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Fede 2.0: Rimanere connessi con Dio fra Web Social e Nuove Tecnologie

Apr 06, 2016

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In un nuovo mondo digitale dove tutto scorre in maniera istantanea, siamo costantemente connessi a web e nuove tecnologie, non dobbiamo perdere la connessione più importante: quella con Dio.
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ADI MediaServizio Pubblicazioni delle “Assemblee di Dio in Italia”

ISBN 978-88-98846-21-4

9 788898 846214 € 8,50Via della Formica, 23 - 00155 Roma

Tel. 06 2251825 - 2284970 - Fax 06 [email protected] - www.adi-media.it

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Titolo originale:“iFaith - Connecting with Godin the 21st Century”© 2011 by Dan DarlingAll rights reserved Published by New Hope® PublishersP. O. Box 12065Birmingham, AL 35202-2065New Hope Publishers is a division of WMU®

Edizione italiana:“Fede 2.0 - Rimanere connessi con Diotra web, social e nuove tecnologie”© ADI-MediaVia della Formica, 23 - 00155 RomaTel. 06 2251825 - 2284970Fax 06 2251432Email: [email protected]: www.adi-media.it

Servizio Pubblicazioni delleChiese Cristiane Evangeliche"Assemblee di Dio in Italia"

Novembre 2014 - Tutti i Diritti Riservati

Traduzione: A cura dell'Editore. I.G.

Tutte le citazioni bibliche, a meno che non sia indicato diversamente, sono tratte dalla Bibbia Versione Nuova Riveduta - Ed. 1996Società Biblica di Ginevra - Svizzera

Stampa: Produzioni Arti Grafiche S.r.l. - ROMA

ISBN 978 88 98846 21 4

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INTRODUZIONE

Una generazione connessa

Verso la fine del 2008, il nuovo e storico presidente degliStati Uniti, mentre pianificava con cura il suo insediamentoalla Casa Bianca, dovette affrontare una questione vitale chenessuno dei suoi quarantatré illustri predecessori dovettemai fronteggiare in più di duecento anni di indipendenzaamericana. Di cosa poteva trattarsi?

Dello stato attuale del contingente in Iraq?Del collasso della finanza pubblica?Della scelta del miglior candidato a Ministro dell’Istru-

zione?No, il presidente Obama aveva questo dilemma: Dovrò

rinunciare al mio BlackBerry?Per quanto ne sapevano George Washington, Abraham

Lincoln e persino Ronald Reagan, blackberry (letteralmente“mora”, N.d.T.) altro non era che un frutto, dolce e aspro, checresce su un arbusto spinoso. Ma per Barack Obama era unaquestione di vitale importanza.

Obama è stato il primo presidente appartenente alla co-siddetta “connected generation”, abituata a vivere collegataa piccoli dispositivi che permettono di ricevere e fare chia-

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mate vocali, spedire email e messaggiare con persone sparseper tutto il mondo. Per problemi di sicurezza, tutela dellaprivacy e per la normativa vigente in materia di registrazionitelefoniche, gli esperti della sicurezza nazionale consiglia-rono al presidente di gettare il BlackBerry in un fiume.

Ma il “Comandante in Capo” (Obama stesso) vide realiz-zato il suo desiderio: poté tenere il suo BlackBerry, ora ul-trasicuro, criptato e fornitogli direttamente dalle forzemilitari statunitensi. In quell’occasione disse qualcosa chenon scorderemo mai: “Riusciranno a strappare il BlackBerrydalle mie mani soltanto quando saranno fredde e ormaimorte”.

Sinceramente, penso che sia stato un po’ eccessivo - masoltanto perché preferisco l’iPhone.

Cresciuti a messaggi istantanei

Notate: l’imbarazzante situazione del presidente Obama èla stessa in cui ci troviamo noi. Facciamo parte di una gene-razione costantemente connessa, siamo stati svezzati con ilcapitano Kirk e l’Enterprise, cresciuti a messaggi istantanei,cibi cotti al microonde e pannolini usa e getta, alimentaticon TV via satellite, navigatori GPS e check-in online.

Nei miei trent’anni o poco più, la vita sulla terra si è spo-stata dall’alta velocità alla velocità della luce. Usiamo email,chat, Facebook e Twitter. Mandiamo SMS, MMS, condivi-diamo video su YouTube e videochiamiamo con Skype. Ilnostro armamentario di dispositivi è in continua espansionee costante aggiornamento: rischia di esplodere per la quan-tità di dati che viaggiano alla velocità del pensiero.

