di 1 4 Approfondimento di Arti Sceniche e Figurative a cura dei ragazzi del DAMS di Imperia - n° Pilota Gennaio 2012 PRINTED ON DEMAND Capo redattore A. VERO Corretore bozze R. POGGIO Collaboratori D. ROSSI, G. ALBERTI Articoli di D. FAZIO, S. PELLEGRINI, D. IZETTA Impaginazione e grafica I. MUZZIOLI [email protected]Delle città invisibili che hanno dato il nome alle aule che formano lo Spazio Italo Calvino, sede del DAMS presso il Polo Universitario Imperiese, Eutropia accoglie i traslochi dei propri abitanti mantenendo inalterati il proprio aspetto e le proprie funzioni. Eutropia è il centro nevralgico di una facoltà in continuo fermento, un’oasi utopica dove la cultura si coltiva come il più prezioso dei giardini, i cui frutti vengono raccolti attraverso eventi condivisi con la collettività. Uno di questi frutti è costituito dalle pagine che state leggendo in questo momento; l’avventura editoriale di Eutropia intende agire da contenitore per gli elementi culturali che stimonalo ogni giorno le menti di decine di studenti. Lo scopo è quello di consolidare e divulgare le impressioni accumulate durante le ore di lezione, rivolgendosi a un pubblico il più vasto possibile. Largo quindi alle nuove leve, una generazione di artisti in erba i cui gusti e interessi si esprimono volenterosamente attraverso l’esplorazione dei linguaggi, primo tra tutti la carta stampata. Gli abitanti di Eutropia traslocano spesso, senza cambiare abitudini, da una città a un’altra di cui essa è composta. Vi invitiamo pertanto a seguire i loro mensili spostamenti, facendogli notare, se necessario, quei refusi tipici dei grandi traslochi. Con il tempo acquisteranno esperienza, mantenendo inalterati entusiasmo e impegno. Eutropia rimane sempre la stessa, seppur migliorando di città in città. David Rossi SKENÉ CIAK SUONI VISIONI Un pezzo di Zelig sbarca a Imperia pag. 4 In viaggio al Ducale L’impero perduto pag. 2 WOW Intervista a Mauro Vero pag. 3 This must be the place pag. 4
Approfondimento di arti sceniche e figurative a cura dei ragazzi del DAMS di Imperia.
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Lo Spazio Calvino a giorni si affollerà un po’. Sicuramente mancherà qualche faccia, di qualche nome ci siamo dimenticati per forza, ma il cartellone che troverete nel foyer servirà appunto a riparare i nostri buchi di memoria.Replicare la Walk of Fame di Los Angeles per dare valore a tutte le persone che sono passate
di qui, perché il DAMS è nato, ha vissuto e continua a vivere grazie a loro. Ospiti, professori, allievi, collaboratori. Perché è grazie a queste facce che nonostante soldi che mancano, critiche e polemiche, il cuore del DAMS non ha mai smesso di battere. È grazie a queste facce e al loro amore per questo posto, per questa realtà, per questo progetto che le minacce di chiusura sono state sempre e soltanto minacce, mai concretizzate fino in fondo. Grazie alla fatica, al tempo, all’attenzione dedicata dai professori agli studenti, dagli studenti ai progetti, dagli ospiti al luogo che li ha ospitati, il DAMS non ha mai davvero smesso di esistere. E in questi anni ha creato legami, amicizie, amori, collaborazioni, libri, spettacoli teatrali,
gruppi musicali, progetti multidisciplinari… anche senza soldi, anche quando le scadenze sembravano troppo imminenti, anche quando la voglia di mollare sembrava più forte di quella di andare avanti. Con fatica, sempre tanta, come tutte le cose per le quali vale la pena sudare.
È faticoso far parte del DAMS, farne parte davvero. Farne battere il cuore. Ci sono tanti cavilli tra i quali districarsi, tempistiche da imparare, equilibri da conoscere.
