1 F. Motta Introduzione alla storia della lingua e della letteratura irlandese medioevale Nella loro lunga storia i Celti hanno visto grandi fortune e subito smacchi altrettanto grandi. Cominciamo dalle fortune. I Celti sono l’etnia che nell’antichità ha occupato il territorio europeo (e non solo europeo) più vasto perché popoli celtici sono stanziati dalle sponde dell’Atlantico alle pianure danubiane, passando per Spagna, Francia, Belgio, buona parte della Germania, l’Italia settentrionale e di qui, attraverso la penisola balcanica e la Tracia, fino all’Asia minore. In secondo luogo, vista la loro distribuzione massiccia e diffusa sul continente, possono essere considerati a pieno titolo il primo popolo “europeo” e quindi fu giusto intitolare la grande mostra veneziana sui Celti di qualche anno fa “La prima Europa”. Ancora: le grandi letterature europee hanno tratto da quelle celtiche, più o meno profondamente rielaborandoli, alcuni dei più corposi e importanti cicli, temi, figure leggendarie e favolistiche che le caratterizzano e per rendersi conto di questo debito letterario e culturale nostro nei confronti dei Celti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo bretone e la tavola Rotanda, Artù, Mago Merlino, Morgana, Lancillotto, Tristano, Isotta. E poi ci sarebbero da ricordare quella particolare architettura di epoca imperiale e medievale diffusa in Francia e che viene detta gallo- romana proprio per sottolinearne la inconfondibile componente celtica; l’oreficeria celtica continentale e insulare; le tecniche e i motivi decorativi dei Celti antichi e medievali in cui molti studiosi di storia dell’arte rintracciano a ragione le fonti d’ispirazione per il Liberty. Infine, altro motivo di vanto “postumo” per i nostri Celti potrebbe a buon diritto essere rappresentato dalle periodiche e sempre più fitte riscoperte e revivals del celtismo, dai falsi ossianici di Macpherson fino a Tolkien e (perché no?) e ad Asterix, senza dimenticare le “reintroduzioni”, quasi sempre inconsapevoli, di qualche tradizione come, ad esempio, quella di Halloween che altro non è che la cristianizzazione di Shamain, la festa d’inizio dell’anno celtico in cui avveniva l’incontro fra i due mondi, terreno e divino: una festa portata in America dagli
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DISPENSE FIL. CELT.itunesunew.humnet.unipi.it/celti/dispense_fil._celt..pdfCelti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo bretone e la tavola Rotanda, Artù,
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F. Motta
Introduzione alla storia della lingua e della letteratura irlandese medioevale
Nella loro lunga storia i Celti hanno visto grandi fortune e subito smacchi
altrettanto grandi. Cominciamo dalle fortune.
I Celti sono l’etnia che nell’antichità ha occupato il territorio europeo (e non
solo europeo) più vasto perché popoli celtici sono stanziati dalle sponde
dell’Atlantico alle pianure danubiane, passando per Spagna, Francia, Belgio,
buona parte della Germania, l’Italia settentrionale e di qui, attraverso la
penisola balcanica e la Tracia, fino all’Asia minore. In secondo luogo, vista la
loro distribuzione massiccia e diffusa sul continente, possono essere
considerati a pieno titolo il primo popolo “europeo” e quindi fu giusto
intitolare la grande mostra veneziana sui Celti di qualche anno fa “La prima
Europa”. Ancora: le grandi letterature europee hanno tratto da quelle celtiche,
più o meno profondamente rielaborandoli, alcuni dei più corposi e importanti
cicli, temi, figure leggendarie e favolistiche che le caratterizzano e per
rendersi conto di questo debito letterario e culturale nostro nei confronti dei
Celti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo
bretone e la tavola Rotanda, Artù, Mago Merlino, Morgana, Lancillotto,
Tristano, Isotta. E poi ci sarebbero da ricordare quella particolare architettura
di epoca imperiale e medievale diffusa in Francia e che viene detta gallo-
romana proprio per sottolinearne la inconfondibile componente celtica;
l’oreficeria celtica continentale e insulare; le tecniche e i motivi decorativi dei
Celti antichi e medievali in cui molti studiosi di storia dell’arte rintracciano a
ragione le fonti d’ispirazione per il Liberty. Infine, altro motivo di vanto
“postumo” per i nostri Celti potrebbe a buon diritto essere rappresentato
dalle periodiche e sempre più fitte riscoperte e revivals del celtismo, dai falsi
ossianici di Macpherson fino a Tolkien e (perché no?) e ad Asterix, senza
dimenticare le “reintroduzioni”, quasi sempre inconsapevoli, di qualche
tradizione come, ad esempio, quella di Halloween che altro non è che la
cristianizzazione di Shamain, la festa d’inizio dell’anno celtico in cui avveniva
l’incontro fra i due mondi, terreno e divino: una festa portata in America dagli
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immigrati irlandesi e di là reintrodotta, or sono non molti anni, in Europa. Ma
ora sto parlando dello Halloween “pubbistico” (nel senso che spesso si
celebra nei pub), discotecaro e consumistico cui ci ha abituato la TV di questi
ultimi anni perché, a dire il vero, io sarei propenso ad attribuire certe usanze
che per Ognissanti troviamo in varie vallate alpine e appenniniche più a quel
retaggio antichissimo che non a questi stucchevoli e provinciali recuperi.
