Top Banner
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA I manuali di Diritto e Processo a cura di Antonio Palazzo DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO a cura di ANTONIO PALAZZO e ANDREA SASSI 2007
686

Diritto privato del mercato

Jan 22, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Diritto privato del mercato

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

I manuali di Diritto e Processo a cura di Antonio Palazzo

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO

a cura di

ANTONIO PALAZZO e ANDREA SASSI

2007

Page 2: Diritto privato del mercato

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA ———

© Copyright 2007 by Istituto per gli Studi Economici e Giuridici

“Gioacchino Saduto” - Spin-off della Università degli Studi di Perugia

ISBN 978-88-95448-00-8

A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la ri-produzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettro-nico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.

—————————————————————— Il volume è stato impresso dalla Tipolitografica Pievese di Sgoifo Franco - Città della Pieve (pg): P.I. 00281250548, per conto dell’Istituto per gli Studi economici e Giuridici “Gioacchino Scaduto” s.r.l. – Spin-off dell’Università degli Studi di Perugia, Via Margutta, 1/A - Roma: P.I. 08967801005

Tutti i diritti di proprietà letteraria sono riservati Si ringraziano gli Autori che hanno rinunciato ai propri diritti al fine del contenimento dei costi

Page 3: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO

Introduzione di Antonio Palazzo Pag. XXIII

PARTE PRIMA

IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO

CAPITOLO PRIMO IL RUOLO DELLE PERMANENZE NELLA FORMAZIONE DEL MERCATO INTERNO

di Andrea Sassi

1. — Le permanenze nella cultura giuridica europea » 3

2. — Autonomia ed eteronomia » 5

3. — Parità formale e parità sostanziale delle parti » 8

4. — Parità sostanziale e permanenze » 15

5. — Buona fede ed equità nel diritto civile e nel diritto commerciale » 20

6. — Aequitas singularis ed aequitas constituta » 27

7. — Buona fede ed equità nei principi di “Diritto privato europeo” » 31

8. — Buona fede ed equità nella giurisprudenza comunitaria » 34

9. — L’attività ermeneutica in ambito negoziale » 38

10. — Il ruolo delle permanenze nel sistema attuale » 44

Page 4: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO IV

CAPITOLO SECONDO I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO

di Roberto Cippitani

1. — Premessa » 53

2. — La libera circolazione dei soggetti » 532.1. I lavoratori dipendenti » 542.2. I lavoratori autonomi e i soggetti diversi dalle persone fisiche » 552.3. Riflessi privatistici delle libertà riconosciute dal Trattato di Roma » 56

3. — La legislazione comunitaria in materia di soggetti che svolgo-no un’attività economica

» 58

4. — I consumatori » 58

5. — Le imprese » 60

6. — I rapporti tra le imprese nel mercato unico: PMI, gruppi, con-correnza

» 62

6.1. Le piccole e medie imprese » 636.2. I gruppi di imprese » 666.3. La disciplina sulla concorrenza e sugli aiuti di stato » 67

7. — La disciplina di alcune categorie di soggetti: le società » 687.1. L’armonizzazione del diritto societario » 687.2. I nuovi soggetti di diritto » 70

8. — La soggettività oltre il mercato » 73

9. — Dalla nozione di lavoratore a quella di cittadino » 749.1. L’attribuzione di libertà fondamentali a persone diverse dai

lavoratori » 75

9.2. La cittadinanza dell’Unione europea » 769.3. I diritti riconosciuti alle persone fisiche dal diritto comunitario » 76

10. — I soggetti diversi dalle persone fisiche » 7910.1. Gli enti non profit » 7910.2. Gli enti pubblici e gli altri soggetti di diritto pubblico » 8110.3. Le università, le scuole, gli enti di ricerca » 87

Page 5: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO V

11. — Situazioni giuridiche soggettive e diritto comunitario » 9011.1. La diretta applicazione dei diritti riconosciuti dall’ordinamento

comunitario » 90

11.2. La tutela delle diverse tipologie di situazioni giuridiche soggettive » 9211.3. Il diritto all’attuazione del diritto comunitario » 9511.4. I limiti all’esercizio dei diritti » 96

CAPITOLO TERZO I BENI E I DIRITTI REALI

di Roberto Cippitani

1. — La rilevanza della proprietà per il diritto comunitario » 991.1. La proprietà come diritto fondamentale » 991.2. Il diritto comunitario e il diritto nazionale » 100

2. — La disciplina comunitaria dei nuovi beni » 1032.1. I beni ed i diritti reali negli ordinamenti nazionali » 1032.2. I beni immateriali » 1052.3. Gli strumenti finanziari » 1092.4. La multiproprietà » 110

3. — La tutela degli interessi fondamentali » 1123.1. Limiti all’esercizio del diritto di proprietà » 1123.2. Sicurezza dei prodotti » 1133.3. Livelli di qualità dei prodotti e informazioni sui prodotti » 1143.4. Le connotazioni etiche dei beni » 1153.5. I beni culturali » 1173.6. I limiti di ordine pubblico » 118

CAPITOLO QUARTO I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI

di Roberto Cippitani

1. — Premessa » 119

Page 6: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO VI

Sezione I - Il diritto comunitario dei contratti

2. — Il diritto dei contratti dei consumatori » 1202.1. Il quadro normativo » 1202.2. Le tecniche contrattuali di tutela dei consumatori » 121

3. — I contratti tra imprese » 1233.1. La tutela di alcune imprese » 1233.2. I pagamenti » 125

4. — I contratti degli enti pubblici » 1264.1. La normativa sugli appalti pubblici » 1264.2. I principi in materia di pubblici appalti » 1284.3. La portata generale dei principi in materia di appalti pubblici » 1294.4. Il diritto comunitario dei contratti pubblici » 131

5. — I contratti riguardanti le tecnologie dell’informazione ed i be-ni immateriali

» 132

5.1. Il commercio elettronico » 1325.2. I contratti riguardanti i beni immateriali » 135

6. — La scelta della legge nazionale applicabile e del giudice com-petente

» 136

6.1. Le fonti comunitarie » 1366.2. La convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbliga-

zioni contrattuali » 138

6.3. La legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali » 1396.4. Il regolamento 44/2001 sul giudice competente » 141

Sezione II - I principi comunitari in materia di contratti

7. — La definizione di contratto » 143

8. — Gli elementi del contratto » 1448.1. L’accordo delle parti » 1448.2. L’oggetto. L’obbligo di informazione » 1458.3. La forma » 1478.4. La causa e i motivi » 147

9. — Le conseguenze dell’inadempimento » 149

Page 7: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO VII

10. — I rapporti tra le parti e gli effetti sui terzi » 150

11. — Interpretazione e applicazione dei contratti » 15211.1. La buona fede » 15211.2. L’equità » 154

12. — La funzione del contratto nell’ordinamento comunitario » 154

Sezione III - Obbligazioni non contrattuali e obbligazioni in generale

13. — Introduzione » 156

14. — La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale » 157

15. — Le altre tipologie di responsabilità » 158

16. — Le regole applicabili ai rapporti obbligatori » 15916.1. Le ipotesi di esclusione della responsabilità » 15916.2. Le conseguenze della responsabilità » 16016.3. Le vicende dei rapporti obbligatori » 161

CAPITOLO QUINTO IL DIRITTO PRIVATO DELLA SOCIETÀ

DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA di Roberto Cippitani

Sezione I - I fondamenti del diritto privato

della società dell’informazione e della conoscenza

1. — Il diritto privato del mercato » 1651.1. Il mercato come spazio economico giuridico » 1651.2. Il mercato interno come contesto » 167

2. — Il diritto privato della società dell’informazione » 167

3. — Le conseguenze etiche e sociali del diritto privato » 168

4. — Il diritto privato della società della conoscenza » 1704.1. La società della conoscenza » 1704.2. Il diritto privato » 171

Page 8: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO VIII

Sezione II - L’elaborazione del diritto privato della società della conoscenza

5. — La costruzione del diritto privato comunitario » 173

6. — Interventi normativi e non normativi » 176

7. — Il ruolo della giurisprudenza » 177

8. — La costruzione del diritto comunitario come fenomeno culturale » 180

PARTE SECONDA

IL DIRITTO DEI CONSUMATORI

CAPITOLO PRIMO IL CODICE DEL CONSUMO

di Stefania Stefanelli

1. — Il modello italiano di protezione del consumatore » 185

2. — Principi ispiratori e sistema del codice del consumo » 188

3. — Consumatore, professionista, produttore, prodotto » 190

Sezione I - La pubblicità

4. — Educazione, informazione, pubblicità » 194

5. — La funzione della pubblicità. La pubblicità redazionale » 195

6. — La pubblicità ingannevole » 199

7. — La pubblicità comparativa » 202

8. — Accertamento dell’ingannevolezza e sanzioni » 206

Sezione II - Il rapporto di consumo

9. — Le clausole abusive » 207

Page 9: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO IX

10. — La reazione alle clausole abusive: rimedi individuali e collettivi » 213

11. — Il commercio elettronico » 216

CAPITOLO SECONDO CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI

di Lorenzo Mezzasoma

1. — Premessa » 219

2. — La disciplina vigente sulla responsabilità per danno da pro-dotti difettosi e le applicazioni giurisprudenziali

» 233

3. — Il prodotto difettoso ed il prodotto insicuro » 259

4. — De iure condendo » 261

CAPITOLO TERZO AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ

di Stefania Stefanelli

1. — Le esperienze di autoregolamentazione in Italia. La pubblicità » 271

2. — Il codice di autoregolamentazione Tv e minori » 273

3. — I codici di autoregolamentazione per la tutela della privacy » 279

4. — Il codice Internet @ minori: per un’ipotesi di applicabilità del-l’autoregolamentazione a terzi non contraenti

» 282

Page 10: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO X

PARTE TERZA

IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA

CAPITOLO PRIMO ANALISI DELL’EVOLUZIONE DEL CONCETTO

DI CONCORRENZA SECONDO VARI APPROCCI TEORICI di Cristina Montesi

1. — Introduzione » 291

2. — Gli approcci strutturalisti » 2922.1. L’approccio strutturalista dell’economia politica: la concor-

renza nella teoria degli economisti neoclassici » 293

2.2. L’approccio strutturalista dell’economia industriale: la concor-renza nello schema teorico della scuola statunitense S→C→P

» 295

2.3. L’approccio strutturalista dell’economia aziendale: la concor-renza nel quadro dell’analisi dell’ambiente competitivo

» 298

3. — Gli approcci comportamentali » 3023.1. L’approccio comportamentale dell’economia politica: la con-

correnza nella teoria dell’oligopolio » 302

3.2. L’approccio comportamentale della Nuova Economia Indu-striale: la concorrenza nello schema teorico P→S

» 304

3.3. L’approccio comportamentale dell’economia aziendale: la con-correnza nella teoria dei gruppi cognitivi

» 305

4. — L’approccio delle risorse » 3064.1. L’approccio delle risorse: la concorrenza nella Resource-Ba-

sed View » 307

5. — Gli approcci dinamici » 3095.1. L’approccio dinamico dell’economia politica: la concorrenza

nella teoria degli economisti classici » 310

5.2. L’approccio dinamico dell’economia industriale: la concor-renza nella teoria dei mercati contendibili

» 311

5.3. L’approccio dinamico dell’economia politica: la concorrenza nella teoria di J. Schumpeter

» 312

Page 11: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO XI

5.4. L’approccio dinamico nell’economia aziendale: la concorren-za nella teoria del ciclo tecnologico e la concorrenza nella teo-ria delle capacità dinamiche

» 314

6. — Conclusioni » 321

CAPITOLO SECONDO LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO

di Francesco Scaglione

1. — Oggetto del diritto privato dell’economia: il mercato e la li-bertà di concorrenza

» 327

2. — Origini ed evoluzione del diritto della concorrenza in Italia » 339

3. — La clausola generale della correttezza professionale » 342

4. — La correttezza professionale come regola deontologica della categoria imprenditoriale

» 346

5. — La correttezza professionale come principio normativo coe-rente al sistema economico e l’art. 41 Cost.

» 351

6. — Il quadro dei principi normativi espressivi della correttezza professionale come attuazione del valore costituzionale del-l’utilità sociale

» 353

7. — Le fattispecie legalmente tipiche di concorrenza sleale: a) gli atti di confusione

» 359

8. — Segue: b) denigrazione e appropriazione di pregi » 362

9. — Le fattispecie di origine giurisprudenziale ex art. 2598 n. 3 c.c.: abuso di segreti e spionaggio industriale

» 364

10. — Segue: violazione di esclusiva » 371

11. — Segue: concorrenza parassitaria » 373

12. — Segue: pubblicità menzognera » 376

13. — Segue: storno di dipendenti » 379

14. — Segue: violazione di norme pubblicistiche » 383

Page 12: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XII

15. — Le sanzioni » 384

CAPITOLO TERZO IL DIRITTO ANTITRUST

di Francesco Scaglione

1. — Le origini dell’antitrust » 387

2. — Il Trattato istitutivo della Comunità Europea, la nuova Costi-tuzione per l’Europa e la l. 10 ottobre 1990, n. 287

» 389

3. — Le intese restrittive della concorrenza e la tutela del consumatore » 391

4. — La nozione di mercato rilevante » 396

5. — Tipologia delle intese anticoncorrenziali e fattispecie tipiche » 399

6. — Le esenzioni » 406

7. — L’abuso di posizione dominante: nozione » 410

8. — Alcune fattispecie di abuso: a) il boicottaggio » 415

9. — Segue: b) i prezzi predatori e le vendite sottocosto » 418

10. — Segue: c) i tying contracts e il bundling. Il caso Microsoft » 422

11. — Abuso di dipendenza economica, boicottaggio e tutela della libertà di concorrenza

» 423

12. — Le concentrazioni tra imprese nel Regolamento n. 139/2004 » 426

13. — Gli aiuti di Stato alle imprese » 429

Page 13: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO XIII

PARTE QUARTA

IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE

CAPITOLO PRIMO DOCUMENTO INFORMATICO

E CONTRATTI DIGITALI di Emanuele Florindi

Sezione I - Il documento informatico

1. — Nozione di documento informatico » 437

2. — Il documento elettronico e la firma digitale » 438

3. — La firma digitale » 440

4. — Documento informatico e regime probatorio » 4424.1. La firma elettronica “debole” » 4434.2. La firma elettronica “forte” » 443

Sezione II - I contratti digitali

5. — I contratti digitali in generale » 445

6. — I contratti telematici » 447

7. — La disciplina dei contratti digitali » 451

CAPITOLO SECONDO RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

NELLA NORMATIVA DELL’UNIONE EUROPEA di Valentina Colcelli

1. — Premessa » 457

2. — Riservatezza e trattamento dei dati: fondamento giuridico

Page 14: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XIV

della competenza comunitaria » 462

3. — Il Consiglio d’Europa e disciplina del trattamento dei dati personali

» 466

4. — Profili generali del diritto alla riservatezza nell’Unione europea » 471

5. — La direttiva n. 95/46/CE sul trattamento dei dati personali e loro libera circolazione

» 472

6. — Riservatezza, sicurezza interna ed internazionale » 478

7. — Il tema specifico della riservatezza in materia di telecomuni-cazioni

» 480

8. — La specifica normativa per le istituzioni comunitarie in mate-ria di rispetto della privacy

» 482

9. — Il trasferimento dei dati personali ai paesi terzi. In particolare: flussi di dati provenienti dalla Comunità e clausole contrat-tuali tipo

» 485

10. — Il diritto alla riservatezza nella Carta europea dei diritti fon-damentali

» 491

11. — Il codice della privacy. L’attuazione in Italia della normativa europea

» 493

PARTE QUINTA

GLI STRUMENTI NEGOZIALI PER LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO

CAPITOLO PRIMO LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE

di Roland Arlt

1. — Premessa » 503

Page 15: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO XV

2. — La cartolarizzazione dei crediti classica (True Sale Securitisation) » 503

3. — La cartolarizzazione sintetica (Synthetic Securitisation) » 507

4. — La Whole Business Securitisation » 508

5. — La cartolarizzazione di immobili (Real Estate Securitisation) » 510

6. — Le obbligazioni bancarie garantite (Pfandbriefe, Covered Bonds) » 512

CAPITOLO SECONDO I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

di Francesco Reali

1. — Premessa » 515

2. — Il mercato dei capitali » 516

3. — Titoli di credito e dematerializzazione » 523

4. — Prodotti e strumenti finanziari » 525

5. — Emissione e collocamento di strumenti finanziari: cenni » 527

6. — I contratti di borsa » 530

7. — Contratti derivati: profili generali » 541

8. — Cenni sui principali contratti derivati » 542

CAPITOLO TERZO I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ

di Stefania Stefanelli

1. — I contratti di pubblicità » 551

2. — I contratti di diffusione e di concessione pubblicitaria » 553

3. — Il contratto di agenzia pubblicitaria » 558

4. — I contratti di diffusione della pubblicità below the line » 566

Page 16: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XVI

4.1. Telepromozione » 5674.2. Televendita » 5694.3. Pubblicità redazionale e product placement » 5724.4. Tele e radiosponsorizzazione » 5724.5. Contratto di sponsorizzazione » 573

CAPITOLO QUARTO I CONTRATTI PER L’ATTUAZIONE

DEI PROGRAMMI COMUNITARI di Roberto Cippitani

Sezione I - I Programmi Comunitari

1. — I programmi comunitari » 5781.1. Contributo dei programmi alla costruzione comunitaria » 5781.2. Identificazione del concetto di “programma” » 580

2. — L’elaborazione della definizione di “programmi comunitari” » 581

3. — Il programma come “azione” » 581

4. — Base giuridica dei programmi comunitari » 582

5. — La Commissione come istituzione attuatrice dei programmi » 583

6. — I soggetti beneficiari » 5856.1. Requisiti per la partecipazione ai programmi comunitari » 5856.2. Soggettività giuridica » 585

7. — La spesa a carico del bilancio » 5867.1. Tipologia di spesa » 5867.2. Appalti (public procurement) » 5867.3. Sovvenzioni (grant) » 5877.4. Operazioni delle istituzioni finanziarie (mutui, garanzie, par-

tecipazioni) » 587

7.5. Altre tecniche di spesa » 589

Page 17: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO XVII

Sezione II - I contratti tra istituzione attuatrice e beneficiari. Caratteri e procedura di formazione

8. — Il contratto per l’attuazione del programma » 5898.1. I contratti delle istituzioni » 5898.2. Il contratto tipo » 5908.3. La struttura del contratto tipo » 591

9. — Caratteri generali del contratto di finanziamento » 5939.1. Formalità del contratto » 5939.2. Il contratto di diritto comunitario » 5949.3. Il contratto di diritto comunitario per l’attuazione di un pro-

gramma » 594

9.4. Poteri e obblighi della Commissione » 5969.5. Qualificazioni dei contratti per l’attuazione dei programmi co-

munitari » 597

10. — Procedura di formazione dei contratti » 600

10.1. Principi generali per la formazione dei contratti con le istituzioni » 60010.2. Requisiti per la partecipazione dei candidati » 60110.3. Procedura di formazione per i contratti di sovvenzione » 60310.4. Procedura di formazione nei contratti di appalto » 60510.5. Sottoscrizione del contratto » 60810.6. Modifiche del contratto » 609

Sezione III - Gli effetti dei contratti tra istituzione attuatrice e beneficiari

11. — Le obbligazioni dei contraenti diversi dall’istituzione finanziatrice » 61111.1. Le obbligazioni del coordinatore » 61111.2. L’obbligazione di eseguire l’attività oggetto del contratto » 61311.3. Le altre obbligazioni dei beneficiari » 614

12. — L’obbligazione di rendicontazione nelle sovvenzioni » 61612.1. La rendicontazione » 61612.2. Criteri generali di ammissibilità » 61612.3. Costi ammissibili e costi non ammissibili » 61812.4. Le entrate » 619

13. — Obbligazioni derivanti dai rapporti con i terzi » 620

Page 18: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XVIII

13.1. I subcontratti » 62013.2. Subcontratti per le sovvenzioni » 62013.3. Subcontratti negli appalti » 62113.4. Rapporti tra istituzione finanziatrice e subcontraente » 621

14. — Caratteri delle obbligazioni dei beneficiari » 62114.1. Le obbligazioni dei beneficiari come obbligazioni di fare » 62114.2. Intuitus personae » 62214.3. Diligenza nell’adempimento » 62314.4. Solidarietà » 62414.5. Indivisibilità della prestazione » 625

15. — Le obbligazioni dell’istituzione finanziatrice » 62615.1. Il prezzo e il contributo » 62615.2. Modalità di pagamento » 62615.3. Caratteri dell’obbligazione dell’istituzione finanziatrice » 62715.4. Le altre obbligazioni dell’istituzione finanziatrice » 628

16. — Termini temporali del contratto » 62816.1. Durata del contratto e del progetto » 62816.2. Il computo del tempo nel diritto comunitario » 630

17. — Proprietà industriale e intellettuale e uso dei segni distintivi della Comunità

» 631

17.1. Diritti sui risultati » 63117.2. L’utilizzo dei segni dell’Unione europea » 632

Sezione IV - La patologia del contratto tra istituzione attuatrice e beneficiari

18. — La fine del contratto prima della completa esecuzione » 63318.1. Introduzione » 63318.2. L’inadempimento » 63418.3. La forza maggiore » 63518.4. Procedure di risoluzione » 636

19. — Sanzioni e controlli » 63919.1. Sanzioni » 639

Page 19: Diritto privato del mercato

INDICE SISTEMATICO XIX

19.2. Controlli » 64119.3. Strumenti di tutela delle ragioni delle istituzioni attuatrici » 64219.4. Prescrizione e decadenza » 642

20. — Responsabilità reciproca dei beneficiari » 64320.1. La responsabilità del coordinatore nei confronti degli altri

contraenti » 643

20.2. La responsabilità di ciascun contraente nei confronti degli altri » 64420.3. Conseguenze nel rapporto tra i contraenti » 644

21. — Responsabilità della Commissione » 64421.1. Aspetti generali » 64421.2. Responsabilità non contrattuale della Commissione » 64521.3. La responsabilità contrattuale della Commissione » 64821.4. Strumenti per la tutela delle ragioni dei contraenti » 649

22. — Legge applicabile e giudice competente » 64922.1. La legge applicabile » 64922.2. Il giudice del contratto » 650

Sezione V - I contratti collegati

23. — Il Consortium Agreement » 651

24. — Caratteri del Consortium Agreement » 65224.1. Il Consortium Agreement come contratto collegato » 65224.2. Il Consortium Agreement come contratto plurisoggettivo con

comunione di scopo » 653

24.3. Il Consortium Agreement come contratto internazionale » 65324.4. Il Consortium Agreement come contratto atipico » 654

25. — Il contenuto del Consortium Agreement » 656

Page 20: Diritto privato del mercato
Page 21: Diritto privato del mercato

CONTRIBUTI DI: Roland Arlt Doktorand dell’Università di Amburgo

Roberto Cippitani Professore a contratto dell’Università di Perugia

Valentina Colcelli Dottorando di ricerca dell’Università di Perugia

Emanuele Florindi Avvocato

Lorenzo Mezzasoma Professore associato dell’Università di Perugia

Cristina Montesi Ricercatore dell’Università di Perugia

Antonio Palazzo Professore ordinario dell’Università di Perugia

Francesco Reali Avvocato

Andrea Sassi Professore straordinario dell’Università di Perugia

Francesco Scaglione Professore associato dell’Università di Perugia

Stefania Stefanelli Ricercatore dell’Università di Perugia

Page 22: Diritto privato del mercato
Page 23: Diritto privato del mercato

INTRODUZIONE

L’esperienza scientifica e didattica di questi ultimi anni ha dovuto fare i conti con esigenze nuove.

In particolare, dal punto di vista della ricerca, il diritto comunitario e le altre fonti sovranazionali hanno mutato i significati dei concetti civilistici.

Non si tratta soltanto di verificare le modifiche che il diritto sovranazionale ha apportato alla disciplina nazionale, per quel che riguarda i soggetti, i beni, i rapporti. Occorre anche riconoscere che gli istituti di diritto privato assumono funzioni coerenti con gli obiettivi dell’ordinamento comunitario.

La stessa creazione di uno spazio “economico” comune ha inciso ed incide tuttora in maniera rilevante sulla formazione e sull’applicazione delle regole giu-ridiche che lo governano.

Il mutamento dei significati impone anche un aggiornamento degli stru-menti metodologici.

Problemi, un tempo di esclusivo interesse di altre branche del pensiero, di-ventano oggi questioni del diritto positivo, che riguardano da vicino i rapporti tra particolari.

La concorrenza tra le imprese; i rapporti tra le imprese e i consumatori; la circolazione dei valori finanziari, non riguardano soltanto l’analisi economica ma anche lo studio del diritto privato, in stretta correlazione con i principi etici fondamentali, un tempo di esclusivo rilievo per la filosofia del diritto, o con a-spetti legati alla ricerca e alla tecnologia.

Lo studio del diritto privato, inoltre, rende necessario una sempre maggiore collaborazione con le altre discipline giuridiche: il diritto pubblico comunitario, il diritto internazionale, il diritto comparato, il diritto industriale e quello finan-ziario, soltanto per citarne alcuni. Soprattutto, come emerge dalla giurispruden-za comunitaria, lo studio degli istituti privatistici deve ripercorrere i principi e le regole del diritto comune, riconosciuto come il fondamento della logica del di-ritto europeo vigente.

Le innovazioni nei significati e quelle metodologiche non possono non a-vere una ricaduta sulla didattica e sullo studio del diritto privato, che appare in-

Page 24: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XXIV

vece spesso irrigidita negli schemi tradizionali, anche in virtù della circostanza che il diritto privato è il principale insegnamento di metodologia giuridica, non soltanto nelle Facoltà di Giurisprudenza, Economia e Scienze politiche, ma an-che, oramai, nell’ambito di percorsi formativi del settore umanistico e scientifi-co. All’interno delle Facoltà che tradizionalmente accolgono le materie privati-stiche, ed in particolare in quella di Giurisprudenza, il diritto privato è inoltre insegnato in corsi di laurea con obiettivi formativi tra di loro diversi (finalizzati alle professioni legali, alla formazione del giurista di impresa o della p.a., del consulente del lavoro, e così via). I corsi privatistici monografici sono sempre più diffusi (Diritto dei contratti, Diritto di famiglia, Diritto privato della pubbli-ca amministrazione, solo per fare qualche esempio).

Per ciascuno di questi corsi il diritto privato dovrebbe essere studiato te-nendo conto delle specifiche competenze che debbono essere acquisite.

** * * * **

Basterebbero le considerazioni sopra proposte, per consigliare un adegua-

mento anche dei manuali e degli strumenti per i pratici: lo studente e l’operatore si trovano attualmente di fronte a problematiche al contempo nuove e tradizio-nali che vanno guardate in prospettiva più ampia e moderna di quella proposta dai testi attualmente in commercio.

È per questo motivo che si è pensato di approntare una serie di pubblica-zioni che fornissero contenuti spesso non disponibili in altri libri di testo, ma attuali ed estremamente importanti nella formazione del giurista e comunque di chi studia e applica regole giuridiche nel proprio percorso formativo e nella propria esperienza professionale (economista, sociologo, ecc.); ciò qualunque sia lo sbocco professionale prescelto o la professione esercitata.

Il progetto editoriale viene inaugurato proprio dal Diritto privato del mercato. Il “mercato”, al quale si accenna nel titolo, è più propriamente quello spa-

zio economico e giuridico, che deriva dalla cultura comune europea, di cui parla il diritto comunitario. Il mercato appare così il contesto globale e coerente, dalla prospettiva del quale si osservano gli istituti del diritto civile, un tempo studiati come se fossero monadi e che oggi vanno connotati nell’ambito di un sistema più ampio.

Il “mercato” costituisce, pertanto, una sineddoche del nuovo ordine giuri-dico comunitario.

In questa prospettiva la parte I, dedicata a Il diritto privato del mercato interno,

Page 25: Diritto privato del mercato

INTRODUZIONE XXV

mostra al lettore il percorso da intraprendere e la funzione dei vari istituti nello spazio europeo, percorso che comincia attraverso l’elaborazione dei principi co-muni – fondati sul diritto romano – sin dall’epoca medioevale e giunge ai nostri giorni.

Questi principi comuni, che con un’espressione vichiana abbiamo definito “permanenze”1, permeano il diritto civile, così come il diritto costituzionale, e rappresentano il momento di collegamento tra i vari ordinamenti nazionali che si muovono in ambito comunitario e, soprattutto, tra il diritto e gli altri ambiti culturali, quali l’economia, l’etica, la storia, la filosofia.

Essi sono alla base del c.d. “Diritto privato europeo”, cioè di quelle ela-borazioni compiute da studiosi del diritto civile in rappresentanza dei vari Sta-ti facenti parte dello spazio comune. Di regola esso consta di principi e regole generali in materia contrattuale, che vengono spesso richiamati nella contrat-tualistica internazionale: v. i Principi di diritto europeo dei contratti, predisposti dalla “Commissione per il diritto europeo dei contratti” (c.d. Commissione Lando) e i Principi Unidroit, predisposti dall’“Institut International pour l’Unification du Droit Privè – UNIDROIT”. Soltanto l’Accademia dei Giusprivatisti Europei ha elaborato un progetto di “Codice europeo dei contratti” che adotta sostan-zialmente l’impostazione del codice civile italiano in materia, considerato una sintesi tra il Code civil francese del 1804 e il BGB tedesco del 19002.

L’azione incessante delle permanenze etico-economico-giuridiche ora ri-chiamata assume particolare significato proprio nel “mercato” ove si realizza il contemperamento di interessi apparentemente contrapposti e tutti tutelati dal-l’ordinamento, quali la libertà di iniziativa economica e di concorrenza, il potere di autodeterminazione del contenuto contrattuale e delle prestazioni, la possibi-lità per l’ordinamento di controllare l’operato dei privati a tutela di situazioni e interessi di soggetti considerati “deboli”. Le permanenze hanno così influito in maniera determinante nella formazione delle regole riguardanti i soggetti che operano nel mercato, i diritti a questi riconosciuti e gli strumenti giuridici per la loro attribuzione, circolazione e tutela.

Nelle successive parti (II-V) si compie un approfondimento di questi aspet-ti sotto vari profili che nella realtà attuale rivestono particolare importanza e che impongono al giurista un diverso approccio con gli istituti tradizionali del diritto civile. ———

1 V. spec. il nostro Interessi permanenti nel diritto privato ed etica antica e moderna, in A. PALAZZO, I. FER-RANTI, Etica del diritto privato, Padova, 2002, I, p. 2 ss., spec. pp. 3 ss., 117 ss.

2 ACCADEMIE DE PRIVATISTES EUROPEENS, Code européen des contracts. Avant-projet, Milano, 2004.

Page 26: Diritto privato del mercato

DIRITTO PRIVATO DEL MERCATO XXVI

Così i principi e le regole enunciati a livello comunitario segnano fortemen-te il diritto privato dei consumatori, quello della concorrenza, il diritto concer-nente gli strumenti di informazione, comunicazione e scambio di dati anche “sensibili”, nonché i principali strumenti giuridici di produzione delle regole di mercato.

Antonio Palazzo

Page 27: Diritto privato del mercato

PARTE I

IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO

Page 28: Diritto privato del mercato
Page 29: Diritto privato del mercato

CAPITOLO PRIMO

IL RUOLO DELLE PERMANENZE NELLA FORMAZIONE DEL MERCATO INTERNO

SOMMARIO: 1. Le permanenze nella cultura giuridica europea. — 2. Autonomia ed etero-nomia. — 3. Parità formale e parità sostanziale delle parti. — 4. Parità sostanziale e perma-nenze. — 5. Buona fede ed equità nel diritto civile e nel diritto commerciale. — 6. Aequitas singularis ed aequitas constituta. — 7. Buona fede ed equità nei principi di “Diritto privato eu-ropeo”. — 8. Buona fede ed equità nella giurisprudenza comunitaria. — 9. L’attività erme-neutica in ambito negoziale. — 10. Il ruolo delle permanenze nel sistema attuale.

1. — Le permanenze nella cultura giuridica europea. La cultura giuridica europea fonda le proprie radici nel diritto romano (clas-

sico o giustinianeo) e nel diritto comune europeo che, interrelato con il diritto ca-nonico, si sviluppa nel medioevo a seguito della rinascita culturale legata alla ri-persa dell’attività economica. In questo periodo, in cui in generale mancava una presenza dello Stato – come oggi viene inteso –, lo studio del diritto concerneva essenzialmente i rapporti fra i privati, ed è quindi logico che i fondamenti della cultura giuridica europea si siano sviluppati nell’ambito del diritto civile e soltan-to negli ultimi secoli siano stati recepiti dagli ordinamenti degli Stati e trasfusi, nella veste di diritti fondamentali, nelle Costituzioni del secolo scorso e nella Costituzione per l’Europa; essi sono fra l’altro richiamati nella parte finale del 2° comma dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile attraverso il rife-rimento ai “principi generali dell’ordinamento giuridico” (c.d. analogia iuris). Tali fondamenti sono stati qualificati dalla dottrina più sensibile ed avveduta come “permanenze”, che segnano, nella storia del diritto, la coincidenza fra i diritti civili permanenti e le diverse culture etiche1. Concetti quali la tutela dei diritti della per-sona, abbiano essi un contenuto patrimoniale o non patrimoniale, la buona fede (fides che diviene fides bona2), l’affidamento, il divieto dell’abuso del diritto, permea-———

1 A. PALAZZO, Interessi permanenti nel diritto privato ed etica antica e moderna, in A. PALAZZO, I. FER-RANTI, Etica del diritto privato, Padova, 2002, I, p. 2 ss., spec. pp. 3 ss., 117 ss.

2 La dottrina dalla cultura più profonda ha individuato il concetto di fides (dal latino foedus = patto, trattato e dal greco pe…qo = persuado, induco, convinco) nelle interrelazioni sorte nel diritto romano

Page 30: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 4

no tutta la storia del diritto civile e quindi tutta la storia del diritto, che – come det-to – è essenzialmente storia del diritto civile. Anche la Costituzione per l’Europa, sottoscritta a Roma nell’ottobre 2004, contiene disposizioni di particolare interes-se: l’art. II-112, rubricato Portata e interpretazione dei diritti e dei principi, al 4° comma riconosce la derivazione dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, dalle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”, tradizioni che discendono di-rettamente dalla storia del diritto e, in particolare, del diritto civile.

Lo studio dell’ermeneutica evidenzia la capacità del diritto di evolversi nei singoli ordinamenti e di adeguarsi al mutare delle condizioni sociali, offrendo però la possibilità all’interprete di rinvenire le costanti etiche insuperabili, da cui deriva la sopravvivenza dei principi generali3, con un’attenzione all’attuazione degli in-teressi fondamentali della persona, abbiano essi rilevanza patrimoniale o meno.

In questo quadro si inseriscono le regole dettate dai privati: l’ordinamento riconosce vincolatività agli effetti da queste prodotte se perseguono interessi meritevoli di tutela. La storia della norma civile è infatti essenzialmente la storia delle interrelazioni fra regole giuridiche poste dalla legge (c.dd. norme eteronome) e regole giuridiche poste dall’autonomia privata (c.dd. norme autonome) attraverso il contratto, che consente di costruire in termini giuridici e di trasfondere nell’or-dinamento l’operazione economica voluta dalle parti4.

Il controllo sull’attività dei privati da parte dell’ordinamento si attua princi-palmente attraverso lo strumento della giurisdizione, cioè a dire mediante l’attività interpretativa e la previsione di strumenti idonei ad incidere sulla singola situazio-ne giuridica, regolata dai privati. Nell’attuare questo delicatissimo compito, teso in ultima analisi all’individuazione e alla concreta realizzazione del diritto o dei diritti fondamentali che l’ordinamento si propone di tutelare, l’interprete, e soprattutto l’inteprete-giudice, deve operare, tramite un procedimento sostanzialmente e-

——— fra ius civile e potere religioso dei pontifices, quando questi avevano competenza nell’interpretatio: il concet-to si riferisce essenzialmente alle qualità morali della persona, deducibili dall’esperienza della sua storia personale in seno alla società in cui ha vissuto, e si configura di volta in volta o come capacità di pro-teggere, o come lealtà, o come veracità, o come buona fama, o come onore, o come onestà, o come dignità, o come autorità, ed anche come veridicità e capacità di fornire prova, o come credibilità, e via dicendo (testualmente A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 14, il quale riporta la preziosa analisi in questi termini di B. ALBANESE, Premesse allo studio del diritto privato romano, Palermo, 1978, p. 126). Sul passaggio da fides a fides bona e sulla rilevanza di tali concetti nella realtà attuale, si veda anche infra, § 9.

3 È quanto acutamente osservato da S.C. SAGNOTTI, Recensione a A. Palazzo, I. Ferranti, Etica del di-ritto privato, in Riv. int. filos. dir., 2005, p. 177.

4 Su tali aspetti v. le importanti analisi di: E. RUSSO, L’interpretazione delle leggi civili, Torino, 2000, spec. p. 184 ss.; E. RUSSO, G. DORIA, G. LENER, Istituzioni delle leggi civili, 3a ed., Padova, 2006, p. 87; S. MON-TICELLI, G. PORCELLI, I contratti dell’impresa, Torino, 2006, spec. p. 9 s.

Page 31: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 5

quitativo, una corretta valutazione delle circostanze attinenti alla fattispecie con-creta posta al suo vaglio, mai perdendo di vista i fondamenti della cultura giuri-dica europea, i quali, al contempo, costituiscono il presupposto della predetta attività e individuano i limiti al controllo. E ciò, in particolare, nell’approccio e nell’attuazione dei diritti fondamentali della persona, che non possiedono con-tenuto patrimoniale, dove l’elaborazione non ha ancora raggiunto un grado di maturità soddisfacente: il diritto civile è da sempre tutela di interessi patrimonia-li, i quali hanno assunto la veste di diritti soggettivi a carattere patrimoniale (proprietà e obbligazioni)5, con la conseguenza che le tradizionali categorie ela-borate dalla pandettistica dell’ottocento e dalla civilistica del secolo scorso mo-strano talvolta dei limiti di fronte a diritti patrimonialmente neutri, soprattutto nel procedere ad un inquadramento sistematico dei fenomeni, con particolare riferimento alle interrelazioni fra tali diritti e situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale, derivanti da contratto.

Ma anche nelle situazioni di carattere squisitamente patrimoniale il giurista attuale è chiamato a misurarsi con problematiche nuove, per la soluzione delle quali il ruolo del giudice ha assunto un ruolo vieppiù determinante a tutela di interessi ritenuti fondamentali dall’ordinamento: come sempre, nel diritto, è l’in-teresse fondamentale che ci si propone di tutelare a incidere in maniera deter-minante sulle singole fattispecie, dettando l’applicazione della regola giuridica e caratterizzando l’attività dell’interprete.

2. — Autonomia ed eteronomia. Si è osservato come il diritto civile sia essenzialmente orientato alla tutela

dei diritti a contenuto patrimoniale: e proprio in questo campo l’ermeneutica ha raggiunto risultati importanti, con particolare riferimento all’atto regolatore per eccellenza di tali diritti, che è il contratto. In tale ambito, una posizione premi-nente assume il tema della “giustizia contrattuale”: il giurista desidera – ha sem-pre desiderato – che il contratto, pensato e regolato dal diritto, sia giusto; egli re-spinge istintivamente l’idea di un contratto ad un tempo ingiusto ed efficace6.

——— 5 In tal senso le importanti osservazioni di A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, 4a ed., Milano,

2003, p. 132 ss. 6 Con queste parole Rodolfo Sacco (in R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. dir. civ. di-

retto da Sacco, 3a ed., Torino, 2004, p. 22) comincia la sua analisi sulla giustizia contrattuale nell’ambito dell’autonomia privata.

Page 32: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 6

La questione ha lungamente impegnato la dottrina, la quale, anche alla luce dei dettami contenuti nelle varie carte costituzionali del secolo scorso (prima fra tutte quella della Repubblica di Weimar: artt. 151 ss.), si è mossa sul difficile ter-reno del contemperamento di interessi (almeno apparentemente) contrapposti, quali la libertà del mercato e della concorrenza, il potere di autodeterminazione del contenuto contrattuale e delle prestazioni ivi dedotte, la possibilità per l’ordinamento (essenzialmente attraverso l’attività giurisdizionale) di poter ope-rare un controllo sul regolamento autonomo a tutela del soggetto considerato “debole”; interessi che sono diretta emanazione della contrapposizione fra “in-dividuo” e “Stato” e, quindi, fra principio di autonomia privata e tutela di talune posizioni soggettive7.

La richiamata contrapposizione fra autonomia privata e intervento etero-nomo operato dell’ordinamento, del resto, si pone ormai a livello comunitario, ———

7 Il tema del “contratto giusto” in contrapposizione a quello dell’“autonomia negoziale” ha pola-rizzato l’attenzione dei giuristi anche in epoche precedenti, con particolare riguardo all’applicabilità del rimedio rescissorio. Accanto a chi propendeva per l’idea di aequalitas fra le prestazioni nei contratti one-rosi, in quanto natura aequalitatem imperat (diversamente dall’inaequalitas nei benèfici), vi erano coloro che, al contrario, qualificavano come iustum pretium quello convenuto fra le parti, non esistendo un prezzo insitum rebus: cfr. la preziosa analisi di S. CAPRIOLI, Rescissione (storia), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 933 ss., ora Lineamenti della rescissione, in ID., Indagini sulla rescissione, Perugia, 2001, spec. p. 203 ss. (ed ivi ampi richiami alle fonti), il quale evidenzia come propendevano per l’idea di aequalitas, fra gli altri, Grozio (1583-1645), De Luca (1614-1683), Pufendorf (1632-1694) e Averani (1662-1738); in senso opposto, per tutti, Thomasius (1655-1728). Poco più tardi tale ultimo indirizzo trovò conferma nel common law, laddove si negò la possibilità per le Corti di equity di intervenire sull’assetto di interessi rea-lizzato dal contratto con riferimento alla valutazione del prezzo, in quanto solo il consenso delle parti doveva considerarsi parametro di valutazione del “giusto prezzo”, “senza alcun riguardo alla natura delle cose medesime o al loro valore intrinseco”: così, testualmente, G. ALPA, R. DELFINO (a cura di), Il contratto nel common law inglese, 2a ed., Padova, 1997, p. 16 s., ed ivi riferimenti in particolare all’opera di Powell.

Su tali questioni, del resto, si fonda pure la dicotomia fra autonomia contrattuale ed equità (intesa, sebbene con dei limiti ben precisi, anche quale uguaglianza fra le parti), sviluppata anteriormente all’emanazione del code Napoleon dai pensatori francesi, fra i quali riveste fondamentale importanza Po-thier, nel pensiero del quale in tema di rescindibilità del contratto, la dottrina attuale ha colto, ad esem-pio, la sintesi fra il principio di “equità nelle convenzioni” e quello di “sicurezza negli scambi”, con la conseguenza che la sola lesione enorme (c.d. lesione ultra dimidium) imponeva di rimediare all’iniquità: S. CAPRIOLI, Lineamenti della rescissione, cit., spec. p. 209 s.; G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giu-sto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 21 s.

Robert Joseph Pothier (1699-1772) viene considerato, unitamente a Jean Domat (1625-1696), l’ispiratore del codice francese del 1804, dal quale sono derivati la maggior parte dei codici civili euro-pei, ivi compresi quelli degli stati italiani preunitari e quelli successivi all’unità, ivi compreso quello at-tualmente in vigore: si veda T. RAVÀ, Introduzione al diritto della civiltà europea, Padova, 1982, spec. pp. 74 s., 82 ss.; per una rivisitazione del ruolo del pensiero di Domat sul code Napoleon, soprattutto in merito alle regole interpetative, A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 77 ss. Sull’influenza del code Napoleon sulla codificazione italiana, C. GHISALBERTI, La codificazione del diritto in Italia. 1865-1942, Bari, 1985, spec. p. 9 ss.

Page 33: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 7

in seguito all’introduzione del c.d. “mercato comune”. In tale ambito, la dottrina più recente ha evidenziato l’importanza (desumibile da varie norme del Trattato istitutivo della Comunità Europea, quali gli artt. 28-30, 81-82, 87) del principio dell’autonomia negoziale e, in particolare, dell’autonomia delle scelte economi-che delle imprese rispetto agli interventi nell’economia, tanto che le disposizioni negoziali sono inquadrate nella gerarchia delle fonti comunitarie8.

La rinnovata valenza del principio dell’autonomia negoziale e delle disposi-zioni di fonte contrattuale, tanto che nella realtà attuale sovente il contratto prende il posto della legge in molti settori della vita sociale e si ripropone l’antico primato del commercio caratterizzante il capitalismo pre-industriale (c.d. lex mercatoria)9, impone ad ogni ordinamento, sia esso nazionale o sovranaziona-le, di dotarsi di strumenti idonei alla tutela dei vari soggetti che vi operano, tute-la che si esplica in una duplice direzione: da un lato a salvaguardia del “libero mercato” attraverso disposizioni preservative della libertà di concorrenza (in particolare, artt. 81-97, 153, Tratt. CE; art. 2598 c.c.; l. 10 ottobre 1990, n. 287; art. 9, l. 18 giugno 1998, n. 192); dall’altro, a protezione di interessi di soggetti considerati “deboli” (ad esempio, art. 153 Tratt. CE; artt. 1469-bis ss. c.c., l. 30 luglio 1998, n. 281, ora trasfusi nel codice del consumo: d.lgs. 6 settembre 2005, ———

8 L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, p. 288 ss., spec. p. 308.

9 F. GALGANO, Lex mercatoria. Storia del diritto commerciale, 3a ed., Bologna, 1993, p. 215. La lex mer-catoria rimane comunque uno strumento di natura negoziale, dettato dall’autonomia dei privati e come tale è soggetto alla legge: il giudice statale è sempre tenuto all’osservanza del proprio diritto nazionale, con la conseguenza che in tali casi è da escludere che la lex mercatoria possa essere considerata un siste-ma normativo autonomo in grado di disciplinare il rapporto prescindendo dal diritto nazionale, poten-do, al più, essere considerata una “fonte” di grado inferiore, e come tale subordinata alla legge (cfr., da ultimo, G. SCIANCALEPORE, P. STANZIONE, Prassi contrattuali e tutela del consumatore, Milano, 2004, spec. pp. 9 ss., 85 ss. ed ivi riferimenti). Sovente le disposizioni contenute nei contratti standard predisposti dalle multinazionali sono volte a derogare, sostituire od eludere il dettato di norme legali nazionali, con la conseguenza che alcune di esse non sarebbero ritenute valide e/o efficaci, qualora oggetto di con-troversia dinanzi ad un giudice nazionale; difficilmente, però, si arriva ad un controllo giudiziale sul contenuto della clausola, in quanto la parte che l’ha predisposta preferisce definire la controversia in via stragiudiziale, mediante lo strumento della transazione, con il vantaggio che la clausola stessa rimane ferma e con il passare del tempo si consolida, divenendo prevalente nel linguaggio e nella pratica cor-renti dei contratti, sì che successivamente il giudice adito potrà considerarla come pratica degli affari da lungo tempo osservata: così M. BUSSANI, Il diritto europeo del contratto fra codificazione e stratificazione, in V. BERTORELLO (a cura di), Io comparo, tu compari egli compara: che cosa, come, perché?, in L’alambicco del compara-tista, coll. diretta da M. Lupoi, 6, Milano, 2003, p. 25.

Discorso in parte dissimile va svolto in relazione al procedimento arbitrale internazionale, ove il giudice “privato” deve applicare al merito della controversia la legge indicata dalle parti (ovvero quella alla quale il rapporto è più strettamente collegato) o l’equità, restando fermo che, in entrambi i casi, egli deve tenere presente le indicazioni del contratto e gli usi del commercio, cioè a dire la lex mercatoria, la quale, tuttavia, è espressamente richiamata in un atto normativo legale (art. 834 c.p.c.).

Page 34: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 8

n. 206)10. La stessa Carta costituzionale europea, sottoscritta a Roma nel 2004, eleva al rango di principi fondamentali le previsioni ora richiamate: così, in meri-to al profilo della tutela del libero mercato e della (sempre libera) concorrenza vengono in rilievo l’art. II-76, intitolato appunto Libertà d’impresa, che riproduce il contenuto dell’attuale art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Eu-ropea, nonché le disposizioni ad esso collegate, fra le quali una posizione pre-minente ai fini dell’attuale indagine assumono gli artt. III-161, che inibisce le in-tese volte a restringere o a falsare la concorrenza nel mercato interno all’Unione (nulle di pieno diritto: 2° comma), e III-162, concernente il divieto di sfruttamen-to abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostan-ziale di questo; in relazione al profilo della tutela di determinati soggetti considerati “deboli”, si veda l’art. II-98, rubricato Protezione dei consumatori (peraltro riprodutti-vo dell’attuale art. 38 della citata Carta dei diritti fondamentali), inscindibilmente legato all’art. III-120, che impone di prendere in considerazione le esigenze ine-renti alla protezione dei consumatori nelle politiche dell’Unione.

In tale ottica ed in tale ambito si pone la recente introduzione di disposi-zioni legali che consentono al giudice di incidere sul regolamento pattizio: attra-verso l’attività giurisdizionale l’ordinamento, sia esso nazionale o comunitario, pone dei limiti all’attività negoziale delle parti, sottoponendola ad un penetrante controllo al fine di raggiungere, o quantomeno di tentare di raggiungere, un ri-sultato di non facile realizzazione, quello della “giustizia contrattuale”.

3. — Parità formale e parità sostanziale delle parti. Le norme eteronome introdotte di recente che ampliano notevolmente i

poteri di intervento del giudice sul regolamento pattizio, alle quali a titolo esem-plificativo si è fatto cenno11, mostrano il rinnovato interesse dei sistemi giuridici per l’attività giurisdizionale, che, se correttamente impiegata, può svolgere una funzione di riequilibrio di talune situazioni, sebbene nei limiti previsti ed imposti dal sistema.

Si tratta di un importante mutamento di prospettiva: basti ricordare che si-no a qualche tempo fa, in applicazione del principio di autonomia negoziale, che si esplica anche in relazione alla (libera) scelta del tipo e alla (sempre libera) de-

——— 10 V. infra, parte II. 11 Retro, § 2.

Page 35: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 9

terminazione del contenuto del contratto (cfr. art. 1322 c.c.), si riteneva la vo-lontà delle parti assolutamente sovrana ed insindacabile da parte del giudice12, il quale poteva intervenire sull’atto di autonomia (e quindi essenzialmente sul con-tratto) soltanto in casi del tutto eccezionali previsti dalla legge, essendo lo squi-librio fra le prestazioni essenzialmente legato alla corretta attuazione del sinal-lagma contrattuale e rilevante esclusivamente se sopravvenuto ed imprevedibile, a meno che le parti non avessero a monte contemplato la possibilità di modifica del regolamento, in presenza di determinate rilevanti circostanze: è quanto la dottrina, anche di recente, ha qualificato come rinegoziazione del contratto13.

In base al principio di parità formale delle parti, si pensava che la norma etero-noma, imposta dall’ordinamento, dovesse interferire nei rapporti fra privati, e quindi incidere sulla norma autonoma da questi concepita, il meno possibile: la legge poneva le parti sullo stesso piano e attribuiva alle stesse eguali diritti ed eguali obblighi; stava poi a ciascuna di esse, secondo la propria abilità e la pro-

——— 12 F. VOLPE, I principi Unidroit e l’eccessivo squilibrio del contenuto contrattuale (Gross disparity), in Riv.

dir. priv., 1999, p. 44 ss., ed ivi richiami alla freedom of contract e ai contributi di P.S. Atiyah; sul punto v. anche G. ALPA, R. DELFINO (a cura di), Il contratto, cit., p. 15 ss.; più di recente, ancora F. VOLPE, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli, 2004, p. 41 ss.

Sull’intervento eteronomo in materia negoziale la letteratura è vastissima. Cfr., fra gli altri, G. MA-RINI, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 257 ss.; ID., Rescissione (dir. vigente), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, pp. 966 ss., 978 ss.; F. GALGANO, Sull’aequitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. e impr., 1993, p. 420 ss.; A. DI MAJO, Autonomia contrattuale e dintorni, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 5 ss.; G. ALPA, Libertà contrattuale e tutela costituzionale, ibidem, p. 35 ss.; G. OPPO, Lo “squili-brio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 534 ss.

13 Sulla c.d. rinegoziazione, si vedano, fra gli altri, R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (dir. priv.), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 104 ss.; P. GALLO, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contrat-to, Milano, 1992; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; ID., Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 63 ss.; G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 774 ss.; A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, ivi, 2003, p. 667 ss.; G. CLERICO, Minaccia di inadempienza contrattuale, rinegoziazione e forme di risarcimento, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 279 ss.

La rinegoziazione resta un fenomeno essenzialmente autonomo, legato cioè alla volontà delle par-ti, le quali sono libere di stipulare un nuovo contratto, con cui modificano ed integrano le condizioni di un precedente accordo, ovvero prevedono, a monte, nell’accordo stesso, oggetto della successiva mo-difica, le circostanze che impongono alle stesse, in maniera più o meno efficace e vincolante, una rine-goziazione delle condizioni pattuite, in presenza del mutamento sopravvenuto degli equilibri contrat-tuali: c.dd. hardship clauses, le quali obbligano le parti ad una revisione dei termini contrattuali, discipli-nando il relativo procedimento. La c.d. rinegoziazione legale (imposta dalla legge) è un fenomeno ab-bastanza marginale, concernente ipotesi specifiche e legato alla valutazione delle singole circostanze attinenti alla fattispecie concreta secondo un procedimento sostanzialmente equitativo: sull’argomento, si vedano, fra gli altri, R. TOMMASINI, Revisione del rapporto, cit., p. 114 ss.; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione, cit., pp. 103 ss., 125 ss.; G. SICCHIERO, La rinegoziazione, cit., p. 777 ss.; A. GENTILI, La replica della stipula, cit., p. 706 ss.

Page 36: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 10

pria forza economica, di ricavare il massimo vantaggio possibile dalla situazione fattuale, nel modo che le risultava più favorevole e congegnale: in sostanza, era-no le qualità e la condizione economica delle parti a determinare, in maniera del tutto lecita, l’equilibrio o lo squilibrio contrattuale.

Tali sono i principi fondanti delle regole dettate in materia contrattuale dal-le codificazioni unitarie italiane del 1865 e (anche se in misura differente) del 1942. Soprattutto nella prima si afferma, in linea con quanto stabilito dal code Napoleon del 1804, il principio generale del rispetto del libero consenso e della completa autonomia negoziale dei contraenti, esplicantesi nella libertà di con-trattazione e nella garanzia della più completa circolazione dei beni mediante gli atti di disposizione, principio ritenuto perfettamente rispondente alla realtà so-ciale italiana dell’epoca14.

Così, a proposito dello squilibrio contrattuale, il codice del 1865, sulla scia di quello francese, prevedeva l’azione di rescissione soltanto nella vendita im-mobiliare e nella divisione, sull’unico presupposto della c.d. lesione ultra dimi-dium (art. 1529): il “difetto” che rendeva rescindibile il contratto era propria-mente riferibile alla causa, cioè a dire la parziale mancanza di questa manifestan-tesi nella sproporzione fra il valore della cosa e il prezzo15. Tuttavia, alcuni fra gli interpreti più avveduti, applicando criteri sostanzialmente equitativi, apporta-rono taluni significativi contemperamenti, individuando la ratio della disposizio-ne nel porre un freno all’“ingordigia” del compratore, impedendogli di abusare dei bisogni (anche economici) del venditore, sì che la lesione veniva considerata come attinente ai principi generali del diritto, manifestandosi come applicazione del carattere commutativo dei contratti bilaterali16; in sostanza, quindi, a rilevare era, non tanto lo squilibrio “economico” delle prestazioni in loro considerate, ma soprattutto lo squilibrio “giuridico” in relazione alla commutatività del con-tratto (corrispettività giuridica fra le prestazioni ivi dedotte). Detta concezione, sebbene formatasi in epoca risalente, è ancora attuale: basti pensare alla recente disciplina dei contratti del consumatore (l. 6 febbraio 1996, n. 52, che ha intro-dotto il capo XIV-bis del codice civile: artt. 1469-bis ss., ora trasfuso nel codice del consumo, artt. 33 ss.), la quale, parlando di significativo squilibrio dei diritti e degli ———

14 Così C. GHISALBERTI, La codificazione, cit., p. 105. 15 In tal senso S. CAPRIOLI, Lineamenti della rescissione, cit., p. 219, ed ivi ampi riferimenti alla giuri-

sprudenza, che affermava, fra l’altro: “il vizio [...] è la lesione, cioè la mancanza parziale di causa”; esso va “riferito direttamente non ad un vizio del consenso, ma alla sproporzione obiettiva degli equivalen-ti”; e ancora “il diritto di rescissione [...] è fondato sul carattere commutativo, sostanziale nella materia dei contratti”: cfr. ntt. 365-366.

16 Cfr. ancora S. CAPRIOLI, Lineamenti della rescissione, cit., spec. pp. 216 s., 219 s.

Page 37: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 11

obblighi derivanti dal contratto (art. 33, 1° comma, codice del consumo), si riferisce ad uno squilibrio normativo, cioè giuridico, tra le posizioni contrattuali (costitui-te dall’insieme dei diritti e degli obblighi che fanno capo alle parti singolarmente considerate), avuto riguardo all’intero contenuto dell’atto di autonomia privata e al complessivo assetto di questo, restando di regola preclusa ogni valutazione sul suo contenuto economico (determinazione dell’oggetto del contratto e adeguatezza del corrispettivo dei beni o dei servizi: art. 34, 2° comma, codice del consumo)17.

Nell’epoca che segna il trionfo del positivismo giuridico e delle grandi codi-ficazioni, tese a limitare il potere di intervento dell’interprete e, in particolare dell’interprete-giudice, le considerazioni ora svolte mostrano come nella realtà pratica non sia mai stato abbandonato del tutto il ricorso all’equità, in stretta correlazione con lo strumento delle clausole generali, fra le quali la buona fede assume e ha sempre assunto una posizione preminente, almeno in ambito con-trattuale. Prova ne è che il codice del 1942, pur ribadendo i principi di autono-mia negoziale e di parità formale delle parti, si arricchisce dei risultati del dibatti-to dottrinale che permise di incedere dalla giurisprudenza c.d. dei concetti, ispi-rata al concettualismo esasperato dei pandettisti, a quella c.d. degli interessi (Inte-ressenjurisprudenz), in cui l’applicazione delle regole legali è tesa al raggiungimento della costruzione in termini giuridici di una realtà in cui le qualità personali delle parti e le caratteristiche di ogni singola fattispecie possano assumere un rilievo tale da dare accesso (anche) “al momento dell’individualità del diritto”18.

Così la questione dell’intervento del giudice sul regolamento contrattuale focalizza di nuovo l’attenzione e stimola la riflessione del giurista e, in particola-re, del giurista “europeo”.

L’applicazione più interessante di questo rinnovato interesse si rinviene nel Progetto di codice unico delle obbligazioni e dei contratti italo-francese, il quale attribuiva al giudice un considerevole aumento dei suoi poteri discrezionali in merito al contenuto negoziale: particolarmente significativo è il disposto dell’art. 22, secondo il quale

——— 17 Si vedano, fra gli altri, E. ROPPO, Clausole vessatorie (nuova normativa), in Enc. giur. Treccani, VI,

Roma, 1988-1996, spec. p. 4; F.D. BUSNELLI, Una possibile traccia per un’analisi sistematica della dsciplina delle clausole abusive, in Comm. al capo XIV bis del codice civile: Dei contratti del consumatore a cura di C.M. Bianca, F.D. Busnelli ed altri, Padova, 1999, p. 33 s..

18 In particolare, Rudolf von Jhering (1818-1892), Il momento della colpa nel diritto privato romano, trad. italiana di Fusillo, Napoli, 1990, ampiamente riportato in A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 87 ss., sottolinea l’importanza di dare accesso “al momento dell’individualità del diritto”. Sul punto, cfr. infra, §§ 9-10.

Page 38: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 12

“se le obbligazioni di uno dei contraenti sono del tutto sproporzionate ai vantaggi che egli trae dal contratto o alla prestazione dell’altro di maniera che, secondo le circostanze, debba presumersi che il suo consenso non sia stato sufficientemente libero, il giudice può, su domanda della parte lesa, annullare il contratto o ridurre le obbligazioni” (corsi-vo nostro);

previsione, quest’ultima, che suscitò le reazioni convinte della dottrina più auto-revole, la quale la giudicò molto negativamente (nonostante nella Relazione che accompagnava il progetto si leggesse che con la norma si era voluto colpire l’usura nelle sue forme più varie), preoccupata che un aumento dei poteri di-screzionali del giudice potesse portare ad una “perniciosissima incertezza del di-ritto” (19). Tuttavia, quella stessa dottrina, durante il dibattito che precedette l’introduzione del codice civile del 1942, censurando l’eccessivo individualismo su cui si fondava il codice del 1865, esaltava le novità contenute nel nuovo codice, fra le quali una posizione preminente assumeva l’art. 7 delle Disposizioni preliminari del Progetto, il quale, sulla scorta dell’art. 2 cpv. del codice civile svizzero (ZGB) del 190720, affermava: “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli è riconosciuto”; norma non riprodotta nel testo definitivo, ma della quale non si è inteso rinnegare il contenuto21.

Così il codice civile italiano attualmente in vigore si mostra più attento all’equilibrio contrattuale: l’azione di rescissione diviene generale, concernendo ———

19 In tal senso, per tutti, G. SCADUTO, Osservazioni sul «Progetto di codice unico delle obbligazioni per l’Italia e per la Francia», in Il Circolo giuridico, 1930, p. 11 ss., ora in G. SCADUTO, Diritto civile a cura di Pa-lazzo, Perugia, 2002, II, p. 1221 ss. (a cui si riferiscono le citazioni successive), il quale riportava in proposito anche il pensiero concorde del D’Amelio, del Rotondi e del Degni e sottolineava come la previsione inficiasse il principio secondo il quale il contratto ha forza di legge fra le parti (p. 1229 s.). Sui precedenti dell’art. 22, con particolare riferimento al codice eritreo (n. 589), S. CAPRIOLI, Lineamenti della rescissione, cit., p. 215 ss., spec. p. 225 ss.; F. ALUNNO ROSSETTI, La rescissione dei contratti nell’espe-rienza sammarinese di questo secolo, in Miscellanea dell’Istituto giuridico sammarinese, n. 5, luglio 1993, p. 76 ss., spec. p. 81 s.

20 Sull’importanza nel panorama di inizi novecento del ZGB e sulla valenza in esso assunta dalle clausole generali, anche rispetto al BGB (§ 226), F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno con partico-lare riguardo alla Germania, trad. italiana di Santarelli e Fusco, coord. da Grossi, Milano, 1980, II, p. 207 ss., spec. p. 211 ss.; A. PALAZZO, Profili dell’intepretazione civile tra XVII e XX secolo, in N. PICARDI, B. SASSANI, F. TREGGIARI (a cura di), Diritto e processo. Studi in memoria di Alessandro Giuliani, Napoli, 2001, II, p. 372. Ma di sicuro interesse si rivela tutto il disposto dell’art. 2 del ZGB: “Limiti dei rapporti giuridici e osservanza della buona fede. Ognuno è tenuto ad agire secondo la buona fede così nell’esercizio dei pro-pri diritti come nell’adempimento dei propri obblighi. / Il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge”.

21 Cfr. G. SCADUTO, Introduzione al I libro del nuovo codice civile, in Il Circolo giuridico, 1940, p. 9 ss., ora in G. SCADUTO, Diritto civile a cura di Palazzo, cit., II, p. 719 ss. Anche la nuova Costituzione europea all’art. II-114 contempla una disposizione molto rilevante, che enuncia il divieto di abuso del diritto, anche se concernente situazioni soggettive previste dalla Carta stessa.

Page 39: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 13

non più solo la vendita (e la divisione), ma tutti i contratti a prestazioni corri-spettive (art. 1448)22; si consente al giudice di intervenire in talune e ben circo-scritte situazioni di squilibrio (artt. 1384, 1526; 1467 ss.23).

Ma la tutela effettiva dei soggetti “deboli”, o comunque svantaggiati in una data situazione negoziale, si realizza più concretamente nel diritto interno con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e con la effettiva applicazione al diritto civile dei principi generali in essa contenuti, fra i quali, in relazione all’argomento che ci occupa, assumono particolare valenza quello di solidarietà di cui all’art. 2 e, soprattutto, quello di eguaglianza sostanziale contemplato nell’art. 3.

L’ordinamento non ritiene più le parti formalmente sullo stesso piano, la-sciando che siano sempre esse a determinare gli equilibri (o gli squilibri) contrat-tuali (c.d. principio di parità formale), ma comprende come sia lontana dalla realtà la circostanza che il regolamento contrattuale sia il risultato della contrattazione effettiva fra due o più soggetti in grado ciascuno di imporre il proprio punto di vista e le proprie esigenze: ciò avviene soltanto quando i contraenti possiedono la medesima “forza” economica e sono in grado di scegliere realmente se stipu-lare e a quali condizioni stipulare; non avviene, ed è l’ipotesi qualitativamente e quantitativamente più rilevante, allorché uno di essi non possiede tale possibili-tà, risolvendosi la contrattazione in una imposizione a quest’ultimo da parte dell’altro delle condizioni a lui più favorevoli (e sfavorevoli al primo): in tali si-tuazioni, ritenute particolarmente meritevoli di tutela, il sistema attuale intervie-ne apportando taluni correttivi alle regole dettate dall’autonomia privata (c.d. principio di parità sostanziale)24. Correttivi che si esplicano, colpendo la clausola “i-niqua”, in una duplice direzione: invalidità (e, se del caso, inserzione automatica di clausole), inefficacia da un lato, ed equità integrativa dall’altro.

Al contempo, il principio di parità sostanziale funziona come criterio ade-guatore e riequilibratore del rapporto, modificato a seguito dell’applicazione giudiziale di una norma eteronoma, con la conseguenza che la sostituzione delle clausole nulle con norme imperative, deve comunque assicurare l’equilibrio fra le prestazioni dedotte in contratto25.

——— 22 Cfr., per tutti, G. MARINI, Rescissione (dir. vigente), cit., p. 969; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il con-

tratto, 2a ed., Milano, 2000, p. 683. 23 Cfr. D. RUSSO, Sull’equità dei contratti, Napoli, 2001, p. 49 ss. 24 La rilevanza di tale intervento è stata sottolineata anche di recente al fine di ridurre gli squilibri

di un mercato in cui le regole di condotta sono dettate in misura sempre crescente dagli uffici legali e dai consulenti delle grandi multinazionali: F. CRISCUOLO, L’autodisciplina. Autonomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000, spec. p. 75 ss. Cfr. anche infra, § 4.

25 In tal senso, Cass., 20 ottobre 1997, n. 10248, in Foro it., 1998, I, c. 78.

Page 40: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 14

L’intervento della giurisprudenza assume particolare valenza, in quanto nel nostro sistema manca una norma che disciplina, almeno in termini generali, le conseguenze del mutamento delle circostanze sulla base delle quali le parti si sono risolute a contrarre, diversamente da quanto avviene, ad esempio, nel diritto tede-sco, ove, nell’ambito della riforma del diritto delle obbligazioni del 2002, il legisla-tore ha previsto, nel § 313 BGB (Störung der Geschäftsgrundlage)26, la possibilità di adeguamento o di scioglimento del contratto, in difetto di specifiche previsioni contrattuali27: la norma ha codificato concetti sviluppati dalla dottrina e dalla giurisprudenza essenzialmente nei decenni precedenti attraverso l’applicazione della clausola di buona fede (§ 242 BGB – Leistung nach Treu und Glauben)28.

——— 26 Il tenore della norma è il seguente: (1) Haben sich Umstände, die zur Grundlage des Vertrags

geworden sind, nach Vertragsschluss schwerwiegend verändert und hätten die Parteien den Vertrag nicht oder mit anderem Inhalt geschlossen, wenn sie diese Veränderung vorausgesehen hätten, so kann Anpassung des Vertrags verlangt werden, soweit einem Teil unter Berücksichtigung aller Umstände des Einzelfalls, insbesondere der vertraglichen oder gesetzlichen Risikoverteilung, das Festhalten am unveränderten Vertrag nicht zugemutet werden kann. (2) Einer Veränderung der Umstände steht es gleich, wenn wesentliche Vorstellungen, die zur Grundlage des Vertrags geworden sind, sich als falsch herausstellen. (3) Ist eine Anpassung des Vertrags nicht möglich oder einem Teil nicht zumutbar, so kann der benachteiligte Teil vom Vertrag zurücktreten. An die Stelle des Rücktrittsrechts tritt für Dauerschuldverhältnisse das Recht zur Kündigung. [questa la traduzione italiana del testo ad opera di M.G. Cubeddu, in S. PATTI (a cura di), Codice civile tedesco – Bürgerliches Gesetzbuch, Milano, 2005, p. 187 s.: Alterazione del fondamento negoziale. (1) Se le circostanze che sono diventate il fondamento del contrat-to sono notevolmente mutate dopo la conclusione del contratto, e le parti non avrebbero concluso il contratto o lo avrebbero concluso con un contenuto diverso se avessero previsto questi mutamenti, può pretendersi l’adeguamento del contratto, qualora tenuto conto di tutte le circostanze del caso con-creto, in particolare della distribuzione contrattuale e legale dei rischi, da una delle parti non possa pre-tendersi il mantenimento del contratto non modificato. (2) Al mutamento delle circostanze è parificata l’ipotesi in cui le rappresentazioni essenziali, che sono diventate fondamento del contratto, si rivelano false. (3) Se non è possibile un adeguamento del contratto o esso non sia pretendibile da una delle par-ti, la parte svantaggiata può recedere dal contratto. Nei rapporti obbligatori di durata, al posto del dirit-to di recesso subentra il diritto di disdetta.]. Secondo la dottrina tedesca il 1° e il 2° comma della dispo-sizione evidenziano una dicotomia fra difetto e mutamento del fondamento negoziale: il 1° comma si riferisce a circostanze oggettive e riveste funzione di adeguamento del contratto al mutamento delle stesse, determinando l’alterazione delle condizioni alla base del contratto stesso successivamente alla stipulazione, il venir meno della Geschäftsgrundlage; il 2° comma, viceversa, prende in considerazione essenzialmente l’elemento soggettivo, concernendo una rappresentazione di circostanze oggettive che successivamente si dimostra errata, intendendo così tutelare le parti dal loro errore: si veda G.H. ROTH, sub § 313, in K. REBMANN, F.J. SÄCKER (a cura di), Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, t. IIa, §§ 241-432. Schuldrecht Allgemeiner Teil, München, 2003, nt. a margine 4.

27 L’applicazione della normativa della Geschäftsgrundlage presuppone l’assenza di regolamentazione contrattuale degli aspetti controversi: se, ad esempio, le parti hanno previsto il diritto di recesso in presenza di determinate condizioni, esse non possono chiedere un adeguamento del contratto in base al § 313 BGB: così già BGH, in WM, 1969, p. 869. Sul punto v. G.H. ROTH, sub § 313, cit., nt. a margine 35.

28 Secondo il § 242 BGB: Der Schuldner ist verpflichtet, die Leistung so zu bewirken, wie Treu und Glauben mit Rücksicht auf die Verkehrssitte es erfordern. [questa la traduzione italiana del testo ad opera di M.G. Cubeddu, in S. PATTI (a cura di), Codice civile tedesco – Bürgerliches Gesetzbuch, cit., p. 123:

Page 41: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 15

4. — Parità sostanziale e permanenze. Si deve essenzialmente alle intuizioni della dottrina più autorevole la con-

creta applicazione alle singole fattispecie dei principi costituzionali (artt. 2 e 3 Cost.) e delle clausole generali29, fra le quali, in ambito contrattuale, la buona fe-de assume importanza fondamentale. Ed è proprio in relazione alla buona fede che ha principalmente trovato attuazione ed applicazione il principio di parità sostanziale.

Nell’ordinamento interno la buona fede assume attualmente una duplice valenza: a) da un lato si assiste ad una rinnovata e differente applicazione giuri-sprudenziale di disposizioni normative contenute nel codice civile sin dalla sua origine; b) dall’altro, il compilatore nazionale ha attribuito al giudice un penetrante potere di controllo sul regolamento predisposto dalle parti, attraverso la valuta-zione del comportamento di queste, in relazione alla clausola di buona fede.

Per quanto concerne il profilo sub a) è il percorso della giurisprudenza in merito alla riduzione della penale manifestamente iniqua (cfr. artt. 1384 e 1526 c.c.), problema tornato alla ribalta di recente allorché la Cassazione, con impor-tantissime pronunce30, ha riconosciuto, disattendendo il proprio consolidato o-——— Prestazione secondo buona fede. Il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione così come lo richiede la buona fede, tenuto conto degli usi del traffico giuridico.]. Dalla Relazione alla legge (in BT-Drucks. 14/6040, p. 175) emerge chiaramente la volontà del compilatore tedesco della riforma, attraverso l’introduzione del § 313, di voler accogliere nella nuova codificazione un istituto giuridico “da decenni applicato e di comprovata efficacia”. Sul punto, G.H. ROTH, sub § 313, cit., nt. a margine 3; I. SAEN-GER, G. HOLOCH, sub § 313, in H.P. WESTERMANN (a cura di), Erman – Bürgerliches Gesetzbuch, t. I, §§ 1-811, 11a ed., Köln, 2004, ntt. a margine 2, 5.

29 In relazione all’argomento che ci occupa, senza pretesa di esaustività, E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Prolegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, spec. p. 65 ss.; U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18 ss.; ID., L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Il comportamento del creditore, Milano, 1974, p. 2 ss.; F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, p. 389; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, 2a ed., Napoli, 1991, pp. 137 ss., 189 ss., il quale testualmente sottolinea (p. 142) come la Co-stituzione ha operato un capovolgimento qualitativo e quantitativo dell’assetto normativo. I c.dd. limiti all’autonomia posti a tutela dei contraenti più deboli non sono più esterni ed eccezionali. L’attenzione si sposta dal dogma dell’autonomia all’atto da valutare non soltanto isolatamente ma nell’ambito dell’attività svolta dal soggetto. E F. GALGANO, La categoria del contratto alle soglie del terzo millennio, in Contr. e impr., 2000, p. 926, rileva che nella realtà attuale il contratto si presenta spogliato di molti dei suoi connotati di volonta-rietà e visto essenzialmente nella sua funzione oggettiva, nello scambio contrattuale, sindacabile alla stregua di buona fede nella formazione, nella interpretazione e nell’esecuzione del contratto. Il quadro è sintetizza-to da A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei consumatori, Napoli, 2001, p. 57 ss.

30 Cass., 24 settembre 1999, n. 10511, in Contratti, 2000, p. 118, con nota di G. BONILINI, Sulla le-gittimazione attiva alla riduzione della penale. Conf. Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, in Corr. giur., 2005, p. 1534, con nota di A. DI MAJO, La riduzione della penale ex officio, e commentata da A. RICCIO, L’equità correttiva è, dunque, assurta a regola generale, in Contr. e impr., 2005, p. 927 ss.; Trib. Perugia,

Page 42: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 16

rientamento, il potere di giudice di ridurre ex art. 1384 c.c., anche d’ufficio, l’importo della penale convenzionalmente stabilito, del resto in linea con il rin-novato interesse del legislatore alla repressione del fenomeno usurario inteso in senso lato31: è interessante notare come il giudice di legittimità ponga a fonda-mento della soluzione adottata la constatazione dell’abbandono del dogma “ottocentesco” della onnipotenza della volontà e della conseguente intangibi-lità delle convenzioni, che si risolve nella realtà attuale in una valutazione dell’intervento del giudice (nella specie riduttivo della penale), non più in chiave di eccezionalità, ma quale semplice aspetto del “normale” controllo che l’ordinamento si riserva di compiere sugli atti di autonomia privata; controllo che, nella specie, si realizza attraverso il bilanciamento di valori costituzional-mente garantiti, aventi pari dignità, quali quello della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e quello di solidarietà (art. 2 Cost.), il quale ultimo, essendo strettamente interrelato con la clausola di buona fede e correttezza, arricchisce il contenuto di questa, importando un dovere di protezione dei diritti della controparte.

Ma ciò che più interessa è notare come secondo l’opinione dominante, nel-la valutazione dell’opportunità di procedere alla eventuale riduzione, l’interprete debba far ricorso ad un procedimento equitativo (dove la buona fede assume un ruolo fondamentale), tenendo ben presente l’interesse del creditore e l’incidenza della condotta del debitore sull’equilibrio e sulla “concreta situazione” negoziale, indipendentemente dalla rigida correlazione fra ammontare della clausola e dan-no sofferto32. In questo senso, il carattere eminentemente sanzionatorio della penale, individuato da parte della dottrina, risulta sfumato, in quanto comunque collegato alla valutazione di circostanze di fatto rilevanti ai fini della valutazione in ordine all’iniquità della penale stessa, divenendo meno rilevanti le differenze con la cultura giuridica legata al common law, ove la penalty, a carattere sanzionato-rio, generalmente non è ammessa, essendo contrario all’equity consentire il po-tenziale abuso derivante dalla possibilità che attraverso la clausola penale una

——— 3 aprile 2001, in Rass. giur. umbra, 2002, p. 451, con nota di A. SASSI, Penale manifestamente iniqua e poteri di intervento del giudice sul regolamento autonomo.

31 Dai lavori preparatori (Relazione al Re, n. 35) emerge che l’introduzione nel codice attuale della disposizione dell’art. 1384 era dettata dalla necessità di predisporre uno strumento di repressione dell’usura: sui rapporti fra clausola penale ed usura v. S. MAZZARESE, Clausola penale, in Cod. civ. Com-mentario diretto da Schlesinger, Milano, 1999, p. 393 ss.

32 Sul punto, A. DE MAURO, Il principio di adeguamento nei rapporti giuridici tra privati, Milano, 2000, p. 68 s., ed ivi riferimenti; in giurisprudenza cfr. Cass., 5 agosto 2002, n. 11710, in Contratti, 2003, p. 336, con nota di F.M. ANDREANI, Riduzione della penale e valutazione dell’interesse del creditore.

Page 43: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 17

parte possa trarre un vantaggio maggiore di quello derivante dall’esatto adem-pimento della prestazione33.

Comunque, va osservato che il requisito dell’adeguatezza della penale si pone attualmente anche in relazione al disposto dell’art. 33, 2° comma, lett. f del codice del consumo: nei contratti del consumatore la penale manifestamente ec-cessiva è sanzionata dall’art. 36 del codice del consumo34, senza necessità di ri-duzione dal parte del giudice.

In relazione al profilo sub b), concernente l’attribuzione al giudice di un sempre più penetrante controllo sul regolamento autonomo, è indubbio che il legislatore nazionale, attraverso taluni interventi di ampia portata, ha contribuito a tracciare un percorso differente ed innovativo: la buona fede assume un ruolo determinate nella valutazione dell’equilibrio o dello squilibrio contrattuale e funge da canone a cui il giudice deve attenersi nell’esercizio del suo potere di in-tervento sulla situazione sostanziale, tanto che la dottrina ha sottolineato come la parte danneggiata dallo squilibrio negoziale è resa “arbitra” delle sorti del con-tratto, mediante l’attribuzione alla stessa, in via esclusiva, del potere di agire per ottenere una pronuncia di invalidità e/o di inefficacia del regolamento pattizio o della parte di esso che determina lo squilibrio35.

Così, le rilevanti novità introdotte dalla l. 6 febbraio 1996, n. 52 nel codice civile (capo XIV-bis – contratti dei consumatori: artt. 1469-bis ss.), poi trasfuse negli artt. 33 ss. del codice del consumo36, inducono ad una riflessione sul ruolo della buona fede in merito all’attività di controllo del giudice sull’atto di auto-nomia privata a tutela della parte maggiormente svantaggiata, o considerata tale. In particolare, vengono in rilievo, taluni elementi ai quali il legislatore attribuisce valenza ai fini del giudizio di vessatorietà delle clausole pattiziamente predispo-ste e segnatamente, sia le interrelazioni fra il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto in danno del consumatore e la clausola di

——— 33 Sulla funzione della clausola penale v. A. MAGAZZÙ, Clausola penale, in Enc. dir., VII, Milano,

1960, p. 188 ss.; più di recente G. DE NOVA, Clausola penale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 379; A. ZOPPINI, La pena contrattuale, Milano, 1991, p. 99 ss. In merito agli ordinamenti di common law le differenze fra liquidated damages, che costituisce una liquidazione preventiva del danno, e penalty, a ca-rattere sanzionatorio, sono esplicitate, fra gli altri, da A. FRIGNANI, Il contratto internazionale, in Tratt. dir. com. e dir. pubb. econ. diretto da Galgano, XII, Padova, 1990, p. 240 ss.; J. COOKE, D. OUGHTON, The Common Law of Obligations, 2a ed., London-Dublin-Edinburgh, 1993, p. 229 s.; G. ALPA, R. DELFINO (a cura di), Il contratto, cit., p. 158 s.

34 Cfr. F. GALGANO, Regolamenti contrattuali e pene private, in Contr. e impr., 2001, p. 512 ss. 35 G. OPPO, Lo “squilibrio”, cit., p. 539; cfr. anche S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rile-

vabilità d’ufficio, in Riv. dir. priv., 2002, p. 685 ss. 36 Per un ampio quadro sugli strumenti posti a tutela del consumatore si veda infra, parte II.

Page 44: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 18

buona fede (art. 33, 1° comma del codice del consumo), sia le singole circostan-ze attinenti alla fattispecie concreta e al singolo contratto, cioè a dire la natura del bene o del servizio oggetto del negozio e la situazione in cui si è formato il regolamento contrattuale (art. 34 del codice del consumo); interrelazioni che dimostrano lo stretto legame esistente fra clausole generali e procedimento equi-tativo atto alla valutazione delle singole circostanze nel caso posto al vaglio dell’interprete.

Sempre in merito alla tutela del consumatore, va segnalata la l. 30 luglio 1998, n. 281, la quale, all’art. 1, riconosce come diritti fondamentali dei consu-matori e degli utenti correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali, principio trasfuso nell’art. 2, 2° comma, lett. e, codice del consumo; e l’art. 3 del medesimo provvedimento (attualmente art. 140, codice del consumo) attribui-sce al giudice, fra l’altro, il potere di adottare le misure idonee a correggere o elimi-nare gli effetti dannosi delle violazioni accertate37.

Anche il provvedimento legislativo, pressoché coevo, concernente la subfor-nitura nelle attività produttive (l. 18 giugno 1998, n. 192), sanziona l’abuso di dipen-denza economica di un impresa cliente o fornitrice, abuso che la dottrina – in rela-zione al tenore del dato normativo – ha identificato nell’eccessivo squilibrio, con-trario a buona fede, di diritti ed obblighi nei rapporti commerciali fra imprese38.

Infine, anche il recente d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 – Attuazione della Diret-tiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commer-ciali, prevede rilevanti poteri di controllo a favore del giudice: esso trova appli-cazione in merito ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale (art. 1), cioè a dire in quei contratti, comunque deno-minati, fra imprese, ovvero fra imprese e pubbliche amministrazioni, che com-portano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo (art. 2); alla scadenza del termine di pagamento si verifica la messa in mora automatica del debitore, il quale deve corrispondere un interesse pari a quello semestrale della Banca Centrale Euro-pea, maggiorato di 7 o 9 punti percentuali (a seconda dell’oggetto della conven-zione), salvo diversa pattuizione (artt. 4 e 5).

——— 37 Per un’ampia analisi della normativa di cui alla l. n. 281/01 e successive modificazioni ed inte-

grazioni (d.lgs. n. 224/01 e l. n. 39/02), anche nel quadro degli squilibri negoziali, cfr. S. BENUCCI, La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in G. VETTORI (a cura di), Squilibrio e usura nei contratti, Pa-dova, 2002, p. 113 ss.; A. PALMIGIANO, S. VECCHIO VERDERAME, La cd. “carta dei diritti dei consumatori” e la nuova tutela inibitoria, in C. IURILLI (a cura di), Manuale di diritto dei consumatori, Torino, 2005, p. 67 ss.

38 V. infra, parte III, cap. 3, § 11.

Page 45: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 19

Ma ciò che più interessa l’interprete, anche ai fini dell’attuale indagine, risul-ta essere il disposto dell’art. 7, concernente la nullità dell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo, se questo risulti gravemente iniquo in danno del creditore, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla na-tura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraen-ti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza (1° comma): il giudice, anche d’ufficio, può dichiarare la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al 1° comma, può applicare i termini legali ovvero ricondurre ad equità il contenuto dell’accordo medesimo (3° comma). Inoltre, in linea con il disposto dell’art. 3 dell’appena richiamata l. n. 281/98, si contempla la possibili-tà per le associazioni di categoria degli imprenditori di richiedere al giudice di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazio-ni accertate (art. 8, lett. b)39.

Dall’analisi delle recenti disposizioni analizzate a titolo esemplificativo e-merge tuttavia un dato importante: lo squilibrio contrattuale non rileva in sé, ma unitamente ad altri presupposti, quali la buona fede, l’equità o l’abuso della po-sizione o della situazione di vantaggio anche economico nei confronti della con-troparte.

Deriva la grande valenza nell’attuale sistema della clausola generale di buo-na fede, la cui corretta applicazione è comunque legata ad una esatta valutazione equitativa da parte dell’interprete di tutte le circostanze emergenti dal caso con-creto, del comportamento delle parti, delle loro qualità e della natura del nego-zio stipulato, circostanze richiamate, come si vedrà in seguito, anche dai principi di diritto europeo in tema di contratti, in relazione ai quali la buona fede riveste un ruolo di fondamentale importanza, mentre l’equità non risulta quasi mai menzionata, sebbene il giudice possa (o debba) intervenire sul regolamento pat-tizio al fine del riequilibrio di talune situazioni, attraverso un procedimento so-stanzialmente equitativo40.

——— 39 Il provvedimento è stato pubblicato in G.U. 23 ottobre 2002, n. 249, ma il testo lo si può legge-

re anche in Studium iuris, 2002, p. 1539 s. Per un puntuale commento alla direttiva CE, L. MENGONI, La direttiva 2000/35/CE in tema di mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, in Europa dir. priv., 2001, p. 73 ss.; sulla normativa interna, cfr. G. DE CRISTOFARO, Obbligazioni pecuniarie e contratti d’impresa: i nuovi strumenti di “lotta” contro i ritardi nel pagamento dei corrispettivi di beni e servizi, in Studium iuris, 2003, p. 1 ss., e, in particolare, l’ampia indagine di V. PANDOLFINI, La nullità degli accordi “gravemente iniqui” nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, p. 501 ss., il quale correttamente sottolinea la portata innovativa dell’art. 7 in merito ai poteri di eterointervento sul regolamento pattizio (spec. p. 511 ss.).

40 Cfr. infra, § 7.

Page 46: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 20

5. — Buona fede ed equità nel diritto civile e nel diritto commerciale. Le considerazioni svolte inducono ad un approfondimento delle interrela-

zioni esistenti fra buona fede ed equità con riguardo ai poteri di intervento del giudice sul regolamento contrattuale predisposto dalle parti, o meglio, come quasi sempre accade, dalla parte economicamente più forte, la quale è in grado di imporre le condizioni che ritiene per sé più vantaggiose.

In prospettiva storica, i rapporti fra buona fede, equità e controllo dell’or-dinamento sull’attività negoziale trovano forti ascendenze nel pensiero dei glos-satori e di taluni dottori medioevali appartenenti alla c.d. Scuola del commento, i quali tanto hanno influito sulla formazione di una cultura comune del giurista europeo. Questi, superando la distinzione fra contractus bonae fidei e contractus stricti iuris, desunta dalle fonti romane, sottolineavano l’incidenza della buona fede (in-tesa quale sinonimo di honestas christiana) sul regolamento pattizio; buona fede che (in quanto Deus est inspector cordis) doveva però essere strettamente interrelata con la ricerca della intenzione delle parti, alla luce della quale il regolamento stesso andava esaminato41.

