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Agosto 2018 - Anno 20 (n° 237)
Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco
Torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la Solennità
dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la più antica festa
mariana.
Guardando l’Assunta in cielo comprendiamo meglio che la nostra
vita di ogni giorno, pur segnata da prove e difficoltà, scorre come
un fiume verso l’oceano divino, verso la pienezza della gioia e
della pace. Comprendiamo che il nostro morire non è la fine, ma
l’ingresso nella vita che non conosce la morte. Il nostro
tramontare all’orizzonte di questo mondo è un risorgere all’aurora
del mondo nuovo, del giorno eterno.
Davanti al triste spettacolo di tanta falsa gioia e
contemporaneamente di tanto angosciato dolore che dilaga nel mondo,
dobbiamo imparare da Lei a diventare noi segni di speranza e di
consolazione, dobbiamo annunciare con la vita nostra la
risurrezione di Cristo.
L’Assunzione di Maria è un mistero grande che riguarda ciascuno
di noi, riguarda il nostro futuro. Maria, infatti, ci precede nella
strada sulla quale sono incamminati coloro che, mediante il
Battesimo, hanno legato la loro vita a Gesù, come Maria legò a Lui
la propria vita. La festa dell’Assunta ci fa guardare al cielo,
preannuncia i “cieli nuovi e la terra nuova”, con la vittoria di
Cristo
risorto sulla morte e la sconfitta definitiva del maligno.
Pertanto, l’esultanza dell’umile fanciulla di Galilea, espressa nel
cantico del Magnificat, diventa il canto dell’umanità intera, che
si compiace nel vedere il Signore chinarsi su tutti gli uomini e
tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé nel cielo.
F ER R A GOS TO , GUA R DA N D O I L C I EL O
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Il Signore si china sugli umili, per alzarli, come proclama il
cantico del Magnificat. Questo canto di Maria ci porta anche a
pensare a tante situazioni dolorose attuali, in particolare alle
donne sopraffatte dal peso della vita e dal dramma della violenza,
alle donne schiave della prepotenza dei potenti, alle bambine
costrette a lavori disumani, alle donne obbligate ad arrendersi
alla cupidigia degli uomini. Possa giungere quanto prima per loro
l’inizio di una vita di pace, di giustizia, di amore, in attesa del
giorno in cui finalmente si sentiranno afferrate da mani che non le
umiliano, ma con tenerezza le sollevano e le conducono sulla strada
della vita, fino al cielo. Maria, una fanciulla, una donna che ha
sofferto tanto nella sua vita, ci fa pensare a queste donne che
soffrono tanto. Chiediamo al Signore che Lui stesso le conduca per
mano e le porti sulla strada della vita, liberandole da queste
schiavitù.
Chiediamo a Maria di farci il dono della sua fede, quella fede
che ci fa vivere già in questa dimensione tra finito e infinito,
quella fede che trasforma anche il sentimento del tempo e del
trascorrere della nostra esistenza, quella fede nella quale
sentiamo intimamente che la nostra vita non è risucchiata dal
passato, ma attratta verso il futuro, verso Dio, là dove Cristo ci
ha preceduto e dietro a Lui, Maria. Ci rivolgiamo con fiducia a
Maria, dolce Regina del cielo, e le chiediamo: «Donaci giorni di
pace, veglia sul nostro cammino, fa che vediamo il tuo Figlio,
pieni della gioia del Cielo»
Don Giuseppe
LA QUESTIONE DELLA
MORTE DELLA B. V. MARIA
La Chiesa professa che Maria è, con Gesù, l’unica persona in
tutta la storia dell’umanità a essere ufficialmente riconosciuta
assunta in cielo (quindi in corpo e anima) già ora, prima della
seconda venuta del Cristo. Ciò è possibile perché Maria, secondo la
Chiesa, è l’unica persona a essere preservata dalla macchia del
peccato originale che ha coinvolto l’intera umanità. Per questo, la
tradizione dell’Assunzione e il dogma che, poi, ne è scaturito,
sono in stretta connessione logica con i corrispettivi inerenti
all’Immacolata Concezione, benché la tradizione di questa è
successiva nel tempo rispetto a quella dell’Assunzione, e anche più
elaborata e discussa teologicamente.
Pio XII, nella definizione dogmatica dell’Assunzione, ha
deliberatamente evitato di pronunciarsi sulla questione se Maria
sia prima morta, per poi risorgere, oppure sia stata assunta
immediatamente senza passare attraverso la morte. Il fatto che il
Papa non si sia pronunciato è degno di nota, poiché molti pensavano
che l’Assunzione andasse necessariamente intesa come un’anticipata
risurrezione, in modo da implicare necessariamente la morte. Ed
erano state fatte pressioni sul Sommo Pontefice perché nella
definizione dogmatica facesse riferimento anche alla morte, cosa
che egli non ha fatto.