Bisogna imparare a scrivere le lettere a chi di dovere e nel linguaggio corretto, conoscere chi può mettere le mani su quali attrezzature, mettere d’accordo tante teste e stare dietro a ciascuna di esse perché ognuna faccia la propria parte di lavoro. Bisogna imparare l’umiltà. Di chiedere aiuto quando non si sa come muoversi, di fare un passo indietro quando la tua idea viene bocciata, di mettersi in discussione sempre, di ascoltare i consigli di chi è più “vecchio”, anagraficamente e accademicamente.Ma sono lezioni che servono anche dopo. Nella “vita vera”. Bagaglio utile a chi sa farne un
uso ponderato, a chi sa sfruttare le occasioni che gli si parano davanti. Quelle occasioni che da sempre sono un’enorme risorsa del “nostro” DAMS. Perché le persone che di qui sono passate spesso non si sono limitate a passeggiare. Hanno
creato ponti per uscire da qui, trasformando il DAMS in un trampolino, anche temporaneo, per chi avesse avuto la voglia e il coraggio di abbandonare anche solo per un po’ la tranquillità della collinetta sopra la rotonda dell’ASL. Partecipare ad un festival, fare da assistente ad un professore, collaborare ad un corto,
realizzare uno spettacolo, allestire un set fotografico, salire sul palcoscenico, scrivere su un giornale… tutto ha riempito il bagaglio di esperienze di chi ha colto quelle occasioni. Nessuno ne è mai uscito a mani vuote.
“Finché sei vivo, vivi”, scriveva qualcuno. Se proprio questa volta la minaccia di chiusura del DAMS diventasse concreta e quello iniziato a settembre fosse davvero l’ultimo triennio, fate in modo che sia il più vivo della “nostra” storia! Usate il teatro Eutropia e l’anfiteatro Sofronia, usate quegli spazi per concretizzare le idee che avete in testa, scrivete per il giornale, chiedete aiuto ai professori, e godetevi le loro risposte anche quando non sono quelle che vi aspettate! Finché il DAMS sarà fatto di persone vive che usano e fanno vivere questo posto e gli
strumenti che mette a disposizione, il suo cuore non smetterà di battere. CREDETECI! Noi, con questo numero di Eutropia e la festa del 12 febbraio, lo stiamo
facendo.
Nucleo Operativo Festa DAMS - Redazione EUTROPIA
Approfondimento di Arti Sceniche e Figurative a cura dei ragazzi del D.A.M.S. di Imperia - N°3 Febbraio 2014 - DISTRIBUZIONE GRATUITA - [email protected]
Approfondimento di Arti Sceniche e Figurative a cura dei ragazzi del DAMS di Imperia - n° Pilota Gennaio 2012 PRINTED ON DEMAND
Capo redattore A. VERO Corretore bozze R. POGGIO Collaboratori D. ROSSI, G. ALBERTI Articoli di D. FAZIO, S. PELLEGRINI, D. IZETTA Impaginazione e grafica I. MUZZIOLI
L’IMPERO PERDUTO IN MOSTRA AD ALBENGA Fotografie colorate a
mano, souvenirs di un Giappone che non c’è più.
Proseguirà fino al 31 gennaio la mostra
“Giappone. L’impero perduto” alla
Galleria d’Arte Moderna di Albenga.
Venticinque fotografie all’albumina
colorare a mano da artisti anonimi della
“Scuola di Yokohama”, facente capo a
Felice Beato.
Le fotografie sono state scattate tra la
seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del
Novecento mentre il Giappone, con la fine
dello shogunato e la Restaurazione Meiji
(1868), compiva una transizione dal
feusalesimo allo stato moderno. L’uscita
dall’isolazionismo - i commerci con gli
stranieri erano vietati, eccezion fatta per
Cina e Olanda - comportò un’apertura
anche tecnologica all’Occidente.
Felice Beato, approdato a Yokohama nel
1862, introdusse quell’arte della fotografia
che andò a sostituire gli ukiyo-e
(“immagini del mondo fluttuante”),
stampe che ritraevano la vita della città, il
mondo femminile e i paesaggi. La
fotografia e la stampa all’albumina si
fisero con i temi e le colorazioni degli
ukiyo-e, creando lo stile della Scuola di
Yokohama. I colori naturali degli ukiyo-e
cedettero alle tinture chimiche all’anilina.
Gli ukiyo-e, passati di moda in Giappone,
si diffusero in Europa e ispirarono artisti
quali Van Gogh, Degas, Klimt e altri.
Questa tendenza è chiamata
“giapponismo”.
