Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp.
7-8
Editors Preface Fabio Polidori Universit di Trieste Dipartimento
di Filosofia [email protected] This section of E&P is dedicated
to Heideggers ethics, an idea that might come across as
impertinent, if not even as misrepresentation. It is a well-known
fact that Heidegger never elaborated any ethical system, nor would
he ever have made any statement on this subject-matter in an
articulated or thematic way. Nevertheless, the radicality of his
thought and above all the effect it had in the twentieth century an
effect which has not exhausted itself yet leave ample space for an
attempt at testing his positions outside their original context.
Not to mention (but it is altogether evident that this element
cannot be avoided) the uproar and embarrassment which were caused
both by his support of Nazism since its very beginnings and by the
total lack of self-condemnation in relation to this choice.
Leaving aside the blame and the reproach, which could be
strengthened by contextual elements either located in Heideggers
thought or connected to the climate of the time, it is indeed a
fact that the ethical issue remains one of the most significant and
unsettling elements to have been repressed in Heideggers thought.
And here the term repressed is deliberately provocative: first of
all because it intends to communicate its unmistakable presence,
somehow buried in various passages, episodes and stages of
Heideggers thought; secondly because the idea that such a mighty
and articulated thought-machine can proceed only by expelling,
marginalizing and neglecting, whether deliberately or not, that
which could block its functioning is not to be excluded; and
finally because of the diffidence, if not hostility, which
Heidegger often showed for any type of psychoanalytically coloured
discourse or context It is quite possible to imagine a reply
bouncing back from this very context and pointing at a obvious and
almost exemplary resistance.
All this may indeed explain why our intention to trace and
reconstruct some ethical, or ethical-political, motifs in
Heideggers thought could seem like a misrepresentation. And yet
this distortion of meaning , in the light of the text here
presented, has turned out to be not only utterly legitimate, but
also capable of re-contextualizing some of Heideggers reflections
within areas and
Fabio Polidori
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fields which are less close to the traditional paths of his
thought. The outcomes are obviously diversified, as diversified
were their premises and starting points. This means that under a
title such as Heideggers Ethics does not lie the secret of a
close-knit coherence, but rather that a series of perspectives and
visions which possibly, and hopefully, will not offer any type of
definitive answer can and will be found.
Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp.
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Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di Anassiman-dro
Gaetano Chiurazzi Universit di Torino Dipartimento di Filosofia
[email protected]
Chi vive e agisce nella storia fa anzi costantemente esperienza
che nulla ritorna.
(H.G. Gadamer, Verit e metodo)
ABSTRACT Heideggers philosophy has been interpreted as an
absolute historicism, unable to point to a unhistorical standpoint
from which history can be judged upon. K. Lwith, for instance, has
indicated that the cause of this difficulty is to be found in the
conception of time: whereas, in Greek thought, time was considered
only as a manifestation of the essence, in modern thought time has
the tendency to become the essence itself, as that which fulfills
itself in time, up to Heideggers identification of being and event.
What is interesting in my critique is that the conception of time
is strictly interwoven with a specific way of con-ceiving justice
and, broadly speaking, ethics. In Platos philosophy, justice as
measure cor-responds to a cyclical and even retrogressive
conception of time, the one enounced in the myth of Chronos, in the
Politikos. The modern conception of time, spiritualistic and
biolo-gistic, is instead cyclical and irreversible, cumulative: its
most significant expression is He-gelianism. The existential
conception of time, instead, is neither cyclical nor cumulative. By
commenting on Heideggers Anaximanders Saying, I wish to show the
possibility of conceiving temporality as disjunction (injustice)
and only as such capable of producing jus-tice which I understand
as a new possibility of meaning that does not exclude, but carries
within itself, emancipation. An ethics of the present developed on
the basis of this concep-tion of time which Heidegger has not
completely endorsed would then be an ethics which accepts as its
own ground the discontinuous, yet inventive, dimension of time. 1.
Storia e giustizia Come ha scritto Karl Lwith, il limite maggiore
della concezione heideggeria-na della storia sarebbe
lidentificazione dellessere con levento1: Hegel e Hei- 1 K. Lwith,
Evenemenzialit, storia, ventura dellessere, tr it. di C. Cases e A.
Mazzone, Tori-no, Einaudi, 1966, pp. 77-79 (Heidegger-Denker in
drfitger Zeit, in Smtliche Schriften, vol. 8, Stuttgart, Metzler,
pp. 188-90).
Gaetano Chiaruzzi
10
degger, ovvero la storia della progressiva realizzazione dello
spirito e la storia della progressiva derealizzazione dellessere,
sarebbero accomunati da una stessa hbris, la dissoluzione
dellessenza nella storia e viceversa: Tuttavia il progresso
costruttivo di Hegel e il suo moto ascendente, e il regresso
distrutti-vo e il moto discendente di Heidegger non sono diversi
rispetto al principio comune a loro e alla moderna hbris dello
storicismo, vuoi dello spirito o dellessere, che storicizza
lassoluto dellessere come dello spirito. In questo o-rizzonte si
muoveva il contemporaneo di Napoleone, che pensava il proprio
compimento della storia europea del concetto come raggiunta
pienezza di un inizio in s non svolto; il contemporaneo di Hitler,
a sua volta, pensa la stessa storia dello spirito occidentale come
linsorgere del nichilismo che giunge ormai a compimento2.
Che si tratti di realizzazione o di derealizzazione, dunque, non
fa alcuna dif-ferenza: la questione, per Lwith, lidea, inaugurata
proprio da Hegel, che lo spirito e lessere abbiano una storia, e
anzi si identifichino con la loro storia; che la verit abbia la
tendenza di svolgersi nel tempo3. A questa hybris storicista non si
pu opporre altro, secondo Lwith, che la netta separazione tra
essere e tempo, tra natura e storia, separazione che pre-cristiana,
greca4. Luso contemporaneo ci ha abituati a chiamare storico un
pensiero che, come questo, rivolto al futuro in una prospettiva
epocale ed escatologica, bench il senso originario e naturale della
storia [Geschichte] intenda esatta-mente il contrario di questo
futurismo. Gli storici greci intendevano per sto-riografia
laccertamento di ci che stato, presupponendo in ci la sostanziale
identit con s della natura delluomo attraverso i rivolgimenti delle
sorti che casualmente, appunto, accadono. Ci che , il medesimo che
stato e sar ancora. Quando invece Heidegger, da pensatore moderno,
postcristiano, parla dellesistenza umana come esistenza storica
[geschichtlich], e si attende un mu-tamento nellessenza delluomo in
seguito a una svolta nella ventura dellessere, presupposto di tutto
ci che la natura delluomo sempre uguale a se medesima non esista
affatto5.
La negazione dellesistenza di una natura umana il germe
dellescatologismo, prospettiva del tutto estranea al pensiero
greco, rivolto piuttosto al passato e consapevole che questa
conoscenza del passato sia suffi-ciente per comprendere ci che e
che sar, perch queste dimensioni tempo- 2 Ivi., p. 51. 3 Ivi., p.
78-79. 4 Physis e histora hanno in greco tanto poco in comune
quanto il perennemente identico a s e la mera notizia (istorein) di
mutevoli sorti umane. Gli storiografi greci hanno riferito storie e
spiegato, vero, lapparente regolarit nella mutevolezza di tali
sorti storiche col circolo che nella natura delle cose: ma nessun
filosofo greco ha mai costruito, con lo sguar-do al futuro, una
filosofia della storia una e universale, tutti hanno fatto oggetto
della fisica e della metafisica la physis perennemente presente
(ivi, p. 69). 5 Ivi, p. 50.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
11
rali sono solo manifestazioni di una realt che in s resta
identica, che natu-ra, e i cui mutamenti non sono che aspetti
occasionali, caduchi, inessenziali. La concezione ciclica del tempo
perci una concezione naturale, opposta a quella lineare introdotta
dal cristianesimo e di cui Heidegger erede: nessuna sostanziale
novit turba il ricorrere ciclico della temporalit naturale. Grazie
alla quale soltanto, sembra suggerire Lwith, possibile giudicare e
rifiutare la storia. Il rischio cui cede Heidegger quello di un
pensiero che aderisce alla re-alt limitandosi a comprendere il
tempo a partire dal tempo, senza un altro criterio filosofico per
giudicare gli avvenimenti6. Dal momento che non vi alcuna
trascendenza del tempo, la storia appare come giusta in s, perch
non giudicabile, col che si suppone che il giudizio sulla storia
debba essere ne-cessariamente emesso da una istanza estranea ed
esteriore ad essa.
Si pu per problematizzare questa maniera di intrecciare i legami
tra na-tura, tempo e giustizia, innanzi tutto mettendo in luce il
nesso tra la concezio-ne della giustizia e la concezione del tempo.
In particolare, lidea di un riequi-librio della storia, di una
giustizia che ripari le deviazioni storiche dal modello essenziale,
dalla legge, strettamente legata a una concezione ciclica di cui
troviamo le tracce sin nel pensiero greco, in Platone, e, ancor
prima, gi in A-nassimandro. Qui mi propongo di analizzare, senza
pretesa di completezza, ma indicando piuttosto dei punti che mi
sembrano significativi per questo tema, un tale intreccio, per
ripercorrere, in conclusione, la lettura che Heidegger propone del
detto di Anassimandro, a partire dalla quale forse possibile
in-tendere in maniera diversa tali articolazioni. 2. Il
bilanciamento: il tempo reversibile dellidealit Il problema dei
rapporti tra tempo e giustizia comincia con Platone: quel che manca
in Heidegger sarebbe, secondo Lwith, la prospettiva platonica dello
stato giusto, che consentirebbe di disgiungere storia e natura.
Perch la storia esattamente una disgiuntura della natura, uno
sregolamento, un eccesso, una hbris che, per i Greci, il vero
contrario della giustizia, dke. La storia intro-duce uno squilibrio
nellordine della natura: la giustizia, infatti, non che questordine
in quanto si mantiene stabile, in equilibrio. Tutta la teoria
politi-ca di Platone, e cio lintera sua filosofia dalla concezione
dello stato giusto nella Repubblica al mito della biga alata nel
Fedro, il cui kyberntes arriva a contemplare la Giustizia stessa al
compimento di un ciclo intero che lo riporta al punto di partenza7
attraversata dalla comprensione della giustizia come equilibrio,
bilanciamento. I presupposti cosmologici di questa concezione, che
6 Ivi, p. 57. 7 Platone, Fedro, 247 B-D (tr. it. di G. Reale in
Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Milano, Rusconi, 1991).
Gaetano Chiaruzzi
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sono del tutto organici a una filosofia della storia, emergono
in maniera parti-colarmente chiara nel Politico. Qui il mito di
Crono presenta il dio come il kyberntes del cosmo: egli ha cura del
mondo e periodicamente lo abbandona a se stesso, facendo s che il
tempo ritorni indietro, cosicch i vecchi tornano giovani, i capelli
bianchi ridiventano neri, e tutti gli esseri viventi tornano a
essere neonati per poi scomparire del tutto8. Questa mutazione il
pi grande ed il pi perfetto di tutti i rivolgimenti che avvengono
nel cielo9, perch la maniera migliore, scrive Platone, in cui il
cosmo, caratterizzato da movimento e corporeit, e quindi da
degenerazione, pu approssimarsi allo stato della per-fezione
assoluta. Infatti: Lessere sempre nei medesimi rapporti e nelle
mede-sime condizioni, e lessere sempre identico si addice solamente
alle realt pi divine di tutte; la natura del corpo non di questo
ordine. [] Quello che chiamiamo cielo e cosmo [] ha comunanza anche
col corpo; ragion per cui gli impossibile essere del tutto esente
da mutamento []. Ecco perch ha avuto in sorte il rifare il giro
indietro sui propri passi: perch la deviazione pi pic-cola
possibile del suo movimento10..