Quando abbiamo una domanda, mandiamo un SMS.Quando cerchiamo una soluzione, ci tuffiamo nel web conla pretesa di una risposta immediata.

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Introduzione

In qualsiasi aspetto della nostra vita, dal cibo all’abbiglia-mento e alla famiglia, desideriamo una larghezza di bandamaggiore, foto a risoluzione più elevata, più velocità diupload e download. Quando possiamo optiamo sempre perla corsia più veloce e la cassa fai-da-te.

E se qualcosa non è disponibile nell’immediato, non ce nepreoccupiamo troppo. Perché nel giro di un mese Google oApple metteranno in commercio una “app” anche perquello.

Dio, Google e la Grazia

Attenzione! questo non è un libro che getta la tecnologia nelcestino e rimpiange il falso mito di un’era ormai passata,quando i panini costavano 50 lire, le mogli e i mariti non li-tigavano mai, la musica era sempre melodiosa e ognuno vi-veva serenamente come nella famiglia del Mulino Bianco.

Noi viviamo qui, ora, nel ventunesimo secolo. Credo fer-mamente che Dio abbia un proponimento anche per questomillennio. Inoltre, non dimenticate che i mitici anni cin-quanta non erano poi così favolosi come ci piace pensare.

Ad ogni modo, quale membro regolarmente iscritto aquesta Instant Generation, penso che dovremmo chiederci:“Che effetto ha avuto sulla nostra relazione con Dio tuttaquesta frenesia, questa rapidità, questa insopprimibile ap-prensione?”.

In un certo senso, un effetto l’ha avuto. Noi riceviamo - edesideriamo - informazioni e comunicazione. E risposte. Adogni quesito.

Prima dell’avvento dell’epoca moderna e tecnologica, ilmezzo principale di comunicazione era la lettera. Persinonei primi decenni del ventesimo secolo, era un fatto comunescrivere una lettera, considerando che il telegrafo o il tele-

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fono si usavano soltanto in casi di emergenza. Le lettereerano spesso toccanti, commoventi e dettagliate. Chi le scri-veva cercava di comunicare al meglio, date le ridotte possi-bilità. La lettera era stilata allo stesso modo in cui prendevaforma un capolavoro pittorico, soppesando con cura ogniparola e frase.

La fine del diciannovesimo secolo e i primi decenni delventesimo diedero inizio alla marcia del progresso e alla ra-pida accelerazione della comunicazione. Dal momento chel’utilizzo dei telefoni subì un notevole incremento, le letteresparirono quasi del tutto, e con esse anche la scrupolosascelta delle parole da usare.

La fine del ventesimo secolo giunse ben presto, portandocon sé il rapidissimo sviluppo di internet. L’antica arte delloscrivere lettere a mano venne riveduta e corretta in formadigitale.

Comunicare da città, nazioni e continenti lontani di-venne facile come un “click”. Senza biasimo potremmo so -stenere che le persone iniziarono a comunicare più diquanto non l’avessero fatto le generazioni precedenti.

Vent’anni fa, nessuno si sarebbe mai sognato di chiamareun amico in Sudafrica, sempre che non avesse avuto un se-condo lavoro per potersi pagare la chiamata intercontinen-tale. Adesso invece si può usare Skype, e non soltanto perparlare, ma anche per vedersi a faccia a faccia (il che può es-sere una cosa buona oppure no, tutto dipende dal fatto chetu stia facendo o no colazione quando l’altro decide di chia-marti).

Al giorno d’oggi la comunicazione attraversa le frontiere,i fusi orari e gli oceani. Apparentemente nessuno è mai ir-raggiungibile, non disponibile oppure offline.

Paradossalmente, il nostro senso di immediatezza rischiadi diventare un handicap. Lo sperimento in me stesso. Do-

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Introduzione

vendo preparare parecchi sermoni in una settimana, gestirela routine quotidiana di una piccola chiesa, scrivere libri e ar-ticoli e, non da ultimo, dovendo prendermi cura di una gio-vane famiglia, spesso mi ritrovo ad aver pochissimo tempo.Così quando arriva l’ora di pranzo, mi affretto verso la cucina,afferro un primo piatto congelato, concedendomi dieci mi-nuti per mangiare.

