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1 MODULO 1 II DOLORE: PARTE GENERALE, FISIOPATOLOGIA, TRATTAMENTI FARMACOLOGICI E NON Sommario Introduzione .................................................................................................................................................. 2 Il dolore: concetti generali, definizione e inquadramento ............................................................................ 4 Basi teoriche del dolore:aspetti generali di neurofisiologia - la farmacologia del dolore .......................... 18 L'approccio psicologico del dolore .............................................................................................................. 31 L'assistenza infermieristica nella gestione del dolore ................................................................................. 35
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Feb 15, 2019

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MODULO 1

II DOLORE: PARTE GENERALE, FISIOPATOLOGIA, TRATTAMENTI

FARMACOLOGICI E NON

Sommario

Introduzione .................................................................................................................................................. 2

Il dolore: concetti generali, definizione e inquadramento ............................................................................ 4

Basi teoriche del dolore:aspetti generali di neurofisiologia - la farmacologia del dolore .......................... 18

L'approccio psicologico del dolore .............................................................................................................. 31

L'assistenza infermieristica nella gestione del dolore ................................................................................. 35

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Introduzione

Oggi, anche nelle istituzioni più avanzate, il dolore continua ad essere una dimensione cui non viene riservata adeguata attenzione, nonostante sia stato scientificamente dimostrato quanto la sua presenza sia invalidante dal punto di vista fisico, sociale ed emozionale.

Nel mese di aprile del 2008 è stato approvato (deliberazione del Direttore Generale 3 aprile 2008 n. 490), il progetto “Ospedale senza dolore“ dell’Azienda Ospedaliera di Perugia in attuazione del progetto OMS e delle linee guida Ministeriali.

Il primo passo per la realizzazione del progetto è stato quello di costituire il “Comitato Ospedale Senza Dolore” (COSD) di cui fanno parte: referenti della Direzione Sanitaria, della Farmacia Ospedaliera e dell’Ufficio Formazione e Qualità, esperti e operatori delle Strutture di Anestesia 1 e 2, un referente medico e un referente infermiere per ogni Struttura Complessa.

A seguito della costituzione del Comitato sono state assunte diverse iniziative tra le quali l’indagine di prevalenza del dolore in ospedale (giorno indice 17 dicembre 2008). Dalla lettura dei dati raccolti è stata fatta una prima valutazione delle conoscenze sul dolore da parte degli operatori e su questa analizzati i bisogni formativi per intraprendere le diverse attività.

Dopo la formazione di tutti i referenti è stata elaborata la procedura per la gestione del dolore postoperatorio e avviata la formazione del personale dell’area chirurgica.

Ora questo corso, rivolto a tutti gli operatori sanitari, ha come obiettivi fondamentali, quelli di:

• aumentare le conoscenze di fisiopatologia e terapia del dolore, • educare al monitoraggio del dolore e alla sua registrazione in cartella clinica.

Dal mese di maggio 2011 in tutta l’Azienda viene effettuata la rilevazione del dolore e la sua registrazione su apposite schede e applicato il protocollo generale di gestione del dolore.

E' auspicabile che questo processo di educazione e formazione continua possa diffondere la filosofia della lotta alla sofferenza a tutti i soggetti coinvolti nei processi assistenziali ospedalieri e fare in modo che Il dolore venga considerato come quinto segno vitale e pertanto conosciuto, valutato, misurato e trattato al fine di ridurne al massimo l’incidenza.

Relatori:

Giancarlo Finali, medico neurologo, Unità Spinale Unipolare;

Rosa Maria Garofoli, ostetrica, coordinatore sala parto e sala operatoria, Ostetricia e Ginecologia Universitaria;

Giulio Minelli, medico anestesista, Anestesia e Rianimazione 2;

Monica Naletto, infermiera coordinatrice, Blocco Operatorio Comune

Alessandra Paglino, medico pediatra, Clinica Pediatrica;

Maria Teresa Picciafuoco, infermiera, coordinatrice Oncologia Medica;

Rita Ritacco, psicologa, Unità Spinale Unipolare;

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Stefano Strappaghetti: medico anestesista, Anestesia e rianimazione 1 e Medicina del Dolore;

Alessio Trabalza, medico anestesista, Anestesia e Rianimazione 2

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Il dolore: concetti generali, definizione e inquadramento Il dolore: concetti generali

“Per poter combattere un problema bisogna conoscerlo e saperlo quantificare”

“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a danno tessutale, in atto o potenziale, o descritto in termini di tale danno” IASP 1986

Vari modelli concettuali suggeriscono come il dolore sia un’esperienza pluri-dimensionale. Loeser ad esempio, suddivide il dolore in quattro categorie:

1. nocicezione 2. dolore 3. sofferenza 4. comportamento di reazione al dolore

1) La nocicezione è la fase che dà inizio all’esperienza dolorosa nell’uomo e consiste nel rilevamento di un danno tissutale da parte di recettori localizzati in varie parti del corpo (cute, mucose, muscoli, tendini, articolazioni, vasi, sierose, visceri) e nella trasmissione di tale informazione al sistema nervoso centrale.

La sensazione dolorosa è mediata da un sistema ad alta soglia di stimolazione (lo stimolo deve essere di una certa intensità per attivare il sistema) che si estende dalla periferia, ad opera di specifici recettori detti nocicettori (trasduzione),

nocicezione trasduzione

passando attraverso il corno posteriore del midollo spinale, proseguendo tramite la via spinotalamica (trasmissione) e dal talamo fino alla corteccia sensitiva.

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trasmissione

I nocicettori sono recettori sensoriali, terminazioni nervose libere, in grado di trasformare impulsi di energia (a cui sono specificamente sensibili: meccanica, chimica, termica, elettromagnetica), in impulsi nervosi (salve di potenziali d’azione) convogliati dal SNP al SNC.

I nocicettori possono essere: polimodali ( sensibili a diversi tipi di stimoli: meccanici, termici, chimici; afferenti a fibre C amieliniche), meccanici (afferenti a fibre Aδ mieliniche), meccanotermici (afferenti a fibre Aδ mieliniche)

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Esistono poi dei sistemi discendenti di controllo del dolore, che partendo dalla corteccia, dall’ipotalamo, dal ponte e dal mesencefalo, arrivano al corno posteriore del midollo spinale (modulazione), per cui il grado di percezione del dolore è in funzione dell’interazione tra tali sistemi, di trasmissione e di modulazione antinocicettivo

modulazione

percezione

2) Il dolore rappresenta la percezione e l’interpretazione soggettiva di questo input nocicettivo a livello cerebrale.

Tra lo stimolo nocicettivo e l’esperienza soggettiva del dolore intervengono componenti sensoriali, cognitive (esperienza passata, attenzione, reattivita’ generale del soggetto …), affettive, motivazionali e socioculturali, che possono agire come fattore di amplificazione o di inibizione.

Distinguiamo due componenti del dolore:

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• ALGOGNOSIA : percezione corticale cosciente che permette la differenziazione tra i vari tipi di sensazione dolorosa.

L’algognosia:

• discrimina sede, natura, intensità e causa • è all’origine delle reazioni volontarie, anche motorie, appropriate • si realizza a livello talamo-corticale • è obiettiva e critica

• ALGOTIMIA : risonanza affettiva del dolore fisico che fa di questo una sofferenza.

L’algotimia:

• è un elemento timico, squisitamente soggettivo, di cui l’individuo ha coscienza • in genere amplifica le diverse reazioni al dolore, coscienti ed incoscienti • ha sede nella regione prefrontale ed interessa la paleocorteccia ed il sistema limbico

3) La sofferenza è la risposta negativa al dolore o ad altri eventi emotivi ad esso collegati, quali paura, ansia, isolamento o depressione.

4) Il comportamento di reazione al dolore è ciò che una persona fa o dice, o non fa o non dice, e indica ad un osservatore esterno che quella persona sta soffrendo a causa di uno stimolo doloroso.

Le classificazioni del dolore

Ci sono diversi modi di classificare il dolore.

• Una prima distinzione può essere tra dolore fisiologico e patologico.

- Il dolore fisiologico rappresenta un sistema di difesa che mette in guardia da stimoli potenzialmente dannosi per l’organismo; la sua presenza è necessaria per sopravvivere.