Tutto questo, scrive Platone, accadeva nellet di Crono, alla
quale succe-duta let di Zeus, il mondo nel quale oggi viviamo:
sfruttando letimologia che nel Cratilo Platone stesso instaura tra
Zeus e vita (zo)11, potremmo chia-mare questo mondo attuale il
mondo della vita quale noi la conosciamo, del-la generazione e
della corruzione, del disordine, un mondo abbandonato dal suo
timoniere che corre il pericolo della dissoluzione di se medesimo e
delle cose che contiene. Una volta distaccato (khorizmenos) dal suo
Artefice, il mondo se ne allontana sempre pi e lo dimentica: pi la
sua forza originaria si esauri-sce, pi il suo movimento si
affievolisce12. Nellet di Zeus il mondo total-mente nelle mani
degli uomini che lo abitano, i quali ne sono i pastori. E tutte
quante le cose che concorrono a sostenere la vita umana sono nate
da questi doni, dopo che gli uomini furono abbandonati dalla cura
degli di, come abbiamo appena detto, e dopo che divenne necessario
che essi si procurassero da vivere da se stessi e che si
prendessero cura di s, come luniverso nel suo complesso, imitando e
seguendo il quale in ogni tempo, ora in questo modo, al-lora in
quellaltro, viviamo e nasciamo13.
Occupandosi del loro mondo, gli uomini hanno bisogno dei doni
degli dei, come linsegnamento e laddrestamento, il fuoco e le arti
di Efesto e della sua
8 Id., Politico, 270 D sgg. (tr. it. di C. Mazzarelli in Tutti
gli scritti, cit.). Cfr. su ci K. Gai-ser, La metafisica della
storia in Platone, tr. it. di G. Reale, Milano,Vita e Pensiero, p.
50 sgg. 9 Id., Politico, 270 B-C. 10 Ivi., 269 D-E. 11 Id.,
Cratilo, 396 A-B (tr. it. di M.L. Gatti in Tutti gli scritti,
cit.). 12 Id., Politico, 273 C. 13 Ivi, 274 D.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
13
collaboratrice Atena, ovvero della tecnica e della filosofia,
delle scienze e dei discorsi14, con cui luomo cerca di mantenere il
suo microcosmo sul suo cammi-no: ma quando lo abbandona a se
stesso, il tempo non si inverte, non ricosti-tuisce lidentit
originaria. Resta una asimmetria, indice della sua imperfezio-ne.
Per questo, di tanto in tanto, il dio torna in suo aiuto, per
evitare che il co-smo sprofondi nel mare infinito (peiron) della
disuguaglianza, rimette le co-se in sesto, le riaggiusta, lo
raddrizza, lo riordina15, lo riporta cio nella giusta direzione,
controbilanciando le sue deviazioni.
La razionalit la razionalit cosmica a cui la razionalit politica
pu solo approssimarsi, e che giustizia, equilibrio, uguaglianza ha
come modello an-cestrale, immemoriale, lepoca di Crono, che guida
il cosmo finch questo non raggiunge la sua misura16, per poi
lasciarlo andare e ristabilire cos lidentit originaria. La storia
del cosmo che Platone racconta con questo mito simile a quella di
un film che si riarrotola su se stesso; meglio, esattamente
limmagine che del movimento ci offre la meccanica razionale, la
scienza del movimento e dellequilibrio dei corpi, il cui principio
supremo la conserva-zione dellenergia totale di un sistema (della
somma dellenergia cinetica e po-tenziale), sistema che resta
quantitativamente immutato, essendo leffetto to-talmente
equivalente alla causa. Corollario di questo principio la
reversibilit del tempo: proprio come nel caso dellazione di Crono
sul cosmo, fenomeni co-me il rimbalzo di una palla o loscillazione
periodica di un pendolo mostrano lazione di una forza che viene
spinta fino a un certo punto e di unazione con-traria spontanea,
fenomeni che sono interpretati come un gioco di inversione di forze
e di velocit che corrisponde idealmente a una inversione del
tempo.
In un tale sistema, ogni stato perfettamente determinato ed
equivalente a tutti gli altri: fin dal primo istante, non pu
succedere nulla di nuovo, la som-ma generale dellenergia in gioco
sempre la stessa. Un sistema che obbedisce a tale principio di
conservazione traduce nelle regole sintattiche del linguaggio
dinamico lidealizzazione di un mondo senza urti n attriti, senza
interazioni tra le sue varie parti, il cui il rendimento sempre
uguale a uno, senza perdita n squilibrio. chiaro che si tratta di
una costruzione ideale che gi nel XVII e XVIII secolo si scontrava
apertamente con lesperienza di cui si fece carico soprattutto lo
sviluppo della termodinamica dei fenomeni dissipativi ed
en-tropici, nei quali il tempo assume una direzione ben precisa,
irreversibile. La condizione di reversibilit del tempo anzi
lessenza stessa dellidealit. La versione scientifica del mito di
Crono rappresentata dal demone di Laplace, che ad ogni istante in
grado di osservare velocit e posizione di ogni massa dellUniverso e
di dedurne levoluzione universale, sia verso il passato sia verso
il futuro. Come Crono, il demone di Laplace sarebbe in grado di
invertire to- 14 Ibid. 15 Ivi, 373 D-E. 16 Ivi, 269 C.
Gaetano Chiaruzzi
14
talmente lordine degli eventi semplicemente cambiando di segno
quel para-metro che la meccanica razionale chiama tempo. Lapogeo
della meccanica razionale nel XVII e XVIII secolo avvenuta in
concomitanza con la conce-zione della natura come un grande
orologio: Crono, nel mito di Platone, come un grande orologiaio che
d la carica al mondo proprio come si d la cari-ca a un
orologio.
3. La sopravvivenza: il tempo ciclico dello spirito Bench
Platone non identifichi il politico con il kyberntes del mondo,
resta il fatto che il principio cui si ispira il governo della citt
sempre quello di una giustizia intesa come equilibrio, cos come,
nel mito della biga alata, lauriga governa i cavalli nel tentativo
di neutralizzare le loro tendenze disequilibranti. Il ruolo del
mito di Crono sarebbe quello di mostrare le condizioni ideali, e
che restano tali, dellarte di governare ( questo il sottotitolo del
Politico), e cio della cibernetica: questa scienza mira a
realizzare la macchina ideale, capace di controllare e mantenere un
sistema in uno stato costante con il minimo di-spendio di energia.
In effetti, come ha scritto Konrad Gaiser, a differenza del
Demiurgo del Timeo, che un dio creatore, Crono un dio
conservatore17. La pi grande rivoluzione possibile il messaggio del
mito coincide con il massimo di conservazione possibile: questa la
giustizia, un ristabilimento dellequilibrio, il cui principio che
tutto ritorni ad essere quel che era.
Se si considera che per Platone il cosmo immagine del logos, non
difficile individuare nella temporalit reversibile che lo anima la
figura del dialogo maieutico come restituzione di ci che partorito
(della natura) alla sua fon-te e della verit come risalimento
allorigine, ricordando tutte le tappe di-scensive. In analogia con
ci che Vattimo ha chiamato struttura edipica, ri-ferendosi al fatto
che nella concezione lineare del tempo ogni istante divora il
proprio padre18, sarei portato a chiamare questa visione ciclica e
reversibi-le, razionale, struttura incestuosa del tempo: Crono
secondo unimmagine mitologica che ne fa il dio del tempo divora i
propri figli, fa s che essi ritor-nino a lui. La struttura edipica
corrisponde invece al prevalere di un model-lo biologistico nella
costituzione del tempo, quello in cui i figli si impongono a prezzo
della morte del padre, sopravvivono alla sua scomparsa, ripetendo
ci-clicamente, nella riproduzione, questo parricidio, questa
negazione di ci che precede.
La filosofia della storia hegeliana, evidentemente derivata
dalla concezione aristotelica della natura, che ha nello sviluppo
dellembrione il suo modello 17 K. Gaiser, La metafisica della
storia in Platone, cit., p. 53. 18 Cfr. G. Vattimo, Il soggetto e
la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano,
Bompiani, 1983, p. 249 sgg.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
15
dinamico prevalente (non bisogna dimenticare che Aristotele era
figlio di un medico), e dalla concezione cristiana del tempo come
linea, forse lesempio pi caratteristico di questa visione allo
stesso tempo lineare, evolutiva, e cicli-ca del tempo: le figure
della storia si succedono negando quelle precedenti, cre-scono su
se stesse come un organismo vitale (non c concetto pi vitalistico,
da questo punto di vista, della nozione di Aufhebung), esse
assicurano la so-pravvivenza dello spirito al di l di ogni ente
finito, che muore e sparisce, ma non tornano indietro. Proprio
limpossibilit dellinversione temporale distin-gue anzi la vita dal
meccanismo: la vita compimento, sebbene non perfezione
(Vollkommenheit), la quale implica lidea di essere giunti, come
scriveva Plato-ne nel mito di Crono, a un punto massimo oltre il
quale non si pu pi proce-dere, ma si pu solo tornare indietro.
4. La morte: il tempo irreversibile dellesistenza Tanto
nellimmagine meccanicistica quanto in quella biologistica della
storia e della natura abbiamo per a che fare con un principio di
conservazione: tut-tavia, n la perfetta idealit del tempo della
meccanica razionale n la spiritua-lit del tempo biologico, che
nella sua ciclica ripetitivit mostra lemergenza delluniversale,
della specie sullindividuo, possono cancellare del tutto la
per-cezione che nel passare del tempo ci sia qualcosa che va
perduto, non si con-serva, qualcosa, cio, di irreversibile. Che un
disequilibrio uningiustizia, per dirla nei termini di questa
categorizzazione si insinui nella struttura stessa del tempo.
Questa temporalit irreversibile quel che Heidegger chiama
temporalit originaria: essa emerge in maniera irriducibile persino
nellinterpretazione ordinaria del tempo, che, come nel tempo della
fisica, riduce la temporalit a una successione di ora omogenei.
Tuttavia, nono-stante ogni livellamento e ogni coprimento, il tempo
originario si manifesta anche nel corso di questa semplice
successione di ora trascorrente in s, e si manifesta proprio nel
corso del processo coprente. Linterpretazione ordinaria definisce
il tempo come una successione irreversibile. Perch il tempo non pu
tornare indietro? Se esso in s ed costituito da una serie di ora,
non si comprende perch la successione non possa ripresentarsi in
senso inverso. Limpossibilit dellinversione ha il suo fondamento
nella provenienza del tempo pubblico dalla temporalit, la cui
temporalizzazione, primariamente adveniente, va verso la sua fine
in modo tale che gi per la fine19.
19 M. Heidegger, Sein und Zeit, Frankfurt a.M., Klostermann,
1977, p. 426 (citato come duso nella paginazione originale); tr.
it. di P. Chiodi, Essere e tempo, Torino, Utet, 1986, p. 604-605.
