1 STORIE IN CORSO VI. Seminario nazionale dottorandi Catania, 26-28 maggio 2011 www.sissco.it FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: RICCARDO LOMBARDI E LA SINISTRA ITALIANA DEL NOVECENTO di Luca Bufarale (Università degli studi di Padova - Scuola di dottorato in scienze storiche) Tutor: prof. Silvio Lanaro Oggetto, motivazioni della ricerca e contesto storiografico di riferimento “Scrivere storia è un atto di amicizia tra gli uomini; scrivere una biografia ne è forse l’esempio maggiore” 1 . L’incipit del recente libro di Piero Graglia dedicato alla vita di Altiero Spinelli ben si adatta anche al mio lavoro, che consiste in una biografia del dirigente azionista e poi socialista Riccardo Lombardi. Figura tra le più influenti del socialismo del dopoguerra – anche se spesso più sul piano culturale che su quello dell’agone politico – Lombardi (Regalbuto 1901 – Roma 1984) è stato spesso descritto come un “irregolare” della sinistra italiana o come la sua “coscienza critica” 2 . Nato in Sicilia da padre di origini toscane e madre siciliana, ingegnere di professione, Lombardi inizia la sua militanza giovanissimo nelle file della sinistra cattolica, prima nel Partito popolare e poi, dal 1921, nel piccolo Partito cristiano del lavoro. Antifascista della prima ora, collabora con la rete clandestina comunista, senza però mai iscriversi ufficialmente al partito, si avvicina successivamente a Giustizia e Libertà. Attivo nella Resistenza, diventa prefetto di Milano dopo il 25 aprile e nel dicembre 1946 entra nel primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti. Tra i fondatori del Partito d’Azione, vi tiene una linea considerata “centrista” (rispetto all’ala liberale di Parri e La Malfa e a quella socialista di Lussu) e ne diventa segretario nella sua ultima fase, dal congresso del febbraio 1946 sino allo scioglimento nell’ottobre 1947. Anziché disperdersi, come molti ex-azionisti, in formazioni minori, aderisce al Partito socialista di cui diventa, specialmente 1 Piero S. Graglia, Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 9. 2 Si veda ad es. il giudizio che ne dà Sircana: “per le sue posizioni spesso fuori dagli schemi e comunque mai condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, il L. venne rappresentato come un «socialista inquieto» e «coscienza critica della sinistra»”. Cfr. Giuseppe Sircana, Lombardi Riccardo, in AA. VV., Dizionario biografico degli italiani, vol. 65°, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1995, pp. 485 – 487.
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FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: … · FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: RICCARDO LOMBARDI ... Maurizio Degl’Innocenti, Giovanni Sabbatucci, Roma – Bari, Laterza, 1993,
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STORIE IN CORSO VI.
Seminario nazionale dottorandi
Catania, 26-28 maggio 2011
www.sissco.it
FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: RICCARDO LOMBARDI
E LA SINISTRA ITALIANA DEL NOVECENTO
di Luca Bufarale (Università degli studi di Padova - Scuola di dottorato in scienze storiche)
Tutor: prof. Silvio Lanaro
Oggetto, motivazioni della ricerca e contesto storiografico di riferimento
“Scrivere storia è un atto di amicizia tra gli uomini; scrivere una biografia ne è forse l’esempio
maggiore”1. L’incipit del recente libro di Piero Graglia dedicato alla vita di Altiero Spinelli ben si
adatta anche al mio lavoro, che consiste in una biografia del dirigente azionista e poi socialista
Riccardo Lombardi. Figura tra le più influenti del socialismo del dopoguerra – anche se spesso più
sul piano culturale che su quello dell’agone politico – Lombardi (Regalbuto 1901 – Roma 1984) è
stato spesso descritto come un “irregolare” della sinistra italiana o come la sua “coscienza critica”2.
Nato in Sicilia da padre di origini toscane e madre siciliana, ingegnere di professione, Lombardi
inizia la sua militanza giovanissimo nelle file della sinistra cattolica, prima nel Partito popolare e
poi, dal 1921, nel piccolo Partito cristiano del lavoro. Antifascista della prima ora, collabora con la
rete clandestina comunista, senza però mai iscriversi ufficialmente al partito, si avvicina
successivamente a Giustizia e Libertà. Attivo nella Resistenza, diventa prefetto di Milano dopo il 25
aprile e nel dicembre 1946 entra nel primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti. Tra i
fondatori del Partito d’Azione, vi tiene una linea considerata “centrista” (rispetto all’ala liberale di
Parri e La Malfa e a quella socialista di Lussu) e ne diventa segretario nella sua ultima fase, dal
congresso del febbraio 1946 sino allo scioglimento nell’ottobre 1947. Anziché disperdersi, come
molti ex-azionisti, in formazioni minori, aderisce al Partito socialista di cui diventa, specialmente
1 Piero S. Graglia, Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 9.
2 Si veda ad es. il giudizio che ne dà Sircana: “per le sue posizioni spesso fuori dagli schemi e comunque mai
condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, il L. venne rappresentato come un
«socialista inquieto» e «coscienza critica della sinistra»”. Cfr. Giuseppe Sircana, Lombardi Riccardo, in AA. VV.,
Dizionario biografico degli italiani, vol. 65°, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1995, pp. 485 – 487.