Sempre nel contesto del dolore fisiologico, si parla di DOLORE ADATTATIVO quando il danno fisico si instaura, il dolore insorge e permane, e il ruolo del dolore cambia da protezione dal danno, a promozione della guarigione del tessuto danneggiato; così rappresentando una corretta risposta di adattamento.

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È il caso, per esempio, del DOLORE INFIAMMATORIO , che è legato ad una reazione tissutale, dove sostanze sensibilizzanti riducono la soglia di stimolazione dei nocicettori. La sensazione algica nella sede del processo infiammatorio determina immobilità della parte lesa, in maniera che il soggetto possa prevenire ulteriori danni. Col passare del tempo si instaura la guarigione del tessuto ed il dolore infiammatorio si riduce fino a scomparire.

- Il dolore patologico o maladattivo implica invece un’alterata risposta di adattamento ad un insulto tissutale, nervoso o non nervoso. Non esiste correlazione tra dolore e danno tissutale, poiché il sistema nervoso è resettato in modo da dare dei segnali di allarme nonostante la mancanza di stimoli nocivi. Il DOLORE NEUROPATICO ne è un esempio.

• Altra classificazione è secondo la patogenesi. Al riguardo, distinguiamo:

- DOLORE NOCICETTIVO , dovuto alla stimolazione dei recettori ad alta soglia di stimolazione; finisce con la fine dello stimolo. Può essere somatico superficiale o profondo, viscerale, neurogeno

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dolore nocicettivo

- DOLORE NEUROPATICO , che prende il via da una lesione o disfunzione del sistema nervoso periferico o centrale; è caratterizzato da fenomeni negativi, quali assenza di sensibilità tattile o termica e fenomeni positivi, iperalgesia e allodinia che possono mascherare i primi

dolore neuropatico allodinia e iperalgesia

- DOLORE MISTO , nocicettivo e neuropatico insieme, molto frequente

- DOLORE PSICOGENO, raramente il dolore è di pura origine psicosomatica

• Ancora, possiamo distinguere il dolore secondo la durata

- DOLORE ACUTO causato da uno stimolo nocicettivo dovuto ad un danno tissutale in atto, tale da poter essere riparato; in questa forma di dolore, la causa è per lo più identificabile, l’eziologia è adeguata alla gravità, esiste buona localizzazione, concomitano ansia ed attività adrenergica.

Il dolore acuto è un SINTOMO

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dolore acuto dolore acuto = sintomo

-DOLORE PERSISTENTE dura per lunghi periodi di tempo, da distinguere dal

-DOLORE CRONICO che può conseguire ad uno stimolo nocicettivo sia temporaneo sia persistente, di norma persistendo al di là della guarigione del danno, che spesso non può essere identificato con chiarezza, ma comunque in grado di modificare in modo permanente le componenti del dolore: percezione, sofferenza, comportamento; spesso sono presenti alterazioni affettivo-comportamentali, persiste nel tempo (> 6 mesi).

Quindi Dolore Acuto e Dolore Cronico sono due entità patologiche ben distinte, non solo temporalmente, ma anche dal punto di vista patogenetico, presentando differenze riguardo alla capacità o meno, da parte dell’organismo, di riportare alla normalità afferenze sensoriali ed eventi abnormi scatenati nel SNC (capacità o meno dell’organismo di recuperare una condizione fisiologica).

Il dolore cronico è una MALATTIA

dolore cronico dolore cronico = malattia

La valutazione del dolore (acuto e cronico)

Obiettivi della valutazione algologica:

• Definire una diagnosi algologica, se possibile analizzando il/i meccanismo/i patogenetico/i

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• Definire la necessità di approfondimenti diagnostici

• Valutare l’autonomia del paziente

• Valutare l’aspettativa di vita

• Valutare il contesto nel quale si imposterà la terapia

• Elaborare una strategia terapeutica algologica

• Valutare le possibilità tecniche di approccio terapeutico

• Monitorare l’efficacia della terapia

• Monitorare la tollerabilità

• Tenere controllata la compliance del paziente nell’assunzione della terapia

Metodiche di valutazione

¬ SCALE DI INTENSITÀ (MONODIMENSIONALI)

prevalenti per importanza nelle situazioni dolorose acute e nelle riacutizzazioni di dolore cronico

¬ QUESTIONARI MULTIDIMENSIONALI (Mc Gill Pain Questionnaire, questionario di Twycross, questionario PQRST, …)

nel dolore cronico è essenziale inquadrare il sintomo anche nelle dimensioni di interferenza con le attività, funzione, stato psicologico cognitivo e affettivo;

Aiutano a capire:

• quanto un dolore di data intensità rechi disturbo al paziente • qual è il livello di dolore considerato tollerabile • cosa corrisponde ad un sollievo soddisfacente • quanto il dolore interferisce con la qualità di vita • dove il paziente vorrebbe collocarsi nel bilancio costo/beneficio tra sollievo dal dolore ed

effetti collaterali

Valutazione clinica del dolore

CARATTERISTICHE DEL DOLORE

¬ QUALITATIVE vengono in genere definite attraverso l’utilizzo di aggettivi ad esempio, urente, a scarica, compressivo, a tenaglia, a morsa, a puntura.

Possono essere anche individuate attraverso una rilevazione di tipo:

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• Causale, che cosa provoca e cosa calma il dolore

• Spaziale, dove nasce e dove si irradia

¬ TEMPORALI individuano quanto dura l’attacco, quante ore al giorno, quando nella giornata, il ritmo. Distinguono le caratteristiche temporali del dolore acuto o cronico.

¬ QUANTITATIVE vengono valutate attraverso scale di vario tipo:

• SCALE SEMANTICHE utilizzano aggettivi quantitativi (es: assente, lieve, forte, fortissimo)

• SCALE NUMERICHE (NRS) utilizzano numeri da 0 a 10 (la più usata) 1; 0 - 100; 0 – 3 (il numero più alto corrisponde al più forte dolore immaginabile)

• SCALE ANALOGICHE necessitano di una capacità di astrazione maggiore rispetto alla numeriche e possono essere.

• LINEARI Visual Analogic Scale (VAS) • COLORI Scala dei grigi o dei rossi • DISEGNI Scala di autovalutazione delle espressioni facciali

È fondamentale adeguare la scala al paziente, utilizzare sempre la stessa scala con lo stesso paziente, definire chiaramente i due livelli minimo e massimo della scala.

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AUTOVALUTAZIONE/ETEROVALUTAZIONE

- SCALE DI AUTOVALUTAZIONE il dolore viene indicato dal paziente collaborante

- SCALE DI ETEROVALUTAZIONE il dolore viene desunto dall’osservatore esterno; utili in particolari categorie di pazienti, come neonati, bambini piccoli, dementi

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Dolore in ospedale

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ci dice che:

• il 90% del dolore in ospedale può essere controllato

• la prevalenza (vale a dire, la presenza in quel momento) del dolore in ospedale varia dal 33% al 79%

Da questi dati l’OMS ne deriva che ancora esistono problemi legati a:

• carenza di attenzione al dolore • mancanza di formazione del personale sanitario nel trattamento del dolore • difficoltà nella utilizzazione degli oppiacei

Una grossa fetta del dolore in ospedale è rappresentata dal dolore post-operatorio (DPO), che costituisce un elemento da combattere per la relazione, nota da molti anni, tra esso ed eventi avversi perioperatori.

Numerose survey condotte sul controllo del dolore dimostrano come circa il 60% dei pazienti trattati chirurgicamente definiscono l’esperienza ospedaliera dolorosa.

Una recente survey condotta in Europa (PATHOS) evidenzia come in tutti gli ospedali presi a campione fossero evidenti problemi o culturali, o strumentali, o mancanza di una adeguata sorveglianza, o di una adeguata informazione al paziente

Il dolore acuto postoperatorio (PO) non adeguatamente trattato, causa una serie di alterazioni omeostatiche che rendono ragione delle complicanze ad esso connesse.