La questione della morte o non morte di Maria rimane dunque
lasciata alla libera ricerca dei teologi, anche se bisogna
riconoscere che l’opinione dei mortalisti, per chiamarla così, è di
gran lunga più diffusa di quella degli immortalisti. La Vergine
Santissima, l’Immacolata, - afferma Paolo VI nella Solemne
Professione di fede del 30 giugno 1968 - “associata ai misteri
dell’Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e
indissolubile, al termine della sua vita
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terrena, è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e
configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di
tutti i giusti”. Anche papa Giovanni Paolo II, nella sua catechesi
del 25 giugno 1997, pur senza l’intenzione di chiudere il
dibattito, ha detto: “È possibile che Maria di Nazaret abbia
sperimentato nella carne il dramma della morte? Riflettendo sul
destino di Maria e sul suo rapporto con il suo divin Figlio, sembra
legittimo rispondere positivamente, dal momento che Cristo è morto,
sarebbe difficile sostenere il contrario per la Madre”. La
possibilità della morte naturale, o dormizione, di Maria, è
presentata come di un fatto comunemente ammesso.
La tesi della morte naturale di Maria è presente nella
tradizionale almeno dal IV secolo in poi; dal medioevo è stata
sostenuta specialmente dai teologi della Scuola francescana, e,
oggi, appartiene al Magistero della Chiesa. L’argomento più forte
dei mortalisti sembra essere quello che la Beata Vergine doveva
essere configurata a Cristo nella sua morte e risurrezione, per
poter essere così il modello universale dei redenti. Intorno a
questa delicata e complessa questione, si distingue il pensiero del
“Maestro più qualificato della scuola francescana”, Giovanni Duns
Scoto (1266-1308), per la sua sottigliezza, concretezza e fedeltà
nell’interpretare la Parola rivelata. Difatti, in sintonia con la
sua visione globale del mistero di Cristo, egli instaura una forma
di perfetta analogia: come Cristo è morto ed è risorto, così anche
Maria è morta ed è stata assunta in cielo. E trova il fondamento
biblico nel commento al passo del Genesi: sei polvere e in polvere
ritornerai (Gn 3, 19), il cui “valore - scrive - è così generale
che non ammette eccezione, neppure per Cristo e Maria”. Questo
pensiero del Cantore dell’Immacolata diventa ancora più chiaro alla
luce della sottile e delicata differenza che egli, solo, introduce
tra “legge naturale” e “legge morale”. La morte appartiene alla
“legge
naturale”, che, di per sé, non ammette eccezioni di sorta; il
peccato originale, invece, alla “legge morale”, che sopporta
l’eccezione, come di fatto è avvenuto nella storia della salvezza,
proprio per la Vergine Maria. In questo modo, si comprende meglio
anche la differenza dell’universalità del peccato con
l’universalità della morte. Di per sé, la morte è una conseguenza
del peccato, cioè è un demerito o una punizione; in Cristo e Maria,
invece, la morte risponde alla legge naturale e non alla legge
morale, dal momento che essi sono esenti dal peccato d’origine e
attuale, e, quindi, “per privazione dell’abbondanza di gloria di
per sé nel corpo”. La morte, perciò, secondo Duns Scoto più che al
peccato, anche se con esso è una punizione, appartiene alla legge
di natura materiale del corpo che è mortale intrinsecamente e
metafisicamente, perché è un composto. Allora anche Maria è passata
attraverso il dolce sonno della morte alla beata assunzione in
cielo, come suo Figlio, anche se con modalità differenti, proprio
in forza dei meriti de condigno che Cristo ha acquistato per gli
altri.
G. Pelizza SdB
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PELLEGRINAGGIO
MACERATA LORETO
9/10 giugno 2018
Personalmente amo camminare e anche qui a Torri attraverso
questa salutare passione ho avuto modo di incontrare e conoscere
molte persone. Uscire e guardare la natura che mi circonda è
possibilità di preghiera e contemplazione delle meraviglie che il
Signore dona. Quando si parla di pellegrinaggio subito si pensa
alla meta che è principalmente un santuario ma non è da dimenticare
l’importanza del cammino che porta ad esso. Cammino che richiede
perseveranza e regala momenti di interiorità. Anni fa, grazie alla
mia propensione al cammino, sono stata invitata all'evento annuale
del pellegrinaggio da Macerata a Loreto organizzato da Comunione e
Liberazione. In queste esperienze ho goduto di quanto ricevuto così
che a mia volta ho raccontato, invitato e ripartecipato a questo
avvenimento. Nel giugno del 2018 si è festeggiato il 40 esimo
pellegrinaggio al quale hanno partecipano tantissime persone di
diverse età: adolescenti, giovani, famiglie, religiosi e anziani. È
stato un'occasione che ha dato voce al bisogno che vive in me di
sentirmi popolo in cammino e che mi ha portato a vivere la
preghiera iniziale e la messa allo stadio come ricarica di energia
per vivere al meglio il cammino nella notte accompagnato dalla
recita del Rosario intervallato dal canto, dall'ascolto delle
testimonianze toccanti che ci hanno permesso di riflettere sul
valore della vita e sull'essenza dell'essere e vivere da cristiani.