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dopo la svolta “autonomista” del 1956, uno dei leader principali. Considerato spesso all’inizio degli
anni sessanta un “destro” per la sua linea favorevole al centro-sinistra e per il suo autonomismo
rispetto al Partito comunista (ma duramente attaccato anche dalla destra economica per la
nazionalizzazione dell’energia elettrica e la riforma urbanistica da lui sostenute), verrà poi
etichettato come “sinistro” quando, come animatore della corrente della “sinistra socialista”, oppone
alla linea del compromesso storico seguita dal PCI di Berlinguer quella di un’alternativa di sinistra
nel segno di un socialismo “autogestionario” in risposta alla crisi del capitalismo degli anni settanta.
Sempre più isolato, di fatto, all’interno del PSI in seguito al consolidamento della leadership di
Craxi, Lombardi continua però ad essere sino alla fine un punto di riferimento per il dibattito sul
futuro della sinistra italiana ed europea.
Il mio interesse per questo personaggio, maturato a partire da una ricerca sul periodo del centro-
sinistra, si è concretizzato con la tesi di laurea specialistica, incentrata sul suo operato negli anni tra
il 1956 e il 19663, e prosegue ora con il lavoro di dottorato che mira ad una ricostruzione
complessiva del suo pensiero e della sua azione politica. Se si eccettua una biografia della Mafai4,
scritta quando Lombardi era ancora vivente, e un libro di carattere soprattutto encomiastico uscito
di recente5, non esistono ancora studi complessivi su di lui. A partire, però, da un convegno del
2002 i cui atti sono stati pubblicati6, è rinato un certo interesse per la sua figura che ha coinvolto
studiosi come Andrea Ricciardi e Giovanni Scirocco, già impegnati in ricostruzioni sull’azionismo,
il centro-sinistra e la storia del PSI. Alla fine del 2009, in occasione del 25esimo anniversario dalla
scomparsa, si è tenuto un nuovo convegno a Torino7, al quale ho preso parte. Attualmente è in corso
anche un’altra tesi di dottorato su Lombardi, centrata sul periodo 1947 – 19668.
Il lavoro che sto svolgendo si caratterizza per focalizzarsi, più che sugli aspetti propriamente
politici, sull’evoluzione del pensiero di Lombardi. E’ mio intento, in particolare, ricostruire
soprattutto la formazione politico-culturale e l’attività nel periodo che va dagli anni venti agli anni
quaranta, una fase che risulta – se si eccettua un pregevole studio di Emanuele Tortoreto e un
3 Luca Bufarale, Riccardo Lombardi e il centro-sinistra, tesi di laurea in Storia d’Europa, Università degli studi di
Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2007/08, relatore prof.ssa Mariuccia Salvati, correlatore prof.ssa Francesca
Sofia. 4 Miriam Mafai, Lombardi, Milano, Feltrinelli, 1976. Il libro è stato ristampato nel 2009 a cura della casa editrice
romana Ediesse. 5 Carlo Patrignani, Lombardi e il fenicottero, Roma, L’Asino d’oro, 2009.
6 Andrea Ricciardi – Giovanni Scirocco (cur.), Per una società diversamente ricca. Scritti in onore di Riccardo
Lombardi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2004. 7 Riccardo Lombardi nel 25esimo anniversario della sua scomparsa, Torino, Camera del Lavoro, 7 novembre 2009. Gli
atti del convegno, organizzato dall’Associazione nazionale Riccardo Lombardi presieduta da Nerio Nesi, sono in corso
di pubblicazione. 8 Si tratta del lavoro del dott. Tommaso Nencioni, dottorando della facoltà di Scienze politiche dell’Università degli
studi di Bologna (tutor prof. Piero Craveri).
3
contributo di Giovanni De Luna9 – assai meno studiata rispetto al centro-sinistra
10, anche a causa
della difficoltà, come spiegherò meglio successivamente, di reperire il materiale documentario.
Ciò che mi ha da subito affascinato di Lombardi è stata la sensazione della sua irriducibilità ai
filoni prevalenti nella sinistra dell’Italia repubblicana, che rende la sua figura difficilmente
descrivibile sulla base di molte categorie consolidate dell’analisi politica corrente11
.