Le reazioni legate al dolore postoperatorio (DPO) possono essere distinte in:

1) segmentali (a livello, cioè, del segmento midollare interessato dalle afferenze nocicettive):

• C’è un aumento del tono muscolare vicino alla zona di lesione, che determina un dolore di tipo miofasciale. Pensiamo ad interventi sul torace o alto addome, che possono provocare una “early respiratory failure”(insufficienza respiratoria precoce) caratterizzata da un’alterazione meccanica del sistema respiratorio soprattutto in pazienti a rischio, come BPCO, obesi, cardiopatici.

• Viene inoltre interessato il sistema nervoso simpatico, con vasocostrizione muscolare e viscerale, ipotonia gastro-intestinale e genito-urinaria.

2) soprasegmentali: si identificano con la reazione metabolica allo stress 3, che consiste nella increzione di amine simpatico-mimetiche, steroidi, ADH, glucagone, con facilitazione dell’insorgenza di complicanze cardiovascolari, renali e respiratorie in soggetti a rischio 4. Più intensa è la reazione da stress, più lunghi sono i tempi necessari alla ripresa funzionale di organi ed apparati

3) corticali : comportano ansia, paura, agitazione, deprivazione di sonno, i quali possono portare a loro volta, ad ulteriore increzione ormonale e fenomeni complessi come il delirio postoperatorio

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Per poter combattere il dolore postoperatorio (DPO), bisogna essere ben consapevoli di che cosa sia, a cosa può portare, quando e quanto dobbiamo aspettarcelo, come possiamo prevenirlo o minimizzarlo in modo personalizzato, standardizzato e condiviso.

E’ un dolore acuto, spesso estremamente intenso, che presenta caratteristiche legate all’età, al sesso del paziente, a patologie preesistenti, a fattori psicologici ed esperenziali.

E’ intimamente legato alle tecniche chirurgiche (tipo, sede, tecnica e durata dell’intervento) ed anestesiologiche.

E’ definitivamente dimostrato che tale dolore va trattato come una vera “entità patogena” nell’ambito del periodo postoperatorio e che le alterazioni neuroendocrine, metaboliche, fisiche ed emozionali indotte da tale sintomatologia algica possono incidere in maniera significativa sul decorso clinico, sulla durata della degenza, sull’outcome del paziente chirurgico.

Il dolore postoperatorio (DPO) non controllato è inoltre un fattore di rischio per l’instaurarsi di dolore cronico (dolore “malattia”), fonte tra l’altro di enorme dispendio di risorse economiche.

Controllare il DPO comporta quindi:

• guarigione più rapida • minore incidenza di complicanze p.o. • ridotti tempi di degenza

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• riduzione dei costi • prevenzione della cronicizzazione del dolore

Il problema del DPO non può però essere risolto semplicemente da un elenco di farmaci o di interventi, ma con una adeguata procedura assistenziale che tenga in conto paziente, tecnica chirurgica ed anestesiologica, luogo di cura.

Nella nostra AO-PG sono stati stilati protocolli operativi calati in un contesto-sensibile (contesto paziente, contesto chirurgico, contesto anestesiologico, contesto postoperatorio).

Si tratta di una terapia multimodale e multifarmacologica basata sul sinergismo, adeguata alla procedura chirurgica ed alle possibilità assistenziali.

La lotta al DPO dovrà iniziare già dai primi contatti col paziente che sarà chiaramente informato sulle possibili opzioni terapeutiche antalgiche cui verrà sottoposto, sui vantaggi del trattamento del DPO, sui mezzi utilizzati per il rilievo dell’intensità del dolore.

La descrizione in dettaglio di tali protocolli è disponibile sul sito aziendale

Il trattamento del DPO necessita innanzitutto di una buona organizzazione.

Fondamentale a questo riguardo è l’istituzione di un ACUTE PAIN SERVICE (APS), elemento fondamentale per lo sviluppo di un OSPEDALE SENZA DOLORE (OSD).

L'Acute Pain Service (APS)

Essenziale per il controllo del DPO è l’istituzione di un Acute Pain Service (APS), servizio che prevede una cooperazione tra anestesisti, chirurghi, infermieri e tutte le figure professionali che ruotano intorno al paziente al fine di:

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• migliorare la qualità dell’analgesia P.O. aumentandone efficacia e sicurezza • migliorare l’outcome chirurgico • rendere ergonomico il processo e contenere i costi • aumentare gli indici di affidabilità e di apprezzamento (accreditamento) della struttura ospedaliera

da parte del cittadino e delle istituzioni

L'esperienza Europea (Ready) suggerisce la figura dell’Anestesista come coordinatore del servizio, per le sue peculiari conoscenze in tema di fisiopatologia del dolore, per la familiarità con l'uso di tecniche di anestesia loco-regionale e con l'impiego di analgesici oppiacei.

Esistono fondamentalmente due modelli di APS, applicabili in base alla tipologia del presidio ospedaliero, alla disponibilità economica, al carico di lavoro, alle possibilità organizzative locali:

1) “Anaesthesiologist-based APS”

• possibilità di usare tecniche sofisticate per il controllo del dolore in pazienti sottoposti a chirurgia maggiore e/o ad alto rischio

• elevata qualità di controllo del paziente • maggior elasticità nelle prescrizioni • alti costi di gestione

2) “Nurse-based anaesthesiologist-supervised”

spicca la figura della “acute pain nurse”, incaricata dei monitoraggi e della risoluzione dei problemi tecnici legati alle apparecchiature, nonché riferimento per l’attivazione del medico responsabile

costi di gestione contenuti (low-cost APS)

Criteri minimi di qualità per l’organizzazione di un APS (Stamer et al., 2002):

• personale specificatamente dedicato all’APS • presenza del personale durante le ore notturne e i fine settimana • esistenza di protocolli scritti e condivisi per il trattamento del dolore • regolare valutazione e documentazione del dolore (“pain score”) *

La chiarezza nell’assegnazione delle responsabilità e dei compiti in ogni ambito professionale e sezione rappresenta uno dei principali fattori di qualità per l’APS.

L’assenza di uno staff dedicato ( o “tempo protetto” per le strutture di piccole dimensioni, o in assenza di risorse economiche sufficienti) è stata, in tutte le esperienze mondiali (oramai ventennali), il principale motivo del fallimento nel tempo dell’APS.

* obbligo di legge (DDL n.38 del 15 marzo 2010, art.7)

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Basi teoriche del dolore:aspetti generali di neurofisiologia - la farmacologia del dolore

Il dolore come esperienza complessa e le sue caratteristiche

Il dolore è una percezione complessa che ha marcate caratteristiche affettive e cognitive.

Il termine dolore-malattia (patologico) si scontrerà sempre con il termine dolore-sintomo (fisiologico), espressione di un evento di difesa per l’organismo, segnale di allerta per un danno imminente od in atto.

Sempre sinonimo di “sintomo”, ora grazie a nuove conoscenze neuro-fisiologiche e anatomo-patologiche il dolore è connotato come“malattia”.

Se uno stimolo viene percepito o meno come doloroso, dipende:

• dalla sua natura, • dalla situazione in cui viene avvertito, • dalla memoria e • dalle emozioni .

Come esperienza complessa il dolore ha quattro componenti caratteristiche:

1. Componente sensorio-discriminativa: riguarda i meccanismi neurofisiologici che permettono la decodificazione della qualità, della durata, dell’intensità e della localizzazione dell’evento che provoca il dolore

2. Componente affettivo-emozionale: fa parte integrante dell’esperienza dolorosa e le conferisce la sua tonalità spiacevole, aggressiva, penosa, difficilmente sopportabile

3. Componente cognitiva: rappresenta l’insieme di processi mentali che influenzano la percezione (dolore) e le reazioni comportamentali da essa determinate:

o processo di attenzione e di distrazione, o interpretazioni e valori attribuiti al dolore, o raffronti con esperienze dolorose pregresse, personali o osservate

4. Componente comportamentale: coinvolge l'insieme delle manifestazioni verbali e non verbali osservate nella persona che soffre (pianto, mimica, posture antalgiche, impossibilità a mantenere un comportamento normale…).