Preliminarmente occorre tuttavia osservare come i rapporti fra le richiama-te figure e gli interventi del legislatore, anche comunitario, siano fortemente condizionati dal rispetto delle regole che governano il mercato e quindi anche dalla rilevanza degli interessi dei gruppi economicamente più forti che sono in ———

41 Sul punto, si veda E. BUSSI, La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (contratti, succes-sioni, diritto di famiglia), Padova, 1939, p. 7 s., ed ivi richiami bibliografici, con particolare riferimento all’opera di Baldo degli Ubaldi († 1400), che tanta influenza ebbe sul pensiero giuridico europeo, assie-me al di lui Maestro Bartolo da Sassoferrato († 1357) e a Cino da Pistoia († 1336), vero iniziatore della cultura civilistica e della c.d. Scuola del commento, che conobbe momenti di grande splendore nello Stu-dium Perusinum, in cui Cino insegnò dal 1326 al 1330 e dal 1332 al 1333 (anno in cui tornò definitiva-mente nella sua città natale); sul pensiero di Baldo in merito al concetto di bona fides interrelato a quello di aequitas canonica, si veda P. FEDELE, Ricordo di Baldo degli Ubaldi. Rileggendo il suo commento al Cap. I Lib. XV “De pactis” delle Decretali di Gregorio IX, in Studi in onore di Michele Giorgianni – La forma degli atti nel diritto privato, Napoli, 1988, spec. p. 159 ss.; più in generale, sull’importanza dei Commentatori nel pano-rama culturale cfr. F. WIEACKER, Storia del diritto privato, cit., I, spec. p. 115 ss., il quale sottolinea come “solamente chi conosce le vite tormentate di queste personalità [...] è in grado d’apprezzare la misura e lo spirito del contributo ch’essi dettero alla cultura europea” (p. 117); l’influenza di tali personalità (con particolare riguardo a quella di Bartolo) sul pensiero giuridico europeo sino al settecento è evidenziata, fra gli altri, anche da R.C. VAN CAENEGEM, Introduzione storica al diritto privato, ed. italiana con presenta-zione di M. Ascheri, Bologna, 1995, pp. 79, 109; da J.M. KELLY, Storia del pensiero giuridico occidentale, ed. italiana, Bologna, 1996, p. 160 s.; da A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia del diritto europeo, ed. italiana, Bologna, 1999, p. 110 s.; e, di recente, da A. PALAZZO, Diritto e processo nello Studio Perugino del XXI secolo, in Diritto e processo - Annuario giuridico dell’Università di Perugia a cura di Palazzo, 2001, p. 1 s.; per un ampio quadro concernente l’opera e l’influenza culturale dei Commentatori, si veda M. CARAVALE, Ordi-namenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna, 1994, spec. p. 510 ss. Sul punto cfr. anche infra, §§ 9-10.

Page 47: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 21

grado di “trainare” l’economia e spesso di influenzare in maniera rilevante la po-litica legislativa. È sicuramente corretta l’osservazione secondo la quale l’attività umana e quindi l’atto di autonomia privata è giuridicamente rilevante nei limiti, per le ragioni e agli effetti riconosciuti e tutelati dall’ordinamento giuridico, con la conseguenza che il mercato è disciplinato dalle leggi vigenti42, ma è pur vero che il compilatore, nelle scelte di politica legislativa dirette ad incidere normati-vamente sulla realtà mercantile, deve tenere ben presenti gli elementi prodotti da tale realtà e gli interessi economici in essa immanenti. Verso la tutela degli inte-ressi fondamentali, anche economici, va orientata anche l’attività ermeneutica, la quale, tuttavia, deve sempre essere indirizzata e calibrata alla corretta applica-zione al caso vagliato delle permanenze, fra le quali un ruolo fondamentale as-sume indubbiamente la buona fede43.

Del resto, la valenza del mercato e dei gruppi portatori di interessi econo-mici che in qualche modo lo influenzano, segna fortemente le interrelazioni in-tercorrenti fra rapporti civili e rapporti commerciali sin dallo sviluppo dei com-merci e dalla nascita del diritto comune44. E non a caso la dottrina più autorevo-le ha colto le importanti differenze esistenti fra diritto civile e commerciale, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, nonché il diverso atteggiarsi dei rapporti negoziali e dell’autonomia privata in tali ambiti45, testimoniato dalla va-

——— 42 Cfr. M. COSTANTINO, I beni in generale, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 6, Torino, 1982, p.

9; A. DE MAURO, Il principio di adeguamento nei rapporti giuridici tra pivati, Milano, 2000, spec. p. 137. 43 Sul punto v. E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir. civ.,

2005, I, spec. p. 537, ed ivi riferimenti ulteriori, la quale afferma: “la buona fede oggettiva, lungi dal restare soggiogata dal mercato, si confronta con la sua peculiarità, guidando l’interprete nella ricerca di un equilibrio fra libertà e giustizia. Dentro e fuori il mercato, grazie alla sua capacità di riflettere la complessità giuridica e di fatto del reale, segna il confine tra uso e abuso dell’autonomia contrattuale, nel rispetto non solo delle articolazioni interne al mercato, ma più in generale del pluralismo che domi-na l’attuale dimensione del contratto”.

44 In epoca medioevale e moderna le diversità fra diritto civile e commerciale nascono proprio sotto il profilo processuale, come, del resto, ha sottolineato nei primi anni del secolo scorso L. BOLAFFIO, Disposi-zioni generali – Degli atti di commercio – Dei commercianti – Dei libri di commercio, in Il codice di commercio commentato coordinato da Bolaffio e Vivante, I, Artt. 1-28, 5a ed., Torino, 1922, p. 3, che evidenzia come, nella sua origine, la designazione di materia di commercio avesse un intento giurisdizionale, servisse cioè ad indicare la qualità delle controversie sottoposte al tribunale consolare sorto nel seno delle corporazioni dei com-mercianti: “dunque, storicamente, per materia di commercio si intende ogni rapporto litigioso di compe-tenza del foro mercantile (causa mercantilis). E poiché originariamente la legislazione commerciale regola soltan-to l’attività dei commercianti, essendo la loro legge professionale; così la materia commerciale designa i negozi giuridici di cui quella attività è la manifestazione, e che sono sottoposti al giudizio commerciale (consolare) con le modalità proprie di quel giudizio. È materia di commercio ogni rapporto di diritto privato regolato dalla legge particolare dei commercianti e soggetto alla giurisdizione e alla procedura commerciale”.

45 Sulle interrelazioni e differenze fra diritto civile e commerciale la letteratura è particolarmente vasta e composita: in merito alle questioni attinenti all’attuale indagine, senza pretesa di completezza,

Page 48: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 22

lenza differente che in relazione ad essi assumono e hanno sempre assunto gli usi, la cui importanza è tornata a crescere negli ultimi tempi essenzialmente grazie alla redazione dei c.d. Principi Unidroit46, nonché all’instaurazione di una prassi com-merciale uniforme dovuta anche all’espandersi del potere economico e giuridico delle multinazionali, in grado di imporre condizioni contrattuali analoghe in tutti i mercati ove risultano presenti, e, quindi, nei sistemi giuridici che li governano.

Significativo è poi il diverso atteggiarsi in ambito commerciale della clausola della buona fede47: al pari del diritto civile essa assume un ruolo di fondamentale importanza, ma il suo contenuto si arricchisce in maniera peculiare, in relazione al comportamento che deve assumere l’imprenditore; la clausola trova la sua esplica-zione essenzialmente nell’ambito della correttezza professionale, non solo come regola deontologica della categoria imprenditoriale, ma anche e soprattutto come principio normativo coerente con il sistema economico e con l’attuazione del principio costituzionale di utilità sociale48. In particolare, sono state sottolineate le diversità fisionomiche fra rapporti civili e commerciali: i primi maggiormente ca-ratterizzati dall’elemento personale in cui l’autonomia si esplica con pienezza e varietà per il tramite di un’effettiva contrattazione tesa ad individuare contenuto e modalità dell’accordo; i secondi contraddistinti da anonimia e ripetitività, ove so-vente l’autonomia (di una parte) si riduce alla semplice alternativa fra stipulare o no, aderendo al modello unilateralmente predisposto (dall’altra parte)49.

——— risultano fondamentali i contributi di T. ASCARELLI, Sviluppo storico del diritto commerciale e significato dell’unifica-zione, in Riv. it. scienze giur., 1952-53, p. 36 ss.; di G. FERRI, in vari scritti, fra cui, Diritto commerciale, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 921 ss.; e di F. GALGANO, Lex mercatoria, cit., p. 21 ss.; ID., Diritto civile e commercia-le, I, 3a ed., Padova, 1999, p. 79 ss.; nella prospettiva di analisi dei rapporti fra autonomia negoziale, contrat-tazione per adesione e tutela del contraente “debole”, anche nell’ottica del principio di libertà della concor-renza, di A. LISERRE, Tutele costituzionali dell’autonomia contrattuale. Profili preliminari, Milano, 1971, spec. p. 51 ss.; ID., Le condizioni generali di contratto tra norma e mercato, in Scritti in onore di Sacco – La comparazione giuridica alle soglie del terzo millennio, Milano, 1994, p. 681 ss.; di U. RUFFOLO, Interessi collettivi o diffusi e tutela del consuma-tore, I, Milano, 1985, spec. p. 8 ss.; di S. MAIORCA, Tutela dell’aderente e regole di mercato nella disciplina generale dei “contratti del consumatore”, Torino, 1998; di V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in P. STANZIONE (a cura di), La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, Napoli, 1999, spec. p. 162 ss.; e di E. RUSSO, La direttiva comunitaria 13/1993 e la “costruzione” della tutela del consumatore, ivi, p. 315 ss., spec. pp. 320, 332. Cfr. anche le importanti analisi di C. ANGELICI, La contrattazione d’impresa, in AA.VV., L’impresa, Mila-no, 1995, p. 183 ss.; e di G. VETTORI (a cura di), Persona e mercato, Padova, 1996.

46 Cfr. infra, § 6. 47 V. E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, cit., p. 507 ss. 48 Sull’argomento risulta fondamentale l’ampia indagine di F. SCAGLIONE, Correttezza e concorrenza

sleale, in Diritto e processo - Annuario giuridico dell’Università di Perugia a cura di Palazzo, 2003, p. 257 ss.; ID., Correttezza e antitrust nel prisma del nuovo diritto dei contratti, in Rass. giur. umbra, 2005, p. 142 ss.

49 Cfr. N. IRTI, Teoria generale del diritto e problema del mercato, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 22 s.; e, in precedenza, ID., Autonomia privata e forma di Stato (Intorno al pensiero di Hans Kelsen), in Dir. cult., 1994, n. 1, p. 15 ss. Sulla possibilità di costruire una categoria di contratti di impresa, anche in prospettiva euro-

Page 49: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 23

Tali differenze sono state magistralmente evidenziate dalla dottrina più at-tenta a proposito delle interrelazioni fra atto gratuito e gratuità strumentale50, la quale, richiamando anche il pensiero della dottrina economica51, sottolinea la centralità nel sistema del consumo dello scambio di mercato, che è impersonale ed istantaneo: “merce contro merce e moneta contro moneta”; a questo si con-trappone lo scambio di non mercato che è personale e talvolta affettivo. E, da ultimo, anche in merito al diverso atteggiarsi dei requisiti essenziali del negozio, fra i quali una posizione preminente assume l’oggetto, caratterizzato, nei con-tratti civili dalla precisa determinazione (giusta anche la normativa a tutela dei consumatori), e, nei contratti commerciali, prevalentemente, dalla mera deter-minabilità52.

Esse erano state colte pure dalla dottrina più autorevole dei primi anni del secolo scorso, la quale risolveva i rapporti fra autonomia e giustizia contrattuali riproponendo, sebbene in chiave moderna, la richiamata distinzione medioevale fra contractus bonae fidei e contractus stricti iuris: premesso che nel diritto civile tutti i contratti sono di buona fede, veniva affermata l’esistenza nel diritto commercia-le di “una tal quale figura di contratti, in cui il giudice deve rigorosamente attenersi all’esplicito contenuto di essi”53.

Su posizioni in parte differenti altra dottrina: a proposito della forte svalu-tazione conseguente alla partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, in merito ai contratti stipulati dalla Fiat nel 1919 con obbligo di consegna nel 1920, sottolineando l’esistenza di una categoria di “operazioni industriali” (comunque distinte da quelle “commerciali”), sosteneva in tale ambito la possibilità per il debitore di essere liberato in seguito al deprezzamento monetario, richiamando-si ai principi della buona fede, della morale e dei “buoni costumi”, alle leggi

——— pea, si vedano le importanti considerazioni di A. FALZEA, Il diritto europeo dei contratti di impresa, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 6 ss.

50 A. PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 2000, p. 109 s. So-vente l’atto gratuito non può essere ricondotto alla figura della donazione, caratterizzata dallo “spirito di liberalità” (art. 769 c.c.). Può infatti accadere che il disponente riceva anch’egli un vantaggio di natu-ra economica immediatamente o successivamente all’attribuzione; si pensi ai rapporti fra imprese, in cui, per facilitare l’erogazione di un finanziamento, una presti senza corrispettivo garanzia a favore di un’altra (magari appartenente allo stesso gruppo); è evidente come la garanzia non viene prestata per “spirito di liberalità”, ma perché il garante ha un interesse economico a che il finanziamento venga e-rogato e riceve un vantaggio – sebbene indiretto – della stessa natura: in tali ipotesi si parla di “gratuità strumentale”.

51 G. SAPELLI, Perché esistono le imprese e come sono fatte, Milano, 1999, p. 110 ss. 52 V. G. GITTI, L’oggetto del contratto e le fonti di determinazione dell’oggetto nei contratti di impresa, in Riv.

dir. civ., 2005, I, spec. p. 29 ss. 53 B. BRUGI, Istituzioni di diritto civile, Milano, 1914, p. 481 (corsivo nostro).

Page 50: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 24

sull’usura e alla proporzionalità economica delle prestazioni in relazione al ri-medio rescissorio54. Le tesi ora richiamate, sebbene risultino troppo ardite per collocarsi in un sistema fondato sul principio di parità formale delle parti e sulla conseguente limitazione del potere del giudice di incidere sull’atto di autonomia privata55, hanno il pregio di richiamare la valenza del procedimento equitativo nella realtà pratica: lo stesso legislatore di allora, in un momento delicato quale è stato quello immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, aveva e-messo alcuni provvedimenti speciali tesi a calmierare i prezzi, fra i quali una po-sizione preminente assume la l. 30 settembre 1920, n. 1349, istitutiva di una Commissione avente competenza sui reclami dei consumatori, con facoltà di ordinare ai negozianti il rimborso al consumatore della parte di prezzo ritenuta indebita o eccessiva, ovvero di autorizzare lo “storno” per eccessività del prezzo di contratti conclusi fra produttori e negozianti o fra negozianti e rivenditori56. Si tratta quindi dei primi provvedimenti non solo a tutela del consumatore, ma addirittura a tutela del mercato e degli imprenditori, sebbene derivanti da una situazione contingente ed eccezionale.

Le tesi della dottrina ora richiamate trovano forti ascendenze, sia nel diritto romano ove nei commerci, ad esempio, era praticata la pecunia traiecticia (o nauti-ca), denominata in seguito foenus nauticum con allusione alla particolarità degli in-teressi più elevati57, derivata dalla prassi commerciale marittima delle città gre-che, ripresa anche nell’alto medioevo come dimostra il richiamo contenuto nelle Exceptiones Petri58, sia, soprattutto, nel pensiero di Bartolo, il quale, a proposito del diritto commerciale, figlio di esigenze sociali nuovissime ed in relazione al quale mal si attagliavano i principi dello ius commune, fondato sul diritto romano-giustinianeo, affermava: “è noto come nei tribunali dei mercanti si debba giudi-care secondo equità, omesse la solennità del diritto [romano-giustinianeo]”59.

——— 54 A. RAMELLA, La funzione dell’equità, cit., p. 65 ss.; per una critica puntuale a tale impostazione sul-

la base della legislazione allora vigente, cfr. G. SCADUTO, I debiti monetari e il deprezzamento monetario, Mi-lano, 1924, ora in ID., Diritto civile a cura di Palazzo, cit., I, p. 488 ss.; del resto, proprio riguardo alla misura e alla decorrenza degli interessi esisteva una diversa disciplina a seconda della natura “commer-ciale” o “civile” del credito: sul punto, si veda l’ampia analisi di G.C. MESSA, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, ed. 1932, spec. pp. 21 ss., 228 ss., 266 ss.

55 Sul punto, retro, § 3. 56 Si veda A. RAMELLA, La funzione dell’equità, cit., p. 77 ss., spec. p. 79. 57 Cfr. V. GIUFFRÈ, Mutuo (storia), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1997, p. 425. 58 Esse si fanno risalire al periodo della Scuola bolognese (sec. XI), ma sono in realtà formate dalla

fusione di due opere ben più antiche, note come il Libro di Ashburnham e il Libro di Tubinga: P.S. LEICHT, Il diritto privato preirneriano, Bologna, 1933, p. 256 ss.

59 Così A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia, cit., p. 141 s.

Page 51: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 25

Ma il diritto commerciale possedeva un’altra peculiarietà: proprio per il fat-to di essere applicato a rapporti intercorrenti fra mercanti appartenenti a realtà diverse, assumeva, in misura di gran lunga maggiore rispetto al diritto civile, una dimensione che oggi definiremmo internazionale, valicando i confini posti dai singoli ordinamenti e dalle dinamiche sociali, economiche e politiche in essi immanenti ed esplicandosi in un contesto più ampio, avulso dalle singole piazze locali, che si dispiegava nell’intero bacino del Mediterraneo e nelle realtà più si-gnificative del nord Europa60.

In generale, in tutto il continente europeo i mercanti avevano le loro giuri-sdizioni, il loro mercato e le loro corti marittime, ove si applicavano le norme consuetudinarie del diritto commerciale (fra le quali una importanza fondamen-tale veniva attribuita alla c.d. lex Rhodia61, costituente il corpo del diritto consue-tudinario del Mediterraneo). Le consuetudini commerciali non erano scritte, ma delle compilazioni ne furono fatte a Genova (a partire dal 1154), a Venezia (dal 1205 al 1229, con il governo del doge Ziani) e a Barcellona (c.d. Consolato del ma-re che si fa risalire al 1370)62. Le intuizioni di Bartolo trovarono fecondo svilup-po nel pensiero di coloro che, da Baldo a Pothier, operavano un contempera-mento fra i principi di equità contrattuale e sicurezza negli scambi e quindi sta-bilità del mercato, disattendendo così gli assunti autorevolmente espressi dal Galilei e ripresi dall’Averani, secondo i quali la “proporzione geometrica” anda-va considerata come regolatrice dei “negozi mercantili” ed unico mezzo per tendere all’eguaglianza fra i consociati63.

Anche nei paesi anglosassoni il diritto commerciale (law merchant ) era in o-rigine distinto dal common law; e ciò essenzialmente sul piano processuale: dalla fine del medioevo la competenza a conoscere in molte materie concernenti i rapporti commerciali era appannaggio della Court of Staple (per le materie prime)

——— 60 Cfr. V. CRESCENZI, Alle origini dell’economia capitalistica (ovvero: il capitalismo commerciale e il diritto co-

mune), in Dir. romano attuale, 2000, spec. p. 16 s., ed ivi riferimenti. 61 Dal nome della celebre isola del Dodecaneso e della comunità di mercanti ivi insediata. Essa è

meglio conosciuta come lex Rhodia de jactu, in quanto regolava anche la responsabilità per danni cagio-nati dallo scarico a mare delle merci al fine di evitare l’affondamento dello scafo.

62 Cfr. R.C. VAN CAENEGEM, Introduzione storica, cit., p. 109 ss., e, da ultimo, di L. MOCCIA, Compa-razione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005, spec. p. 922 s.

63 Si veda S. CAPRIOLI, Lineamenti della rescissione, cit., spec. pp. 205, 209; v. anche U. SANTARELLI, Mercanti e società di mercanti, 2a ed., Torino, 1992, p. 22 ss.; ID., Il divieto delle usure da canone morale a regola giuridica. Modalità ed esiti di un “trapianto”, in Riv. storia dir. it., 1993, spec. p. 52, secondo il quale “l’au-tonomia del ius mercatorum resta pur sempre fatto centrale e caratterizzante di tutta l’esperienza giuridica europea, dal Basso Medioevo (‘mercantile’, per l’appunto e comunale) fino ai moderni sistemi codifica-ti, anche in quegli ordinamenti nei quali il diritto commerciale ha perso la sua antica autonomia legisla-tiva, come è accaduto in Italia”.

Page 52: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 26

e della Court of Admiralty (per le cause marittime), la quale ultima era costituita da giudici che ben conoscevano le raccolte di consuetudini marittime internazionali e i prontuari che circolavano nella comunità dei mercanti (fra i quali una posi-zione preminente assume la richiamata lex Rhodia); ed è soltanto con la seconda metà del sec. XVIII che venne compiuto lo sforzo decisivo per uniformare il sistema64.

I rapporti commerciali sono dunque, da sempre, essenzialmente legati al mercato e alla forza economica delle parti, che incidono sulla determinazione del contenuto del contratto: e tale tendenza può essere nella realtà pratica mo-deratamente contrastata, ma non eliminata65. Come rilevato da autorevole dot-trina, la possibilità che una parte possa perdere e l’altra guadagnare è insita in un sistema fondato sulla libertà negoziale e sul principio di autonomia privata, il quale ultimo, tuttavia, non è assoluto, essendo limitato a tutela della concorren-za e a garanzia della correttezza e trasparenza delle operazioni commerciali66, nonché di taluni soggetti che in esso operano ritenuti meritevoli di protezione, né può essere considerato un dogma, ma una nozione che si ricava da regole e principi vigenti67.

In particolare, è necessario che le parti, e soprattutto la parte “imprendito-re”, conoscano dall’origine i “limiti” del proprio potere impositivo e l’incidenza delle fonti eteronome sul regolamento negoziale. Il lodevole intento di tutela-re il contraente “debole” non può infatti portare a stravolgere totalmente a posteriori le condizioni pattuite e i rapporti di forza fra i contraenti, a meno di non voler introdurre condizioni di “aleatorietà economica” strutturali, estra-nee al sistema.

Con quanto ora affermato, ovviamente, non si vuole mettere in discussione la legittimità e/o l’opportunità dell’intervento del legislatore a tutela ed in favore

——— 64 P. STEIN, I fondamenti del diritto europeo. Profili sostanziali e processuali dell’evoluzione dei sistemi giuridici,

ed. italiana a cura di De Vita, Panforti e Varano, Milano, 1987, p. 275 ss.; sul punto v. anche H.J. BER-MAN, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, ed. italiana, Bologna, 1998, p. 332 s.; F. GALGANO, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. e impr., 2000, p. 193; L. MOCCIA, Comparazione giuridica, cit., p. 924 ss., il quale sottolinea che si deve alla Corte dell’Ammiragliato l’assimi-lazione da parte dei giudici di common law del diritto commerciale, che comportava un adattamento delle regole tradizionali di common law (spec. p. 929 s.).

65 Sull’argomento, anche in relazione agli interventi a tutela del “consumatore”, si veda G. GUIZ-ZI, Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, p. 67 ss., spec. p. 124 ss.; e, più di recente, G. VETTORI, Squilibrio e usura, cit., spec. p. 2 s.

66 L. MENGONI, Autonomia privata e costituzione, in Banca borsa tit. cred., 1997, I, p. 1 ss., spec. p. 19 s. 67 P. PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001,

p. 344; e già ID., Il diritto civile, cit., spec. p. 138 ss.

Page 53: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 27

del soggetto-contraente considerato “debole”: come osservato anche di recente dalla dottrina più attenta68, la libertà della domanda, cui corrisponde la libertà dell’offerta, svolge un ruolo “costituzionale” nell’economia di mercato; ma essa, in tanto può svolgere la sua funzione, in quanto il consumatore sia libero. E va da sé che tale principio mal si concilia con la posizione di soggezione in cui ver-sa il contraente “debole”.

La tutela da parte dell’ordinamento di soggetti e categorie emergenti o co-munque in grado di esercitare una certa influenza sulle istituzioni, non è del re-sto cosa nuova: nel medioevo (in cui Bartolo qualificava come “divino” il go-verno popolare) i ceti mercantili e artigianali riuscirono in alcune realtà (a difesa dell’aequalitas) a far introdurre provvedimenti “antimagnatizi”, cioè a dire una serie di leggi che nei Comuni maggiori tesero a limitare legalmente il prepotere di fatto dei magnati69.

6. — Aequitas singularis ed aequitas constituta. Nella storia dell’interpretazione della norma giuridica, sia essa autonoma o

eteronoma, riveste particolare importanza l’attenzione per la “triade” equità – analogia – buona fede che accomuna la scienza giuridica dai dottori medioevali ai Grandi Tribunali del Seicento70, e che si riviene anche nelle opere di Giovan Battista De Luca (1614-1683) e di Gianbattista Vico (1668-1744). In particolare, per il De Luca l’interprete doveva far riferimento in ordine di importanza ai se-guenti criteri: a) receptus stylus iudicandi, cioè a dire la giurisprudenza costante del tribunale adito o dell’istanza ad esso superiore; b) giurisprudenza costante del

——— 68 ALB. DONATI, Giusnaturalismo e diritto europeo. Human Rigths e Grundrechte, Milano, 2002, p.

337. 69 M. ASCHERI, Istituzioni medievali. Una introduzione, Bologna, 1994, spec. pp. 274 s., 348. 70 Sul punto, si vedano G. GORLA, I tribunali supremi degli Stati italiani preunitari quali fattori della unifi-

cazione del diritto nello stato e della sua uniformazione fra stati, in ID., Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981, p. 574 ss.; A. GIULIANI, Il binomio retorica-procedura giudiziaria nella filosofia retorica di Gianbat-tista Vico, in Scritti in onore di Elio Fazzalari, I, Introduzione alla giurisprudenza, Diritto privato, Diritto pubblico, Milano, 1993, p. 69 ss.; A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., spec. p. 75 ss. Da ultimo, L. MOCCIA, Com-parazione giuridica, cit., p. 705 ss., il quale sottolinea il carattere sovranazionale dei Tribunali, e ne ribadi-sce l’importanza, sia con riferimento alla giurisprudenza della Rota romana, sicuramente di maggior rilievo, sia riguardo alle Rote provinciali, fra le quali la più antica risulta essere quella di Perugia, istituita nel 1530; i Grandi Tribunali avevano doppia competenza, in materia di rapporti civili e in materia di rapporti (spirituali) regolati dal diritto canonico, e si configurano come continuatori della tradizione del diritto comune.

Page 54: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 28

tribunale su casi analoghi; c) orientamento giurisprudenziale dei più alti tribunali collegiali di tutte le nazioni71.

Tale procedimento formatosi in un sistema “aperto”, in cui mancava un potere statuale forte e quindi una rigida gerarchia delle fonti, è ancora attuale, soprattutto con riferimento all’attività ermeneutica concernente le regole det-tate dai privati e all’applicazione pratica delle stesse. Non a caso la dottrina più attenta ha messo nel giusto rilievo il contenuto dell’interpretazione dell’atto di autonomia negoziale e agli sviluppi del rapporto giuridico che in esso trova la sua fonte, sottolineando come, sia la norma autonoma, sia quella posta dalla legge concorrano a formare la regola ordinante il singolo rapporto giuridico. Si è in particolare rilevato come l’autonomia privata costituisca il rapporto e lo di-sciplini, ma i precetti da essa dettati si riferiscano (anche nelle pattuizioni più ar-ticolate) essenzialmente ad alcune sopravvenienze tipiche, mostrando così, sia l’inidoneità della stessa a prevedere tutto lo svolgimento del rapporto, sia l’essenzialità della funzione integrativa e suppletiva della legge rispetto all’autonomia privata, al fine di fornire all’interprete, nella loro interezza, le norme (siano esse autonome o legali) regolatrici del rapporto stesso: in sostanza, è stato corretta-mente evidenziato, fra l’altro, come le norme autonome mostrino la loro inido-neità a prevedere tutto lo svolgimento del rapporto, non riuscendo mai a costi-tuirsi in sistema, al contrario della legge che è pensata come sistema organico dal quale sono desumibili regole omogenee e coerenti per ogni svolgimento del rapporto72. Le intuizioni cui ora s’è fatto cenno trovano puntuale conferma nel-la formulazione dell’attuale art. 1374 c.c., la quale evidenzia l’essenzialità nel si-stema delle norme di autonomia privata e dell’atto dal quale queste promanano, prevedendo il concorso di altre fonti, ma soltanto in aggiunta a quanto espresso e stabilito dalle parti.

In sostanza, quindi, l’interprete deve valutare l’equivalenza fra il risultato cui mirano le parti con il regolamento, cui non è stata data completezza, e quello che egli raggiunge con il procedimento interpretativo. Ed è proprio in tale com-parazione fra il risultato interpretativo secondo la legge nel caso concreto e

——— 71 Così M. ASCHERI, Tribunali, giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, 1989, p. 92. 72 Ci si riferisce in particolare alle importanti pagine di Ennio Russo: L’interpretazione delle leggi civili,

cit., p. 181; e in E. RUSSO, G. DORIA, G. LENER, Istituzioni delle leggi civili, cit., p. 462 ss. Ma si vedano già le preziose intuizioni di A. PALAZZO, Considerazioni sull’unità concettuale del negozio giuridico, in Il Circolo giuridico, 1960, p. 44 (estr.), ed ivi richiami anche alle esperienze straniere; e, prima ancora, lo studio di E. CIMBALI, La funzione sociale dei contratti e la causa giuridica della loro forza obbligatoria, in ID., Studi di dottri-na e giurisprudenza civile, Lanciano, 1889, spec. p. 46.

Page 55: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 29

quello cui mirano le parti che deve rinvenirsi il momento culminante e il fine ul-timo dell’attività dell’interprete73.

In tale analisi è tuttavia preliminare l’esatta conoscenza delle circostanze di fatto, della natura del negozio, delle qualità delle parti, che consentono una cor-retta valutazione del loro comportamento, cioè di quell’aequitas singularis che tan-ta influenza ha esercitato sul pensiero giuridico moderno, con riguardo anche agli ordinamenti di common law74.

L’aequitas singularis si sviluppa essenzialmente nel pensiero del giurista me-dioevale, per il quale l’aequitas è qualche cosa che preesiste alla lex, sta al di sotto delle forme giuridiche, le sorregge e conferisce loro forma indiscussa; è un complesso ordinato ed armonico di principi, regole e istituti che si può rinveni-re, prestando attenzione, nella stessa natura delle cose; è insomma la valutazione del fondamento causale naturale dell’attività giuridica, cui, successivamente, il giurista tenta di fornire forma idonea tramite il procedimento analogico per as-similazione, a seconda della categoria di atti già regolati75.

——— 73 A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 75 ss. 74 In punto rimangono fondamentali le pagine di F.W. MAITLAND, L’equità, ed. italiana, Milano,

1979, spec. p. 195 ss., e di P. STEIN, J. SHAND, I valori giuridici, cit., spec. p. 146 ss.; cfr., da ultimo, M. MELI, La tutela della parte debole del rapporto nel diritto contrattuale inglese, Padova, 2005, spec. p. 80, la quale, in tema di abusi contrattuali, rileva come “i rimedi non sono concessi sulla base di presupposti rigida-mente definiti o utilizzando un modello sociale di riferimento, ma guardando le specifiche caratteristi-che della situazione concreta e alle condizioni soggettive in cui la contrattazione si è svolta”; cioè a dire all’aequitas singularis. Si veda, inoltre, l’ampia analisi di F. REALI, Iustitia, bona fides ed aequitas: dal De-cretum Magistri Gratiani al sistema giuridico angloamericano, in Diritto e processo - Annuario giuridico dell’Uni-versità di Perugia a cura di A. Palazzo, 2001, spec. pp. 288 ss., 302 ss., 312 ss., il quale sottolinea, attraver-so il riferimento alle fonti, l’importanza negli ordinamenti di common law di concetti quali aequitas, iustitia, fidelitas, bona fides e fiducia, grazie anche all’importantissima opera dei canonisti anglo-normanni della seconda metà del sec. XII. Sulla rilevanza del diritto canonico e della canonistica nella forma-zione della cultura e della civiltà giuridica occidentale, cfr. anche A. GIULIANI, Giustizia ed ordine eco-nomico, cit., p. 81 ss.

Del resto, anche nel mondo romano un grande pensatore e filosofo come Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) nel trattato, in tre libri, Dell’ira, che lo impegnò quasi certamente per l’intera durata dell’esilio in Corsica impostogli dall’imperatore Claudio (41-49 d.C.), sottolinea l’importanza per il giu-dice di conoscere e valutare, prima di decidere, non solo i fatti, ma anche le singole situazioni e le quali-tà dei soggetti di causa, vagliandone l’indole e le intenzioni e adattando di conseguenza la propria deci-sione (Ira, spec. II, 29-30, in L.A. SENECA, I dialoghi, introduzione, traduzione, prefazioni e note di A. Marastoni, Milano, 1979, p. 209 ss.).

75 P. GROSSI, L’ordine giuridico medioevale, Bari, 1995, pp. 138 ss., 169; A. PALAZZO, Storicità e interpre-tazione della norma civile, in A. GIULIANI, A. PALAZZO, I. FERRANTI, L’interpretazione della norma civile, cit., spec. pp. 54, 61, 66; ID., Interessi permanenti, cit., spec. p. 41 ss., il quale puntualmente argomenta attra-verso l’analisi dei testi di Isidoro di Siviglia (vissuto fra il VI e il VII secolo), Giovanni di Salisbury († 1180) e Tommaso d’Aquino († 1274). Sull’importanza dell’aequitas nel pensiero giuridico medioevale cfr. anche F. CALASSO, Equità, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, p. 65 ss., ora in ID., Storicità del diritto, Mi-

Page 56: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 30

L’aequitas singularis, con i suoi fondamenti nella morale, sulla quale l’inter-prete deve fondare la decisione della controversia, si differenzia dall’aequitas con-stituta, che, scevra di riferimenti alla morale, segna nel XVI secolo il distacco del diritto dalla morale religiosa rivelata76. In tale ottica, si afferma la rilevanza delle prove legali al fine della soluzione della lite, con il trasferimento dalla prova te-stimoniale a quella documentale del fulcro su cui viene costituito e fondato l’impianto probatorio e conseguente decadenza del ruolo delle presunzioni77.

Ma nel diritto moderno e contemporaneo, pervaso dai principi del positivi-smo, a ben vedere, non è stata mai abbandonata l’idea dell’utilità ai fini del deci-dere di compiere un attento esame delle circostanze singole inerenti al fatto o all’atto specifico oggetto di lite.

A titolo esemplificativo, si può osservare come la stessa formulazione dell’art. 2721 c.c. (e delle disposizioni che seguono), concernenti la prova testi-moniale, pur evidenziando l’avversione del compilatore verso l’utilizzo di detta prova (anche in relazione a quella documentale) nelle controversie di maggior valore (attualmente in tutte le controversie, a seguito dell’avvenuta svalutazione e del mancato adeguamento dell’importo originariamente fissato in L. 5.000 [€ 2,58], che nel 1942 assumeva un certo significato), attribuisca al giudice la pos-sibilità di “consentire” la prova, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.

Ancora più interessante ai fini dell’attuale indagine è l’analisi degli strumenti messi dal legislatore a disposizione dell’interprete per l’accertamento in concreto della vessatorietà delle clausole nei contratti del consumatore di cui all’art. 34 codi-ce del consumo: tale disposizione, secondo la dottrina più avveduta78, nel prevede-re che la vessatorietà della clausola debba essere accertata in relazione alle circo-stanze esistenti al momento della conclusione del negozio, alla natura del bene o del servizio oggetto del negozio stesso e alle altre clausole in esso contenute o di un altro collegato o da cui dipende, sembra richiedere l’effettuazione di valutazioni sostanziali e concrete, attente alla particolarità del singolo caso e agli interessi sot-tesi alla intera operazione economica in cui la clausola e il contratto che la contie-ne risultino inseriti; cioè a dire a quell’aequitas singularis appena richiamata. ——— lano, 1966, p. 363 ss., spec. p. 372 s.; M. LUPOI, Alle radici del mondo giuridico europeo. Saggio storico-com-parativo, Roma, 1994, spec. pp. 255 ss., 446 ss., 549 ss.

76 A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 63. 77 A. GIULIANI, Il declino del concetto “classico” di prova, Appendice a ID., Il concetto di prova. Contributo alla

logica giuridica, Milano, 1961, p. 246 ss. 78 E. GABRIELLI, A. ORESTANO, Contratti del consumatore, cit., p. 58; cfr. anche M. NUZZO, Art.

1469 ter, comma 4°, in Comm. al capo XIV bis del codice civile, cit., p. 769.

Page 57: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 31

7. — Buona fede ed equità nei principi di “Diritto privato europeo”. Al fine di tendere verso un’uniformazione delle legislazioni dei vari paesi

europei, sempre più necessaria a seguito della c.d. globalizzazione del mercato, si tenta di attribuire ai contraenti che vi operano medesima tutela in luoghi aven-ti cultura giuridica anche notevolmente differente. In tale ottica, alcune “Commis-sioni”, composte essenzialmente da insigni studiosi del diritto, appositamente istituite, hanno individuato alcuni principi e regole fondamentali che vanno sot-to il nome di “Diritto privato europeo”79. Essi non vengono considerati fonti normative in senso tecnico, ma le parti, sovente li richiamano espressamente, come avviene, ad esempio, nella contrattualistica internazionale80; in ogni caso possono essere utilizzati come strumenti ermeneutici ed integrativi81, ai quali l’interprete può attingere essenzialmente per rafforzare la soluzione prescelta, e legalmente fondata, in merito alle fattispecie poste al suo vaglio.

In proposito, la dottrina più autorevole ha sottolineato come, in tale pro-spettiva, mutino concetti e categorie cari al civilista: si abbandona l’idea che l’ordine pubblico debba assicurare soltanto un controllo procedurale sulla for-mazione del consenso e cambia il rapporto contratto – legge – giudice, anche attraverso il richiamo alla clausola di correttezza e buona fede, la quale, unita-mente all’ampliamento dei poteri del giudice sul regolamento negoziale, svolge una funzione di riequilibrio dell’assetto dei privati82.

——— 79 Un ampio e puntuale quadro delle varie autorevoli iniziative, tese alla creazione di regole comu-

ni europee in materia contrattuale è offerto da L. MOCCIA, Comparazione giuridica, cit., p. 1014 ss. 80 Sulle caratteristiche del contratto c.d. internazionale, A. FRIGNANI, Il contratto internazionale, cit.,

spec. p. 122. 81 Essendo le fonti legali volte essenzialmente a limitare direttamente o indirettamente l’autonomia

delle parti a tutela dei soggetti deboli, per cui il problema si risolve essenzialmente nell’ottica dei prin-cipi in tema di gerarchia delle fonti (per una breve, ma significativa rassegna concernente la clausola di buona fede nelle fonti di diritto comunitario e nella giurisprudenza della Corte di giustizia cfr. G.A. BENACCHIO, La buona fede nel diritto comunitario, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e con-temporanea (Atti del convegno in onore di A. Burdese) a cura di Garofalo, Padova, 2003, I, p. 190 ss.), appare opportuno concentrare l’attenzione sugli sforzi compiuti per la costruzione di un diritto comune euro-peo dei contratti. V. N. SCANNICCHIO, I presupposti per la formazione del diritto privato europeo, in N. LIPA-RI (a cura di), Diritto privato europeo, Padova, 1997, I, spec. p. 22; G.A. BENACCHIO, Diritto privato della comunità europea. Fonti, modelli, regole, 2a ed., Padova, 2001, p. 159 ss.; H. KÖTZ, S. PATTI, Diritto europeo dei contratti, Milano, 2006, spec. p. 212 ss.

82 Così G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti, in ID. (a cura di), Squilibrio, cit., spec. p. 18 s. ed ivi riferimenti. Sulla “riconsiderazione” attualmente in corso di concetti e categorie essenziali, posti a fondamento del diritto privato dalla civilistica del secolo scorso, proprio alla luce del processo di inte-grazione e uniformazione in atto in Europa, fra gli altri, P. GROSSI, Modelli storici e progetti attuali nella formazione di un futuro diritto europeo, in Riv. dir. civ., 1996, I, p. 281; ID., Scienza giuridica e legislazione, ivi,

Page 58: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 32

Ma è una scelta obbligata. L’importanza di procedere all’individuazione di ca-tegorie e principi generali ed uniformi a livello europeo trova forti ascendenze nel pensiero di uno dei “padri” della cultura giuridica attuale, Vittorio Scialoja, il quale, nel 1932, affermava a tal proposito: “l’unità del diritto europeo è esistita. Il cosid-detto ‘diritto comune’ durato tutto il Medioevo ed oltre, e che traeva la sua so-stanza dal diritto romano, ha dato l’orditura e lo stampo alla vita civile dei popoli europei. [...] Or quel ch’è stato, potrà e forse dovrà essere di nuovo. La grande le-zione della storia civile non deve andare perduta. Perché quando una fondamenta-le unità del diritto potrà essere ripristinata e adeguata alle più progredite esigenze della vita moderna e del continente europeo, noi potremo già considerare con mu-tato spirito la funzione delle frontiere politiche”83. Se le affermazioni di Scialoja non hanno trovato riscontro negli accadimenti storici successivi, esse non sono tuttavia cadute nel vuoto. La dottrina più sensibile ha mostrato la rilevanza della storia, e quindi della storia del diritto, nell’elaborazione dei principi fondamentali della cultura giuridica europea, poi recepiti nelle carte costituzionali e nei trattati dell’Unione, principi – come detto – denominati permanenze84.

Fra i richiamati principi di diritto europeo, rivestono particolare valenza al-cune disposizioni.

Meritano anzitutto di essere ricordati i risultati della “Accademia dei giu-sprivatisti europei”. Nel Codice europeo dei contratti da questa predisposto85, le clau-sole generali sono ad esempio richiamate nell’art. 32 (Clausole implicite), secondo il quale “oltre alle clausole espresse rientrano nel contenuto del contratto le clausole che: … b) derivano dal dovere di buona fede; c) devono considerarsi tacitamente volute dalle parti in base a precedenti rapporti d’affari, alle trattative, alle circostanze, agli usi generali e locali …” (importante il riferimento alle circo-stanze del caso concreto: aequitas singularis); mentre l’art. 170 (Clausola penale), al 4° comma attribuisce al giudice un potere di riduzione secondo equità della pe-nale secondo uno schema analogo a quello previsto dall’art. 1384 c.c. ——— 1997, I, p. 178; C. CASTRONOVO, Il diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti – codice o restatement?, in Europa dir. priv., 1998, p. 1019; A. GAMBARO, “Jura et Leges” nel processo di edificazione di un diritto privato europeo, ibidem, p. 993; U. MATTEI, Il problema della codificazione civile europea e la cultura giuridica. Pregiudizi, strategie e sviluppi, in Contr. e impr. Europa, 1998, p. 208; F. VOLPE, I principi Unidroit, cit., pp. 40 s., 49 ss.

83 Cfr. S. CAPRIOLI, Introduzione al Seminario di studi “I problemi dei contratti” – S. Marino, 8-9 settembre 1998, in Miscellanea dell’Istituto giuridico sammarinese, n. 6, settembre 2000, p. 10 s.

84 Cfr. retro, § 1. 85 Il testo lo si può leggere in ACCADEMIE DE PRIVATISTES EUROPEENS, Code européen des contracts.

Avant-projet, Milano, 2004, o in www.accedamiagiuprivatistieuropei.it. Si tratta comunque di un Codice: esso non contiene soltanto mere norme di principio, ma vere e proprie regole giuridiche, sebbene proposte nella veste di Progetto.

Page 59: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 33

Ma è soprattutto l’art. 39 (Analisi del testo contrattuale e valutazione degli elementi extratestuali all’atto), ai commi 3 e 4, a fornire elementi di riflessione in merito all’argomento che ci occupa. Vengono in rilevo sia il comportamento delle parti e gli elementi extratestuali ad esse riferibili (quindi anche la loro storia personale e/o professionale: fides), sia, specialmente, la funzione della buona fede e della ragionevolezza che funzionano come canoni dell’interpretazione e come limiti insuperabili dall’attività ermeneutica (4° comma):

“In ogni caso l’interpretazione del contratto non deve condurre ad un risultato che sia contrario a buona fede o a ragionevolezza”. Per quanto concerne i Principi di diritto europeo dei contratti, predisposti dalla

“Commissione per il diritto europeo dei contratti” (c.d. Commissione Lando), l’art. 1:106 (Interpretazione e analogia), 1° comma, pone in posizione preminente l’esigenza di promuovere la buona fede e la correttezza, la certezza delle relazio-ni contrattuali e l’uniformità di applicazione, mentre l’art. 5:102 (Circostanze rile-vanti) afferma che nell’interpretare il contratto si deve aver riguardo, in particola-re, a: a) le circostanze nelle quali esso è stato concluso, comprese le trattative; b) il comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto; c) la natura e l’oggetto del contratto; d) l’interpretazione che le parti abbiano già data a clausole simili e le pratiche che hanno adottate nei loro rapporti; e) il si-gnificato dato normalmente alle clausole e alle espressioni nel settore di attività interessato, nonché l’interpretazione che clausole simili possano già avere rice-vuto; f) gli usi; g) la buona fede e la correttezza.

Il richiamo alla buona fede in senso oggettivo è significativo anche nell’art. 6:102 (Clausole implicite), che prevede l’esplicitazione di clausole implicite, sia con riferimento alla intenzione delle parti e alla natura e all’oggetto del contratto, sia attraverso il richiamo al principio di buona fede e correttezza; ma, soprattutto, nell’art. 4:109 (Ingiusto profitto o vantaggio iniquo), in cui si prevede (2° comma) che “il giudice può, ove il rimedio sia adeguato, modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza”86.

——— 86 Cfr. C. CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo, cit., pp. 110 ss., 289 ss., 324 ss., 337 ss.,

ed ivi anche il testo delle norme citate. La versione italiana di Principles of European Contract Law, Parts I and II, O. LANDO, H. BALE (eds.), The Hague-London-Boston, 2000, la si può leggere anche in Europa dir. priv., 2000, p. 253 ss. (a cura di C. Castronovo), e in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 498 ss. (a cura di G. Alpa); i testi degli atti e delle disposizioni che concernono il diritto civile a livello europeo, con riguar-do ai singoli contratti, sono stati di recente raccolti ed ordinati da V. SCALISI, Codice di diritto privato euro-

Page 60: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 34

Riguardo ai Principi Unidroit, predisposti dall’“Institut International pour l’Unification du Droit Privè – UNIDROIT”, sebbene si sia osservato come l’equità non sia mai espressamente menzionata, mentre la buona fede è elevata al rango di principio generale87, assumono particolare rilevanza l’art. 4.8, secon-do il quale se le parti non si sono accordate su una clausola importante per la determinazione dei loro diritti ed obblighi, si intende inserita una clausola ade-guata alle circostanze, l’art. 5.2, che ammette la possibilità di obbligazioni impli-cite che si desumono dalla natura e dallo scopo del contratto, dalle interrelazioni fra le parti, dalla buona fede e dalla ragionevolezza e, in relazione ai poteri del giudice di incidenza sul regolamento autonomo, l’art. 3.10, che consente al giu-dice stesso un “adattamento” del contenuto negoziale in modo da renderlo con-forme “ai criteri ordinari di correttezza nel commercio”88.

8. — Buona fede ed equità nella giurisprudenza comunitaria. Nel quadro tracciato di formazione di un nuovo diritto comune “europeo”

va attribuita pari importanza allo studio e all’analisi della giurisprudenza comu-nitaria, la quale, in linea con gli interessi dell’Unione e con la legislazione da questa dettata, si è mossa in una duplice direzione: da un lato, ha mostrato mol-ta attenzione alla tutela dei principi dell’autonomia privata e del libero mercato;

——— peo, Padova, 2002, p. 603 ss. L’importanza e la portata sostanzialmente innovativa delle disposizioni ora richiamate è compiutamente sottolineata da S. MAZZAMUTO, Introduzione, in ID. (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 8 ss. Sull’art. 4:109 si vedano, da ultimo, i rilievi di C. CASTRONOVO, Il contratto nei Principi di diritto europeo, ivi, p. 52 ss., di A. ORESTANO, I vincoli nella formazione del contratto: l’esperienza italiana e le prospettive di diritto europeo, ivi, p. 186 s., e di M. BARCELLONA, La buona fede, cit., p. 309 ss., anche in rela-zione all’art. 3.10 dei Principi Unidroit.

87 M. FRANZONI, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1999, p. 90; afferma la centralità del principio di buona fede in tale contesto anche G. ALPA, Prime note di raffronto tra i principi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, in Contr. e impr. Europa, 1996, p. 318. Sul punto, da ultimo, E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, cit., p. 531 ss.

88 Sulla rilevanza dei Principi Unidroit, V. RIZZO (a cura di), Diritto privato comunitario. Fonti, principi, obbligazioni e contratti, Napoli, 1997, ed ivi ampi riferimenti al dato normativo; W. RONDINÒ, Unidroit, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 642 ss.; la versione in lingua italiana dei Principi Unidroit, Principi dei Contratti Commerciali Internazionali (Roma, 1995), la si può leggere in Contr. e impr. Europa, 1996, p. 407 ss.; v. anche G. ALPA, Trattato di diritto civile, I, Storia, fonti, interpretazione, Milano, 2000, p. 1037 ss.; in chiave di squilibrio negoziale e forme di controllo degli abusi, con particolare riferimento all’art. 3.10 e alle sue possibili applicazioni, di recente, F. VOLPE, I principi Unidroit, cit., spec. pp. 49 ss., 66 ss. Per un quadro dell’applicazione dei Principi Unidroit da parte dei giudici nazionali e dei collegi arbitrali, M.J. BONELL, I Principi UNIDROIT e il diritto transnazionale, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 60 ss.

Page 61: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 35

dall’altro, quello che più conta ai fini dell’attuale indagine, ha attribuito partico-lare rilevanza alla buona fede e all’affidamento89.

In relazione al primo aspetto, si deve osservare come l’autonomia contrat-tuale sia vista come un meccanismo economico volto a realizzare sia gli interessi particolari dei singoli soggetti che si affacciano sul mercato ed in esso opera-no, sia quelli generali dell’intera collettività, la quale, dalla libertà di iniziativa economica e dall’assenza di limitazioni alla concorrenza, può trarre soltanto effetti benefici: in tale ottica si inseriscono le decisioni favorevoli all’utilizzo di contratti standard e formulari aventi contenuto analogo nei vari paesi dell’U-nione, spesso predisposti dagli uffici legali delle multinazionali, purché essi, almeno di regola, non siano accompagnati da accordi o pratiche, concordati dalle imprese, concernenti prezzi uniformi, sconti o altre condizioni di vendita o fornitura90.

In merito al secondo aspetto, numerose ed importanti sono le decisioni che si fondano sull’applicazione della clausola di buona fede, sebbene occorra sotto-lineare come nel diritto comunitario il giudice si trovi spesso ad utilizzare con-cetti giuridici non formalizzati da fonti del diritto intese in senso tecnico, con la conseguenza che la Corte di giustizia ed il Tribunale di primo grado elaborano tali concetti a partire dal diritto internazionale, dal diritto degli Stati membri, dal diritto romano e, in generale, dalla storia del diritto europeo (c.d. “permanen-ze”)91. E tale approccio è stato seguito anche nell’applicazione della clausola di buona fede (bonne foi ).

Secondo la giurisprudenza comunitaria la buona fede è operante anche nel-l’ordinamento dell’Unione europea92, ma in quanto non esplicitamente formula-ta, la sua applicazione deriva essenzialmente dal diritto internazionale consuetu-dinario e da quello pattizio, così come riconosciuto dalla Corte internazionale di ———

89 L’importanza della giurisprudenza comunitaria nella creazione di un diritto privato “europeo” è del resto sottolineata dalla stessa Commissione europea, la quale, in un recente plan d’action in materia di diritto dei contratti, individua lo strumento principe per procedere alla creazione di un diritto uniforme proprio nelle sentenze del Tribunale di primo grado e della Corte di giustizia, sulla base dell’applica-zione delle norme comunitarie. Per una puntuale critica a tale impostazione, all’evidenza riduttiva, A. GAMBARO, Gli spazi per il diritto privato europeo, in V. BERTORELLO (a cura di), Io comparo, tu compari, cit., p. 128 s.

90 Per un’ampia e puntuale analisi delle questioni ora richiamate, si veda L. DI NELLA, Mercato e au-tonomia, cit., spec. p. 293 ss.

91 Sulla metodologia del giudice comunitario nella elaborazione dei concetti privatistici, v. R. CIP-PITANI, Il giudice comunitario e l’elaborazione dei principi di diritto delle obbligazioni, in Rass. giur. umbra, 2004, p. 847 ss., spec. p. 863 ss.

92 Cfr. Trib. di primo grado, sent. 22 gennaio 1997, Opel Austria/Consiglio, T-115/94, in Racc., p. II-39.

Page 62: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 36

giustizia93 e codificato dall’articolo 18 della Convenzione di Vienna sui trattati internazionali94.

Fra le ipotesi di applicazione della clausola di buona fede operata dal giudi-ce comunitario se ne possono citare alcune, che, sebbene concernenti anche profili di natura pubblicistica, riguardando specialmente rapporti fra istituzioni e stati membri e fra istituzioni e operatori economici privati, enunciano regole ermeneutiche ed applicative che assumono valenza anche al di fuori del caso in cui sono state esaminate, divenendo in tal modo principi e clausole generali di diritto comunitario a cui il giudice deve uniformarsi nella sua attività, indipen-dentemente dalla natura e dalle circostanze della fattispecie concreta posta al suo vaglio. Nel diritto comunitario e, di converso, nella giurisprudenza comuni-taria non è dato di rinvenire quella netta distinzione fra diritto pubblico e priva-to, presente nel diritto interno: il giudice utilizza concetti e principi elaborati nel diritto pubblico anche quando conosce di questioni di diritto privato95.

Ciò posto, va osservato come nella giurisprudenza dell’Unione, proprio perché trovano applicazione concetti generali spesso mutuati dal diritto interna-zionale, la buona fede risulti strettamente interrelata con il principio di affida-mento (confiance légitime), anch’esso facente parte dell’ordinamento giuridico co-munitario96, sussistono anche in ambito privatistico nella giurisprudenza dei

——— 93 V. sent., 25 maggio 1926, Intérêts allemands en Haute-Silésie polanaise, CPJI, serie A, n. 7, pp.

30, 39. 94 La Convenzione sul diritto dei trattati, sottoscritta a Vienna il 23 maggio 1969, dopo che nel

preambolo, gli Stati-parti constatano che i principi del libero consenso e della buona fede (richiama-ta anche nell’art. 31 fra i criteri generali di interpretazione) e la regola pacta sunt servanda sono uni-versalmente riconosciuti, all’art. 18 così dispone: “Obbligo di non privare un trattato del suo oggetto o del suo scopo prima della sua entrata in vigore – Uno Stato deve astenersi da atti che priverebbero il trattato del suo oggetto e del suo scopo quando: / a) ha sottoscritto il trattato o ha scambiato gli strumenti costitutivi del Trattato con riserva di ratifica, di accettazione o di approvazione, finché esso non abbia manifestato la sua intenzione di non divenire parte al Trattato; oppure / b) ha manifestato il suo accordo ad essere vincolato dal Trattato, nel periodo che precede l’entrata in vigore del Tratta-to e a condizione che quest’ultima non sia indebitamente ritardata”. Il testo della convenzione lo si può leggere in G. BADIALI (a cura di), Testi e documenti per un corso di diritto internazionale, 4a ed., Rimi-ni, 2001, p. 29 ss.

95 Così, ad esempio, il principio pacta sunt servanda richiede che tutte le parti di un accordo lo deb-bano eseguire in buona fede (Corte di giustizia, sent. 16 giugno 1998, Racke/Hauptzollamt Mainz, C-162/96, in Racc., p. I-3655, cfr. punti 47-49, 51-52); e uno stato membro, se è nell’impossibilità assoluta di eseguire una decisione di una istituzione comunitaria deve, in tempo utile, far presente a detta istitu-zione il problema; ciò in applicazione dell’articolo 10 del Trattato di Roma, che impone una collabora-zione leale degli stati per risolvere i problemi (Corte di giustizia, sent. 4 luglio 1996, Grecia/Commis-sione, C-50/94, in Racc., p. I-3331, cfr. punto 39).

96 V. Corte di giustizia, sent. 3 maggio 1978, C-112/77, Töpfer/Commissione, in Racc., p. 1019, punto 19.

Page 63: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 37

giudici italiani97: possono richiamarsi al principio di tutela del legittimo affida-mento anche tutti gli operatori economici nei quali un’istituzione abbia inge-nerato speranze fondate98.

Il principio del legittimo affidamento non può tuttavia essere invocato da chi abbia violato la disciplina in vigore: infatti, bisogna tenere conto del princi-pio di sécurité juridique (con riferimento al tempo del procedimento che ha porta-to all’emanazione della decisione), posto a tutela degli interessi privati, ma anche del principio di legalità, che protegge gli interessi pubblici, soprattutto quando il mantenimento della situazione di irregolarità potrebbe derogare al principio di égalité de traitement99. Esso non trova altresì applicazione nel caso in cui l’istitu-zione abbia violato la normativa in vigore100, dovendosi pure nella specie ri-chiamare il principio di legalità, che si considera superiore al principio di legitti-mo affidamento.

Ma è nei rapporti con l’equità che la clausola di buona fede trova le più in-teressanti applicazioni.

Anche l’equità assurge a principio di diritto comunitario. In relazione all’ar-gomento che ci occupa viene considerata quale “clausola generale di equità” quella (come, ad esempio, l’art. 13, n. 1, Reg. n. 1430/79) che è destinata ad es-sere applicata allorché le circostanze che contraddistinguono il rapporto fra l’operatore economico e l’amministrazione sono tali da rendere iniquo l’imporre a questo operatore un pregiudizio che normalmente egli non avrebbe subito101: in tale ipotesi il principio di equità svolge la sua tipica funzione di adattamento della regola al caso concreto, e se del caso disapplicazione della stessa, in linea con quanto accadeva nel diritto comune europeo in epoca medievale.

Altre volte l’equità svolge un ruolo in parte differente, cioè a dire di con-sentire la corretta applicazione della clausola di buona fede attraverso l’esatta

——— 97 Secondo Trib. di primo grado, sent. 22 gennaio 1997, Opel Austria/Consiglio, cit. “il principio

di buona fede è il corollario, nel diritto internazionale pubblico, del principio di tutela del legittimo af-fidamento”.

98 V., segnatamente, Trib. di primo grado, sent. 13 luglio 1995, cause riunite T-466/93, T-469/93, T-473/93, T-474/93 e T-477/93, O’Dwyer e a./Consiglio, in Racc., p. II-2071, punto 48.

99 Trib. di primo grado, sent. 24 aprile 1996, Industrias Pesqueras Campos e.a./Commissione, cause riunite T-551/93, T-231/94, T-232/94, T-233/94 et T-234/94, in Racc., p. II-247.

100 Tribunale di primo grado, sentenza del 16 ottobre 1996, Efisol/Commissione, T-336/94, in Racc., p. II-1343.

101 Fra le altre, Corte di giustizia, sent. 18 gennaio 1996, C-446/93, SEIM, in Racc., p. I-73, punto 41; Id., 26 marzo 1987, C-58/86, Coopérative agricole d’approvisionnement des Avirons, ivi, p. 1525, punto 22; Id., sent. 15 dicembre 1983, C-283/82, Schoellershammer/Commissione, ivi, p. 4219, punto 7; Trib. di primo grado, sent. 4 luglio 2002, T-239/00, SCI UK/Commissione, ivi, p. II-2957, punti 44, 50.

Page 64: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 38

valutazione da parte dell’interprete delle singole circostanze attinenti al caso concreto posto al suo vaglio, mostrando la rilevanza anche nella realtà giuridica attuale dell’aequitas singularis, che tanta importanza assume oggi negli ordinamen-ti di Common law e ha assunto in tutta Europa in epoca medioevale e moderna, sino ai Grandi Tribunali del Seicento. Così, la giurisprudenza comunitaria ha considerato in buona fede l’operatore economico che non ha potuto ragione-volmente scoprire l’errore commesso dalla autorità competente e che abbia os-servato tutte le disposizioni previste dalla disciplina in vigore, precisando che, per determinare se l’errore poteva essere ragionevolmente scoperto, occorre far riferimento in concreto a tutte le circostanze, tenendo conto, soprattutto, della natura dell’errore, dell’esperienza professionale dell’operatore e della diligenza di cui questo ha fornito la prova102.

9. — L’attività ermeneutica in ambito negoziale. L’attività di valutazione delle singole circostanze attinenti alla fattispecie

concreta risulta essere essenziale in tutte le fasi in cui si esplica l’attività dell’in-terprete di fronte al dato negoziale, con particolare riferimento alla interpreta-zione e alla qualificazione del contratto.

In tema di interpretazione del contratto la prima regola ermeneutica (art. 1362 c.c.) impone infatti all’interprete di ricercare la comune intenzione delle parti, che costituisce l’oggetto dell’attività interpretativa e la categoria ordinante ed unificante delle regole interpretative103; e per svolgere correttamente tale atti-vità, è necessario avere esatta conoscenza di tutte le circostanze attinenti all’operazione negoziale e alle parti che la hanno posta in essere. Il riferimento alla comune intenzione e la centralità di questa nell’analisi dell’interprete è del resto confermata anche nei richiamati Principi di diritto europeo dei contratti104, le cui ———

102 Trib. di primo grado, sent. 5 giugno 1996, Günzler Aluminium/Commissione, T-75/95, in Racc., p. II-497, cfr. punti 42-43, 46, 48-50.

103 Cfr., fra gli altri, V. RIZZO, Interpretazione dei contratti, cit., spec. p. 62 ss.; N. IRTI, Testo e con-testo. Una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, spec. p. 141 ss.; ALB. DONATI, Il titolo di credi-to nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1999, p. 207; E. RUSSO, L’interpretazione delle leggi civili, cit., p. 434, il quale correttamente sottolinea come l’art. 1362, 1° comma, c.c. ponga la regola interpretativa generale e fondamentale propria dell’interpretazione dei discorsi documentali; consistente nel non “frazionare” il discorso (che, in quanto tale, ha la sua unità) in unità semantiche discrete, ma di co-gliere il significato complessivo del discorso, e attraverso questo “tornare” al significato dei singoli enunciati.

104 Cfr. retro, § 7.

Page 65: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 39

norme generali in tema di interpretazione del contratto, in conformità alla mag-gioranza degli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione, accordano preferen-za al criterio ermeneutico c.d. soggettivo (secondo il quale, in primo luogo, deve essere tenuta presente l’intenzione dei contraenti), rispetto a quello c.d. oggettivo (che concentra l’attenzione su elementi estrinseci e oggettivi, quali la ragionevo-lezza e la buona fede). Così l’art. 5:101 (Regole generali di interpretazione) recita:

[1] Il contratto deve essere interpretato secondo la comune intenzione delle parti anche quando questa non è conforme al significato letterale delle parole. [2] Quando si è ac-certato che una parte ha inteso dare al contratto un determinato significato, e al mo-mento della conclusione del contratto l’altra parte non poteva non essere a conoscenza della volontà della prima, il contratto deve essere interpretato nel senso in cui questa lo ha inteso. [3] Quando una intenzione secondo i commi 1 e 2 non può essere accertata, il contratto deve essere interpretato secondo il significato che persone ragionevoli e con le stesse caratteristiche delle parti darebbero ad esso nelle stesse circostanze105. L’attività d’interpretazione, fondata sugli elementi ora richiamati e su un

corretto procedimento ermeneutico, influenza anche quella che secondo l’o-pinione preferibile è la successiva operazione di qualificazione del negozio giu-ridico, che consiste nell’individuazione del riferimento normativo con cui dovrà essere misurata l’operazione posta in essere dai privati attraverso il confronto fra questa e tipo astratto previsto dal legislatore: la qualificazione data dalle parti ad un contratto assume rilevanza nel procedimento soltanto qualora essa corri-sponda al significato giuridico della pattuizione che le parti stesse abbiano inteso esprimere, mentre, nel caso in cui sussista divergenza fra il significato della di-zione adoperata ed il contenuto della statuizione, la qualificazione va desunta dalla materia dedotta nel patto contrattuale106.

Tale assunto, del resto, trova le sue ascendenze nel pensiero della giuri-sprudenza e dei dottori medioevali (poi ripreso dai Grandi Tribunali del Seicen-to), secondo i quali “contractus non debet a verbis denominari sed a principali contrahentium intentione et ab illius effectu” e “verba sunt interpretanda eo modo quo non sint contra sed secundum naturam contractus”107; mentre è sol-

——— 105 Sul punto, C. CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo, cit., p. 319 ss. 106 Cass., 13 dicembre 1994, n. 10646, in Giust. civ., 1995, I, p. 1250; Cass., 19 aprile 1990, n. 3212,

in Rep. Giust. civ., 1990, voce Obbligazioni e contratti, n. 120; Cass., 1 dicembre 1988, n. 6514, ivi, 1988, voce cit., n. 133; Cass., 6 febbraio 1986, n. 756, ivi, 1986, voce cit., n. 109; Trib. Napoli, 22 gennaio 1985, in Dir. giur., 1986, p. 1025.

107 Che altro non è se non l’“intentio finalis disponentis” individuata da Baldo quale fonte di sus-sunzione della volontà delle parti nel metodo di interpretazione del contratto: le fonti identificate erano

Page 66: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 40

tanto nell’ipotesi di dubbio insolubile che “contractus indicatur qualis a partibus denominatur”108.

Analoghe considerazioni si rinvengono anche nel pensiero di illustri giuristi vissuti in epoca successiva, fra i quali una posizione preminente assume il già ricordato Francesco Mantica (1534-1614), il quale evidenziava109, mediante l’a-nalisi dei testi precedenti, l’esistenza di descriptiones110 disposte secondo una scala ascendente: dall’interpretatio quale aperta verborum significatio, alla sermonum difficilium et perplexorum expositio, alla ambiguae vel absconditae voluntatis declaratio, fino alla con-grua quaedam adaptatio; risultavano così cinque species di interpretatio, che egli de-nominava declarativa, intellectiva, correctiva, extensiva, restrictiva111.

Quanto sino ad ora evidenziato dimostra che l’interprete può compiere in maniera corretta la propria attività ermeneutica e integrativa soltanto dopo aver proceduto ad un’analisi approfondita, essenzialmente tramite i mezzi di prova di cui dispone, delle circostanze di fatto in cui si è svolto il procedimento contrat-tuale, della natura del negozio, delle qualità degli autori e della loro storia perso-nale; le anzidette attività presuppongono la conoscenza di tali elementi, poiché, soltanto con la chiara cognizione di questi, può valutarsi il comportamento degli autori del regolamento negoziale, dalla preparazione alla conclusione, sino alla esecuzione dello stesso112.

Le affermazioni ora compiute costituiscono ancora una volta uno sviluppo del pensiero dei dottori medioevali, i quali attribuivano notevole importanza, nell’individuazione della effettiva volontà delle parti, al comportamento di que-ste nella fase di esecuzione del negozio113. Si iniziava così a tracciare quel per-——— quattro e, precisamente, a personis, a forma verborum, a facto seu materia e, appunto, ab intentione finali dispo-nentis.

108 Così E. BUSSI, La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (contratti, successioni, diritto di famiglia), cit., spec. pp. 8, 15 ss., ed ivi ampi riferimenti alle fonti.

109 In Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis conventionibus, I, Roma, 1609, lib. I, tit. XVI, Interpre-tatio quid sit et in quot species distinguatur.

110 Che potremmo tentare di tradurre con l’espressione attuale di categorie giuridiche. 111 Si veda la preziosa analisi di S. CAPRIOLI, Lineamenti dell’interpretazione, cit., spec. p. 27 (il testo

integrale del passo è riportato a p. 47 ss.). 112 In tal senso A. PALAZZO, Storicità e interpretazione, cit., p. 116; ID., Interessi permanenti, cit.,

p. 115. 113 Baldo affermava a facto seu materia; tale principio incontrò notevole favore e larga applicazione

allorché si voleva negare ingresso all’azione di simulazione proposta dalla parte che avesse dato corso al contratto sul presupposto che tale circostanza fosse dimostrazione bastevole delle serietà del volere e della “sincerità” del regolamento: cfr. ancora E. BUSSI, La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (contratti, successioni, diritto di famiglia), cit., p. 17 s. ed ivi richiami ai testi di Baldo, Menochio, Sur-do, Cravetta e Cefalo; ID., La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (diritti reali e diritti di obbligazioni), Padova, 1937, p. 288, nt. 2.

Page 67: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 41

corso della scienza giuridica caratterizzato dalla “triade” interpretazione – dispo-sizione – storicità, in cui quest’ultima è venuta sempre più assumendo un ruolo di preminenza tale da riportare il diritto sul piano dell’esperienza umana114.

In epoca contemporanea è essenzialmente nel pensiero di coloro che nella seconda metà dell’ottocento permisero di incedere dalla giurisprudenza c.d. dei concetti, ispirata al concettualismo esasperato dei pandettisti, a quella c.d. degli interessi (Interessenjurisprudenz), che le richiamate osservazioni trovano concreto riscontro, al fine di giungere ad una costruzione in termini giuridici di una realtà in cui le qualità personali delle parti e le caratteristiche di ogni singola fattispecie possano il giusto rilievo in relazione al momento dell’individualità del diritto115.

Questa affermazione, sostiene la dottrina attuale più autorevole, significa attenzione al valore della persona, alla sua autoresponsabilità, e insieme ricono-scimento della centralità dell’aequitas singularis per l’interpretazione dei fatti giuri-dici: in prospettiva più ampia, essa osserva come il distacco della filosofia del diritto dalla morale, storicamente simboleggiato dal passaggio dall’aequitas singu-laris all’aequitas constituta, non ha eliminato il problema di fondo dell’individua-zione dei possibili valori di riferimento del processo interpretativo, che, più in generale, ripropone il tema centrale del rapporto fra ermeneutica e metafisica, sottolineando l’importanza dell’aspetto normativo della filosofia morale nel di-battito contemporaneo sulle c.dd. etiche speciali (etica pubblica, bioetica, etica del-l’ambiente, etica della comunicazione, ecc.)116. Del resto, il fondamento di tali affermazioni si rinviene anche nel pensiero di chi, nel lavoro di astrazione ed analisi dell’intelletto, individua la vera funzione della scienza giuridica, fra l’altro, nel mantenere vigile nell’esperienza il senso di se stessa, mediante la continua determinazione e dimostrazione della sua profonda e molteplice autonomia co-me forma dell’esperienza pratica, nonché la determinazione puntuale delle situa-zioni nelle quali l’esperienza si concreta e si caratterizza e del sistema delle con-nessioni nelle quali le situazioni stesse si trovano e vivono117.

In ambito nazionale il delicato passaggio alla c.d. giurisprudenza degli inte-———

114 Percorso sintetizzato nelle parole del Piacentino († 1192), accolte nella Glossa accursiana, au-thor iuris homo, iustitiae Deus: sull’argomento v. R. ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto romano, Bo-logna, 1987, spec. pp. 48 s., 186 ss.

115 Sul punto rimangono fondamentali le pagine di K. LARENZ, Storia del metodo nella scienza giuridica (1960), ed. italiana con presentazione di Ventura, Milano, 1966, spec. p. 58 ss. Cfr. anche retro, § 3.

116 Così A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 89; e si vedano le importanti intuizioni dello stesso Autore, in ID. (a cura di), L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, cit., spec. p. 503 s.

117 G. CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto, Milano, ed. 1962 a cura di Piovani, spec. p. 182 ss.

Page 68: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 42

ressi si compie essenzialmente attraverso i contributi dei civilisti dalla cultura più profonda e sensibile118 ed è stato portato a compimento in tempi recenti dalla dottrina più autorevole, la quale ha definitivamente dimostrato come proprio l’analisi delle singole circostanze concrete consenta di cogliere la vera “sostanza” dell’operazione negoziale, contemperando tutti gli interessi in giuoco, attraverso l’individuazione della effettiva causa di attribuzione praeterita, praesens o futura, realizzata anche attraverso l’utilizzo di più negozi funzionalmente collegati119. Si realizza così, come dimostra il cammino intrapreso anche a livello di “Diritto privato europeo”, il percorso iniziato con l’incedere alla giurisprudenza degli in-teressi, attraverso il superamento di una rigida concezione della causa, intesa quale funzione economico-sociale del singolo contratto, sovente utilizzata dalla giurisprudenza, soprattutto in tema di atto gratuito, come strumento di control-lo sulla meritevolezza dell’attribuzione e quindi sull’efficacia del contratto.

Nell’ottica di valorizzazione del “momento dell’individualità del diritto” l’accertamento dell’esistenza del requisito della buona fede deve precedere la comparazione fra il risultato interpretativo secondo la legge nel caso concreto e quello cui mirano le parti. Così, la buona fede assume un ruolo di fondamentale importanza, realizzando una funzione che potremmo qualificare protettiva di tutti gli interessi in giuoco e quindi dell’affidamento che le parti ripongono nella realiz-zazione degli effetti dell’atto di autonomia e nel corretto comportamento di o-gni partecipante all’accordo. In questo senso, essa rappresenta anche il canone a cui il giudice deve necessariamente attenersi nell’esercizio del potere, attribuito-gli dalla legge, di controllo, attraverso l’equità integrativa, sul regolamento patti-zio e sul rapporto conseguente120.

——— 118 E, in particolare, nello Studium Perusinum: si vedano gli importanti contributi di G. SCADUTO,

Sull’identificazione dei principii generali di diritto, in Annali della R. Università di Perugia, VII, 1926, p. 11 ss., e in Scritti in memoria del prof. Francesco Innamorati, Perugia, 1932, p. 189 ss., ora in G. SCADUTO, Diritto civile a cura di Palazzo, cit., II, p. 667 ss.; Sulla tecnica giuridica, in Riv. dir. civ., 1927, p. 225 ss., ora in G. SCA-DUTO, Diritto civile a cura di Palazzo, cit., II, p. 691 ss. Come ha acutamente osservato Antonio Palazzo (in A. PALAZZO, F. SCAGLIONE, Gioacchino Scaduto e la scienza del diritto civile nel XX secolo, in G. SCADU-TO, Diritto civile a cura di Palazzo, cit., I, p. 11 ss.) in tali scritti, entrambi del 1926, si possono cogliere le premesse di quel delicato passaggio dalla giurisprudenza dei concetti a quella degli interessi che la dot-trina italiana compirà sulle orme di quella tedesca.

119 A. PALAZZO, Storicità e interpretazione, cit., spec. pp. 48-111; L’interpretazione della legge, cit., p. 501 ss.; Interessi permanenti, cit., spec. pp. 37 ss., 87 ss.; nonché gli studi sull’atto gratuito e causa dell’attribu-zione, fra i quali: ID., Atti gratuiti, cit., spec. pp. 75 ss., 119 ss., 224 ss., 347 ss.; ID., Promesse gratuite e affi-damento, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 181 ss.

120 G. ALPA, La completezza, cit., p. 239 s. Sottolineano in ambito anglosassone la possibilità che uno sviluppo dei rimedi equitativi al di fuori di categorie e principi formali crei incertezza, P. STEIN, J. SHAND, I valori giuridici, cit., p. 354 ss., ed ivi ampia casistica.

Page 69: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 43

Viene così ribadito il ruolo centrale della buona fede come clausola genera-le, immediatamente applicabile nel sistema, che concorre direttamente al fun-zionamento degli strumenti di controllo dell’ordinamento (sia esso nazionale o sovranazionale) sugli effetti dell’atto di autonomia privata e sul corretto svolgi-mento del rapporto giuridico che da questo sorge; e ciò unitamente ai principi generali contenuti nella Carta costituzionale, con particolare riferimento a quelli di solidarietà (art. 2 Cost. – certamente attenuato nei contratti di scambio, ove i contraenti perseguono un interesse per definizione contrapposto, ma pur sem-pre presente) e di eguaglianza sostanziale delle parti (art. 3 Cost.), principi fon-danti dei recenti interventi del compilatore comunitario e nazionale a tutela del consumatore.

Lo stesso concetto di buona fede (e di conseguenza di clausola generale) ha subito un’importante evoluzione. Sino all’epoca delle grandi codificazioni, in un sistema “aperto”121, esso, in sintonia con quanto avveniva nel diritto romano, costituiva il fondamento dell’efficacia del vincolo contrattuale nei confronti del-le parti, che restavano obbligate nei limiti di ciò che veniva dettato dalla fides bo-na (essendo questi contratti assisiti da un iudicium bonae fidei)122. Ma nella realtà attuale di ius positum l’efficacia del vincolo deriva direttamente ed autoritativa-mente dalla legge (cfr. art. 1372 c.c.), con la conseguenza che il ruolo svolto dal-la buona fede in ambito negoziale è e dev’essere sostanzialmente differente, sebbene in linea con l’evoluzione che il principio ha avuto nel corso della storia del pensiero giuridico nei vari ordinamenti.

In ambito negoziale, la buona fede potrebbe dunque qualificarsi come quella generica correttezza etica richiesta ai privati che si concreta essenzialmente nel rispetto delle rego-le dettate dalla coscienza comune in relazione alla salvaguardia di interessi altrui.

——— Significativo in questo senso – come rilevato (retro, § 7) – è anche il richiamo compiuto nell’art.

39, 4° comma del Codice europeo dei contratti predisposto dall’“Accademia dei giusprivatisti europei”, che individua nella buona fede e nella ragionevolezza i limiti invalicabili dell’attività ermeneutica.

121 Cioè a dire, in cui non esisteva una rigida gerarchia delle fonti e in cui il diritto era essenzial-mente creato dall’interprete, in particolare attraverso un procedimento equitativo e analogico, che te-nesse ben presente una corretta valutazione degli interessi in giuoco.

122 E. RUSSO, Jean Domat, la buona fede e l’integrazione del contratto, in Vita not., 2002, p. 1254. Essen-zialmente in epoca giustinianea appaiono significativi esempi di prospettazione sostanziale di fides bona, che convive con quella tradizionale di tipo processuale, in sintonia con la crisi del modello formulare nell’ambito del processo: P. GARBARINO, Brevi osservazioni in tema di azioni di buona fede in diritto giustinia-neo, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e contemporanea (Atti del convegno in onore di A. Bur-dese), cit., II, p. 191 ss., spec. p. 201 s.

Page 70: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 44

Il concetto ora espresso trova il suo fondamento nel diritto romano, dove attraverso le interrelazioni fra ius civile e ius gentium, con conseguente applicazio-ne a quest’ultimo di istituti propri del primo123, la fides divenne fides bona, percor-so mirabilmente sintetizzato dalla dottrina più autorevole124.

Analogo percorso, anche se con differenti risultati, è stato compiuto dall’e-quità, la quale ha operato ed opera in misura differente negli ordinamenti c.dd. progrediti, rispetto a quelli c.dd. in formazione: in proposito la dottrina più au-torevole ha sottolineato come nei primi “l’equità, in quanto complesso di prin-cipi superiori, non opera nella stessa misura in cui opera nei sistemi di diritto in formazione. Ciò nonostante, anche i sistemi giuridici maturi ammettono principi particolari, spesso formulati come massime, che controllano l’applicazione delle regole giuridiche in casi specifici. Vengono spesso descritti quali principi genera-li del diritto, ma usualmente non vengono considerati come partecipi della natu-ra dell’equità, senza dubbio perché i loro effetti giuridici preoccupano meno del-l’equità stessa”125.

10. — Il ruolo delle permanenze nel sistema attuale. Quanto sino ad ora esposto evidenzia le importanti interrelazioni che sussi-

stono fra equità e buona fede e, più in generale, fra equità e clausole generali: e ciò non solo in ambito contrattuale, ma in tutto il diritto civile.

Emblematico è il caso della clausola dell’ingiustizia del danno, in relazione alla quale la dottrina più autorevole ha correttamente sottolineato come l’equità, o potere equitativo del giudice, non significa discrezionalità dello stesso (né tan-to meno – verrebbe da aggiungere – arbitrarietà); considerando l’ipotesi di valu-tazione equitativa del danno biologico (fondata sull’applicazione del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056, 1° comma c.c.), si sottolinea l’incongruità di ri-durre il fenomeno, sul quale la giurisprudenza è venuta costruendo un vero proprio modello di “diritto vivente”, a mera espressione di discrezionalità del

——— 123 Cfr. F. GALLO, Bona fides e ius gentium, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e con-

temporanea (Atti del convegno in onore di A. Burdese), cit., II, spec. p. 132 ss. 124 A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., spec. p. 13 ss., il quale (p. 15) riporta il pensiero di B. AL-

BANESE, Premesse allo studio, cit., p. 150, secondo il quale la fides bona “consiste in una generica correttez-za etica richiesta ai privati, dall’ordinamento giuridico, in alcuni rapporti nei quali la prospettive patri-moniali furono considerate inscindibili da prospettive morali”.

125 P. STEIN, J. SHAND, I valori giuridici, cit., p. 146 s., ed ivi riferimenti interessanti anche alle ana-logie fra l’equity inglese e l’aequitas pretoria del diritto romano.

Page 71: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 45

giudice, trattandosi, invece, di una costruzione fondata (anche là dove sia tradot-ta in apposite “tabelle”126) su criteri non meramente discrezionali, ma genuina-mente equitativi127.

Significativa è altresì l’esperienza tedesca di applicazione del principio di cui al § 242 del BGB – Leistung nach Treu und Glauben (Esecuzione della prestazione secon-do buona fede)128, il quale, sin dai primi anni, ha costituito, oltre che uno strumen-to analogico per trovare soluzione a quei casi non aventi specifica regolamenta-zione legale, anche un mezzo teso ad attribuire precedenza ai diversi aspetti del principio di equità, anche facendo ricorso ai principi di un’etica materiale, con rilevanti effetti positivi, consistenti nel fatto che il giudice (la Corte dell’Impero) si dimostrava sempre pronto a diverse soluzioni basate sull’equità, senza perdere di vista l’equilibrio metodologico fra legge e giustizia129. Così, nel diritto tedesco

——— 126 Come è noto, in relazione alla valutazione del danno biologico derivante alla persona da eventi

traumatici cagionati da attività umane, la giurisprudenza ha attribuito un valore in danaro a ciascun punto di invalidità permanente in relazione all’età del danneggiato e stabilito l’ammontare del risarci-mento per ogni giorno di invalidità temporanea (assoluta o relativa): c.d. “tabelle”. Molti Tribunali han-no ormai adottato la propria “tabella”; altri utilizzano “tabelle” create in altre realtà: la più usata è quella del Tribunale di Milano.

127 F.D. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e contemporanea (Atti del convegno in onore di A. Burdese), cit., I, p. 232 s.

128 Il testo della disposizione è riportato retro, nt. 28. La norma rappresenta il “prototipo” di clau-sola generale nel BGB (così G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 3; in termini analoghi si esprimo-no I. SAENGER, G. HOLOCH, sub § 242, in H.P. WESTERMANN (a cura di), Erman – Bürgerliches Gese-tzbuch, t. I, cit., nt. a margine 1), nel senso che, attraverso l’applicazione dei principi generali, permette agli interpreti di sviluppare il diritto oggettivo. Il termine Treu und Glauben costituisce una cosiddetta “formula a coppia”, consolidatasi nella storia, i cui due elementi sono sinonimi in senso lato. La Treue (fedeltà) indica il dovere per il debitore di attenersi a quanto si è obbligato, cioè a dire la fedeltà con-trattuale, ma anche l’onorabilità e l’onestà (la honesty nella definizione del Uniform Commercial Code ame-ricano: cfr. R.S. SUMMERS, Good faith in American contract law, in R. ZIMMERMANN, S. WITTHAKER, Good faith in European contract law, Cambridge, 2000, p. 118; G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 9), indi-cando nel contempo la determinazione del contenuto del rapporto obbligatorio nel senso di un equili-brio degli interessi: G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 9. Il Glaube (la fede, il credere) indica l’esistenza di un rapporto di fiducia, e richiede il rispetto di un affidamento meritevole di tutela: v. an-cora G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 9. Il concetto del Treu und Glauben fonda le proprie radici nella bona fides del diritto romano (M.J. SCHERMAIER, Bona fides in Roman contract law, in R. ZIMMER-MANN, S.WITTHAKER, Good faith, cit., p. 63; I. SAENGER, G. HOLOCH, sub § 242, cit., nt. a margine 8). Nel diritto tedesco, però, occorre distinguere il termine guter Glaube dalla Treu und Glauben: il primo in-dica lo stato soggettivo di conoscenza, l’essere in buona fede; mentre il secondo, nell’ambito del § 242 BGB, principalmente, e talvolta esclusivamente, si riferisce ad un giudizio oggettivo di interessi, l’agire secondo buona fede (G.H. ROTH, sub § 242, cit., ntt. a margine 10, 46; I. SAENGER, G. HOLOCH, sub § 242, cit., nt. a margine 8).

129 K. LUIG, Il ruolo della buona fede nella giurisprudenza della Corte dell’Impero prima e dopo l’entrata in vigo-re del BGB dell’anno 1900, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e contemporanea (Atti del con-vegno in onore di A. Burdese), cit., II, p. 417 ss., spec. pp. 418, 424.

Page 72: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 46

la buona fede è stata utilizzata in funzione per così dire “equitativo”, rappresen-tando la “chiave principale dello sviluppo giurisprudenziale del diritto”130.

Anche in tempi attuali, essa, al fine di assicurare adeguata tutela agli interes-si fondamentali, può trovare applicazione anche laddove il dato normativo (au-tonomo) non preservi bastevolmente talune situazioni degne di protezione131; in sostanza, la giurisprudenza talvolta utilizza il § 242 BGB quale regola concreta-mente applicabile, allorché la decisione della controversia non possa essere fon-data su altre disposizioni, per consentire l’adattamento della disposizione patti-zia alla fattispecie vagliata132.

Dunque, proprio nel passaggio dalla giurisprudenza dei concetti (espressio-ne della mentalità del giuspositivismo) a quella degli interessi, sia la clausola ge-nerale che l’equità vengono intese anche nel diritto attuale, caratterizzato dalla complessità delle fonti, in un senso che favorisce la soluzione di casi pratici in maniera adeguata alla giustizia del caso concreto133.

Le richiamate interrelazioni fra clausole ed equità, del resto, esistono sin dai tempi più antichi: quando nel primo secolo d.C. Celso affermava che oggetto della ricerca pratica del giurista doveva essere il bene dei singoli nell’ambito dei rapporti intersoggettivi, bene attuato e realizzato ratione bonae fidei e con il con-temperamento di opposti interessi (aequitas)134, applicava principi fondamentali

——— 130 G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 11; I. SAENGER, G. HOLOCH, sub § 242, cit., nt. a

margine 1 s. 131 I parametri contenutistici sono da trarre da doveri sociali, da principi etici e dai principi genera-

li dell’ordinamento: G.H. ROTH, sub § 242, cit., nt. a margine 11. 132 Un esempio in tal senso è rappresentato dal controllo delle condizioni generali del contratto

a partire dalla sentenza BGH, in BGHZ, 20, pp. 90, 96, ed in NJW, 1956, p. 665, ora disciplinato dai §§ 305 ss. BGB. Occorre, però, sottolineare come l’applicazione della regola conduca in gran misura a decisioni orientate al caso concreto; la norma realizza una Einzelfallgerechtigkeit, ossia una “giustizia del caso singolo”, difettando in capo al giudice, in mancanza di altri presupposti, un gene-rale potere correttivo dell’equilibrio contrattuale (Billigkeitsjustiz – giustizia equitativa): sul punto, si vedano, fra gli altri, H. HEINRICHS, sub § 242, in O. PALANDT (a cura di), Bürgerliches Gesetzbuch, cit., nt. a margine 2; I. SAENGER, G. HOLOCH, sub § 313, cit., nt. a margine 2; G.H. ROTH, sub § 242, cit., ntt. a margine 423-424. In giurisprudenza, RG, in RGZ, 131, p. 177; cfr., poi, per tutte, BGH, in NJW, 85, p. 2580.

133 Cfr. P. RESCIGNO, Rimeditazioni sulla buona fede: omaggio ad Alberto Burdese, in Il ruolo della buona fe-de oggettiva nell’esperienza storica e contemporanea (Atti del convegno in onore di A. Burdese), cit., IV, p. 568 ss., spec. p. 569.

134 Si veda l’ampia analisi di A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 15 ss. Anche in precedenza Labeone (ca. 45 a.C. – 22 d.C.) aveva applicato il principio al fine di ritenere “ingiusta” la pretesa dell’adempimento dell’obbligazione corrispettiva nell’ipotesi in cui la controprestazione non fosse stata eseguita; ma è in epoca adrianea che i giuristi danno rilievo al sinallagma funzionale e la buona fede viene utilizzata per consentire alla parte adempiente il recupero del valore della prestazione effettuata in caso di mancata esecuzione della controprestazione per causa non imputabile: cfr. L. VACCA, Buona

Page 73: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 47

che sono arrivati sino a noi, tanto da essere recepiti nelle Carte costituzionali e nei Trattati dell’Unione (c.d. permanenze), principi che si sono consolidati in epo-ca recente anche attraverso il richiamato passaggio alla c.d. giurisprudenza degli interessi.

Ciò posto, va osservato che la dottrina più autorevole, nel ribadire l’essen-zialità negli attuali sistemi delle strumento delle clausole generali, a cui si può ri-nunziare soltanto in una legislazione di tipo casistico, sottolinea come in dette clausole vi sia “una delega al giudice perché attinga a qualcosa di estraneo alla formula legislativa letta nei termini e nelle parole che la compongono, e costrui-ta secondo i criteri che l’ordinamento gli prescrive di seguire”135.

Tali affermazioni mostrano lo stretto legame esistente fra i fondanti delle clausole generali e il procedimento equitativo:

entrambi mirano a consentire al giudice di ottenere un risultato ottimale di giustizia nella fattispecie concreta posta al suo vaglio136. Nell’odierna realtà, poi, il legislatore, e di converso l’interprete, hanno attri-

buito una valenza sempre maggiore al momento dell’attuazione del negozio e dei suoi effetti, piuttosto che al momento genetico: il binomio invalidità – inef-ficacia si risolve in una netta prevalenza della seconda sulla prima. Prova ne è la circostanza che il potere di intervento del giudice si concreta soprattutto nella fase di esecuzione: l’interpretazione e l’integrazione di regole autonome è sovente funzionale all’efficacia del contratto nella data situazione fattuale. E sia l’equità che la buona fede attengono essenzialmente al “rapporto”, piutto-sto che all’“atto” in sé considerato, sebbene si differenzino sia come incidenza procedimentale che come incidenza pratica: l’equità concerne il profilo rego-lamentare e obiettivo, la buona fede quello attuativo e comportamentale; la prima si rivolge alla regola come tale, la seconda ai soggetti che tale regola hanno po-sto in essere137.