Schematizzando un poco potremmo dire che la sinistra italiana dal dopoguerra almeno sino agli
anni settanta è essenzialmente riconducibile a quattro tradizioni: il filone comunista del “partito
nuovo” togliattiano, la tradizione del socialismo riformista che si rifà a Turati e a Prampolini (anche
nella sua accezione più “giacobina” di Pietro Nenni), l’area del “liberalismo di sinistra” di
ascendenza salveminiana (ad es. Ernesto Rossi) e, infine, un filone “rivoluzionario” che trae origine
spesso dal socialismo di sinistra (Panzieri) o da esperienze eretiche del comunismo (l’USI di
Magnani) per poi confluire in vario modo nella “nuova sinistra” emersa con il Sessantotto.
L’esperienza politica di Lombardi ha in un certo senso incrociato tutti e quattro i filoni di pensiero,
senza poter essere ricondotta ad uno solo di questi. La definizione di “atipico” cui si fa riferimento
nel titolo della tesi si giustifica in vari modi. Innanzitutto per il suo stesso percorso politico, che lo
9 Emanuele Tortoreto, La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949, Genova, Edizioni di Movimento operaio e
socialista, 1972. Per una riflessione generale su Lombardi e il Pda cfr. Giovanni De Luna, Riccardo Lombardi e il
Partito d’Azione, in Ricciardi – Scirocco, op. cit., pp. 29 – 37. Lo stesso De Luna, però, nella sua fondamentale storia
dell’azionismo dedica relativamente poco spazio a Lombardi e, in generale, a tutta la fase finale del partito in cui
Lombardi è segretario (ossia dal congresso del febbraio 1946 allo scioglimento nell’ottobre 1947), ritenendo che il PdA
fosse già virtualmente “finito” nel febbraio 1946 con la scissione dell’ala di Parri e La Malfa. Cfr. De Luna, Storia del
Cfr. Emanuele Tortoreto, Riccardo Lombardi e le relazioni internazionali dalla Resistenza al 1957, in Ricciardi –
Scirocco, op. cit., pp. 39 – 60. 15
Luca Polese Remaggi, La nazione perduta. Ferruccio Parri nel Novecento italiano, Bologna, Il Mulino, 2004; Piero
Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006; Francesco Barbagallo, Enrico Berlinguer, Roma, Carocci, 2007;
Andrea Ricciardi, Leo Valiani. Gli anni della formazione: tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica,
Milano, Angeli, 2007; Paolo Soddu, Ugo La Malfa. Il riformista moderno, Roma, Carocci, 2008; Piero S. Graglia,
Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008.
5
biografia diventa così il mezzo privilegiato per trattare degli argomenti che vanno molto al di là del
singolo e che, tuttavia, possono essere sviscerati meglio attraverso un approccio che parte da una
storia individuale. Del resto, a prescindere dall’oggetto studiato, il compito di qualsiasi storico non
consiste proprio nel generalizzare delle domande che abbiano sempre delle risposte locali?16
Scrivere una biografia: alcune questioni epistemologiche e di metodo
La realizzazione di un lavoro storiografico, di ogni tipo e su qualsiasi tema esso sia, pone sempre
delle questioni di carattere metodologico ed epistemologico, riguardanti, ad esempio, il rapporto tra
il singolo individuo e il contesto in cui opera oppure il peso dei condizionamenti dell’epoca in cui lo
storico vive rispetto alla definizione del suo oggetto di studio. Nel caso della biografia, però, ho
l’impressione che tali problematiche si avvertano ad un livello più alto. Prima di illustrare i
problemi relativi alle fonti e alla struttura del lavoro, mi sembra utile, quindi, proporre qualche
riflessione su ciò che comporta in termini di metodo il “fare storia” attraverso lo strumento
biografico.
Nell’introduzione ad una tavola rotonda sul rapporto tra storici e biografia apparsa recentemente
sull’American Historical Review lo studioso americano David Nasaw fa notare come ciò che
distingue l’approccio dello storico al genere biografico è il valore attribuito alle interrelazioni tra la
vita della persona oggetto della ricerca e il mondo politico, sociale e culturale in cui si svolgono le
sue vicende17
. L’individualità ineliminabile del singolo non costituisce dunque per lui un a priori
ma, al contrario, un qualcosa che si definisce in base ad uno scarto rispetto alle idee prevalenti, alle
strutture politiche e all’ambiente sociale di un certo periodo. Il soggetto individuale, insomma, è sì
il prodotto di un’epoca storica ma è anche colui che si distacca in qualche maniera dal suo tempo e
che, all’interno delle circostanze in cui gli è dato operare, aggiunge sempre un elemento di novità.
Nasaw riprende a questo proposito una celebre frase dell’Ideologia tedesca di Marx ed Engels: “le
circostanze creano gli uomini allo stesso modo in cui gli uomini creano le circostanze”18
.