Edificante il vedere tanta gente che durante tutta la notte è lungo
la strada e ti aspetta per farsi prossimo con acqua e panini,
questo mi ha aiutato a riconoscere e incontrare concretamente il
Mistero diventato uomo nella carne
della Vergine Maria che abbiamo potuto adorare all'esterno di
parecchie chiese. Durante il cammino nella notte mi ha sostenuto
nella fatica il tornare al messaggio in diretta telefonica di Papa
Francesco. Mi ha fatto sentire giovane come ha detto il Papa vedere
giovani coraggiosi che si mettono in cammino lungo tutta una notte
perché questo è bello ed è un buon segnale perché la vita è un
cammino e nella vita non si può restare fermi. Un giovane non può
essere fermo perché se un giovane è fermo va' in pensione a
vent'anni e questo è una cosa brutta. La gioventù è per giocarla,
per scommettere, per andare avanti e dare frutti. Risuonavano in me
l’invito del Papa ad andate avanti sempre guardando l'orizzonte,
l’importanza di camminare ogni giorno perché ogni passo in più è
fecondità di vita! Questo augurio mi ha sostenuta e incoraggiata e
sento importante donarlo a mia volta: camminiamo ogni giorno verso
la felicità nella concretezza dell'amare Dio amando gli altri.
Interiormente mi ripetevo: voglio camminare con la gioia della
vita, ogni giorno, un passo dopo l’altro, migliore del giorno
prima... e con questi desideri in cuore sono giunta ai piedi della
Madonna di Loreto portando con me tutti i volti che ho incontrato
durante il cammino e tutti quelli che porto in cuore. Alla Vergine
ho chiesto per ciascuno un cuore di bambino sempre attento ad
intercettare i segni di Colui che non si stanca mai di venire a
cercarci. Ed infine condivido con voi quello che ho sentito e visto
con i miei occhi quando siamo arrivati: la gioia è prevalsa sulla
stanchezza, l'evidenza sullo scetticismo, la bellezza sulla paura.
Non è stata solo l'attesa dell'alba di un nuovo giorno, ma negli
occhi di tutti e nel cuore di tutti, l'alba della vita che Gesù
Cristo Risorto ci comunica quotidianamente. Un grazie sentito e
vivo a chi ha saputo camminare e pregare con me!
sr Silvia
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EDITH STEIN,
DALL'ATEISMO AL
MARTIRIO AD AUSCHWITZ
Santa Teresa Benedetta della Croce fu secondo San Giovanni Paolo
II «una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi
drammatica del ventesimo secolo». Tedesca di famiglia ebrea, a 14
anni abbandona l’ebraismo e diviene atea. Studia filosofia con
Husserl. Nel 1921 si converte al cattolicesimo e nel 1933 entra al
Carmelo di Colonia. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo
e deportata nel campo di sterminio dove muore nella camera a gas.
Papa Wojtyla nel 1999 l’ha proclamata compatrona d’Europa. Edith
Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12
ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei
valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei
padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando
discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola
fenomenologica. Ha fama di brillante
filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il
Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al
1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico
di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo
circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando
un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al
Carmelo di Colonia. Assume il nome religioso di suor Teresa
Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla
Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau
dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene
proclamata Beata, è canonizzata da San Giovanni Paolo II l’11
ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e
S. Caterina da Siena, compatrona dell’Europa.
da atea a monaca carmelitana e martire
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è
balzata via via all’attenzione della comunità internazionale,
rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche
religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una
filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista
ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda
spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; “una personalità
– ha detto di lei Giovanni Paolo II – che porta nella sua intensa
vita una sintesi drammatica del nostro tempo ”.
la spiritualità mariana C’è in realtà un “filo mariano” che si
dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire
carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. Per Edith è
l’anno chiave del suo processo di conversione. L’anno del passo
lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi,
brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a
molti chilometri dall’università di Friburgo
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SONO TORNATE AL PADRE
FAUSTA
GIANNINA
dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna,
il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di
confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata. Quello stesso 1917
è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di
Fatima. Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei
singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sul mondo.
l'influenza (decisiva) di santa Teresa d’Avila
Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la
vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. Era il
1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i
coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente
lasciandole le chiavi della biblioteca. Era già notte inoltrata, ma
lei non riusciva a dormire. Racconta: "Presi casualmente un libro
dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata
da lei stessa". Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo
finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la
verità". Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel
mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un
concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la
giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel
gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica.
Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da
subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in
Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel
significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione
specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Il 21
aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione
perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in
America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di
tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il
10 novembre, passata alla storia come "la notte dei cristalli"
–
occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era
molto difficile andare via. In Germania era già cominciata la
caccia aperta al giudeo. La presenza di Edith al Carmelo di Colonia
rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della
famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è
registrata come "non ariana". Le sue superiori decidono allora di
farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane avevano un
convento. Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31
dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di
fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per
inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna
protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt.
la deportazione e la morte nel campo nazista di Auschwitz
L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso
l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che
era stata definita come la Endlösung, ovvero la "soluzione finale"
del problema ebraico. Neppure l’Olanda è più sicura per Edith. Il
pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al
portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla
sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork,
nel nord dell’Olanda. Da qui, il 7 agosto venne trasferita con
altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il
9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa,
varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col
martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.