Data la complessità e le innumerevoli sfumature esistenziali che questa esperienza può assumere nella diversità del genere umano, si riporta la definizione data da Sternbeck:

“Il dolore è ciò che il paziente dice che esso sia,

ed esiste ogni qualvolta

egli ne affermi l’esistenza”

(Sternbeck 1974)

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La nocicezione

Tra la sede del danno tissutale e la percezione del dolore come esperienza sensoriale si interpongono una serie di eventi fisiologici detti nocicezione.

La nocicezione si compone in quattro istanti temporali ben definiti dal punto di vista neuro-fisiologico:

1. Trasduzione: attivazione del nocicettore, per cui uno stimolo nocicettivo (chimico, meccanico o termico) viene convertito in un impulso nervoso (elettrochimico)

2. Trasmissione: l'informazione (sotto forma di potenziali d'azione) viene trasmessa alle strutture del SNC deputate all'elaborazione della sensazione di dolore

3. Modulazione: attività neurologica di controllo dei neuroni di trasmissione del dolore

4. Percezione: sperimentazione della sensazione soggettiva ed emotiva; evento terminale

Tale sequenza temporale di eventi neurali definisce, nel momento in cui viene attivata , il dolore come segnale di pericolo ma nel momento in cui lo stimolo innescante permane, si attiva una reazione infiammatoria che con o senza lesioni nervose infonde al dolore nuove caratteristiche:

Il dolore segnale si trasforma in dolore mantenuto o dolore malattia e se lo stato doloroso persiste ancora diventerà dolore cronico.

Sono cause intrinseche di questo fenomeno di mutazione

1. la sensibilizzazione Periferica (abbassamento della soglia di reclutamento dei recettori non specifici)

2. la sensibilizzazione Centrale. Quest’ultima si articola in due fenomeni ben definiti o “wind up”, ossia l’aumento di eccitabilità dei neuroni del corno dorsale del midollo

spinale e o neuroplasticità, ossia la capacità del sistema nervoso di modificare l'efficienza di

funzionamento delle connessioni tra neuroni (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne altre.

I fenomeni di sensibilizzazione causano tre problematiche ben distinte:

1. Iperalgesia primaria: in cui stimoli abitualmente poco dolorosi provocano fastidio o dolore forte per abbassamento della soglia di stimolazione del recettore. Come se una piccola puntura sulla vostra spalla corrispondesse ad una pugnalata!

2. Iperalgesia secondaria: in cui la percezione del dolore si estende anche ai territori limitrofi non lesi.

3. Allodinia: in cui uno stimolo non doloroso viene percepito come doloroso. Come se una carezza amorevole corrispondesse ad uno schiaffo o come se farsi la barba la mattina corrispondesse a trafiggersi con una corona di spine! (vignetta)

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categorie e tipi di dolore

Secondo la patogenesi si distinguono le seguenti categorie di dolore:

• nocicettivo, • non nocicettivo e • psicogenico.

Il nocicettivo si suddivide in viscerale , somatico, cutaneo e neurogenico (“nerve trunk pain”) mentre il non nocicettivo si connota essenzialmente come dolore neuropatico.

La componente psicogenica di questa classificazione attesta e conferma la complessità del fenomeno dolore come entità nosologica multifattoriale e multidipendente da cause a volte non sempre ben oggettivabili.

Il dolore Post-Operatorio è caratteristicamente un dolore di tipo nocicettivo, originando dalla stimolazione di recettori periferici con una trasmissione nervosa e un sistema di modulazione integri; mentre il dolore di tipo Neuropatico è dovuto ad una anomala interpretazione di segnali afferenti al sistema nervoso centrale o ad alterate proprietà di conduzione o di modulazione.

In base alle strutture anatomiche di provenienza distinguiamo invece quattro tipi di dolore :

dolore nocicettivo cutaneo, dolore nocicettivo viscerale, dolore nocicettivo somatico (ossa,muscoli ed articolazioni) e dolore nocicettivo neurogenico.

1. Il dolore nocicittivo cutaneo

• deriva da lesioni superficiali della cute, di solito nella sede di incisione chirurgica • avvertito come un dolore continuo, uniforme, di tipo urente, puntorio • sempre ben localizzato

1. Il dolore nocicettivo viscerale

• deriva dal coinvolgimento di un viscere solido o cavo. • è diffuso, mal localizzato, crampiforme (se è coinvolto un viscere cavo), gravativo tipo

pugnalata (se è coinvolto un viscere solido) • Associato spesso a segni di ipertono simpatico: ipertensione, tachicardia, nausea, vomito,

sudorazione, pallore, ansia • Può essere presente dolore riferito

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1. Il dolore nocicettivo somatico

• deriva dal coinvolgimento di strutture somatiche profonde, quali ossa, muscoli, articolazioni • E’ generalmente ben localizzato, descritto come martellante, trafittivo, a pugnalata. • Può essere continuo o intermittente, aggravato dal carico o dal movimento

1. Il dolore nocicettivo neurogenico

• è un dolore da compressione o stiramento dei tronchi nervosi o radici spinali intatte. • è causato dalla posizione obbligata sul letto operatorio, particolarmente accentuato nei

pazienti già affetti da lombalgia, sciatalgia, periartrite scapolo-omerale etc. • è un dolore fastidioso, parossistico, che insorge ad intermittenza in relazione al movimento o

al carico o anche spontaneamente • è descritto come un dolore a scosse, che dà formicolio, che punge come uno spillo, talvolta

rodente

la trasmissione del dolore

Il dolore nell'uomo viene trasmesso da due differenti classi di fibre afferenti nocicettive:

1. fibre Aδ: mieliniche, di piccolo diametro, a rapida velocità di conduzione (5-30 m/sec), conducono il primo dolore “pungente”, inducono il riflesso di fuga. È in poche parole il dolore immediato che proviamo quando si sbatte un ginocchio.

2. fibre C: amieliniche, di piccolo diametro, a lenta conduzione (0.5-2 m/sec), responsabili del secondo dolore “sordo“,fungono da recettori polimodali che vanno incontro a processi di sensibilizzazione: riducono la soglia a stimoli ripetuti. Dopo aver sbattuto il ginocchio rimane un dolore meno intenso ma continuo e per questo intollerabile.

Vedremo dopo le implicazioni che hanno in ciò le vie di controllo del dolore.

I nocicettori invece sono rappresentati dalle terminazioni periferiche libere di neuroni sensitivi primari, i cui corpi cellulari sono localizzati nei gangli delle radici dorsali o nei gangli trigeminali.

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Sono presenti in gran numero nella pelle ma sono anche nel muscolo, nel periostio, nella capsula degli organi interni e sulle parete dei vasi e degli organi cavi. Hanno inoltre capacità polimodali, potendo essere eccitati da vari tipi di stimoli (termici, meccanici e chimici). La lesione tissutale periferica attiva il nocicettore primario il quale a sua volta viene ulteriormente sensibilizzato dai mediatori dell’infiammazione, rilasciati in situ a seguito del danno.

Quando lo stimolo doloroso arriva nel midollo spinale vengono attivati due tipi di neuroni:

1. neuroni Specifici, attivati da fibre A-delta solo da stimoli di elevata intensità siti nelle lamine I e II( sost.gelatinosa di Rolando)

2. neuroni ad ampia gamma dinamica (WDR) attivati da stimoli di bassa intensità siti nelle lamine IV e V.

La conduzione del dolore da parte delle fibre Aδ e C raggiunge il midollo spinale attraverso le radici dorsali .

Nel midollo spinale avviene la trasmissione ad un neurone di II ordine ( ricordiamo che il neurone di primo ordine è il recettore che ha il corpo cellulare nel ganglio e la terminazione assonica perifericamente ).

I neuroni di II ordine si portano nella parte contro-laterale del midollo con i loro assoni e giungono al cervello attraverso il tratto talamico laterale del midollo spinale : via spinotalamica.( Lo stimolo può essere modulato ad ogni giunzione o sinapsi).

http://www.indiana.edu/~phys215/lecture/lecnotes/chap108N.html

Prima che i neuroni di II ordine si portino controlateralmente fanno sinapsi con il tratto efferente motorio che provoca “il riflesso di fuga”(quando appoggiamo la mano sul ferro da stiro bollente non stiamo certo a pensare di retrarla , l’allontanamento dalla fonte di calore è immediato ossia riflesso), allo stesso tempo si attivano i circuiti riflessi simpatici che provocano vasocostrizione e tachicardia. Lo stimolo doloroso induce il rilascio di

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neurotrasmettitori eccitatori nel midollo spinale a livello pre-sinaptico. Queste sostanze facilitano la trasmissione dell’impulso centripeto (glutammato, Sostanza P Neurokinina A, etc…).

