POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria dei Sistemi Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale Anno accademico 2014/2015 La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del Contesto Italiano RELATORE: Prof.ssa Cristina Rossi Lamastra CORRELATORE: Ing. Paola Rovelli Tesi di Laurea di: Stefania Siro matr. 800731
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria dei Sistemi
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale
Anno accademico 2014/2015
La Leadership e il suo ruolo nel
Management Moderno:
un’analisi esplorativa del Contesto Italiano
RELATORE: Prof.ssa Cristina Rossi Lamastra
CORRELATORE: Ing. Paola Rovelli
Tesi di Laurea di: Stefania Siro
matr. 800731
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Abstract
Negli ultimi vent’anni si sono compiuti numerosi e considerevoli sforzi nello studio del ruolo della
leadership e della sua importanza nell’influenzare il contesto in cui operano le aziende. La risorsa
umana è diventata, infatti, sempre più importante soprattutto sul piano qualitativo.
Chi dirige un’azienda o un team formato da più individui si trova molto spesso a dover far fronte a
una duplice pressione: da parte dell’ambiente esterno, che richiede tempestività, flessibilità, coeren-
za, creatività, e dell’ambiente interno, che esige trasparenza, coesione, spirito di gruppo, motivazio-
ne e professionalità.
Così, questa tesi si propone di confrontare le teorie sulla leadership che emergono dalla letteratura
con i modi di agire di alcuni personaggi che, a tutti gli effetti, nel campo in cui operano, possono es-
sere considerati dei leader; in particolare, si sta facendo riferimento ai CEO delle aziende italiane.
Ciò è stato reso possibile dall’opportunità di prendere parte al Progetto StiMa promosso dalla
School of Management del Politecnico di Milano e in corso di realizzazione durante l’elaborazione
di questo lavoro.
Dunque, dopo aver tracciato il quadro generale delle teorie sulla leadership, si presentano le statisti-
che descrittive compiute sui dati raccolti dalla somministrazione del questionario del Progetto Sti-
Ma che, indirizzato ai CEO di 6.108 aziende italiane, presenta una struttura finalizzata a studiare
quali stili di management consentono di migliorare le capacità innovative e la competitività delle
aziende italiane.
Infatti, dal momento che verrà dimostrato che management e leadership, anche se concetti distinti,
sono due fenomeni strettamente connessi tra loro e che solo un loro giusto equilibrio possa spianare
la strada alle aziende per realizzare una crescita sostenibile e un vantaggio competitivo di lungo pe-
riodo, si può facilmente comprendere come le informazioni raccolte dal questionario del Progetto
StiMa possano avviare un ragionamento sulle ragioni della diversità e della varietà tra gli stili di
leadership che si rivelano empiricamente nell’attività aziendale, che è, poi, l’obiettivo principale di
questo lavoro.
In particolare si opererà un confronto tra le diverse attitudini alla leadership di CEO appartenenti ad
aree geografiche e settoriali distinte, o ad aziende che differiscono in termini dimensionali o nella
struttura di governo, e ancora, si cercherà di cogliere come i diversi tratti personali dei CEO, vale a
dire il genere, l’età o la tenuta media, ad esempio, possano incidere sulla scelta di un capo azienda
di propendere verso un particolare stile di leadership piuttosto che un altro.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Abstract
In the last twenty years have been conducted numerous efforts in the study of the leadership’s role
and its influence on the context in which the companies operate. The human resource has become,
in fact, more and more important.
Who leads a company or a team of individuals has often to face a double pressure: the external en-
vironment, which requires timeliness, flexibility, consistency, creativity, and the internal one, which
needs transparency, cohesion, team spirit, motivation and professionalism.
This work aims to compare the leadership’s thesis that emerge from an analysis of the literature,
with the behaviour of some individuals who, effectively, in the context in which they operate, can
be considered leaders, in particular in reference to the CEO of italian companies. This dissertation
has been possible thanks to the opportunity to take part in the “StiMa Project” promoted by the
School of Management of Politecnico di Milano, a work in progress during the development of this
thesis.
After drawing the general framework of the leadership’s theories, I will present a descriptive statis-
tics performed on data collected from the questionnaire of the “StiMa Project”, addressed to the
CEOs of 6.108 italian companies and structured to study which management styles can improve the
innovative capacity and competitiveness of italian companies.
Since it can be shown that the concepts of Management and Leadership are two phenomena closely
correlated and that only their right balance can drive companies to achieve a sustainable growth and
a competitive advantage in the long term, it is easy to understand how the information collected
from the questionnaire in the “StiMa Project” can be used to start an argument on the diversity and
variety of leadership styles that occur empirically in the business, that is the main purpose of this
thesis work.
In particular, it is presented a comparison of the different attitudes to the leadership of CEOs of dis-
tinct geographical and sectoral areas or belonging to companies that differ in terms of size or gov-
ernance. Finally, we will try to understand how different personal characteristics of CEOs, such as
the gender or the age, can influence the propension of a manager to adopt a particular leadership
style rather than another one.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
Appendix X: Questionario progetto StiMa: “Gli Stili di Management delle aziende italiane”……….……………….…pp.166
Appendix XI: Esempio di email di invito alla compilazione del questionario inviata ai CEO……….…………………..pp.181
Appendix XII: Esempio di email di “reminder” inviata in caso di non risposta……………………..…………….….......pp.182
Appendix XIII: Esempio di email di ringraziamento inviata ai CEO rispondenti al questionario….…………..………..pp.183
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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Indice delle figure
Figura I: Mappa dei filoni teorici rilevanti per lo studio delle figure di capo azienda
Fonte: Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers n. 124, Serie Economia Aziendale………………………………………..…………………………………………………pp.15
Figura II: Chiave di interpretazione dei comportamenti manageriali Fonte: Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers n. 124, Serie Economia Aziendale………………………………………..………………………………………………..pp.18
Figura III: Matrice di classificazione dei contesti aziendali Fonte: Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers n. 124, Serie Economia Aziendale………………………………………..………………………………………………..pp.20
Figura IV: I due opposti modi di essere e i quattro tipi funzionali Fonte: https://www.altamiracorp.com/ ………………………………………………………………….pp.24
Figura V: Le possibili combinazioni di “tipi” individuate da Jung (1970) Fonte: Luisa Fossati, ITEMS-La newsletter del testing psicologico, Giunti. S. (Organizzazioni Speciali)…………………………………………………………………………………...………pp.26
Figura VI: La teoria “X e Y” di McGregor (1960) Fonte: Blog Risorse Umane HR……………………………………………………………………..…..pp.28
Figura VII: Tra autorità e discrezione
Fonte: Quaglino G.P. e Ghislieri C. (1999), “Avere Leadership”, Raffaello Cortina Editore..………..pp.31
Figura VIII: La Managerial Grid di Blake e Mounton (1964). Fonte: “Approaches to Leadership”, Section 7.1 del libro “An Introduction to Organizational Communication”……………………………………………………………………………….pp.32
Figura IX: Le diverse tipologie di followers (Kelley’s Followership Model). Fonte: Kelley (1988), “In praise of followers”, Harvard Business Review……………………………..pp.35
Figura X: La “Path-Goal Theory” (1974). Fonte: “Path-Goal for Leadership”, Section 9.2 del libro “Management Styles”………………….........pp.40
Figura XI: Il Modello di Hersey e Blanchard (1982). Fonte: “Stili di comunicazione e Stili di Management”, materiale didattico………………………...….pp.41
Figura XII: I 7 principali fattori della leadership. Fonte: materiale didattico……………………………………………………………..…………..........pp.45 Figura XIII: Il Continuum della leadership di Bass. Fonte: Bass (1985), “Leadership and Performance Beyond Expectations”, NY.……………………..pp.47
Figura XIV: Le principali differenze tra leadership e management. Fonte: “Leadership”, Quaglino G.P. (1999), Raffaello Cortina Editore, Milano……………………...pp.49
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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Figura XV: Il ciclo manageriale. Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......…………………...............pp.54
Figura XVI: Il ciclo della leadership. Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......………………………….pp.55
Figura XVII: Differente ambito di responsabilità tra leadership e management. Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......……………..………….pp.57
Figura XVIII: Approccio al management e alla leadership. Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......………………………..pp.57
Figura XIX: Orientamento al management e alla leadership. Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......……………..…………..pp.60
Figura XX: La catena del valore . Fonte: “Il talento del leader”, Bellandi G. (2006), FrancoAngeli………......……………..……………pp.70
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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Indice dei grafici
Grafico 1: Popolazione, Campione, Campione di Contatti e Campione Completo utilizzabile…………………….pp.81
Grafico 2: Stato di completamento dei questionari compilati………………………………….………………...….pp.81
Grafico 3: Ripartizione geografica dei CEO nel campione esaminato………………………..…………………….pp.84
Grafico 4: Tenure media dei CEO nelle diverse aree geografiche e settoriali............................................................pp.84
Grafico 5: Quota di CEO donne e uomini nelle diverse aree geografiche…………………….…………………….pp.85
Grafico 6: Età media dei CEO nelle diverse aree geografiche………………………………...…………………….pp.85
Grafico 7: Numero di CEO laureati e non laureati nelle diverse aree geografiche………………………………….pp.85
Grafico 8: La ripartizione del campione di aziende del nord, del centro e del sud Italia secondo il
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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Journal N° articoli Journal of Business Ethics 21
Leadership Quarterly 12
Corporate Governance 8
Strategic Management Journal 7
Strategic Direction 6
Harvard Business Review 5
Journal of Management and Governance 3
Journal of Management Development 3
Academy of Management Journal 3
Administrative Science Quarterly 3
British Journal of Management 3
Business Horizons 3
Journal of Banking and Finance 3
Journal of Business Strategy 3
Leadership and Organization Development Journal 3
California Management Review 2
Entrepreneurship: Theory and Practice 2
International Journal of Business Governance and Ethics 2
International Journal of Humane Resource Management 2
International Studies of Management and Organization 2
Journal of Business Research 2
Journal of Leadership and Organizational Studies 2
Journal of Management 2
Journal of Management Studies 2
Organization Science 2
Organization Studies 2
A questo punto è stato ottenuto un campione di 108 articoli di cui è stato possibile leggere i relativi
abstract per verificare la loro pertinenza o meno con l’oggetto di indagine. Da questa lettura, infine,
si è potuto attribuire un contributo potenzialmente interessante ai fini di questa trattazione sulla lea-
dership ad almeno l’80% degli articoli estratti. La lettura di questi articoli ha fornito notevoli spunti
e contributi sul tema della leadership che sono diventati parte integrante di questo lavoro.
Tra i diversi jounal, quelli che hanno fornito il maggior contributo sono:
- Journal of Business Eyhics;
- Leadership Quarterly;
- Corporate Governance;
- Strategic Management Journal;
- Harvard Business Review;
- Journal of Management and Governance;
- Journal of Management Development;
- Academy of Management Journal.
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2. Lo Sfondo Teorico e Concettuale
Come anticipato nel capitolo precedente, il presente lavoro si pone un duplice obiettivo: innanzitut-
to fornire una panoramica delle principali teorie relative alla leadership emerse in letteratura e, in
secondo luogo, operare un confronto tra gli stili di leadership e i modelli organizzativi delle azien-
de, volto a comprendere quali consentono il miglioramento della capacità innovativa e della compe-
titività delle aziende stesse.
Una prima riflessione sul ruolo generale dell’Amministratore Delegato (AD o CEO, Chief Executi-
ve Officer) di un’azienda ci offre un modo semplice per costruire una mappa dei filoni teorici più
rilevanti della letteratura internazionale sul tema, che può essere utile richiamare con l’essenzialità
necessaria in questa sede. Innanzitutto il capo azienda svolge la funzione di manager, al livello
complessivo di un’organizzazione. Il management ha una natura duale, manifestata in tutta la dia-
lettica interna allo sviluppo delle relative teorie (Schon et al. 1983): si esercita con riferimento da un
lato ai processi aziendali e alla razionalità tecnica che li impronta, dall’altro alle persone che sono
chiamate a intervenire in questi processi e, quindi, in rapporto alla sfera della sensibilità,
dell’intuizione e dell’intelligenza emotiva.
In secondo luogo la conduzione di un’azienda e la gestione dei processi e delle persone che consen-
tono il suo funzionamento si svolgono su due fronti: all’interno e all’esterno dei confini dell’azienda
stessa. L’attenzione dell’AD tende a focalizzarsi sull’uno o sull’altro di questi fronti, mettendo,
quindi, in difficoltà il comportamento manageriale.
Sono questi i due assi essenziali che definiscono la spazio per l’esercizio del ruolo di un AD e che
segnano anche le linee di confine utili per disegnare una mappa di prima approssimazione delle
teorie rilevanti al nostro scopo (si veda la Figura I).
Figura I: Mappa dei filoni teorici rilevanti per lo studio delle figure di capo azienda (Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers)
INTERNO
FOCUS
ESTERNO
INTEVENTO SU PERSONE (Relazioni) PROCESSI (Razionalità)
ORGANIZ-
ZAZIONE LEADERSHIP
STRATEGIA
CORPORATE
GOVERNAN-
CE
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Entrando nel dettaglio dello schema proposto, emergono quattro aree di interesse:
- organizzazione;
- leadership;
- strategia;
- corporate governance.
Le teorie dell’organizzazione esprimono un’attenzione da sempre rivolta soprattutto all’interno
dell’azienda e orientata al razionale disegno dei processi aziendali, alla definizione dei ruoli e alla
ricerca delle condizioni per un’efficace svolgimento degli uni e degli altri.
Mantenendoci sul versante interno all’azienda, lo spostamento dell’attenzione dai processi alle per-
sone e, quindi, dalla razionalità ai comportamenti e alle relazioni chiama in causa le teorie della lea-
dership o, più in generale, del comportamento organizzativo.
Sul piano ancora della razionalità, le teorie relative alla strategia aziendale aprono lo sguardo sul
fronte esterno, verso le condizioni che consentono all’azienda di ottenere vantaggi competitivi e il
successo di lungo periodo. Anche su questo fronte, però, emerge l’importanza dei comportamenti e
delle relazioni tra i diversi soggetti: in questo ambito troviamo gli studi sui modelli di governance
delle aziende.
I riferimenti concettuali principali e utili per l’impostazione di questo lavoro incentrato sulla leader-
ship vanno quindi ricercati in tutti e quattro questi filoni, secondo quanto di seguito brevemente
esposto.
- Le teorie dell’organizzazione contribuiscono soprattutto a collocare il ruolo del capo azien-
da rispetto alle condizioni del funzionamento complessivo dell’azienda, all’instaurarsi di
una cooperazione efficace volta al raggiungimento degli obiettivi aziendali, alla razionalità
delle decisioni, al ruolo svolto dagli altri attori e alla definizione e formalizzazione di com-
piti e responsabilità (Barnard et al. 1938).
In particolare, significativi sono stati i contributi di taglio organizzativo che hanno studiato e
analizzato empiricamente i comportamenti e le azioni di imprenditori e manager.
- Le teorie della leadership, che rappresenteranno il focus di questo lavoro, hanno avuto un
grande sviluppo negli ultimi decenni e hanno sempre più spostato l’attenzione sull’esercizio
di questa funzione nell’ambito delle organizzazioni complesse orientate a scopi economici e
produttivi e, quindi, delle imprese. Nello specifico, in un primo momento gli studi sociolo-
gici classici hanno studiato la leadership principalmente con riferimento ai sistemi politici e
alla società in genere, mentre quelli psicologici si sono interessati soprattutto al funziona-
mento dei gruppi (Lewin, 1947). Si deve, invece, a una serie di studi degli anni ’60 il merito
di aver portato l’attenzione sulla leadership nel contesto aziendale, valutando soprattutto
l’aderenza di diversi stili di direzione a specifiche situazioni di contesto (Blake-Mouton,
1964; Fiedler, 1967; Hersey-Blanchard, 1984).
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Come verrà esposto nel seguito, la dimensione prioritariamente relazionale della leadership
emerge pienamente con il concetto di leadership trasformazionale (Mc Gregor Burns,1978)
e viene successivamente sempre più enfatizzata nell’ampia letteratura successiva.
Infine, il concetto di competenza e di intelligenza emotiva, applicato ai problemi della lea-
dership sancisce ulteriormente la centralità assunta dalla tematica delle relazioni interperso-
nali (Goleman et al. 1995).
- A loro volta, gli studi nell’ambito della strategia aziendale hanno contribuito a definire
l’apporto del leader aziendale in relazione alle fondamentali decisioni di posizionamento nel
mercato e nell’ambiente, di definizione della strategia aziendale e di elaborazione di una vi-
sione del futuro. Fondamentali sotto questi profili sono i contributi ormai classici di An-
drews(1971), Chandler (1976), Normann (1978), Bower (1970), Porter (1980), Grant
(1994). Nell’ampio ventaglio degli studi di strategia gli apporti più recenti contribuiscono a
chiarire il ruolo del capo azienda come perno di connessione tra organizzazione e contesto
esterno. In particolare, la visione dell’impresa competence based o resource based, che po-
ne al centro dell’attenzione le competenze distintive o core competence dell’impresa (Ha-
mel-Prahalad, 1995) e gli studi sull’apprendimento organizzativo (Senge, 1990) e sulla
creazione di conoscenza (Nonaka–Takeuchi,1995) individuano le figure di alta direzione
come uno dei catalizzatori fondamentali delle diverse risorse immateriali che producono va-
lore. In questo contesto il ruolo del leader aziendale è posto a presidio di quella capacità di
creare conoscenza che costituisce la fonte continua di innovazione e, quindi, il fondamento
del vantaggio competitivo.
- Infine, l’analisi dei modelli o assetti istituzionali e di governance delle imprese e delle isti-
tuzioni ha fatto da ponte in qualche misura tra l’approccio strategico e quello organizzativo
sottolineando l’importanza di alcuni aspetti che erano stati trascurati. Si offre così evidenza
di come la responsabilità dei ruoli aziendali di vertice sia sempre più chiamata a occuparsi
anche dell’inserimento dell’azienda in un quadro di relazioni esterne, presidiando i rapporti
con molteplici soggetti dai cui contributi e apporti dipende in grande misura l’efficace rea-
lizzazione delle strategie elaborate (Airoldi, Forestieri, 1998). Ciò riguarda le relazioni con
gli azionisti, i finanziatori e gli stessi mercati finanziari (Roe, 1994, Jensen, 1991; Jensen,
Meckling 1976) così come, su altri versanti, con sindacati, gruppi di interesse ed esponenti
delle istituzioni locali, nazionali e internazionali (Airoldi, 1998) e, soprattutto, con concor-
renti, clienti e fornitori nel ricercare e negoziare configurazioni della catena del valore più
rispondenti e favorevoli ai rispettivi interessi. Oltre a questi riferimenti riscontrabili in lette-
ratura, la ricerca sul tema ha tratto alimento anche dalla considerazione di alcuni contributi
provenienti dal mondo della consulenza manageriale o, comunque, da analisi svolte per fini
operativi, anche questi collocabili lungo gli assi tematici individuati (e.g. Cuneo,1997; Leve-
ring, 1988).
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L’approccio seguito nel presente lavoro tiene conto, naturalmente, del quadro complessivo degli
studi, ma, tuttavia, non comporta l’inserimento nell’uno o nell’altro di questi specifici filoni, né può
proporsi di dare un contributo specifico di approfondimento in nessuno di questi ambiti.
Lo sforzo è invece di operare una sintesi, che si alimenti dei contributi scientifici disponibili, ma
che si focalizzi soprattutto sulle caratteristiche della realtà empirica esaminata, ovvero quella delle
figure di capo azienda operanti nelle organizzazioni italiane e, soprattutto, sul confronto tra le diver-
sità dei profili che emergono in questo ambito.
Non si è pensato di poter definire in questo modo un profilo dello stile emergente della leadership
aziendale italiana, ma, invece, si intende avviare un ragionamento sulle ragioni della diversità e del-
la varietà di impostazioni che si rilevano empiricamente nell’attività di conduzione di aziende.
Dall’intersezione dei filoni di analisi indicati si è, così, tentato di ricavare una sintesi dei caratteri
soggettivi dei capi azienda, predisponendo, quindi, una chiave di interpretazione dei comportamenti
manageriali attraverso una semplificata e sintetica classificazione che discrimina tra:
l’attenzione e propensione alle condizioni organizzative e di relazione interne, oppure al
contesto e ai soggetti esterni;
l’orientamento a scelte di tipo razionale, oppure all’attiva e personale gestione delle rela-
zioni interpersonali.
In sintesi, si configura la matrice in Figura II. Da questa matrice emergono quattro distinti orienta-
menti, definibili come tecnico, strategico, alle risorse umane e alla governance. Si tratta della ricer-
ca di un più alto livello di sintesi, che non implica comunque la rinuncia a un’esplorazione dei ric-
chi dati raccolti attraverso una più puntuale e analitica lettura.
Figura II : Chiave di interpretazione dei comportamenti del CEO (Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers)
INTERNO
FOCUS
ESTERNO
RAZIONALI RELAZIONALI
COMPETENZE
ORIENTAMENTO
TECNICO
ORIENTAMENTO
ALLE RISORSE
UMANE
ORIENTAMENTO
STRATEGICO ORIENTAMENTO
ALLA GOVERNANCE
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Un secondo aspetto che si è cercato di affrontare riguarda il tentativo di collegare o raccordare i
profili soggettivi del management con i fattori oggettivi che ne definiscono il rispettivo contesto
aziendale. Questa esigenza ha trovato risposta nel cercare di cogliere e definire il posizionamento di
ogni situazione aziendale esaminata rispetto a due correnti di trasformazione che interessano oggi
anche le aziende del nostro Paese:
- la dematerializzazione dei processi e delle attività delle aziende, con l’emergere di una pro-
gressiva terziarizzazione dell’economia e quindi una crescente quota della produzione com-
plessiva riferita a servizi, o comunque a beni immateriali (Normann, 1985; De Masi, 1999;
Stewart, 1999 e 2002; Ceccarelli-Roberts, 2002; Castells, 1996 );
- la crescita della qualità e complessità del lavoro impiegato dalle aziende, sia nel settore in-
dustriale sia in quello dei servizi, che dà luogo, quindi, al fenomeno della professionalizza-
zione del lavoro e dell’emergere dei knowledge workers in tutti i settori produttivi (Schon,
1983; Drucker, 1993; Freidson, 2001).
Si sono così classificate le aziende di appartenenza dei leader intervistati in primo luogo in base al
grado di materialità / immaterialità del prodotto o servizio, suddividendo in pratica le imprese mani-
fatturiere da quelle di servizi. Per prodotto o servizio si è considerato l’oggetto o la prestazione da
cui derivano i ricavi aziendali (o se si vuole ciò che viene venduto ai clienti), distinguendo ciò che
si concreta in oggetti materiali, piuttosto che in prestazioni di servizio, o comunque in fattori imma-
teriali. In secondo luogo le aziende sono state classificate in base al grado di semplicità o comples-
sità del lavoro impiegato. La classificazione di ognuna delle aziende considerate lungo le due di-
mensioni della materialità/immaterialità della produzione e dell’impiego di lavoro semplice/lavoro
complesso ha così portato a collocare le stesse in quattro distinti +quadranti così qualificabili (si ve-
da la Figura III):
- industria classica (produzione materiale e predominanza di lavoro semplice);
- industria ad alta intensità di conoscenza (produzione materiale e predominanza di lavoro
complesso);
- servizi semplici (produzione immateriale e predominanza di lavoro semplice);
- terziario professionale (produzione immateriale e predominanza di lavoro complesso.
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FIG.III : Matrice di Classificazione dei Contesti Aziendali (Gianfranco Rebora, Eliana Minelli, Matteo Turri (2003), Liuc Papers)
MATERIALE
ATTIVITA’
IMMATERIALE
SEMPLICE COMPLESSO
LAVORO
Ci si attende, quindi, che le caratteristiche del lavoro richiesto ai capi azienda siano in qualche mi-
sura influenzate dalla collocazione dell’azienda rispetto a tali dimensioni.
Dopo aver inquadrato lo sfondo teorico e concettuale del “Progetto Stima” da cui, come già spiega-
to, trae origine il tema della leadership e della figura CEO trattato nella mia tesi, nel seguito del la-
voro, dapprima, sarà presentata una vasta panoramica sulle varie teorie della leadership (Cap.3),
poi, si tenterà di precisare quali sono i punti di contatto e le differenze tra leadership e management
(Cap.4), quindi, si cercherà di comprendere l’importanza della leadership nel determinare il succes-
so di un’organizzazione (Cap.5). Infine, attraverso una breve analisi dei dati raccolti nella ricerca in
corso di realizzazione presso la School of Management del Politecnico di Milano (Stima Project), si
cercherà di elaborare alcune considerazioni interessanti su quali sono gli stili di leadership, le carat-
teristiche e i comportamenti dei CEO che consentono il miglioramento delle capacità innovative e
della competitività delle aziende al giorno d’oggi (Cap.6).
INDUSTRIA
CLASSICA
INDUSTRIA AD
ALTA INTENSITA’
DI CONOSCENZA
TERZIARIO
PROFESSIONA-
LE
SERVIZI SEMPLICI
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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3. Evoluzione del Concetto di Leadership:
Le teorie sulla leadership
Nel presente capitolo si delinea una panoramica delle diverse teorie sulla leadership che sono state
sviluppate in letteratura. Esse possono essere classificare in 4 categorie principali; si passerà, così,
dalle teorie innatiste sulla leadership (“teoria dei tratti”, Jung, 1970), alle teorie comportamentiste
(“teoria X e Y” di McGregor, 1960; “teoria dei quattro sistemi” di Likert, 1961; la “managerial
grid” di Blake e Mouton, 1964) e alle teorie relativiste (“modello della contingenza” di Fiedler,
1965; “modello di Vroom e Yetton” , 1973; la “path-goal theory” di House e Mitchell, 1974; “mo-
dello di Harsey e Blanchard”, 1984), giungendo, infine, alle “new leadership theories” e, in partico-
lare, alla caratterizzazione di due stili di leadership, transazionale e trasformazionale, facendo rife-
rimento principalmente ai lavori di Burns (1978) e Bass (1990). Il capitolo si conclude con una bre-
ve introduzione sulle principali differenze tra leadership e management, tema che verrà approfondi-
to nel capitolo successivo. Inoltre, si è voluto integrare il tema trattato in alcuni paragrafi con la de-
scrizione di verifiche empiriche condotte a sostegno delle diverse teorie presentate e presenti nella
letteratura.
La prima precisazione che è doveroso fornire, prima ancora di iniziare qualsiasi trattazione
dell’argomento, è la distinzione che intercorre tra “autorità” e “leadership”. Non sono sinonimi,
ma concetti diversi – per caratteristiche – l’uno dall’altro. Nello specifico, oggi è generalmente ri-
conosciuto che “la leadership non consiste nell’autorità in se come effetto dei vari livelli della ge-
rarchia, ma consiste nel fatto che la posizione del capo trova legittimazione nel consenso delle per-
sone che gli devono dare la propria collaborazione” (Macciocca e Massimo,1993).
La definizione di leadership fornita da Macciocca e Massimo (1993) offre lo spunto per affrontare
da subito due fondamentali aspetti della leadership che si ripeteranno e integreranno durante tutto il
lavoro che segue.
1. La ricerca da parte del leader del consenso delle persone, che esprime implicitamente il con-
cetto secondo il quale la leadership deve essere vista e studiata come un complesso di inte-
razioni che coinvolgono il leader, i componenti del gruppo e il contesto. Non deve, dunque,
focalizzarsi sulla specifica figura del leader in quanto tale (Mosley e Patrick, 2011).
2. La spesso confusa figura del leader con quella del manager. Per il momento ci si limiterà a
distinguere come la leadership si fonda sulla capacità d’influenzare gli altri e di indurli a la-
vorare per il conseguimento degli obbiettivi generali dell’organizzazione, oltre che dei loro
obbiettivi specifici. Il management è invece un termine molto più vasto: esso comprende la
leadership, ma anche le funzioni di pianificazione, organizzazione e controllo. La leadership
è, quindi, un aspetto del management ma non può essere identificata con esso (Mosley e Pa-
trick, 2011).
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Veniamo, quindi, alle principali teorie che dal 1960 ad oggi si sono succedute sul tema della leader-
ship. Queste possono essere ricondotte alle seguenti macro-categorie:
- Innatiste;
- Comportamentiste;
- Relativiste;
- Le new leadership theories.
3.1. Le teorie innatiste sulla leadership
Secondo le teorie innatiste (o anche teorie dei tratti) i leader posseggono determinati tratti personali
che li rendono capaci di suscitare la fedeltà dei seguaci (followers) e grazie ai quali vi si distinguo-
no. Molte delle prime ricerche sulla leadership puntavano a rafforzare i tratti personali di chi diven-
ta leader e di chi copre il ruolo di follower e a individuare i tratti distintivi dei veri leader. Le ricer-
che svolte in questo ambito sembrano partire dall’assunto che leader si nasce, non si diventa; questo
resta, tuttavia, un assunto, dato che non esiste evidenza empirica in letteratura che certi tratti perso-
nali possano effettivamente contraddistinguere i veri leader dalla massa. Numerosi sono gli autori
che si sono dedicati alla ricerca e allo studio dei tratti distintivi dei leader. Uno dei primi ad appro-
fondire questi elementi è stato Ralph Stodgill (1948) che ha evidenziato numerosi tratti che diffe-
renziano un leader dalla media dei followers. Tra questi, la propensione ai rapporti interpersonali, la
bravura tecnica, la capacità amministrativa, l’efficacia direttiva e la fiducia in se stessi. A Stodgdill
(1948) seguirono Mann (1959) e Lord (1986) tra i più rilevanti; la produzione scientifica
sull’argomento è comunque molto vasta. Edwin Ghiselli (1971) individuò una serie di caratteristi-
che particolarmente influenti per l’efficacia della leadership, fra queste:
- La capacità di supervisione, ovvero la capacità di svolgere le funzioni essenziali di mana-
gement, specialmente quelle di guida e di controllo del lavoro altrui;
- Il bisogno di ben meritare, ovvero la ricerca della responsabilità e il desiderio del successo;
- La capacità di decidere, ovvero di risolvere dubbi e d’affrontare costruttivamente i problemi;
- La fiducia in sé che da sicurezza nell’affrontare i problemi;
- Lo spirito d’iniziativa, ovvero la capacità d’agire in modo indipendente, d’individuare e di
seguire le linee d’azione che altri non discernono e d’escogitare nuovi modi d’agire.
Gary Yukl (2002) distingue, poi, tre caratteristiche distintive di ogni leader: i valori, le abilità e i
tratti.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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- I valori sono concetti interiorizzati che afferiscono alla sfera del giusto-sbagliato, etico non
etico, morale-immorale, e che sono capaci di influenzare le opinioni, le preferenze e i com-
portamenti delle persone.
- Le abilità sono particolari capacità e competenze nel fare qualcosa in modo efficiente e si
distinguono in tecniche, interpersonali e cognitive.
- I tratti sono le caratteristiche proprie dell’individuo. Un tratto è una competenza stabile
dell’individuo la quale consente di mettere in atto comportamenti efficienti. Sono attributi
individuali che presentano predisposizioni a comportarsi in un determinato modo prevalen-
temente stabili. I tratti ai quali in particolare ci si riferisce nella trattazione della leadership,
dunque nell’individuazione del leader sotto un approccio prevalentemente innatista, sono
sostanzialmente dividibili in tre macro-categorie:
- L’intelligenza, soprattutto nei suoi aspetti di problem-setting, problem-finding, pro-
blem-solving e decision-making.
- La personalità, manifestata in tratti come la fiducia in se stessi, la flessibilità e adat-
tabilità a diversi contesti e situazioni, la propensione al rischio e l’assunzione di re-
sponsabilità.
- L’abilità, riferita alla capacità di saper collaborare e cooperare con i followers e di
guadagnarsi presso di loro popolarità e prestigio.
La critica che può senz’altro essere rivolta all’approccio Innatista (ovvero alle teorie dei Tratti) è
quella di aver trascurato l’ambiente esterno, non prendendo in riferimento il contesto e la particolare
situazione nella quale il leader opera, concentrando tutte le proprie attenzioni sui tratti comporta-
mentali-caratteriali che un leader assume e deve avere. Tuttavia, se pur manifestando questa lacuna,
credo non possa essere esclusa l’utilità e la validità degli studi fin qui esposti. Le caratteristiche in-
nate del leader, il carisma, la personalità, il bisogno di emergere e di condurre come fosse un aspira-
zione divina, si confermano senz’altro fattori di rilevante importanza. Le ricerche attualmente in
corso non partono più dall’assunto che i leader siano tali per nascita anziché per esercizio, ma con-
siderano i tratti personali della leadership secondo un punto di vista nuovo: se si possono individua-
re caratteristiche favorevoli alla leadership, allora esse possono essere coltivate in coloro che aspi-
rano a diventare leader.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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3.1.1 Le caratteristiche dei “tipi”
Concludendo l’esposizione sulle teorie dei Tratti che caratterizzano un leader, si propone nel segui-
to lo studio che Carl G. Jung (1970) ha condotto sui “ tipi psicologici”. Il postulato di questo studio
è che ogni essere umano appartiene a una determinata “categoria” psicologica e pone in atto uno
specifico comportamento che, in genere, discende ed è coerente con il “tipo” di appartenenza. La
conoscenza di queste “categorie” o “tipi” può facilitare la comunicazione e, quindi, le relazioni
interpersonali. Nello specifico, in un team esiste sempre la possibilità di trovare attività più conge-
niali a una persona piuttosto che a un’altra e assegnarle, quindi, alle persone che possiedono le ca-
ratteristiche più idonee al loro assolvimento; la cosiddetta “persona giusta al posto giusto!”. La co-
noscenza del tipo di appartenenza può indicare gli atteggiamenti di fondo delle persone e i conse-
guenti punti di forza e di debolezza.
La teoria di Jung (1970) si basa innanzi tutto sulla distinzione tra introversione ed estroversione.
Nella nostra cultura il termine introversione tende ad avere un significato leggermente negativo, ma
non è così nella teoria junghiana. L’introversione non è né meglio né peggio dell’estroversione.
Questa dimensione ha infatti a che fare con l’orientamento dell’energia psichica. Un introverso ten-
de ad orientare la sua energia psichica verso il mondo interiore (pensieri ed emozioni) mentre
l’estroverso orienta la sua verso il mondo esteriore (fatti e persone). Ciascuno di noi utilizza questi
due orientamenti ma generalmente uno tende a prevalere sull’altro in maniera più o meno marcata.
In secondo luogo, Jung (1970) distingue quattro funzioni psichiche che sono il pensiero, il senti-
mento, la sensazione e l’intuizione. Ciascuna di queste funzioni ci consente di adattarci al mondo e
alla vita. Il pensiero utilizza dei processi logici, il sentimento utilizza dei giudizi di valore, la sensa-
zione percepisce i fatti e l’intuizione percepisce le possibilità presenti dietro i fatti.
Queste quattro funzioni sono rappresentate in Figura IV; ciascuna funzione tende ad appoggiarsi ad
una delle due funzioni che le stanno vicine ma non alla funzione che si trova ai suoi antipodi. Per
esempio, la funzione pensiero si può appoggiare all’intuizione o alla sensazione, ma non al senti-
mento che rappresenta la sua funzione opposta. Le funzioni opposte hanno però un elemento impor-
tante in comune. La coppia Pensiero-Sentimento è, secondo Jung, di carattere razionale, mentre la
coppia Intuizione-Sensazione è di carattere irrazionale.