Le fotografie colorate, in origine
souvenirs per i viaggiatori occidentali,
erano permeate di quell’esotismo che i
fruitori si aspettavano. Con l’affermarsi di
un mercato interno rivolto alla borghesia,
prese campo la rappresentazione
nostalgica di un Giappone destinato a
scomparire sotto la modernizzazione
voluta dall’Imperatore Meiji. I soggetti
testimoniano questa cultura al tramonto,
figure spesso femminili in posa per
documentare tradizioni che si dissolvono
o paesaggi dal significato storico e
simbolico.
Si segnalano le mostre “L’arte della
fotografia in Giappone, a Palermo fino al
10 marzo e “La fotografia del Giappone, a
Venezia fino all’1 aprile. Un’occasione per
immergersi nella delicata ritualità di un
Impero ormai perduto.
Roberta Poggio
IN VIAGGIO AL DUCALE Alla scoperta di capolavori da tutto il
mondo. A un prezzo accessibile (12 euro, ridotti a 9 euro se siete studenti
universitari), si possono ammirare capolavori provenienti da New
York, Boston, Mosca e Amsterdam. Uno su tutti “Da dove
veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, il quadro più grande che
Gauguin abbia mai dipinto. È custodito gelosamente a Boston e si
trova in Europa per la seconda volta (la prima fu a Parigi circa
dieci anni fa). Rappresenta un viaggio attraverso le fasi della vita,
laddove la nascita, la maturità e la morte sono accompagnate da
domande di natura religioso-spirituale. Di fronte a questo quadro
non si può fare a meno di notare un’imperfezione di allestimento: i
riflessi di luce costringono il visitatore a spostarsi per ammirare il
dipinto con chiarezza.
La mostra vanta la presenza di ottanta opere. Troviamo i girasoli,
i campi dorati e il celeberrimo autoritratto di Van Gogh. Si può
godere della presenza di alcuni capolavori di Kandinskij, dove
colore e forme si fondono con la musica in una visione disordinata.
Il viaggio di Monet è racchiuso all’interno del plastico della sua
tenuta di Giverny, ricca di ninfee e ponti orientali.
I significati del tema della mostra sono molteplici. Partendo da
una prospettiva filosofica con “Da dove veniamo? Chi siamo?
Dove andiamo?”, approdiamo a un punto di vista nettamente
geografico con Church e Homer, percorrendo i sentieri tracciati
dai viaggi silenziosi di Hopper e dalle monocromie astratte di
Rothko.
La mostra è accessibile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e il
sabato e la domenica fino alle 20.
Per informazioni è disponibile il call center al numero +39 0422
429 999 o il sito internet www.lineadombra.it.
Sara Pellegrini
VISIONI
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WOW La forza nascosta della sorpresa.
Sorprendere e maturare: due obiettivi fondamentali per qualsiasi
grande band, e i Verdena li hanno centrati entrambi. Con l’uscita
di “Wow”, il gruppo si discosta tanto da quella sonorità sporca alla
Nirvana tipica del “Suicidio del Samurai”, quanto dalle potenti
scelte di “Requiem”, senza per questo mai scadere nella banalità,
ma anzi mantenendo un livello qualitativo elevato.
“Wow” è un album complicato. Un’uscita sul filo del rasoio per
via delle tensioni fra la band e l’etichetta Universal, un prodotto
interamente registrato nella leggendaria HenHouse (pollaio che gli
stessi Verdena hanno adibito a studio), “Wow” interpreta una
profonda e coraggiosa maturazione musicale.
27 tracce selezionate tra le oltre 50 che i Verdena hanno
composto in quattro anni di ritiro dalle scene. Doppio CD per
spezzare l’ora e ventitré di ascolto. Il tutto condito, a detta dello
stesso Luca Ferrari (batteria e percussioni), da un’atmosfera
solare, serena e sognante. I brani cupi dei dischi precedenti
lasciano spazio a composizioni più ariose, ispirate agli Interpol, ai
Beach Boys e a Paul McCartney.
Altro elemento fondamentale è l’influenza psichedelica dei Pink
Floyd, senza dubbio evidente nel brano strumentale “La Volta”,
sempre presente di sottofondo per l’intera durata del disco.