Ma, come dicevo, nella storia dei Celti si registrano anche singolari rovesci di
fortuna e non mi riferisco solo alle battaglie e alle guerre perdute (via via
contro Romani, Anglo-Sassoni, e poi Inglesi e Francesi) ma a qualcosa di
ancor più insidioso per la sopravvivenza di un popolo: l’ignoranza diffusa
sulla sua identità. Tanti, troppi, anche fra persone di buona cultura non sanno
chi furono (e sono tuttora) davvero i Celti o hanno le idee molto confuse in
proposito. C’è chi crede, ad esempio, che i Celti rappresentino un ramo -
importante quanto si vuole ma pur sempre un ramo-, dei Germani o che
celtiche siano solo le popolazioni antiche, quelle sconfitte o assimilate dai
Romani: e sbagliano entrambi perché, da un lato, “celtico” è un concetto
etno-linguistico autonomo e i contatti che ci sono stati con il mondo
germanico sono avvenuti fra due etnie distinte, mentre, dall’altro, se è vero
che non esistono più né Galli, né Celtiberi, né Galati, né Leponzi, sono
celtiche optimo iure anche tutte quelle comunità che in epoca medievale,
moderna e contemporanea parlavano o addirittura parlano tuttora una lingua
celtica come oggi nel Gaeltacht irlandese, nel Galles, in Scozia, in Bretagna e
fino al secolo scorso e al XVIII rispettivamente nell’Isola di Man e in
Cornovaglia.
Ma, forse, il fraintendimento più curioso (e spiacevole per i poveri Celti) è
quello di cui essi furono vittima molti anni fa proprio a Pisa, quando la
Facoltà di Lettere e Filosofia chiese al Ministero della Pubblica Istruzione
(allora, in epoca pre-autonomia questa era la via obbligata per accendere un
nuovo insegnamento universitario) l’istituzione di una cattedra di Filologia
celtica e gli alti burocrati, supremi custodi del sapere accademico italiano,
risposero con una bella lettera al Consiglio di Facoltà in cui dicevano che
certamente si trattava di un’eccellente idea e che volentieri avrebbero
consentito che l’Università di Pisa potesse fregiarsi di una tale cattedra ma,
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allo stesso tempo, che non capivano perché la richiesta venisse dalla Facoltà
di Lettere e non da quella di ..........Medicina! Dopo un momento di
comprensibile stupore in Consiglio fu subito chiaro da cosa era stato
generato l’equivoco: il fatto è che celtico (come, del resto il suo quasi
sinonimo gallico) era fino a qualche anno fa un aggettivo comunemente
associato al sostantivo morbo per indicare quella malattia di cui ci fecero
regalo le truppe discese in Italia nel 1495 al seguito di Carlo VIII di Francia
per l’assedio di Napoli, la sifilide, insomma, non a caso detta anche mal
francese (ma dai Francesi, naturalmente, mal napolitain!); del resto, qualcuno
anche qui ricorderà che il reparto dermosifilopatico dell’Ospedale Militare di
Livorno si chiamava appunto Padiglione Celtico!