Figura IV: I due opposti modi di essere e i quattro tipi funzionali.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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Si possono, pertanto, distinguere i seguenti quattro tipi funzionali:
1) Estroverso - Introverso: estroverso è colui che si carica di energia attraverso l’interazione
con il mondo “esterno”, fatto di persone e di cose; l’estroverso ama lavorare in gruppo, pre-
ferisce la varietà e l’azione. Diversamente, l’introverso è colui che trae energia dal proprio
mondo “interno” fatto di idee e concetti e si trova più a suo agio a lavorare da solo, prefe-
rendo, in genere, concentrarsi e pensare a lungo prima di agire. L’approccio alle relazioni
sociali e di lavoro di questi due modi di essere è completamente opposto e può generare in-
comprensioni e conflitti. Per questo motivo anche la comunicazione tra queste persone può
risultare non facile, poiché l’introverso non è un buon comunicatore mentre l’estroverso
ama comunicare apertamente, offrendo e chiedendo il “feed-back” ai suoi interlocutori.
2) Analitico – Intuitivo: in queste due dimensioni ciò che differisce è il modo di percepire il
mondo. La persona analitica è molto pratica, ama i fatti, è ancorata al presente e alla realtà.
Il suo credo è l’esperienza e, sul lavoro, preferisce la routine, che gli permette di utilizzare le
capacità già acquisite, piuttosto che impararne di nuove; cosi facendo, riesce a ottenere risul-
tati di estrema precisione. L’intuitivo, invece, è un sognatore: il passato e il presente per lui
hanno poco valore, ciò che conta è il futuro. Sul lavoro preferisce le novità, si infastidisce di
fronte a compiti routinari e preferisce sacrificare parte della precisione sul lavoro a beneficio
del risparmio di tempo e della varietà dei contenuti.
3) Emotivo – Razionale: queste dimensioni descrivono le modalità seguite nell’effettuare la
proprie scelte. L’emotivo si basa molto sul sentimento, dà importanza alle persone ed è em-
patico, cerca cioè di vedere le cose dal punto di vista del prossimo. A sua volta, desidera
piacere, perché sente fortemente il bisogno di essere apprezzato. Una persona emotiva non
riesce a dire cose spiacevoli agli altri e le sue decisioni, anche quelle professionali, sono
spesso influenzate da una carica emotiva intensa, nel tentativo di soddisfare i desideri e i bi-
sogni propri e di coloro che gli sono vicini. La persona razionale, invece, tende a non curarsi
troppo dei sentimenti degli altri, spesso in modo inconscio. Le sue decisioni sono basate sui
fatti; attua, quindi, regolarmente, nei suoi comportamenti, il processo di “problem solving” e
“decision making” (si veda Vroom e Yetton, 1973). Il razionale preferisce il rapporto basato
sull’onestà e l’equità, piuttosto che sul sentimento. Ciò non significa, tuttavia, che il tipo ra-
zionale non sia soggetto alle relazioni emotive simili a quelle del “tipo” emotivo, ma soltan-
to che riesce a controllarle meglio.
4) Flessibile - Decisorio: queste sono due modalità diverse di vivere scadenze e decisioni. Il ti-
po flessibile preferisce le situazioni non troppo schematiche e definite, tende a rimandare i
lavori che non ama fare e a iniziarne, contemporaneamente, diversi, con difficoltà nel portar-
li a termine tutti. Anche se arriva a concludere un lavoro, il tipo flessibile si mantiene co-
munque aperto a idee e avvenimenti nuovi. Il tipo decisorio, invece, vive per l’ordine, la
scadenza e la definizione delle questioni in sospeso. Non ama interrompere un lavoro nem-
meno per farne uno più urgente e si sente pienamente soddisfatto quando riesce a concludere
uno studio, portare a compimento un lavoro e fare ciò entro i tempi previsti.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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Jung (1970) ha precisato che ogni persona possiede tutte le dimensioni descritte, ma che ha prefe-
renze all’interno delle stesse. Ha poi aggiunto che ogni dimensione si sviluppa attraverso il suo uti-
lizzo, mentre tende ad “atrofizzarsi” se non viene praticata. La preferenza per l’una o l’altra dimen-
sione all’interno di ognuna delle quattro coppie da poi origine a sedici combinazioni di “tipi”, come
mostrato in Figura V.
Figura V: Le possibili combinazioni di “tipi” individuate da Jung (1970).
Per maggiori approfondimenti sulla teoria dei tratti si faccia riferimento all’Appendix 1: “Assessing
the trait theory of leadership using self and observer ratings of personality: the mediating role of
contributions to group success”.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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3.2. Le teorie comportamentiste
Per le teorie innatiste, leader si nasce. Per le teorie comportamentiste, invece, lo stile di leadership è
influenzato dal comportamento del gruppo che il capo è chiamato a dirigere.
Le teorie comportamentiste osservano il leader sia in base ai suoi comportamenti sia agli effetti che
questi producono sul gruppo in termini di soddisfazione e di risultati conseguiti. Pertanto lo stile di
leadership più adeguato dipende dal comportamento del gruppo nel quale il leader è calato.
Tra i principali fautori di queste teorie ci sono White e Lippit (1943) e McGregor (1960). I primi
hanno individuato tre stili di leadership: autoritario, democratico e permissivo, mentre il secondo,
noto per la teoria della X e della Y, ha analizzato come le caratteristiche degli individui con i quali
il leader si interfaccia influenzano lo stile di leadership che questo dovrebbe adottare. Nello specifi-
co, McGragor (1960) ritiene che uno stile di leadership autoritario sia adatto in presenza di individui
passivi, pigri e poco responsabili, mentre è più opportuna una leadership democratica nel caso di
individui che non hanno una natura passiva e che non presentano un atteggiamento ostile nei con-
fronti della direzione aziendale.
Nelle teorie comportamentiste, così come in quelle innatiste si pone l’accento soprattutto sui fattori
personali: quelli del gruppo nelle prime, quelli del leader nelle seconde. Inoltre, entrambi questi fi-
loni si basano sul presupposto che esiste un solo stile di leadership valido in assoluto: ogni autore
cerca di capire quale sia tale stile.
Negli anni ’30, lo psicologo J.B. Watson, svolgendo degli esperimenti su un bambino di 11 mesi, ha
dimostrato che è possibile condizionare le persone, mediante stimoli, modificandone, quindi, il
comportamento; nello specifico, le risposte agli stimoli costituiscono l’apprendimento. Questo espe-
rimento creò un mito su come il comportamentista avrebbe potuto modificare a piacere il compor-
tamento di un individuo, cominciando a condizionarlo opportunamente fin dai primi mesi di vita.
“Datemi una dozzina di bambini normali, ben fatti, e un ambiente opportuno per allevarli e vi ga-
rantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare qualsiasi tipo di specialista, che io vo-
lessi selezionare: dottore, avvocato, artista, commerciante e perfino accattone e ladro, indipenden-
temente dalle sue attitudini, tendenze, capacità, vocazioni e razza dei sui antenati”, John B. Watson
(1930).
Le teorie comportamentiste hanno influenzato gli studi sulla leadership, passando da un approccio
di tipo caratteriale a uno di tipo comportamentale, e, quindi, cercando di rispondere alla doman-
da: “Cosa fa un buon leader?”. Questo tipo di approccio stabilisce che “leader efficace” non si na-
sce, ma si diventa, imparando attraverso l’osservazione delle abilità da acquisire e sviluppare.
Le teorie comportamentiste vanno, quindi, a sfatare il mito del “leader nato” a favore di un “leader
costruito”, attraverso l’apprendimento di comportamenti. In sintesi, la teoria si basa sulle seguenti
ORIENTAMENTO MANAGERIALE ORIENTAMENTO alla LEADERSHIP
- Definire gli obiettivi;
- Organizzare le risorse e monitorare le perfor-
mance;
- Gestire il cambiamento attraverso le politiche;
- Ottenere risultati nel breve periodo;
- Trasmettere top-down le idee e l’approccio alle
strategie;
- Formazione finalizzata sulle tecniche.
- Sviluppare la visione;
- Diffondere la passione per il cambiamento;
- Trasmettere bottom-up le idee e l’approccio al-
le strategie con lungimiranza e pazienza;
- Formazione integrale delle persone.
MANAGEMENT
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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4.5 Management vs Leadership: Successi e fallimenti della leadership
Come spiegato in precedenza, la leadership è la capacità naturale e spontanea di stimolare i collabo-
ratori, di ispirarli e di porli nella condizione di scoprire e attuare nuove opportunità; perciò è neces-
saria una grande energia da parte dei leader e il rispetto per le persone. L’autorevolezza e la credibi-
lità dei leader nel realizzare la loro visione e le loro strategie, richiede che queste siano accettate dai
collaboratori. Le vere radici della leadership, infatti, si fondano su ideali e valori e, nel perseguire
disinteressatamente un impegno che va oltre il proprio ambito personale. Le differenza fondamenta-
le tra leadership e management è basata anche sul diverso ambito temporale di responsabilizzazione
degli uni rispetto agli altri. I capisaldi della leadership sono:
- Diffondere una visione: il leader persuade, serve e stimola la voglia di vincere nell’ambito di
una prospettiva di ampio respiro;
- Fungere da esempio: solo colui che costituisce un modello esemplare può comunicare effi-
cacemente ed influenzare positivamente. Il leader dimostra dedizione, libera energie, pro-
muove il talento e l’iniziativa;
- Aumentare il valore dell’impresa: il leader deve essere consapevole delle leve di creazione
del valore.
Ogni leader deve perciò chiedersi se sta ottemperando realmente a tutte e tre le condizioni, le quali
devono poter essere misurate.
Vi è però inoltre un’ulteriore variabile più qualitativa, ma altrettanto critica e importante rappresen-
tata dal clima di collaborazione che si viene a realizzare tra il leader e i suoi subordinati, che devono
essere aiutati, tramite attività tipiche di un coach, a riconoscere le proprie capacità e il senso del
proprio lavoro; ossia migliorare il proprio comportamento, comunicare le esperienze, tendere al mi-
glioramento continuo.
Daft nel (1999) ha effettuato una ricerca confrontando ventuno manager che hanno avuto successo
con ventidue che hanno ottenuto risultati fallimentari focalizzando il proprio studio sugli stili e sui
comportamenti adottati dagli stessi nella sfera relazionale.
Da tale studio è emerso che le principali cause di fallimento dei manager presi in considerazione
nello studio sono:
- insensibilità ed intimidazione
- freddezza, distanza ed arroganza;
- tradimento della fiducia personale;
- ambizione eccessiva, centratura di sé;
- problemi specifici di business;
- incapacità di delega e di fare squadra;
- incapacità di scegliere i collaboratori.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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In Appendix VI viene presentato un articolo che approfondisce ulteriormente il tema delle differen-
ze tra leadership e management.
4.6 Management e Leadership: il giusto MIX
Negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che i manager debbano adottare un approccio mag-
giormente orientato alla leadership. Questa concezione, però, si è dimostrata erronea, in quanto non
si deve richiedere al manager di diventare leader o viceversa ma sarebbe opportuno che entrambi
valorizzassero le proprie qualità distintive in modo da sfruttare al meglio la tensione naturale esi-
stente fra le due posizioni e, in tal modo, ottenere il risultato “ uno più uno uguale tre” (Bennis,
1999). Hickman (1992), come la maggior parte degli autori più volte citati in questo capitolo, af-
ferma che si devono sfruttare le sinergie positive che si creano tra i due diversi orientamenti, cosic-
ché si possano raggiungere, simultaneamente, l’efficacia e l’efficienza dei progetti.
Secondo questo metodo, è necessario integrare le qualità manageriali con doti di leadership in modo
che, anziché scontrarsi, si uniscano, riducendo i punti deboli di entrambe. Coloro che sono riusciti
in questo intento hanno raggiunto risultati straordinari, come John Young della HP¹ e Michael Ei-
sner della Walt Disney².
Nel confronto tra la persona legata all’autorità gerarchica, detto anche manager formale, e il leader
naturale possiamo osservare che il primo possiede un’ottica che coglie le esperienze passate per
proiettarle sull’oggi, il vero leader invece osserva il quotidiano per proiettarlo nel futuro (Sarros,
2002). Inoltre, il leader si posiziona sul confine dell’organizzazione, avendo un punto di osserva-
zione privilegiato, presidia l’esterno creando alleanze, cogliendo le opportunità senza perdere di vi-
sta l’interno (ovvero l’azienda) ; inoltre crea la visione e la trasmette, motivando le persone a tra-
durre operativamente i suoi indirizzi strategici. Il manager, invece, cura la messa a punto del dise-
gno aziendale e la sua traduzione operativa, assicurando l’efficace e l’efficiente gestione delle risor-
se aziendali. La sua attenzione, pur rivolta all’esterno, si focalizza principalmente all’interno
dell’azienda.
Warren Bennis (1999) nei suoi libri affermò che i manager controllano i contratti o le relazioni lega-
te al posto di lavoro, alla sicurezza e al denaro, creando, di conseguenza, un certo servilismo o,
quantomeno, obbedienza.
¹John Young, HP: E’ stato presidente della Hawlett Packard (HP) dal 1977 al 1992 e direttore generale dal 1978 al 1992.Partecipò al piano di marketing della HP nel 1958
Successivamente è stato responsabile regionale di vendita,un membro dello staff finanziaro dell’azienda e marketingmanager della Microwave Division, dove fu nominato
direttore generale di quella divisione nel 1963.Nel 1968 fu nominato vice presidente dell'azienda assumendo la responsabilità della Electronics Prodcuts Group.
²Michel Eisner della Walt Disney: Dopo due brevi presenze alla NBC ed alla CBS, l’ABCassunse Eisner come assistente al direttore di programmazione nazionale. Nel
1976, Diller,lo chiamò alla Paramount e nel 1984 Eisner prese il suo ruolo come capo dgli Studios. Successivamente assunse la posizione di CEO dell'azienda del Walt
Disney. Durante I primi anni 90, Eisner ed i suoi soci hanno precisato il progetto della decade di Disney che era di caratterizzare i nuovi parchi intorno al mondo, alle
espansioni attuali del parco, alle nuove pellicole ed ai nuovi investimenti di mezzi.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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I leader, invece, si adattano alle situazioni e, oltre ad indirizzare e a guidare le persone, le responsa-
bilizzano e lasciano spazio alle loro idee. In questo modo, essi creano un
ambiente positivo, in cui gli individui capiscono il significato, lo scopo e l’importanza di ciò che
stanno facendo. Dunque, il leader concentra la propria attenzione sugli altri e non su se stesso, ama
il cambiamento e aiuta gli altri ad accettare le sfide create dal cambiamento; concede potere e ispira
costantemente le persone, facendo loro esprimere il massimo potenziale. Il leader è dotato di una vi-
sione, ha un’elevata sensibilità per il fattore umano e sa essere al servizio dell’organizzazione; infi-
ne ha un comportamento sempre ispirato all’etica.
Egli crea una visione e la trasmette a tutti i livelli, attuando ogni individuo a passare dal noto
all’ignoto, ispira le persone e le guida per esempi; sa celebrare anche le piccole vittorie motivando
costantemente la persona, rafforzandone l’autostima e attivando il miglioramento continuo che è al-
la base della qualità totale.
Rispetto alla guida delle persone il manager tende ad operare come un “ buon pastore ” ovvero co-
me colui che cerca il consenso, che usa il bastone e la carota e tende a controllare la correttezza
dell’operato dei propri collaboratori. Il leader tende invece ad operare come un “ direttore
d’orchestra ”, cercando di dare una direzione, di motivare e di sviluppare i suoi collaboratori. Uti-
lizzerà spesso i processi di delega e di coaching per coinvolgere le sue persone.
Negli affari, il manager può essere definito come un “ garante dei compiti ”, colui cioè che ne assi-
cura l’assolvimento, che controlla il rispetto dei tempi, che reagisce agli eventi e decide sulla base
dell’esperienza e della routine e che risolve i problemi (problem-solver). Il leader opera più come
un “ imprenditore ”, un guardiano verso il risultato atteso. Cerca di individuare nuove opportunità e
cerca di anticipare i problemi piuttosto che gestirli. Egli tende a incidere in modo determinante sulle
situazioni e spesso a crearle (problem-finding).
In conclusione, il leader ed il manager differiscono significativamente nel modo di considerare gli
obiettivi, le risorse e i problemi. Nel lavoro bisogna, quindi, riuscire a trovare il giusto equilibrio tra
questi due ruoli.
La ricerca di questo equilibrio è lo sforzo che va fatto al giorno d’oggi.
Figura XIX: Orientamento al management e alla leadership (Ballandi, 2006).
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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5. L’Importanza della Leadership
Dopo una vasta panoramica sulle varie teorie della leadership, sul dualismo e sui punti di conver-
genza tra leadership e management, in questo capitolo, mi soffermerò sull’importanza della figura
del leader all’interno di un’azienda, sulle sue capacità di motivare e responsabilizzare le persone e,
quindi, assicurarsi la fiducia dei propri collaboratori e, infine, cercherò di sintetizzare in un breve
discorso alcune considerazioni sul legame tra TMT (Top Management Team) e performance azien-
dali tratte dagli articoli letterari revisionati. Anche in questo caso il capitolo sarà integrato nella se-
zione dedicata agli approfondimenti con due articoli riguardanti analisi empiriche condotte, in parti-
colare, sulla relazione tra leadership etica del CEO e performance aziendali, il primo, e sul legame
tra i valori etici della leadership e la responsabilità sociale dell’impresa, il secondo.
5.1 Chi è il Leader?
Il concetto di leader varia a seconda delle diverse culture nazionali, tanto che, per citare un esempio,
all’interno dell’Europa, si possono identificare diversi modi di intendere la figura di colui che è a
capo di un gruppo.
In particolare, Hitler veniva chiamato: “Der Fuhrer”, mentre a Churchill era stato dato l’epiteto di
“War Leader”. Da qui si può capire che “le opinioni sulla leadership fra la cultura tedesca e quella
britannica sono separate da un abisso. In Spagna, esistono diverse parole che indicano il condottie-
ro, come caudillo, cacique o jefe, ma tutte intendono qualcosa di diverso fra loro. Per esempio,
Franco era conosciuto come “El Caudillo”,mentre Fidel Castro è noto a tutti come “Lider Maximo”.
Infine, anche il vocabolo francese conducteur sta a significare qualcosa di diverso rispetto ai termini
indicati precedentemente. A questo punto è utile capire quale possa essere il significato che si vuole
dare al termine “Leadership” e che può essere, in qualche modo, accettato dalle diverse culture na-
zionali.
David Brewer (2008), del Leadership Consulting Group di San Francisco, afferma, innanzitutto,
che la capacità di comando è un’arte. Più precisamente, essa è l’arte di far sì che altre persone fac-
ciano proprio un obiettivo o una visione di come può essere il futuro, ispirandole ed incoraggiando-
le a tenere saldo il proprio impegno, in modo tale che, grazie alle singole azioni ed all’iniziativa
personale, trasformino in realtà ciò che essi volevano ottenere.
Questa idea viene esplicata da esempi di personaggi famosissimi come John Fitgerald Kennedy, il
quale, nonostante molti fallimenti, riuscì a far divenire reale il sogno di mandare un uomo sulla Lu-
na o come Franklin Roosevelt, che durante la peggior crisi economica mondiale ha affermato:
“L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”.
In ogni caso, non solo nelle grandi occasioni si dimostra di essere un leader, ma a tutti i livelli, può
esistere una figura che è in grado di guidare gli altri. Infatti leader non sono solo i manager o i capi
di stato ma anche i singoli individui, nel momento in cui influenzano altri e fanno sì che questi ul-
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timi li seguano. Cercando sempre di inquadrare il concetto, è utile riprendere gli studi di Ronald A.
Heifetz e Marty Lintzky (2001). Nel loro articolo “Leadership on the Line: Staying Alive Through
the Dangers of Leading”, essi affermano: “La leadership è un’arte di improvvisazione”. Questa fra-
se sta a significare che si può avere una visione positiva, dei valori chiari su cui basarsi e persino un
piano strategico, però ciò che conta di più è quello che si riesce a fare quando quello che succede
realmente non è stato pianificato. Per essere efficaci, bisogna essere capaci di rispondere a tutti gli
input che arrivano dall’esterno, soprattutto quelli imprevisti. Inoltre i leader devono avere una pro-
pria “visione del futuro”, intesa come la capacità di vedere e comprendere ciò che sta capitando e
capire ciò che può avere un’influenza sulla propria attività (Heifetz & Lintzky, 2001).
Un’altra asserzione interessante del concetto è che non vengono considerati leader le persone che
comandano gli altri solo grazie al potere che è stato conferito loro, bensì un individuo è un vero lea-
der se gli altri adottano spontaneamente, per un certo periodo di tempo, gli obiettivi di un gruppo e
li considerano propri. Per questi motivi è possibile affermare che la leadership concerne la creazio-
ne di team di persone orientati al raggiungimento di risultati. Proprio questo è il punto di collega-
mento tra leadership e performance del gruppo.
Secondo una definizione di Jack Zender, ripresa dal suo articolo: “The New Leadership Deve-
lopment”, pubblicato, nel marzo del 2000, sulla rivista “Training & Development”:
“il vero leader deve porre l’enfasi sugli obiettivi che un’organizzazione si aspetta e deve aiutare le
persone all’interno della stessa a raggiungere risultati migliori. Inoltre egli rende le prestazioni dei
propri followers più efficaci di quanto non sarebbero state se non ci fosse stata una guida.
Tutto ciò accade quando il leader vede un grande potenziale di crescita e non costringe nessuno a
raggiungerlo” (Zender, 2000).
Secondo questa caratterizzazione, il primo compito del leader è quello di raggiungere gli obiettivi
che l’impresa si prefissa. Per fare questo le performance dei follower devono essere in continuo mi-
glioramento, grazie al fatto che essi sono guidati ed indirizzati da una figura che ha indiscusse capa-
cità di gestione delle risorse umane.
Infatti, come ricorda Jack Zender (2000), il leader convince i propri collaboratori a fare cose che es-
si considerano impossibili e li aiuta a farle. Egli ha capacità di visione, di comunicazione ed è in
grado di motivare ed incoraggiare i follower. Inoltre, il leader deve saper costruire attorno a sé un
sistema in cui i valori e gli obiettivi sono condivisi da tutti, in modo tale che ognuno sappia cosa
deve fare e sia convinto di porre in atto le azioni giuste.
5.2 ll Leader e la Motivazione dei Follower
Nella transizione da organizzazioni fortemente gerarchiche ad assetti maggiormente orizzontali, as-
sume grande valore, prima che non l’imperativo dell’empowerment, quello della motivazione. Co-
me già anticipato precedentemente (si veda paragrafo 4.3.), la motivazione può essere definita co-
me quella spinta capace di influenzare il comportamento nel raggiungimento di determinati risultati:
per quanto riguarda la leadership è chiaro come la motivazione sia un elemento chiave e cruciale,
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contesto italiano
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nella misura in cui è specifico compito del leader quello di motivare (come funzione di influenza) i
follower, stimolandoli a raggiungere gli obiettivi organizzativi attesi. Al leader è chiesto, dunque, di
motivare anzitutto se stesso e, al contempo, di motivare i suoi collaboratori e questa capacità è con-
siderata una delle chiavi del successo del leader (Jung, Avolio, 2000).
Nelle più recenti rielaborazioni l’azione di motivare i collaboratori non è svincolata dall’azione di
riconoscere le loro risorse attraverso una considerazione individualizzata e un coinvolgimento attivo
nei processi: ciò che sempre più spesso e forse con una non adeguata precisione terminologica, va
sotto il nome di “empowerment” (Daft, 1999); ovvero, di un insieme di comportamenti tesi a con-
sentire ad altri di avere quel potere necessario per conseguire risultati personali e collettivi. Questo
potere è quell’energia da smuovere (e, a sua volta, capace di smuovere) di cui le organizzazioni
hanno bisogno. Se nelle rigide gerarchie organizzative, la struttura precisa del lavoro, così come i
processi e le procedure estremamente dettagliati, infatti, convogliavano il potere al vertice
dell’azienda, oggi questa distinzione appare non più valida. L’empowerment è divenuto un tema
universale (Daft, 1999): sempre più persone richiedono maggiore potere nelle loro vite (sia sul fron-
te personale, sia su quello professionale), maggiore partecipazione e coinvolgimento a diversi livel-
li; accanto a ciò, è risultato evidente come dinamiche di rigido controllo siano controproducenti sul
piano motivazionale. Poiché la conoscenza e l’informazione sono oggi le risorse principali dei con-
testi organizzativi, è fondamentale che esse siano alimentate attraverso il nutrimento della motiva-
zione e la condivisione di quel potere necessario proprio a maturare la conoscenza e a gestire le in-
formazioni. In questo discorso si può inserire l’esortazione di Charles Handy (1994) a seguire la via
dell’empowerment come “imperativo morale” per le organizzazioni: che non significa ispirare la vi-
ta organizzativa a un ideale di gestione cauta del potere ma sostenere una politica di attivazione di
un reale flusso di potere. In estrema sintesi, alla leadership è chiesto di essere empowering (Bowen,
Lawler, 1995) attraverso alcuni comportamenti principali:
- fare in modo che i collaboratori ricevano informazioni puntuali e continue sulla prestazione
organizzativa;
- fare in modo che i collaboratori possano apprendere le conoscenze e le competenze adeguate
per contribuire agli obiettivi organizzativi;
- dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni significative;
- aiutare i collaboratori a comprendere il significato e l’impatto del loro lacoro;
- riconoscere il contributo dei collaboratori in funzione dei risultati dell’organizzazione.
L’esercizio di queste azioni consentirebbe di passare da un basso grado di empowerment (presente
laddove i collaboratori hanno scarsa possibilità decisionale) ad un grado elevato (presente laddove i
collaboratori si sentono personalmente responsabili dei processi e delle strategie): questo passaggio
è possibile quando, da un lato, il leader sa esercitare i comportamenti indicati poco sopra, dall’altro,
i collaboratori stessi possiedono le abilità necessarie alle responsabilità assegnate. Il compito prin-
cipale del leader è, dunque, identificato in quello di accompagnare i collaboratori nel processo di
apprendimento e utilizzo consapevole ed efficace del proprio potere. I cicli di empowering si instau-
rano laddove leader capaci di avere una visione globale sanno anche stabilire precisi traguardi e fis-
sare obiettivi e si impegnano nel fornire sostegno e sicurezza ai propri collaboratori coinvolti in
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
64
prima persona nell’affrontare le grandi sfide organizzative, in un clima di apertura favorevole alla
sperimentazione. Il tema della sperimentazione rinvia in qualche modo al tema del cambiamento: “il
cambiamento è diventato per le organizzazioni il principale strumento per il successo” (Kets de
Vries, 1998) ma si confronta con una naturale disposizione soggettiva di ciascuno a preferire le di-
mensioni rassicuranti dello status quo. È la leadership stessa, con i suoi caratteri distintivi di coin-
volgimento nella visione e infusione di energie positive che consente di far fronte alle resistenze or-
ganizzative, e che, divenendo empowering, è capace di “tirar fuori dalle persone quanto hanno di
meglio” (Kets de Vries, 1998): per fare ciò il leader favorisce la collaborazione, crea fiducia, condi-
vide conoscenze e informazioni, fa in modo che i collaboratori si sentano padroni dell’azienda,
ugualmente protagonisti e responsabili degli eventi. Questa crescita dei collaboratori passa attraver-
so una condivisione del potere e il conferimento di autorità, ai diversi livelli organizzativi. L’azione
di fare empowerment non è caratteristica distintiva solo della leadership di vertice ma è una necessi-
tà a tutti i livelli organizzativi (Dess, Picken, 2000): si tratta di un’azione che richiede notevole fles-
sibilità, da parte di un leader cui spetta il ruolo molteplice di chi supporta e al contempo fornisce in-
formazioni e facilita i processi di lavoro.
5.3 La Credibilità del Leader e la Fiducia dei Follower
Sul fronte della relazione, e, in special modo, della condivisione, all’interno della relazione, di quel-
le istanze culturali che possono essere identificate in alcuni valori, un elemento “etico” fondamenta-
le del profilo di leadership è dato dalla credibilità, cui è strettamente legato un altro elemento cru-
ciale, la fiducia, ritenuta un vero e proprio “collante” per la relazione (Daft, 1999). Se la leadership
è una relazione di reciprocità, allora la credibilità è l’elemento capace di “fare la differenza” (Kou-
zes, Posner, 1993): il leader credibile è colui che sa come comprendere, far propri e condividere un
insieme di valori a tutta l’organizzazione, contribuendo positivamente a costruire un terreno comu-
ne entro cui è possibile sia la collaborazione sia il confronto. Per fare questo al leader è chiesto di
impegnarsi in un processo di costruzione della credibilità che prevede tre fasi:
- chiarezza: la credibilità nasce quando il leader sa anzitutto chiarire bisogni, interessi, valori,
ambizioni e aspirazioni dei follower così come degli altri interlocutori organizzativi. Questa
fase del processo richiede al leader di conoscere in profondità i suoi collaboratori ma anche,
e soprattutto, se stesso. Quando la chiarezza è presente ciascuno conosce e riconosce i prin-
cipi guida e le competenze cruciali che possono contribuire al successo individuale e orga-
nizzativo;
- unità: per costruire un’organizzazione forte e stabile è necessario sia visibile e perseguibile
uno scopo unitario, una causa comune. In altre parole, è necessaria l’unità d’azione nel por-
tare a termine il proprio lavoro, ma anche l’unità di intenti nel condividere le ragioni e i
principi per cui si agisce in un dato modo. L’unità esiste, dunque, quando il leader è capace
di costruire una comunità di valori condivisi, di supporto e stimolo verso la realizzazione
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
65
delle ambizioni individuali e collettive. È altresì importante che ci sia condivisione rispetto
alle modalità adeguate di tradurre i valori in pratica;
- intensità: se le parole sono importanti, le azioni le rendono vere e attendibili. Per questo è
fondamentale che il leader per primo prenda con serietà i principi cosicché le persone possa-
no comprendere quanto fortemente egli vi crede e possono avere indicazioni operative circa
il modo di realizzare i principi nella quotidianità.
Se questo è il processo di costruzione della credibilità, è anche possibile identificare sei pratiche che
possono essere definite le sei discipline della credibilità (Kouzes, Posner, 1993):
1) scoprire se stessi;
2) stimare i collaboratori;
3) affermare i valori condivisi;
4) sviluppare la capacità;
5) mettersi al servizio dell’obiettivo;
6) sostenere la speranza.
La credibilità è, in buona sostanza, l’elemento su cui si fonda la capacità del leader di guadagnarsi
la fiducia dei suoi collaboratori, ma anche dei colleghi e dei capi: in questo senso è possibile affer-
mare che la costruzione e il mantenimento della fiducia siano compiti fondamentali per la leader-
ship. Molte sono le definizioni di fiducia: qualcuno la definisce come l’aspettativa positiva che
l’altro non agirà in maniera opportunistica, con parole, azioni, decisioni (Boon, Holmes, 1991;
McAllister, 1995; Robbins, 2000). Essa viene anche definita come la disponibilità a divenire vulne-
rabili rispetto alle azioni dell’altro (Mayer, Davis, 1995).
Gli elementi definitori principali sono in ogni caso rappresentati dalla familiarità e dal rischio. È la
familiarità infatti a determinare l’elemento di aspettativa positiva, che si basa sulla conoscenza: la
fiducia è influenzata dalla storia di una specifica relazione (Kramer, 2003).
Il tema del rischio è invece evidente laddove si esplicita la caratteristica della vulnerabilità: non si
tratta di un rischio corso di “per se”, ma della disponibilità a correrlo, bilanciata dall’aspettativa di
un risultato positivo e vantaggioso (Mayer, Davis, 1995; Robbins, 2000). Le 5 dimensioni chiave
della fiducia sintetizzate da Mayer e Davis (1995) sono:
- integrità: fa riferimento all’onestà ed è cruciale quando le persone devono valutare
l’affidabilità dell’altro. Senza la percezione della presenza di questa dimensione “morale”, le
altre dimensioni perdono di significato;
- competenza: è da ricondursi alle abilità della persona, sia sul fronte delle conoscenze e capa-
cità tecniche, sia su quello delle capacità personali e interpersonali. La competenza è la base
indispensabile sulla quale si costruisce il rispetto;
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
66
- consistenza: è relativa alla prevedibilità del comportamento dell’altro in differenti situazioni
ma anche alla sua coerenza nel praticare quanto dichiarato o promesso, piuttosto che non
nell’esplicitare le ragioni dei cambiamenti di direzione;
- lealtà: è la disponibilità ad agire in maniera non opportunistica, considerando e tutelando gli
interessi dell’altro;
- apertura: ha a che fare con la tendenza a comunicare in maniera trasparente, verso una
maggiore e migliore comprensione.
La fiducia è primariamente connessa alla leadership, alla sua natura relazionale e reciproca (Butler,
1991; Robbins, 2000). La fiducia si connota come dimensione cruciale della leadership a tutti i li-
velli organizzativi (McGill e Slocum, 1998). “La fiducia e il rispetto accordati al leader sono il ri-
sultato non solo di ciò che i leader fanno, ma anche di come lo fanno”; al fine di costruire tale rela-
zione di fiducia, il leader può agire su 4 fronti (McGill e Slocum, 1998):
1) conoscere il lavoro (competenza);
2) fare quello che dice (coerenza);
3) rendersi sempre disponibile (ascolto);
4) costruire un “patto aperto” con i follower (la leadership non è un postulato ma una co-
costruzione, espressione della tensione dinamica tra i due oggetti della relazione).
Secondo Reina e Reina (1999) la fiducia, ovvero una relazione di mutua affidabilità che si gioca in
una comunicazione onesta, in una corrispondenza tra competenze attese ed espresse e in una sostan-
ziale apertura, gioca un ruolo importante nell’affrontare la complessità delle dinamiche interperso-
nali. Le relazioni sane si fondono, secondo gli autori, proprio sulla fiducia intesa come processo ba-
sato sulla reciprocità e sulla generatività: la fiducia genera fiducia (Reina e Reina, 1999).
Sono, infine, Ciancutti e Steding (2001) che descrivono con dettaglio i vantaggi della fiducia in
un’organizzazione e, dunque, l’importanza di una leadership capace di divenire promotrice di fidu-
cia. In particolare, i due autori elencano i seguenti vantaggi che la fiducia apporta in
un’organizzazione:
- vantaggi competitivi durevoli: un ambiente ricco di fiducia è un motore per l’innovazione;
- auto-regolazione: le persone, a tutti i livelli, sono incoraggiate ad identificare e risolvere
problemi anche in autonomia; si sviluppa una sorta di “abitudine” all’affidabilità, attraverso
una comunicazione chiara e trasparente;
- efficienza: la fiducia riduce lo spreco di energie impegnate in questioni irrisolte, sospetti, ac-
cordi poco chiari, scadenze mancate, incomprensioni, etc.
- prestazione ispirata: quando è presente la fiducia, è più semplice promuovere le idee inno-
vative e discuterle collettivamente, incentivando la crescita e il miglioramento;
- significato: la fiducia è sottesa ai processi di sensemaking organizzativo e rappresenta, in un
certo senso, la garanzia della veridicità dei significati.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
67
La costruzione e il mantenimento di elevati livelli di fiducia richiedono la capacità di lavorare sugli
affetti e sui sentimenti: in questo senso la leadership è da considerarsi più una sfida emotiva che in-
tellettuale (Ciancutti, Steding, 2001). Il vero obiettivo della leadership, infatti, sarebbe quello di of-
frire un ambiente emotivo in cui le persone si sentano valorizzate, soddisfatte e sicure. L’esercizio
di una leadership basata sulla fiducia richiede, dunque, l’espressione di alcune qualità a forte valen-
za emotiva: l’affinità, l’empatia, l’espressività e la comprensione (Ciancutti, Steding, 2001).