Da evidenziare il singolo “Razzi Arpia Inferno” e “Fiamme”, che
meglio esprime le atmosfere dell’album; il brano “Attonito”, che ci
riporta ai Verdena degli esordi e “Le Scarpe Volanti”, che fa
riferimento al fenomeno in espansione dello Shoefiti, ovvero la
pratica di legare tra loro i lacci di due scarpe e di lanciarle in aria
per farle restare appese ai cavi della media e alta tensione, allo
scopo di segnalare zone adibite al consumo e allo spaccio di
stupefacenti.
In conclusione, se vi aspettate un album tracciato sulle orme dei
lavori precedenti, resterete delusi. Se invece non vedete l’ora di
ascoltare della buona musica, troverete pane per i vostri denti.
“Wow” è un disco a sé stante, nuovo, complesso, maturo e
sicuramente valido, un passo avanti per la band bergamasca e,
senza esagerare, per l’indie rock italiano in genere.
Davide Izetta
SUONI
INTERVISTA A MAURO VERO La musica che illumina
la strada di casa.
Mauro Vero è un cantautore e chitarrista imperiese, classe 1961, diplomato nel 1990 al conservatorio di Cuneo. Collabora con tribute band quali Born To Drink (Fabrizio De André) e Doc-G (Police e Sting). Ha partecipato al disco di Eugenio Ripepi “La Buccia del Buio”. Lo abbiamo raggiunto in occasione della presentazione del suo ultimo disco solista “La Strada di Casa”, avvenuta il 13 gennaio 2012 allo Spazio Vuoto di Imperia Oneglia.
Ci parli della genesi di questo disco.«Ho scelto di registrare questo disco
perché nel 2011 ho compiuto cinquant’anni, una data importante. Ho pensato di fare un regalo sia a me che al pubblico.»
Il suo lavoro ha una struttura particolare…
«Le registrazioni sono divise in due parti. La prima è totalmente acustica, mentre nella seconda mi avvalgo di Marco Fadda e Luciano Susto come supporto (rispettivamente percussioni e basso). Un solo brano, che ho inserito come bonus track, ha un testo cantano. Rimangono elementi caratteristici come la musica latina (“Walking On a Bossa”) e l’amore per il mare (“Ninna del Mare” e “When the sea is the sky”).»
Un ritorno alle origini quindi…«Volevo che la ricerca della melodia
fosse la priorità. Che ogni strumento, senza virtuosismi, regalasse la sua particolare emozione. Ne ho impiegati anche di inusuali come il bouzouki (strumento a corde greco, N.d.R.), che regala sonorità a tratti medioevali (“Soffio d’Africa”). La stessa semplicità ritorna in ogni aspetto. Il fonico si è accorto che “La Strada di Casa” è il brano più rappresentativo dell’intero album. Ascoltandolo si nota il ritmo rotolante, è come se si stesse rincasando. Da qui appunto il titolo del disco.»
La musica oggi: che rapporto ha con la tecnologia e cosa consiglia ai giovani che fanno i musicisti?
«Ritengo che la tecnologia sia un mezzo rapido e comodo per diffondere la propria musica. Ad esempio, la collaborazione con Franco Fasano in quest’album si è svolta interamente per email. Appunto per questo i musicisti di oggi hanno molte possibilità, ma mancano degli spazi necessari. Tuttavia, consiglio di insistere a fare questo lavoro, come ho fatto io, perché oggi posso definirmi una persona felice.»
Davide Izetta
Sara Pellegrini
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UN PEZZO DI ZELIG SBARCA A IMPERIA
È possibile far ridere con un argomento serio e impegnativo come la Resistenza? Marco
Rinaldi, genovese di 46 anni, con il suo spettacolo “Cenere” è sicuramente riuscito nell’intento.
Ha alle spalle vent’anni di carriera come cabarettista, ora sta portando in giro per l’Italia quattro storie sulla Resistenza ligure e
non solo.A Imperia è andato in scena venerdì 13 all’Arci Camalli in
Canada Cuneo, davanti a un pubblico molto numeroso.Lei che col suo socio forma il gruppo Soggetti Smarriti, come
mai si è avvicinato a un tema così lontano dal genere che abitualmente pratica?
«Mio nonno è stato partigiano e ho sentito il desiderio di raccontare la sua Resistenza. Ho cominciato a documentarmi, ma è
un tema, questo, che di solito è trattato con enfasi e retorica. Non fa più presa tra i giovani. Mi piaceva quindi l’idea di scrivere un
libro, da cui poi è stato tratto questo spettacolo.»Come le è venuta l’idea?