Mi dirigo verso il forno a microonde, ci butto dentro ilcibo precotto e chiudo lo sportello. Imposto il timer su dueminuti e premo “Start”. Tombola! la luce si accende e il piattorotante inizia a girare.

E poi aspetto.E aspetto.E aspetto ancora.Se sono dell’umore giusto e mi sento particolarmente pa-

ziente, aspetto altri trenta secondi dopo il bip. E finalmente,due minuti e mezzo più tardi, con un colpo deciso apro losportello.

Quei due minuti e mezzo mi sono sembrati due ore emezza. Non importa se i miei antenati per poter pranzaredovevano andare nel bosco, trovare un animale, ucciderlo,scuoiarlo, cucinarlo e, poi, mangiarlo.

Sono impaziente: non riesco ad aspettare due minuti emez zo perché il mio pranzo sia pronto!

La mia irritazione con il forno a microonde non è altroche un sintomo della nostra generazione. Siamo impazienti,esigenti e insofferenti: impazienti con gli elettrodomestici,esigenti nei confronti delle altre persone e insofferenti ancheverso Dio.

La nostra vita di preghiera funziona più o meno comeGmail. Spediamo email dopo email e con ansia aspettiamoil “ding” che porta la soddisfazione di una risposta imme-diata.

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Un altro libro sulla preghiera?

Due chiarimenti su ciò che questo libro non è. Non è l’en-nesimo manuale sulla preghiera scritto da una persona chespende cinque ore al giorno in meditazione e che ha capitoil significato profondo di “parlare con Dio”. Sarebbe ammi-revole, ma non sono io. Non è neppure un libro sul cometrovare l’illusorio equilibrio nella vita, facendosi crescere labarba, rinchiudendosi in un monastero e rinunciando adogni contatto con il mondo e la tecnologia.

Questo libro è un viaggio insieme a persone reali, vissuteai tempi della Bibbia, che non scrivevano SMS, non pubbli-cavano Tweet, non avevano sempre in tasca il BlackBerry ol’iPad, ma che avevano imparato a comunicare con Dio inmodo intimo ed efficace. Spero che la loro vita possa inco-raggiare anche noi oggi e ravvivare il nostro amore per il Si-gnore con insegnamenti spirituali dal valore eterno.

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NOTIFICA DI LETTURA Una storia dell’attesa

Fino a quando griderò, o SIGnorE, senza che tu mi dia ascolto? Io grido a te: «Violenza!» e tu non salvi.

ABACUC 1:2

non mi è mai capitato di incontrare un giovane che fossepaziente. Andiamo tutti di fretta. non ci piace aspettare che la porta girevole rallenti per entrare. La pazienza difficilmenteattecchisce e cresce in una società in cui non c’è mai tempo.Eppure, è una qualità essenziale che può svilupparsi solo conlunghi periodi di attesa.

CHUCK SWINDOLL

DI TANTO IN TANTO nella mia casella di posta compare unaemail con la notifica di lettura allegata, una funzione chemanda automaticamente un messaggio al mittente, comuni-candogli che, sì, ho messo da parte tutto il resto per concen-trarmi sulla tua importantissima missiva.

Queste notifiche mi infastidiscono e non poco. È forse ilbisogno morboso di avere tutto sempre sotto controllo? Op-pure è semplicemente il mio orgoglio che dice: “Potrei leg-

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CapitoloUNO

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gere l’email. Oppure no. Ma di certo non voglio farglielo sa-pere”. Così sappi che per me è una bella soddisfazione leg-gere il messaggio sullo schermo che mi propone di “inviare”o “non inviare” la notifica.

Puoi immaginare che cosa scelgo.C’è però un tipo di richiesta di notifica di lettura che mi

piacerebbe inoltrare. Peccato, però, che non esista. Mi piacerebbe richiedere una notifica di lettura a Dio.

Non lo vorresti anche tu? Una piccola nota che dice: “Haiascoltato la mia preghiera? E, in caso affermativo, gradiresticonfermarlo cliccando su questa casella? Grazie mille, il tuoumile servitore, Dan”.

Alcuni anni fa mia moglie Angela ebbe una serie sconcer-tante di problemi fisici. Per due anni la sua vita fu: visita dauno specialista, prenotazione di un esame, nuova visita dallospecialista, imbarazzanti “non-ho-idea-di-cosa-fare” dellospecialista, nuovo farmaco e poi nessun sollievo. Quelbrutto film continuava a ripetersi ancora, ancora e ancora,come se non arrivasse mai la parola fine.