La via inibitoria discendente

Come esiste un canale deputato alla trasmissione del dolore , esiste altresì un sistema di controllo deputato all’attenuazione del dolore che discende dal centro verso la periferia e si identifica nel funicolo dorso laterale. In questo caso vengono rilasciati neurotrasmettitori inibitori lungo le varie stazioni relè della via fino al midollo spinale (encefaline, dinorfine, GABA, serotonina, noradrenalina)

Non è una caso che esistano persone in grado di tollerare il dolore mediante tecniche di concentrazione così come non è un caso che il dolore peggiore è quello che arriva quando meno te lo aspetti ossia quando non sei concentrato sulla sua evenienza.

Il peggior ricordo di mia nonna riguarda le sue attitudini paramediche, quando veniva a casa a farmi la puntura mi lasciava un paio di minuti a chiappe all’aria e poi senza avvertirmi pungeva il mio di dietro causandomi un dolore doppio: da una parte l’ansia di riceverlo , dall’altra l’incapacità di preparare le mie vie discendenti ad accettarlo.

Oltre ai meccanismi di controllo sovraspinali (controllo centrale) esiste anche un meccanismo intraspinale . Riportiamo brevemente la teoria del cancello elaborata da Melzack e Wall nel 1965.

La trasmissione degli impulsi nervosi dalle fibre afferenti alle cellule T dei gangli del midollo, è modulata da un meccanismo spinale di controllo all’ingresso nel corno dorsale.

Il meccanismo di controllo d’ingresso (cancello) è influenzato dall’attività delle fibre di grande( L) e piccolo (S) diametro.

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L’attività delle grosse fibre tende ad inibire la trasmissione (chiude il cancello) attivando i neuroni della sostanza gelatinosa (SG) che inibiscono i neuroni ad ampia gamma dinamica. ( Ecco perché quando sbattiamo un ginocchio oltre all’imprecazione tendiamo a massaggiarlo perché l’impulso tattile trasmesso dalle fi bre di grosso calibro tende a chiudere il cancello e ad alleviare il dolore)

L’attività delle fibre piccole facilita la trasmissione (apre il cancello) attivando i neuroni ad ampia gamma dinamica (WDR).

La sensibilizzazione midollare

Nel meccanismo di sensibilizzazione midollare (condizione patologica alla base del meccanismo dell’iperalgesia ) lo ione calcio svolge un ruolo fondamentale poiché è il suo aumento all’interno della postsinapsi che sensibilizza il secondo neurone, aumentandone la frequenza di scarica.

Questo avviene grazie alla stimolazione di alcuni recettori cellulari che stimolati favoriscono l’entrata del calcio nella cellula.

Le sostanze in grado di stimolare i recettori sono i neurotrasmettitori eccitatori che vengono rilasciati a livello presinaptico dopo dell’arrivo dello stimolo doloroso. Il loro rilascio favorisce la conduzione del potenziale di azione del secondo neurone verso il cervello, aumentando la percezione algica.

Accenniamo brevemente a due dei più importanti neurotrasmettitori eccitatori:

Sostanza P : si lega selettivamente ai recettori postsinaptici detti Neurokinine ( NK1),aumentando la concentrazione di Calcio intracellulare, bloccando il canale del potassio ed inducendo quindi depolarizzazione cellulare.

Glutammato : lega 3 tipi di recettore: AMPA e KAINATO per il dolore acuto, NMDA per iperalgesia primaria.

Il recettore NMDA a riposo e’ bloccato dagli ioni Magnesio , lil gluttammato lo rende attivo rimuovendo il blocco permettendo così l’entrata del calcio all’interno della cellula.

Dall’ immagine sopra si evince bene come l’impulso elettrico dalla periferia causi il rilascio di glutammato a livello sinaptico.

Il glutammato stimola i recettori NMDA e favorisce l’entrata di calcio a livello del secondo neurone, tutto ciò aumenta la scarica del neurone verso il cervello determinando una condizione di iperalgesia.

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Il dolore sono molecole in grado di azionare un meccanismo elettrico, il segnale che viene percepito dalle nostre terminazioni nervose è analogico e viene trasformato in qualcosa di molto simile ad una sequenza digitale , è facile che il “computer “ vada in tilt quando viene sovrastimolato così un 10 viene confuso per un 100!

Le vie di proiezione

La principale via di proiezione dell'impulso nocicettivo ai centri superiori è il Tratto Spinotalamico che origina da neuroni localizzati nelle lamine I, V, VII. Esso è composto dagli assoni dei neuroni di II ordine che, dopo aver decussato a livello midollare, risalgono nel quadrante anterolaterale terminando nel talamo.

Esistono poi anche delle vie di proiezione nocicettive accessorie: Tratto Spinoreticolare, Tratto Spinomesencefalico, Tratto Spinocervicale e Colonne posteriori.

L'elaborazione del messaggio dolore

Lo stimolo doloroso raggiunge molte strutture sovraspinali coinvolte nell’elaborazione del dolore (formazione reticolare, midollo allungato, talamo, ipotalamo, ipofisi, sistema limbico, corteccia cerebrale) , al punto che possiamo affermare che non c’è un centro del dolore ben definito.

Quello che però possiamo affermare è che ciascuna struttura stimolata e coinvolta nel processo elaborativo produce un effetto dovuto alla sua stimolazione:

• la sostanza reticolare influenza la coscienza (un dolore lieve aumenta l’attenzione, un dolore severo può causare perdita di coscienza),

• il midollo allungato stimola il centro respiratorio e cardiovascolare, • il talamo distribuisce i segnali alle varie aree cerebrali, inclusa la corteccia, • ipotalamo e ipofisi sono responsabili della risposta ormonale, • il sistema limbico regola la soglia del dolore e le reazioni emozionali

infine, la corteccia cerebrale percepisce lo stimolo come doloree lo interpreta connotandolo con una sfumatura soggettiva.

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È questa soggettività che rende il dolore personale e ne fa un’esperienza esclusiva per ciascun essere umano; un’ esperienza che, come afferma Sternbeck, esiste ogni qual volta se ne afferma l’esistenza.

In poche parole il dolore è una condizione esistenziale. Volendo astrarre il concetto di iperalgesia oltre l’entità del nocicettore, se ne deduce che questa situazione di ipersensibilità può e deve essere considerata anche per situazioni che esulano dalla martellata sul dito in sé e che coinvolgono l’individuo nel profondo della sua interiorità.

il dolore post-operatorio

L’atto chirurgico dà origine ad una sequenza di eventi fisiopatologici diversi in rapporto alla sede, al tipo e all’ entità del danno tessutale, sostenuti da alterazioni periferiche e centrali.

Pensate ad una mastectomia ed all’impatto psicologico che può avere su una donna (importanza della sede) così come non è paragonabile l’entità di un taglio chirurgico eseguito per un appendicectomia semplice rispetto ad una laparotomia xifo-pubica (importanza dell’entità del danno), una pneumonectomia con decorticazione pleurica è più dolorosa di una pneumonectomia semplice (importanza del tipo di intervento) .

Questi parametri fanno si che il dolore post operatorio varia al variare dell’intervento chirurgico , come si evince dalla tabella di seguito riportata.