«Un po’ per caso, come sempre quando vengono le idee. Tutto passa attraverso il ricordo di mio nonno e il pretesto è un baule, a
me inaccessibile durante l’infanzia, in cui teneva i suoi ricordi. Dopo la morte del nonno ho potuto aprirlo e dentro ho trovato il
cappello che usava quando faceva la staffetta.»Cosa rappresenta?
«È la staffetta che fa da collante ai quattro episodi che narro.»La Resistenza è ancora attuale?
«Secondo me sì. Ma spesso nelle scuole è percepita come un periodo noioso, perché presentata sempre in modo retorico. A me
premeva raccontare di ragazzi normali che l’8 settembre hanno fatto una scelta. Non eroi ma ragazzi. Se si ride passa meglio il
messaggio.»Durante lo spettacolo Rinaldi riesce, grazie anche alla sua
esperienza nel cabaret, ad alternare momenti di frizzante ironia ad altri più drammatici, tenendo desta la memoria.
Lei non è il solo autore, chi sono gli altri due?«Uno è Lazzaro Calcagno, attore e regista teatrale che ha
lavorato con i grandi nomi del teatro italiano. Attualmente è direttore del Sipario Strappato di Arenzano, dove abbiamo
debuttato.»E l’altro?
«L’altro è Matteo Monforte, autore televisivo e teatrale che collabora con Zelig e Colorado Cafè. Mi accompagna in giro
Giovannino Romagnoli, che cura la parte tecnica.»Quando avete debuttato?
«A ottobre, sia a Genova che a Savona. Adesso puntiamo sulle scuole, i circoli, seguiamo un po’ i circuiti alternativi.»
Si potrebbe inserire “Cenere” nel filone del teatro di narrazione di cui Paolini, Baliani e Celestini sono i capofila?«Sì, infatti il modo di costruire lo spettacolo è analogo. Si parte
col documentarsi leggendo libri, articoli, ma anche ascoltando le testimonianze orali, e poi si adatta al palcoscenico.»
La reazione del pubblico come è stata?«Sorprendente. A volte dopo lo spettacolo qualcuno sale sul
palco e mi abbraccia.»
Genevieve Alberti
SKENÉ
“THIS MUST BE THE PLACE” Sorrentino e Penn danno vita a un
road-movie straordinario e complesso.
È iniziato il nuovo anno, film di tutti i generi e per tutti i gusti vengono proiettati nelle nostre sale. Molti altri sono in uscita. Viene da porsi una domanda: cosa ci ha lasciato il 2011? Quali sono stati i film degni di maggior nota, i più entusiasmanti?
Tra questi si colloca sicuramente “This Must Be The Place” di Paolo Sorrentino.
Il film prende il titolo da una canzone dei Talking Heads, gruppo musicale di avanguardia pop attivo fino al 1991.
Accompagnato dalle musiche di David Byrne (ex leader dei Talking Heads), il film racconta la storia di Cheyenne (Sean Penn), rockstar in pensione che vive la propria vita in un perenne stato di apatia. Ritiratosi in una sorta di esilio volontario, abita con la moglie in una grande casa a Dublino, dove si trucca e agghinda ancora come un rocker. Oltre alla moglie, le uniche persone con le quali Cheyenne mantiene dei rapporti sono i vicini di casa, individui malinconici e pieni di
problemi il cui stato d’animo rispecchia perfettamente il micro-cosmo in cui lui si è rifugiato. Un giorno riceve una
telefonata: suo padre, con cui non ha rapporti da anni, sta morendo. Si reca allora a New York per dargli l’ultimo saluto, ma arriva troppo tardi. Accompagnato dal suo inseparabile trolley, Cheyenne inizia un viaggio che lo porterà in giro per gli States. Muoverà alla ricerca del criminale nazista Aloise Lange, rifugiatosi lì alla fine del conflitto e divenuto, per via di un’umiliazione risalente al tempo della guerra, una vera ossessione per suo padre. Deciso a vendicare il torto subito dal padre, durante il viaggio Cheyenne incontrerà personaggi bizzarri e particolari, tra i quali l’inventore dei trolley e una cameriera attraente dal passato oscuro. Ma soprattutto ritroverà se stesso, così da potersi finalmente liberare, alla fine del viaggio, dal peso della maschera che per troppo tempo ha portato.