UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea in Scienze pedagogiche e dell'educazione Tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo Educare alla teatralità esperienza di un operatore teatrale nel campo della formazione Relatore Prof. Graziella Corsinovi Candidato Patrizia Ercole Matricola n° 2004213 ANNO ACCADEMICO 2004/2005 1
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea in Scienze pedagogiche e dell'educazione
Tesi di laurea in
Storia del teatro e dello spettacolo
Educare alla teatralità esperienza di un operatore teatrale nel campo della formazione
“il teatro non ha categorie ma si occupa della vita”
Peter Brook
Prefazione
La ricerca che qui presentiamo vuole porsi come stimolo per una riflessione
sull’educare al teatro. Il punto di partenza è la mia decennale attività di formatore teatrale,
uno spunto, quindi legato alla pratica teatrale, ad un saper fare del teatro che ha come
retroterra le teorie dell’animazione, ma si nutre principalmente dell’esperienza sul campo.
Con educazione al teatro attualmente si indica, nell'insieme, tutte quelle attività
collegate al teatro realizzabili in ambito educativo e rivolte sia ai docenti che agli alunni.
Un teatro utilizzato come strumento di formazione umana pone al centro la dignità e
l’autonomia della persona aiutandola a realizzarsi come individuo e come soggetto sociale.
In particolare è nella dimensione emotiva, con tutto il suo complesso percorso di sviluppo
che intreccia la percezione di sé e la relazione con l’altro, sia nello spazio privato che nello
spazio sociale, che il teatro può diventare, tra le tante possibili, un’esperienza assai preziosa
per la crescita e la formazione permanente della persona.
Diplomata alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova nel 1986, dal
palcoscenico mi sono poi ritrovata tra i banchi di scuola come formatore teatrale e questo
nuovo “mestiere” mi ha buttata letteralmente sul palcoscenico della vita.
La prima e più importante convinzione derivabile dalla pratica è che il teatro a
scuola, in particolare quando si parla della scuola di base, è profondamente diverso da una
scuola di teatro.
Per quanto ovvia può apparire tale affermazione, l’idea di formare attori o di
proporsi come registi di un’ipotetica compagnia teatrale di classe, che venga organizzata
secondo il modello di quelle professionali è la prima tentazione a cui un formatore teatrale
deve resistere.
Il teatro entrando nella scuola o misurandosi con bambini e ragazzi, sceglie di
essere considerato prima di tutto come un linguaggio. Non un “teatro spettacolo”, non un
“teatro prodotto” da confezionare o, peggio ancora, già confezionato, ma un teatro
comunicazione nel quale i percorsi ed i modelli proposti siano funzionali a far fare
esperienza dei meccanismi che sottendono, appunto, la comunicazione, a saperli
riconoscere, smontare e rimontare. Il termine “comunicazione” va qui inteso nel senso più
ampio possibile, con tutto quello che implica sul piano cognitivo, riguardo alla capacità di
utilizzare le regole di un determinato linguaggio, ma anche, e soprattutto, con tutti quegli
aspetti che toccano la sfera affettivo-relazionale e riempiono di contenuti personali i propri
messaggi. Come a dire che gli elementi base della grammatica del linguaggio teatrale
vanno conosciuti innanzitutto per poter esprimere quanto prima i propri discorsi.
Nel teatro le regole base della grammatica sono quelle che il bambino sperimenta
istintivamente nei suoi giochi di finzione, opportunamente rivisti alla luce della presenza di
qualcuno che lo guarda. Giochi legati, molto semplicemente, alla capacità di fare finta con
se stessi e con ciò che ci circonda – sia esso un oggetto, uno spazio o altro – da soli e con
una o più persone, che questa volta andranno sperimentati senza mai dimenticare la
presenza di un pubblico, qualunque esso sia, e quindi la necessità di farsi vedere, di farsi
sentire e di farsi capire. Ma tutto questo va usato quanto prima possibile per esprimere il
proprio immaginario e la propria visione del mondo, i propri pensieri, i propri discorsi
appunto. In questo percorso il successivo sviluppo delle abilità e delle competenze teatrali
servirà proprio ad affinare, passo dopo passo, la capacità di esprimere quei contenuti.
Queste considerazioni s’ispirano evidentemente ad una delle funzioni originarie del
teatro, quella di essere uno straordinario veicolo di comunicazione sociale aperto al
contributo di tutti e, anche, alla portata di tutti. Proprio per questo, il teatro è in grado tra le
altre cose di favorire progetti e percorsi finalizzati alla valorizzazione della diversità, in
particolare quando si operi in vista di un confronto positivo tra generazioni, tra razze e
culture differenti, tra handicap e cosiddetta normalità. Il teatro è uno spazio “altro”,
autonomo, trasversale, che persegue competenze più che conoscenze, non è riducibile a
nessuna materia o a più materie del curriculum scolastico perchè tutte le contiene e tutte le
trascende in una sintesi superiore.
4
Ringraziamenti
Desidero esprimere un particolare segno di gratitudine nei confronti della
Professoressa Graziella Corsinovi per l’importante lezione metodologica e per la fiducia
dimostrata nei confronti dei fondamenti di questa mia ricerca, senza le quali molte delle sue
pagine non sarebbero state scritte.
Un ringraziamento di cuore a tutti gli allievi che ho avuto in questi ultimi dieci anni
d’insegnamento che tanto mi hanno formato e tras-formato, che mettendosi in gioco hanno
reso intelligenti e allegre le mie lezioni, in particolare alla classe di teatro dell’Accademia
Culturale di Rapallo a cui dedico questo lavoro.
5
Introduzione L'arte drammatica, il teatro di per sé, costituisce un efficace mezzo di educazione per il fatto che fa appello all'individuo intero, alla sua profonda umanità, alla sua coscienza dei valori, alla sua più immediata e spontanea socialità.
Maria Signorelli1
Questa ricerca prende l’avvio dall’analisi del contesto teatrale europeo, da cui si
svilupperà la tematica del teatro come strumento pedagogico.
Il teatro e la scuola in Europa.
A differenza di quanto diffusamente accade nel resto d’Europa (da almeno
trent’anni in molti paesi occidentali e fin dai primi del ‘900 nei paesi dell’est europeo) in
Italia le scuole di teatro hanno ignorato nel loro ordine di studi corsi specifici destinati alla
formazione dei formatori, cioè alla creazione di competenze professionali indirizzate alla
didattica dell’arte teatrale.
Per contro, la pratica professionale recente (ultimi 15-20 anni) ha visto generazioni
di attori e registi orientarsi nel nostro paese verso una pedagogia sul campo, solo sulla base
di una domanda di mercato sempre più massiccia. Nel tempo tale domanda si è articolata in
settori vari e contigui all’insegnamento della recitazione per futuri professionisti: teatro
nelle scuole, teatro in situazioni di disagio con finalità di prevenzione sociale, integrazione,
recupero, strumentalità didattica delle tecniche recitative, teatro gioco ecc.
La diffusione del teatro nella scuola in Italia ha avuto un notevole incremento,
all’inizio degli anni ’90, grazie ai finanziamenti disposti dai progetti ministeriali, finalizzati
alla prevenzione del disagio giovanile e delle tossicodipendenze. Questa funzione venne
ribadita nel protocollo d’intesa del 6 settembre 1995 che, per la prima volta, riconosceva
l’educazione al teatro come componente fondamentale della formazione dei giovani da inserire tra le forme di
conoscenza analogica, come risposta ai diversi bisogni formativi che la scuola deve garantire come
occasione di educazione ai linguaggi verbali e non verbali e alla creatività2.
1 Maria Signorelli Il bambino e il teatro, Malipiero, Bologna 1957, p. 7.
Da quel protocollo con i successivi regolamenti, fino all’ultimo protocollo del 2000,
l’intreccio fra teatro e scuola, fra teatranti per ragazzi e studenti e insegnanti, è stato
promosso e rilanciato.
La presenza massiccia di attività curricolari ed extracurricolari in tutte le scuole di
ogni ordine e grado, di laboratori e attività di spettacolo, attività che gli ordinamenti
sull’autonomia scolastica hanno portato al rango e alla dignità di autentici curricoli
scolastici di tipo secondario, richiedono però una figura professionale capace di garantire la
correttezza e l’efficacia del processo formativo.
I modelli presenti attualmente in Europa sono quello francese, del partenariato (fra
un teatrante formato con competenze psicopedagogiche e un insegnante formato al
linguaggio teatrale), e quello inglese, col drama teacher (uno specialista formato
all’università, con competenze trasversali, artistiche e pedagogiche). L’attuale situazione
italiana fa propendere, almeno al momento, per il modello francese. Resta aperta e delicata
la questione della formazione delle due figure di operatori. Per i docenti, questa è lasciata,
al momento, alle iniziative di aggiornamento attivate dalle istituzioni scolastiche centrali o
periferiche e da alcuni teatri stabili3; per i teatranti le iniziative di formazione sono ancora
più sporadiche4. Molto in sintesi, la formazione degli insegnanti dovrebbe esser tesa ad
un'esperienza di un teatro non solo di parola, ma anche di espressione corporea e non
verbale; per i teatranti, all'attenzione alle problematiche e alla delicatezza del ruolo
docente, in particolare quando svolto su soggetti in età evolutiva, e nell’ambito della sfera
emozionale.
2 Protocollo d'intesa relativo all’educazione al teatro, del 6 settembre 1995, promosso dalle tre istituzioni (il Ministero per la Pubblica Istruzione, il Dipartimento dello Spettacolo dell’ex Ministero del Turismo e Spettacolo – oggi Ministero per i Beni e le Attività Culturali – e dall’Ente Teatrale Italiano) che potevano affrontare la materia mettendo al centro la crescita dei ragazzi, in una scuola pensata per loro. Il teatro, infatti, era presentato come un valore e non come una materia di studio, come un’esperienza estetica emozionale, che veniva incoraggiata sia nella visione, sia nella partecipazione attiva. Per ulteriori ragguagli: cfr. Loredana Perissinotto, Teatri a scuola: aspetti, risorse, tendenze, Utet, Torino 2001, p. 106 ss. 3 Fra questi il Centro Teatrale Bresciano fu, col Teatro Stabile di Torino, l’altra istituzione pubblica ad occuparsi della formazione teatrale dei docenti. Il Teatro di Roma, invece, si spostò su progetti di teatro e handicap, affidati a professionisti. 4 Da segnalare l’attività del Teatro Verdi di Pisa che, all’interno dell’iniziativa Prima del teatro - Scuola Europea per l’arte dell’attore, giunta alla XXI edizione e rivolta ad attori professionisti europei, prevede attualmente un Laboratorio di introduzione alle tematiche e alle tecniche del teatro con i giovani.
7
L’importanza del teatro come strumento pedagogico.
Il teatro nella scuola è altra cosa da quello che deve sottostare alle regole
professionali del palcoscenico: il teatro a scuola può non essere teatro, bensì “educazione al
teatro” e questo richiede competenze pedagogiche di trasmissione che sono di specifica
competenza del corpo docenti, e che non tutti gli attori, o i professionisti del teatro, sono
chiamati a possedere. Potremmo anche chiederci se è preferibile l'insegnante-teatrante (si
può insegnare ciò che non si sa fare?!) o l'insegnante col teatrante (dove i soggetti
coinvolti nel progetto formativo hanno entrambi le competenze specifiche richieste!), il
cosiddetto partenariato? Problema attualmente ancora irrisolto.
Dalle esperienze di teatro nella scuola si è potuta cogliere l'utilità per ragazzi e
giovani di un primo approccio al teatro attraverso tecniche di espressione corporea, di
elaborazione fisica di personaggi e comportamenti teatrali. L’approccio fisico al teatro
permette di scardinare alcune problematiche di timidezza, d'insicurezza di sé e degli altri,
d'inibizione comportamentale che sempre di più sembrano affliggere le giovani generazioni
di studenti. Lo scopo del teatro a scuola è di cercare di fare dei ragazzi degli individui più pienamente
coscienti e più armonicamente sviluppati […] trasformando il loro semplice desiderio di fare del teatro
in un bisogno di educazione mediante il teatro5.
Una serie di riflessioni verranno proposte attraverso un percorso che analizzerà il
rapporto Teatro e scuola, già ampliamente dibattuto dagli anni sessanta del secolo scorso,
l'esperienza di educazione al teatro presso le Università della Terza Età, per concludere con
una pratica di teatro Intergenerazionale.
L’attività teatrale rivolta agli anziani, riflette la convinzione della necessità di una
formazione permanente transgenerazionale, all'interno del vasto progetto di innalzamento
della qualità della vita degli anziani, con il compito di promuovere le potenzialità culturali
dell'anziano secondo una rigorosa metodologia geragogica6: l’attività teatrale in tale
contesto risponde a una specifica didattica orientata all'anziano nella consapevolezza delle
aspettative, delle tensioni e delle problematiche inerenti la terza età in un contesto sociale 5 Signorelli, op. cit, p. 63 e sgg.
8
che tende all'esclusione dell'anziano oltre che dal ciclo produttivo anche dall'identità
culturale e affettiva d'appartenenza.
Più complesso e carente di fonti documentarie è il rapporto Teatro e anziani,
percepito forse come una devianza7, o meglio trasgressione, ma va ricordato che il primo
significato di trasgredire è “passar oltre”. Senza trasgressione, e pensiero divergente, non c’è creatività, né ricerca, né ricambio. E
tuttavia, senza una profonda conoscenza della realtà in cui si vive o si opera e senza una “com-
prensione” della tradizione, non ci sarà cambiamento ma solo avventura8.
È importante che l’attività teatrale possa mantenere ogni volta le caratteristiche di
unicità che il lavoro con i discenti richiede, restituendo loro un’esperienza davvero
formativa, miscelando l’ansia di realizzazione dell’obiettivo con il valore del processo. Ma,
forse, proprio la capacità del rapporto corretto fra processo e prodotto fa del teatro, nel
migliore dei casi, un artigianato che sconfina nell’arte.
6 Con il termine "geragogia" si indica quella branca gerontologica interdisciplinare che, in analogia alla scienza pedagogica, presiede a quell’insieme d'insegnamenti, il cui apprendimento e la cui attuazione dovrebbe condurre al fine ultimo di una vecchiaia vitale e attiva. 7 Con il termine devianza si intende, in questo contesto specifico: il comportamento che la maggioranza dei membri di una collettività o entità sociale considerano come uno scostamento (trasgressione o una violazione) più o meno grave dalle norme o regole condivise da questa maggioranza. 8 Loredana Perissinotto Animazione teatrale, Carocci, Roma 2004, p. 18.
9
1. Teatro e scuola
Con teatro scolastico si designa generalmente il teatro fatto a scuola. Pur non
mancando esempi antecedenti di attenzione verso il teatro, la danza, la musica, il canto, la
festa - basti pensare alla scuola giocosa di Vittorino da Feltre (1377-1446) o all'oratorio di
S. Filippo Neri9 (1515-1595) - si fa risalire la prima formalizzazione del "teatro scolastico"
alla Compagnia di Gesù, che l'inserisce stabilmente nel curricolo formativo dei suoi istituti
volto a preparare, esclusivamente, la classe dirigente (la Ratio Studiorum è del 159910). I
Gesuiti non ne sono responsabili, ma il linguaggio teatrale pensato come mezzo e
strumento, verrà sempre più piegato ad obiettivi didattici, cognitivi, imitativi e, solo di
riflesso, formativi tanto che l'aggettivo "scolastico" finirà per assumere un senso quasi
spregiativo. Solo nell'Ottocento il rapporto fra teatro e scuola trova uno spazio rilevante
nella pedagogia dei collegi salesiani di don Giovanni Bosco e in tempi recenti tale rapporto
acquista maggiore consistenza, col maturare dell'attenzione per i destinatari degli
spettacoli: l'infanzia e la gioventù.
Possiamo dire che oggi, dopo trent'anni dalla sua comparsa nelle Libere Attività
Complementari nei doposcuola della scuola media degli anni '70, in Italia il teatro a scuola
si è profondamente radicato in ogni ordine e grado. Infatti non solo il teatro è presente a
livello di scuola primaria e secondaria, ma conosce nuove stagioni di espansione proprio
perché, in questi anni, è profondamente cambiata la mentalità e la cultura generale nella
scuola: le attività artistiche, in particolare quelle teatrali, sono sempre più gradite
dall'utenza così che il loro spazio di considerazione è aumentato.
Ne è prova la ricerca che nel 1999 l'Irrsae Lombardia avvia per rilevare le attività
teatrali svolte nelle scuole. Il questionario elaborato è stato inoltrato a tutte le scuole di ogni
ordine e grado della Lombardia per rilevare i dati relativi alla formazione teatrale dei
docenti, alla visione di spettacoli, alle esperienze di laboratorio. Dalle scuole che hanno 9 San Filippo Neri, in pieno Cinquecento, per soddisfare la sua forte azione educativa, diede origine alla forma teatrale dell’Oratorio, che si colloca tra le più alte manifestazioni dell’arte scenica e musicale. Al suo interno l’antica laude venne modificata a causa dell’introduzione di recitativi e di cori, diventando gradualmente una composizione nuova e originale; questo fatto portò alla trasformazione dell’antico elemento originario che si intrecciò con motivi di ambito epico.
10
risposto è emerso chiaramente che a tutti i livelli si ha un buon numero sia di esperienze
laboratoriali (81% circoli, 90% medie, 75% superiori) sia di partecipazione agli spettacoli
(91% circoli, 80% medie, 76% superiori).
Altro aspetto interessante è rappresentato dai dati sulla gestione dei laboratori. Nella
maggior parte dei casi il laboratorio è gestito dall'operatore esterno in collaborazione con il
docente. Nella scuola media invece prevale la gestione da parte dei soli docenti. Infine si
10 Costituì il codice didattico completo e particolareggiato che regolò l’istruzione gesuitica per più di due secoli.
11
registra la presenza della nuova figura dell'insegnante specializzato, che rappresenta un
dato di particolare interesse, anche se non rilevante quantitativamente.
. 11 Anche la lettura del Documento dei saggi sui saperi irrinunciabili12 ci fa capire come
questa stagione della scuola italiana tenda a dare grande importanza all'interazione fra
linguaggi della mente e del corpo, ad abbattere la barriera fra processi cognitivi ed
emozioni. Tale documento riconosce infatti pari dignità al segno di scrittura, all'immagine,
al suono, al colore, all'animazione, dando spazio ad un'integrazione tra le diverse matrici di
cui si compone l'esperienza quotidiana. Vi leggiamo: «Le arti sonore e visive insieme con il
cinema e il teatro vanno tolte dalla marginalità […] la scuola come sede di esperienza
acustica e musicale […] di produzione personale […] di conoscenza e fruizione». Il
Documento propone inoltre che l'insegnamento e l'apprendimento vengano organizzati per
temi alla cui elaborazione concorrano diversi settori culturali, e raccomanda che i contenuti
specifici siano accompagnati ed arricchiti da aspetti tecnico-applicativi. L'operatività e la
dimensione del concreto vengono dunque costantemente invocate. Ora il teatro accoglie e
11 Si veda Rosa Di Rago (a cura di) Il Teatro della scuola, Franco Angeli, Milano 2001, p.158 e sgg. 12 Il Documento dei saggi sui saperi irrinunciabili (gennaio/maggio 1997). Nel gennaio 1997, una commissione di 44 saggi scelti dal Ministero ebbe il compito di avviare una riflesione sui "saperi" della scuola. Nello stesso anno, il numero 78 degli "Annali del Ministero della Pubblica Istruzione", riportava l'esito analitico del lavoro dei saggi. Il 20 marzo 1998, all'Accademia dei Lincei, veniva presentato il documento sintetico elaborato da un numero ristretto di esperti: Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti. Il documento sviluppa la riflessione sulle conoscenze fondamentali, operata dalla Commissione dei Saggi, sulla scuola che fa da base alla formazione dell'individuo, nella prospettiva dei dieci anni dell'obbligo con il titolo "Contenuti essenziali per la formazione di base".
12
mette in conto tutte le esigenze di cui sopra; così, anche attraverso la sua pratica, tutti i
linguaggi artistici potranno conoscere nuovi ulteriori spazi didattici nella scuola italiana.
Se spostiamo lo sguardo sul territorio europeo, troviamo in Inghilterra, le figure
professionali del "drama teacher" e "artist-educator" che svolgono compiti che riguardano
la creatività dell'arte teatrale. Loro compito e arricchire ed integrare lo svolgimento degli
insegnamenti tradizionali con metodologie attive che si basano sull'improvvisazione,
coinvolgendo gruppi trasversali e compositi, facendo sperimentare direttamente le funzioni
drammatiche primarie (i punti di tensione, i caratteri…).
In Francia, a partire dal 1981, esiste una via istituzionale che si affianca alle attività
teatrali di tipo volontario condotte da insegnanti e allievi al di fuori delle ore di lezione, e
che si fonda sul partenariato. Con questa espressione ci si riferisce a un rapporto strutturato
e obbligatorio fra i teatri professionali e gli istituti scolastici, fra gli artisti e gli insegnanti.