Su ci cfr. anche la conferenza Der Begriff der Zeit, a cura di H.
Tietjen, Tbingen, Niemeyer, 1989; tr. it. di F. Volpi, Il concetto
di tempo, Ferrara, Galio, 1990.
Gaetano Chiaruzzi
16
A conferire al tempo un senso, una direzione privilegiata, la
morte: essa introduce nella successione temporale uno stacco, una
differenza, un salto, che non appartiene a un decisione soggettiva,
ma , come Heidegger pi volte sot-tolinea, un evento, ovvero
qualcosa che accade, che non si inscrive nella succes-sione
ordinata, causale, del tempo della fisica e della biologia, ma kat
symbe-beks. Luso di questa espressione per qualificare il carattere
di accadimento della morte non arbitrario: oltre al fatto che il
termine greco per designare gli eventi proprio t symbama, che, come
symbebeks, deriva da symbano, una tale definizione della morte come
evento, accadimento, risulta correlativa e al-lo stesso tempo del
tutto speculare rispetto alla distinzione con cui Aristotele
distingueva, dal lato del principio, dellarch, lente naturale da
quello artifi-ciale: la morte caratterizza quel qualcosa che si
sottrae allordine della natura non dal lato del suo inizio, ma da
quello della sua fine. Com chiaro dalla di-scussione che Heidegger
conduce in Essere e tempo sui vari significati del finire - cessare
(Verenden), perire (Ableben) e morire (Sterben) -, la morte non pu
es-sere considerata come un compimento, nella misura in cui questo
caratterizza lente naturale: Anche se la maturazione, cio lessere
specifico del frutto, in quanto modo di essere del non ancora (cio
dellimmaturit), coincide for-malmente con lEsserci per il fatto che
luno e laltro sono gi da sempre il loro non ancora (in un senso che
resta ancora da determinare), ci non significa che la maturazione
come fine e la morte come fine coincidano anchesse quanto alla
struttura ontologica della fine. Con la maturazione, il frutto si
compie (vollendet). Ma la morte cui giunge lEsserci un compimento
in questo senso? Certamente con la morte lEsserci ha compiuto
(vollendet) il suo cor-so. Ma ha, nel contempo, necessariamente
esaurito le possibilit che gli sono proprie? Queste non gli sono
piuttosto sottratte? Anche un Esserci incompiu-to (unvollendetes)
finisce. [] Per lo pi lEsserci finisce nellincompiutezza
(Unvollendung) o anche nello sfacelo e nella consunzione20.
La morte non lentelcheia dellEsserci, non ci cui tende e in cui
si com-pie la sua natura essenziale, ma ci in cui la sua essenza
naturale si annulla, poich vi si annulla la possibilit, che
costitutiva dellessenza dellesserci in quanto esistente. La morte
non compimento di possibilit, ma sottrazione di possibilit. Anzi,
proprio a partire da essa che lesistenza pu essere concepi-ta come
possibilit. Questo punto costituisce limplicazione concettuale che
consente di passare dalla natura allesistenza: la natura sviluppo
positivo di possibilit date, ma perch queste possibilit possano
essere concepite come tali bisogna che siano percepite anche nella
loro condizione negativa, nella loro condizione, cio, di
impossibilit, condizione che si fenomenizza nella e come angoscia,
rapporto alla morte, ovvero esistenza. Questa inscrizione
dellesistenza sotto il regime della possibilit (pi in altro della
realt si trova
20 Idem, Sein und Zeit, cit., p. 244; tr. it. p. 370.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
17
la possibilit21 la frase di Husserl che Heidegger ripete e con
cui ribalta lassioma fondamentale dellontologia aristotelica, e cio
che lenerghia prece-da la possibilit) la forma temporale della
differenza ontologica. Come lessere connnesso allente presente dal
non della differenza ontologica, allo stesso modo il presente
dellesistenza connesso a ci da cui proviene precisa-mente da un
non: il presente si costituisce a partire da unassenza e come
traccia di ci che non pi. Questidea espressa in maniera
particolarmente efficace nel commento al Detto di Anassimandro, su
cui ci soffermeremo in con-clusione, cercando di riprendere le fila
del nesso tra natura, tempo e giustizia. 5. Il tempo disgiunto La
tradizione ha trasmesso il detto di Anassimandro, la pi antica
parola del pensiero occidentale22, allinterno di un corpus che
comprende tutti i fram-menti dei presocratici e che sarebbe
dedicato alla physis. Physis per Aristote-le una regione
particolare dellente, distinta dallthos e dal lgos, che ha quindi
perduto il significato ampio del tutto dellente23. Ma il detto di
Anassiman-dro secondo Heidegger ancora vicino a questo significato
primordiale, ri-guarda lessere dellente, vale a dire la sua
costituzione temporale. Proprio nellanalisi della temporalit
specifica dellente, e cio dellente presente, che soggiorna, via
via24, Heidegger sviluppa una serie di considerazioni che, a mio
avviso, consentono di articolare in maniera molto diversa il
rapporto tra natura, storia e giustizia come sin qui si delineato,
pur sulla base di una cor-relazione del tutto tradizionale tra
tempo e ingiustizia. Ricordando le due tra-duzioni tedesche pi
accreditate del detto di Anassimandro, quella di Nie-tzsche a
quella di Diels, Heidegger ne sottolinea la forte impronta
giuridica: le cose, nel loro nascere e perire, devono fare ammenda
ed esser giudicate per la loro ingiustizia, secondo lordine del
tempo25 (Nietzsche). Punto di appoggio di questa traduzione sono i
termini dke e adika, che Heidegger sceglie di tra-durre
rispettivamente con Fug (connessione) e Un-Fug (sconnessione). La
adi-ka una modalit dellesser connesso attraverso la negazione, cio
una con-nessione che connette lesser-presente alla duplice assenza
(in zweifachen Abwesen verfugt)26, che installa la presenza in e
per mezzo del rapporto a due
21 Ivi, p. 38; tr. it. p.100. 22 Id., Der Spruch des
Anaximander, in Holzwege, Frankfurt a.M., Klostermann, 1950, p. 296
(citata nella paginazione della prima edizione); tr. it. di P.
Chiodi, Il detto di Anassimandro, in Sentieri interrotti,
Scandicci, La Nuova Italia, 1984, p. 299. 23 Ivi, p. 298; tr. it.
p. 301. 24 Ivi, p. 323; tr. it. p. 326. 25 Ivi, p. 296; tr. it. p.
299. 26 Ivi, p. 327; tr. it. p. 331.
Gaetano Chiaruzzi
18
assenze: quella da cui proviene e quella verso cui procede.
Lesser presente (Anwesen) connesso allassenza in tutte due le
direzioni27, esso soggiorna per un certo tempo, ma mantenendosi
nella sua presenzialit, arrogandosi la pretesa di sottrarsi alla
transitoriet del suo soggiorno, diventando durevole, si pone nella
adika: Allesser-presente dellessente-presente [] appartiene
ladikia28, la sconnessione. Ma ci, osserva Heidegger, il detto di
Anassiman-dro lo dice e non lo dice29.
Nelle traduzioni usuali, ladika ci di cui gli enti devono allora
fare ammenda, ci per cui ricevono una punizione, come se, precisa
Heidegger, nel presentarsi dellente ci fosse qualcosa di punibile o
di cui si debba trarre vendetta sul presupposto che la vendetta
(das Gerchte) equivalga alla giustizia (Gerechte)30. La concezione
edipica del tempo si afferma sulla base di questa istanza di
vendetta, che Nietzsche attribuiva a Schopenhauer e, prima di lui,
a Eraclito, nel suo scritto sulla Filosofia nellepoca tragica dei
greci, da cui Hei-degger cita la traduzione nietzscheana: ancor
prima di Eraclito, sarebbe per Anassimandro il responsabile di
questa concezione vendicativa. Il detto di A-nassimandro
inscenerebbe cos un tribunale in cui si giudica, si condanna e si
punisce, visto che lingiustizia non manca, anche se nessuno sa dire
con preci-sione in cosa consista31.
quindi fondamentale cercare di chiarire questa modalit
dellessere pre-sente come conessione a unassenza, che allo stesso
tempo, in quanto tempo, possibilit della sconnessione, della
disarticolazione, e quindi apertura al futu-ro. Si direbbe anzi:
possibilit di emancipazione.
6. Lemancipazione del presente Lente presente, scrive Heidegger,
non si tiene definitivamente nella persisten-za n si risolve
completamente nella disgiunzione, ma, persistendo, verwindet den
Un-Fug: Il via via essente-presente -presente in quanto soggiorna e
soggiornando sorge e passa; soggiornando, si costituisce la
connessione del pas-saggio che va dal sorgere al declino. Questo
sempre soggiornante costituirsi del passaggio la durevolezza
genuina dellessente-presente. Essa non si risolve nella
persistenza; non ricade mai nel disaccordo, ma lo risolve in s
(verwindet den Un-Fug)32 .
27 Ibid.; tr. it. p. 330-331. 28 Ivi., p. 328; tr. it. p. 331.
29 Ibid. 30 Ibid.; tr. it. p. 332. 31 Ivi, p. 330; tr. it. p. 334.
32 Id., Der Spruch des Anaximander, cit., p. 329; tr. it. p.
333.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
19
Al presente stesso rimessa la possibilit di una Verwindung della
sua in-giustizia, del torto. Meglio: il presente esso stesso una
tale Verwindung: lesser-presente questa risoluzione stessa (Anwesen
des Anwesendes ist sol-ches Verwinden)33.
Verwindung , non solo lassunzione, ma anche la torsione: la dke,
risultato di questa Verwindung, quindi generata da una torsione che
non pu essere interpretata come un semplice raddrizzamento, come
ritorno allidentit, rico-stituzione di una giustizia anteriore, ma
come produzione, dono di ci che non c. Verwinden in effetti anche
latto con cui un dolore, una perdita, una ma-lattia o un trauma
vengono elaborati al fine di superarli, di liberarsene
as-sumendoli, nel senso in cui restano come tracce o cicatrici. Si
potrebbe quin-di dire che c, nella temporalit verwunden del
presente sconnesso, un dono che introduce comunque qualcosa di
nuovo, un principio di libert, emanci-pante. Il presente, che
squilibrio, ingiustizia, si risolve in emancipazione.
Questo si accorda, sebbene non del tutto nelle sue conseguenze,
quantome-no nei suoi presupposti, con la semantica della mano che
Heidegger, qui co-me altrove, evoca. Emancipazione deriva in
effetti da mancipium, che in la-tino significa il possesso di
qualcosa per mezzo dellimposizione della mano, per esempio il
possesso di uno schiavo, su cui di conseguenza si ha un diritto
assoluto. Il venire alla presenza del presente, scrive Heidegger,
accordato ka-t to chren, secondo necessit, o, come egli preferisce
tradurre, entlang dem Brauch, lungo il mantenimento34. Con la
parola Brauch Heidegger allude allutilizzo, al maneggio, alluso:
nel termine chren riecheggia infatti e cher, la mano, da cui deriva
chromai, maneggio qualcosa, porto la mano a qualcosa, gli d una
mano35. Il presente mantenuto nel suo esser presente, quasi come il
dio Crono ha cura del cosmo, per cos dire, tenendolo per mano,
accompa-gnandolo nel suo moto per poi lasciarlo a se stesso.