Le tenebre di quegli anni mi costrinsero a riflettere sulmio modo di pregare.

Sappiamo che Dio ci ascolta. Sappiamo anche che Egli siprende cura di noi. Sappiamo, inoltre, che siamo importantiper Lui. Dopotutto, questo lo impariamo già il primo giornodi Scuola Domenicale.

Ma dov’è il Signore quando ne abbiamo più bisogno? Per-ché si fa attendere?

Quello che scoprii durante quel giro sulle montagne russenel parco giochi dell’incertezza fu questo: non eravamo iprimi cristiani che Dio faceva aspettare. Anzi, l’attesa è untema riprodotto spesso nella vita di grandi uomini e donneche hanno svolto un ruolo da protagonista sul grandeschermo delle Scritture.

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Notifica di lettura

Prendi ad esempio la famiglia di Abramo, il patriarca.Quali combattimenti lui e sua moglie dovettero sostenereper conciliare la sterilità di Sara con la promessa secondocui Dio avrebbe piantato in casa loro il seme di una grandenazione? Lo stesso nome “Abramo”, datogli da Dio, significa“padre di una moltitudine”. Immagina la derisione dei suoivicini, soprattutto in una cultura che attribuisce un’enormeimportanza alla fertilità. Il valore di un uomo lo si pesavasulla base delle dimensioni della sua famiglia, quello di unadonna sulla sua capacità di procreare.

Eppur, ogni anno, per venticinque anni, questa grandepromessa divina era disattesa. Venticinque anni di notti in-sonni e un senso di fallimento che rigava di lacrime leguance. Venticinque anni passati a rispondere alle domandedi amici e familiari con un sorriso di circostanza e un’alzatadi spalle.

Questi due fedeli credenti, che avevano lasciato tutto ciòche avevano a Ur, loro città natale, per seguire il Signore,dovettero subire l’umiliazione di essere sterili. Il presunto“padre di una moltitudine” non aveva figli.

E poi, finalmente, quando Abramo raggiunse l’età dicento anni e Sara di novanta, Dio rispose. Toccò il grembodi Sara e mantenne la Sua promessa. Nacque Isacco.

Tre generazioni più tardi al pronipote di Abramo, Giu-seppe, Dio parlò personalmente in sogno. Giuseppe al-l’epoca era molto giovane ed ebbe una serie di visioni. Capìche questi sogni erano una speciale chiamata di Dio per unruolo di guida. Per Giuseppe era tutto così incredibile, maper suo padre e i suoi fratelli non erano altro che le fantasiedi un ragazzino viziato.

Passarono tredici anni prima che Giuseppe vedesse larealizzazione di quei sogni. Durante quei tredici anni fuquasi ucciso dai suoi fratelli, venduto come schiavo in una

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nazione straniera, mandato in prigione con la falsa accusadi stupro e dimenticato da un amico che gli aveva promessodi mettere una buona parola per il suo rilascio. Finalmente,quando sembrava che Giuseppe fosse destinato a finire i suoigiorni nella solitudine e nella vergogna, dimenticato da tutti,ecco la svolta. All’età di trent’anni, attraverso circostanze chesoltanto Dio avrebbe potuto creare e guidare, il figlio, untempo il preferito di Giacobbe, ascese alla posizione di co-mando promessagli molto tempo prima, divenendo il primoministro egiziano.

Quelle stesse corti reali infransero i sogni e le aspirazionidi un altro ebreo. Nonostante fosse principe nella casa delfaraone, il cuore di Mosè ardeva a causa delle sofferenze delsuo popolo, Israele. Come discendenti di Giuseppe, gli israe-liti si erano stabiliti nella terra di Goscen e, generazionedopo generazione, si costituirono come una nazione nellanazione. La popolazione in continua crescita e l’influenzadegli Ebrei sulla cultura egiziana furono viste dal nuovo fa-raone come una seria minaccia al trono. Egli rispose nel-l’unico modo che i dittatori, minacciati di perdere il propriopotere, conoscano: una pesante oppressione.