Lo stretto legame esistente fra equità e clausole generali trova forti ascen-denze nel pensiero dei canonisti medioevali e degli esponenti più autorevoli del-la cultura giuridica di quel tempo, i quali applicavano il procedimento equitativo

——— fede e sinallagma contrattuale, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza storica e contemporanea (Atti del convegno in onore di A. Burdese), cit., IV, p. 333 ss., spec. p. 345 ss.

135 P. RESCIGNO, Rimeditazioni sulla buona fede, cit., p. 568 s. 136 Cfr. A. PALAZZO, Profili dell’interpretazione, cit., p. 378. 137 F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 12a ed., Napoli, 2006, p. 795.

Page 74: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 48

in maniera sostanzialmente analoga, ma essenzialmente alla fonte “legale”138, a proposito delle interrelazioni fra reguale ed exceptiones. Nella Scuola bolognese di Irnerio139, si osservava come le prime avevano il proprio fondamento in una presunzione che ben poteva essere superata da una prova contraria: esse anda-vano quindi di volta in volta applicate all’ipotesi concreta e, se necessario, a quest’ultima adattate, in particolare attraverso il procedimento equitativo o ana-logico140. In particolare, taluni appartenenti alla richiamata Scuola fecero largo uso del procedimento equitativo al fine di modellare i principi contenuti nei testi giustinianei alla realtà medioevale, anche mediante l’applicazione alle singole fat-tispecie delle consuetudini a lui contemporanee, mutuate dal diritto longobar-do141. Anche nella c.d. Scuola del commento142, non solo ci si serviva dell’aequitas (anche non scripta) per colmare eventuali lacune del sistema, ma prima Bartolo e poi Baldo propendevano per un utilizzo tale da consentire di evidenziare la ratio effettiva della disposizione e di disapplicarla nel caso concreto, qualora risultasse che il fine voluto dal legislatore venisse disatteso nell’ipotesi di applicazione ri-gida del precetto: così, a proposito della previsione concernente la fattispecie in cui un soggetto spargeva sangue all’interno del palazzo comunale (punita con la

——— 138 In merito alle fattispecie private v. S. CAPRIOLI, Lineamenti dell’interpretazione, Perugia, 2002,

spec. p. 26 s., il quale afferma: “interpretatio valeva piuttosto, in ossequio al limite soggettivo dell’auto-nomia, come integrazione dell’accordo, ed in genere della dichiarazione: così nel testamento come nel contratto. E tuttavia qui pure si richiedeva di intelligere attraverso i uerba ciò che avesse disposto la uolun-tas del privato”.

139 Vissuto a cavallo fra i sec. XI e XII. 140 Sul punto, ampiamente, A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 43 ss.; v. già P. GROSSI, L’ordine

giuridico medioevale, cit., p. 180 ss. 141 Ci si riferisce essenzialmente ai contributi di Martino Gosia (vissuto nel sec. XII), spesso in

“polemica” con l’altro discepolo Bulgaro († 1166), il quale ultimo prediligeva un’interpretazione rigoro-sa del testo normativo (essenzialmente rappresentato dal Corpus iuris). Si veda l’ampia analisi di B. PA-RADISI, Diritto canonico e tendenze di scuola nei glossatori da Irnerio ad Accursio, ora in ID., Studi giuridici sul Me-dio Evo, II, Roma, 1987, p. 525 ss., spec. p. 594 ss. Da ultimo, l’incidenza della concezione gosiana sulla cultura giuridica europea è mirabilmente evidenziata da I. FERRANTI, Causa e tipo nel contratto a favore di terzo, Milano, 2005, p. 43 ss. Osserva in proposito l’Autrice, richiamando anche il pensiero di illustri studiosi del diritto (in particolare, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni, III, Milano, 1938, p. 404 s.; H. KANTOROWICZ, Studies in the Glossators of the Roman Law, Cambridge, 1938, pp. 86-102, spec. pp. 87, 97 s., 101; P. GROSSI, L’ordine giuridico medioevale, cit., p. 180 ss.; A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., p. 45 s.), che la disputa, in realtà, ruotava intorno alla questione se l’antico diritto roma-no dovesse essere ripristinato nella sua purezza oppure riconciliato con i più moderni e popolari prin-cipi di origine germanica. E proprio il pensiero gosiano, fondato sull’aequitas, rappresentava la prima sottocorrente finalistica (il finalismo scolastico), la quale sarebbe divenuta dominante nella seconda epoca dei post-glossatori o consultores. Martino fu il primo che interpretò i testi dell’antico diritto roma-no introducendovi nuovi elementi derivanti dall’aequitas, dal diritto canonico, dal diritto germanico (cfr. spec. p. 43 s.).

142 Cfr. retro, nt. 41.

Page 75: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 49

pena di morte) i due Commentatori, peraltro sviluppando concetti già espressi da Aristotele143, precisarono che, allorché il fatto avveniva, ad esempio, ad opera di un medico o di un barbiere-cerusico nell’intento di salvare un malato, la ratio le-gis “veniva meno” e il precetto, e la relativa sanzione, non potevano trovare ap-plicazione144.

Tale utilizzo del procedimento equitativo è stato ripreso anche in ambito anglosassone, ove viene sottolineata l’importanza dell’equità nella formazione delle regole giuridiche: si afferma infatti che la funzione dei principi giuridici “è quella di contrastare le tendenze verso la rigidezza e il legalismo, nel senso di at-taccamento alla norma come fine a se stessa più che come mezzo per consegui-re decisioni giuste. Vi è, pertanto, sempre un elemento di relatività nella nozione di equità. I principi che arrivano ad essere considerati come equitativi riguarda-no quegli aspetti del diritto che necessitano di modifiche. Man mano che il dirit-to si consolida, muta la funzione dei principi, che vengono ad essere impiegati in modo più marginale, solo per controllare l’applicazione delle norme in ordine a situazioni di fatti particolari”145.

——— 143 Etica Nicomachea, V, 14, 1137b, 25, trad. italiana con introduzione e note di Natali, cit., p. 215:

secondo Aristotele la natura dell’“equo” è di essere correzione della legge, nella misura in cui essa “è carente” a causa del suo carattere universale. L’importanza del passo è colta da B. DUSI, S. MAIORCA, Istituzioni di diritto privato, I, Torino, 1985, p. 69, nt. 30. Ma è soltanto nel mondo romano che il diritto diviene scienza e si procede nella fattispecie analizzata alla corretta applicazione della regola o, se del caso, alla sua disapplicazione: l’interpretatio va oltre il dato formale e attraverso il procedimento equitati-vo consente di realizzare quel contemperamento di interessi a tutela di tutte le parti del rapporto (sul punto, A. PALAZZO, Interessi permanenti, cit., spec. pp. 15 ss., 24 ss.). Emblematico è il pensiero di Giu-liano, secondo il quale la buona fede, che regola il momento della formazione del contratto e del suo svolgimento, impone un limite al contenuto del rapporto: nell’ipotesi in cui le parti pattuiscano l’esonero del venditore dalla responsabilità per l’evizione della cosa, qualora quest’ultima intervenga, il venditore stesso, pur non essendo tenuto al risarcimento del danno, deve comunque restituire il prez-zo, essendo contrario a buona fede la circostanza che il prezzo possa essere trattenuto quando il com-pratore «perde» la cosa: cfr. L. VACCA, Buona fede, cit., p. 349 s. Altre volte i giuristi romani, per giustifi-care un eventuale contrasto fra la soluzione adottata in concreto e la regola generale, fanno riferimento al concetto di utilitas, il quale è così divenuto uno strumento ambivalente, segno della possibile coesi-stenza nel ragionamento giuridico di pensiero sistematico e di pensiero problematico: M. NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei giuristi romani, Torino, 2002, spec. pp. 3, 207 ss.

144 Cfr. l’interessante analisi di P.G. CARON, “Aequitas” romana, “misericordia” patristica ed “epicheia” aristotelica nella dottrina dell’“aequitas” canonica, Milano, 1971, p. 74 ss., spec. p. 80 s.

145 P. STEIN, J. SHAND, I valori giuridici, cit., p. 143, i quali richiamano la celebre affermazione di sir Henry Maine, che definì l’equità come un complesso di principi giuridici aventi – in virtù della loro estrinseca superiorità – il potere di sostituirsi alla vecchia legge. Emblematica appare l’esperienza attua-le del diritto israeliano, che dimostra ancora una volta le strette interrelazioni sussistenti fra equità e clausole generali, con particolare riferimento alla buona fede: si osserva in dottrina che anche in tale realtà non si “esiterà ad attuare il principio della buona fede a fianco delle norme specifiche sulla tutela del consumatore, e cioè , che il principio di buona fede vada applicato alla fase precontrattuale dei con-

Page 76: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 50

Consegue che l’interpretatio non può ridursi soltanto ad una chiarificazione di una fonte oscura, ma essa è anche, ed essenzialmente, adattamento della regula alla fattispecie posta al vaglio dell’interprete (edotto in merito a tutte le circo-stanze che la caratterizzano) e, se del caso, disapplicazione della stessa.

Trasponendo detti principi nelle norme autonome, si può affermare che nella realtà attuale le leggi civili sono dirette non solo e non tanto a porre doveri di comportamento dei cittadini fra loro, quanto a regolare e/o integrare ogni volontà o iniziativa di libertà, con le quali i soggetti privati disciplinano i loro rapporti146: l’analisi del dato negoziale non esaurisce l’attività dell’interprete che si pone dinanzi ad un regolamento contrattuale; al contrario, essa ne costituisce il punto di partenza (ma anche il fondamento), che gli consente di procedere, previa conoscenza delle circostanze concrete in cui è sorto e si è sviluppato il rapporto, delle qualità e del comportamento delle parti e di ogni altro elemento fattuale utile, all’individuazione (e all’eventuale applicazione alla fattispecie) di regole dettate o imposte dagli ordinamenti, nazionale e sovranazionale, operan-do così un effettivo contemperamento fra questi e il principio di autonomia pri-vata. Tale concezione consente, anche attraverso la prospettiva storica, su cui si fonda il c.d. “diritto comune europeo”, sfociato nella previsione di regole uni-formi attraverso il “Diritto privato europeo”, di distinguere adeguatamente fra interpretazione, integrazione e clausole generali, ivi compresa quella di buona fede, tenendo nel contempo ben presente la volontà delle parti, che costituisce pur sempre l’essenza dell’atto negoziale.

Se quanto sino ad ora rilevato è esatto, si deve ritenere che la funzione pre-cipua dell’equità sia proprio quella di permettere all’ordinamento, mediante l’e-sercizio del potere giurisdizionale, di incidere nel rispetto del canone della buo-na fede sui rapporti fra privati e sulle regole, da questi dettate, che li disciplina-no: in un’epoca in cui il ruolo qualitativamente e quantitativamente più impor-tante è svolto dai contratti c.dd. standardizzati, è ancora più sentita l’esigenza che le regole in essi contenuti siano adattate alla singola fattispecie a tutela degli interessi fondamentali, sull’esempio di quanto avviene da tempo in altre realtà, come quella tedesca in applicazione del § 242 BGB.

Tuttavia, l’equità svolge un ruolo determinante, non soltanto in ambito ne-

——— tratti di consumo [...]. Questa è dunque la natura del principio di buona fede: espandersi in aree prece-dentemente non coperte, ed obbligarci, anche in quanto parti di trattative, a rispettarci l’un l’altro”: così A.M. RABELLO, Israele fra common law e civil law, verso la codificazione del suo diritto contrattuale, in V. BERTO-RELLO (a cura di), Io comparo, tu compari, cit., p. 271, ed ivi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

146 In tal senso E. RUSSO, G. DORIA, G. LENER, Istituzioni delle leggi civili, cit., p. 463 s.

Page 77: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL RUOLO DELLE PERMANENZE 51

goziale, ma anche al di fuori di esso, o comunque laddove vengono in rilievo, unitamente a questioni di carattere patrimoniale, interessi patrimonialmente neutri. In tutte le ipotesi vagliate essa consente all’interprete, ed in particolare all’interprete giudice, non solo di operare una corretta applicazione dei principi e delle clausole generali che permeano il sistema (c.dd. permanenze), nonché degli strumenti concettuali necessari alla loro attuazione, ma anche di procedere ad un effettivo bilanciamento degli interessi fondamentali in giuoco in una data fattispecie. Consegue che considerare l’equità quale mero strumento applicativo, magari posto al di fuori dell’ordinamento giuridico o addirittura ad esso con-trapposto, appare fortemente riduttivo del fenomeno. Di ciò si è reso conto, sebbene in differente prospettiva, il giudice delle leggi in un’importantissima re-cente pronuncia147: affermare che la sola funzione dell’equità (per giunta sostitu-tiva) sia “quella di individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più ade-guata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva”, significa attribuirle di-gnità di permanenza, immanente all’ordinamento giuridico stesso148.

L’equità si configura quindi come la permanenza che consente all’interprete l’applicazione, l’adattamento o, ove possibile, la disapplica-zione della regola giuridica (sia essa autonoma o eteronoma) alla fattispecie concreta, tenendo presente tutte le circostanze ad essa inerenti e gli interessi fondamentali in giuoco. Del resto, l’equità ha sempre avuto un ruolo determinante nel diritto priva-

to, indipendentemente dalle inclinazioni culturali o politiche sviluppatesi in un dato periodo storico, le quali hanno inciso sull’esistenza e sull’applicazione degli

——— 147 Corte cost., 6 luglio 2004, n. 206, in Corr. giur., 2005, p. 497, con note di S. GHIRARDI, Oggetto

dell’opposizione all’esecuzione e decisione di equità anche su questioni processuali secondo la suprema Corte alla luce dell’ultimo intervento della Consulta, e di L. ZANUTTIGH, Lo scandalo dell’equità “a canone inverso”.

148 In tal senso le intuizioni compiute dalla dottrina più autorevole ed avveduta in tema di interre-lazioni fra equità e clausole generali: A. PALAZZO, Profili dell’interpretazione, cit., p. 378, ed ivi riferimenti; v. già A.C. JEMOLO, I concetti giuridici, in Atti Acc. scienze Torino, Torino, 1940, p. 246 ss., il quale compie affermazioni che paiono di fondamentale importanza: “Così la crisi dell’età presente mostra anche la scienza giuridica come a un punto di svolta, fra ciò che è di ieri e ciò che deve venire, se l’idea del dirit-to non deve scomparire affatto, e restarne solo il nome quale vuota formula. Ma perciò è necessario venire seriamente in chiaro su questo punto che ogni diritto è legato al bene, e che un cattivo diritto non esiste come diritto, possa pure una forza sovrana attribuirle tale nome alla sua mera volontà di potenza. In tal modo l’umanità tornerà a volgere lo sguardo a quella normatività superiore, che andò perduta col Medioevo, e che ora si tratta di riconquistare in maniera nuova, cioè muovendo dalla liber-tà”. Tali affermazioni, sebbene compiute in una particolare situazione storico-politica, mostrano tutta la loro attualità, ponendo al centro del diritto e dell’attività ermeneutica l’interesse fondamentale.

Page 78: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 52

altri principi e clausole generali, ma non dell’equità, che è sempre stata conside-rata immanente alla logica giuridica regolatrice dei rapporti fra privati e alla co-struzione di un sistema di diritto civile149. Non soltanto in sistemi “aperti” o in via di formazione, ovvero fondati sull’equity150, ma, a maggior ragione, in quelli, come l’attuale, caratterizzati da una notevole complessità delle fonti, ove, anche se pochi lo ammettono esplicitamente151, essa viene continuamente utilizzata nel vagliare la fattispecie esaminata e nell’individuare la soluzione giuridica ad essa appropriata, in sintonia con le regole scritte e non scritte che formano il sistema.

Quando l’interprete, ad esempio, si occupa di proporzionalità fra le presta-zioni, di squilibrio giuridico o di bilanciamento di interessi fondamentali (siano essi a contenuto patrimoniale, ovvero patrimonialmente neutri), non fa altro che applicare il principio equitativo, mediante il quale, tramite l’esatta conoscenza delle singole circostanze e della storia personale dei soggetti (fides), gli è consen-tito di raggiungere il risultato ottimale nel caso concreto.

In questo senso, le altre permanenze debbono obbligatoriamente interrelarsi con l’equità, e proprio attraverso questa assumono esatta collocazione logica e giuridica; di conseguenza l’equità stessa si pone come il paradigma delle permanenze, trovando utilizzazione necessitata nell’attività ermeneutica, al fine di applicare correttamente e coerentemente tutti gli altri principi e clausole generali, in vista della tutela e dell’attuazione degli interessi fondamentali in giuoco152.

——— 149 Si veda ancora A. PALAZZO, Profili dell’interpretazione, cit., p. 378 s. 150 Cfr. P. STEIN, J. SHAND, I valori giuridici, cit., p. 146 s. 151 È il risultato di una concezione, di cui è espressione l’assunto dura lex sed lex, su cui si fonda il

code Napoleon, fortemente limitativa del potere del giudice, che tanto ha pesato sulla cultura giuridica dei paesi di civil law. Anche nella prima metà del secolo scorso, nel vigore del codice del 1865, fondato sui principi del codice francese, nonostante si cominciasse a profilare il passaggio alla giurisprudenza c.d. degli interessi, il dibattito era molto acceso fra chi riteneva l’equità contrapposta al diritto e chi provava ad affermare come le due nozioni non erano in realtà distinte o antitetiche; in tale ultimo senso una posizione preminente assume l’opera di E. Osilia (L’equità nel diritto privato, Roma, 1923): per un quadro puntuale si veda G. SCADUTO, Sull’identificazione, cit., spec. p. 680 s.

152 Sulla valenza dei principi anche al fine di attribuire coerenza al dato testuale, in applicazione dell’art. 12 delle preleggi, la letteratura è particolarmente vasta e composita: un sintetico ma puntuale quadro è offerto da R. CIPPITANI, Il diritto diviso. Appunti per una semiotica dell’ordinamento-testo, Padova, 1998, p. 95 ss., ed ivi richiami, in particolare, all’opera di N. BOBBIO, Scienza del diritto e analisi del linguag-gio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 358 ss., di N. IRTI, Testo e contesto, cit., spec. p. 2 s., e di A. PINO, La ricerca giuridica, Padova, 1996, p. 285 ss.

Page 79: Diritto privato del mercato

CAPITOLO SECONDO

I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La libera circolazione dei soggetti. 2.1. I lavoratori di-pendenti. 2.2. I lavoratori autonomi e i soggetti diversi dalle persone fisiche. 2.3. Ri-flessi privatistici delle libertà riconosciute dal Trattato di Roma. — 3. La legislazione comuni-taria in materia di soggetti che svolgono un’attività economica. — 4. I consu-matori. — 5. Le imprese. — 6. I rapporti tra le imprese nel mercato unico: PMI, grup-pi, concorrenza. 6.1. Le piccole e medie imprese. 6.2. I gruppi di imprese. 6.3. La di-sciplina sulla concorrenza e sugli aiuti di stato. — 7. La disciplina di alcune categorie di soggetti: le società. 7.1. L’armonizzazione del diritto societario. 7.2. I nuovi soggetti di diritto. — 8. La soggettività oltre il mercato. — 9. Dalla nozione di lavoratore a quella di cittadino. 9.1. L’attribuzione delle libertà fondamentali a persone diverse dai lavora-tori. 9.2. La cittadinanza dell’Unione europea. 9.3. I diritti riconosciuti alle persone fi-siche dal diritto comunitario. — 10. I soggetti diversi dalle persone fisiche. 10.1. Gli enti non profit. 10.2. Gli enti pubblici e gli altri soggetti di diritto pubblico. 10.3. Le uni-versità, le scuole, gli enti di ricerca. — 11. Situazioni giuridiche soggettive e diritto comunitario. 11.1. La diretta applicabilità dei diritti riconosciuti dall’ordinamento co-munitario. 11.2. La tutela delle diverse tipologie di situazioni giuridiche soggettive. 11.3. Il diritto all’attuazione del diritto comunitario. 11.4. Limiti all’esercizio dei diritti.

1. — Premessa. L’Unione Europea ha l’obiettivo di “promuovere un progresso economico

e sociale e un elevato livello di occupazione e pervenire a uno sviluppo equili-brato e sostenibile” (art. 2, Trattato UE). Questo obiettivo viene realizzato, in par-ticolare, mediante la creazione di uno “spazio senza frontiere interne” (art. da ultimo citato).

Lo spazio senza frontiere interne va identificato (art. 14, par. 2, Trattato CE) con il “mercato interno” di cui parla il Trattato CE, caratterizzato

“dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle mer-ci, delle persone, dei servizi e dei capitali” (art. 3, par. 1, lettera c), Trattato CE). 2. — La libera circolazione dei soggetti. Il mercato interno è stato concepito, innanzitutto, come spazio della libera

Page 80: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 54

circolazione dei soggetti1. L’attribuzione di tali libertà è avvenuta inizialmente con riferimento al ruolo svolto dai soggetti nell’ambito del mercato: i lavoratori dipendenti e autonomi, i soggetti diversi dalle persone fisiche che svolgono un’attività economica.

2.1. I lavoratori dipendenti. – Ai sensi dell’art. 39, par. 1, del Trattato CE, in-

fatti, “La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicura-ta”. Questa libertà di circolazione implica “l’abolizione di qualsiasi discrimina-zione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” (art. 39, par. 2, Trattato CE).

Per la disposizione in commento, la libertà di circolazione dei lavoratori comprende diversi diritti, alcuni dei quali sono elencati, in modo non esaustivo, nel par. 3 dell’art. 39 e cioè: il diritto di rispondere a offerte di lavoro; il diritto di spostarsi liberamente; il diritto di dimorare al fine di svolgere un’attività di lavo-ro, conformemente alle disposizioni che disciplinano l’occupazione dei lavora-tori nazionali; ma anche il diritto di rimanere sul territorio di uno stato anche dopo aver occupato un impiego2.

Il diritto derivato e la giurisprudenza comunitaria hanno inteso la nozione di “lavoratore” in modo molto ampio, in quanto, come afferma la Corte di giu-stizia, detta nozione costituisce il presupposto dell’applicazione delle libertà fondamentali assicurate dal Trattato di Roma3.

La nozione di “lavoratore” è stata quindi progressivamente applicata ad un insieme di persone fisiche sempre più ampio; mentre è stato ridotto il campo di applicazione delle eccezioni alla libertà di circolazione, come quella relativa agli impiegati pubblici4.

——— 1 Si tratta di diritti che si acquistano in base ai Trattati e indipendentemente dal rilascio dal docu-

mento di soggiorno da parte dello Stato, come affermato dalla Corte di giustizia, 8 aprile 1976, Royer, 48/75, Racc. 1976, p. 497.

2 V. regolamento 1612/68 del Consiglio, 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavo-ratori all’interno della Comunità; regolamento 1251/70 della Commissione del 29 giugno 1970, relativo al diritto dei lavoratori di rimanere sul territorio di uno stato membro dopo aver occupato un impiego.

3 Cfr. Corte di giustizia, 23 marzo 1982, Levin/Segretario di Stato per la giustizia dei Paesi Bassi, 53/81, Racc. 1985, p. 1035.

4 L’art. 39 del Trattato di Roma non dovrebbe applicarsi “agli impieghi nella pubblica ammini-strazione”, ma la giurisprudenza comunitaria sul punto è molto cauta. Le limitazioni all’accesso a certi impieghi pubblici, infatti, deve essere strettamente motivata dalla circostanza che comportano: “une participation, directe ou indirecte, à l’exercice de la puissance publique et aux fonctions qui ont pour objet la sauvegarde des intérêts généraux de l’État ou des autres collectivités publiques” (Corte di giustizia, 2 luglio 1996, Commissione

Page 81: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 55

Secondo la giurisprudenza comunitaria, per lavoratore deve intendersi qual-siasi persona fisica che svolga attività “reali ed effettive” a favore e sotto la direzione di un’altra persona, percependo una retribuzione5. Per accertare tali condizioni, il giudice deve fondarsi su criteri obiettivi e valutare, nel loro com-plesso, tutte le circostanze del caso di specie, riguardanti la natura delle attività interessate e del rapporto di lavoro6.

La definizione giurisprudenziale riguarda così non soltanto i rapporti di la-voro dipendente in senso stretto, ma anche il lavoro autonomo parasubordinato e altri rapporti di lavoro “atipici”. È così considerato lavoratore anche chi effet-tua un tirocinio nell’ambito della formazione professionale; ciò in quanto tale tirocinio può essere considerato come una preparazione pratica all’esercizio dell’attività lavorativa7 e per il fatto che il tirocinante percepisce un contributo per il proprio sostentamento8; oppure è stato considerato “lavoratore” anche la persona che svolge un progetto individuale di reinserimento presso un ente con finalità sociali e assistenziali, anche se percepisce benefici in natura (per esempio vitto e alloggio) e qualche somma di denaro per le piccole spese9.

Per lavoratore si intende, inoltre, il titolare di una pensione (di qualunque tipo, anche di invalidità) sebbene sia pagata da un paese diverso da quello in cui il pensionato soggiorna10.

2.2. I lavoratori autonomi e i soggetti diversi dalle persone fisiche. – Alle persone fisi-

che che svolgono attività di lavoro autonomo è riconosciuto il diritto di stabili-mento (art. 43, Trattato CE). I lavoratori “non salariati” possono svolgere in tutti gli stati comunitari, senza alcuna discriminazione dipendente dalla naziona-lità, le attività autonome, nonché costituire e gestire società, imprese, agenzie, succursali o filiali. Il diritto di stabilimento va inteso anche in negativo: non si ——— / Lussemburgo, C-473/93, Racc. 1996, p. I-3207). Nella sentenza citata, per esempio, non è stata consi-derata legittima l’esclusione dall’insegnamento in uno stato membro di un cittadino di un altro stato, fondata sulla tutela dell’identità nazionale. Tale tutela, che la Corte considera legittima, ai sensi dell’art. 6, par. 3, del Trattato UE, può essere realizzata attraverso mezzi considerati proporzionati, come la richiesta di un appropriata conoscenza linguistica.

5 V., tra le altre, Corte di giustizia, 3 luglio 1986, Lawrie-Blum, 66/85, Racc., p. 2121, punti 16-17; Id., 26 febbraio 1992, Bernini, C-3/90, Racc. 1992, p. I-1071; Id., 7 settembre 2004, Trojani, C-456/02, Racc. 2004, p. I-7573, punto 15.

6 Cfr. Corte di giustizia, 6 novembre 2003, Ninni-Orasche, C-413/01, Racc. 2003, p. I-13187, punto 27. 7 V. le citate sentenza Lawrie-Blum, punto 19 e Bernini, punto 15. 8 V. Corte di giustizia, 17 marzo 2005, Kranemann, C-109/04, Racc. 2005, p. I-2421, punti 15-16. 9 V. la sentenza Trojani, cit., punti 20 ss. che si riferisce all’Esercito della Salvezza. 10 Ai sensi dell’art. 7, regolamento 1612/1968; v. Corte di giustizia, 15 marzo 2001, Mazzoleni e

ISA, C-165/98, Racc. 2001, p. I-2189.

Page 82: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 56

può obbligare un soggetto a stabilire la sede in uno stato membro, come condi-zione per svolgervi una certa attività11.

Il diritto di stabilimento è ulteriormente rafforzato dalla previsione della li-bertà di circolazione delle merci (Titolo I, Trattato CE) e dei servizi (Titolo III, capo 3, Trattato CE). In base al Trattato di Roma, non possono subire restri-zioni, a causa della nazionalità, i soggetti di altri stati membri che svolgono atti-vità di importazione di merci o che prestano servizi e cioè attività di carattere industriale, commerciale, artigianale e professionale (art. 50, c. 2, Trattato CE).

Il diritto di stabilimento e il conseguente divieto di discriminazione sono attribuiti anche ai soggetti diversi dalle persone fisiche, che il Trattato chiama complessivamente “società” e cioè “le società di diritto civile o di diritto com-merciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche con-template dal diritto pubblico o privato” (art. 48, Trattato CE), con l’eccezione, almeno così pare (v. il successivo paragrafo 10.1), “delle società che non si pre-figgono scopi di lucro” (non-profit-making).

2.3. Riflessi privatistici delle libertà riconosciute dal Trattato di Roma. – L’attribu-

zione della libertà di circolazione comporta importanti conseguenze sotto il pro-filo del diritto privato. In particolare le disposizioni citate contengono l’implicito riconoscimento della soggettività giuridica, sia delle persone fisiche, sia dei sog-getti diversi12. Tale riconoscimento è la condizione per consentire ai soggetti di esercitare, in concreto, tutti i loro diritti all’interno degli stati membri. In particola-re ai lavoratori salariati ed autonomi, nonché ai soggetti diversi dalle persone fi-siche che svolgono un’attività economica, è riconosciuta la capacità di stipulare contratti e di esercitare ogni situazione giuridica soggettiva, necessaria allo svol-gimento delle proprie attività.

Sotto questo profilo, il diritto comunitario comporta il superamento delle re-gole di diritto internazionale privato, secondo le quali la soggettività giuridica viene attribuita agli “stranieri” in ragione di principi come quello di reciprocità. In base a detto principio, così come accolto per esempio nel nostro ordinamento, il sogget-to di un altro stato può essere titolare dei diritti stabiliti dall’ordinamento italiano

——— 11 V. Corte di giustizia, 7 febbraio 2002, Commissione/Italia, C-279/00, Racc. 2002, p. I-1425, per la

quale è illegittimo richiedere l’istituzione di una sede in Italia per lo svolgimento dell’attività di fornitu-ra di lavoro interinale.

12 Il mutuo riconoscimento si considera realizzato dalla disposizione citata, anche in mancanza dell’entrata in vigore della Convenzione di Bruxelles, 28 febbraio 1968, che avrebbe dovuto disciplinare integralmente la materia.

Page 83: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 57

solo a condizione e nei limiti che l’ordinamento di appartenenza riconosca tali diritti ai soggetti italiani (art. 16 disp. prel. c.c.).

Non solo i soggetti degli altri stati comunitari sono ammessi ad esercitare tut-ti i diritti dei soggetti del paese dove si trovano. Nei casi in cui la disciplina di una data fattispecie è diversa nei due stati, il soggetto può chiedere l’applicazione della normativa più favorevole o di operare una scelta tra le due.

Si pensi al caso delle regole di attribuzione del cognome a persone che hanno la cittadinanza di due paesi dell’Unione europea. In questi casi, da un lato le re-gole di diritto privato internazionale italiano fanno prevalere la cittadinanza ita-liana (art. 19 legge 218/95); dall’altro l’ordinamento dello stato civile non preve-de la possibilità di applicare le regole di attribuzione del cognome di altri paesi. Inoltre, gli artt. 84 e 86 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) stabiliscono che si possa ottenere il cambiamento del cognome, solo a seguito dell’autorizza-zione del Ministero dell’Interno.

La Corte di giustizia nella giurisprudenza Carlos Garcìa Avello13, si è occupa-ta della legittimità di norme analoghe previste dal diritto belga, che impedivano di attribuire il doppio cognome (formano da quello del padre e della madre) alla figlia di un genitore belga ed uno spagnolo, secondo appunto la disciplina dell’ordinamento del Regno di Spagna. In applicazione del principio di non di-scriminazione (art. 12 Trattato CE), della libertà di circolazione (art. 18 Trattato CE), la Corte ha ritenuto illegittimo che

“l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamen-to del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro”. Come ha opportunamente posto in risalto la giurisprudenza italiana che ha

applicato il principio in parola14, nel caso di persone aventi la cittadinanza di due stati comunitari, non si può limitare l’esercizio della cittadinanza, imponendo le regole di uno dei due paesi, in modo contrario alla volontà della persona15.

——— 13 Corte di giustizia, 2 ottobre 2003, Carlos Garcìa Avello, C-148/02, Racc. 2003, p. I-11613. 14 V., tra gli altri, Trib. Bologna, 9 giugno 2004 (decr.); Trib. Roma, 29 ottobre 2004 (decr.). 15 Come si è osservato, infatti, “L’espresso richiamo alla volontà dell’interessato di scegliere una

disciplina nazionale di attribuzione del cognome anziché l’altra, dovrebbe confermare la già richiamata espansione dell’autonomia privata, nell’ottica del principio comunitario di riconoscimento degli status

Page 84: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 58

3. — La legislazione comunitaria in materia di soggetti che svolgono un’attività econo-mica.

Il diritto comunitario non si limita alla prescrizione del riconoscimento re-

ciproco dei soggetti che svolgono un’attività economica all’interno del mercato. L’intervento del legislatore comunitario, con specifico riguardo al tema del-

la soggettività, è molto più incisivo. In primo luogo, si tratta di un intervento teso al corretto funzionamento

del mercato, e che riguarda le relazioni tra i soggetti. A tale proposito, l’ordinamento comunitario individua alcune tipologie di soggetti, considerati gli attori principali del mercato, e ne disciplina le relazioni reciproche. Nel diritto comunitario i soggetti sono visti gli uni in relazione con gli altri e nel contesto del mercato interno. Sulla scorta di una tale visione, i soggetti non sono consi-derati isolati e su di un piano di parità formale, come invece accade nel codice civile italiano e nelle legislazioni che seguono la medesima tradizione. Nell’ordi-namento del mercato unico, si tutelano alcuni soggetti come i “consumatori” nei confronti di coloro che svolgono abitualmente un’attività economica; si di-stinguono le “imprese” in base alle loro dimensioni (piccole e medie imprese) e appare rilevante il contesto nelle quali tali imprese sono inserite (i gruppi); si vie-tano comportamenti che possano falsare la concorrenza e impedire il corretto funzionamento del mercato interno.

In secondo luogo, il diritto comunitario ha per obiettivo l’armonizzazione e, laddove possibile, l’unificazione delle legislazioni degli stati membri. La per-manenza di apprezzabili differenze tra gli ordinamenti nazionali, infatti, com-porta un ostacolo all’effettiva libera circolazione dei soggetti. Sotto questo profi-lo, si è provveduto soprattutto ad armonizzare il diritto societario degli stati membri e a disciplinare nuove tipologie di soggetti, che meglio dovrebbero ope-rare nell’abito del mercato interno dell’Unione europea.

4. — I consumatori. Il Trattato di Roma, nella sua formulazione originaria, non prevedeva una

competenza comunitaria specificamente riferita ai consumatori. Come è accadu-

——— personali e familiari sotteso alla giurisprudenza comunitaria” (A. BARONE, nota a Trib. Roma, 15 otto-bre 2004 (decr.), in Corr. giur., 2005, p. 681 ss.).

Page 85: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 59

to per altre materie, la proposta di introdurre una tale competenza fu avanzata nel vertice di Parigi nel 1972 tra i capi di stato e di governo degli allora sei paesi comunitari. Negli anni immediatamente successivi, la Commissione ha presenta-to il primo programma d'azione relativo alla protezione dei consumatori16. Nel primo piano di azione, già si delineavano le azioni che ancora oggi sono alla ba-se della legislazione comunitaria in questa materia (diritto alla tutela della salute e della sicurezza; diritto alla tutela degli interessi economici; diritto al risarcimen-to dei danni; diritto all’informazione e all’educazione; diritto alla rappresentanza) ed il carattere essenzialmente trasversale delle politica rivolta ai consumatori, che presenta diversi elementi di collegamento con la politica economica, con la poli-tica agricola comune, con le politiche dell'ambiente, dei trasporti e dell’energia.

L’azione comunitaria in questa materia è stata costituzionalizzata soltanto con l’entrata in vigore, il 1 luglio del 1987, dell’Atto unico europeo. L’Atto uni-co, in particolare, introduce l’art. 100 A al Trattato di Roma, che consente alla Commissione di proporre misure per proteggere i consumatori basandosi su “un livello di protezione elevato”.

L’azione della Commissione viene così potenziata e i successivi programmi di azione mettono l’accento su ulteriori aspetti della tutela dei consumatori: la rappresentanza (viene istituito un “Comitato consultivo dei consumatori”); l'in-formazione; la sicurezza dei prodotti; le transazioni. Nella fine degli anni novan-ta, sono state adottate norme riguardanti, in particolare, la sicurezza dei prodot-ti, i pagamenti transfrontalieri, le clausole abusive nei contratti, la vendita a di-stanza, la multiproprietà. Successivamente, con il Trattato di Maastricht, il “con-tributo al rafforzamento della protezione dei consumatori” diventa una delle a-zioni principali della Comunità, così come previsto dall’art. 3. Dopo il Trattato di Maastricht sono stati elaborati documenti istituzionali (sui servizi finanziari, sull’accesso dei consumatori alla giustizia, sulla legislazione alimentare, vendita e garanzie dei beni di consumo) ed iniziative legislative come quella riguardanti la pubblicità comparativa.

Il concetto di consumatore, richiamato da diverse previsioni dei Trattati, si desume dal diritto derivato. Sebbene le fonti comunitarie si riferiscano al con-cetto con sfumature spesso diverse17, generalmente per consumatore si intende

——— 16 V. Gazzetta ufficiale C 92, del 25 aprile 1975. 17 Come si è detto: “Il fatto è che il termine consumatore sta ad indicare diverse figure rappresen-

tative di situazioni diverse; a volte il consumatore può essere inteso come acquirente di un prodotto, a volte come persona danneggiata, a volte come utente di un servizio pubblico, a volte come assicurato,

Page 86: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 60

una persona fisica18, che acquista beni e servizi per scopi non connessi ad un’attività professionale. In quest’accezione il consumatore è nozione che si contrappone a quella di “professionista”.

La legislazione comunitaria si occupa dei consumatori principalmente sotto due profili.

In primo luogo la legislazione comunitaria prende in considerazione la tute-la della salute dei consumatori. Sono allora dettate le norme che devono essere rispettate da chi esercita attività che possono risultare dannose o pericolose per la salute e la sicurezza19.

In secondo luogo il diritto comunitario disciplina la tutela degli interessi economici del consumatore, soprattutto attraverso l’armonizzazione delle regole nazionali applicabili ai contratti con i professionisti20.

5. — Le imprese. Una prima nozione di impresa è stata elaborata dalla giurisprudenza comu-

nitaria21. Si tratta di una nozione ben più ampia di quella prevista, per esempio, nel

codice civile italiano (art. 2082 c.c.); quest’ultima definizione ruota intorno ai concetti di “professionalità” e di “soggettività”. L’impresa è l’attività economica svolta in modo abituale da alcuni soggetti formalmente identificati dalla legge, come le società commerciali. Altri soggetti, come le associazioni, le fondazioni o gli enti pubblici, non possono svolgere attività di impresa, se non occasional-mente, perché ciò contrasterebbe con le proprie finalità. Per quanto riguarda le persone fisiche si distinguono nettamente quelle che, svolgendo abitualmente ——— a volte ancora come investitore, oppure come risparmiatore, oppure anche come cliente” (G. BEN-NACCHIO, Diritto privato della Comunità europea, 3a ed., Padova, 2004, p. 314).

18 Come afferma la Corte di giustizia (sent. 22 novembre 2001, Cape snc/Idealservice Srl e Idealservice MN RE Sas/OMAI srl, cause riunite C-541/99, C-542/99, Racc. 2001, p. I-9049), con riferimento al-l’art. 2, lett. b), direttiva 93/13 concernente le clausole abusive dei contratti stipulati con i consumatori.

19 V. parte II, cap. 2. 20 V. parte II, cap. 3. 21 La giurisprudenza sul concetto di impresa per il diritto comunitario è vasta. Tra le più recenti

v., per esempio, Corte di giustizia, 16 marzo 2004, AOK-Bundesverband e altri, nelle cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01, C-355/01), Racc. 2004, p. I-2493; Id., 22 maggio 2003, Freskot, C-355/00, Racc. 2003, p. I-5263; Id., 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris / Commissione, C-82/01, Racc. 2002, p. I-9297; Id., 19 febbraio 2002, Wouters e altri, C-309/99, Racc. 2002, p. I-1577; Id., 22 gennaio 2002, Cisal, C-218/00, Racc. 2002, p. I-691. Per la dottrina v. L. DI VIA, L’impresa, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di N. Lipari, Padova, 2003, II, p. 54 ss.

Page 87: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 61

un’attività economica, sono qualificate imprenditori, da quelle che esercitano una professione intellettuale.

La giurisprudenza comunitaria, diversamente, ritiene che è impresa “qua-lunque entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuri-dico di detta entità”22. Costituisce attività economica qualsiasi attività di vendita di beni o servizi su un determinato mercato23, anche le attività professionali.

In base a tale nozione sono state considerate imprese tutte le società, com-prese le cooperative24, ma anche le associazioni25, le imprese pubbliche o a par-tecipazione pubblica26, le associazioni di categoria tra imprese27. L’estrema dutti-lità di questa definizione ha consentito di comprendervi anche i professionisti intellettuali, quali gli agenti immobiliari ed i periti assicurativi28, i medici speciali-sti29, gli avvocati30 o gli spedizionieri31.

La definizione giurisprudenziale di impresa, inoltre, prescinde dall’esistenza di un soggetto giuridico e ha un fondamento oggettivo. Tale definizione

“dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce ad un’unità economica … anche se sotto il profilo giuridico quest’unità economica è costituita di più persone, fisiche o giuridiche”32.

——— 22 Corte di giustizia, 23 aprile 1991, Höfner et Elser / Macrotron, C-41/90, Racc. 1991, p. I-1979. 23 Corte di giustizia, 12 settembre 2000, Pavlov e altri, cause riunite C-180/98 e C-184/98, Racc.

2000, p. I-6451. 24 Corte di giustizia, 25 marzo 1981, Cooperative Stremsel-en Kleuselfabriek/Commissione, 61/80, Racc.

1981, p. I-3851. 25 Decisione della Commissione 92/521/CEE del 27 ottobre 1992, Distribuzione dei pacchetti turistici

Cappa Mondiali 1990, in G.U.C.E. L 326, 31. 26 Tribunale di primo grado, 12 dicembre 2000, Aéroports de Paris/Commissione, T-128/98, Racc.

2000, p. II-3929, punti 106-130. 27 Corte di giustizia, 19 febbraio 2002, Wouters e altri, C-309/99, Racc. 2002, p. I-1577, punto 50 ss. 28 Cfr. AGCM, 25 marzo 2004, Guardia di Finanza c. Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professio-

nali, in Boll. n. 13/2004 e AGCM, 15 luglio 2004, Tariffe dei periti assicurativi, in Boll. n. 29/2004. 29 Corte di giustizia 12 settembre 2000, Pavel Pavlov e aaltri/ Stichting Pensioenfonds Mediche Speciali-

sten, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Racc. 2000, p. I-6451, punto 77. 30 Per quanto concerne gli avvocati, la stessa Corte ha di recente affermato che essi svolgono atti-

vità economica e, pertanto, costituiscono impresa, in quanto offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti, nonché nella rap-presentanza e nella difesa in giudizio. Inoltre, essi assumono i rischi finanziari relativi all’esercizio di tali attività poiché, in caso di squilibrio tra le spese e le entrate, l’avvocato deve sopportare direttamente l’onere dei disavanzi..V. Corte di giustizia 19 febbraio 2002, Wouters, e altri, cit., punto 48.

31 Per quanto riguarda gli spedizionieri, la Corte di Giustizia ha specificato come il fatto che “l’attività di spedizioniere doganale sia intellettuale, richieda un’autorizzazione e possa essere svolta senza la combinazione di elementi materiali, immateriali e umani, non è tale da escluderla dalla sfera di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato CE [ora, artt. 81 e 82].” Corte di giustizia, 18 giugno 1998, Commissione/Italia, C-35/96, Racc. 1998, p. I-3851, punto 38.

32 Corte di giustizia, 12 luglio 1984, Hydrotherm, 170/83, Racc. 1984, p. 2999.

Page 88: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 62

Ne consegue che più imprese facenti capo al medesimo gruppo costitui-scono un’unica impresa e che un accordo tra esse, consistendo in una mera ri-partizione di compiti all’interno del gruppo, è sottratto alle regole in materia di concorrenza33. Inoltre, il comportamento anticoncorrenziale di un’impresa con-trollata è imputabile all’impresa controllante34 e all’impresa che ne ha acquisi-to un’altra35. Una società madre e una società figlia, pertanto, costituiscono un’unità economica quando la società figlia non è in grado di decidere in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma applichi le direttive della società madre36.

La definizione giurisprudenziale è stata nella sostanza ripresa dai documenti istituzionali. In particolare, la raccomandazione del 6 maggio 2003, emanata dal-la Commissione per delimitare il concetto di “piccola e media impresa” nel dirit-to comunitario e nazionale (v. il paragrafo successivo 6.1). L’art. 1 dell’allegato alla raccomandazione, infatti, prevede che

“si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eser-citi un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica.” Dalla qualifica di impresa derivano importanti conseguenza dal punto di

vista del diritto comunitario. La qualifica di impresa comporta, tra l’altro, l’applicazione della normativa sulle libertà fondamentali e il diritto di partecipare ai programmi comunitari destinati agli imprenditori. Le imprese, inoltre, sono considerate in rapporto le une con le altre, dalla disciplina della concorrenza e della pubblicità; esse sono inoltre viste dal diritto comunitario nel rapporto con i consumatori.

6. — I rapporti tra le imprese nel mercato unico: PMI, gruppi, concorrenza. Si è anticipato che il diritto comunitario prende in considerazione le impre-

——— 33 Corte di giustizia, 25 novembre 1971, Béguelin, 22/71, Racc. 1971,p. 949. 34 Corte di giustizia, 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/ Commissione,

6-7/63, Racc., 1974,p.223, punto 41. 35 Corte di giustizia 16 dicembre 1975, Suiker/Commissione, 40-28, cause riunite 50, 54-56, 111,

113, 114/73, Racc. 1975, p. 1679. 36 Corte di giustizia, 14 luglio 1972, ICI/ Commissione, 48/69, Racc. 1972, p.619.

Page 89: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 63

se con riferimento alle loro dimensioni, al contesto specifico nelle quali sono inserite, e come concorrenti nell’ambito del mercato.

6.1. Le piccole e medie imprese. – Tra le imprese, il diritto comunitario conside-

ra rilevante la nozione di “piccola e media impresa” (PMI). Nelle fonti le PMI sono considerate principalmente sotto due profili: da un lato è messa in evenienza la centralità delle piccole e medie imprese nello sviluppo dell’imprenditorialità e dell’economia europea37; dall’altro lato, si sottolinea la “debolezza” delle PMI ri-spetto alle imprese più grandi38.

Le riflessioni istituzionali e le azioni comunitarie confermano e sviluppano questa nozione ambivalente. In particolare ciò accade nel Libro bianco della Commissione Europea “Competitività, concorrenza e occupazione” del 1993 e nei documenti della “strategia di Lisbona”39. In questi documenti ci si prefigge la creazione di “un ambiente favorevole all’avviamento e allo sviluppo di impre-se innovative, specialmente di PMI”.

Tra le PMI, le istituzioni dell’Unione hanno posto una particolare attenzio-ne sulle “piccole” imprese, delle quali viene enfatizzato il ruolo di “spina dorsale dell'economia europea” che però, allo stesso tempo sono “le prime a risentire di un'eccessiva burocrazia”40.

——— 37 L’art. 157, par. 1, Trattato CE nell’ambito dell’obiettivo dare impulso all’industria europea, pre-

vede l’obbligo di “promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa ed allo sviluppo delle imprese di tutta la Comunità, segnatamente delle piccole e medie imprese”. L’importanza del ruolo delle PMI è confermata, inoltre, con riferimento allo specifico della politica della ricerca e dello sviluppo tecnologi-co, che ha per obiettivi quelli “di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’industria della Co-munità, di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale e di promuovere le azioni di ricer-ca ritenute necessarie” come supporto alle altre politiche e azioni della Comunità (art. 163, par. 1, Trat-tato CE). In questo quadro le azioni della Comunità (tra le quali i programmi) devono incoraggiare la partecipazione delle imprese, principalmente di quelle piccole e medie (art. 163, par. 2, Trattato CE).

38 Questa debolezza si evidenzia con riferimento alla “politica sociale”. Nell’ambito degli obiettivi generali di questa materia, stabiliti dall’art. 136 (“la promozione dell’occupazione, il miglioramento del-le condizioni di vita e di lavoro che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione”), l’azione della Comunità si deve esprime attraver-so direttive che stabiliscano “le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro” (art. 137, par. 2, c. 1, Tratta-to CE). Queste direttive, appunto, devono evitare “di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuri-dici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.” (art. 137, par. 2, c. 1, Trattato CE).

39 V. infra, § 5. 40 Il Consiglio ha così adottato il 13 giugno 2000 “La Carta europea per le piccole imprese”, fatta

propria dal Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del 19-20 giugno 2000 (v. allegato III delle Con-clusioni della Presidenza).

Page 90: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 64

Il contesto appena descritto ha ispirato interventi specifici per le piccole e medie imprese, soprattutto dal punto di vista degli aiuti finanziari.

Il rilievo delle PMI nell’ordinamento comunitario necessitava una positiva definizione del significato di “piccola e media impresa”.

In un primo tempo, le definizioni di PMI erano molteplici, quante erano quelle previste dalle diverse azioni comunitarie e quelle elaborate dagli stati membri. Successivamente, la Commissione ha ritenuto che la molteplicità delle definizioni “a livello comunitario e a livello nazionale può generare incoerenze e, inoltre, comportare una distorsione della concorrenza tra le imprese”. Per ov-viare a questi problemi, la Commissione europea ha adottato la raccomandazio-ne n. 96/280/CE, del 3 aprile 1996, relativa alla definizione delle piccole e me-die imprese. Tale raccomandazione è rivolta, oltre che alla Commissione stessa, anche alla Banca Europea degli Investimenti, al Fondo Europeo degli Investi-menti, agli stati membri41. I destinatari della raccomandazione sono invitati ad uniformarsi ai criteri stabiliti dalla raccomandazione, soprattutto nei programmi di finanziamento (v. oltre e soprattutto il capitolo 4 della parte V).

Per l’art. 1, par. 1, dell’allegato alla raccomandazione, una PMI è un’impre-sa che rientra in alcuni limiti dimensionali e che può essere considerata “indi-pendente”.

Quanto ai limiti dimensionali, una PMI deve avere meno di 250 dipenden-ti42. Un’impresa con meno di 250 dipendenti, inoltre, è considerata PMI solo se produce un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di euro43, oppure se il totale di bilancio annuo non è superiore a 27 milioni di euro44. Nell’ambito di

——— 41 V. art. 1, raccomandazione 92/280/CEE. 42 Per numero di dipendenti si intende “il numero di persone occupate corrisponde al numero di

unità-lavorative-anno (ULA), cioè al numero di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di ULA.” (art. 1, par. 7, allegato alla raccomandazione 96/280/CE).

43 Come precisato dal Ministero dell’Industria del Commercio e dell'Artigianato con d.m. 18 set-tembre 1997 e con la circolare 14 luglio 2000, n. 900315, “per fatturato, corrispondente alla voce A.1 del conto economico redatto secondo le vigenti norme del codice civile, si intende l'importo netto del volume d'affari che comprende gli importi provenienti dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi rientranti nelle attività ordinarie della società, diminuiti degli sconti concessi sulle vendite non-ché dell'imposta sul valore aggiunto e delle altre imposte direttamente connesse con il volume d'affari”

44 Per totale di bilancio si intende, il totale delle attività (o delle passività e del netto). Nella circo-lare del 14 luglio 2000 si precisa che “per le imprese che … sono in regime di contabilità semplificata e/o sono esonerate dalla redazione del bilancio, il valore dell’attivo patrimoniale e quello del fatturato sono desunti dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata; il primo, in particolare, è desunto sulla base del «prospetto delle attività e delle passività» redatto con i criteri di cui al d.P.R. n. 689/74 ed in conformità agli artt. 2423 e seguenti del codice civile”.

Page 91: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 65

detti limiti dimensionali, la raccomandazione evidenzia anche quelli relativi alle “piccole imprese” (meno di 50 dipendenti, fino a 7 milioni di fatturato e fino a 5 milioni di totale di bilancio), nel caso in cui detta nozione sia rilevante nelle a-zioni comunitarie o nazionali.

Per quanto riguarda il criterio dell’indipendenza “Sono considerate imprese indipendenti quelle il cui capitale o i cui diritti di voto non sono detenuti per 25 % o più da una sola impresa, oppure, congiuntamente, da più imprese non con-formi alle definizioni di PMI o di piccola impresa, secondo il caso.”45. Pertanto, un’impresa che rispetti i limiti del numero di dipendenti e quello relativo al fat-turato e al totale di bilancio, non è considerata PMI, nel caso in cui non sono piccole e medie imprese quelle che detengono il capitale o i diritti di voto, oltre la soglia predetta46.

Recentemente la Commissione europea ha elaborato una nuova definizione di PMI con la già citata raccomandazione del 6 maggio 2003 (C (2003) 1422 def.), che è entrata in vigore a partire dal 1 gennaio 2005.

La nuova definizione è stata redatta, confermando alcuni criteri della rac-comandazione 96/280/CEE, come il limite del numero dei dipendenti (250) e aggiornando i limiti relativi al fatturato (ora 50 milioni di euro) e al totale di bi-lancio (43 milioni di euro). Con l’obiettivo di dare migliore applicazione alla “Carta europea per le piccole imprese”, la nuova disciplina definisce le “piccole imprese” (meno di 50 dipendenti, fino a 10 milioni di fatturato e di bilancio) e le “microimprese” (meno di 10 dipendenti, fino a 2 milioni di fatturato e di totale di bilancio).

Come si è anticipato, la raccomandazione del 6 maggio 2003, inoltre, tiene conto della giurisprudenza comunitaria degli ultimi anni, con particolare riguar-do alla definizione di “impresa”.

Altra importante novità è quella relativa al modo con cui si prende in con-siderazione la “realtà economica” in cui opera l’impresa (cfr. nono “consideran-do” della raccomandazione del 6 maggio 2003). Allo scopo, la raccomandazione

——— 45 V. art. 1, par. 3 dell’allegato alla raccomandazione 96/280/CEE. 46 Sono previste alcune ipotesi in cui l’impresa considerata non perde l’indipendenza, seppure altri

soggetti detengono più del 25% del capitale o dei diritti di voto. Non viene meno l’indipendenza, in particolare, quando l'impresa è detenuta da società di investimenti pubblici, società di capitali di rischio o investitori istituzionali, a condizione che questi non esercitino alcun controllo, individuale o congiun-to, sull'impresa. Inoltre l’impresa non è dipendente se il capitale è disperso in modo tale che sia impos-sibile determinare da chi è detenuto e se l’impresa dichiara di poter legittimamente presumere che non è detenuto per il 25% o più da una sola impresa, oppure, congiuntamente, da più imprese non con-formi alle definizioni di PMI o di piccola impresa, secondo il caso.

Page 92: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 66

del 6 maggio 2003 distingue le imprese “autonome”, per le quali “i dati, compresi quelli relativi ai dipendenti, vengono dedotti dai conti dell’impresa stessa”47, dalle imprese “collegate” e da quelle “associate”. Detti conti, ai fini dell’applicazione della disciplina sulle PMI, vanno considerati, tenendo conto dei dati di tutte le im-prese, rispettivamente, “collegate” e “associate”, così come stabilito dall’art. 6, par. 2 ss., della raccomandazione citata48.

6.2. I gruppi di imprese. – Le nozioni di impresa collegata e associata sono uti-

lizzate non solo nella disciplina sulle PMI, ma in tutti i casi in cui è necessario dare rilievo al legame esistente tra più imprese. Tali nozioni, infatti, consentono di individuare nel diritto comunitario il concetto di “gruppo”, al quale si è già accennato.

Le imprese “collegate” sono definite ai sensi dell’art. 1 della direttiva 83/349/CEE49 e accolto nelle legislazioni nazionali (v. l’art. 2359 c.c.). Due o più imprese sono allora collegate quando:

a) un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di

un’altra impresa (che la dottrina commercialistica chiama “controllo di dirit-to”);

b) un’impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa (“controllo di fatto”);

c) un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra impre-sa in virtù di un contratto concluso con quest’ultima, oppure in base ad una clausola dello statuto di quest’ultima (“controllo contrattuale”);

d) un’impresa azionista o socia di un’altra impresa controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti o soci dell’altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest’ultima.

Per imprese associate si intendono quelle che (pur non essendo collegate) si

trovano nelle seguenti situazioni: una delle imprese possiede una partecipazione compresa tra il 25% e meno del 50% nell’altra; l’impresa richiedente non elabo-ra conti consolidati che riprendono l’altra impresa e non è ripresa tramite con-solidamento nei conti di tale impresa o di un’impresa ad essa collegata. ———

47 V. l’art. 6, par. 1, raccomandazione citata. 48 V. infra, § 7. 49 Settima direttiva del 13 giugno 1983 basata sull’art. 54, par. 3, lett. g), del trattato e relativa ai

conti consolidati; v. oltre il paragrafo 6.

Page 93: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 67

Il gruppo è rilevante per diversi aspetti del diritto comunitario, come l’individuazione dei limiti dimensionali delle PMI o nella disciplina della concor-renza, di cui si è già detto, ma anche in altri ambiti.

Nella normativa sui pubblici appalti, per esempio, si afferma che “un ope-ratore economico che non è in grado per se stesso di eseguire un appalto, poi-ché non risponde ai criteri di selezione qualitativi richiesti dalle norme, può ri-chiamarsi ai mezzi di altre società”, in modo particolare le società che apparten-gano al medesimo gruppo50.

6.3. La disciplina sulla concorrenza e sugli aiuti di stato. – Le imprese sono poi

considerate nel più ampio contesto in cui operano, che è quello del mercato in-terno, in cui la Comunità deve garantire “che la concorrenza non sia falsata” (art. 3, lettera g), Trattato CE). Il Trattato di Roma vieta, a tale riguardo,

“tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pra-tiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbia-no per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune” (art. 85, par. 1, Trattato CE). Nel quadro della normativa comunitaria sulla concorrenza sono inoltre vie-

tati o limitati gli aiuti di stato, e cioè finanziamenti pubblici alle attività econo-miche se questi “favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o mi-naccino di falsare la concorrenza” (V. art. 87, par. 1, Trattato CE ).

Di queste materie ci si occuperà più diffusamente nella parte III (Il diritto della concorrenza). In particolare si prenderanno in considerazione i fondamenti della teoria economica sulla concorrenza51, il diritto comunitario e nazionale in materia di concorrenza e aiuti di stato52, nonché le conseguenze giuridiche della concorrenza sleale53.

——— 50 Conclusioni dell’avvocato generale Philippe Léger presentate il 23 settembre 1999 nella Causa

C-176/98, Holst Italia SpA/Comune di Cagliari, Ruhrwasser AG, International Water Management SpA. L’Avvocato generale richiama la giurisprudenza secondo le sentenze Ballast Nedam Groep 14 aprile 1994 (Causa C-389/92, Racc. p. I-1289 e 18 dicembre 1997 (Causa C-5/97, Racc. p. I-7549).

51 V. “Analisi dell’evoluzione del concetto di concorrenza secondo vari approcci teorici” di C. Montesi.

52 V. infra, parte III, cap. 3. 53 V. infra, parte III, cap. 2.

Page 94: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 68

7. — La disciplina di alcune categorie di soggetti: le società. Le imprese in forma societaria sono state l’oggetto di importanti interventi

a tutela degli interessi delle altre imprese, dei soci, dei consumatori ed in genera-le dei terzi.

L’intervento delle istituzioni in materia societaria si è realizzato soprattutto attraverso l’armonizzazione delle legislazioni degli stati membri. Il processo di armonizzazione è consistito nell’approvazione di un piano di tredici direttive, a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, e di altre direttive modificative ed inte-grative.

A questa azione di armonizzazione si è aggiunto un intervento regolamen-tare, tendente alla disciplina di nuove tipologie di soggetti collettivi (v. sotto) e l’applicazione uniforme dei principi contabili internazionali da parte delle impre-se europee quotate a partire dal 2005.

Molteplici sono gli obiettivi e le materie disciplinati dall’intervento di ar-monizzazione.

7.1. L’armonizzazione del diritto societario. – L’azione comunitaria, in materia di

diritto societario, ha l’obiettivo fondamentale di assicurare un’informazione a-deguata dei soci e dei terzi, relativamente ai fatti sociali.

Per attuare questo obiettivo, innanzitutto, si è istituito un sistema generale e uniforme di pubblicità, riguardante gli atti principali delle società e altre in-formazioni, come i poteri delle persone (terzo “considerando” della Prima diret-tiva n. 68/151 del 9 marzo 1968, recepita in Italia dal d.P.R. n. 1227 del 29 dicem-bre 1969)54. Successivamente l’Undicesima direttiva (del 21 dicembre 1989/666, attuata in Italia con il d.lgs. 29 dicembre 1992, n. 516) ha previsto una disciplina della pubblicità degli atti delle succursali.

Tra gli atti sociali di particolare importanza, sotto il profilo informativo, vi sono i bilanci ai quali sono dedicati diversi interventi normativi. L’azione co-munitaria è stata diretta, in particolare, ad assicurare la possibilità di confronto delle informazioni contenute nei conti annuali (v. il quarto “considerando” della Quarta direttiva n. 78/660/CEE del 25 luglio 1978, recepita dal d.lgs. n.

——— 54 V. gli atti elencati nell’art. 2, par. 1: atto costitutivo e relative modifiche; nomina e cessazione

dalla carica delle persone fisiche che hanno la rappresentanza legale e che partecipano all’amministrazione, sorveglianza e controllo della società; bilancio; la cessazione, la liquidazione, la di-chiarazione giudiziale di nullità.

Page 95: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 69

127 del 9 aprile 1991)55 e i principi comuni in materia di redazione dei bilanci. Il diritto comunitario regola non solo i bilanci delle singole società, ma anche quelli riguardanti i gruppi di cui si è detto sopra. I bilanci “consolidati” sono di-sciplinati in particolare dalla Settima direttiva n. 83/349/CEE del 13 giugno 1983 (v. per l’Italia v. il d.lgs. del 9 aprile 1991, n. 197, che ha recepito anche la Quarta direttiva). Per armonizzare ulteriormente la redazione dei bilanci delle società quotate in borsa, è stato adottato il regolamento n. 1606/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di principi contabili internazionali (“International Financial Reporting Standards” (IFRS)56 . In materia di bilanci, inoltre, è stata elaborata una disciplina per indi-viduare i soggetti abilitati al controllo legale dei conti annuali (v. direttive 78/660/CE e 83/349/CEE)57 e delle altre informazioni riguardanti le società ed altri soggetti pubblici e privati58.

L’esigenza di una corretta informazione dei soci, dei terzi e dei dipendenti, riguarda anche le cosiddette “operazione straordinarie”, quali le fusioni e le scis-sioni (V. i “considerando” dal secondo in poi della Terza direttiva e dal quinto in poi della Sesta). La materia è stata disciplinata così dalla Terza direttiva del 9 ottobre 1978 n. 78/855 sulle fusioni e dalla Sesta direttiva del 17 dicembre 1982

——— 55 La direttiva 2003/38/CE ha introdotto modifiche della direttiva 78/660/CE e la direttiva

2003/51/CE. 56 Elaborati con riferimento agli “International Accounting Standards” (IAS) adottati dall'International

Accounting Standards Board (IASB), con sede a Londra, nell'ambito del quale sarà rappresentata la Com-missione.

57 Si tratta dell’Ottava direttiva del 10 aprile 1984 n. 84/253, recepita in Italia il d.lgs. n. 88 del 27 gennaio 1992 che ha istituito il registro dei revisori contabili, tenuto dal Ministero della giustizia. Suc-cessivamente, la Commissione ha preso l’iniziativa di avviare il dibattito sulla disciplina europea dei revisori contabili, attraverso la pubblicazione del Libro verde del 24 luglio 1996 sul ruolo, posizione e responsabilità del revisore legale dei conti nell’Unione europea (COM(96) 338, pubblicata sulla Gazzet-ta ufficiale C 321 del 28 ottobre 1996). In tale documento si sottolinea, in particolare, l’eccessiva dispa-rità oggi esistenti nelle legislazioni nazionali in tema di revisore contabile, pur dopo il recepimento dell’Ottava direttiva. La direttiva, infatti, appare eccessivamente vaga rispetto a questioni fondamentali, come la nozione di “indipendenza” o sul contenuto della stessa attività di revisione, che pure è essen-ziale per permettere una conoscenza corretta della società da parte dei soci, dei dipendenti, dei creditori e del pubblico più in generale. In seguito alla discussione originata dal Libro verde, la Commissione ha adottato una “Comunicazione della Commissione relativa alla revisione contabile nell’Unione europea: prospettive future” (C(1998) 1112 def. - Gazzetta ufficiale C 143 del 08 maggio 1998). Al Libro verde sono seguiti altri documenti istituzionali sull’argomento della revisione dei conti. Il più recente docu-mento è la comunicazione della Commissione “Rafforzare la revisione legale dei conti nella UE” del 21 maggio 2003, COM(2003) 286. La Comunicazione fa il punto della situazione, con riguardo alla disci-plina della revisione dei conti, e avanza diverse proposte per aggiornare l’Ottava direttiva.

58 Così come richiesto, per esempio, dal regolamento finanziario 1605/2002 in materia di certifi-cazione dei rendiconti dei programmi comunitari.

Page 96: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 70

n. 82/891 sulle scissioni (v. il d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22 che ha introdotto il Capo X del Libro V “della trasformazione, della fusione e della scissione”), che hano regolato la procedura per le operazioni straordinarie, in particolare per quel che concerne la redazione e pubblicità del progetto di fusione o scissione, nonché dei relativi documenti e informazioni.

L’interesse prioritario all’informazione è poi accompagnato dall’esigenza di armonizzare la disciplina sostanziale delle società. Oltre alle operazioni straordi-narie, è stata così armonizzata la procedura di costituzione delle società di capi-tali (per quanto riguarda il valore minimo, l’aumento, la riduzione, il divieto di acquistare azioni proprie), per mezzo della Seconda direttiva del 13 dicembre 1976 (d.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30, doveva essere recepita entro il 16 dicem-bre 1978); la disciplina delle ipotesi di nullità e di invalidità degli atti sociali (v. la Prima direttiva sopra citata); si è introdotto, inoltre, il concetto, estraneo in al-cuni ordinamenti come quello italiano, delle società unipersonali a responsabilità limitata (v. la Dodicesima direttiva del 21 dicembre 1989, n. 89/667, attuata con il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88).

La disciplina in materia societaria è oggetto, negli ultimi, anni di un proces-so di revisione per far fronte alle esigenze sorte a causa degli scandali finanziari e per adeguarla alle nuove tecnologie (come in materia di pubblicità)59.

7.2. I nuovi soggetti di diritto. – Il tema della soggettività appare, in qualche

modo, subordinato a quello dell’attività che i soggetti svolgono. In questa pro-spettiva il diritto dell’Unione non sembra porsi il problema di cosa debba inten-dersi per soggettività giuridica, facendo riferimento, implicitamente o esplicita-mente, ai criteri di identificazione presenti nei diritti nazionali. In particolare le fonti comunitarie considerano soggetti di diritto le persone fisiche ed i soggetti diversi dalle persone fisiche, costituiti in conformità della legislazione di uno sta-to membro60 oppure del diritto internazionale61, e che hanno la “capacità di es-sere titolari di diritti e obblighi di qualsiasi natura”62. ———

59 V. la comunicazione della Commissione “Piano d’azione sul governo societario”, COM(2003) 284 def. del 21 maggio 2003.

60 V. l’art. 4, par. 1, regolamento 2137/85. 61 Si pensi alla definizione contenuta nell’art. 4 del regolamento del Parlamento europeo e del

Consiglio n. 2321/2002 (relativo alle regole di partecipazione al Sesto Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico delle imprese, dei centri di ricerca e delle università, nonché alle regole di diffu-sione dei risultati della ricerca) in virtù del quale un “soggetto giuridico” è qualsiasi persona fisica o giuridica, costituita in conformità al diritto nazionale, applicabile nel suo luogo di stabilimento, al dirit-to comunitario o al diritto internazionale.

62 Cfr. l’art. 4 del citato regolamento n. 2321/2002.

Page 97: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 71

Il diritto privato comunitario, tuttavia, non si limita a disciplinare i soggetti sotto il profilo delle attività.

Sebbene “le questioni relative alla situazione e alla capacità delle persone fi-siche e alla capacità delle persone giuridiche sono disciplinate dalla legislazione nazionale” (undicesimo “considerando” del regolamento n. 2137/85), le fonti dell’Unione europea prevedono l’elaborazione di nuove tipologie di soggettivi diversi dalle persone fisiche.

Lo scopo è quello di creare forme giuridiche che permettano ai soggetti di diritto di cooperare a un livello effettivamente europeo (cfr. il primo “conside-rando” del regolamento 2137/85), superando così i residui impedimenti legali, fiscali e “psicologici”63, che permangono nonostante il principio del mutuo ri-conoscimento e l’armonizzazione prodotta dalle direttive comunitarie64. In par-ticolare, le fonti comunitarie mettono in evidenza la circostanza che i soggetti di diritto agiscono comunque nel quadro di una o più legislazioni nazionali che, seppure armonizzate a livello comunitario, presentano differenze più o meno marcate.

Per ovviare a questi problemi, il diritto comunitario istituisce soggetti, ca-ratterizzati da una composizione transnazionale e dalla caratteristica di operare principalmente in una dimensione europea. Tali soggetti, nelle intenzioni del le-gislatore comunitario, non si sostituiscono ma integrano i tipi conosciuti dagli ordinamenti nazionali.

La prima forma giuridica elaborata dal diritto comunitario è il “Gruppo Europeo di Interesse Economico” (G.E.I.E.), istituito con il regolamento (CE-E) n. 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 198565, e successivamente attuato in ciascuno degli stati membri66. Il G.E.I.E. è un contratto a causa associativa, sti-pulato tra almeno due persone fisiche o altri soggetti, che, rispettivamente, svol-gono la loro attività o hanno la sede legale o l’amministrazione in almeno due paesi comunitari diversi (art. 4, par. 2, regolamento 2137/85). Il Gruppo ha una propria soggettività in quanto “ha la capacità, a proprio nome, di essere titolare

——— 63 Come afferma il secondo “considerando” del regolamento n. 2137/85. 64 Cfr. il terzo “considerando” del regolamento 2157/2001 dell’8 ottobre 2001 relativo allo statu-

to della Società europea (SE). 65 Relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE), in Gazzetta uffi-

ciale n. L 199 del 31 luglio 1985, pp. 1-9. Il regolamento n. 2137 disciplina il contenuto del contratto che istituisce il Gruppo (art. 5), la registrazione (art. 6) e le forme di pubblicità degli atti (artt. 7 ss.) – il tutto con il richiamo delle direttive in materia di società – gli organi (art. 16), e altre disposizioni relati-ve al funzionamento e la chiusura.

66 In Italia l’attuazione del regolamento n. 2137/85 è avvenuta con d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240.

Page 98: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 72

di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio” (art. 1, par. 2, regolamento n. 2137/85). Esso ha per scopo quello “di agevolare o di sviluppare l'attività economica dei suoi membri, di migliorare o di aumentare i risultati di questa attività”. L’attività del G.E.I.E., pertanto, deve “collegarsi all'attività economica dei suoi membri e può avere soltanto un carattere ausiliario rispetto a quest’ultima” (art. 3, par. 1, regolamento n. 2137/85).

La Società per azioni Europea (SE), istituita con il regolamento n. 2157/2001 dell’8 ottobre 200167, parte dalla considerazione che vi sono soggetti economici di dimensione europea, ai quali però non corrisponde una forma giuridica di diritto comunitario (cfr. il sesto “considerando”), per la mancanza di un idoneo strumen-to legale. Lo scopo è allora la “costituzione e la gestione di società di dimensioni europee, senza gli ostacoli dovuti alla disparità delle legislazioni nazionali applica-bili alle società commerciali e ai limiti territoriali della loro applicazione” (setti-mo “considerando” del regolamento istitutivo). La SE permette, pertanto, a so-cietà di stati membri differenti di fondersi, di formare una holding o una filiale comune senza i problemi derivanti dalle differenze tra gli ordinamenti.

La SE è regolata come una società per azioni68, dotata di personalità giuri-dica, alla quale si applica la disciplina del regolamento ed in parte la legislazione nazionale delle sede, che comunque è sufficientemente armonizzata per effetto delle direttive comunitarie in materia societaria (cfr. il nono e altri “consideran-do” del regolamento). Il regolamento istituisce una gerarchia tra le regole appli-cabili alla SE (art. 9). All’apice della gerarchia delle fonti è posto lo stesso rego-lamento e lo statuto della SE in quanto richiamato dal regolamento. Per le mate-rie non disciplinate dal regolamento si applicano le norme nazionali riguardanti la SE o le altre società per azioni (norme per altro armonizzate dalle direttive comunitarie).

Il legislatore comunitario ha poi istituito la Società cooperativa europea (SCE) con regolamento 1453/2003 del 22 luglio 2003, per svolgere attività di carattere cooperativo69 a dimensione europea, che non avrebbero potuto utiliz-

——— 67 Una proposta per una società per azioni europea era stato già presentata dalla Commissione nel

1970 e modificata nel 1975. Il progetto era poi stato ripresentato nel Libro bianco sul completamento del mercato interno del giugno 1985.

68 Il regolamento regola, tra l’altro, la costituzione, il capitale minimo, il contenuto dello statuto, la messa in liquidazione.

69 Il settimo “considerando” del regolamento afferma che: “Le cooperative sono innanzi tutto gruppi di persone o persone giuridiche disciplinati da principi di funzionamento particolari, diversi da quelli applicabili agli altri operatori economici, tra cui il principio della struttura e del controllo demo-

Page 99: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 73

zare lo strumento del G.E.I.E e della SE. La previsione di una forma giuridica europea per le cooperative risponde, secondo il regolamento, alla necessità di assicurare un contesto favorevole alle sviluppo delle imprese cooperative, al pari delle altre imprese, così come anche richiesto dalle Nazioni Unite (v. il sesto “considerando” del regolamento)70.

La SCE ha per oggetto principale “il soddisfacimento dei bisogni e/o la promozione delle attività economiche e sociali dei propri soci, in particolare mediante la conclusione di accordi con questi ultimi per la fornitura di beni o di servizi o l’esecuzione di lavori nell’ambito dell’attività che la SCE esercita o fa esercitare. La SCE può inoltre avere per oggetto il soddisfacimento dei bisogni dei propri soci, promovendone nella stessa maniera la partecipazione ad attività economiche…di una o più SCE e/o di cooperative nazionali. La SCE può svol-gere le sue attività attraverso una succursale” (art. 1, par. 3, regolamento).

La normativa sulla SE e sulla SCE sono completate da due direttive che re-golano la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle società. Questa materia è stata stralciata dai testi dei regolamenti che istituiscono la SE e la SCE per ov-viare alle obiezioni di alcuni stati membri.

Per completare il panorama dei soggetti disciplinati dall’ordinamento co-munitario, si ricorda che sono in fase di proposta l’istituzione di una associazio-ne e di una muta europee. L’associazione europea si prefigge d'introdurre uno statuto europeo che consenta a tutto il mondo associativo e alle fondazioni di operare sul territorio della Comunità. La mutua europea è volta ad agevolare lo sviluppo delle attività transnazionali delle mutue, dotandole di adeguati stru-menti giuridici e tenendo conto delle loro specificità, in particolare delle loro fi-nalità d'interesse generale.

8. — La soggettività oltre il mercato. Da quanto detto nei paragrafi precedenti, può sembrare che il diritto comu-

——— cratici e la distribuzione degli utili netti d’esercizio su base equa.”. L’ottavo “considerando”, inoltre, afferma che “Detti principi particolari riguardano in particolare il principio della preminenza della per-sona che si riflette nelle norme specifiche riguardanti le condizioni di ammissione, di recesso e di esclu-sione dei soci; esso si concreta nella regola «una persona, un voto», nel senso che il diritto di voto è inerente alla persona; esso implica che i soci non possono esercitare diritti sugli attivi delle cooperati-ve”.

70 Risoluzione adottata dall’Assemblea generale dell’88a sessione plenaria delle Nazioni Unite, 19 dicembre 2001 (A/RES/56/114).

Page 100: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 74

nitario si interessi della soggettività giuridica soltanto con riferimento ai soggetti che hanno un ruolo nell’ambito del mercato, siano essi persone fisiche o sogget-ti diversi.

Tuttavia, l’introduzione, durante i cinquant’anni di integrazione europea, di nuove materie di competenza comunitaria, l’evoluzione del diritto derivato e l’interpretazione giurisprudenziale hanno condotto ad una disciplina molto più articolata del tema della soggettività.

Come si vedrà nei paragrafi successivi, il diritto comunitario ha esteso l’ambito soggettivo di applicazione della libertà di circolazione e di stabilimento; inoltre si sono attribuite situazioni giuridiche soggettive e si sono disciplinate materie, che non riguardano necessariamente il funzionamento del mercato.

In particolare va segnalato il processo di ampliamento delle competenze comunitarie, rispetto a quelle originarie, focalizzate sull’integrazione in senso eco-nomico. Questo processo è iniziato dal vertice dei capi di stato e di governo di Parigi dell’ottobre del 1972, durante il quale emerse la necessità che la Comunità si occupasse di materie quali l’ambiente, la politica sociale, l’energia, l’industria, la ricerca e lo sviluppo tecnologico, l’educazione. Queste materie furono com-piutamente disciplinate dai Trattati, in alcuni casi, solo dopo vent’anni.

Il riconoscimento costituzionale delle materie summenzionate è avvenuto, infatti, nel 1986, con l’“Atto unico”, e nel 1992, con il Trattato di Maastricht. L’Atto unico ha previsto la competenza in materia di ambiente, coesione e ri-cerca e sviluppo tecnologico. Il Trattato sull’Unione europea ha introdotto nuo-ve politiche comunitarie, quali l’istruzione e la politica culturale.

Prima del riconoscimento di queste materie, le istituzioni svolsero un’azio-ne abbastanza limitata, sulla base dell’art. 235 dell’allora Trattato CEE71, il quale prescriveva che

“Quando un’azione … risulti necessaria per raggiungere … uno degli scopi della Co-munità … il Consiglio deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, e do-po aver consultato il Parlamento europeo prende le disposizioni del caso”. 9. — Dalla nozione di lavoratore a quella di cittadino. Il diritto comunitario non considera le persone fisiche solo in quanto sog-

——— 71 Corrispondente all’art. 308 del Trattato sulla Comunità Europea e all’art. I-18 della Costituzio-

ne per l’Europa, intitolato “clausola di flessibilità”.

Page 101: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 75

getti del mercato e cioè consumatori, lavoratori dipendenti o autonomi. 9.1. L’attribuzione delle libertà fondamentali a persone diverse dai lavoratori. – Le li-

bertà fondamentali sono state progressivamente estese a soggetti diversi dai la-voratori.

Ciò è accaduto innanzitutto con riferimento ai familiari del lavoratore (an-corché questo sia in pensione o deceduto72), anche nel caso in cui essi non ab-biano la cittadinanza di uno degli stati comunitari73.

Le libertà ed i diritti previsti dai Trattati sono stati inoltre attribuiti ad altre tipologie di persone fisiche, le quali svolgono attività non riconducibili alla no-zione (seppure interpretata estensivamente) di lavoratore, per effetto di disposi-zioni dei Trattati che (implicitamente o esplicitamente) prevedono la libertà di circolazione delle persone fisiche.

E così è stata affermata la libertà di circolazione anche con riguardo ai de-stinatari dei servizi, come i turisti, per esempio74.

I diritti spettanti ai lavoratori sono stati estesi anche agli studenti di ogni or-dine e grado. La libertà di circolazione degli studenti fu riconosciuta, in un primo momento, dalla giurisprudenza comunitaria. Nella sentenza Gravier del 13 febbraio 198575 e nella sentenza Blaizot del 12 febbraio 198876, il giudice ha affermato il principio di non discriminazione tra cittadini europei per quanto riguarda l’accesso all’istruzione superiore, in quanto considerata parte integrante della formazione professionale. La libertà di circolazione degli studenti fu ulteriormente affermata dalla base giuridica dei programmi comunitari nel settore dell’istruzione, adottati in seguito alla giurisprudenza Gravier e Blaizot, tra i quali il programma Erasmus.

Con l’Atto unico e il Trattato di Maastricht la libertà di circolazione degli stu-denti e dei ricercatori (indipendentemente se questi possono essere qualificati “la-voratori”) è stata disciplinata, rispettivamente, dagli articoli 149, par. 2 e dell’art. 164, par. 1, lettera d), Trattato CE.

——— 72 Ai sensi dell’art. 2 del citato regolamento 1251/1970v. sul punto la sentenza della Corte di giu-

stizia 9 gennaio 2003, Nani Givane e aaltri/Secretary od State for the Home Department, C-257/2000, Racc. 2003, p. I-345.

73 V. direttiva n. 90/364/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990 relativa al diritto di soggiorno; v. Corte di giustizia, 17 settembre 2002, Baumbast e R/ Secretary of State for the Home Department, C-413/99, Racc. 2002, p. I-7091

74 V. Corte di giustizia, 19 gennaio 1999, Calfa, C-348/96, Racc. 1999, p. I-11; Id., 2 febbraio 1989, Cowan, 186/87, Racc. 1989, p. 195, punto 15.

75 Corte di giustizia, 13 febbraio 1985, Gravier /Ville de Liège, Racc. 1985, p. 593. 76 Corte di giustizia, 2 febbraio 1988, Blaizot/Université de Liège e altri, Racc. 1988, p. 379.

Page 102: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 76

La libertà di circolazione è inoltre assicurata alle persone che partecipano agli “scambi culturali non commerciali” (art. 151, par. 2, Trattato CE).

9.2. La cittadinanza dell’Unione europea. – Ma il riconoscimento comunitario

delle persone fisiche non dipende più nemmeno dallo svolgimento di una parti-colare attività considerata rilevante per il Trattato di Roma.

Ciò è avvenuto soprattutto con l’introduzione della nozione di “cittadinan-za dell’Unione europea”, ai sensi del Trattato di Maastricht77, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (allegata al Trattato di Nizza del 2001).

In base al secondo paragrafo dell’art. 17 del Trattato CE, modificato dal Trattato di Maastricht, infatti, “I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato”. Tutte le persone fisiche, pertan-to, per il solo fatto di essere “cittadini” dell’Unione godono della più ampia ca-pacità per l’ordinamento comunitario, e ciò indipendentemente dalla qualifica di “lavoratori”, ai sensi dell’art. 39 o dell’applicazione delle disposizioni riguardanti le categorie, di cui si è parlato e cioè studenti, docenti, ricercatori, destinatari dei servizi, e così via78.

9.3. I diritti riconosciuti alle persone fisiche dal diritto comunitario. – Il contenuto

delle situazioni giuridiche attribuite alle persone fisiche non riguarda soltanto la libertà di circolazione ed i diritti patrimoniali connessi.

A partire dalle libertà di circolazione dei lavoratori, infatti, si riconoscono i cosiddetti “diritti sociali” tra i quali “l’occupazione, il miglioramento delle con-dizioni di vita e di lavoro che consenta la loro [riferita ai lavoratori] parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata” (v. l’art. 136 Trattato CE, non-ché l’art. 137 Trattato CE; v. anche la Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavora-tori del 1989). Per rendere effettiva la mobilità e l’occupazione transeuropea, il diritto comunitario prevede il riconoscimento dei diplomi79, dei certificati e de-

——— 77 Ai sensi dell’Art. 17 (ex art. 8) “1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’U-

nione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.”

78 V. la sent. Corte di giustizia, 7 settembre 2004, Troiani, C-456/02, cit.. 79 V. le direttive sulle professioni regolate (quelle per il cui esercizio è necessaria una pubblica au-

torizzazione: medici, avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, geometri, revisori contabili, e così via): la direttiva del Consiglio 89/48/CEE del 21 dicembre 1988 (riguardante le professioni per le quali

Page 103: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 77

gli altri titoli, tra i quali si possono comprendere anche le patenti di guida80. Nel diritto comunitario, inoltre, sono riconosciuti alle persone fisiche i “di-

ritti umani fondamentali”, sebbene i Trattati istitutivi non facevano riferimento a tali diritti. Secondo il giudice comunitario, infatti, i diritti umani fondamentali operano per la sola circostanza che sono formulati nelle costituzioni degli stati membri e nelle norme internazionali, quali le convenzioni elaborate in seno al Consiglio d’Europa (come affermato almeno fin dalla sentenza nella causa “Stauder” della Corte di giustizia del 12 novembre 1969, a cui è seguita una co-piosa giurisprudenza). La giurisprudenza ha così riaffermato, anche nell’ordina-

——— è necessario un titolo di alta formazione di almeno tre anni) e la direttiva del Consiglio 92/51/CEE del 18 giugno 1992 per le professioni, per le quali è richiesto un periodo di studio minore. Nelle intenzioni della Commissione, saranno sostituite presto da un’unica direttiva: v. la Comunicazione, “Piano d’azione della Commissione per le competenze e la mobilità”, COM(2002) 72 del 13 febbraio 2002, di cui si parlerà anche a proposito del tema della mobilità). Il sistema previsto dalle due direttive non im-pone un riconoscimento automatico dei titoli, ma prescrive l’autorizzazione di uno stato al cittadino di un altro stato dell’Unione all’esercizio della professione che questi svolge nel paese di origine. In alcuni casi è previsto il riconoscimento automatico: medico, dentista, infermiere, veterinario, farmacista, oste-trica e architetto. Per le professioni non regolate non è stabilito un riconoscimento e l’attività relativa può essere svolta in ogni paese dell’Unione in base alla regola della libertà di circolazione. È comunque nelle intenzioni della Commissione stabilire un quadro giuridico anche per tali professioni. V. la Co-municazione, Piano d’azione della Commissione per le competenze e la mobilità, cit.

80 Le differenze di legislazione tra stati membri in tema di licenze di guida, fu oggetto della sen-tenza della Corte di giustizia 28 novembre 1978, Choquet, 16/78, Racc. 1978, p. 2293. Michel Choquet, cittadino francese, si era stabilito nella Repubblica federale tedesca, dove gli era stata elevata contrav-venzione, perché in possesso della sola licenza di guida rilasciata in Francia. Choquet proponeva ricor-so contro il provvedimento; il giudice competente interpellava, con domanda di pronunzia pregiudizia-le, la Corte di giustizia Europea, in merito al possibile contrasto tra la legislazione tedesca in materia di patenti di guida e gli articoli, 48, 52 e 59 del Trattato CEE. In base alla normativa tedesca, infatti, i tito-lari di patenti straniere, stabilitisi da più di un anno nel territorio della Repubblica Federale, erano ob-bligati a conseguire una patente di guida tedesca. Nella sentenza il giudice comunitario ha ritenuto che non si potesse invocare il riconoscimento automatico delle patenti di guida, date le notevoli differenze allora esistenti tra le normative nazionali. Di conseguenza, le condizioni imposte da uno stato membro per il riconoscimento delle patenti di guida, rilasciate da un altro stato membro, alle persone stabilite nel suo territorio non potevano considerarsi, di per sé, ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento o di prestazione di servizi. Sempre secondo la Corte, le normative di uno stato membro sarebbero state in contrasto con il diritto comunitario solo qualora la loro applicazione avesse comportato difficoltà tali da pregiudicare il libero esercizio dei diritti di cui agli art. 48, 52, 59 del Trattato CEE. In ogni modo la giurisprudenza Choquet evidenziò il problema ed aprì la strada ad un primo intervento normativo, rappresentato dalla direttiva 80/1263/CE del 1980. In base alla direttiva in parola, la validità delle patenti di guida emesse da uno stato membro non era più subordinata al su-peramento di test teorici, pratici e medici in un altro stato. I guidatori dovevano, infatti, soltanto sosti-tuire formalmente la loro patente entro un anno dal cambio di residenza. Molto più incisivo fu l’intervento operato con la successiva direttiva 91/439/CE del 1991. La direttiva 91/439 ha stabilito, infatti, il principio di mutuo riconoscimento per le patenti e ha abolito l’obbligo di sostituzione della patente di uno stato membro con quella dello stato di nuova residenza. Inoltre si è previsto che le pa-tenti nazionali fossero conformi al modello comunitario, descritto nell’allegato I della direttiva.

Page 104: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 78

mento comunitario, diritti come la libertà di espressione81, il rispetto della vita privata82; il diritto di proprietà e di esercizio di un’attività professionale83.

Il Trattato di Maastricht ha previsto un primo riconoscimento costituziona-le dei diritti umani nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea: “L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle li-bertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri” (art. 6, par. 1, Trattato UE). Il Trattato individua in modo generale il contenuto di questi principi, prescrivendo che “L’Unione rispetta i diritti fon-damentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario” (art. 6, par. 2, Trattato UE).