Heidegger sottolinea que-sto atteggiamento di cura dicendo anzi che
il presente non semplicemente abbandonato (berlassen) a se stesso,
ma mantenuto come per mano (in der Hand behalten): Khro significa
inoltre: mettere in mani proprie (in die Hand geben), dare in mano,
rimettere, abbandonare ad una appartenenza. Ma questo mettere in
mano (Aushndigen), questo rimettere tale da man-tenere labbandonare
e con esso labbandonato36.
Se da un parte questo fa pensare a una minorit costitutiva del
presente, indigente e quindi bisognoso di un mantenimento,
dallaltra si pu pensare che questo gesto, consegnando o rimettendo
(aushndigen) il presente a se stesso
33 Ivi, p. 335; tr. it. p. 339. 34 Ivi, p. 340; tr. it. p. 344.
35 Ivi, p. 337; tr. it. p. 341. Per questa traduzione di chromai
cfr. anche Was heisst Denken?, Tbingen, Niemeyer, 1961, p. 118
sgg.; tr. it. di U.M. Ugazio e G. Vattimo, Che cosa signifi-ca
pensare?, Carnago, Sugarco Ed., 1996, p. 202 sgg. 36 M. Heidegger,
Der Spruch des Anaximander, cit., p. 337; tr. it. p. 341.
Gaetano Chiaruzzi
20
gli d la possibilit di una emancipazione. Ma quando e come
comincia questa emancipazione?
Essa comincia con una preposizione: kat. la preposizione con cui
Hei-degger fa cominciare il detto di Anassimandro che la tradizione
ci ha trasmes-so, accogliendo i rilievi di John Burnet37: kat t
chren: didnai gr autn dke ka tsin alllois ts adikas. Il pi antico
frammento della filosofia occidentale, e quindi la filosofia
stessa, comincerebbe con una preposizione cio con una declinazione.
Ancor pi, il significato di questa preposizione la declinazione:
essa infatti significa, scrive Heidegger, qualcosa nel quale si va
in basso, un alto rispetto al quale qualcosa che sta sotto discende
e sottost. Ci rispetto a cui si parla di un kat ha in s un declivio
(Geflle), un corso, lungo il quale per qualcosaltro ha in qualche
modo luogo una caduta (dem entlang es mit ande-ren so und so der
Fall ist)38. Kat regge il termine chren, la necessit o il
mantenimento, la prima parola di questa frase, e dunque della
filosofia, pa-rola che, persino nella sua forma grammaticale,
indeclinabile: una declina-zione, una caduta, un Verfallen, per
richiamare ancora un concetto essenziale dellanalitica
esistenziale, intacca allora sin dallorigine questa prima parola e
il presente che ne detto derivare. Quel che installa il presente
nelladika, nel-la disgiunzione, un clinamen, una deviazione dalla
traiettoria retta, inflessibi-le. Lobliquit il registro originale o
originario genetico dellente39.
7. Nella-fine: il distacco Cadendo dalla sua radice, lente si
installa nella sua finitudine, nella sua En-dung. Il modo in cui
Heidegger definisce la denominazione pi alta che Ari-stotele usa
per lessere: entelcheia d senso a questa condizione
dellEsserci:
37 Ivi, pp. 313-314; tr. it. p. 317. 38 Ivi, p. 334; tr. it. p.
338. 39 Si potrebbe segnalare qui un passo di J. Beaufret che,
mettendo in relazione il pensiero di Hegel secondo cui il declino,
pur essendo un semplice momento di un processo che lo su-pera,
appartiene tuttavia allessenza stessa dell0essere, e quello di
Heidegger, scrive: biso-gna quindi osar pensare il declino al di l
di Hegel e della dialettica, al di l persino di Nie-tzsche e della
sua esperienza pi chiaroveggente del tragico, fino a dire, con
Heidegger, che esso Sache des Seins, laffaire dellessere? E che qui
risiede, propriamente, lenigma dellessere e del movimento? Detto
altrimenti, che le epoche dellessere continuano a sorge-re, in
libera sequenza, proprio cos, declinativamente? (J. Beaufret, Hegel
et la proposition spculative, in Dialogue avec Heidegger.
Philosophie moderne, Paris, Les ditions de Minuit, 1973, p. 142).
Sulloriginaria declinazione dellessere, al punto che si potrebbe
dire che es-so non un genere, ma una relazione genitiva, non un
dato, ma una relazione dativa, mi permetto di rinviare al mio
libro, Hegel, Heidegger e la grammatica dellessere, Roma-Bari,
Laterza, 1996, in particolare p. 166 sgg.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
21
lentelcheia il mantenersi (conservarsi) nella flessione (Endung)
(limite)40. Unetica della presenza dovrebbe cominciare con questa
maniera di abitare, con questo chein nella fine, nella flessione,
nella declivit, il che non significa finire, ma esistere in maniera
finita. questo il caso dellEsserci: Lesserci non ha una fine,
raggiunta la quale, semplicemente cessi, ma esiste finitamen-te41.
Ma la condizione finita, declinativa, dellEsserci, anche la
condizione di apertura delle sue possibilit, cio della
costituizione di un senso: cosicch qui la deviazione, il caso e
quindi lirreversibilit non pi, come per Pla-tone, motivo di
degenerazione, ma di generazione. a partire dalladika in cui
lEsserci e il presente in generale si trovano che si d una
continuit, la d-ke, e non viceversa, il che sconvolge, in una
maniera che potremmo definire nietzscheana, limmagine tradizionale
dei rapporti tra sostanza e accidenti, continuit e discontinuit,
reale e possibile. Un fatto che, come mostra la fisica
contemporanea, ha comportato la revisione profonda del concetto di
natura, del suo determinismo e della sua atemporalit42. Per la
fisica contemporanea, e specificamente per la fisica quantistica, c
una discontinuit essenziale tra i fenomeni, evidenziata dalla loro
dimensione probabilistica e non deterministi-ca. Questa
discontinuit pu allora essere intesa come una possibilit di
eman-cipazione, di instaurazione di novit, cosicch, parafrasando
una espressione di Bergson il tempo invenzione, o non nulla43 , si
potrebbe dire che il presente emancipazione, o non nulla.
Limmagine che Heidegger ci d del tempo e della storia sembra
quindi non dissimile da quella di Platone: il tempo storico un
tempo sconnesso, dissesta-to, fuori regola, storto, hors de ses
gonds, per usare lespressione che Jacques Derrida ha utilizzato per
tradurre lepressione di Amleto the time is out of joint in Spettri
di Marx, in cui tra laltro commenta anche queste pagine del Detto
di Anassimandro. Ma in queste pagine Derrida afferma che la
disgiuntu-ra anacronica del presente, delladesso, pu fare segno
(bisogna notare che il termine greco dke deriva da deknymi, indico,
mostro) verso una giustizia al di l del diritto, non pi
caratterizzata, cio, come raddrizzamento, simmetria, equilibrio,
ritorno a uno stato originario, allarmonia, ma come apertura
allaltro, promessa di un avvenire al di l della logica dellidentit
e delleconomia del debito, leconomia ristretta che qualifica anche,
e soprattut-
40 M. Heidegger, Einfhrung in die Metaphysik, a cura di P.
Jaeger, Frankfurt a.M., Klo-stermann, 1983, p. 65; tr. it. di G.
Masi, Introduzione alla metafisica, Milano, Mursia, 1979, p. 71
(modificata). 41 Id., Sein und Zeit, cit., p. 329; tr. it. p. 480.
42 Cfr. I. Prigogine et I. Stengers, La Nouvelle Alliance.
Mtamorphose de la science, Paris, Gallimard, 1979; tr. it. di P.D.
Napolitani, La Nuova Alleanza, Torino, Einaudi, 1999. 43 H.
Bergson, Lvolution cratrice, in uvres, Paris, P.U.F., 1963, p.
784.
Gaetano Chiaruzzi
22
to, la dialettica hegeliana44. La disgiuntura necessaria, la
condizione de-totalizzante della giustizia, qui appunto quella del
presente e insieme della condizione stessa del presente e della
presenza del presente45. La condizione di questa apertura
anacronica verso una giustizia che non data, ma donata co-me ci che
non si ha, che la Verwindung del presente mantenga un certo
ca-rattere di irreversibilit, che non si configuri cio come una
Umkehrung. Se Heidegger identifica, come diceva Lwith, essere ed
evento, perch levento il venire alla presenza dellente ha in se
stesso un potere di risoluzione, eman-cipante, dovuto totalmente
alla sua temporalit, e cio alla sua irreversibilit. Il giudizio
sulla storia, la giustizia propria della storia, possibile a
partire dal-la consapevolezza della radicale storicit dellente,
come ricordo, cio, della sua provenienza, che ne inficia
intrinsecamente ogni assolutezza. Questo motivo storicista perci
tuttaltro che meramente giustificativo: non si tratta di
giu-stificare ci che per il fatto che , ma anzi di delegittimarlo
in base al fatto che pur sempre storia, ovvero una realizzazione
delle tante che erano possibi-li. Il giudizio sulla storia
possibile concependo la storia come un deposito di possibilit,
alcune delle quali si sono realizzate, mentre altre no. La
giustizia non il ritorno al dato pre-esistente, ma il costante
appello al possibile che non ancora.
Questo appello ha la forma di un ricordo, il cui scopo non
quello di ripor-tare nostalgicamente ad uno stato antecedente, ma
di comprendere la storicit del presente. Limporsi del presente,
infatti, avviene a prezzo di un oblio, loblio della differenza
ontologica, che prende la forma di un distacco radicale dellente
dalla propria radice46. La parola greca per ente, t n, conserva in
effetti la traccia di questo oblio, sotto forma della perdita della
forma originale en: Linguisticamente [] n e nta sono
presumibilmente forme in qualche modo contratte delle espressioni
originarie en e enta. Solo in queste parole ri-suona ancora in
qualche modo ci di cui enunciamo lstin e lenai. Le di en e enta le
della radice es di stin, est, esse, e . Invece, n e nta, senza
radica-le, si presentano come le desinenze (Endungen) participiali
atematiche, venen-do a significare, per s e propriamente, ci che
dobbiamo pensare nella forma verbale che fu definita dai grammatici
posteriori come metoch, participium []47. 44 Cfr. J. Derrida, De
lconomie restreinte lconomie gnrale, in Lcriture et la diffren-ce,
Paris, Seuil, 1967; tr. it. di G. Pozzi, Dalleconomia ristretta
alleconomia generale, in La scrittura e la differenza, Torino,
Einaudi, 1971. 45 Idem, Spectres de Marx, Paris, Galile, 1993; tr.
it. di G. Chiurazzi, Spettri di Marx, Mila-no, Cortina, 1994, pp.
39-40. 46 La differenza tra lessere e lente, scrive Heidegger, quel
che Platone ha pensato con il termine chorisms, separazione,
distacco (Id., Was heit Denken ?, cit. pp. 174-75; tr. it. p. 282).
Il chorzein, si visto (cfr. nota 12), anche il movimento grazie al
quale il mondo si emancipa dalla manutenzione di Crono. 47 M.
Heidegger, Der Spruch des Anaximander, cit., p. 317; tr. it. p.
320-21.