L’attivazione del sistema nocicettivo determina l’insorgenza di risposte riflesse che sono alla base delle alterazioni endocrino-metaboliche, respiratorie, cardiocircolatorie e psicologiche che vanno ad alterare l’omeostasi del paziente chirurgico.

risposte riflesse segmentarie

Il reclutamento di interneuroni porta all’attivazione di neuroni che hanno connessioni con il corno anteriore e la colonna intermedio-laterale , ciò provoca la stimolazione di neuroni somatomotori (spasmo muscolare, contrattura, insufficienza respiratoria precoce postoperatoria)e la stimolazione di neuroni pregangliari simpatici ( ipertono simpatico con vasocostrizione periferica, aumento del lavoro cardiaco, ipotonia gastrointestinale e genito-urinaria).

risposte riflesse sovrasegmentarie

Dal metamero di ingresso l’input nocicettivo risale il nevrasse lungo il fascio spino-reticolo-talamico, raggiungendo la sostanza reticolare, i centri bulbari del respiro e della circolazione ed i

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nuclei ipotalamici che sono il centro più importante di integrazione delle risposte autonomiche ed ormonali: in questa sede origina la risposta sopra-segmentaria riflessa neuro-endocrina.

risposta corticale

Attraverso l’elaborazione corticale vengono poi innescate altre risposte che sono alla base di ansia, paura e angoscia .

Appare evidente come il dolore post operatorio agisca su tutto l’organismo attraverso il coinvolgimento di più strutture del sistema nervoso centrale che sono poi responsabili di effetti che si ripercuotono sul corpo intero.

Si verifica infatti:

• centralizzazione del circolo • aumento del consumo di ossigeno • tachicardia

tutte condizioni che predispongono il malato postoperato all’insorgenza di ischemia miocardia acuta e scompenso cardiaco

• effetti ipermetabolici e catabolici indotti dall’increzione di catecolammine e cortisolo • insulino resistenza

In poche parole si manifesta una sindrome che coinvolge l’organismo nella sua interezza, impedendo il recupero funzionale ed il mantenimento dell’omeostasi organica.

L'analgesia multimodale

Un unico trattamento antalgico non è in grado di abolire completamente il dolore post-operatorio ed espone più facilmente il paziente agli effetti avversi ad esso correlati. Si rende necessario cioè un comportamento che aggredisca il fenomeno dolore in tutte le sue componenti, dalla sensibilizzazione periferica che si ha con il taglio chirurgico , fino alla complessa modulazione che prende forma nelle strutture centro-assiali.

Questo tipo approccio prende il nome di analgesia multimodale e si basa molto semplicemente sulle associazioni di più farmaci che agiscono su diverse vie della trasmissione del dolore nonché sull’utilizzo di blocchi nervosi con l’uso di anestetici locali. Essa permette di ridurre le dosi critiche di ciascun farmaco, favorendo una copertura migliore del dolore.

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Vale la pena ricordare come il fenomeno dolore sia aggredibile in più punti dalla periferia al centro, via via che il suo percorso procede verso le strutture più nobili del nostro sistema nervoso.

Ricordando le vie di trasmissione del dolore attraverso l’immagine sopra riportata, si può notare come ciascuno dei farmaci che compaiono va ad agire in punti differenti della” via dolorosa” .

Più farmaci con differente meccanismo e sito di azione possono essere associati senza alcun problema così che le dosi critiche di ciascun farmaco vengono ridotte e la copertura risulta migliore.

È altrettanto evidente l’importanza da riservare ai blocchi nervosi periferici e centrali che attraverso l’anestetico locale impediscono al dolore di essere trasmesso al secondo neurone sensitivo midollare poiché lo stimolo viene bloccato direttamente lungo il suo percorso.

Riportiamo di seguito le associazioni di farmaci possibili:

• FANS + PARACETAMOLO • PARACETAMOLO + CODEINA • PARACETAMOLO 325mg + TRAMADOLO 37,5 mg • PARACETAMOLO + OSSICODONE • PARACETAMOLO+MORFINA • KETAMINA + MORFINA

Il paracetamolo ha un ottima possibilità di associazione con FANS e oppioidi, la dose massima giornaliera è di 4g; per il controllo del dolore grave va somministrato alla dose di 1g ogni 6 ore. È importante rispettare questo intervallo temporale per evitare , data l’emivita del farmaco , intervalli liberi da copertura analgesica. La sua associazione con la morfina ne permette un risparmio di circa il 20%.

È disponibile anche una formulazione e.v. da 1g in 100 ml.

Data la possibile tossicità epatica di questo farmaco, è utile condurre uno screening epatico enzimatico prima dell’inizio della terapia ed un quadro emocoagulativo.

Esistono formulazioni già combinate con oppioidi:

• paracetamolo-codeina 500mg/30mg • paracetamolo-ossicodone 325mg/5mg, 325mg/10mg, 325mg/20mg

• paracetamolo-tramadolo 325mg/37, mg

Il ketorolac è un fans potente, utilizzato nel trattamento del dolore acuto post-operatorio. Il dosaggio massimo giornaliero non deve eccedere i 90mg, in caso di dolore grave si somministra al dosaggio di 30mg ogni 8 ore. La sua associazione con la morfina ne permette un risparmio di consumo di circa il 30%. Come per tutti i fans se ne ricorda l’azione nefrolesiva, legata alla inibizione della produzione di prostaglandine che vasodilatano l’arteriola glomerulare afferente.

Nel somministrarlo bisognerebbe ricorrere alla dose minima efficace e comunque il suo uso è sconsigliato nei pazienti con creatininemia maggiore di 1,8mg/dl. È utile effettuare copertura gastrica con inibitori della pompa protonica.

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A dosaggio pieno endovenoso non va somministrato per più di 2 giorni consecutivi. Degno di nota è anche il suo effetto antiaggregante che si protrae per 36 ore dalla sospensione. Risulta utile ai fini terapeutici essere in possesso di un quadro emocoagulativo comprensivo del dosaggio piastrinico e di un profilo biochimico renale comprensivo della clearance stimatata della creatinina .

Gli oppiodi sono sicuramente il cardine della terapia antalgica. La loro somministrazione può avvenire per via endovenosa (EV), intramuscolare (IM), sottocutanea (SC) , orale (OS) e transdermica (TD).

La morfina (EV, IM, SC, OS,peridurale,subaracnoidea) è farmaco indispensabile per il controllo del dolore severo-grave postoperatorio; si può utilizzare in associazione ai FANS e al paracetamolo per ridurne il dosaggio ed attenuarne gli effetti

collaterali di cui il più gravoso è sicuramente la depressione respiratoria.

Nell’adulto, il fabbisogno di oppiacei parenterale è funzione più dell’età che del peso corporeo quindi il dosaggio massimo di morfina nel corso delle 24 ore viene calcolato in base all’età e genericamente per pazienti di età compresa tra 20 e 70 anni si utilizza la formula 100 – età.

Questa formula va chiaramente interpretata tenendo presente che il dosaggio di ogni farmaco va titolato in base all’effetto e lascia comunque intravedere che un ragazzo di 20 anni può ricevere anche 80 mg/24 ore EV mentre per un anziano di 70 non bisogna oltrepassare i 30 mg/24 ore EV.

E’ evidente che 40 mg/24 ore potrebbero essere troppi per un anziano di 70 anni ma potrebbero essere del tutto insufficienti per un ragazzo di 20 anni.

L’osservazione del paziente nell’arco della terapia terrà al riparo il personale di reparto dall’insorgenza dell’effetto collaterale più temuto ossia la depressione respiratoria; la scala di

sedazione è un ottimo mezzo per la valutare e prevenire l’insorgenza di questo effetto collaterale.

E’ evidente che nel caso in cui il paziente dovesse presentare segni gravi di insufficienza respiratoria non dovrà essere assolutamente ritardata la somministrazione di O2 attraverso circuito va e vieni e la somministrazione di naloxone, farmaco che antagonizza gli effetti degli oppiodi.

Per quanto attiene agli effetti collaterali meno pericolosi ma sicuramente spiacevoli come nausea/vomito e prurito si può

tranquillamente ricorrere all’utilizzo di farmaci antiemetici (metoclopramide, ondansetron) e antistaminici (clorfenamina).

La clorfenamina (TRIMETON) può essere utilizzata per via EV,IM e SC al dosaggio di 5-10 mg, è da tenere presente che la somministrazione per via EV deve avvenire lentamente e considerando l’effetto sedativo del farmaco. La stipsi indotta da oppiodi è purtroppo un altro effetto collaterale conseguente alla loro somministrazione e rimane un pegno da pagare per liberare il paziente dal dolore.

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Le vie peridurale e subaracnoidea (per altro fondamentali nel controllo del dolore postoperatorio) saranno approfondite in un altro contesto.