5.4 Top Management Team (TMT) e performance aziendali
L’ipotesi per cui le performances delle imprese siano prevalentemente una conseguenza delle deci-
sioni e delle azioni intraprese dal gruppo manageriale di vertice, piuttosto che un risultato delle con-
tingenze ambientali, è molto diffusa negli studi di strategic management ed è al centro della cosid-
Per giungere alla versione finale del questionario per il progetto Stima, l’ODG ha compiuto diverse
tappe. Una prima versione è stata usata per effettuare un pilot test: sono stati intervistati 6 CEO,
chiedendo loro di compilare il questionario. Gli obiettivi di tali interviste erano: capire se il questio-
nario fosse chiaro e comprensibile; constatare se vi fossero domande non incluse nel questionario
ma che dovessero essere inserite in esso perché ritenute interessanti per i CEO; cambiare alcune
domande, eliminarne delle altre e migliorare la formulazione delle domande poco chiare.
Si è così costruita una nuova versione del questionario, successivamente testata tramite un pre-test
su un campione di 31 studenti del MIP, che ricoprono il ruolo di CEO. Questi CEO hanno avuto un
mese di tempo per compilare il questionario, nel corso del quale sono stati inviati 3 reminder via
email per sollecitare i CEO a rispondere. Il tasso d risposta del pre-test è stato di 48,39% e l’analisi
dei dati raccolti è stata utile per migliorare e perfezionare il questionario. Infine, il 24 febbraio 2014
è stata portata a termine la progettazione del questionario, arrivando alla sua versione definitiva (si
veda Allegato 1), ed è stata avviata la somministrazione.
Nel paragrafo successivo viene descritta più nel dettaglio l’attività di somministrazione del questio-
nario.
6.2 Descrizione della popolazione di aziende
Il campione del progetto StiMa si focalizza sul contesto italiano; così facendo l’ODG ha voluto ri-
spondere alla richiesta di maggiori lavori su aziende non americane, infatti l’area geografica in cui
le aziende (e i TMT) sono collocati influenza le loro caratteristiche e performance (Hambrick,
2007). Pertanto, studiare le aziende italiane è interessante per la sua peculiarità; in particolare, il
contesto italiano è ricco di aziende di piccole dimensioni e familiari. Di conseguenza, la popolazio-
ne iniziale comprende tutte le aziende collocate in Italia e operanti nei settori manifatturiero e dei
servizi. Per considerare una popolazione il più completa possibile, l’ODG ha richiesto all’Ufficio
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
74
Studi della Camera di Commercio di Milano l’elenco di tutte le aziende italiane. La lista fornita in-
cludeva 59.684 aziende. A partire da questa lista è stata estratta la popolazione finale, imponendo
alcune condizioni per rientrarvi. In particolare, l’ODG ha scartato le aziende con meno di 20 dipen-
denti, oltre che le aziende finanziare e assicurative perché tali aziende hanno, tipicamente, una strut-
tura differente, se comparata a quella delle altre. Dunque, solo le aziende il cui stato legale impone
la pubblicazione del bilancio d’esercizio sono state prese in considerazione poiché in grado di assi-
curare la disponibilità dei loro dati di performance per testare le ipotesi della ricerca (i.e. ROE,
ROA, ROS, etc.). Applicando queste restrizioni, la popolazione finale consiste di 50.341 aziende
italiane ed è descritta in tabella 2:
Tabella 2: Popolazione target.
NORD CENTRO SUD NORD CENTRO SUD¹
20 – 49
50 – 249
250 – 499
> 500
9.090
5.160
562
339
2.437
1.000
103
67
1.944
732
43
31
9.879
5.346
619
528
3.714
1.898
258
211
4.191
1.901
189
99
31.255
16.037
1.774
1.275
Totale 15.151 3.607 2.750 16.372 6.081 6.380 50.341
¹ il Sud comprende anche le isole
6.3 Descrizione del campione di aziende finale
Il campione target del progetto Stima è composto da 6.108 aziende italiane, estratte casualmente
dalla popolazione di 50.341 precedentemente descritta. Tali aziende selezionate sono state classifi-
cate secondo tre dimensioni:
1) Il numero di dipendenti (20-49; 50-249; 250-499; ≥ 500);
2) Il settore di appartenenza (manifatturiero; servizi);
3) La collocazione geografica (nord; centro; sud).
La sottostante tabella 3 riporta la classificazione delle aziende del campione secondo le dimensioni
appena indicate:
Dipendenti Settore Manifatturiero Servizi Totale
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
75
Tabella 3: Campione target.
NORD CENTRO SUD NORD CENTRO SUD
20 – 49
50 – 249
250 – 499
> 500
368
357
228
339
331
277
81
67
320
252
38
31
369
358
237
528
348
319
154
211
351
319
126
99
2.087
1.882
864
1.275
Totale 1.292 756 641 1.492 1.032 895 6.108
È bene sottolineare che tale campione non coincide con il numero di aziende cui il questionario è
stato effettivamente inviato; nel seguito (paragrafo 6.4) verrà descritto il “campione di aziende con-
tattate” che sarà ridotto rispetto a quello target data la difficoltà di ottenere informazioni sui contatti
di tutti i CEO (i.e. indirizzo di posta privata, numero telefonico personale) per poter recapitare loro
il questionario.
6.4. Raccolta dei dati
In questa sezione saranno descritte più dettagliatamente le attività di somministrazione del questio-
nario e di gestione dei contatti effettuati, cui mi sono dedicata personalmente durante il corso di rea-
lizzazione della mia tesi di Laurea (da settembre 2014 a febbraio 2015).
6.4.1 Raccolta preliminare dei dati
Una volta estratto il campione finale, il primo obiettivo dell’attività di raccolta dei dati era di ottene-
re informazioni sui CEO delle 6.108 aziende selezionate. Dal momento che il questionario era indi-
rizzato al CEO di ognuna di queste aziende, è stato organizzato un gruppo di studenti¹ di laurea ma-
gistrale che si dedicassero alla ricerca di tutte le informazioni utili per potere recapitare il questiona-
rio del progetto StiMa ai CEO: nome e cognome, indirizzo email, numero di telefono e profilo di
Linkedin. Le fonti utilizzate sono state le seguenti: Aida, InsideView, LexisNexis², il sito web
dell’azienda e la rete internet in generale.
Nello specifico, Aida, InsideView e LexisNexis sono stati utilizzati per identificare nome e cogno-
me dei CEO, mentre internet e il sito web sono serviti per confermare i nomi e cognomi preceden-
temente individuati e per trovare l’indirizzo email e il numero telefonico dei CEO. La disposizione
dell’indirizzo email del CEO era fondamentale per il successo del sondaggio.
¹ In tuttto 17 studenti hanno lavorato al progetto, divisi sulla base delle diverse attività che compongono il processo di raccolta dei dati. ² http://aida.bvdin.com. Aida è un database che contiene informazioni e bilanci d’esercizio di tutte le aziende italiane. http://www.insideview.com/. InsideView è un database contenente informazioni su tutte le aziende del mondo. http://academic.lexisnexis.eu/. Lexis Nexis è un database che contiene notizie, informazioni legali e organizzative delle aziende di tutto il mondo
2002). Viene qui definita la consistenza della percezione del rischio come la consistenza logica delle
valutazioni del rischio in tre aree: temporale (per esempio, valutazione del rischio per il prossimo an-
no vs. per i prossimi cinque anni), destinato/innato (per esempio, il rischio di uscire morente da un at-
tacco terroristico vs. il rischio di morte per qualsiasi altra causa) e la complementarietà (per esempio
la probabilità di avere un incidente in macchina vs. la probabilità di ottenere un record di guida senza
incidenti).
Sensibilità ai Costi Affondati. I decisori spesso mostrano una maggiore disponibilità a portare avanti una scelta dopo che le risorse
sono già state investite, anche se obiettivamente, tali investimenti, “affondati”, non dovrebbero in-
fluenzare le decisioni di investimento future. Questa tendenza è stata chiamata “intensificazione
dell’impegno” (Staw, 1976) o “influenza dei costi affondati” (Arkes & Blumer, 1985). Spesso le per-
sone tengono conto di tali costi per evitare l’evento avverso di dover ammettere che le risorse sono
state sprecate, come risultato delle decisioni da loro prese (Arkes & Blumer, 1985). Per esempio Ar-
kes e Blumer hanno mostrato che i clienti abituali che hanno pagato il prezzo pieno ($15) per dei bi-
glietti stagionali di una serie teatrale hanno partecipato a più performance rispetto a quelli che hanno
ricevuto 2 o 7 $ di sconto.
3) BISOGNO di CONOSCENZA e COMPETENZE di DECISION-MAKING: coloro che presentano un elevato
bisogno di conoscenza, quando prendono decisioni, sono più verosimili fare affidamento su segnali superficiali
e sono, pertanto, meno suscettibili al framing dei pregiudizi, come quando scelgono tra due opzioni di cura per
il cancro presentate in termini di vite salvate o di vite perdute (Smith & Levin, 1996). Allo stesso modo, i
soggetti con alto NC ignorano completamente il fatto che, ad esempio, le conversioni in valuta monetaria siano
presentate in termini percentuali o in dollari, mentre coloro che hanno un NC basso si farebbero influenzare
dalla presentazione (Chatterjee, Heath, Milberg, & France, 2000). Coloro con più alto NC ci si aspetta, quindi,
che si possano associare a una maggiore resistenza agli effetti del framing. Il bisogno di conoscenza è stato
anche trovato moderare la tendenza a considerare i costi affondati. I partecipanti che hanno privilegiato questi
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
126
ultimi (dicendo che avrebbero voluto continuare a vedere un terribile film solo se avevano pagato per
prenderlo in prestito ma non se il film fosse stato gratutito) avevano un NC più basso rispetto a quelli che
rispondevano ignorando i costi affondati (Stanovich & West, 1999). I più alti nell’ NC ci si aspetta, pertanto
che siano associati a una maggiore resistenza ai costi affondati. La letteratura è ambigua sulla relazione tra il
bisogno di conoscenza e la taratura della confidenza. Mentre alcuni studi fatti in precedenza hanno fallito nel
trovare una relazione tra i due (Allwood & Bjorhag, 1990), altri, invece, hanno trovato che un più alto NC è
associato a una più scarsa taratura della confidenza, dato il dominio di conoscenza posseduto (Jonsson &
Allwood, 2003). Dati questi risultati misti, non viene qui previsto a priori il tipo di relazione che intercorre tra
l’NC e l’intervallo di confidenza definito. Vi è anche una modesta evidenza nella letteratura sulla relazione tra
l’NC e la consistenza della percezione del rischio, anche se la ricerca effettuata nell’ambito della salute
pubblica ha mostrato che l’NC modera l’impatto dei messaggi sui rischi del fumo, ad esempio: coloro che
hanno un più alto NC saranno influenzati in misura maggiore da messaggi che si attengono a fatti concreti;
mentre quelli con valori bassi dell’ NC saranno più influenzati dai messaggi emotivi (Vidrine, Simmons, &
Brandon, 2007). Data l’esigua letteratura, anche sulla relazione tra il NC e la consistenza delle percezioni del
rischio.non si possono fare considerazioni a priori.
4) BISOGNO di CONOSCENZA nel TOP LEADER: oltre a testare le ipotesi sollevate sulla relazione tra l’ NC e
le competenze di decision-making, il presente studio persegue l’altrettanto importante obiettivo di testare
questi processi su un campione di top leaders. Nessuna delle precedenti relazioni tra l’ NC e le performance
dell’attività di decision-making è stata esaminata in studi passati relativamente a una popolazione matura ed
esperta, né a una popolazione di leader che sono responsabili degli esiti delle decisioni prese. È, pertanto,
sconosciuto se un campione di decisori di “alto livello” mostreranno una relazione tra l’NC e le competenze di
decision-making o se i leader, indipendentemente dal loro NC, dopo anni di esperienza, hanno imparato a non
commettere errori nelle loro decisioni. Poiché gli effetti dell’NC sulle competenze di decision-making risultano
particolarmente forti (Cacioppo, Petty, Feinstein & Jarvis, 1996), si è ipotizzato che le differenze individuali
nell’NC influenzeranno le competenze di decision-making anche di decisori altamente esperti e competenti.
METODO: 179 leader di “alto livello” che stavano visitando la “Harvard Kennedy School of Government” per prender
parte a programmi di formazione manageriale sono stati reclutati come partecipanti. I partecipanti erano per lo più ame-
ricani, provenienti da governi locali, federali o militari in US. Risposte complete sono state ottenute da 161 partecipanti
(di cui 49 donne); questo campione è stato usato per tutte le analisi effettuate. I partecipanti avevano un’età media di 46
anni (SD= 7,73), con una media di 14 anni (SD= 7.64) passati in posizioni di leadership. Il 7% aveva un diploma o una
qualche qualifica di scuola superiore, il 18% aveva una laurea e il 75% un master o specializzazione. I partecipanti
venivano testati all’interno di cabine singole; dapprima veniva fatta completare la “Need for Cognition Scale”, poi la
“Susceptibility to Framing Scale”, la “Sensitivity to Sunk Costs Scale”, la “Consistency in Risk Perception Scale” e la
“Confidence Calibration Scale”, vale a dire le componenti di valutazione della “Adult Decision-Making Scale”, presen-
tati nell’ordine stabilito. Infine i partecipanti hanno fornito informazioni demografiche, incluse informazioni riguardanti
la propria esperienza di leadership e hanno poi ricevuto un feedback individuale sulle loro performance di decision-
making, il che ha stimolato la disponibilità dei leader a partecipare alla ricerca.
RISULTATI: per testare l’ipotesi che coloro che hanno un più elevato NC mostrano competenze migliori di decision-
making, sono state esaminate le correlazioni tra l’NC e ognuna delle quattro dimensioni relative a questo tipo di compe-
tenze. Coerentemente con questa ipotesi, i risultati hanno rivelato una correlazione significativa tra l’NC e due delle
quattro dimensioni delle competenze di decision-making: la resistenza agli effetti del framing e la resistenza agli effetti
dei costi affondati; i partecipanti con un più alto NC, quando dovevano prendere una decisione, mostravano una minore
necessità di framing rispetto a coloro che presentavano un NC più basso. I partecipanti con più alto NC manifestavano
anche una maggiore resistenza agli effetti dei costi affondati; maggiore era il loro NC e più i partecipanti erano disposti
a sostenere tali costi. Non vi era invece una correlazione significativa tra l’NC e la taratura della confidenza e la consi-
stenza delle percezioni del rischio. Per testare l’ipotesi che il campione di leader avrebbe dovuto mostrate meno suscet-
tibilità ai pregiudizi nel prendere decisioni rispetto al campione analizzato (“di controllo”) da Bruine de Bruin et al.
(2007), sono stati confrontati i punteggi ottenuti per i due campioni per ciascuna delle quattro dimensioni relative alle
competenze di decision-making. Il campione di controllo era costituito da 360 residenti nell’area di Pittsburg, di cui il
73,8% era formato da donne. Si trattava per il 44,6% di persone diplomate, per il 13% riportavano qualifiche di qualche
tipo, per il 29,1% di laureati, il 9.5% possedeva un master e lo 0,9% un dottorato (Bruine de Bruin et al. 2007). I risulta-
ti hanno rivelato che i leader avevano avuto performance migliori rispetto al campione di controllo su tre delle quattro
dimensioni: suscettibilità al framing, consistenza delle percezioni del rischio e resistenza agli effetti dei costi affondati.
Quindi si è concluso che differenze individuali nell’esperienza della leadership e nel bisogno di conoscenza moderano
la suscettibilità ai pregiudizi nell’ambito della presa di decisioni.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
127
CONCLUSIONI: in un campione di leader di “alto livello”, come preindicato, quelli con un alto bisogno di conoscenza
erano meno affetti dalla necessità di framing e meno influenzati dall’entità dei costi affondati rispetto a coloro che pre-
sentavano un NC basso. Tuttavia, l’ NC non risultava correlato ad una migliore taratura della confidenza o ad una più
consistente percezione dei rischi. Perché questo? Una risposta plausibile si trova nella tipologia di processo cognitivo
innescato da soggetti che svolgono incarichi diversi. Nella sua tassonomia dei pregiudizi nelle valutazioni, Arkes (1991)
suddivide gli errori sistematici nelle valutazioni in tre diverse categorie: basati sulla strategia, basati sull’associazione e
psicofisici. Gli errori “strategy-based” derivano dall’uso di strategie semplificate che non utilizzano tutti i dati a dispo-
sizione; anche se tali strategie spesso danno comunque soluzioni soddisfacenti e richiedono meno risorse cognitive (cf.
Gigerenzer, Todd, & the ABC Research Group, 1999), esse conducono a possibili errori di valutazione. Gli errori “as-
sociation-based” sono il risultato di associazioni semantiche automatiche che influenzano i giudizi. Per esempio, la mia
fiducia nel pensiero che Istanbul sia la capitale della Turchia potrebbe essere altamente dovuto all’attivazione automati-
ca di un evidenza coerente con questo pensiero (per es. il fatto che Istanbul sia la più grande città della Turchia; invece
la capitale è Ankara). Infine, gli errori di natura “psicophysical” risultano da risposte non lineari relative a diversi livelli
di guadagni e perdite. Ad es. se ho già investito $1000 per riparare la mia Camaro del 1988, altri 500$ di riparazione
sembrano pesarmi di rispetto a quanto mi peserebbero se non avessi già speso di più in precedenza. Secondo il fra-
mework di Arkes (1991), i due pregiudizi, ridotti negli individui con alto NC (gli effetti del framing e il pregiudizio dei
costi affondati), sono entrambi considerati errori psicofisici di valutazione poiché derivano da una differente sensibilità
ai guadagni e alle perdite (effetti del framing) e da una differente sensibilità delle perdite, che dipendono dal punto di
vista del singolo (pregiudizi sui costi affondati). Mentre risulta improbabile che gli errori psicofisici di valutazione pos-
sano essere superati attraverso riflessioni ulteriori, in entrambi i casi, una chiara regola decisionale può essere applicata
per superare l’ “illusione percettiva”. Si introduce, ad esempio, la regola che, per determinare la risposta corretta di una
decisione che si possono calcolare i valori previsti a prescindere dal framing (e molti dei partecipanti hanno fatto in
questo modo); oppure si segue la regola di “considerare solo i costi e i benefici futuri”, eliminando così l’illusione per-
cettiva sui costi affondati. Al contrario, la taratura della confidenza è classificata come un errore “association-based”
nel framework di Arkes. Errori di questo tipo sono molto difficili da eliminare, forse e impossibile eliminarli, poiché
richiedono l’impegno di notevoli sforzi mentali. La consistenza della percezione del rischio è più difficile da classifica-
re. Mentre gli errori di valutazione che conducono a descrizioni inappropriate del rischio possono essere di tipo “asso-
ciation-based”, le inconsistenze interne sono plausibilmente dovute ad errori di valutazione basate sulla strategia (stra-
tegy-based).. Per esempio, un viaggio in aereo potrebbe esser valutato più rischioso di un viaggio in macchina e ciò è
dovuto alla maggiore intensità di un servizio televisivo su un incidente aereo piuttosto che su un incidente stradale: il
servizio nel primo caso sarà proposto in tv più volte. Tuttavia l’inconsistenza delle percezioni del rischio (come attribui-
re una più alta probabilità di morire in un incidente aereo nel prossimo anno rispetto ai prossimi cinque anni) è presu-
mibile esser dovuta a una difettosa strategia decisionale che sorvola sulle regole della probabilità. In accorso con il fra-
mework di Arkes (1991), migliorare una strategia decisionale subottimale (per esempio ricorrendo a incentivi o dele-
gando responsabilità) potrebbe ridurre gli errori di tipo “strategy-based”. La ricerca futura dovrebbe esplorare la relazione tra il bisogno di conoscenza, i costi e i benefici associati a diverse stra-
tegie decisionali e gli errori di tipo “strategy-based”.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
128
APPENDIX IV:
Approfondimento: La “Path-Goal Theory”
ARTICOLO: “Overview of Path-Goal Leadership Theory”
AUTORI: Alanazi, Talal Ratyan, Alharthey, Bandar Khalaf, Amran Rasli.
JOURNAL: Journal Technologies (Sciences and Engineering).
ABSTRACT
Il ruolo della leadership è molto importante e può influenzare il contesto in cui le organizzazioni operano, il loro suc-
cesso e il lavoro dei loro dipendenti. Una leadership efficace può influenzare la soddisfazione dei subordinati, la loro
motivazione e le loro performance. Questo studio si focalizza sulla “Path-Goal Theory” che è classificato come approc-
cio della contingenza. La teoria ha proposto che il comportamento di una leadership può variare a seconda della situa-
zione e del periodo in cui un leader si trova operare. Molti studi sono stati condotti per testare e verificare questa teoria.
Tuttavia le verifiche empiriche risultano molto complesse; il diverso modo di costruire tale teoria spiega chiaramente
alcune delle contraddizioni presenti nei test della teoria. Le principali ricerche empiriche condotte hanno infatto eviden-
ziato la necessità di ulteriori rifiniture di questa teoria.
Attualmente i cambiamenti sono divenuti inevitabili in tutti i settori. Le organizzazioni devono essere flessibili per ac-
quisire tutto ciò che vi è di nuovo nel mondo esterno e provare a far fronte a tutti i cambiamenti che si presentano loro
per accrescere le proprie capacità di competere efficacemente sul mercato, o almeno, a rimanere competitivi. I leader
dovrebbero esser in grado di far fronte alle sfide che accompagnano il processo di sviluppo delle loro organizzazioni. In
questo processo, il ruolo della leadership è molto importante e può influenzare il contesto, il business e i dipendenti del-
le organizzazioni. Una leadership efficace deve essere capace di motivare i propri subordinati a fare del loro meglio e a
sfruttare tutte le loro potenzialità per contribuire allo sviluppo dell’organizzazione così come a raggiungere la soddisfa-
zione sul lavoro che contribuisce significativamente a ridurre il tasso di turnover dei dipendenti. Differenti stili di lea-
dership e strategie di gestione dovrebbero essere impiegati per ottenere e assicurare la soddisfazione sul lavoro, a se-
conda della differente situazione. La motivazione dei dipendenti e il raggiungimento della soddisfazione del lavoro sono
davvero necessari per accrescere la competitività di un organizzazione. Un buon contributo da parte dei subordinati è
possibile con l’esistenza di una leadership efficace che dirige e guida verso la strada giusta per il raggiungimento degli
obiettivi aziendali.
SUPPORTO TEORICO alla LEADERSHIP: vi sono molti approcci diversi alla leadership, come quello dei tratti e delle
personalità, dei comportamenti, contingente o situazionale, transazionale, trasformazionale e leadership basata su sé
stessi. La Path-Goal Theory si colloca tra gli approcci della contingenza che concentra i propri studi sull’interazione tra
le variabili coinvolte in una leadership e gli schemi comportamentali della stessa. D’altra parte questi studi presentano
un comune approccio diverso alla valutazione della leadership: si nega l’esistenza di un unico schema di leadership va-
lido per tutti i casi, pensiero che diviene la base su cui si costruiscono le teorie della contingenza o situazionali. I princi-
pali modelli della contingenza comprendono il modello dell’efficienza della leadership di F. Fielder, McGraw-Hill
(1967), il modello di decision-making di V.Vroom e P. Yetton (1973), la Path-Goal Theory di R. House e T. Mitchell
(1974), e la teoria della leadership situazionale di Hersey e Blanchard. La “Path-Goal Theory” è un modello differente
di leadership che si basa sull’assunto che la motivazione di un individuio dipende dall’aspettativa e che, facendo sforzi
maggiori per raggiungere performance migliori, si potrebbe avere successo. House e Mitchell hanno proposto che i tipi
di comportamento della leadership, che includono la direttiva, il supporto, la partecipazione e l’orientamento ai risultati
possono essere esercitati, dalla stessa persona, in situazioni e tempi differenti. Applicando uno di questi comportamenti
propri di un leader, i manager cercano di influenzare le concezioni dei loro subordinati e spianano loro la strada per il
raggiungimento dei propri obiettivi.
SVILUPPO della “PATH-GOAL THEORY” : sviluppata da Robert House, costituisce la più efficace teoria della con-
tingenza della leadership. Questa teoria indica che il principale obiettivo del leader è provvedere a una guida, fornire
supporto e aiuto ai subordinati perché possano raggiungere efficacemente i propri obiettivi e quelli aziendali. La teoria
comprende due tipi di contingenze situazionali: la prima riguarda le caratteristiche personali dei membri del gruppo, la
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
129
seconda, l’ambiente di lavoro. Quattro diverse tipologie di stili di leadership vengono suggeriti da questa teoria: parte-
cipativo, di supporto, direttivo e orientato ai risultati. Un buon leader dovrebbe sapere quale stile praticare e quando
metterlo in pratica. Il leader direttivo spiega ai suoi subordinati che cosa ci si aspetta da loro, fornisce una guida e assi-
cura l’implementazione di regole e procedure. Il leader di supporto dedica molta attenzione ai bisogni e al benessere
dei subordinati. Al contrario, il leader partecipativo incoraggia la partecipazione dei subordinati ai processi decisionali,
mentre i leader orientati ai risultati cercano di accrescere le performance, definiscono degli standard di lavoro e assicu-
rano l’adeguamento a tali standard da parte dei subordinati. La natura del compito e i bisogni dei subordinati fornisco-
no, quindi, informazioni sullo stile di leadership per il quale il leader dovrebbe optare. Il grado di definizione dei compi-
ti è inversamente proporzionale al livello di guida e al bisogno di una leadership di tipo direttivo. La “Path-Goal Theo-
ry” evidenzia il fatto che un leader dovrebbe essere “task-oriented” o “relationship-oriented”, a seconda delle esigenze
della particolare situazione. La teoria si basa su due ipotesi: la prima è che il comportamento del leader viene considera-
to adeguato da parte dei suoi subordinati solo quando esso rappresenta una fonte immediata della loro soddisfazione o
se tale comportamento può essere utile per raggiungere la soddisfazione sul lavoro in futuro.
La seconda ipotesi considera il comportamento del leader come fonte della motivazione dei dipendenti. Così, se il com-
portamento del leader è adeguato, allora condurrà a una maggiore motivazione dei dipendenti. Il conseguimento della
motivazione dei subordinati si può realizzare allineando il loro bisogno di soddisfazione a performance efficienti. La
motivazione si può indurre anche attraverso una diretta supervisione sul lavoro dei subordinati o tramite adeguati rico-
noscimenti in termini economici al al raggiungimento di determinati risultati. Nel caso di un contesto lavorativo in cui i
dipendenti sono soggetti a forti pressioni o in cui i compiti sono poco strutturati, una maggiore soddisfazione dei subor-
dinati e, quindi, performance efficienti, possono essere conseguiti adottando uno stile di leadership di tipo direttivo. Nel
caso in cui i compiti, invece, sono chiaramente strutturati, una leadership di supporto potrebbe risultare più adeguata. Se
l’abilità e l’esperienza dei dipendenti sono alti, la leadership direttiva potrebbe non essere adeguata epotrebbe, anzi, in-
tralciare le performance e la soddisfazione dei dipendenti; se il sistema organizzativo è chiaro e rigido, il leader dovreb-
be assumere più un ruolo di supporto che direttivo. Sulla base di questa teoria, il ruolo del leader dipende dall’ambiente
di lavoro dei subordinati e dalle dimensioni della struttura in tale ambiente. In contesti lavorativi altamente strutturati
con regole e chiarezza dei compiti si può definire, il percorso che ciascun individui deve seguire in vista degli obiettivi
da raggiungere. In questo caso il leader dovrebbe essere interessato alle sue relazioni coi subordinati, supportare la mo-
rale di questi e ridurre il più possibile la noia del lavoro. Se la struttura del lavoro non è chiara e mutevole, il leader do-
vrebbe supportare i suoi subordinati fornendo una maggiore guida e direttiva. In questo caso, il leader dovrebbe preferi-
re un approccio del tipo task-oriented rispetto ad un orientamento alle relazioni.
LETTERATURA a SUPPORTO della “PATH-GOAL THEORY” : le indagini su tale teoria si sono focalizzate
sull’esplorazione della relazione tra i comportamenti della leadership e la soddisfazione sul lavoro, studiando l’impatto
di differenti variabili moderatrici, come le caratteristiche del compito di lavoro. Per esempio, R. House (1971) ha dimo-
strato che si può dare sostegno, in modo preliminare, all’affermazione che le variabili situazionali possono modificare il
comportamento direttivo e di supporto del leader, oltre che le misure di efficienza (i.e. la soddisfazione sul lavoro da
parte dei subordinati). C. Schriesheim e A. Denisi (1981) hanno dichiarato che le variabili relative alle caratteristiche
dei compiti, come la selezione, il feedback e le interazioni sociali, modificano la relazione tra il comportamento del lea-
der direttivo e la soddisfazione dei subordinati. E ancora, J. Indvik (1986) con le sue analisi è riuscito a dare supporto
alle ipotesi che stanno alla base della path-goal theory, in particolare riguardo all’influenza del comportamento adottato
dal leader direttivo, moderato dalle caratteristiche del compito, sulla soddisfazione dei dipendenti. Inoltre,
J.Schriesheim e C. Schriesheim (1980) hanno scoperto che il comportamento di supporto del leader sembra essere for-
temente rilevante per il livello di soddisfazione dei dipendenti, indipendentemente dalle caratteristiche del contesto. B.
Fisher e J.Edwards (1988) supportano l’esistenza di una relazione positiva tra il comportamento di supporto del leader e
la soddisfazione dei subordinati. Molti studi supportano l’ipotesi che il comportamento direttivo del leader aumenta la
soddisfazione dei subordinati, ma non nel caso di compiti strutturati, questo vale solo per compiti destrutturati. La ricer-
ca ha affermato che l’impatto del comportamento di supporto sulla soddisfazione dei subordinati è solo debolmente
moderato dalla struttura dei compiti. House (1971), in uno dei suoi primi studi, ha trovato che la soddisfazione dei su-
bordinati è associata al grado di riduzione dell’ambiguità del compito attraverso un atteggiamento di tipo direttivo da
parte del leader. Anche J. Siegel (1973) ha notato che il comportamento di un leader direttivo si correla in modo diretto
alla soddisfazione dei subordinati e, quando i risultati dei compiti dei subordinati sono esigui, il leader si preoccupa più
della loro soddisfazione che delle loro performance. Anche G. Dessler (1973) ha testato questa teoria e ha trovato che
quando il comportamento di un leader di supporto si mantiene pressocché costante e coerente, il comportamento di un
leader direttivo non si lega positivamente alla soddisfazione dei subordinati e alla chiarezza dei compiti in un contesto
in cui i compiti sono ben strutturati. R. Awan (2003), nel suo studio ha supportato l’idea che la leadership direttiva sia
inversamente proporzionale al consenso che il leader vanta presso i suoi subordinati e che contribuisca negativamente,
con la sua attività di supervisione e il suo modo di operare in generale, alla soddisfazione sul lavoro, nel caso in cui i
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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130
subordinati risultano avere elevate abilità di percezione. Un altro studio condotto da R. Awan, N. Zaidi, G. Noureen
(2011) ha mostrato che leader di supporto in una situazione di compiti strutturati, rendono le persone più soddisfatte.
Questo risultato conferma l’assunto dalla teoria che quando i compiti dei subordinati sono strutturati o routinari, un lea-
der di supporto può motivare i propri subordinati riducendo gli aspetti negativi delle condizioni di lavoro.
La Path-Goal Theory assume che i risultati conseguiti dai subordinati saranno affetti positivamente da una leadership di
tipo partecipativa nel caso di compiti destrutturati. Ciò indica che una leadership molto partecipativa contribuisce nega-
tivamente alla soddisfazione del lavoro con la sua attività di supervisione e il suo modo di operare in generale nel caso
di compiti strutturati. S.Malik, H.Hassan, S.Aziz (2011) hanno fatto notare che la relazione tra tutti i tipi di comporta-
mento della leadership e la soddisfazione del lavoro dei dipendenti è un fattore molto importante.
La Path-Goal Theory ha tre principali punti di forza:
1. Introduce un framework teorico che aiuta a comprendere l’effetto dei diversi stili di leadership, direttivo, di
supporto, partecipativo e orientato ai risultati, sulla produttività dei subordinati e sulla loro soddisfazione; 2. È la prima teoria che introduce il concetto di motivazione dei subordinati della teoria dell’aspettativa
all’interno del concetto di leadership; 3. Introduce un modello pratico che conferma e illustra le principali modalità in cui i leader aiutano i propri
subordinati
LETTERATURA NON a SUPPORTO della “PATH-GOAL THEORY”: nonostante il suo interesse, testi
empirici sulla Path-Goal Theory risultavano difficili da realizzare. Per esempio, C. Schriesheim, S. Kerr (1977) e C.
Schriesheim, R. House, S. Kerr. (1976) hanno proposto che alcune delle scale della “leadership di Ohio” (che veniva
frequentemente utilizzata per testare la path-goal theory) erano contradditorie. Schriesheim e Kerr (1977) hanno
effettuato verifiche sulla strumentazione dei test della “path-goal theory” dal momento che i differenti modi con cui
questa teoria viene costruita spiegano chiaramente alcune delle contraddizioni presenti nei test della stessa. Bass,
Wofford & Liska (1993) hanno lavorato su questo problema. Studi condotti su sondaggi volti a testare tale teoria sono
stati revisionati da Wofford e Liska(1993) usando l’approccio della Meta-analisi e hanno scoperto che l’asserzione che
le caratteristiche del compito moderano l’effetto del comportamento direttivo della leadership sulla chiarezza dei
compiti e sulle performance dei subordinati.Tuttavia, molti studi devono ancora esser condotti per testare
l’affermazione che la soddisfazione viene aumentata dalla partecipazione del leader, nel caso di compiti destrutturati e
nel caso di desiderio di autonomia da parte dei subordinati. A. Szilagyi, H. Simms (1974) hanno condotto un’indagine
in un ospedale che coinvolgeva molti dipendenti inclusi amministratori, professionisti, tecnici e addetti ai servizi. I
risultati supportavano l’ipotesi della “path-goal theory” relativa alla relazione tra il comportamento direttivo del leader,
le caratteristiche dei compiti e la soddisfazione dei subordinati, ma non supportavano la relazione tra comportamento
direttivo del leader e performance aziendali. Similmente, J. Stinson, T. Johnson (1975) hanno testato l’ipotesi relativa
alla relazione tra il comportamento del leader direttivo e la soddisfazione, conseguendo il risultato che il leader direttivo
è più adatto nel caso di compiti poco strutturati, poco ripetitivi e altamente indipendenti piuttosto che nel caso di
compiti altamente strutturati, ripetitivi e non indipendenti tra loro. Il comportamento del leader di supporto, la
soddisfazione e la chiarezza dei ruoli ci si aspettava fossero positivamente correlati tra loro. I rispondenti erano
ingegneri di progetto, personale dei servizi civili e ufficiali. I risultati hanno mostrato la loro consistenza con la “path-
goal theory” relativamente al comportamento del leader di supporto mentre si sono mostrati in contrasto con le
assunzioni della teoria riguardo il comportamento del leader direttivo. A. Seers, G. Graen. (1984) hanno compreso che
la soddisfazione e i risultati di performance dipendono direttamente dalle caratteristiche dei compiti e dal bisogno di
crescita dei subordinati. In contrasto con la teoria esaminata, i risultati hanno mostrato che le performance del leader
direttivo sono migliori quando la struttura dei compiti è elevata. L’alto livello di istruzione dei bibliotecari che hanno
condotto tale analisi e il loro basso bisogno di indipendenza sembravano essere una possibile giustificazione dei risultati
conseguiti. In generale, il comportamento del leader direttivo inasprisce le tensioni, particolarmente quando il
comportamento di supporto dello stesso è modesto. Inoltre, C. Green et al.. (1979) hanno affermato che il
comportamento del leader direttivo è positivamente correlato alla soddisfazione e alle performance nel caso di compiti
poco strutturati. Tuttavia, tale comportamento risulta negativamente correlato alla soddisfazione del lavoro se il compiti
erano meglio strutturati. Come previsto dalla teoria, la leadership di supporto incrementa la sua relazione positiva con la
soddisfazione dei subordinati se i compiti non sono ambigui. In un altro studio, C. Greene ha testato le cause delle
“menzogne” che stanno dietro questa teoria. I risultati ottenuti supportano la teoria anche per quanto concerne le ipotesi
sulle performance dei subordinati. T. R. Mitchell. (1979) ha trovato che i risultati sono più consistenti per le ipotesi
relative alla leadership di supporto e meno per quelle sulla leadership direttiva; essi si manifestavano, inoltre, con
maggiore evidenza adottando il criterio della soddisfazione piuttosto che quello delle performance. J. Indvik. (1985) ha
condotto 48 studi sulla “path-goal theory” coinvolgendo un totale di 11.862 rispondenti. I risultati da lui ottenuti hanno
mostrato che quando l’ambiente di lavoro non include la struttura, il comportamento di una leadership direttiva aumenta
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
131
radicalmente la motivazione dei subordinati e la soddisfazione complessiva. Contrariamente alle previsioni, la
leadership direttiva risultava migliorare le performance dei subordinati solo quando la struttura dei compiti era elevata.