Una disciplina organica del contenuto di tali diritti è stata introdotta suc-cessivamente (seppure come obbligo per gli stati membri) con la Carta dei diritti fondamentali, allegata al Trattato di Nizza del 2001 e oggi (questa volta in modo direttamente applicabile ai soggetti di diritto) nella Costituzione per l’Europa, che ha tra i suoi obiettivi dichiarati quello di realizzare uno “spazio europeo di libertà e giustizia”. I diritti riconosciuti sono quelli tradizionalmente attribuiti dalle costituzioni nazionali (si pensi al diritto alla vita, alla libertà di pensiero e di espressione, alla libertà di associazione, all’integrità fisica), ma anche veri e pro-pri diritti e libertà di nuova generazione, sconosciuti negli ordinamenti nazionali o regolati da fonti ordinarie: il diritto alla protezione dei dati di carattere perso-nale (art. 8, Carta dei diritti fondamentali; v. il saggio di V. Colcelli nel prossimo capitolo dal titolo “Riservatezza e trattamento dei dati personali nella normativa dell’Unione europea”); il diritto alla libertà e al pluralismo dei media (art. 11); la libertà accademica (art. 13); il diritto di asilo (art. 18) e la protezione in caso di al-lontanamento, di espulsione e di estradizione (art. 19); i diritti del bambino (art. 24), dell’anziano (art. 25) e del diversamente abile (art. 26); l’accesso ai servizi di interesse economico generale (art. 36); la protezione dei consumatori (art. 38).

La Corte di giustizia ritiene che tali diritti, siano di carattere economico-sociale o di altro genere, vanno interpretati in modo coerente, attraverso il loro bilanciamento reciproco84.

——— 81 V., per esempio, Corte di giustizia, 26 giugno 1997, Vereinigte Familiapress Zeitungsverlags- und ver-

triebs GmbH / Bauer Verlag, C-368/95, Racc. 1997,p. I-3689. 82 V., per esempio, Tribunale di primo grado, 15 maggio 1997, N / Commissione, T-273/94, Racc.

1997, p. II-289, v. punti 68, 71-74 83 V. infra, cap. 3.

Page 105: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 79

10. — I soggetti diversi dalle persone fisiche. Anche a proposito dei soggetti diversi dalle persone fisiche, si osserva co-

me il diritto comunitario non dia rilievo soltanto a coloro che svolgono attività economica. E’ il caso degli enti non profit, degli enti pubblici, degli enti che si oc-cupano di istruzione e di ricerca. Per tali soggetti, anzi, il diritto comunitario ha comportato in molti casi una modifica importante del ruolo assegnato dagli or-dinamenti nazionali.

10.1. Gli enti non profit. – Come si è visto, l’art. 48 del Trattato CE sembra

dare rilievo soltanto alle società con scopo lucrativo, mentre non pare prendere in considerazione altri soggetti. Si tratta soprattutto di quelle organizzazioni che, secondo le legislazioni nazionali, non sono costituite per lo svolgimento di attività economiche. È il caso delle associazioni, delle fondazioni e delle cooperative.

In realtà tali soggetti sono presi in considerazione, a diverso titolo, dalle fonti e dalla giurisprudenza comunitaria.

Innanzitutto i soggetti in parola sono rilevanti in quanto possono incidere sull’applicazione delle norme dei Trattati, principalmente quelle che istituiscono le libertà fondamentali. Nella giurisprudenza comunitaria, per esempio, si affer-ma che “L’art. 48 [oggi art. 39] del Trattato si applica a norme emanate da asso-ciazioni sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi professionisti esercitano un’attività retribuita” e che “Ai fini dell’applicazione delle norme comunitarie relative alla libera circolazione dei lavoratori, non è necessario che il datore di lavoro abbia la qualità di imprenditore, giacché il solo elemen-to richiesto è l’esistenza di un rapporto di lavoro o la volontà di instaurare tale rapporto”85.

Da quanto si è detto a proposito della nozione comunitaria di impresa, i-noltre, gli enti non profit possono svolgere attività economica e quindi, a pieno titolo, rientrano nell’ambito di applicazione di normative comunitarie, come quella sulla concorrenza o la legislazione applicabile alle PMI.

La stessa definizione di attività economica è stata intesa in modo ampio. Infatti tra le “società” l’art. 48 pone le società cooperative, che le legislazioni na-zionali non considerano di carattere lucrativo. Le fonti comunitarie derivate, in-

——— 84 V. Corte di giustizia, 21 Settembre 1999, Albany, C-67/96, Racc. 1999, p. I-5751. 85 V. le massime della sentenza della Corte di giustizia, 15 dicembre 1996, Union royale belge des socié-

tés de football association ASBL e altri/Bosman, C-415/93, Racc., 1995, p. I-04921.

Page 106: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 80

fatti, precisano che le cooperative costituiscono imprese ad economia socia-le86, così come le associazioni, le fondazioni, le mutue87. Le imprese ad eco-nomia sociale hanno quale obiettivo primario quello di “fornire servizi ai propri membri o a una comunità più ampia” e non hanno come scopo principale il profitto88.

I soggetti di cui si sta parlando sono inoltre considerati rilevanti per il dirit-to comunitario al di là dello svolgimento di un’attività economica, seppure ri-conducibile alla nozione di “economia sociale”.

La stessa disciplina della società cooperativa europea, le proposte di rego-lamentazione dell’associazione, della fondazione e della mutua europea, eviden-ziano una rilevanza che prescinde dal concreto svolgimento dell’attività econo-mica.

Il diritto comunitario, inoltre, prende in considerazione gli enti non profit, con riferimento a competenze comunitarie, molto spesso di recente attribuzio-ne, quali la politica sociale (di cui all’art. 136 ss. Trattato CE)89, la ricerca (artt.

——— 86 V. il Libro verde della Commissione, “L’imprenditorialità in Europa”, COM(2003) 27, del 21

gennaio 2003. 87 Sull’importanza dell’economia sociale v. anche le conclusioni del Consiglio europeo di Lussem-

burgo del novembre 1997; l’istituzione della nuova voce di bilancio “terzo settore e impiego”, per ope-ra del Parlamento; i libri bianchi della Commissione sulle cooperative e le mutue; la Comunicazione della Commissione “Promuovere il ruolo delle fondazioni e delle organizzazioni di volontariato in Eu-ropa” (In questa comunicazione la Commissione propone una serie di provvedimenti per sostenere l’economia sociale: acquisizione di competenze adeguate per la comprensione del settore; adozione di forme di partneariato, nonché regimi fiscali e giuridici favorevoli; formazione degli operatori; migliore accesso ai fondi strutturali); il nuovo regolamento FSE, che all’art. 3, par. 1, lettera d) fa riferimento alla possibilità di destinare i fondi ad attività che rientrano nell’economia sociale, il parere del Comitato economico del 2 marzo 2000, sul tema “L’economia sociale ed il mercato unico”.

88 V. la comunicazione della Commissione sulla promozione delle società cooperative in Europa, COM (2004) 18, del 23 febbraio 2004, che così individua i caratteri delle cooperative europee: “Le co-operative operano nell'interesse dei loro membri, che sono al tempo stesso utilizzatori, e non sono ge-stite nell'interesse di investitori esterni. I profitti sono percepiti dai membri in proporzione alle loro transazioni con la cooperativa; le riserve e gli attivi sono detenuti in comune, non sono distribuibili e sono utilizzati nell'interesse comune dei membri. Poiché i legami personali tra i membri sono di norma stretti e importanti, le nuove adesioni sono soggette ad un’approvazione, mentre il diritto di voto non è necessariamente proporzionale alla quota detenuta (una persona, un voto). La dimissione di un mem-bro conferisce a quest’ultimo il diritto al rimborso della quota e determina una riduzione del capitale. Tutte le cooperative agiscono nell'interesse economico dei loro membri e alcune di esse, inoltre, perse-guono obiettivi sociali o ambientali più ampi, nell'interesse dei loro membri e nell’interesse collettivo più generale” (Introduzione, par. 1.1).

89 V. la dichiarazione n. 23 allegata al Trattato di Maastricht “sulla cooperazione con le associa-zioni di solidarietà sociale”, secondo la quale: “La conferenza sottolinea l’importanza che riveste, per il perseguimento degli obiettivi dell’art. 136 del trattato che istituisce la Comunità europea, una coopera-zione tra quest’ultima e le associazioni e le fondazioni di solidarietà sociale, in quanto organismi re-sponsabili di istituti e servizi sociali”.

Page 107: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 81

163 ss. Trattato CE), l’istruzione e la formazione (artt. 149 ss. Trattato CE), la cultura (articoli 151 ss. Trattato CE), l’ambiente (artt. 174 ss. Trattato CE), lo sport (v. la dichiarazione n. 29 allegata all’Atto unico europeo e soprattutto l’art. III-282, par. 1, c. 2, della Costituzione per l’Europa) e le altre materie di cui si occupano soggetti come le associazioni o le fondazioni. L’azione comunitaria in queste materie – seppure spesso limitata al coordinamento, all’integrazione o al sostegno, come si esprime la Costituzione per l’Europa – presuppone il pieno riconoscimento della soggettività giuridica dei soggetti coinvolti nella partecipa-zione ai programmi, nella mobilità e nelle attività di collaborazione transfronta-liera.

Come è accaduto per le persone fisiche, anche per i soggetti diversi il dirit-to comunitario prevede un riconoscimento più ampio, che non è legato allo svolgimento di una particolare attività. Il diritto di costituire soggetti che perse-guono finalità politiche, sindacali, civili, religiose è di fatti sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. l’art. 12 della Carta, intitolato alla libertà di riunione e associazione, che diventerà l’art. III-12 della Costituzione per l’Europa, nonché le disposizioni riguardanti la libertà di religione).

A fronte di questo ampio riconoscimento, si avanza semmai il dubbio se non si debba intervenire per armonizzare la disciplina di questi soggetti e se non sia necessario applicare le norme sul funzionamento del mercato in modo da tenere conto delle specificità degli enti non profit90.

Da quanto detto, si ritiene, pertanto, che l’art. 48 stabilisce implicitamente il riconoscimento reciproco dei soggetti diversi dalle persone fisiche, qualunque sia la forma giuridica prevista dagli ordinamenti nazionali e quale che sia il con-tenuto dell’attività svolta.

10.2. Gli enti pubblici e gli altri soggetti di diritto pubblico. – Il diritto comunitario

si occupa a vario titolo dei soggetti che sono disciplinati dal diritto pubblico. Come accade anche negli ordinamenti nazionali, si tratta di soggetti tra loro molto diversi: soggetti appartenenti al “settore pubblico”, soggetti privati incari-cati di “missione di servizio pubblico”, soggetti che erogano servizi di interesse generale.

I soggetti appartenenti al “settore pubblico” sono definiti “enti pubblici”91. ———

90 Sul punto, v. M. GALDI, Il ruolo del terzo settore nella realizzazione dei diritti sociali in Europa, in S.Prisco, a cura di, Unione europea e limiti sociali del mercato, Torino, 2002, p. 73 ss.

91 V. art. 54, par. 2, par. 2, lettera c), regolamento 1605/2002 del Consiglio del 25 giugno 2002 che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee. Cfr.,

Page 108: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 82

Si tratta di pubbliche autorità o di soggetti istituiti ai sensi di una normativa pubblicistica dallo stato o da uno dei suoi organismi. Questi soggetti, seppure dotati di personalità giuridica autonoma, agiscono per conto dello stato nei limi-ti della loro specifica aerea di competenze92.

Il diritto comunitario chiama spesso “enti pubblici” soggetti di diritto pri-vato ai quali la legge attribuisce una “missione di servizio pubblico”93. Esempi di enti pubblici di questo tipo sono gli istituti di istruzione secondaria e superio-re e le università che rilasciano titoli riconosciuti dallo stato (v. in particolare il paragrafo successivo).

Le fonti individuano, inoltre, i soggetti che erogano “servizi di interesse e-conomico generale”, e cioè “alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l'energia e la comunicazione. Tuttavia, il termi-ne si estende anche a qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico”94. I soggetti che erogano i servizi di interesse economico ge-nerale possono essere gli enti pubblici di cui si è detto sopra, ma anche soggetti privati e partenariati tra enti pubblici e soggetti privati.

I servizi di interesse economico generale sono generalmente sottoposti ad una normativa particolare e sotto la responsabilità della pubblica amministra-zione. Infatti tal servizi avrebbero un “prezzo … troppo elevato per i consuma-tori che hanno un basso potere d'acquisto o perché il costo di fornitura non può essere coperto soltanto dal prezzo di mercato”95.

I criteri utilizzati per identificare i soggetti pubblici sono pertanto molto di-versi tra loro96. Il dato comune a soggetti così diversi è che, per ragione di pub-——— inoltre, l’art. 2, n. 31, del regolamento 2321/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 di-cembre 2002. Cfr. anche la nota della Direzione Generale della Ricerca – Direzione A – Coordinamen-to delle azioni comunitarie del 3 novembre 2003 avente ad oggetto “Public bodies in FP6 contracts”.

92 V. la definizione contenuta nel documento “Public bodies in FP6 contracts”, citato, par. 1. 93 Nel diritto comunitario, l’espressione “servizio pubblico”, Come si afferma nel Libro verde …

“può avere significati diversi … In alcuni casi, si riferisce al fatto che un servizio è offerto alla colletti-vità, in altri che ad un servizio è stato attribuito un ruolo specifico nell’interesse pubblico e in altri an-cora si riferisce alla proprietà o allo status dell'ente che presta il servizio”. Per evitare confusione con l’altro significato di “ente pubblico”, che si è utilizzata sopra, per “servizio pubblico” qui può intender-si quello che risponde ad un particolare interesse pubblico dall’ordinamento.

94 V. il Libro verde sui “Servizi di interesse generale”, COM (2003)270, par. 17. 95 Libro verde sui “Servizi di interesse generale”, cit., punto 22 ss. Nella sua Comunicazione “I

servizi di interesse generale in Europa” (2001/C 17/04), la Commissione ha spiegato i tre principi che regolano l’applicazione di queste disposizioni, vale a dire i principi di neutralità, libertà di definizione e proporzionalità

96 Le classificazioni degli enti pubblici variano da autore ad autore, come, del resto, gli stessi crite-ri per l’identificazione del carattere “pubblico” di un ente. Sul punto v., per esempio, GALATERIA, STI-PO, Diritto amministrativo. L’organizzazione, Roma, 1984. Gli autori, in particolare, sostengono “non esiste

Page 109: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 83

blico interesse, essi ricevono una disciplina speciale, rispetto a quanto previsto per i soggetti privati (cfr. l’art. 11 c.c. e le altre normative97).

Ma mentre nel diritto italiano, la definizione di ente pubblico è legata so-prattutto ad indici formali, nel diritto comunitario si fa riferimento all’attività effettivamente svolta. E’ in proposito significativa la sentenza della Corte di giu-stizia del 20 settembre 1998, nella causa Gebroeders Beentjes BV98, con la quale è stata data alla nozione di “amministrazione aggiudicatrice” una interpretazione funzionale. Ai sensi dell’art. 1, par. 2, n. 9 della direttiva 2004/18/CE si consi-derano “amministrazioni aggiudicatici”: lo stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico. Riguardo al concetto di organismo di diritto pubblico, la Corte ha precisato che “la finali-tà della direttiva, consistente nella effettiva attuazione della libertà di stabilimen-to e della libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici, sa-rebbe infatti compromessa se l’applicazione del regime della direttiva dovesse essere esclusa per il solo fatto che un appalto di lavori pubblici è stato aggiudi-cato da un ente che, pur essendo stato creato per svolgere funzioni attribuitegli dalla legge, non rientra formalmente nell'amministrazione statale. Di conse-guenza, si deve ritenere che un organismo le cui funzioni e la cui composizione sono, come nella fattispecie, contemplate dalla legge e che dipende dalla pubbli-ca amministrazione per quanto riguarda la nomina dei suoi membri, la garanzia degli obblighi derivanti dai suoi atti e il finanziamento degli appalti anch’esso ha il compito di aggiudicare, rientri nella nozione di Stato ai sensi della summen-zionata disposizione, anche se formalmente non fa parte dello Stato”(punti 11 e 12 della motivazione). La sentenza in parola, pertanto, identifica il concetto di “organismo di diritto pubblico”, attraverso tre elementi: la personalità giuridica, il perseguimento di interessi di carattere non industriale e commerciale e la pre-valenza di finanziamento pubblico99. ——— … un genus unitario o, quantomeno, omogeneo di ente pubblico ma esistono più modelli differenziati in relazione alle varie funzioni da svolgere” (p. 17). Si propone di individuare più modelli di ente pub-blico e, all’interno di ogni modello, stabilire i criteri di appartenenza.

97 Il carattere di ente pubblico viene attribuito con criteri diversi da diverse fonti. V., per esempio, la disciplina del pubblico (v. art. 1, c. 2, d.lgs. 29/1993); la normativa sugli appalti (v. combinato dispo-sto art. 2 e Allegato 7 dei decreti legislativi che hanno attuato le direttive comunitarie in materia), e così via.

98 Corte di giustizia, 20 settembre 1988, Gebroeders Beentjes BV/ Stato dei Paesi Bassi, C 31/87, Racc. 1988, p. 4635.

99 Importanti appaiono in proposito anche due sentenze emesse nella stessa data (Corte di giusti-zia, 17 dicembre 1998, Connemara Machine Turf, C 306/07, Racc. 1998, p. I-8761; Id., 17 dicembre 1998,

Page 110: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 84

Il diritto comunitario riconosce alcune delle posizioni di privilegio che negli stati membri sono assegnate ai soggetti pubblici.

Questo accade solo per i soggetti appartenenti al settore pubblico, come si sono definiti sopra. Tali soggetti sono considerati sottratti alla Convenzione di Bruxelles sul riconoscimento delle sentenze in materie di contratti, in quanto a-giscano nell’esercizio della potestà di imperio riconosciuta dalla legge100.

Ma gli enti pubblici sono, d’altro canto, assoggettati alle altre norme comu-nitarie101.

In particolare il diritto comunitario considera come non eccezionale l’ipotesi in cui tali soggetti svolgano un’attività economica. In questo caso si può parlare, qualora ne ricorrano i presupposti, di “imprese pubbliche”, che, come si è antici-pato, rientrano nella più generale definizione di impresa per il diritto comunitario.

Il Trattato non contiene una definizione di impresa pubblica. Per la giuri-sprudenza, queste imprese si caratterizzano per essere soggette all’influenza del-le pubbliche autorità, che possono condizionarne le decisioni per scopi di inte-resse generale102. Il diritto derivato103 ha definito l’impresa pubblica come

“ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possano esercitare, direttamen-te o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina”104.

——— Commissione/Irlanda, C 353/96, Racc. 1998, p. I-8565) ove la Corte di giustizia ha definito amministra-zione aggiudicatrice un’entità come il Coillte Teoranta (Ufficio delle Foreste-Irlanda) in quanto autorità pubblica i cui appalti di forniture sono soggetti al controllo, seppure indiretto, dello stato. Infatti la Corte di Giustizia in tal caso ha stabilito che: “Una tale entità, che è dotata di personalità giuridica e non aggiudica appalti pubblici per conto dello Stato o di un ente locale, non può essere considerata come lo Stato o un ente pubblico territoriale, ma costituisce un ente equivalente a persone giuridiche di diritto pubblico, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1, lett. b), e dell’allegato I, punto VI (Irlanda), della direttiva 77/62, in quanto lo Stato può esercitare un controllo sull’aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture quanto meno indirettamente”.

100 Corte di giustizia 14 ottobre 1976, LTU, 29/76, Racc. 1976, p. 1541, punto 3; Id., 16 dicembre 1980, Rüffer, 814/79, Racc. 1980, p. 3807, punto 7; Id., 14 novembre 2020, C-271/00, Baten, Racc. I-10489, punto 28.

101 Si pensi alla disciplina comunitaria nelle seguenti materie: il mercato interno, la concorrenza e gli aiuti di stato, la libera circolazione, la politica sociale, i trasporti, l'ambiente, la sanità, la politica dei consumatori, le reti transeuropee, l'industria, la coesione economica e sociale, la ricerca, gli scambi e la cooperazione allo sviluppo, la fiscalità.

102 Corte di giustizia, 6 luglio 1982, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione, 188-190/80, Racc. 1982, p. 2545.

103 V. art. 2 direttiva 80/723/CEE della Commissione del 25 giugno 1980, relativa alla trasparen-za delle relazioni finanziarie tra gli stati membri, modificata dalla direttiva 2000/52/CE.

104 Cfr. anche direttiva 93/38/CEE del Consiglio sulle procedure negli appalti nei settori esclusi; Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle regole di concorrenza al settore postale e

Page 111: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 85

L’influenza dominante è presunta nel caso in cui i poteri pubblici, direttamente o indirettamente:

a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;

b) dispongono della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall’impresa, oppure

c) possono designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di-rezione, di vigilanza dell’impresa.

Non è necessario che l’impresa pubblica sia un’entità giuridica autonoma; può essere anche parte integrante della pubblica amministrazione che si trova in una posizione privilegiata per influenzare l’esercizio dell’impresa105. Ai fini della no-zione comunitaria di impresa pubblica, è irrilevante che questa svolga la propria attività secondo modalità privatistiche o pubblicistiche106.

Secondo il punto di vista del diritto comunitario, quando la pubblica auto-rità decide di utilizzare o far utilizzare a propri organismi (come sono le imprese pubbliche) i poteri e le facoltà comprese nel tradizionale concetto dell’attività di diritto privato, essi devono comportarsi come i privati, cioè seguendo le stesse regole fondamentali107.

L’attività delle imprese pubbliche è quindi soggetta alla disciplina della con-correnza, quasi nello stesso modo delle altre imprese.

L’art. 86 del Trattato CE, stabilisce al paragrafo 1 che “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi”. La stessa sorte subiscono le imprese “incaricate di servizi di interesse eco-

nomico generale”, in base al paragrafo 2 dell’art. 86108. L’applicazione delle re-——— sulla valutazione di alcune misure statali relative ai servizi postali, in G.U.C.E. C 39 del 6 febbraio 1998.

105 Corte di giustizia sentenza 16 giugno 1987, Commissione/Italia, 118/85, Racc. 1987, p. 2599; Id., 27 ottobre 1993, Taillander, C-92/91, Racc. 1993, p. I-5383; Id., 27 ottobre 1993, Decoster, C-69/91, Racc. 1993, p. I-5335.

106 Corte di giustizia, 6 luglio 1982, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione, 188-190/80, cit. 107 E. PICOZZA, Diritto amministrativo, Torino, 2003, p. 380. 108 Per il Libro verde sui servizi pubblici di interesse generale (COM (2003) 270) “L’espressione

“servizi di interesse economico generale” è utilizzata negli articoli 16 e 86, par. 2 del trattato. Non è definita nel trattato o nella normativa derivata. Tuttavia, nella prassi comunitaria vi è ampio accordo sul

Page 112: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 86

gole sulla concorrenza avviene “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”. In ogni modo “Lo sviluppo degli scambi non deve essere compro-messo in misura contraria agli interessi della Comunità”.

Sempre a proposito del rispetto del diritto comunitario da parte degli orga-nismi pubblici, i servizi di interesse generale, inoltre, sono soggetti alla disciplina che tutela i consumatori e gli altri utenti, primi tra tutti le imprese109. Ciò indi-pendentemente se tali servizi siano o meno erogati da enti pubblici. Conforme-mente all’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’Unione riconosce e rispetta l’accesso ai servizi di interesse economico generale al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell’Unione.

La disciplina comunitaria sui servizi di interesse generale, di conseguenza, ha comportato profonde novità nei rapporti giuridici che ne derivano. Nel regime tradizionale dei servizi pubblici, gli utenti erano meri destinatari di un’attività pro-pria dell’amministrazione, riservatale dalla legge. I fruitori dei servizi beneficiavano indirettamente dell’attività svolta dall’amministrazione nell’ambito del rapporto con l’esercente. Il loro interesse, in altri termini, era soddisfatto nella misura in cui veniva compreso in quello curato dall’amministrazione e, in quanto tale, risulta-va privo di tutela diretta110. Oggi l’art. 16 del Trattato CE, oltre al già citato art. 36 della Carta dei Diritti Fondamentali (v. anche il combinato degli art. II-96 e III-122 della Costituzione per l’Europa) dispone che la Comunità e gli Stati membri “provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condi-zioni che consentano loro di assolvere i loro compiti”. Questi principi includo-no: “la buona qualità del servizio, elevati livelli di protezione sanitaria e di sicu-

——— fatto che l’espressione si riferisce a servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. Il con-cetto di servizi di interesse economico generale riguarda in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione.” (par. 17).

109 V. il Libro verde sui servizi di interesse generale, cit., par. 62, ricorda che: “Nei servizi di inte-resse generale, le norme orizzontali di tutela dei consumatori si applicano analogamente a quanto av-viene negli altri settori dell'economia. Inoltre, a causa della particolare rilevanza economica e sociale di questi servizi, sono state adottate nella normativa comunitaria settoriale specifiche misure per rispon-dere alle esigenze dei consumatori e delle imprese, compreso il loro diritto all’accesso a servizi interna-zionali di alta qualità. I diritti dei consumatori e degli utenti sono stabiliti nella normativa specifica per i settori delle comunicazioni elettroniche, dei servizi postali, dell'energia (elettricità, gas), dei trasporti e della radiodiffusione. La strategia della politica dei consumatori 2002-2006 della Commissione ha defi-nito i servizi di interesse generale come uno dei settori politici in cui è necessario un intervento per garantire un elevato livello di tutela dei consumatori. Ad esempio, nel trasporto aereo, questo com-prende misure contro l’over-booking e un piano di risarcimento per l’imbarco negato”.

110 G. NAPOLITANO, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova, 2001, p. 567 ss.

Page 113: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 87

rezza fisica dei servizi, la trasparenza (ad esempio, sulle tariffe, sui contratti, sul-la scelta e il finanziamento dei fornitori), la scelta del servizio, la scelta del forni-tore, l’effettiva concorrenza fra i fornitori, l’esistenza di organismi di regolamen-tazione, la disponibilità di meccanismi di ricorso, la rappresentanza e la parteci-pazione attiva di consumatori ed utenti alla definizione e alla valutazione dei servizi e alla scelta delle modalità di pagamento”. Si sottolinea, inoltre, come “l’accesso universale, la continuità, l’elevata qualità e l’accessibilità dei prezzi rappresentino i cardini di una politica a favore dei consumatori nel settore dei servizi di interesse economico generale”111.

A questo obbligo corrisponde una situazione giuridica dei soggetti, tutelata dall’ordinamento giuridico112, che può essere fatta valere nei confronti della Comunità o dello Stato membro (v. il successivo paragrafo 10.2).

10.3. Le università, le scuole, gli enti di ricerca. – L’ordinamento comunitario as-

segna un ruolo degno di rilievo alle università, alle scuole e in generale alle isti-tuzioni che si occupano di istruzione e agli enti di ricerca.

La soggettività di tali enti è stata riconosciuta anche prima che il Trattato di Roma fosse modificato per includere materie come l’istruzione, la ricerca la cul-tura.

A partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, infatti, i programmi comunitari nel settore della ricerca e dell’istruzione e formazione (soprattutto dalla metà degli anni ‘80 per questi ultimi) prevedono la presenza necessaria di soggetti come quelli indicati e che oggi è ribadita dal Trattato di Roma (v. l’art. 163 ss. per quanto riguarda la ricerca; l’art. 149, par. 2, Trattato CE, per l’istruzione e l’art. 150, par. 2, Trattato CE per la formazione professionale).

Le attuali fonti comunitarie e le riforme dell’istruzione a livello continentale (come il processo di Bologna e quello di Copenaghen)113 conferiscono alle uni-versità e alle scuole una posizione centrale. Nel settore dell’istruzione e della

——— 111 Libro verde sui servizi di interesse generale, cit., par. 63. 112 M. MARESCA, L’accesso ai servizi di interesse generale, de-regolazione e ri-regolazione del mercato e ruolo de-

gli Users’ Rights, in Dir. Un. eur., 2005, 3, p. 441. 113 Il documento base del “Processo di Bologna” è una “dichiarazione” sottoscritta a Bologna nel

giugno del 1999 da ventinove paesi europei (oggi sono diventati quaranta). Il “Processo di Bologna” prevede una revisione biennale degli obiettivi e l’individuazione di nuovi impegni, da realizzare in occasione di appositi vertici dei ministri competenti, e la costituzione di gruppi di lavoro. Gli obiet-tivi del “Processo di Bologna” sono tramutati in testi giuridici nazionali, adottati in applicazione delle particolari regole interne. In un modo similare si realizza il “Processo di Copenaghen”, in ma-teria di formazione professionale, che si basa sulla dichiarazione del 30 novembre 2002.

Page 114: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 88

formazione, il diritto comunitario esclude qualsiasi intervento armonizzatore da parte delle istituzioni dell’Unione. Gli stati membri conservano il potere esclusivo di decidere i percorsi educativi e di riconoscere i relativi titoli, so-prattutto per quanto riguarda quelli emessi all’estero. Gli attuali processi di convergenza in materia di istruzione e formazione, ed in particolare il Processo di Bologna, prevedono però strumenti che consentono una leggibilità e una comparabilità dei titoli (Diploma Supplement, dei titoli di studio congiuntamente rilasciati dalle università, ma soprattutto il sistema di trasferimento dei crediti formativi, ECTS, European Credit Transfer System)114. Questi strumenti sono at-tuati direttamente dalle università dei diversi paesi attraverso reciproci accor-di, senza la necessità di un preventivo riconoscimento statuale. Gli accordi che attuano strumenti come l’ECTS o i titoli congiunti possono essere realizzati non solo a livello europeo, ma anche con paesi extra-europei. Programmi specifici dell’Unione (i programmi di cooperazione internazionale come Tempus, Alfa, Erasmus Mundus) danno supporto finanziario tali accordi internazionali.

La capacità riconosciuta dal diritto comunitario alle università e agli enti di ricerca spesso amplia quella attribuita dagli ordinamenti nazionali.

Nel diritto italiano, per esempio, le fonti riconoscono alle università e agli enti di ricerca la personalità giuridica e attribuiscono ad essi l’autonomia didatti-ca, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile (rispettivamente art. 6 e art. 8 della legge 168/1989). La personalità giuridica di tali soggetti è regolata dai propri statuti e regolamenti (soprattutto il regolamento di amministrazione, fi-nanza e contabilità115) e dalle leggi dello stato (per le università è specificato che dette leggi devono riguardare espressamente gli atenei). Sia le leggi, sia la disci-plina interna spesso pone tutta una serie di limiti alla capacità di tali soggetti. Questo accade soprattutto per quanto riguarda l’attività negoziale. Come accade per altri soggetti riconducibili al settore pubblico, la disciplina contrattuale delle università e degli enti di ricerca riguarda soprattutto i contratti con i quali tali soggetti acquistano beni e servizi116. Poche sono le disposizioni che in modo specifico riguardano altri contratti. La partecipazione delle università a società e

——— 114 Per maggiori approfondimenti su tali temi, si rinvia a R. CIPPITANI, L’Europa della conoscenza (la

ricerca e l’educazione al centro della costruzione comunitaria), in T. SEDIARI (a cura di), Cultura dell’integrazione europea, Torino, 2005, p. 81 ss.

115 Qualora non siano stato approvato lo specifico regolamento, si applica la disciplina esistente e, in particolare, il d.P.R. 4 marzo 1982, n. 371. Il decreto, negli articoli 74 e 75 e 93, prescrive le proce-dure interne per istituti e dipartimenti universitari.

116 È emblematico che il titolo III del d.P.R. 4 marzo 1982, n. 371, intitolato ai “Contratti”, ri-guardi gli appalti, le forniture, le vendite, le permute, l’acquisto di servizi.

Page 115: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 89

a consorzi, per esempio, non sembra libera ed è soggetta a tutta una serie di cau-tele117. Le università, inoltre, possono “eseguire attività di ricerca e consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati” (v. art. 66 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382). Questa disposizione è interpretata in modo re-strittivo, in quanto si ritiene che essa consenta soprattutto alle università di sti-pulare contratti con prestazioni corrispettive118.

Le leggi approvate negli ultimi anni sembrano più permissive, anche tenen-do conto della disciplina sull’autonomia. Ma l’approccio scelto è pur sempre quello di attribuire specifiche competenze (v. materie come il trasferimento tec-nologico119, l’autofinanziamento120 o la disciplina del personale121), piuttosto che riconoscere una piena capacità negoziale.

In ogni modo, la disciplina comunitaria e sovranazionale sopra citata sem-bra poter superare i limiti nazionali. Detta disciplina esplicitamente o implicita-———

117 V. per esempio, l’art. 91 bis d.P.R. 11 luglio 198, n. 382, inserito dall’art. 13, l. 9 dicembre 1985, n. 705, che prevede la facoltà da parte delle università di partecipare a consorzi o a società di capitali per la progettazione e l’esecuzione di programmi di ricerca, finalizzati allo sviluppo scientifico e tecno-logico. Una fattispecie particolare di società miste, in questo campo, è quella prevista dall’art. 27, l. 5 ottobre 1991, n. 317, che riguarda le società consortili miste, aventi “come scopo statutario la presta-zione di servizi per l’innovazione tecnologica, gestionale e organizzativa delle piccole imprese industria-li, commerciali, di servizi e alle imprese artigiane di produzione di beni e servizi” (art. 27, c. 1). In que-ste società possono partecipare le università, il CNR, l’ENEA, le camere di commercio, istituti e azien-de di credito, altri enti pubblici, privati che operano nel settore della ricerca e associazioni sindacali e di categoria (art. 27, c. 2). Le imprese artigiane e le piccole imprese devono essere titolari, complessiva-mente, di più della metà del capitale sociale (art. 27, c. 4). Tali limiti richiamano quelli più generali ap-plicabili agli enti pubblici. A tale proposito v. gli artt. 2458 ss. c.c., posti nella sezione XII del capo V, Libro V del codice, emblematicamente intitolata alle “Società con partecipazione dello Stato e degli enti pubblici”. Più recentemente si consideri la disciplina sulla partecipazione alle società miste degli enti pubblici territoriali, di cui all’art. 22, c. 3 lett. e), l. 142/1990, nonché all’art. 12 l. 498/1992. Per una compiuta analisi del problema e delle norme che disciplinavano la partecipazione degli Enti pub-blici nelle società di capitali, si rinvia a M. MAZZARELLI, Le società per azioni con partecipazione comunale, in Quaderni di Giur. comm., n. 89, Milano, 1987.

118 Secondo il d.m. 30 dicembre 1981 (che attua l’art. 66 citato) tali contratti sono caratterizzati dalla circostanza per cui “l’interesse del committente è prevalente” su quello dell’università (art. 1, c. 2, d.m. 30 dicembre 1981).

119 Si ammette implicitamente la possibilità delle università di costituire società per lo sfruttamen-to dei risultati della ricerca (i cosiddetti spin-off accademici), ciò ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. d), d.lgs. 297/1999 e dei regolamenti interni.

120 La legge 168/1989 considera come cardine dell’autonomia finanziaria delle università i “… proventi di attività … e corrispettivi di contratti e convenzioni” (art. 7, c. 1, lett. c), l. 168/1989).

121 Per quanto riguarda le società, per esempio, si ammette la possibilità di stipulare contratti per isti-tuire spin-off universitari. V. l’art. 4, c. 5, l. 19 ottobre 1999, n. 370, per cui “la materia di cui all’art. 66 del Decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, è rimessa all’autonoma determinazione degli atenei, che possono disapplicare la predetta norma dalla data di entrata in vigore di specifiche dispo-sizioni da essi esaminate”. La materia di cui parla la disposizione citata è quella dell’incentivazione dei pro-fessori e dei ricercatori, come riportato dalla rubrica e come ribadito dal contenuto dello stesso art. 4.

Page 116: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 90

mente ammette che le università e gli enti di ricerca possono stipulare contratti di ogni genere per la partecipazione ai programmi comunitari (sia con la Com-missione e sia con gli altri partner) e per soddisfare interessi quali quelli relativi all’attuazione della politica europea, della ricerca e dell’istruzione.

11. — Situazioni giuridiche soggettive e diritto comunitario. L’ordinamento comunitario incide direttamente nella disciplina delle situa-

zioni giuridiche soggettive. Ciò accade non soltanto per quanto riguarda il con-tenuto, come si è avuto modo di accennare nei paragrafi precedenti, attraverso la creazione di nuovi diritti (si pensi ai diritti dei consumatori) o la modifica di quelli già esistenti negli ordinamenti nazionali.

Il diritto comunitario comporta anche l’emergere di una diversa configura-zione delle situazioni giuridiche soggettive.

11.1. La diretta applicabilità dei diritti riconosciuti dall’ordinamento comunitario. – I

principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria negli anni ‘60 del secolo scorso (l’individuazione di un ordinamento giuridico sovraordinato a quelli na-zionali) ha avuto sviluppi importanti per quel che riguarda il tema delle situazio-ni giuridiche soggettive.

In particolare, di grande rilievo è il principio della diretta applicabilità dell’ordinamento comunitario; questo principio ha come corollario che le fonti comunitarie hanno l’attitudine a creare situazioni giuridiche soggettive, indipen-dentemente dalla loro forma, e a meno che diversamente sia disposto.

La diretta applicabilità non riguarda soltanto le fonti giuridiche dotate e-splicitamente di questa caratteristica, come avviene per i regolamenti e le deci-sioni (art. 249 Trattato CE)122.

Come afferma la Corte di giustizia, diverse disposizioni dei trattati istitutivi

——— 122 Ai sensi del secondo c. dell’art. 249: “Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio

in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”. Le decisioni, per il quarto c. della disposizione citata, sono obbligatorie in tutte i loro elementi per i destinatari. Le deci-sioni pur essendo obbligatorie solo nei confronti dei destinatari, possono avere una portata generale, con gli stessi effetti dei regolamenti. Ciò accade quando sono indirizzate a categorie di soggetti o agli stati membri. In questi casi, come si è affermato nella sentenza Grad del 6 ottobre 1979, causa 9/70: “Gli effetti della decisione possono non essere identici a quelli di una disposizione contenuta in un regolamento, ma tale differenza non esclude che il risultato finale, consistente nel diritto del singolo di far valere in giudizio l’efficacia dell’atto, si alo stesso nei due casi”.

Page 117: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 91

hanno efficacia diretta, anche se non attuate attraverso il diritto derivato, sem-pre che siano chiare e precise e non richiedano l’intervento delle istituzioni o degli stati. È quanto affermato nella sentenza Reyners123, dove si è deciso che il diritto di stabilimento ed il divieto di discriminazione, sancito dall’attuale art. 43 Trattato CE, opera indipendentemente dalla circostanza che sia stato tradotto in fonti di diritto derivato124.

La diretta applicabilità è stata affermata anche con riferimento alle direttive, che, ai sensi del terzo comma dell’art. 249 Trattato CE, dovrebbe vincolare “lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. La Corte di giustizia ha affermato che la direttiva può essere invocata dal singo-lo e applicata dal giudice nazionale, anche se non recepita, quando contiene di-sposizioni incondizionate e sufficientemente precise125. Secondo la Corte di giu-stizia, le direttive, a differenza delle disposizioni contenute nei trattati, nei rego-lamenti e nelle decisioni, dovrebbero avere solo efficacia verticale. Possono es-sere cioè fatte valere nei confronti della Comunità o dello stato membro (inteso anche nelle sue articolazioni, come le regioni e gli altri enti territoriali), ma non potrebbero essere fatte valere nei rapporti tra i privati. Si tratta di una posizione ampiamente critica dalla dottrina, ma costantemente riaffermata dalla giurispru-denza comunitaria126. La posizione della Corte di giustizia, in ogni modo, non impedisce il riconoscimento per altre vie dell’effetto orizzontale. In particolare ciò avviene attraverso il combinato disposto tra la direttiva non recepita e di-sposizioni immediatamente applicabili127. Questa soluzione è stata accolta anche dalla giurisprudenza italiana, in tutti quei casi in siano in gioco interessi diretta-mente tutelati dall’ordinamento128.

——— 123 Corte di giustizia, 21 giugno 1974, Reyners/Belgio, Racc. 1974, p. 631. 124 Per quanto riguarda l’immediata applicazione dei diritti connessi alla libera circolazione dei

servizi, v. Corte di giustizia, 3 dicembre 1974 , Van Binsbergen / Bedrijfsvereniging voor de Metaalnijverheid, Racc. 1974, p. 1299), in cui si afferma che “Gli articoli 59, c. 1, e 60, c. 3, hanno efficacia diretta e pos-sono essere fatti valere dinanzi ai giudici nazionali almeno nella parte in cui impongono la soppressione di tutte le discriminazioni che colpiscono il prestatore d’un servizio a causa della sua nazionalità o della sua residenza in uno Stato diverso da quello in cui il servizio viene fornito”.

125 V. Corte di giustizia, 4 dicembre 1974, Van Duyn /Home Office, Racc. 1974, p. 1337. 126 V. per esempio, le sentt. Corte di giustizia, 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, Racc. 1986, p.

723; Id., 12 luglio 1990, Foster, C-188/89, Racc. 1990, p. I-3313; Id., 4 dicembre 1997, Kampelmann, cau-se riunite C-253/96 e C-258/96, Racc. 1997, p. I-6907.

127 Cfr. causa C 360/90, sent. 4 Giugno 1992, Boetel, in Racc., p. I- 3589. 128 V. il caso dell’applicazione della disciplina di vendita fuori dai locali commerciali (Pretura Mi-

lano, Sez. Rho, 14 novembre 1991, in Foro it., 1992, I, c. 1599) e dei licenziamenti collettivi (Pretura

Page 118: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 92

11.2. La tutela delle diverse tipologie di situazioni giuridiche soggettive. – Un ulteriore principio da tenere presente è che la situazione giuridica, che nasce dal diritto comunitario, deve essere trattata nella sostanza e dal punto di vista delle tutela previste, come diritto soggettivo, a prescindere dal nome con cui l’ordinamento interno può ad essa riferirsi.

L’applicazione di questo principio ha avuto importanti conseguenze nel di-ritto italiano.

Fin dalla legge di unificazione amministrativa del 30 marzo 1865, n. 2248, Allegato E129, nei rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati è radicata la distinzione tra diritto soggetto e “interesse legittimo”. La legge del 1865 è fon-data sull’idea che la pubblica amministrazione dovesse essere giudicata da un organo giurisdizionale speciale rispetto a quello ordinario130, in tutti quei casi in cui la posizione del privato non potessero essere di diritto soggettivo. Nei casi, cioè, in cui l’interesse del privato non doveva essere tutelato in maniera diretta ma, a seconda degli autori, in modo indiretto, riflesso, occasionale (in giurispru-denza fu molto diffusa la dizione “interessi occasionalmente protetti”)131. La tu-tela dell’interesse legittimo non riguarda un vantaggio individuale come accade per il diritto soggettivo, ma è un vantaggio medio e necessariamente coincidente con la legittimità dell’azione amministrativa132. L’interesse alla legittimità risulta, in tal modo, qualificato come interesse legittimo, diretto cioè ad un’azione am-ministrativa imparziale ed efficiente133. La distinzione tra interessi legittimi e di-ritti soggettivi è stata poi accolta nella Costituzione italiana (v. artt. 24, 103, 113 Cost.).

Una tale distinzione, nel diritto italiano, ha comportato un diverso tratta-mento delle due tipologie di situazioni soggettive. In particolare si è negata, a parte qualche isolata pronuncia134, la tutela risarcitoria degli interessi legittimi.

È proprio il diritto comunitario che ha prodotto, sul punto, una vera e pro-pria inversione di tendenza. ——— Torino, 19 marzo 1984, Foro it. 1984, I, c. 2640; Cfr. Cass., Sez. lav., 18 maggio 1999, n. 4817, in Foro it., 1999, I, c. 2542.)

129 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1970, p. 512. 130 Con la legge 31 marzo 1889, n. 5992, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, nasceva,

quindi, un giudice speciale chiamato a dar tutela a quegli “affari”/interessi diversi dai diritti che il priva-to aveva nei confronti della pubblica amministrazione. Tutela che si affiancava a quella fornita dal giu-dice ordinario.

131 M.S.GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., p. 513 132 E. CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, Padova, 1983, vol. I, p. 267. 133 E. CANNADA-BARTOLI, Interesse (dir. amm.), in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1972, p. 20. 134 Si veda Trib. Brescia, 21 novembre 1996, in Corr. giur., 1997, p. 827

Page 119: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 93

Ciò è dovuto alla necessità di adeguarsi a principi comunitari, quali l’obbli-go di risarcimento del danno prodotto dall’amministrazione aggiudicatrice, nel caso di violazione delle norme di diritto comunitario; nonché agli sviluppi in tema di responsabilità delle istituzioni e degli stati membri. Si è aperta così la strada ad una vera e propria armonizzazione dei diritti nazionali, verso uno ius comune135 della responsabilità dell’amministrazione.

Sul piano processuale, il legislatore, con l’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ha previsto nelle materie dei servizi pubblici, dell’edilizia e dell’urbanistica la possibilità che il giudice amministrativo, una volta accertata la dannosità dell’atto amministrativo illegittimo, possa determinare anche le modalità attra-verso le quali la pubblica amministrazione debba eliminare le conseguenze dan-nose136. Dal punto di vista del diritto sostanziale la regola giurisprudenziale dell’irrisarcibilità dei danni causati da lesione di interessi legittimi è stata superata dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione 22 luglio 1999, n. 500137, che, modificando radicalmente la posizione precedente138, afferma che l’ordinamento non può tollerare che il danno rimanga a carico della vittima e richiede che vada “trasferito all’autore del fatto, perché lesivo di interessi giuridicamente tutelati (in quanto comunque presi in considerazione da qualche norma di protezione anche a fini diversi da quelli risarcitori), quale che sia la qualificazione formale di detti interessi e senza in particolare che ne sia determinante la strutturazione come diritti soggettivi perfetti”139. La sentenza 500/1999 apre così le porte alla tutela di tutte le situazioni giuridiche soggettive, comunque denominate, quali gli interessi “diffusi” e “collettivi”140. ———

135 Cfr. S. CASSESE, L’influenza del diritto amministrativo comunitario su i diritti amministrativi nazionali, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 329.

136 La modifica del d.lgs. 80/98 ha, quindi, attribuito al GA, nelle controversie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva, la possibilità di disporre anche attraverso la reintegrazione in forma specifica il risarcimento del danno ingiusto. L’ultimo c. dell’art. 35 dlgs 80/98, modificava anche l’art. 7 3 c. legge Tar e faceva venir meno la riserva in favore del giudice ordinario delle questioni attinenti a diritti pa-trimoniali consequenziali coincidenti con il risarcimento del danno nella materie di giurisdizione esclu-siva, stabilendo che il TAR nelle materie deferite alla sua giurisdizione esclusiva conoscesse anche di tutte le questioni relative a diritti.

137 Cass., Sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Giorn. dir. amm., 1999, p. 843 ss. 138 V., per esempio, Cass., Sez. un., 5 marzo 1993, n. 2667, in Foro it., 1993, I, c. 3062. 139 In dottrina già negli anni 60 è stato affrontato il tema della del risarcimento del danno da inte-

ressi legittimi, si veda E. CASSETTA, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, p. 26 ss. 140 Come è stato osservato dalla Cassazione (Cass., Sez. un., 10 aprile 2002 , n. 5125, in Foro it.,

2002, I, c. 2394): “Ora, facendo applicazione dei principi enunciati con la sentenza n. 500-99 … deve ritenersi che bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di prin-cipio …, la competenza giurisdizionale a conoscere delle questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica sogget-

Page 120: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 94

Per espressa affermazione della Cassazione, il mutamento di approccio è stato determinato dalla disciplina sugli appalti pubblici di derivazione comunita-ria141:

“sul rilievo che il diritto comunitario non conosce la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e che nella suindicata materia il privato (secondo il nostro ordina-mento) è titolare di posizioni di interesse legittimo, si è sostenuto che la menzionata normativa avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una ipotesi di risarcibilità di in-teressi legittimi, e si é suggerito di riconoscerle forza espansiva ultrasettoriale, cosi con-formando l’ordinamento interno a quello comunitario (il cui primato è ormai incontro-verso) ed evitando disparità di trattamento, nell'ordinamento interno, nell'ambito della generale figura dell'interesse legittimo” (punto 6.1 della parte motiva della sentenza)142. A questo punto vale riflettere se l’interesse legittimo sia compatibile con

l’ordinamento comunitario143. La questione, qui solamente accennata, può tro-vare in qualche misura risposta in alcune posizioni assunte dalla Corte di giusti-zia in tema di violazione del diritto europeo e responsabilità dello stato mem-bro:

“la qualificazione di una situazione soggettiva fondata sul diritto comunitario come in-teresse legittimo, non può considerarsi né preclusa né scorretta, atteso che detto siste-ma non conosce la distinzione tra diritti ed interessi, ma mira a garantire la tutela piena ed effettiva di tutte le situazioni giuridiche esistenti negli ordinamenti interni”144.

——— tiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto, che può avere, indifferentemente, natura di diritto sog-

gettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni, o di interesse comunque rilevan-

te per l’ordinamento, e deve ribadirsi che stabilire se la fattispecie di responsabilità (nella specie dello Stato legislatore per tardivo recepimento di direttive comunitarie) dedotta in giudizio sia riconducibile nel paradigma dell’art. 2043 c.c. costituisce questione di merito, atteso che l'eventuale incidenza della lesione su una posizione di interesse legittimo non deve essere valutata ai fini della giurisdizione, bensì ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rile-vante” [il grassetto è stato qui aggiunto].

141 In particolare l’art. 13, l. 19 febbraio 1992, n. 142 (legge di recepimento della direttiva 89/665/CEE), che stabilisce “i soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in viola-zione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno”.

142 Sulla portata generale del principio introdotto dall’art. 13, l. 142/1992 v. P. PERLINGIERI, Dirit-to comunitario e legalità costituzionale, Napoli, 1992, p. 150.

143 In realtà la Corte di Lussemburgo ha evitato di prendere una posizione diretta sulla compatibi-lità o meno dell’interesse legittimo con il diritto comunitario, pur avendo alcuni giudici italiani avanzato detta richiesta, v.: Corte di giustizia, 19 dicembre 1968, Saigoil, 13/68, Racc. 1968, p. 601; Id., 23 feb-braio 1994, Comitato di coordinamento per la difesa della Cava, C-236/92, Racc. 1994, p. I-483.

144 V. L. CESARINI, Il risarcimento del danno e l’interesse legittimo, in B. CAVALLO (a cura di), Diritti ed interessi nel sistema amministrativo del terzo millennio, Torino, 2002, p. 362.

Page 121: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 95

Come si è fatto opportunamente notare: “Nell’ottica europea l’interesse legittimo non è una situazione soggettiva (essendo da questo punto vista un diritto) , ma una ‘formula organizzatoria’ propria del sistema processuale amministrativo italiano, volta ad individuare il giudice competente e da at-tribuire un sistema compiuto di tutela dei diritti”145.

Gli stati membri, cioè, hanno possibilità di organizzare liberamente il proprio siste-ma di giustizia anche in forza del riferimento a situazioni soggettive; è il momento delle tutela apprestate alle situazioni sostanziali derivanti dal proprio ordinamento l’aspetto qualificante per la Comunità: alla situazione soggettiva di derivazione co-munitaria deve essere offerta una tutela piena e non alcuni mezzi di gravame solo perché nel nostro ordinamento una situazione di derivazione comunitaria possa es-sere ricondotta alla figura degli interessi legittimi, piuttosto che a quella dei diritti146.

11.3. Il diritto all’attuazione del diritto comunitario. – Nell’ordinamento dell’U-

nione europea, inoltre, si è affermata l’esistenza di un diritto all’applicazione del-le situazioni giuridiche previste dalle fonti comunitarie. Questo diritto può esse-re fatto valere nei confronti delle istituzioni e degli stati membri in tutte le loro articolazioni.

La tutela di questo diritto, completamente sconosciuto in ordinamenti co-me quello italiano, comporta il risarcimento del danno conseguente. Il leading case, in questo ambito è la sentenza Francovich147, in cui si è condannata l’Italia per il mancato recepimento di una direttiva (la n. 80/987/CEE) riguardante l’istituzione di un sistema di garanzie per i lavoratori dipendenti in caso di insol-venza del datore di lavoro148. Le situazioni soggettive da tutelare sono, inoltre, quelle direttamente previste dai Trattati, come è emerso nella sentenza Brasserie du Pêcheur149, nella quale si è stabilita la responsabilità degli stati nel caso alcune

——— 145 Testualmente A. BARTOLINI, L’interesse legittimo nel diritto europeo e comparato, in B. CAVALLO (a

cura di), Diritti ed interessi nel sistema amministrativo del terzo millennio, cit., p. 30. 146 Per un analisi della interferenza delle pronunce della corte di giustizia sulla conformazione dei

mezzi di tutela e protezione presenti nei diversi sistemi interni in relazione alle situazioni giuridiche soggettive si veda R. CARATA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli, 1992.

147 Corte di giustizia, 19 novembre 1991, Francovich et Bonifaci / Italia, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Racc., p. I-5357.

148 V. anche Corte di giustizia, 8 ottobre 1996, Dillenkofer, cause riunite C-178 e 179, 188-190/94, Racc., p. I-4845.

149 Corte di giustizia, 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur / Bundesrepublik Deutschland et The Queen / Secretary of State for Transport, ex parte Factortame e altri, cause riunite C-48/93 e C-46/93, Racc. 1996, p. I-1029.

Page 122: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 96

leggi nazionali contrastino con la libertà di stabilimento prevista dall’art. 43 Trattato CE. La responsabilità dei pubblici poteri può emergere, inoltre, nel ca-so dell’esercizio del potere amministrativo dello stato e o degli enti territoriali, come affermato nella sentenza Lomas150, e come confermato dalla giurispruden-za italiana151.

11.4. Limiti all’esercizio dei diritti. – L’ampia tutela delle situazioni giuridiche

soggettive, assicurata dall’ordinamento comunitario, trova un limite nel divieto dell’abuso del diritto, nonché nella necessità di assicurare il rispetto degli inte-ressi generali della Comunità.

Riguardo all’abuso di diritto152, la giurisprudenza comunitaria ritiene che è da considerarsi un principio generale dell’ordinamento che “i singoli non pos-sono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme comunitarie”153. L’abuso si verifica, in particolare, quando s’invocano le disposizioni del diritto comunitario per non applicare una normativa nazionale, oppure per conseguire vantaggi in una maniera che contrasta con gli scopi e le finalità di quelle stesse disposizioni. Al contrario, quando il diritto è esercitato nei limiti posti dagli o-biettivi e dai risultati perseguiti dalla disposizione comunitaria di cui trattasi, non c’è abuso ma solo legittimo esercizio del diritto. Così, per esempio nella senten-za Centros, punto 27, si è affermato che il fatto che un cittadino crei una società in uno stato membro e ne apra una succursale in un altro per sottrarsi alle più severe norme di diritto societario di quest’ultimo, “non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento”. Nella sentenza Emsland Stärke154 si è preci-———

150 Corte di giustizia, 23 maggio 1996, The Queen / Ministry of Agriculture, Fisheries and Food, ex parte Hedley Lomas (Ireland), Racc. 1996, p. I-2553.

151 Il che è confermato dalla giurisprudenza italiana: v. Cass., 16 maggio 2003 , n. 7630, in Giust. civ. Mass. 2003, p. 5. Non sono tuttavia sopite le voci contrarie. Per esempio la Cassazione ha affermato che “di fronte all’esercizio del potere politico non sono configurabili situazioni soggettive protette dei singoli, onde deve escludersi che dalle norme dell’ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell’ordinamento italiano, il diritto del singolo all’esercizio del potere legislativo e comunque la qualifi-cazione in termini d’illecito, ai sensi dell’art. 2043 c.c., da imputare allo Stato persona, di quella che è una determinata conformazione dello Stato ordinamento” (Cass., 1 aprile 2003, n. 4915, in Giust. civ., 2003, I, p. 1193. Nella giurisprudenza italiana si afferma, inoltre, che in caso di diretta applicabilità di una direttiva (perché sufficientemente dettagliata), sarebbe da escludere la responsabilità dello stato: v. Trib. Roma, 14 giugno 2004, in Giur. romana, 2004, p. 351.

152 V. sull’argomento le conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro, presentate il 7 aprile 2005, nelle cause riunite C 255/02, Halifax plc e altri; C 419/02, BUPA Hospitals e altri; Causa C 223/03, University of Huddersfield Higher Education Corporation.

153 Corte di giustizia, Dionisios Diamantis/Elliniko Dimosio (Stato greco), Organismos Ikonomikis Ana-sinkrotisis Epikhiriseon AE (OAE), C-373/97, Racc. I-1705, punto 33.

154 Corte di giustizia, 14 dicembre 2000, Emsland Stärke, C 110/99, Racc. 2000, p. I-11569.

Page 123: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I SOGGETTI DEL MERCATO INTERNO 97

sato che l’abuso sussiste quando ricorrono parametri oggettivi e soggetti. Quan-do, cioè, si verifica “un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comuni-taria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto”155 e, dall’altro, si accerta “un elemento soggettivo che consiste nella volontà di otte-nere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento”156.

È giurisprudenza costante, inoltre, che l’esercizio dei diritti possa essere li-mitato, per tutelare un superiore interesse comunitario, sempre che queste limi-tazioni non siano sproporzionate rispetto agli scopi da raggiungere. E così, per esempio, è stata considerata legittima la violazione della vita privata, necessaria per l’azione disciplinare contro un funzionario comunitario infedele (v. la citata sentenza nella causa, N. contro Commissione, T-273/94).

——— 155 Sentenza Emsland Stärke, cit., punto 52. 156 Sentenza Emsland Stärke, cit., punto 53

Page 124: Diritto privato del mercato
Page 125: Diritto privato del mercato

CAPITOLO TERZO

I BENI E I DIRITTI REALI

SOMMARIO: 1. La rilevanza della proprietà per il diritto comunitario. 1.1. La proprietà co-me diritto fondamentale. 1.2. Il diritto comunitario e il diritto nazionale. — 2. La discipli-na comunitaria dei nuovi beni. 2.1. I beni ed i diritti reali negli ordinamenti nazionali. 2.2. I beni immateriali. 2.3. Gli strumenti finanziari. 2.4. La multiproprietà. — 3. La tutela de-gli interessi fondamentali. 3.1. Limiti all’esercizio del diritto di proprietà. 3.2. Sicurezza dei prodotti. 3.3. Livelli di qualità dei prodotti e informazioni sui prodotti. 3.4. Le connota-zioni etiche dei beni. 3.5. I beni culturali. 3.6. I limiti di ordine pubblico.

1. — La rilevanza della proprietà per il diritto comunitario. 1.1. La proprietà come diritto fondamentale. – Il diritto comunitario prende in

considerazione i diritti reali, ed in particolare la proprietà. I diritti reali vanno intesi come quelli che prevedono il “rispetto dei beni”,

come si esprime il giudice comunitario nella sentenza Bosphorus1. Essi si distin-guono dai diritti di credito per la circostanza che, riguardando un bene, produ-cono i loro effetti nei confronti di tutti gli altri soggetti, mentre i diritti di credito non possono che essere invocati nei confronti del debitore2.

Questi diritti sono da considerarsi tra quelli fondamentali dell’ordinamento comunitario, così come affermato dalla giurisprudenza3.

Il carattere fondamentale di tali diritti discende dal fatto che la proprietà è riconosciuto dalle “tradizioni costituzionali comuni agli stati membri” e dalle convenzioni internazionali che tutelano i diritti dell’uomo, come il primo proto-collo allegato alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo (v. la sentenza Hauer). In virtù di questa qualifica, il giudice comunitario garantisce l’osservanza della proprietà e dei diritti reali nella sua giurisprudenza.

La rilevanza costituzionale della proprietà è stata poi ribadita dall’art. 17

——— 1 Corte di giustizia, 30 luglio 1996, Bosphorus/Minister for Transport, Energy and Communications e altri,

C-84/95, Racc. 1996, p. I-3953. 2 Corte di giustizia, 9 giugno 1994, Lieber / Göbel , C-292/93, Racc. 1994, p. I-2535. 3 V. soprattutto Corte di giustizia, 14 maggio 1974, Nold KG/Commissione, 4/73, Racc. 1974, p.

491; Id., 13 dicembre 1979, Hauer, 44/79, Racc. 1979, p. 3727; Id., 15 febbraio 1996, Duff e.a./ Minister for Agriculture and Food, Ireland et Attorney General, C-63/93, Racc. 1996, p. I-569.

Page 126: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 100

della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Costituzione per l’Europa.

Il diritto comunitario, apparentemente, non intende incidere sulla disciplina nazionale dei beni e dei diritti sui beni.

In effetti l’art. 295 del Trattato di Roma “lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri” e le fonti di diritto derivato, di conseguenza, contengono formulazioni del tipo: “Nel rispetto delle norme ge-nerali del trattato gli Stati membri mantengono le loro competenze riguardo … tra l’altro per la determinazione della natura giuridica dei diritti”4.

1.2. Il diritto comunitario e il diritto nazionale. – Al di là delle enunciazioni di

principio, l’ordinamento comunitario, in realtà, comporta conseguenze impor-tanti sulla disciplina nazionale della proprietà.

L’impatto del diritto comunitario è evidente già dal confronto tra la norma-tiva costituzionale nazionale e quella dei Trattati. Come si sottolinea in dottrina, la rilevanza comunitaria dei diritti economici (la proprietà, l’iniziativa economi-ca) conduce ad una diversa lettura delle Costituzioni nazionali, come quella ita-liana5. Per effetto della normativa comunitaria, i diritti economici diventano di-ritti fondamentali della persona (ai sensi dell’art. 2 Cost.), da coordinare con gli al-tri diritti fondamentali; tra questi anche gli interessi “sociali”, come la tutela dei consumatori e dell’ambiente6. È poi fortemente ridimensionata l’impostazione di-rigista della Costituzione7, che è espressa dalla ipotesi di una “programmazione” dei diritti economici, come prospettato dall’art. 41, c. 3, Cost.; tale ipotesi po-trebbe non essere compatibile con il diritto dell’Unione europea8.

Le conseguenze del diritto comunitario sulla disciplina nazionale dei beni, emergono con tutta la loro evidenza nella giurisprudenza della Corte giustizia e ———

4 V. art. 1, direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, con-cernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili.

5 Cfr. P. PERLINGERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale, cit., p. 126: “Con ciò non si invita a leggere la Costituzione alla luce della normativa comunitaria, ma a leggere la stessa Costituzione come sistema aperto e sensibile alle disposizioni aventi forza normativa … da essa autorizzate e tendenti a specificarlo e completarlo”. V. anche E. PICOZZA, L’incidenza del diritto comunitario (e del diritto internazio-nale) sui concetti fondamentali del diritto pubblico dell’economia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 249 ss., che sot-tolinea l’applicazione necessaria dei concetti comunitari al diritto pubblico dell’economia.

6 Corte di giustizia, 8 ottobre 1986, Keller, 234/1985, Racc. 1986, p. 2897; Id., 13 novembre 1990, Marshall, 370/88, Racc. 1990, p. 4071 ss.

7 Cfr. N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2003, p. 21. 8 R. MANFRELLOTTI, Per una sintesi tra iniziativa economica privata e utilità sociale, in S. PRISCO (a cura

di), Unione europea e limiti sociali del mercato, Torino, 2002, p. 45 ss.

Page 127: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 101

nella formulazione del diritto derivato. La Corte di giustizia, infatti, da un lato ribadisce concetti già accolti nel diritto nazionale, come il principio (v. la sen-tenza Bosphorus, cit., punti 21-26) che il diritto di proprietà non è da considerarsi come una “prerogativa assoluta” e deve essere tutelato in ragione della funzione svolta da tale diritto nella società9.

Dall’altro lato, la Corte interpreta la funzionalizzazione del diritto di pro-prietà come assoggettamento agli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità, e non quelli del singolo sistema costituzionale.

Ciò comporta che l’esercizio del diritto di proprietà avvenga in modo coe-rente con le libertà assicurate dal Trattato, in particolare con la libertà di circola-zione delle merci.

Questa libertà non è assicurata soltanto attraverso l’abolizione delle frontie-re fisiche e fiscali, e cioè mediante la costituzione di una unione doganale e il di-vieto delle restrizioni quantitative all’importazione, nonché di qualsiasi misura ad effetto equivalente10.

La giurisprudenza comunitaria e il diritto derivato hanno contribuito ad abbattere le frontiere “tecniche”. Anche nell’ambito della circolazione dei beni (delle merci, ma anche dei servizi e dei capitali), infatti, è stato affermato il prin-cipio del mutuo riconoscimento, a partire dalla sentenza nel caso Cassis de Di-jon11. Nello specifico questo significa che il paese di destinazione deve permette-re la circolazione delle merci, quando queste rispettino le regole del paese di provenienza e non le proprie. Il principio del mutuo riconoscimento può subire deroghe, ma solo per la tutela di interessi particolarmente importanti (salute, si-curezza pubblica, correttezza nel commercio a tutela dei consumatori, v. art. 30 Trattato CE) e comunque proporzionate al fine perseguito (v. sentenza Hauer) e applicate in modo tale da costituire il minor ostacolo possibile alla libertà di scambio12. Senza queste precauzioni il potere di imporre le limitazioni potrebbe pregiudicare l’intero sistema comunitario13. ———

9 Corte di giustizia, 13 luglio 1989, Wachauf/ Bundesamt für Ernährung und Forstwirtschaft, 5/88, Racc. 1989, p. 2609.

10 V. Corte di giustizia, 7 luglio 1974, Dasonville, 8/74, Racc. 1974, p. 757, secondo cui per misura ad effetto equivalente ad una restrizione quantitativa si deve intendere “ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intercomunitari”.

11 Cfr. Corte di giustizia, 20 febbraio 1979, Rewe/Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, 120/78, Racc. 1979, p. 649. V. anche la Comunicazione della Commissione “Il reciproco riconoscimento nel quadro del follow-up del piano d'azione per il mercato interno” (COM(1999) 299 finale).

12 In questo senso numerose sentenze del giudice comunitario: v. Corte di giustizia, 26 giugno 1980, Gilli, 788/79, Racc. 1980, p. 2071, sulla commercializzazione dell’aceto non di vino in Italia; Id.

Page 128: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 102

Il principio del mutuo riconoscimento comporta la disapplicazione della di-sciplina nazionale in favore di quella dell’altro stato membro. Anche le norme del diritto privato internazionale, così come si è già osservato per i soggetti di diritto, subiscono una diversa interpretazione nel caso di beni provenienti da un altro stato membro. Si pensi, per esempio, alla regola dell’art. 51 della legge 218/1995 che richiede, in ogni caso, l’applicazione della legge nazionale, in tema di diritti reali, del luogo dove si trova il bene. Applicando la regola in parola, le merci che provengono da un altro paese dell’Unione dovrebbero essere sempre regolate dal diritto italiano, se presenti in Italia, il che potrebbe essere in contra-sto con il principio del mutuo riconoscimento.

Il principio in parola, seppure assicura un livello minimo di regole per la circolazione delle merci, non è sufficiente da solo ad assicurare il regolare fun-zionamento del mercato interno.

Il solo mutuo riconoscimento, infatti avrebbe come effetto quello di man-tenere le differenze tra sistemi nazionali, in modo da contrastare con la stessa libertà di circolazione e con gli altri diritti previsti dal diritto comunitario.

È necessario, pertanto, un intervento armonizzatore ed unificatore. Come è caratteristico delle fonti comunitarie, l’obiettivo principale è quello di ridurre le differenze tra le legislazioni, che rendono difficoltosa la libera circolazione delle merci14. Le differenze tra le legislazioni, infatti, non permettono il pieno funzio-namento del mercato e l’effettivo esercizio dei diritti (cfr., per esempio, l’ottavo “considerando”, direttiva 2004/48). È quindi necessario un quadro di regole giuridiche certe (cfr. quarto “considerando” direttiva 2001/29).

Il diritto comunitario, pertanto, da un lato detta la disciplina di nuove tipo-

——— 12 marzo 1987, Commissione/Germania, 178/84, in Racc. 1987, p. 1227, sulla commercializzazione della birra in Germania; Id., 10 novembre 1982, Rau/De Smedt, 261/81, Racc. 1982, p. 3961, sulla commercializzazione della margarina in Belgio; Id., 14 luglio 1988, Zoni, 90/86, Racc. 1988, p. 4285, sulla commercializzazione della pasta di grano tenero in Italia; Id., 23 febbraio 1988, Commissio-ne/Francia, 216/84, Racc. 1988, p. 793, sulla commercializzazione del latte in polvere in Francia.

13 Corte di giustizia, 13 luglio 1989, Wachauf/ Bundesamt für Ernährung und Forstwirtschaft, 5/88, Racc. 1989, p. 2609.

14 Non risolvono completamente i problemi di circolazione dei beni, i trattati internazionali. Lo affermano gli stessi documenti istituzionali e le fonti. Nel caso della proprietà intellettuale, per esem-pio, di cui si parlerà in seguito, si fa osservare che i trattati internazionali – l’“Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (“accordo sugli ADPIC”), approvato, in quanto parte dei negoziati multilaterali dell’“Uruguay Round”, con decisione 94/800/CE del Consiglio e con-cluso nell’ambito dell’OMC; la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, la convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche e la convenzione di Roma per la protezione degli artisti interpreti ed esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di ra-diodiffusione – lasciano impregiudicata la necessità di approvare una normativa comunitaria.

Page 129: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 103

logie di beni, solitamente collegati a bisogni indotti dalla tecnologia e dalle prati-che commerciali e spesso non riconosciuti in ambito nazionale. Dall’altro lato le fonti europee definiscono le modalità di esercizio dei diritti sui beni, soprattutto in relazione agli interessi tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

Sia l’una che l’altra prospettiva, finiscono per incidere sulla definizione e l’interpretazione dei concetti giuridici legati alla proprietà ed ai beni.

2. — La disciplina comunitaria dei nuovi beni. 2.1. I beni ed i diritti reali negli ordinamenti nazionali. – Il codice civile italiano

(ma un discorso simile potrebbe farsi per la maggior parte delle altre legislazioni europee) definisce i beni come “le cose che possono formare oggetto di diritti” (art 810 c.c.), sottolineandone così il carattere materiale. La materialità dei beni è ancora al centro della distinzione tra beni immobili (“in genere tutto ciò che na-turalmente o artificialmente è incorporato al suolo”, art. 812, c. 1, c.c.) e beni mobili (che sono tutti gli altri beni, art. 812, c. 3); e si ritrova nella definizione di proprietà (“il diritto di godere e disporre delle cose”, art 832, c. 1, c.c.) e degli altri diritti reali; nella disciplina dei modi di acquisto, del possesso (“il potere sul-la cosa”, art. 1140 c.c.), delle azioni possessorie, del procedimento esecutivo, e così via.

Lo stesso codice del 1942 presenta alcune timide eccezioni al principio di materialità di beni, quando parla di “energie naturali”, assimiliate ai beni mobili (art. 814 c.c.). Ma il codice e le leggi speciali del periodo evitano di usare espres-sioni come “beni” o “proprietà”, con riferimento ai titoli di credito (artt. 1992 ss. c.c.) e alle opere di ingegno e ai brevetti (Titolo IX, Libro V, c.c.; r.d. 1127/1939; legge 633/1941)15. Anche per questi ultimi, tuttavia, la disciplina è improntata sulla materialità, che nello specifico è rappresentato dal supporto ca-rattere cartolare del titolo, che ha la funzione di “incorporare” un diritto. La na-scita, la circolazione (si pensi alla girata) e tutte le vicende dei titoli di credito –

——— 15 Il che è riaffermato dalla dottrina tradizionale. V. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generale del

diritto civile, Napoli, 1997, p. 57 s., il quale anche se i “beni immateriali” possono formare oggetto di diritti simili ai diritti reali, ne differiscono profondamente e quindi non si può parlare correttamente di “proprietà letterario, o artistica, o industriale”. V. G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1996, p. 176 ss., spiega che “Con il diritto di proprietà l’ordinamento giuridico attribuisce efficacia ad una signoria che già di fatto sussiste sulla cosa, riconosce una posizione di esclusività già di fatto esistente; con i diritti sulle creazioni intellettuali l’ordinamento giuridico crea artificialmente una posizione di e-sclusività, limitando l’attività altrui in un dato campo”.

Page 130: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 104

compresi, ai sensi dell’art. 1997 c.c. il pignoramento e ogni altro vincoli – hanno rilievo solo se rappresentate sul documento.

L’elemento della materialità è poi alla base della distinzione diritti reali ri-spetto alle altre situazioni giuridiche soggettive; distinzione che, come si è visto, viene confermata dalla giurisprudenza comunitaria. In particolare i diritti reali si caratterizzano come il diritto, opponibile erga omnes, di godere e disporre di una cosa individuata nel tempo e nello spazio. I diritti reali sono inoltre considerati in numero chiuso. Le altre situazioni giuridiche soggettive si distinguerebbero perché non prevedono una relazione su una cosa, ma il diritto a pretendere da un altro soggetto specifico (il diritto di credito) o il diritto al rispetto di una si-tuazione giuridica legata alla persona (i diritti fondamentali). Essi, inoltre, a dif-ferenza dei diritti reali non sono rigidamente determinati dalla legge, ma posso-no essere individuati anche dalle parti.

La concezione codicistica è apparsa spesso inadeguata a regolare le fatti-specie concrete emerse negli ultimi decenni.

Dottrina e giurisprudenza hanno comunque tentato di applicare i concetti del codice anche ad ipotesi non immediatamente riconducibili alle nozioni di cosa, proprietà e così via. Si sono allora definiti beni le quote di società di capitali16 e di società di persone17, le “quote latte”18, le frequenze radiotelevisive19. Questi tentativi, tuttavia, non sono stati unanimemente accolti; per altre interpretazioni, che fanno leva sulla lettera del codice, la mancanza di materialità è di ostacolo all’applicazione della disciplina sui beni20, ritenendosi, per di più, che le ipotesi di equiparazione previste dal codice civile (si pensi alla disciplina dell’usufrutto delle azioni di s.p.a. di cui all’art. 2352 c.c.) siano da intendersi quali norme ec-

——— 16 Cass., 26 maggio 2000, n. 6957, in Giust. civ. Mass., 2000, 1122; Id., 23 gennaio 1997, n. 697, in

Giust. civ. Mass., 1997, 113. 17 Trib. Trento, 14 gennaio 1997, in Società, 1997, p. 925. 18 Trib. Crema, 18 gennaio 2000, in Dir. giur. agr., 2000, p. 345, che riconosce il pignoramento del-

le quote latte; v. Trib. Roma, 10 aprile 1995, in Riv. dir. agr., 1996, II, p. 50 e Trib. Piacenza, 23 marzo 1995, in Gius, 1995, p. 1131 (s.m.), che ne autorizzano il sequestro conservativo. Per la disciplina delle quote latte, e cioè della quantità di latte per ogni singolo produttore v. regolamento (CE) n. 1788/2003 del Consiglio, 29 settembre 2003, che stabilisce un prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari.

19 Cass., 19 aprile 1991, n. 4243, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 4, che ammette le azioni possesso-rie e petitorie sulle frequenze.

20 Così il Trib. Torino, 27 agosto 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, c. 585 nega che si possa applicare la disciplina del possesso alle quote si una s.r.l. Trib. Trento, 6 settembre 1996, in Vita not., 1998, p. 855, che, al contrario di quello che affermerà in altra sentenza l’anno successivo (v. sopra), ritiene che le quote di società di persone non siano beni.

Page 131: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 105

cezionali21. Nell’ambito di questi contrasti interpretativi, inoltre, emerge anche la difficoltà di tracciare una linea di demarcazione tra diritti sui beni, almeno nella concezione codicistica, e diritti relativi. Quello che per alcuni è il presupposto affinché si applichi la disciplina dei diritti sui beni (“una posizione contrattuale obbiettivata”22, un “diritto soggettivo”23), per altri può essere motivo di attra-zione alla normativa dei diritti di credito.

Gli interventi del diritto comunitario, riguardo al tema dei beni e dei diritti reali, ha sicuramente modificato il contesto normativo, mutando per diversi a-spetti la visione del mondo che emergeva dal codice civile.

2.2. I beni immateriali. – Per il diritto comunitario, innanzitutto, l’immate-

rialità non è più un connotato eccezionale dei beni, riprendendo così l’antica i-dea di Gaio secondo il quale “Quaedam praeterea res corporales sunt, quaedam incorpo-rales” (Gai Inst., 2, 12).

Nel diritto comunitario, pertanto, senza più cautele, si parla di “beni imma-teriali”24.

I beni immateriali, pur presentando elementi di specificità che li distinguo-no da altri (quanto al modo di acquisto dei diritti, alla tipologie di situazioni giu-ridiche soggettive, agli strumenti di tutela), sono considerati oggetto di una vera e propria “proprietà intellettuale” (cfr. terzo “considerando” direttiva 2001/29/CE; v. anche il titolo del d.lgs. 30/2005).

I beni immateriali, disciplinati dall’ordinamento dell’Unione europea, sono concepiti come beni legati alla ricerca25, all’innovazione e all’attività creativa più in generale (cfr. il primo “considerando” direttiva 2004/48/CE).

——— 21 V. Trib. Trento, 6 settembre 1996, cit. 22 Cass., sentt. n. 6957/2000 e n. 697/1997, entrambi citate sopra. 23 Trib. Roma, 10 aprile 1995, cit. 24 Cfr. la definizione di cui all’art. 1, lettera g), regolamento 772/2004 della Commissione del 27

aprile 2004 relativo all’applicazione dell’art. 81, par. 3, del trattato CE a categorie di accordi di trasferi-mento di tecnologia.

25 Il diritto comunitario fornisce una definizione di ricerca e sviluppo, particolarmente utile allo studio che si sta conducendo, che è quella contenuta nella disciplina sulla concorrenza (v. regolamento 2659/2000 della Commissione del 29 novembre 2000 relativo all'applicazione dell’art. 81, par. 3, del trattato a categorie di accordi in materia di ricerca e sviluppo) e nella collegata “Disciplina comunita-ria per gli aiuti di stato alla ricerca e sviluppo” (Comunicazione della Commissione n. 96/C 45/06). L’art. 2, n. 4, del regolamento 2659/2000, in particolare, definisce la ricerca e lo sviluppo come “l’acquisizione di know-how relativo a prodotti e processi e la realizzazione di analisi teoriche, di studi sistematici o di sperimentazioni, inclusi la produzione sperimentale, le verifiche tecniche di prodotti o processi, la realizzazione degli impianti necessari e l'ottenimento dei relativi diritti di proprietà immate-riale”. Questa definizione generale viene ulteriormente dettagliata dalla Comunicazione n. 96/C 45/06,

Page 132: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 106

Essi sono qualificati con la nomenclatura già utilizzata dagli ordinamenti dei paesi membri, pur in una prospettiva di armonizzazione e tenendo conto degli sviluppi della tecnologia.

Le fonti comunitarie, pertanto, disciplinano le invenzioni, tra le quali le in-venzioni industriali in senso stretto26, i modelli di utilità27, i ritrovati vegetali28; le

——— allo scopo di stabilire il limite degli aiuti di stato. Il limite del finanziamento pubblico per le attività di ricerca e sviluppo è stabilito con riferimento ai costi sostenuti nell’attività; questo limite, inoltre, si ab-bassa mano a mano che l’attività di ricerca si avvicina al mercato e che quindi potrebbe realizzare effet-ti distorsivi della concorrenza. Ciò detto, si distinguono tre tipi di attività di ricerca: fondamentale, in-dustriale e precompetitiva. Ai sensi dell’Allegato 1 alla Comunicazione: la ricerca fondamentale, che consiste in un’attività che mira all’ampliamento delle conoscenze scientifiche e tecniche non connesse ad obiettivi industriali o commerciali. In questo caso la ricerca può essere finanziata fino al 100%; la ricerca industriale è la ricerca pianificata ad acquisire nuove conoscenze, in modo che queste cono-scenze possano essere utili per mettere a punto nuovi prodotti, processi produttivi o servizi o compor-tare un notevole miglioramento dei prodotti, processi produttivi o servizi esistenti. Si tratta di un’attività finanziabile fino al 50% (o fino al 75% in presenza di alcune condizioni: la ricerca è svolta da PMI e da aziende che si trovano nelle zone obiettivo, si tratta di una ricerca finanziata con fondi co-munitari); per attività di sviluppo precompetitivo la Commissione intende la concretizzazione dei risul-tati della ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno per prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati o migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali. Tale attività può inoltre comprendere la formulazione teorica e la progettazione di altri prodotti, processi produttivi o servizi nonché progetti di dimostrazione iniziale o progetti pilota, a condizione che tali progetti non siano né convertibili né utilizzabili a fini di applicazione industriale o sfruttamento commerciale. L’intensità di finanziamento dell’attività di sviluppo precompetitivo non può superare il 25% dei costi (oppure fino al 50% massimo quando ricorrono le condizioni viste sopra a proposito della ricerca industriale).

26 Le convenzioni internazionali in tema di brevetto sono soprattutto le seguenti: Convenzione di Parigi sulla proprietà industriale del 20 marzo 1883 (così come rivista a Bruxelles il 14 dicembre 1900; a Washington il 2 Giugno 1911; all’Aia il 6 novembre 1925; a Londra il 2 giugno 1934; a Lisbona il 31 ottobre 1958; a Stoccolma il 14 luglio 1967; e modificata il 28 settembre 1979; ratificata dall’Italia con legge 28 aprile 1976, n. 424; sul sito ufficiale WIPO: http://www.wipo.int); Convenzione di Strasburgo del 27 ottobre 1963 sull’unificazione di alcuni principi della legislazione sui brevetti di invenzione; Trattato di Washington del 19 giugno 1970, per la cooperazione in materia di brevetti; Convenzione di Monaco del 5 ottobre 1973 sul brevetto europeo. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano la disci-plina delle invenzioni industriali in precedenza era costituita dal r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, attuato dal regolamento contenuto nel r.d. 5 febbraio 1940, n. 244; dal r.d. 25 agosto 1940, n. 1411, dal rego-lamento esecutivo contenuto nel r.d. 31 ottobre 1941, n. 1554 e dal d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338. Og-gi l’intera disciplina è regolata dal d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale, e-manato a norma dell’art. 15, l. 12 dicembre 2002, n. 273, in particolare, gli articoli 45 ss.

27 Nel diritto comunitario v. il regolamento n. 6/2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001 su dise-gni e modelli comunitari ed il regolamento attuativo n. 2245/2002 della Commissione del 21 ottobre 2002. Per quanto riguarda il deposito internazionale dei disegni o modelli industriali è da tener presen-te, altresì, la l. 24 ottobre 1980, n. 774, nonché la l. 14 febbraio 1987, n. 60, che hanno reso esecutivo l’Accordo dell’Aja del 6 novembre 1925. Per quanto riguarda il diritto italiano, v. ora il citato d.lgs. 30/2005.

28 V. il regolamento (CE) n. 2100/94 del Consiglio, del 27 luglio 1994, concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali; v. anche il regolamento (CE) n. 2470/96 del Consiglio del 17 dicem-bre 1996 che estende la durata della privativa comunitaria per ritrovati vegetali relativamente alle pata-

Page 133: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 107

“topografie dei prodotti a semiconduttori”29; i farmaci e i prodotti fitosanitari30. Tra le invenzioni previste dal diritto comunitario è particolarmente interessante la definizione di quelle biotecnologiche31, che “hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attra-verso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico.” (art. 3, par. 1, direttiva 98/44/CE); dove, per materiale biologico si intende “un mate-riale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico”.

Oltre alle invenzioni la legislazione comunitaria ha dettato regole uniformi in materia di diritto d’autore32, in particolare regolando il software33 e introducen-do la definizione di “banca dati”34 (“una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente ac-cessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo”, art. 1) e dei relativi diritti. Particolari norme sono state poi adottate in materia di radiodiffusione via satelli-te e la ritrasmissione via cavo e sui diritti di noleggio e di prestito delle opere dell’ingegno. ——— te. Per l’Italia, la disciplina previdente sulle varietà vegetali era rappresentata dal d.P.R. 12 agosto 1975, n. 974; dalla l. 16 luglio 1974, n. 722 e dalla l. 14 ottobre 1985, n. 620 sulla protezione dei ritrovati ve-getali, che ratificano la Convenzione di Parigi del 2 dicembre 1961 e l’atto addizionale di Ginevra del 10 novembre 1972. La disciplina vigente è rappresentata dal citato d.lgs. 30/2005.

29 Direttiva 87/54/CEE del Consiglio, 16 dicembre 1986 sulla tutela giuridica delle topografie di prodotti a semiconduttori. Per la normativa italiana previgente v. l. 21 febbraio 1989, n. 70. La discipli-na attuale è disposta dal d.lgs. 30/2005.

30 V. il regolamento n.n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 1996 sull'i-stituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari; v., inoltre, per l’Italia, la previdente l. 19 ottobre 1991, n. 349, che ha modificato il r.d. 29 giugno 1939, n. 1127. Attualmente v. d.lgs. 30/2005.

31 V. direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezio-ne giuridica delle invenzioni biotecnologiche.

32 Per il diritto comunitario, v. soprattutto la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti con-nessi nella società dell'informazione. Il diritto d’autore è regolato in Italia dal codice civile e dal r.d. 22 aprile 1941, n. 633, quest’ultimo attuato dal d.lgs. 18 maggio 1942, n. 1369. La disciplina è stata modifi-cata ed integrata dalla l. 20 giugno 1978, n. 399, che ha ratificato la Convenzione di Berna per la prote-zione delle opere letterarie e artistiche del 9 settembre 1886 e successive modificazioni (Roma il 2 giu-gno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a Stoccolma il 14 luglio 1967, a Parigi il 24 luglio 1971); e dalla l. 19 luglio 1956, n. 923 e dalla l. 13 luglio 1966, n. 650, che hanno ratificato la Convenzione universale del diritto di autore, firmata a Ginevra il 6 settembre 1952. Da ultimo, modifiche alla disciplina del di-ritto d’autore, con riferimento al software, sono state introdotte con d.l. 29 dicembre 1992, n. 518.

33 Non è stata approvata dal Parlamento una direttiva relativa alla “brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici”, che avrebbe dovuto offrire una tutela del software com-plementare a quella offerta dal diritto di autore.

34 Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 1996, relativa alla tu-tela giuridica delle banche di dati.

Page 134: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 108

Inoltre le fonti comunitarie e nazionali prendono in considerazione le co-noscenze industriali segrete non brevettate, che sono indicate collettivamente con il termine know-how35. Altre norme disciplinano la materia dei marchi, e cioè i segni distintivi dei prodotti e dei servizi.

Un ulteriore dato interessante, che emerge dall’esame della normativa, è che le categorie di beni immateriali non appaiono determinate in numero chiuso. Si afferma, per esempio, la rilevanza de “le informazioni, tutelabili o no” (Cfr. l’art. 2, n. 22, Regolamento 2321/2002 ), stabilendo il principio per cui anche altri beni immateriali, non nominati dalle fonti, possano diventare oggetto di diritti.

Oltre a dettare le regole uniformi per individuare i beni immateriali, il dirit-to comunitario ha come obiettivo la creazione di congegni per la tutela ammini-strativa, che siano validi per tutto il territorio dell’Unione, come è avvenuto per il marchio36 e come sta accadendo per il brevetto comunitario37.

——— 35 Per una definizione di know-how v. l’art. 2, n. 10 del regolamento 2659/2000 citato: “un patri-

monio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; in tale contesto per «segreto» si intende che il know-how non è ge-neralmente noto, né facilmente accessibile; per «sostanziale» si intende che il know-how comprende conoscenze indispensabili per la fabbricazione dei prodotti contrattuali o per l'utilizzazione dei processi contemplati dal contratto; per «individuato» si intende che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di so-stanzialità”. La tutela del know-how è prevista dalle seguenti disposizioni: art. 2598 codice civile sulla concorrenza sleale; l’art. 98 d.lgs. n. 30/2005; l’art. 2105 codice civile sull’obbligo di segretezza del dipendente; art. 621 c.p. – Documenti segreti; art. 622 codice penale – Segreto professionale; art. 623 codice penale – Segreto industriale.

36 V. il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, 20 dicembre 1993; in base al regolamento, il tito-lare del marchio può commercializzare i suoi prodotti in tutta la Comunità e di beneficiare di regole di protezione comuni. Esso è completato da un regolamento di esecuzione, da un regolamento sui diritti di marchio (regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione, 13 dicembre 1995) e da un regolamento sulla procedura di ricorso alle camere istituite nell'ambito dell’Ufficio di armonizzazione nel mercato interno (UAMI) con sede ad Alicante (Spagna).

37 Minore successo, per ora, ha avuto il tentativo di istituire un brevetto comunitario, al posto si-stemi brevettali nazionali (seppure armonizzati). Un primo tentativo di regolamentazione comunitaria fu la sottoscrizione, da parte soltanto di alcuni paesi, della Convenzione di Lussemburgo del 15 dicem-bre 1975. I problemi della mancata introduzione di un brevetto comunitario furono oggetto di rifles-sione di diversi documenti tra i quali il Libro verde sull’innovazione e il Libro verde sul “Brevetto comunitario e sul sistema dei brevetti in Europa” del 1995. Negli anni seguenti sono state elaborate proposte di fonti giuridiche per regolare la materia. Ad oggi non è stata ancor approvata la proposta della Commissione per un regolamento sul brevetto comunitario, presentata ad agosto del 2000. Intan-to il Trattato di Nizza ha previsto una competenza del giudice comunitario in tema di brevetti, modifi-cando allo scopo il Trattato di Roma. In particolare l’art. 229a del Trattato CE stabilisce che la Corte di giustizia ha la competenza a pronunciarsi sui contenziosi relativi all’applicazione di atti che danno vita a diritti di proprietà industriale comunitari. L’art. 225a del Trattato CE, inoltre, permette di istituire ca-mere giurisdizionali incaricate di conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche, con possibilità di appello dinanzi il Tribunale di primo grado. V. a tale riguardo il

Page 135: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 109

2.3. Gli strumenti finanziari. – Altra tipologia di beni disciplinata dal diritto co-munitario sono i cosiddetti “strumenti finanziari”38, e cioè beni scambiati in un “mercato regolamentato”39, costituiti da “valori mobiliari”40; strumenti del merca-to monetario; quote di un organismo di investimento collettivo; contratti (di opzio-ne, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a valori mo-biliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o di altri strumenti finanziari derivati; strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di credito, e così via.