L'esperienza del partenariato obbligatorio e istituzionalizzato ha finito per costituire un
terreno d'esperienza privilegiato, che comporta un articolato lavoro d'équipe, incrina la
separatezza delle singole discipline, incrementa la multidisciplinarietà, individua nel
progetto uno strumento culturale e di formazione pedagogica e offre un esempio di apertura
verso altri organismi e istituzioni.
Anche in Italia è diffusamente praticato il partenariato che mette al centro delle
attività formative e artistiche un elemento imponderabile e concreto come la relazione fra
individualità diversamente connotate, e proprio perciò, nel riferirsi al teatro nella scuola,
risulta intrinsecamente teatrale e pedagogico.
I criteri generali del partenariato sono: condivisione delle competenze fra artisti e
insegnanti; apertura della scuola all'esterno e degli artisti alla dimensione pedagogica;
centralità dell'approccio empirico e concreto.
Passando agli aspetti psicopedagogici vorremmo ricordare che educare alle
dinamiche e alla logica teatrale significa riconoscere che tale insieme di abilità:
- rappresenta un'opportunità di rilevazione e rivelazione del potenziale espressivo dei
ragazzi;
- consente un'esplorazione approfondita dei testi in vista della loro rappresentazione;
- è un laboratorio spontaneo di ricerca centrato sui processi di lavoro resi significativi in
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vista del prodotto conclusivo (congruenza motivazionale fra prodotto e processo);
- favorisce la socializzazione nel rispetto reciproco, facendo acquisire maggiore
sicurezza agli allievi più timidi e maggior autocontrollo ai più turbolenti;
- attenua i conflitti e fa sperimentare la solidarietà riducendo la competitività;
- fa maturare la capacità di autonomia, intesa come capacità orientativa e auto valutativa;
- è una vera e propria palestra delle emozioni, un luogo della costruzione dell'immagine
di sé di fronte a se stesso e agli altri, che consente di socializzare (modulare controllare)
il proprio mondo emotivo;
- crea le premesse necessarie per avviare la formazione di un pubblico teatrale corretto e
appassionato, che sappia apprezzare la validità di uno spettacolo, ma sappia anche
coglierne i limiti;
- rende evidente la disponibilità degli adulti al di là delle competenze disciplinari e
formali.
Nelle sue diverse forme (drammatizzazione, animazione teatrale, mimo, giocodramma
ecc.), il teatro è utile a tutti i bambini: ai timidi perché imparano ad allentare le difese e a
non farsi bloccare dal giudizio altrui; a quelli che hanno difficoltà di apprendimento perché
riescono a trovare un loro posto e una loro realizzazione; agli aggressivi perché li aiuta a
incanalare l’irruenza in funzione di un obiettivo da raggiungere o di un problema da
risolvere. È inoltre un metodo di conoscenza appropriato per un bambino perché lo mette in
contatto diretto con la realtà e lo coinvolge in prima persona. In un percorso di teatro il
bambino migliora il suo modo di stare con i compagni (e ne risente in positivo tutto il
lavoro scolastico), conosce maggiormente se stesso e le proprie possibilità, diventa
consapevole che esistono tanti modi per comunicare... e tutto questo avviene all'interno di
una comunità educante dove il sapere non è confezionato, ma da ricercare insieme. Per il "teatro scuola" tutti i risvolti di carattere didattico, cognitivo, educativo (tra cui
socializzazione, proiezione, ecc.) sono da considerarsi impliciti nel processo stesso di ideazione,
costruzione, realizzazione e comunicazione dell'evento o del prodotto teatrale. Porsi un obiettivo
"artistico-formativo" della persona e del gruppo, senza esclusioni di nessun tipo, significa tentare di
sottrarre l'esperienza teatrale al didascalico per liberarne la dimensione di conoscenza, di costruzione, di
14
crescita e ludica dei giovani allievi13.
1.1 Il bambino e la performance teatrale.
I bambini non recitano mai per gratificare la maestra o gli altri; recitano per il solo desiderio di
giocare e per il piacere attivo che danno a se stessi.[…] Basta osservarli per notare che non giocano
soltanto con gli altri ma anche attraverso gli altri. […] Giocare ad essere è sperimentarsi e provarsi
nell'azione, con l'aiuto degli altri come partner, ma all'interno di situazioni immaginate. […] È entrare
così in pieno nell'universo delle convenzioni e in quello dei segni14.
Il bambino "fa finta", ciò dimostra che è capace di rendere con i gesti e con il
linguaggio una rappresentazione delle cose e degli esseri. Nel giocare ad essere un altro, il
bambino scopre un nuovo punto di vista, è meno dipendente dalla realtà. È la realtà che
comincia a dipendere da lui attraverso la rappresentazione ch'egli ne ha e ne fa. L'attitudine
ludica permette dunque, anzi favorisce, una conoscenza del mondo, poiché essa è attitudine
simbolica. Va tenuto presente che l'attenzione al "gioco" - alla sua importanza come fattore
di conoscenza, come propensione "congenita" alla specie umana, come chiave di molte
manifestazioni originarie che si struttureranno anche nei linguaggi dell'arte - è acquisizione
abbastanza recente.
Gli studi antropologici e psicopedagogici del Novecento mettono in evidenza, quali
elementi fondanti il gioco: regola e libertà, gratuità e impegno, limite e rituale, rischio e
invenzione, tensione e gioia; nonché la consapevolezza di un tempo altro da quello della
vita ordinaria. Tutti criteri questi che possono applicarsi anche al "gioco del teatro".
Melanie Klein15 già nel 1921 affermò che tutto quello che il bambino fa nel suo gioco è
un’espressione della sua fantasia inconscia. Per Winnicot16 solo giocando il bambino o
l’adulto ha la possibilità d’essere creativo e di sfruttare pienamente la sua personalità.
Anche Roger Caillois17, in una delle categorie di gioco da lui descritte (la "Mimicry"
mimetismo, simulacro) mette «tutte quelle manifestazioni in cui il soggetto gioca a credere, 13 Perissinotto, op. cit., p. 58. 14 Catherine Dastè in Il bambino, il teatro, la scuola, Armando, Roma 1977, p. 22 e sgg.. 15 Si veda di Melanie Klein Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978. 16 Cfr. Donald Woods Winnicott Gioco e realtà, Armando, Roma 1974.
15
a farsi credere o a far credere agli altri di essere un altro. […] È evidente che la
rappresentazione teatrale e l’interpretazione drammatica entrano a pieno diritto in questo
gruppo».
1.2 I bambini e il palcoscenico: ruoli e interpretazione
Il rapporto dei bambini con il palcoscenico è paragonabile alla scoperta di un luogo
magico dove tutto può accadere. A partire dalle semplici camminate nello spazio scenico
che servono a sviluppare la coordinazione motoria, la scioltezza e l’agilità del movimento,
e contemporaneamente a liberare le capacità espressive del corpo. Fino alla creazione del
personaggio che può essere sviluppato secondo un processo di imitazione o di
identificazione. Nel primo caso, dopo aver osservato, si imita il tal personaggio o la tal
situazione. Nel secondo caso il bambino si immedesima nel personaggio, vivendone i ritmi
e assumendolo secondo la propria sensibilità. Non imita, ma diventa. Non fa, ma è. Se il
bambino riesce a passare dal livello dell’imitazione esteriore a quello della
immedesimazione, quando assume un personaggio, egli deve necessariamente sapere non
solo chi è, ma dove si trova e cosa sta facendo.
Spesso ci domandiamo quali parti e ruoli amano recitare i bambini? Dall’esperienza
sul campo posso dire: tutti i ruoli che si presentano, a condizione che siano attivi. Non
esistono ruoli per bambini “figuranti”, quindi, quando il gruppo di lavoro è più numeroso
dei personaggi, bisogna distribuire le parti, creando anche dei momenti corali, per
permettere a tutti i bambini di recitare attivamente. Non si dovrebbe mai imporre al
bambino una parte che rifiuta. Verrà il momento in cui questo ruolo sarà richiesto e allora
gli sarà affidato, perché sollecitato da una sua scelta personale. È fondamentale avere
fiducia nel bambino e proporgli di provare a recitare delle situazioni nelle quali è felice.
Questa condizione del tutto elementare è forse la più determinante, perché ogni bambino
sia veramente partecipe alla recita. L'espressione di sé, attraverso il linguaggio drammatico,
non può realizzarsi pienamente se non quando ognuno è soddisfatto e si sente partecipe.
17 Roger Caillois I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 1981, pp. 36-38.
16
Assumere la parte che si è momentaneamente scelto di recitare, è agire attraverso di essa, è
anche parlare attraverso la sua voce. Difatti colui che parla non è il personaggio recitato, è il
personaggio recitante. Il gioco delle parti attraverso l'espressione drammatica provoca l'emergere del
linguaggio intimo18.
I bambini possono fare direttamente le ricerche necessarie per procurarsi i costumi e
gli oggetti di scena di cui hanno bisogno. Il travestimento, che può essere limitato a
semplici elementi connotativi, aiuta in maniera considerevole i bambini ad assumere il
personaggio. Nel costume il bambino si mimetizza, nasconde la propria persona per essere
di volta in volta pilota, animale, cacciatore ecc. Rivestito degli “abiti” del suo personaggio
gli riesce, infatti, più facile inventare situazioni avvincenti e originali e coinvolgersi nel
gioco creativo. L'accessorio nel gioco drammatico è necessario in quanto, a differenza del giocattolo che
nuoce per la sua fissità, è ciò che "permette di poter entrare nel ruolo" quindi ciò che non è sussidiario o
secondario, ma vieni con o dopo ciò che è essenziale. L'accessorio agisce in quanto simbolo; non
rappresenta, significa19.
Il gioco di immedesimazione e il teatro si differenziano non tanto per gli scenari, i
costumi e gli effetti luce di quest’ultimo, ma per la presenza o assenza di pubblico. Fra
queste due forme si situa il gioco drammatico: attività che avviene in assenza di pubblico e
con una buona dose di improvvisazione, ma che, d’altra parte, è guidata da un animatore il
quale, generalmente, resta fuori dal gioco ed ha quindi la funzione di osservatore.
Il gioco drammatico nasce, quindi, come improvvisazione collettiva su un tema
scelto o ricavato da una situazione, da parte di allievi d'ogni età, ed ha come obiettivo
l'esercizio e la consapevolezza dei meccanismi di base del teatro (personaggi o caratteri,
dialoghi, convenzioni, dinamiche di gruppo ecc.), nonché la liberazione fisica ed emotiva
dei partecipanti.
Quale attività che coinvolge l'infanzia, secondo Léon Chancerel20 che propose di sostituire
l'aggettivo teatrale con drammatico, è «il mezzo di manifestare, mediante il movimento e la
18 Dastè, op. cit. p. 24. 19 Dastè, op. cit. p. 30. 20 Léon Chancerel, autore, regista e storico del teatro francese (Parigi 1886-1966). Allievo di J. Copeau, ne continuò la lezione fondando nel 1929 il gruppo dei Comédiens routiers, che per un decennio portò nei villaggi francesi spettacoli basati su farse e fiabe e spesso allestiti in spazi non teatrali. Collaborò con Ch.
voce, i sentimenti profondi e le osservazioni personali. Il bambino si esprime attraverso
l'azione, per il proprio piacere e per sviluppare la propria personalità».
Non c'è nel gioco drammatico né la presenza, né la preoccupazione del pubblico; solo un
bisogno di espressione molto naturale. Il gioco drammatico e la drammatizzazione devono
essere considerati come aspetti di una propedeutica al teatro, in relazione all'età. In
parallelo con la distinzione fatta da Jean Piaget sullo sviluppo psicologico e tipi di gioco,
potremmo dire che il gioco drammatico corrisponde al "gioco d'esercizio", la
drammatizzazione al "gioco simbolico" e il teatro al "gioco di regole".
1.3 Il senso del teatro a scuola, alcune riflessioni.
La finalità dell’attività teatrale nella scuola è di favorire lo sviluppo armonico delle
persone con cui si lavora e deve trovare il suo significato nell’acquisizione di nuove
capacità nel bambino, nel gusto della ricerca, nella sperimentazione di un agire e un
comunicare diversi da quelli abituali… Nessuno impara o produce se non in un atto sintetico e creatore che impegna la personalità tutta
intera. L'espressione drammatica intesa come mezzo educativo è liberatoria come il gioco da cui
procede, lo supera in ricchezza e a livello di implicazione, favorendo anche una crescita tutta interiore21.
È superfluo affermare che l’attività teatrale nella scuola non aspira affatto ad un'arte
compiuta suscettibile di provocare l'ammirazione o la critica. Ciò che è "prodotto" vale in
quanto tale, costituisce un momento di maturità, e si esaurisce nel realizzarsi. Ma il
bambino vi prova in pieno le sue possibilità attuali, stabilendo rapporti nuovi con se stesso
e con il mondo esterno. Il teatro è un pressante invito ad ogni sorta di linguaggi, e se si
deve parlare di spontaneità, preciseremo che questa non è per niente sregolatezza o
disordine quando si tratta di adattare dei ruoli, di accordarsi con altri. Dove «i mondi
dell’intimità (ovvero i mondi personali dei singoli soggetti)» si relazionano ai «mondi
dell’ulteriorità (ossia i mondi della relazione e del rapporto con l’altro, vale a dire i mondi
Dullin e L. Jouvet come regista e direttore artistico. Fondò istituzioni culturali, tra cui, con altri, la Société d'Histoire du Théâtre (1933). 21 Dastè, op. cit., p. 58.
È un’attività che non pretende nessun risultato scolastico immediato, ma che
rinforza e salvaguarda i poteri inventivi. Il gioco drammatico che favorisce l'ascolto degli
altri, ricorre alla creatività, sviluppa l'iniziativa, la facoltà di adattarsi a situazioni nuove,
può aiutare a provocare un clima differente nella classe e a condurre insegnanti e allievi a
scoprire un nuovo modo di relazioni.
La scuola elementare cerca di rendere l'alunno vivo e spontaneo ma legata ad
obiettivi di puro rendimento, non può riuscirvi e rimane largamente prigioniera di un tempo
sminuzzato e di una marcia programmata dai 6 agli 11 anni. Non smette mai infatti, fin
dagli inizi dell'istituzione, di segnare nel suo funzionamento stesso un'incompatibilità
radicale tra lavoro utilitario e le attività di espressione.
Il teatro deve dare qualcosa di diverso, qualche cosa che l'insegnamento scolastico
non può dare. Deve aprire nuovi campi all'immaginazione, sviluppare quell'acutezza
sensoriale che i piccoli possiedono, e che a poco a poco perdono a profitto di un modo di
percezione condizionato dal bisogno di efficienza. Niente sembra alla borghesia tanto pericoloso per i bambini quanto il teatro. […] si erge la
coscienza impaurita che vede evocata nei bambini, attraverso il teatro, la più grande forza del futuro. E
questa coscienza impone alla pedagogia borghese di bandire il teatro.
[…]La rappresentazione è la grande pausa creativa nell'opera educativa. Nel regno dei bambini,
essa rappresenta ciò che era il carnevale nelle culture antiche. Ciò che è in alto viene ribaltato in basso e
come nei saturnali romani il signore serviva il servo, così durante la rappresentazione i bambini stanno
in scena e istruiscono e educano gli attenti educatori23.
La scuola per tradizione non ama né la digressione né l'inatteso e vuole solo risposte
adeguate, ricercando piuttosto la comprensione e l’assimilazione di un sapere del tutto
elaborato e sviluppando così un pensiero esecutorio e conforme al pensiero del maestro.
L'obiettivo essenziale del gioco drammatico, al di là delle sue molteplici forme
possibili, è di cercare di sviluppare nel bambino un'attività libera.
Se poi si riesce a concludere l’attività con un momento rivolto al pubblico, i
bambini avranno una gratificazione maggiore e lo spettacolo diverrà verifica di quanto 22 Mario Gennari – Anna Kaiser Prolegomeni alla pedagogia generale, Bompiani, Milano 2000, p. 49.
19
hanno appreso. Senza dimenticare mai che il percorso è più importante del risultato.
Consapevoli che non esiste una buona o una cattiva rappresentazione. Ognuna vale
in quanto espressione di un bambino che tenta di rendere leggibile un'azione umana. Essa
«è il segnale segreto dell'avvenire, che parla dal gesto infantile24».
23 Walter Benjamin (1927) Programma per un teatro proletario di bambini “Quaderni piacentini”, 1969, n.38. 24 Benjamin, op. cit.
20
Il teatro è lo sport che mi piace di più.
Biancalice, 8 anni
1.4 Progetto Odio il teatro
Esperienza di educazione al teatro nella Scuola Elementare Maria Mazzini di Genova a.s.
2003/04, inserito nel P.O.F. tra i progetti mirati su classi con particolari problematiche.
SCHEDA PROGETTO Odio il teatro Classe 4F Montessori
Avvio del progetto: gennaio 2004 Mese e anno in cui si prevede la conclusione del progetto: marzo 2004 PROGETTO DI FORMAZIONE per la seguente educazione/i: saper relazionarsi e confrontarsi con gli altri operando attivamente in un gruppo. TIPOLOGIA DEL PROGETTO di classe: Montessori 4 F
DENOMINAZIONE DEL PROGETTO: Odio il teatro – Dal pre-testo al teatro
DESTINATARI DEL PROGETTO N. classi: 1 N. insegnanti: 2 N. alunni: 16 FINALITA’ Acquisizione della capacità di comunicare e cooperare in un gruppo. OBIETTIVI (elementi del curricolo verticale che l’esperienza intende fondare) Favorire le relazioni interpersonali, la spontaneità dei comportamenti, la comunicatività emotiva, la consapevolezza di sé e il senso di responsabilità nei lavori di gruppo. DESCRIZIONE DEL PROGETTO La drammatizzazione è un modo e un mezzo potentissimo per agire “dentro” la scuola, portandovi un linguaggio specifico che è quello teatrale, il quale ha una funzione di ricerca e di comunicazione. Il progetto prenderà avvio dalla lettura del libro “Odio il teatro” di Anne Fine, sul quale si innesteranno le attività teatrali. METODOLOGIA La metodologia assunta e proposta è quella della drammatizzazione intesa come momento individuale e collettivo di tensione creativa. Libera esplorazione: attività ludico – motorie e sonore. IDENTIFICAZIONE DELLE TEMATICHE SPECIFICHE - Lettura del testo; - Lavori di gruppo; - Drammatizzazione con scambio dei ruoli; - Creazione di elaborati a partire dalla lettura del libro Chi ha rubato la scena? di Nava Semel ITINERARIO DI LAVORO (modulo di dieci ore)
1. Approfondimento della conoscenza di sé 2. Utilizzo dello spazio 3. Rapporto di coppia e di piccolo gruppo 4. Rapporto col ritmo 5. Scoperta di suono, voce e rumori 6. Improvvisazioni a partire da un’idea
21
7. Lettura ad alta voce con intonazione 8. Improvvisazioni a partire dal proprio vissuto 9. Costruzione di storie attraverso la fabulazione 10. Breve messa in scena da mostrare a un’altra classe
TEMPI DI SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ Modulo di dieci ore. Un’ora alla settimana. MODALITA’ DI SVOLGIMENTO Gli alunni saranno sollecitati ad esprimersi liberamente attraverso la mimica e la parola, sia individualmente, sia in gruppo; saranno coinvolti in esercizi di improvvisazione e diverranno protagonisti attivi. RICADUTA PREVISTA ALLA CONCLUSIONE DEL PROGETTO Apertura delle relazioni interpersonali, maggiore spontaneità dei comportamenti e della comunicatività emotiva, aumento dell’autostima e della sicurezza tra i ragazzi, tra i docenti e tra i genitori. PRODOTTI Breve messa in scena da mostrare a un’altra classe nel Teatrino della scuola. RISORSE PROFESSIONALI DA UTILIZZARE Le insegnanti della classe insieme a un operatore esterno esperto in ambito teatrale. MODALITA’ E STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI - Osservazioni in itinere, - Testi e riflessioni realizzati dai ragazzi stessi - Prova aperta da mostrare a un’altra classe e successivamente ad un pubblico adulto. INSEGNANTI REFERENTI DEL PROGETTO Nominativo/i: Costa Pia, Poggi Claudia, Ercole Patrizia Dal progetto sono nati dei disegni e delle riflessioni dei bambini. I testi raccolti non
definiscono le caratteristiche della ricezione-partecipazione teatrale secondo i moduli del
pensiero logico-formale, ma permettono piuttosto di cogliere le percezioni, le emozioni, i
vissuti di ogni bambino espressi attraverso un linguaggio connotativo, che si affida ai
processi combinatori del pensiero divergente.
Tema 1: In teatro si possono fare cose che in altri posti sono vietate25.