Tempo e giustizia: sulla lettura heideggeriana di
Anassimandro
23
Questa sottigliezza grammaticale, scrive Heidegger, , in verit,
lenigma dellessere48. Mantenendosi in una condizione declinativa,
che flette la purezza della radice tematica, lente si emancipa
dalla sua radice fino a can-cellarla, a dimenticarla. In tal modo,
non fa che dimenticare la propria prove-nienza in funzione di un
altro attaccamento, un attaccamento a s: perch, dimenticando questa
differenza, che la differenza tra lessere e lente, luomo, che ne il
pastore, si impadronisce della terra, la attacca a s (an sich zu
reien, strappare, estirpare tirando a s, impadronirsi), e ne
diventa il padrone. Anzich godere semplicemente della terra secondo
un motivo epicureo che Heidegger sembra introdurre nella sua
lettura di Anassimandro, quando intende il verbo brauchen nel senso
del latino frui, traducendolo di conse-guenza liberamente con
godere di (geniessen) [] allietarsi di una cosa e averla cos in
uso49 se ne impadronisce, ne fa la sua propriet, trasfor-mando cos
il semplice godimento o usufrutto in diritto reale, possesso: Luomo
sta per slanciarsi su tutta la terra e nella sua atmosfera, sta per
im-padronirsi da usurpatore (an sich zu reien) del regno segreto
della natura ri-dotto a forze e per sottoporre il corso della
storia ai piani e ai progetti di una dominazione planetaria.
Questuomo in rivolta (aufstndig) non pi in grado di dire
semplicemente che cosa (ist), di dire che cos che una cosa . Il
tutto dellente divenuto lunico oggetto di ununica volont di
conquista. La semplicit dellessere sepolta in un oblio
totale50.
Loblio dellessere loblio del distacco. Ma il problema non quello
di ri-stabilire questo legame, n quello di assolutizzare lente,
quanto piuttosto di intendere il distacco appunto come tale, come
un essere provenuto: una eman-cipazione accaduta, che si intende
come evento perch impone la legge del non ritorno. La giustizia
della storia non consiste nel restaurare una condizione precedente,
nel semplice ritorno alla radice, ma nel tenersi nella condizione
di un godimento instabile, tra emancipazione e appropriazione,
declinazione e at-taccamento, apertura al futuro e ricordo della
propria provenienza. questo il senso della Verwindung del presente,
come presente.
La Verwindung la forma storica della differenza ontologica, un
modo di mantenersi nella flessione. Non per chiaro se e quanto
Heidegger percorra davvero questa strada: spesso si ha anzi
limpressione che anche in lui lo schema platonico operi
surrettiziamente in maniera restaurativa. Ne prova quello che
scrive nelle pagine conclusive di Il detto di Anassimandro,
laddove, contro luomo ribelle, che si rialza e si tiene dritto
(aufstndig), contro il totale oblio dellessere, finisce con il
riproporre lo stesso tipo di inversione che il te-ma centrale del
mito di Crono, lUmkehrung della storia da parte dellessere, o del
dio: C qualche salvezza? Essa c in primo luogo e soltanto se il
pericolo 48 Ibid.; tr. it. p. 321. 49 p. 338: tr. it. pp. 342-343.
50 Ivi, p. 367; tr. it. p. 348.
Gaetano Chiaruzzi
24
(Gefahr) . Il pericolo se lessere stesso va allestremo e
capovolge (umkehrt) loblio che proviene dallessere stesso51.
51 Id., Der Spruch des Anaximander, cit., p. 368; tr. it. p.
348.
Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp.
25-58
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomeno-logica di Leo Strauss Pierpaolo Ciccarelli Universit di
Cagliari Dipartimento di Filosofia e teoria delle scienze umane
[email protected] ABSTRACT Through an accurate reading
of Leo Strauss essay Philosophy as Rigorous Science and Po-litical
Philosophy, the paper aims to provide a contribution to raise the
principled question of the relationship between philosophy and
politics. Strauss states that there is an inti-mate connection
between the facts occurred in Germany in 1933 and the core of
Hei-deggers philosophical thought. Now, it's difficult to let this
statement about Heidegger fit within the well-known Strauss'
critique of the historicistic vision, accordingly to which every
philosophy is conditioned from its historical time. An accurate, i.
e., a critical read-ing of Strauss essay, forces us to answer to
the following question: What does properly mean Strauss statement?
Does it imply something like a reductio ad Hitlerum of Heideg-gers
thought, i.e., an essentially historicistic interpretation of the
issue? My paper sup-ports the idea that Strauss interpretation of
the relation between thought and politics is not historical, but
phenomenological, assuming the word in a Husserlian way. In fact,
ac-cording to Strauss, Heideggers thought like every modern
philosophy of history as for example those of Hegel, Marx and
Nietzsche is basically a renunciation of the infinite philosophical
task in favour of what Husserl called Weltanschauungsphilosophie,
that is, in favour of time-conditioned practical solutions of the
riddles of life and the world. Seen in this way, Heideggers
political engagement is a consequence, not of his philosophy, but
rather of his essentially non-philosophical incapacity to resist
the temptation of Weltan-schauungsphilosophie, i. e., the desire of
satisfying the human need of exaltation and conso-lation. The roots
of Heideggers political choices are therefore to be understood
within a specific cultural-political framework, and not within his
philosophical thinking.
Il presente scritto costituisce lesito, ancora parziale, di una
ricerca condotta presso la Berghische Universitt di Wuppertal sul
tema Phnomenologie der politischen Welt. Die Rckkehr zum
klassischen Rationalismus im Werk von Leo Strauss. Desidero qui
ringraziare il Prof. Dr. Klaus Held, per aver auspicato il mio
soggiorno di studi, e la Heinrich-Hertz-Stiftung, per averlo reso
possibile assegnandomi una borsa di studio annuale.
Pierpaolo Ciccarelli
26
1. Husserl e il giovane Strauss Nel 1971 Leo Strauss pubblica un
breve saggio, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, nel quale afferma, tra le altre cose, che v uno
stret-to rapporto tra il pensiero di Heidegger e il nazismo. Prima
di esaminare tale giudizio, soffermiamoci sullevidente allusione,
nel titolo dello scritto straus-siano, al saggio programmatico di
Edmund Husserl Philosophie als strenge Wissenschaft del 1911:
Strauss si propone infatti di comprendere se, nella fi-losofia di
Husserl, vi sia posto per la filosofia politica.1 Uno strano
proposito: non si vede infatti che cosa abbia a che fare, con la
filosofia politica, questo scritto, dove Husserl svolge un
brevissimo riassunto di alcune analisi fenome-nologiche della
coscienza svolte in altri, ben pi importanti, testi, nonch al-cune
linee programmatiche su future ricerche e, infine, una critica,
condotta dal punto di vista della fenomenologia, della filosofia
naturalistica, dello storicismo e della filosofia della visione del
mondo (Weltanschauungsphi-losophie). Nessun cenno, dunque, a temi
di filosofia politica in senso proprio, quali ad esempio, lo stato,
le forme di governo, la sovranit, la societ civile etc. Perch,
dunque, Strauss, il dotto interprete della tradizione classica del
pensiero politico, va a cercare la filosofia politica di Husserl
proprio in questo scritto e non per fare un possibile esempio nelle
Meditazioni carte-siane, nelle analisi della costituzione dellalter
ego? Questa ovvia domanda pu forse trovare risposta se ci
disponiamo a leggere il breve saggio straussiano come una sorta di
contributo alla critica di me stesso. Strauss, in altre paro-le,
offre qui al lettore una riflessione sul significato della
fenomenologia di Husserl nella maturazione del problema di fondo
della sua riflessione: il pro-blema della filosofia politica. Due
indizi, nel testo, ci spingono a formulare questa ipotesi. In due
passaggi, infatti, troviamo delle insolite allusioni di ca-rattere
autobiografico. La prima questa: Quando ero ancora un ragazzo e a
quel tempo aderivo in modo incerto e dubbioso alla scuola
neokantiana di Marburgo, Husserl mi spieg in questi termini il
carattere della sua opera: La scuola di Marburgo comincia dal
tetto, mentre io comincio dalle fondamen-ta.2
1 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, in: Interpretation 1971 (vol. 2 n. 4), p. 5 (=
Filosofia come scienza rigorosa e filosofia politica, tr. it. di C.
Ado-risio con un nota di presentazione di F.S. Trincia, in:
MicroMega Almanacco di filosofia, 2008, p. 164). Il saggio era
stato gi pubblicato nel 1968 in lingua ebraica. Esso poi con-fluito
in L. Strauss, Studies in Platonic Political Philosophy, Chicago
1983. 2 Ivi, p. 2 (= tr. it. cit., p. 161).
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
27
Strauss torna a sottolineare il suo giovanile accostamento a
Husserl l do-ve afferma: Quanto sto per dire basato su una
rilettura, compiuta dopo molti anni di oblio, del saggio
programmatico di Husserl Filosofia come scien-za rigorosa.3
A questi passi interessante accostare alcune osservazioni che
troviamo nel carteggio tra Strauss e Eric Voegelin. In una lettera
del 13 febbraio 1942, Strauss critica, come era solito fare, il
pensiero moderno e contemporaneo: bench sia vero afferma che
nellepoca moderna c sempre stato un mo-vimento di opposizione
contro il pensiero moderno, si trattato sempre di una movimento di
opposizione concentrato su se stesso, anche quando si op-pone al
pensiero moderno.4 Subito dopo, per, la severit del giudizio sui
tempi moderni, incapaci secondo Strauss di trascendere il proprio
oriz-zonte storico-culturale, si attenua per far posto ad una
eccezione: Husserl lunico che ha realmente cercato un nuovo inizio,
integre et ab integro; il saggio sulla crisi della scienza moderna
lindicazione pi chiara esso mira allinizio, o alla scienza
sociale.5
Strauss, che dedic la propria esistenza di studioso quasi
esclusivamente allinterpretazione dei classici, vedeva dunque in
Husserl lunico classico contemporaneo. Ci emerge in modo ancor pi
netto in unaltra lettera, data-ta 9 maggio 1943. Allosservazione di
Voegelin che aveva sottolineato il carat-tere spiccatamente moderno
della egologia di Husserl, Strauss risponde: Questo [scil.: il
problema dellegologia] , comunque, soltanto un problema e non il pi
importante: lanalisi fenomenologica di Husserl sfoci nellanalisi
radicale dellintero sviluppo della scienza moderna (il saggio in
Philosophia e il saggio sullevidenza geometrica cos come lo
splendido frammento sulla co-scienza dello spazio nel volume in
ricordo di Husserl). Non conosco niente nel-la letteratura del
nostro secolo che possa essere comparabile a queste analisi quanto
a rigore, profondit e respiro. Husserl ha visto con incomparabile
chiarezza che la restaurazione della filosofia o della scienza
perch egli nega che quanto oggi passa per scienza sia autentica
scienza presuppone la re-staurazione del livello problematico
platonico-aristotelico. La sua egologia
3 Ivi, p. 5. (= tr. it. cit., p. 164). 4 P. Emberley, B. Cooper
(edit.), Faith and Political Philosophy. The Correspondence
Be-tween Leo Strauss and Eric Voegelin, 1934-1964, Pennsylvania
1993, p. 12. Strauss si riferi-sce qui allannuario filosofico
internazionale Philosophia, edito a Belgrado, sul quale appar-vero,
nel 1936, le prime due parti del volume, pubblicato poi nel 1954,
intitolato Die Krisis der europischen Wissenschaften und die
transzendentale Phnomenologie: Eine Einleitung in die
phnomenologische Philosophie. Il volume in memoria verosimilmente
quello edito da M. Farber, Philosophical Essays in Memory of Edmund
Husserl, Cambridge, Mass. 1940. 5 Ivi, p. 12.