Il tipo di rapporto tra il singolo e il contesto così come esso emerge da una biografia dipende da
vari fattori. In primo luogo, naturalmente, vi sono le caratteristiche dell’epoca analizzata e del
materiale usato come fonte. Una componente fondamentale, però, è dovuta allo stesso approccio
scelto, in modo più o meno consapevole, dallo storico. In uno studio apparso sulle Annales nel 1989
Giovanni Levi, uno dei fondatori in Italia della “microstoria”, distingue almeno quattro tipi di
biografia, utilizzando come criterio principale il differente rapporto che si instaura tra il
16
Devo questa indicazione di metodo ad una lezione del prof. Giovanni Levi durante il ciclo di seminari del dottorato in
scienze storiche dell’Università degli studi di Padova. 17
David Nasaw, Introduction to Historians and Biography, AHR Roundtable, in “American Historical Review”, june
2009, pp. 573 – 578. Ringrazio la prof.ssa Carlotta Sorba dell’Università di Padova per avermi segnalato il testo. 18
Ibid., p. 578.
6
“particolare” del caso singolo e il “generale” dell’epoca storica19
. Nel primo tipo, la biografia
modale, lo studio di un individuo ha soprattutto lo scopo di fornire dati che mostrino i
comportamenti statisticamente più frequenti in un dato periodo e in un determinato gruppo sociale:
in questo caso la biografia sconfina nella prosopografia. Il secondo livello è costituito dai lavori
fondati primariamente sull’analisi del contesto, del milieu socio-culturale di appartenenza del
personaggio studiato. In certe situazioni tale analisi si rivela necessaria per comprendere alcuni
atteggiamenti del singolo che apparirebbero inesplicabili senza un riferimento alle pratiche culturali
dell’epoca: è il caso di molti studi di “microstoria” (l’autore cita il volume di Nathalie Zemon-
Davies su Martin Guerre, il contadino-impostore della Francia del XVI secolo20
) In altri, lo studio
del contesto serve a colmare vere e proprie lacune documentarie: Levi fa, a questo proposito,
l’esempio del libro di Franco Venturi sugli anni giovanili di Diderot, in cui lo storico ha dovuto
procedere quasi sempre senza l’ausilio di documentazione diretta21
. Nei due casi,
indipendentemente dall’originalità del singolo, è il sistema sociale nel suo insieme a prevalere
sull’individualità. La situazione cambia per quelle biografie che si concentrano sui cosiddetti casi-
limite: qui il contesto non appare più come qualcosa di esaustivo o di totalizzante, ma come un
campo di relazioni “aperto” che lascia al singolo dei margini a prima vista insospettabili di libertà.
Non sempre un approccio di questo tipo conduce per forza ad una restaurazione di quella storia
delle “grandi individualità” o, per dirla con Hegel, del ruolo dei “personaggi cosmico-storici” che la
storiografia dell’ultimo secolo e mezzo, concentratasi più sui “sistemi” istituzionali, socio-
economici o culturali, ha giustamente ridimensionato. In certi autori il caso-limite può servire,
molto meglio del caso-tipo, a ricostruire un aspetto “generale” di una società, come avviene per la
bizzarra visione del cosmo del mugnaio friulano Menocchio che, nella ricostruzione storica operata
da Carlo Ginzburg, permette di comprendere meglio la cultura popolare contadina del
Cinquecento22
. Nell’ultimo tipo di biografia preso in considerazione, ad essere centrale è l’atto
interpretativo stesso dello storico, ovvero l’ “attribuzione di un senso ad un atto biografico che
poteva riceverne un’infinità di altri”: mentre nel primo esempio la biografia sfocia nella
prosopografia, qui tende a sconfinare nell’ermeneutica, con risultati, secondo Levi, spesso
pericolosamente relativistici23
.
19
Giovanni Levi, Les usages de la biographie, in “Annales E. S. C.”, novémbre-decémbre 1989, pp. 1325 – 1336. 20
Natalie Zemon-Davies, Il ritorno di Martin Guerre: un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento,
Torino, Einaudi, 1984, con una postfazione di Carlo Ginzburg (ediz. orig. The return of Martin Guerre, Cambridge,
MA, Harvard University Press, 1983). 21
Franco Venturi, La giovinezza di Diderot 1713-1753, Palermo, Sellerio, 1988 (ediz. orig. Jeunesse de Diderot de
1713 à 1753, Paris, Skira, 1939). 22
Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1976. 23
Levi, art. cit., p. 1332.
7
La conclusione a cui perviene lo studioso italiano è che la biografia costituisce “il luogo ideale per
verificare il carattere interstiziale – e nondimeno importante – della libertà di cui dispongono gli
agenti, così come per osservare il modo in cui funzionano concretamente dei sistemi normativi che
non sono mai esenti da contraddizioni”24
. Il problema del rapporto tra il singolo e le strutture
politiche o sociali in cui è inserito non dipenderà tuttavia solo dal soggetto studiato e dalla
documentazione disponibile ma anche dal punto di vista adottato dallo storico, il quale, a seconda
sia del fine che si ripromette sia del suo sguardo rispetto al periodo storico studiato e delle fonti
utilizzate, potrà accentuare maggiormente la dipendenza del soggetto dal suo contesto di riferimento
o viceversa. Nel caso della biografia su Lombardi il tentativo sarà proprio quello di appurare volta
per volta che tipo di relazione si instaura tra le vicissitudini del singolo, le vicende dei partiti di cui
ha fatto parte e gli avvenimenti del quadro politico e sociale, evitando sia di slegare Lombardi dal
contesto sia di schiacciarlo troppo su di esso rischiando così di togliergli qualsiasi “atipicità”.