In teatro si può gridare, essere chi non si è, cantare, suonare, ballare, usare la fantasia,
fare cose che normalmente fanno i pazzi, travestirsi.
Giulia
In teatro si può correre, mentre in casa no, si possono fare i rumori: come gridare e
chiacchierare, mentre a scuola non si può fare, si possono sbattere le porte per la rabbia
di non aver ricevuto la parte che si voleva, invece a casa non si può fare.
25 I temi proposti sono stati ricavati dalla lettura del testo Chi ha rubato la scena? di Nava Semel, Mondatori, Milano 2003.
22
Federico
Tema 2: Chi ha bisogno del teatro…Cosa succederebbe se non ci fosse il teatro… A chi
serve il teatro…non è come il pane…i soldi…
Del teatro hanno bisogno le persone per rilassarsi e divertirsi. Se non ci fosse il teatro la
gente si divertirebbe di meno perché il teatro è più divertente dei giochi che hanno i
bambini. Il teatro non è come il pane e i soldi perché non si mangia e non si spende. Il
teatro è più fantascientifico.
Federico
Il teatro ha bisogno del pubblico perché senza il pubblico il teatro sarebbe un fallimento. Il
teatro serve per vivere un attimo di fantasia e allegria. Non è come il pane perché non ci
andiamo tutti i giorni ma raramente. Quando ci andiamo ci divertiamo perché si prova un
attimo di felicità.
Ferdinando
Chi ha bisogno del teatro? Tutti, bambini e grandi. Se non ci fosse il teatro? Le persone
non sarebbero felici ma tristi. A chi serve il teatro? Serve agli attori, per lavorare.
Caterina
Le persone che hanno bisogno del teatro sono quelle più serie…così possono divertirsi.
Anche i bambini hanno bisogno del teatro per ridere e scherzare. Il teatro serve alle
persone che hanno voglia di divertirsi. Serve anche alle persone che vogliono giocare al
gioco dei ruoli e che vogliono avere un po’ di esperienza. Se non ci fosse il teatro la gente
sarebbe annoiata. Il teatro non serve per vivere ma per ridere e scherzare.
Cecilia
23
Quando ho recitato ero un po’ emozionata perché sapevo che sulle seggiole c’era tanta
gente, allora non riuscivo a calmarmi. Alla fine dello spettacolo avevo capito che non
c’era niente da aver paura, da quel giorno ho imparato che non bisogna aver paura.
Luisa
Secondo me le emozioni e la fantasia sono le prime a partecipare in teatro.
Angelica
Quando io sono sul palco, mi sono emozionato, un po’ di paura, perché se sbaglio faccio
brutta figura. Quando sono il pubblico mi diverto tanto, perché essere il pubblico è bello,
soltanto che ti devi stancare a guardare.
Giulio
Da questi testi emerge il ritratto di un bambino che vive l’esperienza teatrale con
intensa partecipazione, con forte investimento emotivo. Emozioni forti: sorpresa, ansia,
paura, inquietudine, ilarità. Ma tutta la gamma di emozioni è compresa e unificata – per
così dire – da un sensazione diffusa di piacere (accanto a questo termine, i bambini usano
quelli di “felicità”, “allegria”, “fantasia” ecc.).
La valutazione dei risultati ottenuti con il progetto prevedeva una prova aperta
conclusiva che è stata mostrata a un’altra classe di quarta elementare. La “risonanza” che
l’esperienza di fruizione ha suscitato nel mondo immaginario ed emotivo degli allievi-
spettatori è evidente nei disegni ispirati dall’ascolto della poesia Sole, scherzavo di Roberto
Piumini26:
26 Roberto Piumini Sole, scherzavo, Nuove Edizioni Romane, Roma 1994, p. 28.
24
Sole, scherzavo di Roberto Piumini Ma come si permette questo sole di accecarmi lo sguardo? Cosa vuole, salendo tanto in alto piano piano che, per quanto mi spinga in punta ai piedi, sono sempre più nano? Perché mi strappa e per terra distende una figura del mio corpo intero che, come sangue somigliante e nero, mi balla intorno e non si rapprende? Chi l'ha chiamato il sole dall'Oriente? Sole, scherzavo. Sole non andare. Se ti allontani, vedi, più lontana dall'altra parte anche l'ombra si tende. Non spegnerti nel rosso di Occidente fiamma rotonda e chiara, palla fiore, non diventare bruna. Resta su, mongolfiera felice, a cui m'appendo per viaggi d'amore. Sole, non mi lasciare con la luna che ti specchia ma fredda lassù tace.
25
26
Dai disegni, dove «la figura umana che il bambino disegna è in primo luogo lo stesso
autore o la percezione che egli ha del suo corpo e dei suoi desideri»27, si evince come gli
allievi-spettatori recepiscono l’evento teatrale e ne elaborano gli stimoli attraverso una
27 Anna Oliverio Ferraris Il significato del disegno infantile, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 93.
27
personale interpretazione, completando dentro di sé la rappresentazione e attribuendogli un
senso.
28
Scheda - Obiettivi formativi dell’educazione al teatro nella scuola elementare28
OBIETTIVI FORMATIVI DEL PROGETTO Le finalità di queste attività di tipo interdisciplinare si esplicano nelle seguenti aree formative:
AREA COGNITIVA
AREA ESPRESSIVA
AREA SOCIALE
AREA PRASSICA
Sviluppare la capacità di riflessione, approfondimento, selezione, progettazione, memorizzazione, interpretazione.
Sviluppare la capacità di -far proprio un vissuto, -riprodurlo esternandolo attraverso mezzi e contesti diversi (gesti, immagini...) -interpretarlo con capacità logica (in una sequenza) -e con creatività estetica (in maniera personale)
Dare opportunità per promuovere -atteggiamenti sociali positivi (collaborazione e solidarietà) in vista di un fine comune. Aiutare a raggiungere - un proprio equilibrio sociale come conquista derivante da confronti interpersonali e da corretti processi di autocorrezione e autocritica (premesse indispensabili al dialogo e alla libertà di opinione)
Potenziare, sviluppare, consolidare capacità e abilità grafico-pittoriche, manipolative,plastiche nell'ideare, realizzare, costruire attraverso l'utilizzo di materiali diversi, in situazione di laboratorio artigianale.
28 Scheda tratta da Bernardi C. – Caminetti B., L'ora di teatro, Euresis Edizioni, Milano 1998.
29
1.5 Educazione teatrale e curriculum
Nel rapporto tra teatro a scuola e curriculum sono rilevabili due schieramenti tra
• cognitivisti: il teatro è un mezzo, un efficace strumento didattico per insegnare
italiano, letteratura italiana e/o straniera, una lingua straniera; al limite il teatro può
essere considerato una nuova "materia";
• anticognitivisti: il teatro è uno spazio "altro", autonomo, trasversale, che persegue
competenze più che conoscenze, non è riducibile a nessuna materia o a più materie
perchè tutte le contiene e tutte le trascende in una sintesi superiore;
In realtà nel dibattito pluriennale sull'argomento teatro-scuola questo è solo uno dei molti
"nodi" irrisolti, ve ne sono altri che ci limitiamo ad accennare, sotto forma di semplici
domande:
• è più importante il processo o il prodotto?
• è meglio partire da un testo o da un pre-testo?
• è preferibile l'insegnante-teatrante (Oliva, Bernardi) o l'insegnante col teatrante, il
Ma cosa succede realmente a scuola? L'inserimento organico dell'attività teatrale all'interno
del POF si accompagna, nella quasi totalità dei casi, ad una tabulazione di obiettivi
didattico-educativi che sembrano abbracciare le due finalità sopra esposte.
Presentiamo di seguito, e a titolo puramente esemplificativo, una sintetica tabulazione di
tali obiettivi, riferita ai diversi ordini di scuola dalla quale sembra lecito trarre una semplice
e confortante conclusione: che, cioè, gli operatori della scuola-quotidiana sembrano
sostenere che l'esperienza teatrale può rientrare nei normali processi di apprendimento e di
educazione che l'istituzione persegue, senza necessariamente rimanerne ingabbiata e senza
obbligatoriamente perdere la sua carica innovativa o, se si preferisce, eversiva.
29 Si veda Daniel Goleman Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996.
31
Scheda motivazioni- obbiettivi, sintesi dell'indagine sul Teatro a Scuola effettuata nella Provincia di Trento - a.s. 1995-9630
MOTIVAZIONI-OBIETTIVI
( le indicazioni seguenti, sono tabulate nell' ordine di importanza risultante dalle risposte fornite dai dirigenti scolatici, dai docenti e dagli alunni coinvolti nelle attività teatrali)
ELEMENTARI MEDIE SUPERIORI 1 sviluppare capacità espressive uso creativo del proprio Corpo
1 socializzare saper lavorare in gruppo
1 saper lavorare in gruppi, stare insieme, comunicare, socializzare
2 sviluppare capacità linguistiche (anche recupero dialetto)
2 realizzare condizioni di benessere (autostima - autovalutazione - motivazione al lavoro)
2 accostamento, studio e analisi di opere classiche e non approfondimento letterario
3 sviluppare capacità comunicative - relazionali (superare difficoltà)
3 capacità espressiva-creativa 3 sviluppo di abilità particolari - espressive - creative
4 usare codici diversi verbali e non-verbali
4 espressione verbale e comunicativa
4 possibilità di fare cose "diverse" - extra-curriculari - interdisciplinari
5 intervenire contemporaneamente in ambiti disciplinari diversi (storia, ed. immagine, scienze, musica, lingua straniera)
5 rielaborazione testi teatrali
5 interessare gli studenti vivere la scuola in modo attivo
6 lavorare sul vissuto personale, sulle emozioni
6 utilizzo linguaggi diversi verbali e non
x
7 collaborare ad un progetto comune, cooperare, socializzare
7 facilitare la pluridisciplinarità
x
8 interagire col territorio
8 recupero del dialetto
x
9 facilitare la continuità educativa
x
30 Scheda tratta da Bernardi C. – Caminetti B., L'ora di teatro, Euresis Edizioni, Milano 1998.
32
2. Teatro e terza età 2.1 La terza età: valore e potenzialità formative Di tutte le realtà, la vecchiaia è forse quella di cui conserviamo più a lungo nella vita una nozione puramente astratta. Tutti gli uomini sono mortali, questo lo ammettono. Ma che molti divengano dei vecchi, quasi nessuno pensa in anticipo a questa metamorfosi. Niente dovrebbe essere più atteso, e invece niente è più imprevisto della vecchiaia.
Simone de Beauvoir31
Simone de Beauvoir scriveva queste parole attorno agli anni '70. Da allora che cosa
è cambiato?
L’avanzare dell’età nell’uomo presuppone una serie di cambiamenti, così come il
nostro passaggio dall’infanzia all’adolescenza, o dall’adolescenza all’età adulta, sia nel
nostro stile di vita, che nelle nostre esigenze, bisogni, tempi, modi di fare le cose, che
hanno un riscontro anche nella nostra vita sociale.
L'Italia è stato il primo Paese al mondo in cui il peso percentuale degli anziani è
arrivato ad essere maggiore di quello dei giovani sotto i 15 anni32. La presenza di un
numero senza precedenti di persone anziane nella nostra popolazione sta producendo e
produrrà cambiamenti di sempre più grande portata nei rapporti e negli equilibri tra le
generazioni.
Oggi la terza età, complice il miglioramento e l'allungamento della vita, è una
stagione da rivalutare. Università della terza età, corsi di teatro, di joga, rassegne di
cinema... tutto può essere alla portata di un anziano in buona salute. I nonni stanno
diventando un target appetibile anche per il mondo del commercio. Nascono così prodotti e
servizi a loro dedicati.
Un esempio di terza età vissuta con entusiasmo è quella del premio Nobel Rita Levi
Montalcini, classe 1909. La Montalcini sostiene che il cervello può continuare a funzionare
perfettamente anche in tarda età e, se perde alcune prerogative, le può sostituire con altre
31 Simone de Beauvoir, La vieillesse, Gallimard, Paris 1970, (tr. it. Bruno Fonzi), La terza età, Einaudi, Torino 1971, pp. 13-14. 32 Fonte: Eurostat, Demographic Statistic – 1997, in "Gli anziani in Europa" a cura di C. De Vincenzi - Gius. Laterza & Figli, Bari 2000.
che in parte compensano quelle mancanti. Se il cervello di un bimbo, per esempio, è
paragonabile a una foresta con molti tronchi e poche ramificazioni, quello di un vecchio
appare come una foresta con pochi tronchi ma molto ramificata. Il segreto per avere una mente sempre giovane? Mantenere continuamente il cervello in piena
attività, ed è importante imparare a farlo sin da giovani. Preoccuparsi solo del benessere fisico è
fuorviante. L'attività cerebrale infatti è l'arma più potente che chiunque ha in mano per combattere
l'invecchiamento, e l'esercizio intellettuale ne è il nutrimento indispensabile. Un altro "segreto" è
realizzare qualcosa a cui si tiene molto. L'importante è preparare prima la propria vecchiaia, progettando
di fare, nell'età pensionabile, ciò che non si è potuto attuare prima33.
Anche lo psicanalista James Hillman34 ribalta il concetto di vecchiaia rilevandone
gli aspetti positivi: "ci si sgancia dalle convenzioni, dagli obblighi, dal dovere di essere
belli... e si può essere finalmente se stessi". Per Hillman l'ultimo tempo della vita è indirizzato non alla visione della morte come immagine finale, ma
alla vita come compimento del carattere: tutto quello che si è lasciato indietro, perché costretti dai mille
affanni del quotidiano, e che non si è potuto esprimere della relazione e con il mondo e con se stessi,
con i propri miti e con gli dei dentro di noi, appare potenzialmente disponibile ancora. Anzi, non
possiamo andarcene senza il compimento del carattere. Il poeta T.S. Eliot sosteneva che "I vecchi
dovrebbero essere esploratori".
"Cosa che per me", riflette Hillman, "significa che dovrebbero assecondare la
curiosità, investigare idee importanti, assumersi il rischio di trasgredire35". Una volta preso coscienza che la vecchiaia è sopraggiunta, in un momento della vita che per
ogni persona è particolare, che non si può fissare con criteri anagrafici o medico-clinici, il dramma del
vecchio è dato assai spesso dal fatto ch’egli non può più ciò che vuole36.
Cambia il rapporto con il tempo che ha un ritmo di velocità differente nei diversi
periodi della vita. «Man mano che si invecchia il trascorrere del tempo diviene sempre più
celere. Il paradosso è che questa infernale velocità non sempre difende il vecchio dalla
noia, al contrario»37. Ciò che cambia e condiziona il vivere e il progettare quotidiano di una
persona anziana è la percezione del tempo che le rimane. L’avvenire limitato, un passato
congelato, questa è la situazione che devono affrontare le persone anziane. In molti casi 33 Cfr. Rita Levi Montalcini L’asso nella manica a brandelli, Baldini&Castaldi, Milano 1998. 34 Cfr. James Hillman La forza del carattere, Adelphi, Milano 2000. 35 Hillman, op.cit. 36 De Beauvoir, op. cit.
34
essa paralizza la loro attività. Per attività si intende tutto ciò che l’anziano mette in opera e
tutto ciò che di sé l’anziano mette a disposizione della comunità sociale, che finisce per
rientrare nel ciclo della produttività inteso in senso lato, comprendendo anche la
produttività sociale.
Per invecchiare rumorosamente, recitando, cantando, scrivendo, amando,
comunicando è necessario prepararsi per tempo alla vecchiaia, perché non si sia obbligati a
rinunciare a noi stessi: Affinché la vecchiaia non sia una comica parodia della nostra esistenza precedente, non v'è che
una soluzione, e cioè continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita: dedizione ad
altre persone, a una collettività, ad una qualche causa, al lavoro sociale, o politico, o intellettuale, o
creativo. Contrariamente a ciò che consigliano i moralisti, bisogna voler conservare in tarda età delle
passioni abbastanza forti che ci evitino di ripiegarci in noi stessi. La vita conserva un valore finché si dà
valore a quella degli altri, attraverso l'amore, l'amicizia, l'indignazione, la compassione. Rimangono
allora delle ragioni per agire o per parlare38.
Nostro compito peculiare è educare la società a comprendere e ad amare l’anziano
poiché i miti e i luoghi comuni messi in circolazione dal pensiero borghese si sforzano di mostrare nel
vecchio un "altro". [ …] Se i vecchi manifestano gli stessi desideri, gli stessi sentimenti, le stesse
rivendicazioni dei giovani, fanno scandalo. [ I vecchi] devono dare l'esempio di tutte le virtù. Prima di
tutto si pretende che siano sereni; si afferma che lo sono, il che autorizza a disinteressarsi della loro
infelicità. L'immagine sublimata di sé stessi che si propone loro è quella del venerabile Saggio,
aureolato di capelli bianchi e ricco d'esperienza, che guarda alla condizione umana da un’altissima cima;
se loro non ci vogliono stare, allora precipitano molto in basso: l'immagine che si contrappone alla
prima è quella del vecchio pazzo farneticante, zimbello dei bambini. In ogni caso, per la loro virtù o per
la loro abiezione, i vecchi si pongono al di fuori dell'umanità39.
È compito di una società civile aiutare l’individuo ad invecchiare bene. Se vivere
equivale ad invecchiare ed invecchiare significa mutare, invecchiare bene significa saper
accettare il proprio mutamento, sentito come apertura a progettazioni e ri-progettazioni
inedite della propria esistenza. Nelle differenti fasi della vita non possiamo limitarci alla
ricerca di «che cosa» si perde o si acquista con gli anni a livello fisico, psichico, spirituale,
37 Franca Pinto Minerva Educazione e senescenza, Bulzoni, Roma 1974, p. 83. 38 De Beauvoir, op. cit. 39 De Beauvoir, op. cit.
35
bensì al «come» si perde e si acquista qualcosa. V’è nella senescenza la possibilità di un fondamentale rinnovamento della personalità. […] La
vecchiaia è il banco di prova dell’intera storia individuale, la testimonianza più valida del modo e del
quanto del proprio processo di realizzazione ma anche di quanto è stato permesso all’individuo di
realizzare40.
Diventa prioritario assicurare a tutti un’esperienza di vecchiaia in cui permanga
intatta la costante ristrutturazione e il continuo rinnovamento della personalità, e poiché la
vecchiaia presente è, come si è detto, la risultante del modo con cui si è strutturato in
precedenza l’Erlebnis quotidiano, dobbiamo guardare al processo formativo nel continuum
dell’intero arco di vita. Considerando l'uomo non tanto portatore di valori, quanto egli
stesso valore, cioè dotato di costitutiva originalità su cui fondare la processualità della sua
vita ed il proprio contributo al divenire storico dell'umanità. Se ogni persona è valore e non
soggetto a divenire valore, cadono le barriere dell'età in cui si è soliti dividere la vita
dell'uomo; gli si riconosce, invece, una costitutiva capacità di progettarsi nel futuro in
termini di responsabilità e di autonomia. «L’uomo si forma vivendo, conoscendo ed
esprimendo se stesso, e vedendo l’altro vivere, conoscere ed esprimersi»41. L’Erlebnis,
l’esperienza vissuta si amplia e si completa nella comprensione delle altre persone.
E ancora una volta - l'ultima - Simone de Beauvoir: Smettiamola di barare; nell'avvenire che ci aspetta è in gioco il senso della nostra vita; non
sappiamo chi siamo, se ignoriamo chi saremo. Dobbiamo riconoscerci in quel vecchio, in quella
vecchia; è necessario, se vogliamo assumere nella sua totalità la nostra condizione umana42.
40 Pinto Minerva, op. cit., p. 86. 41 Mario Gennari Storia della Bildung, La Scuola, Brescia 1997, p. 193. 42 De Beauvoir, op. cit.
36
2.2 Le Università della Terza Età
Le prime “università popolari” sono nate in Italia a cavallo tra la fine dell’800 ed i
primi del ‘900, assieme alle biblioteche circolanti e ai circoli culturali popolari, assieme
alle prime organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio. Chiuse durante il
fascismo, sono rinate nel dopoguerra. La loro caratteristica è stata sempre di impegnarsi e
lottare contro l’esclusione sociale, l’esclusione dai processi formativi e della conoscenza.
In questi ultimi anni hanno cominciato a svilupparsi, fra le università popolari, le
“università della terza età” per contrastare il rischio di emarginazione che incombeva e
incombe su molti anziani. La frequentazione di una università della terza età permette di
arricchire le proprie conoscenze e capacità espressive; favorisce la socializzazione, lo
scambio culturale, i rapporti fra generazioni.