Così Mosè abbandonò tutte le comodità del palazzo prin-cipesco e assunse il ruolo di liberatore. Avrebbe guidato il po-polo contro la sua stessa famiglia reale. Ma quando Mosè misein atto il suo piano, gli Ebrei rifiutarono la sua guida. Mosè fuinfatti costretto a fuggire dall’Egitto nell’umiliazione e nellavergogna. Rimase quarant’anni in un posto nel bel mezzo delnulla, lavorando come pastore di pecore, prima che Dioadempisse il Suo proposito per la sua vita rimandandolo inEgitto per condurre Israele fuori dal paese di schiavitù.

Dio elesse anche un altro conduttore del popolo d’Israeleda remoti pascoli di pecore. Davide, in giovane età, era unanonimo pastorello che nutriva un amore speciale per il Si-

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Notifica di lettura

gnore. Ma veniva trascurato dai suoi fratelli. Poi, un giorno,un uomo chiamato Samuele, profeta e sacerdote d’Israele,comparve sull’uscio della porta di casa di Iesse, padre di Da-vide. Guidato da Dio, aveva il compito di ungere il prossimore d’Israele.

Dopo aver passato in rassegna l’impressionante elencodegli eleggibili leader tra i figli di Iesse, senza ricevere alcunaapprovazione da parte di Dio, Samuele chiese se ci fossequalcun altro. Il padre timidamente accennò a un altro suofiglio. Il figlio dimenticato nei campi. Il figlio dello “speravo-che-tu-non-me-lo-chiedessi”.

Davide fu convocato quindi alla presenza di Samuele, ilqua le, guidato da Dio lo unse come futuro re d’Israele. Gran-dioso! e ora? Davide, ora te ne puoi tornare umilmente aituoi pascoli. Nessuna cerimonia d’incoronazione. Nessunacorona. Nessun trono.

All’età di sedici anni, ciò che Davide non sapeva era chesarebbero passati altri quattordici lunghi anni prima che po-tesse vedere quella corona, quel trono, quella cerimonia. Equello era soltanto il trono di Giuda. Altri sette anni e mezzosarebbero dovuti passare prima di poter regnare su tuttoIsraele.

L’attesa non è un tema esclusivo della teologia veterote-stamentaria. Mi ha sempre affascinato un argomento, tra gliinsegnamenti di Gesù, che passa spesso sotto silenzio.Quando Gli veniva chiesto di dimostrare la Sua divinità, ilMaestro rispondeva “l’ora mia non è ancora venuta” (Gio-vanni 2:4, 12:23). Egli resistette alla tentazione di rivelare Séstesso immediatamente, sottomettendosi invece alla tem-pistica perfetta della volontà del Padre.

Anche Paolo, il primo e più grande evangelista, fondatoredi numerose chiese al mondo, dovette fronteggiare un lungoperiodo d’attesa. Quando leggiamo il libro degli Atti degli

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apostoli e la lettera ai Galati, che riportano la trasformazionedi Paolo da nemico della croce a difensore della fede, spessotralasciamo gli anni di silenzio, che intercorrono tra l’espe-rienza sulla via di Damasco e l’inizio del suo ministerio iti-nerante. Le Scritture non rivelano quali fossero i pensieridell’apostolo Paolo durante quei momenti, ma posso imma-ginare questo ex-fariseo orgoglioso, ardere per l’attesa, bra-mando il giorno in cui avrebbe condiviso l’Evangelo con ilmondo intero.

Devi sapere che nessuno di questi fedeli credenti seppeaspettare con perfetta fiducia l’adempimento della volontàdi Dio. La Bibbia non è una raccolta antologica di santi qua-lificati ma, al contrario, è una testimonianza di uomini edonne ordinarie la cui fede fu fortificata nel crogiolo dellasala d’attesa divina. Proprio come noi, furono impazienti,tentarono di for zare la mano di Dio e spesso sbuffarono do-vendo seguire il passo calmo della Sua volontà.

L’attesa: il DNA della fede

Per circa cinquanta volte la Bibbia ci incoraggia ad aspettarepazientemente, perché l’attesa è il DNA della fede. La radicedella parola ebraica “fede” implica “attendere con ardenteaspettativa”. In altre parole: credere che, nonostante le avver-sità, Dio sarà fedele alla Sua promessa. Questo è un saperaspettare che comporta molto più che un pigro incrociare lebraccia. Significa rimanere saldo nella tua integrità, nei tuoivalori e nella tua fede nel Signore, persino quando le circo-stanze sembrano provare che Egli si sbagli. Si tratta di un’at-tesa desiderosa che scorre nel profondo della nostra anima.