Torniamo ora per un momento all’interrogativo iniziale. Se il rapporto singolo-contesto non è
definito a priori ma si costruisce a posteriori sulla base delle domande poste dallo storico, occorre
chiedersi che tipo di relazione si instaura tra quest’ultimo e l’oggetto studiato. Sappiamo bene come
la storiografia dei due secoli passati abbia continuamente oscillato tra una posizione “positivista”
che persegue, almeno tendenzialmente, l’annullamento dell’intervento soggettivo dello storico in
modo da riportare documenti ed eventi “tali quali essi sono”, e un’attitudine più “idealista” o
“storicista” che sottolinea il ruolo imprescindibile della soggettività nell’atto di comprendere
(verstehen) e di ricostruire la realtà storica. Negli anni sessanta e settanta del Novecento il dibattito
tra le due posizioni si è incarnato, in un certo senso, nella contesa tra strutturalismo e storia
quantitativa da un lato e metahistory, ermeneutica e storia orale dall’altro. Michel De Certeau, forse
uno degli studiosi che ha maggiormente cercato di uscire dall’impasse proponendo le basi per una
nuova epistemologia storica, ha mostrato come la storia sia costitutivamente una disciplina a metà
strada tra science (nella misura in cui istituisce una frattura, una coupure, tra lo studioso e ciò che è
sottoposto ad analisi) e fiction (dal latino fingere inteso nel suo significato proprio di “foggiare” o
“fabbricare”): se da un lato si tende comprensibilmente a minimizzare la portata dell’intervento
dello storico nella ricostruzione degli eventi, dall’altro tale coupure tra soggetto e oggetto non è mai
assoluta e l’aspetto soggettivo tende comunque a ripresentarsi. La storiografia, insomma, non
costituirà mai lo “specchio” della realtà esterna, né potrà fare a meno di interrogarsi sul “luogo” da
cui sta parlando: se lo facesse, finirebbe col negare i suoi stessi principi costitutivi lasciando una
“zona d’ombra” nella sua attività e rischiando di ricadere nella “falsa coscienza” dell’ideologia25
.
24
Ibid., pp. 1333 – 1334. 25
Espongo qui, in estrema sintesi, solo alcune delle tesi sostenute dallo storico e antropologo francese. Cfr. Michel De
Certeau, La scrittura della storia, Roma, Il pensiero scientifico, 1977 (ediz. orig. L’écriture de l’histoire, Paris,
8
Forse niente meglio di una biografia dimostra non soltanto l’impossibilità ma anche l’inutilità di
fare storia in modo puramente oggettivo, senza un intervento attivo del soggetto. Ricostruire la
vicenda complessiva di un personaggio politico come Lombardi porta inevitabilmente ad avere una
certa simpatia nei suoi confronti (nel senso greco di συν-πάζω, condivisione di sentimenti): ciò
avviene anche indipendentemente dal fatto che vi sia o meno una condivisione da parte dello storico
degli ideali della persona in questione. Esistono, però, a mio avviso due pericoli da evitare se si
vuole mantenere il rapporto soggetto-oggetto sui giusti binari. Un primo rischio può generarsi a
partire da un eccessivo schiacciamento dello storico rispetto all’oggetto di studi. Si arriva così a
“monumentalizzare” il personaggio in esame o a fare una storia “antiquaria”, aneddotica, incapace
di “interrogare” le vicende del personaggio a partire da alcune problematiche di fondo e dunque di
restituire al personaggio stesso il necessario spessore. Tale rischio è presente soprattutto quando si
maneggiano fonti come memorie o diari e diventa anche più forte in presenza delle autobiografie in
cui l’autore ricostruisce, quasi sempre ex post, le vicende di cui è stato protagonista fornendo la sua
personale versione dei fatti. Questo materiale, se non confrontato con documenti di altro tipo, oltre a
fornire ricostruzioni degli eventi non sempre attendibili al cento per cento, può indurre lo storico a
limitarsi ad una ricezione passiva di ciò che il personaggio ha voluto tramandare di sé. Il secondo
tipo di problema scaturisce, all’opposto, dalla propensione ad usare la biografia del personaggio
quasi come un pretesto per rispondere ad alcuni interrogativi più generali, accentuando oltremisura
il protagonismo dello storico. Il difetto di questa impostazione è una malcelata tendenza a giudicare,
a “fare il processo” al personaggio stesso, confrontandolo con altre personalità e mettendo in luce la
supposta maggiore o minore arretratezza del suo atteggiamento rispetto a un dato evento o processo
storico26
.