La prima Università della Terza età moderna è stata inaugurata nel 1973 a Tolosa,
in Francia. Ma già nel 1975 ne sono state aperte alcune in Italia (a Torino), Svizzera, in
Polonia ed in altri Paesi. La formazione rivolta agli anziana contiene, a livello europeo,
tanti modelli diversi. In alcuni Paesi come ad esempio l’Austria, la Germania, la
Slovacchia, la Polonia gli studi per anziani sono integrati nelle Università statali; in
Francia, in Olanda e in Svizzera gli insegnamenti sono integrati o collegati con l’Università
degli studi. In Italia e in Spagna ci sono dappertutto associazioni autonome. Le Università
delle terza età inglesi sono autogestite, ma ci sono anche “senior studies” in alcune
Università ed esiste anche il modello dell’”Open University” dove uno può studiare quello
che vuole.
Anche in quanto agli obiettivi ed al modo di realizzare gli studi ci sono grandi
differenze. Ad esempio in Austria e in Germania le persone anziane studiano insieme ai
giovani nelle Università statali, negli altri Paesi spesso c’è un’offerta differenziata di
studio.
Una volta si parlava di “studenti anziani” pensando alle persone che si ritirano,
dopo la fase di lavoro produttivo, oppure alle donne che hanno concluso la vicenda
familiare. Oggi il raggio d’azione è divenuto molto più grande: all’Università della Terza
età vengono anche persone più giovani. Il tipo di studente della prima generazione aveva
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bisogno di studiare perché non ne aveva avuto l’occasione quando era giovane; la sua
partecipazione era piuttosto passiva. Oggi gli studenti anziani sono più attivi, cercano la
partecipazione in modo concreto e aspettano che le loro competenze siano valorizzate,
utilizzate e integrate.
Si stima che in Italia vi siano circa 300 sedi di Università della Terza Età
frequentate da oltre 200 mila studenti. A Milano è possibile scegliere tra più di mille corsi e
laboratori (di teatro, musica, pittura, ceramica ecc.). In generale non si studia solo sui
banchi: si organizzano viaggi per vedere mostre, si va a teatro, si fanno vacanze assieme.
L’universo “anziani”- rileva Duccio Demetrio43 - è costituito da una moltitudine di
soggetti che conservano ancora la volontà di fare, pensare, amare, anche perché nella fase
precedente hanno utilizzato le risorse loro offerte dagli ambienti lavorativi e di convivenza.
La concezione secondo cui le persone anziane tendono a distaccarsi dalla vita attiva è oggi
ampiamente confutata da coloro che sottolineano come sia l’ambiente socio-culturale ad
emarginare il soggetto e a spingerlo all’isolamento. La vecchiaia si impone così come un
fenomeno sociale complessivo che rispecchia le modificazioni delle società industriali e
post-industriali.
I fattori che stanno alla base dell’evoluzione della individualità negli anni che
seguono il passaggio dall’adultità alla senilità sono molteplici. Le esperienze di vita
precedenti incidono in modo determinante sul processo di senescenza, con la conseguenza
che la stragrande maggioranza degli anziani non si “risveglia” improvvisamente di fronte
alle proposte educative e culturali. Soltanto coloro che non hanno cessato – nel tempo
libero – di coltivare interessi e attività “per sé” sono meno a rischio.
L’invecchiamento è profondamente influenzato da avvenimenti quali la perdita del
partner, lo sradicamento dal proprio ambiente di vita, l’interruzione del lavoro ecc. La
solitudine nell’anziano è inoltre una delle componenti di emarginazione sociale e uno dei
fattori che contribuiscono a modificare la sua identità. L’attività contrapposta al ritiro e alla
solitudine emotiva permette di mantenere in esercizio le abilità individuali, aumentando il
livello di autostima e favorendo la longevità. Questa esigenza coincide con le finalità delle
Università della Terza età che sono:
43 Duccio Demetrio Manuale di educazione degli adulti, Laterza, Bari 1997, pp. 263-264.
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- favorire lo sviluppo della creatività e delle diverse attitudini individuali, compresa la
capacità ad apprendere;
- ricercare nuove inclinazioni speculative e manuali;
- aiutare a ritardare a livello medico e psicologico l’invecchiamento, mantenendo in
esercizio il corpo e la mente;
- proporre un nuovo modo di vivere la terza età, sviluppando l’associazionismo e la
disponibilità a stare con gli altri;
- creare nuovi interessi per permettere l’elaborazione di una visione più adeguata della
vecchiaia, promuovendo la partecipazione alla vita sociale.
Per quanto riguarda il tipo di utenza, due sono i modelli di riferimento, in base ai
bisogni soggettivi di chi pone la domanda. Diversa infatti è l’esigenza di chi chiede di stare
con gli altri e occupare il tempo libero in maniera costruttiva, da quella di chi chiede un più
alto livello culturale e scientifico ed è disposto ad apprendere e a verificare
l’apprendimento. Per la prima richiesta non si prevedono percorsi culturali finalizzati, ma
attività che riempiano il tempo libero con dei contenuti che riguardano anche
l’aggiornamento culturale. Per la seconda domanda si propongono programmi di
formazione finalizzati al reinserimento sociale degli iscritti e a qualificanti attività di
ricerca, scommettendo sulla qualità della formazione e della didattica, sulla verifica
dell’apprendimento e su attività che stimolino la creatività. Questo secondo modello si
rivolge ad un’utenza medio-alta, anche per quanto riguarda il titolo di studio.
Le Università della Terza età hanno conosciuto in questi anni una rapida espansione,
modificando l’immagine della vecchiaia, che in tal modo accedendo alle risorse educative diviene un
“laboratorio di controcultura”: un luogo privilegiato per apprendere quanto, nel tempo del lavoro, non si
è avuto l’opportunità di acquisire44. Per apprendimento si intende riferirsi ad un processo così legato all'esistenza da
identificarsi con essa e che comprende, perciò, il gusto di vivere, la capacità di intrecciare
relazioni, il modo di osservare, conoscere, camminare, parlare, gestire, cioè ogni
realizzazione che esprima il cammino graduale verso mete sempre più significative dal
punto di vista umano.
Non mancano le critiche mosse nei confronti di queste offerte formative che vanno
39
tenute in attenta considerazione al fine di una concreta soluzione dei problemi qui elencati:
- non inseriscono i bisogni culturali degli anziani all’interno di prospettive più ampie
che coinvolgano l’intero ambito sociale, rischiando di diventare un fattore di
separazione tra gli anziani e la restante parte della popolazione;
- si rivolgono prevalentemente a quegli anziani che hanno già delle competenze
culturali, ostacolando chi non è in possesso;
- imitano la realtà accademica, pur non avendone gli obiettivi;
- possono trasmettere messaggi illusori, come ritornare a “fare gli studenti”;
- possono rivelarsi un luogo di “parcheggio“, costruito nel territorio, ma non integrato
in esso.
Punti critici da tenere sotto controllo con un’attenta programmazione formativa ma anche
socio-politica.
Le Università della Terza Età possono e devono offrire sempre più lo stimolo e le
opportunità per far crescere la cultura della solidarietà, l'esercizio della cittadinanza attiva e
consapevole. Quasi un terzo degli over 65 è affiliato ad un'associazione, un anziano su
dieci svolge un'attività regolare di volontariato, con la motivazione prevalente di "sostenere
i più deboli". Uno dei tratti più rilevanti del volontariato degli anziani è dato dall'alto
numero di quelli che, a prescindere dall'adesione ad una organizzazione, si offrono alle
famiglie e al proprio vicinato per aiutare chi si torva in difficoltà.
Gli anziani hanno dimostrato di poter continuare ad essere, malgrado la loro uscita
dal processo produttivo, una risorsa: per la famiglia, per la società nel suo complesso.
Le Università della Terza Età dovranno sempre più caratterizzarsi come sedi
formative e di socializzazione contro i rischi di solitudine e di emarginazione, ma anche
come luoghi in cui sviluppare e far crescere la "cultura per le relazioni" più espressamente
orientata alla solidarietà.
L'educazione permanente è esigenza primaria di una società soggetta a grandi
trasformazioni demografiche, tecnologiche, culturali e che pone agli individui e ai gruppi
sociali domande continue di aggiornamento e di riqualificazione professionale, ma anche di
partecipazione sociale, di realizzazione di una cittadinanza attiva e solidale.
44 Demetrio, op. cit., p. 266.
40
2.3 Teatro senza anagrafe
Posso scegliere uno spazio vuoto qualsiasi e decidere che è un palcoscenico spoglio. Un uomo lo attraversa
e un altro osserva: è sufficiente a dare inizio a un’azione teatrale.
Peter Brook45
Nella sua specificità il linguaggio teatrale favorisce una crescita integrata di tutti i
livelli di personalità, a qualunque età. Le metodologie formative di tipo teatrale permettono
alla persona di riscoprire la spontaneità, la libera espressione della propria natura. Ne
consegue un accrescimento della creatività e dell'inventiva. Il teatro restituisce alla
spontaneità la valenza creativa necessaria a tutti gli individui che partecipano alla vita
organizzativa e che sono coinvolti in un processo di crescita personale, in una ricerca
intellettuale che scava in profondità fino alle radici dei preconcetti che regolano il nostro
modo di comportarci; una tecnica di apprendimento per gli adulti in cui l'istruzione confina
con la vita e quindi eleva la vita stessa ad apprendimento avventuroso.
Vedere se stessi in un ruolo diverso da quello in cui si ritiene di essere, oppure
giocarne uno non abituale nella propria vita, permette di recuperare diverse figure che
abitano il proprio universo interiore e ad espanderne le capacità. L'identità è una forma
dinamica che continuamente si trans-forma. Passare da una forma all'altra senza perdere il
filo, permette all'individuo di percepirsi (e di essere riconosciuto) come un tutto unitario
nonostante la molteplicità di forme che assume nell'arco della vita (ma anche della stessa
giornata!). «Si potrebbe paragonare l'identità ad un fiume che scorrendo è sempre se stesso
ed al contempo è sempre diverso».46
Giocare un ruolo può essere considerato un metodo per imparare a sostenere dei
ruoli con maggiore adeguatezza. Per Moreno, che rivendica la paternità del role playing in
quanto tecnica formativa, sottolineandone la derivazione dal linguaggio del teatro:
45 Peter Brook Lo spazio vuoto, Bulzoni, Roma 1998, p. 21. 46 Cfr. Bruner Jerome e al. Lo sviluppo cognitivo, Armando Editore, Roma 1973.
41
ogni ruolo si presenta come fusione di elementi individuali e di elementi collettivi, risulta da
due ordini di fattori: i suoi denominatori collettivi e le sue differenziazioni individuali. Può riuscire utile
distinguere: l'assunzione del ruolo (role taking), vale a dire il fatto di accettare un ruolo definito,
completamente strutturato, che non consenta al soggetto di prendersi la minima libertà nei confronti del
testo; il gioco del ruolo (role playing), che ammette un certo grado di libertà; e la creazione del ruolo
(role creating), che lascia ampio margine alla iniziativa del soggetto, come si verifica nel caso dell'attore
spontaneo47.
Il gioco di ruolo si connota pertanto come uno spazio di apprendimento, dove il
ruolo giocato si contrappone al ruolo cristallizzato. In tal senso il role playing è il campo
dello sviluppo della spontaneità e dell'incontro della soggettività con il dato o il mandato
socio-culturale del ruolo.
Secondo il metodo stanislavskiano48 l'attore deve creare il personaggio studiandone
le vie interiori, i modi della sua realizzazione psicologica e gestuale: si immerge nel ruolo
dell'altro e vive quella parte come se fosse l'altro. Il ruolo è l'elemento base della relazione
con l'altro: è uno strumento che ci protegge nella relazione stessa. Interpretare un ruolo
non significa adattarsi passivamente, ma implica la decisione del soggetto di interpretarlo
ed esprimerne le caratteristiche. La curiosità e il divertimento e l'adozione di una modalità
talvolta ludica di progettazione e svolgimento delle attività, contribuiscono a creare una
atmosfera motivante e accogliente che invita a mettersi in gioco in prima persona
sperimentando ruoli e comportamenti "nuovi", predisponendosi ad apprendere. Il contesto
riveste importanza primaria nel costruire il clima più adatto ad allontanarsi da tutto ciò che
ricorda una realtà che potrebbe generare resistenze ostacolanti il processo di crescita.
Attraverso l’improvvisazione teatrale l’allievo-attore “inventa” qualcosa di non
preparato precedentemente, grazie all’energia del gioco, della relazione drammatica, delle
proprie capacità professionali, a partire da un tema, un canovaccio, una situazione,
un’opera d’arte, o più semplicemente a partire dall’uso di un codice espressivo. Le origini della tecnica dell’improvvisazione possono farsi risalire alla Commedia dell’Arte,
ma è stata ripresa in gran considerazione, seppur con angolature diverse, dalle teorie dell’attore del
Novecento, a cominciare dal metodo di Stanislavskij e la sua pereživanie, che hanno voluto reinvestire
la scena di nuova energia vitale. Attraverso improvvisazioni è possibile costruire una drammaturgia, per
47 Si veda Jacob Levy Moreno Il teatro della spontaneità, Nuova Guaraldi, Firenze 1980. 48 Si veda Franco Malcovati Stanislavskij, vita, opere e metodo, Laterza, Bari 1988.
42
approssimazioni ed elaborazioni successive49.
Per il buon esito di un’improvvisazione, bisogna limitare e precisare i codici da
mettere in gioco.
Il laboratorio nel teatro di ricerca e nella pratica scolastica costituisce da tempo la
prassi metodologica più accreditata: con questo termine si vuole, infatti, sottolineare la
preminenza del processo sul prodotto, aspetto particolarmente importante in un progetto
educativo, ove l’allievo-attore deve essere soggetto attivo e non oggetto in un percorso di
conoscenza di se stesso e della relazione con gli altri. Il laboratorio è luogo e condizione
necessaria per la formazione pedagogica, ed etica assieme, momento privilegiato per la
costruzione dell’identità dell’allievo-attore e del gruppo. In questa prospettiva lo spettacolo
finale assume significato e giustificazione solo in quanto esito visibile di un percorso.
L’attività laboratoriale precede la prova (dal latino probus, buono, onesto, procedimento di verifica della qualità di un oggetto o di un
processo) ovvero gli incontri preparatori per la realizzazione di un lavoro teatrale. Mentre il
corrispondente termine inglese, come quello francese (rehearsal, e répétition), sottolinea la ripetitività
dell’operazione, la parola italiana si apre ad una dimensione di esperimento e di ricerca (presenti anche
in tedesco e in spagnolo), e quindi di maggior creatività50.
Il laboratorio teatrale è un momento definito ed uno spazio protetto in cui si
manifesta un intento educativo in linea con le teorie dei maggiori pedagogisti che hanno
operato negli ultimi due secoli, come Froebel, Dewey, Montessori, i quali hanno rivalutato
il valore formativo dell'esperienza dell'allievo. Negli incontri di laboratorio, supportati da
una costante riflessione sul processo creativo, il formatore-animatore non insegna, ma
mette a disposizione degli individui che formano il gruppo le proprie capacità tecniche e
professionali.
Nel lavoro di gruppo la comprensione si basa sull'empatia e sulla simpatia inter-
soggettiva: Così io comprendo le lacrime, il sorriso, le risa, la paura, la collera vedendo l'ego alter come
alter ego, con la mia capacità di provare i suoi stessi sentimenti. Comprendere, quindi, comporta un
processo di identificazione e di proiezione da soggetto a soggetto. Se vedo un bambino in lacrime, cerco
49 Cfr. Come a teatro di John O’Toole e Brad Haseman, tr. It. a cura di Claudio Facchinelli e Tadeusz Lewicki - Ghisetti e Corvi, Milano 2002. 50 O’Toole - Haseman Come a teatro, op. cit.
43
di comprenderlo non misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei
sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui.51
Questo comporta un processo di identificazione e proiezione intersoggettiva, che
richiede apertura e generosità.
Altra importante risorsa intellettuale per il gruppo è la responsabilità, che si
accompagna all'apertura mentale, ovvero la capacità di considerare i problemi sotto
differenti punti di vista, riconoscere le conflittualità e le resistenze (proprie e altrui),
considerare le conseguenze delle proprie azioni.
Il laboratorio costituisce un’occasione per crescere, per imparare facendo, nella
convinzione che l’aspetto più importante di questa esperienza sia da individuare nel
processo e non nel punto d’arrivo.
Il formatore-animatore deve essere cauto e preparato per assumere il ruolo di
facilitatore e attivatore di un confronto guidato e attento alle dinamiche che di volta in volta
si generano. Questo richiede agli operatori della formazione una sincera adesione intesa
come la qualità di chi, totalmente interessato ad un qualche argomento «...agisce, come si
suole dire, di cuore, ho con tutto il cuore [...] Un maestro che sveglia un tale entusiasmo nei
suoi allievi ha fatto qualcosa che nessuna somma di metodi formalizzati, non importa
quanto corretti, potrà mai realizzare»52.
51 Edgar Morin, (1999) La tête bien faite tr. it. La testa ben fatta: riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano 2000, pag. 96. 52 John Dewey Il mio credo pedagogico, Antologia di scritti sull'educazione. La nuova Italia, Firenze 1982.
44
3. Accademia Culturale di Rapallo: radiografia di una esperienza (1995-2005)
3.1 Insegnare teatro agli anziani utilizzando il modello andragogico La disposizione al gioco è più importante del gioco stesso. La prima è un atteggiamento dello spirito; l'ultimo è una transitoria manifestazione esterna di quest'atteggiamento.
John Dewey53 Il progetto di un laboratorio teatrale rivolto agli iscritti dell'Accademia Culturale di
Rapallo, 1° Università della “Età d’oro”, nasce nel 1995, come una sfida, accolta e
stimolata dalla coordinatrice dell'accademia, la Prof.ssa Loredana Benvenuti. Un teatro
senza età era progettualmente possibile, ma “loro”, gli allievi, erano disposti a mettersi in
gioco?
Si, pochi in principio, ma poi sempre più numerosi, in parte attratti dalla novità della
proposta formativa, ma anche da “un sogno nel cassetto”, negato dalla routine del
quotidiano. Trovati gli allievi-attori di sessanta/ottant'anni, adottai il processo formativo
andragogico.
Il modello andragogico (cioè rivolto all'educazione degli adulti) dello studioso
americano Malcom Knowles54 si basa su di una serie di presupposti specifici che lo
distinguono da quello pedagogico, cioè rivolto all'educazione dei fanciulli e degli
adolescenti.
1. Per poter apprendere l'adulto deve sentire in sé il bisogno di conoscere.
2. L'adulto deve sentire che il proprio concetto di sé viene rispettato dall'educatore. Egli
cioè deve essere collocato in una situazione di autonomia (vs dipendenza).
3. Nell'educazione dell'adulto ha un ruolo essenziale l'esperienza, sia come attività di
apprendimento sia come pregresso talvolta negativo che costituisce una barriera di
pregiudizi e abiti mentali che fa resistenza all'apprendimento.
4. L'apprendimento degli adulti è centrato sulla vita reale.
53 John Dewey, Come Pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1961. 54 Malcom Knowles Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, FrancoAngeli, Milano 1993.
45
5. Le motivazioni più forti nel processo di apprendimento dell'adulto sono quelle interne:
desiderio di una maggiore soddisfazione nel lavoro, auto-stima, qualità della vita ecc…
Gli elementi fondamentali, riassunti schematicamente nella tabella finale, sono i seguenti:
1. Assicurare un clima favorevole all'apprendimento. Sia dal punto di vista delle strutture
(funzionali, accoglienti…), sia dal punto di vista delle risorse (ricche, utilizzabili…), sia
dal punto di vista dell'organizzazione (funzionale, non gerarchica, comunicativa…).
2. Creare un meccanismo per la progettazione comune.
3. Diagnosticare i bisogni di apprendimento, elaborando un modello delle competenze.
Valutando le discrepanze tra il modello delle competenze e il livello di sviluppo attuale dei
discenti. E quindi formulando degli obiettivi di apprendimento.
4. Progettare un modello di esperienze di apprendimento. Non il semplice "programma"
ma un vero e proprio progetto d'apprendimento, fondato su una serie di episodi tra loro
correlati.
5. Mettere in atto il programma (gestire le attività di apprendimento).
6. Valutare il programma.
7. Apprendimento per contratto. Individualizzato e responsabilizzante.
SCHEMA RIASSUNTIVO
PRESUPPOSTI ELEMENTI DEL PROGETTO
Pedagogia Andragogia Pedagogia Andragogia
Concetto di sé Dipendenza Autonomia Clima
Orientato verso l'autorità. Formale. Competitivo.
Reciprocità. Rispetto. Collaborazione informale
Esperienza Di poco valore
I discenti costituiscono una risorsa per l'apprendimento.