Davide ne parla nel Salmo 27, scritto probabilmente du-rante gli anni d’angoscia che il futuro re visse fuggendo dallafolle rabbia di Saul. Nell’ultimo versetto Davide indica due

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Notifica di lettura

ingredienti indispensabili per una fede che sa aspettare: co-raggio e forza.

L’attesa rivela di che pasta siamo fatti, il coraggio di tenerduro e stringere i denti anche quando la logica vorrebbe farcimollare. È questo che sviluppa i nostri “muscoli spirituali”.

Chiedi a qualsiasi atleta professionista. Ti dirà che la re-sistenza non si raggiunge da un giorno all’altro (neppurenell’era degli steroidi e degli ormoni della crescita). La forzasi acquisisce con il tempo, dopo giorni, settimane, mesi eanni di duri allenamenti. Leggi le biografie degli atleti difama mondiale. Hanno tutte in comune le prime ore delgiorno passate in palestra, lavorando, insistendo e sudando.

I nostri anni di attesa sono la palestra di Dio, dove Luiforgia in noi un cuore sempre più forte. Questa crescita nonpuò essere preparata al microonde, con un breve tempo dicottura, né completata alla velocità dell’Enterprise. Una fededurevole si ottiene attraverso una disciplina quotidiana,svolta giorno dopo giorno, nel costante e diligente eserciziodella pietà (cfr. I Timoteo 4:8).

Lezioni apprese nella sala d’attesa divina

Credo di aver trascorso un’intera vita nelle sale d’attesa, acausa delle numerose visite specialistiche di mia moglie edelle inevitabili visite dal pediatra per i miei bambini. Ognivolta sorrido per la comicità della scena. Di corsa usciamoda casa, saltiamo in auto e premo fino in fondo il pedale del-l’acceleratore, ci fiondiamo nello studio medico… soltantoper sederci e aspettare. Meno male che tutti i nostri dottorisono abbonati a Sport Illustrated e newsweek. E comunque,se così non fosse, ho sempre il mio iPhone.

Ciononostante, le sale d’attesa mi agitano al pensiero diquello che dovrei fare e non posso. Il viaggio di ritorno a casa

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è sempre interessante. Angela ogni volta si deve sorbire lemie invettive contro l’istituzione medica che sembra semprescontrarsi con i miei programmi di lavoro.

Ho passato un tempo significativo anche nella sala d’attesadi Dio e, sebbene il materiale di lettura sia migliore (la Bibbiae dei buoni libri cristiani), la mia irrequietezza è sempre lastessa. Ricordo quando ero single, quante volte ho bramatoavere l’amore di una moglie. Elencavo tutti i servizi che avreipotuto svolgere se soltanto Dio avesse affrettato la Sua “tabelladi marcia” per il mio matrimonio. Eppure durante quegli anni,il Signore stava modellando il mio carattere e preparando unadonna speciale, Angela, in arrivo dal Texas, passando per laGermania, per fermarsi a Chicago e diventare mia moglie (èuna lunga storia, ma, se mai facessi tappa a Chicago, vienimia trovare e ti racconterò il miracolo per intero).

Forse oggi ti stai agitando nervosamente nella sala d’at-tesa divina. Forse perché sei alla ricerca di una soluzione adei problemi di salute. Oppure per via dell’impossibilità ditrovare lavoro in un mercato così chiuso. O nella speranzadi incontrare il vero amore. Il motivo per cui ci troviamo inquesta sala d’attesa è diverso per ciascuno di noi, nondimenolo scopo di Dio è sempre lo stesso.

Ho sempre trovato conforto nelle parole del semiscono-sciuto profeta Abacuc, vissuto ai tempi dell’Antico Testa-mento. Il suo grido angosciato: “Fino a quando?”, echeggiaanche nel mezzo delle suppliche dei nostri cuori impazienti.

Abacuc era un profeta, scelto da Dio, che si chiedevaquando il Signore avrebbe finalmente mantenuto le Sue pro-messe e avrebbe punito i malvagi e premiato i giusti. Le sueparole impazienti sembrano quasi lanciare una sfida all’On-nipotente: era in gioco la Sua stessa affidabilità.