Pierpaolo Ciccarelli
28
pu essere compresa solo come risposta al problema
platonico-aristotelico del Nous e solo al livello di tale questione
quella risposta pu essere adeguata-mente discussa.6
Strauss torna sullargomento nella lettera a Voegelin dell11
ottobre 1943: Lei senza dubbio sovrastima il significato del guscio
storico-filosofico ed e-pistemologico proprio della situazione da
cui Husserl ha preso le mosse. Il punto di vista decisivo in
Husserl la critica della scienza moderna alla luce della scienza
vera e propria, cio [la scienza] platonico-aristotelica. La sua
o-pera pu essere compresa solo alla luce delle enormi difficolt in
cui culmina la scienza platonico-aristotelica, il problema del
nous. Al cospetto delle enormi difficolt di comprensione di De
anima III, 5 e ss., la fondazione egologica husserliana
dellontologia in fondo scusabile.7
Giudizi cos positivi su Husserl da parte di un autore come
Strauss, sempre drasticamente critico nei riguardi del pensiero
contemporaneo, appaiono al-quanto insoliti. Viene cos da pensare
che, nello scritto sulla Filosofia come scienza rigorosa, Strauss
abbia inteso, non soltanto determinare il posto la-sciato da
Husserl alla filosofia politica, ma indicare anche come, al fondo
del proprio modo di concepire il compito del pensiero filosofico,
agisca una decisi-va movenza fenomenologica in senso specificamente
husserliano. Nella lette-ratura critica salvo errore8 il tema
dellispirazione fenomenologica dellermeneutica e, pi in generale,
del pensiero di Strauss non stato ancora affrontato, n questa la
sede adatta a svolgere in modo esauriente questo compito. Ci
limiteremo dunque a mostrare in che misura il giudizio di Strauss
sulla connessione tra filosofia e politica in Heidegger non sia
comprensibile senza tener conto del suo tenore
fenomenologico-husserliano.
6 Ivi, p. 17. 7 Ivi, p. 35. 8 Non mi riuscito di consultare L.
Berns, The prescientific world and Historicism: some re-flections
on Strauss, Heidegger and Levinas, in: A. Udof (ed.), Leo Strausss
Thought: toward a critical engagement, Boulder/London 1991, pp.
169-182. La critica si concentrata soprat-tutto sul rapporto
dellermeneutica di Strauss con la Destruktion heideggeriana: al
proposi-to, cfr. le differenze opportunamente segnalate da H.
Meier, Die Denkbewegung von Leo Strauss, Stuttgart-Weimar 1996, pp.
29 ss. Cfr. anche S. B. Smith, Destruktion or recovery? On Strausss
Critique of Heidegger, in: Id., Reading Leo Strauss. Politics,
Philosophy, Juda-ism, Chicago 2006, pp. 108-130.
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
29
2. I fatti del 1933 e il nucleo del pensiero di Heidegger Lo
scritto straussiano esordisce con la constatazione di un paradosso
che ca-ratterizza la nostra epoca. Da un lato, osserva Strauss, un
fatto che, nel corso delle due ultime generazioni, la filosofia
politica ha perso la propria cre-dibilit; dallaltro, per, la
filosofia politica ha perso la sua credibilit nella proporzione in
cui la politica stessa , in un certo senso, divenuta pi filosofica
che mai.9 Non pi credibile ormai diventato ci che, da sempre, ha
costitui-to loggetto della filosofia politica, lordine giusto o
migliore della societ, lordine per natura giusto o migliore
dovunque e sempre. E tuttavia, con-temporaneamente a questa perdita
di senso della domanda centrale della filo-sofia politica, si
assiste ad una radicale trasformazione della politica stessa, la
quale non ormai pi quello che essa era sempre stata, ovvero il
dominio del particulare: Unagitazione sociale osserva Strauss in
quello che viene chiamato genericamente, per non dire
demagogicamente, un ghetto di una citt americana ha ripercussioni a
Mosca, Pechino, Johannesburg, Hanoi, Londra ed in altri posti molto
lontani, e rimane a questi collegato.10
La politica dunque si filosofizzata: ha acquisito una dimensione
univer-sale, empiricamente universale. Simultaneamente la filosofia
politica scom-parsa. Nessuno, nessun filosofo, intellettuale, uomo
di cultura ritiene ormai che sia sensata unindagine sul migliore
ordine possibile delle cose umane. Su questo, osserva Strauss,
concordano anche i pi decisi avversari politici, quali lideologia
comunista (Strauss scrive ricordo allinizio degli anni 70) e le
tendenze culturali prevalenti in quelli occidentali. Strauss
sorvola sul comuni-smo per individuare, invece, con maggior
precisione due filosofie influenti in Occidente, il positivismo e
lesistenzialismo. Seguendo una linea gi adot-tata altrove11,
Strauss riassume nel modo seguente, gli argomenti positivisti e
quelli esistenzialisti contro la filosofia politica nel senso
antico dellespressione, dunque contro la ricerca dellordine umano
giusto physei, per natura. Il positivismo si vede costretto a
rigettare la filosofia politi-ca come radicalmente non scientifica
poich questa enuncia giudizi di valore, o di disvalore, giudizi cio
che la conoscenza scientifica lunica vera cono-
9 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, cit., p. 1 (= tr. it. cit., p. 159). 10 Ibid. 11 Cfr.
anzitutto i primi due capitoli di L. Strauss, Natural Right and
History, Chicago 1965 (Ia ed. 1950) pp. 9-80 (= Diritto naturale e
storia, tr. it. di N. Pierri, Genova 1990, pp. 15-89), nonch le
pagine introduttive di L. Strauss, The City and the Man, Chicago
1964, pp. 1-12.
Pierpaolo Ciccarelli
30
scenza12, secondo i positivisti non in grado di enunciare.
Lesistenzialismo si oppone risolutamente al positivismo, giacch
esso so-stiene il punto di vista secondo il quale tutti i principi
di conoscenza e di a-zione sono storici, non hanno cio altro
fondamento che uninfondata decisio-ne umana o una dispensa del
fato.13 Esso ben lontano dal ritenere la scienza lunica vera
conoscenza: al contrario, la giudica come una forma tra le altre
per vedere il mondo, tutte di pari dignit.14 Questo fondamentale
di-saccordo col positivismo per, non impedisce allesistenzialismo
di giun-gere, riguardo alla filosofia politica, al medesimo
verdetto di condanna e-messo dal suo avversario: dal momento che,
secondo lesistenzialismo, tutto il pensiero umano storico, nel
senso indicato, lesistenzialismo deve rifiutare la filosofia
politica come radicalmente a-storica.15
Ora, Strauss solleva, per cos dire, una quaestio iuris: intende
cio svolgere unindagine critica riguardo alla validit degli
argomenti fatti valere contro la filosofia politica. Questa
indagine critica appare, al contempo, come una sorta di
autobiografia intellettuale, unanamnesi della riflessione che ha
con-dotto Strauss stesso a porsi criticamente nei riguardi del
positivismo e dellesistenzialismo e, di conseguenza, a cassare il
verdetto di condanna emesso contro la filosofia politica. Al centro
di questa anamnesi critica com-paiono due maestri di Strauss:
Husserl e Heidegger. A Heidegger, egli tributa qui la medesima
ammirazione gi espressa, come vedremo tra poco, anche in altre
occasioni: Lesistenzialismo un movimento che, come tutti i
movi-menti simili, ha una periferia debole ed un centro duro. Tale
centro il pensie-ro di Heidegger. Solo a questo pensiero
lesistenzialismo deve tutta la sua im-portanza o rispettabilit
intellettuale.16
Senonch, Strauss mette altres in evidenza che nellopera di
Heidegger non c spazio per la filosofia politica, e questo pu ben
essere dovuto al fatto che lo spazio in questione occupato da Dio o
dagli dei.17 Losservazione rin-via a quello che, a buon diritto, si
pu considerare largomento fondamentale attorno al quale ruotano la
riflessione e lermeneutica di Strauss: il problema
teologico-politico e del rapporto conflittuale tra filosofia e
religione (il tema
12 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, cit., p. 1 (= tr. it. cit., p. 159). 13 Ibid. 14 Ibid.
15 Ibid. 16 Ivi, p. 2 (= tr. it. cit., pp. 159 s.). 17 Ibid.
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
31
da lui evocato con lespressione Atene e Gerusalemme).18 Ci
accorgeremo, leggendo lo scritto su Philosophy as Rigorous Science
and Political Philosophy, che linsegnamento husserliano ha dato un
impulso decisivo alla elaborazione filosofica di questo Leitmotiv
della vita intellettuale di Strauss. Ma lasciamo da parte, per ora,
questo punto e torniamo alle osservazioni di Strauss riguar-do a
Heidegger. Il fatto che nellopera heideggeriana non ci sia spazio
per la filosofia politica non significa precisa ovviamente Strauss
che Heideg-ger sia stato del tutto estraneo alla politica: nel 1933
ha dato il benvenuto alla rivoluzione di Hitler, ed egli, che non
aveva mai apprezzato nessun altro sfor-zo politico contemporaneo,
espresse ammirazione per il nazionalsocialismo ancora a lungo dopo
che Hitler era stato messo a tacere e che Heil Hitler si era
trasformato in Heil Unheil.19
Strauss allude qui, probabilmente, alledizione di Einfhrung in
die Meta-physik, il corso universitario che Heidegger tenne nel
1935 in occasione del quale parl dellintima verit e grandezza20 del
nazionalsocialismo: succes-sivamente, quando, nel 1953, pubblic il
corso, Heidegger non tolse questa frase e, al contempo, segnal
anche, in una Avvertenza iniziale, che il testo era stato emendato
dagli errori: una sorta di allusione esoterica con la quale
Heidegger lascia intendere indirettamente, fra le righe, in modo
quindi da non destare scandalo, di non avere rinnegato la propria
esperienza politica.21 18 Atene e Gerusalemme, ossia, fuor di
metafora, il problema del rapporto conflittuale tra filosofia e
religione presente in ogni scritto di Strauss. Il testo decisivo,
al riguardo, la Einleitung del 1935 a Philosophie und Gesetz (ora
in L. Strauss, Gesammelte Schriften, Band 2, hrsg. von H. Meier,
Stuttgart-Weimar 1997, pp. 9-27 [= Filosofia e Legge, tr. it. di C.
Al-tini, Firenze 2003, pp. 131-154; la traduzione pubblicata
insieme ad un ampio e ben do-cumentato saggio di C. Altini, Oltre
il nichilismo. Ritorno allebraismo e crisi della modernit politica
in Leo Strauss, ivi, pp. 7-128]). Sullimportanza di questo testo
nella maturazione del pensiero Strauss e, pi in generale, sulla
centralit del problema teologico-politico ha molto opportunamente
insistito H. Meier, How Strauss Became Strauss, in: Enlightening
Re-volutions: Essays in Honor of Ralph Lerner, Lanham, MD 2006 pp.