Pianificazione Da parte del docente
Meccanismo di pianificazione commune
Disponibilità
Sviluppo biologico. Pressione sociale
Compiti evolutivi dei ruoli sociali
Diagnosi dei bisogni
Da parte del docente
Auto-diagnosi reciproca
Prospettiva Applicazione Applicazione Formulazione Da parte del Negoziazione
46
temporale posticipata immediata degli obiettivi docente commune
Orientamento all'apprendimento
Centrato sulle materie
Centrato sui problemi Progetto
Logica delle materie. Unità di contenuto
Sequenze, secondo le disponibilità ad apprendere. Unità di problemi
Attività Tecniche di trasmissione dei contenuti
Tecniche basate sull'esperienza e la ricerca
Valutazione Da parte del docente
Re-diagnosi comune dei bisogni. Valutazione comune del programma
Consapevole che qualsiasi apprendimento non è mai “intimamente” determinabile,
verificai sul campo che l’apprendimento è più efficace se il facilitatore “tara” il progetto
formativo sulla base delle differenze individuali.
Ogni volta che mi avvio verso la sede degli incontri, so che "loro", i "miei" non
giovanissimi allievi, mi aspettano, pronti con anticipo sull'orario prestabilito, e che hanno
già predisposto il palcoscenico, nostro spazio di gioco privilegiato, su cui c’incontreremo e
confronteremo passando insieme un paio d'ore in assoluta libertà di spirito. Il rapporto è
diretto, immediato, avvolto dall’empatia. Ognuno è vissuto dall'altro per quello che fa e
molto di più per quello che è e che, anche inconsapevolmente, esprime.
Ogni anno si decide insieme il “viaggio” teatrale da compiere, autore e testi oggetto
del laboratorio, perché insieme facciamo teatro, un teatro senza età, senza regole e schemi
prefissati. Tutti sono sollecitati ad esprimere le proprie idee sul lavoro teatrale da
rappresentare, e ciascuno partecipa con la propria fantasia, cultura, esperienza, alla
realizzazione del “viaggio”.
In questo laboratorio sono di casa l’arte del dis-orientamento, della rotta cercata
attraverso la perlustrazione continua dei contrari, la volontà/esigenza di non banalizzare, di
sorprendersi, sorprendere, lasciarsi sorprendere e affascinare.
47
Non mancano i conflitti e le perplessità ma attraverso un confronto dialogico è sempre
possibile superarli o almeno assopirli per riprenderli a metà del percorso e trasformarli in
un momento di verifica e di riflessione.
I partecipanti al corso si distinguono per un entusiasmo straordinario, una volontà
incredibile di comunicare e dare agli altri, un desiderio di essere la prova vivente della
gioia di vivere e di esistere con gli altri e per gli altri.
Sollecitare la loro fantasia e creatività in un momento della vita in cui tanti compiti
sono stati già assolti rivitalizza il loro quotidiano.
Peter Brook afferma che gli attori rimangono bambini fino a 99 anni, quindi anche i
che sono alle prime armi nel campo teatrale - hanno ancora molto tempo davanti a loro per
diventare adulti.
Li osservo, mentre vivono quest’esperienza e li vedo felici perchè si esprimono,
perchè c'è il piacere del gioco. L'uomo quando tenta di imparare qualcosa, di assumere
nuovi comportamenti esprime una giocosità, una apertura all'insolito, come condizione
umana che si può considerare costante, sollecitata dalla necessità di risolvere i problemi
della vita. Da sempre il "mettersi in gioco" comporta una esposizione anche emotiva,
protetti però dalla finzione della simulazione e/o dal ruolo o personaggio che comunque
sappiamo essere altro da noi.
Nel gioco del teatro ogni recita non è mai uguale alla precedente perché i suoi
elementi costitutivi, attore e spettatore, cambiano continuamente, negando l’apparente
ripetizione. «Il gioco può essere visto come un prodotto spirituale dell'uomo ed insieme il
modello e l'immagine dell'intera esistenza umana, l'estrinsecazione della forza della vita»55.
Soddisfano il loro bisogno di fare, appagano l'inesauribile esigenza del sapere, hanno
scoperto che è bello stare insieme e conoscere persone nuove. Manifestano con il loro
entusiasmo che il teatro è un divertimento e insieme un arricchimento, ma soprattutto una
terapia dell'anima. Stanislavskij scriveva: «Se esiste sulla nostra terra qualcosa di
miracoloso, questo è il teatro».
55 Ofelia Cestaro Materiale didattico e di gioco, La Scuola, Brescia 1982, p. 90.
48
Concludendo, quello che mi emoziona ancora oggi è il loro desiderio, che si rinnova
ogni anno, di un nuovo “viaggio” insieme. Mi sono spesso domandata qual’è la
motivazione che induce ad intraprendere piacevolmente, o con fatica, un’esperienza
educativa. Secondo Duccio Demetrio c’è un continuum che collega, attraverso il tempo e la diversità degli spazi, tutti coloro che
hanno continuato ad apprendere e che è costituito dalla direzione di senso: si tratta della tensione
anagogica (dal greco anagoghé: elevazione, perfezionamento, miglioramento). Un termine che può
conoscere una sua traduzione significativa nondimeno in ogni situazione esperenziale ed esistenziale
che trovi, abbia trovato e probabilmente ancora troverà, gli adulti impegnati nella ricerca del proprio
miglioramento56.
Si apprende, si cambia, si esplora la vita propria e altrui per alimentare conoscenza,
e certo per organizzare al meglio la propria sopravvivenza, ma, soprattutto, per perseguire
fini di ulteriore avanzamento o forse perché «in ciascun uomo sono impresse le forme che a
lui donerà la sua formazione e finché quest’uomo non giungerà a formarsi in virtù di quelle
forme, la sua formazione non gli darà pace»57.
La loro crescita come “attori” consente anche a me una particolare crescita,
consistente nel recupero di una felicità d'apprendimento e d'invenzione. E così ho capito
cosa avviene ogni anno, nel nostro viaggio: si crea un'isola dove ogni miracolo umano è
possibile, si forma un'isola "dagli orli staccati".
Ricordate le parole del mago Cotrone nei Giganti della Montagna?
Siamo qua come agli orli della vita... Gli orli, a un comando, si distaccano; entra
l'invisibile: vaporano i fantasmi. È cosa naturale. Avviene, ciò che di solito nel sogno. Io
lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto, i sogni, la musica, la preghiera,
l'amore…tutto l’infinito ch’è negli uomini…58
56 Demetrio, op. cit., p. 35. 57 Gennari – Kaiser op. cit., p. 85. 58 Luigi Pirandello I giganti della montagna, Mondadori, Milano 1993, p. 199.
49
3.2 Debuttare in scena a sessant’anni
Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un “racconto”, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.
Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere se necessario ri-possedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo “ripetere” noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi.
L'uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé. Oliver Sacks59
In questo paragrafo vogliamo lasciare la parola alle testimonianze dirette degli allievi,
senza censure di contenuto o di stile.
Mi ero persa.
Ed era molto grave alla mia età.
La terza età.
Difficile da reggere quando si resta improvvisamente soli. Ti trovi una sera, seduta su un
divano, a pensare a quel molteplice mondo di lavoro, di gioie, di dolori, di esperienze che è
stata la tua vita.
Che cosa ne farò domani di tutto questo?
Niente.
E le tue quotidianità diventano davvero…niente!
Ma poi, un giorno: “Rinfrescati, amica, con l’acqua che sta nella secchia di rame …”
(Bertold Brecht)
- La vuoi leggere, Angela?
Siamo nel laboratorio teatrale dell’Università della terza età di Rapallo.
Comincio a leggere. Tremo un poco, la mia voce è un filo, ma ce la faccio. “Sappi, lo fai
per te e fallo in modo esemplare”. È sempre Brecht che parla, ultima riga. Mi colpisce
questa frase, sento che è vera, che mi si addice: lo fai per te.
Un guizzo di vita, tenero e lieve come spuma di mare. Mi piace, mi interessa e così
continuo. E vengo a conoscerlo piano piano, questo teatro, e piano piano mi accorgo di
59 Oliver Sacks L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano 1986, pp. 153-4.
50
scoprirne e di assaporarne le profonde umanissime verità, mentre riaffiorano in me ricordi
ed emozioni: riemerge cioè il mio vissuto, mi ritrovo.
Grazie, teatro, ti amo: attraverso te mi sono riappropriata di me stessa.
(Angela, classe 1927)
Iniziando il corso di recitazione a cinquant'anni, com’è successo a me, non si hanno certo
velleità di calcare le scene o di bucare gli schermi, non lo si fa per ambizione, nè per
trovare un lavoro, bensì per mettersi "in gioco", per autoironia, per sfida verso se stessi e
verso gli altri; per capire, entrandosi dentro, scrutarsi l'anima, vedersi, riconoscersi e infine
accettarsi ( se ci si riesce).
Il lavoro di gruppo è interessante, perchè ci si trova a contatto con tante personalità diverse
con cui bisogna amalgamarsi, per il "prodotto finale", altrimenti...addio "compagnia". Devi
sopportare anche chi non ti va e ciò aumenta la tua tolleranza verso gli altri.
Il gioco del teatro non è la vita, tutto è permesso, perchè tutto è finzione e allora ci si sfoga
anche a tentare, divertendosi, di cambiare personalità secondo il personaggio che si deve
interpretare e tutto ciò, oltre ad essere piacevole, è magico.
(Patrizia, classe 1947)
Non voglio cadere nella banalità ma in un certo senso è proprio vero che invecchiando si
ritorna bambini nel senso che è latente in noi l'antico desiderio del gioco e l'accostamento al
teatro, alla sua finzione scenica, risveglia questo sopito ricordo ludico.
Occorre anche considerare che il teatro offre un arricchimento culturale a persone che
hanno già un bagaglio di conoscenza acquisito con gli studi, con le letture e con
l'esperienza, persone che hanno ancora il desiderio di approfondire in prima persona un
nuovo tipo di lettura.
La facilità con la quale molti anziani entrano nel gioco scenico non è altro che la
rivisitazione delle esperienze passate, è il vissuto che riemerge con ricordi che l'inconscio
ha occultato per adattare ognuno alla vita ed ai problemi giornalieri.
Gli anziani recitano con immediatezza e facilità perché la vita li ha abituati, nel corso di
anni, ad una recita giornaliera che man mano è diventata una parte intrinseca della propria
51
personalità. Chi non ha dovuto mentire, adattarsi a circostanze spiacevoli con apparente
sincera disponibilità, sopportare con sorridente leggerezza situazioni pesanti? Usando un
termine comune, fare - insomma - buon viso a cattivo gioco?
Coloro che, nell'attraversamento della vita, dicono di non aver mai "recitato", di non essere
mai stati un poco ipocriti, mentono sapendo di mentire .... ed anche questo è recitare!
Perciò, giunti alla cosiddetta terza età, recitare davvero, su un palcoscenico, è un'esperienza
gratificante, leggera, divertente, perché si tratta di un gioco…non è la vita.
(Nives, classe 1929)
Vorreste addebitarci quello che non abbiamo ancora fatto? Aspettate, stiamo facendo
teatro! Perché? Per dare noi qualcosa a lui e per prendere noi qualcosa da lui. Tutto
reciproco a stò mondo. Ma che cosa ci sta dando il teatro? Il divertimento di esplorarci dal
di fuori e dal di dentro alla ricerca di un equilibrio rinnovato. Il divertimento di provare a
identificarci in quello che non siamo mai stati, di proporci in altri modi a noi stessi e agli
altri contemporaneamente e diversamente, senza confonderci e senza ingenerare
confusioni. Lo stimolo? «Nihil humano praeteritum...». Cioè niente paletti, semplicemente
cogliere l’occasione per vivere sensazioni non vissute prima. Delitti contro il proprio
D.N.A.? No certo. Il vero delitto è il protagonismo fasullo del dilettante che vuole porsi al
centro, senza considerare l’altrui e l’altrove e quindi stoppando il divertimento di
riconoscersi al di fuori dei propri parametri e nel riderci sopra, e ce ne vuole di benzina
perché le abitudini sono tante inveterate, al limite irrinunciabili e si rischia di perdere
considerazione in se stessi. Ritrovare nuovi incastri tra logica, sensibilità, volontà,
liberando la propria personalità grazie allo studio analitico delle personalità altrui e al loro
confronto derivandone per quello che se ne può le sintesi più appropriate. E purtroppo se ne
può poco, talmente poco che la letteratura a proposito della disponibilità dell’anziano alla
teatralità è scheletrica; roba da estrema unzione.
Il cumulo delle esperienze si scioglie dicotomizzato senza fine, giochi interpretativi che
migrano nella dissolvenza del voler essere quello che non si è mai stati fra memorie sempre
più evanescenti. Siamo al conflitto interiore che comunque vale la pena di essere vissuto.
Ci salverà Freud? Al limite potremmo salvarci anche da soli facendo teatro. Al posto del
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lettino il palcoscenico e al posto dell’analista la regista, zitta. «Parla tu, dimmi, tutto quello
che non ti è successo...». Benedetto il subcosciente che prende coscienza di se stesso
quando viene raccontato attraverso interpretazioni di personaggi pensati da altri e rivissuti
da noi che tentiamo di recuperarci attraverso il teatro perché la speranza e la fede non
vengano mai meno da parte nostra. In quanto alla carità quella ce la metterà il pubblico.
(Agostino, classe 1930)
3.3 Un viaggio di dieci anni nel teatro del Novecento
Dieci anni di attività teatrale (1995-2005) dedicati al teatro del Novecento, il secolo
breve che si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell'attore. Il teatro della
parola si trasforma in teatro dell'azione fisica, del gesto, dell'emozione interpretativa
dell'attore. Il teatro diventa utopia: attraverso un allenamento fisico chiamato training,
l'attore riesce a liberare la parte di se stesso nascosta dalle tante regole della cultura in cui
vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace
di rispondere in modo efficiente e immediato alle diverse casualità che si presentano nella
vita, e quindi, anche sul palcoscenico, questa seconda natura sarà lo strumento dell'attore
per diventare creativo, quindi artista.
Il teatro del Novecento vuole perdere la priorità dello spettacolo, nel senso che
esibirsi di fronte ad un pubblico deve essere solo una componente del teatro e non il teatro
stesso: il lavoro dell'attore avviene prima su se stesso come uomo e poi come
professionista. Il lavoro teorico e pratico di Konstantin Stanislavskij e dei suoi allievi
Vsevolod Mejerchol’d su tutti, quello di Antonin Artaud, la drammaturgia di Bertolt Brecht
e Samuel Beckett modificano radicalmente l'approccio alla messa in scena e determinano
un nuova via al teatro.
L'influenza di questi maestri sul movimento teatrale del dopoguerra è immenso,
basti pensare al teatro Odin di Eugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro
fisico del Living Theater di Julian Beck e Judith Malina, al teatro neorealista di De Filippo,
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fino alle applicazioni "commerciali" dell'Actor's Studio di Stella Adler e Lee Strasberg (da
cui provengono Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro).
Importante è anche lo sviluppo del "cabaret", ovvero di spettacoli anticonformisti
costituiti da un alternarsi di scenette di satira, soprattutto politica e di costume e di canzoni.
Mai come nel secolo che ha concluso il secondo millennio un linguaggio si è tanto
radicalmente aperto alle più varie sperimentazioni quanto quello del teatro. Proprio quando
l’avvento e l’egemonia dei mezzi di comunicazione di massa sembravano relegarlo al
passato, forma di comunicazione-espressione di altre epoche e di altre società, il teatro ha
invece rivelato tutta la sua potenzialità di rinnovamento, sino a renderlo irriconoscibile per
un frequentatore di fine Ottocento al quale una qualche “macchina del tempo” avesse
consentito di diventarne un frequentatore di oggi, all’inizio del Duemila.
La scelta di affrontare autori del Novecento si fonda sulla ricchezza di stimoli e di
novità artistiche legate al secolo breve, oltre alla richiesta espressa dagli stessi discenti di
approfondimento su autori in parte loro contemporanei e con cui hanno condiviso gli eventi
storici e i cambiamenti che hanno investito la società.
In sintesi il percorso svolto in questi dieci anni:
1995/96 Harold Pinter, la solitudine quotidiana
1996/97 Eleonora Duse, l’attrice divina nel teatro italiano fra i due secoli. Georges
Courteline, il maestro del teatro comico e del vaudeville
1997/98 Bertolt Brecht e il teatro epico “L’anima buona del Sezuan”(1941)
1998/99 Bertolt Brecht e la musica poesie e canzoni dall’Opera da tre soldi
(1928) prova aperta al Teatro delle Clarisse di Rapallo - 23 aprile 1999- Bertolt
Brecht, poesie e canzoni
1999/00 Achille Campanile - maestro del postmoderno prova aperta al Teatro
delle Clarisse 2 giugno 2000 Quando Lucio lascia l’ascia da Campanile
2000/01 Lo sguardo di lei – Mondi al femminile tra Oriente e Occidente in
collaborazione con il laboratorio musicale diretto dal M° Palmieri, prova aperta al
2000/01 messa in scena della fiaba Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry
in collaborazione con Teatro & Contorni di Genova, prova aperta al Teatro delle
Clarisse di Rapallo - 28 maggio 2001
2000/01 progetto intergenerzionale Alfabeto di Auschwitz (Premio speciale della
Giuria alla rassegna Teatro Giovane 2001) realizzato con gli allievi della Scuola
Media Rossi di Santa Margherita Ligure, Teatro delle Clarisse di Rapallo - 7 giugno
2001
2001/02 Omaggio al Cabaret degli anni ‘20 e ’30 da Karl Valentin ad Achille
Campanile, prova aperta al Teatro delle Clarisse di Rapallo il 9 giugno 2002 e al
Teatro dell'Istituto Emiliani a Genova Nervi - 27 giugno 2002.
2002/03 Esercizi di stile di Queneau, prova aperta al Teatro delle Clarisse di
Rapallo il 14 maggio 2003, a Genova il 25 maggio 2003 e a Moneglia l’8 giugno
2003 ecc.
2003/04 Sole, scherzavo progetto intergenerzionale con il Coro della Biblioteca De
Amicis di Genova e gli allievi del Laboratorio teatrale della S.E. M. Mazzini di
Genova, prova aperta Teatro delle Clarisse di Rapallo - 12 maggio 2004
2003/04 Così è (se vi pare) schegge - di Luigi Pirandello, prova aperta Torre di
Villafranca di Moneglia il 23 maggio 2004
2004/05 La cantatrice calva di Eugène Ionesco, prova aperta Torre di Villafranca
di Moneglia il 20 febbraio 2005.
3.4 Progetto Esercizi di stile
Laboratorio teatrale e percorso di scrittura giocosa. Accademia Culturale di Rapallo 1°
Università della “Età d’oro” A.A. 2002/03
• Tempo di svolgimento delle attività: l’intero anno accademico (60 ore)
• Modalità di svolgimento: le prime 30 ore dedicate all’analisi del testo e alla
produzione dei giochi linguistici, le rimanenti 30 ore utilizzate per l’allestimento
dello spettacolo
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• Modalità e strumenti di valutazione dei risultati: valutazione in itinere dei testi
prodotti dagli allievi, valutazione finale dello spettacolo realizzato con analisi e
discussione con il gruppo dei feed-back ricevuti dagli spettatori
Descrizione del progetto.
L’attività si ispira all’opera Esercizi di stile60 dello scrittore francese Raimond
Queneau che come sottolinea Umberto Eco nella sua introduzione al libro offre la
possibilità di sviluppare le infinite potenzialità espressivo - creative della lingua.
La parola chiave per comprendere il nucleo teorico dell’attività è quello di gioco
linguistico. Alla base di questo concetto fondamentale stanno gli studi linguistici del
filosofo austriaco Ludwin Wittgenstein61 che ha influenzato gran parte della linguistica
contemporanea. Durante la prima guerra mondiale insegnò per sei anni nei villaggi della
Bassa Austria come maestro elementare impegnandosi al massimo per far possedere ai suoi
alunni le parole capaci di garantire loro dignità e libertà. In Italia sarà Don Milani62 a
sottolineare come la libertà di pensiero e la capacità critica è direttamente proporzionale
alla formazione linguistica della persona.
Wittgenstein paragona il nostro linguaggio a una «vecchia città, un dedalo di strade
e di piazze, di case vecchie e nuove e di case con parti aggiunte in tempi diversi...» e dà
risalto all’uso vivo e mutevole del comunicare secondo molteplici regole e innumerevoli
variazioni funzionali e contestuali.
Si parla, quindi, per narrare, per descrivere, per comandare, per chiedere, per
formulare ipotesi, per pregare, per divertire, per spiegare, per conversare, per negare, per
60 Raimond Queneau Esercizi di stile, Einaudi, Torino 1983. Queneau nacque a Le Havre nel 1903 e iniziò la sua produzione letteraria con i surrealisti. E' stato uno scrittore polimorfo e creativo: da saggista a poeta, da romanziere a critico d'arte e cinema, dirigendo importanti iniziative letterarie come L'Encyclopedie de la Pleide. Delle sue molteplici opere vanno ricordate oltre che al già citato Esercizi di Stile, Zazie nel Metro, I fiori blu, Piccola cosmogonia portatile. Morì a Parigi nel 1976. 61 Ludwig Wittgenstein nacque a Vienna nel 1889. Da ricordare tra le sue opere l'importantissimo "Tractatus logico-philosophicus" e le "Ricerche filosofiche". Morì Cambridge nel 1951. 62 Don Milani (Firenze 1923-1967), a Barbiana istituì una scuola popolare, con l’intento di mettere in condizione i figli dei contadini di riappropriarsi della lingua italiana, di istruirsi e imparare a discutere. Questa esperienza, sorretta dalla sua passione radicale, ma destinata a non sopravvivergli, diede luogo al libro Lettera a una professoressa (1967), clamorosa denuncia della scuola di Stato.