Teresa
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5 A G O S T O - G I O R N A T A D E L S E M I N A R I O
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IL SEMINARIO MAGGIORE LA MISSIONE: La grande missione che il
Seminario Maggiore adempie è quella di formare futuri presbiteri
dediti alla Chiesa Diocesana e aperti al servizio missionario.
COSA SI FA: Il Seminario Maggiore contempla un itinerario
formativo di sei anni, nel quale i seminaristi teologi, guidati
dagli educatori, sono formati ad una vita spirituale intensa, in
una dimensione comunitaria che caratterizzerà tutta la loro vita
presbiterale.
Molto importante nella formazione dei futuri presbiteri è anche
lo studio della teologia presso lo Studio Teologico San Zeno, con
la Biblioteca del Seminario, e la formazione pastorale, che vede i
giovani impegnati in varie parrocchie della Diocesi.
LA COMUNITÀ: La Comunità del Seminario Maggiore accoglie quei
giovani che, terminato l’iter del Seminario Minore o della Casa San
Giovanni Battista, esprimono una loro scelta convinta di seguire il
Signore Gesù nella prospettiva del presbiterato diocesano.
IL SEMINARIO MINORE LO SCOPO: L’esperienza del Seminario minore
si prefigge di formare uomini credenti in Cristo, capaci di
relazioni autentiche con i fratelli, amanti della vita buona del
vangelo, con una apertura al senso vocazionale della vita che potrà
portare a scelte vocazionali verso il presbiterato o la vita
matrimoniale.
IL CUORE: LA VITA NELLO SPIRITO: L’esperienza del seminario
minore è centrata sulla figura di Gesù Cristo, vero uomo e vero
dio, che diventa il modello di riferimento per ogni seminarista. La
crescita nella fede segue il principio della “gradualità” che
permette di rendere la buona notizia comprensibile e vivibile per i
ragazzi, gli adolescenti e i giovani del seminario. Cuore della
vita in Dio è l’eucarestia a cui si aggiungono la parola di Dio e
il sacramento della riconciliazione. L’accompagnamento spirituale
cerca di aiutare il seminarista a crescere in tutte le dimensioni
della vita umana e spirituale.
GLI ELEMENTI EDUCATIVI E CARATTERIZZANTI: Tra gli aspetti
specifici della
vita del Seminario vi sono:
la VITA DI COMUNITA', costruita attorno a Dio Padre in cui si
coglie l’identità di figli e quindi di fratelli, permettendo ai
seminaristi di condividere qualsiasi cosa e di crescere nelle
relazioni umane e nella fraternità;
l’EDUCAZIONE AL SERVIZIO, alla generosità, al dono di sé, avendo
come maestro il Signore Gesù che non esita a mettersi ai piedi
delle persone per servirli;
l’APERTURA VOCAZIONALE ovvero i seminaristi sono aiutati a stare
con Gesù per cogliere il sogno che Dio ha per la loro vita e per
rispondere alla sua iniziativa d’amore; guidati dalla meditazione
della Parola di Dio e accompagnati dal padre spirituale possono
così giungere a un discernimento vocazionale;
lo STUDIO ASSISTITO, avendo l’attenzione che la formazione
culturale della persona non limiti le altre dimensioni (spirituale,
fraterna, di servizio, di gioco), ma sia garantita la crescita
integrale del seminarista.
5 A G O S T O - G I O R N A T A D E L S E M I N A R I O
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CHE COSA È “CASA SAN GIOVANNI BATTISTA” È la casa per vocazioni
adulte della diocesi di Verona.
“Maestro, dove dimori?”, così rispondono i discepoli del
Battista quando Gesù voltandosi, chiede loro: “Che cosa cercate?”.
Mi sembra che l’anno di Casa San Giovanni Battista, possa essere
sintetizzato proprio nella richiesta che questi discepoli pongono a
Gesù. “Maestro dove dimori?” Quasi a dire: “Maestro dove abiti
quotidianamente, dove ti possiamo trovare, dove possiamo fermarci
con te?”.
L’anno di Casa San Giovanni è un cammino dove cercare
radicalmente il Signore che abita nel profondo di noi stessi,
nell’uomo interiore, perché è solo nell’uomo interiore che è
possibile discernere la verità profonda dell’intuizione che un
giovane ha avvertito e che lo ha condotto a chiedere di poter
vivere l’anno propedeutico alla camino del Seminario Maggiore. Casa
San Giovanni è dunque un cammino di sequela del Signore, dove
cercare il luogo in noi dove lui dimora e con lui stare fino alle
“quattro del pomeriggio” (Gv 1,39) per verificare se la chiamata
che può dare pienamente senso al proprio essere figli è quella del
presbiterato o meno. Certamente non è un percorso generico dove
interrogarsi in senso ampio sulla propria vocazione, per questo
aspetto ci sono altri percorsi. Il giovane che chiede di entrare in
Casa San Giovanni ha già con sé la sensazione che il Signore lo
chiami alla vocazione del prete diocesano e chiede alla Chiesa,
nella persona degli educatori scelti dal Vescovo, di aiutarlo a
discernere la verità di quella sua sensazione.