Nella ricerca su Lombardi mi è capitato spesso di fare i conti con questi due rischi. Se il primo
risulta almeno parzialmente neutralizzato, come dirò poi, dalla mancanza di una fonte come
l’autobiografia, non altrettanto posso dire per il secondo.
Le fonti
Condurre una ricerca su Lombardi implica affrontare alcune difficoltà innanzitutto nel reperimento
del materiale, specialmente per il periodo che va dagli anni venti alla prima metà degli anni
cinquanta. Nel fondo Riccardo Lombardi, depositato in parte da lui stesso e in parte dai figli dopo la
Gallimard, 1975); Id., Storia e psicoanalisi: tra scienza e finzione, Torino, Boringhieri, 2006 (ediz. orig Histoire et
psycanalyse entre science et fiction, Paris, Gallimard, 1987). Cfr. su questi temi anche il recente libro di Sabina Loriga,
Le petit X. De la biographie à l’histoire, Paris, Éditions du Seuil, 2010, soprattutto pp. 247 – 272. 26
Ho ripreso qui la categorizzazione operata da Nietzsche nella “seconda inattuale” sulla differenza tra storia
monumentale, antiquaria e critica. Cfr. Friedrich Nietzsche, Sull' utilità e il danno della storia per la vita, Milano,
Adelphi, 1974.
9
sua morte e conservato presso la Fondazione di Studi storici Filippo Turati di Firenze, la maggior
parte della documentazione risale infatti agli anni successivi al 1964. Del periodo precedente sono
conservati soltanto alcuni discorsi inediti, vari appunti, materiale a stampa ed un epistolario non
molto cospicuo (una scelta di documenti relativa agli anni 1943-1947 è stata pubblicata a cura di
Andrea Ragusa27
). Ho dovuto procedere, quindi, ad un’ampia ricognizione di fondi di personaggi o
enti che abbiano avuto rapporti particolari con Lombardi e nei quali sia reperibile documentazione
da lui prodotta o che lo riguardi. Oltre all’Archivio di Stato (Casellario politico centrale e altre fonti
di polizia) prezioso specialmente per gli anni trenta, ho consultato soprattutto archivi di personalità
politiche del Partito socialista, come il fondo Nenni dell’Archivio centrale dello Stato o il fondo
Francesco De Martino all’Archivio storico del Senato o archivi di partito come il fondo della
Direzione del PSI conservato alla Fondazione Turati. Vi ho potuto reperire lettere, interventi di
Lombardi alla Direzione del partito, circolari ecc. Per il periodo del primo centro-sinistra e, in
particolare, per le vicende della nazionalizzazione dell’energia elettrica ho utilizzato anche il fondo
Ugo La Malfa all’ACS e il fondo Fanfani all’Archivio del Senato. Per la fase successiva al 1964 ho
integrato il materiale del fondo Lombardi con quello del fondo privato di Nerio Nesi (che ringrazio
per la cortesia e la fiducia accordatami) e dei fondi Arialdo Banfi ed Emanuele Tortoreto conservati
all’Istituto storico dell’età contemporanea di Sesto S. Giovanni. Più laboriosa è stata la ricerca per il
periodo del Partito d’Azione data la dispersione del materiale in un vari archivi differenti, dai fondi
Canetta, Rollier e Pischel dell’INSMLI di Milano ai fondi Schiavetti Ramat e Codignola all’ISRT
di Firenze sino all’archivio del PdA conservato presso l’ISTORETO di Torino.
Lombardi, del resto, non ha lasciato diari o memorie autobiografiche né si è mai peritato di
conservare sistematicamente un epistolario. Alla giornalista Miriam Mafai, che lo intervista alla
metà degli anni settanta, confida di aver rifiutato le proposte, pervenutegli da più parti, di scrivere la
sua autobiografia.
Sono cose turpi i ricordi […] non tengo nemmeno diari. Mai tenuti. E’ una vecchia abitudine cospirativa,
quella di non lasciare mai traccia di niente28
In realtà Lombardi si è spesso soffermato a rievocare, specialmente in interviste e relazioni ai
convegni, singoli episodi di vicende che lo riguardano negli anni giovanili e non si è mai sottratto
alle richieste da parte di compagni di partito o di storici di fornire puntuali resoconti che potessero
far luce su determinati eventi difficilmente ricostruibili con la sola documentazione archivistica. La
27
Riccardo Lombardi. Lettere e documenti (1943 – 1948), a cura di Andrea Ragusa, Manduria – Bari – Roma, Lacaita,
1998. 28
Mafai, op. cit., p. 12.