Il concetto di strumento finanziario è utilizzato per disciplinare in modo uniforme il mercato degli operatori (ai sensi della direttiva 2004/39/CE) e per armonizzazione gli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli e-mittenti (direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 15 di-cembre 2004); per la formulazione del prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione (direttiva 2003/71/CE del Parlamen-to europeo e del Consiglio, 4 novembre 2003).

Anche gli strumenti finanziari possono essere considerati “beni immateria-li”, in quanto la loro rilevanza per il diritto non dipende dalla circostanza che siano rappresentati da una veste cartolare, come accade per i titoli di credito nel sistema del codice civile. Gli strumenti finanziari possono essere rappresenti sol-tanto da scritture su registri informatici. Questa circostanza pone tutta una serie di problemi legati alla possibilità di applicazione di norme sostanziali e proces-suali, che sembrano presupporre la cartolarità o comunque la materialità, quali quelle riguardanti la disciplina del possesso o dell’esecuzione41. Tali problemi

——— “Documento di lavoro della Commissione sulla prossima istituzione di un organo giudiziario per il brevetto comunitario”, COM (2002) 480 del 30 agosto 2002.

38 V. più in dettaglio infra, parte V, capp. 1-2. 39 E cioè un “sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato, che consente

o facilita l’incontro – al suo interno ed in base alle sue regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita” (art. 4, n 14 direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari).

40 I “valori mobiliari”, definiti: “categorie di valori, esclusi gli strumenti di pagamento, che posso-no essere negoziate nel mercato dei capitali, ad esempio: a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e certificati di deposito azionario; b) obbligazioni ed altri titoli di credito compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli; c) qualsiasi altro valore mobilia-re che permetta di acquisire o di vendere tali valori mobiliari o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indi-ci o misure”. V. art. 4, 18) direttiva 2004/39/CE.

41 Sul punto v., per esempio, F. CORSINI, L’espropriazione degli strumenti finanziari dematerializzati (pro-blemi e prospettive), in Banca borsa tit. cred., 2004, I, p. 78; M. CIAN, Dematerializzazione degli strumenti finan-ziari e “possesso” della registrazione in conto, in Banca borsa tit. cred., 2002, II, p. 160.

Page 136: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 110

non impediscono che gli strumenti finanziari possano essere considerati beni. Semmai dimostrano l’esigenza di adattare la normativa o di utilizzare diversi ap-procci interpretativi, così come richiesto dal diritto comunitario42.

La disciplina degli strumenti finanziari presenta un altro aspetto interessan-te, se messo a confronto con la concezione codicistica dei beni. Come si avverte dalla definizione di “strumento finanziario”, non sembrano che ci siano dubbi che anche i crediti e i contratti (o meglio gli effetti del contratto) siano conside-rati beni dal diritto comunitario. Lo stesso accade per altre situazioni giuridiche soggettive come le già citate “quote latte” che consistono in una pretesa nei confronti della pubblica amministrazione (che la giurisprudenza ritiene un dirit-to soggettivo), di cui si può disporre e che possono essere oggetto di esecuzione coattiva.

Appare così ridimensionata quella netta contrapposizione tra diritti di credito e diritti reali, che emerge dalla lettera del codice. O meglio non sembra inammissi-bile che alcuni diritti abbiano insieme effetti di tipo assoluto e relativo43.

2.4. La multiproprietà. – Il diritto comunitario non solo crea nuovi beni, ma

incide anche sullo stesso concetto di “diritto reale”. Il che può apparire evidente nel caso della proprietà relativa ai beni immateriali (siano essi le invenzioni e le opere dell’ingegno o gli strumenti finanziari). Lo stesso accade a proposito dei beni materiali, come è nel caso della disciplina sulla “multiproprietà” (v. la diret-tiva 94/47, recepita con d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427).

La direttiva 97/47 riguarda il “diritto di godimento a tempo parziale di uno o più beni immobili” (art. 1, direttiva 97/47), e cioè il diritto di utilizzare un be-ne immobile per un “per un periodo determinato o determinabile dell'anno non inferiore ad una settimana” (art. 2, direttiva 97/47), per finalità abitative (e non

——— 42 Per esempio, alcune sentenze (Trib. Milano, 28 marzo 2000, in Vita not., 2000, p. 1507; v. anche

Pretura Carpi, 6 novembre 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 10) ritengono che le norme di derivazione comunitaria (nella specie la disciplina sul registro delle imprese e sulla circolazione delle quote sociali) costituiscano la base per concepire le quote delle s.r.l. come beni, suscettibili di pignoramento.

43 Del resto fin da Gaio si osserva che anche le obbligazioni possono essere considerate res incorpo-rales (Gai Inst., 2, 14). F.C. SAVIGNY, Il sistema del diritto romano attuale, trad. ital. di V. Scialoja, vol. I, To-rino, 1886, p. 342, scrive parlando dell’obbligazione: “Questa ha natura simile alla proprietà, non sola-mente perché entrambe costituiscono una estensione del dominio della nostra volontà sopra una por-zione del mondo esteriore, ma anche per più speciali riguardi: in primo luogo in quanto l’obbligazione può estimarsi in una somma di denaro, il che non è altro che un cambiamento dell’obbligazione in proprietà del danaro; in secondo luogo in quanto la maggior parte delle obbligazioni, e le più importan-ti tra di esse, non hanno altro scopo, che di condurre allo acquisto della proprietà o al godimento tem-poraneo di essa”.

Page 137: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 111

quindi per l’esercizio di un’attività professionale). Anche se il diritto in parola è definito “diritto reale”, la direttiva afferma di prevedere “unicamente” disposi-zioni sui contratti che hanno per oggetto tale diritto. In particolare, ai sensi dell’art. 1, c. 2, la direttiva regola “l’informazione sugli elementi costitutivi del contratto e le modalità di trasmissione di tale informazione; le procedure e le modalità di risoluzione e di recesso”. La qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte è invece lasciata agli stati membri.

La direttiva, pertanto, si può iscrivere nell’ambito delle fonti che tutelano il consumatore. Al di là degli obiettivi espliciti, tuttavia, la direttiva ha prodotto un dibattito teorico e pratico sulla nozione di proprietà e quindi di diritto reale.

Una prima serie di problemi, deriva dal ricondurre il diritto del multipro-prietario alla proprietà. Alla multiproprietà può mancare, infatti, il carattere, al-meno potenziale, della perpetuità, visto che può essere stabilita “per un periodo di almeno tre anni”. È pur vero che nel nostro ordinamento sono previste ipo-tesi di limitazione temporale della proprietà, come nel caso della donazione con patto di reversibilità (artt. 791, 792), o della vendita con patto di riscatto (artt. 1500 ss.). Si tratta però di ipotesi eccezionali e circoscritte al verificarsi di un da-to evento non certo (nel caso rispettivamente di premorienza del donatario o del mancato pagamento del prezzo), che tutelano gli interessi del donante o del venditore. Nella multiproprietà, invece, la limitazione temporale può essere proprio il contenuto del diritto di proprietà, stabilita a priori. La multiproprietà, inoltre, non assicura diritti di godimento e di disposizione pieni ed esclusivi (art. 832 c.c.), incontrando limiti analoghi a quelli di un diritto reale su cosa altrui. Il multiproprietario, infatti, può utilizzare il bene soltanto per l’uso abitativo. Il potere di disposizione, inoltre, è limitato dalle caratteristiche del diritto: il trasfe-rimento della quota e l’istituzione di diritti reali (quali l’usufrutto e l’abitazione) può avvenire nei ristretti limiti del sistema di turnazione nel godimento. È ov-viamente possibile costituire, sempre nell’ambito temporale previsto, diritti per-sonali di godimento. Ciò detto non si può però affermare che la multiproprietà conferisca un diritto reale parziario, visto che la disciplina non prevede una nu-da proprietà sottostante.

I problemi di qualificazione non sono risolti riconducendo la multiproprie-tà alla comunione di cui all’art. 1100 ss. c.c. La disciplina della comunione può spiegare diversi aspetti della multiproprietà ed in particolare il diritto godere e di disporre del bene per quote. Rispetto alla comunione si osservano però alcune differenze. Nella comunione i comproprietari possono adottare un regolamen-to, per l’ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune

Page 138: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 112

(art. 1106 c.c.). Il godimento turnario della multiproprietà invece non è eventua-le, ma l’oggetto stesso del diritto. Inoltre nella multiproprietà non vige la regola per cui il patto di rimanere in comunione non può eccedere i dieci anni, così come stabilito dall’art. 1111, 2° comma c.c. La dottrina ha posto in rilievo che il problema può essere superato, mediante l’applicazione dell’art. 1112 c.c.44; que-sta disposizione, come noto, prevede l’indissolubilità della comunione se riferita a cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate. Si può ammettere che l’art. 1112 c.c. si applichi anche a cose indivisibili in base all’accordo dei comproprietari. Ma anche in questo caso, quello che è eventuale nella disciplina ordinaria della comunione – l’essere la cosa non soggetta a divi-sione, per natura o per accordo – diventa essenziale al contenuto stesso della multiproprietà.

Dalle osservazioni sopra proposte si può avanzare l’impressione che la multiproprietà sia un diverso tipo di diritto reale o comunque di comunione.

3. — La tutela degli interessi fondamentali. 3.1. Limiti all’esercizio del diritto di proprietà. – L’esercizio dei diritti relativi ai

beni deve svolgersi nel rispetto di alcuni interessi fondamentali, come quelli in materia di salute e di sicurezza, di ordine pubblico, di carattere etico, ambientale e culturale.

Il rispetto di tali interessi ha senza dubbio una rilevanza per la costruzione del mercato interno, così come comunemente affermano i preamboli delle fonti comunitarie. La tutela di tali interessi è legata all’esigenza di assicurare la corret-tezza e la trasparenza nei rapporti concorrenziali tra le imprese. Infatti, tutte le imprese devono essere poste sullo stesso piano, qualunque sia il luogo dove o-perano. Il che si traduce, per il diritto comunitario, nella salvaguardia degli inte-ressi degli altri attori dello spazio giuridico-economico, primi tra tutti i consu-matori.

Il rispetto di tali interessi finisce con l’incidere sulla stessa concezione della proprietà e dei beni, funzionalizzandoli al perseguimento degli obiettivi dell’or-dinamento comunitario. Come si è accennato a proposito della giurisprudenza ———

44 P. CAPARELLI, P. SILVESTRO, Multiproprietà, in Diz. del dir. priv. a cura di N. Irti, Milano, 1980, p. 592; G. ALPA, Aspetti e problemi attuali della multiproprietà, in Giust. civ., 1983, II, p. 96; A. DE CUPIS, La durata della proprietà turnaria, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 195; F. SANTORO PASSARELLI, Multiproprietà e com-proprietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, p. 25.

Page 139: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 113

comunitaria, le normative in discorso non prevedono soltanto limiti all’esercizio di un diritto altrimenti pieno ed esclusivo (cfr. art. 832 c.c.); esse attribuiscono ai diritti reali e ai beni un rilievo giuridico coerente con gli obiettivi dell’Unione eu-ropea.

3.2. Sicurezza dei prodotti. – Nel diritto comunitario i beni devono essere si-

curi e quindi non arrecare danno agli utilizzatori. La materia della sicurezza dei prodotti è regolata dalla direttiva

2001/95/CEE (che ha abrogato, a partire dal 15 gennaio 2004, la precedente direttiva 92/59/CEE). La disciplina sulla sicurezza dei prodotti va coordinata con l'applicazione della direttiva 85/374/CEE relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi45.

La direttiva intende “stabilire a livello comunitario un obbligo generale di sicurezza per tutti i prodotti immessi sul mercato, o altrimenti forniti o resi di-sponibili ai consumatori” (sesto “considerando” della direttiva 2001/95), com-presi quelli forniti nell’ambito di un servizio e fatta eccezione dei beni di secon-da mano con valore di pezzi d'antiquariato o che devono subire riparazioni.

In base alla direttiva i produttori hanno un obbligo specifico di immettere sul mercato prodotti sicuri (art. 3, par. 1, direttiva 2001/95), che cioè “in condi-zioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l’installazione e le esigenze di manutenzione, non pre-senti[no] alcun rischio oppure presenti[no] unicamente rischi minimi, compati-bili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un li-vello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone” (art. 2, lett. b, 2001/95). I produttori, ai sensi dell’art. 5 della direttiva, inoltre, hanno l’obbligo di fornire al consumatore le informazioni pertinenti alla valutazione dei rischi connessi con l’uso di un prodotto, quanto tali rischi non siano immediatamente percepibili, e adottare disposizioni adeguate per prevenirli (ad esempio il ritiro dei prodotti dal mercato, le avvertenze ai consumatori e la resa da parte dei con-sumatori dei prodotti già forniti). Anche i distributori sono tenuti a fornire pro-dotti che soddisfino il requisito di sicurezza generale; essi devono inoltre con-trollare la sicurezza dei prodotti immessi sul mercato e fornire la documentazio-ne atta a rintracciare l’origine dei prodotti. Se i fabbricanti o i distributori si ren-dono conto che un prodotto è pericoloso devono avvertire le autorità compe-tenti e, se necessario, collaborare con esse.

——— 45 V. infra, parte II, cap. 2.

Page 140: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 114

Sono poi previsti norme specifiche per la sicurezza per la produzione e l’utilizzazione di materie pericolose nei giocattoli (v. direttiva 76/769/CEE; di-rettiva 88/378/CEE) e la sicurezza dei prodotti alimentari (v. regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002).

3.3. Livelli di qualità dei prodotti e informazioni sui prodotti. – Connessa all’esi-

genza di tutelare la sicurezza dei prodotti e della concorrenza è quella di stabi-lire comuni regole di “armonizzazione tecnica e normalizzazione” (v. soprattut-to la risoluzione del Consiglio, del 7 maggio 1985, relativa ad una nuova stra-tegia in materia di armonizzazione tecnica e di normalizzazione e la direttiva 83/189/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regola-mentazioni tecniche). Queste disposizioni fissano standard comuni per sedici ca-tegorie omogenee di prodotti, in modo da assicurare i livelli di sicurezza e quali-tà dei beni. La decisione 93/465/CEE del Consiglio, del 22 luglio 1993, inoltre, prevede le procedure armonizzate di certificazione, riguardanti le fasi di proget-tazione, produzione e controllo dei beni. I prodotti che soddisfano i “requisiti essenziali” richiesti dalla normativa sono contraddistinti della marcatura “CE”. La marcatura agevola i controlli e soprattutto consente la libera circolazione sul mercato comunitario.

Allo scopo di fornire una corretta informazione sulla qualità e la sicu-rezza dei prodotti è prevista, inoltre, una disciplina sulla etichettatura, pre-sentazione dei prodotti e pubblicità (v. direttiva 2000/13/CE del Parlamen-to e del Consiglio, del 20 marzo 2000; per prodotti contenenti carne v. di-rettiva 2001/101/CE)46. Tra le informazioni considerate essenziali, riguardan-ti la qualità dei prodotti alimentari, vi sono quelle legate all’origine, al meto-do di elaborazione o di produzione. È stato istituito, a tale proposito, un si-stema di indicazioni geografiche protette (IGP)47 e denominazione di origi-

——— 46 Le informazioni richieste sono: la denominazione di vendita secondo il diritto comunitario;

l’elenco degli ingredienti; la quantità degli ingredienti o delle categorie di ingredienti espressa in percen-tuale. Per i prodotti particolarmente deperibili vanno indicati: la data limite di consumo; le condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione; il nome o la ragione sociale e l’indirizzo del fabbricante o del confezionamento ovvero di un venditore con sede nel territorio della Comunità; il luogo d’origine o di provenienza, nel caso in cui una sua omissione possa indurre il consumatore in errore; le istruzioni per l’uso, se necessario; la menzione del titolo alcolometrico volumico acquisito per le bevande con un titolo superiore all’1,2% d’alcool in volume.

47 L’indicazione geografica protetta è nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese, che serve a designare un prodotto originario di tale area geografica, allorché una determinata qualità del

Page 141: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 115

ne (DOP)48 (v. regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’o-rigine dei prodotti agricoli e delle derrate alimentari), nonché una normativa per identificare l’utilizzo di procedure di produzione “biologiche” (Regolamento 2092/91/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1991, relativo al metodo biologico di produzione dei prodotti agricoli e alle modalità concernenti l'indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari) o l’utilizzo di organi-smi geneticamente modificati (OGM, v. il regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003).

3.4. Le connotazioni etiche dei beni. – L’esercizio dei diritti sui beni deve rispet-

tare i cosiddetti “principi etici fondamentali”49. Come affermano i testi giuridici comunitari, per esempio, la proprietà intel-

lettuale “non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d’espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet” (secondo “considerando” direttiva 2004/48/CE). La disciplina sulle invenzioni biotecnologiche, inoltre, fa riferimento al rispetto dei “principi etici o morali … e la cui osservanza è indispensabile in particolare in materia di biotecnologia, da-ta la portata potenziale delle invenzioni in questo settore ed il loro nesso intrin-seco con la materia vivente” (trentanovesimo “considerando” della direttiva 98/44)50.

Per principi etici fondamentali si intendono51, principalmente, la tutela della dignità umana e dei diritti fondamentali (v. la sezione 1 di questo capitolo), del patrimonio genetico52, dell’ambiente e del benessere degli animali.

——— prodotto o la sua rinomanza sono attribuibili all'ambiente geografico, di cui fanno parte fattori naturali ed umani.

48 La denominazione d’origine protetta (“DOP”) è nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese, che serve a designare un prodotto originario di tale area geografica e la cui qualità o le cui caratteristiche sono attribuibili esclusivamente o in massima parte all’ambiente geografico.

49 Sulle implicazioni giuridiche dei principi bioetici, v. A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica del Diritto privato, voll. I e II, Padova, 2002.

50 Ai sensi dell’art. 6, par. 2, “Ai sensi del par. 1, sono considerati non brevettabili in particolare: a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica ger-minale dell’essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali; d) i proce-dimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti”.

51 Cfr. l’allegato 1 della decisione 1513/2002 relativa al Sesto Programma Quadro di Ricerca e Svi-luppo Tecnologico

52 Tra le fonti che identificano i principi etici fondamentali a tutela della dignità umana, v. quelli indicati nel citato Allegato 1 alla decisione n. 1513/2002: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

Page 142: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 116

La tutela dell’ambiente è assicurata dal capo XIX del Trattato CE (artt. 174 ss.)53 e da un copiosa legislazione derivata che riguarda, tra l’altro, la normativa ambientale in materia di prodotti e servizi54.

Riguardo agli animali, non si considerano più semplicemente come le “co-se” previste dalla legislazione nazionale (v., per esempio, gli artt. 923 c.c., sulla disciplina dell’occupazione). Anche se qualificabili ancora come beni, gli animali rilevano come esseri viventi sensibili, di cui va tutelato il benessere e ai quali so-no da evitare inutili sofferenze. È stata quindi elaborata una disciplina, peraltro in evoluzione55, che ha tra i suoi riferimenti il “Protocollo sulla protezione ed il

——— Europea; la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; la Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali; direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotec-nologiche; direttiva 2001/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 aprile 2001 concernen-te il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all’applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica di me-dicinali ad uso umano; Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e il protocollo addizionale sul divieto di clonazione di esseri umani firmato a Parigi il 12 gennaio 1998; le raccomandazioni del Consiglio d’Europa in tema di salute e tutela dei dati personali (in particolare le seguenti: la raccomandazione R(97)5 del 13 febbraio 1997, relativa al trattamento automatizzato dei dati sanitari; la raccomandazione R(94) 11 sugli screening genetici a fini di medicina preventiva; la raccomandazione R(92) 3 del 10 febbraio 1992 sui test e gli screening genetici a fini medici; la raccomandazione R(90) 3 del 6 febbraio 1990, relativa alla ricerca medica sull’essere umano; la raccomandazione R(83) 10, del 23 febbraio 1983, riguardante la protezione dei dati personali utilizzati ai fini della ricerca); la Dichiarazione universale sul genoma umano ed i diritti umani dell’UNESCO; le International Ethical Guidelines for Biomedical Research Involving Human Su-bjects, prepared by the Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità; la Dichiarazione di Helsinki del giugno 1964 e successive modifiche, relativa agli Ethical Principles for Medical Research Involving Human Subjects, della World Medical Association.

53 Sulla strategia comunitaria in materia ambientale, v. Comunicazione della Commissione al Con-siglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, del 24 gen-naio 2001, sul Sesto programma di azione per l’ambiente della Comunità europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” (COM(2001) 31).

54 V. il Libro verde sulla politica integrata relativa ai prodotti, del 7 febbraio 2001 (presentato dalla Commissione) COM(2001) 68). V. anche la disciplina riguardante l’immissione nell’ambiente di organi-smi geneticamente modificati: direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio; decisione del Consiglio del 3 ottobre 2002 che stabilisce, ai sensi della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, il modello per la sintesi delle notifiche sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati per scopi diversi dall'immissione in commercio; decisione del Consiglio del 3 ottobre 2002 che stabilisce, ai sensi della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, il modello per la sintesi delle notifiche sull’immissione in commercio di organismi geneticamente modificati come tali o contenuti in prodotti.

55 V. la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 23 gennaio 2006, riguardante un piano d’azione comunitaria per la protezione e il benessere degli animali nel pe-riodo 2006-2010 (COM(2006) 13).

Page 143: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I BENI E I DIRITTI REALI 117

benessere degli animali” allegato al Trattato CE dal Trattato di Amsterdam. La normativa in parola riguarda, in particolare, la tutela degli animali sottoposti a sperimentazione56 e la loro protezione negli allevamenti57, durante il loro tra-sporto58 e con riguardo alle modalità di abbattimento59.

3.5. I beni culturali. – La legislazione dell’Unione europea prende in conside-

razione, inoltre, il rilievo “culturale” di alcuni beni. Sono stati così individuati e regolati i “beni culturali”. Ciò è avvenuto, in

particolare, attraverso il regolamento (CEE) n. 3911/92 del Consiglio, del 9 di-cembre 1992, relativo all’esportazione di beni culturali e la direttiva 93/7/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1993, riguardante la restituzione dei beni culturali usciti illegalmente dal territorio di uno Stato membro60.

Per bene culturale, ai sensi dell’art. 1, direttiva 93/7/CEE si intende un be-ne che è qualificato tra i “beni del patrimonio nazionale aventi un valore artisti-co, storico o archeologico”, che appartiene ad una delle categorie di cui all’allegato alla direttiva, o che fa parte delle collezioni pubbliche figuranti negli inventari dei musei, degli archivi e dei fondi di conservazione delle biblioteche.

Come nel caso dei “beni immateriali”, anche per il riconoscimento della ca-tegoria dei beni culturali, viene in rilievo l’interesse comunitario per beni legati ad attività non solo economiche, ma di rilevanza scientifica e culturale.

I caratteri particolari di questi beni impongono di applicare in modo diffe-renziato il principio di libertà di circolazione delle merci.

——— 56 V. la disciplina relativa al benessere degli animali: la direttiva del Consiglio del 24 novembre

1986 concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici (86/609/CEE); la Convenzione europea sulla protezione degli animali vertebrati utilizzati a fini speri-mentali o ad altri fini scientifici, firmata a Strasburgo il 18 marzo 1986 e recepita dall’Unione europea con decisione del Consiglio del 23 marzo 1998 n. 1999/575/CE e successive modifiche e integrazioni; gli International Guiding Principles for Biomedical Research Involving Animals, del Council for International Organi-zations of Medical Sciences (CIOMS).

57 V. la direttiva 98/58/CE del Consiglio, 20 luglio 1998, riguardante la protezione degli animali negli allevamenti e la Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti, adottata dalla decisione del Consiglio n. 78/923/CEE, 19 giugno 1978 e adottata dai paesi membri dell’Unione.

58 V. la nuova normativa prevista dal regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio, del 22 dicembre 2004, sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate che modifica le diret-tive 64/432/CEE e 93/119/CE e il regolamento (CE) n. 1255/97.

59 Direttiva 93/119/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1993, relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento; v. anche la Convenzione adottata con decisione del Consiglio n. 88/306/CEE del 16 maggio 1988.

60 Per una approfondita indagine sul tema si rinvia ad A. LANCIOTTI, La circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario, Perugia, 1996.

Page 144: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 118

I beni culturali, infatti, possono circolare liberamente, con alcune restrizioni all'importazione, all'esportazione ovvero al transito, al fine di proteggere i tesori nazionali aventi un valore artistico, storico o archeologico art. 30 del Trattato CE. Al fine di facilitare i controlli delle esportazioni e di proteggere i beni cultu-rali, è previsto un regime speciale di esportazione per i tesori nazionali. Inoltre è prevista una disciplina per la restituzione di beni culturali che hanno lasciato il territorio di uno Stato membro.

3.6. I limiti di ordine pubblico. – Il diritto comunitario prevede, inoltre, norme

specifiche a tutela dell’ordine pubblico, che comportano limiti ed adempimenti specifici per gli operatori commerciali. In particolari queste norme riguardano gli stupefacenti e le sostanze psicotrope (regolamento (CEE) n. 3677/90 del Consiglio, 13 dicembre 1990), i precursori di droghe (regolamento (CE) n. 273/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, 11 febbraio 2004); le merci contraffatte (regolamento n. 3295/94/CEE del Consiglio, 22 dicembre 1994); i beni che violano i diritti di proprietà intellettuale (regolamento (CE) n. 1383/2003, 22 luglio 2003); gli esplosivi ad uso civile (direttiva n. 93/15/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993); i beni e le tecnologie a duplice uso, civile e militare (regolamento (CE) n. 1334/2000 del Consiglio, 22 giugno 2000); le armi da fuo-co (direttiva 91/477/CEE del Consiglio, 18 giugno 1991). A difesa dell’ambiente, inoltre, norme particolari sono adottare per la flora e la fauna selvatiche (rego-lamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, 9 dicembre 1996).

Page 145: Diritto privato del mercato

CAPITOLO QUARTO

I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI

SOMMARIO: 1. Premessa. — Sezione I - Il diritto comunitario dei contratti. 2. Il diritto dei contratti dei consumatori. 2.1. Il quadro normativo. 2.2. Le tecniche contrattuali di tutela dei consumatori. — 3. I contratti tra imprese. 3.1. La tutela di alcune imprese. 3.2. I pagamenti. — 4. I contratti degli enti pubblici. 4.1. La normativa sugli appalti pubblici. 4.2. I principi in materia di pubblici ap-palti. 4.3. La portata generale dei principi in materia di appalti pubblici. 3.4. Il diritto co-munitario dei contratti pubblici. — 5. I contratti riguardanti le tecnologie dell’infor-mazione ed i beni immateriali. 5.1. Il commercio elettronico. 5.2. I contratti riguardanti i beni immateriali. — 6. La scelta della legge nazionale applicabile e del giudice competen-te. 6.1. Le fonti comunitarie. 6.2. La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle ob-bligazioni contrattuali. 6.3. La legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali. 6.4. Il regolamento 44/2001 sul giudice competente. — Sezione II – I principi comunitari in materia di contratti. 7. La definizione di contratto. — 8. Gli elementi del contratto. 8.1. L’accordo delle parti. 8.2. L’oggetto. L’obbligo di informazio-ne. 8.3. La forma. 8.4. La causa e i motivi. — 9. Le conseguenze dell’inadem-pimento del contratto. — 10. I rapporti tra le parti e gli effetti sui terzi. — 11. Interpretazione e appli-cazione dei contratti. 11.1. La buona fede. 11.2. L’equità. — 12. La funzione del contratto nell’ordinamento comunitario. — Sezione III - Obbligazioni non contrattuali e obbligazioni in generale. 13. Introduzione. — 14. La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. — 15. Le altre tipologie di responsabilità. — 16. Le regole applicabili ai rapporti obbligatori. 16.1. Le ipotesi di esclusione della re-sponsabilità. 16.2. Le conseguenze della responsabilità. 16.3. Le vicende dei rapporti ob-bligatori.

1. — Premessa. Questo capitolo è dedicato alla normativa comunitaria in materia di con-

tratti e di obbligazioni. La prima sezione del capitolo è dedicata alla disciplina dei contratti, in par-

ticolare con riferimento a materie quali i contratti tra professionisti e i consuma-tori; la disciplina di alcuni contratti tra imprese; i contratti riguardanti i beni im-materiali e le tecnologie dell’informazione; la normativa dei contratti pubblici; la scelta dell’ordinamento applicabile e del giudice competente.

Dalle fonti relativi alle materie suddette, si cercherà di individuare alcuni principi generali, che caratterizzano la disciplina comunitaria dei contratti, di cui si parlerà nella seconda sezione del capitolo.

Page 146: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 120

La terza sezione, sarà dedicata all’azione comunitaria con riferimento alle obbligazioni non contrattuali.

SEZIONE I - IL DIRITTO COMUNITARIO DEI CONTRATTI

2. — Il diritto dei contratti dei consumatori. 2.1. Il quadro normativo. – L’azione comunitaria in materia di contratti ri-

guarda in particolare gli accordi stipulati tra consumatori e professionisti. Gli interventi normativi in questa materia sono molteplici, tra i quali vanno

ricordate le seguenti fonti: - direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999,

su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo;

- direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abu-sive nei contratti stipulati con i consumatori1;

- direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”;

- direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei con-sumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali2;

- direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicina-mento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, modificata dalla direttiva 90/88/CEE e dalla direttiva 98/7/CE;

- direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.

Inoltre va ricordata la disciplina sulla multiproprietà, alla quale si è già ac-

cennato nella seconda sezione di questo capitolo (direttiva 94/47/CE del Par-lamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela del-l'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili).

——— 1 Recepita in Italia dalla legge comunitaria n. 52/96 del 6 febbraio 1996, che inserisce cinque nuo-

vi articoli dall’art. 1469-bis all’art. 1469-sexies, all’interno del nuovo Capo XIV-bis del titolo II del libro IV intitolato ai “contratti del consumatore”, poi modificata con la legge comunitaria per il 1999).

2 Attuata in Italia dal d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50.

Page 147: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 121

Le direttive summenzionate contengono sia una disciplina di carattere ge-nerale (per es. direttiva sulle clausole vessatorie), sia norme applicabili a singole figure contrattuali bene determinate (direttiva sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali, direttiva sui contratti di viaggio, direttiva sulla multiproprie-tà, e così via).

Come si è anticipato nella prima sezione di questo capitolo, parlando dei consumatori come soggetti, le fonti citate e le azioni comunitarie in questo campo hanno come scopo preminente la tutela dell’interesse del consumatore. Quello che qui interessa è il modo con cui questa tutela si realizza nello specifi-co della materia contrattuale.

2.2. Le tecniche contrattuali di tutela dei consumatori. – Nelle direttive citate, in

particolare, le tecniche per tutelare l’interesse del consumatore sono essenzial-mente tre: il diritto di ripensamento del consumatore; il diritto all’informazione; l’obbligo di una data forma.

a) Ripensamento Per quanto riguarda il diritto di ripensamento3, questo si traduce, a seconda

dei casi, in un diritto di recesso (quando il contratto concluso produca immedia-tamente i suoi effetti)4 o in una sospensione temporanea degli effetti (quando gli effetti del contratto concluso siano differiti alla scadenza del termine per il ri-pensamento).

Il diritto al ripensamento può essere esercitato entro i termini previsti dalle diverse direttive. Tali termini sono di solito ampliati, nel caso di inadempimento del professionista dei suoi obblighi in materia di informazione o di forma (v. i paragrafi successivi).

L’esercizio del diritto al ripensamento non comporta, solitamente, il paga-mento di una penale o l’obbligo di fornire motivazioni5. ———

3 Ai sensi della direttiva 90/314/CEE sui pacchetti viaggio, per esempio, il consumatore ha il di-ritto di recedere dal contratto senza alcuna penale se l'organizzatore del viaggio ha alterato in modo significativo una clausola essenziale del contratto. Alcune direttive prevedono espressamente diritti di recesso [cfr. direttiva 94/47/CE sul diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (art. 5, par. 1, entro un termine di 3 mesi, e art. 7 per i contratti di credito)]. In altre direttive mancano disposizioni al riguardo (cfr. direttiva 87/102/CEE sul credito al consumo).

4 È il caso del diritto di recesso assicurato nel caso di acquisto fuori dai locali commerciali. Il con-sumatore, anche dopo la firma del contratto, può risolverlo entro sette giorni, anche senza giusta causa. Il diritto di recesso è inderogabile e irrinunciabile; la merce va restituita anche se è stata usata (art. 7 d.lgs. 50/1992).

5 Cfr. la direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza (art. 6: entro un termine di 7 giorni), nonché la proposta di direttiva sui contratti a distanza per i servizi finanziari (entro un termine che va da 14 a 30

Page 148: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 122

b) Informazione In capo al contraente professionista è imposto un obbligo di informazione

nei confronti del consumatore. Il diritto comunitario richiede che il professionista fornisca al consumatore

le informazioni relative a tutti gli “elementi costitutivi del contratto” e disciplina “le modalità di trasmissione di tale informazione” (come previsto dall’art. 1, c. 2, direttiva 94/47 sulla multiproprietà).

Gli elementi costitutivi del contratto riguardano, per esempio, a) il fornitore del servizio;

b) il servizio finanziario, ed il suo prezzo;

c) il contenuto del contratto a distanza, compresa l’esistenza o meno del di-ritto di recesso e le sue modalità di esercizio;

d) il ricorso a procedure di risoluzione delle controversie, specificando se si tratta di procedure stragiudiziali.

(direttiva 2002/65/CE del 23 settembre 2002, v. il libro verde “servizi finanziari: come soddisfare le aspettative dei consumatori”, ad integrazione della direttiva 97/7). L’informazione che deve essere fornita dipende dalle fasi del contratto. È il caso, per esempio, della direttiva sui contratti negoziati a distanza (di-

rettiva 97/7). In un primo tempo il venditore deve fornire al consumatore (“in modo

chiaro e comprensibile”, art. 3 direttiva 97/7) alcune informazioni preliminari prima della conclusione del contratto e, in particolare, quelle relative all’identità del fornitore, alle caratteristiche essenziali del bene e del servizio, al prezzo, alle spese di consegna, alle modalità di pagamento, ecc., nonché soprattutto, all’esistenza del diritto di recesso a favore del consumatore. Date le diverse mo-dalità possibili di vendita a distanza, la direttiva stabilisce che l’informazione de-ve essere fornita “con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione im-piegata” purché siano osservati i principi di lealtà in materia di transazioni commerciali (art. 4, c. 2, direttiva). In un secondo momento, dopo il perfezio-namento del contratto ma non oltre il momento della consegna della merce, il venditore deve far pervenire al consumatore conferma scritta delle informazioni

——— giorni), le direttive 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali (art. 5: entro 7 giorni) e 94/47/CE sul diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (art. 5: entro 10 giorni). Norme al riguardo possono anche essere trovate nella direttiva 90/619/CEE sulle assicurazioni vita (art. 15: entro un termine che va da 14 a 30 giorni).

Page 149: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 123

preliminari (art. 5 direttiva). Un terzo tipo di informazioni riguarda invece le vi-cende inerenti all’esecuzione degli obblighi contrattuali, come la mancata dispo-nibilità della merce pattuita o l’intenzione di consegnare un bene diverso ma di qualità e prezzo equivalenti.

c) Forma Per assicurare una corretta informazione sul recesso e sugli altri elementi

del contratto, le direttive prevedono una forma specifica per la redazione del contratto. Non solo il contratto deve essere redatto per iscritto, ma si richiede l’applicazione del principio della trasparenza. Le clausole contrattuali, infatti, devono essere formulate in “in termini chiari e precisi” (art. 6 d.lgs. 111/1995 sui contratti di viaggio) o anche in modo “chiaro e comprensibile” (v. l’art. 5 della direttiva 93/13 sulle clausole abusive e l’art. 3 della direttiva n. 97/7 sui contratti negoziati a distanza).

Come stabilisce la direttiva da ultimo citata, in caso di dubbio prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore.

3. — I contratti tra imprese. Il diritto comunitario dei contratti si occupa dei rapporti tra imprese, soprat-

tutto per regolare alcuni aspetti come: la tutela dei professionisti “deboli”, la disci-plina dei pagamenti, la concorrenza, i contratti pubblicitari, e così via. Il tema dei contratti della pubblicità verrà approfondito in successivo capitolo del libro6.

3.1. La tutela di alcune imprese. – Come si è si è potuto osservare a proposito

di PMI, nel mercato comunitario le imprese sono considerate in modo relativo, le une rispetto alle altre. Per l’ordinamento, pertanto, alcune imprese devono es-sere oggetto di una tutela specifica rispetto ad altre.

A tale proposito, si è osservato come esiste una disciplina agevolativa per le piccole e medie imprese. In altri casi la tutela avviene sotto il profilo contrattuale, utilizzando tecniche molto simili a quelle impiegate per la tutela dei consumatori.

È il caso della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, riguardante gli agenti commerciali indipendenti7.

——— 6 Infra, parte V, cap. 3. 7 Per agente commerciale, ai sensi dell’art. 1, c. 2, direttiva, si intende “la persona che, in qualità di

intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un'altra persona, qui di

Page 150: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 124

La direttiva è stata recepita in Italia in un primo momento con il d.lgs. 10 settembre 1991 n. 303, che ha novellato la disciplina codicistica del contratto di agenzia, di cui agli artt. 1742 e ss. del codice civile. L’adattamento della discipli-na italiana è stato completato dalla legge 21 dicembre 1999, n. 526, che ha mo-dificato l’art. 1746 c.c., vietando la previsione dello “star del credere” a carico dell’agente; dal d.lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, che ha modificato gli artt. 1742, 1746, 1748, 1749 e 1751 c.c.; nonché dall’art. 23 della legge 29 dicembre 2000, n. 422 che, in attuazione del comma 4 dell'art. 20 della direttiva, ha introdotto la “indennità di non concorrenza”, integrando l’art. 1751 bis c.c.

La direttiva prende le mosse dalla esigenza della protezione degli agenti commerciali, nonché della sicurezza delle operazioni commerciali, che può esse-re compromessa dalle differenze tra legislazioni nazionali in materia di rappre-sentanza commerciale (primo “considerando” della direttiva 86/653).

Per raggiungere tali obiettivi la direttiva prevede, innanzitutto, alcuni doveri dell’agente e del preponente.

In particolare le due parti devono comportarsi con “lealtà e buona fede” (v. il primo paragrafo degli artt. 3 e 4). Il che si traduce, per quanto riguarda l’agente, nell’obbligo di “adoperarsi adeguatamente per trattare ed, eventualmente, con-cludere gli affari di cui è incaricato”; di comunicare al preponente tutte le in-formazioni necessarie e attenersi alle istruzioni “ragionevoli” impartite dal pre-ponente (art. 3, par. 2).

Il preponente, da parte sua, deve mettere a disposizione dell’agente la do-cumentazione e le informazioni necessarie all’esecuzione del contratto (art. 4, par. 2), e informarlo in un termine ragionevole dell'accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare procuratogli (art. 4, par. 3).

Una particolare attenzione viene poi posta ai criteri per determinare i tempi ed i modi del compenso dell’agente commerciale (v. artt. 6-12), nonché dell’in-dennità da corrispondersi all’agente nel caso di cessazione del contratto di agen-zia (art 17).

Sono dettate regole particolari per il patto di non concorrenza che grava sull’agente, dopo la conclusione del contratto (art. 20). Questo patto deve essere determinato con riferimento all’area geografica, al gruppo di persone e alle tipo-logie di merci, e non può prevedere una limitazione dell’attività dell’agente per un periodo superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto.

——— seguito chiamata preponente, la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente.”

Page 151: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 125

Il principale strumento di tutela degli interessi in gioco, ed in particolare quelli dell’agente, è la previsione dell’inderogabilità dei doveri delle parti (art. 5), nonché dell’inderogabilità “a detrimento dell’agente” delle disposizioni relative alle provvigioni (momento in cui sorge il diritto: art. 10, par. 4; estinzione del diritto: art. 11, par. 3; diritto all’estratto conto e alle informazioni sul credito ma-turato: art 12, par. 3) e di quelle riguardanti l’indennità per la cessazione del con-tratto (art. 19).

Un’ulteriore tecnica di tutela è costituita dalla richiesta della forma scritta. Infatti, ai sensi dell’art. 13, par. 1, della direttiva “Ogni parte ha il diritto di chie-dere ed ottenere dall'altra parte un documento firmato, riproducente il contenu-to del contratto di agenzia, comprese le clausole addizionali”. Gli stati membri possono prevedere la forma scritta ai fini della prova del contratto. La forma scritta è richiesta per la validità del patto di non concorrenza di cui all’art. 20.

3.2. I pagamenti. – Il diritto comunitario si occupa, tra l’altro, di l’efficienza

dei sistemi di pagamento all’interno del mercato. In particolare la direttiva 97/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,

del 27 gennaio 1997, riguarda i “bonifici transfrontalieri”, con l’obiettivo di fis-sare dei requisiti minimi in materia d'informazione e di esecuzione dei bonifici tra soggetti di stati diversi (di importo massimo di 50.000 euro), in modo da renderli rapidi, sicuri ed economici in tutto il mercato interno. La direttiva pre-scrive un obbligo di informazione da parte delle banche che forniscono i servizi di bonifico. Tali informazioni riguardano sia le condizioni applicabili (il termine necessario affinché i fondi accreditati sul conto dell'ente del beneficiario siano accreditati sul conto di quest’ultimo; le modalità di calcolo di tutte le commis-sioni e spese a carico del cliente in favore dell'ente; la data di valuta applicata dall’ente; le procedure di reclamo e le possibilità di ricorso; i tassi di cambio di riferimento usati) e quelle relative all’esecuzione o al ricevimento del bonifico transfrontaliero (un riferimento che consenta al cliente di identificare il bonifico; l’importo iniziale del bonifico transfrontaliero; l’ammontare di tutte le spese e commissioni a carico del cliente; la data di valuta applicata dall’ente). La diretti-va, inoltre, stabilisce i principali obblighi e le conseguenze che gravano sulle banche: esecuzione del bonifico nei termini stabiliti e comunque non oltre cin-que giorni lavorativi dall’ordine (art. 6, direttiva 97/5/CE); esecuzione delle i-struzione dell’ordinante (art. 7); obbligo del rimborso nel caso di bonifici non giunti a buon fine (art. 8). Gli enti che partecipano all'esecuzione di un ordine di bonifico transfrontaliero possono invocare cause di “forza maggiore” per libe-

Page 152: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 126

rarsi degli obblighi previsti dalla direttiva. In caso di utilizzo di banche interme-diarie, la banca dell’ordinante viene resa direttamente responsabile nei confronti di quest’ultimo.

Con riferimento ai mezzi di pagamento, inoltre, occorre ricordare che la raccomandazione 87/598 (par. III, 4a) e la direttiva 98/26/CE del Parlamen-to europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, stabiliscono il carattere defi-nitivo del pagamento elettronico e l’irrevocabilità dell’ordine dato mediante le carte di pagamento. L’irrevocabilità del pagamento deve essere prevista nel contratto.

Per rendere effettivo il sistema di pagamenti all’interno del mercato, inol-tre, il diritto comunitario ha introdotto una disciplina specifica per combattere i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali (direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000). Questa direttiva prevede: una disciplina legale degli interessi moratori (decorrenza e tasso), fat-to salvo il risarcimento del danno da ritardo colpevole (art. 3, par. 1); una di-sciplina della riserva della proprietà (art. 4, par. 1); la previsione di procedure di recupero di crediti non contestati, di modo che sia possibile ottenere un ti-tolo esecutivo – solitamente entro 90 giorni – in conformità della legislazione nazionale.

4. — I contratti degli enti pubblici. Nel capitolo 1 della parte prima, si è accennato all’attenzione del diritto

comunitario per gli enti pubblici. Questa attenzione si manifesta soprattutto nel-la disciplina dei contratti stipulati da tali enti.

4.1. La normativa sugli appalti pubblici. – Nell’ambito dell’azione comunitaria

per la realizzazione del mercato interno, è stata dettata una disciplina in materia di pubblici appalti. L’obiettivo delle fonti è di assicurare un’ampia partecipazio-ne delle imprese europee ai contratti con le pubbliche amministrazioni, consen-tendo così di poter “sfruttare appieno le potenzialità del mercato interno della Comunità grazie, in particolare, all’apertura degli appalti pubblici nazionali” (art. 163 Trattato CE).

Per raggiungere tali obiettivi, sono state adottate un insieme di direttive, che si occupano, rispettivamente, degli appalti di lavori (direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione

Page 153: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 127

degli appalti pubblici di lavori)8, di forniture (direttiva 93/36/CEE del Consi-glio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli ap-palti pubblici di forniture)9 e di servizi (direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pub-blici di servizi)10. Nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e delle teleco-municazioni, è stata adottata una specifica normativa che tiene conto della spe-cificità delle autorità aggiudicatrici e delle differenti strutture che caratterizzano tali settori all’interno della Comunità (direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni).

La normativa in tema di appalti pubblici riguarda, almeno letteralmente, so-lo i contratti di importo superiore ad una certa “soglia”11 (ma v. il successivo pa-ragrafo 3).

Successivamente il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno raccoglie-re il contenuto delle fonti citate in due direttive (direttiva 2004/18/CE del Par-lamento e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle pro-cedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi; direttiva 2004/17/CE del Parlamento e del Consiglio del 31 marzo 2004 che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali). Ciò “per rispondere alle esigenze di semplificazione e di modernizzazione formulate sia dalle ammi-

——— 8 Ai sensi della direttiva 2004/18/CE, art. 1, par. 1, lettera b): “Gli ‘appalti pubblici di lavori’ sono

appalti pubblici aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l'esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all’allegato I o di un’opera, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice. Per “ope-ra” si intende il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una fun-zione economica o tecnica”.

9 L’art. 1, par. 1, lettera c), prevede che “Gli ‘appalti pubblici di forniture’ sono appalti pubblici di-versi da quelli di cui alla lettera b) aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti. Un appalto pubblico avente per oggetto la fornitura di prodotti e, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione è consi-derato un «appalto pubblico di forniture»”.

10 Sono considerati appalti pubblici di servizi quelli “diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II” (art. 1, par. 1, lettera d), di-rettiva 2004/18/CE). Nella disposizione si precisa che “Un appalto pubblico avente per oggetto tanto dei prodotti quanto dei servizi di cui all’allegato II è considerato un ‘appalto pubblico di servizi’ quan-do il valore dei servizi in questione supera quello dei prodotti oggetto dell'appalto.”

11 Le soglie di applicazione sono state più volte modificate, da ultimo con il regolamento 1874 del 28 ottobre 2004; l’adeguamento è stato sempre dettato dall’esigenza di allineare la normativa comunita-ria all’accordo sugli appalti pubblici firmato a Marrakech nel 1994.

Page 154: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 128

nistrazioni aggiudicatrici che dagli operatori economici nel contesto delle rispo-ste al Libro verde adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996”, nonché prendendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia, in parti-colare con riguardo alla giurisprudenza relativa ai criteri di aggiudicazione” (primo “considerando” delle due direttive da ultimo citate) e della necessità di elaborare nuovi sistemi di acquisto elettronico (dodicesimo e seguenti “conside-rando” della direttiva 2004/18/CE).

La normativa comunitaria è inoltre intervenuta per regolare le procedure di ricorso in materia di appalti pubblici, in modo da rendere effettiva la possibilità per le imprese europee di agire giudizialmente contro la violazione delle norme comunitarie12.

4.2. Principi in materia di pubblici appalti. – L’intera materia dei pubblici appalti

è costruita intorno ad alcuni principi fondamentali. A tale proposito l’art. 2 della direttiva 2004/18/CE prescrive che “Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di pari-tà, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza”. Il principio di parità e non discriminazione costituisce un’applicazione, in

un campo particolare, delle libertà di cui si è detto nel capitolo 1 della parte prima. Come ha affermato la Corte di giustizia13, infatti, il coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici

“è diretto ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e delle merci e a proteggere, quindi, gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro che intendano offrire beni e servizi alle amministrazioni aggiudicatrici”14.

——— 12 V. la direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni

legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori; direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'ap-plicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni.

13 Corte di giustizia 27 febbraio 2003 Truley, C 373/00, Racc., 2003,p. 1-1931. 14 La giurisprudenza comunitaria ha specificato che il diritto comunitario osta anche a qualsiasi

forma di discriminazione dissimulata, tra i quali i criteri di “riserva” per le imprese che operano in una data regione. Cfr. le sentenze della Corte di giustizia: 5 dicembre 1989, Commissione/Italia, 3/88, Racc., 1989,p. 4035; 3 giugno 1992, Commissione/Italia, C 360/89, Racc., 1992,p. I-3401.

Page 155: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 129

Strettamente legato al principio di parità e non discriminazione, è quello di trasparenza. La normativa comunitaria prevede, infatti, forme di pubblicità uni-formi delle procedure di gara (vanno comunicato con le stesse modalità: bandi, lettere di invito, capitolati d’oneri, esisti delle gare, e così via, cfr. art. 23 ss., di-rettiva 2004/18/CE) e l’uniformità nei requisiti per partecipare alle gare e nelle procedure di appalto (procedura aperta, ristretta, procedura negoziata, cfr. art. 28 ss., direttiva 2004/18/CE).

Il principio di trasparenza comporta un obbligo di informazione, che deve essere attuato utilizzando gli strumenti dell’ “eGovernment”15. Tale obbligo è sup-portato dalle istituzioni comunitarie, attraverso iniziative come la banca dati TED (http://ted.europa.eu/) e il motore di ricerca SIMAP (http://simap.europa.eu/); nonché per mezzo di azioni tendenti alla circolazione degli standard e delle buone prassi, come il CPV (Common Procurement Vocabulary)16.

4.3. La portata generale dei principi in materia di appalti pubblici. – I principi in-

trodotti dalla legislazione comunitaria sui pubblici appalti hanno una portata ge-nerale, anche oltre la materia degli appalti.

In primo luogo, perché la stessa definizione di “appalto” è più ampia di quella accolta, per esempio, nel nostro codice civile all’art. 1655 c.c. Nell’ordina-mento comunitario gli appalti pubblici sono definiti come “contratti a titolo o-neroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più am-ministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi” (art. 1, par. 2, lettera a). La stessa defini-zione di lavori, forniture e servizi, fa riferimento a contratti, che negli ordina-menti nazionali sono tipizzati o nominati in modo diverso dall’appalto: si pensi al leasing, alla locazione, alla somministrazione, che compaiono nella nelle defini-———

15V. Commissione, Il ruolo dell’eGovernment per il futuro dell’Europa, COM(2003) 567 del 26 set-tembre 2003, secondo la quale per eGovernment “si intende l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle Pubbliche Amministrazioni, coniugato a modifiche organizzative e all’acquisizione di nuove competenze al fine di migliorare i servizi pubblici e i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle politiche pubbliche”. In particolare l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione negli appalti pubblici “può aumentare l’efficienza, migliorare la qualità e la conve-nienza economica delle operazioni e generare sensibili risparmi per il contribuente” (Commissione, Il ruolo dell’eGovernment per il futuro dell’Europa, COM(2003) 567 del 26 settembre 2003, par. 4.2.4).

16 Il CPV contiene “sistema unico di classificazione applicabile agli appalti pubblici allo scopo di standardizzare i riferimenti utilizzati dalle amministrazioni aggiudicatici e dagli enti aggiudicatori per descrivere l'oggetto dei loro appalti”. In questo modo il CPV dovrebbe contribuire a rendere i bandi di gara più trasparenti ed accessibili in tutte le lingue dell’Unione (v. regolamento (CE) n. 2151/2003 della Commissione del 16 dicembre 2003 che modifica il regolamento (CE) n. 2195/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al vocabolario comune per gli appalti pubblici (CPV)).

Page 156: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 130

zione comunitaria di appalto di “fornitura”. La nozione di “appalto pubblico” comprende, pertanto, qualsiasi contratto di rilevanza pubblica, che risulti carat-terizzato sia per i soggetti, sia per l’oggetto contrattuale, con un una netta preva-lenza del criterio soggettivo (e cioè per la qualifica di “amministrazione aggiudi-catrice” di uno dei contraenti; v. il precedente paragrafo 10 del capitolo 1)17.

In secondo luogo la normativa18, giurisprudenza, e la prassi amministrati-va19 estendono l’applicazione di detti principi anche ai contratti di importo infe-riore alla soglia comunitaria.

L’attitudine espansiva della disciplina sui pubblici appalti fa sì che essa ven-ga invocata anche per disciplinare la formazione di fattispecie contrattuali sem-pre nuove.

È il caso dei partenariati pubblico-privati (v. il “Libro verde” della Com-missione del 30 aprile 2004, COM (2004) 327) e delle concessioni. In particolare il Libro verde prende in considerazione il problema della scelta di un partner pri-vato per l’affidamento di un servizio pubblico. A tale proposito la Commissione ha individuato due tipi di parternariato. Si distingue così il tipo “puramente con-trattuale” (in cui si inquadrano tradizionalmente gli appalti e le concessioni), nel quale il parternariato tra settore pubblico e settore privato si fonda su legami e-sclusivamente convenzionali; e quello “istituzionalizzato” che, sempre secondo il Libro verde, implica una cooperazione tra il settore pubblico e il settore priva-to in seno a un’entità distinta, detenuta congiuntamente dal partner pubblico e da quello privato. Il modello tipico è quello della “società mista”20.

——— 17 V., a tale proposito, Corte di giustizia, 15 gennaio 1998, Mannesmann Anlagenbau Austria AG e al-

tri/Strohal Rotationsdruck GesmbH, C 44/96, Racc., 1998,p. 1-00073 e più di recente la sentenza 13 gen-naio 2005, Commissione/Spagna, C 84/03, Racc. 2005, p.I-139.

18 Oltre ai testi giuridici che recepiscono le direttive comunitarie, i principi in parola sono estesi a tutto il settore pubblico da altre disposizioni, come, per esempio: La l. 11 febbraio 2005, n. 15 contiene modifiche e integrazioni alla l. 7 agosto 1990, n. 241, che impone rispetto dei principi di trasparenza e gli altri principi del diritto comunitario alla più generale attività della pubblica amministrazione. Oppu-re v. art. 192, c. 2, del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in tema di determinazioni a contrarre e relative procedure, che stabilisce che “si applicano, in ogni caso, le procedure previste dalla normativa dell’Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento giuridico italiano”.

19 Cfr. la circolare n. 8756 del 6 giugno 2002 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Diparti-mento per le Politiche comunitarie, per la quale: “Secondo i principi comunitari, le pubbliche ammini-strazioni che intendono stipulare contratti non regolamentati sul piano europeo, sono tenute ad osser-vare criteri di condotta che consentano, senza discriminazioni su base di nazionalità e di residenza, a tutte le imprese interessate di venire per tempo a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appro-priata”.

20 Sul tema v. M.A. SANDULLI, Il parternariato pubblico-privato e il diritto europeo degli appalti e delle conces-sioni: profili della tutela, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1/2005, p. 167.

Page 157: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 131

Con il Libro verde la Commissione propone una discussione sull’applica-zione ai due modelli del diritto europeo degli appalti pubblici e delle concessio-ni, tenendo conto anche della giurisprudenza comunitaria sul punto21.

4.4. Il diritto comunitario dei contratti pubblici. – Il diritto comunitario non si oc-

cupa soltanto di prevedere una disciplina uniforme nell’aggiudicazione dei con-tratti delle pubbliche amministrazioni.

L’azione comunitaria riguarda anche altre fattispecie riconducibili ai con-tratti degli enti pubblici.

Tra queste occorre ricordare la normativa che si riferisce ai contratti stipu-lati dalle istituzioni comunitarie. La relativa disciplina è formulata tenendo conto delle regole elaborate in materia di appalti pubblici, ma riceve una regolamenta-zione specifica, contenuta nel regolamento finanziario 1605/200222 del Consi-glio del 25 giugno 2002 e nelle collegate modalità di esecuzione (regolamento 2342/2002, della Commissione del 23 dicembre 2002). La disciplina finanziaria è accompagnata dalla normativa sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione, che colpiscono i casi di frode e di irregolarità finanziarie23.

I contratti della pubblica amministrazione comunitaria hanno generato una importante attività giurisprudenziale del giudice comunitario, che evidenzia principi di diritto privato che trascendono la materia specifica e investono tutto il diritto comunitario delle obbligazioni. Nel successivo capitolo 4 della parte V, si parlerà più diffusamente della disciplina di tali contratti, in quanto utilizzati per l’attuazione dei programmi comunitari.

Un'altra materia, sconosciuta in dottrina e che invece merita scuramente un approfondimento, sono gli accordi tra università, enti di ricerca e imprese per l’attuazione dei programmi comunitari e, più in generale, per lo svolgimento di attività nei settori della ricerca e dell’istruzione e formazione24.

———

21 V. Corte di giustizia, 13 gennaio 2005, Commissione / Spagna, C-84/03, cit., che ha affermato la necessità di sottoporre alle regole sugli appalti anche gli accordi collaborativi tra enti pubblici, sottoli-neando il carattere tassativo ed eccezionale delle deroghe all’effettività delle direttive in materia. V. an-che il caso deciso nella sentenza della Corte di giustizia, 18 novembre 2004, Commissione / Germania, C-126/03, Racc. 2004, p. I-11197.

22 Regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio del 25 giugno 2002 che stabilisce il re-golamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee.

23 V., oltre alla disciplina finanziaria sopra citata, anche il regolamento del Consiglio (CE, Eura-tom) n. 2988/95 e (CE, Euratom) n. 2185/96 e il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento eu-ropeo e del Consiglio, istitutivo dell’OLAF.

24 V. retro, cap. 2, § 9 e infra, § 4.

Page 158: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 132

5. — Contratti riguardanti le tecnologie dell’informazione ed i beni immateriali. 5.1. Il commercio elettronico. – I testi giuridici comunitari prendono in conside-

razione l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rap-porti contrattuali.

Un quadro generale di questa materia è offerto dalla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni a-spetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il com-mercio elettronico nel mercato interno25.

La direttiva parte dalla constatazione che “Lo sviluppo del commercio elettronico nella società dell'informazione offre grandi opportunità per l’occupazione nella Comunità, in particolare nelle piccole e medie im-prese” (secondo “considerando”). Per realizzare queste opportunità è necessario garantire “un elevato livello

di integrazione giuridica comunitaria al fine di instaurare un vero e proprio spa-zio senza frontiere interne per i servizi della società dell'informazione” (terzo “considerando”); eliminando i “numerosi ostacoli giuridici al buon funziona-mento del mercato interno, tali da rendere meno attraente l’esercizio della liber-tà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi. Gli ostacoli derivano da di-vergenze tra le normative nazionali, nonché dall’incertezza sul diritto nazionale applicabile a tali servizi” (quinto “considerando”) e creando così “un quadro generale chiaro per taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel merca-to interno” (settimo “considerando”).

I “servizi della società dell’informazione” sono quei servizi prestati nor-malmente dietro corrispettivo, a distanza, per via elettronica, mediante apparec-chiature elettroniche di elaborazione (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e a richiesta individuale di un destinatario di servizi26. Tra i servizi della società dell’informazione si considera anche la trasmissione di informazioni mediante una rete di comunicazione, la fornitura di accesso a una ———

25 Gli orientamenti su cui si basa tale direttiva sono quelli definiti nella Comunicazione (97) 157 della Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comita-to delle regioni, intitolata “Un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico”. V. il capitolo intitolato “Documento informatico e commercio elettronico” di E. Florindi.

26 V. anche la direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche; e la direttiva 98/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 1998, sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato

Page 159: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 133

rete di comunicazione o lo stoccaggio di informazioni fornite da un destinatario di servizi; i servizi trasmessi “da punto a punto”, quali i servizi video a richiesta o l’invio di comunicazioni commerciali per posta elettronica (cfr. diciottesimo “considerando”).

Gli interventi della direttiva riguardano, in primo luogo, il contesto norma-tivo dove operano il “prestatore”27 ed il “destinatario” dei servizi della società dell’informazione28.

A tale scopo, la direttiva obbliga gli stati membri a eliminare qualsiasi divie-to o restrizione concernente l'utilizzazione dei contratti elettronici. Le legisla-zioni nazionali, in particolare, non possono imporre ai servizi della società dell’informazione regimi di autorizzazione speciali che non si applicherebbero a servizi analoghi forniti con altri mezzi29. Allo scopo di evitare dubbi, si stabilisce che la legge che regola l’attività del prestatore è quella dello stato membro ove è stabilito (in base alla “regola del paese di origine”).

La direttiva prevede che gli stati membri e la Commissione incoraggino l’elaborazione, da parte di associazioni o organizzazioni professionali, insieme alle associazioni di consumatori, di codici di condotta a livello comunitario volti a contribuire all’efficace applicazione della disciplina sui servizi della società dell’informazione (art. 16).

È inoltre previsto che gli stati membri prevedano adeguati strumenti di composizione extragiudiziaria delle controversie tra prestatori e destinatari dei servizi in parola30.

——— 27 I servizi sono offerti da un “prestatore”, la persona fisica o giuridica che presta un servizio della

società dell’informazione. Il “prestatore stabilito”, invece, è colui che offre tali servizi attraverso una installazione stabile e per un tempo indeterminato. La direttiva definisce il luogo di stabilimento del prestatore come il luogo in cui un operatore esercita effettivamente e a tempo indeterminato un'attività economica mediante un’installazione stabile. Il concetto di stabilimento non va riferito al luogo in cui si trovano i mezzi tecnici e le tecnologie necessarie ad effettuare la prestazione del servizio: ciò implica che la sede del prestatore dei servizi oggetto della direttiva prescinde dall’ubicazione dei server o dei siti web utilizzati dal medesimo per la prestazione di tali servizi.

28 “Destinatario del servizio” è, secondo l’art. 2, lett. d, della direttiva, la persona fisica o giuridica che, a scopi professionali e non, utilizza un servizio della società dell'informazione, in particolare per ricercare o rendere accessibili delle informazioni.

29 Ad esempio, sarebbe contrario alla direttiva assoggettare l’apertura di un sito web ad un proce-dimento di autorizzazione. Un sito potrà essere però subordinato ad autorizzazione se l'attività con-templata è un'attività regolamentata (ad esempio, servizi bancari e finanziari on-line).

30 Gli Stati membri provvedono affinché gli organi di composizione extragiudiziale delle contro-versie applichino, nel rispetto del diritto comunitario, principi di indipendenza, di trasparenza, del con-traddittorio, di efficacia del procedimento, di legalità della decisione, di libertà per le parti e di rappre-sentanza (art. 17). Gli Stati membri provvedono a che le attività dei servizi della società dell'informa-zione possano essere oggetto di ricorsi giurisdizionali efficaci che consentano di prendere provvedi-

Page 160: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 134

La direttiva 2000/31 regola, inoltre, i rapporti tra prestatori e destinatari dei servizi. In particolare è previsto l’obbligo del prestatore di fornire ai destinatari e alle autorità competenti le informazioni sulle loro attività: nome, indirizzo, indi-rizzo di posta elettronica, numero di immatricolazione al registro del commer-cio, titolo professionale e iscrizione ad associazioni professionali, numero della partita IVA. Nel rispetto degli altri obblighi di informazione posti dal diritto comunitario, e salvo diverso accordo con soggetti diversi dai consumatori, il prestatore del servizio è tenuto a fornire in modo chiaro, comprensibile ed ine-quivocabile, prima dell’inoltro dell’ordine da parte del destinatario del servizio, almeno le seguenti informazioni:

a) le varie fasi tecniche della conclusione del contratto;

b) se il contratto concluso sarà archiviato dal prestatore e come si potrà accedervi;

c) i mezzi tecnici per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l’ordine;

d) le lingue a disposizione per concludere il contratto. Inoltre, e sempre salvo diverso accordo, il prestatore è tenuto ad indicare gli e-ventuali codici di condotta pertinenti cui aderisce, nonché le informazioni su come accedere ad essi per via elettronica.

Le comunicazioni commerciali, provenienti dai prestatori, devono essere chiaramente identificabili e inequivocabili (art. 6), in modo da rafforzare la fidu-cia del consumatore e garantire pratiche commerciali leali (per evitare le pratiche dello spamming).

La direttiva in esame, inoltre, ribadisce la necessità di applicare un quadro giuridico comunitario per le firme elettroniche e per i certificati elettronici. Tali strumenti, come richiesto dalla Comunicazione COM(97)157 e dalla precedente direttiva 1999/93/CE (del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche) hanno lo sco-po di “creare fiducia e garantire un accesso completo al mercato unico”, identi-ficando senza alcuna ambiguità l’identità del mittente, come pure l’autenticità e l’integrità dei documenti elettronici.

——— menti atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa (art. 18). Gli Stati membri provvedono a che le loro autorità competenti dispongano di adeguati poteri di controllo e di indagine ai fini dell'efficace applicazione della direttiva. Essi provvedono anche a che le rispettive auto-rità collaborino con le autorità nazionali degli altri Stati membri. A tal fine essi designano un punto di contatto, di cui comunicano gli estremi agli altri Stati membri e alla Commissione (art. 19).

Page 161: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 135

La direttiva 2000/31 disciplina poi gli aspetti relativi alla responsabilità dei prestatori e dei fornitori di servizi di “hosting” – e cioè le infrastrutture per l’accesso alla rete – per quanto riguarda i contenuti illeciti e dannosi, eventual-mente forniti sul web.

5.2. I contratti riguardanti i beni immateriali. – Il diritto dell’Unione europea di-

sciplina diversi aspetti dei contratti che hanno ad oggetto i beni immateriali, in conseguenza dell’importanza che tali beni rivestono nell’ordinamento comunita-rio31.

Si tratta di una materia spesso non regolata dalla legislazione nazionale, ge-neralmente più interessata ai contratti che hanno per oggetto beni materiali. Le regole dettate per questi ultimi beni sono applicate con qualche difficoltà agli accordi riguardanti i brevetti e agli altri diritti su beni immateriali.

Il primo contributo del diritto comunitario in questo campo è allora quello di individuare i concetti giuridici appropriati per i contratti, aventi ad oggetto i beni immateriali.

Le fonti contemplano così nozioni come quello di accordo di ricerca e sviluppo, che è definito come “un accordo, una decisione di un’associazione di imprese o una pratica concordata” (art. 2, n. 1, regolamento n. 2659/2000), avente ad og-getto la “ricerca e sviluppo” e cioè: “l’acquisizione di know-how relativo a prodot-ti e processi e la realizzazione di analisi teoriche, di studi sistematici o di speri-mentazioni, inclusi la produzione sperimentale, le verifiche tecniche di prodotti o processi, la realizzazione degli impianti necessari e l'ottenimento dei relativi diritti di proprietà immateriale” (art. 2, n. 4, regolamento n. 2659/2000). Oppu-re si pensi al concetto di accordo di trasferimento di tecnologia e cioè di “un accordo di licenza di brevetto, un accordo di licenza di know-how, un accordo di licenza di diritti d’autore sul software o un accordo misto di licenza di brevetto, di know-how o di diritti d’autore sul software, compreso qualsiasi accordo di questo tipo con-tenente disposizioni relative alla vendita ed all’acquisto di prodotti o relative alla concessione in licenza di altri diritti di proprietà di beni immateriali o alla ces-sione di diritti di proprietà di beni immateriali, a condizione che tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario dell'accordo e siano direttamente collegate alla produzione dei prodotti contrattuali; sono considerati accordi di trasferi-mento di tecnologia anche le cessioni di brevetti, di know-how, di diritti d’autore sul software, o di una combinazione di tali diritti, ove parte del rischio connesso

——— 31 V. retro, cap. 3.

Page 162: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 136

allo sfruttamento della tecnologia rimanga a carico del cedente, in particolare quando il corrispettivo della cessione dipende dal fatturato realizzato dal cessio-nario per i prodotti realizzati utilizzando la tecnologia ceduta, dai quantitativi prodotti o dal numero di atti di utilizzazione della tecnologia in questione” (art. 1, lettera b, regolamento 772/2004).

Regole specifiche riguardano alcuni contratti particolari, come la direttiva 92/100/CEE del Consiglio, del 19 novembre 1992, concernente il diritto di no-leggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d'autore in materia di proprietà intellettuale.

Altre fonti prendono in considerazione i contratti di ricerca finanziata dall’Unione europea32 e quelli collegati ai primi per consentire la cooperazione tra i partecipanti ai progetti (i cosiddetti “Consortium Agreement”33) o per acquisire beni o servizi da parte di terzi.

6. — La scelta della legge nazionale applicabile e del giudice competente. 6.1. Le fonti comunitarie. – Come affermano le fonti comunitarie, dopo il

Trattato di Amsterdam, “la Comunità si prefigge l’obiettivo di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone” (regolamento n. 44/2001, primo “conside-rando”).

Per realizzare tale spazio, le istituzioni comunitarie adottano “misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che sono necessarie al corretto funzionamento del mercato interno”.

Tra le altre misure, il diritto comunitario prevede una disciplina uniforme del diritto internazionale privato, in senso ampio, e cioè delle regole per indivi-duare la legge applicabile ed il giudice competente nell’ambito dei rapporti tran-sfrontalieri.

La disciplina in questa materia è stata oggetto di due convenzioni concluse tra gli stati membri, promosse dalle istituzioni comunitarie: la Convenzione di

——— 32 L’art. 12, par. 1, del regolamento 2321/2002 stabilisce che “La Commissione stipula un contrat-

to per ogni proposta d’azione indiretta selezionata”, dove per contratto si intende “un accordo tra la Comunità e i partecipanti, concernente una sovvenzione avente l’obiettivo di realizzare un’azione indi-retta e che crea diritti e obblighi tra la Comunità e i partecipanti, da un lato, e tra i partecipanti all'azio-ne indiretta, dall'altro” (v. art. 2, par. 1, n. 5, regolamento 2321/002).

33 V. parte V, cap. 4.

Page 163: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 137

Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione del-le decisioni in materia civile e commerciale34; la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, e la conseguente co-munitarizzazione della cooperazione in materia civile, si è approvato il regola-mento 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, che sostituisce la conven-zione di Bruxelles35 ed è in fase di approvazione il regolamento che sostituirà la Convenzione di Roma.

Sempre nel quadro della cooperazione in materia di giustizia civile, la Com-missione ha elaborato una proposta di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali. È pertanto in fase di approvazione una proposta di regolamento, denominato “Roma II”, perché si inserisce nel solco della disciplina comunitaria, relativa alla scelta della legge applicabile ai rapporti ob-bligatori36.

Il regolamento e la convenzione, nonché la proposta “Roma II”, utilizzano uno schema abbastanza simile: individuazione delle materie oggetto di disciplina ed esclusione di altre (tra le quali quelle riguardanti i rapporti familiari, il diritto successorio); previsione delle materie per le quali le parti possono scegliere il giudice competente e la legge applicabile e delle ipotesi in cui tale scelta non è

——— 34 La Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in ma-

teria civile e commerciale e protocollo firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968 (qui di seguito la “Con-venzione di Bruxelles” o “la Convenzione sulla giurisdizione”) contiene una disposizione riguardante le clausole giurisdizionali. La Convenzione di Bruxelles è stata stipulata in ottemperanza all’art. 220 del Trattato CE secondo cui gli Stati membri avrebbero dovuto iniziare negoziati intesi a garantire: “la semplificazione delle formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzio-ne delle decisioni giudiziarie ...”. La Convenzione di Bruxelles ha, inoltre, dettato norme uniformi sulla giurisdizione e sulla litispendenza. Con il Protocollo di Lussemburgo del 3 giugno 1971 gli Stati mem-bri hanno attribuito alla Corte di giustizia la competenza ad interpretare le norme della Convenzione di Bruxelles. L’ attività giurisdizionale della Corte di Giustizia si modella sulla base del procedimento pre-visto dall’art. 177 del Trattato CE espressamente richiamato dall’art. 5 del Protocollo di Lussemburgo. L’Italia con legge del 21 giugno 1971 n. 804 ha ratificato la Convenzione di Bruxelles. Dopo la Con-venzione di Bruxelles sono state stipulate altre convenzioni (Convenzione di Lussemburgo del 9 otto-bre 1978, Convenzione di Lussemburgo del 25 ottobre 1982 e Convenzione di Lugano del 16 settem-bre 1988) per permettere l’adesione di altri paesi ai principi sul riconoscimento delle sentenze straniere contenuti nella Convenzione di Bruxelles.

35 In considerazione che “Per la realizzazione dell’obiettivo della libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale, è necessario ed opportuno che le norme riguardanti la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni siano stabilite mediante un atto giuridi-co comunitario cogente e direttamente applicabile.” (regolamento n. 44/2001, sesto “considerando”)

36 Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2003, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“ROMA II”) (COM(2003) 427 def.; proposta modificato con COM(2006) 83 final del 21 febbraio 2006.

Page 164: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 138

consentita; individuazione delle regole applicabili nel caso di mancata scelta del-le parti.

6.2. La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. –

Le disposizioni della Convenzione di Roma si applicano alle obbligazioni con-trattuali, nei casi di conflitto di leggi, e cioè nei casi in cui si possono applicare le leggi di più ordinamenti (art. 1, par. 1), tranne le materie specificate (v. art. 1, pa-ragrafi 2 e 3), tra le quali: questioni di stato e di capacità delle persone fisiche; obbligazioni contrattuali relative a testamenti e successioni, regimi matrimoniali ed altri rapporti familiari; obbligazioni relative a strumenti negoziabili (tra gli al-tri: cambiali, assegni, vaglia cambiari); convenzioni d'arbitrato e d'elezione del foro competente; questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e perso-ne giuridiche.

La Convenzione stabilisce il principio della libertà di scelta, in base al quale le parti di un contratto possono stabilire liberamente la legge nazionale applica-bile (art. 3, par. 1) e modificare successivamente la scelta (art. 3, par. 2)37.

L’aspetto più interessante della Convenzione prescrive la disciplina dei casi in cui le parti non hanno operato la scelta della legge applicabile. In tali casi si applica il principio per cui il contratto è “regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto” (art. 4, par. 1).

Questo collegamento si presume “col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale” (art. 4, par. 2). La prestazione ca-ratteristica è quella che identifica il contratto: la cessione del bene, nel contratto di compravendita; il godimento di un bene nella locazione; e così via.

In ogni modo, “se il contratto è concluso nell’esercizio dell’attività econo-mica o professionale … il paese da considerare è quello dove è situata la sede principale di detta attività oppure, se a norma del contratto la prestazione dev’essere fornita da una sede diversa dalla sede principale, quello dove è situata questa diversa sede”.

In alcuni casi si applicano norme specifiche: quando il contratto ha per og-getto un bene immobile, si presume che la legge applicabile sia quella del paese in cui è situato l'immobile (art. 4, par. 3); per i contratti di trasporto di merci, la

——— 37 La disposizione in commento prevede che: “La scelta dev’essere espressa, o risultare in modo

ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze”.

Page 165: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 139

legge applicabile è quella del luogo di carico o scarico o della sede principale del vettore (art. 4, par. 4).

La legge nazionale applicabile non può essere determinata liberamente dall’accordo delle parti nelle ipotesi dei contratti tra consumatori e professioni-sta (art. 5) e nei contratti di lavoro (art. 6). Per quanto riguarda i contratti tra consumatori e professionisti, infatti, essi sono regolati dalla legge del paese in cui il consumatore ha la sua residenza abituale. Le parti possono decidere diver-samente, ma la scelta non può avere per risultato di danneggiare il consumatore, privandolo della protezione garantita dalla legge del paese in cui risiede abitual-mente, qualora essa sia più favorevole.

Nel caso dei contratti di lavoro, inoltre, si applica la legge del paese in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro; la legge del paese in cui si trova la sede che ha proceduto all'assunzione del lavoratore; la legge del paese con il quale il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto. La scelta ad opera delle parti di un'altra legge applicabile non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme che regolerebbero il contratto in mancanza di tale scelta.

La Convenzione stabilisce il primato del diritto comunitario (art. 20) e cioè fa salva la prevalenza del diritto comunitario in materia di obbligazioni, sia sulla Convenzione medesima, sia sui testi giuridici adottati dagli stati membri.

6.3. La legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali. – Così come accade per

il diritto dei contratti, anche per le obbligazioni di fonte non contrattuale l’azione comunitaria ha l’obiettivo di risolvere il problema della legislazione ap-plicabile al rapporto obbligatorio.

La proposta di regolamento “Roma II” si applica, nei casi di conflitto di leggi, alle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale (derivan-ti da un illecito o da un fatto diverso da un illecito) (art. 1, par. 1). Sono esclusi la materia fiscale, doganale ed amministrativa, nonché altre materie specifiche (art. 1, par. 2)38.

——— 38 E cioè: le questioni in materia di diritto di famiglia (tutte le obbligazioni scaturenti dai rapporti

familiari, comprese quelle relative ai regimi matrimoniali); le obbligazioni extracontrattuali riguardanti le successioni; le obbligazioni extracontrattuali connesse a titoli negoziabili (cambiali, assegni, pagherò cambiari, ecc...); le questioni legate alla responsabilità dei soci e degli organi per i debiti di una società, associazione o persona giuridica; le obbligazioni extracontrattuali derivanti da trust; le obbligazioni e-xtracontrattuali derivanti da un danno nucleare; le obbligazioni per danni prodotti dalla pubblica am-ministrazione nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperi); danni prodotti alla privacy dai media. L’esclusione dipende dalla circostanza che dette materie sono regolate o dovranno comunque essere

Page 166: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 140

Le norme sul conflitto di leggi contenute nel regolamento proposto posso-no designare la legge di uno stato membro o anche la legge di stati non apparte-nenti all’Unione (art. 2).

Fatte salve le obbligazioni extracontrattuali derivanti dalla lesione di un di-ritto di proprietà intellettuale, la proposta attribuisce sempre alle parti il diritto di concordare, dopo l'insorgere della controversia, la legge applicabile alla loro obbligazione. La scelta deve essere espressamente dichiarata, risultare in modo inequivocabile e non ledere i diritti di terzi. Per impedire alle parti di sottrarsi all'applicazione delle disposizioni non derogabili di un paese (norme di ordine pubblico interno), l'autonomia della libertà delle parti è limitata allorché tutti gli altri elementi della fattispecie si verificano in un paese diverso da quello di cui è stata scelta la legge da applicare.

Nel campo delle obbligazioni derivanti da illecito, vige la regola generale del “loci commissi delicti”, ossia la legge del luogo ove è avvenuto o rischia di av-venire il danno diretto (che riguarda inoltre le azioni cautelari, quali i provvedi-menti inibitori). Qualora il soggetto la cui responsabilità viene invocata e la par-te lesa risiedano abitualmente nello stesso paese nel momento in cui si verifica il danno, la proposta prevede l'applicazione della legge di questo paese.

Sono previste norme specifiche per le obbligazioni extracontrattuali in caso di danno causato da un prodotto difettoso; danno derivante da un atto di con-correnza sleale; danno derivante da una violazione della vita privata o dei diritti della personalità; danni arrecati all'ambiente; lesioni dei diritti di proprietà intel-lettuale.

Considerata l’eterogeneità che caratterizza la materia, la proposta di rego-lamento pone come regola rigida il metodo del collegamento accessorio. In caso di superamento dei limiti del mandato o di pagamento di un’obbligazione altrui, ad esempio, si applicherà la legge che disciplina il rapporto (contratto) già esi-stente tra le parti. La seconda norma applicabile ai conflitti di legge è quella della residenza comune delle due parti.

Sono previste norme specifiche per l’arricchimento senza causa e la gestio-ne d’affari, vale a dire le due categorie più comuni di obbligazioni extracontrat-tuali derivanti da un fatto diverso da un illecito: per quanto riguarda l’arricchi-mento senza causa che si verifica in assenza di rapporto già esistente tra le parti, si applica la legge del paese in cui è avvenuto tale arricchimento; per quanto ri-

——— disciplinate da fonti specifiche. Viene poi sottolineato che la disciplina del regolamento non sarà di o-stacolo all’adozione di atti da parte delle istituzioni comunitarie (art. 3).

Page 167: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 141

quanto riguarda la gestione d'affari, la proposta di regolamento procede ad una distinzione tra le misure di assistenza (protezione fisica di una persona o salva-guardia di un determinato bene materiale), disciplinate dalla legge del paese nel quale si trovava la persona o il bene al momento della gestione, e le misure in-terventiste, per le quali si applica la legge del paese ove risiede abitualmente co-lui che ha gestito l’affare.

Al pari della convenzione di Roma, è prevista una clausola derogatoria ge-nerale che consente al giudice di adeguare la norma al singolo caso al fine di ap-plicare la legge del paese che presenta collegamenti manifestamente più stretti con l'obbligazione (criterio di prossimità). Il testo cita, tra i legami presi in con-siderazione, un rapporto già esistente tra le parti, che può essere di natura con-trattuale.

6.4. Il regolamento 44/2001 sul giudice competente. – Il regolamento n. 44/2001

(così come già la Convenzione di Bruxelles) riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni dei giudici degli stati membri e la determinazione della loro competenza; ciò con riferimento alla materia “civile e commerciale” (art. 1, par. 1), con l’esclusione delle questioni riguardanti: stato e capacità delle persone fisiche, regimi matrimoniali, testamenti e successioni; procedure con-corsuali; sicurezza sociale; arbitrato.

Per quanto riguarda i contenuti, il regolamento stabilisce, in primo luogo, che le decisioni emesse da un giudice di uno stato membro sono riconosciute di pieno diritto (art. 33) negli altri stati. Dette decisioni sono eseguite su istanza di parte, presentata al giudice nazionale designato dall’Allegato II del regolamento (art. 38). Qualora una delle parti interessate voglia impugnare la decisione di e-secutività, il regolamento prescrive una procedura uniforme (di cui agli artt. 43 ss. regolamento). Tale procedura prevede che il giudice o l’autorità competente, designati da ciascuno stato membro per l’esame delle domande39, effettui solo un controllo formale dei documenti che accompagnano la domanda. A tal fine è stato allegato al regolamento un modello di certificato contenente tutte le in-formazioni necessarie per l’adozione rapida della decisione sul riconoscimento e l’esecuzione. Successivamente, le parti possono presentare ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali indicati nell’allegato del regolamento. Tale ricorso verte unicamente sull’esecuzione della decisione. Sono inoltre indicati in modo espli-

——— 39 L’elenco è contenuto nell’allegato del regolamento; per l’Italia l’organo giudiziario competente è

la Corte d’Appello.

Page 168: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 142

cito i casi in cui il giudice può negare o revocare la dichiarazione di esecutività (ad esempio in caso di decisione contraria all’ordine pubblico). Alla parte che chiede l’esecuzione non può essere imposta la costituzione di cauzioni o di de-positi.

In secondo luogo, come si è anticipato, il regolamento stabilisce le regole per determinare la competenza dei giudici nazionali. In questo campo il princi-pio fondamentale è quello secondo cui la competenza spetta al giudice dello sta-to in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest’ultimo40. Il regolamento stabilisce tre tipi di deroghe a detto principio:

- le ipotesi di foro facoltativo o alternativo rispetto a quello del domicilio del conve-

nuto, nelle materie relative a (v. artt. 5 e 6 del regolamento): contratti (ad esclusione dei contratti di lavoro); obbligazioni alimentari; illeciti civili dolosi e colposi; azione di risarcimento dei danni derivanti da reato; succursali, agenzie o altre sedi d’attività; pagamento del corrispettivo per l’assistenza o il salvataggio di un carico;

- i casi di foro esclusivo e cioè inderogabile dalle parti nelle seguenti materie: diritti reali immobiliari, validità, nullità e scioglimento di società, validità delle trascrizioni ed iscrizioni nei pubblici registri, registrazione e validità di marchi, disegni, modelli e altri diritti analoghi, esecuzione delle sentenze (art. 22);

- la cosiddetta “proroga di competenza” e cioè la facoltà delle parti di designare un foro esclusivo (art. 23).

In particolare, per quanto riguarda la proroga di competenza, sono stabiliti

i requisiti per la validità ed efficacia della clausola relativa: la materia deve essere di natura civile o commerciale (art. 1)41; almeno una delle parti deve essere do-miciliata in uno stato dell’Unione; la clausola deve essere redatta in una deter-minata forma (art. 23)42. In alcune materie la proroga della competenza deve ———

40 Il domicilio viene determinato a norma della legge dello Stato membro cui appartiene il giudice adito. Per le persone giuridiche o le società il domicilio è determinato dalla sede sociale, dall'ammini-strazione centrale o dal centro di attività principale. Per i trust, il domicilio è definito dal giudice dello Stato membro in cui è stata proposta l'azione; il giudice applica le norme del proprio diritto internazio-nale privato.

41 La costante giurisprudenza della Corte di giustizia stabilisce che la nozione di “materia civile e commerciale” va determinata in modo autonomo e non con riferimento alle nozioni dei singoli ordi-namenti statali. Cfr. Corte di giustizia 14 ottobre 1976, LTU Lufttransportunternehmen GmbH & Co. KG/ Eurocontrol, 29/76, Racc. 1976, p. 1541 ss.

42 L’art. 23, par. 1, stabilisce, più esattamente, che la clausola debba essere redatta a) per iscritto o oralmente con conferma scritta, o b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra di loro, o c) nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che le parti conosce-vano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, è ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale considerato. Il par. 2, inoltre,

Page 169: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 143

avvenire nel rispetto di alcuni limiti; in particolare la clausola non può essere posteriore alla controversia. Si tratta dei contratti di assicurazione (art. 13), dei contratti tra professionisti e consumatori (art. 17), dei contratti di lavoro subor-dinato (art. 21), e degli accordi che derogano alle norme sulla competenza esclu-siva attribuita ai giudici ai sensi dell’art. 22.

SEZIONE II – I PRINCIPI COMUNITARI IN MATERIA DI CONTRATTI

7. — La definizione di contratto. Le fonti comunitarie contengono solo occasionalmente una definizione e-

splicita di “contratto”. In particolare la direttiva 90/314/CEE sui pacchetti viaggio intende per “contratto” l’accordo che lega il consumatore all’organiz-zatore o al venditore (art. 2, par. 5). Nell’ambito della disciplina dei programmi comunitari alcune fonti definiscono il contratto tra Comunità e partecipanti, come quello, concernente una sovvenzione, “che crea diritti e obblighi tra la Comunità e i partecipanti, da un lato, e tra i partecipanti all’azione indiretta, dal-l’altro”43.

La giurisprudenza non si sofferma sulla definizione di contratto, acconten-tandosi di considerare rapporto contrattuale quello che è così definito dalle parti o dalle fonti giuridiche. Qualora manchi l’indicazione delle parti e delle fonti giuridiche, il giudice comunitario ricorre a criteri empirici, come quello per cui il contratto è il rapporto giuridico che sorge dall’accettazione di una parte dell’of-ferta dell’altra44.

Un tale rapporto è considerato vincolante per le parti in virtù del principio pacta sunt serranda, considerato un “principio di ordine pubblico”45.

Dai dati a disposizione, come si può osservare, emerge che nel diritto co-

——— stabilisce che “La forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole della clausola attributiva di competenza”.

43 V. art. 2, par. 1, n. 5, regolamento 2321/2002 relativo alle regole di partecipazione al Sesto Pro-gramma Quadro di RST.

44 Tribunale di primo grado, 9 ottobre 2002, Hans Fuchs / Commissione, T-134/01, Racc. 2002, p. II-3909, punti 52-54; Id., ordinanza 18 luglio 1997, Oleifici Italiani / Commissione, T-44/96, Racc. 1997,p. II-1331.

45 Corte di giustizia, 16 giugno 1998, Racke / Hauptzollamt Mainz , C-162/96, Racc. 1998, p. I-3655.

Page 170: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 144

munitario viene utilizzato il concetto di “contratto” (contract, contrat, contrato, ver-trag, e così via) così come presente negli ordinamenti nazionali. Generalmente le definizioni legali, infatti, individuano il contratto attraverso due elementi essen-ziali che, sulla base della terminologia utilizzata dal codice civile italiano, si pos-sono indicare come: l’“accordo” tra le parti e la “natura patrimoniale”. Ricorre la natura patrimoniale, quando l’accordo, ha “ad oggetto cose o prestazioni per-sonali suscettibili di valutazione economica. Con il che l’art. 1321 ripete un re-quisito proprio sia dei beni (art. 814), sia delle prestazioni che formano oggetto dell’obbligazione (art. 1174)”46.

8. — Gli elementi del contratto. Il diritto comunitario non contiene una disciplina generale degli elementi o

requisiti del contratto, come accade, per esempio, nel diritto italiano (art. 1325 c.c.).

Dall’esame delle fonti che regolano le specifiche materie, è comunque pos-sibile trarre alcune considerazioni di portata più ampia.