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I dieci nuovi sacerdoti di quest’anno
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PROFILI DEI NUOVI SACERDOTI Don Marco Accordini, 25 anni,
diplomato geometra, di Pescantina. In servizio presso la parrocchia
di Santa Lucia Extra. Don Fabio Bejato, 35 anni, già agente di
viaggio, di Santa Lucia Extra. In servizio presso la parrocchia di
Pescantina. Don Pietro Busti, 24 anni, maturità classica, di
Tregnago. In servizio presso la parrocchia di Sommacampagna. Don
Jacopo Campagnari, 30 anni, laureato in fisica, di San Zeno di
Montagna. In servizio presso la parrocchia di Isola della Scala.
Don Gianluca Cassin, 44 anni, ragioniere e perito commerciale, ha
lavorato come impiegato in magazzino per una ditta di materiale di
saldatura e medicale, di Santa Teresa di Gesù Bambino. In servizio
presso la parrocchia di San Giovanni Battista in Cadidavid. Don
Simone Lanza, 38 anni, dirigente di comunità, ha lavorato come
tipografo, operaio metalmeccanico e giardiniere, di Cerea. In
servizio presso la parrocchia di Zevio. Don Giuseppe Liotta, 34
anni, ragioniere laureato in scienze dell'educazione, ha lavorato
come educatore in una casa famiglia e come impiegato presso la
Ricoh, di Santi Angeli Custodi. In servizio presso la parrocchia di
Gesù Divino Lavoratore. Don Daniele Leonelli, 42 anni, tecnico
delle industrie meccaniche, ha lavorato come operaio e autista di
bus, di Canneto sull’Oglio (Mantova). In servizio presso la
parrocchia di Valeggio sul Mincio. Padre Giacomo Facchini della
Congregazione dell'Oratorio dal 2014, 29 anni, diplomato alla
scuola alberghiera, di Borgosatollo (Brescia). In servizio presso
la parrocchia di Santa Maria Maddalena al Forte Procolo. Padre
Jonas Idalicio de Oliveira della Comunità Regina Pacis dal 2002, 33
anni, maturità scientifica, di Teofilàndia (Brasile). In servizio
presso la parrocchia di San Pancrazio al Porto.
IN OGNI COSA
RENDETE GRAZIE Pensieri e sentimenti di un
presbitero novello
È la fine, è l'inizio. Così sono tutti quei momenti unici nella
nostra vita, nei quali possiamo toccare con mano il mischiarsi
della risultanza umana col dono di grazia, che compie un tracciato
passato e apre un orizzonte nuovo e luminoso. Sono giorni nei quali
lo Spirito ci stupisce nella bella e geniale sintesi dei nostri
cammini, del nostro cammino percorso fino ad oggi. Passo giusto
dopo passo falso, passo ferito dopo passo guarito, tutta la nostra
umanità è stata attraversata e raccolta da quel Soffio che il 19
Maggio ci rende preti. Per questo siamo grati, per questo stiamo
imparando la bellezza nel rendere grazie in ogni cosa, del fare
Eucaristia in ogni cosa... Perché lo Spirito del Risorto ha
penetrato di Vita tutta la nostra storia, tutta la Terra. E così
tutta la Terra attende impaziente di diventare Comunione tra Dio e
uomo, tra uomo e uomo, tra padre e figlio, tra fratello e sorella.
In questi giorni non possiamo non riconoscere come questo passo sia
stato reso possibile da tutti quegli incontri vissuti nella nostra
vita, che ci hanno permesso di tessere i lineamenti sfumati di un
volto bello di Chiesa: un volto umano, al quale desideriamo
appartenere, nel quale respiriamo la libertà del donarsi per amore.
Non per ultimi i fratelli e gli educatori del seminario, che nella
fragile concretezza quotidiana hanno impresso una direzione forte a
questa strada, facendoci scoprire un po' di più chi siamo e l'uomo
che il Signore ha visto in ciascuno di noi. Il 19 maggio è la festa
della Chiesa, benedetta dal riaffermarsi di un Dio che non smette
di prendersi cura e di donarsi all'uomo. Un Dio che non smette di
affascinare come Pastore bello che conosce e chiama le sue pecore,
ciascuna per nome.