Invece, nel caso di compiti strutturati, il comportamento della leadership di supporto accresceva la motivazione, la
soddisfazione, le performance e la trasparenza dei ruoli come previsto. J. Indvik. (1986) nel suo rapporto ha dedotto
che la soddisfazione complessiva dei subordinati era influenzata dalla leadership partecipativa. Oltretutto, il
comportamento della leadership orientata al raggiungimento dei risultati era rilevante per aumentare radicalmente la
soddisfazione dei subordinati nel caso di compiti altamente strutturati e nel ridurre drasticamente la soddisfazione e le
performance dei subordinati nel caso di compiti caratterizzati da un elevato bisogno di ottenere determinati risultati.
Riffat et al. ha mostrato che la motivazione dei subordinati poteva essere raggiunta quando questi lavoravano con leader
direttivi e avevano un’elevata abilità di percezione. Questo risultato contraddice la percezione della “path-goal theory”
che i subordinati qualificati accettano e hanno una maggiore familiarità con i leader partecipativi. L.Yang. (2005) ha
trovato che solo lo stile di leadership partecipativo ha un significativo impatto sulla “job satisfaction”. Il risultato non
dava supporto alla teoria quando questa affermava che una leadership partecipativa non è efficace quando i compiti
sono altamente strutturati. Le assunzioni relative al comportamento del leader di supporto, al consenso e alla
soddisfazione sul lavoro non venivano supportate dallo studio condotto da Riffat et al. È stato desunto che i soggetti che
lavorano sotto una leadership di supporto hanno una relazione di tipo inversamente proporzionale con il consenso del
leader e la job satisfaction nel caso in cui i compiti sono ben strutturati. Questo risultato pure contraddiceva la path-goal
theory nel punto in cui affermava che quando la strutturazione dei compiti è alta, la leadership di supporto rende il
lavoro accettabile e le persone più soddisfatte del loro leader.
La path-goal theory aveva, dunque, quattro principali punti di debolezza:
1. La difficoltà di usare la teoria in uno specifico scenario organizzativo perché esso comprende un vasto numero
di variabili, interconnesse tra loro, da considerare; 2. La mancanza di risultati evidenti che supportino completamente tutte le affermazioni della teoria; 3. L’ambiguità della teoria nell’indicare i comportamenti del leader che influenzano direttamente la motivazione
dei subordinati; 4. Il fallimento della teoria nel percepire la natura transazionale della leadership anche se si tratta di una teoria
leader-oriented.
Inoltre, la teoria non incoraggia i subordinati a partecipare ai processi di leadership.
CONCLUSIONI : La “Path-Goal Theory” è la comune evoluzione teorica dell’approccio della contingenza e trae le sue origini dal
framework della teoria della motivazione. L’essenza della teoria è spiegare che il comportamento di un leader influenza la soddisfazione, la motivazione e le
performance dei subordinati. La teoria ha proposto che il comportamento della leadership può essere esercitato, in
differenti situazioni e tempi, dallo stesso leader.
Le fondamentali ricerche empiriche condotte per testare la path-goal theory hanno proposto la necessità di
riformulazioni della teoria.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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APPENDIX V:
Approfondimento: Un’ANALISI EMPIRICA
ARTICOLO: “Value Congruence and Charismatic Leadership in CEO –Top Manager Relation-
ship: An Empirical Investigation”
AUTORI: Sefa Haybor, Bradley R.Agle, Greg J. Sears, Jeffrey A.Sonnenfeld, Andrew Ward.
JOURNAL: Journal of Business Ethics.
ABSTRACT : anche se gli studiosi della leadership carismatica hanno discusso molto sul fatto che la congruenza tra
l’importanza del leader e quella dei follower gioca un ruolo centrale nello sviluppo di relazioni carismatiche, sono stati
pochi gli studi che hanno testato questa affermazione. Usando i dati di due studi che hanno coinvolto un totale di 329
CEO e 1807 membri dei loro top management team, è stata testata l’ipotesi che la congruenza di valore tra leader e
follower è empiricamente correlata alle percezioni che i follower hanno del carisma del loro leader. Secondo una pro-
spettiva relazionale sulla leadership carismatica, forte supporto è stato trovato per l’ipotesi che la congruenza di valore
percepita tra leader (CEO) e follower (membri del TMT) è positivamente correlata alle percezioni che i follower hanno
del carisma posseduto dai loro leader. Invece, solo un supporto limitato è stato trovato per l’ipotesi che l’effettiva con-
gruenza di valore tra i due è legata alle percezioni di una leadership carismatica. Vengono qui discusse le implicazioni
di questi risultati sia per la ricerca teorica sia per la pratica.
SVILUPPO delle IPOTESI: Il termine “carisma” è, oggi, largamente usato per descrivere i leader – dal punto di vista
politico, organizzativo, e altro, ma, negli ultimi anni, è stato anche usato per descrivere entità molto diverse, sia umane
che non umane (Barney et al., 2005). Mentre la parola è, quindi, usata piuttosto genericamente in molti casi, nella lette-
ratura organizzativa, i significati ad essa attribuiti sono abbastanza meno diversi tra loro. In termini basilari, i leader ca-
rismatici sono visti come leader visionari che, attraverso la combinazione di caratteristiche della loro personalità, di
comportamenti adottati e di relazioni interpersonali instaurate con i follower, motivano questi ultimi a raggiungere per-
formance eccellenti nella direzione della vision da essi indicata. Negli studi sulle organizzazioni, il carisma del leader è
stato empiricamente associato ad individui, gruppi e aspetti organizzativi molto positivi, quali, ad esempio, le perfor-
mance dei dipendenti, gli umori e i comportamenti dei cittadini (Tsai et al., 2009), la motivazione, la soddisfazione del
lavoro, la coesione, le performance del gruppo e le performance finanziarie (Campbell et al., 2008). Pertanto, lo studio
della leadership carismatica rimane un’area critica nell’ambito degli studi sulle organizzazioni. Il lavoro che inizialmen-
te ha reso interessante lo studio del carisma fu quello condotto da Weber (1947), la cui concezione del carisma si realiz-
za sull’idea di un leader che possiede straordinarie qualità sovraumane. Questa enfasi sulle caratteristiche personali dei
leader carismatici ha generato una crescita significativa del numero di ricerche che hanno esaminato le qualità principali
di un leader carismatico. Ci sono numerosi tratti che caratterizzano tale leader:
I leader carismatici tendono ad essere orientati al futuro (Conger, 1989).
Essi vedono le principali discrepanze tra le cose come queste sono e come pensano potrebbero essere,
articolando una visione che comprende anche i mezzi attraverso cui muoversi dallo status quo allo stato futuro
I leader carismatici tendono a possedere notevoli capacità retoriche” (Conger, 1989; Shamir et al., 1994).
Essi tendono anche ad essere altamente espressivi delle proprie emozioni (Shamir et al., 1994; Sosik e
Dworakivsky, 1998), e sono spesso abili nell’esprimere in modo non verbale le proprie emozioni (Bass, 1990).
Mentre le nuove teorie carismatiche prendono ancora in considerazione le caratteristiche personali e i comportamenti
dei leader carismatici (Jacobsen e House, 2001), un grande consenso è emerso relativamente al fatto che la leadership
carismatica sia un fenomeno di carattere relazionale (Bass, 1985; Berlew, 1974; Burns, 1978; Conger, 1985; Conger
and Kanungo, 1987; Groves, 2005; Howell and Hall-Merenda, 1999; Howell and Shamir, 2005; Katz and Kahn, 1978;
Shamir, 1995; Yukl, 1999).
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
133
Jermier (1993) descrive il carisma come un processo che non può presentarsi in assenza di relazioni sociali e
Mullin (1987), sottolineando l’importanza dei componenti relazionali della leadership carismatica, ha notato
l’assenza di supporto empirico per i modelli valutano il carisma ponendo il loro focus solo sulle caratteristiche
personali del leader.
Secondo il punto di vista di Castro et al. (2008), “la leadership viene stabilita congiuntamente da leader e
follower”; il carisma non risiede solo nel leader, ma anche nelle relazioni che il leader instaura con particolari
follower (Howell and Shamir, 2005; Klein and House, 1995) e la relazione carismatica, più che essere
determinata da certe caratteristiche personali del leader, è influenzata dalle percezioni che i follower hanno dei
loro leader (Campbell et al., 2008; Conger et al., 2000; Howell and Shamir, 2005; Hughes et al., 1999; Kark
and Shamir, 2003; Willner, 1984).
Yukl (1999) afferma che la definizione di carisma più utilizzata è quella espressa in termini di attribuzioni di
carisma da parte dei follower; questa posizione è anche evidente nel modello di carisma presentato da Conger e
Kanungo (1987). Da questo punto di vista, la leadership carismatica può essere vista come un fenomeno di
costruzione sociale basato sulle attribuzioni di carisma dei follower ai leader (Awamleh and Gardner, 1999). Il
risultato è che, mentre in alcuni casi un leader potrebbe condividere relazioni carismatiche con tutti i suoi
follower, in altri casi essi condivideranno tali rapporti solo con alcuni dei loro follower o, addirittura, con
nessuno di loro (Howell and Shamir, 2005; Klein and House, 1995). In accordo a questo, numerose ricerche
hanno suggerito che vi è una forte argomentazione a favore dell’adozione di una prospettiva duplice negli studi
della leadership carismatica e nell’esaminare i fattori relazionali che contribuiscono a una leadership
carismatica (Bass, 1988; Campbell et al., 2008; Groves, 2005; Howell and Shamir, 2005).
In questo articolo viene concentrata l’attenzione sulla congruenza di valore tra leader e follower, un costrutto relaziona-
le che ha un ruolo prominente in molte teorie riguardanti le relazioni carismatiche.
1) BASI TEORICHE della CONGRUENZA di VALORE nei RAPPORTI CARISMATICI: vari processi
possono essere usati per spiegare l’nfluenza della congruenza di valore tra leader e follower sulla leadership
carismatica. Questi comprendono processi basati sull’attrazione della somiglianza, l’identificazione sociale e il
sapere sociale. Il paradigma della “similarity-attraction” (Byrne, 1971) è forse la più nota teoria sulla
somiglianza interpersonale. Essa propone che livelli di somiglianza più alti tenderanno a coltivare affetti
interpersonali positivi, conducendo all’aumento dell’attrazione e dell’armonia tra gli individui. Quindi gli
individui tenderanno ad esprimere più alti livelli di gradimento per parti simili e desidereranno interagire con
tali parti con una maggior frequenza (Byrne, 1971). In questo modo, i teorici della leadership carismatica
hanno argomentato che i follower dovrebbero essere attratti da quei leader che sostengono valori simili ai
propri (Ehrhart and Klein, 2001). Attenendoci al framework della “similarity-attraction”, l’enfasi del leader
carismatico sui valori condivisi con follower potenziali promuove un incitamento affettivo e stimola
l’attrazione dei follower per quel leader. La congruenza di valore nelle relazioni carismatiche, quindi, è
probabile esista in alcune fasi iniziali della relazione, quando è stressante l’adesione a specifici valori dei
follower che il leader è chiamato a garantire (Strange and Mumford, 2002), poiché egli deve mostrarsi come
“incarnazione” di quei valori (Shamir and Howell, 1999; Sosik and Dworakivsky, 1998). Il leader carismatico
presenta una visione che è coerente con i valori dei suoi potenziali follower, cosicché aumenta la sua
probabilità di attrarre follower e che questi ultimi scelgono spontaneamente di seguirli e di condividere la loro
vision (Shamir et al., 1993). I ricercatori hanno anche proposto che i processi di identificazione sociale sono
importanti per spiegare gli effetti della congruenza di valore tra leader e follower (Chatman, 1991; Grant and
Bush, 1996; Lee and Mowday, 1987). Lord e Brown (2001) vedono i valori e le identità dei follower come
fondamentalmnte intrecciati: i loro valori fondamentali influenzano la probabilità che essi stessi rivelino
specifice identità di sé stessi. Poiché una caratteristica chiave delle relazioni carismatiche è la forte
identificazione dei follower con il leader e la sua vision (Tsai et al., 2009), l’attivazione di particolari valori tra
i follower diviene critica per i processi della leadership carismatica. Il riferimento alla teoria del sapere sociale
(“social learning”, Bandura, 1977) pure conduce all’ipotesi che vi è una relazione tra leadership carismatica e
congruenza di valore. Bandura (1977) propone che i valori possono svilupparsi e cambiare attraverso processi
imitativi derivanti dall’osservazione di modelli. Tale modellazione si risolve in una convergenza tra i valori del
modello e chi lo utilizza. Friedrich (1961) ha sostenuto che l’imitazione del leader da parte dei suoi follower è
una caratteristica tipica dei rapporti carismatici e ricercatori successivi (come Gardner e Avolio, 1998, Yukl,
1999) hanno enfatizzato il fatto che, fungendo “da modello di imitazione”, il leader carismatico conduce
indirettamente all’apprendimento dei sui valori da parte follower. Un leader carismatico è, quindi, in grado di
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
134
trasformare i valori dei propri follower (Bass, 1985; Jung e Avolio, 2000) così come a far si che questi suppor-
tino i loro obiettivi e la loro vision. Inoltre, Yukl (1999) afferma che tale “fare da modello” dei leader carisma-
tici è particolarmente plausibile risolversi nella internalizzazione dei loro valori da parte dei follower, più di
una mera imitazione dei comportament: infatti, la congruenza di valore dovuta a tale internalizzazione dei valori del leader carismatico da parte dei follower è stata, sin dalla sua prima formulazione, una componen-
te chiave della teoria sulla leadership carismatica (Jung and Avolio, 2000; Shamir et al., 1993). In breve, i pro-
cessi di “similarity-attraction”, identificazione sociale e apprendimento sociale suggeriscono tutti che dovreb-
be esserci una relazione positiva tra carisma e congruenza di valore. È cosi possibile formulare una prima ipo-
tesi:
HP 1 : l’effettiva congruenza di valore esistente tra i membri del TMT e i loro CEO è positivamente asso-
ciata alle qualità carismatiche attribuite dai manager ai loro CEO.
2) CONGRUENZA di VALORE PERCEPITA e ATTRIBUZIONI di LEADERSHIP CARISMATICA: si
ipotizza che la congruenza di valore percepita invece della conguenza di valore effettiva, influenzerà le
attribuzioni di carisma dei follower al leader. Anche se i follower è probabile non conoscano precisamente
quali sono i valori dei loro leader, essi, tenderanno comunque a dare una forma alle impressioni che hanno su
tali valori (Fryxell ed Enz, 1990). Alcuni follower, per esempio, potrebbero proiettare i propri valori dentro i
loro leader (Meglino et al., 1991). Queste impressioni, accurate o non, sono probabili influenzare le relazioni
tra fallower e leader (Caldwell, 1999; Brown e Trevin, 2009; Turb e Jones, 1988). In sostanza, si asserisce che,
per sviluppare una leadership carismatica, non è necessario che vi sia effettivamente totale congruenza tra i
valori del leader e quelli dei follower, purché i follower credano, o meglio, abbiano l’impressione che tale
coincidenza di valori esista. Enz (1988) ha argomentato che, diversi risultati ottenuti derivano da una
“definizione sociale” della congruenza di valore tra leader e follower, più che un calcolo oggettivo di tale
congruenza. Allo stesso modo, Meglino et al. (1989) propongono che effetti più pronunciati della
congruenzadi valore emergono se un manager compara i propri valori con percezioni dei lavori degli altri,
piuttosto che con i loro valori effettivi. Viene a questo punto formulata una seconda ipotesi:
HP 2 : la congruenza di valore percepita tra i membri del TMT e i loro CEO è correllata positivamente alle
qualità carismatiche attribuite dai manager ai loro CEO.
Quindi, riassumendo, con la premessa che la leadership carismatica è un fenomeno relazionale (Campbell et
al., 2008; Howell and Shamir, 2005), basato in gran parte sulle percezioni dei follower, (Awamleh and Gard-
ner, 1999; Conger and Kanungo, 1987; Hughes et al., 1999; Willner, 1984), si afferma che entrambe, la con-
gruenza di valore percepita e quella effettiva, saranno positivamente associate alle attribuzioni di carisma dei
follower al leader.
METODO: questa ricerca è stata condotta usando due studi che rocorrevano a differenti campioni di CEOs e di membri
dei TMT e si è utilizzata una delle scale già riconosciute in precedenza nella valutazione dei valori organizzativi (Liedt-
ka, 1989). I campioni sono stati scelti in vista dell’obiettivo di volere valutare tali valori ai livelli alti
dell’organizzazione e, specificativamente, i valori dei top manager. Nel primo studio è stata esaminata la relazione tra congruenza di valori percepita e la leadership carismatica, usando
una misura diretta delle percezioni di tale congruenza da parte dei subordinati.
Nel secondo studio, si affermano entrambe, la congruenza di valori percapita e quella effettiva, all’interno di differenti
dimensioni di valori organizzativi, calcolando la congruenza di valore sulla base di report compilati dai CEO e dai top
manager, riguardo l’importanza relativa dei diversi valori organizzativi. Ciò è coerente con la proposta di Brown e Tre-
vin (2009) di valutare le implicazioni della congruenza di valore sulla leadership carismatica gestendo un inventario
completo sia dei valori dei CEO sia di quelli dei manager. Lo studio 1 fornisce un iniziale test dell’ipotesi 2, riguardo la
relazione tra congruenza di valori percepita e leadership carismatica, mentre lo studio 2 è stato designato per testare
l’ipotesi che concerne la relazione tra entrambe, congruenza di valori attuale e percepita, e la leadership carismatica,
usando una più dettagliata valutazione della congruenza di valori.
STUDIO 1 : il campione usato in questo studio consiste di CEO e membri del loro TMT, designati da diverse
aziende americane. Lo schema di campionamento includeva tre liste di società disponibili a rendere pubbliche
le informazioni sui loro CEO: la lista “Monitor Publishing Company’s Financial 1000”, la “Corporate 2000
Yellow Books” e la “Society of 200” (società statunitensi di CEO donne). I rispondenti finali sono stati 250
CEO in tutto, di cui, approssimativamente, l’8% costituito da donne e il 92% da uomini, in carica mediamente
per un periodo di 6.6 anni. L’età media delle loro organizzazioni è di 55 anni ed esse operano all’interno di una
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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135
vasta gamma di settori diversi. Dopo aver ricevuto il consenso dei CEO, ai membri dei loro TMT (n = 1925),
scelti dagli stessi CEO, è stato inviato un questionario che chiedeva loro di valutare la leadership carismatica
del loro CEO e le loro percezioni del grado di congruenza tra i propri valori e quelli del CEO. Sono state
ricevute le risposte di 1540 membri dei TMT in tutto, una media di 6 membri per ciascun CEO, per un tasso di
risposta pari all’80%.
STUDIO 2 : è stato uno studio più esteso, condotto su un differente campione di CEOs e top managers, e si
valuta la congruenza di valore usando un più ampio range di metodi di misura. Questo studio ha permesso di
estendere i risultati del primo studio, riguardante la congruenza di valore percepita, e ha anche permesso di
testare l’ipotesi 1. Il campione usato consisteva di CEO di 79 compagnie e organizzazioni no-profit, localizzate
negli Stati Uniti. Sono stati ricevuti 106 questionari in tutto, comprendenti le misure dei valori organizzativi
dei CEO, con un tasso di risposta del 61%. Di quest’ultima, il 95% erano risposte di CEO uomini, circa il 5%
di CEO donne. Come nel primo studio, ad ogni CEO fu chiesto di identificare i membri del loro TMT. Furono
poi, inviati i questionari ad ognuno di questi membri, in cui si richiedeva loro di completare una misura
multidimensionale dei loro propri valori, delle loro percezioni dei valori dei loro CEO e le loro percezioni della
congruenza tra i loro valori e quelli dei loro CEO. Essi hanno anche completato la stessa scala di valutazione
della leadership carismatica (Agle e Sonnenfeld, 1994), usata anche nello studio1. 472 questionari furono
inviati ai membri dei TMT, ma di questi, 267 risposte complete ricevute, per un tasso del 56%. Almeno un
membro del TMT per ciascun CEO ha risposto al questionario, quindi, in media, sono state ricevute 3,38
risposte per ciascun CEO. Di queste, l’80% era costituito da uomini e il 20% da donne.
CONSIDERAZIONI sui RISULTATI: la congruenza di valore risultante dai due studi dipinge un ritratto interessante
per la relazione leader- follower sulla congruenza di valore e sulle attribuzioni di leadership carismatica da parte dei fol-
lower. Nello studio1 si è trovato che i membri del TMT i cui valori erano per lo più conformi a quelli del loro CEO, ri-
portavano più facilmente attribuzioni di carisma per i loro CEO. Questo risultato supportava l’ipotesi che la conguenza
di valore percepita tra top manager e CEO è correlata alle attribuzioni di leadership carismatica. Un ulteriore supporto a
questa ipotesi è stato fornito dal secondo studio, dove la congruenza di valore percepita su due differenti dimensioni di
valore, reputazione e performance sociali, erano significativamente correlate alla leadership carismatica e la conguenza
percepita su una terza dimensione del valore, le performance finanziarie, era solo marginalmente significativa nel predi-
re le percezioni della leadership carismatica. Mentre le misure effettuate comparando i valori riportati dai manager e
quelli riportati dai CEO non sono riuscite a dare supporto all’esistenza di una relazione tra la congruenza di valore effet-
tiva e la leadership carismatica del CEO, il secondo studio ha indicato che tale congruenza di valore potrebbe essere as-
sociata alle percezioni di leadership carismatica da parte dei manager per almeno alcune delle dimensioni del valore. È
interessante notare che i più forti effetti di entrambe, la congruenza di valore reale e percepita, sono emersi relativamen-
te alla reputazione. Questo concetto riflette l’estensione con cui manager e CEO danno peso ai valori dell’integrità e
dell’onestà all’interno della loro impresa (che aveva il più alto carico su questo fattore), insieme a valori quali il fornire
un buon servizio ai clienti e la qualità del prodotto. Questa dimensione del valore ha forti implicazioni per la gestione
etica dell’organizzazione: mantenendo alti standard di performance e diffondendo una cultura organizzativa etica posi-
tiva, sulla base dei risultati ottenuti, appare che la congruenza di valore relativamente a questa dimensione sarebbe par-
ticolarmente importante per i CEO perché riescano a guadagnarsi il consenso del loro TMT. Poche ricerche hanno in-
dagato sugli effetti della congruenza di valore ai livelli alti delle organizzazioni, nonostante l’importanza di questi valori
nel guidare i comportamenti del leader e nell’influenzare la cultura organizzativa (Agle e Caldwell, 1999). I risultati di
questa ricerca suggeriscono che l’allineamento tra i valori del CEO e i membri del TMT, o almeno la percezione di una
congruenza tra questi, è critico perché un CEO sia giudicato “carismatico”. Complessivamente, i risultati di questo lavo-
ro avvalorano la posizione di un certo numero di ricercatori della leadership carismatica (e.g., Bass and Steidlmeier,
1999; Conger and Kanungo, 1987; Fairholm, 1991; House and Baetz, 1979; Katz and Kahn, 1978; Klein and House,
1995; Lord and Brown, 2001; Mullin, 1987; Shamir et al., 1993; Shils, 1965; Trice and Beyer, 1986) che hanno suggeri-
to che la congruenza tra i valori di leader e follower è una componente chiave dello sviluppo di una relazione carismati-
ca tra di essi. A questo riguardo, i risultati ottenuti confermano anche il punto di vista sostenuto da numerosi teorici, che
la leadership carismatica è un fenomeno relazionale piuttosto che uno basato esclusivamente sulle caratteristiche perso-
nali del leader (Bass, 1985; Conger e Kanungo, 1987). Come sottolineato dai teorici della leadership carismatica, i pro-
cessi di identificazione sociale giocano un ruolo importante nel determinare il tipo di relazione che un leader carismati-
co può istaurare con i propri follower (Jung and Avolio, 2000; Shamir et al. 1993). Allo stesso modo, il paradigma del-
la “similarity-attraction” (Byrne, 1971) propone che gli individui riporteranno più alti livelli di attrazione e saranno più
probabili sviluppare relazioni interpersonali armoniose con soggetti che condividono caratteristiche simili. Dato il con-
testo in cui viene effettuato questo studio e il sui focus sui “livelli alti” di un’organizzazione, ci si potrebbe aspettare che
una percezione di condivisione dei valori organizzativi sarà particolarmente influente nel determinare i livelli di attratti-
vità e impegno che i manager manifesteranno nei confronti della vision e della leadership dei loro CEO. In tal
modo, mentre studi precedenti avevano suggerito che i comportamenti del leader carismatico rappresentavano un vali-
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
136
do precursore dello sviluppo di relazioni leader-follower di alta qualità (Campbell et al., 2008; Howell and Hall-
Merenda, 1999; Wang et al., 2005), qui si suggerisce anche che lo sviluppo della relazione è alimentato da processi qua-
li l’identificazione sociale e l’attrazione delle somiglianze, che giocano un ruolo preponderante nella promozione di re-
lazioni carismatiche. La ricerca futura dovrebbe esaminare più nel dettaglio il ruolo di questi processi nel mediare gli
effetti del comportamento carismatico di un leader, oltre che indagare sul ruolo delle percezioni e dei comportamenti
dei follower nell’influenzare i processi di sviluppo del leader, e gli effetti della somiglianza tra leader e follower
nell’assicurare l’efficacia della leadership. In conclusione, i ricercatori, nel valutare le relazioni carismatiche, sono in-
coraggiati adottare una prospettiva duplice, indagando sulle percezioni e sui comportamenti sia dei leader sia dei follo-
wer.
CONCLUSIONI: nella sua discussione sulla leadership carismatica, Yukl (1999) ha notato che vi è ancora molta ambi-
guità rigurdo i fattori che determinano le attribuzioni di carisma al leader da parte dei follower. Per conoscere meglio
quest’area, si è indagato sugli effetti di un costrutto che è stato postulato come un contribuente fondamentale dello svi-
luppo di relazioni carismatiche tra leader e follower. I dati di questi due studi sono stati utilizzati per testare empirica-
mente questa relazione. Coerentemente con i risultati di Brown e Trevin (2009), la congruenza di valori percepita si è
trovata essere un forte predittore delle attribuzioni di carisma ai CEO da parte dei loro immediati subordinati, mentre vi
era decisamente meno supporto all’affermazione che la congruenza di valore reale fosse un predittore della tendenza dei
follower a giudicare carismatici i propri leader. La congruenza di valore riguardante la reputazione dell’organizzazione
è emersa come particolarmente influente sull’attribuzione di leadership carismatica alla leadership messa in atto dal
CEO. La ricerca presentata ha valutato la relazione tra la congruenza di valore e la leadership carismatica nel contesto
di relazioni fondamentali per il buon funzionamento di un organizzazione (CEO e membri del TMT). Studi futuri do-
vrebbero mirare al testing della relazione tra congruenza di valore e percezioni di leadership carismatica agli altri livelli
gerarchici dell’organizzazione; dovrebbero valutare diversi tipi di valori ed esplorare il ruolo assunto nel mediare questa
relazione da specifici meccanismi che possono innescarsi, quali l’identificazione sociale (Howell e Shamir, 2005; Kark
e Shamir, 2003) e i processi di attrazione tra simili (Byrne, 1971).
IMPLICAZIONI APPLICATIVE: questo studio offre numerose implicazioni per le organizzazioni a livello
pratico. I risultati ottenuti suggeriscono che, se i manager desiderano trarre beneficio dagli effetti positivi di
una leadership carismatica e, quindi far si che più follower abbiano fiducia nel leader e nella sua vision, siano
più responsabilizzati e motivati garantendo, così, performance migliori (House, 1977; Hughes et al. 1999;
Willner, 1984), allora tali manager dovranno diffondere una percezione di congruenza tra i propri valori e di
far riferimento a tali valori quando sviluppano e comunicano ai sudditi la propria vision. Rispetto a ciò, i
programmi di sviluppo del leader dovrebbero incoraggiare gli sforzi di alcuni di essi a familiarizzare con i
propri dipendenti, relativamente a certi loro punti di vista, valori e obiettivi di lavoro. I risultati di questa
ricerca hanno anche suggerito che le conseguenze favorevoli di relazioni carismatiche è probabile che siano
promosse attraverso le pratiche organizzative di selezione e inserimento. Tali risultati suggeriscono che forti
relazioni carismatiche possano essere instaurate se le organizzazioni adottano strumenti di valutazione di tipo
value-based e misure di adeguatezza dei sistemi di selezione e collocamento adottati.
LIMITI : questa ricerca presenta diversi limiti che è doveroso notare. Per esempio, alla luce dei risultati
ottenuti, indicanti che i valori della reputazione sembrano esercitare la più forte influenza sulle percezioni della
leadership carismatica, può essere che la congruenza dei valori dell’onestà e dell’integrità tra leader e follower
risulti un valido precursore della percezione di una leadership carismatica, cosi come altri aspetti della
relazione leader-follower. Un altro limite di questo lavoro è che, come risultato della natura frazionata dei dati,
la direzione della relazione di causalità tra la congruenza dei valori di leader e follower e la leadership
carismatica non è stata testata direttamente. Infatti i teorici della leadership carismatica, talvolta, hanno
proposto un tipo di causalità bidirezionale: la congruenza di valore è necessaria per lo sviluppo di relazioni
carismatiche, ma, allo stesso tempo, i leader carismatici possono essere in grado di influenzare il livello della
congruenza tra i valori di leader e follower, impiegando considerevoli sforzi nel modificare i valori dei loro
follower. Infatti, Brown e Trevin (2009), malgrado l’uso di dati frazionati, hanno suggerito che i loro risultati
hanno offerto un supporto preliminare alla concezione di carisma. La ricerca futura dovrebbe cercar di
precisare la direzione causale della relazione carisma – congruenza di valore. Un ultimo limite è la possibilità
di pregiudizi metodologici comuni, come, nello Studio1, le misure delle attribuzioni carismatiche e congruenza
di valore percepita che venivano effettuate con gli stessi soggetti. Similmente, la misura della congruenza di
valore percepita dello Studio2 si è basata su dati provenienti da una stessa fonte: i membri del TMT, mentre
sarebbe opportuno completare l’analisi tenendo conto anche dei valori condivisi agli altri livelli organizzativi.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
137
APPENDIX VI:
Approfondimento: Un’ ANALISI EMPIRICA
ARTICOLO: “Differentiating Leadership from Management: An Empirical Investigation of Lead-
ers and Managers”
AUTORI: Shamas-Ur-Rehman; Toor, Ph.D.
JOURNAL: Leadership and Management in Engineering.
ABSTRACT: in letteratura è stata a lungo discussa la questione relativa a come e perché la leadership assomiglia o dif-
ferisce dal management. Anche se molti studiosi hanno fornito diversi contributi, vi è ancora assenza di evidenza empi-
rica. Questo articolo si propone, pertanto, di sopperire a tale gap. Sono state condotte interviste a 49 leader e manager in
tutto, selezionati in quanto esperti nel settore dell’edilizia in Singapore. Agli intervistati è stato chiesto, appunto, come
percepivano le somiglianze e le differenze tra leadership e management. I risultati ottenuti hanno mostrano che esistono
chiare differenze tra i due a seconda del modo stesso in cui leader e manager definiscono e concettualizzano il ruolo da
loro ricoperto in azienda. Leadership e management sono due fenomeni diversi che implicano processi in cui leader e
manager compiono varie funzioni e svolgono ruoli differenti all’interno delle organizzazioni. Questo studio mostra che
leader e manager, perlomeno nell’ambito del settore edile, applicano un mix di entrambi, leadership e management, per
portare a termine il proprio lavoro giornaliero e per far fronte alle proprie responsabilità organizzative. I risultati ripor-
tano anche le molteplici sovrapposizioni esistenti tra i due termini oggetto del dibattito discusso.
INTRODUZIONE: si è a lungo dibattuto su se leadership e management fossero concetti diversi tra loro e, in tal caso,
in che cosa differiscono? O, al contrario, quali somiglianze condividono? Molte ricercatori hanno contribuito a tale di-
battito a partire dal 1970 (Zaleznik 1977; Kotter 1982, 1990; Sarros 1992; Capowski 1994; Bennis 1989; Covey et al.
1994; DuBrin 1995; Kumle and Kelly 2000; Weathersby 1999; Yukl 1999; Maccoby 2000; Zimmerman 2001; Perloff
2004; Daft 2003; Kotter 2006; Toor and Ofori 2008). L’interesse a differenziare la leadership dal management è cre-
sciuto nel corso degli anni. Dopo che Zaleznik nel 1977 ha aperto per la prima volta il dibattito, il numero di pubblica-
zioni su questo tema è considerevolmente aumentato nel corso degli anni seccessivi. Mangham and Pye (1991), tutta-
via, sono rimasti scettici sull’utilità della questione; dal loro punto di vista, era sufficiente riconoscere che il manage-
ment fosse qualcosa di “mondano” mentre la leadership qualcosa di “speciale e importante”. Czarniawska-Joerges and
Wolff (1991) hanno sostenuto una linea molto diversa. Dal loro punto di vista, termini come “leader”, “manager” e
“imprenditore” possono essere visti come “attuazioni di prototipi, che incarnano le differenti paure e speranze di coloro
che creano le organizzazioni attraverso le loro performance quotidiane”. Essi hanno anche affermato che esistono di-
verse forze socio-politiche ed economiche che danno forma a mode differenti e formano varie culture professionali e
organizzative. A seconda delle diverse circostanze storiche, economiche e politiche in cui operano le organizzazioni e,
quindi, al variare dei bisogni e delle esigenze del momento, termini come leadership e management emergono e diffon-
dono il loro significato in modo diverso. Nel mondo contemporaneo, dove la leadership è vista come estremamente im-
portante mentre il management è percepito essere meno rilevante, diviene ancor più necessario chiarire il significato di
questi due termini. Altrimenti, offuscando la differenza tra leadership e management si possono generare difficoltà di
misurazione, testing, valutazione e nelle pratiche di assunzione, sviluppo e promozione di leader e manager (Kotter,
2006). Errori nell’interpretazione dei due termini possono anche ostacolare i programmi che manager e leader cercano
di sviluppare per le loro organizzazioni (Zaleznik, 1998).