8.1. L’accordo delle parti. – Riguardo alla formazione dell’accordo delle parti,

le fonti europee tendono a restringere il principio della libertà nel procedimento di conclusione del contratto. Il che si avverte ovviamente nella disciplina dei contratti delle pubbliche amministrazioni, dove è stata prevista una disciplina comunitaria del procedimento. Ma è anche evidente nelle norme riguardanti i contratti tra privati, soprattutto tra professionisti e consumatori. In questi casi la formazione dell’accordo è impedita o limitata, come nel caso delle clausole abu-sive47. Anche se l’accordo è raggiunto, non è detto che il contratto produca i suoi effetti, vista la disciplina del ripensamento. In questo ambito è esclusa l’applicazioni di regole come quelle riguardanti la stipula dei contratti per com-portamento concludente (cfr. l’art. 1327 c.c.).

Il diritto comunitario è poi interessato ad ipotesi di formazione del contrat-to, che non trovano riscontro nel diritto civile tradizionale, in quanto legate alle

——— 46 F. GALGANO, Le obbligazioni e i contratti. Obbligazioni e contratti in generale, in Diritto civile e commercia-

le, vol. II, tomo I, Padova, 1993, p. 130. 47 Si pensi alle clausole che si presumono vessatorie salva dimostrazione contraria (art. 1469-bis, c.

3, c,.d. lista grigia) o, a maggior ragione, quelle che sono sempre considerate vessatorie (art. 1469-quinquies, c. 2, c.d. lista nera).

Page 171: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 145

tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Da un lato, pertanto, le fonti tutelano il consumatore nei casi di vendite a distanza48 e comunque in tutti quei casi, in cui, come è stato detto, si tende “ad eludere il meccanismo del con-fronto tipico del mercato concorrenziale: si pensi, ad es. alle vendite porta a porta ovvero a “distanza” volte a cogliere di sorpresa l’interlocutore e, quindi, a sfruttare il suo isolamento dal circuito delle informazioni su cui si fonda il cor-retto funzionamento della competizione economica”49. Dall’altro si vuole creare il contesto giuridico necessario per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei contratti tra privati e con le pubbliche amministrazioni50.

Sempre con riguardo al procedimento di formazione del contratto, nel di-ritto comunitario si accoglie il principio, vigente solo in alcuni ordinamenti na-zionali, come quello italiano (art. 1337 c.c.), del rispetto della “buona fede” nelle trattative51. Il che è confermato dalla giurisprudenza comunitaria in materia re-sponsabilità precontrattuale delle istituzioni nel procedimento di formazione dei contratti52.

8.2. L’oggetto. L’obbligo di informazione. – Le norme comunitarie impongono

alle parti numerosi obblighi, a tutela degli interessi rilevanti per l’ordinamento. Si pensi a tutti i limiti alla circolazione dei beni, di cui si è parlato nel precedente capitolo 2, o comunque alle regole che disciplinano il mercato interno, come quelle della concorrenza. Molto spesso questi obblighi non sono derogabili dai soggetti del contratto, anche perché spesso prescindono dalla esistenza di un rapporto contrattuale.

Il diritto comunitario, sotto questo profilo, rafforza e generalizza principi già presenti negli ordinamenti nazionali, come quello di cui all’art. 1374 c.c. italia-no, secondo il quale “Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesi-mo espresso, ma anche tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge”.

——— 48 V. la disciplina dei contratti negoziati a distanza (di cui alla direttiva n. 97/7), che riguarda le

principali forme di vendita di prodotti a distanza quali le vendite mediante stampati, catalogo, telefono, posta elettronica, fax, radio, televisione, ecc., così come elencato a titolo indicativo negli allegati; non-ché la direttiva 2002/65/CE, che, in materia di servizi finanziari integra la direttiva 97/7.

49 A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: I contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N. LIPARI (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, cit., vol. III, p. 22 s.

50 V. la direttive 2000/31/CE sul commercio elettronico e la direttiva 1999/93/CE su un quadro comunitario per le firme elettroniche.

51 V. il successivo § 11. 52 V., per esempio, Tribunale primo grado, 17 dicembre 1998, Embassy Limousines & Services / Par-

lamento euopeo, T-203/96, Racc. 1998, p. II-4239; Id, 29 ottobre 1998, Team Srl / Commissione, T-13/96, Racc. 1998, p. II-4073.

Page 172: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 146

Tra gli obblighi imposti dal diritto comunitario, quello che permea tutta la normativa sui contratti (e non solo) è l’obbligo di informazione tra le parti. Se ne è parlato con riferimento ai contratti tra professionisti e consumatori, ma si è visto come un tale obbligo è presente anche in altre materie.

L’obbligo di informazione, al pari di altri come si diceva, non è solo una obbligazione che scaturisce dal contratto. L’obbligo di informazione, pertanto, è imposto anche indipendentemente dalla circostanza che le parti siano legate dal vincolo negoziale.

Numerose direttive prevedono la necessità di fornire una serie di informa-zioni prima della conclusione del contratto. Oltre alle informazioni richieste dai contratti per i consumatori, alle quali si è accennato, la direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri prevede l’obbligo di fornire informazioni sui tempi di esecuzione del bonifico e le spese (v. art. 3); la direttiva 2000/31/CE sul com-mercio elettronico, inoltre, richiede informazioni sulle varie fasi tecniche della conclusione del contratto, su come il contratto sarà archiviato e con riguardo alle lingue in cui può essere concluso, nonché sugli esistenti codici di condotta (art. 10, par. 1 e 2). L’obbligo di informazione, inoltre, riguarda anche la fase della stipula del contratto. Infatti la direttiva 87/344/CEE, sulla tutela giudizia-ria nel settore delle assicurazioni, impone all'assicuratore di informare il detento-re della polizza sul suo diritto di richiedere una procedura arbitrale, ricono-scendogli il diritto alla libera scelta di un legale. L’art. 4, par. 2, della direttiva 90/314/CEE sui pacchetti viaggio prevede che il testo del contratto fornisca alcune informazioni specificamente previste.

L’informazione è ovviamente anche una obbligazione che deriva dal rap-porto contrattuale. Ecco allora che in virtù della direttiva 92/96/CEE sull’as-sicurazione vita, l’assicuratore è tenuto a fornire all'assicurato informazioni ag-giornate sulla compagnia assicurativa e le condizioni della polizza (art. 31, par. 2, e allegato II). Analogamente, stando alla direttiva 87/102/CEE sul credito al consumo, il consumatore va informato di qualsiasi modifica del tasso d’interesse annuo e di altre spese applicabili (art. 6, par. 2). La direttiva 97/5/CE sui boni-fici transfrontalieri dispone che, successivamente all’esecuzione di un bonifico, l’istituto è obbligato a fornire al cliente le informazioni necessarie ad identificare il bonifico transfrontaliero, l’importo iniziale, le spese e commissioni a suo cari-co, ecc. (art. 4). Ai sensi dell’art. 12 della direttiva 86/653/CEE sugli agenti commerciali indipendenti, all’agente commerciale viene consegnato un estratto conto delle provvigioni dovute, recante gli elementi essenziali in base ai quali è stato effettuato il relativo calcolo.

Page 173: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 147

8.3. La forma. – Come emerge nei paragrafi precedenti, il diritto comunita-rio sui contratti si distingue da quello nazionale per la diversa rilevanza attribuita alla forma.

Nell’impostazione tradizionale, il principio dominante è quello della libertà della forma, che può essere derogato soltanto in particolari in casi. Per esempio a tutela dei terzi nella circolazione dei beni, come accade per i contratti e gli altri atti che hanno per oggetto i beni immobili (cfr. art. 1350 c.c.). In questo caso la forma è collegata con il regime di pubblicità. In altri casi la forma è richiesta per assicurarsi che uno dei contraenti abbia conoscenza delle clausole potenzialmen-te pregiudizievoli, predisposte dall’altro contraente (come nel caso dell’art. 1341 c.c.).

Nel diritto comunitario la forma è legata al “formalismo” e cioè alla neces-sità che venga rispettato un determinato contenuto, previsto a tutela degli inte-ressi fondamentali dell’ordinamento. La forma è infatti diretta ad informare e permette allo stesso tempo di verificare che è stato rispettato il contenuto previ-sto. Come è stato efficacemente osservato, la forma ed il formalismo del diritto comunitario, assolvono alla stessa funzione dell’etichettatura dei prodotti, in quanto rendono trasparenti le caratteristiche del contratto53.

8.4. La causa e i motivi. – Come è noto, in sistemi come quello italiano, la le-

gislazione civile identifica tipi contrattuali, e cioè schemi legali54 che esplicitano uno scopo obiettivo (detto “causa”) ammesso, in astratto, dall’ordinamento giu-ridico. In base a questa impostazione, le parti possono stipulare contratti “che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare”, sole se, e in quanto, siano “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” (art. 1323 c.c.).

In questo sistema, gli scopi particolari delle parti, che non coincidano con la causa, sono considerati “motivi”. I motivi diventano rilevanti solo qualora conducano alla nullità del contratto (in quanto illeciti, comuni alle parti, essen-ziali per la conclusione dell’accordo, art. 1345 c.c.), oppure nell’ipotesi in cui possano essere considerati una nuova causa, da sottoporre comunque al giudi-zio di meritevolezza.

Il diritto comunitario adotta un approccio diverso da quello del diritto ita-liano. Innanzitutto non è prevista una disciplina per tipi, anche per tenere conto ———

53 A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N. LIPARI (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, cit., vol. III, L’attività e il contratto, p. 50 s.

54 Cfr. A. CATAUDELLA, I contratti. Parte generale, Torino, 2000, p. 158.

Page 174: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 148

della molteplicità delle fattispecie concrete che possono manifestarsi nei rappor-ti contrattuali. Quello che interessa al diritto comunitario è disciplinare alcuni aspetti del rapporto (il procedimento di formazione, alcuni obblighi, la forma) al fine di tutelare gli interessi considerati rilevanti; ciò indipendentemente dal mo-dello negoziale eventualmente adottato. Come si è osservato nelle pagine prece-denti, la disciplina degli appalti pubblici, per esempio, non individua un tipo le-gale, ma stabilisce le tecniche per assicurare il rispetto dei principi fondamentali (trasparenza, parità di trattamento, divieto di discriminazione), qualunque sia lo schema contrattuale concretamente messo in atto dalle parti. Lo stesso discorso potrebbe farsi per la normativa che regola i contratti tra professionisti e consu-matori, nonché le altre discipline prese fino ad ora in considerazione.

Un altro effetto del diritto comunitario sul piano della causa è che, nell’ambito di sistemi nazionali, come quello italiano, basati sulla tipizzazione dei contratti, le fonti europee influenzano il giudizio di meritevolezza sui con-tratti. Si pensi, per esempio, agli accordi stipulati tra università, nel settore dell’educazione e della ricerca, che sono previsti dalle fonti europee, mentre so-no spesso ignorati dalle normative nazionali o addirittura sottoposti a limiti (come accade per i contratti di società55). Tali accordi perseguono interessi sicu-ramente meritevoli di tutela, proprio in ragione della considerazione che ricevo-no nelle fonti comunitarie e non potrebbero essere giudicati con sfavore nel di-ritto nazionale.

Dalla prospettiva del diritto comunitario occorre anche riconsiderare la ri-levanza dei motivi. Ciò dipende dal segnalato ridimensionamento della causa, ma anche dalla necessità di assicurare il raggiungimento degli obiettivi dell’or-dinamento. Come si evince dalla giurisprudenza comunitaria, nel diritto comuni-tario diventa importante stabilire le obiettive motivazioni che stanno alla base di un contratto, e cioè gli effetti che si vogliono produrre nell’ordinamento giuridi-co, indipendentemente dalla tecniche contrattuali utilizzate dalle parti. A tale proposito, si possono proporre gli esempi degli accordi tra le imprese che anche se a titolo gratuito, oppure se non vincolanti, sono comunque rilevanti se l’obiettivo delle parti è violare la disciplina dei consumatori o quella della con-correnza56.

——— 55 V. quanto detto a proposito dell’art. 91-bis d.P.R. 382/1980, retro, cap. 2, § 9. 56 V. anche infra, § 9.

Page 175: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 149

9. — Le conseguenze dell’inadempimento del contratto. La disciplina comunitaria dei contratti predispone una quadro articolato di

conseguenze, nel caso di violazione delle regole. Da un lato vengono approntati strumenti di tutela dei molteplici interessi

superiori alle parti e alla stessa vicenda contrattuale. Detta tutela comporta l’in-serzione automatica delle regole e l’inefficacia delle pattuizioni illegittime. Stru-menti già conosciuti in ordinamenti come quello italiano (v., per quanto riguar-da la nullità, il combinato disposto dell’art. 1339 c.c., che riguarda l’inserzione automatica delle clausole, e dell’art. 1419, 2° comma, che prevede la nullità della clausola in contrasto con le norme imperative). È il caso della nullità stabilita per gli accordi in contrasto con la disciplina sulla concorrenza, ai sensi dell’art. 85, par. 2, del Trattato CE. In questi casi, il diritto comunitario lascia a quello nazionale di disciplinare le conseguenze della nullità57.

Dall’altro lato, l’obiettivo preminente della tutela di detti interessi e soprat-tutto quella del consumatore o della parte debole, impone soluzioni differenti dalla sola inefficacia.

Le direttive prevedono, a tale riguardo, diverse soluzioni tecniche. La prima di queste soluzioni è certamente il diritto di ripensamento, di cui si è

detto; il diritto al ripensamento non riguarda soltanto i contratti tra consumatori e professionisti, ma, nella forma del recesso, anche nel caso di rapporti tra profes-sionisti58. In questi casi il diritto di ripensamento o il recesso permettono di scio-gliersi dal vincolo contrattuale, senza necessità di dimostrare l’inadempimento. Un’altra soluzione, alternativa alla invalidità, è l’interpretazione in favore della parte da tutelare. È il caso della direttiva 93/13, che dispone che le clausole abu-sive non vincolano il consumatore (art. 6), ma anche che “in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore” (art. 5), per evitare che l’inefficacia di una clausola, finisca per pregiudicare gli interessi dello stesso consumatore. ———

57 Corte di giustizia, 1 dicembre 1983, Société de vente de ciments et bétons, 319/82, Racc. 1983, p. 4173; Id., 18 dicembre 1986, VAG France SA, 10/86, Racc. 1986, p. 407; Trib. Alba, 12 gennaio 1995, in Giur.it, 1996, I, 2, c. 212. Effetti della violazione di norme antitrust sui contratti tra imprese e clienti: un caso relativo alle “norme bancarie uniformi”, si sostiene la nullità degli accordi tra imprese in viola-zione degli artt. 85, c. 2, e 86 Trattato CE, escludendo però che ciò comporti la nullità dei contratti con i clienti. In senso opposto, v. però Trib. Roma, 2 febbraio 1997, in Banca borsa tit. cred., 1999, II, p. 253; App. Brescia, 29 gennaio 2000, in Giur. it., 2000, p. 1876.

58 Ai sensi dell'art. 15 della già citata direttiva 86/653/CEE sugli agenti commerciali indipendenti, ogni parte può recedere da un contratto concluso a tempo indeterminato con un preavviso che va da uno a tre mesi a seconda della durata del contratto stesso.

Page 176: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 150

Nei contratti di compravendita, tra professionista e consumatore, non ci si limita a prescrivere la risoluzione o la riduzione del prezzo (cfr. l’art. 1492 c.c.), nel solo caso che i vizi eccedano i limiti di tolleranza (art. 1497 c.c.). Il diritto comunitario prevede che in caso di qualsiasi difetto di conformità, il compratore ha diritto ha uno spettro di tutele che consistono nella risoluzione e nella ridu-zione del prezzo, ma anche nella riparazione o nella sostituzione (v. art. 3, diret-tiva 1999/44/CE sulle vendite di beni di consumo; cfr. anche art. 5 della diretti-va 90/314/CEE sui pacchetti viaggio).

Il diritto comunitario utilizza, inoltre, la tecnica del risarcimento del danno. Disposizioni, per il risarcimento in caso di mancata consegna di beni e ser-

vizi o di consegna non conforme ai requisiti contrattuali, si trovano nelle diretti-ve 86/653/CEE sugli agenti commerciali indipendenti (art. 17); 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri e 90/314/CEE sui pacchetti viaggio (art. 4, paragrafi 6 e 7). La direttiva 95/46/CE sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trat-tamento dei dati personali (art. 23, par. 1) prevede un risarcimento specifico in caso di trattamento illecito. La direttiva 2000/35/CE sui ritardi di pagamento dispone che, a meno che il debitore non sia responsabile del ritardo, il creditore ha il diritto di esigere un risarcimento per tutti i costi sostenuti a causa del pa-gamento ritardato (art. 3, lettera e). Inoltre, sempre la direttiva 2000/35/CE ri-conosce al creditore il diritto agli interessi di mora, indipendentemente dal fatto che la data di pagamento sia stata fissata o meno (art. 3).

Nei casi di recesso da parte del consumatore, come pure in quelli di annul-lamento da parte del fornitore per motivi diversi dalla colpa del consumatore, alcune direttive riconoscono al consumatore il diritto di essere risarcito di tutte le somme da esso versate ai sensi del contratto (cfr. direttive 97/7/CE sui con-tratti a distanza – art. 7, par. 2 – e 90/314/CEE sui pacchetti viaggio – art. 4, par. 6).

Tali disposizioni sono spesso accompagnate da sanzioni di carattere ammi-nistrativo, a dimostrare la valenza degli interessi in gioco.

10. — I rapporti tra le parti e gli effetti sui terzi. Il diritto italiano dei contratti, analogamente a quanto stabilito negli altri si-

stemi giuridici europei, si basa sul principio per cui il contratto ha normalmente effetti soltanto nei confronti delle parti. Solo eccezionalmente il contratto può avere rilevanza per i terzi, come accade nel contratto in favore di terzi, di cui

Page 177: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 151

all’art. 1411 ss. c.c. Il contratto può essere poi rilevante per i terzi, per esempio, nei casi in cui comporti un pregiudizio per i creditori delle parti. In questi come in altri casi, gli effetti giuridici del contratto non si fanno sentire al di là dei terzi immediatamente prossimi alle parti.

Nel diritto comunitario il principio ispiratore è un altro. Il contratto è visto dal punto di vista dell’ordinamento nella sua globalità, per gli effetti che può a-vere sull’intero sistema.

I contratti sono allora presi in considerazione dalla prospettiva degli inte-ressi tutelati dall’ordinamento: la libertà di circolazione; la parità di genere so-prattutto nei rapporti di lavoro; la tutela del consumatore; la disciplina della concorrenza; il riavvicinamento della legislazione nei contratti della pubblica amministrazione e in materia fiscale. L’ordinamento giuridico prevede strumenti di reazione, privatistici e amministrativi, ogni qualvolta il contratto violi la disci-plina a tutela dei detti interessi.

Si pensi a tutte le ipotesi, di cui si è detto nei paragrafi e nei capitoli prece-denti, delle conseguenze giuridiche per violazione delle norme che tutelano i consumatori.

Questa rilevanza prescinde dalla struttura del rapporto. Gli effetti sull’ordi-namento si producono se il rapporto è a titolo oneroso, se è a titolo gratuito e anche se le parti hanno deciso che il contratto sia binding in honour only59. Il diritto della concorrenza, per esempio, colpisce le “intese”, anche quando riguardano accordi a titolo gratuito60 o nei casi in cui assumono la struttura dei gentlemen’s agreement61 o di altri patti non vincolanti62.

——— 59 Corte di giustizia, 17 settembre 2002, Town and County Factors, C-498/99, Racc. 2002, p. I-7173. 60 V. la sentenza del Tribunale di primo grado, 10 luglio 1991, T-76/89, Independent Television Publi-

cation Limited / Commissione, Racc. 1991, p. II-575), per la quale il rifiuto di autorizzare la pubblicazione del palinsesto televisivo alle imprese potenzialmente concorrenti e la contemporanea autorizzazione gratuita ad utilizzare le informazioni da parte di altri soggetti comporta l’effetto di “frapporre ostacoli alla produzione ed allo smercio di un prodotto nuovo, per il quale esiste una domanda potenziale da parte dei consumatori” (punto 58 della sentenza).

61 Corte di giustizia, 15 luglio 1970, Chemiefarma / Commissione, 41/69, Racc. 1970, p. 661; Id., 29 ottobre 1980, Heintz van Landewyck Sarl e altri / Commissione, cause riunite 209/78 a 215/78 e 218/78, Racc. 1980, p. 3125.

62 V. per esempio il caso Polipropilene (Commissione europea, 23 aprile 1986, Polipropilene, in G.U.C.E. 1986, L 230/1). Quindici imprese del settore petrolchimico avevano concluso un accordo verbale e privo di carattere giuridicamente vincolante (ovverosia di sanzioni per la sua inosservanza) diretto alla spartizione dei mercati ed alla fissazione dei prezzi.

Page 178: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 152

11. — Interpretazione e applicazione dei contratti. Il diritto comunitario dei contratti ricorre spesso a nozioni che hanno la

funzione di assicurare la “giustizia contrattuale” e cioè la coerenza del regola-mento negoziale con gli interessi preminenti dell’ordinamento; con ciò sacrifi-cando l’altro principio dell’autonomia contrattuale. Le nozioni in parola sono esplicitate in formule ampie, che danno ai giudici il potere di adattare le norme alle fattispecie concrete e di interpretare il regolamento negoziale in coerenza con l’intero ordinamento giuridico63.

L’idea che il contratto debba perseguire altre finalità, rispetto all’utilità delle parti, è antica, ma trova terreno particolarmente fertile nell’ordinamento dell’U-nione europea, in base a quanto detto fino ad ora.

11.1. La buona fede. – Tra i concetti utilizzati anche dal diritto comunitario,

si può considerare il principio di “buona fede”64. Tale principio è richiamato, per esempio, nella direttiva 1986/653 che ne

prevede il rispetto nell’adempimento delle obbligazioni dell’agente e del prepo-nente. Oppure se ne parla nella disciplina sulle clausole abusive; dove per abusi-ve si intendono quelle clausole che non sono state oggetto di negoziazione e che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti degli obblighi, malgrado la buona fede del predisponente (art. 3, par. 1, direttiva 93/13; art. 1469-bis c.c., ora 33 cod. consumo)65; la buona fede, inoltre, viene richiamata dalla giurisprudenza comunitaria a proposito dell’esercizio dei poteri delle istituzioni, nonché nell’intera materia dei contratti e delle obbligazioni.

Nel diritto comunitario la buona fede non è soltanto uno strumento per correggere l’applicazione della disciplina che governa i rapporti tra soggetti, che sono posti su di un piano di parità. Ciò accade infatti nel diritto interno dove la buona fede riguarda l’adempimento delle obbligazioni (cfr. art. 1175 c.c.), le

——— 63 Sui temi di questi paragrafo si fa rinvio all’approfondita analisi svolta in A. SASSI, Equità e interes-

si fondamentali nel diritto privato, Perugia, 2006, che prende in considerazione anche gli aspetti di diritto comunitario.

64 V. più diffusamente retro, cap. 1. 65 Come sottolinea G. DE NOVA (Criteri generali di determinazione dell’abusività delle clausole ed elenco di

clausole abusive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 693), l’espressione può essere intese sia nel senso che una clausola è abusiva nonostante la buona fede del predisponente, oppure se determina lo squilibrio e al tempo stesso viola il principio della buona fede. Sul punto anche V. RIZZO, Il significativo squilibrio “malgrado” la buona fede nella clausola generale dell’art. 1469 bis c.c.: un collegamento ambiguo da chiarire, in Rass.dir.civ. 1996, 497.

Page 179: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 153

trattative durante la formazione dei contratti (cfr. art. 1337 c.c.), l’esecuzione del contratto (cfr. art. 1375 c.c.).

Per il giudice comunitario il principio di “buona fede” ha una portata più generale66. Esso è il parametro con il quale si determina, in concreto, il contenu-to degli obblighi imposti dall’ordinamento comunitario e soprattutto quelli che incombono sui soggetti che l’ordinamento considera in una posizione di van-taggio, quali le pubbliche amministrazioni (v. la disciplina degli appalti) e i pro-fessionisti nei rapporti con i consumatori (v. la normativa sulle clausole abusi-ve)67. La buona fede impone che l’esercizio di una posizione di vantaggio deve avere i caratteri della trasparenza e della correttezza, in modo da evitare l’abuso del diritto68 e tenere conto del legittimo affidamento (confiance légitime)69 degli al-tri soggetti, della necessità della sicurezza del diritto (sécurité juridique), nonché del rispetto del principio di legalità e della parità di trattamento70.

——— 66 Cfr. Tribunale di primo grado, 22 gennaio 1997, Opel Austria / Consiglio, T-115/94, Racc. 1997,

p. II-39. Tale principio viene costruito dal giudice comunitario con il richiamo al diritto internazionale consuetudinario, così come riconosciuto anche dalla Corte internazionale di giustizia (V. sentenza del 25 maggio 1926, Intérêts allemands en Haute-Silésie polanaise, CPJI, serie A, n. 7, pp. 30, 39) e codificato dall’articolo 18 della Convenzione di Vienna sui trattati internazionali. La Convenzione sul diritto dei trattati, sottoscritta a Vienna il 23 maggio 1969, dopo che nel preambolo, gli Stati-parti constatano che i principi del libero consenso e della buona fede (richiamata anche nell’art. 31 fra i criteri generali di interpretazione) e la regola pacta sunt servanda sono universalmente riconosciuti, all’art. 18 così dispone: “Obbligo di non privare un trattato del suo oggetto o del suo scopo prima della sua entrata in vigore – Uno Stato deve astenersi da atti che priverebbero il trattato del suo oggetto e del suo scopo quando: a) ha sottoscritto il trattato o ha scambiato gli strumenti costitutivi del Trattato con riserva di ratifica, di accettazione o di approvazione, finché esso non abbia manifestato la sua intenzione di non divenire parte al Trattato; oppure b) ha manifestato il suo accordo ad essere vincolato dal Trattato, nel periodo che precede l’entrata in vigore del Trattato e a condizione che quest’ultima non sia indebitamente ritardata”. Il testo della convenzione lo si può leggere in G. BADIALI (a cura di), Testi e documenti per un corso di diritto inter-nazionale, Rimini, 2001, p. 29 ss.

67 V. il sedicesimo “considerando” della direttiva 93/13, secondo il quale: “nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; …il professionista può soddi-sfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi”.

68 V. retro, cap. 1, § 8 e cap. 2, § 10. Cfr. sulla relazione tra buona fede e abuso del diritto L. FRAN-ZESE, Ordine economico e ordinamento giuridico. La sussidiarietà delle istituzioni, Padova, 2004, p. 32; C.M. BIANCA, Diritto civile, Il contratto, vol. 3, II ed., Milano, 2000, p. 394; F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contratto e impresa, 1997, p. 420.

69 V. Corte di giustizia, 3 maggio 1978, Töpfer / Commissione, 112/77, Racc. 1978, p. 1019, pun-to 19.

70 Tribunale di primo grado, 24 aprile 1996, Industrias Pesqueras Campos e altri / Commissione, cause riunite T-551/93, T-231/94, T-232/94, T-233/94 e T-234/94, Racc. 1996, p. II-247.

Page 180: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 154

11.2. Equità. – Di grande importanza è, inoltre, il principio di “equità”, utiliz-zato, per esempio, nell’art. 8 della direttiva 87/102 in tema di credito al consumo, che prevede il diritto ad una equa riduzione del costo complessivo del credito, qualora il consumatore eserciti il diritto di adempimento anticipato; nell’art. 6 della direttiva 1986/653 del 18 dicembre 1986, secondo il quale, in mancanza di accor-di, norme e usi, l’agente ha diritto ad una retribuzione ragionevole (v. l’art. 1742 ss. che parla di equità); nell’art. 3, par. 3, della direttiva sui ritardi nei pagamenti (la di-rettiva 2000/35/CE) per il quale: “Gli stati membri dispongono che un accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo di pagamento che non sia conforme alle disposizioni di cui ai paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2) non possa essere fatto valere e non dia diritto a un risarcimento del danno, se, considerate tutte le circostanze del caso, ivi compresa la corretta prassi commerciale e la natu-ra del rapporto, risulti gravemente iniquo nei confronti del creditore. Per determi-nare se un accordo è gravemente iniquo per il creditore, si tiene conto tra l’altro, se il debitore ha un qualche motivo oggettivo per ignorare le norme citate. Ove si accerti che tale accordo è gravemente iniquo, si applicano i termini legali, a meno che il giudice nazionale non riporti il contratto ad equità”.

Il principio di equità è ampiamente utilizzato dal giudice comunitario71.. Tale principio, anche nella giurisprudenza comunitaria, svolge la sua tipica funzione, risalente alle corti medievali, di adattamento della regola al caso concreto. In al-tri casi il principio di equità svolge un ruolo, in parte differente, perché diretto all’applicazione di altri principi come quello di buona fede, attraverso l’esatta va-lutazione da parte dell’interprete delle singole circostanze attinenti al caso con-creto. Con ciò il giudice comunitario pone in rilievo, anche nell’epoca attuale quella “aequitas singularis, che tanta importanza assume oggi negli ordinamenti di Common law e ha assunto in tutta Europa in epoca medioevale e moderna, sino ai Grandi Tribunali del Seicento”72.

12. — La funzione del contratto nell’ordinamento comunitario. Il contratto, in sistemi come quello del codice civile italiano, ha essenzial-

——— 71 Fra le altre, Corte di giustizia, 18 gennaio 1996, SEIM, C-446/93, Racc., 1996,p. I-73, punto 41; Id.,

26 marzo 1987, Coopérative agricole d’approvisionnement des Avirons, C-58/86, Racc. 1987, p. 1525, punto 22; Id., 15 dicembre 1983, Schoellershammer/Commissione, C-283/82, Racc. 1983, p. 4219, punto 7; Tribunale di primo grado, 4 luglio 2002, SCI UK/Commissione, T-239/00, Racc. 2002,p. II-2957, punti 44, 50.

72 A. SASSI, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, cit., 2006, p. 357 ss. V. retro, cap. 1.

Page 181: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 155

mente la funzione di permettere la circolazione dei diritti sulle cose (v. l’art. 922 c.c.) e di determinare la nascita, la modifica e l’estinzione delle obbligazioni (v. art. 1173 c.c.). Questa funzione viene svolta nell’ambito della sfera di autonomia assegnata ai soggetti, occasionalmente limitata dall’ordinamento giuridico.

Nel diritto comunitario, il contratto svolge ancora la funzione assegnata negli ordinamenti nazionali, ma viene inserito in un contesto giuridico nuovo e per scopi ulteriori, rispetto a quelli tradizionali73. Il contratto non è più un ambi-to isolato, che disciplina il rapporto tra le parti, in modo indipendente dal conte-sto (tranne nelle ipotesi di violazione di norme imperative) e con esclusione di effetti rispetto ai terzi (se non nella ipotesi eccezionale del contratto in favore di terzi). Come si è visto nei paragrafi precedenti, nel diritto comunitario da un la-to si moltiplicano gli interventi integrativi dell’ordinamento giuridico sulla rego-lamentazione negoziale, dall’altro la legge prende in considerazione molteplici effetti del contratto sugli altri soggetti di diritto diversi dalle parti (v. per tutte la disciplina della concorrenza). Ancora una volta è il contesto dello spazio giuridi-co-economico che viene preso in considerazione e non il singolo atto, come si è già osservato a proposito dei soggetti nel capitolo 2.

L’autonomia negoziale, in questo quadro, non può essere più intesa sem-plicemente come volontà delle parti diretta ad un effetto giuridico, in modo tale che “l’ordine giuridico fa sì che questo effetto giuridico abbia luogo, per ciò che esso è voluto dall’autore del negozio”74.

Seppure l’autonomia privata ha perso l’esclusiva funzione di disciplinare soltanto i rapporti tra le parti, ha acquistato, in molti casi, il compito di integrare le regole giuridiche di origine comunitaria o statuale. Nel Libro bianco sulla “Governance” europea, la Commissione ha avviato una riflessione organica sul tema75, in modo che l’Unione adotti “un’impostazione meno verticistica ed in-tegrando in modo più efficace i mezzi di azione delle sue politiche con strumen-ti di tipo non legislativo”76. Coerentemente, nel Libro bianco sulla Governance viene dato un grande rilievo alla “costruzione europea dal basso”, promossa dal-le istituzioni ma compiutamente attuata dai soggetti di diritto. Tali soggetti non sono soltanto chiamati ad assicurare l’effettiva applicazione di regole, loro im-poste dalle istituzioni dell’Unione e dagli stati. Si fa ampio ricorso all’autonomia

——— 73 In particolare cfr. l’analisi della posizione carneluttiana di N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato,

Roma-Bari, 2003, p. 41 s. 74 B. WINDSCHEID, Il diritto delle pandette, cit., § 69, p. 264 ss. 75 Comunicazione “La Governance europea”, COM (2001) 428 def./2 del 5 agosto 2001. 76 Cfr. il punto 38 delle Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Lisbona.

Page 182: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 156

dei soggetti e cioè si riconosce loro il potere di produrre regole rilevanti per l’ordinamento comunitario. Il diritto comunitario abbonda, infatti, di riferimenti a codici di autoregolamentazione77 e agli accordi che integrano e attuano le di-scipline sovranazionali (si pensi agli accordi tra le università per attuare gli stru-menti previsti dal Processo di Bologna).

L’autonomia è comunque vista come strumentale alla realizzazione del mercato interno e degli interessi più generali. Come si è visto, pertanto, il diritto comunitario considera il contratto come uno degli aspetti della regolamentazio-ne del mercato, anche se, ovviamente, in una posizione subordinata nella gerar-chia delle fonti.

Il contratto, inoltre, come si è detto “non può più essere letto in chiave di “operazione economica”, come acquisizione o scambio di beni o di servizi, né può essere ridotto a meccanismo di equilibramento fra interessi individuati, ma diventa esso stesso fonte di valore economico ed oggetto”78

Da quanto si è detto nel capitolo 3, a proposito del concetto di beni nel di-ritto comunitario, il contratto viene concepito come uno strumento per la crea-zione di nuovi beni: si pensi alla disciplina dei prodotti finanziari, della multi-proprietà o dei contratti che hanno per oggetto i beni immateriali.

Come è stato detto, con una limpida immagine: “Un tempo i contratti ser-vivono solo per far circolare le cose, ma oggi servono anche per far-le…Un’accorta combinazione di parole, giacché di parole sono fatti i contratti, crea a questo modo ricchezza. L’antica alchimia mancò l’obiettivo di produrre dal nulla l’oro; questa nuova giuridica alchimia lo realizza”79.

SEZIONE III - OBBLIGAZIONI NON CONTRATTUALI E OBBLIGAZIONI IN GENERALE

13. — Introduzione. La materia della responsabilità non contrattuale è disciplinata direttamente

soltanto da poche fonti comunitarie. A parte la proposta “Roma II”, alla quale si

——— 77 F.GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 215. Per approfondimenti sul tema v. il successi-

vo capitolo “Autoregolamentazione e responsabilità” di S. Stefanelli. 78 N. LIPARI, Introduzione, in N. Lipari, a cura di, Diritto privato europeo, Vol. I, Padova, 1997, p. 14. 79 F.GALGANO, Lex mercatoria, cit., p. 211; F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto,

Bologna, 2005, p. 18 s.

Page 183: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 157

è accennato, il diritto comunitario si occupa di responsabilità non contrattuale, con riguardo ai danni derivanti da prodotti difettosi (v. direttiva 85/374/CEE) e in riferimento alla responsabilità extracontrattuale della Comunità e dei suoi a-genti (artt. 235 e 288, c. 2, Trattato CE).

In realtà, nel diritto comunitario, la responsabilità extracontrattuale ha un rilievo ben più ampio di quello che farebbero pensare gli scarsi riferimenti nor-mativi.

Come si è visto nel capitolo I della parte I, l’ordinamento comunitario am-plia le categorie di situazioni giuridiche soggettive, prevedendone la diretta ap-plicabilità. Indipendentemente dall’azionabilità di queste situazioni giuridiche nei rapporti orizzontali, comunque ne è ammessa sempre la tutela extracontrattuale nei confronti delle istituzioni comunitarie e degli stati membri. Come si è osser-vato nel capitolo 2, § 10, infatti, si è introdotta una responsabilità della Comuni-tà e degli stati, per l’esercizio del potere legislativo, giudiziario e amministrativo.

Inoltre, aumenta il numero di soggetti chiamati a rispondere del danno ar-recato in violazione degli interessi protetti. Questo indipendentemente se il tito-lare di questi interessi sia legato da un rapporto contrattuale con il danneggiante. Si pensi alla responsabilità del produttore, di chi redige i prospetti informativi, e così via.

La materia contrattuale, come si è visto nei paragrafi precedenti, è sempre più caratterizzata da norme inderogabili, al fine di tutelare gli interessi fonda-mentali. Questo fa sì che tali interessi siano in qualche modo “assolutizzati”, es-sendo tutelati indipendentemente dalle vicende del contratto.

La responsabilità extracontrattuale diventa così il paradigma su chi si fonda la responsabilità contrattuale e delle altre obbligazioni di fonte non contrattuale. Il che è ben evidente nella giurisprudenza comunitaria80.

14. — La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Un gran numero di sentenze contengono la definizione della responsabilità

extracontrattuale (a partire dalla sentenza nel caso Lütticke del 28 aprile 1971, nella causa 4/69)81, che sussiste quando in una data fattispecie sono riunite tre ———

80 Sull’argomento ci si permette di rinviare a R. CIPPITANI, Il giudice comunitario e l’elaborazione dei principi di diritto delle obbligazioni, in Rass. giur. umbra, 2/2004, p. 847 ss.

81 V., per esempio, Corte di giustizia, 4 marzo 1980, Pool / Consiglio, 49/79, Racc. 1980, p. 569); Id., 15 gennaio 1987, GAEC de la Ségaude / Consiglio e Commissione, 253/84, Racc. 1987, p. 123, punti 9,

Page 184: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 158

“condizioni”: l’esistenza di un danno “effettivo”82, di una condotta illegittima83 e di un nesso di causalità tra danno e condotta84.

La responsabilità spesso sorge senza che sia necessaria la dimostrazione dell’elemento soggettivo, e cioè del dolo o della colpa85. Il diritto comunitario, infatti, utilizza spesso la responsabilità in senso oggettivo. Il caso più conosciuto è quello della responsabilità del produttore per prodotti difettosi. La responsabi-lità oggettiva consente la tutela di alcuni interessi, considerati particolarmente importanti, addossando a certi professionisti il dovere di adottare tutte le pre-cauzioni necessarie ad evitare il danno.

15. — Le altre tipologie di responsabilità. Partendo dalla responsabilità extracontrattuale, il giudice comunitario indi-

vidua ulteriori fattispecie. E così, il danno, la condotta illegittima ed il nesso di causalità, sono richiesti

anche per l’accertamento della responsabilità contrattuale86. Si ricava dalla giuri-sprudenza che la responsabilità contrattuale presenta alcuni aspetti specifici, come quelli legati al risarcimento e alle vicende del rapporto contrattuale.

E così, il giudice comunitario ha ritenuto di individuare una responsabilità da “fatto lecito” (sans faute) della Comunità, nel caso venga emanato un atto (an-che di natura legislativa), che provoca un danno “anormale”, come per esempio quello che supera i rischi economici di un certo settore produttivo87. Anche in

——— 21; Id., 4 luglio 1989, Francesconi e aaltri / Commissione, 326/86 e 66/88, Racc. 1989, p. 2087; cpv. 8; Id., 28 novembre 1989, Epicheiriseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon e altri / Commissione e Consiglio, C-122/86, Racc. 1989, p. 3959, punto 8). Per la dottrina, tra gli altri, R.E. PAPADOPOULOU, Principes généraux du droit et droit communautaire, Origines et concrétisation, Athenes-Bruxelles, 1996.

82 Il danno è considerato effettivo se è certo e attuale, anche se non è stata esclusa la responsabili-tà nel caso di danni prevedibili ed imminenti. Cfr., per esempio, Corte di Giustizia, 2 giugno 1976, Kampffmeyer / Commissione e Consiglio, 56-60/74, Racc. 1976, p. 711.

83 La condotta illegittima può essere anche di tipo omissivo. V., per esempio, Corte di Giustizia, 15 settembre 1994, Kydep / Consiglio e Commissione, C-146/91, Racc. 1994, p. I-4199.

84 Il nesso di causalità si verifica quando “existe un lien de cause à effet entre la faute commise par l'institu-tion concernée et le préjudice invoqué”. Tribunale di primo grado, 22 ottobre 1997, SCK et FNK / Commissio-ne, T-213/95 e T-18/96, Racc. 1997, p. II-1739, punti 39, 98.

85 Cfr. quanto argomentato nella sentenza della Corte di Giustizia, 27 aprile 1999, Commissione / SNUA, C-69/97, Racc. 1999, p. I-2363).

86 V. Corte di Giustizia, 20 febbraio 1997, IDE / Commissione, C-114/94, Racc. 1997, p. I-803. 87 Corte di Giustizia, sentenza del 6 dicembre 1984, Biovilac / CEE, 59/83, Racc. 1984,p. 4057,

punto 28.

Page 185: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 159

questo caso l’attore deve dimostrare che la condotta, seppure legittima, della Comunità ha provocato il danno e che esiste il nesso di causalità88.

La giurisprudenza, relativamente a tributi illegittimi previsti negli stati membri, ha permesso l’individuazione del principio della “ripetizione dell’inde-bito” pagamento89.

Il giudice comunitario ammette anche l’esistenza di un’azione nel caso in cui si è verificato un impoverimento dell’attore, al quale sia corrisposto un arric-chimento del convenuto90; è il caso in cui si richiedano gli interessi per l’illegit-timo pagamento di una sanzione comminata dalla Commissione91.

Una costante giurisprudenza afferma poi la responsabilità precontrattuale delle istituzioni nel procedimento di formazione dei contratti92, nel caso di vio-lazione del principio della “buona fede”.

16. — Le regole applicabili ai rapporti obbligatori. La normativa e la giurisprudenza fanno riferimento a diverse nozioni legate

alla disciplina dei rapporti obbligatori. 16.1. Ipotesi di esclusione della responsabilità. – La giurisprudenza ha elaborato,

in mancanza di una esplicita normativa a riguardo, diverse fattispecie di esclu-sione della responsabilità, come la forza maggiore, lo stato di necessità e la legit-tima difesa.

Si esclude l’inadempimento nelle ipotesi di “forza maggiore”93. Per forza maggiore si intende così una impossibilità, anche non assoluta, di adempiere ad un obbligo, qualora detta impossibilità sia stata prodotta da circostanze “anormali” ed

——— 88 Corte di Giustizia, 15 giugno 2000, Dorsch Consult / Consiglio e Commissione, C-237/98, Racc.

2000, p. I-4549, punto 19. 89 V., per esempio, Corte di Giustizia, 9 dicembre 2003, Commissione / Italia, C-129/00, Racc.

2003, p. I-14637; Id., 15 settembre 1998, Edilizia Industriale Siderurgica Srl (Edis) / Ministero delle Finanze, C-231/96, Racc. 1998, p. I-4951; Id., 15 settembre 1998, Ansaldo Energia SpA e a. / Amministrazione delle Finanze dello Stato e altri, C-279/96, C-280/96 e C-281/96, Racc. 1998, p. I-5025.

90 Corte di giustizia, 11 luglio 1968, Danvin / Commissione, Racc. 1968, p. 464. 91 Corte di giustizia, 10 luglio 1990, Grecia/Commissione, C-259/87, Racc. 1990,p. I-2845, pubblica-

zione sommaria, punto 26; Tribunale di primo grado, 10 ottobre 2001, Corus UK / Commissione, T-171/99, Racc. 2001, p. II-2967.

92 V., per esempio, Tribunale primo grado, 17 dicembre 1998, Embassy Limousines & Services / Par-lamento europeo, T-203/96, cit.; Id., 29 ottobre 1998, Team Srl / Commissione, T-13/96, cit.

93 Per la dottrina v. R.E. PAPADOPOULOU, Principes généraux du droit et droit communautaire, cit., p. 272 ss.

Page 186: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 160

estranee all’obbligato, nonostante questi abbia utilizzato la diligenza necessaria94. La Corte ritiene, inoltre, che debba ravvisarsi la “forza maggiore” anche nel caso in cui l’inadempimento poteva essere evitato, solo al prezzo di un eccessivo sacrificio95.

Per quanto riguarda la legittima difesa, questa consisterebbe in una viola-zione del diritto comunitario, necessaria per evitare un pericolo che minacci l’autore del fatto; cioè quando le minacce siano dirette, il pericolo imminente e non ci sia altro modo legittimo di farvi fronte96.

Lo stato di necessità, inoltre, può essere invocato in corrispondenza di una “minaccia reale”, purché questa non sia stata provocata da chi ha posto in essere la condotta illegittima97.

16.2. Conseguenze della responsabilità. – Le conseguenze della responsabilità

sono legate soprattutto al risarcimento del danno, oltre che alle sanzioni ammi-nistrative comminate dalla Commissione98.

Nella giurisprudenza comunitaria si ammette la risarcibilità del danno e-mergente, costituto da “gli oneri e le spese sopportati” ed il “lucro cessante”. Quest’ultimo è escluso nei casi di asserita responsabilità precontrattuale delle istituzioni, poiché riguarda danni “futuri ed ipotetici”99. Il suo riconoscimento avrebbe lo stesso effetto del contratto concluso. Il risarcimento del lucro ces-sante è quindi ammesso soltanto nel caso di responsabilità contrattuale100.

——— 94 Corte di Giustizia, 17 dicembre 1970, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Köster, 25-70,

Racc. 1970,p. 1161. Conformi: Corte di Giustizia, 28 maggio 1974, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Fut-termittel / Pfützenreuther, 3-74, Racc. 1974, p. 589; Id., 30 maggio 1984, Ferriera Vittoria / Commissione, 224/83, Racc. 1984, p. 2349, punto 13; Id., 12 luglio 1984, Ferriera Valsabbia / Commissione, 209/83, Racc. 1984, p. 3089, cfr. punto 21; Id., 17 settembre 1987, Commissione / Grecia, 70/86, Racc. 1987, p. 3545, pun-to 8; Id. 27 ottobre 1987, Theodorakis / Grecia, 109/86, Racc. 1987, p. 4319, punto 7; Id., 8 marzo 1988, McNicholl / Minister for Agricolture, 296/86, Racc. 1988, p. 1491, punto 11; Id., 10 luglio 1990, Grecia / Commis-sione, C-335/87, Racc. 1990, p. I-2875, punto 22; Id., 22 gennaio 1986, Denkavit France / FORMA, 266/84, Racc. 1986, p. 149, cav. 27; Id., 5 febbraio 1987, Denkavit / Stato belga, 145/85, Racc. 1987, p. 565, punto 11.

95 Corte di Giustizia, 17 dicembre 1970, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Köster, 25-70, Racc. 1970, p. 1161; Id., 28 maggio 1974, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Pfützenreuther 3-74, Racc. 1974, p. 589.

96 Corte di Giustizia, 12 luglio 1962, Acciaiere ferriere e fonderie di Modena / Haute Autorité, 16-61, Racc. 1962, p. 547.

97 V. soprattutto Corte di Giustizia, 11 maggio 1983, Klöckner-Werke AG / Commissione, 244/81, Racc. 1983, p. 1508. V. PAPADOPOULOU, Principes généraux du droit et droit communautaire, cit., p. 275 ss.

98 In diritto comunitario è presente la distinzione tra “liquidate damages” e cioè il risarcimento pre-ventivamente determinato e la “penalty” e cioè la sanzione pecuniaria amministrativa. V. Contratti tipo per il Sesto Programma Quadro di RST, approvato con decisione del 17 marzo 2003.

99 Tribunale di primo grado, 29 ottobre 1998, Team srl / Commissione, T-13/96, cit., punto 29. 100 Infatti, come è stato deciso: “Nella fattispecie è stato provato che l’illecito commesso dal Par-

lamento è tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Per contro, non sussi-

Page 187: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 161

Con particolare riguardo ai casi di responsabilità non contrattuale, il risar-cimento riguarda soltanto le conseguenze sufficientemente dirette101. Non è ge-neralmente considerato rilevante, pertanto, il danno morale102, a meno che non si dimostri un “pregiudizio reale e certo”103.

La giurisprudenza comunitaria ritiene che un ritardo nel pagamento impli-chi un danno per il quale il creditore dev’essere risarcito, attraverso gli interessi moratori104. Gli interessi di mora rappresentano un risarcimento forfetario e a-stratto, e la relativa domanda giudiziale non dev’essere motivata in modo speci-fico. Gli interessi possono essere richiesti anche sulla somma dovuta a titolo di risarcimento nel caso di responsabilità extracontrattuale105.

16.3. Vicende dei rapporti obbligatori. – La giurisprudenza e le fonti comunita-

rie utilizzano concetti legati alle vicende delle obbligazioni. Tra i modi di estinzione delle obbligazioni, per esempio, si considera

l’ipotesi della compensazione e cioè dell’estinzione simultanea di “due obbliga-zioni esistenti reciprocamente tra due persone”, in particolare con riferimento ai rapporti creditori tra la Commissione ed un altro soggetto106. La compensazione

——— ste alcuna responsabilità contrattuale. Di conseguenza, non è fondata la richiesta della ricorrente di ri-chiedere un risarcimento per il mancato guadagno, poiché ciò corrisponderebbe a far produrre effetti ad un contratto mai esistito” Tribunale di primo grado, sentenza del 17 dicembre 1998, Embassy Limou-sines & Services / Parlamento Europeo, T-203/96, cit.

101 Corte di Giustizia, 4 ottobre 1979, Dumortier / Consiglio, 64 e 113/76, 167 e 239/78, 27, 28 e 45/79, Racc. 1979, p. 3091.

102 Cfr. Corte di Giustizia, 8 ottobre 1986, Leussink-Brummelhuis / Commissione, 169/83 e 136/84, Racc. 1986, p. 02801, punti 21-22; Tribunale di primo grado, 21 marzo 1996, Farrugia / Commissione, T-230/94, Racc. 1996, p. II-195, punti 42, 46.

103 Tribunale di primo grado, 28 gennaio 1999, BAI / Commissione, T-230/95, Racc. 1999, p. II-123, punti 38-39.

104 Tribunale di primo grado, 9 ottobre 2002, Hans Fuchs / Commissione, T-134/01, Racc. 2002, p. II-3909, v. punti 56-57.

105 Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier / Consiglio, 64 e 113/76, 167 e 239/78, 27, 28 e 45/79, Racc 1979, p. 3091; Id., 4 ottobre 1979, Ireks-Arkady / Consiglio e Commissione, 238/78, Racc. 1979, p. 2955; Id., 4 ottobre 1979, DGV / Consiglio e Commissione, 241, 242, 245 a 250/78, Racc. 1979, p. 3017; Id., 4 ottobre 1979, Interquell Stärke-Chemie / Consiglio e Commis-sione, 261 e 262/78, Racc. 1979, p. 3045; Id., 18 maggio 1983, Pauls Agriculture / Consiglio e Commissione, 256/81, Racc. 1984, p. 1707, punto 17; Id., 13 novembre 1984, Birra Wührer / Consiglio e Commissione, 256, 257, 265, 267/80, 5 e 51/81 e 282/82, Racc. 1984, p. 3693; Id., 26 giugno 1990, Sofrimport / Com-missione, C-152/88, Racc. 1990, p. I-2477.

106 Corte di giustizia, 10 luglio 2003, Commissione/ Conseil des communes et régions d'Europe (CCRE), C-87/01, Racc. 2003, p. I-07617. V. anche le sentenze nella cause Deka / CEE (Corte di giustizia, 1 mar-zo 1983, 250/78, Racc. 1983, p. 421); Id., 15 ottobre 1985, Continental Irish Meat, 125/84, Racc. 1985, p. 3441; Id., 19 maggio 1998, Bent Jensen e Korn og-Foderstofkompagniet A/S, C-132/95, Racc. 1998, p. I-2975.

Page 188: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 162

va allora riconosciuta, in quanto permette una migliore gestione dei fondi pub-blici comunitari, consentendo alla Comunità di recuperare efficacemente i pro-pri crediti (conclusioni dell’avvocato generale Léger, punti 56 ss.). Infatti la com-pensazione offre una “seria garanzia” per la Comunità, in quanto permette di riscuotere (in tutto o in parte) il suo credito senza esporsi al rischio di insolven-za del debitore. La compensazione, inoltre, consente di evitare le spese necessa-rie per il recupero forzato dei crediti della Comunità, e facilita e abbrevia le ope-razioni di pagamento. La “compensazione” nel diritto comunitario, con partico-lare riguardo ai rapporti con la Comunità, deve fondarsi su una “dichiarazione”. Tale dichiarazione deve essere chiara (cioè senza ambiguità per quanto riguarda la volontà di operare la compensazione e per quanto riguarda i debiti che ne co-stituiscono l'oggetto), scritta ed indirizzata con lettera raccomandata all’altro sogget-to, e ricettizia, in quanto produce i suoi effetti al ricevimento del destinatario (v. punto 67 delle conclusioni). Léger sottolinea che, in questo modo, la compensa-zione soddisfa altri principi comunitari, quali il principio della “trasparenza” e quello della “certezza dei rapporti giuridici” (v. punto 67 delle conclusioni). Non sarebbe altrettanto compatibile con il diritto comunitario utilizzare una conce-zione “puramente giudiziaria”, in quanto se le parti dovessero ricorre al giudice per ottenere la compensazione verrebbero meno i vantaggi per la Comunità sopra segnalati (v. punto 65 delle conclusioni). Inoltre “il concetto puramente legale del-la compensazione non sembra perfettamente rispondente alla particolare configu-razione dell’ordinamento comunitario”. Se si ammettesse la compensazione legale, infatti, questa opererebbe all’insaputa delle parti, in contrasto con il principio di trasparenza (v. punto 66 delle conclusioni), soprattutto in considerazione “dell’ampiezza e [del]la complessità del bilancio comunitario oltre che [del]la moltitudine di obbligazioni finanziarie della Commissione”.

La giurisprudenza, inoltre, ammette anche nel diritto comunitario l’ipotesi della cessione dei crediti107. La cessione è ammessa qualora non sia vietata dalla base giuridica o dal contratto, come accade spesso nei contratti stipulati con la Commissione europea108.

Una ulteriore ipotesi di estinzione del rapporto obbligatorio è la prescrizio-ne. Non è prevista una disciplina generale sulla prescrizione, ma regole di estin-

——— 107 La giurisprudenza comunitaria si occupa anche delle altre vicende come la cessione dei crediti,

in virtù della quale il cessionario subentra nella medesima posizione del cedente: v. Corte di Giustizia, 13 novembre 1984, Birra Wührer / Consiglio e Commissione, cause riunite 256, 257, 265, 267/80, 5 e 51/81 e 282/82, Racc. 1984, p. 3693, cfr. punti 10, 12.

108 V. infra, parte V, cap. 4.

Page 189: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - I CONTRATTI E LE OBBLIGAZIONI 163

zione dei diritti di credito, per il decorso del tempo, sono presenti in varie fonti giuridiche. In particolare è prevista una prescrizione quinquennale per il diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale, nei confronti della Comunità, così come previsto dall’art. 46 dello Statuto della Corte di giu-stizia. Il termine di prescrizione in parola comincia a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà origine alla responsabilità. La prescrizione è interrotta sia dall’azione giudiziale, sia dalla richiesta di risarcimento rivolta all’istituzione.

Page 190: Diritto privato del mercato
Page 191: Diritto privato del mercato

CAPITOLO QUINTO

IL DIRITTO PRIVATO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA

SOMMARIO: Sezione I - I fondamenti del diritto privato della società dell’informazione e della conoscen-za. 1. Il diritto privato del mercato. 1.1. Il mercato come spazio economico giuridico. 1.2. Il mercato interno come contesto. — 2. Il diritto privato della società dell’informa-zione. — 3. Le conseguenze etiche e sociali del diritto privato. — 4. Il diritto privato della socie-tà della conoscenza. 4.1. La società della conoscenza. 4.2. Il diritto privato. — Sezione II - L’elaborazione del diritto privato della società della conoscenza. 5. La costruzione del di-ritto privato comunitario. — 6. Interventi normativi e non normativi. — 7. Il ruolo della giurisprudenza. — 8. La costruzione del diritto comunitario come fenomeno culturale.

SEZIONE I - I FONDAMENTI DEL DIRITTO PRIVATO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA

1. — Il diritto privato del mercato. 1.1. Il mercato come spazio economico giuridico. – Quanto si è detto nei capitoli

precedenti consente di disegnare un quadro generale del diritto privato, così come viene concepito nell’ordinamento dell’Unione europea.

Il diritto privato comunitario è stato elaboro, innanzitutto, nella prospettiva del “mercato interno” e cioè di quello spazio senza frontiere in cui deve essere assicurata la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali.

Il mercato interno, di cui parlano i Trattati, non è certo un luogo fisico in cui si scambiano beni o servizi (cfr. il significato di mercato nell’art. 824 c.c.); né, tantomeno, si può considerare esclusivamente un ambito economico.

Le azioni necessarie per realizzare il mercato interno consistono nelle di-verse politiche comunitarie, e, in particolare, in una politica economica “che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati” e “sulla defini-zione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza” (art. 4, par. 1, Trattato CE; v. art. 98 ss. Trattato CE).

Page 192: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 166

La realizzazione del mercato interno comprende, inoltre, il “ravvicinamen-to delle legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato co-mune” (art. 3, par. 1, lettera h), Trattato CE, v. art. 94 ss. Trattato CE), nonché l’adozione di “misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti implicazioni transfrontaliere” (art. 65, par. 1, Trattato CE, così co-me modificato dal Trattato di Amsterdam).

Il mercato interno è, pertanto, soprattutto un “ordinamento giuridico”, così come riconosciuto dalla Corte di giustizia fin dalle sentenze nelle cause Van Gend en Loos1 e Costa contro Enel2.

Infatti la Comunità (e l’Unione) si fonda su di “una compenetrazione non soltanto economica, ma anche giuridica, fra gli stati membri”3. Anche prima del Trattato di Amsterdam, la giurisprudenza aveva sostenuto che la nozione di mercato “… mira ad eliminare ogni intralcio per gli scambi intracomunitari al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il più possibile simile ad una vero e proprio mercato interno”4. La stessa giurisprudenza afferma che “i vantaggi di tale mercato [devono essere] … garantiti, oltre che ai commercianti di professione, anche ai privati che si trovino a intraprendere operazioni eco-nomiche oltre le frontiere nazionali”.

Il mercato interno è un ordinamento giuridico che non obbliga soltanto i paesi che fanno parte dell’Unione. Come si afferma nella sentenza Vand Gend en Loos, l’ordinamento giuridico comunitario “riconosce come soggetti non soltan-to gli Stati membri, ma anche i loro cittadini”. Il diritto comunitario crea situa-zioni giuridiche in capo alle persone fisiche e ai soggetti diversi dalle persone fi-siche e lega tali situazioni giuridiche con rapporti rilevanti per l’ordinamento.

Il diritto comunitario disciplina, pertanto, molteplici aspetti riconducibili al-la “materia civile” e cioè al diritto privato.

Per le fonti giuridiche e per gli altri documentanti elaborati dalle istituzioni comunitarie, la materia civile è uno dei capisaldi per la costruzione di uno spazio giuridico europeo (v. il capo VII delle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999).

——— 1 Corte di giustizia, 5 febbraio 1963, Van Gend en Loos / Administratie der Belastingen, 26-62, Racc.,

1963, p. 3. 2 Corte di giustizia, 15 luglio 1964, Costa / E.N.E.L., 6/64, Racc. 1964, p. 1141. 3 Corte di giustizia, 18 maggio 1982, AM&S Limited/ Commissione, 155/79, Racc. 1982, p. 1575

(punto 18). 4 Corte di giustizia, sentenza del 5 maggio 1982, Schul, 15/81, Racc., 1982, p. 1409, punto 33.

Page 193: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 167

1.2. Il mercato interno come contesto. – Il mercato interno è quindi soprattutto un ordinamento giuridico. La metafora del “mercato” ne fa un ordinamento per il quale assume una particolare rilevanza il contesto in cui si manifestano le fatti-specie giuridicamente rilevanti.

Il carattere contestuale del diritto comunitario, comporta che i soggetti non vengano osservati in modo assoluto, ma relativamente all’ambito economico-giuridico in cui si trovano ad operare.

Quello che rileva nel diritto comunitario non è la sola qualifica formale di un soggetto (società commerciale, associazione, ente pubblico), ma l’attività in concreto svolta nel mercato, come è reso evidente dalle definizioni comunitarie di “impresa” o di “organismo pubblico”. I soggetti vengono definiti non soltan-to per l’attività effettivamente svolta, ma anche in modo relativo rispetto agli al-tri. Si pensi, a tale proposito, alle modalità con le quali è individuato il concetto di PMI o quello di gruppo.

L’approccio relativistico del diritto del mercato comunitario comporta il superamento del tradizionale principio di parità formale tra i soggetti. Alcuni soggetti sono così considerati più deboli o comunque degni di una maggiore tu-tela rispetto ad altri. E’ il caso della normativa sui consumatori, ma anche delle norme che tutelano professionisti considerati deboli, come gli agenti commer-ciali o le PMI.

La disciplina dei rapporti giuridici segue la medesima logica. I contratti non riguardano soltanto i soggetti direttamente coinvolti, ma l’intero sistema. Lo si è visto in tema di situazioni giuridiche soggettive, per quanto riguarda la disciplina comunitaria dei beni e dei contratti e nell’ambito della normativa della concor-renza o quella riguardante i consumatori.

2. — Il diritto privato della società dell’informazione. Il diritto privato comunitario è inoltre un diritto privato della “società

dell’informazione”. Come si è detto nei capitoli precedenti, l’informazione è un concetto che

permea l’intero diritto comunitario e che riguarda aspetti spesso diversi. L’informazione rappresenta la trama stessa del mercato interno. Il diritto

comunitario ha l’obiettivo costante di assicurare la migliore circolazione possibi-le delle informazioni riguardanti i soggetti ed i loro rapporti, in modo che il mercato interno funzioni in modo corretto. È in questo ambito che si discipli-

Page 194: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 168

nano le informazioni minime da fornire nei contratti e nella pubblicità del-l’attività dei soggetti, nonché le modalità anche tecniche di comunicazioni delle informazioni. La necessità di assicurare la circolazione e l’accesso alle informa-zioni, soprattutto di soggetti considerati svantaggiati nel mercato (come i con-sumatori), comporta scelte tecniche come quella del formalismo contrattuale e incide sulla disciplina della patologia del contratto.

L’informazione, inoltre, è vista come il principale bene del mercato interno. Un bene che ha sostituto nelle priorità del legislatore i beni tangibili (distinti tra mobili e immobili) sui quali è quasi esclusivamente costruita la tradizionale di-sciplina privatistica.

Questa particolare attenzione alla informazione è da iscrivere in una più ampia visione dell’ordinamento comunitario. I documenti istituzionali di almeno tre lustri fanno riferimento, infatti, alla necessità di concepire l’Europa come “società dell’informazione”.

In particolare il Libro bianco “Crescita, competitività, occupazione”, ha af-fermato che possession and transmission of information is becoming crucial to success5 dell’economia e della società europea.

Come è stato più volte affermato, almeno a partire dal Consiglio europeo di Corfù del 24 e 25 giugno 1994, l’azione comunitaria ha tra i suoi obiettivi la creazione di un quadro giuridico adatto alle specificità della società dell’informa-zione, in tema di nuovi beni, di strumenti tecnologici per lo svolgimento dei rap-porti giuridici, nonché della tutela delle relative situazioni giuridiche soggettive6.

3. — Le conseguenze etiche e sociali del diritto privato. Il diritto del mercato e della società dell’informazione porta con sé proble-

mi nuovi, che hanno una posizione di rilievo nelle fonti comunitarie. In particolare, nel diritto privato comunitario è forte l’attenzione agli aspet-

ti etici e sociali. Sotto il profilo etico, la società dell’informazione presenta problemi nuovi:

“Clonazione, impiego di tessuti embrionali a scopo terapeutico, banche dati

——— 5 Part A: The challenges and ways forward into the 21st century del Libro Bianco “Crescita, competitività,

occupazione” pubblicato dalla Commissione Europea nel 1993. 6 Cfr. secondo e quinto “considerando” direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del

Consiglio del 22 maggio 2001 sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti con-nessi nella società dell'informazione.

Page 195: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 169

contenenti informazioni personali e sviluppo di universi virtuali: i progressi della conoscenza e della tecnologia, in particolare nel campo delle scienze della vita, sollevano un sempre maggior numero di interrogativi di natura etica.”7. Come è stato opportunamente sottolineato: “Le scoperte tecnologiche e i cambiamenti che ne sono conseguiti hanno segnato, fra l’altro, le discipline biomediche, pale-sando il rischio che la scienza, stordita dalla sua stessa potenza, sia tentata di manipolare l’uomo come se fosse un mero oggetto”8.

Allo stesso modo, il mercato della società dell’informazione può comporta-re l’esclusione di coloro (persone fisiche, ma anche imprese) che non hanno le competenze richieste da nuovi modi di produzione9 e dal carattere dinamico e aperto del contesto comunitario. La disoccupazione e l’esclusione sociale fan-no sì che “Il numero delle persone che nell'Unione vivono al di sotto della so-glia di povertà e in condizioni di esclusione sociale è inaccettabile.” (Consiglio europeo di Lisbona 2000, Conclusioni della Presidenza, punto 32).

Per tentare di correggere i problemi creati dalla società dell’informazione, le fonti giuridiche, anche quelle direttamente riguardanti il diritto privato, pongono sempre in evidenza gli aspetti etici e sociali.

È per questo motivo che tutta la disciplina privatistica, ed in particolare quella riguardante i beni ed i contratti, impone il rispetto dei cosiddetti “principi etici fondamentali”, a salvaguardia di interessi come la dignità umana in tutte le sue forme, del patrimonio genetico, dell’ambiente e degli animali.

I problemi sociali del mercato e della società dell’informazione sono al cen-tro delle fonti giuridiche che riguardano i soggetti. Già nei Trattati istitutivi si prescriveva che la costruzione del mercato dovesse essere finalizzata al “miglio-ramento del tenore di vita” (art. 2, Trattato CEE) dei cittadini europei e si disci-plinavano gli aspetti “sociali” della circolazione delle persone, come le condi-zioni di vita e la formazione professionale. Le fonti successive hanno conferma-to questa vocazione del diritto comunitario, attraverso norme che riguardano i rapporti di lavoro, il sistema previdenziale, la tutela dei diritti umani fondamen-tali di nuova generazione, l’istruzione, l’accesso alle tecnologie dell’informazione.

——— 7 V. la Comunicazione “Verso uno spazio europeo della ricerca”, par. 7.2. I problemi etici della

scienza sono ovviamente trattati in altri documenti. Tra questi v. anche il Libro bianco “Crescita, com-petitività, occupazione”, par. 5, dedicato alla società dell’informazione.

8 A. PALAZZO, Contributo alla ricostruzione della tutela del principio di vita, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica e diritto privato, vol. II, Padova, 2002, p. 2 ss.

9 V. Libro bianco “Crescita, competitività, occupazione”, capitolo 7. Secondo il Libro bianco i giovani che lasciano la scuola con una qualifica sono il 42%, contro il 75% degli USA e il 90% del Giappone.

Page 196: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 170

Inoltre, il diritto comunitario pone a carico delle imprese, quali operatori quali-ficati del mercato, una particolare “responsabilità sociale”. Esse, infatti, devono operare nel rispetto degli interessi fondamentali, con particolare attenzione alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile, nonché alla dimensione sociale del mercato10.

4. — Il diritto privato della società della conoscenza. 4.1. La società della conoscenza. – Il diritto privato del mercato e della società

dell’informazione si inserisce in un ambito giuridico più ampio che è quello della cosiddetta “strategia di Lisbona”. Secondo le conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo tenutosi a Lisbona il 23 e il 24 marzo del 2000, infatti, l’Unione europea ha l’obiettivo strategico di: “diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una mag-giore coesione sociale”. Riprendendo le intuizioni contenute nel già citato Libro bianco “Crescita, competitività, occupazione” del 1993, la strategia di Lisbona afferma pertanto che l’Europa debba diventare una Knowledge-based Society.

In questa società, è molto più importante la produzione, l’uso e il trasferimento, la condivisione (sharing) delle conoscenze, piuttosto che la proprietà ed il commercio dei beni materiali. In una “società della conoscenza”, la ricerca (intesa come produ-zione della conoscenza) e l’educazione (considerata come principale mezzo di con-divisione delle conoscenze) costituiscono il fulcro dell’intera costruzione comunita-ria11, mentre prima erano considerati aspetti marginali dell’integrazione europea.

La società della conoscenza consiste in una metafora che include e qualifica le altre metafore giuridiche costituite dal mercato e dalla società dell’informazione. Questo emerge nei documenti comunitari, quando parlano di conoscenza, in-formazione e mercato. L’informazione e il mercato sono alla base del concetto di conoscenza: “Sia i dati che l’informazione sono comparabili … alle materie prime che l’industria trasforma in beni di consumo”. Per generare conoscenza l’informazione deve “essere classificata, analizzata, ponderata ed elaborata”12. Il ———

10 V. il Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” COM(2001)366 del 18 luglio 2001, punto 11.

11 V. per esempio il Capitolo 2, paragrafo 3 del Libro bianco e soprattutto il Capitolo 7. 12 Capitolo 1. “La visione del gruppo di esperti di alto livello: da un’economia dell’informazione emergente ad

una società cognitiva” par. A “Dall’informazione alla conoscenza” della Relazione politica finale del gruppo di esperti di alto livello: “Costruire la società europea dell’informazione per tutti noi” del 1997.

Page 197: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 171

passaggio dall’informazione alla conoscenza comporta la valutazione e pondera-zione degli aspetti economici, ma anche di quelli etico-sociali.

La nuova metafora si è resa necessaria, proprio perché, dal Libro bianco alla strategia di Lisbona, si sottolinea l’inadeguatezza del processo di integrazione euro-pea, per decenni condotto dalla sola prospettiva economica. L’argomento più sor-prendente di questa riflessione è che la crisi del modello tradizionale di integrazione è causata non soltanto da problemi della congiuntura economica. L’Europa del mer-cato è cresciuta, ma sottovalutando e lasciando ai margini tutti gli aspetti non stret-tamente legati agli obiettivi economici. L’Europa della moneta unica e delle altre rea-lizzazioni sul piano economico non ha un sistema educativo europeo, una vera e propria politica della ricerca e dell’innovazione, è poco attenta a temi dell’etica e dell’ambiente, si poggia su un ordinamento giuridico lontano dai cittadini ed ineffi-ciente13. Le azioni previste nei documenti istituzionali di questa fase dell’integrazione europea (il passaggio ad una economia-società basate sulla conoscenza, la moderniz-zazione del modello sociale europeo, il sostenimento delle prospettive di crescita) poggiano sull’idea che l’Europa della conoscenza deve costruirsi mediante la realiz-zazione di uno spazio europeo della ricerca, della formazione, dell’istruzione, non disgiunto dal miglioramento dello spazio economico e quello giuridico. Si ribadisce, infatti, la reciproca interdipendenza delle varie dimensioni della costruzione comuni-taria e l’inefficienza degli approcci parziali e nazionali ai problemi dell’Europa.

4.2. Il diritto privato. – Il diritto privato, così come rappresentato nel codice

civile italiano, è costruito a partire dalla prospettiva del soggetto. Il diritto priva-to disciplina le modalità con le quali i soggetti di diritto acquistano le situazioni giuridiche (attive e passive). Una parte delle situazioni giuridiche (attive e passi-ve) riferibili ad un soggetto di diritto sono considerate dall’ordinamento giuridi-co come “patrimonio” del soggetto stesso. Solitamente si ritiene (v. per esempio v. la ricostruzione che fa Savigny dei rapporti giuridici)14 che il patrimonio sia costituito dalle obbligazioni e dai diritti reali15. Sebbene nel diritto privato vi sia-no diverse nozioni di patrimonio16, esso può essere inteso come l’insieme delle

——— 13 V. sul punto R. CIPPITANI, L’Europa della conoscenza (la ricerca e l’educazione al centro della costruzione

comunitaria), in T. SEDIARI (a cura di), Cultura dell’integrazione europea, Torino, 2005, p. 81 ss. 14 F.C. VON SAVIGNY, Il sistema del diritto romano attuale, trad. ital. di V. Scialoja, vol. I, Torino, 1886,

p. 337 ss. 15 V. anche la nozione “allargata” di diritti e rapporti patrimoniale utilizzata da B. WINDSCHEID

(Diritto delle Pandette, trad. ital., cit., § 42). 16 Come è stato posto in luce, da C. FADDA, P.E. BENSA (note a B. WINDESHEID, Diritto delle pan-

dette, cit., nota k) il concetto di patrimonio ha una sua utilità per la scienza giuridica solo se ad esso

Page 198: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 172

situazioni giuridiche che garantiscono i terzi creditori (art. 2740 c.c.), e che viene chiamato “patrimonio generale della persona”17; nonché l’insieme di situazioni giuridiche attive e passive che possono passare in successione da una persona fisica ad un’altra (patrimonio in senso successorio)18. Il diritto privato regola quindi gli istituti giuridici che permettono il passaggio degli elementi del patri-monio da un soggetto ad un altro, come i negozi o il diritto successorio; tali isti-tuti giuridici si basano sul principio della economicità, e cioè sulla possibilità del-la valutazione in termini monetari degli obblighi e dei diritti, caratteristico del diritto privato19. Altre tipologie di rapporti, pure previsti dal diritto privato, co-me i rapporti familiari, forniscono i presupposti per l’applicazione degli istituti privatistici (la successione, per esempio), oltre a svolgere altre funzioni specifi-che (tipicamente il mantenimento tra le persone fisiche). Il diritto privato così concepito opera in un ordinamento tendenzialmente chiuso, in cui l’intervento statuale è concepito soltanto per stabilire le fondamentali regole del gioco. I rapporti tra privati sono tenuti distinti da quelli tra soggetti pubblici e tra sogget-ti pubblici e privati.

Il diritto privato ai tempi della società della conoscenza parte da una prospet-tiva diversa, che è quella dello spazio economico-giuridico e cioè del “mercato in-terno”, finalizzato al miglioramento del tenore di vita delle persone fisiche e allo sviluppo dell’economia. Il mercato interno è uno spazio dinamico e aperto, entro cui i soggetti, i beni e le informazioni devono circolare liberamente. La libera cir-colazione viene assicurata nel rispetto di alcuni interessi fondamentali quali i diritti umani, i valori etici, la tutela dei consumatori e la libera concorrenza. Nello spazio comunitario non è corretto tracciare confini netti tra rapporti e soggetti, essendo tutti appartenenti allo stesso contesto e tutti interagenti tra di loro.

——— vengono collegate alcune conseguenze normative. Per gli autori citati “Per patrimonio s’intende ... la somma di tutti i diritti di carattere patrimoniale spettanti ad una persona o destinati ad uno scopo. E’ la appartenenza alla persona, la destinazione ad uno scopo che cementa i diritti e ne fa uno solo”.

17 Per F. SANTORO-PASSARELLI (Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 85). 18 Si ritiene che il patrimonio generale della persona sia una nozione diversa di quella di patrimo-

nio ereditario. Ciò soprattutto a motivo della diversità nella composizione dell’uno e dell’altro (Cfr. sul punto A. PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 88).

19 Il principio generale intorno al quale ruota il diritto privato è costituito dall’“economicità”. L’economicità è una manifestazione della giuridicità. Come è scritto a proposito della obbligazione, nella Relazione al Re al codice civile (al n. 23), questa deve essere suscettibile di valutazione economica «senza di che non si potrebbe attuare la coercizione giuridica predisposta dal diritto in caso di inadem-pimento». Prescrivere, nell’ambito del diritto privato, significa imporre comportamenti e prevedere conseguenze che è possibile misurare per mezzo dei valori monetari. In termini economici si può valu-tare la prestazione dedotta nelle obbligazioni (art. 1174 c.c.), la cosa oggetto dei diritti (art. 810 c.c.), i diritti che cadono in successione, e così via.

Page 199: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 173

Nella visione del mondo del diritto comunitario è di cruciale importanza il circuito continuo e autoincrementale di produzione, condivisione e trasmissione delle conoscenze, piuttosto che le vicende legate all’accumulazione e circolazio-ne degli elementi patrimoniali. La prospettiva prescelta dal diritto comunitario, incide pertanto fortemente sulla concezione degli istituti privatistici, come si è visto negli capitoli precedenti. Le situazioni giuridiche soggettive, il loro eserci-zio, i rapporti giuridici e i contratti in particolare, i principi generali come l’economicità, sono finalizzati agli obiettivi dello spazio europeo; questo anche se il diritto comunitario spesso dichiara di non voler modificare le discipline na-zionali.

Nel contesto comunitario, il discorso del diritto privato si arricchisce sem-pre di più di contenuti prima considerati marginali, oppure di competenza di al-tre branche della ricerca giuridica, come quelli legati all’etica, alla ricerca e alla tecnologia, all’istruzione e alla formazione, all’economia.

SEZIONE II - L’ELABORAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO DELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA

5. — La costruzione del diritto privato comunitario. Il diritto privato comunitario, come si è visto in tutta la parte I e come si

vedrà meglio nei capitoli successivi, cerca di dare soluzioni giuridiche ai proble-mi caratteristici del mercato interno e della società dell’informazione, visti glo-balmente nella prospettiva, che le fonti chiamano “società della conoscenza”. La via seguita per perseguire questo obiettivo è spesso diversa da quello tradiziona-le e rende necessari un approccio metodologico nuovo.

Dai capitoli precedenti emerge come il diritto privato comunitario venga costruito spesso con un approccio settoriale e gradualistico.

Gli stessi documenti delle istituzioni comunitarie denunciano questa circo-stanza, che è particolarmente evidente in materia di contratti e obbligazioni, ma che si manifesta in tutto il diritto civile20.

——— 20 V. i documenti della Commissione: la Comunicazione sul diritto contrattuale europeo, in GU

13 settembre 2001, n. 255, p. 1; la Comunicazione “Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo: un piano d’azione” (COM (2003) 68 del 12 febbraio 2003); il Libro verde “sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima” (COM (2002) 654 del 14 gennaio 2003). V. anche gli orientamenti

Page 200: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 174

Nella Comunicazioni sul diritto contrattuale europeo e in quella sulla “Maggiore coerenza del diritto contrattuale”, la Commissione, in particolare, se-gnala come l’approccio fin qui seguito conduce a tutta una serie di problemi: si usano concetti generali, che si prestano a diverse interpretazioni nel diritto degli stati membri (a cominciare da “contratto”, “obbligazione”, “danno”); la legisla-zione adottata da uno stato per dare attuazione alle direttive della Comunità fa riferimento all'interpretazione nazionale di certi termini astratti, in un modo che varia sensibilmente da un paese all'altro; in alcuni casi possono applicarsi, alla stessa fattispecie, due o più fonti comunitarie21; situazioni simili sono trattate in modo diverso senza che vi sia una giustificazione pertinente per tale differenza di trattamento22, e così via.

Come pone in luce la dottrina, l’ordinamento comunitario è “poco profon-do”23, soprattutto in materie come il diritto civile, non regolate in modo organi-co; esso è pertanto caratterizzato da molteplici “lacune”24.

La situazione è poi aggravata dalla mancanza di una “parte generale” del di-ritto, elaborata dalla teoria generale25.

——— del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1989 (che prevede un’azione comunitaria orien-tata all’armonizzazione “nella materia civile” v. punto 39 delle Conclusioni della Presidenza) e le risolu-zioni del Parlamento europeo: risoluzione A2-157/89, in Gazzetta Ufficiale, C 158, del 26 giugno 1989, p. 400), del 1994 (Risoluzione A3-0329/94, GU C 205 del 25 luglio 1994, p. 518) e risoluzione del 16 marzo 2000. In particolare, il Parlamento europeo, nella risoluzione del 1989, ha richiesto la re-dazione di Codice comune europeo di diritto privato, come necessario al completamento del mercato interno, altrimenti compromesso da frontiere giuridiche. Nella risoluzione 16 marzo 2000 relativa al programma di lavoro della Commissione per il 2000, il Parlamento europeo afferma di ritenere «che una maggiore armonizzazione nel settore del diritto civile sia divenuta essenziale nel mercato interno, e chiede alla Commissione di effettuare uno studio in tale settore».

21 Ad esempio, in alcune circostanze è possibile applicare sia la direttiva sulla vendita a domicilio sia quella sulla multiproprietà. Entrambe le direttive sanciscono il diritto del consumatore di recedere da un contratto, ma i termini di esercizio di tale diritto differiscono.

22 Tra gli esempi citati figurano le diverse modalità riguardanti il diritto di recesso nelle direttive sulle vendite porta a porta, sulla multiproprietà, sulle vendite a distanza e sulla vendita a distanza di servizi finanziari, in particolare la diversa durata e le diverse modalità di computo del termine per il recesso. Altri esempi riguardano l’incoerenza delle soluzioni adottate in materia di requisiti di informa-zione nella direttiva sul commercio elettronico da un lato e nelle due direttive sulle vendite a distanza dall’altro o gli ancora diversi requisiti in materia di informazione adottati in altre direttive a tutela dei consumatori che hanno delle implicazioni in materia di diritto contrattuale

23 V. G. BADIALI, Il diritto degli Stati negli ordinamenti delle Comunità europee, Milano, 1971, p. 35 e altrove. 24 F. CAPOTORTI, Il diritto comunitario non scritto, in Dir. com. scambi int., 1983, 409, in particolare p.

411; M. AKEHURST, The Application of the General Principles of Law by the Court of Justice of the European Communities, in The British Year Book of International Law, 1981,

25 P. PESCATORE, Le recours, dans la jurisprudence de la Cour de Justice des Communautés Européennes, à de normes déduites de la comparaison des droits des Etats Membres, in Rev. Intern. droit comparé, 1980, p . 341 ss., in particolare p. 357.

Page 201: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 175

Come osserva la Commissione, gli aspetti problematici del diritto civile comunitario, soprattutto in materia di contratti, e le divergenze delle discipline nazionali conducono a disincentivare i contratti tranfrontalieri26.

La situazione non è certo migliore dal punto di vista del diritto degli stati membri. In ambito nazionale, infatti, si sono raggiunti apprezzabili risultati per quanto riguarda il recepimento quantitativo del diritto comunitario27, mentre è ancora problematico l’adattamento qualitativo. Come è stato osservato in una indagine parlamentare sul tema (“Qualità e modelli di recepimento delle diretti-ve comunitarie” del Parlamento italiano)28, l’integrazione del diritto nazionale in quello comunitario appare difficile e conduce a due principali effetti ne-gativi: da un lato i concetti del diritto comunitario appaiono spesso estranei e difficilmente integrabili nell’ordinamento italiano; d’altro lato, e conseguen-temente, le prescrizioni giuridiche non sono certe e facilmente applicabili. Quanto al primo effetto negativo, si riscontra la difficoltà di tradurre nell’or-dinamento interno norme e concetti giuridici previsti nelle fonti comunita-rie, che assumono nel diritto nazionale significati imprecisi o ambigui. Come si ricorda nel documento conclusivo dell’indagine, occorre considerare che la norma comunitaria va ad inserirsi in un ordinamento giuridico già esistente, spesso elaborato in modo incoerente con l’ordinamento comunitario, che mani-festa i “fenomeni classici della normazione disorganica”, quali duplicazioni, sovrapposizioni, scarsa chiarezza del diritto vigente29. Da una tale impreci-sione e ambiguità dei significati giuridici deriva, inoltre, una sostanziale incer-tezza delle regole, che rinvia alla “questione centrale di una moderna concezione di democrazia” e cioè “il tema più ampio della qualità, dell’efficacia, della chia-rezza e della trasparenza della legislazione comunitaria, nonché delle relative procedure decisionali”30.

——— 26 V. la Comunicazione “Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo. Un piano d’azione”,

par. 3.2. 27 Si pensi, in Italia, ai risultati raggiunti con l’introduzione della legge 9 marzo 1989 n. 86, detta

legge“La Pergola”. Con questa legge si è previsto un meccanismo permanente di recepimento delle direttive comunitarie, facendo leva sulla cosiddetta “legge comunitaria”, ma prevedendo anche altri strumenti di adattamento del diritto nazionale.

28 L’indagine conoscitiva fu realizzata dalla Commissione permanente XIV per le politiche comu-nitarie, della tredicesima legislatura, presieduta da Antonio Ruberti. Il documento conclusivo sull’inda-gine fu approvato nel settembre del 2000 e pubblicato nel 2001.

29 V. il documento conclusivo, p. 315. 30 V. il documento conclusivo, p. 311.

Page 202: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 176

6. — Interventi normativi e non normativi. Per ovviare agli aspetti negativi dell’attuale disciplina comunitaria in materia

di diritto civile, la Commissione propone interventi di carattere normativo e non normativo.

Gli interventi normativi, a parere della Commissione, non sono sempre possibili o opportuni, e comunque dovrebbero essere realizzati in modo più semplice e coerente, ricorrendo alla consolidazione31, codificazione32 o rifusio-ne33 degli strumenti esistenti a fini di trasparenza e chiarezza34.

Gli interventi non normativi ipotizzati sono di vario genere. Si propone così di promuovere la ricerca sull’individuazione di principi

comuni da parte soprattutto del mondo accademico e degli operatori del diritto: “Il risultato di queste discussioni può variare da principi comuni alla stesura di linee guida o codici di condotta specifici per taluni tipi di contratti. I principi comuni potrebbero risultare utili alle parti contraenti al momento della stesura di nuovi contratti. Potrebbero anche servire ai tribunali e agli arbitri nazionali incaricati di decidere su questioni giuridiche, soprattutto per cause transfronta-liere, non pienamente coperte da norme nazionali vincolanti, oppure nei casi in cui tali norme non esistono affatto. I tribunali e gli arbitri saprebbero che i prin-cipi applicati rappresentano una soluzione comune a tutti gli ordinamenti nazio-nali che presiedono al diritto contrattuale nell'UE. Allo stesso tempo, i principi comuni potrebbero aiutare i tribunali nazionali chiamati all'applicazione di ordi-namenti stranieri a comprendere le basi su cui poggiano i principi generali di tali ordinamenti. Le linee guida potrebbero essere seguite il più possibile dagli Stati membri e dalla CE al momento di promulgare nuove norme o di adattare la vecchia legislazione nel settore del diritto nazionale dei contratti”35. Inoltre “L’applicazione di principi comuni potrebbe anche comportare la costituzione di un diritto consuetudinario, qualora ci fossero un'applicazione prolungata e ———

31 La consolidazione consiste nel raggruppare in un testo unico non avente natura vincolante le di-sposizioni vigenti di una determinata normativa, che si trovano disperse nel primo atto normativo e nei successivi atti che lo modificano.

32 La codificazione consiste nell'adozione di un nuovo atto normativo che integra, in un testo uni-co, senza cambiarne la sostanza, un precedente atto di base e le sue modifiche successive.

33 La rifusione permette di adottare un atto legislativo unico che, nel contempo, reca le modifiche sostanziali auspicate, procede alla codificazione di queste con le disposizioni immutate dell'atto prece-dente e abroga quest'ultimo.

34 Comunicazione, “Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo. Un piano d’azione, punto 77.

35 Comunicazione sul diritto contrattuale, punto 53.

Page 203: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 177

continuata e un comune convincimento. Ciò potrebbe influenzare o anche cambiare le prassi commerciali in uso nei vari Stati membri suscettibili di costi-tuire ostacoli al pieno funzionamento del mercato interno”.

In questo ambito sono stati costituiti gruppi di ricerca, con l’obiettivo di e-laborare i principi di diritto privato europeo

A) La “Commissione per il diritto contrattuale europeo” (sovvenzionata anzitutto dalla Commissione europea) ha pubblicato il volume Principles of Euro-pean Contract Law Parts I and II, a cura di Ole Lando e Hugh Beale (Kluwer Law International, 2000), con principi comuni per i paesi della Comunità europea a proposito di formazione, validità, interpretazione e contenuti dei contratti, auto-rità conferita a un agente di istituire vincoli validi per il proprio principale, ese-cuzione, mancata esecuzione di un contratto e relativi rimedi giuridici. Il libro avanza proposte di norme comuni e contiene commenti e analisi comparative per ciascuna norma.

B) L’Accademia dei giusprivatisti europei ha recentemente pubblicato il testo European Contract Code. Preliminary draft (Università di Pavia, 2001). Il codice con-tiene un corpo di norme e soluzioni basate sugli ordinamenti della Svizzera e degli stati membri dell'Unione europea, e tratta aspetti di formazione dei con-tratti, loro forma e contenuto, interpretazione ed effetti, esecuzione e mancata esecuzione, cessazione ed estinzione, altre anomalie e relativi rimedi giuridici.

C) Un’altra importante iniziativa accademica in corso è il “gruppo di studio per un Codice civile europeo”, composto da esperti accademici provenienti dai 15 Stati membri e da alcuni paesi candidati. Il loro lavoro riguarda settori quali “vendita/servizi/contratti a lungo termine”, “valori mobiliari”, “obblighi extra-contrattuali” e “trasferimenti della proprietà dei beni mobili” e consiste in una ricerca comparata, con l’obiettivo finale di arrivare ad una proposta organica nelle materie considerate.

Si propone, inoltre, di elaborare contratti e clausole standard, che possano essere utilizzate dalle parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale36.