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risolvere problemi, per arringare, per confutare...utilizzando molteplici funzioni e variando
la lingua a seconda delle concrete situazioni e dei reali interlocutori contestuali.
Contro una grammatica monologica e normativa, Wittgenstein evidenziò gli infiniti usi
vitali della lingua nei diversi contesti comunicativi; "prior est lingua" come ricordavano e
ricordano gli Accademici della Crusca intendendo con ciò valorizzare la ricchezza e libertà
della lingua contro le rigidezze delle regole immutabili.
Si può immediatamente comprendere l’importanza e il valore didattico di questi
concetti per la formazione linguistica e umana: più vario e ricco è il patrimonio linguistico
di una persona più questa è libera e capace di comprendere ed esprimere la realtà
circostante.
Il laboratorio linguistico, dalla scrittura alla rappresentazione
Il progetto prevedeva, nella prima fase di lavoro, la lettura e comprensione del testo
di Quenau mettendo in evidenza gli elementi morfologici, sintattici, lessicali e
contenutistici fondamentali per impadronirsi della tecnica stilistica63 con la richiesta di
interpretare, partendo dal proprio vissuto, gli esercizi scelti dagli stessi allievi. Così come
Eco64 ben aveva sottolineato non si trattava di tradurre, almeno nel senso corrente del
termine, ma di capire le regole di gioco che Queneau si era poste, e quindi di giocare la
stessa partita partendo dal proprio Erlebnis.
Gli elaborati confluirono nella messa in scena degli Esercizi donando un’originalità
di lettura su un grande classico.
Per gli accademisti si rivelò un’esperienza culturalmente significativa, sancita
dall’invito alla rappresentazione dello spettacolo, ricevuto dall’Università di Genova65,
all’interno del laboratorio di Scrittura creativa, agli studenti corsisti. L’incontro dei due
mondi universitari produsse una nuova interpretazione da parte degli “attori-accademisti”
che, stimolati dal pubblico di studenti, variarono il tono linguistico rapportandosi ai loro
interlocutori. 63 Per esempio: nelle precisazioni l’uso dell’enfasi e la cura del dettaglio che possono far scaturire inconsapevoli effetti umoristici; nel metaforico l’uso figurato e poetico della lingua. 64 Si veda il recente saggio di Umberto Eco Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, Milano 2003, in cui rileva come la traduzione sia anzitutto un processo di negoziazione, preceduto da un processo di interpretazione.
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La seconda fase di lavoro prevedeva come punto di partenza per le successive
variazioni stilistiche un testo originale; scelto il testo da variare e trasformare, bisognava
operare le variazioni secondo regole e stili linguistici differenti.
Dal punto di vista didattico tre sono stati i fattori significativi messi in atto durante il
percorso di scrittura giocosa.
1. ricerca di un testo: riferito ad un fatto di comune condivisione esperenziale legato
alla vita dell’Accademica Culturale, in grado di “indossare” molteplici stili
linguistici
2. espressione del pensiero divergente: attraverso i giochi di parole, le combinazioni
semantiche, le trasformazioni stilistiche, le trovate linguistiche, gli allievi possono
dare libero sfogo alla loro creatività
3. riflessione sulle funzionalità comunicative: gli allievi imparano a comprendere
come la poliedricità del reale può essere raccontata con gli infiniti modi della
scrittura e che la varietà del linguaggio con le sue molteplici intenzionalità può
esprimere i mille volti di una medesima realtà. A questo proposito ritornano alla
mente le parole di Wittgenstein: « ...nel gioco degli scacchi quel che conta, non
sono tanto i pezzi sulla scacchiera ma la loro disposizione».
L’esperienza linguistica presentata ha posto al suo centro il concetto di gioco che, come
ricorda Friedrich Schiller66, è un momento formativo essenziale in quanto rende armonica
la parte sensibile-emozionale dell’uomo con quella logica-razionale, i bisogni con
l’intelligenza, l’immediato con il mediato, la creatività con la legge, educando le persone
alla libertà e al ragionamento.
Dall’omaggio, umile e devoto, a un grande artificiere che ci ha insegnato «a
muoverci nella lingua come in una polveriera. E per artificiere si intende Maestro
dell'Artificio»67 sono nati i testi qui presentati realizzati dagli allievi del percorso di
scrittura giocosa:
65 Facoltà di Scienze della formazione, Corso di Lingua italiana – cattedra del Prof. Roberto Pellerey. 66 Friedrich Schiller, Lettere sull'educazione estetica del genere umano (1795). Schiller nacque a Marbach nel 1759 e morì nel 1805. Nel testo al quale si fa riferimento si teorizza l'armonizzazione dell'animo umano, tra i bisogni istintuali ed emotivi e la libera esperienza morale e razionale, mediante il gioco. Compito dell'educazione estetica è raggiungere questo supremo obiettivo. 67 Queneau Esercizi di stile, op. cit., prefazione diUmberto Eco.
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Titolo: IL POSTO
Testo di partenza : Dubbio: mi porto oppure no lo spazzolino da denti? Bè, la coperta sì,
potrebbe fare freddo, un thermos di caffè senz’altro e anche qualche brioscina.
Chissà se riuscirò a farmi chiudere in teatro stasera, così potrò occupare quella bella
poltrona di centro nella prima fila e non perdere neanche una parola della conferenza di
domani. Si parlerà di “Altruismo: disponibilità a cedere il proprio posto!”
Lucetta Bogetti
Disegno dell’allieva Tuire Fresolone
Secondo me è meglio...
Secondo me è meglio che lasci perdere quello schifo di un dentifricio che ti lascia la bocca
impastata alla menta che quando ti metti a bere il caffè non sai nemmeno se bevi caffè o
succhi una caramella che se poi è una caramella senza zucchero allora non riesci più
neanche a capire se sa di menta di mentolo di cedro di cedrone che non c’entra niente
perché è un uccello però ti viene lo stesso di sputare ma attento alla coperta che potrebbe
macchiarsi e allora dovresti sorbirti tutte le reprimende della tintora un signore come lei
sporcare così una così bella coperta che non l’avrei detto neanch’io se non mi fosse venuta
la brutta idea di farmi chiudere in teatro ed assicurarmi la poltrona centrale in prima fila per
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ascoltare al meglio la conferenza di domani che se glielo spiego alla tintora quella mi
prende per matto e chiama la Croce Bianca e allora è meglio che l’abbia spiegato solo a voi
che spero mi abbiate compreso o no?
Angela Gemelli
La mamma apprensiva
Portati lo spazzolino da denti e il filo interdentale! Tieni la coperta…non questa…prendi
quella che ti ho fatto io a maglia, di alpaca, è più calda! Ti ho preparato un thermos di
caffè, uno di latte caldo e la torta di mele, quella che ti piace tanto… Chissà se riuscirai a
farti chiudere dentro al teatro stasera… Portati lo spray per gli attacchi d’asma, con tutta
quella polvere che c’è nelle poltroncine di velluto e quella che ti arriva dalle tavole del
palcoscenico! Sei in prima fila! Mi raccomando, non perdere neanche una parola della
conferenza sul ALTRUISMO E DISPONIBILITA’ DI CEDERE IL PROPRIO POSTO,
che poi mi racconti tutto!
Patrizia Finetti
Ero arrivata in anticipo, mi ero seduta e mi ero messa a leggere un libro. Non passano due
minuti che una signora si ferma proprio davanti a me. - Proseguirà – penso. E invece no:
resta lì, immobile, tipo statua. Allora alzo gli occhi e la guardo, interrogativamente. -
Quello è il mio posto – dice, molto severa. Mi volto a guardare lo schienale: davanti, dietro,
sopra, sotto… - Il mio nome non c’è, ma quello è il mio posto – precisa, ancora più severa.
Mi cade il libro, lo raccolgo e riprendo a leggere, come niente fosse. Finalmente,
bofonchiando fra i denti qualcosa di furioso, se ne va.
Angela Gemelli
Il salutista naturofilo minimalista
Portarmi lo spazzolino da denti? No, bastano due foglie di salvia, me le sfrego bene tra le
gengive e occupano anche meno spazio. Un bel thermos di caffè d’orzo, due barrette di
integratori di minerali, una fetta di pane integrale sotto vuoto e io sono a posto. Ho anche
l’eskimo che mi tien caldo, ha la fodera isotermica. Mi piazzo in prima fila, proprio al
centro, per farmi chiudere dentro in teatro basta poco: mi appallottolo nella posizione yoga
del bocciolo di loto, riduco la respirazione al minimo, abbasso la pressione e i battiti
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cardiaci e chi mi vede o mi sente sotto la poltrona? Così posso starci anche quaranta giorni,
ma a me basta fino a domani, c’è la conferenza su “ ALTRUISMO: DISPONIBILITA’ A
CEDERE IL PROPRIO POSTO”. Grande! Non posso perderla!
Patrizia Finetti
Incontro
Sono riuscita a farmi chiudere dentro il teatro. Non potevo far altro: era l’unico modo per
assicurarmi il posto centrale in prima fila ed ascoltare così al meglio la conferenza di
domani. Naturalmente mi sono organizzata. Allora, il mio bel sciallone di cachemire lo
appoggio qui, nel caso fosse una notte fredda, e il termos di cioccolata calda con tanti buoni
biscottini da mangiarci dietro… qua. Tutto a posto: mi accomodo.
“Ciao bella!”
Ohhh…mamma mia, che spavento…”bella”?...
“Abbiamo tutta una notte da passare insieme!”
Ma come si perm…”insieme”? Se sapevo, mi mettevo qualche goccia di Chanel…
Angela Gemelli
E se poi...
Non posso assolutamente perdere la conferenza di quel professore (quanto m’attizza quel
bell’uomo!) perciò domani mi piazzo in prima fila, nella poltrona centrale e lo guardo –
cioè l’ascolto beata.
E se poi qualcuno mi precede ed occupa il mio posto? No, non ci posso pensare. Mi
conviene andare oggi, sedermi nella fatidica poltrona e trascorrervi la notte così domani mi
trovo già al mio posto inamovibile.
E se poi l’oscurità ed il silenzio notturno mi intimoriscono? Mi porterò una bella torcia
elettrica e la radiolina auricolare così la tremarella è sconfitta! Grande!!
E se poi ho fame o sete? Una bottiglia d’acqua e i miei biscotti al cioccolato saranno i
generi di confort! Mitico!!
E se poi mi viene l’ansia e non riesco ad appisolarmi? No problem: una pillola di Lexotan e
tutto è risolto! E vai!! Ed eccomi qui in platea. Il silenzio e l’oscurità mi avvolgono ma
tutto è sotto controllo. Domani è il gran giorno.
61
E se poi il professore non viene e la conferenza è annullata??...
Nives Sini Santi
Notte fonda. Cigolio della porta che si apre. Chi sarà? Se è qualcuno che mi vuole sloggiare
dalla mia poltrona centrale in prima fila, gli sparo. Bam bam bam.
Angela Gemelli
E’ stato un gioco farmi chiudere dentro al teatro per poter occupare quella bella poltrona al
centro della prima fila. Ah che bellezza, che tranquillità, ora tiro fuori il mio termos, i miei
biscotti e mi allargo nella mia poltrona sorseggiando il mio caffè.
Eh, ma che c’è? Che qualcuno abbia avuto la mia stessa idea? Mi guardo attorno, sento un
piccolo fruscio ma non vedo niente. Ah che buono il caffè, eh no, c’è qualcosa che striscia
sul mio piede! Sarà la coperta, ma, ecco, mentre mi chino per aggiustarla, vedo.. vedo UNA
CODA DI VISONE??? To’, mi dico, sarà una di quelle signore che ha perso il sopra collo
di pelliccia, ci tengono tanto loro al loro sopracollo!
Mentre sto consumando tranquilla il mio cibo vedo che questa coda si muove, balzo in
piedi di scatto e mi trovo davanti uno scoiattolo, no, proprio a me, che ho avuto sempre
paura degli scoiattoli Scoiattolofobia, hanno diagnosticato.
Grido, chiedo aiuto, ma nessuno può sentirmi! Salto da una poltrona all’altra senza mettere
piede per terra, poi rifletto: ma perché mi segue? Elementare, voleva il mio cibo.
Torno in prima fila, sempre saltando da una poltrona all’altra senza toccare terra e lascio la
mia cena sotto la poltrona. Poi riprendo il mio cammino verso il fondo, sempre saltando da
una poltrona all’altra e mi accovaccio sul sedile di una poltrona in ultima fila. Tutta la notte
l’ho trascorsa come uno scoiattolo su un albero. Quando hanno aperto il teatro, sono
scappata via. Talmente veloce che il custode avrà visto solo la mia coda.
Avevo appreso come cedere il mio posto.
Francesca Salvo
Quasi un’ode
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Il posto a cui tendeva
il vacillante mio piè
la tenera poltrona
di un cangiantino rosa
occupata già è
da un egoistaccio signor
che mal mi guarda,
un termos agguanta
e nella calda coperta
s’ammanta.
Da quel posto
niuno più lo sgancia.
Tu, poltroncina mia,
centrale e in prima fila,
tu, del mio udito
vetusto ed avvilito,
unico necessario amor,
in balia tu sei
di quel malcreato signor
che occupata ti ha già
stasera
per doman.
Angela Gemelli
Nonna infame
Sento la vecchia che, tutta ganza, dice alle amiche:”Ah! Per quel posto centrale, in prima
fila, domani darei qualsiasi cosa!” Bene, penso io, sto giusto racimolando un po’ di grana
per la nuova Play station e un bel cento euro mi farebbe comodo. “Nonna, dammi un
centone e domani il posto è tuo”. Sgrana gli occhi, sorride maliziosa e dice. “Ok, vediamo
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domani: se mantieni la parola il centone sarà tuo”. Liscio come il culo di un neonato - so
come entrare in platea. Faccio fesso il custode e mi ci introduco la sera prima, e ci passo la
notte …, non proprio bene, a dire il vero che un po’ di strizza ce l’ho avuta, tipo Fantasma
dell’Opera, ma il miraggio della Play station mi ha confortato. Arriva il giorno fatidico, e
alle sedici si presenta la nonna sorridente e con una strana luce negli occhi. Mi alzo “Ecco,
nonna, il posto è tuo fuori il malloppo!”. E lei petulante “Malloppo?! – tira fuori un
libricino – questo è un CENTONE piccola antologia di autori vari” e aggiunge
indisponente “E’ compito degli adulti insegnare ai nipoti che nella vita occorre fare patti
chiari altrimenti si può andare incontro a grosse delusioni!” E si siede soddisfatta nel suo
posto centrale, in prima fila. Sono minorenne ed ho anche le attenuanti. Che dite?
L’ammazzo??!
Nives Sini Santi
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Il mondo è tutto un palcoscenico, e uomini e donne, tutti, sono attori; hanno proprie uscite e proprie entrate; nella vita un uomo interpreta più parti…
William Shakespeare68
4. Per un teatro intergenerazionale: obiettivi e valori formativi
Per teatro intergenerazionale69, nel caso specifico della esperienza che qui si vuole
presentare e discutere, si intende un laboratorio teatrale rivolto a generazioni distanti tra
loro, una distanza che può essere ben rappresentata con la relazione nonni/nipoti. I
partecipanti sono bambini/ragazzi in età scolare (sei-tredici anni) ed anziani (sessanta-
ottanta anni) che possiamo definire nonni “biologici”.
Far agire questa distanza attraverso l’esperienza, comune ai due gruppi d’età,
dell’approccio al linguaggio teatrale, ha richiesto agli operatori di interrogarsi e
predisporre, seppur empiricamente, un metodo di “interazione generazionale”; una scelta
che ha radici culturali e formative ben precise (modello andragogico vs pedagogico).
Nelle società occidentali il rapporto tra i nonni e i nipoti è andato evolvendosi, negli
ultimi decenni, assumendo delle forme nuove rispetto al passato con la scomparsa della
residenza patrilocale. Da un lato, infatti, il prolungamento della vita media, il
miglioramento delle condizioni di salute degli anziani e in generale una più elevata qualità
dell’esistenza, hanno permesso ai nonni una partecipazione più attiva alla vita dei propri
nipoti, dall’infanzia fino al loro ingresso nell’età adulta. Dall’altro lato la sempre più
crescente tendenza dei giovani ad allungare la propria permanenza in seno alla famiglia di
origine rimandando la propria “uscita di casa”, genera un assetto relazionale, tra i giovani
stessi e i propri nonni, nuovo sotto uno svariato numero di aspetti emotivi, supportivi,
comunicativi.
68 William Shakespeare Tutto il teatro, Come vi piace, atto II, scena VII, trad. it. Antonio Calenda e Antonio Nediani, Newton, Roma 1993, p. 134. 69 Traduciamo provvisoriamente, in questo modo la dizione anglosassone Intergenerational theatre. Le esperienze di teatro intergenerazionale in Europa si sono sviluppate all’insegna del tema della memoria condivisa tra più generazioni. I casi più interessanti si riferiscono all’inglese Age Exchange Theatre di Pam Schweitzer (http://www.age-exchange.org.uk/makingmemoriesmatter/symposium.html), o gruppi teatrali austriaci come l’ Artemis Generationentheater. L’interesse per tali temi è evidenziato dal recentissimo (maggio 2005) European Reminiscence Symposium con il sostegno del progetto europeo the European Reminiscence Network, in cui era presente il laboratorio del Making Memories Matter Project, un lavoro in comune tra artisti e anziani sul tema della memoria.
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La relazione intergenerazionale si situa in un orizzonte teorico più generale, in una
concezione della vita come arco, collocando l’uomo e la sua ricerca esistenziale in un
continuum che abbraccia l’intero ciclo vitale sottolineando l’aspetto della interdipendenza
tra i gruppi, mettendo così in crisi tutto ciò che un retrivo senso comune del dato anagrafico
ci fa percepire come opposizione, separatezza, incomunicabilità delle esperienze di vita tra
anziani e giovani.
È il confronto fra le generazioni compresenti che risulta quanto mai interessante. Considerati nel contesto intergenerazionale, i giovani si percepiscono e si rappresentano con
molte più continuità, rispetto alle generazioni precedenti, di quanto normalmente si creda. In breve: i
figli assomigliano ai genitori assai più di quanto questi ultimi riescano a riconoscere o siano disposti ad
ammettere. Certamente, i comportamenti non sono uguali, perché diversa è la “biologia storica” di ogni
generazione. Ma se i figli sono così e non altrimenti, ciò avviene perché il mondo degli adulti, inclusivo
dei genitori, li socializza (o li de-socializza) e li educa (o diseduca) in un certo modo.
Le eredità che passano da una generazione all’altra sono più di quelle che i mass media
riescono a cogliere, anche se va sottolineato che la trasmissione da una generazione all’altra non
riguarda tanto i concreti valori, i contenuti culturali, le forme di vita, quanto piuttosto gli atteggiamenti,
ossia i modi di porsi rispetto ai problemi della vita, che finiscono naturalmente per generare altri valori
(o dis-valori) concreti, diversi da quelli delle generazioni precedenti.70
Gli anziani specchiandosi nei giovani riportano alla memoria la loro infanzia, i
giovani confrontandosi con gli anziani mettono in discussione l’immagine stereotipata che
ne da una parte della società contemporanea. Questo produce nei soggetti coinvolti una
dinamica di relazione, una reciprocità intergenerazionale71, un mutamento in cui l’aspetto
più importante dell’intero processo, sotto il profilo pedagogico, è la crescita sul piano
umano del gruppo.
Vorremmo sottolineare, come l’apprendimento del linguaggio teatrale, una
condizione senza prerequisiti nella esperienza della pratica laboratoriale, pone i due gruppi
generazionali sullo stesso piano ai blocchi di partenza; il differenziale che si produce
successivamente, ad esempio attraverso tecniche di narrazione, è quindi un processo dal
basso, che si sviluppa in progress.
70 Pierpaolo Donati Giovani e generazioni, Il Mulino, Bologna 1997, p. 17. 71 Pierpaolo Donati Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Bari 1998, p. 45.