SCOPO: lo studio descritto in questo articolo si è posto l’obiettivo di coprire il gap presente in letteratura fornendo evi-
denza empirica per indirizzare le seguenti due questioni:
1) “Come leader e manager praticanti percepiscono la differenza tra leadership e management?”
2) “I manager fanno di più nella costruzione della leadership o del management?”
RASSEGNA della LETTERATURA: Zaleznik (1977) aprì il dibattito su come i leader differiscono dai manager circa
30 anni fa. Tre decenni dopo la pubblicazione dei suo classico articolo “Managers and Leaders: Are They Different?” in
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
138
Harvard Business Review, il dibattito continua ad essere aperto nei circoli accademici e nella stampa popolare. I parte-
cipanti di questo dibattito possono essere suddivisi in due scuole di pensiero. La prima considera leadership e manage-
ment come significativamente distinti; autori quali Kotter (1982, 1990, 2006), Bennis (1989), Maccoby (2000), e Per-
loff (2004) appartengono a questa scuola. La tabella sottostante sintetizza come i due termini vengono differenziati tra
loro da questi autori:
LEADERSHIP MANAGEMENT FONTE
La leadership gestisce effettivamente ciò che le altre per-
sone fanno; La leadership fa fronte al cambiamento;
La leadership ispira e supporta le persone ad agire;
La leadership riguarda il futuro;
Il leader guida le persone;
La leadership crea nuovi paradigmi;
La leadership lavora sul sistema;
Leadership è cuore;
La leadership produce cambiamento, spesso drammatica-mente;
La leadership implica l’avere una visione di che cosa le organizzazioni possono diventare in futuro;
La leadership motiva le persone a superare le maggiori barriere politiche, burocratiche e di risorse al cambiamen-
to dal soddisfare i bisogni umani basilari; La leadership si focalizza sulla creazione di una visione
comune; Essa raggiunge risultati attraverso la persuasione;
La leadership implica motivare le persone a contribuire alla sua visione e li incoraggia ad allineare i loro propri interessi a quelli dell’organizzazione;
La leadership opera in un ambiente basato sulla fiducia; Sotto la leadership, ai dipendenti è data fiducia e la libertà
di mantenere le loro responsabilità sul lavoro;
La leadership “ricostruisce” gli impiegati presenti in un
organizzazione attraverso la formazione e non il riassor-bimento;
La leadership è una relazione tra il leader e quelli da lui guidati, che può stimolare un organizzazione;
La leadership crea visioni, vende le sue visioni a coloro che hanno bisogno di implementarle, e valuta se queste
sono state di successo, insieme a determinare quali sono i
prossimi passi da compiere; La leadership è orientata al futuro.
Il management motiva e premia le persone al lavoro; Il management fa i conti con la complessità;
Il management dice agli altri cosa fare;
Il management riguarda il presente;
Il manager gestisce le “cose”;
Il management lavora all’interno di un paradigma; Il management lavora all’interno del sistema
Il management è anima;
Il management porta un certo grado di prevedibilità ed ordine;
Il management ha una natura più formale e scientifica e
fa uso di tecniche metodiche per risolvere i problemi; Il management monitora i risultati rispetto ai piani e poi
pianifica e organizza per chiudere il gap di performan-
ce; Il management si occupa più del controllo; esso rag-
giunge i suoi risultati comandando; Il management include l’allocazione delle risorse scarse
per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione, stabi-lisce le priorità, progetta il lavoro e realizza i risultati;
Il management cerca di controllare la paura;
Sotto il management, i ruoli all’interno dell’organizzazione sono rigidamente definiti; il mana-gement controlla i processi attraverso il potere di un
gruppo ristretto invece che gli input complessivi del
gruppo; L’enfasi del management è sul riassorbimento delle ri-
sorse e non sulla ricostruzione degli impiegati attraver-so la formazione e l’addestramento;
Il management è una funzione che deve essere esercita-ta in ogni area di business;
Il management intende raggiungere l’efficienza e l’efficacia organizzative entro i parametri stabiliti dalla
mission dell’impresa; Il management tende ad essere rutinario, strutturato, e
orientato al presente.
Zaleznik
Kotter Bennis
Sarros
Capowski
Covey et al.
DuBrin
Weathersby
Kumle and Kelly
Maccoby
Perloff
Dal punto di vista della seconda scuola di pensiero, leadership e management si sovrappongono significativamente ed è
complicato distinguerli in modo chiaro. Autori come Kotter (1990), Bass (1990), Conger and Kanungo (1992), Zaleznik
(1998), Batemen e Snell (1999), Yukl (1999), Perloff (2004), Hay e Hodgkinson (2006) sostengono che leadership e
management sono interrelati tra loro in molti aspetti. Le loro funzioni sono complementari perché, talvolta, i leader ge-
stiscono e i manager conducono (Bass, 1990; Kotter, 2006). Leadership e management possono essere definiti ricorren-
do all’uso dei medesimi processi e modelli dal momento che leader e manager adottano un mix di entrambi i compor-
tamenti, manageriali e di leadership (Yukl, 2005). Secondo questa scuola di pensiero, la leadership non è un fenomeno
specifico e un’attività del tutto distinta, ma semplicemente un aspetto e, forse, l’aspett più saliente del management
(Mangham and Pye, 1991). Pertanto è inevitabile che le organizzazioni dispongano di persone abili sia nella conduzione
sia nella gestione dell’azienda, affinché esse possano mantenersi competitive a livello internazionale (Sarros, 1992).
METODO della RICERCA: questo articolo si basa su interviste a 49 prominenti leader esecutivi di Singapore, operanti
nel settore dell’edilizia. Una caratteristica comune degli intervistati è che hanno tutti raggiunto l’incarico di leader dopo
aver prima scalato tutti i ranghi manageriali, cosicché potesse essere assicurata una certa attendibilità dei dati raccolti
nelle interviste in quanto basati sulla consapevolezza raggiunta dopo aver ricoperto sia le posizioni manageriali sia quel-
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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li di leadership nel corso della propria esperienza aziendale. Gli intervistati erano, infatti, CEO, presidenti generali, vi-
de-presidenti, membri dei Cda, dirigenti esecutivi e direttori, oltre a costruttori, architetti, ingegneri, appaltatori e ispet-
tori reclutati in varie organizzazioni che operano nel settore dell’edilizia in Singapore. I leader sono stati selezionati at-
traverso un processo di nomina alla pari. In primo luogo, i presidenti, presenti e passati di diverse organizzazioni pro-
fessionali e associazioni commerciali, sono stati intervistati sulla base del fatto che fossero leader nei loro rispettivi
campi professionali e che fossero stati eletti alle posizioni di leadership proprio dai loro pari. A questi leader è stato poi
richiesto di nominare dei professionisti del settore edile che ritenevano potersi considerare leader nelle loro rispettive
professioni. Dal momento che i leader intervistati erano stati nominati e percepiti come leader dai loro stessi pari del
settore, si è potuta realizzare una certa riduzione della probabilità di risposte influenzate da pregiudizi di natura persona-
le e/o sociale. RISPOSTE delle INTERVISTE: come già anticipato, gli intervistati, prima di assumere ruoli di leadership, hanno at-
traversato i ranghi manageriali all’interno delle loro organizzazioni. Essi hanno fatto esperienza di entrambi i ruoli e,
quindi, sono in grado di spiegarne le differenze in modo molto chiaro. Tutte le interviste sono state audio-registrate e
poi trascritte in file di testo. I file trascritti sono stati analizzati ponendo il focus sulle seguenti tematiche generali:
1. Come i leader hanno definito leadership e management;
2. Come i leader hanno distinto concettualmente la leadership dal management;
3. Come i leader hanno descritto le divergenze funzionali tra leadership e management;
4. In che mdo i leader hanno percepito leadership e management come due diverse entità sulla base
dei comportamenti che adottano o hanno adottato in questi ruoli.
In aggiunta, l’analisi ha identificato le aree di sovrapposizione e di complementarietà tra i due.
Relativamente a ciascuna delle 4 aree di analisi evidenziate, si possono fare le seguenti considerazioni sulle risposte
raccolte nelle interviste:
1) DEFINIZIONI di LEADERSHIP e MANAGEMENT: nel corpo di conoscenza esistente sulla leadership e sul
management, non vi è accordo sulle definizioni di leadership, mentre il management è più o meno descritto
dalle sue funzioni fondamentali, vale a dire, pianificazione, organizzazione, conduzione e controllo delle ri-
sorse organizzative. Nel presente studio molti intervistati hanno differenziato la leadership dal management,
definendo il ruolo di ciascuno. Per esempio, un CEO, che credeva che la leadership ha una natura più persona-
le mentre il management una più organizzativa, osservò: “la leadership è più di uno stile personale. Il mana-
gement è, probabilmente, più organizzativo .[…]. Essi saranno, però, interconnessi tra loro, perché la lea-
dership influenza lo stile di management”. Un altro amministratore delegato vedeva la leadership e il mana-
gement come la visione e l’azione dell’azienda, rispettivamente. Egli disse: “la leadership è l’abilità di pren-
dere decisioni, essere in grado di motivare gli altri a seguire la propria visione ed essere abili nel delegare al-
tre persone a fare quello che si dovrebbe fare piuttosto che gestire personalmente ogni cosa e, ancora, essere
in grado di vedere quello che gli altri fanno, introducendo le eventuali correzioni necessarie. Dall’altro lato, il
management esegue il lavoro quotidiano, mandando avanti ogni giorno le’attività aziendale, guardando oltre
le questioni routinarie e assicurando che non vengano infranti i valori morali. I leader sono flessibili e aperti
al cambiamento, mentre i manager sono, di solito, rigidi e mantengono lo status quo”. Un altro ex presidente
generale ha differenziato leadership e management definendone, così, i ruoli: “la leadership riguarda più
l’ispirazione, la guida, la comunicazione e la costruzione della fiducia tra i membri delgruppo. Il management
è probabilmente più relativo alla gestione di ogni giorno di un organizzazione. Vale a dire, riguarda aspetti di
sviluppo e aspetti di tipo organizzativo del business e le strategie per mandare avanti quei business”.
E infine, un direttore generale ha definito leadership e management come segue: “la leadership è il guada-
gnarsi la fiducia e il rispetto, oltre che l’essere in grado di dare una direzione. Il management riguarda molte
più cose come il denaro, la felicità del cliente, le risorse, i cash-flow e altri lavori più routinari”.
2) DISTINZIONI CONCETTUALI: molti leader hanno sviluppato la distinzione tra leadership e management
concettualizzandoli. Per esempio, un CEO ha affermato: “nello spirito, la leadership è grande. Il management
è un sottoinsieme della leadership”. Molti hanno spiegato che la leadership e il management sono diversi tra
loro, ma descrivere questa differenza costituisce una sfida dal momento che è davvero sottile la linea di confi-
ne tra i due. Il direttore di un’azienda di consulenza ha notato: “vi è una linea finissima tra leadership e mana-
gement. La leadership è qualcosa a cui guardano i subordinati o i follower. Un leader dovrebbe essere anche
in grado di gestire bene. Ma i manager non sono necessariamente dei buoni leader e i subordinati guardano
ad essi per ricevere istruzioni e non una guida”. Un architetto, leader nel suo campo professionale, ha asseri-
to che i buoni manager non necessariamente vanno bene anche in ruoli di leadership. Egli ha osservato: “la
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
140
mia opinione sulla differenza tra leadership e management è che tu puoi essere bravo nel management ma non
necessariamente nella leadership. Per gestire un’impresa occorre dotarsi di specifiche abilità manageriali.
Ma provvedere alla leadership è leggermente più di questo. Il leader dovrebbe anche possedere elevate capa-
cità di gestione altrimenti non sarebbe in grado di convincere il proprio gruppo di fare la cosa giusta”. Il
CEO di un’altra azienda ha ribadito lo stesso concetto ma in modo differente: “management è fare le cose che
il leader dice…farlo bene, organizzarlo. Ciò non significa dire che il management non sia importante. Infatti,
se non hai un management appropriato allora, poi, spenderai molto tempo a risolvere problemi per cercar di
mettere apposto le cose. Così alcuni leader in certi momenti sono anche manager. Tu non sei mai totalmente
leader e mai totalmente manager. Cosi, ciò che è importante è che quando sei in una posizione di manage-
ment, organizzi il tuo lavoro in modo tale che si possa descrivere in una procedura formale da cui gli altri
possano conoscere esattamente come le cose devono esser fatte”. Un più anziano manager edile ha così con-
cettualizzato la leadership e il management nel contesto della cultura organizzativa: “certi gruppi, ambienti di
lavoro e organizzazioni hanno determinate culture. Le organizzazioni, essenzialmente, hanno bisogno di una
leadership che sviluppi una cultura positiva. Dall’altro lato, il “puro” management da importanza ad una cul-
tura più funzionale dove le cose devono essere monitorate continuamente. Ma solo attraverso il management
si può costruire la cultura organizzativa. Quella cultura che è dettata dalla leadership ma che, dopo essersi
formata, sarebbe più management che leadership”. Infine un altro CEO ha affermato: “io considero la leader-
ship come qualcosa di lungo termine con una chiara visione di cosa si vuole raggiungere. Il management, in-
vece, riguarda più la funzione; è di breve termine e include la definizione di un target e il suo raggiungimen-
to”.
3) DIVERGENZE FUNZIONALI: sotto questa categoria gli intervistati hanno per lo più differenziato la leader-
ship e il management descrivendo le funzioni di entrambi. Un ex direttore generale ha spiegato le differenze
funzionali tra leadership e management come segue: “per essere il capo di un’organizzazione, c’è bisogno di
entrambi, leadership e management. Per la leadership vi è un fattore “x” che differenzia gli individui che sono
dei “buoni leader” da quelli che posso ritenersi solo dei “buoni manager”. Questo fattore rende una persona
speciale. Quando un leader dice qualcosa, le persone ascoltano. In un team di architettura, il leader deve sa-
per gestire persone sia all’interno che all’esterno. Leadership implica sapersi relazionare sia con le persone
con cui si lavora in azienda, sia con quelle che operano al di fuori di essa. Il leader deve raggiungere il suc-
cesso dell’organizzazione”. Un più anziano executive spiegò la divergenza funzionale come segue: “io penso
che molti manager si ritengano anche dei leader, il che può essere o non essere vero…una prova potrebbe es-
ser data dalla risposta alla domanda: sarebbero in grado di conseguire i loro obiettivi senza imporre autori-
tà?. Se hai bisogno di ricevere qualcosa ben fatto imponendo sul tuo staff la necessità dell’obiettivo, perché
solo in questo modo il compito viene portato a termine, allora si parla di management. Se il tuo staff fa questo
di proprio accordo, poiché comprende la filosofia che sta dietro il completamento del compito in vista degli
obiettivi organizzativi, allora si può parlare di leadership perché, in qualche modo, hai inculcato nei tuoi di-
pendenti un senso di orientamento agli obiettivi senza doverli gestire direttamente in questo”. Un direttore ge-
nerale di un’impresa di costruzione ha così chiarito la differenza tra leadership e management: “come leader,
tu devi mobilitare le persone. In una situazione di crisi, hai bisogno di giocare un ruolo responsabile. Impara-
re a mantenere la calma in un ambiente caotico è importante. L’impegno, la consapevolezza di coprire un cer-
to ruolo e l’abilità di esercitare determinati gradi di influenza sono solo una parcella del complesso lavoro del
leader. Per svolgere tutti i suoi compiti, il leader dovrebbe essere bravo a comunicare e mostrare coerenza
nelle sue azioni. Le persone dovrebbero conoscere il suo sistema di valori. Per un buon project manager, la leadership è molto importante. A parte i costi, la qualità, la programmazione,
la gestione delle risorse e la comprensione del progetto, un project manager dovrebbe essere bravo nei pro-
cessi di pianificazione e progettazione, comprendere e agire nel rispetto della legge e comprendere i vincoli
che ostacolano il completamento del progetto”. E ancora, un vice-presidente ha osservato: “io penso che i lea-
der siano persone che non hanno paura di prendere decisioni difficili e che inducono impeto e iniziativa con
la leadership. Il management sarebbe qualcosa di più amministrativo[…] piuttosto, una posizione di assisten-
za e che si prende cura.[..]. Il leader si occupa delle cose nel management. Egli fornisce l’input e l’iniziativa
al management”. Il presidente di un’organizzazione di engineering ha differenziato leadership e management
sulla base delle rispettive funzioni: “ i leader conducono, i manager gestiscono. La leadership fornisce una di-
rezione, pensa alla strategia, ai bisogni delle persone e migliora le performance dell’impresa e delle persone.
Il management si occupa, invece, della definizione dei compiti e dell’accertarsi che le persone li eseguano
correttamente. Non vi è poca differenza in questo. Il manager talvolta è nominato, ma le persone è probabile
che non lo vedano come leader. La leadership non è tanto un qualcosa di conferito o incaricato. La leadership
si guadagna. I manager guardano ai risultati attesi e a quelli finali. I leader guardano alle implicazioni di
lungo termine di questi”.
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141
4) DIFFERENZE COMPORTAMENTALI: molti leader intervistati hanno chiarito la differenza tra leadership e
management considerando come si comportano leader e manager, rispettivamente. Un executive di un’impresa
di consulenza vedeva la questione comportamentale come un fondamento della leadership. Spiegò: “Probabil-
mente starei più tranquillo se il mio lavoro si limitasse alla gestione dei problemi legati al lavoro e ai proget-
ti, ma è altrettanto vero, in veste di leader abbia, però, più possibilità di affrontare nuove sfide. Per esempio,
può accadere che il leader abbia nel proprio staff un membro con caratteristiche molto diverse dalle proprie.
Per far un esempio concreto: magari una persona ha 20 anni più di me che la gestisco. Qui viene il ruolo del-
la leadership. Io potrei dire qualcosa che a una persona più anziana di me può non piacere. Così dovrai ade-
guare tuo comportamento di conseguenza. Tu puoi gestire facilmente le cose, ma le persone sono persone e, in
quanto tali, hanno dei sentimenti, delle emozioni e dei problemi personali. Devi occuparti di loro comportan-
doti in modo adeguato”. Un altro CEO ha così commentato l’importanza del comportamento: “Ci sono delle
differenze. La leadership è mostrare ai tuoi subordinati in che modo guidi, cioè, mostri il tuo lavoro alle per-
sone. Il management è gestire il lavoro dei tuoi subordinati. Vi sono molti punti di sovrapposizione tra i due.
Qualche volta, quando vuoi guidare un team di progetto, in questo processo tu gestisci delle persone così co-
me gestisci il lavoro, il tempo e le risorse a disposizione. Tu mostri un esempio di gestione, il che è leader-
ship”. Infine, un anziano manager di una società di consulenza ha concettualizzato la differenza come segue:
“Magari la differenza è banalmente che tu, nel management, gestisci soltanto mentre, nella leadership guidi.
Nel management tu fai rispettare i regolamenti, mentre nella leadership fungi da esempio. Nel management le
persone non ti seguono ma ti obbediscono. Nella leadership le persone scelgono se seguirti o meno”.
DISCUSSIONE e TEMI EMERGENTI: le risposte delle interviste mostrano chiaramente il pensiero che la leadership e
il management sono due fenomeni e distinti e che implicano processi differenti in cui leader e manager compiono varie
funzioni e giocano ruoli diversi all’interno delle loro organizzazioni. Nei loro rispettivi ruoli, leader e manager applica-
no una serie di comportamenti che sono legati alla propria personalità e carattere. Per meglio comprendere la differenza
tra leadership e management, è utile mostrare tutte le interconnessioni presenti tra i diversi temi che ne risultano coin-
volti (si veda Figura: “thematic network for differentiating between leadership and management”)
Questo network mostra molti temi di base per un gruppo, quali il cambiamento, la delega, la flessibilità di lungo termi-
ne, e così via, che, raggruppati insieme, riassumono principi o temi organizzativi più astratti come le differenze nella
definizione e nel comportamento di leader e manager. Anche se entrambi, leadership e management sono presenti all’interno di un contesto organizzativo, un tema importante che emerge dai risultati di questa ricerca è che la leadership
è piuttosto più flessibile e aperta a nuove idee, mentre il management è più rigido e ricerca approcci testati. Questo punto di vista è condiviso da molti studiosi della letteratura che hanno riconosciuto che la leadership è princi-
palmente associata alla creazione di cambiamenti drastici all’interno delle organizzazioni (Kotter 1982; Bennis and Na-
nus 1985; Tichy and Devanna 1986; Kotter 1990; DuBrin 1995). Secondo il punto di vista di altri autori, tra cui, Osborn
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142
et al. (2002), Parry (1998), Hackman & Johnson (1996), Yukl (2002), Sarros (1992), Kan e Parry (2004), Toor and Ofo-
ri (2008) il cambiamento è intrinseco e innato nel processo di leadership; al contrario, il management si focalizza sulla
stabilità del sistema, la prevedibilità dei risultati e l’ordine nei processi (DuBrin, 1995; Kotter, 1982, 1990). Un altro tema importante che domina i risultati di questo studio concerne l’autorità e il potere che vengono conferiti ai
ruoli di leadership e di management. La leadership fa ricorso a poteri personali, modalità informali di influenza, contatti
faccia a faccia tra leader e follower e coerenza tra gli obiettivi degli uni e degli altri. Questo punto di vista prevale anche
nella letteratura; molti studiosi vedono la leadership come una relazione tra leader e follower (Mccoby, 2000), come
l’arte di creare un ambiente di lavoro adeguato (Thamhain, 2004), come un fenomeno che opera sul sistema (Covey et
al., 1994) e, ancora, come un’ ispirazione per le persone (Weathersby, 1999) in un ambiente basato sulla fiducia (Kum-
le and Kelly, 2000). Le persone seguono un leader per un insieme di ragioni positive, come la speranza di successo, la
fiducia nel leader, l’esaltazione su un progetto o missione o per l’opportunità di potersi spingere ai limiti (Maccoby,
2000). Il potere del leader è legittimato dai follower (Bass, 1990; Stogdill,1997) e il leader influenza gli altri dando loro
speranze, ispirando le loro potenzialità, facendo sorgere in loro nuovi desideri e seguedo in modo coerente una serie di
valori personali (Zeleznik, 1998; George and Sims, 2007). Al contrario, il management conta su posizioni di potere, au-
torità formale e controllo dei processi attraverso il potere di un piccolo gruppo che prende ordini direttamente dal top
(Kumle and Kelly 2000; Capowski 1994; Daft 2003; Toor and Ofori 2008b). I manager sono più impersonali nelle loro
attitudini che fanno riferimento a schemi consolidati e ampiamente diffusi (Zaleznik, 1977). La loro autorità è legittima-
ta dalla posizione che ricoprono e riescono a influenzare il comportamento degli altri solo attraverso il ricorso a premi e
incentivi economici. Nonostante le differenze, un forte messaggio emerso in molte interviste ai leader è che vi sono
molte sovrapposizioni tra i ruoli della leadership e del management e che i leader sono soliti mettere in pratica un mix di
entrambi per raggiungere i risultati desiderati. Gli intervistati hanno ripetutamente osservato che i manager nel settore
dell’edilizia applicano un approccio misto per compiere i loro lavori quotidiani. Questa idea trova forte supporto anche
nella letteratura. In primo luogo, il settore dell’edilizia implica un sistema sociale o una collettività di individui in cui le
persone sono i principali attori (Love et al., 2002). Quindi, per compiere i loro lavori più efficacemente, manager e lea-
der nel settore edile adottano un approccio equilibrato per raggiugere i risultati disiderati, organizzandosi in gruppi di
lavoro. La letteratura dominante supporta il fatto che la leadership e il management sono interconnessi tra loro e che,
talvolta, svolgono una funzione simile e realizzano gli stessi obiettivi (Kotter 1990; Bass 1990; Conger and Kanungo 1992; Zaleznik 1998; Batemen and Snell 1999; Yukl 1999; Perloff 2004; Hay and Hodgkinson 2006; Toor and Ofori
2008b). L’opinione di un più anziano direttore generale intervistato è stata la seguente:
“Noi dobbiamo fare entrambi nell’edilizia. Quando stiamo trattando con parti terze o clienti, agiamo per lo più attra-
verso comportamenti manageriali, come partecipare ai meeting, scrivere lettere, etc. Ma entrando dentro il tuo proprio
lavoro, la leadership è più importante del solo management. Tu puoi dire alle persone che le cose vanno fatte in un cer-
to ma non è detto che ciò entrerà automaticamente nelle loro teste e che loro agiranno come indicato loro. Invece se sei
un leader e hai delle persone da guidare, qualcuno che conosci e a cui mostri la strada, riuscirai più facilmente a esse-
re convincente”.
Entrambi, leader e manager usano un mix di comportamenti della leadership e del management, combinandone le com-
petenze necessarie per dirigere efficacemente la propria azienda, per anticipare e gestire il cambiamento (Maccoby
2000; Yukl 2005; Kotter 1982). Per essere efficienti, i leader dovrebbero intendersi di management e i manager vice-
versa, perché, talvolta, i leader gestiscono e i manager conducono (Bass, 1990). Secondo Capowki (1994), inoltre, una
visione senza struttura porta al caos, mentre una struttura senza visione produce noncuranza e, talvolta, la catastrofe.
Pertanto, per realizzare la visione della leadership, qualcuno deve compiere i compiti routinari e gestirne i dettagli in
vista degli obiettivi della leadership. È logicamente incomprensibile che ogni manager all’interno di un organizzazione
possa avere delle proprie visioni distinte, dal momento che sono numerose le persone necessarie a livello operativo e
funzionale che svolgono i piani e implementano le strategie. Quindi, perché il management sia più efficace e influente,
prendere la guida è indispensabile. Per sfruttare tutto il potenziale delle loro risorse, le organizzazioni hanno bisogno di
sviluppare competenze di leadership nei loro manager (Priestland and Hanig, 2005), e competenze di management nei
loro leader (Weatherby, 1999). In un recente articolo sulla leadership, Toor e Ofori (2008) hanno notato che il settore
edile si è da sempre eccessivamente focalizzato sul management escludendo la leadership e che i professionisti di pro-
getti di costruzione non sono anche percepiti come leader ma sono per lo più definiti manager. Essi hanno inoltre nota-
to che “C’è bisogno di un cambiamento nel modo in cui i project manager svolgono la loro funzione e conducono i pro-
getti. Essi hanno bisogno di svilupparsi come autentici leader per operare con successo in un contesto di complessità
crescente. Con il rapido cambiamento in corso nel settore dell’edilizia, vi è una crescente pressione esercitata sui pro-
ject manager ad operare di più con poche persone e meno risorse. Sotto tali circostante ciò che molti chiamerebbero
leadership è di primaria importanza per la conquista di successo dei risultati sperati”. I risultati di questo studio mo-
strano che i leader che sono stati efficienti nel settore edile riconoscono completamente il bisogno di equilibrio tra ma-
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
143
nagement efficace e leadership influente. Un manager e capo di una divisione di un’impresa di costruzione ha riflesso
questo punto di vista nelle seguenti parole: “essere project management, per me, significa avere in mano la gestione di
un certo numero di persone. Così si tratta di come motivare un team di consulenti a lavorare insieme per raggiungere
obiettivi comuni. Perciò ognuno di loro è un professionista ben preparato nel proprio campo. Io personalmente non ho
alcuna competenza specifica dal momento che non sono né un ingegnere né un architetto. Noi abbiamo assunto questi
specialisti dall’esterno dell’azienda. Motivare le persone è una qualità chiave; le persone ti guardano con ammirazio-
ne e tu le conduci verso i risultati desiderati”.
CONCLUSIONI: Leadership e Management sono differenti nelle loro definizioni, nei loro termini concettuali, nelle funzioni che coinvol-
gono e nei comportamenti che leader e manager adottano nella copertura dei loro rispettivi ruoli. I numerosi temi emersi
in questo studio dimostrano che vi è differenza tra leadership e management. Tra questi, tre possono essere ritenuti i più
significativi:
- La leadership persegue il cambiamento che si associa alla sostenibilità, mentre il management si sforza a man-
tenere l’ordine, il che è legato alla morale;
- La leadership esercita il proprio potere personale di influenza per guadagnarsi autorità, mentre il management
conta sulla sua posizione di potere e struttura gerarchica per eseguire gli ordini;
- La leadership delega le persone, mentre il management impone autorità.
Un messaggio importante che è emerso chiaramente da questa ricerca è che leadership e management si sovrappongono
e completano vicendevolmente, tra individui e organizzazioni. Una totale dipendenza dalla leadership o dal manage-
ment non può raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione, né può risolversi in gruppi di lavoro efficaci. Perciò, le or-
ganizzazioni hanno bisogno di leader con capacità manageriali e manager con qualità di leadership. Un adeguato mix di leader-manager può aprir la strada alle organizzazioni per realizzare una crescita sostenibile e un vantaggio com-
petitivo di lungo termine. Infine, è importate compiere ulteriori sforzi per identificare le differenze tra leadership e ma-
nagement usando altre metodologie. Tali tentativi potranno aiutare gli studiosi futuri a comprendere in modo più chiaro
la differenza tra leadership e management. Questa ricerca fornisce anche utili input alle iniziative di sviluppo della lea-
dership. I programmi di sviluppo della leadership devono essere molto chiari nel modo in cui puntano agli obiettivi di produrre
migliori competenze manageriali per i leader e, per i manager, migliori capacità di leadership. La ricerca futura può anche porre il proprio focus su come i programmi di sviluppo delle risorse umane possono integra-
re la formazione del leader e quella del manager, senza confonderli tra loro ma facendone un adeguato ed utile mix.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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APPENDIX VII:
Approfondimento: Un’ ANALISI EMPIRICA
ARTICOLO: “Doing Well by Doing Good? Analyzing the Relationship between CEO Ethical
Leadership and Firm Performance”
AUTORI: Silke Astrid Eisenbeiss, Daan Van Knippenberg, Clemens Maximilian Fahrbach.
JOURNAL: Journal of Business Ethics (2014).
ABSTRACT
L’etica di business e i risultati economici dell’impresa sono spesso stati tradizionalmente considerati come mutuamente
esclusivi; si vuole sfidare questo pensiero dell’ “uno o l’altro” e si analizza quando e come la leadership etica e le per-
formance dell’impresa possono armonizzarsi bene insieme. A partire da una ricerca su questo legame, effettuata a livel-
lo di singolo individuo o di team, si estenderà lo studio delle proprietà della relazione tra leadership etica e performance
aziendali alla ricerca della dipendenza dal contesto legato allo specifico livello organizzativo considerato,. Sarà propo-
sto un modello mediatico e moderato del legame tra l’etica della leadership e le performance, individuando variabili op-
portune e proprie dello specifico livello organizzativo oggetto di analisi. La leadership etica del CEO è vista come ope-
rare attraverso la cultura etica organizzativa, la quale favorisce le performance aziendali sotto la condizione che sia at-
tuato un valido programma di etica aziendale. Si presentano qui i risultati di diversi studi effettuati intervistando 145
membri aziendali in tutto, appartenenti a 32 diverse aziende e supportati dai dati oggettivi di performance delle stesse.
INTRODUZIONE
L’etica di business e la profittabilità dell’impresa sono stati spesso concepiti come avversari. In un recente sondaggio a
2500 lavoratori britannici, effettuato dall’Istituto “Leadership & Management”, la maggior parte degli amministratori
delegati sono visti dare priorità principalmente ai ritorni finanziari piuttosto che a considerazioni di tipo etiche. Il presi-
dente dell’Istituto ha sottolineato: “Dipendenti, clienti e azionisti si aspettano che i valori etici siano posti al centro del-
le decisioni aziendali. Il fatto che molti leader e molte organizzazioni sembrano non prestarne attenzione è motivo di
seria preoccupazione”. Molti leader sembrano ancora credere, esplicitamente o implicitamente, di dover scegliere tra
fare bene o fare il bene. Ma se questo pensiero “dell’uno o l’altro” fosse falso? E se ci fossero delle condizioni certe in
cui la leadership etica e le performance dell’impresa riescano ad armonizzarsi bene? La leadership etica è diventato un
“tema caldo” nell’ambito delle ricerche sulla leadership e un campo che sta crescendo molto rapidamente. Tuttavia la
“grande questione” della relazione tra leadership etica del CEO e le performance aziendali è ancora aperta. Attraverso
gli studi condotti a livello di singoli individui o di team si è riscontrata una correlazione positiva tra leadership etica e le
performance; a seconda del livello organizzativo, la relazione tra leadership e performance, è presumibilmente più
complessa e può giocare ruoli diversi. La leadership del CEO coinvolge una più ampia varietà di ruoli rispetto alla lea-
dership dei supervisori, poiché è indirizzata ad una moltitudine di stakeholders ed è probabile che operi attraverso diffe-
renti dinamiche, specifiche a seconda del livello organizzativo. Inoltre, tale rapporto è probabile che sia soggetto
all’influenza del contesto e che richieda il supporto di strutture formali e manifesti etici perché l’influenza di vasta por-
tata, che la leadership del CEO esercita su tutta l’organizzazione e sugli stakeholders esterni all’impresa, è associata a
forme più indirette e sottili, rispetto alla leadership dei supervisori. Quando ci si sposta ad un altro livello di analisi, la
ricerca deve concettualmente, allo stesso modo che empiricamente, considerare come la relazione giochi un ruolo diver-
so a ciascun livello organizzativo, individuando i processi mediatici e moderati propri del livello organizzativo oggetto
di analisi.
Nel presente studio viene messa a disposizione un’analisi teorica ed empirica della relazione tra leadership etica del
CEO e performance dell’impresa, sostenendo che tale rapporto, a livello di organizzazione nel suo complesso, dipende
fortemente dal programma di etica aziendale adottato. Integrando punti di vista diversi della letteratura sulle strategie di
gestione, la leadership etica e la cultura organizzativa, viene presentato un modello concettuale che tratta la cultura etica
dell’organizzazione come una varabile mediatica e il programma di etica organizzativa come una variabile moderatrice.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
145
Secondo la “Upper Echelons Theory” i risultati aziendali riflettono le caratteristiche, i valori e i comportamenti del
CEO ma la ricerca empirica sui processi che intervengono in questo meccanismo è piuttosto limitata. Da un punto di
vista funzionale, i CEO sono visti come la prima fonte di influenza nella trasmissione, modifica e mantenimento dei va-
lori culturali, che può modellare in modo significativo il pensiero dei dipendenti, le loro sensazioni e la loro condotta, in
altre parole, può costruire una cultura organizzativa. Applicando questa logica generale alla leadership etica, si può ar-
gomentare che i CEO con una forte integrità personale, porgono l’etica al centro dei propri processi decisionali, dimo-
strando che solo una leadership responsabile può creare valori etici condivisi e diffondere una cultura etica all’interno
dell’organizzazione. Poiché segnali culturali di tipo informali riguardanti l’etica sono intangibili e potrebbero essere va-
ghi, si proporrà che essi hanno bisogno di essere supportati da elementi formali quali un documentato e comprensibile
programma di etica, procedure e politiche standardizzate, al fine di realizzare una completa simulazione delle perfor-
mance potenziali. Solo sotto la condizione di adozione di un valido e rispettato programma etico, la cultura etica orga-
nizzativa è prevista promuovere la produttività dei dipendenti e i comportamenti sociali, ridurre le controversie dei di-
pendenti e promuovere la fiducia nei propri partner e la lealtà dei consumatori, contribuendo, così , ad accrescere le per-
formance dell’impresa nel suo complesso.