7. — Il ruolo della giurisprudenza. Un ruolo centrale nella costruzione del diritto privato comunitario è quello

assunto dalla giurisprudenza, soprattutto quella del giudice comunitario.

——— 36 V. Comunicazione sul diritto contrattuale, punto 56.

Page 204: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 178

Ciò accade in particolare nell’esercizio delle attribuzioni del giudice comu-nitario, direttamente riguardanti i rapporti obbligatori tra la Comunità e gli altri soggetti: si pensi ai giudizi sulla responsabilità contrattuale (art. 238 e 288, 1° comma, Trattato CE) ed extracontrattuale (artt. 235 e 288, c. 2, Trattato CE) delle istituzioni e alle cause di lavoro tra Comunità ed i suoi agenti (art. 236 Trattato CE).

In ogni modo, il giudice comunitario utilizza nozioni rilevanti per il diritto civile, anche quando effettua il controllo di legittimità sugli atti delle istituzioni (art. 230 ss. Trattato CE) e, soprattutto, quando si occupa dell’interpretazione pregiudiziale dei Trattati e del diritto derivato (art. 234 Trattato CE).

La Corte di giustizia elabora tali concetti sulla base del principio dell’auto-nomia dei significati di diritto comunitario, affermando che “tanto l’applicazione uniforme del diritto comunitario, quanto il principio d’uguaglianza esigono che una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso ri-chiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Comunità, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme”37.

Sulla base di questo principio, il giudice comunitario ha costruito l’or-dinamento giuridico comunitario a dispetto dell’estrema frammentarietà delle fonti, elaborando i “principi” che stanno alla base del sistema legale. Si pensi all’affermazione dell’esistenza di un unico ordinamento giuridico. Oppure si consideri l’effetto strutturante di principi come quello della diretta applicabili-tà; della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale; dei poteri im-pliciti; dell’ingresso della tutela dei diritti umani fondamentali nel diritto dell’Unione.

La dottrina riconosce la rilevanza, per la costruzione dell’ordinamento co-munitario, della giurisprudenza, proprio per la particolare prospettiva comunita-ria che questa assume e per la ricerca di una coerenza profonda del sistema38. ———

37 Corte di giustizia, 9 novembre 2000, The Queen contro Secretary of State for the Home Department, ex parte Nana Yaa Konadu Yiadom, C-357/98, Racc. 2000,p. 9256, punto 26. Cfr. anche Corte di giu-stizia, 19 settembre 2000, Lussemburgo/Linster, C-287/98, Racc. 2000,p. 6917, punto 43; Id. 4 luglio 2000, Commissione/Grecia, C-387/97, Racc. 2000,p. 5047; Id. 18 gennaio 1984, Ekro/Produktschap voor Vee en Vlees, 327/82, Racc. 1984,p. I-107, punto 11; il principio dell'applicazione uniforme ri-guarda anche il diritto privato, cfr. Corte di giustizia, 23 marzo 2000, Dionisios Diamantis/ Elliniko Dimosio (Stato greco), Organismos Ikonomikis Anasinkrotisis Epikhiriseon AE (OAE), C-373/97, Racc. 2000,p. I-1705, punto 34; Id. 12 marzo 1996, Pafitis e altri/TKE e altri, C-441/93, Racc. 1996,p. I-1347, punti 68-70.

38 Sull’importanza e le funzioni dei principi nella costruzione dell’ordinamento giuridico comuni-taria, v. G. ALPA, I principi generali nel diritto italiano e nel diritto comunitario, cit.

Page 205: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 179

È indubbio che i concetti elaborati dalla giurisprudenza abbiano una grande influenza sui giudici nazionali39 e sulle riflessioni dottrinali. Tali concetti posso-no avere una importate funzione interpretativa e applicativa del diritto vigente, nonché dei rapporti negoziali dei soggetti di diritto, come è stato correttamente proposto40.

Inoltre i concetti elaborati dalla giurisprudenza comunitaria influenzano l’elaborazione del diritto positivo comunitario. Ma il riconoscimento più impor-tante alla funzione della giurisprudenza, in chiave di strumento per assicurare la coerenza al diritto comunitario, è probabilmente quello contenuto nei docu-menti istituzionali della Commissione europea: nella prospettiva di attuare la strategia del Consiglio europeo di Tampere, la Commissione sottolinea il ruolo essenziale della giurisprudenza comunitaria nell’affrontare tutte le problematiche relative all’elaborazione di un diritto europeo dei contratti. Il lavoro della giuri-sprudenza è importante per promuovere un’interpretazione uniforme dell’attuale frammentaria disciplina contrattuale; per individuare i concetti generali, oggi mancanti; per elaborare il significato delle nozioni utilizzate, spesso in modo in-coerente, dalla legislazione comunitaria41.

Questo contributo alla costruzione e coerenza dell’intero ordinamento co-munitario è necessario e utile, indipendentemente dalle questioni legate alla co-dificazione, o comunque, all’armonizzazione del diritto privato in Europa42.

Altrettanto importante è poi la funzione dei giudici nazionali. Essi, infatti, sono un importante nodo della costruzione del diritto comunitario, soprattutto per quel che riguarda le materie privatistiche. I giudizi nazionali, infatti, provo-cano il procedimento di rinvio pregiudiziale (di cui al già citato art. 234 Trattato

——— 39 Sull’influenza esercitata dalla giurisprudenza comunitaria sui giudici del Regno Unito, v. per e-

sempio H. COLLINS, The Voice of the Community in Private Law Discourse, in European Law Journal, 1997, p. 407 ss.

40 Cfr. la tesi di A. SASSI, Equità integrativa e squilibri negoziali (il caso dei contratti usurari), in Diritto e Processo, 2002, p. 335 ss.

41 Sul punto v. soprattutto la Comunicazione “Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo: un piano d’azione”, cit., soprattutto al par. 4.

42 Sul tema, si ricordano, tra gli altri, J. BASEDOW, Un comune diritto dei contratti per il mercato comune, in Contratto e impresa/Europa, 1997, p. 81 ss.; H.W. MICKLITZ, Prospettive di un diritto privato europeo: ius commune praeter legem?, in Contratto e impresa/Europa, 1999, p. 35 ss.; C. CASTRONOVO, Savigny e la codificazione europea, in Europa e diritto privato, 2001, p. 219 ss.; A. GENTILI, I principi del diritto contrattuale europeo: verso una nuova versione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, p. 455; S. PATTI, Riflessioni su un progetto di codice europeo dei contratti, in Riv. dir. comm., 2001, p. 489; G.B. FERRI, Il Code Européen des Contrats, in Contratto e impresa/Europa, 2002, p. 27; L. GATT, Sistema normativo e soluzioni innovative nel Code Europeén des Contrats, in Europa e dir. priv., 2002, p. 359; S. GRUNDMANN, La struttura del Diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2002, p. 365.

Page 206: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 180

CE), operando una prima essenziale valutazione intorno alla rilevanza delle que-stioni interpretative. L’applicazione giurisprudenziale del diritto costituisce un riferimento essenziale per la Corte di giustizia, al fine di stabilire l’effettiva ap-plicazione nazionale del diritto comunitario43. La magistratura di uno stato, inol-tre, è obbligata, al pari degli altri poteri, a dare attuazione alle fonti comunitarie, potendo disapplicare le disposizioni interne contrastanti con il diritto dell’Unione44, anche se posteriori nel tempo45. Nello svolgimento della sua fun-zione, il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale alla luce di quello comunitario46, in particolare con riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado47.

8. — La costruzione del diritto comunitario come fenomeno culturale. La costruzione del diritto comunitario, nell’epoca della società della cono-

scenza, è soprattutto un fenomeno culturale. I problemi e le soluzioni sono visti nell’ambito di spazio comune, di cui il

mercato non rappresenta che una dimensione, peraltro non isolata dalle altre prospettive.

L’esigenza di un approccio culturale permea i diversi aspetti dell’integra-zione comunitaria. Senza questo approccio, come ribadiscono le fonti, l’Euro-pa non può identificare e risolvere i suoi problemi.

La disoccupazione, i problemi sociali e ambientali, le conseguenze etiche della scienza, sono tutte questioni che necessitano di una risposta dalla pro-spettiva di una cultura europea.

Senza un tale approccio culturale, non si può neppure parlare di demo-crazia in senso sostanziale. Lo stesso impegno delle istituzioni è profonda-

——— 43 V. Corte di giustizia, 24 gennaio 2002, Commissione/ Italia, C-372/99, Racc. 2002,p. p.I-819: “Si

deve valutare la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali tenendo conto dell'interpretazione che ne danno i giudici nazionali”. V. anche Corte di giustizia 8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C-382/92, Racc. 1994,p. I-2435, punto 36; Id. 29 maggio 1997, Commissio-ne/Regno Unito, C-300/95, Racc. 1997,p. I-2649, punto 37.

44 V., tra le altre, Corte di giustizia 9 marzo 1978, Amministrazione delle finanze dello Stato/ Simmen-thal, 106/77, Racc. 1978, p. 629.

45 Tra le altre v. Corte di giustizia, 4 giugno 1992, Debus, cause riunite C-13/91 e C-113/91, Racc. p. 1992,p. I-3617, punto 32.

46 V., per esempio, Corte di giustizia, 26 settembre 1996, Arcaro, C-168/95, Racc. 1996,p. I-4705; punti 41-43.

47 V. Corte di giustizia, 6 luglio 1995, BP Soupergaz /Grecia, cause riunite C-62/93, Racc. 1995, p. I-1883.

Page 207: Diritto privato del mercato

CAP. 5 - LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA 181

mente influenzato dalle competenze degli individui sui temi della costruzione europea. È probabile, infatti, che le istituzioni dell’Unione e gli organi nazio-nali (in primo luogo i parlamenti, ma anche i giudici, governi, gli apparati amministrativi) parteciperebbero in modo più efficace alla costruzione euro-pea, con indubbio guadagno anche sotto il profilo della democrazia sostanzia-le del quadro istituzionale, se vi fosse una diversa e più ampia cultura europea.

La costruzione di un diritto privato comunitario non può dipendere sol-tanto dalla elaborazione di fonti giuridiche comuni e dai processi di armoniz-zazione, ma è strettamente legata ad una cultura giuridica europea dei giuristi, dei giudici, dei professionisti, degli studenti e di chiunque applichi e interpreti le norme48.

La costruzione del diritto privato comunitario – è un dato costante che emerge dall’esame delle fonti, della giurisprudenza e della dottrina – si fonda su di una cultura del diritto europeo, che riscopre le sue fondamenta storiche.

Per il diritto comunitario è importante sotto il profilo teorico (oltre che di grande fascino) il riferimento alla storia del diritto europeo e al diritto romano in particolare. Del resto, come ricordava Windscheid “…il diritto romano ha per tutta l’Europa, anzi per tutto il mondo civile una importanza che non si po-trà mai stimare troppo altamente”. La ragione di questa importanza dipende dal fatto che esso è “l’espressione di un modo umano di comprendere rapporti u-mani generali, sviluppato con una maestria, che non fu più raggiunta da altra giurisprudenza od arte legislativa”49.

I concetti giuridici del diritto romano assumono una nuova importanza, per il fatto che rappresentano la “semantica profonda” del diritto europeo. Dalla prospettiva storica si possono cogliere, infatti, gli aspetti essenziali degli ordi-namenti nazionali, quelle “permanenze” che costituiscono la base logica dell’or-dinamento comunitario50.

La semantica profonda delle comuni origini romanistiche non si può facil-mente cogliere dalla prospettiva degli ordinamenti nazionali. Come è stato effi-cacemente osservato, infatti, “In quasi tutta la sua storia, il diritto dell’Europa è

——— 48 Cfr. le argomentazioni di L. VACCA, Cultura giuridica e armonizzazione del diritto europeo, in Europa e

diritto privato, 2004, p. 53 ss. 49 B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, cit., p. 18 50 “Permanenza” è l’espressione vichiana utilizzata da Antonio Palazzo per parlare dei valori della

tradizione giuridica presenti nell’intero diritto europeo (cfr. A. PALAZZO, Interessi permanenti nel diritto privato ed etica antica e moderna, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica e diritto privato, Vol. I, Padova, 2002, p. 1 ss.). V. anche retro, cap. 1. Sull’importanza delle metafore della coerenza negli ordinamenti giuridici, v. A. PINO, La ricerca giuridica, Padova, 1996.

Page 208: Diritto privato del mercato

PARTE I — IL DIRITTO DEL MERCATO INTERNO 182

stato un diritto europeo, nel quale alcune specificità locali si differenziavano, pur all’interno di un insieme preponderante di caratteristiche comuni. Chiudere la storia del diritto dell’Europa nelle frontiere degli stati è perciò del tutto artifi-ciale nonché fonte di valutazioni errate”51.

Per costruire il nuovo diritto privato, pertanto, il legislatore, il giudice, lo studioso e l’operatore del diritto devono porsi da una prospettiva culturale di-versa, quella della società della conoscenza.

——— 51 A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia del diritto europeo, trad. ital. di Panorama histório da cultura ju-

rídica europeia, Bologna, 1999, prefazione, p. 7.

Page 209: Diritto privato del mercato

PARTE II

IL DIRITTO DEI CONSUMATORI

Page 210: Diritto privato del mercato
Page 211: Diritto privato del mercato

CAPITOLO PRIMO

IL CODICE DEL CONSUMO

SOMMARIO: 1. Il modello italiano di protezione del consumatore. — 2. Principi ispiratori e si-stema del codice del consumo. — 3. Consumatore, professionista, produttore, prodotto. — Sezione I - La pubblicità. 4. Educazione, informazione pubblicità. — 5. La funzione della pubblicità. La pubblicità redazionale. — 6. La pubblicità ingannevole. — 7. La pubblicità comparativa. — 8. Accertamento dell’ingannevolezza e sanzioni. — Sezione II - Il rapporto di consumo. 9. Le clausole abusive. — 10. La reazione alle clausole a-busive: rimedi individuali e collettivi. — 11. Il commercio elettronico.

1. — Il modello italiano di protezione del consumatore. La legislazione italiana di tutela dei consumatori è frutto del processo di

integrazione comunitaria1, estesosi negli anni dalla protezione del libero scambio di mercato alla tutela degli interessi dei soggetti dello scambio, ed in specie del consumatore – acquirente, quale soggetto in posizione di debolezza relativa rispetto al professionista, a causa di asimmetrie informative, negoziali e di squilibri nei costi della tutela giurisdizionale. ———

1 Cfr. M.A. LIVI, F. MACARIO, Profili generali. I soggetti, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, Padova 1996, p. 113, che a ragione ricordano come il legislatore comunitario emani le normative ordi-nandole secondo la tipologia dei soggetti destinatari, individuando insiemi di vicende economiche at-torno alle quali raggruppare la disciplina di ogni attività. Si discuterebbe, in questi termini, di uno status soggettivo, di derivazione comunitaria, al pari di quanto già rilevato peper i paesi di Common law da W.G. FRIEDMANN, in Some reflections on status and freedom, da Essays in honour of Roscoe Pound, Indianapolis, 1962, p. 222 ss., che definisce lo status come “un insieme aperto di situazioni di indifferenza positive o negative, in cui l’uomo viene a trovarsi nei rapporti sociali”, com’è la posizione soggettiva del consu-matore. Cfr. anche V. ZENO ZENCOVICH, Consumatore (tutela del), in Enc. giur., VIII, Roma 1988. Cfr. le risoluzioni adottate dal Consiglio il 14 aprile 1975 (O.J. C 92/1, 1975), il 19 maggio 1981 (O.J. C 133/1, 1981), il 23 giugno 1986 (O.J. C 167, 1986), e i piani triennali adottati dalla Commissione per la politica a tutela del consumatore: 1990-1992; 1993-95; 1996-98; v. anche la comunicazione (Com(2001) 398 def.) sul diritto contrattuale europeo, la strategia della politica dei consumatori (Com/2002 208 def.) e il libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea (Com/2001 531 def.).

Anche la legislazione regionale si è dedicata alla materia, già nel vigore del vecchio testo dell’art. 117 Cost., il cui riferimento alla disciplina di “fiere e mercati” è stato inteso in senso comprensivo an-che della disciplina delle attività produttive e commerciali e di quella di tutela dei consumatori, spe-cialmente attraverso la creazioni di organi consultivi, composti anche da rappresentati delle associazioni di categoria, su cui G. CARPANI, La tutela del consumatore: tendenze di legislazione regionale, in Riv. dir. pro. civ., 1991, p. 559; critico sull’efficacia di tali fonti G. ALPA, Manuale di diritto dei consumatori, Bari, 1995, p. 14.

Page 212: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 186

In particolare, il consumatore non può conoscere il prodotto, specie se ad alto contenuto tecnologico, prima di averlo acquistato ed utilizzato, come non conosce i sistemi produttivi che hanno condotto alla sua realizzazione, a diffe-renza del professionista che ha potuto valutare tra i costi della produzione an-che la maggiore o minore qualità e/o curabilità dei componenti o delle materie prime utilizzate, e dei processi di fabbricazione.

Del pari, il professionista è in grado di prevedere le possibili controversie che potrebbero insorgere per effetto della diffusione del prodotto o del servizio, perché standardizzate come standard sono le clausole contrattuali che a quella diffusione presiedono, pertanto i costi della tutela giurisdizionale sono prevedi-bili, e ripartiti sui consumatori, quale componente del prezzo.

L’asimmetria contrattuale è tanto più evidente qualora non sussistano con-dizione di concorrenza effettiva sul mercato, essendo il consumatore costretto a concludere alle condizioni fissate dal professionista per l’assenza di alternative valide a soddisfare comunque la propria domanda, con condizioni contrattuali migliori, con vanificazione della fase della trattativa, sostituita dalla conclusione del contratto mediante sottoscrizione di moduli o formulari, o dall’uso di stru-menti telematici, di distributori automatici, o mediante televendita.

La legge 6 febbraio 1996 n. 52, attuativa della direttiva 93/13/CEE, si diri-geva a tale scopo, con l’introdurre la disciplina sostanziale della contrattazione di massa, di cui agli artt. 1469-bis ss. c.c., che realizza la piena tutela del consumatore attraverso la previsione della nullità2 delle clausole c.d. vessatorie, in luogo della protezione, solo formale, assicurata dal sistema di cui all’art. 1341 c.c., che risolve l’efficacia delle clausole vessatorie, nel contratti predisposti da una delle parti, at-traverso il sistema della doppia sottoscrizione del contraente “vessato”.

La tutela si è ampliata attraverso la promulgazione della legge 30 luglio 1998, n. 291, di Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, legge genera-le ispirata a quella “piena tutela” prefissata dal legislatore comunitario, tanto in termini di tutela della salute, di sicurezza e qualità dei prodotti, di adeguata in-formazione e corretta pubblicità, di educazione al consumo, correttezza, traspa-renza ed equità nei rapporti contrattuali e, non da ultimo, attraverso la promo-zione di azioni giudiziarie affidate, secondo un principio di generalità, alle asso-ciazioni dei consumatori e degli utenti.

——— 2 Sanzione originariamente qualificata in termini di inefficacia, ed ora specificata dal legislatore del

codice del consumatore, di cui si dirà infra, Sez. II, sotto l’esatto profilo della nullità, già peraltro pacifi-ca nella dottrina formatasi sul testo originario; cfr. l’art. 36 codice del consumo.

Page 213: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 187

Nello stesso spirito sono state dettate norme specifiche per la trasparenza e la correttezza bancaria e dei servizi di investimento3, e da ultimo per il settore delle assicurazioni private4.

Vanno ricordati anche la legge 10 aprile 1991, n. 126 recante norme per l’informazione ai consumatori; il decreto legislativo 15 gennaio 1992 n. 50, at-tuativo della direttiva 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei lo-cali commerciali; il d.lgs. 74 del 25 gennaio 1992, di attuazione della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, integrato con d. lgs. 25 feb-braio 2000, n. 67, di attuazione della direttiva 97/55/CE sulla pubblicità compa-rativa; il d. lgs. 17 marzo 1995, n. 111, attuativo della direttiva 84/450/CEE concernente i viaggi e le vacanze ed i circuiti tutto compreso; il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114, di disciplina del commercio; il d. lgs. 9 novembre 1998, di attua-zione della direttiva 94/47/CE, recante tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti di acquisizione di diritti di godimento a tempo parziale di beni im-mobili; il d. lgs. 22 maggio 1999, attuativo della direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza; il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 63, attuativo della direttiva 98/7/CE, sul credito al consumo; il d.lgs. 25 febbraio 2000, di attuazione della direttiva 98/6/CE, a proposito di indicazione dei prezzi offerti ai consumatori; il d.lgs. 28 luglio 2000, n. 253, attuativo della direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri; il d.lgs. 23 aprile 2001 e il d.lgs. 2 febbraio 2001, attuativi della direttiva 98/27/CE relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consuma-tori; il d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, attuativo della direttiva 1999/44/CE sulla vendita e le garanzie di consumo; il d.lgs. 21 maggio 2004, attuativo della diretti-va 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti5; il d.lgs. 6 aprile ———

3 Di cui al testo unico bancario, approvato con Decreto legislativo n. 1 settembre 2003, e al rego-lamento adottato dalla Banca d’Italia, nell’ambito dei poteri di normazione secondaria alla stessa attri-buiti quale autorità di vigilanza, con regolamenti pubblicati nella G.U. n. 191 del 19 agosto 2003, diretti alle banche ed agli altri intermediari finanziari.

4 Codice delle assicurazioni private, approvato con Decreto legislativo 2 settembre 2005 n. 209. 5 Sulla sicurezza dei prodotti alimentari cfr. anche d.l. 155/1997, introduttivo delle misure

HACCP, (Hazard Analysis Critical Control Point, sistema aziendale di previsione di pericoli e rischi igieni e sanitari), sostituito dal regolamento UE 85/2004, a mente del quale il trattamento di prodotti alimen-tari, sia esso industriale, artigianale o di ristorazione e affini deve essere regolamentato da un protocollo interno di autocontrollo igienico, sottoposto alla verifiche delle asl. In forza del Reg. UE 183/2005, il protocollo HACCP deve essere adottato anche dalle aziende che producano materie prime, additivi o miscele per mangimi per gli animali destinati all'alimentazione umana, ed alle stesse aziende zootecni-che. Costituisce invece fonte autodisciplinare di rispetto della sicurezza alimentare e dei processi lo standard ISO 22000:2005, pubblicato dall’Ente di Normazione Internazionale ISO, di volontaria appli-cazione, con l’obiettivo di realizzare il controllo sistematico di tutti i soggetti coinvolti nella catena ali-mentare, dai produttori primari ai distributori finali, per garantire una efficiente gestione dei rischi rela-tivi alla sicurezza degli alimenti.

Page 214: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 188

2005, n. 49, in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso mezzi di comunicazione, modificativo dell’art. 7 del citato d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74.

Infine, tutte le fonti di disciplina dei diritti dei consumatori, con esclusione dei settori bancario ed assicurativo, sono state ricondotte a sistema con l’appro-vazione del d.lgs. 6 settembre 2005, attuativo della delega conferita con l’art. 7 della l. 29 luglio 2003, n. 229, per il riassetto delle disposizioni in materia di tute-la dei consumatori6.

Il testo costituisce la prima esperienza, in Europa, di ricompilazione com-pleta delle principali fonti di disciplina dei diritti dei consumatori, con alcune innovazioni sistematiche di particolare rilievo, quale l’unificazione del termine di recesso, per tutti i contratti stipulati a distanza, con strumenti telematici o meno, o la già ricordata previsione di nullità delle clausole vessatorie.

2. — Principi ispiratori e sistema del codice del consumo. Il codice si ispira ad una concezione oggettiva della materia, riferendo

l’intera normazione all’atto di consumo, e più precisamente al processo di con-sumo, sulle cui articolazioni si modella anche la struttura del codice.

Gli studi di marketing e di consumer behavior identificano i percorsi logici in-trapresi da un consumatore per la decisione di acquisto nella sequenza costituita da percezione del bisogno, raccolta delle informazioni, valutazione delle alterna-tive, decisione di acquisto, valutazioni post acquisto7.

Analoga è l’articolazione del codice, rivolto al processo di consumo quale atto dinamico, che procedere per fasi distinte, ciascuna delle quali può esporre il ———

6 Su cui cfr., tra gli altri, G. DE CRISTOFARO, Il “Codice del Consumo”: un’occasione perduta?, in Studium juris, 2005, p. 1137 ss.; G. ALPA, Commento, in Contratti, 2005, p. 1047; M. AMATO, U. TROIANI, Codice del Consumo, arrivano le regole fra i piccoli utenti e giganti del mercato, in Dir. e giust., 2005, n. 36, p. 1047 ss.; F. DI MARZIO, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, p. 837; A. GENTILI, Il codice del consumo e i rapporti on line, in Dir. internet, 2005, p. 545 ss.; ID., Codice del consumo ed ésprit de géometrie, in Contratti, 2006, p. 159; AA.VV., Sei voci sul “Codice del consumo” italiano, in Contr. Impresa / Europa, 2006, p. 1 ss.

7 M. COSTABILE, F. RICOTTA, Riferimenti teorici multidisciplinari: economia, teoria del consumatore, marke-ting management, in Codice del consumo, Commentario, a cura di G. Alpa e L. Rossi Carneo, Napoli, 2005, p. 106 ss. Ivi cfr. anche, per il riferimento alla concezione oggettiva della materia regolata dal codice, e per l’organizzazione dello stesso secondo il binomio diritti-rimedi, G. Alpa, Commento all’art. 1, p. 17 ss. Per gli studi sul comportamento del consumatore cfr. J.S. DUESENBERRY, Reddito, risparmio e teoria del com-portamento del consumatore, Milano 1969. V. anche F. SILVA, A. CAVALIERE, I diritti del consumatore e l’efficienza economica, in La tutela del consumatore tra mercato e regolamentazione, a cura di F. Silva, Roma 1996, p. 26.

Page 215: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 189

consumatore a situazioni di debolezza – secondo le differenti forme di asimme-tria individuate dalla dottrina economica – e contribuire a realizzare quel vulnus alla cui eliminazione si dirige la normativa di settore.

L’articolato Codicistico, sulla scorta delle esperienze dei Paesi di Civil law, procede sistematicamente con l’enunciazione delle posizioni soggettive garantite, per individuare poi le tecniche destinate alla loro tutela (cfr. l’art. 2, e l’elencazione ivi contenuta dei diritti dei consumatori), non soltanto nella fase prettamente con-trattuale, specie attraverso la disciplina delle clausole abusive (Parte III), ma anche in quella precedente, relativa all’educazione ed informazione del consumatore, ed alla pubblicità (Parte II), come a quella successiva all’acquisto, tanto sotto un pro-filo di sicurezza dei prodotti, e di responsabilità per il danno provocato da prodot-to difettoso (cfr. infra, cap. 2), quanto a proposito della mancata conformità dello stesso alle legittime aspettative del consumatore (Parte IV).

Nella specie, ai sensi dell’art. 2, 2° comma “Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: a) alla tutela della salute; b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità d) all’educazione al consumo; e) alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali; f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”. All’analisi di tali posizioni soggettive si dirige la trattazione di cui a seguito,

mentre merita rilevare, in questa sede preliminare, come il legislatore abbia inte-so realizzare i predetti diritti soggetti attraverso la logica della sussidiarietà, in ossequio al principio di cui all’art. 118 Cost., nella formulazione innovata, valo-rizzando il ruolo delle associazioni spontanee dei consumatori, di cui riconosce gli interessi collettivi, valorizza l’azione giudiziale ed a cui affida anche misure positive di educazione.

Così il primo comma dell’art. 2: “Sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consuma-tori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni”

Page 216: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 190

3. — Consumatore, professionista, produttore, prodotto. Sebbene si ritenga che le definizioni legislative non vincolino l’interprete, a

differenza delle prescrizioni di contenuto, rileva in modo assolutamente priori-tario individuare i parametri oggettivi e soggettivi di applicazione delle norme in commento, esplicitamente riferite ai rapporti di mercato intercorrenti tra sogget-ti qualificati, relativamente ad uno specifico oggetto negoziale.

Consumatore o utente. È la persona fisica che agisce per scopi estranei all’atti-vità imprenditoriale o professionale eventualmente svolta8.

Si segnala, sulla scorta della l. 281/1998, il riferimento alla categoria degli utenti, che usufruiscono di un servizio, pubblico o privato per quanto si dirà a seguito, nonché – ma unicamente con riguardo alla disciplina della pubblicità, di cui all’art. 18, 2° comma – alle persone giuridiche cui sono dirette le comunica-zioni commerciali o che ne subiscono le conseguenze.

Centrale è il rilievo del concetto di estraneità dello scopo all’attività profes-sionale o di impresa eventualmente svolta.

La Corte di Giustizia delle Comunità europee qualifica questo parametro in termini oggettivi, tenendo conto della destinazione del bene o del servizio nego-ziato, secondo un’interpretazione restrittiva della nozione di consumatore, che lascia tuttavia dubbi circa i contratti relativi a beni o servizi astrattamente ricon-ducibili tanto alla destinazione al consumo quanto alla destinazione produttiva, com’è un personal computer o un’automobile.

Le differenti tesi dottrinali giungono ad escludere dalla disciplina di settore qualsiasi acquisto, effettuato da un professionista, di beni o servizi assoggettabili ad uso non esclusivamente professionale, ovvero alla soluzione opposta, che vi

——— 8 Per M. BESSONE, Contratti del mercato e teorie del consumo, in Pol. del dir., 1976, p. 621, il consumato-

re è “la controparte non professionale dell'impresa”, mentre V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti di impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, p.12, distingue la posizione del consumatore quale controparte contrattuale, beneficiario di protezione diretta, al momento della conclusione del contratto (ad es. per le direttive CEE 85/577 e 93/13 concernenti rispettivamente la negoziazione di contratti fuori dei lo-cali commerciali e l'inserimento di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), da quella di destinatario diretto di una tutela contro gli abusi, anche al di fuori della fase della contrattazione o prima di questa, ed in funzione propedeutica rispetto alla contrattazione, ovvero anche dopo la conclu-sione del contratto, per essere indennizzato dei danni subiti a causa di questo (ad es. cfr. Dir. CEE 84/450, in materia di pubblicità ingannevole, Dir. CEE 85/374, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi), ed infine come mero ed indiretto oggetto di tutela al di fuori della contrattazione e al di fuori di messaggi indiretti, com’è per le disposizioni che attraverso la protezione di interessi ge-nerali trascendenti l'interesse del singolo si propongono di raggiungere mediatamente anche la tutela del consumatore.

Page 217: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 191

ricomprende ogni bene anche solo potenzialmente di uso promiscuo, pur non mancando opinioni fondate sul criterio dell’uso prevalente, anch’esso di incerta determinazione secondo parametri oggettivi.

In giurisprudenza, si segnala Trib. Roma 20 ottobre 1999, che risolve l’applicabilità della disciplina di cui agli art. 1469-bis ss. al contratto di trasporto concluso tra un artista, per il recapito di un’opera presso la segreteria di un concorso, e la relativa responsabilità del vettore per perdita, in considerazione della verifica dell’attinenza o meno dello specifico contratto – di trasporto – all’attività professionale svolta da colui che lo conclude – nella specie ovviamen-te estranea alle spedizioni, se non occasionali. In tal senso deporrebbe anche l’indicazione dell’eventuale attinenza, quanto la speculare definizione di profes-sionista attraverso il riferimento alla stabile organizzazione destinata alla conclu-sione di quel genere di contratti.

L’orientamento non è condiviso dalla Corte di Cassazione, che continua a tenere in considerazione lo scopo avuto di mira dall’agente al momento della conclusione del contratto, ritenendo così esercizio dell’attività imprenditoriale ogni acquisto di strumenti indispensabili all’esercizio di questa, ivi compresi i servizi di fornitura dell’energia elettrica, e quelli destinati all’avvio di un’attività professionale futura, che altrimenti sarebbero qualificabili come attività di con-sumo (cfr. Cass. 14 aprile 2000, n. 4843).

Del pari, si esclude la qualificabilità in termini generali come consumatore delle persone giuridiche o delle organizzazioni senza soggettività giuridica – con la ricordata eccezione dettata dall’art. 18 del codice – opinione condivisa tanto dalla Corte di Cassazione (11 ottobre 2001, n. 14561), quanto dalla Corte Costi-tuzionale (22 novembre 2002, n. 469).

L’ordinanza di rimessione della questione di costituzionalità contestava in particolare l’irragionevole disparità di trattamento tra soggetti che si tro-vano nella medesima posizione di debolezza caratteristica dei consumatori persone fisiche, quali i piccoli imprenditori, gli artigiani (cui si potrebbero aggiungere le associazioni dirette a scopi estranei alla contrattazione specifi-ca, i condomini ecc.), e la violazione degli art. 25, comma secondo e 41 della Costituzione.

La considerazione della rilevanza dell’attività svolta dall’artigiano o dal pic-colo imprenditore, che gli consente cognizioni sufficienti a contrattare su un piano di parità è invece il parametro di legittimità rilevato dalla Corte Costitu-zionale, a sostegno della richiamata esclusione dal novero dei consumatori, mentre le esigenze di riequilibro di posizioni di forza, e di sanzione dell’abuso

Page 218: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 192

della relazione di dominanza sono realizzate dalla disciplina della concorrenza (l. 10 ottobre 1990, n. 287) e della subfornitura (l. 18 giugno 1998, n. 192).

Conforme anche l’opinione della Corte di Giustizia europea, espresso in re-lazione all’art. 2, lett. b) della direttiva 93/13/CE, nel senso per cui “tale norma deve essere interpretata nel senso che si riferisce esclusivamente alle persone fi-siche”.

Professionista. È tale la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio del-la propria attività professionale o imprenditoriale, ovvero un suo intermediario

Mancando l’esplicita esclusione normativa, e sussistendo l’identica ratio, si ritiene comunemente che la citata disposizione contempli tanto gli imprenditori privati che quello pubblico, che agisca nel mercato secondo le forme del diritto privato.

La trasposizione della dizione comunitaria, riferita esclusivamente all’attività professionale, nell’ordinamento italiano che eredita la distinzione tra libere pro-fessioni ed attività di impresa – sconosciuta agli altri ordinamenti statali come a quello dell’Unione – ha comportato la necessità della specifica indicazione dell’una come dell’altra forma di esercizio professionale di un’attività diretta al mercato, svolta con l’organizzazione dei mezzi necessari, abitualmente o co-munque in maniera non occasionale, da un soggetto che, proprio per la profes-sionalità raggiunta, è in grado di offrire una prestazione di alto livello qualitativo e quantitativo9.

È esattamente il riferimento al collegamento funzionale, non altrimenti qualificato, tra l’azione e lo scopo, a qualificare, a contraris, l’estraneità dello sco-po medesimo richiesta per la qualificazione del consumatore, tanto quando il professionista svolga – come avviene nella prevalenza dei casi – il ruolo di offe-rente, quanto ove si renda acquirente di un bene compravenduto dal consuma-tore, provvedendo ad esempio a redigere il contratto di acquisto.

Ciò vale tanto per l’originaria dizione dell’art. 1469-bis, che riconduceva al “quadro dell’attività imprenditoriale o professionale”, quanto per il dettato dell’art. 2 del codice, riferito all’esercizio di quella attività.

Produttore. Il fabbricante del bene o del servizio, o un suo intermediario; l’importatore nel territorio dell’Unione Europea, o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che di presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo.

——— 9 S. KIRSCHEN, Commento all’art. 3, comma 1, lett. c, in Codice del consumo, Commentario, cit., spec. p. 72.

Page 219: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 193

La nozione comprende anche il produttore agricolo, l’allevatore, pescatore e cacciatore (cfr. direttiva 99/44/CE), ed il prestatore di servizio, previsione questa anticipatoria di una disciplina omogenea, per ora esclusa dal legislatore comunitario a proposito della responsabilità da difetti del servizio prestato, a meno che la prestazione di servizio arrechi un danno da prodotto difettoso, uti-lizzato nel corso della prestazione (così Corte di Giustizia CE, 10 maggio 2001, a proposito della responsabilità dell’ospedale erogatore della prestazione medica per danno derivante dall’utilizzazione di prodotto fabbricato da altro soggetto).

Di fatto, l’art. 115, 1° comma, esclude l’applicabilità della responsabilità per danno da “prodotto” difetto al fornitore di servizio, com’è per l’art. 128, com-ma 2, lett. a, a proposito della responsabilità per difetto di conformità, riferita solo ai beni mobili, come gli obblighi generali di sicurezza, che riguardano solo i prodotti, anche se forniti o utilizzati nella prestazione di servizi (art. 3, 1° com-ma, lett. e).

Rileva, inoltre, l’indicazione della figura dell’intermediario, che non può es-sere risolta in termini di rappresentanza del prodotto, a meno di voler vanificare la portata precettiva della norma, in quanto l’identico risultato deriverebbe in ogni caso dall’applicazione della disciplina generale della rappresentanza nego-ziale.

Ai fini dell’applicazione degli obblighi di sicurezza dei prodotti (art. 103), si considera produttore solo colui che possa incidere sulle caratteristiche di sicu-rezza dei prodotti, mentre nell’ipotesi inversa si identifica il distributore.

Prodotto. Qualsiasi bene destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizio, o suscettibile, prevedibilmente, di essere utilizzato dal consumatore, fornito o reso disponibile a titolo gratuito o oneroso, nell’ambito di un’attività commerciale, nuovo, usato o rimesso a nuovo.

Oltre a quanto già detto, va sottolineato che la definizione comprende an-che i prodotti offerti in omaggio, quelli venduti con tecniche a distanza e di commercio elettronico, o offerti nell’ambito di una prestazione di servizi (es. in centri benessere, palestre ecc.) e quelli di uso professionale che comunque siano reperibili dal consumatore (al fine di evitare l’elusione della disciplina).

Ove si tratti di prodotto usato, il fornitore ha l’obbligo di rimessa a nuovo o ricondizionamento, a meno che non informi per iscritto il consumatore del contrario (art. 103, comma 1, lett. d, e art. 115).

Page 220: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 194

SEZIONE I - LA PUBBLICITÀ

4. — Educazione, informazione e pubblicità. Determinante è la fase di percezione del bisogno e di valutazione delle al-

ternative di offerta destinate al suo soddisfacimento, fase che trova la propria disciplina nella Parte II del codice, sviluppata a propria volta nelle attività di e-ducazione, informazione e pubblicità.

Il codice, sulla scorta delle strategie comunitarie, assegna l’attività formativa e divulgativa essenzialmente alle associazioni dei consumatori, che beneficiano allo scopo anche delle entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato.

Lo sviluppo dei rapporti associativi è strumento per superare il dislivello in-formativo tra il consumatore isolato ed il professionista, specialmente con ri-guardo alla comprensione delle effettive caratteristiche del servizio offerto, e della portata impegnativa delle clausole negoziali.

Si connettono all’esigenza di informazione, più immediatamente connessa al rapporto contrattuale, gli obblighi di etichettatura dei prodotti, attinenti tanto all’origine del bene, alla presenza di materiali potenzialmente dannosi per la sa-lute, per le cose o per l’ambiente, alle istruzioni di uso, quanto agli elementi es-senziali della sua offerta, quali ad esempio l’indicazione del prezzo per unità di misura.

La pubblicità commerciale, a propria volta, viene disciplinata con sostanzia-le trascrizione della previgente disciplina, ma rileva sottolineare come la colloca-zione sistematica della stessa, distinta dall’informazione, costituisca consacra-zione normativa dell’opinione, diffusa in dottrina, della natura persuasiva e non informativa del messaggio pubblicitario, in ogni sua articolazione, da intendersi pertanto quale espressione della libera iniziativa economica, e non del diritto alla libera manifestazione del pensiero, ed in tali termini tutelato dai principi costitu-zionali.

L’aver accorpato nel medesimo testo l’enunciazione del diritto alla adeguata informazione e corretta pubblicità (art. 1, comma secondo), della disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, di quella sull’obbligo di trasparenza nelle condizioni contrattuali predisposte dal professionista (artt. 34 e 35; art. 41 con riguardo ai contratti di credito al consumo; art. 52 per i contratti a distanza; art. 70 per i contratti di acquisizione si un diritto di godimento ripartito di beni im-mobili; art. 87 per la vendita di pacchetti turistici), e di quella sulla garanzia nella

Page 221: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 195

vendita di beni di consumo (art. 129) rende più agevole rilevare come la pubbli-cità, anche realizzata attraverso l’etichettatura del prodotto, costituisca realizza-zione del dovere di trasparenza ed informazione, e parametro di valutazione dell’adempimento del professionista, ritenendosi conformi al contratto i beni di consumo che, tra l’altro:

Art. 129, lett. c): “presentano le qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura”. 5. — La funzione della pubblicità. La pubblicità redazionale. La pubblicità, dunque, va identificata quale atto di concorrenza, cui è appli-

cabile la disciplina generale sanzionatoria della concorrenza sleale (cfr. infra, par-te III, cap. 2)10, ed è anzi atto tipico di concorrenza, alla quale sono essenziali per un verso il continuo ricambio di beni, da presentare ai consumatori con ini-ziative di comunicazione commerciale, e per l’altro la necessità di confronto tra prodotti, nell’interesse prioritario del consumatore ad una scelta di domanda consapevole.

Superata dunque una prospettiva di sfavore per il fenomeno pubblicitario, che vi ravvisava uno strumento del c.d. dolus bonus negoziale, la pubblicità costi-tuisce attività lecita, perché realizza obiettivi meritevoli di tutela, e riceve garan-zia dall’art. 41 Cost., quale espressione dell’attività economica11.

La pubblicità è mezzo di stimolo e allettamento all’acquisto di beni e servi-zi, è comunicazione a finalità commerciale, “esula dalla pubblicità la diffusione

——— 10 Per una bibliografia, senza pretesa di esaustività, cfr. P. BARILE, P. CARETTI (a cura di), La pub-

blicità ed il sistema dell’informazione, Torino, 1984; A. CERRI, La pubblicità commerciale fra libertà di manifesta-zione del pensiero, diritto di informazione, disciplina della concorrenza, in Dir. inform. e informatica, 1995, pp. 537-554; G. CORASANITI, L. VASSALLI, Diritto della comunicazione pubblicitaria, Torino, 1999; M. FUSI, La co-municazione pubblicitaria nei suoi aspetti giuridici, Milano, 1974; A. VIGNUDELLI, Aspetti giuspubblicistici della comunicazione pubblicitaria, Rimini, 1983.

11 Corte cost. 12 luglio 1965, n. 68, in Rass. dir. pubblico, 1965, II, p. 813, che specifica come la pubblicità non costituisca manifestazione del pensiero, categoria tutelata dall’art. 21 Cost., che com-prende unicamente espressioni e comunicazioni di cultura, opinione ed espressione dell’opinione per-sonale dell’autore. Esistono peraltro alcune fattispecie di pubblicità vietate, come quella dei prodotti da fumo, o la sponsorizzazione di prodotti superalcolici. L’originario divieto di pubblicità dell’attività delle professioni c.d. protette è invece stato rimosso con decreto legge del 30 giugno 2006.

Page 222: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 196

di concetti morali o di ordine scientifico, o di opinioni politiche, che sono pro-prie della manifestazione di pensiero”12, e per tale ragione deve essere netta-mente distinguibile dall’informazione, in quanto “la libertà di espressione del pensiero non può avvalersi della garanzia costituzionale ex art. 21 Cost. se que-sta viene esercitata in funzione pubblicitaria perché in tal senso essa, sotto il profilo costituzionale, è riconducibile nell’ambito della libertà di impresa della quale condivide i limiti sia per quanto concerne la tutela dei consumatori cui è indirizzata, sia per quanto concerne la tutela dei concorrenti contro i quali è di-retta”13.

In altri termini, il legislatore ha abbandonato – solo con il d.lgs. n. 74/1992, con notevole ritardo rispetto agli obblighi comunitari di recepimento della corri-spondente direttiva 84/450/CEE14 – la prospettiva codicistica di protezione del

——— 12 Cass. 24 ottobre 1973, in Cass. pen., 1974, p. 82. 13 Trib. Milano, 29 aprile 1976, su cui F. MALAGOLI, F. UNNIA, La pubblicità comparativa. Aspetti giu-

ridici del confronto tra imprese alla lude della nuova normativa pubblica e autodisciplinare, Torino, 2002 Cfr. anche la Carta dei Doveri del giornalista, firmata a Roma l’8 luglio 1993, che espressamente

prevede: “I cittadini hanno il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli. I messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici attraverso chiare indicazioni. Il giornalista è tenuto all’osservanza dei principi fissati dal Protocollo di intesa sulla trasparenza dell’informazione e dal con-tratto nazionale di lavoro giornalistico; deve sempre essere riconoscibile l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico del messaggio promo-zionale”.

Anche la legge professionale dei giornalisti n. 69/1963, agli artt. 2 e 48, impone il canone di lealtà dell’informazione.

Per un caso cfr. Trib. Milano, 27 settembre 2001, a proposito di un articolo in cui poteva leggersi “... e poi un bel giorno regalategli il SUO spazzolino e il SUO dentifricio per esempio della linea Men-tadent denti in Crescita studiato per i più piccoli”. Specifica il giudice che “detto articolo è stato altresì corredato da una foto che mette in evidenza in primo piano il dentrifico Mentadent e sullo sfondo tre spazzolini da denti a forma di ometti che stanno in piedi ed un ulteriore tubo di dentrificio, il tutto sempre Mentadent. Il testo dell’articolo è inserito nell’ambito di una pagina dedicata alla bellezza e gra-ficamente circoscritto da un bordo a pallini connotazione giuridica utilizzata nella stessa pagina anche per un altro articolo e pertanto inidonea ad attribuire natura pubblicitaria all’inserto in oggetto”.

Lo stesso Trib. Milano, sez. V, 23 marzo 2000, “osserva, infatti, che il rispetto del principio della necessaria separazione tra informazione e pubblicità è stato più volte sollecitato dal Consiglio (dell’Or-dine dei giornalisti, ndr.) regionale della Lombardia, sia per evitare che un giornale si trasformi in un catalogo commerciale, sia per tutelare il cittadino che ha diritto ad una corretta informazione che gli consenta di riconoscere quali notizie, servizi ed altre attività redazionali appartengono alla responsabili-tà della redazione o del singolo giornalista e quali, invece, siano diretta espressione di altri enti o azien-de: la pubblicità deve essere chiara, palese, esplicita e riconoscibile, soprattutto la c.d. pubblicità reda-zionale: la lealtà verso il lettore impone che il lavoro giornalistico e quello pubblicitario rimangano se-parati ed inconfondibili: qualsiasi forma di pubblicità occulta diventa un inganno per il lettore ed una forma degenerativa della qualità dell'informazione”.

14 Prima del citato decreto legislativo la disciplina applicabile alle fattispecie in esame poteva essere ricondotta all’illecito concorrenziale, di cui agli art. 2595 ss. c.c., oltre ad alcune normative di settore, tra

Page 223: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 197

solo imprenditore concorrente rispetto all’atto concorrenziale che si concretizzi in un messaggio pubblicitario ingannevole, per conferire rilievo preminente all’interesse del consumatore alla liceità e lealtà delle comunicazioni commercia-li: tanto ha deciso riconoscendo legittimazione all’azione per la declaratoria di illegittimità e per l’oridine inibitorio proprio ai consumatori ed alle loro associa-zioni, prima che ai concorrenti; affidando la cognizione sul merito ad un’autorità amministrativa indipendente, qual è l’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, che decide seguendo un procedimento amministrativo privo di oneri per il ricorrente e più snello di quello giudiziario, restando comunque garantito il con-tradditorio tra le parti e l’imparzialità del giudicante; conferendo all’Autorità stessa penetranti poteri di controllo, e di irrogazione di sanzioni amministrative di no-tevole rilievo, di cui si dirà più avanti.

Ha pertanto rilievo preminente – tanto per l’identificazione della disciplina applicabile, quanto per la competenza a giudicarne l’applicazione – identificare in primo luogo la natura pubblicitaria di una comunicazione, che consegue, ex art. 20, comma 1, lett. a), codice del consumo, dallo “scopo di promuovere la vendita di beni … oppure la prestazione di opere o di servizi”, qualunque sia la forma con cui il messaggio sia diffuso, ivi compresi anche il packaging e l’etichetta del prodotto, scopo che si distingue in tanto da quello giornalistico, di fornire un’informazione veritiera, continente e pertinente (cronaca), se del caso con l’espressione dell’opinione dell’autore (critica), in quanto nel primo caso la ci-tazione del prodotto non è espressione disinteressata e indipendente del giorna-lista, ma è diretta ad influire sul comportamento economico dei consumatori15.

Di conseguenza, quando un articolo giornalistico contiene informazioni che possono determinare un effetto promozionale e tale da influire sul compor-tamento economico dei consumatori (c.d. pubblicità redazionale), deve confor-marsi alla disciplina specifica in materia di pubblicità e l’invocazione del diritto di cronaca e della libertà di manifestazione del pensiero non vale a derogare a tale disciplina.

Ovviamente è ammissibile che le informazioni su prodotti in commercio eventualmente contenute in un articolo possano determinare indirettamente un ——— cui la l. 30 aprile 1962, n. 283, che all’art. 13 sanzionava penalmente la pubblicità ingannevole di prodotti alimentari, presentati in modo da indurre in errore gli acquirenti circa la sostanza alimentare o le sue quali-tà. Per un’ipotesi applicativa cfr. Cass. pen., sez. III, 26 marzo 1998, a proposito dell’indicazione tra gli in-gredienti di burro anziché margarina. È evidente come si tratti pur sempre di norme dettate a tutela, anche indiretta dei consumatori, ma con rilevanza tutt’affatto distinta da quella in commento.

15 Cfr. Tar Lazio, Sez. I, 28 marzo 2002, n. 2638, Soc. Rcs ed. contro Autorità garante concorren-za mercato, in Rass. dir. farmac., 2003, p. 80 e in Foro amm., 2002, p. 482.

Page 224: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 198

effetto promozionale, senza che per questo muti la natura giornalistico-informa-tiva di tale forma di comunicazione, quando la citazione del prodotto non è e-spressione disinteressata e indipendente del giornalista, il che non avviene quando la comunicazione è diretta ad influire sul comportamento economico dei con-sumatori.

Di tale principio è applicazione l’art. 23, comma primo, del codice, ai sensi del quale

“La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione”. Identico principio è applicato nell’art. 8, comma secondo della legge 6 ago-

sto 90, n. 223 (l. Mammì), “La pubblicità televisiva e radiofonica deve essere riconoscibile come tale ed essere di-stinta dal resto dei programmi con mezzi ottici o acustici di evidente percezione” Di recente, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha adottato con

delibera n. 132/200616 il regolamento in materia di pubblicità radiotelevisive e televendite, specificando l’obbligo delle emittenti televisive di inserire sullo schermo, in maniera leggibile, la dizione “pubblicità” o “televendita”, ribadendo il divieto di diffusione di messaggi pubblicitari e televendite con una potenza sonora superiore a quella ordinaria dei programmi.

Elementi grafici idonei, di immediata percezione, che, per la stampa, non sussistono certo sia riportata la firma dei giornalisti che hanno curato il servizio, ovvero l’impostazione tipografica di titolo e sottotitolo non sia distinguibile da-gli altri articoli giornalistici, quando sia rispettata l’ordinaria suddivisione delle pagine e la loro numerazione17.

——— 16 In G.U. n. 172 del 26 luglio 2006. 17 Su un servizio giornalistico dedicato al fenomeno dell’incremento del consumo di un determi-

nato tipo di acqua minerale, indicata con il marchio di fabbrica, e sull’abbinamento di questa con i di-versi cibi, cfr. Autorità Garante per la concorrenza e il mercato, 3 maggio 2000, n. 8261, in Giust. civ., 2001, I, p. 2862. Del pari, “la presentazione, nell’ambito di un filmato a carattere culturale (Cultura news), prodotto dalla Rai, di un’automobile della Fiat (Barchetta), senza alcuna informazione obiettiva e senza la comparazione con altre autovetture, presenta, indubbiamente caratteri promozionali, e gli indizi raccolti sono sufficienti ad individuare la natura di pubblicità ingannevole, anche in mancanza della prova del rapporto di committenza. (Tar Lazio, Sez. I, 25 maggio 2002, n. 4564, in Foro amm., 2002, p. 1632). Integra pubblicità ingannevole la presentazione di prodotti di bellezza (maschere co-smetiche) in un articolo a carattere giornalistico-informativo, quando manchi un’informazione oggetti-

Page 225: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 199

Pertanto, se il carattere innovativo del prodotto può giustificare l’interesse a darne notizia, attraverso un’informazione giornalistica e quindi oggettiva e neutrale, tanto non può confondersi con la pubblicità, ed il discrimine va rav-visato nella proporzione tra informazioni diffuse e interesse giornalistico alla segnalazione del prodotto, sempre che sia fatto “buon uso del distacco, dell’atteggiamento critico e della sobrietà espressiva che contraddistinguono la comunicazione giornalistica rispetto alle comunicazioni con finalità propagandi-stica, con la conseguenza che è legittimo il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che qualifichi come pubblicità ingannevole un articolo pubblicato sul quotidiano in cui l’effetto promozionale sovrasti quello informativo anche al cospetto di un prodotto munito di caratteristiche di una certa innovatività”18.

Anche la definizione di operatore pubblicitario concorda con lo spirito del-la norma, tale essendo il committente del messaggio pubblicitario ed il suo auto-re, nonché, nel caso in cui non consenta all’identificazione di costoro, il proprie-tario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario è stato diffuso ovvero il re-sponsabile della programmazione radiofonica o televisiva19.

6. — La pubblicità ingannevole. Ai sensi dell’art. 20, lett. b) del codice, è ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea

——— va, sia carente la comparazione con altri prodotti similari e i prodotti siano descritti con toni enfatici e rassicuranti. (Tar Lazio, Sez. I, 22 maggio 2002, n. 4563, ivi, 2002, p. 1632). Al contrario, “non è in contrasto con gli art. 2 e 7 del CAP il messaggio pubblicitario di un'acqua minerale nel quale viene sot-tolineata la ricchezza di calcio del prodotto e l'importanza di assumere quotidianamente tale minerale, avvalendosi come testimonial, di un noto giornalista e conduttore televisivo che ha acquistato la fiducia del pubblico come esperto imparziale e comunicatore schierato con i consumatori, in presenza di do-cumentazione scientifica idonea a comprovare la veridicità di quanto affermato nel messaggio, e non essendovi sovrapposizione di piani di comunicazione tra l’informazione pubblicitaria e quella giornali-stica , potendo il pubblico revocare la fiducia che si è conquistato il testimonial in qualunque momen-to, in caso di rilevata contraddittorietà del suo comportamento” (Giurì del codice di autodisciplina pubblicitaria, 1 dicembre 2004 , n. 201, in Rass. dir. farmac., 2005, p. 391).

18 Tar. Lazio, Sez.I, 2 luglio 2001, n.5836, ivi, 2001, solo massima. Cfr. anche M. FUSI, La comunica-zione pubblicitaria nei suoi aspetti giuridici, Milano, 1979, p. 20, che sottolinea “la tenuità del diaframma tra pubblicità redazionale ed informazione c.d. obiettiva, e la conseguente difficoltà (che in molti casi è impossibilità) di distinguere l’una dall’altra.

19 Per AGCM 27 luglio 2006, n. 15189 è operatore pubblicitario anche il titolare del domain name del sito utilizzato per la promozione.

Page 226: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 200

ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”. Dalla definizione emerge il già citato principio di trasparenza del messaggio

pubblicitario, qualificandosi ingannevole anche la pubblicità che, pur contenen-do informazioni non decettive, viene presentata in modo da ingannare il con-sumatore, anche sulla sua natura commerciale, così giovandosi della sua minore attenzione critica.

Sotto il profilo sostanziale, d’altro canto, l’ingannevolezza si sostanzia nell’effetto decettivo del messaggio, ovvero nella sua idoneità effettiva o poten-ziale a trarre in inganno il consumatore, ovvero a cagionarne l’errore sulle carat-teristiche del bene o servizio offerto20, o delle condizioni contrattuali21, in modo

——— 20 Nonché sulle caratteristiche personali dell’offerente, quando siano rilevanti. Così AGCM 22 a-

prile 2004, n. 13124, in Giust. civ., 2005, I, p. 1141, a proposito delle garanzie offerte per l’assistenza e la manutenzione di veicoli da parte di un rivenditore, circa le caratteristiche della professionalità di quest’ultimo ed il ruolo da lui svolto nella prestazione di tali garanzie.L’errore può altresì cadere sulle conseguenze della fruizione del bene reclamizzato: cfr. il messaggio che presentava come gratuita la fruizione di una vacanza, dissimulando l’intento pubblicitario della medesime per la sottoscrizione di contratti di investimento, ritenuto ingannevole da AGCM 22 marzo 2001, n. 9345, in Giust. civ., 2001, I, p. 2286.

21 Cfr. AGCM, 6 marzo 2003, a proposito del prodotto finanziario 4You, “per i suoi contenuti, il destinatario del messaggio è portato ad immaginare che i piccoli versamenti mensili cui il messaggio fa riferimento vengano impiegati per far fronte all'investimento con modalità analoghe a quelle previste nei piani di accumulo di capitale dei fondi comuni di investimento… Nel depliant non si ravvisano elementi che informino correttamente il destinatario del messaggio della necessità di sottoscrivere un contratto di finanziamento per accedere al prodotto”; AGCM 8 agosto 2006, n. 15819, in Bollettino AGCM n.31-32/2006, sui videomessaggi pubblicitari inviati da H3G ad alcuni clienti per la vendita di videotelefoni a pezzi scontati, con omissione delle condizioni dell’offerta, tra cui l’obbligo di ricariche telefoniche mensili minime e l’acquisto obbligatorio di servizi per 18 mesi; AGCM 27 luglio 2006, n. 15761, ivi, n. 30/2006, su Tim Relax, per omissioni informative circa la copertura della rete UMTS dell’operatore, indicata con elementi grafici di non immediata percezione, sull’omessa indicazione del costo di acquisto del telefono di terza generazione, non compreso nel costo mensile reclamizzato, sull’omessa informazione circa la penale imposta per il recesso anticipato, nonché sulle false informa-zioni circa le condizioni economiche del servizio di telefonia reclamizzato; AGCM 27 luglio 2006, ibi-dem, n. 15767, sullo spot televisivo “Passa a 3”, per l’illegibilità delle informazioni circa la limitazione dell’offerta ai prodotti disponibili e sulla relativa promozione attraverso il sito internet dell’operatore, decisione in cui l’autorità rinasce il principio fondamentale per cui “nel settore della telefonia, caratte-rizzato dal proliferare di promozioni e piani tariffari anche molto articolati, completezza e comprensi-bilità delle informazioni si qualificano come un onere minimo dell'operatore pubblicitario, soprattutto al fine di consentire la percezione dell'effettiva convenienza degli stessi. In questa prospettiva, la com-pletezza della comunicazione deve coniugarsi con la chiarezza delle condizioni di fruizione delle offerte pubblicizzate”. V. Anche AGCM 8 agosto 2006, n. 15823, sulla pubblicità del prodotto “Drive Beer”, realizzata sia attraverso affissioni, spot televisivi e radiofonici, che sul corrispondente sito, che la pre-sentava quale adatta per chi guidi, qualificandola “birra in regola con il codice della strada”, in quanto

Page 227: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 201

da poter influire sull’autonoma scelta di acquisto. In questi termini, la potenziale lesività degli interessi dell’imprenditore con-

corrente è parametro alternativo della valutazione di ingannevolezza22, che deri-va anzitutto dall’attitudine a ledere il consumatore, ed è integrata anche ove questi si sia avveduto dell’inganno, non abbia acquistato il bene promosso, ed abbia segnalato l’abuso: tanto al fine di evitare strumentali eccezioni, in sede di giudizio di ingannevolezza, che potrebbero essere sollevate sul presupposto per cui l’essersi avveduto dell’inganno escluderebbe l’efficacia decettiva del messag-gio, con sostanziale inefficacia della disciplina in commento23.

Merita rilevare, inoltre, come la formulazione della norma in termini tanto generali consenta di parametrare l’attitudine all’induzione in errore anche sui soggetti, persone fisiche o giuridiche, che non siano diretti destinatari della pub-

——— l’assunzione di due birre da 33 cl. avrebbe comportato un tasso alcolemico nel sangue inferiore a quel-lo consentito dal codice della strada. Su parere dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Autorità ha ritenuto il messaggio ingannevole in quanto, nonostante i test effettuati dal produttore sugli effetti dell’assunzione della bevanda, “non esistono infatti bevande alcoliche che possono vantare una generalizzata e assoluta compatibilità al codice della strada e alle quali è attribuibile una totale assenza di rischi alla guida. L'Isti-tuto Superiore di Sanità, infatti, mette in luce come sussista un'estrema variabilità individuale, dovuta a molteplici fattori che possono influire sull'assorbimento metabolico dell'alcol, con conseguenti notevoli e significative variazioni individuali nelle concentrazioni nel sangue”. AGCM 11 gennaio 2006, n. 15104, in Bollettino 1/2006, si segnala invece per aver ritenuto ingannevole la pubblicità realizzata me-diante inserzione su quotidiani e con iscrizione sui sacchetti di plastica Coop della dizione “biodegra-dabile al 100%”, in quanto il prodotto, pur frammentabile, non risponde ai requisiti di degradabilità fissati dalla normativa europea ENI UN 13432, e si giova pertanto illegittimamente dell’attenzione dei consumatori alla tutela dell’ambiente, rispetto a prodotti inquinanti, trascurando inoltre di esplicitare come non trattandosi di fonte rinnovabile la dispersione in discarica configura in ogni caso un compor-tamento errato, ed anti-ecologico, a dispetto del claim, “ti aiutano a rispettare la natura”.

Altrettanto a proposito di un prodotto dall’asserito effetto dimagrante, concretizzandosi l’errore nel ritenere esistente, contrariamente al vero, la certificazione dell’efficacia del medesimo da parte dell’Associazione italiana medici dello sport (AGCM 1 agosto 2001, n.9848, in Giust. civ., 2002, I, p. 3001.

22 Si veda AGCM 9 gennaio 2003, n. 11601, in Giust. civ., 2004, I, p. 1119, che ritiene in re ipsa la potenziale lesività derivante per i concorrenti dal messaggio pubblicitario che presenti un determinato attivatore biologico come l’unico in grado di consentire l’immissione di pesci negli acquari immediata-mente dopo l’allestimento. Così anche AGCM 9 gennaio 2003, n. 11601, in Giust. civ., 2004, I, 1119, ravvisandosi pregiudizio nel potenziale sviamento di clientela provocato dall’errore in cui dovessero incorrere i consumatori.

23 TAR Lazio, 1 settembre 2004, n. 8238, in Foro amm. TAR, 2004, p. 2525, solo massima, ribadi-sce come anche una semplice omissione di informazioni può integrare una reclame censurabile, ma solo allorché da essa derivi un pericolo di induzione in errore, a sua volta suscettibile di pregiudicare il comportamento economico dei destinatari della pubblicità, o di ledere in concorrente, estremi in man-canza dei quali il silenzio del messaggio non ha un valore patologico, ma neutro. Per G.d.P. Napoli, 1 settembre 2004, in Giudice di pace, 2005, p. 131, e in Gius, 2004, p. 4080, è ingannevole in quanto idoneo ad indurre in errore circa la minore pericolosità del prodotto, il messaggio “lights” posto all’esterno dei pacchetti di sigarette a minore contenuto di nicotina, con conseguente danno per la salute dei consu-matori.

Page 228: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 202

blicità, ma che vengano in ogni caso raggiunti da questa, ad esempio per il mez-zo di un operatore professionale, quale può essere il rivenditore cui la pubblicità è diretta.

Quanto al pregiudizio economico, potenziale effetto dell’errore generato dalla pubblicità qualificabile in termini di parametro necessario dell’ingannevo-lezza24, deve ritenersi che possa consistere, come sarà di regola, nell’acquisto non adeguatamente ponderato del prodotto reclamizzato, ovvero nell’errata omessa valutazione delle alternative di mercato, ma nulla esclude che possa de-rivare anche dal mancato acquisto del prodotto concorrente, o dall’acquisto in sé, che altrimenti si sarebbe evitato.

7. — La pubblicità comparativa. La forma di comunicazione commerciale in cui l’azienda, il prodotto o il

servizio promossi sono messi a confronto con altre aziende, prodotti o servizi offerti nel medesimo mercato, di regola all’interno della medesima categoria merceologica, va sotto la definizione di pubblicità comparativa, dettata dall’art. 20, comma 1, lett. d) del codice del consumo:

“pubblicità comparativa: qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implici-to un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente”. Si integra dunque comparazione indiretta, o per posizionamento, allorché il

prodotto reclamizzato sia confrontato con l’intera categoria merceologica di ap-partenenza, o comunque il prodotto parametro sia identificabile solo indiretta-mente25, mentre vi è comparazione diretta quando il termine del confronti sia

——— 24 Così TAR Lazio, sez. I, 26 aprile 2004, n. 3538, in Foro amm. TAR, 2004, 1051, solo massima,

con conseguente necessità che di tale valutazione sia dato conto in sede di motivazione del provvedi-mento dell’Autorità Garante.

25 Tanto accade talora in assenza di comparazione, con la mera esaltazione, talora iperbolica, di pregi del prodotto, nella misura in cui il percettore del messaggio sia indotto a ritenere che le caratteri-stiche vantate siano esclusive, ovvero quando l’esaltazione di pregi sia accompagnata da espressioni che rafforzano l’idea di esclusività o preminenza, quale l’uso dell’articolo determinativo “il” in luogo del-l’indeterminativo “un” anteposto al genere merceologico di appartenenza; il medesimo risultato può essere raggiunto con l’uso del superlativo relativo o assoluto (es: niente lava meglio di …). Si ha com-parazione indiretta nel raffronto tra il prodotto e confezioni anonime di presunti concorrenti, spesso per ottenere un confronto non prestazionale ma suggestivo, ovvero nel caso della tecnica di Brand x, in cui il prodotto è confrontato, secondo il risultati di test, con prodotti concorrenti il cui nome è sostitui-to da marchi fittizi.

Page 229: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 203

identificato esplicitamente, con la menzione del marchio o di altro segno distin-tivo di inequivocabile percezione da parte dei consumatori26.

La disciplina in commento deriva dall’integrazione del d.lgs. 74/1992, det-tata con d.lgs. n. 67/2000, attuativo della Direttiva CE 55/199727, avendo il le-gislatore originariamente deciso di non disciplinare il fenomeno della compara-zione, che la giurisprudenza riconduceva alla normativa in materia di illecito concorrenziale per confusione o più spesso per denigrazione, di cui all’art. 2598, numeri 1 e 3, c.c. È l’art. 22, comma primo, del codice ad enucleare i requisiti della liceità della comparazione,

——— 26 Si ha comparazione diretta per relationem quando il confronto, pur non menzionando apertamen-

te il marchio o il segno distintivo del concorrente contiene comunque inequivocabili elementi di identificazione di questi, come avvenne in una campagna pubblicitaria diffusa dalla RAI nel 1993, con il claim “come vedete, tra un servizio pubblico televisivo e una televisione c’è una certa differenza”, basato sul confronto tra le interruzioni pubblicitarie, i palinsesti e l’audience della RAI, e di altro “primo gruppo concorrente”, chiaramente identificabile dal lettore. Il fenomeno di comparazione cui si riferisce la norma in commento è invece quello diretto e nominativo, che non lascia alcun dubbio circa l’identità del termine di paragone, citato attraverso il marchio o il nome commerciale per cui è noto. Sul punto si veda l’analisi comunicazione e di marketing di D. CARDINI, G. DI FRAIA, Il problema della pubblicità comparativa, 1993, Ed. Arcipelago. In questi casi, la liceità dell’uso del marchio altrui deriva, secondo la giurisprudenza, dall’interesse del pubblico dei consumatori ad essere maggiormente informato circa le caratteristiche dei prodotti o servizi offerti sul mercato: così Giurì autodisc. Pub-blicitaria, 30 maggio 2000, n. 148, in Dir. ind., 2000, p. 272. Sulla comparazione suggestiva v. G. FLORIDIA, La comparazione suggestiva, nota a Giurì autodisciplina pubblicitaria 13 luglio 1999, n. 214, in Dir. industriale, 2000, I, p. 64; V. GUGGINO, Comparazione suggestiva e agganciamento, ibidem, I, p. 275. V. anche S. STABILE, La tecnica pubblicitaria dei “promo-redazionali” e la comparazione superlativa, nota a AGCM 12 ottobre 2000, n. 8783, ivi, 2001, I, 373.

27 I cui considerando esplicitano come attraverso la comparazione pubblicitaria si contribuirà a “mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei cari prodotti comparabili”, al fine di “stimolare la con-correnza tra i fornitori di beni e servizi nell’interesse dei consumatori”, superando le difformità ancora sussistenti tra le legislazioni degli Stati membri, che potevano costituire un ostacolo alla libera circola-zione dei beni e dei servizi e creare distorsioni di concorrenza. Mentre dunque la direttiva sulla pubbli-cità ingannevole n. 84/450/CEE dettava criteri minimali, la direttiva sulla pubblicità comparativa adot-ta una disciplina uniforme ed inderogabile dagli Stati. Cfr. P. AUTERI, La pubblcità comparativa secondo la direttiva n. 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e impresa Europa, 1998, p. 601; si veda anche l’accurata analisi di G. PACIULLO, La pubblicità comparativa nell’ordinamento italiano, in Dir. Informatica, 2001, I, p. 113, per le scelte rimesse al legislatore italiano in sede di recepimento. Sulla materia anche G. AL-PA, La pubblicità comparativa, in Giur. it. 1995, IV, c. 162; E. BERTI ARNOALDI, Sulla pubblicità comparativa, in Riv. dir. ind., 1994, II, p. 44, sulla decisione del Giurì del 18 maggio 1993, n. 82, in un caso di compa-razione Pepsi-Coca Cola, commentata anche da M. BRICOLA, Comparazione pubblicitaria e suggestione, il caso Italia e l’esperienza del diritto anglosassone, in Dir. informatica, 1994, II, p. 352; F. BUSETTO, Pubblicità comparativa e “giurisprudenza” di Giurì, Garante e giudice ordinario, in Resp. Comunicazione impresa, 1996, p. 445. Sul punto è intervenuta anche la Corte di Giustizia CE, con pronuncia dell’8 aprile 2003, n. 44, in Dir. e pratica soc., 2003, p. 66, con nota di P. ERRICO, e in Europa e dir. priv., 2004, p. 643, con nota di R. ANGELINI, chiarendo che non sono ammissibili legislazioni statali più restrittive in tema di ingannevo-lezza del messaggio, per quanto riguarda la forma ed il contenuto del confronto.

Page 230: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 204

“Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è lecita se sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) non è ingannevole ai sensi della presente sezione; b) confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi; c) confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi; d) non ingenera confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente; e) non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri se-gni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente; f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione; g) non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denomi-nazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o alle deno-minazioni di origine di prodotti concorrenti; h) non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o ser-vizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati”. Potrebbe verificarsi anche una comparazione tra prodotti di merceologie

differenti, ad esempio per il richiamo del livello qualitativo e al prestigio ricono-sciuto a quei prodotti28, ma il parametro più simile offre senza dubbio la mag-giore efficacia alla comparazione, tant’è che si riscontrano pronunce che defini-scono in termini molto particolareggiati l’ambito concorrenziale, addirittura fra-zionando lo stesso settore di mercato in più segmenti, com’è per le automobili e da ultimo anche per altri prodotti29.

Il criterio della omogeneità dei termini del raffronto va pertanto ancorato alle abitudini di consumo dei destinatari del messaggio pubblicitario, anziché a criteri puramente merceologici, al fine di soddisfare il criterio di cui alla lettera b) dell’art. 22 del codice, esplicativo del vincolo di concorrenzialità già dettato dalla definizione legislativa, e non deve necessariamente essere ancorato a pa-

——— 28 Trib. Milano 9 marzo 1987, in Foro pad., 1987, I, c. 525, a proposito di un produttore di cosme-

tici che utilizzava il claim “Se Germaine Monteil fabbricasse automobili, si chiamerebbero Rolls Royce”, ha riconosciuto che sussiste rapporto di concorrenza o affinità tra alta cosmesi ed automobili di lusso, allora a proposito della normativa sulla concorrenza sleale e di tutela dei segni distintivi.

29 Nell’esperienza autodisciplinare, di cui si dirà oltre al prossimo capitolo, si segnala la dec. n. 21/2006, che ha ritenuto illecita la comparazione tra pannolini per bambini realizzata confrontando l’elasticità del prodotto reclamizzato con quella, molto inferiore, di altro prodotto della linea del con-corrente, caratterizzato invece da massima assorbenza, trattandosi di prodotti non destinati a soddisfa-re gli stessi bisogni o a realizzare identici obiettivi.

Page 231: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 205

rametri puramente merceologici30. Il confronto deve essere inoltre ancorato a parametri oggettivi31, verificabili

e la cui veridicità deve essere provata dall’operatore pubblicitario, in quanto, ai sensi del secondo comma del citato art. 22

“Il requisito della verificabilità di cui al comma 1, lettera c), si intende soddisfatto quando i dai addotti ad illustrazione della caratteristica del bene o servizio pubblicizza-to sono suscettibili di dimostrazione” Ciò anche attraverso il riferimento a c.d. Warentest, o test di comparazione,

di regola realizzati da soggetti terzi alla competizione di mercato su un singolo prodotto o su più prodotti concorrenti, per individuarne e valutarne gli attributi, sempre che se ne riportino i dati in maniera completa e comunque corretta e leale, venendo altrimenti vanificato l’obiettivo della norma, di stimolare la com-parazione al fine di garantire l’educazione al consumo consapevole32.

La disciplina lascia comunque impregiudicata l’applicazione della normati-va, civile e penale, di tutela dei segni distintivi, e di sanzione della confondibilità dei segni medesimi, ai sensi del citato art. 2598 c.c., tant’è che anche le lettere d) ed e) dell’articolo in commento riproducono il divieto di confondibilità e deni-grazione.

——— 30 Così per il confronto tra l’apporto calorico di uno yogurt e di una brioche, che pur non essendo

sostituibili in una corretta alimentazione vengono di regola consumati nelle medesime occasioni (Giurì autodisc. pubblicitaria, 18 novembre 2003, n. 201, in Dir. ind., 2004, p. 280).

31 Cfr. AGCM 20 gennaio 2005, n. 13979, in Giust. civ., 2006, p. 479, a proposito della compara-zione dei servizi ADSL con la tecnologia della fibra ottica e l’accesso a servizi televisivi e di videoco-municazione, trattandosi di comparazione non oggettiva tra servizi tecnicamente diversi tra loro, AGCM 23 settembre 2004, n. 13614, ivi, 2005, I, p. 1140, che ha ritenuto illecita per difetto dei caratte-ri di pertinenza, essenzialità e rappresentatività del confronto, ed in considerazione della genericità del-le affermazioni riferite alla reputazione delle aziende, la comparazione contenuta nel messaggio pubbli-citario dell’azienda Granarolo, attraverso il riferimento alla gestione sociale, priva di distrazioni di capi-tale, a dispetto di quella dell’impresa concorrente Parmalat. Trib. Torino, 6 maggio 2004, in Giur. it., 2004, p. 1892, ha ritenuto l’illegittimità della comparazione che presenti il proprio prodotto quale com-patibile e migliorato tecnicamente rispetto ai concorrenti con riferimenti generici ed arbitrari.

32 Cfr. sul punto B. GUIDETTI, Il Warentest nella pubblicità comparativa, in Riv. dir. ind., 1998, II, p. 440; A. D’AMICO, L’uso dei warentest nella pubblicità comparativa, in http://venus.unive.it/dea/ricerca/convegni/

marketing/Materiali/Paper/It/D’Amico.pdf. Diversi i preistest, in cui si compara unicamente il prezzo, co-me avviene per le campagne pubblicitarie di alcuni operatori di telefonia fissa, senza espressione di al-cun giudizio di valore. Si vedano anche Trib. Roma, 18 giugno 1997, in Dir. informazione informatica, 1998, p. 282 ss.; G. GHIDINI, Informazione economica e controllo sociale: il problema del Warentest, in Polit. del diritto, 1973, p. 626.

Page 232: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 206

8. — Accertamento dell’ingannevolezza e sanzioni. Ai sensi dell’art. 26 del codice del consumo: “i concorrenti, i consumatori e le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro delle attività produttive, nonché ogni altra pubblica amministrazione che abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico, posso chiede-re all’Autorità (Garante per la concorrenza e il mercato) che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita ai sensi della presente sezione, che sia inibita la loro continuazione e che ne siano eliminati gli effetti”. Il procedimento viene avviato con ricorso, redatto senza vincoli di forma e

con l’indicazione del messaggio, del mezzo pubblicitario di diffusione e delle ra-gioni dell’ingannevolezza, e procede con la comunicazione ad opera dell’Auto-rità all’operatore pubblicitario dell’apertura dell’istruttoria, disponendo se del ca-so anche l’ordine di esibire prove sull’esattezza materiale dei dati contenuti nel messaggio pubblicitario (c.d. inversione dell’onere della prova della decettività).

Quando la pubblicità è stata diffusa attraverso la stampa periodica o quoti-diana, o attraverso emittenti radiofoniche o televisive, l’AGCM è tenuta a ri-chiede il parere, non vincolante, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazio-ni, competente a verificare l’attuazione delle sopra citate disposizioni in materia di pubblicità dettate prima dalla legge Mammì e quindi dalla legge Gasparri a di-sciplina del sistema radiotelevisivo e di quello integrato delle comunicazioni.

La decisione è assunta con provvedimento amministrativo motivato, ed è impugnabile innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, secondo gli ordinari mezzi di gravame amministrativo per motivo di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge. Ove sia ritenuta l’illegittimità del messaggio, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da € 1.000 a 100.000, tenuto conto della gravità e durata della violazione, vietando in ogni caso la continuazione della diffusione della pubblicità già diffusa, eventualmente ordi-nando la pubblicazione della pronuncia, anche per estratto, e di una dichiarazione rettificativa in modo da impedire che continuino a prodursi gli effetti decettivi.

In caso di pubblicità ingannevoli di prodotti pericolosi per la salute e la si-curezza dei consumatori o che, in quanto suscettibili di raggiungere bambini ed adolescenti possano minacciare la loro sicurezza o abusi della loro naturale cre-dulità o mancanza di esperienza, la sanzione minima è innalzata a 25.000 euro.

Sanzioni specifiche erano dettate per la medesima materia dalla l. 3 maggio 2004, n. 122 (l. Gasparri), il cui art. 10, 3° comma conteneva un divieto assoluto

Page 233: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 207

di presenza dei minori nei messaggi pubblicitari, e così recitava, prima dell’abro-gazione con l. 6 febbraio 2006, n. 37,

“L’impiego di minori di anni quattordici in programmi radiotelevisivi, oltre che essere vietato per messaggi pubblicitari e spot, è disciplinato con regolamento adottato ai sen-si dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Ministro delle co-municazioni, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Mi-nistro per le pari opportunità33”. In ogni caso, le sanzioni amministrative pecuniarie giungono fino a 350.000

euro, mentre spesse all’Autorità garante per le Comunicazioni applicare la san-zione amministrativa della sospensione o dell’oscuramento della rete in caso di violazioni connesse alla disciplina del codice Tv e minori, reso appunto di appli-cazione generalizzata con il citato art. 10 della l. 112/200434, mentre per l’ordi-namento autodisciplinare della pubblicità la norma fondamentale dispone che “L’impiego di bambini e adolescenti in messaggi pubblicitari deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani”.

SEZIONE II - IL RAPPORTO DI CONSUMO

9. — Le clausole abusive. Il codice del consumo ha adottato, secondo l’indicazione espressa dal Con-

siglio di Stato nel proprio parere consultivo sull’articolato trasmessogli dalla ———

33 Regolamento, applicabile all’impiego delle immagini e delle voci dei minori di anni quattordici nei programmi radiotelevisivi, adottato il 27 aprile 2006, con decreto del Ministero delle Comunicazioni n. 218, in G.U. n. 141 del 20 giugno 2006, Il provvedimento stabilisce l’obbligo di salvaguardare la dignità personale, l'integrità psicofisica e la privacy dei minori, senza strumentalizzare la loro età, i loro corpi o la loro condizione socio-familiare. Vieta di far assumere a minori di anni quattordici, anche per gioco o per finzione, sostanze nocive quali tabacco, bevande alcoliche o stupefacenti; di coinvolgere minori di anni quattordici in argomenti o immagini di contenuto volgare, licenzioso o violento; e di utilizzare minori di anni quattordici in richieste di denaro o di elargizioni abusando dei naturali sentimenti degli adulti per i bambini. La Commissione per i servizi e prodotti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in col-laborazione con il Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione TV e minori, vigila sull’osservanza delle norme del regolamento attuando un costante e puntuale monitoraggio dei programmi radiotelevisivi, anche delle emittenti locali, e provvede all'irrogazione delle sanzioni dando immediata noti-zia alla direzione provinciale del lavoro competente nel caso di impiego lavorativo del minore di anni quat-tordici. Su tali aspetti cfr. l’ampia trattazione sistematica di A. PALAZZO, La filiazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano 2007, parte III, cap. II, sez. III; v. anche il Libro bianco del Comitato Internet@ Minori, Armando Editore, Roma, 2007.

34 Sull’argomento cfr. infra, cap. 3.

Page 234: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 208

Commissione redattrice, l’opzione dello scorporo delle disposizioni in materia di clausole vessatorie, originariamente contenute in un capo del codice civile (art. 1469-bis e ss.)35, nonostante vi si opponessero obiezioni relative, principal-mente, alla più pacifica interpretazione estensiva che la collocazione dell’artico-lato nel codice civile poteva consentire, mentre l’inserimento in un codice di set-tore parrebbe limitarne l’applicazione ai casi espressamente indicati, trattandosi di normativa di natura speciale.

Non è stata modificata, nonostante le indicazioni della Commissione, la di-zione dell’art. 1469-bis, che traduceva la disciplina comunitaria con “malgrado la buona fede”, mentre più corretta sarebbe stata la dizione di clausole vessatorie “in contrasto con la buona fede”36. Tuttavia, i limiti della delega, limitata alla re-dazione di un codice di settore, sono stati intesi nel senso dell’esclusione dell’innovazione delle disposizioni contenute nel codice civile.

In ottemperanza al dictat comunitario, che con procedura di infrazione ave-va contestato l’arbitraria limitazione di efficacia della disciplina contenuta nell’art. 1469-bis c.c. ai contratti aventi ad oggetto la cessione di beni o la pre-stazione di servizi, l’attuale formulazione dell’art. 33, 1° comma, del codice del consumo recita:

“Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista di considerano vessato-rie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” È invece stata introdotta, al primo comma dell’art. 36, l’esplicita menzione

della sanzione della nullità per le clausole abusive, quale nullità di protezione rile-vabile anche d’ufficio dal giudicante ma operativa solo in favore del consumatore:

——— 35 Per una bibliografia minima cfr. G. ALPA, S. PATTI, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumato-

ri, in Commentario al codice civile a cura di P. SCHLESINGER, Milano, 2003; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano 2000, p. 373 ss.; E. GABRIELLI, A. ORESTANO, Contratti del consumatore, Torino, 2000; G. ALPA, L’applicazione della normativa sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori: primo bilancio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 1173 ss.; S. MAIORCA, Tutela dell’aderente e regole di mercato nella disciplina generale dei “contratti del consumatore”, Torino, 1998; U. RUFFOLO (a cura di), Clausole vessatorie e abusive: gli artt. 1469 bis ss. e i contratti del consumatore, Milano 1997; G. ALPA, Manuale di diritto dei consumatori, Bari, 1995; A. ORESTANO, I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria: prime note, in Riv. criti-ca dir. priv., 1992, p. 467 ss.

36 Cfr. V. RIZZO, Art. 1469 bis, I comma, in Clausole vessatorie e contratto del consumatore, a cura di E. Cesaro, I, Padova, 1996, p. 34 ss. sul dibattito sorto nella dottrina a proposito del riferimento alla buo-na fede, quale parametro discretivo del significativo squilibrio regolamentare, o quale elemento auto-nomo ed aggiuntivo.

Page 235: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 209

“Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto” La rilevabilità d’ufficio, di cui all’ultimo comma dell’art. 36, è strumento di

protezione del consumatore, come è la disciplina della legittimazione all’impu-gnativa, estesa alle associazioni, e deve essere correlata col principio della do-manda. Sicché il consumatore si trova nell’alternativa di chiedere l’esecuzione del contratto, ovvero la dichiarazione di nullità di quella sua parte che venga ri-tenuta abusiva.

Nella prima alternativa deve ritenersi ammissibile la prova dell’esistenza e del contenuto dell’accordo, sebbene ciò sarebbe escluso dalla disciplina generale della nullità, com’è per il divieto di prova per testimoni del contratto nullo per difetto di forma (artt. 2725, 2729, 2739 c.c.).

La deroga al principio generale è giustificata dall’essere la sanzione della nullità indirizzata non a tutela di un interesse generale, ma a favore di una sola delle parti del contratto, secondo un modello di nullità distinto da quello tradi-zionalmente ritenuto come monolitico, disciplinato dagli art. 1418 ss. del codice civile37.

Di conseguenza, se il divieto di prova resta operante ove il consumatore o l’associazione agisca per la declaratoria di nullità relativa, ciò non avverrà per il caso della domanda di esecuzione del contratto, ed entrambe le parti saranno ammesse a fornire elementi di formazione del convincimento del giudice ri-guardo all’esistenza ed al contenuto dell’accordo.

In ogni caso, il regime della rilevabilità d’ufficio va coordinato con la ratio di tutela del consumatore, e pertanto, in ossequio all’art. 183, comma terzo, c.p.c., il giudice che segnali alle parti la possibile declaratoria di nullità della clau-sola dovrà astenersi dal pronunciarla quando la pattuizione non si risolva, in concreto, in pregiudizio del consumatore, in quanto l’articolato normativo si di-rige in primo luogo alla protezione degli interessi concreti ed effettivi della parte debole dello specifico contratto condotto all’attenzione dell’interprete, e solo di conseguenza realizza quegli interessi pubblicistici cui la rilevabilità d’ufficio della nullità è indirizzata38.

La sanzione va dunque ricondotta al novero delle cosiddette nullità di pro-tezione, di regime speciale, perché rilevabile anche d’ufficio ma unicamente a

——— 37 M. NUZZO, Commento agli artt. 33-38, in Codice del consumo. Commentario, cit., p. 262 ss. 38 Cfr. S. MONTICELLI, Limiti sostanziali e processuali al potere ex art. 1421 c.c. e le nullità contrattuali, in

Giust. civ., 2003, p. 295 ss.

Page 236: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 210

vantaggio del consumatore, e comunque nella prospettiva della nullità parziale, in quanto la sanzione di nullità dell’intero contratto, lungi dal realizzare l’interesse al-la protezione del contraente debole, realizzerebbe l’effetto opposto, ponendolo nell’indisponibilità del bene della vita oggetto del contratto39.

——— 39 Sul punto si è confrontata la dottrina fin dalla prima redazione degli art. 1469 bis e ss. c.c., rite-

nendosi per un verso che venisse integrata una sanzione di inefficacia parziale, più flessibile ed adegua-ta alla valutazione delle clausole secondo il principio di buona fede (così F.D. BUSNELLI, in C.M. BIANCA, F.D. BUSNELLI, Commentario al capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore. Art. 1469 bis − 1469 sexies, Padova, 1999, p. 41); mentre altri autori (A. BELLELLI, in G. ALPA, S. PATTI, Le clauso-le vessatorie nei contratti con i consumatori, Commentario degli articoli 1469 bis − 1459 sexies del Codice civile, I, Milano, 1997, p. 689) rilevavano come la disapplicazione della clausola, nell’esclusivo interesse del con-sumatore, fosse compatibile con la sanzione di nullità, conseguente all’illiceità della condotta del pro-fessionista: “di fronte all’abuso del potere regolamentare esercitato dall’imprenditore, la novella tutela il consumatore predisponendo un doppio livello di protezione giudiziale, sia individuale che collettiva. Presupposto della tutela è, in entrambi i giudizi, l’illiceità del comportamento dell’imprenditore”. Rea-lizza una fattispecie di nullità, a tutela del consumatore, anche quella, sostenuta in dottrina ed avallata dalla giurisprudenza anche di legittimità, dei contratti esecutivi di intese restrittive della concorrenza, vietate dalla legislazione antitrust. Cfr. al proposito V. PASQUA, Concorrenza e tutela del consumatore, Peru-gia, 2006, p. 50 ss.

Concorda sulla sanzione di nullità anche M. NUZZO, in Commentario al capo XIV bis del codice civile, cit., p. 852 e ss.; mentre sull’inefficacia cfr. anche A. ORESTANO, L’inefficacia delle clausole vessatorie: “contratti del consumatore” e condizioni generali, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 515 e A. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele - Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 214 ss.