Certo, oggi le cose sono cambiate e, grazie soprattutto ad alcune iniziative
espositive di grande risonanza come quella di Palazzo Grassi sopra ricordata
del 1991, al consolidamento della celtistica in alcune Università italiane, alla
pubblicazione di ottime sintesi storiche o archeologiche (ma anche alla
benemerità attività di associazioni culturali locali come Terra Insubre di
Varese o Capodanno Celtico di Milano che fanno buona divulgazione) i livelli
dell’informazione di base sui Celti si sono decisamente alzati. Ma certo non si
può dire che una soddisfacente informazione sulla cultura celtica sia ormai
alla portata di tutti, per cui anche un corso universitario come questo, a
prescindere dall’argomento specifico che ne forma l’ossatura portante, non
può non iniziare cin qualche informazione di base
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Innanzitutto, come già accennato, “celtico”, non diversamente da
“germanico”, “slavo”, “baltico”, ecc. è un concetto prima di tutto linguistico,
nel senso che prima di poter qualificare con tale etichetta questo o quel
popolo o comunità, bisogna essere certi che questa parli (o abbia parlato)
una lingua celtica: non c’è molta diversità, da questo punto di vista, con un
qualsivoglia testo, del quale non ci sogneremmo mai di dire che è celtico (o
germanico o slavo) se non è scritto in una lingua appartenente a una di
queste sottofamiglie indoeuropee. La storia e l’archeologia possono dare
contributi preziosi per la conoscenza dei Celti ma non possono mai avere
l’ultima parola in un’eventuale questione di attribuzione etnica giacché è
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noto, da un lato, che spesso gli storici classici confondono fra Celti e
Germani o che la cultura La Têne (così chiamata dal nome di un villaggio
sulle sponde del lago di Neuchȃtel dove alla metà dell’800 fu scoperto un
importante sito dell’età del ferro con caratteristiche originali), pur costituendo
il risvolto archeologico di grandissima parte della celticità, non è patrimonio
esclusivo di genti celtofone, giacché da un lato la cultura lateniana fu in parte
adottata anche da popolazioni parlanti altri idiomi (ad esempio, i Piceni) e,
dall’altro, esistono popolazioni parlanti lingue sicuramente celtiche che
presentano facies archeologiche non lateniane, come in Celtiberia o nell’area
lepontica.
Vediamo allora queste lingue celtiche, cominciando da quelle che erano
parlate sul continente europeo negli ultimi secoli dell’era antica, quella della
maggiore diffusione dei Celti. Il gallico è senz’altro quella più importante per
diffusione (Gallia Transalpina e Cisalpina, parte della Germania e della
Svizzera) e ampiezza di documentazione diretta (iscrizioni) che va dal III sec.
a.C. al II-III (forse addirittura IV) d.C. e indiretta (toponimi, voci di sostrato nei
dialetti gallo-romanzi). Il leponzio (da alcuni considerato una variante arcaica
e periferica del gallico) era parlato in Val d’Ossola, aree intorno alle due
sponde del lago Maggiore e Canton Ticino come ci testimoniano poco meno
di duecento iscrizioni (dal VII sec. al II a.C.) fin, la gran parte delle quali,
purtroppo, assai brevi e in frammenti e costituite per lo più da nomi propri. Il
galatico era la lingua di quei Galli che passarono nel III sec. a.C. in Asia
Minore fondandovi il regno della Galazia (corrispondente in parte all’attuale
Turchia) e che dovette sopravvivere a lungo prima di soccombere al greco
visto che ancora S. Girolamo ci dice che ai suoi tempi era ancora parlato ma
di cui conosciamo solo glosse in autori classici e nomi di persona. Infine, il
celtiberico è la lingua celtica di alcune centinaia di iscrizioni in una sorta di
semisillabario iberico o in alfabeto latino comprese in un arco cronologico dal
III al I sec. a.C. provenienti dal centro della Spagna. Tutte queste lingue, dette
appunto lingue celtiche antiche o continentali furono, in momenti e con tempi
diversi, comunque soppiantate in epoca imperiale dal latino (e, nel caso del
galatico anche dal greco). Vorrei far notare già a questo punto (ma ritornerò
più avanti sull’argomento perché di importanza cruciale) che rispetto un arco
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cronologico e una arealità così ampi come quelli pertinenti ai Celti antichi le
testimonianze scritte lasciate da questi sono numericamente insignificanti
(siamo abbondantemente al di sotto del migliaio fra quelle galliche, leponzie,
celtiberiche), non arrivando neppure a interessare tutte le aree europee che
altri indizi linguistici (in primis la toponomastica) ci assicurano essere state
occupate dai Celti. Inoltre, queste testimonianze scritte consistono in
iscrizioni votive, funerarie, marchi di proprietà o di fabbrica, calendari,
formule magiche, brevi testi scherzosi e pochi altri tipi mentre non abbiamo
neppure un testo che possa essere definito “letterario” e sono rarissimi e
limitati alla celticità ispanica e a un’iscrizione gallica a Vercelli, entrambi spia
di contatto con il mondo romano) i documenti di tipo giuridico e politico.