don Pietro Busti (VI teologia)
5 A G O S T O - G I O R N A T A D E L S E M I N A R I O
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10 AGOSTO
SAN LORENZO
La sua vita come diacono della Chiesa di Roma
Lorenzo nacque a Osca (Huesca), città della Spagna, nella prima
metà del III secolo. Venuto a Roma, centro della cristianità, si
distinse per la sua pietà, carità verso i poveri e l’integrità di
costumi. Grazie alle sue doti, Papa Sisto II lo nominò Diacono
della Chiesa, meglio capo dei diaconi. Doveva sovrintendere
all’amministrazione dei beni, accettare le offerte e custodirle,
provvedere ai bisognosi, agli orfani e alle vedove. Per queste
mansioni Lorenzo fu uno dei personaggi più noti della prima
cristianità di Roma ed uno dei martiri più venerati, tanto che la
sua memoria fu ricordata da molte chiese e cappelle costruite in
suo onore nel corso dei secoli. Lorenzo fu catturato dai soldati
dell’Imperatore Valeriano il 6 agosto del 258 nelle catacombe di
San Callisto assieme al Papa Sisto II ed altri diaconi. Mentre il
Pontefice e gli altri diaconi subirono subito il martirio, Lorenzo
fu risparmiato per farsi consegnare i tesori della chiesa. Si narra
che all’Imperatore Valeriano, che gli imponeva la consegna dei
tesori della Chiesa, Lorenzo abbia portato davanti numerosi poveri
ed ammalati ed abbia detto “Ecco i tesori della chiesa”. In seguito
Lorenzo fu dato in custodia al centurione Ippolito, che lo
rinchiuse in un sotterraneo del suo palazzo; in questo luogo buio,
umido e angusto si trovava imprigionato anche un certo Lucillo,
privo di vista. Lorenzo confortò il compagno di prigionia, lo
incoraggiò, lo catechizzò alla dottrina di Cristo e, servendosi di
una polla d’acqua che sgorgava dal suolo, lo battezzò. Dopo il
Battesimo Lucillo riebbe la vista. Il centurione Ippolito visitava
spesso i suoi carcerati; avendo constatato il fatto, colpito dalla
serenità e mansuetudine
dei prigionieri, e illuminato dalla grazia di Dio, si fece
Cristiano ricevendo il battesimo da Lorenzo. Lorenzo fu bruciato
vivo sulla graticola, in luogo poco lontano dalla prigione; il suo
corpo fu portato al Campo Verano, nelle catacombe di Santa
Ciriaca.
La controversa questione del martirio
Il Martirio di san Lorenzo è datato dal martirologio romano il
10 agosto del 258 dopo Cristo. A ricordare questi avvenimenti
furono erette a Roma tre chiese: San Lorenzo in Fonte (luogo della
prigionia), San Lorenzo in Panisperna (luogo del martirio) e San
Lorenzo al Verano (luogo della sua sepoltura). Secondo la devozione
e la pietà popolare San Lorenzo fu bruciato sopra una graticola, la
Leggenda Aurea del beato Jacopo da Varazze, ne ha in modo
significativo sigillato la pietas popolare con la narrazione dei
suoi ultimi momenti. Secondo la moderna storiografia tuttavia in
base a studi concernenti l’epoca, viene considerata leggendaria
questa tradizione, infatti l’imperatore Valeriano non ordinò
torture, tanto che appare più veritiero ritenere che Lorenzo sia
stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. A
suffragare la tradizione della graticola resta l’ininterrotta
trasmissione ab immemorabili che è come già detto parte ancora
prima del grande Sant’Ambrogio che ne riteneva come notizia
certa.
Don Luca (da santi e beati)
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16 AGOSTO
SAN ROCCO
Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla
leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti
sui beni ai poveri, si sarebbe fermato ad Acquapendente,
dedicandosi all'assistenza degli ammalati di peste e facendo
guarigioni miracolose che diffusero la sua fama. Peregrinando per
l'Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza
promuovendo continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo
essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché
sospettato di spionaggio. Invocato nelle campagne contro le
malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si
diffuse straordinariamente nell'Italia del Nord, legato in
particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. Gregorio
XIII introdusse il nome di Rocco nel Martirologio Romano, sotto il
pontificato di Urbano VIII la Congregazione dei Riti accordò un
Ufficio e una Messa propri per le chiese costruite in onore del
santo. Infine, nel 1694, Innocenzo XII prescrisse ai Francescani di
celebrare la festa con rito doppio maggiore, forte della citazione
fatta nel 1547 da Paolo IV nella Bolla “Cum a nobis” di San Roco
quale membro del Terz'Ordine di San Francesco. Di questo Santo, che
fu uno dei più illustri del secolo XIV uno dei più cari a tutta la
cristianità, si hanno poche notizie. Oriundo di Montpellier
(Francia), della sua giovinezza si narrano cose meravigliose.