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L'approccio psicologico del dolore

Aspetti generali di Psicologia del dolore

Negli ultimi 20 anni le ricerche sui meccanismi della nocicezione e le prove cliniche nella terapia del dolore hanno stabilito che la psicologia del dolore è una componente essenziale sia nella ricerca che nella terapia: il dolore cronico è infatti visto come un'interfaccia fra aspetti fisici, psicologici e sociali.

La componente psichica nel dolore risulta evidente già nella sua definizione come “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”.

Le fasi della valutazione psicologica del dolore

La valutazione del dolore, anche da un punto di vista psicologico, avviene attraverso varie fasi:

− Descrizione del dolore: al di là delle valutazioni di carattere medico circa la localizzazione del dolore, la sua intensità e la risposta ai farmaci, occorre che lo psicologo ascolti le modalità con cui il paziente riferisce la propria esperienza dolorosa.

− Anamnesi medica: se il dolore è il risultato di una somatizzazione, è possibile che il soggetto presenti una storia di malattia piuttosto lunga e precoce.

− Comportamento: chi ha un dolore di natura psicogena tende a porre un'enfasi rilevabile spesso dalla centralità dell'esperienza di malattia nella sua vita. In apparente contrasto può essere rilevato un comportamento di malattia basato sulla negazione del problema e sulla trascuratezza fino al peggioramento.

− Rapporto con i medici e le terapie: i soggetti con un dolore di natura psicogena tendono a ricercare la terapia farmacologica che possa risolvere il problema e, non trovandola poiché il dolore è un bisogno psicologico, instaurano un rapporto conflittuale con i medici.

− Relazioni familiari e sociali: è importante indagare sulla natura delle relazioni prima e dopo la comparsa del dolore, su come hanno reagito i familiari al dolore del paziente, sull'impatto che il dolore ha avuto sulla vita sociale e professionale del paziente.

− Situazioni stressanti: scoprire se è accaduto qualcosa di significativo nella vita del paziente, quando è comparso o si è aggravato il dolore, se è riuscito a manifestare le sue emozioni.

− Conseguenze del dolore: cercare di comprendere se c'è stata una modifica della personalità, un adattamento ad un nuovo stile di vita, una diminuzione della qualità della vita, cambiamenti nella gestione delle relazioni, inabilità lavorativa, modifica degli interessi.

− Vantaggi secondari: chi manifesta un dolore di natura psicogena può aver appreso nella sua storia evolutiva che il miglior modo per ricevere attenzioni o per evitare le responsabilità era quello di essere malato.

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− Processi cognitivi e strategie di coping: è importante cogliere la modalità con cui il soggetto racconta la sua storia, cosa pensa del suo dolore e come lo affronta.

− Resilienza: individuare la capacità del soggetto di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte

alle difficoltà.

L'intervento psicologico

Si parte dall'assessment psicologico che prevede una valutazione dell'influenza del dolore sulla vita del paziente e del ruolo che la componente emotiva gioca nel rinforzare il dolore.

La presa in carico psicologica riguarda le valenze affettive e la sofferenza psicologica del paziente che vanno ad influire sulla percezione del dolore.

Le fasi dell'intervento psicologico possono essere così descritte:

• Accogliere il dolore: attraverso un ascolto attivo e favorendo la verbalizzazione del paziente.

• Credere al paziente quando esprime dolore: non banalizzare, negare o sdrammatizzare prematuramente la preoccupazione legata al dolore.

• Dare un senso al dolore: comprendere il vissuto globale dell'esperienza, ascoltare le preoccupazioni rispetto ad un futuro incerto, permettere l'espressione delle emozioni.

• Favorire una comunicazione aperta con il paziente e i suoi familiari: l'incertezza e l'insicurezza rispetto al risultato atteso rendono difficile il confronto con il dolore e ne diminuiscono la soglia di tolleranza. Il disaccordo tra gli operatori, inoltre, aumenta l'ansia e l'incomprensione.

La complessità dell'esperienza dolorosa

Possiamo rilevare un'interconnessione tra:

• Corpo e psiche • Malato-famiglia-curanti • Malattia e contesto socio-culturale

La sofferenza è globale per il paziente e per coloro che ruotano intorno a lui.

Riconoscere il dolore attraverso:

• Livello verbale: dialogo, vocalizzazioni, gemiti, lamenti. • Livello non verbale: mimica, tensione muscolare e rigidità, protezione di parti del corpo,

attività-inattività, pianto.

Tipo di dolore:

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• Acuto: espressione diretta e visibile, rilevabile tramite l'osservazione del comportamento verbale, facilmente individuabile.

• Cronico: espressione bloccata, dolore mascherato, comportamento verbale non congruente con l'intensità del dolore, difficile da riconoscere e da credere.

Percezione del dolore:

• Componente discriminativa : la capacità delle vie del dolore di trasmettere informazioni spaziali e temporali sullo stimolo doloroso.

• Componente cognitiva: l'esperienza del dolore viene modificata dai significati ad essa attribuiti.

• Componente affettiva: lo stimolo doloroso è associato a vissuti emotivi.

Interconnessione tra dolore e sofferenza psicologica

• Sofferenza psicologica: paura della dipendenza, dell'handicap, della morte. • Significati attribuiti al dolore.

Connessione tra dolore e ansia o depressione:

• Dolore acuto: paura del dolore-ansia anticipatoria → reazione ansiosa • Dolore cronico: degradazione sociale, professionale, psicologica → reazione depressiva

Si crea un circolo vizioso tra dolore-ansia-tensione muscolare.

Approccio psicologico al trattamento del dolore

Le modalità di approccio al trattamento del dolore possono essere di vario genere:

• Sostegno psicologico • Tecniche di rilassamento (biofeedback; rilassamento muscolare progressivo di Jacobson,

trainig autogeno; desensibilizzazione sistematica; ipnosi) • Psicofarmaci

Il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson

Secondo Edmund Jacobson (“Progressive relaxation”, Chicago 1928) ogni pensiero, percezione, emozione, si correla ad una modificazione del tono muscolare.

La tecnica consiste nel ridurre la tensione residua che permane nei muscoli quando l'individuo, non allenato al rilassamento, si pone in una condizione di riposo.

Si tratta di allenare l'individuo a raggiungere progressivamente la completa distensione muscolare.

Il rilassamento muscolare di Jacobson passa attraverso varie fasi:

• allenamento a percepire la tensione muscolare e la distensione muscolare mediante esercizi di:

• tensione • localizzazione della tensione • distensione

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• apprezzamento della distensione

• allenamento al senso muscolare, a percepire le sensazioni che affiorano quando i muscoli non sono completamente contratti o distesi.

• allenamento a percepire la tensione e distensione mentale.

La finalità è quella di:

• rendere consapevole l'individuo del proprio tono muscolare e riconoscere la tensione per poterla controllare e ridurre. Questo è il primo passo verso l'autocontrollo e la gestione delle proprie tensioni.

• Eliminare infatti, attraverso il rilassamento, tutti i disturbi legati ad un'eccessiva contrattura muscolare così fornendo al soggetto uno strumento capace di prevenire gli effetti prodotti da eventi che ricreerebbero ansia, contrattura e nuovamente dolore.

• Facilitare nuovi apprendimenti che possano ristabilire, o permettere di acquisire, l'equilibrio psico-fisico attualmente perso.

Il setting:

• non è necessario che sia troppo diverso da quello quotidiano perchè l'obiettivo è quello di far rilassare l'individuo nel corso della sua normale esistenza quotidiana.

• il paziente conserva il suo normale modo di vestire. • la stanza dovrà essere al riparo da rumori molesti e dal passaggio di persone ma non troppo

buia. • la posizione supina facilita la concentrazione ma il paziente può stare anche seduto (è

importante che il paziente non si addormenti durante gli esercizi).

Le tecniche di rilassamento potrebbero non eliminare completamente il dolore ma aiutano senz’altro il paziente a modificare la sua reattività globale e quindi il “comportamento-dolore” nella più ampia accettazione del termine.

Concludendo...