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4.1 L´alba e il tramonto: generazioni a confronto
Il teatro come forma interattiva di linguaggi diversi (verbale, non verbale, mimico,
gestuale, prossemico, iconico, musicale ecc.), si configura come prezioso strumento
multidisciplinare e interdisciplinare sia per sviluppare una didattica intergenerazionale, sia
come valido supporto allo sviluppo di un metodo formativo basato sulla differenza d’età
dei partecipanti. È evidente quanto sia fondamentale la modalità di svolgimento
dell’attività educativa intergenerazionale, che deve necessariamente tenere conto delle
specificità culturali, emotive, relazionali riferite alla differenza d’età dei soggetti coinvolti,
ancora prima di qualsiasi contenuto (scelta dei materiali, testi teatrali, autobiografici ecc.).
È in questa ottica che il teatro, inteso come insieme di tecniche di comunicazione e di
trasmissione, può fornire un valido supporto per la costituzione di una relazione tra
generazioni creando la necessità di interrelazione tra le persone.
Un'ulteriore valenza formativa del teatro consiste nella sua capacità di meglio
rappresentare, rispetto alle tradizionali forme di insegnamento, i sistemi di vita e i valori di
generazioni diverse, poiché esso è in grado di rappresentare non solo i tratti visibili delle
culture, ma anche quelli non immediatamente percepibili come i miti, le credenze, il senso
comune, la visione del mondo. In quest'ottica fare teatro intergenerazionale significa
ricreare significati culturali non solo tramite le parole, ma anche attraverso la mimica, il
gesto, la prossemica, l'ironia.
Tra le diverse abilità cognitive che il laboratorio intergenerazionale può far raggiungere ai
suoi partecipanti, ci sembra importante sottolineare qui, l’ascolto attivo empatico72, e saper
"ben ascoltare" può portare ad aprire la mente a nuove idee, a nuove soluzioni, ad
arricchimento della persona.
Con la parola empatia intendiamo quello che una grande pensatrice ci ha aiutato a
comprendere. Edith Stein73, infatti, ci consegna il concetto di empatia liberandolo dalle
invasioni di campo stereotipate e riportandolo alla dimensione della relazione originaria.
72 Si veda Marianella Sclavi Arte di ascoltare e mondi possibili, Mondadori, Milano 2003, p. 63. 73 Cfr. Edith Stein, L’empatia, a cura di M. Nicoletti, Franco Angeli, Milano 1986.
67
Al centro del concetto di empatia è il mettersi in contatto con il mondo dell’altro, è l’atto
paradossale attraverso il quale la realtà di un altro diventa elemento dell’esperienza
comune: quella del sentire insieme, del muovere il desiderio dell’uno e dell’altro che
produce espansione, ampliamento verso ciò che è imprevisto, ancora ignoto.
Nell’ascolto attivo empatico ci si pone in condizione di "ascolto efficace" provando
a mettersi "nei panni dell’altro", cercando di entrare nel punto di vista del nostro
interlocutore e comunque condividendo, per quello che è umanamente possibile, le
sensazioni che manifesta. Dall’ascolto attivo empatico è escluso, ovviamente, il giudizio di
valore.
Delle "Sette regole dell'arte di ascoltare" che riportiamo qui in nota74, quella che più
immediatamente rende l'idea di cosa si intende per ascolto attivo empatico è la seguente: se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli
di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.
L'Ascolto Attivo implica il passaggio da un atteggiamento del tipo "giusto-sbagliato", "io ho
ragione-tu hai torto", "amico-nemico" ad un altro in cui si assume che l'interlocutore è intelligente e che
dunque bisogna mettersi nelle condizioni di capire com'è che comportamenti e azioni che ci sembrano
irragionevoli, per lui sono totalmente ragionevoli e razionali.
L'atteggiamento giusto da assumere quando si pratica l'Ascolto Attivo è diametralmente
opposto a ciò che caratterizza quello che tradizionalmente viene considerato un buon osservatore:
impassibile, "neutrale", sicuro di sé, incurante delle proprie emozioni e teso a nascondere e ignorare le
proprie reazioni a quanto ascolta. Al contrario, se vogliamo entrare nella giusta ottica, dobbiamo
imparare qualcosa di nuovo e sorprendente, che ci "spiazza" dalle nostre certezze e dunque che ci
consente di dialogare.
Questo significa che dobbiamo essere disponibili a sentirci "goffi", a riconoscere che facciamo fatica a
74 Ecco le regole dell’arte di ascoltare secondo Marianella Sclavi: 1) Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca. 2) Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista. 3) Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva. 4) Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali, se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico. 5) Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze. 6) Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti. 7) Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare l’umorismo viene da sé.
68
comprendere ciò che l'altro ci sta dicendo: in questo modo stabiliamo rapporti di riconoscimento,
rispetto e apprendimento reciproco che sono la condizione per affrontare congiuntamente e
creativamente il problema. È la rinuncia alla arroganza dell'uomo-che-sa e l'accettazione della
vulnerabilità, ma anche l'allegria, della persona-che-impara, che cresce, che cambia con gli altri invece
che contro gli altri75.
Come si colloca l’ascolto attivo in una pedagogia teatrale? Le necessità perspicue
della comunicazione teatrale infrascenica, richiedono ovviamente l’assimilazione di tempi e
ritmi del dialogo parlato; la coscienza di una compresenza dei corpi nello stesso spazio e la
necessità di coordinare gesti e movimenti sull’altro o sugli altri.
Il fare teatro, aggiunge all’ascolto empatico, una dimensione corporea, dando
materia all’empatia e radicandola in questo modo anche in un contesto extramentale, che è
più vicino alla sfera dell’io, alla esperienza della percezione del sé.
Il lavoro preparatorio di un allestimento si configura quindi, diremmo
“naturalmente” affine alle tecniche e le pratiche dell’ascolto teorizzato dalla Sclavi.
4.2 Progetto Alfabeto di Auschwitz Ogni forma di spettacolo è recupero del passato, progettazione del futuro, messa in discussione del presente.
Gian Renzo Morteo76
A partire dal 1998, in occasione del sessantesimo anniversario della promulgazione
delle leggi razziali in Italia e per i tre successivi anni scolastici, il ministero della Pubblica
Istruzione ha lanciato su scala nazionale il progetto Il Novecento, i giovani e la memoria,
per sensibilizzare gli studenti italiani a non dimenticare la tragedia dell'olocausto. Esso ha
coinvolto migliaia di studenti e ha spinto insegnanti e studenti ad interrogarsi su certi temi
specifici della storia del Novecento, quali la deportazione politica e razziale, le
discriminazioni e i campi di sterminio. Ogni istituto, per ottenere un finanziamento, doveva
presentare alle Commissioni Provinciali per la Storia, istituite in ogni provveditorato per
75 Sclavi, op. cit., p.60. 76 Gian Renzo Morteo Ipotesi sulla nozione di teatro, Centro studi - Stabile di Torino, 1994.
69
facilitare la riflessione sulla didattica della storia del Novecento, lo schema del progetto
elaborato.
A questa iniziativa ha aderito anche la Scuola Media G. Rossi di Santa Margherita
Ligure, con le classi II A e B, che nell'anno scolastico 2000/01 hanno realizzato, con le
docenti di lettere Prof. Albertina Corticelli e Prof. Bianca Gozzi, insieme a Patrizia Ercole
operatore esterno esperto in ambito teatrale e in collaborazione con la classe di Teatro
dell’Accademia Culturale 1° Università della “Età d’oro” di Rapallo, un laboratorio teatrale
i cui risultati sono ancora oggi visibili anche sul web,
Punto di partenza del progetto è stato l’"Alfabeto di Auschwitz", versione italiana di
"An Auschwitz Alphabet" di Jonathan Wallace, il cui originale inglese si trova all’indirizzo
http://www.spectacle.org/695/ausch.html. Si tratta di un pregnante ed esaustivo lavoro
sull’Olocausto, e sul lager di Auschwitz in particolare, che Wallace ha ricostruito quale
tributo a Primo Levi, indimenticabile voce dalla Shoah, ed anche alla sua famiglia, alle sue
origini e alla sua eredità storica di ebreo moderno. Il testo di Wallace è stato utilizzato
come griglia, entro le cui voci (da A: Arbeit Macht Frei fino a Z: Zyklon B), i ragazzi sono
stati sollecitati, attraverso le letture, la visione dei film e le testimonianze raccolte, a
scrivere le loro impressioni sia in forma di testo dialogato, quanto nell’immediato ed
emotivo mezzo espressivo della poesia e del disegno. Scelta non casuale poiché, la poesia e
i disegni furono uno dei pochi se non l’unico segno del senso della vita in quella tragedia,
come mostrano le opere a noi pervenute dei bambini prigionieri nella città ghetto di
Terezin.
Il progetto prevedeva, oltre all’adattamento teatrale dell’Alfabeto di Auschwitz di Jonathan
Wallace:
1. poesie e disegni realizzati dagli allievi delle classi 2° A e B e recitati dagli autori;
2. voci dei testimoni con gli allievi del laboratorio teatrale dell’Accademia Culturale
1° Università della “Età d’oro” di Rapallo, che hanno presentato brani da
L’istruttoria di Peter Weiss;
3. filmati e immagini tratte dal CD Rom Destinazione Auschwitz - Proedi Editore e dal
Word Wide Web
70
Il laboratorio teatrale è divenuto anche un percorso di scrittura teatrale e drammaturgica,
utilizzando sia il manuale di storia sia le fonti orali, quali le testimonianze degli anziani di
Santa Margherita, così da coinvolgere più attivamente, anche a livello della storia familiare,
gli studenti.
È evidente che tale impostazione della attività non poteva che nascere dalla premessa,
condivisa dagli insegnanti della “Rossi” sensibili al rinnovamento didattico, della centralità
del discente nel processo educativo, dell’unicità e unitarietà - testa, cuore, pancia - della
persona, sia esso ragazzo o anziano. Anche se considerare i discenti come “fonti culturali” costituisce una utopia che assume contorni di
possibile concretizzazione solo in quella particolare dinamica educativa attivata dal docente che cerca di
instaurare una comunicazione plurima con i discenti, considerando questi e se stesso agenti di cultura.
[…] una didattica che non racconti le “cose” al discente ma che impegni il discente nella ricerca di
personali ed efficaci modi di raccontare le “cose”77.
Scheda progetto Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue della vita, è stato inutile.
Etty Hillesum (1914-1943) 78 Anno di avvio del progetto: ottobre 2000 Mese e anno in cui si prevede la conclusione del progetto: giugno 2001 PROGETTO DI FORMAZIONE per le seguenti discipline: Educazione al teatro, Educazione civica, Educazione all’immagine e di APPROFONDIMENTO CURRICULARE delle seguenti discipline: Lingua italiana, Storia, Educazione Artistica. TIPOLOGIA DEL PROGETTO di classe; indicare quale/i: classe II A e B Scuola Media G. Rossi di S. Margherita Ligure, con le docenti di lettere Prof. Albertina Corticelli e Prof. Bianca Gozzi, e la classe di Teatro dell’Accademia Culturale 1° Università della “Età d’oro” di Rapallo DENOMINAZIONE DEL PROGETTO Alfabeto di Auschwitz LABORATORIO TEATRALE e di SCRITTURA DESTINATARI DEL PROGETTO N. classi: 2 + 1 Accademia Culturale 1° Università della “Età d’oro” N. insegnanti: 2 N. alunni: 42 Scuola Media + 8 Accademia Culturale OBIETTIVI (elementi del curricolo verticale che l’esperienza intende fondare)
77 G.Guidi, L. Mignola, T. Russo Agrusti Insegnare tra le quinte, La Nuova Italia, Firenze, 1988, p. 17 e sgg.. 78 Si veda Etty Hillesum, Diario (1941-1943), Adelphi, Milano 1996.
71
- Promuovere la massima integrazione di tutti i soggetti interessati, specialmente di quelli in situazione di disagio socio-ambientale, - Comprendere la funzione ed il significato dello stare in una comunità sociale, - Promuovere lo spirito di collaborazione, sentimento di stima e valorizzazione reciproci, - Rafforzare lo sviluppo dell’affettività e della creatività, - Interiorizzare la necessità e l’importanza delle regole e dei comportamenti, - Valorizzare la diversità in un reciproco arricchimento, - Valorizzare la testimonianza come modalità di conoscenza della storia. DESCRIZIONE DEL PROGETTO CONTENUTI Punto di partenza del progetto è l’"Alfabeto di Auschwitz", versione italiana di "An Auschwitz Alphabet" di Jonathan Wallace, il cui originale inglese si trova all’indirizzo http://www.spectacle.org/695/ausch.html. Si tratta di un pregnante ed esaustivo lavoro sull’Olocausto degli ebrei, e sul lager di Auschwitz in particolare, che Wallace ha ricostruito quale tributo a Primo Levi, indimenticabile voce dalla Shoah, ed anche alla sua famiglia, alle sue origini e alla sua eredità storica di ebreo moderno. OBIETTIVI Il principale intento di questo progetto è quello di utilizzare il testo di Wallace quale griglia, entro le cui voci (da A: Arbeit Macht Frei fino a Z: Zyklon B), i ragazzi saranno sollecitati a scrivere le loro impressioni sia in forma di testo dialogato, quanto nell’immediato ed emotivo mezzo espressivo della poesia e del disegno. Creando un montaggio di testi originali dei ragazzi inseriti nelle testimonianze e documentazioni dell’”Alfabeto di Auschwitz”, con un supporto audiovisivo, il CD Rom Destinazione Auschwitz della Proedi Editore BIBLIOGRAFIA e FILMOGRAFIA Gli allievi leggeranno brani da:
1. Il Diario di Anna Frank (diverse edizioni) 2. Annette Wieviorka, "Auschwitz spiegato a mia figlia", Einaudi Tascabili 3. Fred Uhlman L’amico ritrovato, Feltrinelli 4. L’Alfabeto di Auschwitz" , di libero accesso su internet dal Museo di Washington sulla Shoah,
curato da Jonathan Wallace 5. Brani tratti dal "Diario" di Etty Hillesum, Adelphi 6. Liana Millu, "Il fumo di Birkenau". Giuntina, Firenze 7. Helga Schneider, "La porta di Brandeburgo", Rizzoli
Gli insegnanti a loro scelta proporranno brani da : • Claude Lanzmann, " Shoah", Bompiani • Primo Levi, "Se questo è un uomo", "I sommersi e i salvati", Einaudi • Frediano Sessi, "Genocidio", Giuntina • Anna Bravo " La vita offesa", Angeli • Beccaria Rolfi, " Il futuro spezzato" Giuntina
FILMOGRAFIA Kapò (Italia, 1960) Gillo Pontecorvo L’amico ritrovato (Francia, 1989) Jerry Schatzberg Vincitori e vinti Judgementat Nuremberg (Usa, 1961) Stanley Kramer Jona che visse nella balena (Francia/Italia, 1993) Roberto Faenza Schindler List
METODOLOGIA Fase di drammatizzazione: - discussione e scelta del soggetto, - realizzazione pratica, - fase di analisi critica. Fase di scrittura creativa:
- - costruzione di un testo, con caratteristiche teatrali, - - impostazione del quaderno di regia, per approfondire, riprendere, cambiare.
72
Fase artistico – operativa: - ideazione e realizzazione di disegni. Fase comunicativa:
- realizzazione del testo scritto, - prove e affinamento delle tecniche recitative.
Fase per la fruizione: - partecipazione alla Rassegna Teatro Giovane, - partecipazione allo spettacolo teatrale. PRINCIPALI ATTIVITA’ PREVISTE PER IL CORRENTE ANNO - Animazione teatrale – Drammatizzazione. - Ideazione e scrittura di un testo originale. - Rappresentazione. TEMPI DI SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ Per l’intero anno scolastico. MODALITA’ DI SVOLGIMENTO (procedura e metodo)
- 2 ore settimanali in modo più intenso nella fase precedente la rappresentazione, - Metodo della partecipazione attiva e coinvolgimento personale.
RICADUTA PREVISTA ALLA CONCLUSIONE DEL PROGETTO - A livello personale: maggiore coscienza di sé, autostima e capacità di impegnarsi in modo creativo ed autonomo, - A livello di gruppo, capacità di collaborare, ascoltare e valorizzare l’altro. PRODOTTI Testo teatrale originale. RISORSE PROFESSIONALI DA UTILIZZARE Docenti di lettere, insieme ad un operatore esterno esperto in ambito teatrale. ISTITUZIONI ED ENTI EVENTUALMENTE COINVOLTI Ministero della Pubblica Istruzione per l’iniziativa: IL '9OO, I GIOVANI E LA MEMORIA (C.M. del 9/10/1998, reiterata per il 2000/2001) MODALITA’ E STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI - Osservazioni in itinere, - Testi e riflessioni realizzati dai ragazzi stessi. INSEGNANTI REFERENTI DEL PROGETTO Nominativo/i: Albertina Corticelli, Bianca Gozzi, Patrizia Ercole Note di fine progetto Non esiste che una scienza [la storia] degli uomini nel tempo, ed essa ha incessantemente bisogno di unire lo studio dei morti a quello dei viventi.
Marc Bloch79
Drammatizzare la storia, nel senso originario dell’espressione, è sollevarla dalla
cronaca e con questo renderla universale. Recentemente, sulla scena italiana si è affacciato
con grande successo il “teatro di narrazione” con spettacoli dal contenuto strettamente
legato alla storia italiana del Novecento. Vale la pena citare le riflessioni di Ascanio
Celestini, uno dei protagonisti:
73
La storia in teatro non deve essere "lezione di storia". Deve essere soggettiva e oggettiva,
razionale e passionale allo stesso tempo. Deve tener conto dell'oggettività dei fatti per raccontarne la
soggettività. Nel senso che l'attore-autore deve conoscere l'avvenimento di cui tratta e in maniera onesta
deve riportarlo allo spettatore, ma deve anche mostrare che quell'avvenimento riguarda e ha riguardato
delle persone, che è rimasto nella loro memoria. E forse è proprio nella memoria la chiave per costruire
questo legame razionalità-passione e oggettività-soggettività. Nella memoria si depositano i fatti con il
peso che deriva dal loro oggettivo accadere, ma poi è la passione del singolo che mette in moto il
ricordo e permette all'evento di essere comunicato80.
I ragazzi hanno intervistato i nonni e gli anziani dell’Accademia Culturale 1°
Università della “Età d’oro” di Rapallo per avere una testimonianza diretta del tempo
storico preso in esame; questo processo ha portato ad una percezione nuova dell’anziano e
del valore della sua esperienza, fortificando la relazione affettiva e la stima.
Ricordiamo che negli ultimi vent'anni nelle scienze sociali e specialmente nel
campo delle ricerche antropologiche e etnografiche è venuta emergendo una concezione
delle emozioni non più come eventi contrapposti al pensiero, ma come "pensieri
incorporati", appresi nella cultura di appartenenza, e relativi a un tipo di apprendimento che
coinvolge direttamente la propria identità.
La sottolineatura degli aspetti emozionali, come è noto le emozioni a teatro
funzionano cognitivamente81, era coerente con un progetto non finalizzato a trasmettere
conoscenze legate ai vari saperi curricolari implicati nell'iniziativa, ma a suscitare,
attraverso le emozioni, possibilità di intuizione, scoperta e acquisizione personale.
Lo svolgimento del laboratorio, della durata di un anno scolastico, è stato strutturato
in una prima fase con i due gruppi generazionali (nonni/nipoti o anziani/giovani) che hanno
lavorato separatamente sul progetto. L’attività era prevista al mattino in orario curricolare
all’interno della Scuola Media Rossi di Santa Margherita Ligure.
Successivamente, nella seconda fase i gruppi sono stati uniti attuando un proficuo
confronto che ha dato modo di osservare i seguenti problemi nella dinamica della relazione:
1) gli anziani, inizialmente, sono passati attraverso un conflitto generazionale non
riconoscendo i comportamenti dei giovani che tanto si differenziavano dal tempo della loro
79 Marc Bloch Apologia della storia, Einaudi, Torino 1981, p. 56. 80 Da un’intervista ad Ascanio Celestini Lavorare sulla verità del teatro su http://www.ascaniocelestini.it/. 81 Cfr. Marco De Marinis Capire il teatro, La casa Usher, Firenze 1988, pp. 226-227.
74
giovinezza. Poiché il «conflitto è una proprietà costitutiva di ogni relazione e di ogni
processo di conoscenza»82 è stato vissuto dagli insegnanti e dai discenti positivamente,
consapevoli che lo stesso modo di porsi di fronte a un altro o a un oggetto di conoscenza, è
caratterizzato da una relativa irriducibilità, mentre lascia emergere le opportunità di
apprendimento e approssimazione è peculiarmente conflittuale.
2) i giovani hanno riconosciuto gli anziani come attori esperti e competenti e ne
hanno ricavato una sicurezza nell’affrontare l’esperienza teatrale sul palcoscenico.