10
sua propensione a rilasciare soltanto testimonianze su singoli avvenimenti evitando di cimentarsi in
una biografia complessiva non è affatto, quindi, il segno di un disinteresse nei confronti della
ricerca storiografica o di una resistenza personale a rievocare il proprio passato, ma è dovuta
probabilmente alla sua radicata antipatia per ogni forma di retorica autocelebrativa. Ai nostri fini,
tuttavia, la mancanza di un profilo biografico per il periodo pre-1943 non costituisce
necessariamente un male: se da un lato ciò rende senza dubbio difficile o impossibile ricostruire
alcuni eventi su cui la documentazione archivistica è scarsa o inesistente, dall’altro permette di
avere un’immagine di Lombardi forse più autentica e soprattutto più interessante storiograficamente
di quella che si avrebbe in presenza di una sua autobiografia, proprio perché meno vincolata ad una
rievocazione ex post dello stesso protagonista. Come accennavo prima, infatti, le autobiografie,
specialmente se scritte a distanza di molto tempo, sono spesso influenzate da giudizi espressi “col
senno di poi” dall’autore, con il rischio che ciò si rifletta anche nel lavoro dello storico che le
esamini come fonte primaria.
Un problema simile, del resto, mi si è presentato per quel tipo di fonte costituito dalle
testimonianze su Lombardi rilasciate da persone che lo hanno conosciuto o che hanno collaborato
con lui. In alcuni casi si tratta di interviste o interventi specifici su Lombardi o su alcuni aspetti
delle vicende che lo riguardano (la Resistenza, il centro-sinistra ecc.), in altri di notizie reperite in
libri o memorie a carattere autobiografico, come per “Il cavallo e la torre” di Foa29
o per le “Lettere
a Marta” di Antonio Giolitti30
. Questa documentazione è spesso molto preziosa: in alcuni casi si
rivela addirittura indispensabile per ricostruire eventi su cui non esistono fonti di altro tipo (ad
esempio un’intervista di Adolfo Tino del 1967 apparsa poi sugli “Annali dell’Istituto La Malfa” è
uno dei pochi documenti che attestino la partecipazione di Lombardi alle prime riunioni del Partito
d’Azione milanese nel 194231
); in altri, è utile nella misura in cui fornisce un giudizio esterno su
determinate scelte e idee del personaggio studiato che aiutano a problematizzare meglio la sua
figura (è il caso delle interviste curate da Ricciardi a protagonisti del centro-sinistra quali Foa,
Trentin, Ruffolo, Giolitti e Nesi32
). Anche questo tipo di fonti, però, non è esente dai limiti
riscontrati in precedenza nelle memorie e negli scritti autobiografici, ovvero la tendenza agli
anacronismi e alle valutazioni “col senno di poi”. Talvolta può capitare che testimonianze di diversi
autori riportino dati difformi su uno stesso avvenimento, come avviene, ad esempio, per la
29
Vittorio Foa, Il cavallo e la torre: riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991. 30
Antonio Giolitti, Lettere a Marta: ricordi e riflessioni, Bologna , Il mulino, 1992. 31
Adolfo Tino, Intervista sul Partito d’Azione, a cura di Ugo La Malfa e Luisa La Malfa Calogero, in “Annali
dell’Istituto Ugo La Malfa”, vol. 1°, 1985, p. 533. L’intervista risale al 2 gennaio 1967. 32 Giorgio Ruffolo, Centro-sinistra anni sessanta. Le avanguardie sconfitte, intervista a cura di Andrea Ricciardi, “Il
Ponte”, marzo 2000; Antonio Giolitti, Genesi e declino del primo centro-sinistra, ibid., aprile 2000, pp. 85 – 115;
Vittorio Foa – Pino Ferraris, Figure e discrasie nel socialismo degli anni cinquanta-sessanta, ibid, maggio 2000, pp. 95
– 124; Nerio Nesi, Riccardo Lombardi e il centro-sinistra, ibid., dicembre 2001.