Le risposte del Signore sono come delle medicine per uncuore che brama ricevere speranza:

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Notifica di lettura

• Quando Dio è in silenzio, è in azione. Dio disse ad Abacuc:“Guardate fra le nazioni, guardate, meravigliatevi e siatestupiti! Poiché io sto per fare ai vostri giorni un’opera, chevoi non credereste, nemmeno se ve la raccontassero”(Abacuc 1:5). Proprio nel momento in cui la preghiera diAbacuc si faceva disperata, il Signore stava suscitandol’armata babilonese come soluzione alla disubbidienza diIsraele. Allo stesso modo, anche quando noi ci troviamoin questa sala d’aspetto, quando tutto sembra dirci che laSua opera sia giunta a un punto morto, Dio è dietro lequinte e sta muovendo i personaggi e sistemando gli at-tori al posto giusto sul palcoscenico della nostra vita.

• La soluzione di Dio spesso arriva da una fonte inaspettata.Il metodo scelto dal Signore per punire Israele era del tuttoinatteso. Badate, i babilonesi erano ben peggiori di quantonon lo fossero gli israeliti stessi e, nonostante questo, rap-presentavano la soluzione di Dio alla disubbidienza delSuo popolo. Nell’immaginario di Abacuc i babilonesi nonpotevano essere alleati dell’Eterno. Tuttavia, anche lorosarebbero stati giudicati dal Signore, non prima però diessere usati come strumento di giudizio contro il Suostesso popolo. Che cosa possiamo imparare dalla rispostache Dio diede ad Abacuc? Molto spesso la soluzione ai no-stri problemi arriva da una fonte inaspettata. Il Signorenon è limitato dai nostri pregiudizi.

• I tempi di Dio sono perfetti. Egli, in altri termini, dichiaraal profeta (cfr. Abacuc 2:3) e anche a noi: “La mia volontàsarà eseguita al momento stabilito. Non prima. Né dopo.Se tarda, aspettala”. Il Signore non si affretta a rispondereper la nostra sollecitudine, né si fa impressionare dal no-stro esigere subito una risposta. Lui opera regolandosi

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con un orologio che non è mosso dalla frenesia del ven-tunesimo secolo.

• Dio è degno di essere adorato, a prescindere dalle circo-stanze in cui ci troviamo. Mi piace molto la risposta diAbacuc a Dio: “Infatti il fico non fiorirà, non ci sarà piùfrutto nelle vigne; il prodotto dell’ulivo verrà meno, icampi non daranno più cibo, le greggi verranno a man-care negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; maio mi rallegrerò nel SIGNORE, esulterò nel Dio della miasalvezza. DIO, il Signore, è la mia forza; egli renderà imiei piedi come quelli delle cerve e mi farà camminaresulle alture” (Abacuc 3:17-19). Dovremmo porci questedomande: adoreremo il Signore nelle sale d’attesa dellanostra vita? Oppure Lo loderemo soltanto dalla cimadelle montagne? Può un operaio cristiano lodare Dioanche quando gli viene consegnata la lettera di licenzia-mento? Può un single lodare il Signore anche quando nonc’è alcuna prospettiva di matrimonio? Può una coppiasterile lodare Dio quando non riesce a concepire? Può unpastore lodare Dio persino quando i fedeli abbandonanola comunità?

Aspettare è davvero nauseante, per una generazione abi-tuata a ricevere risposte immediate, risultati veloci e grati-ficazione istantanea. Dobbiamo invece imparare a sotto -mettere i nostri cuori all’onnipotenza di Dio che ci imponedi rallentare, perché l’attesa non è per niente tempo spre-cato. L’attesa è l’essenza della fede che piace a Dio.

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Notifica di lettura

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DOMANDE DI RIFLESSIONE

• Se il Signore intervenisse domani cambiando la tuasituazione, ciò ti aiuterebbe a fidarti maggiormente diLui? Farebbe di Lui un Dio migliore?

• In che modo tento di affrettare i tempi di Dio?• Questo mi aiuta? Oppure è un ostacolo?

APPROFONDIMENTI BIBLICI

• Abramo, Genesi 11-21;• Giuseppe, Genesi 30-47;• Mosè, Esodo 2, Atti 7, Ebrei 13;• Davide, I e II Samuele;• L’apostolo Paolo, Galati 2:1-10; Atti 9-28;• Abacuc, Abacuc 1-3.

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