Ventenne, rimasto privo del padre e della madre, distribuì parte
dei suoi beni ai poveri e parte li donò ad uno zio paterno. Quindi,
vestitosi da pellegrino, si avviò elemosinando alla volta di Roma,
per visitare il centro del Cristianesimo, sede della verità e della
civiltà, e per vedere il Pastore
Supremo dei popoli e delle nazioni, il Papa. Nell'attraversare
le contrade della nostra bella Italia, seppe che la peste faceva
strage in parecchie parti della penisola. Ed ecco S. Rocco nel
genovesato, in Toscana, a Cesena, a Rimini e specialmente ad
Acquapendente farsi consolatore dei poveri ammalati e compiere
opere di cristiana carità. Fu salutato ovunque quale salvatore, ed
in Roma il suo nome risuonò in benedizione. Ma egli schivava la
lode e per evitarla, poco dopo aver compiuto la visita alle tombe
degli Apostoli, lasciò la Città Eterna e si portò a Piacenza, dove
infieriva allora il morbo fatale. Qui il suo apostolato ebbe modo
di manifestarsi in tutta la sua generosità e pienezza. Ma infine
anch'egli fu attaccato dalla peste: per non essere di peso a
nessuno si ritirò in un antro fuori della città, dove, consumato da
febbre, soffrì dolori indicibili. La Divina Provvidenza però (come
già un giorno al grande Anacoreta della Tebaide), quotidianamente
gli inviava un pane per mezzo di un cane. Guarito per grazia di Dio
e per l'aiuto datogli da un pio signore, che sulle orme del cane
aveva rintracciato il povero sofferente, Rocco lasciò Piacenza e si
ritirò in Francia. Quivi, creduto una spia, connivente lo stesso
suo zio, a cui aveva lasciato parte dei suoi beni, fu messo in
prigione. Passò quindi i suoi ultimi anni sconosciuto. La sua morte
avvenne il 16 agosto 1327, S. Rocco era passato a ricevere il
premio delle sue fatiche e delle sue opere buone. Si seppe la
storia della sua santa vita da uno scritto da lui lasciato
all'edificazione dei posteri, ma più di tutto la sua santità ci fu
resa nota dagli innumerevoli miracoli che la Provvidenza operò
sulla sua tomba gloriosa. La devozione a S. Rocco è universale ed è
invocato contro le malattie contagiose.
Franco
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14 AGOSTO
SAN MASSIMILIANO KOLBE
Polacco, entra nell'ordine dei francescani svolgendo un intenso
apostolato missionario in Europa e in Asia. Nel 1941 è deportato ad
Auschwitz dove è destinato ai lavori più umilianti, come il
trasporto dei cadaveri al crematorio. Qui offre la sua vita di
sacerdote in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno
di prigionia. Muore pronunciando “Ave Maria” il 14 agosto dopo due
settimane di torture. Con il suo martirio, ha detto Giovanni Paolo
II, egli ha riportato «la vittoria mediante l’amore e la fede, in
un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo».
Se non è il primo è senz’altro fra i primi ad essere stato
beatificato e poi canonizzato fra le vittime dei campi di
concentramento nazisti. Giovanni Paolo II ha detto che con il suo
martirio egli ha riportato «la vittoria mediante l’amore e la fede,
in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e
nell’uomo». E nell’omelia della Messa di canonizzazione spiegò:
«Massimiliano non morì, ma “diede la vita... per il fratello”.
V’era in questa morte, terribile dal punto di vista umano, tutta la
definitiva grandezza dell’atto umano e della scelta umana: egli da
sé si offrì alla morte per amore. E in questa sua morte umana c’era
la trasparente testimonianza data a Cristo: la testimonianza data
in Cristo alla dignità
dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica
della morte, nella quale si manifesta la potenza dell’amore».
anche i fratelli entrano
nell’ordine francescano
Massimiliano Kolbe nacque il 7 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in
Polonia, da genitori ferventi cristiani; il suo nome al battesimo
fu quello di Raimondo. Papà Giulio, operaio tessile era un patriota
che non sopportava la divisione della Polonia di allora in tre
parti, dominate da Russia, Germania ed Austria; dei cinque figli
avuti, rimasero in vita ai Kolbe solo tre, Francesco, Raimondo e
Giuseppe.
fonda la “Milizia dell’Immacolata”
Raimondo divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a
Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università
Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico, venendo ordinato
sacerdote il 28 aprile 1918. Nel suo soggiorno romano avvennero due
fatti particolari, uno riguardo la sua salute, un giorno mentre
giocava a palla in aperta campagna, cominciò a perdere sangue dalla
bocca, fu l’inizio di una malattia che con alti e bassi
l’accompagnò per tutta la vita. Poi in quei tempi influenzati dal
Modernismo e forieri di totalitarismi sia di destra che di
sinistra, che avanzavano a grandi passi, mentre l’Europa si avviava
ad un secondo conflitto mondiale, Massimiliano Kolbe non ancora
sacerdote, fondava con il permesso dei superiori la “Milizia
dell’Immacolata”, associazione religiosa per la conversione di
tutti gli uomini per mezzo di Maria. Ritornato in Polonia a
Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a causa della malferma
salute, era praticamente inutilizzabile nell’insegnamento o nella
predicazione, non potendo parlare a lungo; per cui con i permessi
dei
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superiori e del vescovo, si dedicò a quella sua invenzione di
devozione mariana, la “Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo
numerose adesioni fra i religiosi del suo Ordine, professori e
studenti dell’Università, professionisti e contadini.