36382. Cfr. anche, sempre di Meier: Die Denkbewegung von Leo
Strauss, cit.; Carl Schmitt, Leo Strauss und der Begriff des
Politischen. Zu einem Dialog unter Abwesenden, Stuttgart-Weimar
1998; Das theologisch-politische Problem. Zum Thema von Leo
Strauss, Stuttgart-Weimar 2003. 19 L. Strauss, Philosophy as
Rigorous Science and Political Philosophy, cit., p. 2 (= tr. it.
cit., p. 160). 20 M. Heidegger, Einfhrung in die Metaphysik,
Tbingen 19875, p. 152 (= Introduzione alla metafisica, tr. it. di
G. Masi, Milano 1979, p. 203). 21 Ivi, Vorbemerkung (= tr. it.,
cit., p. 12). La cosa non poteva ovviamente sfuggire ad un maestro
nellesegesi della scrittura esoterica come Strauss, il quale
infatti vi accenna sia in An Introduction to Heideggerian
Existentialism, in: Th. Pangle (ed.), The Rebirth of Classical
Political Rationalism. An Introduction to the Thought of Leo
Strauss, Chicago 1989, p. 30 (= Introduzione allesistenzialismo di
Heidegger, tr. it. di A. Ferrara, in: L. Strauss, Atene e Ge-
Pierpaolo Ciccarelli
32
Lammirazione di Strauss nei riguardi della rispettabilit
intellettuale che Heidegger procura allesistenzialismo non lo
trattiene qui, come del resto in altri luoghi, dal pronunciare un
giudizio severo al suo indirizzo: Noi non pos-siamo fare a meno di
incolpare Heidegger di questi fatti. Inoltre, si indotti a
fraintendere radicalmente il pensiero di Heidegger se non si scorge
lintima connessione di tali fatti con il nucleo del suo pensiero
filosofico.22
Strauss, quindi, ritiene che tra i fatti del 1933 e il nucleo
del pensiero di Heidegger vi sia unintima connessione. Sembra, a
leggere tale afferma-zione, che il giudizio di Strauss sulla
politica di Heidegger si traduca immedia-tamente in un giudizio
sulla sua filosofia. Sembra cio che Strauss si inserisca in quella
non esigua schiera di detrattori di Heidegger che ritengono
ladesione di questi al nazismo come un fatto che, per cos dire, gi
inscritto nella sua stessa filosofia. Sembra, dunque, che per
Strauss, cos come per tutti coloro che hanno giudicato
negativamente il pensiero heideggeriano in ragione della sua intima
connessione con lideologia politica nazionalsocialista, tra la
filosofia e la sfera politico-culturale sussista un rapporto di
dipendenza: luna non pu essere giudicata senza tener conto
dellaltra. Senonch chiun-que conosca lermeneutica di Strauss e, pi
in particolare, la sua insistenza sulla distinzione tra scrittura
esoterica e scrittura essoterica, sa che la sua intenzione di fondo
consiste proprio nel negare recisamente lovviet di questo rapporto
di dipendenza tra filosofia e contesto culturale (e dunque politico
e ideo-logico). In aperta polemica con questo idolum storicista
Strauss si costan-temente sforzato di mostrare per ricorrere qui
alle parole di un fine interpre-te che la dipendenza storica
[della] filosofia non da intendersi come un ovvio presupposto, ma
come una questione aperta per la Destruktion della sto-ria della
filosofia.23
Viene dunque da chiedersi di che natura sia, come vada cio
intesa questa tesi di Strauss sullintima connessione tra i facts e
il thought di Heidegger. bene, al riguardo, esercitare quella virt
della lettura accurata dei testi di cui Strauss stesso stato
esempio. Almeno due luoghi testuali vanno qui con-siderati. Uno
collocato nel secondo capitolo di Natural Right and History,
________________________________________ rusalemme. Studi sul
pensiero politico dellOccidente, Torino 1998, p. 361); sia nella
importan-te Preface to the English Translation alla edizione
americana del suo Spinoza-Buch nel 1965 (cfr. L. Strauss, Vorwort
zur amerikanischen Ausgabe, tr. di W. Meier, in Gesammelte
Schrif-ten, Band 1, Stuttgart-Weimar 1996, p. 10 [= Prefazione alla
critica spinoziana della religio-ne, in: L. Strauss, Liberalismo
antico e moderno, tr. it. di S. Antonelli e C. Geraci, Milano 1973,
p. 281]). 22 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and
Political Philosophy, cit., p. 2 (= tr. it. cit., p. 160). 23 H.
Meier, Die Denkbewegung von Leo Strauss, cit., p. 31.
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
33
dove emerge una connessione fra facts e thought analoga (bench
non identica) a quella affermata a proposito di Heidegger nel brano
citato. Riferendosi alla dottrina weberiana del politeismo dei
valori ed alla sua conseguenza nichi-listica, seguendo la quale si
giunge inevitabilmente a un punto, oltre il quale la scena oscurata
dallombra di Hitler, Strauss avverte: C pur-troppo ancora bisogno
di dire una cosa, che dovrebbe essere ovvia e tacita-mente ammessa:
nel corso del nostro esame ci guarderemo bene dal cadere in un
procedimento erroneo (fallacy), che in questi ultimi decenni stato
spesso adoperato come un surrogato della reductio ad absurdum: la
reductio ad Hitle-rum. Un punto di vista (view) non confutato dal
fatto che le capitato di es-sere condiviso da Hitler.24
Con la singolare espressione reductio ad Hitlerum Strauss
intende un modo di argomentare ben noto, perch ancor oggi in voga
in diverse varianti (e che, ironia della sorta, recentemente stato
rivolto proprio contro Strauss25): criti-care un punto di vista
associandolo a fatti riprovevoli sul piano etico-politico. Le
ragioni che inducono Strauss a considerare questo modo di procedere
una vera e propria fallacy sono evidenti: ogni reductio ad Hitlerum
o potremmo dire, per menzionare le diverse forme che pu assumere
questa fallacy cos co-mune ogni reductio ad terrorem presuppone
come ovvio proprio quello che Strauss si sempre sforzato di
criticare: la dipendenza storicistica del thought dai facts. Viene
allora da chiedersi: la tesi di Strauss sullintima connessione dei
fatti del 1933 e il nucleo del pensiero di Heidegger da
considerarsi co-me una delle tante reductiones ad Hitlerum a cui
abbiamo assistito dal dopo-guerra in poi, oppure, seguendo
lammonimento di Strauss stesso riguardo a questa fallacy, dobbiamo
cercare di intenderla diversamente?
Analoga domanda sollecitata da un altro luogo testuale dellopera
straus-siana. Le parole sopra menzionate circa limportanza e la
rispettabilit intel-lettuale che lesistenzialismo deve a Heidegger,
non sono le uniche che Strauss ha speso in lode di colui che era
stato indubbiamente uno dei suoi auc-tores. Si tratta per sempre di
parole caratterizzate da una caratteristica am-bivalenza. Si legga,
ad esempio, il seguente passo di Introduction to Heidegge-rian
Existentialism: Oggi [1956], a prescindere dal neotomismo e dal
marxi-smo volgare o raffinato non esiste pi un sistema filosofico.
Tutti i sistemi fi-
24 L. Strauss, Natural Right and History, cit., pp. 42 s. (= tr.
it. cit., p. 50). 25 Mi riferisco alla communis opinio secondo cui
vi sarebbe un legame diretto tra linsegnamento di Strauss e la
politica conservatrice della destra statunitense. Al proposito, si
leggano le intelligenti considerazioni di C. Altini, Leo Strauss.
Linguaggio del potere e lin-guaggio della filosofia, Bologna 2000,
pp. 87 ss. Cfr. anche C. and M. Zuckert, The Truth About Leo
Strauss: Political Philosophy and American Democracy, Chicago
2006.
Pierpaolo Ciccarelli
34
losofici razionali e liberali hanno perso il loro significato e
potere. Si pu de-plorare ci, ma non riesco a costringermi a tener
fede a sistemi filosofici che si sono dimostrati inadeguati. Temo
che dovremo fare uno sforzo grandissimo per poter trovare una base
solida per il razionalismo liberale. Solo un grande pensatore
potrebbe aiutarci in questa congiuntura intellettuale. Ma qui il
grande guaio: il solo grande pensatore del nostro tempo Heidegger
[corsivo mio].26
Poco dopo, Strauss aggiunge: Pi comprendo ci a cui Heidegger
mira, pi vedo quanto ancora mi sfugge. La cosa pi stupida che
potrei fare sarebbe di chiudere gli occhi o di rifiutare la sua
opera [corsivo mio].27
Strauss dunque persuaso che Heidegger sia un autentico pensatore
(addi-rittura lunico del nostro tempo): la sua opera
intrinsecamente filosofica, dunque sotto questo profilo, in quanto
espressione cio della filosofia, non essenzialmente diversa da
quella, ad esempio, di Platone, di Aristotele o di Spinoza.
Senonch, quando si tratta di leggere Platone, Aristotele o Spinoza,
ossia opere filosofiche, Strauss ritiene unicamente adeguata la
massima di non confondere, more solito, bens di tenere
accuratamente distinti il piano del pen-siero da quello delle
opinioni religiose e politiche dellautore interpretato. Si
ripropone, allora, la medesima domanda: che cosa significa,
propriamente, per Strauss, che tra i fatti del 1933 e il nucleo del
pensiero di Heidegger sussiste una intima connessione? La tesi che
intendo qui argomentare che, per comprendere questo giudizio nei
termini in cui Strauss lo ha inteso, occorre in-tendere
lintepretazione fenomenologica del rapporto tra filosofia e
politica che sta alla sua base. Che ci sia una connection tra il
pensiero di Heidegger e i fat-ti del 1933 e che, senza scorgere
questa connection tra facts e thought, niente si comprende del
thought, non significa, per Strauss, che il thought sia spiegabile
sulla base dei facts, oppure che i facts siano una conseguenza del
thought. Leg-gendo Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, scopriremo, al contrario, che il concetto straussiano
di filosofia politica nasce dalla consa-pevolezza, formatasi in
Strauss anche grazie allinsegnamento di Husserl, ri-guardo alla
radicale antitesi tra la filosofia e ogni espressione culturale
umana (anzitutto politica e religiosa). Per Strauss, quindi, la
causa delladesione di Heidegger al nazismo pu essere solo di ordine
politico (culturale, ideologico ecc.), non filosofico.28 26 L.
Strauss, An Introduction to Heideggerian Existentialism, cit., p.