Avremo occasione di ritornare più avanti durante il corso sull’oralità come
caratteristica tipica della cultura celtica antica ma ora, prima di concludere
questa rapida informazione sulle lingue celtiche continentali, occorre
precisare che le nostre informazioni su di esse non si limitano alle epigrafi
scritte dai Celti stessi ma ne abbiamo anche testimonianza indiretta, vale a
dire elementi e sopravvivenze in altre tradizioni linguistiche e in diversi settori.
Queste fonti indirette sono rappresentate in primo luogo dalle glosse di autori
classici, cioè quelle numerose voci che gli autori latini e greci ci dicono
essere impiegate dai Celti, come il gallo-lat. ambactus “servo” (la parola che,
attraverso successive mediazioni germaniche e francese è alla base del
nostro ambasciata), o il galatico drunemeton “tempio”. Un’altra fonte
indiretta di conoscenza del celtico antico sono le tante parole che il latino ha
preso in prestito dal gallico come gladius, lancea, carpentum; di queste,
molte delle quali entrate nelle lingue romanze: mi limito qui a ricordarne solo
alcune francesi e italiane (in molti casi ricorrono in entrambe le lingue):
cervoise “birra” (attraverso il lat. cervisia dal gallico kurmi, come lo spagnolo
l u c i u m i o c i t t i m e d i u … . . x s … u i b e c … t r a c e o s
estaidimaui…..tittlemacatacimluci…………2) (Bath)
adixoui deiana deieda andagin vindiorix cuamin
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Cumbrico
Leges inter Brettos et Scotos (1124 – 1153)
galnes (cfr. cimr. galanas “ostilità”)
mercheta (cfr. cimr. merch “figlia”)
celchyn (cfr. cimr. cylch “circolo”
Gallese(dal Canu Aneirin)
Gwyr a aeth gatraeth gan’wawr
dygymyrrws eu hoeth eu hauyanawr
Gododin gomynnaf oth blegytYg gwyd cant en aryal en emwytA guarchan mab dwywei da wrhytPoet yno en vn tyno treissytEr pan want maws mor trinEr pan aeth daear ar aneirinMi neut ysgaras nat a gododin
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Bretone
1) (un Natale)
Neuse ez conceuas a scler hon Saluer en e quer mam
dr’ez voo dezy profeciet gant Proffeted a het cam ez deuzyeplen da laouhenat da peochat lignez Adam
2) (un Natale)
Map un merch guerches, hon caressnessaf hs y pechet pur ganet quentaff,deuet eo don prenaff ha da bezaff den. Joaplen en effau, quehelaou laouen
Antico cornico
dal Vocabularium Cornicum
tat pater faedermam mater môdormab filius sunumuch filia dohtornoi nepos neuam o d e r e b a b a r ϸ mam
matertera môdrige
impoc l. cussin
osculum coss
nef celum heofenmor mare sâepen caput hêafodda bonum gôdhethen avis fugelmarch equus hors
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Scozzese
Incantamenti per guarire i cavalli azzoppati
1) Char Bride machMaduinn mhoch,Le caraid each;Bhris each a chas,Le uinich och,Bha sid mu seach,Chuir i cnamh ri cnamh,Chuir i feoil ri feoil,Chuir i feithe ri feithe,Chuir i cuisle ri cuisle;Mar a leighis ise sinGun leighis mise seo.
2) Chaidh Criosd a machMaduinn moch,Fhuair e cas nan each’Nan spruilleach bog;Chuir e smior ri smior,Chuir e smuais ri smuais….…. Mar a leighis Righ nam buadh sinIs dual gun leighis e seo,Ma ’s e thoil fein a dheanamh.A uchd Ti nan dul,Agus Tiur na Trianaid.