la deportazione, la libertà
e la nuova cattura
Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e padre
Kolbe, presagiva la sua fine e quella della sua Opera, preparando
per questo i suoi confratelli; infatti dopo l’invasione del 1°
settembre 1939, i nazisti ordinarono lo scioglimento di
Niepokalanow; a tutti i religiosi che partivano spargendosi per il
mondo, egli raccomandava “Non dimenticate l’amore”, rimasero circa
40 frati, che trasformarono la ‘Città’ in un luogo di accoglienza
per feriti, ammalati e profughi. Il 19 settembre 1939, i tedeschi
prelevarono padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo
di concentramento, da dove furono inaspettatamente liberati l’8
dicembre; ritornati a Niepokalanow, ripresero la loro attività di
assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 erano ebrei, ma
durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati
e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza
tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17
febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato. Dopo
aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un
abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il
28
maggio fu trasferito nel campo di sterminio ad Auschwitz. I suoi
quattro confratelli l’avevano preceduto un mese prima; fu messo
insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero 16670 e addetto
ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri al
crematorio.
si offrì di morire al posto
di un padre di famiglia
La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i
prigionieri, un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a
noi”. Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i
prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro
riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci
prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si
offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo
compagno di prigionia. La disperazione che s’impadronì di quei
poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera
comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si
rassegnarono alla loro sorte; morirono man mano e le loro voci
oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni non tutti erano
morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre
Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava
troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione
di acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio
dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto
1941. Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri
condannati, nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di
una delle più belle figure del francescanesimo della Chiesa
polacca. Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della
beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI. Il
10 ottobre 1982 è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II,
suo concittadino.
Da famiglia cristiana
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NOVENA DELL’ASSUNTA 6 – 14 AGOSTO
NEI GIORNI FERIALI
ore 10.00 S. Messa e Novena ore 18.00 S. Messa e Novena
LA FIACCOLATA DELL’ASSUNTA
Martedì 14 Agosto, vigilia dell’Assunta, alle ore 21.00
- PARTENZA DALLA CHIESA PARROCCHIALE
- CELEBRAZIONE DELLA S. MESSA AL CAMPO IN LOCALITÀ COI
- RITORNO ALLA CHIESA PARROCCHIALE
STAZIONE CON
CELEBRAZIONE
DELLA S. MESSA
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APPUNTAMENTI AGOSTO 2018
OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE.
ore 18.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.
OGNI LUNEDÌ ore 11.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E
CONFESSIONI.
OGNI GIOVEDÌ ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.
OGNI SABATO ore 18.00 - 19.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI.
5 AGOSTO GIORNATA DEL SEMINARIO
6 – 14 AGOSTO ORARIO NOVENA DELL’ASSUNTA GIORNI FERIALI ore
10.00 S. Messa e Novena - ore 18.00 S. Messa e Novena
MERCOLEDÌ 8 ore 20.30: INCONTRO DI PREGHIERA IN ONORE DI S.
ANTONIO
MARTEDÌ 14 VIGILIA DELL’ASSUNTA
ore 21.00: PROCESSIONE FIACCOLATA E S. MESSA.
MERCOLEDÌ 15 AGOSTO
SOLENNITÀ DELL’ASSUNTA
SANTE MESSE FESTIVE ore 7.00–8.30–10.00-11.15 - 19.00
VESPERO SOLENNE ore 17.00
GIOVEDÌ 16 S. ROCCO
A PAI ore 10.00 S. MESSA E PROCESSIONE
GIOVEDÌ 23 ore 20.30 S. MESSA A CRERO.
C E LEB R A ZIO N E D E LL A L IT UR GI A PARROCCHIA DI
TORRI
SANTE MESSE FESTIVE
SABATO ore 17.00 – 19.00
DOMENICA ore 7.00 - 8.30 – 10.00 – 11.15 – 19.00
SANTE MESSE FERIALI ORE 10.00 - 18.00
HEILIGER GOTTESDIENST
AN FESTTAGEN
Am Samstag 17.00 - 19.00 uhr
Am Sonntag 7.00 - 8.30 - 10.00 - 11.15 - 19.00 uhr
AM WERKTAGEN 10.00 - 18.00 uhr
MASSES
FESTIVE MASSES
Saturday 5.00 pm - 7.00 pm
Sunday 7.00 am - 8.30 am - 10.00 am - 11.15 am - 7.00 pm
WEEK MASSES 10.00 am - 6.00 pm
PARROCCHIA DI PAI
ORARIO FESTIVO
Sabato S. Messa ore 20.00 Domenica S. Messa ore 10.00
HEILIGER GOTTESDIENST
AN FESTTAGEN
Am Samstag 20.00 uhr Am Sonntag 10.00 uhr
MASSES
FESTIVE MASSES
Saturday 8.00 pm Sunday 10.00 am
Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio La
Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Anna Menapace
– Rosanna Zanolli.
Collaborazione fotografica: Mario Girardi Impaginato e stampato
da: Daniela Pippa
PIA PRATICA DEI PRIMI 5 SABATI DEL MESE: da Giugno a Ottobre
ogni primo sabato del mese alle ore 10.00 S. Messa in onore del
Cuore Immacolato di Maria