TEORIA e SVILUPPO delle IPOTESI
Innanzitutto si deve introdurre la “Upper Echelons Theory” come sfondo teorico dell’analisi e si definiscono la variabile
dipendente e la variabile indipendente di questo studio, ossia: leadership etica del CEO e performance aziendali. Suc-
cessivamente si delinea come la leadership etica opera a livello organizzativo, indicando la cultura etica organizzativa
come un fattore di mediazione attraverso cui il CEO può influenzare le performance aziendali. Viene poi assunto che
l’impatto della cultura etica organizzativa su tali performance dipende dalla presenza di un radicato e condiviso pro-
gramma di etica aziendale. Sia il “mediatore” (la cultura etica organizzativa) sia il “moderatore” (il programma di etica
aziendale) in tale rapporto tra leadership etica del CEO e performance aziendali appartengono all’infrastruttura etica
organizzativa, anche se ne rappresentano aspetti distinti e complementari: la cultura etica organizzativa fa riferimento
ad elementi informali e intangibili dell’infrastruttura, il programma di etica aziendale comprende, invece, elementi for-
mali e tangibili di controllo. Secondo la “Upper Echelons Theory, relativamente al rapporto tra leadership etica del CEO
e performance è evidente che le scelte strategiche del top manager influenzino le performance aziendali ma tale teoria
dice che essi devono prendere decisioni in situazioni incerte, complesse e ambigue, in cui le esperienze dei top manager,
i loro valori e le loro personalità determinano quali sono gli stimoli percepiti e come le informazioni portate da tali sti-
moli vengono interpretate. Quindi l’impostazione personale della situazione influenza notevolmente le decisioni e le
scelte strategiche dei manager. Come risultato di quando detto, le organizzazioni e i risultati di performance sono visti
come riflessioni delle caratteristiche personali del top manager, in particolare dall’amministratore delegato (o CEO).
L’assunto di base della “upper echelons theory” è che le caratteristiche dei CEO sono significativamente correlate alle
performance aziendali e che tale legame è valido in diversi contesti nazionali e di settore e per differenti cicli di vita del-
le organizzazioni. Tuttavia, a causa della grande difficoltà di ottenere dati psicofisici e personali dei CEO e dei top ma-
nager, la maggior parte della ricerca si concentrerà su caratteristiche estremamente leggibili e osservabili dei CEO quali
l’età, il tenore, le capacità funzionali, assumendo che tali variabili siano accettate, anche se imprecise e incomplete, co-
me una buona proxy dei costrutti psicologici sottostanti i diversi individui (ad. es. la personalità del leader ecc.). In ri-
sposta a ciò, la critica ha messo in evidenza, sottolineando la scarsa validità degli indicatori demografici, i comporta-
menti individuali e i processi intermedi attraverso cui i CEO influenzano le performance dell’impresa. Solo di recente,
poi, gli sforzi empirici hanno permesso di studiare più direttamente l’impatto della leadership del CEO sulle performan-
ce aziendali, in particolare distinguendo tra leadership carismatica, leadership trasformazionale, leadership di supporto
e leadership orientata alle relazioni. Brown (2005) vedeva la leadership etica come “la dimostrazione che una condizio-
ne adeguata dal punto di vista normativo, delle azioni personali e delle relazioni interpersonali e un’adeguata promozio-
ne di alcune di esse presso i seguaci attraverso la comunicazione bidirezionale, rafforza le attività di decision-making”.
Mentre tale definizione è ampiamente accettata in letteratura, essa è stata anche molto criticata per il suo contenuto rela-
tivistico. Che cos’è esattamente una “condotta normativamente appropriata?”. Giessner e Van Quaquebeke (2010) hanno notato, relativamente alla definizione di Brown, che “mentre questa defini-
zione lascia poco da discutere, essa fornisce anche poco con cui lavorare”. I recenti lavori sulla leadership etica enfatizzano più fortemente il valore di un orientamento di tipo etico del leader e le
differenze tra sotto-componenti della leadership etica, inclusi i valori del leader di umanità, integrità, correttezza,
temperanza e responsabilità. In accordo con questi approcci multidimensionali alla leadership etica, essa viene vista
come un costrutto di livello superiore costituito dai seguenti sotto-componenti: - Orientamento alle persone,
- Integrità,
- Lealtà,
- Responsabilità,
- Moderazione.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
146
La componente di orientamento alle persone della leadership etica sembra essere centrale e comprende il trattare gli al-
tri con dignità e rispetto, l’essere compassionevoli, altruisti, sostenere e non nuocere agli altri e non violare i diritti al-
trui. Ciulla et al. (1995) hanno sostenuto che il rispetto dei diritti e della dignità altrui costituisce la base fondamentale
di una leadership etica. La componente di integrità del CEO si riferisce all’allineamento tra parole-azioni del CEO, alla
sua affidabilità e alla sua capacità di determinare e assumere un comportamento moralmente corretto. La componente
della correttezza del CEO è anch’essa stata individuata come un elemento chiave della leadership etica e comprende i
principi alla base delle attività di decision-making, l’equo accesso alle informazioni e l’esclusione di pratiche di favori-
tismo o discriminazione. Trevin’ et al. (2003) hanno trovato che i comportamenti del leader che riflettono il trattamento
equo dei dipendenti e la coerenza delle scelte decisionali, hanno contribuito fortemente alle percezioni di una leader-
ship di tipo etica. La componente della responsabilità del CEO include il focalizzarsi sulle performance organizzative di
lungo periodo, valorizzando le relazioni sostenibili con i propri partner, preoccupandosi della comunità e salvaguar-
dando l’ambiente esterno. La componente di moderazione, infine, si riferisce ai comportamenti del leader e ad attributi
come l’essere temperati e premurosi, non sempre mettendosi al centro dell’attenzione e trovando il giusto equilibrio tra
idee, comportamenti, decisioni e obiettivi estremi.
Per quanto riguarda le conseguenze di una leadership etica, una primordiale ricerca, focalizzata a livello di singolo indi-
viduo o di team, ha fornito alcune evidenze dell’esistenza di una relazione positiva tra leadership etica ed efficacia del
leader, a livello di singola performance o di performance di gruppo, ma ha trascurato l’analisi a livello di organizzazio-
ne. Finora non vi è stato alcuno studio empirico relativo alla leadership etica e al suo rapporto con le performance
aziendali complessive. Si sostiene che, in determinate condizioni, la leadership etica può influenzare positivamente le
performance aziendali in termini economici. La leadership etica veicola principi morali verso i dipendenti
dell’organizzazione e sviluppa una condotta etica di riferimento, rafforzando, in tal modo, il comportamento della col-
lettività, così come avviene a livello di singolo individuo o di gruppi di individui. Quando i singoli dipendenti e i gruppi
organizzativi si sostengono a vicenda anziché competere tra loro e si astengono da comportamenti non etici come ruba-
re, bleffare o arrivare tardi al lavoro, la produttività e l’efficienza organizzativa dovrebbero essere migliori. Inoltre la
leadership etica ci si aspetta promuovere la fiducia degli stakeholders nella giustizia dell’organizzazione e, quindi, di
promuovere relazioni leali e affidabili con i propri partner, il che aiuta a ridurre i costi di acquisizione e negoziazione e,
pertanto, contribuisce positivamente alle performance complessive dell’impresa. Qualche indicazione empirica del le-
game positivo tra leadership etica e performance può essere tratta dallo studio condotto da Den Hartog (2009), che ha
mostrato un legame positivo tra leadership etica ed efficacia percepita del Top Management Team (TMT), anche se
quest’ultima dovrebbe essere messa direttamente in relazione con le performance dell’impresa. Poiché l’interazione di-
retta dei CEO con i singoli membri dell’organizzazione potrebbe farsi sempre più improbabile nelle medie/grandi im-
prese, vedremo che la cultura etica organizzativa è il meccanismo attraverso cui i CEO trasmettono il loro messaggio
etico e i loro principi morali ai dipendenti. Meccanismi addizionali attraverso i quali opera la leadership etica includono
l’apprendimento sociale sull’influenza di una leadership di questo tipo sui dipendenti ed effetti “a cascata” dell’impatto
della leadership del CEO sulla leadership dei supervisori che a sua volta influenza i risultati del gruppo. Nel presente
studio si è voluto spiegare i risultati variabili, a seconda del livello organizzativo, quindi, con un focus sulla variabile”
livello-organizzativo”, della relazione tra leadership etica del CEO e performance, introducendo la variabile intermedia
rappresentata dalla cultura etica aziendale.
- LEADERSHIP ETICA E CULTURA ETICA ORGANIZZATIVA
La cultura organizzativa è basata su credenze, valori e prospettive condivise e, come concetto di costruzione
sociale, fa riferimento ad uno stato d’animo collettivo. In merito a ciò, Kaptein (2008) definì la cultura etica
organizzativa come “il sistema di controllo informale di un’organizzazione […], composto da valori, credenze
e tradizioni comuni”. La cultura etica comprende le percezioni cristallizzate, le esperienze e le aspettative di
una condotta etica e lo scoraggiamento di comportamenti non etici all’interno dell’organizzazione. Così,
Kaptein (2008) sviluppò un modello concettuale della cultura etica organizzativa che prevedeva i seguenti
elementi: chiarezza delle aspettative etiche, fattibilità per quanto riguarda l’allocazione delle risorse disponibili
dell’organizzazione, trasparenza delle condotte etiche e non etiche e le loro conseguenze, comunicazione che
rispetti il diritto di parola del singolo e che revisioni i dilemmi etici; sistemi di ricompensa per le condotte
etiche e di sanzione per quelle non etiche e, infine, l’allineamento tra le condotte di manager e supervisori. Gli
studiosi della cultura organizzativa postularono che i CEO delle imprese sono i creatori e trasmettitori
principali della cultura organizzativa. I CEO, quindi, incidono significativamente sulla cultura
dell’organizzazione dal momento che cultura e leadership sono simili nella loro funzione e nel loro modo di
operare e possono influenzarsi reciprocamente. Attingendo alla “Upper Echelons Theory”, Berson et al. (2007)
sostenevano che le decisioni del CEO e la sua leadership danno forma alla cultura organizzativa poiché
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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147
forniscono le basi per la costruzione di pensieri, valori, miti e simboli delle vita organizzativa condivisi. Come
è verosimile pensare che il CEO di un’organizzazione crei una certa cultura organizzativa, è anche vero che
questa è poi soggetta al cambiamento, indotto dalla successione del CEO e può essere sviluppata
consapevolmente solo col tempo. Schein (2004) affermò che di solito i leader hanno pensieri e convinzioni
piuttosto ambiziosi riguardo agli obiettivi che le loro organizzazioni devono perseguire, il ruolo che devono
svolgere sul mercato e all’interno della società e ciò che realmente motiva le persone: questi valori basilari e
queste assunzioni sui CEO aziendali troveranno espressione nei loro comportamenti consapevoli e
inconsapevoli e lasciano un’impronta su ciò che viene valorizzato e condiviso in tutta l’organizzazione. I CEO
con alta integrità e forti valori morali ci si aspetta siano molto sensibili nel “filtrare” gli aspetti etici di una
determinata situazione di decision-making, per elaborare decisioni strategiche attente agli aspetti etici; così, nel
momento in cui prendono delle decisioni, i CEO comunicano i propri principi morali e la propria struttura di
pensiero che ne stanno alla base, influenzando positivamente lo sviluppo di una mentalità etica condivisa tra
tutti i membri dell’organizzazione. Guidati dal proprio impegno verso meta-valori quali l’umanità, la giustizia,
la responsabilità e la moderazione, i CEO etici sono anche suscettibili di promuovere attivamente l’etica presso
gli altri attraverso l’impostazione di chiare aspettative sulle opportunità derivanti da una condotta etica e gli
svantaggi connessi invece a un comportamento non etico, enfatizzando la trasparenza nella gestione dell’etica
attraverso la simulazione di dibattiti attivi su questioni etiche che caratterizzano la vita organizzativa. A
rafforzare questo ragionamento, vi è un’analisi concettuale condotta da Dickson et al. (2001) che suggeriscono,
appunto, che i leader delle organizzazioni sono in grado di impattare notevolmente sulla cultura diffusa al loro
interno per il ruolo di “modello di comportamento” che assumono quando prendono le loro decisioni e che
determinano cosa sia moralmente appropriato da fare e cosa non lo sia. La ricerca empirica fornisce indicazioni
circa l’esistenza di un legame positivo tra leadership etica e clima etico all’interno dell’impresa. In sintesi, si può così formulare la prima ipotesi di questo studio:
HP 1 : la leadership etica è correlata positivamente alla cultura etica organizzativa e vi è un effetto
d’interazione della cultura etica con la presenza di un programma etico consolidato all’interno
dell’organizzazione nel determinare le performance di quest’ultima.
Tuttavia, per essere pienamente efficace, la cultura etica necessita di essere integrata con gli elementi formali
di un programma etico organizzativo. Cioè, la leadership etica del CEO può influenzare le performance
dell’impresa attraverso il suo impatto sulla cultura etica, ma solo se questa influenza è supportata dalla presen-
za di un programma etico consolidato all’interno dell’organizzazione. I programmi di etica aziendale possono
essere definiti come i sistemi di controllo formali e tangibili dell’organizzazione, designati per allineare il
comportamento dei subordinati a standard comportamentali e a regole etiche ben precisi. Politiche e codici eti-
ci, corsi di formazione , riconoscimenti formali, costituiscono le parti essenziali di un programma etico orga-
nizzativo. Nel seguito si vuole delineare come la cultura etica organizzativa può influenzare positivamente le performan-
ce di un’azienda e come la presenza di un programma etico formale svolga un ruolo fondamentale nel modera-
re tale relazione. La cultura etica organizzativa può impattare sulle performance aziendali attraverso canali dif-
ferenti. In primo luogo, la cultura comune e ciò che è comunemente considerato giusto e sbagliato devono tro-
vare espressione nei comportamenti di tutti i membri dell’organizzazione, cioè nel loro modo giornaliero di
svolgere il proprio lavoro e nel loro modo di interagire con i propri pari e i propri superiori. Per esempio,
quando si lavora in un contesto culturale fortemente fondato sull’etica, che è evidente incoraggiare principi
morali e promuovere condotte di tipo etiche, vi saranno una generosa allocazione di risorse, trasparenti prati-
che di retribuzione e anche dipendenti indotti ad applicare tali principi, che si supportano l’uno con l’altro e si
impegnano in comportamenti finalizzati al benessere collettivo, favorendo una maggiore produttività del lavo-
ro e una maggiore efficienza dei processi organizzativi, dunque, a una riduzione dei costi complessivi. In se-
condo luogo, se si guarda invece ai comportamenti non etici, la cultura etica trasmette anche segnali di tipo in-
formali riguardo la diffamazione e la sanzionarietà di condotte non etiche influenzando, in tal modo, la misura
in cui i membri dell’organizzazione sono portati ad assumere comportamenti devianti e controproducenti sul
lavoro, quali ad esempio, rubare qualcosa di proprietà aziendale o arrivare tardi al lavoro. Empiricamente vi sono prove chiare di consistenti effetti dannosi, indotti da comportamenti controproducenti,
sulle performance dell’impresa. In terzo luogo, Kaptein (2009) afferma che la cultura etica organizzativa au-
menta la legittimità etica dell’organizzazione e può accrescere la fiducia degli stakeholder nella giustizia
dell’organizzazione. Se un’impresa ha forti standard e valori di cultura morale (es. umanità, giustizia, respon-
sabilità), ed esprime pubblicamente questi valori nelle sue decisioni strategiche e nelle attività di responsabilità
pubblica, essa può ottenere la reputazione di essere conforme all’etica sociale, il che, a sua volta, crea maggior
fiducia nell’impresa da parte di partner aziendali, clienti e altre altri parti interessate. Rapporti di lungo termine
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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con i propri partner hanno più probabilità di svilupparsi e ciò può condurre a definire condizioni di prezzo par-
ticolarmente convenienti, ad aumentare la volontà di negoziazione e, quindi, in ultima analisi, a ridurre i costi
complessivi dell’impresa. Inoltre la fedeltà dei consumatori è probabile che cresca, influenzando positivamente
le vendite e, quindi, ancora, le performance dell’impresa. I programmi di etica aziendale, che consistono in po-
litiche e procedure documentate, standardizzate e tangibili, sottolineano segnali culturali informali, dimostran-
do pubblicamente quanta importanza viene data all’ etica all’interno di un’organizzazione. Ad esempio, adot-
tando un apposito codice di condotta, sistemi formali di monitoraggio di comportamenti non etici, programmi
di formazione professionale sulla leadership etica e sistemi di incentivi che premiano una condotta etica e di
sanzionamento per comportamenti non etici, le organizzazioni rendono chiaramente visibile e saliente per i di-
pendenti che la leadership etica e una condotta etica devono essere presi sul serio e richiedono condotte con-
formi agli standard di comportamento da essa promossi. Una ricerca qualitativa condotta da Falkenberg ed Herreman (1995) ha indicato che i sistemi di controllo etico
formali sono una guida importante per la condotta dei dipendenti e per la diffusione di comportamenti di deci-
sion-making appropriati. La pubblicità attraverso i media e i “passa-parola”, l’integrazione dei principi
dell’etica in programmi formali, possono anche essere indotti da attori esterni, quali consumatori o partner
commerciali e, in tal modo, vengono supportate le conseguenze positive di una cultura etica organizzativa sot-
tolineate sopra. Al contrario, nel caso in cui un forte programma di etica aziendale non sia accompagnato da un’ altrettanto for-
te cultura etica aziendale, le performance dell’impresa potrebbero risultare inferiori. In alcune organizzazioni,
programmi etici formalmente implementati possono solo fungere “da facciata”, con la funzione di “pulire”
l’immagine pubblica e potrebbero non essere coerenti con i segnali informali di comportamenti etici, come se
questi fossero offuscati da una debole cultura etica aziendale. Di conseguenza, i dipendenti è ragionevolmente
prevedibile che dubitino dell’integrità e dell’autenticità delle regole organizzative formali e delle linee guida
indicate dal CEO e possono non ritrovarsi in queste politiche. L’ipotesi 2 cattura questo effetto di interazione
tra la cultura etica organizzativa e un programma di etica aziendale sulle performance dell’impresa.
HP 2 : la forza di un programma di etica organizzativa modera la relazione tra cultura etica organizzativa e
le performance dall’impresa ed il suo effetto è tanto più positivo quanto più forte è il programma etico con-
solidato all’interno dell’organizzazione.
Questa analisi suggerisce, quindi, che la leadership etica può costituire il lato “soft”, informale, del meccani-
smo di regolamentazione dell’etica aziendale (cultura etica); l’influenza mediatrice della cultura etica sulle per-
formance organizzative sarà realizzata solo per estendere il fatto che l’organizzazione è dotata di un meccani-
smo di regolamentazione etica formale, “hard” (un forte programma etico). L’ipotesi 3 riassume l’argomentazione su come e sotto quali condizioni la leadership etica influenza le perfor-
mance dell’impresa; la leadership etica ci si aspetta che influenzi le prestazioni aziendali attraverso la cultura
etica organizzativa che interagisce con il programma di etica organizzativa in modo tale che la cultura etica or-
ganizzativa si relazioni positivamente alle performance dell’impresa quando l’impresa adotta un “severo” pro-
gramma etico. Si noti che non si è modellato un percorso tra leadership etica e programma di etica organizzati-
va, perché quest’ultimo non ha bisogno di essere riflesso nella leadership del CEO dal momento che
viene compreso in termini comportamentali. Il CEO potrebbe avere o non avere una grande influenza sul pro-
gramma di etica aziendale; è del tutto possibile che altri fattori abbiano un’influenza più importante come ad
es. il settore di appartenenza o vincoli competitivi o le richieste del board di supervisori. È importante, tuttavia,
sottolineare che il CEO chiamerebbe programma di etica aziendale un qualcosa che non necessariamente vie-
ne, poi, riflesso nelle sue interazioni con i subordinati. Pertanto, la formulazione dell’ultima ipotesi sarà la se-
guente:
HP 3: la leadership etica è correlata alle performance aziendali, attraverso il suo legame con la cultura eti-
ca organizzativa e, quindi, è positivamente correlata alle performance dell’impresa quando l’organizzazione
presenta un “severo” programma etico aziendale.
METODO: per raccogliere dati sulla leadership etica, la cultura etica organizzativa e i programmi di etica aziendale,
si è chiesto ai membri dell’organizzazione, scelti casualmente, di compilare un sondaggio on-line. Come è comune nelle
ricerche sul top management, il minimo numero di persone rispondenti necessario per includersi in questo studio era di
3 membri per ogni organizzazione. Per giustificare l’aggregazione di queste valutazioni a livello organizzativo, è stata valutata la concordanza tra i diversi membri dell’organizzazione e la varianza tra differenti organizzazioni. Dunque,
vengono riportati anche i valori degli indicatori, ICC (Intemational Chamber of Commerce) e RWG (indice di concor-
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danza/assonanza) che sono più importanti per eseguire il back up dei dati aggregati a livello di singola unità, poiché i
valori RWG valutano l’entità del consenso all’interno di un team, mentre gli ICC valutano l’affidabilità dei valutatori. I
dati relativi alle performance dell’impresa pure sono dichiarati dai membri dell’organizzazione e validati da dati relativi
al raggiungimento di obiettivi di performance, usando sia misure di tipo contabili che finanziare (es. EBIT, salari dei
dipendenti e utile per azione). Per evitare che sia la variabile dipendente che la variabile indipendente (cioè leadership
etica e performance dell’impresa) venissero valutate dagli stessi partecipanti è stato diviso il campione dopo aver effet-
tuato le analisi di affidabilità e validità e sono stati creati due gruppi distinti perché fossero usati per testare le diverse
ipotesi formulate. Come condizione preliminare, ogni organizzazione doveva avere almeno 3 partecipanti. Successiva-
mente si sono divisi i dati in 2 parti, a seconda della somiglianza dimensionale tra le organizzazioni. Il primo gruppo ha
fornito una valutazione della leadership etica del CEO e della cultura etica e il secondo gruppo ha prodotto rating rela-
tivi ai programmi di etica organizzativa e alle performance aziendali. Inoltre, si è tenuto conto del rischio di fonti di di-
storsione (errori) testando la validità del discriminante tra le diverse scale di valutazione usate dai due gruppi .
PROCEDIMENTO: sono state contattate organizzazioni tedesche appartenenti a una vasta gamma di settori, per lo più
via e-mail con una presentazione in allegato degli obiettivi di tale studio, ed è stato chiesto di partecipare al sondaggio
con almeno 3 e max 10 membri dell’organizzazione scelti casualmente. I primi contatti sono stati seguiti da telefonate
effettuate per spiegare ulteriormente i dettagli del contenuto dello studio e della procedura. Essendo l’etica di business
una questione molto delicata, è stato sottolineato il trattamento dei dati in forma anonima, sono stati presi in considera-
zione i problemi di riservatezza e ribadite le finalità scientifiche dello studio in questione. Come ulteriore incentivo a
partecipare, report personalizzati sono stati offerti alle organizzazioni, compresi consigli pratici su come stimolare la
conoscenza dell’etica organizzativa e diffondere una condotta etica. Nel momento in cui un’organizzazione accettava di
partecipare, venivano consegnati i questionari alla persona contattata che aveva l’ incarico di distribuirli agli partecipan-
ti da lei/lui selezionati all’interno della propria azienda sulla base delle loro capacità di corrispondere una valutazione
consapevole della leadership etica, della cultura etica, del sistema etico aziendale e delle performance aziendali..
CAMPIONE: il campione comprende 32 aziende tedesche appartenenti a diversi settori, tra cui l’automative, dei beni
di consumo, finanziario, farmaceutico, chimico, alimentare, sportivo e della tecnologia avanzata. Anche se si tratta di
una pratica comune, campioni piccoli non sono chiaramente l’ideale, così è stata effettuata una verifica di robustezza
per risolvere alcune perplessità circa l’attendibilità dei risultati ottenuti. Un totale di 145 dipendenti ha partecipato a
questo studio, di cui 2 su 3 erano uomini (64,3%). Questi avevano tra i 20 e i 62 anni di età, con un’età media, quindi ,
di circa 40 anni, e hanno lavorato, in media, per 8,9 anni all’interno dell’impresa (variabile da 2 a 35 anni). Il numero
medio di partecipanti per organizzazione è di 4,53 dipendenti. Crossland e Hambrick (2007) hanno suggerito che il gra-
do di discrezionalità manageriale è correlato all’influenza che i CEO hanno sulle performance dell’impresa e, a tale
proposito, i risultati ottenuti hanno indicato che il grado di discrezionalità manageriale dei CEO tedeschi e il loro impat-
to sulle performance aziendali si colloca in una posizione intermedia, con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ai primi po-
sti e il Giappone alla fine della classifica.
SONDAGGIO:
1) Leadership Etica del CEO: si valuta la leadership etica usando differenti sotto-scale per coprire tutti i rispettivi
componenti della leadership sopra sottolineati (orientamento al cliente, integrità, lealtà, responsabilità e
moderazione). Per l’ “orientamento al cliente” si sono valutate le persone usando una scala di 4 items. Esempi
di item del sondaggio sono:
“il CEO della mia organizzazione si preoccupa per i suoi dipendenti”.
“il CEO della mia organizzazione mantiene le proprie promesse” La lealtà viene misurata sulla base di 6 items, es:
“il CEO della mia organizzazione prende decisioni coerenti che si basano su standard affidabili”. La responsabilità è valutata sulla base di 10 items e poiché non comprende la responsabilità del leader verso gli
stakeholders, la società e le generazioni future, sono stati introdotti alcuni item del framework di Maak e Pless
(2006); es:
“Il CEO della mia organizzazione si prende carico delle responsabilità sociali” La moderazione come caratteristica propria del CEO viene valutata sulla base di una scala di 4 items e un es. di
item può essere:
“Il CEO della mia organizzazione non vuole che noi dipendenti lo trattiamo come nostro superiore”
Tutti gli item sono quotati su una scala da 1 a 6 punti, per cui 1= fortemente in disaccordo; 6= fortemente
d’accordo. La Leadership etica complessivamente misurava un α= 0,87.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
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2) La Cultura etica Organizzativa: operativamente, la cultura etica è stata analizzata sulla base di 46 items (scala
di Kaptein, 2009) misurando le virtù organizzative della chiarezza, unicità di gestione e sanzionarietà. Come
item di esempio:
“nel mio ambiente di lavoro un rapporto di fiducia reciproca prevale tra i dipendenti”.
“l’organizzazione rende, per me, sufficientemente chiaro come responsabilmente dovrei comportarmi
con le persone esterne e nei confronti dell’organizzazione stessa”. Tutti gli Item sono quotati da 1 a 6 (1= molto in disaccordo , 6= molto d’accordo). La scala per la cultura etica
organizzativa ha un α= 0,91, che va da 0,77 a 0,87 per le rispettive sotto-scale.
3) Programma Etico Organizzativo: è stata valutata la portata del programma di etica organizzativa usando una
scala di 10 items, riguardanti l’esistenza di codici e politiche etici, sistemi di premi e sanzioni, sistemi di
monitoraggio, formazione e comunicazione organizzativa ufficiale. Esempi di item sono:
“la tua organizzazione segue un codice di condotta?”
“quanto frequentemente si riceve formazione etica?” In base al formato delle domande, la scala di risposta era “sì o no” o “non lo so” (ad es. per la domanda se
esiste un codice etico, con la prima opzione: 1= “esistente “ e l’altro, opzione: 0 = “non esistente”. Oppure
su una scala di 5 punti da 0 = mai a 4= molte volte all’anno, per esempio, per la domanda sulla formazione
etica). Dal momento che i diversi items variano nelle modalità di risposta, i punteggi di ogni item sono sta-
ti divisi per il loro numero di possibilità di risposta, cosicché il range di valori per ogni item era tra 0 e 1
ed era possibile costruire una misura di sintesi del programma etico sommando i punteggi di tutti i quesiti.
Valori più elevati riflettono un più forte programma di etica aziendale.
4) Prestazioni dell’impresa: si misurano le prestazioni dell’impresa usando una scala di 4 items che valuta la
performance dell’impresa sul mercato, in relazione a quelle dei suoi concorrenti negli ultimi anni. I quesiti
sono quotati su 5 punti (1= molto peggiore; 5= molto migliore); α=0,79.
RISULTATI
Analisi di correlazione: vengono riportati i valori medi della deviazione standard per tutte le variabili in gioco e, quindi,
la matrice di correlazione di tutte queste variabili a livello di organizzazione. Come previsto, la leadership etica è corre-
lata positivamente con la cultura etica organizzativa che, a sua volta, è positivamente correlata con le performance
aziendali. Il programma di etica organizzativa non si correla in modo significativo né con la leadership etica né con la
cultura etica organizzativa.
DISCUSSIONE: alla luce dei dati recenti molti leader danno priorità ai risultati finanziari rispetto all’etica di business;
il documento qui descritto ha sfidato l’ancora diffuso pensiero che l’etica e le performance economiche dell’impresa
abbiano finalità mutuamente esclusive: si è analizzato, invece se vi fossero condizioni per cui la leadership etica e le
performance dell’impresa risultavano armonizzarsi bene tra loro. Si è, così, integrata la letteratura della leadership etica
trasferendo le medesime valutazioni a livello di organizzazione e fornendo un’analisi teorica ed empirica di come e
quando la leadership etica del CEO si correla positivamente alle prestazioni aziendali. I risultati ottenuti hanno confer-
mato l’Ipotesi 1, mostrando che la leadership etica è positivamente correlata alla cultura etica dell’organizzazione. Co-
me previsto, è stato riscontrato che la cultura etica interagisce con il programma etico organizzativo in modo tale che la
prima risulti positivamente correlata alle performance aziendali sotto la condizione che sia presente un forte programma
etico consolidato all’interno dell’impresa (Ipotesi 2). Ulteriormente a supporto del modello concettuale usato, i risultati
hanno prodotto l’atteso effetto condizionale indiretto della leadership etica sulle performance dell’impresa, mediato dal-
la cultura etica organizzativa e moderato attraverso il programma di etica aziendale.
IMPLICAZIONI TEORICHE: la letteratura sulla leadership etica si limita a esaminare le conseguenze di
questa a livello di risultati individuali e di team. Affrontando il legame tra leadership etica e performance a
livello di organizzazione, tale studio mostra che, spostandosi a un più alto livello di analis,i la relazione può
svolgere un ruolo differente: in contrasto con i principali effetti positivi definiti della leadership etica sulle
performance dell’individuo e di piccoli gruppi di individui, i risultati ottenuti hanno rivelato che l’efficacia
della leadership etica, in termini di performance aziendali, varia a seconda del programma etico aziendale
adottato. Il fatto che questo studio abbia stabilito una relazione tra leadership etica e risultati a livello di
organizzazione e il fatto che abbia, così, individuato una variabile mediatrice ed una moderatrice che sono
specifiche del livello organizzativo oggetto di analisi, si estende un invito ai ricercatori ad impegnarsi
ulteriormente nello studio di CEO e top management e analizzare la relazione della leadership etica con una
varietà di risultati a livello organizzativo di analisi, attingendo ad una dimensione etica, vale a dire, tenendo
conto degli investimenti per la società e per l’ambiente o della buona reputazione dell’organizzazione. Per
svelare i meccanismi di influenza, specifici del singolo livello, tra la leadership etica e i risultati organizzativi,
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si pensa che tale ricerca avrebbe prodotto maggiori benefici se avesse assunto approcci più indisciplinari.
Combinando i punti di vista di differenti discipline, (ad es. ricerche di gestione strategica e ricerche sulla
leadership, la ricerca sui comportamenti etici dei leader e la ricerca sulla struttura etica organizzativa), si
potrebbe sviluppare un modello concettuale integrato che specifica i processi di mediazione e moderazione
nella relazione tra leadership etica e performance a livello di organizzazione. Il presente studio aggiunge qualcosa anche alla ricerca sulla “Upper Echelons theory”, che si focalizza
sull’esaminare l’impatto degli aspetti demografici sulle performance aziendali, se si assume che queste misure
possano catturare i costrutti psicologici sottostanti in modo valido ed affidabile. Tuttavia, il significato teorico
e pratico dei dati demografici è stato molto criticato e sempre più autori hanno manifestato la necessità di al-
lontanarsi da approcci semplificati del tipo e studiare direttamente le conoscenze e i comportamenti propri dei
CEO. Raccogliendo questa sfida, si è analizzata, teoricamente ed empiricamente, la relazione tra leadership
etica e performance dell’impresa, identificando un processo di mediazione (cultura etica organizzativa) così
come delle condizioni del contesto di contorno (programma di etica organizzativa). In questo modo sono state
anticipate le conoscenze attuali su come e perché la teoria etica “Upper Echelons” è valida. Questo studio ha
anche contribuito alla ricerca in merito all’infrastruttura etica organizzativa, poiché definisce l’effetto di intera-
zione tra sistemi organizzativi formali e informali, sulle performance dell’impresa. In tal modo si va oltre il la-
voro preliminare, che aveva semplicemente testato il legame tra cultura organizzativa e programmi etici azien-
dali, ma non lo ha integrato con come i due componenti si relazionano congiuntamente ai risultati organizzati-
vi. I presenti risultati indicano che la cultura etica organizzativa sembra essere utile per le performance
dell’impresa solo quando questa è sostenuta da forti elementi di controllo formali incarnati in un programma di
etica aziendale. Mentre si è attenti a non generalizzare ai diversi livelli, i risultati ottenuti invitano a condurre
l’analisi a livello di singolo individuo o di team, perché si considerino anche le contingenze nella relazione tra
leadership etica e prestazioni del singolo. Anche quando vi è un rapporto diretto tra leadership etica e perfor-
mance a livello individuale o di team, tale rapporto può essere più forte sotto certe circostanze piuttosto che al-
tre e, in termini di sviluppo di una teoria solida e coerente con la pratica effettiva, alcuni informazioni risultano
difficili da ottenere. Per generare una più profonda comprensione della leadership etica, a livello di singolo in-
dividuo e di team, sembra, quindi, che valga la pena allontanarsi dai principali effetti investigativi della leader-
ship etica e analizzare teoricamente ed empiricamente le contingenze a questi più bassi livelli di analisi.