Mannese
(dalla Ballata di Manannan)
Manannan beg va Mac Y Leirr
Shen yn chied er ec row rieau ee
Agh my share oddym’s cur-my-ner
Cha row eh hene agh Anchreestee
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Irlandese
Iscrizioni ogamiche
1) (Ballintaggart)
MAILAGNI
2) (Ballycnock)
GRILAGNI MAQI SCILAGNI
3) (Ballycnock)
CLIUCOANAS MAQI MAQI-TRENI
4) (Glennawillen)
COLOMAGNI AVI DUCURI
5) (Ballintaggart)
TRIA MAQA MAILAGNI CURCITTI
6) (Ballintaggart)
NETTA LAMINACCA KOI MAQQI ERCIAS MUCOI DOVINIAS
7) (Rushens East)
ALATTOS CELI BATTIGNI
8) (Ballycnock)
ANM MEDDOGENI
L’ogam nell’epica:
Ogum i llia, lia úas lecht
Scríbthair a ainm n-ogaim
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Poesia antica
Brani in retoiric (dagli Scéla Mucce Meic Dathó)
And asbert Cet:‘Fochen Conall,
cride licce,londbruth loga,
luchair ega,guss flann fergefo chích curad
créchtaig cathbúadaig’
Et dixit Conall:‘Fochen Cet,
Cet mac Mágach, magen curad,cride n-ega,ethre n-ela,
err trén tressa,trethan ágach,
caín tarb tnúthach,Cet mac Mágach’.
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Inno a San Patrizio
Admuinemmar noéb Patraic
prímapstal Hérenn
airdirc a ainm n-adamrae
bréo batses genti;
cathaigestar fri druídea dúrchridi
dedaig díumsachu
la fortacht ar Fíadat findnime
fonenaig Hérenn íatmaige,
mórgein.
Guidmit do Patraic primapstail
donnesmarr in brithemnacht
do mídutrachtaib demnae ndorchaide.
Día lenn
la itge Patraic primapstail
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Amra Choluimb Chille
Día, Día do-rrogus
ré tías ina gnúis
culu tre néit.
Día nime, nim-reilge
(5) i llurgu i n-égthiar
ar múichthe[o] méit.
Día már mo anacol
de múr teintide,
diudercc dér.
(10) Día fírien fírfocus,
c[h]luines mo donúaill
do nimíath nél.
Lorica di San Patrizio
Atomriug indiu
niurt gráid Hiruphin;
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i n-aurlattaid aingel
i frestul archaingel
i frescisin esséirgi ar chenn fochraicce
i n-ernaigdib úasalathrach
i tairchetlaib fáthe
i praiceptaib apstal
i n-iressaib foísmedach
i n-enccai noebingen
i ngnímaib fer fíríen.
Atomriug indiu
niurt nime
soilsi gréine
étrochtai ésci
áini thened
déini lóchet
lúaithi gaíthe
fudomnai maro
tairismigi thalman
cobsaidi ailech…
… Tocuirir etrum indiu inna huli nertso
fri cach nert n-amnas fristaí dom churp ocus dom anmain
dechammar-ni ó Chonchobur’ mol techta Ulad; ‘ocus ni messa
Conchobar do charait ocus dano do thabairt sét ocus indile, ocus a
chomméit cétna a túaith, ocus biaid degcaratrad de.’
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Alla maniera di Adelung: Il Pater Noster in gallese, bretone, scozzese e irlandese
Ein Tad yn y nefoedd,sancteiddier dy enw;deled dy deyrnas;gwneler dy ewyllys,ar y ddaear fel yn y nef.Dyro inni heddiw ein bara beunyddiol;a maddau inni ein troseddau,fel yr ŷm ni wedi maddau i'r rhai a droseddodd yn ein herbyn;a phaid â'n dwyn i brawf,ond gwared ni rhag yr Un drwg.[Oherwydd eiddot ti yw'r deyrnas a'r gallu a'r gogoniant am byth. Amen.]
Hon Tad a zo en neñv,Hoc’h anv bezet santelaet,Ho rouantelezh deuet dimp,Ho polontez bezet graetWar an douar evel en Neñv,Roit dimp hiziv hor bara pemdeziek,Pardonit dimp hor pec’hedoùEvel ma pardonomp d’ar reO deus manket ouzhimp.Ha n’hon lezit ket da gouezhañ en temptadur,Met hon diwallit diouzh an droug.
Ar n-Athair a tha air nèamh,
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Gu naomhaichear d'ainm.Thigeadh do rìoghachd.Dèanar do thoilair an talamh mar a nithear air nèamh.Tabhair dhuinn an-diughar n-aran làitheil.Maith dhuinn ar fiachan,amhail a mhaitheas sinnedar luchd-fiach.Sàbhail sinn bho àm na deuchainne,agus saor sinn o olc.
Ar nAthair, atá ar neamhGo naofar d'ainmGo dtaga do ríocht, Go ndéantar do thoil,Ar an talamhMar a níthear ar neamh.Ár n-arán laethúil tabhair dúinn inniu,Agus maith dúinn ár bhfiacha,Mar a mhaithimidne dár bhféichiúna féin,Agus ná lig sinn i gcathú,Ach saor sinn ó olc. Amen