29 (= tr. it. cit., p. 359). Come segnalato dal curatore
statunitense (ivi, p. XXIX) il testo di questo saggio , in real-t,
soltanto la trascrizione fatta da studenti di una conferenza tenuta
da Strauss alla University of Chicago nel febbraio del 1956. 27
Ivi, p. 30 (= tr. it. cit., p. 360). 28 Segnalo che, osservato
sotto questo profilo, il giudizio di Strauss sulla politica di
Heideg-ger rivela un impianto strutturalmente analogo a quello di
H. Arendt, Martin Heidegger ist
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
35
3. Heidegger e la necessit della filosofia della storia
Ritorniamo, dunque, al saggio sulla scienza rigorosa per osservare
come, anche qui, il giudizio di Strauss su Heidegger non sia privo
di ambivalenze. Infatti, subito dopo aver richiamato la necessit di
osservare lintima con-nessione tra i fatti del 1933 ed il nucleo
del pensiero heideggeriano, Strauss precisa: Tuttavia, essi [scil.:
i fatti del 1933] forniscono una base troppo esigua per una
comprensione adeguata del suo pensiero.29
Per ottenere una base adeguata alla comprensione del pensiero di
Heideg-ger e, in particolare, [del] suo atteggiamento riguardo alla
politica, Strauss consiglia di non trascurare lopera del suo
maestro, Husserl.30 Questi, come gi ricordato, aveva raffigurato la
propria indagine filosofica al giovane Strauss come un cominciare,
non dal tetto, ma dalle fondamenta. Strauss spiega cos limmagine
husserliana: Husserl aveva capito pi profondamente di ogni altro
che la comprensione scientifica del mondo, lungi dallessere la
perfezione della nostra comprensione naturale, deriva da
questultima in un modo tale che ci fa dimenticare i fondamenti veri
e propri della comprensione scientifica: lintera comprensione
filosofica deve partire dalla nostra comune
________________________________________ 80 Jahre alt, in:
Merkur (1969), pp. 893-902 (= Heidegger compie ottantanni, tr. it.
di N. Curcio, in: G. Anders, H. Arendt, K. Lwith, L. Strauss, Su
Heidegger. Cinque voci ebraiche, a cura di F. Volpi, Roma 1998, pp.
63-73). Largomento meriterebbe unapposita indagine, volta a
rilevare la comune ispirazione fenomenologica del pensiero di
Strauss e di Arendt. Mi limito qui a ricordare la veemente polemica
di Arendt nei confronti degli innumerevoli intellettuali e
cosiddetti scienziati, che, non solo in Germania, ancor sempre
preferiscono non gi parlare di Hitler, Auschwitz, genocidio,
eliminazione come politica permanente di spopolamento, bens
fermarsi, a seconda della circostanza e del gusto, a Platone,
Lutero, Hegel, Nietzsche, ma anche a Heidegger, Jnger o Stefan
George, cos da nascondere il fan-go di quel fenomeno terribile,
imbelletandolo di scienza dello spirito e di storia dellideologia.
Si pu dire che la fuga dalla realt sia diventata una professione,
la fuga non gi in una spiritualit, con cui quel fango non ha mai
avuto nulla a che spartire [corsivo mio, P. C:], bens in un mondo
di fantasmi, fatto di rappresentazione e di idee, un mondo
tal-mente defilato da ogni realt esperita ed esperibile, talmente
franato nella mera astrazio-ne, che in esso tutti i pensieri dei
pensatori hanno perduto ogni consistenza, e si confondo-no a
vicenda, come accade ai corpi nuvolosi, che pure trapassano
costantemente luno nellaltro (ivi, p. 901 [= tr. it. cit., p. 73]).
29 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, cit., p. 2 (= tr. it. cit., p. 160). 30 Ibid (= tr. it.
cit., p. 161).
Pierpaolo Ciccarelli
36
comprensione del mondo, dalla nostra comprensione del mondo in
quanto percepito dai sensi prima di ogni teorizzazione.31
Questo linsegnamento fondamentale di Husserl. Questo per anche,
se-condo Strauss, il punto di partenza di Heidegger, il quale and
molto pi lontano di Husserl nella medesima direzione.32 Qual ,
dunque, il punto a cui Heidegger giunge ed a cui n Husserl, n lo
vedremo Strauss giungono? Heidegger giunge, o meglio, costretto cos
suona lenunciato della tesi interpretativa straussiana ad
elaborare, schizzare o suggerire ci che nel caso di ogni altro uomo
si chiamerebbe: la sua filosofia della storia.33
La circospezione con cui Strauss formula questa tesi induce a
prenderla con cautela, ad interpretarla, cio, facendo ben
attenzione al contesto specifico in cui essa esposta. Si tratta, in
particolare, di intendere bene che cosa preci-samente intenda
Strauss con lespressione filosofia della storia. A tal fine
occorrer compiere un giro pi lungo, passare cio per
linterpretazione straussiana di Husserl. Si osservi per per prima
cosa che, secondo Strauss, Heidegger stato costretto ad elaborare,
o quantomeno a suggerire una filosofia della storia, da una
difficolt di fondo che egli ha dovuto neces-sariamente incontrare
inoltrandosi sulla via dischiusa da Husserl. Vediamo di che
difficolt si tratta. Contro Husserl, Heidegger assume che il tema
primario della fenomenologia non la percezione sensibile. Al
proposito, Strauss rinvia in nota ad alcune pagine del 21 di Sein
und Zeit: si tratta del paragrafo nel quale viene svolta una
critica a Cartesio che non difficile accorgersene colpisce di
necessit anche Husserl. Secondo Heidegger, Cartesio rimane lega-to
alla tradizione nel suo orientamento ontologico di fondo: questa
Grun-dorientierung gli rese impossibile aprire una problematica
ontologica origina-ria dellesserci.34 Si tratta del limite
dellimpostazione coscienzialista di Car-tesio, che per Heidegger
anche il limite cartesiano di Ideen I.35 Impostazione che non
consente di comprendere il carattere primario della dimensione
quali-tativa allinterno della quale le cose anzitutto ci
riguardano, ovvero, il loro apparire belle, brutte, adatte,
inadatte, utilizzabili, inutilizzabili.36 Heideg-ger procede dunque
lungo la direzione indicata da Husserl, comincia, anche
31 Ivi, p. 3 (= tr. it. cit., p. 161). 32 Ibid. 33 Ibid. (= tr.
it. cit., p. 162). 34 M. Heidegger, Sein und Zeit, Tbingen 199317
(Ia ed. 1927), p. 98 (= Essere e tempo, tr. it. di P. Chiodi,
rivista da F. Volpi, Milano 2005, p. 125). 35 Cfr. i 10-12 del
corso tenuto alluniversit di Marburg nel semestre estivo 1925
Prole-gomena zur Geschichte des Zeitbegriffes, Gesamtausgabe Band
XX, Frankfurt a. M. 19943 (= Prolegomeni alla storia del concetto
di tempo, tr. it. di R. Cristin e A. Marini, Genova 1991). 36 M.
Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 99 (= tr. it. cit., p. 126).
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
37
lui, dalle fondamenta e non dal tetto e, tuttavia, pensa che
occorra scen-dere ancor pi a fondo di quanto non abbia fatto
lhusserliana Analyse der Wahrnehmung: Il tema primario [scil.: per
Heidegger] nota Strauss non loggetto della percezione, bens la cosa
intera in quanto esperita come parte di un contesto individuale
umano, il mondo individuale al quale essa appar-tiene.37
Di particolare interesse lesempio salvo errore non tratto da
nessun testo heideggeriano che Strauss fa subito dopo il passo
citato: La cosa in senso pieno ci che non soltanto in virt di
qualit primarie e secondarie cos come di attributi di valore nel
senso ordinario del termine, bens di caratteri-stiche come sacro o
profano: il fenomeno in senso pieno di una mucca, per un Ind,
costituito molto pi dal carattere sacro della mucca che da ogni
altra qualit o aspetto.38
Un esempio che, se si considera il tenore autobiografico del
contesto, appa-re molto significativo: lascia intendere che
linsegnamento fenomenologico (tanto husserliano quanto
heideggeriano) ha contribuito non poco a far emer-gere, nella mente
di Strauss, limportanza del tema religioso. Dobbiamo per qui
accantonare questo spunto di ricerca per concentrare invece
lattenzione sulla difficolt che, a questo punto, Strauss vede farsi
incontro a Heidegger. La radicalizzazione della fenomenologia
husserliana compiuta da Heidegger implica che non si possa pi
parlare come Husserl ancora faceva di una comprensione naturale del
mondo: ogni comprensione storica e, di conse-guenza, non c una
ragione umana, bens soltanto la molteplicit dei lin-guaggi
storicamente cresciuti in un processo naturale e non fatti.39 Con
ci stesso, la filosofia si vede posta dinanzi al compito di
comprendere la struttura universale comune a tutti i mondi
storici.40 qui che sorge la diffi-colt posta in rilievo da Strauss:
la comprensione filosofica della storicit si vede costretta a
comprendere se stessa come una comprensione storicamente divenuta.
In altre parole, chi assume il carattere essenzialmente storico di
ogni cono-scenza, chi afferma che ogni conoscenza il prodotto di
una determinata co-stellazione storica deve altres assumere, se non
vuole smentire la premessa di fondo del proprio ragionamento, che
anche la conoscenza del carattere storico di ogni conoscenza il
prodotto di una determinata costellazione storica: la comprensione
della struttura essenziale di tutti i mondi storici deve essere
37 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, cit., p. 3 (= tr. it. cit., p. 161). 38 Ibid. 39 Ibid.
40 Ibid.
Pierpaolo Ciccarelli
38
compresa come essenzialmente appartenente ad uno specifico
contesto storico, ad uno specifico periodo storico.41
la storia, insomma, che deve incaricarsi di dedurre il punto di
vista sto-ricista, se si vuole coerentemente sostenere il punto di
vista storicista. Lo sto-ricista radicale42, fino in fondo
coerente, costretto a individuare nella sto-ria il momento in cui
si produce la veduta storicista stessa, il punto di vista, cio,
secondo cui ogni punto di vista essenzialmente storico. Ma questo
momento storico in cui la storia stessa a rivelare il proprio
carattere fon-damentale ed a rendere cos necessario lo storicismo,
di necessit un mo-mento assoluto: la visione storicistica la
visione finale, nel senso che essa rivela che tutto il pensiero
anteriore radicalmente insufficiente nel punto de-cisivo e che non
c nessuna possibilit, in futuro, di un altro legittimo muta-mento
che possa rendere obsoleto o relativizzare (mediatise) la visione
storici-stica. In quanto visione assoluta essa deve appartenere al
momento assoluto della storia.43
La filosofia della storia che, secondo Strauss, Heidegger stato
costret-to ad elaborare, schizzare o suggerire , appunto, questa
individuazione di un momento storico decisivo, assoluto,
assolutamente rivelativo, nel quale viene a prodursi, non gi una
tra le tante comprensioni storiche, bens la definitiva comprensione
storicistica della storicit di ogni possibile comprensione.
4. Linsegnamento husserliano: il conflitto tra episteme e doxa
Largomento formale appena esposto riguardo alla necessit logica che
co-stringe allo storicismo radicale rinvia, in realt, ad un
problema fenomeno-logico che Strauss vede delinearsi in modo
esemplare nel saggio husserliano del 1911 sulla Filosofia come
scienza rigorosa: la filosofia della storia altro non , per
Strauss, che il modo tipicamente moderno di risolvere il problema
segnalato esemplarmente da Husserl in quel breve scritto. Strauss
non ignora, ovviamente, che dopo il 1911, il pensiero di Husserl
and incontro a impor-tanti cambiamenti.44 Come risulta dalla
lettera sopra citata, Strauss cono-
41 Ibid. (= tr. it. cit., p. 162). 42 Lespressione radical
historicism, riferita implicitamente a Heidegger, compare ad
e-sempio nel primo capitolo di Diritto naturale e storia (cfr. L.
Strauss, Natural Right and History, cit., p. 22 [= tr. it. cit., p.
29]). 43 L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political
Philosophy, cit., p. 3 (= tr. it. cit., p. 162). 44 Ivi, p. 5 (=
tr. it. cit., p. 164).
Filosofia e politica in Heidegger: linterpretazione
fenomenologica di Leo Strauss
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sceva lopera dellultimo Husserl e ne era entu