LIMITI e RICERCA FUTURA: oltre a questi contributi, tale studio ha, inevitabilmente, anche dei limiti. In
primo luogo esso non consente di trarre conclusioni sulle relazioni causali poiché i dati sperimentali richiesti
per formulare conclusioni di questo tipo sembrano estremamente difficili da ottenere a livello di leadership del
CEO. Purtroppo, a causa di restrizioni in termini di tempi e costi, le organizzazioni partecipanti non hanno
accettato di fornire questo tipo di dati. Pertanto si incoraggia la ricerca futura ad esaminare ulteriormente
l’interrelazione tra leadership etica e performance aziendali. In secondo luogo, questo studio potrebbe essere
messo in discussione per le modeste dimensioni del campione (32 organizzazioni). Tuttavia ciò è in linea con
la ricerca organizzativa finora condotta, che usa campioni di piccola taglia, circa di 30 unità, per testare ipotesi
di regressione. La raccolta dei dati a livello di team e di organizzazione è estremamente complicata e richiede
tempo ed è comune, a tali livelli, che la ricerca si serva di campioni di dimensioni nettamente inferiori rispetto
a quelli usati a livello di singolo individuo. La verifica di robustezza ha indicato la stabilità dei risultati ottenuti
nonostante la limitata dimensione del campione. Inoltre, trovare relazioni, in particolare gli effetti di
moderazione, in un campione relativamente piccolo produce effetti di larga scala. Detto questo, una replica di
tale studio con un campione più grande e possibilmente in un diverso contesto culturale, potrebbe sicuramente
essere utile. Inoltre le organizzazioni, nello studio descritto, operano in diversi settori. L’eterogeneità del
campione indica che l’influenza della leadership etica potrebbe verificarsi attraverso diversi settori, ma
potrebbe essere interessante guardare più da vicino settori specifici ed analizzare in essi l’interrelazione tra
leadership etica e performance aziendali. Risulta possibile che le caratteristiche del settore (quali, ad es, gli
interessi degli stakeholder) influenzano lo sviluppo di una cultura etica all’interno delle organizzazioni e
favoriscano lo sviluppo di una leadership etica ed, eventualmente, anche le interconnessioni tra leadership
etica, cultura etica organizzativa e performance. In terzo luogo, non si è stati in grado di fornire misure
oggettive delle performance aziendali per tutte le organizzazioni partecipanti. Infine non era possibile
selezionare i singoli partecipanti di un organizzazione senza l’intervento di una persona interna
all’organizzazione stessa, contattata, appunto, per scegliere ragionevolmente i partecipanti che sarebbero stati
più in grado di fornire valutazioni sensate e consapevoli delle variabili in gioco. I risultati dell’analisi di
aggregazione hanno indicato che i partecipanti selezionati devono aver avuto dei punti di vista validi per
quanto riguarda lo stile di leadership del CEO, la cultura, etc, così come hanno evidenziato che la concordanza
inter-organizzativa era significativa e, quindi, in contrasto con una varianza significativa tra organizzazioni
diverse.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
152
- IMPLICAZIONI MANAGERIALI: i risultati hanno chiaramente mostrato che l’etica di business e le
performance aziendali non sono mutamente esclusive. La leadership etica non è solo un requisito in sé
fondamentale ma ha anche un potenziale impatto positivo sulle performance aziendali. La conoscenza etica e i
comportamenti etici dei leader possono essere rafforzati attraverso appositi programmi di formazione e i
risultati qui ottenuti suggeriscono che le organizzazioni possono trarre beneficio anche in termini di prestazioni
quando i top manager fanno uso di questi programmi di formazione per sviluppare la loro leadership etica e la
sensibilità etica dell’organizzazione. Tale studio ha rivelato che la relazione positiva tra leadership etica e
performance varia a seconda dell’esistenza di programmi etici aziendali più o meno rigidi. I top manager
dovrebbero, quindi, prestare particolare attenzione agli aspetti formali e tangibili dell’infrastruttura etica
organizzativa e stabilire un codice di condotta, corsi di formazione professionale sulla leadership etica e
pratiche di incentivazione, per premiare le condotte etiche, e di sanzionamento, nel caso di condotte non
etiche. Quando questi sistemi etici formali di controllo sono ben consolidati all’interno dell’organizzazione,
vengono implementati coerentemente a tutti i livelli organizzativi e resi significativi per i dipendenti e gli altri
stakeholder, essi sanno riconoscere ottimamente i segnali culturali informali relativi alla condotta etica
desiderata, che sono indotti dalla leadership etica e dalla cultura etica organizzativa.
CONCLUSIONI: sfidando il tradizionale pensiero che etica di business e performance finanziare abbiano finalità tra
loro mutuamente esclusive, si è mostrato che la leadership etica e le performance aziendali possono andare bene insie-
me. Analizzando teoricamente ed empiricamente il legame tra leadership etica e performance a livello di organizzazione
si è riscontrato che la leadership etica, perché possa apportare benefici in termini di prestazioni aziendali, necessita del
supporto di un rigido programma etico aziendale. È stato anche rivelato il meccanismo attraverso cui la leadership etica
si lega alle performance aziendali, e, cioè, tramite la cultura etica organizzativa. Con questo studio si vogliono incorag-
giare imprenditori e organizzazioni ad allinearsi opportunamente alle etiche di business quando devono prendere delle
decisioni e si vuole invitare la ricerca futura ad analizzare la relazione seguendo approcci incrociati di diverse discipli-
ne.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
153
APPENDIX VIII:
Approfondimento: Leadership Etica e Responsabilità Sociale
dell’Impresa
ARTICOLO: “CEO Ethical Leadership and Corporate Social Responsability: A Moderated Media-
tion Model”
AUTORI: Long-Zeng Wu, Ho Kwong Kwan, Frederick Hong-Kit Yim, Randy K. Chiu, Xiaogang
He.
JOURNAL: Journal of Business Ethics (2014)
ABSTRACT: Questo studio ha esaminato la relazione tra leadership etica del CEO responsabilità sociale delle imprese,
concentrandosi sul ruolo di mediazione della cultura etica organizzativa e il ruolo moderatore della discrezionalità ge-
stionale (cioè, lo status del CEO fondatore e la dimensione d'impresa). Sulla base di un campione di 242 imprese cinesi
nazionali, si è scoperto che la leadership etica del CEO influenza positivamente la responsabilità sociale delle imprese
attraverso la cultura etica organizzativa. Inoltre, l'analisi degli effetti di moderazione ha indicato che lo status del CEO
fondatore rafforza mentre la dimensione aziendale indebolisce, in modo diretto, la leadership etica del CEO e, indiret-
tamente, la responsabilità sociale delle imprese. In questo articolo vengono discusse le implicazioni teoriche e manage-
riali dei risultati ottenuti.
MODELLO CONCETTUALE
SVILUPPO delle IPOTESI:
1) La Leadership Etica del CEO, la Cultura Etica Organizzativa e la Responsabilità Sociale dell’Impresa.
La “Upper Echelons Theory” guarda alle strategie e ai risultati aziendali come funzioni delle caratteristiche
psicologiche dei manager (Hambrick e Mason, 1984). I valori dei top manager valori e i loro pensieri si pro-
nunciano specialmente per dare un senso all’ambiente e, quindi, influenzare le interpretazioni degli eventi, le
decisioni e azioni delle organizzazioni (Hambrick e Mason, 1984). Un CEO è un decisore chiave, caricato del-
la responsabilità di formulare e implementare scelte e strategie aziendali e i suoi valori e pensieri giocano sicu-
ramente un ruolo cruciale nella promozione di un’immagine dell’impresa che rifletta la sua responsabilità so-
ciale (Waldman et al., 2006). Una maggiore responsabilità sociale dell’impresa potrebbe costituire una scelta
strategica volta a riflettere l’estensione con cui un CEO è coinvolto nella promozione di un’immagine positiva
della propria azienda. Diverse argomentazioni sulla leadership etica hanno messo in evidenza il carattere del
leader, la sua onestà, responsabilità, considerazione e rispetto degli altri, il suo orientamento collettivo nei con-
fronti della società (Resick et al., 2011). Un CEO etico è quindi probabile che adotti delle pratiche di responsa-
bilità sociale dell’impresa per esibire i suoi valori etici. Questo argomento spiana la strada per comprendere gli
effetti positivi di una leadership etica del CEO sulla responsabilità sociale dell’impresa. Per incrementare gli
sforzi di responsabilità sociale, un CEO è possibile che scelga di creare una cultura organizzativa basata sui
LEADERSHIP
ETICA CEO
STATUS CEO
FONDATORE
DIMENSIONE
dell’AZIENDA
CULTURA ETICA
ORGANIZZATIVA
RESPONSABILITA’
SOCIALE
dell’IMPRESA
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
154
valori etici fondamentali (Puffer e McCarthy, 2008). Infatti, la cultura organizzativa è una riflessione della
“Upper Echelons Leadership” (Giberson et al., 2009). La ricerca ha argomentato che stabilire una cultura etica
organizzativa costituisce una funzione fondamentale di un leader etico. Un modo attraverso cui un leader può
perpetuare la cultura organizzativa desiderata è mostrandosi egli stesso un “esempio etico” (Grojean et al.,
2004). La teoria del “Social Learning” suggerisce che gli individui imparano a comportarsi attraverso
l’attenzione, l’osservazione e l’imitazione di modelli di comportamento (Bandura, 1977). I top manager hanno
i più alti livelli di potere e status nell’ organizzazione e, quindi, sono plausibili costituire dei “modelli” di com-
portamento per gli altri membri organizzativi (Mayer et al., 2009). In aggiunta, mostrando onestà, responsabili-
tà, trattamento corretto, considerazione degli altri e maniere e comportamenti opportuni, un CEO etico risulta
essere attraente, credibile e legittimato; perciò, egli o ella dovrebbe “farsi notare” all’interno della sua organiz-
zazione (Brown at al., 2005). Un CEO di questo tipo gratifica il comportamento etico dei suoi dipendenti e
punisce chi viola gli standard etici e definisce un modello di comportamento cui attenersi per fare le cose in un
modo eticamente accettabile (Brown et al., 2005). Di conseguenza, un CEO etico guida i suoi follower pro-
muovendo i valori etici da questi condivisi e aiutando l’organizzazione ad attrarre nuovi membri che condivi-
dono valori etici simili e, quindi, possono adattarsi bene al contesto organizzativo (Grojean et al. 2004). Per-
tanto, la leadership etica del CEO facilita la congruenza tra i valori etici dei membri dell’organizzazione, il che
è importante per la responsabilità sociale della stessa. Un altro modo di promuovere la responsabilità sociale
dell’impresa è stabilire chiare aspettative di condotta etica (Grojean et al., 2004). Le questioni etiche possono
essere ambigue. Un leader etico discute sull’etica di business e sui valori etici con gli altri membri
dell’organizzazione e definisce il successo non solo attraverso i risultati ma anche attraverso il modo in cui
questi risultati vengono raggiunti (Brown et al., 2005). Quindi, la leadership etica può chiarire le linee di con-
fine di un comportamento etico, per evitare ambiguità e tale chiarimento aiuta, a poco a poco, a stabilire una
cultura etica organizzativa (Grojean et al. 2004). La ricerca recente ha indicato che la leadership etica è asso-
ciata positivamente alla cultura etica ai diversi livelli gerarchici (Schoubroeck et al. 2012). Questi argomenti
supportano la relazione positiva tra leadership etica del CEO e cultura etica organizzativa. Quest’ultima può
aiutare a diffondere un forte senso di appartenenza tra i membri dell’organizzazione evidenziando l’importanza
di pratiche di responsabilità sociale attraverso cui promuovere la coesione tra i membri quando vengono prese
le decisioni, affinché si prendano decisioni etiche e coerenti con un’ immagine morale dell’impresa (Key
1999). In una cultura del genere, i membri sono incoraggiati ad assumersi la responsabilità di decisioni etiche
e a tener conto di numerose prospettive e punti di interesse (Trevin’ o, 1986). Di conseguenza, essi pongono gli
interessi dell’organizzazione e della società davanti ai loro stessi interessi personali, considerano la sostenibili-
tà e l’impatto delle decisioni nel lungo termine e agiscono responsabilmente quando interagiscono con clienti,
governo, società, ambiente naturale e generazioni future. Ciò suggerisce una relazione positiva tra cultura etica
organizzativa e responsabilità sociale dell’impresa. Riassumendo, è stata sviluppata un’argomentazione sul fat-
to che un CEO dovrebbe promuovere una cultura etica all’interno della sua organizzazione per incoraggiare la
responsabilità sociale della stessa ponendo il proprio focus sui membri interni all’impresa perché essi adottino
comportamenti etici per raggiungere alti livelli di responsabilità sociale. La ricerca ha indicato il ruolo di me-
diazione della cultura organizzativa nella relazione tra i valori del CEO e i risultati aziendali (Berson et al.,
2008). Si può, a questo punto, definire la prima ipotesi:
HP 1: La cultura etica organizzativa media la relazione tra Leadership Etica del CEO e Responsabilità So-
ciale delle imprese.
2) Il Ruolo di Mediazione della Discrezionalità Manageriale.
Anche se, generalmente, ci si aspetta che la leadership etica del CEO influenzi positivamente la cultura etica
organizzativa, che, a sua volta, impatta sulla responsabilità sociale dell’impresa, la teoria del “Social Learning”
(Bandura, 1977) e la “Upper Echelons Theory” (Hambrick e Finkelstein, 1987) suggeriscono che, in condizio-
ni di incertezza e ambiguità, i follower dovrebbero prestare maggiore attenzione nei confronti della alla loro
leadership per ricevere una guida. A partire dalla teoria del “Service Learning”, Brown et al. (2005) hanno no-
tato che “in situazioni in cui compiti e standard pratici non sono ben definiti la giuda etica della leadership
svolge una funzione più importante”. La leadership etica del CEO potrebbe essere più importante nelle orga-
nizzazioni che sono caratterizzate da ambiguità e dove, quindi, i follower tendono ad affidarsi ai loro leader per
ricevere una guida etica. Inoltre, la “Upper Echelons Theory” suggerisce che la discrezionalità manageriale
aumenta all’aumentare dell’ambiguità e rafforza l’estensione con cui un CEO può influenzare le strategie e i
risultati aziendali (Hambrick, e Finkelstein, 1987). Studi empirici hanno indicato che quando i top manager
hanno una maggiore discrezionalità, la loro influenza sulla propria azienda è più forte (Crossland e Hambrick,
2011). La ricerca ha rivelato che gli attributi individuali e i fattori organizzativi sono due elementi chiave nel
determinare il grado di discrezionalità dei manager (Hambrick e Filkelstein, 1987). Questo studio esamina lo
status del CEO fondatore e le dimensioni dell’impresa poiché rappresentativi della discrezionalità manageriale.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
155
Le start-up sono soggette a livelli di ambiguità, incertezza e sfida maggiori rispetto a quelli in cui si trovano
operare imprese già consolidate (Peterson et al., 2009). Quando un CEO è anche fondatore della sua azienda,
gode di maggiore autonomia decisionale nel creare e implementare le strategie aziendali rispetto ad un CEO
che non è anche fondatore perché un CEO fondatore ha una maggiore attitudine a gratificare e punire i membri
nel rispetto di pratiche etiche, e, più importante, a stabilire e promuovere una cultura etica organizzativa per
favorire la responsabilità sociale dell’impresa. In aggiunta, lo status del CEO fondatore è anche relativamente
alto, poiché il fondatore è una persona chiave nel determinare il successo della start-up. Quindi, i membri or-
ganizzativi dovrebbero prestare molta attenzione verso i valori etici del fondatore e prendere come modello di
comportamento quello etico del CEO. Nelle imprese già formate, un CEO non fondatore può essere vincolato a
routine organizzative altamente sviluppate, a processi di decision-making esistenti e a pratiche di business sto-
riche (Peterson et al. 2009). Inoltre, il successo dell’impresa può non essere attribuibile a tali CEO. Come risul-
tato di questo, i membri organizzativi sono meno verosimili farsi influenzare dalla leadership etica di un CEO
non fondatore. La ricerca ha fornito evidenza del fatto che la leadership etica ha una maggiore influenza su
una start-up che su un’impresa già consolidata (Peterson et al. 2009). Pertanto, si formula la seconda ipotesi
come segue:
HP 2 : Lo Status del CEO fondatore modera la relazione tra Leadership Etica del CEO e Cultura Etica Or-
ganizzativa, in modo tale che la relazione positiva è più forte nel caso di CEO fondatore rispetto a quello di
CEO non fondatore.
Le dimensioni dell’ impresa costituiscono un altro fattore determinante per valutare la discrezionalità manage-
riale (Li e Tang, 2010). Le grandi organizzazioni hanno generalmente una tipica inerzia organizzativa perché
hanno abitudini consolidate e strutture gerarchiche; quindi, i membri si sentono abituati a seguire routine con-
solidate (Nelson and Winter 1982). Tali organizzazioni hanno difficoltà a far fronte a cambiamenti drammatici
e hanno meno probabilità di essere influenzate dalla leadership del CEO (Bass, 1998). Ad esempio, la ricerca
ha rivelato che le grandi imprese prendono meno iniziative per espandere il proprio business rispetto alle pic-
cole imprese (Audia e Greve, 2006). Inoltre, una recente ricerca ha indicato che la dimensione dell’impresa in-
debolisce la relazione positiva tra l’arroganza del CEO e la propensione al rischio dell’impresa (Li e Tang,
2010). Quindi si ha la terza ipotesi:
HP 3: Le Dimensioni Aziendali Moderano la Relazione tra Leadership Etica del CEO e Cultura Etica Or-
ganizzativa, in modo tale che la Relazione è più Debole per le Grandi Imprese rispetto alle Piccole Imprese.
In accordo con l’affermazione che la discrezionalità manageriale modera la relazione tra leadership etica del
CEO e cultura etica organizzativa e considerando che la cultura etica organizzativa è positivamente associata
alla responsabilità sociale dell’impresa, è logico conseguire che la discrezionalità manageriale pure influenza
l’intensità del ruolo di mediazione della cultura etica organizzativa nella relazione tra leadership etica del CEO
e responsabilità sociale dell’impresa: un modello di mediazione moderata (Edwards e Lambert, 2007). Come
già detto in precedenza, una più forte relazione tra leadership etica del CEO e cultura etica organizzativa com-
parirà nel caso di CEO fondatore in un’impresa di piccole dimensioni. Pertanto, l’effetto indiretto della leader-
ship etica del CEO sulla responsabilità sociale dell’impresa attraverso la cultura etica organizzativa è più forte
nel caso di CEO fondatore e di impresa di piccole dimensioni. In particolare, quando un CEO ha una maggior
libertà d’azione, l’effetto indiretto della leadership etica sulla responsabilità sociale dell’impresa dovrebbe es-
sere più forte. Tuttavia, quando un CEO è limitato dal suo status di non-fondatore e dalle grandi dimensioni
aziendali, la leadership etica è meno influente nel promuovere la cultura etica organizzativa; di conseguenza,
l’effetto indiretto della leadership etica sulla responsabilità sociale dell’impresa dovrebbe essere più debole. Si
possono, a questo punto, assumere le seguenti ipotesi:
HP 4: Lo Status del CEO fondatore Modera l’Effetto di Mediazione della Cultura Etica Organizzativa sulla
relazione tra Leadership Etica del CEO e Responsabilità Sociale dell’Impresa, in modo tale che l’Effetto
Indiretto della Leadership Etica sulla Responsabilità Sociale attraverso la Cultura Etica Organizzativa è più
forte nel caso di CEO fondatore rispetto a quello di CEO non fondatore.
HP 5: Le Dimensioni dell’Impresa Moderano l’Effetto di Mediazione della Cultura Etica Organizzativa
sulla relazione tra Leadership Etica del CEO e Responsabilità Sociale dell’Impresa, in modo tale che
l’Effetto Indiretto della Leadership Etica sulla Responsabilità Sociale attraverso la Cultura Etica Organiz-
zativa è più debole nel caso di imprese di grandi dimensioni rispetto a quello di piccole imprese.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
156
CAMPIONE e PROCEDURA: i dati di questo studio sono stati raccolti attraverso questionari sottoposti a imprese do-
mestiche cinesi localizzate a Guangzhou, Beijing e Xiamen. I rispondenti erano CEO , membri delle risorse umane
(HR), manager e chief financial officer (CFO) delle diverse aziende contattate. Questi furono interrogati separatamente
e non conoscevano le domande poste agli altri. In una prima sessione di sondaggi (T1), le HR e i manager hanno fornito
informazioni sulla leadership etica del CEO, le caratteristiche demografiche (es. dimensioni, età, tipo di settore e collo-
cazione, ecc.) e una variabile di controllo (es. leadership trasformazionale del CEO), mentre i CEO hanno fornito in-
formazioni sulla propria demografia (es. status di fondatore/non-fondatore) e sulla cultura etica organizzativa. Un anno
dopo, durante una seconda sessione di sondaggi (T2), ai CFO è stato richiesto di fornire informazioni sulla responsabili-
tà sociale della loro impresa. La prima e la seconda sessione di sondaggi costituivano in interviste faccia a faccia, cosic-
ché gli intervistati avevano la possibilità di chiedere chiarimenti sulle domande e meglio comprendere gli items del que-
stionario, il che ha aumentato il grado di accuratezza delle risposte. Per evitare di sensibilizzare i partecipanti, non si
sono analizzati i dati della prima sessione se non dopo aver raccolto anche i dati della seconda. Inoltre, ai rispondenti fu
garantita la completa confidenzialità nell’uso dei loro dati. Delle 481 aziende che sono state visitate in T1, 338 hanno
fornito informazioni complete per tutte le variabili coinvolte (leadership etica del CEO, leadership trasformazionale,
cultura etica organizzativa e dati demografici dei CEO e dell’impresa). In T2 sono stati ricevuti 242 questionari comple-
ti di CFO che hanno fornito informazioni sulla responsabilità sociale della loro azienda. Ci si è accertati che nessuna
delle aziende partecipanti avesse cambiato i propri CFO durante il periodo di somministrazione dei questionari. Il cam-
pione completo, alla fine, consisteva di 242 imprese (quindi, 242 CEO, 242 HR manager, 242 CFO). Queste imprese
appartenevano a settori diversi tra cui manifatturiero, alimentare, del software, biologico e meccanico. Le imprese mani-
fatturiere costituivano il 55% del campione; la restante parte era formata da imprese di Servizi. L’età media delle impre-
se era di 10.15 anni (SD = 5.88), e il numero medio di dipendenti era di 928.01 (SD = 927.48). Quanto alla localizza-
zione delle imprese, il 36% era collocato in Guangzhou, il 32.2% in Beijing e il 31.8% in Xiamen.
CONSIDERAZIONI sui RISULTATI: Questo studio si propone di sviluppare un modello centrato sulla cultura etica
organizzativa che spiega gli effetti della leadership etica del CEO sulla responsabilità sociale delle imprese. All'interno
di questo modello, la leadership etica facilita la cultura etica organizzativa, in particolare per l'azienda in cui il CEO è
anche fondatore ed è giovane d’età. Come risultato, i membri della sua azienda tendono a condividere valori etici simi-
li. Una conseguenza di questa condivisione è che i membri agiscono in modo responsabile quando si trovano interagire
con i diversi soggetti interessati, quali clienti, governo, società e ambiente naturale, dimostrando una prestazione dal
punto di vista sociale dell’organizzazione. I risultati ottenuti supportano tutte le ipotesi fatte: la cultura etica organizzativa media l'effetto della leadership etica del
CEO sulla responsabilità sociale delle imprese, con effetti positivi particolarmente pronunciati per un’impresa in cui
l’amministratore delegato è anche uno dei suoi fondatori e questa è di dimensioni modeste. Esaminando congiuntamen-
te gli effetti sia di mediazione che di moderazione, il modello qui descritto aiuta a spiegare, da un lato, come la leader-
ship etica del CEO facilita la responsabilità sociale delle imprese, e dall’altro, che tipo di imprese trarrà i maggiori van-
taggi in termini di CSR (Corporate Social Responsability) nel caso di leadership etica. In tal modo, questo studio non
solo fornisce una forte evidenza del fatto che la leadership etica può effettivamente influenzare la responsabilità sociale
delle imprese, ma si estende anche alla comprensione di come possa emergere una tale relazione. Mentre lo studio di
Waldman et al. (2006) si concentra sull’effetto di una leadership trasformazionale sulla responsabilità sociale delle im-
prese, e fu il primo a collegare la leadership con la responsabilità sociale delle imprese, questo studio valuta diretta-
mente la leadership etica, al di là del caso di leadership trasformazione, e si estende il modello per capire il meccanismo
di mediazione nella relazione tra leadership etica e responsabilità sociale delle imprese. Questo lavoro applica la “Upper
Echelons Theory” per capire come e quando l’influenza di una leadership etica risulti essere più positiva per la respon-
sabilità sociale delle imprese. Esso fa richiamo anche allo studio di Mayer et al. (2009) per esaminare il rapporto tra
leadership etica e cultura etica, così come gli effetti delle condizioni del contesto sulla leadership etica. La Leadership
etica del CEO è favorevole allo sviluppo e alla valorizzazione della cultura etica organizzativa e della responsabilità
sociale delle imprese. La “Upper Echelons Theory” ha rilevato l'importanza del ruolo svolto anche dagli altri mana-
ger del TMT nella definizione della strategia e nel conseguimento dei risultati aziendali. Anche se il ruolo del CEO è
multi-funzionale, poiché coinvolge una vasta gamma di attività, altri manager possono avere effetti rilevanti sulle stra-
tegie organizzative e sui risultati. Ad esempio, i valori etici dei responsabili delle risorse umane possono influenzare il
processo di selezione dei nuovi candidati, che a sua volta, dà forma alla cultura etica organizzativa. Si ritiene, quindi,
che tale modello sia facilmente applicabile alle caratteristiche psicologiche anche degli altri manager
dell’organizzazione. Un punto di forza del modello della leadership etica è che la cultura etica organizzativa motiva i
dipendenti a migliorare i propri valori e comportamenti in modo che si adattino al modello etico, e questi, potenzial-
mente, possono influenzare anche altri risultati dell’impresa quali la massimizzazione a lungo termine della ricchezza o
i costi di regolamentazione.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
157
RUOLO di MODERAZIONE della DISCREZIONALITA’ MANAGERIALE: I risultati ottenuti esplicano anche il
ruolo cruciale della discrezionalità manageriale nell'effetto della leadership del CEO, mettendola in relazione con la re-
sponsabilità sociale delle imprese. La ricerca ha indicato la relazione positiva tra leadership trasformazionale e respon-
sabilità sociale delle imprese (Waldman et al. 2006). Tuttavia, non vi sono valide ragioni teoriche per aspettarsi che, in
tutti i casi e sempre allo stesso modo, la leadership del CEO influenzi le organizzazioni. Il risultato sul ruolo di modera-
zione della discrezionalità manageriale nel rafforzare gli effetti positivi della leadership etica sulla responsabilità sociale
delle imprese colma il divario presente tra discrezione manageriale e responsabilità sociale delle imprese, considerando
le condizioni del contesto in cui si realizza la leadership. Questo studio vuole inoltre stimolare la ricerca futura ad inda-
gare ulteriormente sulla discrezione manageriale e sulle ricadute di questa sui risultati aziendali. Un esempio è quello di
capire la struttura della corporate governance, concentrandosi sull’influenza relativa del CEO e degli altri top manager.
Quando il potere del board è superiore, gli amministratori delegati possono avere bassi livelli di discrezionalità e bassa
influenza sui risultati organizzativi. La ricerca futura potrebbe considerare di studiare meglio il ruolo di moderazione
del potere detenuto dal board, poiché, dati i recenti scandali aziendali, comprenderlo è di fondamentale importanza.
Questo studio si posiziona nell’'intersezione tra leadership etica e responsabilità sociale delle imprese, riguardando il
ruolo svolto dalla discrezionalità manageriale e fornendo approfondimenti sia teorici che pratici in relazione ad entram-
be.
IMPLICAZIONI PRATICHE: In termini pratici, la responsabilità sociale delle imprese è importante per le capacità di
un'organizzazione, per la soddisfazione del cliente, i vantaggi competitivi e le performance finanziarie. I risultati ottenu-
ti forniscono due strade attraverso cui gli amministratori delegati e le organizzazioni possono promuovere la responsabi-
lità sociale delle imprese. La prima è adottare misure per migliorare la leadership etica. La ricerca qualitativa ha indica-
to che la percezione dei dipendenti di una leadership etica del CEO proviene da entrambe, l’interazione face-to-face e la
più distante immagine del top manager. Da un lato, gli amministratori delegati devono prendere decisioni giuste ed
equilibrate, ascoltare ciò che i dipendenti hanno da dire e discutere di etica con i dipendenti (Brown et al. 2005).
Dall’altra parte, i CEO, nelle loro relazioni pubbliche, dovrebbero promuovere un’immagine di se stessi il più possibile
etica, in modo tale che le notizie aziendali siano trasmesse internamente a tutti i dipendenti. Il secondo meccanismo per
migliorare la responsabilità sociale delle imprese è quello di individuare gli amministratori delegati che possiedono un
alto livello di discrezionalità manageriale. I risultati indicano che gli effetti positivi della leadership etica del CEO sono
più influenti per gli amministratori delegati che godono di maggiori libertà d’azione. Pertanto, le organizzazioni devono
prestare maggiore attenzione verso tali CEO e incoraggiarli a esercitare una leadership etica volta a promuovere una
cultura etica organizzativa e la responsabilità sociale delle imprese.
CONCLUSIONI: Non vi è alcun dubbio che la responsabilità sociale delle imprese sia importante per le capacità, i
vantaggi competitivi e le performance finanziarie delle organizzazioni. Questo lavoro ha applicato la “Upper Echelons
Theory” (teoria dei “Livelli più Alti”), che incorpora la cultura etica organizzativa come mediatore critico del rapporto
tra leadership etica e responsabilità sociale delle imprese e che identifica la discrezionalità manageriale come un mode-
ratore importante. In sintesi, il modello di mediazione moderata spiega come e per quale tipo di imprese la leadership
etica del CEO conta di più in termini di influenza sulla responsabilità sociale delle imprese. In conclusione, lo studio qui
descritto può servire da “spunto” per la ricerca futura, avendo compreso i processi che stanno alla base e che influenza-
no il miglioramento del grado di responsabilità sociale delle imprese.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
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APPENDIX IX:
Approfondimento: Un’ ANALISI EMPIRICA
ARTICOLO: “The Gender Quota and Female Leadership: Effects of the Norvegian Gender Quota on Board
Chairs and CEOs”
AUTORI: Mingzhu Wang, Elisabeth Kelan.
JOURNAL: Journal of Business Ethics (2014).
ABSTRACT: In questo articolo, si usa un campione di imprese norvegesi, quotate tra il 2001 e il 2010, per esplorare
se la quota richiesta del 40% di direttori donne nel board aziendale modifica la probabilità che le donne siano nominate
a coprire ruoli di leadership, in qualità di amministratori delegati o di altri membri del Consiglio di Amministrazione. I
risultati ottenuti empiricamente indicano che la quota del genere e le conseguenti maggiori rappresentazioni femminili
di manager costituiscono un terreno fertile per le donne ad assumere posizioni di Top Leadership. La presenza di posi-
zioni femminili nel board è positivamente associata con il grado di autonomia, l’età e la qualifica di membri donne fin-
ché la presenza di CEO femminili è correlata positivamente alla qualificazione media dei manager donne. Imprese con
manager donne più anziane e più istruite hanno più probabilità di nominare donne alla copertura di posizioni all’interno
del board. La probabilità di incontrare CEO donne cresce con la percentuale di dirigenti indipendenti e delle qualifiche
di questi, specialmente di quelle di manager donne. In questo studio su un campione di imprese norvegesi, si è riscon-
trato che la quota del genere non ha un impatto significativo sul gap tra il numero di membri maschili e quello di mem-
bri femminili, dopo il suo completo adattamento. Questo articolo contribuisce così, alla comprensione di come le quote
di donne e uomini, la presenza di membri donne nel Consiglio di Amministrazione, la percentuale di manager donne e
altre caratteristiche del board, possono determinare il genere del leader di un organizzazione.
SVILUPPO delle IPOTESI: la teoria della dipendenza dalle risorse predice che cambiamenti nell’ambiente esterno
possono creare la richiesta di acquisire nuovi tipi di risorse (Pfeffer e Salancik, 1978). Il caso della quota del genere, la
rappresentanza femminile nell’aula del Consiglio è cresciuta. Nello stesso momento, il codice norvegese per le pratiche
di Corporate Governance (NCPCG), emesso nel 2005, raccomanda che la presidenza di una società quotata dovrebbe
essere occupata da un direttore indipendente. Queste circostanze possono risultare nel caso in cui direttori donne domi-
nano il pool di candidati del consiglio con il desiderato status di indipendenza. Quindi, la teoria della dipendenza dalla
risorsa indica che una maggiore rappresentanza di direttori donne all’interno della sala del Consiglio può condurre a più
donne alla copertura di postazioni nel board e ci porta ad assumere le seguenti prime ipotesi:
HP1: La quota di genere ha un effetto positivo sulla presenza e la nomina di posizioni del board ricoperte da donne.
HP2: La percentuale di manager donne ha un impatto positivo sulla presenza e la nomina di donne a coprire posta-
zioni del board, a parità di altre condizioni.
La “teoria della massa critica” (Kanter 1977, 1987; Granovetter, 1978) suggerisce che la natura delle interazioni tra i
membri di un gruppo dipende dalla sua dimensione. Il grado di influenza del sottogruppo cresce quando la dimensione
dello stesso raggiunge una certa soglia, o massa critica. Anche se la suddetta teoria non suggerisce quale valore rappre-
senta la massa critica, c’è un valore soglia comunemente usato. L’esperimento di Asch (1951, 1955) dimostra che
l’efficacia della pressione del gruppo cresce marcatamente quando la dimensione del gruppo è di 3 componenti, ma ul-
teriori incrementi della dimensione del gruppo hanno poca influenza sull’effetto complessivo. Dall’altro lato, la critica
alla “teoria della massa critica”, come evidenziato negli ambiti della politica, della scienza e della letteratura (Grey,
2002; Towns, 2003) trova che non occorrono cambiamenti politici nel caso in cui la percentuale di donne raggiunge la
soglia della “massa critica”. Questi autori sono scettici della magia dei numeri. Malgrado la sua popolarità, la teoria del-
la massa critica è stata raramente usata per testare empiricamente l’effetto della quota del genere.Nella letteratura non è
stato testato sel avere “almeno tre donne” nel board ha influenzato i generi delle altre cariche presenti nel board e dei
CEO. Ci si propone, pertanto, con questo studio, di effettuare un primo test della teoria della massa critica nel contesto
dei board norvegesi e combinando i risultati ottenuti con un’analisi di regressione multi-variata per dare maggior con-
ferma dei risultati stessi. Viene predetto che l’esistenza di una massa critica (almeno tre donne) ha un impatto positivo
sulla presenza e la nomina di donne come top leader, dando forma alla terza ipotesi:
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
159
HP 3: L’esistenza di una massa critica (almeno 3 membri femminili) ha un impatto positivo sulla presenza e la no-
mina di Leader donne.