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partecipazione di Lombardi al congresso clandestino del Partito d’Azione a Firenze il 5 e il 6
novembre, confermata da Ragghianti ma non da Enriquez Agnoletti e negata da Lussu33
. In altri, il
problema riguarda le spiegazioni che vengono date degli eventi stessi. Una fonte preziosa ma da
prendere in considerazione con cautela è costituita dalla memorialistica di Vittorio Foa,
specialmente di quella dagli anni ottanta in poi. In molti di questi libri, scritti dopo un periodo di
crisi politica e personale seguita alla stagione del terrorismo e del riflusso delle lotte operaie in cui
l’autore ha rivisto molte sue posizioni, si ritrovano ricostruzioni e valutazioni di eventi passati che
risentono fortemente del suo mutato giudizio. Per fare un esempio, nel già citato “Il cavallo e la
torre” Foa spiega la decisione sua e di Lombardi di far confluire ciò che restava del Partito
d’Azione nel Partito socialista ricordando il fascino che esercitava in loro Lelio Basso, sostenitore
in quel periodo di una linea anti-socialdemocratica (ovvero contro il PSLI di Saragat staccatosi in
seguito alla scissione del gennaio 1947) ma al tempo stesso antistalinista34
. In realtà, se si
analizzano le fonti primarie, e in particolare i verbali della Direzione del PSI e del Comitato
esecutivo del PdA si vede come le posizioni di Lombardi e di Foa sono in generale molto diverse da
quelle di Basso e come i due fossero assai più dubbiosi sulla strada da prendere di quanto non lasci
trasparire Foa, mentre è proprio Basso, pur consapevole delle differenza di vedute rispetto agli
azionisti, a favorirne l’entrata nel PSI in modo da evitare che se ne avvantaggiassero i
socialdemocratici. Ciò non toglie nulla, naturalmente, alla serietà della ricostruzione di Foa e
all’interesse che essa può presentare per un lavoro su Lombardi, a condizione, però, che la si utilizzi
come testimonianza (e non come analisi storica compiuta) e che non si scambi la sua maggiore
“completezza” rispetto ad altri tipi di fonti come sinonimo di maggiore attendibilità. Per lo stesso
motivo ho cercato di usare con parsimonia anche le testimonianze orali che ho raccolto da vari
collaboratori di Lombardi e di verificarne l’attendibilità confrontandole con altri tipi di fonti.
Avendo come obiettivo soprattutto un’analisi complessiva del pensiero di Lombardi e non solo
della sua vita, le fonti a stampa hanno giocato un ruolo essenziale, spesso anche più rilevante delle
fonti archivistiche. A differenza di altri leader socialisti italiani come Basso Foa o Giolitti,
Lombardi non ha mai redatto un’opera di carattere teorico, se si eccettua un libro-intervista a cura di
Carlo Vallauri del 1976 dal titolo “L’alternativa socialista”35
. Il suo pensiero va quindi ricostruito a
partire da articoli su quotidiani, interventi a convegni, interviste, prefazioni di libri ecc., in altre
parole utilizzando del materiale redatto senza pretese di sistematicità ma principalmente per fini
33
Carlo Ludovico Ragghianti, Disegno storico della liberazione italiana, Pisa, Nistri – Lischi, 1962, p. 336; Emilio
Lussu, Sul Partito d’Azione e gli altri: note critiche, Milano, Mursia, 1968, p. 32; Enzo Enriquez Agnoletti, Il convegno
di Firenze settembre 1943, in AA. VV; Il PdA dalle origini all’inizio della lotta armata, Atti del Convegno di Bologna,
23 – 25 marzo 1984, Archivio Trimestrale, Roma 1985, p. 651. 34
Foa, op. cit., pp. 199 – 200. 35
Riccardo Lombardi, L’alternativa socialista, a cura di Carlo Vallauri, Cosenza, Lerici, 1977 (nuova ediz. Roma,
Ediesse, 2009).
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occasionali. Per questo tipo di fonti vale un po’ lo stesso discorso che si faceva per l’autobiografia:
basandosi su materiale scritto soprattutto per scopi legati a circostanze del passato, lo storico può
sentirsi più libero di seguire il pensiero dell’autore nella sua evoluzione, senza i condizionamenti
che impone la presenza di un’opera di carattere più “strutturato” in genere redatta con l’intenzione
di sistematizzare una teoria per il futuro. Ciò risulta importante specialmente quando si tratta di un
leader politico il cui pensiero è per forza di cose influenzato dalle posizioni che egli prende nel
susseguirsi degli eventi.
E’ bene ricordare che manca a tutt’oggi una raccolta completa delle opere di Lombardi. I due
volumi degli “Scritti politici” usciti nel 1978 a cura di Simona Colarizi costituiscono una silloge
molto limitata, ancorché significativa36
. Nel 2001 sono stati pubblicati i discorsi parlamentari37
e,
recentemente, è uscita un’antologia degli articoli di Lombardi usciti sulla rivista “Il Ponte” del
periodo 1965-197338
. Una gran parte dei suoi scritti, però, resta sparsa in una miriade di quotidiani,
riviste e volumi. Mi sono riproposto di colmare le lacune costituendo una bibliografia che aspira ad
essere il più possibile completa.
In alcuni casi le fonti a stampa si sono rivelate indispensabili anche per ricostruire alcune fasi in
cui è stato impossibile ricorrere all’ausilio della documentazione archivistica, come per il periodo
della militanza giovanile di Lombardi nella sinistra cattolica, ben documentata da un periodico
come “Il Lavoratore” di Catania, diretto per un certo periodo dallo stesso Lombardi, e da altre
pubblicazioni della sinistra popolare quali “Conquista popolare”, “Bandiera Bianca”, “Conquista
sindacale”, “La Battaglia”, “Il Domani d’Italia”. Per i periodi successivi gli articoli di Lombardi