E' necessario tenere sempre presente l'importanza della multidisciplinarietà dell'intervento da parte degli operatori (medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, ecc.) per

• permettere una valutazione del soggetto nella sua interezza psico-fisica e • spiegare così l'origine dei sintomi e • arrivare più facilmente ad una diagnosi

consentendo così una

• più adeguata impostazione eziologica della cura, non più solo “cura sintomatica”, e promuovere

• una reale azione di prevenzione.

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L'assistenza infermieristica nella gestione del dolore

La dizione “Ospedale Senza Dolore” si riferisce e descrive una struttura in cui si effettua in modo sistematico la valutazione ed il controllo terapeutico del dolore, sia acuto che cronico, applicando le linee guida nazionali.

In realtà, spesso gli operatori, magari per problemi legati ad organizzazione di reparto (per esempio, carichi di lavoro elevati che portano ad una riduzione della componente assistenziale di base), non valutano il dolore e non pianificano l’assistenza infermieristica per la persona con dolore.

L’ obiettivo è, quindi, di cambiare l’approccio al dolore da parte dell’infermiere.

Non esiste un metodo per misurare oggettivamente il dolore: esso è una esperienza, un sintomo, una sensazione, uno stimolo, una risposta. È fondamentale anche il significato che il paziente attribuisce al dolore e che deriva in gran parte dal vissuto personale.

Il dolore è un’esperienza strettamente personale e dunque soggettiva ed è difficile da definire secondo schemi precostituiti: ogni persona ha una propria esperienza dolorosa legata alla propria individualità e cultura. Perciò è veramente essenziale la considerazione data globalmente alla persona malata, nella sua individualità e specificità.

Opportuno è citare la definizione del dolore data dall’Associazione Internazionale per lo studio del Dolore:

“il dolore è una esperienza sensitiva ed emozionale spiacevole associata ad un danno potenziale od attuale di tessuti dell’organismo”;

oppure, come lo definisce Bonica, “Il dolore è la cosciente consapevolezza della lesione tissutale”;

oppure ancora: “ Il dolore è qualsiasi cosa che la persona che lo prova dice che è ed esiste ogni qualvolta la persona dice che c’è” (I.P. Mc. Caffery).

Nell’approccio clinico, capita che il dolore non venga considerato di per sé “pericoloso” o inusuale per il paziente, per diverse ragioni; per esempio:

• perché si è convinti che il trattamento del dolore possa mascherare i segni di complicanze chirurgiche;

• per il timore degli effetti collaterali indesiderati di depressione respiratoria e della coscienza, associati alla somministrazione di analgesici maggiori ed anestetici;

• perché si è portati a ritenere che il dolore sia una componente intrinseca allo stato clinico del paziente, un evento ineludibile, quasi normale.

Vale quindi la convinzione che non sia necessario riservare impegno al sintomo dolore per prevenirlo oppure ridurlo, o più ancora, eliminarlo. E quindi la risoluzione del problema dolore viene demandata alla cura della patologia di base: il dolore cesserà con la avvenuta guarigione.

In alternativa, il trattamento si limita ad una terapia farmacologia estemporanea, come ad es. nel post-operatorio immediato.

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E l’infermiere?

Intanto, l’approccio tradizionale nell’assistenza infermieristica considera il trattamento del dolore quando sollecitato, valutato o pianificato da altri (medico, congiunto che assiste o paziente stesso). L’equipe infermieristica entra in relazione con l’evento “dolore” quando il medico si trova a prescrivere una terapia antalgica al paziente.

In questo approccio, dunque, raramente viene rivalutato in modo sistematico, il livello di dolore nelle ore successive alla somministrazione della terapia.

La rilevazione è occasionale e abitualmente coincide con:

• la presenza di un parente che assiste il paziente e chiama gli infermieri per richiedere di alleviare il dolore al proprio congiunto;

• la chiamata del paziente stesso, che è quindi artefice della rilevazione del dolore.

Sono evidenti i punti di debolezza di questo approccio: viene a mancare

• tanto la comprensione della persona che prova dolore quanto • la percezione del problema e la susseguente elaborazione di esperienze professionali;

la conseguenza e che si è portati a vivere questa “situazione” con distacco.

Tra le cause di quest’approccio c’è senz’altro

• la scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo di sistemi obiettivi di valutazione, • lo scarso coinvolgimento del paziente nel piano terapeutico e • la scarsa considerazione del rapporto tra assistito e professionisti della sanità.

Di qui l’importanza di sviluppare approcci nuovi, che mettano al centro la sistematicità nella valutazione e nel trattamento del dolore del paziente ricoverato presso le nostre Strutture sanitarie.

Al predetto fine, il primo passo è senz’altro la presa di coscienza dell’operatore nel considerare il dolore come uno dei segni vitali.

E’ poi necessario verificare le priorità assistenziali per poter pianificare e personalizzare l’assistenza mediante l’utilizzo di protocolli operativi inerenti la prevenzione, la valutazione oggettiva del dolore e la terapia appropriata.

Un miglioramento del confort del paziente, infatti:

• ridurrà la sua fatica convalescenziale (postoperatoria o altro); • lo motiverà e lo abiliterà maggiormente ad essere parte attiva di un programma di

riabilitazione, ad alimentarsi precocemente, a prendersi cura delle sue funzioni naturali, a riprendere contatti interpersonali, ecc.. In definitiva, aiuterà il paziente a rendersi più autonomo.

Viceversa, un trattamento inefficace renderà il paziente sofferente per il dolore e altri sintomi neurovegetativi eventualmente connessi (nausea, ecc.), interferendo negativamente con una rapida ripresa clinica e sociale.

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Sarà compito dell’infermiere istruire il paziente ad un approccio corretto ed efficace al suo dolore; in modo che non attenda che il dolore diventi intollerabile prima di richiedere l’intervento sanitario, ma allo stesso tempo non lo richieda in modo inappropriato, cioè solo per il timore che il dolore insorga nuovamente.

È evidente il ruolo chiave dell’infermiere nella partita, dal momento che rimane più a lungo in relazione diretta con il paziente ed è in grado di valutare con continuità l’efficacia della terapia analgesica impostata.

Quindi, secondo il nuovo approccio che qui proponiamo, l’infermiere ha il compito , non certo facile,

• di rilevare sistematicamente il dolore e le sue caratteristiche, per poi riferirne al medico; • di preparare e somministrare la terapia prescritta e di valutarne l’efficacia.

D’altronde, i fondamentali cambiamenti riguardanti la professione infermieristica, che hanno portato l’infermiere ad essere un professionista “autonomo”, devono far riflettere e prendere coscienza sull’importanza che assume l’argomento “dolore” nella pianificazione dell’assistenza infermieristica alla persona.

in pratica, l'infermiere cosa deve fare?

Valutare il dolore come gli altri parametri vitali

In particolare, deve

• Educare e istruire i pazienti e i familiari • Valutare il dolore in tutti i pazienti, perchè VALUTARE il dolore è

già TRATTARE il dolore • Misurare la qualità del trattamento erogato

La rilevazione del dolore deve avvenire tramite intervista da parte di un operatore sanitario abilitato alla rilevazione dei parametri clinici;

Utilizzare, negli adulti, la scala numerica verbale NRS (Numerical Rating Scale) da 0 a 10 che, in base all’esperienza ed alla letteratura di questi ultimi anni, si è rivelata tra le più applicabili nella pratica clinica.

Questo sistema di rilevazione del dolore, adottato dall’Azienda Ospedaliera di Perugia,

• è validato scientificamente, • è semplice da somministrare da parte del personale sanitario, • è facilmente comprensibile da parte del malato ed • è utilizzabile nel maggior numero di situazioni cliniche

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NRS (Numeric Rating Scale)

• Il valore minimo per il quale deve essere iniziato il trattamento antalgico è “4” • Il numero di valutazioni di base del dolore deve essere almeno due volte nella giornata, la

mattina e la sera, contestualmente alla rilevazione dei parametri vitali o altre attività sul paziente;

• Le rilevazioni devono poi essere registrate in specifici spazi, opportunamente predisposti, all’interno della cartella clinica del paziente, nell’area dedicata ai parametri clinici (Grafica).

• Va sempre scritto il valore che ci riferisce il paziente, anche se fosse zero.