La quota si sostiene abbia unpiù grande impatto sulle strategie aziendali quando il board ha l’opportunità di selezionare
un nuovo CEO immediatamente, conseguendo un incremento della rappresentanza delle donne nel board (Matsa e Mil-
ler, 2011). Un implicazione di questa argomentazione è che la crescita della rappresentanza delle donne nel board può
avere alcuni impatti sulla nomina del nuovo CEO, che a sua volta, influenzerebbe la strategia aziendale. Il consiglio di
amministrazione è responsabile della nomina del CEO dell’impresa, che a sua volta, è responsabile della gestione gior-
naliera della stessa. Similmente, il CEO può essere dismesso e sostituito dal Consiglio, tramite un voto segreto. È, per-
tanto, interessante indagare se la maggiore rappresentanza delle donne ha avuto un qualche impatto sul numero di CEO
donne. Ciò viene testato empiricamente senza sviluppare un’ipotesi apposita. Mentre il presidente gestisce il board, il
CEO gestisce l’impresa. La presidenza ha una stretta relazione con il CEO e, in pratica, dovrebbe riunirsi con il CEO
per le decisioni strategiche più importanti, che sono condotte sotto la supervisione del presidente del Consiglio. Il CEO
prepara anche quelli che sono i punti da discutere con il Consiglio di Amministrazione nella riunione con il presidente
(NCPCG 2007). La relazione tra CEO e presidenza è stata individuata come il fulcro di una corporate governance di
successo (Fiss, 2006). Uno può anche assumere che, se un presidente donna presiede il Consiglio di Amministrazione,
questo potrebbe avere un certo impatto sulla nomina del CEO. Si prevede l’associazione tra il genere del presidente e
quello del CEO usando due teorie complementari – la “teoria dell’attrazione della somiglianza” e quella della “identità
sociale”. Il paradigma dell’attrazione della somiglianza (Byrne e Griffitt, 1973) propone che gli individui che sono si-
mili tra loro sono più attratti gli uni dagli altri e questa maggiore attrazione conduce ad una valutazione più favorevole
degli altri. Tale processo si presenta quando le persone hanno interazioni dirette. La teoria dell’identità sociale, e più
precisamente, la teoria dell’ “auto-categorizzazione” (Tajfel e Turner, 1986; Turner, 1978)afferma che gli individui de-
terminano una loro identità sociale, classificando se stessi e gli altri sulla base di caratteristiche visibili, quali ad esem-
pio l’età, il genere e la razza. Le persone categorizzano gli individui dissimili da loro demograficamente come fuori dai
membri del gruppo e quelli simili demograficamente come membri del gruppo (Chatman e Spataro, 2005). Diversa-
mente dal processo di attrazione delle somiglianze, l’auto-categorizzazione si presenta anche quando le persone non so-
no coinvolte in interazioni dirette (Tsui et al. 1992). In accordo alle due teorie presentate si può prevedere che un presi-
dente donna dovrebbe mostrare una preferenza di lavorare con executives che la pensano al suo stesso modo, in altre
parole, un CEO donna.
HP 4: Un board presieduto da una donna è più probabile che nomini un CEO donna, a parità di altre condizioni.
Un’estesa rassegna della letteratura sui dirigenti donne ha mostrato che gli attuali dibattiti sulla differenza di genere so-
no destinati a migliori corporate governance attraverso un migliore uso del pool di talenti e una più generica area di bu-
siness che meglio riflettono gli interessi degli stakeholder (Terjesen et al. 2009). L’accresciuta rappresentanza di diret-
tori donne potrebbe migliorare la corporate governance attraverso l’aumento dell’indipendenza complessiva del board.
A parte la loro differenza in termini di stato di autonomia, dirigenti donne e dirigenti uomini differiscono anche in ter-
mini di età e qualificazione. Pertanto viene testato empiricamente l’impatto delle differenze tra direttori donne e uomini
in termini di autonomia, età e qualifiche sulla presenza di donne nel Consiglio e di CEO donne. Le suddette ipotesi sono
illustrate in figura. La legislazione sulla quota, come una variabile esogena, avrà un impatto diretto sulle diverse dimen-
sioni delle diversità di genere, vale a dire, rappresentanza, status di autonomia, età e istruzione. Nello stesso momento,
essa può avere degli impatti indiretti sulla rappresentanza delle donne nelle posizioni di top leadership, come quella del
presidente e dell’amministratore delegato.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
160
CONTESTO, DATI e METODOLOGIA: la Norvegia fornisce un contesto ideale in cui esplorare la relazione dinami-
ca tra direttori donne e CEO donne, grazie alla sua legislazione sulla quota del genere e il su sistema a due livelli del
board. In Norvegia, una quota del genere fu imposta il 9 Dicembre 2005 e si applica a tutte le società per azioni a re-
sponsabilità limitata. Secondo la nuova legge, ogni genere doveva costituire almeno il 40% dei direttori rappresentanti
la proprietà (Storvik e Teigan, 2010; Teigan, 2011). Questa legge ha portato alla minaccia di liquidazione. Tra le società
norvegesi una rapida crescita della proporzione di dirigenti donne si può osservare tra il 2005 e il 2008. La quota norve-
gese, quindi, fornisce uno scenario ideale in cui esplorare come la distribuzione del genere dei leader cambia sotto la
forza della parità dei generi indotta dalla legge. In aggiunta, il sistema a due livelli del board esiste tra le società norve-
gesi quotate, dove il consiglio aziendale è composto da una posizione di supervisione occupata dal presidente e una ese-
cutiva occupata dal CEO. Un board del genere rende possibile osservare le dinamiche esistenti tra la presenza di un pre-
sidente donna e CEO donne, ad esempio, si può esplorare quali effetti le quote di genere del board possono avere sul
TMT dell’impresa. Gli eventi legislativi più rilevanti sulla quota sono illustrati nella sequenza temporale in figura.
Coerentemente con le fasi della procedura legislativa in Norvegia, l’intero periodo coperto dal campione usato in questo
studio consiste in 4 fasi principali, che possono essere denominate: fase introduttiva, fase di conformità volontaria, fase
di conformità obbligatoria e la fase successiva alla conformità. La metà delle imprese Norvegesi presenti sono quotate
nella OSE (Oslo Stock Exchage); si parte da quelle che si sono quotate in Norvegia tra il 2001 e il 2010. Il termine del
periodo considerato nel 2010 dovrebbe essere adeguato per osservare l’impatto dell’effetto della quota sui dirigenti
aziendali e la rappresentanza delle donne nel consiglio di amministrazione dal momento che i termini della costituzione
del board sono stati sanciti dalla NCPCG nel 2005, per non durare per più di due anni. La scelta di un campione di im-
prese quotate in OSE si basa su due ragioni principali. In primo luogo, tali società sono soggette a requisiti più stringen-
ti riguardanti la corporate governance, come previsto dalla NCPCG (2005) emanata dalla OSE e applicata alle sole so-
cietà quotate. Può, quindi, essere interessante osservare la dinamica della relazione tra il miglioramento della corporate
governance e la crescita di rappresentanza femminile nelle posizioni di leadership. In secondo luogo, questa scelta ga-
rantisce che le imprese del campione saranno influenzate dalla introduzione della legislazione sulla quota. Le società
non quotate possono convertirsi allo stato privato per evitare di dover sottostare alla legge sulla quota. Per le società
quotate, il costo della conversione in società private avrebbe un peso maggiore rispetto agli svantaggi di doversi attene-
re allalegge sulla quota. Pertanto, le società quotate alla OSE sono presunte essere perlomeno in grado di evitare
l’impatto della quota. Infatti, un numero sostanziale di compagnie norvegesi non quotate si sono convertite allo stato
privato sotto la minaccia della nuova legge, invece poche società quotate alla OSE lo hanno fatto (Nygaard, 2011). Il
focus di questo articolo è sull’osservazione delle dinamiche tra l’aumento della rappresentanza delle donne in posizioni
dirigenziali e il numero di donne alla copertura di ruoli di leadership, quali quello del CEO. Dal momento che le caratte-
ristiche personali dei CEO vengono raramente divulgate nei report annuali, non è possibile testare le ipotesi preceden-
temente enunciate senza un sistema a due livelli per il board. Pertanto viene ristretto il campione alle sole aziende quo-
tate con una struttura a due livelli per le quali le informazioni personali erano disponibili sia relativamente alla posta-
zione di supervisione che a quella esecutiva del board. In Norvegia, le imprese con più di 200 dipendenti hanno un si-
stema del board a due livelli. Esse appartengono per lo più ai settori petrolifero, dei trasporti, giornalistico, finanziario e
dei servizi. Le società quotate in questi settori, quindi, erano escluse dal campione. Questa procedura di selezione delle
imprese del campione ha eliminato da questo 112 società quotate con un sistema a doppio livello del board. In definiti-
va, un totale di 87 società quotate sono state investigate in questo articolo. Il campione consiste di informazioni annuali
relative a 667 imprese e a 6.772 persone, tra il 2001 e il 2010.Durante questo periodo, le imprese con donne alle posi-
zioni dirigenziali erano guidate da CEO uomini in 69 casi e solo in 8 casi da CEO donne. Dunque, si è calcolato il nu-
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
161
mero totale di direttori presenti in ciascun board, la percentuale di direttori femminili, la percentuale di direttori indi-
pendenti, la tenuta media dei dirigenti, l’età media e il numero medio di qualificazioni. Si è partiti usando delle statisti-
che descrittive e analisi temporali di trend per analizzare i dati raccolti; tali statistiche sono state usate per descrivere
quantitativamente le principali caratteristiche del panel di dati,. L’analisi dei trend è stata invece usata per mostrare
l’impatto della quota sulla percentuale di direttori donne nel board e in posizioni di top leadership e per tracciare gli
schemi mutevoli relativi alle differenze tra direttori donne e uomini durante l’arco di tempo del campione (2001-2010).
ANALISI EMPIRICHE:
Quanto leader donne e uomini differiscono tra loro? In tabella sono riportate le differenze tra le caratteristiche demografiche dei leader donne e uomini. Curiosa-
mente, il gap tra i due generi osservato relativamente all’età e alle qualifiche dei direttori scompare a livello di
top leadership: donne e uomini leader hanno età e qualifiche pressoché simili. Tuttavia, presidenti donne sono
più verosimili essere direttori indipendenti o stranieri, rispetto agli uomini. In aggiunta, i direttori donne sono
più esperte nel servire il board e ad assumersi un maggior numero di ruoli dirigenziali. Al contrario, non vi so-
no differenze significative in termini di caratteristiche demografiche tra CEO donne e uomini, indicando che il
gap tra i due generi scompare completamente tra le posizioni esecutive di top leadership.
Presidente F Presidente M Differenza (F –M) CEO F CEO M Differenza (F – M)
Autonomia 0,68 0,40 0,28
Età 54,08 55,12 -1,04 47,00 49,02 -2,02
Qualifiche 1,71 1,53 0,18 1,20 1,43 -0,23
Incarico nel board 3,61 2,48 1,13 2,60 1,30 1,30
Legato al board 2,23 1,83 0,40 1,80 1,41 0,39
Nazionalità 0,75 0,86 -0,11 0,91 0,93 -0,02
Quanto dirigenti donne e uomini differiscono tra loro? La tabella sottostante riporta le statistiche descrittive delle principali variabili analizzate in questo articolo. La
proporzione media di direttori donne nel board aziendale è del 24%. Il 37% dei membri dei board norvegesi
sono direttori indipendenti. L’età media dei direttori è di 51,29 anni. Il numero medio di qualifiche ottenute dai
membri dei board è 1,26. La dimensione media del board è di 7,49 membri, che è simile alla taglia media (7,5)
dei board trovati in un ampio campione di imprese statunitensi (Linck et al., 2008). Un normale presidente del
board ha 2,18 anni di esperienza al servizio di una posizione dirigenziale simile, e sono stati in mediamente 1,6
diversi board. La tabella fornisce anche informazioni sulle differenze nello status di autonomia, età e qualifica-
zioni tra direttori donne e uomini. Complessivamente, il 45% di direttori donne e il 37% di direttori uomini so-
no stranieri. Le donne hanno un’età media di 47,16 anni e tengono mediamente 1,63 qualificazioni; gli uomini
hanno un’età media di 52,77 anni e 1,18 qualifiche. Generalmente si dice che i direttori donne sono più giovani
e più istruite delle loro controparti maschili all’interno della sala del consiglio. Il numero di qualificazioni
sembra variare più tra le donne che tra gli uomini. In un caso estremo un direttore donna possedeva 10 qualifi-
che, mentre il numero medio per gli altri direttori era di sole 3 qualifiche. Riassumendo, le statistiche descrit-
tive hanno riportato che i presidenti donne sono più verosimili essere direttori indipendenti e stranieri. Esse
hanno più ricche risorse attraverso il loro servizio in diversi board, e sono più esperte rispetto ai presidenti uo-
mini. Tuttavia, non vi sono differenze significative tra CEO donne e uomini in termini di età, qualifiche, espe-
rienza, legami col board o nazionalità. Coerentemente con i risultati nella letteratura, i direttori donne sono più
facilmente provenire dall’estero, essere più giovani e avere più qualificazioni rispetto ai direttori maschi nei
board norvegesi. Il gap tra i generi in termini di età e qualifiche scompare a livello di leadership, sia all’interno
della sala del consiglio sia all’interno della governance aziendale. N° di Osserva-
zioni Media Mediana Deviazione Stan-
dard Minimo Massimo
Diversità di genere (% direttori donne) 667 0,24 0,27 0,18 0,00 0,67
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
162
Impatto della quota sui gap tra leader donne e uomini. I risultati relativi alle differenze tra leader donne e uomini sono state analizzande suddividendo il campione in
due periodi di tempo: il primo, dal 2001 al 2007 (pre-quota) e dal 2008-2010 (post-quota). Nel primo periodo, i
presidenti donne risultavano avere più qualifiche rispetto alle controparti maschili. Tuttavia queste differenze
tra i generi vengono meno nel periodo successivo, dove presidenti donne e uomini hanno un numero simile di
qualifiche. Sembra che i presidenti donne sono più facilmente provenienti dall’estero rispetto agli uomini e
aver occupato posizioni dirigenziali prima che la quota dei generi venisse imposta. Tuttavia, tali differenze
scompaiono nel periodo post-quota, indicando che, a partire dal completo accordo delle imprese norvegesi sti-
pulato con la legge del gennaio 2008, donne e uomini alla presidenza avevano la stessa probabilità di essere dei
presidenti stranieri. Comparando il periodo pre con quello post-quota, sembra che i presidenti donne sono più
verosimili essere direttori indipendenti, avere più esperienza, e avere meno interconnessioni con il board dopo
la legge sulla quota dei generi del 2008. Nel contempo, i presidenti uomini erano più anziani e risultavano ave-
re una maggiore esperienza nel periodo successivo il 2008 rispetto a quello precedente la completa conformità
alla legge sulla quota. La durata media dell’incarico alla presidenza nel periodo post-quota di 2,98 per le donne
era significativamente più alta rispetto al rispettivo valore medio nel periodo successivo (2,04), mentre i presi-
denti donne risultavano essere equamente possibili stranieri nei due periodi considerati. Questi risultati impli-
cano che le imprese norvegesi hanno promosso donne talentuose come top leader localmente, piuttosto che
“importarle” da altri paesi. Infine, i risultati confermano quanto affermato anche in precedenza: i direttori don-
ne sono più facilmente direttori indipendenti, di età più giovane e con un maggior numero di qualificazioni ri-
spetto ai direttori uomini. Comparando queste differenze tra i periodi pre e post-quota, si è trovato che le diffe-
renze tra i generi relativamente allo status di autonomia, all’età e alle qualifiche tra direttori donne e uomini
rimangono significative dopo la completa conformità alla legge sulla quota di genere in Norvegia. Comparati
ai direttori donne del periodo pre-quota, quelle del periodo successivo sono più esperte e hanno più interrela-
zioni con il board, oltre ad essere più probabilmente straniere. Invece, i direttori uomini sono meno verosimili
essere dei direttori indipendenti dopo il 2008 rispetto al periodo precedente.
Impatto della quota sulle differenze tra direttori donne e uomini. Per mostrare più dettagliatamente gli impatti della quota dei generi sui direttori maschili e femminili presenti
nei board norvegesi in una sequenza temporale, si è condotta un’analisi dei trend di periodo della
rappresentanza delle donne nel board aziendale, della nomina di top leader donne e delle differenze tra i generi
in termini di indipendenza, età e qualificazioni dei presidenti del consiglio. I risultati sono illustrati nelle figure
sottostanti.
Impatto della quota sulle differenze tra direttori donne e direttori uomini
La figura mostra i cambiamenti nella rappresentanza delle donne nel board e in posizioni di CEO. L’effetto della quota
rimane incerto in Norvegia fino al dicembre 2005. Fino ad allora le imprese norvegesi non avevano alcuna pressione
legislativa per dover cambiare le procedure di selezione dei loro direttori. Riflettendo una certa riluttanza a prendere
donne all’interno dei board aziendali, la percentuale media di direttori donne è cresciuta gradualmente dal 7% nel 2001
al 20% nel 2005. La quota imposta nel 2005 ha avuto un impatto massiccio sulla successiva composizione del board.
Non è sorprendente che la proporzione di direttori donne risulti essere drammaticamente cresciuta tra il 2005 e il 2007,
come mostrato in figura per il campione di imprese analizzato. Prima del 2005 nessun CEO delle imprese del campione
era donna; ma dopo il 2007 circa il 5% delle imprese aveva un CEO donna. La percentuale di imprese con una presi-
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
163
denza femminile è cresciuta costantemente dal 0,01% nel 2001 al 5,00% nel 2007, raggiungendo oltre il 15% dopo la
legge sulla quota emessa nel 2008, per poi inasprirsi ancora drammaticamente nel 2010.
Cambiamenti nella nomina esclusiva di top leader donne
La figura mostra i numeri annuali delle nomine di presidenti e CEO. Ci sono state solo 1-2 nomine uniche di presidenti
donne all’anno tra il 2001 al 2005, durante le fasi di introduzione e conformità volontaria della quota del genere in Nor-
vegia. Il numero annuale di nomine di presidenti donne è cresciuto durante la fase di conformità obbligatoria, tra il 2006
e il 2007. Esso è cresciuto significativamente al termine della fase di conformità obbligatoria alla legge sulla quota del
genere nel 2008 e 10 direttori donne sono state nominate in posizioni di presidenza nel 2010. Al contrario, le nomine
annuali di presidenti uomini è costantemente diminuito dal 2001 al 2008. Si è verificato un drastico aumento nel 2009
quando 15 direttori uomini sono stati nominati in posizioni di presidenza ma si è ridotto a 8 nel 2010. Il numero di no-
mine di CEO uomini era significativamente più basso durante il periodo 2005-2007 in rapporto ad altri periodi su cui si
estende il campione, mostrando un significativo impatto della quota del genere nella fase di conformità obbligatoria.
Ciò è coerente con quanto mostrato dal grafico precedente in cui nessuna donna era stata nominata come CEO prima del
2005. Circa un CEO donna è stato annualmente nominato nel periodo che va dal 2005 al 2010, con un picco di 2 donne
CEO nominate nel 2008. Nonostante il modesto numero di CEO donne all’interno delle imprese del campione, è co-
munque una buona indicazione il fatto che le donne iniziano a farsi notare di più dopo l’introduzione della legge sulla
quota in Norvegia nel 2008.
Cambiamenti nel grado di autonomia dei direttori donne e uomini
La figura mostra che il grado di autonomia del board è cresciuto costantemente dal 2001 al 2010, specialmente dopo la
pubblicazione del NCPCG (2005), che ha raccomandato che i board aziendali fossero costituiti almeno per il 50% da
direttori indipendenti. La percentuale di direttori indipendenti è cresciuta significativamente dal 42% nel 2005 al 60%
nel 2010. L’analisi dei trend del periodo mostra che i direttori donne sono più verosimili che gli uomini essere dei diret-
tori indipendenti, anche se la differenza tra i due generi si attenua soprattutto negli anni 2003-2005.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
164
Cambiamenti nell’età media di direttori donne e uomini
L’età media dei direttori delle imprese del campione in esame è aumentata costantemente da un valore approssimativo
di 50 anni nel 2001 a uno di 54 nel 2010. I direttori donna sono, in media, più giovani rispetto agli uomini. I picchi di
gap tra le età si hanno nel 2005, quando l’età media femminile è di 45 anni e quella maschile di 54. Nel periodo 2001-
2005 l’introduzione della quota sembra aver ampliato il gap tra le età di donne e uomini, di circa 5 anni. Sorprendente-
mente, l’applicazione della quota dopo il 2005 sembra aver ristretto il gap di circa 4 anni, come risultato di un rapido
aumento dell’età media dei direttori donne tra il 2005 e il 2010. I direttori donne nel 2010 sono mediamente di 5 anni in
più rispetto a quelle del 2005. In generale, il gap tra le età di direttori donne e uomini sembra divergere dopo
l’introduzione della quota di genere nel 2001 ma poi convergere dopo la legge emessa sulla quota nel 2005.
Un’argomentazione sul fatto che le donne sono più giovani degli uomini è che esse hanno raggiunto i board più di re-
cente. Questo potrebbe spiegare la persistenza del gap tra le età dei due generi, dal momento che le imprese erano sog-
gette alla pressione di dover reclutare nuovi direttori donne dopo l’introduzione e la legislazione sulla quota in Norve-
gia.
Cambiamenti nel numero medio di qualificazioni possedute da direttori donne e uomini
Quest’ultimo grafico dimostra che i direttori donne generalmente possiedono un maggior numero di qualifiche rispetto
agli uomini. La differenza tra i due generi sembra esser cresciuta dal 2003 al 2006, ridursi tra il 2006 e 2008 e rimanere
poi stabile in seguito. In altre parole, il gap tra i due genere relativamente alle qualificazioni ottenute è risultato restrin-
gersi nella fase di conformità della quota. Dopo la legge emessa nel 2005, le società norvegesi erano soggette alla pres-
sione di reclutare più direttori donne e, quindi, è probabile che si siano ridotte le loro aspettative relativamente al livello
di istruzione dei candidati femminili. In aggiunta, il numero medio di qualifiche dei direttori donne è stato più volatile
lungo il periodo di tempo considerato rispetto a quello dei direttori maschi. Ciò riflette il fatto che le imprese del cam
pione dovevano nominare direttori donne con un più ampio range di qualifiche rispetto agli uomini per raggiungere la
quota fissata per ciascuno dei due generi.
RIASSUNTO e RISULTATI EMPIRICI: Le analisi svolte mostrano che l’introduzione di una legislazione sulla quo-
ta in Norvegia, ha avuto un consistente e positivo effetto sulla presenza di Leader donne, il che supporta, in parte, le as-
sunzioni fatte dall’HP1. La percentuale di direttori donne è positivamente correlata alla presenza e alla nomina di donne
come membri del Consiglio di Amministrazione, come previsto dall’HP2. Anche se il livello significativo di influenza
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
165
di questo effetto è ridotto quando le differenze nel grado di autonomia, nell’età e nell’istruzione tra i due generi vengo-
no inclusi nel modello di regressione. Anche la percentuale di direttori donne ha un impatto positivo sulla nomina di
unicamente amministratori delegati donne. L’esistenza di una massa critica di almeno 3 direttori donne aumenta la pro- babilità di veder donne a ricoprire posizioni all’interno del board o in qualità di CEO. Anche se non vi sono corrispon-
denze statistiche con la presenza di leader donne su tunno il periodo in cui viene esaminato il campione. Infine, a sup-
porto dell’HP4 ci sono legami significativi tra la presenza e la nomina di membri del board donne e di CEO donne. La
quota ha alcuni effetti sul gap tra i generi in termini di grado di autonomia, età ed istruzione, nelle fasi di adattamento
volontario e obbligatorio. Tuttavia le differenze di genere nelle caratteristiche demografiche di direttori maschili e
femminili sono nel 2010 quasi le stesse del 2001. Nelle analisi empiriche qui condotte, si è guardato alle variazioni in-
terne alle imprese nelle differenze tra le caratteristiche demografiche di direttori uomini e direttori donne. La probabilità
di posizioni femminili nel board aumenta all’aumentare del numero di direttori donne indipendenti e all’aumentare
dell’età di queste e delle loro qualifiche. La probabilità di CEO donne aumenta all’aumentare della percentuale di diret-
tori donne indipendenti e delle loro qualifiche. In generale, sia l’autonomia del board sia il numero medio di qualifiche
possedute dai direttori sono correlate positivamente alla presenza e alla nomina di CEO donne. La probabilità di CEO
donne aumenta all’aumentare dell’incarico di ruolo dei direttori e al diminuire della taglia del board.
CONSIDERAZIONI e CONCLUSIONI: La Norvegese quota di genere ha avuto un’interessante e naturale esperienza
nel cambiare la composizione, in termini di sesso, dei board aziendali. Si trova che la quota di genere ha avuto un im-
patto positivo sul numero di membri donne board e di CEO donne, indicando che la quota di genere in Norvegia non ha
solo incrementato la parità di sesso all’interno dell’Assemblea del board ma ha anche avuto effetti di spillover sulle po-
sizioni di leadership. La rappresentanza delle donne in posizioni di Leadership potrebbe essere il risultato della crescen-
te richiesta dei benefici, in termini di “Legittimità” proposti dai leader donne dalla scossa politica esogena della “quota
di genere”. Inoltre, le analisi condotte sulle differenze nelle caratteristiche demografiche di direttori maschili e femmini-
li mostrano che la presenza di membri donne nel board dipende, infatti dalla “risorse” di indipendenza, esperienza e
qualificazioni forniti da direttori donne. Il grado di autonomia dei direttori donne ha un impatto positivo sulla probabili-
tà di membri femminili del board; nel frattempo, l’indipendenza complessiva del board pure aumenta nella probabilità
di avere CEO donne. Questi risultati forniscono un importante evidenza empirica sul legame tra la governance di
un’impresa e la parità di sesso all’interno di un’organizzazione, indicando che un miglioramento nella governance, in
termini di autonomia dei direttori, ad esempio, potrebbe aiutare le donne a divenire i leader più accreditati. La quota
norvegese di genere ha causato una grande questione di dibattito su se sia un utile strumento raggiungere una maggiore
parità tra i generi nell’ambito delle attività di business. La ricerca condotta ha mostrato che i profili di uomini e donne
nel board non sono né convergenti né divergenti nel lungo periodo, come risultato di una forzata parità di sesso. Quote
obbligatorie sono in grado di comportare cambiamenti effettivi di tipo top-down alla diversità di genere nelle organiz-
zazioni. Al contrario, la validità di un approccio volontario è probabilmente dovuta alla persistente carenza a di leader
donne nel mercato del lavoro. Se si adotta l’approccio volontario, obblighi di informazione in materia di diversità di ge-
nere nel board o nei CEO potrebbero essere usati per mettere una certa pressione supplementare sulle imprese quotate,
a prendere il maggior numero di donne, la cui rappresentazione è associata positivamente con la reputazione
dell’impresa. Questo studio fornisce due implicazioni per chi fa le leggi, considerando che devono adottare quote di ge-
nere obbligatorie. In primo luogo, esso mostra che la quota di genere può provocare cambiamenti organizzativi, come
l’incoraggiamento di donne a posizioni di Leadership o come CEO aziendali. Anche se il numero di donne nei board
delle imprese norvegesi considerate è piuttosto ridotto, l’esperienza che queste donne ottengono prendendo parte ai
board aziendali le qualificherà per lavori dirigenziali nel futuro ed esse possono fungere da mentori e modelli di ruolo
per altre donne. Inoltre la quota potrebbe risultare efficace nel produrre più leader donne. In secondo luogo, vi è un con-
senso relativo alla legislazione sulla quota, i legislatori dovrebbero essere più determinanti ad accorciare o anche evitare
completamente il periodo volontario che era stato usato in Norvegia. Come mostrano le analisi sui trend effettuate,
quando le imprese possono liberamente scegliere di accrescere la rappresentanza delle donne nei loro board, esse tendo-
no a reclutare donne più giovani e meno autonome, che è probabile possano aver danneggiato le performance aziendali.
Dirigenti donne di talento hanno bisogno di una guida, di sponsor che le aiutino a scalare nella loro carriera, ma mana-
ger maschi più anziani potrebbero essere reclutati per supportare le giovani donne poiché relazioni di questo tipo po-
trebbero essere equivoche. La quota di genere potrebbe rompere questo circolo vizioso inserendo un maggior numero di
donne nei team manageriali, che possono fungere da modello dei ruoli e da supporto per altre donne. Ricerche ulteriori
possono essere richieste per investigare se quote simili causerebbero cambiamenti rilevanti nella porzione di donne nei
team manageriali superiori. Sarebbe anche interessante rispondere alla questione se la dinamica delle donne che aiutano
altre donne lungo la scalata nella loro carriera si svilupperebbe in “discriminazione del genere opposto”, con candidate
donne nominate da manager donne più anziane, per il loro sesso più che per le loro competenze. Queste interessanti questioni non possono essere testate usando i dati presenti in questo articolo ma possono essere indi-
rizzati alla ricerca futura.
La Leadership e il suo ruolo nel Management Moderno: un’analisi esplorativa del
contesto italiano
166
ALLEGATO X: Questionario Progetto StiMa: “Gli Stili di Management delle aziende italiane”
Gli Stili di Management delle
Aziende Italiane
PROGETTO STIMA
Il presente questionario ha l’obiettivo di raccogliere dati nell’ambito di una ricerca scientifica promossa dalla
School of Management del Politecnico di Milano. L’obiettivo è di migliorare la conoscenza degli stili di mana-
gement delle aziende italiane.
Si chiede di compilare il questionario da parte di chi svolge effettivamente il ruolo di capo azienda (Ammini-
stratore Delegato, Presidente Esecutivo, Direttore Generale, ecc.). Da qui in poi ci si riferisce a tale figura con il
termine di CEO (Chief Executive Officer). Tutte le domande contenute nel questionario fanno riferimento
all’azienda di cui il CEO è a capo.
Tutte le risposte saranno trattate con assoluta riservatezza e utilizzate esclusivamente per finalità scientifiche. I
nomi di aziende, Business Unit e persone non saranno in alcun modo resi noti; i dati forniti saranno utilizzati sol-
tanto per restituire risultati in forma aggregata.
Per qualsiasi informazione e/o chiarimento, la preghiamo di contattarci all’indirizzo di posta orgde-
Politecnico di Milano - Tesina di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale: “Ceo & Leadership” 2015
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Ruolo Email
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GRAZIE PER LA SUA COLLABORAZIONE!
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APPENDIX XI: Esempio di email di invito alla compilazione del questionario inviata ai CEO.
Gentile XXX, XXX,
la School of Management del Politecnico di Milano sta conducendo una ricerca sugli stili di management, i processi decisionali e le modalità orga-
nizzative del Top Management delle aziende italiane. L’obiettivo è comprendere come tali aspetti possano influenzare le capacità innovative e la
competitività. In particolare, attraverso le informazioni raccolte tramite un questionario, risponderemo alle seguenti domande:
Come il capo azienda può organizzare le attività del Top Management per migliorare i risultati della sua azienda in termini di crescita, innovazione e sostenibilità?
Quali stili manageriali, processi decisionali, modalità di coordinamento e metodi di lavoro consentono di guidare le aziende verso succes-so?
Quanto è importante l’organizzazione del Top Management per l’efficacia dei processi decisionali strategici delle aziende?
Quando il capo azienda deve delegare l’autorità decisionale alle sue prime linee e quando deve invece concentrare nelle proprie mani il
potere decisionale?
In che modo la gestione del tempo del capo azienda influenza i risultati aziendali?
Con la presente, desideriamo pertanto invitarla a compilare il questionario che abbiamo elaborato per raccogliere le informazioni necessarie al proget-to di ricerca. Il questionario è indirizzato a chi, come lei, svolge il ruolo di capo dell’azienda (Amministratore Delegato, Presidente esecutivo, Diret-
tore Generale, ecc.), che verrà indicato nel questionario con il termine di CEO (Chief Executive Officer). Un secondo questionario sarà poi inviato ai
membri del TMT, scelti tra più stretti collaboratori del CEO.
I dati forniti saranno trattati con assoluta riservatezza e utilizzati esclusivamente in modo aggregato per finalità scientifiche.
In cambio della sua gentile collaborazione, riceverà un documento di sintesi dei principali risultati della ricerca e un benchmarking personalizzato che
posizionerà lo stile di management della sua azienda rispetto alle altre aziende di successo del suo settore.
Il questionario può essere compilato:
Al seguente al link: https://www.surveymonkey.com/s/Progetto_StiMa
Oppure
In formato elettronico utilizzando il file in allegato. In questo caso, il questionario compilato dovrà essere inviato a Paola Rovelli:
o via posta, all’indirizzo: via Lambruschini 4/b, 20156, Milano
o via fax, al numero: 02 2399 3979
Il tempo stimato di compilazione è di circa 30-40 minuti, mentre il tempo di compilazione del questionario che sarà rivolto ai membri del TMT è di circa 15 minuti. Ci auguriamo davvero che possa trovare il tempo di compilarlo nel corso delle prossime due settimane. In allegato trova anche una descrizione del progetto di ricerca, che ne evidenzia gli obiettivi, le modalità di coinvolgimento delle aziende e i risultati attesi.
Nel ringraziarla per la sua preziosa collaborazione, la invitiamo a contattarci all’indirizzo email sopra riportato per qualsiasi chiarimento.
Politecnico di Milano - Tesina di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale: “Ceo & Leadership” 2015
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APPENDIX XII: Esempio di email di “reminder” inviata in caso di non risposta da parte dei CEO alla email d’invito.
Gentile XXX, XXX,
le ricordiamo con piacere che la School of Management del Politecnico di Milano sta conducendo una ricerca sugli stili di management, i processi
decisionali e le modalità organizzative del Top Management delle aziende italiane. L’obiettivo è comprendere come tali aspetti possano influenzare
le capacità innovative e la competitività. In particolare, attraverso le informazioni raccolte tramite un questionario, risponderemo alle seguenti do-mande:
Come il capo azienda può organizzare le attività del Top Management per migliorare i risultati della sua azienda in termini di crescita, innovazione e sostenibilità?
Quali stili manageriali, processi decisionali, modalità di coordinamento e metodi di lavoro consentono di guidare le aziende verso succes-
so?
Quanto è importante l’organizzazione del Top Management per l’efficacia dei processi decisionali strategici delle aziende?
Quando il capo azienda deve delegare l’autorità decisionale alle sue prime linee e quando deve invece concentrare nelle proprie mani il
potere decisionale?
In che modo la gestione del tempo del capo azienda influenza i risultati aziendali?
Con la presente, desideriamo pertanto invitarla a compilare il questionario che abbiamo elaborato per raccogliere le informazioni necessarie al proget-
to di ricerca. Il questionario è indirizzato a chi, come lei, svolge il ruolo di capo dell’azienda (Amministratore Delegato, Presidente esecutivo, Diret-
tore Generale, ecc.), che verrà indicato nel questionario con il termine di CEO (Chief Executive Officer). Un secondo questionario sarà poi inviato ai membri del TMT, scelti tra più stretti collaboratori del CEO.
I dati forniti saranno trattati con assoluta riservatezza e utilizzati esclusivamente in modo aggregato per finalità scientifiche.
In cambio della sua gentile collaborazione, riceverà un documento di sintesi dei principali risultati della ricerca e un benchmarking personalizzato che
posizionerà lo stile di management della sua azienda rispetto alle altre aziende di successo del suo settore.
Il questionario può essere compilato
Al seguente al link: https://www.surveymonkey.com/s/Progetto_StiMa
Oppure
In formato elettronico utilizzando il file in allegato. In questo caso, il questionario compilato dovrà essere inviato a Paola Rovelli:
o via posta, all’indirizzo: via Lambruschini 4/b, 20156, Milano
o via fax, al numero: 02 2399 3979
Il tempo stimato di compilazione è di circa 30-40 minuti, mentre il tempo di compilazione del questionario che sarà rivolto ai membri del TMT è di circa 15 minuti. Ci auguriamo davvero che possa trovare il tempo di compilarlo nel corso delle prossime due settimane. In allegato trova anche una descrizione del progetto di ricerca, che ne evidenzia gli obiettivi, le modalità di coinvolgimento delle aziende e i risultati
attesi. Nel ringraziarla per la sua preziosa collaborazione, la invitiamo a contattarci all’indirizzo email sopra riportato per qualsiasi chiarimento.