L’attenzione che gli anziani hanno dimostrato nei confronti dei giovani ha permesso
l’attivazione di un processo fondamentale che coinvolge il livello di “sviluppo potenziale”,
quello che Lev Vygotskij83 chiama zona di “sviluppo prossimale”, attraverso un’azione
centrata sulla valorizzazione di ciò che quel soggetto è e può diventare in un processo di
apprendimento;
3) gli anziani, tutti nati negli anni ’20, sono divenuti la personificazione della
memoria, testimoni reali di quel tempo. Grande è stato lo spiazzamento emotivo sia nei
giovani che nel corpo docente che ha riconosciuto in essi la voce viva della memoria.
Essi si sono fatti carico di dare corpo e sangue alla narrazione storica per fare
interiorizzare alle giovani generazione la drammaticità di quegli eventi, per esempio il testo
Miei cari genitori...addio84
Le parole, della lettera, per la realizzazione scenica hanno dovuto prima “abitare” il
vissuto dell’anziano per ritrovare verità e vita poiché grande e ricca è “la cassetta degli
attrezzi” emozionale in loro, per poter infine essere comprese realmente dai giovani.
Nella stima che i giovani hanno dimostrato nei loro confronti si è evidenziato la
trasformazione del legame da rapporto in relazione, che, come ci dice Kracauer85,
82 Cfr. Ugo Morelli e Carla Weber Passione e apprendimento, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996. 83 Lev Vygoskij Il processo cognitivo, Bollati Boringhieri, Torino 1980. 84 Miei cari genitori, se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me. Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe… Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra (ci hanno portato via anche i nostri mantelli). Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno e il mio corpo è pieno di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna: ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia. L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato… Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo di qui. Dico addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei fratelli, e piango… Lettera scritta in yiddish da un ragazzo di 14 anni nel campo di concentramento di Pustkow.
75
mentre la relazione è un legame "emotivo" che unisce due esseri distinti per caratteristiche
personologiche, il "rapporto" non implica affatto legame emotivo.
Solamente se alla base del rapporto c'è partecipazione emotiva, affettiva, può diventare relazione. È
questo tipo di relazione che prepara il terreno all'amicizia come scelta cosciente; scelta che diviene
occasione per comunicare disinteressatamente se stessi ad un altro diverso da noi.
Questo lavoro sulla memoria collettiva che si fa parola teatrale ha avuto un
riscontro molto significativo alla
Rassegna Teatro Giovane 2001 di
Rapallo, ricevendo il Premio
Speciale della Giuria. Partecipare alla rassegna è stato
altamente motivante poiché tutti, ragazzi,
docenti, non docenti, famiglie hanno
percepito di far parte di un contesto
sociale più ampio di quello della scuola e
della famiglia. Con la partecipazione alla
rassegna l’attività teatrale è diventata
occasione di integrazione sociale oltre
che mezzo per sviluppare capacità
linguistiche, espressive, fantasia e
creatività.
76
85 Siegfried Kracauer Sull'amicizia, Marietti, Genova 1989, p. 69-70.
Due poesie e disegni a titolo esemplificativo del percorso fatto:
ro e denaro Ho perso tutto Abitavo in una reggia, ora mi trovo in un dormitorio; sporco, puzzolente, pieno di topi. Avevo una moglie da amare, ora mi trovo solo, senza nessuno. Avevo dei figli d’accudire, ora devo badare solo a me stesso. Avevo un lavoro a pagamento, ora lavoro gratis, con dolore, per persone che non conosco. Ho perso tutto, tutto quello che mi rendeva uomo.
Valentina, 2 A
yklon B Sotto le docce Prima la calma, poi un urlo nella stanza delle docce regna il delirio, l’aria si fa aspra. vedo gli altri cadermi attorno uno dopo l’altro. Sento la morte vicino a me cado a terra, la lingua mi soffoca e davanti a me passano i più bei momenti della mia vita. Il cuore cessa di battere. Poi chiudo gli occhi e mi lascio andare.
Giulio, 2 B
77
Conclusioni
Nessuno educa nessuno, gli uomini si educano insieme. Paulo Freire86
Giunti alle conclusioni ci sembra giusto lasciare la parola hai protagonisti dei
laboratori:
per Biancalice, otto anni, classe 3 B
il teatro è il luogo dove non c’è niente e può succedere tutto e per Agostino, classe 1930, il teatro è il divertimento di esplorarci dal di fuori e dal di dentro alla ricerca di un equilibrio
rinnovato. Il divertimento di provare a identificarci in quello che non siamo mai stati, di proporci in altri
modi a noi stessi e agli altri contemporaneamente e diversamente, senza confonderci e senza ingenerare
confusioni.
Alcune considerazioni derivabili da questi testi:
1. il bambino percepisce immediatamente, senza pregresse costruzioni culturali non
solo l’aspetto del possibile legato al teatro, le sue valenze libertarie ma anche mette
direttamente in rapporto l’accadere sulla scena con il suo saper fare accadere, le
possibilità di azione e protagonismo che esso gli offre
2. Agostino, un adulto che sceglie di “fare teatro” scopre che esso gli permette
un’attiva riflessione su se stesso, sulle sue relazioni con i mondi degli altri, che il
fare teatro porta alla comprensione delle dinamiche e della complessità dell’arte
teatrale vivendone direttamente l’esperienza.
In entrambi i testi, il bambino e l’anziano percepiscono il teatro come non stare al
gioco ma stare nel gioco; essi concordano, senza saperlo, con Eugenio Barba per cui il
teatro è ricerca, trasversalitá, un «essere continuamente in transizione, […] come non
accamparsi in ciò che abbiamo accumulato»87. Tutti, in un certo senso, siamo “attori”
86 Si veda Paulo Freire La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1971. 87 Barba E.- D’Urso T., Viaggi con Odin Teatret, Editrice Alfeo, Brindisi 1990.
«impegnati in un atto creativo che è la composizione continua delle nostre vite»88.
Un aspetto ulteriore su cui vale la pena di offrire uno spunto di discussione agli
operatori è il fatto che mettere sul palcoscenico, con intento pedagogico, due diversi gruppi
d’età, vuol dire approfittare della finzione teatrale89 per produrre un cambiamento nella
realtà delle relazioni generazionali.
Da questo punto di vista, soltanto dalla finzione, e dalla reciproca adesione o meno
ad essa, può nascere tra attore e pubblico, tra adulti e bambini, una relazione ed una
comunicazione di tipo teatrale.
C’è oggi nel linguaggio e nella riflessione teorica sul teatro una duplice valenza,
una vitale ambiguità (in senso filosofico): esso serve a comunicare-esprimere qualche cosa
verso gli altri, esso serve a percorrere un itinerario interiore, dentro di sé e per sé.
E’ da notare come, anche quando il lavoro è prezioso soprattutto per chi lo compie
dentro di sé, gli esiti più validi si ottengano sempre in un quadro collettivo elaborando
insieme un progetto, sperimentandolo, interagendo gli uni con gli altri.
Anche in alcune esperienze del teatro professionale contemporaneo90 si coglie
l’importanza che sempre più oggi ha il lavoro del teatrante - attore, regista, coautore
comunque dello spettacolo - non solo in ordine al risultato, lo spettacolo appunto, ma come
forma valida in sé di autocontrollo spirituale e fisico, di presa di coscienza, di supremo
equilibrio della persona in se stessa e nel rapporto interpersonale.
Vogliamo adottare, ancora una volta, una definizione di Eugenio Barba, a mo’ di
conclusione per cui il teatro «… è un’isola galleggiante, un’isola di libertà. Derisoria,
perché è un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambia il mondo. Sacra, perché
cambia noi».91
88 Si veda Mary Catherine Bateson Comporre una vita, Feltrinelli, Milano 1992. 89 È probabilmente un po’ troppo riduttivo, nel variegato panorama di esperienze e di teorie elaborate nei secoli, affermare con assoluta certezza che dove non esiste la finzione non esiste il teatro. Ma certo è che tale concetto costituisce un termine di riferimento indispensabile alla riconoscibilità stessa di un linguaggio come teatrale, proprio perché rappresenta un elemento inscindibilmente legato alla sua stessa natura. È proprio tenendo conto di questo profondo legame che, pur semplificando un poco, ci pare comunque corretto proporre di considerare la finzione come fattore generativo del teatro e, insieme, come suo tratto caratteristico fondamentale. 90 Cfr. Capitolo 3.3 Un viaggio di dieci anni nel teatro del Novecento. 91 Si veda di Eugenio Barba La casa delle origini e del ritorno - Discorso di Varsavia, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa dall’Università di Varsavia il 28. 5. 2003.
79
Da parte mia non posso che sollecitare l’introduzione di un’educazione al teatro
nella società quale nuovo strumento pedagogico, aperto a tutte le età, come espressione di
sogno, di utopia, di vita.
80
Appendice Teatro didattico: una pratica che si fa parola teatrale
Il significato etimologico - didàskein, insegnare - acquista in ambito scolastico
soprattutto il senso di "moraleggiante" e "istruttivo", legandosi a criteri, programmi e
metodi d'insegnamento. Il "teatro didattico" è finalizzato all'apprendimento e
all'informazione; trae i suoi contenuti dai programmi scolastici (es. storia, lingua straniera,
letteratura anche drammatica, ecc.) o affronta temi suggeriti dalle direttive ministeriali (es.
educazione alla salute, ambiente, intercultura, ecc.) come nel caso specifico; Il Novecento, i
giovani e la memoria. La dimensione artistica o anche solo espressiva, è subordinata
all'obiettivo.
Se gli obiettivi sono espliciti, se si presta attenzione al "come" fare e "con chi" si sta
facendo, il "teatro didattico", può acquistare in senso e leggerezza. Dice Patrice Pavis:
«Didattico è qualsiasi teatro che miri a istruire il pubblico, invitandolo a riflettere su un
problema, a comprendere una situazione o ad adottare un certo atteggiamento morale o
politico. Poiché il teatro non presenta, generalmente, un'azione gratuita o priva di senso,
una componente didattica accompagna necessariamente ogni lavoro teatrale»92.
Per Brecht: "Il teatro rimane teatro, anche se è teatro d'insegnamento; e, nella misura in cui
è buon teatro, è anche divertente […] l’arte teatrale deve rendere ancora possibile
l’atteggiamento critico dello spettatore. Questo atteggiamento non è nulla di avverso, di
ostile all’arte, come spesso si crede, ma è fonte di godimento come di emozioni, è già di per
se stesso un’esperienza; ed è soprattutto un atteggiamento produttivo". Brecht non ha
creato il teatro epico perché gli uomini scambiassero la finzione per la realtà ma per
«rivolgersi alla ragione di ogni singolo spettatore, per “guardare” sulla scena eventi
osservabili da una prospettiva storica, laddove per prospettiva storica possiamo intendere
quel massimo di distanza emotiva che garantisce l’immersione temporanea in un massimo
di prossimità emotiva»93.
92 Si veda Patrice Pavis Dizionario del teatro, Zanichelli, Bologna 1998. 93 Si veda Gao Xingjian Io, Gao alunno di Brecht, “La Repubblica”, 19 ottobre 2000.
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Nel Novecento, il "teatro didattico" assume forme molto interessanti e provocatorie:
dal teatro d'agit-prop94 (agitation-propagande) ai Lehrstücke, i drammi pedagogici di
Brecht, fino al primo "Teatro per Ragazzi", collegato all'animazione teatrale, sia italiano
che europeo.
È il teatro dei Gesuiti95, che si sviluppa in tutto il mondo cristiano fino alla
temporanea soppressione dell'ordine nel 1773 il primo grande esempio di teatro didattico,
nato allo scopo di edificare il pubblico nel contesto di un organico programma di
insegnamento. Nell’ambito dei processi di formazione, i Gesuiti si distinsero in modo
particolare per l’impiego massiccio che fecero del teatro96. I loro collegi, ovunque
sorgessero, furono caratterizzati dalla presenza di un teatro;ciò avvenne non solo in tutti i
maggiori centri d’Europa, ma anche in America e in Asia. Al teatro i Padri attribuivano
un’articolata pluralità di obiettivi scolastici e sociali; da questo punto di vista lo si può
considerare un’anticipazione che, in termini moderni, si chiama ‘teatro politico’, «cioè
esplicitamente ordinato a un fine e commisurato su un destinatario non ideale, ma
storicamente definito»97.
L’attività teatrale offriva secondo i Gesuiti «un nuovo mezzo per sviluppare nei
cuori degli allievi i sentimenti più generosi, per mettere sotto i loro occhi l’esempio assiduo
della costanza e del coraggio che la virtù esige, per ispirar loro il disgusto dei vizi,
esponendogliene il ridicolo e gli orrori, per fortificare la loro educazione religiosa e
sociale» 98. Scopertone l’alto valore pedagogico, i religiosi diedero alle rappresentazioni
94 Forma di spettacolo teatrale che si propone di trattare temi politici in maniera diretta e immediata, con linguaggio semplice ed efficace, facendo partecipare il pubblico e spesso coinvolgendolo nell'azione drammatica. Storicamente per a.-p. si intende quella serie di manifestazioni, largamente diffuse durante il periodo della rivoluzione in Urss, in cui artisti dell'avanguardia politica e militanti di base, davano vita a spettacoli brevi, con tesi precise e politicamente determinate, su argomenti tratti dall'esigenza rivoluzionaria. Azioni teatrali all'aperto furono i giornali viventi, i montaggi letterari, i documenti sceneggiati. Ma a.-p. furono anche i grandi spettacoli di massa (ad esempio La presa del Palazzo d'inverno del 1920, diretto da Evreinov). Majakovskij e Mejerchol'd sono tra le personalità di rilievo che operarono in questo campo. Introdotto a Berlino da E. Piscator nel 1929, l'a.-p. esercitò grande influenza sul teatro politico europeo. 95 Furono i Gesuiti a ideare nel ’500 il «teatro scolastico» come strumento non occasionale di educazione, ma come aspetto integrante dell’attività di insegnamento e di apprendimento e di formazione dei giovani: cfr. Claudio Desinan, Drammatizzazione e Scuola, Firenze, C.D.N., 1968, p. 10. 96 Per ulteriori ragguagli sul teatro di collegio dei Gesuiti cfr. Giovanna Zanlonghi, Teatri di formazione, Milano, Vita e pensiero, 2002, pp. 283-310. 97 Gian Renzo Morteo, Una questione di lunga durata, in Loredana Perissinotto - Giorgio Testa (a cura di), Scena educazione. Per un rapporto organico tra scuola e teatro, Torino, ETI-Agita, 1995, p. 25. 98 Signorelli op. cit., p. 12.
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teatrali un grande sviluppo e le circondarono di grande splendore. Il loro contributo in
quest’ambito fu così rilevante che, nel corso del Seicento, incrementò lo sviluppo di una
nuova cultura teatrale in Italia, poiché i Padri si avvalevano della competenza di
drammaturghi specializzati, scenografi, coreografi, musicisti che hanno stimolato
importanti riflessioni teoriche e favorito la circolazione di modelli e di testi. Con la
comparsa nel 1599 della Ratio Studiorum e in particolare con i suoi ampliamenti e
perfezionamenti successivi, anche il teatro fu sottoposto a regole severe e precise.
Questo teatro nasce nei collegi gestiti dai gesuiti per diffondere la vera dottrina
cristiana, in sintonia con il grande programma di rinnovamento della Controriforma. Lo
ritroviamo in Italia, in Francia, in Spagna, in Germania, oltre che in Brasile e nelle colonie
ispaniche d'America. I gesuiti superano definitivamente l'impostazione medievale a scena
multipla e luoghi deputati, adottando la scena mutevole "all'italiana", che favorisce
l'impiego di sofisticati espedienti spettacolari (terremoti, incendi, tempeste) e consente di
dar vita, attraverso una "regia per quadri", a un "teatro di immagini".
Nel teatro di Bertold Brecht, il teatro didattico è un insieme di repertori, di regole,
ma soprattutto di pratiche fatte per imparare, non per insegnare teatro. Attori e spettatori
sono entrambi allievi nel teatro didattico. La funzione di tale teatro nell'Europa degli anni
'30 aveva un peso e un significato etico e politico. Oggi quel repertorio, quelle tecniche,
quelle parole suonano demagogiche e anacronistiche, ma la funzione, lo spazio, il compito
di quel teatro didattico sono di stringente attualità. La perdita di memoria, la
comunicazione per frammenti (sullo stesso modello della pubblicità) determinano la
necessità di ricostruire sempre il contesto in cui si svolgono le vicende narrate. L'enorme
differenza di conoscenze e cultura tra le fasce del pubblico teatrale e di quello solo
televisivo, creano la necessità di un teatro popolare che sappia narrare le storie rimosse o
cancellate o nascoste e che sappia farlo in modo sufficientemente leggero con tecnica, con
mestiere, con abilità e arte.
Drammatizzazione: dal vissuto esperenziale al testo
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La drammatizzazione è originariamente il lavoro di adattamento di un testo non
teatrale - epico, poetico, storico o letterario nella accezione più ampia - per farne un
materiale utile per la scena. La drammatizzazione è, dunque, il lavoro di strutturazione del
testo, di scrittura dei dialoghi, dell'ordinamento delle sequenze d'azione e delle dinamiche
tra personaggi.
Quando a questo lavoro sul testo (con gli inerenti obiettivi cognitivi) si aggiunge quello
“espressivo”, come consigliato anche dai programmi ministeriali («la classe può recitare il
testo preparato, dipingere le scene, realizzare i costumi ecc.»99), si sovrappose
automaticamente la drammatizzazione al teatro, confondendo i piani.
Gli obiettivi della drammatizzazione in ambito scolastico possono essere così
sintetizzati: sperimentare il lavoro teatrale; vivere una modalità nuova di apprendere dei
contenuti; conoscere i processi linguistici e ideativi che stanno alla base del lavoro teatrale.
È difficile analizzare il grado di apprendimento con il semplice studio degli aspetti
comportamentali direttamente osservabili. L’apprendimento deve essere monitorato nel
tempo, verificando gli sviluppi delle abilità drammatiche, dell’apprendimento, del pensiero
e del linguaggio.
Non bisogna dimenticare che l’educazione drammatica, la quale è al tempo stesso
un’arte e un gioco, fa parte dell’educazione estetica. Risulta pertanto problematico
specificare obiettivi che tendono a suscitare modifiche nel comportamento, perché molti dei
cambiamenti qualitativi che avvengono tramite la drammatizzazione sono interiori e non
osservabili.
Molti studiosi e psicologi sostengono che tutti gli apprendimenti possono essere
osservati, testati e quindi misurati, ma spesso si verifica che l’effetto dell’esperienza
drammatica non si manifesti immediatamente; accanto a ciò, è da sottolineare come tale
effetto rimanga latente, riscontrabile in processi interiori, non necessariamente legati a
contenuti specifici e quindi difficilmente esplicitabili.
99 Decreto Presidente della Repubblica 14 giugno 1955, n. 503, Programmi didattici per la scuola primaria, Art. unico.
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Per il previsto o auspicato coinvolgimento di tutta la classe, questo modo di
intendere la drammatizzazione può essere considerato un passo avanti rispetto alla recita o
al saggio di una lunga e radicata tradizione scolastica.
La drammatizzazione rimane tuttavia fortemente limitata dai suoi stessi contenuti.
«Applicata alle materie scolastiche, al fondo altro non è che teatro didattico; considerata
invece come “pausa ricreativa”, sempre su contenuto prefissato dall’adulto (ad esempio una
fiaba, un racconto), risulta un’attività più estemporanea e più prossima al “gioco
drammatico” se permette un certo margine di libertà nella sua realizzazione ed esecuzione.
È questo secondo aspetto a riportare in auge il termine, battendo l’accento sulla
parte finale della parola: azione. Si esprime, così, un vero e proprio manifesto di poetica
teatrale basato sull’invenzione del testo, oltre che sull’adattamento (testo emergente dal
vissuto infantile e adolescenziale), sull’improvvisazione e sulla rappresentazione
immediata di storie e situazioni»100. Portato all'esterno questo è un teatro dei/coi ragazzi
che propongono ad un pubblico il loro processo creativo.
La drammatizzazione si collega alla filosofia di fondo delle “scuole nuove” e
all'”attivismo pedagogico” che, in sostanza, nel mettere al centro l'allievo rivoluziona gli
obiettivi educativi e la didattica.
L’evoluzione di questa prassi didattica affidata al docente fu caldeggiata da quella
linea di pensiero, facente capo ad autorevoli pedagogisti, che la considerò modalità di
rinnovamento dell’apprendimento e segnale d’apertura della vita scolastica alla
partecipazione attiva dell’allievo. È il learning by doing di John Dewey e dell’attivismo
pedagogico.
100 Perissinotto, op. cit.
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Una rivista per chi progetta e segue percorsi di formazione in Internet (l'iscrizione è gratuita). In generale si
occupa dei cambiamenti cognitivi e culturali connessi all'uso delle nuove tecnologie in ambito educativo,
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IRRE LOMBARDIA www.irre.lombardia.it/teatroscuola
Sito di interesse particolare per la ricerca e la formazione, in particolar modo la sezione teatro-scuola.
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