):

diverse inquadrature ci mostrano dei personaggi di cui sentiamo i

pensieri interiori: tuttavia in realtà queste soggettive sonore

personaggio non sono riferite a dei punti di ascolto “interni”, ma al

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punto di ascolto dell’angelo che non appare sullo schermo ma a cui

probabilmente appartiene lo sguardo sui personaggi stessi.

Parafrasando Metz si potrebbe dire che esistono le orecchie del

corpo e quelle dell’anima.

L’ultimo tipo di occorrenza di soggettiva sonora personaggio che presento

è rappresentato dai suoni che sono soggettivi in se stessi, a

causa di distorsioni, di modificazioni brusche d’intensità, del

colore, del riverbero, ecc.. I suoni così deformati denotano

immediatamente il punto di ascolto del personaggio a cui vengano

attribuite alterazioni psichiche, minorazioni fisiche o

impedimenti all’ascolto tali da motivare le deformazioni stesse.

Il film di Terry Gilliam Paura e delirio a Las Vegas ( 1998) ne dà degli

esempi interessanti. I due personaggi del film vivono in uno stato

psichico di allucinazione permanente a causa dell’abuso continuo

di droghe. Le loro percezioni sonore aberranti traducono la loro

percezione alterata della realtà.

Paradossalmente la modalità estrema di questo tipo di suono

soggettivo coincide con il silenzio, cioè con la sordità di un

personaggio. Termino questo mio lavoro con un esempio magnifico

preso in prestito a Michel Chion, esempio che si trova in Un grand

amour de Beethoven (1936) di Abel Gance. Il grande musicista è oramai

divenuto sordo. Un campo medio ci mostra un violinista che suona

circondato da bambini che l’ascoltano. Non appena Baur,l’attore

che interpreta Beethoven, entra nell’immagine la musica comincia a

affievolirsi fino a scomparire del tutto. La musica del violino,

le grida e il riso dei bambini, la dolce voce della natura, tutto

viene progressivamente ingoiato in questo punto di ascolto che si

impadronisce lentamente del campo sonoro spettatoriale.

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