Altri Autori discutono di nullità-rimedio, tra cui A. DI MAJO, Le nullità nuove, in Il contratto in genera-le, nel Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, vol. XIII, t. VII, Torino, 2002, pp. 130-131, nozione che per G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 173 ss., e pp. 185-186, indica una disciplina della nullità speciale rispetto alla nullità tradizionale, soprattutto per la legittimazione relativa e la necessaria parzialità, ma al tempo stesso generale, e come tale suscettibile di interpretazione analogica a tutti i casi in cui ricorra una ratio comune, che consiste nello squilibrio non eventuale ma strutturale fra le parti contraenti, cui in determinati rapporti un criterio normativo attribuisca rilevanza formale per l’attitu-dine di quell’elemento specializzante – lo squilibrio strutturale – ad alterare in radice i presupposti di esercizio dell’autonomia negoziale e le dinamiche del mercato (ivi, pp. 240-243, l’A. ricorda la disciplina dell’abuso di posizione dominante commesso tramite attività negoziale, di cui all’art. 9 della citata legge sulla subfornitura nelle attività produttive). Per l’applicazione della disciplina ai contratti di acquisto di diritti televisivi e cinematografici di eventi sportivi, conclusi da Telepiù in abuso della propria posizione dominante sul mercato della pay tv cfr. App. Roma, 16 gennaio 2001, in Danno e resp., 2001, p. 284, con nota di S. BASTIANON, su cui anche M. MELI, L’abuso di posizione dominante attraverso comportamenti di ca-rattere negoziale: il caso Telepiù, in Giur. comm., 2002, p. 319 ss.

Cfr. anche l’art. 1, d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, di tutela degli acquirenti degli immobili da co-struire, a mente del quale All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall'articolo 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il co-struttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Restano

Page 237: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 211

Quanto alla casistica, sono clausole vessatorie, tra le altre, quelle che limita-no la responsabilità del professionista per danni alla persona del consumatore, che escludono o limitano i diritti di questo in caso di inadempimento del pro-fessionista, che riconoscono al solo professionista la possibilità di recesso, o impongono clausole penali per il recesso o termini di disdetta eccessivi, che sta-biliscono quale giudice competente per le eventuali controversie quello di una località diversa dal domicilio del consumatore.

Permane la distinzione tra clausole in ogni caso vessatorie, sebbene oggetto di trattativa (c.d. lista nera), di cui al secondo comma dell’art. 36

“Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno al-la persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.”

e clausole la cui abusività, e dunque la conseguente nullità, sono escluse dal-l’essere intervenuta una trattativa tra le parti sullo specifico punto, come può verificarsi ad esempio allorché la clausola sia stata modificata rispetto all’origi-naria formulazione datane dal professionista che l’ha predisposta, ovvero sia stata mantenuta nell’originaria stesura a prezzo della modifica, in senso mi-gliorativo per il consumatore, di altre regole contrattuali, specialmente relative al prezzo.

L’indubitabile difficoltà della prova della trattativa grava interamente sul ——— comunque esclusi le somme per le quali è pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuan-te, nonché i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia”. Cfr. sul punto G. BARALIS, Conside-razioni sparse sul decreto delegato conseguente alla l. n. 210 del 2004; spunti in tema di: varietà di contratti “garantiti”, prestazione di fideiussione “impropria”, riflessi sulla trascrizione, contenuto “necessario” del contratto, invalidità speciale e sue conseguenze, in Riv. not., 2005, p. 723.

Si delinea, dunque, dal sistema delle disposizioni citate, il passaggio dal contratto del consumatore, come species, al genus del contratto con asimmetria di potere contrattuale tra le parti, su cui V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto e le tute-le, cit., considerazione condivisa da R. ALESSI, Diritto europeo dei contratti e regole dello scambio, in Europa e diritto privato, 2000, p. 963 e ss., C. AMATO, Per un diritto europeo dei contratti con i consumatori, Milano, 2003, p. 468 ss.

V. anche, in termini generali, M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. merito, 2004, p. 2605.

Page 238: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 212

professionista, onerato della stessa al fine di paralizzare l’azione di nullità del consumatore40.

La disciplina è parzialmente diversa per il caso dei contratti di credito al consumo, per i quali l’art. 42 prevede che, in caso di inadempimento del forni-tore di beni o servizi, il consumatore che abbia effettuato la costituzione in mo-ra di questi abbia diritto di agire contro il finanziatore, nel limiti del credito con-cesso, a condizione che vi sia un accordo di esclusiva tra fornitore e finanziatore per la concessione del credito ai clienti del primo.

Mentre, dunque, per tutto quanto non specificamente dettato dal codice in commento il credito al consumo resta disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, l’articolato di tutela dei consumatori si limita a san-cire la responsabilità del finanziatore per il caso dell’inadempimento del conces-sionario agli obblighi da questo assunti verso i clienti, sebbene unicamente in caso di patto di esclusiva. La posizione dell’acquirente, esposto all’obbligo di onorare il debito restitutorio verso il finanziatore pure in caso di inadempimen-to del fornitore dei beni acquistati attraverso il credito al consumo, è dunque tu-telata in tali ristretti limiti, sebbene si ritenga che, stante la difficoltà di reperire la prova del patto di esclusiva, sussista autonoma responsabilità per violazione del dovere di correttezza e buona fede, ove il finanziatore neghi, contrariamente al vero, l’esistenza del patto medesimo.

La sostanziale unitarietà della fattispecie, contrattualmente distinta in due negozio (di acquisto e di concessione del credito al consumo) avrebbe consiglia-to, in favore del consumatore, l’opponibilità al finanziatore dell’inadempimento del fornitore anche in mancanza di pattuizione di esclusiva, ma i limiti della de-lega sembrano aver consigliato la sostanziale riproduzione del contenuto del-l’art. 125, 4° comma, del T.U.B., sebbene anche il Consiglio di Stato si fosse e-spresso nel senso dell’ammissibilità della modifica, nel parere sulla bozza di co-dice trasmessagli.

Costituisce invece specificazione dell’obbligo di informazione la previsione della necessaria indicazione del TAEG, di cui all’art. 122 comma 2 del testo uni-co bancario, su cui l’art. 40 del codice del consumo ribadisce la competenza del

——— 40 C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano 2000, p. 374, rileva, a proposito della disiciplina

delle clausole vessatorie, che “punti salienti di questa disciplina sono: l’ambito oggettivo, esteso a tutte le clausole contrattuali, anche se non integranti condizioni generali di contratto; l’ambito soggettivo, delimitato ai contratti stipulato tra professionisti e consumatori; il divieto di inserimento di clausole vessatorie nei singoli contratti e conseguente inefficacia delle stesse; la tutela inibitoria contro la predi-sposizione di condizioni generali di contratto vessatorie”.

Page 239: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 213

CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio), sebbene finora sia intervenuto, in via sostitutiva, il decreto del Ministero del Tesoro 8 luglio 1992, mancando l’attuazione dell’art. 19, comma 2, della l. 142/1992, che già prevedeva la competenza del CICR.

L’obbligo di informazione e di contenuto è in ogni caso canone generale che il codice dalla legge statuto dei consumatori (art. 1, l. 281/1998), e tra-sfonde in sede di enunciazione di principio nell’art. 2, sancendo il diritto “ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità”, e quindi nell’art. 35, 1° comma:

“Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al con-sumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile” fattispecie che trova la propria sanzione nel secondo comma dell’art. 34, in

quanto la mancanza di chiarezza e comprensibilità delle clausole relative alla de-terminazione dell’oggetto del contratto o al corrispettivo apre il vaglio giudiziale di vessatorietà sul contenuto economico del contratto, altrimenti escluso dalla medesima norma, diretta a valutare lo squilibrio negoziale, ma non quello mone-tario41.

10. — La reazione alle clausole abusive: rimedi individuali e collettivi. Al fine di realizzare una efficace protezione del consumatore in caso di a-

busi realizzati dal fornitore professionale beni e servizi, la direttiva 93/13/CEE, del 5 aprile 1993, ha per prima distinto i rimedi allo scopo esperibili tanto dal singolo consumatore quanto dalle associazioni a tale scopo costituite.

I primi operano con riguardo ai singoli contratti conclusi dai consumatori,

——— 41 Cfr. la chiara trattazione di V. RIZZO, Trasparenza e contratti del consumatore. La novella al codice civile,

Napoli, 1997, che individua nella trasparenza una nuova clausola generale, garantita da nullità di prote-zione, di cui si trova applicazione nell’art. 123 d.lgs. 385/1993 a proposito dell’obbligo di specificazio-ne del TAEG, su cui più avanti nel testo, negli art. 3 e 4 del d.lgs. 185/1999 a proposito di contratti a distanza, come per quelli del commercio dei quali pure si discuterà nel testo, ma anche a proposito del-la trasparenza bancaria. V. anche A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, artt. 1173-1176, in Commentario al codice civile Scialoja Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1988, 315 e ss., per la relazione tra doveri di informazione e obbligo di buona fede. Da ultimo cfr. l’analisi di A. SASSI, Equità e interessi fonda-mentali nel diritto privato, Perugia, 2006, p. 56 e passim, con riferimento alla fattispecie in esame, quale esem-pio di applicazione del canone di buona fede per la realizzazione della parità sostanziale delle parti.

Page 240: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 214

e sono necessariamente successivi alla conclusione degli stessi, mentre i rimedi collettivi si ispirano ad una funzione più generale e preventiva, mirando a scon-giurare il pericolo che in futuro vengano conclusi contratti individuali in cui sia-no incluse clausole ritenute abusive, predisposte dal contraente professionale per la serie di negozi che andrà a concludere.

L’organizzazione aziendale, la migliore conoscenza del prodotto o servizio offerto, e la standardizzazione delle controversie che potrebbero insorgere nell’esecuzione del contratto ed, innanzi tutto, la posizione di maggiore forza contrattuale, consentono, infatti, al contraente professionale di individuare tutta un serie di condizioni, a sé favorevoli e contrarie agli interessi del consumatore, alla cui sottoscrizione questo può essere costretto dalla necessità di concludere il negozio, dall’indisponibilità di valide alternative, tanto in termini di qualità del prodotto che di condizioni dell’acquisto, e comunque dalla minore consapevo-lezza degli effetti del negozio.

Appare evidente come, al fine dell’effettiva tutela dell’equità di questo ge-nere di rapporti contrattuali siano di gran lunga più efficaci interventi preventivi, ed inibitori dell’inserimento delle clausole abusive nei singoli contratti negoziati dai consumatori.

L’art. 7 della citata direttiva statuisce, a tale scopo, l’obbligo per gli Stati Membri di fornire i mezzi adeguati per far cessare l’inserimento di clausole abu-sive nei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore, permettendo a persone o organizzazioni di difesa dei consumatori di adire le autorità giudizia-rie o amministrative, perché stabiliscano il carattere abusivo delle clausole rivol-te ad un impiego generalizzato, ed in tale ipotesi applichino i mezzi opportuni per far cessare l’inserzione di tali clausole.

L’obbligo di adeguamento è stato assolto, dal legislatore italiano, con l’in-troduzione dell’art. 1469-sexies c.c., oggi trasfuso nell’art. 37 del codice del con-sumo, che ha introdotto l’azione delle associazioni rappresentative dei consuma-tori, di quelle dei professionisti e delle camere di commercio, contro il profes-sionista o l’associazione di professionisti che utilizzi le predette clausole vessato-rie, al dine di ottenere l’ordine inibitorio dell’uso delle medesime, con ulteriore previsione di un rimedio di urgenza, esperibile dalle medesime associazioni, qua-lora ricorrano “giusti motivi di urgenza” (cfr. art. 1469-sexies, 2° comma), ai sen-si dell’art. 669-bis c.p.c.

Si discute, a tale proposito, di “gestione sociale” dei conflitti tra consuma-tori e produttori, sul modello della sindacalizzazione dei rapporti di lavoro spe-rimentata negli anni ‘70, contestandone l’efficacia relativa, specialmente per la

Page 241: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 215

mancanza di una cultura diffusa dei diritti dei cittadini consumatori, proponen-do il modello alternativo delle class actions di esperienza statunitense42.

Caratteristica dell’azione è la ripartizione dei risultati positivi del giudizio a favore di tutti gli appartenenti alla class, la riduzione dei costi attraverso il patro-cinio di associazioni e gruppi di legali che acconsentono a subordinare la retri-buzione per la propria opera intellettuale al successo giudiziario, e la facoltà di uno qualunque dei cittadini che si trovino in una situazione diffusa, di farsi “rappresentante” degli interessi del gruppo, o class43.

Merita ricordare la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 10 aprile 200444, che nella controversia tra un’associazione di consumatori e l’operatore pubblici-tario (nella specie un fornitore di telefonia mobilie), avente ad oggetto l’inibi-toria collettiva e cautelare prevista allora dall’art. 3, 6° comma, della legge statu-to dei consumatori n. 281/1998, ora trasfusa nel codice del consumo, ha ordina-to la cessazione della diffusione della campagna pubblicitaria, pur già sospesa dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il mercato e sanzionata dal Comita-to di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, “trattandosi di stru-menti di protezione del concorrente che non impediscono l’adozione di un provvedimento inibitorio urgente, colto ad impedire per il futuro la ripresa dei messaggi decettivi”.

Nella sostanza si trattava della promozione dell’acquisto di un terminale te-lefonico e di servizi telefonici realizzata attraverso spot che presentavano l’opportunità di ricevere “gratis” il telefono, mentre le condizioni di fruizione del servizio, prestabilite in linea generale dall’operatore telefonico con apposito regolamento di servizio e trasfuse nei contratti per l’attivazione di piani telefoni-ci in abbonamento o ricaricabili promossi dai dettaglianti, imponevano un costo

——— 42 A. M. MUSY, La protezione dei consumatori in Italia. Rilievi comparatistici sul nostro modello di tutela, in

Questione giustizia, 2001, 2, p. 234 ss. 43 Cfr. L. MEZZASOMA, Tutela del consumatore ed accesso alla giustizia: l’introduzione della class action, in

Rass. dir. civ, 2005, p. 776 ss. Il Consiglio dei ministri del 30 giugno 2006 ha approvato un disegno di legge istitutivo dell’azione

collettiva a tutela dei consumatori e degli utenti in conformità con la normativa comunitaria. In parti-colare, si prevede che le associazioni di consumatori e utenti riconosciute dal Ministro dello Sviluppo Economico, le associazioni di professionisti e le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agri-coltura possono richiedere al tribunale del luogo dove ha la residenza o la sede il convenuto, la con-danna al risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncor-renziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti.

44 In Giur. merito, 2004, p. 1352, in Danno e resp., 2004, p. 873, in Gius, 2004, p. 2735, in Giur. roma-na, 2004, p. 134.

Page 242: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 216

di acquisizione del telefono, concesso in comodato e non in proprietà, oltre a soglie minime di traffico telefonico in uscita e ricevuto da altri operatori, un ri-levante vincolo di durata del contratto e penali per il recesso anticipato com-plessivamente superiori al costo di acquisto del terminale telefonico.

Il giudice ha ritenuto la vessatorietà delle clausole, aventi per effetto di con-sentire al professionista di recedere dal contratto senza congruo preavviso, di impegnare il consumatore ad un risultato non interamente dipendente dalla sua volontà (quanto al traffico ricevuto), ed al pagamento di penali per il recesso di importo sproporzionato in relazione alla valutazione di eventi aleatori, e l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario.

Per l’effetto, ritenuta la violazione del “diritto alla correttezza, trasparenza, equità dei rapporti contrattuali, alla efficienza ed alla qualità dei servizi resi”, e che dunque “le predette clausole da ritenersi vessatorie determinano, a danno dei consumatori, una ingiustificata ed eccessiva asimmetria nelle contrapposte posizioni contrattuali” l’azione collettiva ha prodotto tanto il risultato inibitorio dell’inserzione delle predette clausole nei contratti con i consumatori, quanto l’ordine inibitorio della diffusione dei messaggi pubblicitari con i quali si solleci-tava la conclusione dei predetti contratti, ordinando anche la pubblicazione della decisione sui maggiori quotidiani.

11. — Il commercio elettronico. A proposito dei contratti conclusi attraverso elaboratori elettrici o reti te-

lematiche il codice del consumo si limita a rinviare al dettato del d.lgs. 70/2003, stabilendo tuttavia i criterio del rinvio nella distinzione tra e-commerce business to consumer ed e-commerce business to business, specificando che in caso di contrasto tra la disciplina di settore ed il codice del consumo, sono le disposizioni di questo a prevalere.

In particolare, va sottolineato che, in caso di commercio elettronico indiret-to, nel quale i beni, ordinati e pagati in via elettronica, sono consegnati attraver-so modalità non elettroniche, il codice del consumo si applica alle fasi che si volgono off line, mentre il d.lgs. 70/2003 si applica al commercio elettronico diretto, o alle fasi on line di quello indiretto.

In tali termini vanno pertanto integrate, ad esempio, la disciplina della pub-blicità contenuta nel codice del consumo con quella dettata dall’art. 9 del d.lgs. 70/2003, destinato a contrastare il fenomeno dello spamming.

Page 243: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - IL CODICE DEL CONSUMO 217

A tal fine, si prevede, tra l’altro, l’identificabilità delle comunicazioni com-merciali non sollecitate, in modo chiaro e compensibile, fin dal momento del ricevimento delle medesime, in modo che il destinatario possa riconoscerle già dalla “busta” della posta elettronica, senza che debba necessariamente aprire il messaggio.

La violazione dell’obbligo, attraverso l’uso di spyware, adware e cookies, confi-gura altresì violazione dell’obbligo di trasparenza pubblicitaria e di rispetto della privacy, con riguardo all’art. 7 del codice in materia di protezione dei dati per-sonali introdotto con d.lgs. 30 giugno 2003, che consente all’interessato di op-porsi al trattamento di dati personali, per scopi pubblicitari in senso lato, e pre-vede il diritto di essere informato di tale facoltà, secondo l’opzione dell’opt-out, riguardo sicché il trattamento di dati personali indirizzato l’invio di materiale pubblicitario o alla stipulazione di contratti può essere avviato dagli operatori commerciali senza il previo consenso dell’interessato, ma deve cessare in caso di esplicito dissenso di quest’ultimo.

Sono spyware i programmi che, durante la connessione alla rete internet, tra-smettono ad un server remoto indicazioni sul navigatore, tanto con riguardo alle sue preferenze quanto al suo indirizzo I.P., mail o addirittura ai dati anagrafici ed al numero della carta di credito utilizzata in rete; gli adware costituiscono in-vece programmi concessi in uso a condizione che l’utente accetti di ricevere comunicazioni commerciali, archiviate nel proprio hard disk; i cookies costitui-scono invece indicatori che possono essere rilevati dall’elaboratore del client for-nitore di informazioni ad ogni accesso successivo a quello durante il quale sono stati depositati nella memoria del computer del navigatore.

Per ognuna di queste fattispecie è dunque applicabile la formula dell’opt-out, a condizione che il navigatore sia informato, non oltre il momento in cui i dati sono comunicati o diffusi, dal titolare del trattamento dei dati personali di tale possibilità di esercitare gratuitamente tale diritto opporsi al trattamento mede-simo.

È invece applicabile le regola dell’opt-in alle comunicazioni elettroniche com-piute attraverso e-mail, telefax, messaggi mms o sms, per scopi pubblicitari.

Il codice del consumo esplica invece la propria rilevanza a proposito del-l’obbligo di inequivocabile indicazione dello scopo commerciale delle informa-zioni rese al consumatore, disposto in via generale per tutti i contratti a distanza dall’art 52, comma 2, mentre gli obblighi generali di informazione, dettati dall’art. 5 del medesimo codice, sono integrati dal d.lgs. 70/2003, con speciale riferimento alle “clausole e condizioni generali del contratto proposto al destina-

Page 244: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 218

tario”, che “devono essere messe a sua disposizione in modo che gli sia consen-tita la memorizzazione”, disposizione applicabile anche ai contratti di cui non sia parte un consumatore ed un professionista, ma due professionisti o due con-sumatori.

La previsione costituisce deroga all’onere generale di informazione sulle condizioni generali di contratto, previsto dall’art. 1341 c.c. con l’inserzione au-tomatica delle stesse nei singoli contratti sul presupposto della loro mera cono-scibilità, in quanto l’aderente è tenuto a visionare unicamente il mezzo di comu-nicazione elettronica attraverso cui le stesse sono messe a sua disposizione per la memorizzazione45.

——— 45 F. RICCI, Commento all’art. 68, in Codice del consumo. Commentario, cit., p. 497 s.

Page 245: Diritto privato del mercato

CAPITOLO SECONDO

CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La disciplina vigente sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi e le applicazioni giurisprudenziali. — 3. Il prodotto difettoso ed il pro-dotto insicuro. — 4. De iure condendo.

1. — Premessa. La tutela del consumatore1 si è affermata, negli ultimi anni, come un ele-

mento catalizzatore di un vero e proprio filone normativo che si è sviluppato

——— 1 V., in generale, sulla nozione di consumatore, fra tanti e fra i più recenti, G. ALPA, Consumatore

(protezione del) nel diritto civile, in Dig. IV ed., sez civ., Disc. priv., III, Torino, 1988, p. 542 ss.; G. ALPA e G. CHINÈ, Consumatore (protezione del) nel diritto civile, ivi, App., XV, Torino, 1997, p. 541 ss.; N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 49 s.; S. RODOTÀ, Persona-Consumatore, in P. STANZIONE (a cura di), La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, Atti del Convegno di Salerno 21 e 22 ottobre 1994, Napoli, 1999, p. 19 ss.; V. ZENO-ZENCHOVICH, Consumatore (tutela del): I) Diritto civile, in Enc. giur. Trec-cani, Agg., VIII, Roma, 2000, p. 1 ss.; G. GHIDINI e C. CESARANI, Consumatore (tutela del) (diritti civili), in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001, p. 264 ss.; G. ALPA, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contratti, 2001, p. 205 ss.; ID., Il diritto dei consumatori, nuova ed., Roma-Bari, 2002, p. 35 ss.; I. FERRANTI, Etica del diritto privato commerciale, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica del diritto privato, II, Padova, 2002, p. 340 ss.; G. CHINÈ, Il consumatore, in N. LIPARI (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, 2ª ed., Padova, 2003, p. 435 ss.; L. GAROFALO (a cura di), Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, Padova, 2003, p. 36 ss.; P. MENGOZZI, La nozione di consumatore, la direttiva CEE 93/13 ed il diritto italiano, in Contr. e impresa/Europa, 2002, p. 54 ss.; L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comu-nitario, Napoli, 2003, p. 180 ss.; A. M. AZZARO, Tutela del “consumatore” e regolazione del mercato, in Giust. civ., 2003, II, p. 237 ss.; F. BOCCHINI, Nozione di consumatore e modelli economici, in ID. (a cura di), Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, I, Gli scambi, Torino, 2003, p. 25 ss.; F. ASTONE, Ambito di applicazione soggetti-va. La nozione di “consumatore” e di “professionista”, in G. ALPA e S. PATTI (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, in Comm. cod. civ. Schlesinger, Milano, 2003, p. 139 ss.; P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, in P. PERLINGIERI, E. CATERINI, (a cura di), Il diritto dei consumi, I, Rende, 2004, p. 13 ss.; M. PENNASILICO, L’interpretazione dei contratti del consumatore, ivi, I, p. 145 ss.; G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, in Tratt. dir. priv. Iudica e Zatti, Milano, 2005, p. 282 ss.; E. GABRIELLI, Il consumatore e il professionista, in E. GABRIELLI, E. MI-NERVINI, I contratti dei consumatori, I, in Tratt. contratti Rescigno-Gabrielli, 3, Torino, 2005, p. 5 ss.; P. PER-LINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006, p. 512 ss. Anche la giurisprudenza ha tentato di definire il consumatore v., in particolare: Trib. Roma 20 ottobre 1999, in Foro it., 2000, I, 2, c. 645, con osservazioni di G. LENER; Cass., 25 luglio 2001, n. 10127, in Contratti, 2002, p. 338, con nota di I. CASERTA, in Giust. civ., 2002, I, p. 685, con nota di F. DI MARZIO; Corte giust. CE, 22 novembre 2001, causa C- 541/99 e causa C-542/99, in Corr.

Page 246: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 220

secondo le linee di una precisa scelta legislativa comunitaria che trae origine dal Trattato istitutivo della Comunità Europea del 19572 (ove, però, gli interessi dei consumatori erano tutelati solamente in via indiretta e in stretto collegamento con la necessità di garantire lo svolgimento della libera concorrenza) e che, con il passare degli anni3, è divenuto uno degli specifici obiettivi che la Comunità si è prefissata di perseguire.

In particolare, dopo l’Atto Unico Europeo del 19874, che si era indirizzato verso l’affermazione di un “elevato livello di protezione” degli interessi dei con-sumatori, ed il Trattato di Maastricht5 sull’Unione Europea, il quale aveva stabi-lito che la Comunità avrebbe dovuto porre in essere “azioni specifiche di soste-gno e di integrazione della politica svolta dagli Stati membri, al fine di tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro un’informazione adeguata”6, il Trattato di Amsterdam7 ha, definitivamente, as-segnato alla politica di tutela dei consumatori una valenza autonoma, svincolata dal programma di sviluppo del mercato interno8. In esso, finalmente, si è verifi-

——— giur., 2002, p. 445, con nota di R. CONTI; Corte cost., 22 novembre 2002, n. 469, ivi, 2003, p. 1005, con nota di R. CONTI; Corte cost. (ord.), 16 luglio 2004, n. 235, in Foro it., 2005, I, c. 992, con nota di A. PALMIERI; Corte giust. CE, 20 gennaio 2005, causa C-464/01, in Corr. giur., 2005, p. 1381.

2 Sul Trattato di Roma e sulle sue successive modifiche v., da ult., L. FERRARI BRAVO, E. MOAVE-RO MILANESI, Lezioni di diritto comunitario, I, 4ª ed., Napoli, 2002, p. 17 ss.; U. DRAETTA, Elementi di diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Ordinamento e struttura dell’Unione europea, 4ª ed., Milano, 2004, p. 9 ss.; G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, nuova ed., Roma-Bari, 2005, p. 3 ss.; G. STROZZI, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Dal Trattato di Roma alla Costituzione europea, 3ª ed., Torino, 2005, p. 4 ss.

3 In proposito v., per tutti, la sintesi di T. BOURGOIGNIE, Droit et politique communitaires de la con-sommation, in AA.VV., Etudes de droit de la consommations, Paris, 2004, p. 95 ss.; F. MAZZASETTE, Tutela del compratore di beni mobili e garanzie convenzionali, in Vita not., 2005, III, p. 1829 ss.

4 Sul quale, per tutti, G. BOSCO, Lezioni di diritto internazionale. Commenti all’Atto unico europeo, Mila-no, 1992, p. 559 ss.; V. STARACE, Le innovazioni istituzionali dell’Atto unico europeo, in Dir. com. scambi int., 1992, p. 583 ss.; C. ZANGHÌ, Atto unico europeo, in Enc. dir., Agg., I, Milano, 1997, p. 229 ss.

5 V., in generale, E. MOAVERO MILANESI, Il Trattato di Maastricht e le novità che comporta: spunti di compendio e brevi riflessioni, in Dir. com. scambi int., 1992, p. 7 ss; R. SESTINI, Contenuti normativi e riflessi istitu-zionali del Trattato di Maastricht, in Doc. e giust., 1992, p. 876 ss.

6 Con l’introduzione dell’art. 129 A, secondo una parte della dottrina, si è inteso codificare, a livel-lo costituzionale comunitario, la tutela degli interessi dei consumatori: così, C.F. GIORDANO, Consuma-tore, in E. PICCOZZA (a cura di), Dizionario di diritto pubblico dell’economia, Rimini, 1998, p. 293 ss.

7 S. NEGRI, La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario alla luce del Trattato di Amsterdam, in Dir. Un. eur., 1997, p. 773 ss.; E. M. APPIANO, Il trattato di Amsterdam, in Contr. e impresa/Europa, 1997, p. 800 ss.; S. GOZI, Prime riflessioni sul Trattato di Amsterdam: luci e ombre sul futuro dell’Unione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, p. 917 ss.; A. TIZZANO, Profili generali del Trattato di Amsterdam, in Dir. Un. eur., 1998, p. 267 ss.; L. S. ROSSI, Con il Trattato di Amsterdam l’unione è piú vicina ai suoi cittadini?, ivi, 1998, p. 339 ss.; P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, cit., p. 9 ss.

8 G. ALPA, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, in Studium iuris, 1998, p. 1311 ss., il quale rile-va che con il Trattato di Amsterdam si perviene alla individuazione di diritti oggetto di disposizioni di

Page 247: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 221

cato l’auspicato ridimensionamento della centralità del mercato, cosicché le fina-lità perseguite non si esauriscono più “nella mera soddisfazione del profitto ma tendono, attraverso i riferimenti alla socialità ed allo ‘sviluppo sostenibile’ ad una valutazione del mercato strumentale alla realizzazione anche degli interessi dei consumatori e dei cittadini in genere”9.

Una linea di azione che si è consolidata con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 200010, la quale, all’art. 38, sancisce, definitivamente, il riconoscimento dei diritti dei consumatori quali valori comuni agli Stati membri, cui risulta assoggettato sia il diritto comunita-rio, che gli organi giurisdizionali comunitari e nazionali. Il Trattato Costituzio-nale dell’Unione Europea del 200411, il quale eleva a rango costituzionale euro-peo i diritti della persona12 – di guisa che si può affermare che la disciplina co-munitaria tiene oramai in piena considerazione profili di personalismo e solida-——— natura precettiva e non piú di natura programmatica. Sull’art. 153, v., per tutti, D. STAUDENMAYER, Europäisches Verbraucherschutzrecht nach AmsterdamStand und Perspektiven, in Recht int. Wirstschaft, 1999, 10, p. 733 ss.; F. SEATZU, Le nuove basi giuridiche della politica dei consumatori nel Trattato di Amsterdam, in Dir. com. scamb. int., 2000, p. 809 ss.; G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., p. 47 ss.; F. ESTEBAN DE LA ROSA, La protección de los consumidores en el mercado interior europeo, Granada, 2003, p. 12 ss.

9 P. PERLINGIERI, op. ult. cit., p. 12; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 510. 10 S. RODOTÀ, La Carta come atto politico e documento giuridico, in A. MANZELLA, P. MELOGRANI, E.

PACIOTTI, S. RODOTÀ, Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001, p. 59 ss.; F. M. DI MAJO, La carta dei diritti fondamentali dell’unione europea: aspetti giuridici e politici, in Europa e dir. priv., 2001, p. 41 ss.; G. VET-TORI, Carta europea e diritti dei privati, in G. VETTORI (a cura di), Carta europea e diritti dei privati, Padova, 2002, p. 53 ss.; M. GUARINO, La Carta dei diritti: una nuova tappa nell’evoluzione dei diritti fondamentali, in Nuove autonomie, 2003, p. 689 ss.; A. RUGGIERO, Il bilanciamento degli interessi nella Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione Europea, Padova, 2004, p. 22; U. VILLANI, I diritti fondamentali tra Carta di Nizza, Conven-zione europea dei diritti dell’uomo e progetto di Costituzione europea, in Dir. Un. eur., 2004, p. 73 ss.; G. ALPA e M. ANDENAS, op. cit., p. 68 ss.

11 V., per tutti, M. CONDINANZI, Il singolo e la “comunità di diritto” nel nuovo testo di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, in Corr. giur., 2004, p. 1545 ss.; S. MAZZAMUTO, Note minime in tema di auto-nomia privata alla luce della Costituzione europea, in Europa e dir. priv., 2005, p. 51 ss.; G.B. FERRI, Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, ivi, 2005, p. 11 ss.; G. ALPA, Nuove prospettive della protezione dei consumatori, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 104 ss.; G. ALPA e M. ANDENAS, op. cit., p. 71 ss.; S. GAMBINO, Diritti fondamentali europei e Trattato costituzionale, in M. SCUDIERO (a cura di), Il Trattato costitu-zionale nel processo di integrazione europea, II, Napoli, 2005, p. 963 ss..

12 P. PERLINGIERI, Giustizia secondo Costituzione ed ermeneutica, Prolusione tenuta il 19 gennaio 2006 alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali L. Migliorini, dell’Università degli Studi di Pe-rugia. V., inoltre, G. ALPA, M. ANDENAS, op. cit., p. 305, per i quali: “poiché non è concepibile che le politiche dell’Unione possano porsi in contrasto con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costitu-zione europea, i diritti fondamentali diventano un limite all’azione comunitaria nel settore. Pertanto l’art. 153 (ex 129) del Trattato CE […] deve essere riletto alla luce delle disposizioni della Costituzione europea. L’incorporazione della Carta di Nizza, che prevede questi diritti, nel testo della Costituzione implica il riconoscimento della sua valenza giuridica e non solo politica. E pertanto implica la applicabili-tà diretta di queste disposizioni ai rapporti tra privati”; P. CARETTI, La tutela dei diritti fondamentali nel nuovo trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, in Dir. Un. eur., 2005, p. 371 ss.

Page 248: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 222

rismo13 – dedica, poi, un’apposita sezione alla protezione dei consumatori, spe-cificando all’art. II-98 che “nelle politiche dell’Unione è garantito un livello ele-vato di protezione dei consumatori”. Il primato della persona sul mercato è o-ramai definitivo e, con certezza, si può affermare che esso stesso è divenuto uno degli strumenti proprio per la realizzazione degli interessi dei consumatori (quali persone e cittadini). Necessariamente, in tale contesto, emerge la necessità di di-stinguere diritti che attengono al consumatore quale persona ed interessi eco-nomici che riguardano i consumatori in quanto tali14: diverse saranno le grada-zioni della tutela, proprio a seconda delle esigenze che l’atto di consumo mira a soddisfare; se essenziali e, quindi rientranti tra quelle primarie per l’individuo, oppure effimere e, quindi, al di fuori di esse e della conseguente specifica tutela dettata per la persona in quanto tale15.

E, così, sia a livello comunitario, in attuazione di tali linee politiche generali, che a livello nazionale, in sede di recepimento delle varie Direttive, è stata ema-nata una copiosissima normativa di tutela degli specifici diritti dei consumatori, normativa che, da un lato, ha portato ad affermare la sottoposizione del produt-tore a forme di responsabilità extracontrattuale particolarmente gravose, nonché a sanzioni amministrative e penali di fronte all’immissione nel mercato di pro-dotto difettosi ed insicuri16; dall’altro, ad introdurre specifiche regole nell’ambito contrattuale, ove il consumatore è stato identificato con la figura del contraente debole da tutelare nei confronti dell’imprenditore, quale contraente forte17, an-

——— 13 In proposito v., ampiamente, P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trat-

tato di Amsterdam, cit., p. 12 ss. 14 P. PERLINGIERI, I diritti umani come base dello sviluppo sostenibile. Aspetti giuridici e sociologici, in P.

PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, Napoli, 2005, p 76, il quale mette in luce che “i diritti dei consumatori vengono esercitati soltanto da chi consuma, da chi fa parte del mercato ed è tutelato in quanto acquirente di un bene o di un servizio che il mercato gli offre, da una precisa normativa; ben diversi sono i diritti umani, i quali attendono alla esistenza della persona, alla stessa es-senza della persona”.

15 P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, in Riv. giur. Molise e Sannio, 1995, p. 99, che evidenzia come vi sia “la necessità di una forte diversificazione tra i diversi settori di consu-mo. Certamente non assumono la medesima rilevanza il diritto all’informazione, alla formazione, all’istruzione, dunque il diritto alla scuola ed allo studio, ed il diritto alle vacanze o all’acquisto del gio-cattolo, esigenza quest’ultima sicuramente importante per la realizzazione dello sviluppo della persona-lità ma che non assume un carattere di essenzialità tale da dover essere garantita a tutti”.

16 V. da ult., F. CAFAGGI, La responsabilità dell’impresa per i prodotti difettosi, in N. LIPARI (a cura di) Trattato di diritto privato europeo, IV, 2ª ed., Padova, 2003, p. 515 ss.

17 Sugli interventi comunitari in materia contrattuale a tutela del consumatore v., per tutti, E. CA-POBIANCO, Diritto comunitario e trasformazioni del contratto, Napoli, 2003, p. 13 ss.; F. CRISCUOLO, Diritto dei contratti e sensibilità dell’interprete, Napoli, 2003, p. 40 ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costi-tuzionale, cit., p. 329 ss., il quale mette in luce che: “l’obiettivo comunitario di promuovere l’unione e-

Page 249: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 223

che se non vi è necessaria ed assoluta identità tra consumatore e contraente de-bole18. Una normativa “rivolta a tutelare piuttosto gli interessi del consumatore che quelli dell’impresa e improntata, rispetto all’antica distinzione, ad un vero e proprio capovolgimento di prospettive: mentre nella vecchia logica era suffi-ciente che uno dei contraenti rivestisse la veste di commerciante perché si appli-casse la disciplina a questi più favorevole ora la presenza del consumatore, da un lato, e del produttore-professionista, dall’altro, importa l’applicazione della di-sciplina più favorevole al primo”19. ——— conomica e monetaria e lo sviluppo equilibrato delle attività economiche dei Paesi membri si è tradotto in una normativa che incide sull’autonomia contrattuale nel senso non tanto di ‘limitarla’, quanto di ‘modularla’ in funzione del progressivo conseguimento delle finalità indicate” […] “a) in tutte le aree dell’autonomia contrattuale interessate dalla disciplina comunitaria un ruolo decisivo è attribuito alla veste che assume e con la quale è ‘veicolata’ l’informazione dovuta dal ‘professionista’ al consumato-re/utente e, più ampiamente, nella quale è concluso il contratto: la forma scritta; sì che anche nell’ordinamento comunitario si discorre di ‘rinascita’ del formalismo o di ‘neoformalismo’, per fi-nalità ben diverse da quelle di un tempo; b) appare sempre più concretamente l’opportunità di una diversificazione in seno alla categoria, tradizionalmente “monolitica”, dell’autonomia contrattuale, da operare in ragione della natura dei soggetti che la esplicano: sì che potrebbe distinguersi tra au-tonomia del ‘professionista’ e autonomia del consumatore/utente; c) parallelamente si va concre-tando la rilevanza dello stato di debolezza economica dei soggetti, anche se ‘professionsiti’, nei con-fronti di chi comunque sia in grado di determinare un eccessivo squilibrio degli obblighi program-mati nell’esplicazione dell’autonomia contrattuale; d) il processo di ‘ravvicinamento’ degli ordinamenti dei Paesi membri della Comunità, pur con le inevitabili resistenza e con le oggettive difficoltà, sembra procedere con passi meno incerti”. Cfr., inoltre, L. ROSSI CARLEO, La codificazione di settore: il codice di consumo, in Rass. dir. civ., 2005, p. 887 s., la quale evidenzia che: “la più recente strategia della politica dei consumatori 2002-2006 porta a ritenere in via di superamento definitivo la individuazione del consumatore quale parte debole. L’invito a sostenere quello che la Commissione ha indicato come l’approccio generale configura il consumatore non più come ‘controparte’, ma come parte fondamenta-le delle dinamiche del mercato in grado di indirizzare l’azione del mondo imprenditoriale guidando l’attività delle associazioni verso forme di tutela non solo preventiva, ma anche successiva. In questa prospettiva, la stessa ‘standardizzazione’, imponendo al professionista determinati comportamenti, si pone come strumento di tutela dei consumatori”.

18 A volte, infatti, vi sono consumatori che non sono contraenti deboli, altre volte vi sono contra-enti deboli che non sono consumatori. Sul punto, P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, cit., il quale sottolinea che il consumatore “non sempre è debole, neppure economicamente. L’esempio dell’acquisto di organi portato da Stefano Rodotà deve far riflettere. I consumatori di de-terminati beni, se uniti, costituiscono un gruppo di pressione forte e condizionante, come pur è stato ricordato. D’altro canto, si può essere protagonisti del mercato quali produttori in un certo settore e consumatori in altro: a volte il produttore è consumatore e portatore di handicaps culturali e psicofisici, utente di servizi non organizzati a scopo di lucro, di servizi pubblici essenziali, consumatore in regime di monopoli di fatto e via discorrendo. Sono tutte situazioni estremamente diversificate”. Nello stesso ordine di idee con riguardo, poi, a profili più specifici, ID., La tutela del “contraente debole” nelle negoziazioni immobiliari. Traccia di un possibile Convegno, in Rass. dir. civ., 2000, p. 746 ss.; ID., Relazione conclusiva, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, in Atti del Convegno di studi in onore del Prof. Car-melo Lazzara, Catania, 12-14 settembre 2002, Milano, 2005, p. 854.

19 V. RIZZO, La disciplina del codice civile sulle condizioni generali di contratto e la tutela dell’aderente-consumatore: sua insufficienza, in Il diritto dei consumi, cit., I, p. 203.

Page 250: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 224

In tale contesto, l’esigenza di riequilibrare le loro posizioni, alla ricerca del-l’affermazione del principio della cosiddetta giustizia contrattuale20, ha portato all’emanazione di una vera e propria legislazione di settore che è andata ad inci-dere su quella che era la tradizionale disciplina del contratto contenuta nel no-stro codice civile21, comprimendo significativamente il dogma dell’autonomia con-trattuale22.

D’altronde, l’attuale modo di prospettarsi del mercato, che esige “accanto ad una produzione e ad una distribuzione di massa, anche una negoziazione di massa”, aveva fatto sì che, di fronte alla significativa rarefazione delle ipotesi di contratti conclusi in séguito ad effettive trattative, il principio dell’eguaglianza formale dei contraenti di fatto divenisse una vera e propria illusione, in un con-testo nel quale uno degli stipulanti riesce ad imporre ad un numero elevatissimo ed indefinito di soggetti un determinato regolamento contrattuale dettato dalla necessità di disciplinare in maniera uniforme – e per lui particolarmente vantag-giosa – tutti i propri rapporti di scambio23.

——— 20 V., in proposito, L. DI NELLA, op. cit., p. 413 ss. 21 R. CALVO, I contratti del consumatore, in Tratt. dir. comm. dir. pubb. ec. diretto da F. Galgano, Padova,

2005, p. 2, il quale rileva che “la disciplina generale del contratto diventa pertanto diritto comune nell’area dei rapporti fra imprenditori, fra imprenditori e liberi professionisti e fra “consumatori”, men-tre l’atto di consumo finisce col descrivere una disciplina a latere che interviene allorché il vincolo giuri-dico leghi il professionel all’homme faible”; G. ALPA, Art. 1, Finalità ed oggetto, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 26, per il quale “il diritto dei consumatori costituisce non tanto una disciplina autonoma, scientificamente, e un settore autonomo, normativa-mente, rispetto alle altre regole del diritto civile (incluse quelle del diritto commerciale) e all’ordinamento civile, quanto piuttosto ne costituiscono una sotto specificazione. In altri termini, il diritto dei consumatori appartiene all’area tematica, scientifica e normativa del diritto comune, pur pre-sentando rispetto ad essa una serie di deroghe, regole speciali, fattispecie normate che se ne differen-ziano”.

22 Sulla nuova realtà venuta a crearsi in materia di contratto, G. VETTORI, (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1999; P. PERLINGIERI, Nuovi profili del contratto, in Rass. dir. civ., 2000, p. 545 ss., in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi di diritto civile, Napoli, 2003, p. 417 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 361 ss.; A. GENTILI, I princípi del diritto contrat-tuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, p. 20 ss.; V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contatto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto del duemila, Torino, 2002, p. 23 ss.; P.G. MONATERI, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 409 ss. F. CRISCUOLO, Diritto dei contratti e sensibili-tà dell’interprete, cit., p. 168 ss.; G.P. CALABRÒ, Tutela del contraente debole e mercato: la dialettica tra norme e valori, in Il diritto dei consumi, cit., I, p. 35 ss.; M. PENNASILICO, op. cit., p. 148 ss. Cfr., inoltre, L. DI NEL-LA, op. cit., p. 14 ss., che, con una efficace sintesi, si sofferma sulla legittimità, in chiave costituzionale, delle limitazioni da parte del legislatore ordinario dell’autonomia contrattuale.

23 V. RIZZO, op. cit., p. 197 ss. Su come le grandi imprese nell’era della globalizzazione utilizzino, in certi settori, contratti standard in tutti i Paesi di azione, anche prescindendo dalle regolamentazioni vigenti dei singoli ordinamenti, S. PATTI, La “globalizzazione” e il diritto dei contratti, in Nuova giur. civ. comm., II, 2006, p. 149 ss.

Page 251: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 225

Il principio in base al quale l’ordinamento rinuncia ad intromettersi nella relazioni interindividuali appare mitigato24 ed alla “libera determinazione del contenuto del negozio si sostituisce una libertà di autonomia contrattuale limita-ta dal divieto di approfittamento della parte più forte a scapito della parte più debole”25, la quale diviene titolare di una serie di strumenti di tutela volti, però, non alla integrale caducazione del contratto, ma alla sua conservazione ed al rie-quilibrio del rapporto26, con la conseguente attenuazione della “forza di legge” del contratto27. Esigenza di riequilibrio del rapporto che, superata anche la sua iniziale e limitata operatività con riguardo alla sola realtà consumeristica, è anda-ta ad intervenire in maniera più ampia nelle varie situazioni di squilibrio28, ridi-segnando non solo dogmi ed istituiti tradizionali, come quello della nullità e del-le sue caratteristiche, ma anche assegnando un ruolo sempre più significativo al giudice al quale viene attribuito il compito di assicurarne il raggiungimento, sia con un controllo di meritevolezza dell’interesse perseguito che deve riguardare contratti atipici e contratti tipici29, sia con il ricorso a con specifici poteri di ride-terminazione del contenuto delle pattuizione inique30. Le nuove regole e i nuovi

——— 24 B. MARUCCI, Equilibrio contrattuale: un principio nella continuità, in R. FAVALE e B. MARUCCI (a cura

di) Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, II, Napoli, 2003, p. 105 ss. Cfr., tuttavia, C. CAMARDI, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rap-porti “reticolari”, in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 581 ss., la quale sottolinea che “il controllo dello squilibrio contrattuale rimane una funzione del tutto eccezionale e specifica anche nell’attuale sistema differenzia-to del diritto dei contratti”.

25 I. FERRANTI, op. cit., p. 351. V., inoltre, S. PATTI, I contratti del consumatore nel sistema del diritto civile, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, cit., p. 470, il quale evidenzia che la nuo-va normativa ed il controllo contenutistico da essa introdotto non appare essere in linea con il codice civile.

26 M. PENNASILICO, op. cit., p. 148 ss. Sul ruolo che svolge in tale contesto il principio di propor-zionalità, “quale espressione di un assetto generale dell’ordinamento fondato sulla costante ricerca di mediazione tra esigenze di certezza del diritto e di giustizia sostanziale”: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 379 ss.

27 V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 786 s.

28 Cfr., G. AMADIO, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. dir. priv., 2005, p. 289 ss., per il quale: “l’identificazione del contraente debole con riguardo esclusivo alla dimensione (e legislazione) consumeristica è definitivamente supera-ta, e accanto ad essa si è fatta strada l’immagine del professionista debole, protagonista di una contrattazio-ne “terza” per così dire rispetto alle prime due: nella quale, l’asimmetria di potere contrattuale assume connotazioni così peculiari, da richiedere con ogni probabilità un approccio protettivo differenziato”.

29 P. PERLINGIERI, Relazione conclusiva al Convegno “La tutela del contraente tra persona e mercato”, Termoli, 19 e 20 maggio 2006.

30 Il riferimento è, in particolare, all’art. 7, comma 3°, del d. lgs., 9 ottobre 2002, n. 231, attuativo della Direttiva comunitaria n. 35 del 2000, in tema di ritardi di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ove si disciplina la nullità dell’accordo fra debitore e creditore sulla data del pagamento

Page 252: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 226

principi “nati a salvaguardia di esigenze scaturite dalla tutela del consumatore, introducono nel sistema, considerato appunto nella sua unitarietà, una più ade-guata protezione di interessi. Protezione che l’interprete finirà inevitabilmente con l’utilizzare anche nei contratti c.dd. di diritto comune”31.

Il contratto, d’altronde, ha assunto un ruolo di governo nella società e non può più limitarsi solo a ratificare le regole del mercato, ma deve assumere il compito di intervenire nella gerarchia dei valori che disciplinano la convivenza civile32. ——— che abbia un contenuto iniquo in danno del creditore (è il creditore, diversamente dal tradizionale favor debitoris, e non più il debitore la parte debole del rapporto contrattuale – S. MAZZAMUTO, Il diritto civile europeo e i diritti nazionali: come costruire l’unità nel rispetto delle diversità, in Contr. impresa/Europa, 2005, p. 528 s. –), specificando che “il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore e alla corretta prassi commerciale, applica i termini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”; su cui: E. MINERVINI, La nullità per grave iniquità dell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, in Dir della banca, 2003, I, p. 199 s.; A. BREGOLI, La legge sui ritardi di pagamento nei contratti commerciali: prove (maldestre) di neodirigismo?, in Riv. dir. priv., 2003, p. 715 ss.; V. PANDOLFINI, La nullità degli accordi “gravemente iniqui” nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, p. 511 ss.; D. MAFFEIS, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, ivi, 2003, p. 630 ss.; S. ZUCCHETTI, Commento ad art. 7 (Nullità), in G. DE CRISTOFARO (a cura di), La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Nuove leggi civ. commentate, 2004, p. 588 ss.; G. AMADIO, op. cit., p. 289 ss.; R. ALESSI, Contratti dei consumatori e disciplina generale del contratto dopo l’emanazione del Codice del Consumo, in Il Diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista, Atti del 1° Convengo Nazionale S.I.S.D.C., Capri 7-8-9 aprile 2005, Napoli, 2006, p. 821. In questo contesto do-veroso appare ricordare che, già in precedenza, la giurisprudenza (Cass., 24 settembre 1999, n. 10511, in Giur. it., 2000, p. 1154 ss., con nota di G. GIOIA; in Foro it., 2000, I, c. 1929, con nota di A. PALMIE-RI), aveva ammesso la riducibilità di una clausola penale da parte del giudice prescindendo da una e-spressa iniziativa in tal senso dell’interessato, specificando che la “costituzionalizzazione dei rapporti di diritto privato non può ora non implicare anche un bilanciamento di ‘valori’, di pari rilevanza costitu-zionale, stante la riconosciuta confluenza nel rapporto negoziale – accanto al valore costituzionale dell’iniziativa economica privata (sub art. 41) che appunto si esprime attraverso lo strumento contrat-tuale – di un concorrente ‘dovere di solidarietà’ nei rapporti intersoggettivi ex art. 2 cost.”, su cui, da ult., G.B. FERRI, Autonomia contrattuale, doveri di solidarietà e ruolo del giudice, in Il Diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista, cit., p. 826 ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costitu-zionale, cit., p. 379.

31 P. PERLINGIERI, Nuovi profili del contratto, cit., p. 549, in ID., Il diritto dei contratti fra persona e merca-to, cit., p. 415 ss. In arg., con diverse impostazioni, G. ALPA, L’incidenza della nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori sul diritto comune, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p. 237 ss.; G. BENE-DETTI, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali, Napoli, 1997, p. 68 ss.; E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999, p. 56 ss.; P. SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 787 ss.

32 N. LIPARI, Interpretazione e integrazione del regolamento contrattuale, Relazione tenuta al Convegno: “Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?”, Treviso 23-25 marzo 2006. V., in proposito, F. GALGANO, Lex mercatoria, autonomia privata e disciplina del mercato, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, cit., p. 680 ss.; ID., Prefazione, in V. RICCIUTO, N. ZORZI (a cura di), Il contratto telematico, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ., XXVII, Padova, 2002, p. XV, il quale sotto-linea che “il contratto fra privati prende il posto della legge in molti settori della vita sociale. Si spinge fino a sostituirsi ai pubblici poteri nella protezione di interessi generali, propri dell’intera collettività,

Page 253: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 227

Con riguardo ai provvedimenti a tutela del consumatore non può essere sottaciuto un riferimento al recente codice del consumo33.

Con una scelta legislativa che si inquadra in un processo “codificatorio”34 riguardante numerosi settori35, scelta diversa da quella operata, generalmente, a livello europeo36, ove si è preferito novellare il codice civile, come in Olanda37 e Germania38, od emanare un vero e proprio testo unico di settore, come in

——— quale l’interesse dei consumatori, che i meccanismi di autodisciplina difendono contro gli inganni pubblicitari”.

33 D.lgs., 6 settembre 2005, n. 206, in attuazione della delega conferita al Governo con la l. 29 lu-glio 2003, n. 229. Sul fatto che l’intervento normativo statale in questione sia legittimo sotto il profilo della competenza legislativa (esclusiva dello Stato) risulta dalla nuova formulazione dell’art. 117, lett. l) della Costituzione, in quanto i rapporti tra professionisti e consumatori vanno annoverati nella materia dell’ordinamento civile. Inoltre, collegamenti in proposito si rinvengono anche nella lettera m) – de-terminazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale – e nella lettera e) – tutela del risparmio e dei mercati finanziari, tutela della concorrenza – sempre dell’art. 117 della Costituzione. In arg., G. ALPA, I diritti dei consumato-ri e il “Codice del consumo” nell’esperienza italiana in Contr. e impresa/Europa, 2006, p. 11 ss.; L. ROSSI CAR-LEO, Il Codice del consumo: prime impressioni fra critiche e consensi, ivi, 2006, p. 41, la quale mette in luce che la legislazione regionale può ancora trovare ampi spazi in materia.

34 V., in proposito, N. IRTI, ‘Codici di settore’: compimento della decodificazione, in Dir e soc., 2005, p. 131 ss.; L. ROSSI CARLEO, Il Codice del consumo: prime impressioni fra critiche e consensi, cit., p. 33 ss.; P. PERLIN-GIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p.175 ss.

35 Il riferimento è ai provvedimenti emanati in virtù dei poteri attribuiti all’Esecutivo in attuazione della delega conferita ex l. 29 luglio 2003, n. 229 (su cui, A. ZACCARIA, Dall’“età ella decodificazione” all’“età della ricodificazione”: a proposito della Legge n. 229 del 2003, in Studium juris, 2005, p. 697 ss.; N. LUPO, Dai testi unici “misti” ai codici: un nuovo strumentario per le politiche di semplificazione, ivi, 2004, p. 157 ss.; ), qua-li: il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs., 30 giugno 2003, n. 196); il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs., 1° agosto 2003, n. 259); il codice dei beni culturali e del paesaggio (decr. legisl., 22 gennaio 2004, n. 42); il codice dei diritti di proprietà industriale (d.lgs., 10 febbraio 2005, n. 30); il codice dell’Amministrazione digitale (d.lgs., 7 marzo 2005, n. 82); il codice della nautica da diporto (d.lgs., 18 luglio 2005, n. 171); il codice delle assicurazioni private (d.lgs., 7 settembre 2005, n. 209); il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture (d.lgs., 12 aprile 2006, n. 163).

36 Sulla possibilità di elaborare un codice europeo del consumo v., per tutti, F. OSMAN (coord.), Vers un code europeen de la consommation. Codification, unification et harmonisation du droit des Étas-membres de l’Union européenne, Bruselas-Bruylant, 1998, p. 399 ss.; F. ESTEBAN DE LA ROSA, op. cit., p. 20 ss.; S. CA-MARA LAPUENTE, op. cit., p. 55 ss.; C. AMATO, Per un diritto europeo dei contratti con i consumatori, Milano, 2003, p. 59 ss.; J.P. PIZZIO, Le droit de la consommation à l’aube de XXI° siécle. Bilan et perspectives, in AA. VV., Etudes de droit de la consommations, cit., p. 877 ss.

37 Il codice civile dei Paesi Bassi, entrato in vigore il 1° gennaio 1992, contiene al suo interno, nel 6° libro, tre sezioni dedicate alla normativa in materia di Diritto di consumo (responsabilità per danno da prodotti difettosi – titolo III, sez. III –, pubblicità menzognera – titolo III, sez. IV –, condizioni generali di contratto – titolo V, sez. III –). V., in proposito, E. IORATTI, Il nuovo Codice civile dei Paesi Bassi fra soluzioni originali e circolazione di modelli, in Riv. dir. civ., 1992, I, p. 117 ss.

38 La legge del 26 novembre 2001, di riforma del diritto del libro II delle Obbligazioni del BGB ha, infatti, introdotto al suo interno tutta la normativa “consumeristica”. V., in proposito, per tutti, G. DE CRISTOFARO (a cura di), La riforma del diritto tedesco delle obbligazioni, Padova, 2003; G. CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo dei contratti?, Padova, 2004; S.

Page 254: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 228

Spagna39 e Portogallo40, e che ha rari precedenti, tra cui spicca quello fran-cese41, il codice di consumo42 riunisce, in 146 articoli, ben 21 provvedimen-

——— PATTI, I contratti del consumatore e la ricodificazione tedesca, in Europa e dir. priv., 2003, p. 503 ss.; ID., Diritto privato e codificazioni europee, Milano, 2004, p. 91 ss.; L. DI NELLA, Il Verbraucher e l’Unternehmer nel sistema tedesco, in P. PERLINGIERI, E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, II, Rende, 2005, p. 395 ss.

39 Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios (l. 19 luglio 1984, n. 26 e succ. mod.) che, però, non appare più attuale alla luce di tutti i successivi provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria di settore. Tuttavia, è prevedibile la prossima emanazione di un Codigo de Consumo in Spa-gna – seppur riguardante le sole disposizioni di competenza statale e non la tutta la legislazione emana-ta dalle singole Comunità autonome con riferimento alle loro vaste competenze in materia di tutela del consumatore (cfr., A. CARRASCO PERERA (a cura di), El derecho de consumo en España: presente e futuro, Ma-drid, 2002, p. 40 ss.) –, tenuto conto che la legge n. 23 del 10 luglio 2003, disposición final cuarta, “habili-ta” il Governo ad emanare entro tre anni un unico testo contenente la Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios e tutti i provvedimenti di recepimento delle Direttive comunitarie “regularizando, aclarando y armonizando los textos legales que tengan que ser refundidos” (su cui v., per tutti, S. CÁMARA LA-PUENTE, El futuro del Derecho de consumo en el nuevo entorno del Derecho contractual europeo, in M.J. REYES LÓ-PEZ (a cura di), Derecho privado de consumo, Valencia, 2005, p. 57 s.).

40 L. 31 luglio 1996, n. 24 (ma, già precedentemente, l. 22 ottobre 1981, n. 29). Sulla situazione portoghese v., per tutti, A. PINTO-MONTEIRO, Lo droit de la consommation au Portugal, in AA.VV., Etudes de droit de la consommations, cit., p. 865 ss.

41 Code de la Consommation (l. n. 92-60 del 18 gennaio 1992), su cui v., per tutti, F. AUQUE, Loi n. 92-60 de 18 janvier 1992 sur la protection des consummateurs, in Riv. trim. dr. civ., 1992, p. 457 ss.; J. P. PIZZIO, La loi n. 92-60 du 18 janvier 1992 renforçant la protection des consummaturs, in Dalloz Act. lég., 1992, p. 181 ss.; E. PETIT, La codification de droit français de la consommation, in Rev. eur. dr. cons., 1993, p. 213 ss.; V. RIZZO, Le “clausole abusive” nell’esperienza tedesca, francese, italiana e nella prospettiva comunitaria, Napoli, 1994, passim; N. SAUPHANOR-BRAUILLAND, L’influence de droit de consommation sur le système juridique, Paris, 2000; J. CA-LAIS-AULOY, F. STEINMETZ, Droit de la consommation, 6ª ed., Paris, 2003. Sul Code de la Consommation cfr., tuttavia, G. ALPA, Presentazione al Codice del consumo, in http://www.consiglionazionaleforense.it, per il quale la Francia “ha un testo unico (e non un codice di settore come lo intendiamo noi)”.

Non può essere sottaciuto che, da un lato, il legislatore francese, una volta emanato il suddetto codice di settore, ha opportunamente inserito all’interno dello stesso, modificandolo, i successivi prov-vedimenti di recepimento di atti comunitari in tema di tutela del consumatore (v., ad es., ord. 17 feb-braio 2005, n. 136, in Dalloz leg., 2005, p. 555, in attuazione della Direttiva n. 44 del 1999, su taluni a-spetti della vendita di beni di consumo, che ha modificato gli artt. L. 211-1 e L. 221-2 del Code de la Consommation, su cui: S. CUGINI, L’ultimo lifting al Code de la Consommation francese, in Contr. e impre-sa/Europa, 2005, p. 686 ss.); dall’altro, il recente Avant-project di riforma del libro delle obbligazioni – artt. 1101/1386 Code civil – (in Europa e dir. priv., 2006, p. 241 ss., e, per un commento, P. CATALA, Bref apercçu sur l’avant-project de réforme des droit des obligations, in Rec. Dalloz ch., 2006, p. 535 ss.; G.B. FERRI, L’Avant-project di riforma dei titoli tre e quattro del libro III del Code civil, in Europa e dir. priv., 2006, p. 35 ss., nonché, le numerose riflessioni che sono state effettuate nel Convegno su: Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?”, Treviso 23-25 marzo 2006), ha confermato la scelta di lasciare in vigore il Code de la Consommation.

42 Su cui si veda, G. DE CRISTOFARO, Il “Codice del Consumo”: un’occasione perduta?, in Studium iuris, 2005, p. 1137 ss.; G. ALPA, Commento, in Contratti, 2005, p. 1047 ss.; M. AMATO, U. TROIANI, Codice del Consumo, arrivano le regole fra piccoli utenti e giganti del mercato, in Dir. e giust., 2005, n. 36, p. 109 ss.; G. ALPA e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit.; F. DI MARZIO, Codice del consumo, nul-lità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, p. 837 ss.; A. GENTILI, Il codice del consumo e i rapporti on line, in Dir. internet, 2005, p. 545 ss.; ID., Codice del consumo ed esprit de géométrie, in Contrat-ti, 2006, p. 159 ss.; AA.VV., Sei voci sul “Codice del consumo” italiano, in Contr. e impresa/Europa, 2006, p. 1

Page 255: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 229

ti43, raccogliendo in un unico testo normativo una serie di leggi speciali, spesso non coordinate tra di loro e riconducibili a diverse epoche storiche, che ruotano intorno all’atto economico del “consumo” o, meglio, ai “processi di acquisto e consumo” (art. 1), nella consapevolezza che, come già è stato evidenziato, lo stesso attributo di consumatore va ricondotto al contenuto dell’atto posto in es-sere, evocando, tale attributo, “il protagonista dell’azione mirata ad un atto qua-lificato sul piano finalistico”44.

Così, seguendo un filo conduttore che mira a disciplinare “ogni fase in cui il consumatore è coinvolto in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi”45, è stato creato una vero e proprio codice di settore – che si è affermato aspiri ad essere più di quel che è46 –, di talché il ricorso alle disposizioni del codice civile risulterà possibile uni-camente nel caso in cui all’interno del codice del consumo non siano rinvenibili le regole idonee a disciplinare lo specifico fenomeno47.

——— ss.; V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, Milano, 2006; G. VILLANACCI, (a cura di), Manuale del diritto dei consumi, in corso di stampa, ma anche, per un commento inerente i mesi antecedenti alla sua entrata in vigore, L. ROSSI CARLEO, La codificazione di settore: il codice di consumo, cit., p. 879 ss.; G. ALPA, Le “fonti” del diritto civile: policentrismo normativo e controllo sociale, in Il Diritto civile oggi. Compiti scientifici e di-dattici del civilista, cit., p. 143 ss. V., inoltre, Cons. Stato, 20 dicembre 2004, n. 11602 (parere), in Foro it., 2005, III, c. 348, con nota di A. PALMIERI.

43 Quattro leggi, quattordici decreti legislativi ed un reg. di attuazione, per un totale di 558 articoli. 44 R. CALVO, op. cit., p. 13. In tal senso v., P. BARCELLONA, Soggetti e tutele nell’epoca del mercato europe-

o/mondiale, in N. LIPARI (a cura di) Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, p. 67, per il quale “si è consumatori e imprenditori allo stesso tempo e non esiste una situazione sociale di consumatore, ma soltanto una disciplina giuridica della produzione giuridica e del commercio di taluni prodotti di massa. Si diventa consumatori stipulando il contratto relativo a particolari beni e a certe condizioni”; ID., Autonomia privata e diritto sovranazionale, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, cit., p. 695 ss.; G. BENEDETTI, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in G. VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1999, p. 802 ss.; R. ALESSI, Diritto europeo dei contatti e regole dello scambio, in Europa e dir. priv., 2000, p. 982. Con specifico riguardo al codice del consumo v., L. ROSSI CARLEO, Il Codice del consumo: prime impressioni fra critiche e consensi, cit., p. 39, evidenzia che la “riaggregazione sistematica non può definirsi per materia, e neanche per funzione in senso stretto, bensì per ‘procedimento’: essa risulta incentrata in una visione dinamica, non solo attenta al passaggio dall’atto all’attività, ma idonea anche a favorire il corretto rapporto tra le parti in una economia che cambia”.

45 Relazione al d.lgs., 6 settembre 2005, n. 206, p. 3. 46 G. DE CRISTOFARO, op. ult. cit., p. 1137 ss.; A. GENTILI, Codice del consumo ed esprit de géométrie,

cit., p. 159; ID., Il codice del consumo e i rapporti on line, cit., p. 545, per il quale il codice del consumo è, forse, un solo testo unico della legislazione sui consumatori non riuscendo a raggiungere le ambizioni di sistema, evocate nella Relazione che lo accompagna. In tale ottica anche: V. RIZZO, Relazione tenuta il 7 marzo 2006 alla giornata di Studio su: La tutela del consumatore e del contraente debole, presso la Facoltà di Economia (sede di Terni) dell’Università degli Studi di Perugia; R. ALESSI, Contratti dei consumatori e disciplina generale del contratto, cit., p. 818 s.

47 F. DI MARZIO, op. cit., p. 870 ss.; A. GENTILI, Codice del consumo ed esprit de géométrie, cit., p. 172 ss.; R. ALESSI, op. ult. cit., p. 822 s. Cfr., inoltre, L. ROSSI CARLEO, Il Codice del consumo: prime impres-

Page 256: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 230

Nelle sei parti in cui esso si articola sono state raccolte le disposizioni già esistenti in materia e contenute in leggi speciali o all’interno del codice civile, dal quale sono state espunte (artt. 1469 bis-sexies; artt. 1519 bis-nonies)48, ora realiz-zando una riallocazione sistematica di esse49, ora confermando quelle norme che erano state oggetto di incertezze interpretative50, ora introducendo modifiche e limitate innovazioni51, con l’obiettivo di assicurare un elevato livello di prote-zione dei consumatori.

——— sioni fra critiche e consensi, cit., p. 35 ss., la quale sottolinea che il “nuovo si pone al fianco del vecchio, al quale si collega in un rapporto di complementarietà: spesso il nuovo impone di leggere in chiave diver-sa regole consolidate, anche se, nel contempo, risulta necessariamente tributario ad antiche strutture per la sua concreta attuazione.” Il nuovo codice “si interseca non solo con il codice civile, ma anche, ad esempio, con il codice penale e con altre ricomposizioni di settore”.

48 Nella Relazione (p. 16 s.), a giustificazione del fatto che le disposizioni sopra indicate sono state asportate dal codice civile e trasposte nel codice del consumo, si evidenzia che “la normativa di fonte comunitaria a tutela del consumatore ruota intorno ad un’esigenza di protezione speciale di questo soggetto, qualificato come ‘parte debole’ del rapporto con l’interlocutore professionale, rispetto al qua-le si trova in una posizione di ‘asimmetria contrattuale’. Di qui un approccio specifico, ignoto al codice civile del 1942, fondato invece su un concetto formale di eguaglianza, diretto a garantire una tutela so-stanziale, attenta all’equilibrio effettivo – normativo ed economico – del contratto. Ciò trova conferma nella previsione di meccanismi di riequilibrio, basati su ‘nullità di protezione’, rilevabili, anche d’ufficio, ma solo a vantaggio del contraente debole”.

49 Ne costituisce esempio l’art. 3 che, fra le disposizioni generali, contiene le “definizioni” stralcia-te dalle singole leggi confluite nel codice. A tal proposito, è opportuno segnalare che mentre, in via generale, l’art. 3, comma 1, lett. a), individua il consumatore in senso restrittivo con la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, l’art. 18, comma 2, con esclusivo riferimento alla tutela contro la pubblicità ingannevole, vi fa rientrare anche le persone giuridiche. Nell’art. 3, non vi è stato, invece, l’ampliamento -auspicato dalle associazione di categoria- della nozione generale di consumatore volto a ricomprendervi anche le ditte individuali, il tutto attraverso l’applicazione del c.dd. criterio della prevalenza (è consumatore la persona fisica che agisce prevalentemente per scopi estranei all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta).

50 Significativa, a tal proposito, è stata la scelta di confermare il contenuto dell’art. 1469 bis c. c. nella parte in cui (nonostante il parere contrario del Consiglio di Stato) si utilizza l’espressione “mal-grado la buona fede” (art. 33) e non quella “in contrasto con la buona fede”, specificando che in tale modo si “offre un maggiore livello di tutela al consumatore, permettendo di qualificare come abusive le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni, in danno del con-sumatore, nonostante la buona fede soggettiva dell’altro contraente, senza richiedere l’accertamento ulteriore della violazione delle regole della buona fede” (p. 17 della Relazione).

51 Ne sono esempio: a) il passaggio dalla inefficacia (art. 1469 quinquies c.c.) delle clausole alla nulli-tà (intesa come nullità di protezione, caratterizzata dalla relatività, dalla limitazione della legittimazione ad agire in capo al solo consumatore, dalla rilevabilità d’ufficio solo nell’interesse del consumatore stes-so) delle stesse, quale sanzione nel caso in cui ne venga accertata la vessatorietà (art. 37 del codice del consumo); b) l’inserimento di una specifica disposizione sull’educazione del consumatore, la quale deve mirare a favorire l’acquisizione della consapevolezza circa i suoi diritti, lo sviluppo dell’associazionismo, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, la rappresentanza (art. 4); c) l’ampliamento, seppur limitatamente all’àmbito della pubblicità e delle comunicazioni commerciali, della nozione di consuma-tore facendovi rientrare anche “la persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commer-

Page 257: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 231

Un provvedimento che, quindi, contribuisce significativamente alla costru-zione ed evoluzione del diritto dei consumatori in Italia, nella consapevolezza che tanto altro ancora va fatto52 tenendo però sempre presente come la “qualità di consumatore è soltanto un aspetto della persona, un aspetto parziale di una realtà complessa” nella quale “emerge la rilevanza unitaria del valore persona che ispira la stessa tutela del consumatore nell’ordinamento ove gli individui non possono essere distinti esclusivamente tra produttori e consumatori, giac-ché sono innanzitutto uomini”53.

——— ciali o che ne subisce le conseguenze” (art. 18); d) l’unificazione della disciplina del diritto di recesso che è stato portato, in ogni caso, a dieci giorni lavorativi (artt. 64/68); e) la specificazione di quelle che sono le spese accessorie dovute dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso e che sono limita-te alle sole spese dirette alla restituzione del bene al mittente, ove espressamente previsto nel contatto (art. 67); f) la disciplina del cd. avviso di sicurezza con riguardo alla normativa sulla sicurezza dei pro-dotti (art. 104); g) l’affermazione in via generale della tutela inibitoria, che è stata arricchita e migliorata, quale forma di tutela degli interessi dei consumatori (art. 140); h) la previsione di una nuova regola sul-la composizione extragiudiziale delle controversie, intesa a favorire il ricorso alle procedure conciliati-ve, con particolare riguardo a quelle amministrate dalle Camere di Commercio (art. 141).

Lascia perplessi, invece, il fatto di aver riprodotto nell’art. 2 del codice del consumo il testo dell’art. 1, 2° comma, della legge 30 luglio 1998, n. 281, indicando una serie di “diritti fondamentali” riconosciuti al consumatore, diritti che già sono considerati tali dalla nostra Carta costituzionale. Tale previsione, analogamente all’art. 1, 2° comma, l. 281/1998, infatti, non appare essere l’atteso “Bill of rights dei consumatori” (cfr., R. COLAGRANDE, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Nuove leggi civ. commentante, 1998, p. 700 ss.; R. CAMERO, S. DELLA VALLE, La nuova disciplina dei diritti del consu-matore, (coord. F. CARINGELLA), Milano, 1999, p. 68 ss.; G. ALPA, Finalità ed oggetto della legge (art. 1), in G. ALPA e V. LEVI (a cura di), I diritti dei consumatori e degli utenti, Milano, 2001, p. 4 ss.), quanto, piutto-sto, una elencazione di diritti già tutelati costituzionalmente che vengono degradati a diritti tutelati da una fonte di rango inferiore quale una legge ordinaria. Ma forse il tutto non è altro che espressione di un atteggiamento che non si è ancora reso pienamente conto che le norme costituzionali nei rapporti tra privati possono essere oggetto di applicazione diretta da parte del giudice (in proposito, ampiamen-te, P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, cit., p. 15 s.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 512 ss.).

52 Va, comunque, segnalato che la Commissione presieduta dal prof. G. Alpa doveva rispettare i limiti della delega derivanti dalla legge 29 luglio 2003, n. 229, art. 7: L. ROSSI CARLEO, Il Codice del con-sumo: prime impressioni fra critiche e consensi, cit., p. 42. Cfr., sulle lacune presenti nel codice, lo stesso G. ALPA, Presentazione al Codice del consumo, cit., il quale evidenzia che: “l’esigenza di concentrare nel ‘codice del consumo’ tutte le disposizioni riguardanti i consumatori non è stata soddisfatta compiutamente, perché – a parte le regole sul credito al consumo, estratte dal t.u. bancario – ve ne sono altre concer-nenti i contratti bancari, del mercato finanziario e i contratti assicurativi che sono rimaste fuori dalla compilazione: all’origine, l’esclusione era giustificata, in quanto si era ritenuto di procedere solo con norme di rinvio, oggi lo è meno, essendo prevalsa la linea della tendenziale completezza del codice”; ID., I diritti dei consumatori e il “Codice del consumo” nell’esperienza italiana, cit., p. 25 ss.; R. CALVO, Il Codice del consumo tra ‘consolidazione’ di leggi e autonomia privata, in Contr. e impresa/Europa, 2006, 74 ss.; M. G. FALZONE CALVISI, Il ‘taglia e incolla’ non si addice al legislatore, ivi, 2006, p. 105 ss.

53 P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, cit., p. 97; ID., Il diritto dei contrat-ti fra persona e mercato, cit., p. 307. D’altronde, lo stesso espresso riferimento al “rispetto della Costitu-zione ed in conformità ai princípi contenuti nei Trattati istitutivi delle Comunità europee …,” contenu-

Page 258: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 232

Ciò che ora si dovrà stabilire sarà il ruolo che il codice del consumo italiano assumerà nella prossima, e non più rimandabile54, creazione di una uniforme di-sciplina del diritto dei contratti in Europa55, nella consapevolezza che il “diritto ——— to nell’art. 1 del codice del consumo, conferma che le tematiche in esso disciplinate sono strettamente connesse alla tutela costituzionale della persona.

54 D’obbligo è un rinvio ai contenuti delle osservazioni formulate dai Giuristi dei vari Paesi euro-pei che partecipano al Progetto Preliminare di I° Libro di codice europeo dei contratti redatto dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei, con sede in Pavia, sotto il coordinamento del prof. Giusep-pe Gandolfi, in: ACADEMIE DES PRIVATISTES EUROPEENS, Code Européen des Contracts. Avant-projet. Livre premier, coord. G. Gandolfi, ed. rev. e corr., Milano, 2004.

È significativo sottolineare come già il Progetto di Codice delle obbligazioni e dei contratti. Testo definitivo approvato a Parigi nell’ottobre 1927 (Projet de Code des obligations ed des contrats. Texte définitif approuvé à Paris en Octobre 1927), Roma, 1928, p. XXIV, evidenziava che : “cessata pure l’uniformità del diritto persisteva e progrediva ogni giorno quella comunione di spirito, di idee, di costumi giuridici, che s’era venuta for-mando nel tempo tra i popoli dell’Europa e soprattutto tra quelli che, appartenendo ad una medesima razza ed avendo una storia ed una cultura comune, come i popoli latini, dovevano più degli altri sentir-si attratti a vivere sotto norme simili di diritto”.

55 Il panorama dei progetti sino ad oggi elaborati è costituito da: i Principles of European Contract Law redatti dalla Commissione Lando (O. LANDO e H. BEALE, Principles of European Contract Law, Parts I and II, Combined and revised, The Hague-London-Boston, 2000; O. LANDO, E. CLIVE, A. PRÜME e R. ZIMMERMANN, Principles of European Contract Law, Part IIII, , The Hague-London-New York, 2003; C. CASTRONOVO (a cura di), Princípi di diritto europeo dei contratti, Parti I e II, Milano, 2001), il Contract Code redatto da H. McGregor per la English law Commission (H. MCGREGOR, Contract code drawn up on behalf of English law Commission, Milano-London, 1993); i Principles of International Commercial Contrascts elaborati dall’Unidroit (UNIDROIT, INTERNATIONAL INSTITUTE FOR UNIFICATION OF PRIVATE LAW, Principles of International Commercial Contracts, Roma, 1994; UNIDROIT – ISTITUTO INTERNAZIONALE PER L’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO, Princípi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, versione it. a cura di M. J. Bonell e P. Carlini Prosperetti, Roma, 2004), il Code Européen des Contrats redatto dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei, con sede in Pavia, sotto il coordinamento del prof. Giusep-pe Gandolfi (ACADEMIE DES PRIVATISTES EUROPEENS, Code Européen des Contracts. Avant-projet. Livre premier, coord. G. Gandolfi, ed. rev. e corr., Milano, 2004, mentre non essendo stato ancora pubblicato il Libro II, per una sintesi dei suoi contenuti si rinvia a: G. GANDOLFI, Il libro secondo “Des Contrats en particuler” del “Code Européen des Contracts”, in Riv. dir. civ., 2005, p. 653 ss.).

Va inoltre segnalato che, con una nuova impostazione, attraverso la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo, del 12 febbraio 2003 – COM (2003) 68 def., in G.U.C.E., C 63, del 14 marzo 2003 –, e la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Diritto contrattuale europeo e revisione dell’ acquis: prospettive per il futuro, dell’ 11 ottobre 2004 – COM (2004) 651 def., in G.U.C.E., C 14, del 20 gennaio 2005 –, è stato proposto un “Piano d’azione per un diritto europeo dei contratti più coerente”, ponendo l’attenzione sul fatto che nell’area del contratto requisito basilare per l’unificazione è la creazione di una terminologia uni-forme a livello europeo che determini anche un uniforme profilo concettuale: il compromesso lingui-stico assume così un ruolo essenziale. Punto essenziale per la revisione dell’acquis communautaire, verso un sistema effettivamente dotato di organicità, è rappresentato dal c.dd. “Common Frame of Reference”, quale base terminologica (a cui sottendono categorie e concetti) uniforme nell’area del contratto, da tradurre in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, che dovrà essere completato per la fine del 2007 ed a-dottato per il 2009 (sui risultati raggiunti v., First annual progress report on european contract law and the acquis review, del 23 settembre 2005 – COM. (2005) 456 def., in http://europa.eu.int. –). La stessa Commissione ne indica la struttura e suddivide il “Common Frame of Reference” in tre parti: princípi fondamentali co-muni di diritto contrattuale, incluse possibili deroghe a tali princípi; definizione dei concetti fondamen-

Page 259: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 233

dei consumatori” – il quale è oramai caratterizzato da precise linee guida a livel-lo comunitario – ha assunto un ruolo di primaria importanza nella creazione di un comune diritto contrattuale europeo56.

2. — La disciplina vigente sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi e le ap-

plicazioni giurisprudenziali. Tra i provvedimenti volti ad assicurare al consumatore un elevato livello di

protezione un ruolo di particolare importanza è svolto dal d.P.R. n. 224/1988 sulla responsabilità per danni cagionati dalla circolazione di prodotti difettosi, ora confluito nel codice del consumo dall’art. 114 all’art. 127.

Questa normativa, che ha dato piena attuazione alla Direttiva comunitaria del 25 luglio 1985, n. 37457, ha provveduto ad individuare le regole applicabili –uniformemente nei vari Paesi europei – alle fattispecie di danni che possono es-sere cagionati alla integrità psico-fisica di un individuo, o al suo patrimonio, dall’utilizzo e dal consumo di beni difettosi.

Piú specificamente, a livello comunitario, consapevoli delle difficoltà per il danneggiato di vedere soddisfatte le proprie pretese risarcitorie ed allo scopo di

——— tali; modelli di regole, ipotizzando una distinzione tra i modelli di regole applicabili ai contratti conclusi tra imprese o tra privati e i modelli di regole applicabili ai contratti conclusi tra un’impresa e un con-sumatore. Sul “Common Frame of Reference”: R. SCHULTZE, Princípi nella conclusione dei contratti nell’Acquis communautarie, in Contr. e impresa/Europa, 2005, p. 404 ss.; P. ROSSI, Diritto privato europeo e terminologia uniforme, ivi, 2005, p. 889 ss.; G. ALPA, Le “fonti” del diritto civile: policentrismo normativo e controllo sociale, cit., p. 125 ss.; A. GAMBARO, La riforma del diritto italiano nella prospettiva del diritto europeo dei contratti, Relazione tenuta al Convegno: “Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?”, Treviso 23-25 marzo 2006.

56 L. ROSSI CARLEO, La codificazione di settore: il codice di consumo, cit., p. 881 s.; A. GENTILI, Codice del consumo ed esprit de géométrie, cit., p. 173 s.

57 In particolare, per un esame dell’iter formativo della Direttiva e del suo contenuto, A. FRIGNA-NI, Riflessioni sulla responsabilità del produttore e sulla futura legislazione in materia, in Riv. soc., 1978, p. 1603 ss.; G. ALPA, Appunti sul dibattito in materia di disciplina comunitaria sulla circolazione di prodotti difettosi, in Riv. dir. comm., 1979, I, p. 168 ss.; M. S. SPOLIDORO, Responsabilità per danno da prodotti difettosi: la Direttiva Cee, in Riv. soc., 1985, p. 1471 ss.; B. CARDANI, Quadro giuridico ed extragiuridico della responsabilità del produttore nella Cee, in Dir. prat. ass., 1986, p. 544 ss.; P. TRIMARCHI, La responsabilità del fabbricante nella direttiva comunita-ria, in Riv. soc., 1986, p. 593 ss.; A. FUSARO, Note sulla Direttiva comunitaria in materia di responsabilità del produttore, in Giur. comm., 1987, I, p. 138 ss.; S. E. PIZZORNO, La responsabilità del produttore nella Direttiva del 25 luglio 1985 del Consiglio delle Comunità europee (85/374 CEE), in Riv. dir. comm., 1988, I, p. 233 ss.; G. ALPA e M. BESSONE, La responsabilità del produttore, 4a ed., Milano, 1999, p. 211 ss.; F. TORIELLO, La normativa comunitaria nel settore della responsabilità civile, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione europea, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, XXVI, 1, Torino, 2000, p. 732 ss.; G. BENAC-CHIO, Diritto privato della Comunità europea. Fonti, modelli, regole, 3ª ed., Padova, 2004, p. 375 ss.

Page 260: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 234

introdurre in tutti gli Stati membri un livello minimo di tutela del consumatore, è stato previsto l’inserimento di nuove disposizioni che vengono ad affiancarsi alle regole generali previste da ciascun Paese in materia di responsabilità per i-nadempimento o per illecito aquiliano58.

Cosí anche il legislatore italiano, mediante il d.P.R. n. 224/1988, ha perse-guito l’obiettivo di assicurare alla persona danneggiata da un prodotto difettoso una protezione che va oltre le tutele di carattere sia contrattuale che aquiliano, come disciplinate nel codice civile59, regole che si erano mostrate inadeguate a far fronte agli elevati livelli di potenzialità dannosa dei prodotti commercializzati su vasta scala60.

Le norme contrattuali, infatti, limitano la possibilità di agire da parte del consumatore danneggiato solamente nei confronti del proprio dante causa, normalmente diverso dal produttore e che, frequentemente, non è in grado di sopportare, sotto il profilo risarcitorio, l’intero danno. In particolare, il riferi-mento è alla disciplina codicistica dettata in materia di vendita, la quale, da un lato, imponendo al venditore l’obbligo di risarcire al compratore i danni deri-vanti dai vizi della cosa, fa ricadere su di lui anche tutti i rischi inerenti alla re-sponsabilità per i danni causati da un prodotto difettoso; dall’altro, concede allo stesso la possibilità di fornire la prova liberatoria di avere ignorato senza sua colpa i vizi medesimi (art. 1494, primo comma, c.c.). In questo modo, in pre-senza di un danno cagionato da un prodotto difettoso il venditore potrà liberar-si da qualsiasi responsabilità dimostrando semplicemente la sua estraneità al processo produttivo del bene61. E, ciò, avviene nella maggior parte delle ipotesi in cui il dettagliante si limita a vendere ai consumatori delle merci così come so-no state confezionate dal fabbricante62. In tale situazione, pertanto, soltanto il produttore risulta essere tenuto a garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti

——— 58 Si veda al riguardo, A. GORASSINI, Contributo per un sistema della responsabilità del produttore, Milano,

1990, p. 279 ss. Cfr., inoltre, A. PALAZZO, Doveri di protezione e di tutela della persona, in Danno e resp., 1999, p. 585, per il quale il legislatore comunitario allarga le maglie dei sistemi di responsabilità contrat-tuale ed aquiliano “individuando un settore sovrastante le due tipologie […]”.

59 In proposito, si rinvia a, L. MEZZASOMA, Il danno da prodotti difettosi tra passato, presente e futuro, in T. SEDIARI (a cura di), Cultura dell’integrazione europea, Torino, 2005, p. 355 ss.

60 G. GIANNINI, M. POGLIANI, La responsabilità da illecito civile, Milano, 1996, p. 218 ss.; A. STOPPA, La responsabilità del produttore, in Dig. IV ed., sez civ., Disc. priv., XVII, Torino, 1998, p. 120 ss.; G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., p. 391 ss.

61 Nel contempo, si ricorda come la disciplina contrattuale sottopone il danneggiato a penalizzanti termini di prescrizione e di decadenza (art. 1495 c.c.).

62 F. PROSPERI, La responsabilità del produttore, in P. PERLINGIERI, E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, cit., II, p. 294 s.

Page 261: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 235

messi in commercio, ma poiché egli non figura quale controparte nel contratto posto in essere dal consumatore, non sarà esperibile nei suoi confronti alcuna azione risarcitoria per inadempimenti di carattere contrattuale63.

L’inadeguatezza delle regole contrattuali a fornire una efficace tutela per il consumatore danneggiato da prodotti difettosi non risulta superata neanche dall’introduzione nel codice civile, in attuazione della Direttiva comunitaria del 25 maggio 1999, n. 44, delle disposizioni concernenti la vendita dei beni dei consumo (artt. 1519 bis-nonies c.c., ora artt. 128-135 del codice del consumo)64. Tale disciplina, infatti, risulta fortemente ancorata al contratto: in essa la salva-guardia degli interessi dei consumatori si fonda sulla nozione di “difetto di con-formità” del bene consegnato rispetto a quello dedotto in contratto65, cui segue l’esercizio di peculiari rimedi quali la riparazione o sostituzione del bene, la riso-luzione del contratto o la riduzione del prezzo (art. 1519 quater c.c., ora art. 130 del codice del consumo).

Ma anche le disposizioni sulla responsabilità aquiliana contenute nel codice civile si sono mostrate insufficienti: da un lato, il riferimento alla clausola gene-rale di responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c. era inidoneo a garantire il con-sumatore visto che sullo stesso gravava l’onere di dimostrare la colpa del pro-duttore; dall’altro, il ricorso all’art. 2049 c.c. sulla responsabilità dei padroni e dei committenti, all’art. 2050 c.c. sull’esercizio di attività pericolose, all’art. 2051 c.c. sui danni da cose in custodia66, dava luogo ad una situazione di contrasto inter-

——— 63 Cfr., tuttavia, Giud. Pace Macerata, 5 aprile 2004, in Contratti, 2005, p. 483 (con nota di G. CA-

PILLI, Responsabilità contrattuale del produttore e tutela dell’acquirente), in cui si afferma che “il produttore del bene venduto è legittimato passivo rispetto all’azione di risoluzione ex art. 1492 Codice civile, ma non rispetto all’azione di risarcimento dei danni ex art. 1494 Codice civile”: egli, infatti, “pur non essendo venditore in senso formale […] lo è in senso sostanziale”.

64 Su questa normativa, in generale, v., per tutti, G. ALPA, G. DE NOVA, G. CAPILLI, L. COLAN-TUONI, C. LEO, A. MANIACI, P.M. PUTTI, A. SCARPELLO E M. VALCADA, L’acquisto di beni di consumo. D. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, Milano, 2002; G. DE CRISTOFARO, Vendita: VIII) Vendita di beni di consumo, in Enc. giur. Treccani, Agg., XXXII, Roma, 2003, p. 1 ss.; L. GAROFANO, V. MANNINO, E. MOSCATI, P.M. PUTTI, Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo coordinato da L. Garofano, Padova, 2003; M. BIN, A. LUMINOSO (a cura di), Le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Tratt. dir. comm. dir. pubb. ec. diretto da F. Galgano, Padova, 2003; C. BERTI (a cura di), La vendita di dei beni di consumo, Commentario breve agli att. 1519-bis ss. c.c., Milano, 2004; A. LUMINOSO, Vendita. Contratto estimatorio, in Tratt. dir. comm. diretto da V. Buonocore, Torino, 2004, p. 257 ss.; S. PATTI (a cura di), Commentario sulla vendita dei beni di consumo, Milano, 2004; E. CORSO, Della vendita dei beni di consumo, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca-Galgano, Libro IV, Delle Obbligazioni, art. 1519 bis-1519 nonies, Bologna-Roma, 2005.

65 Su cui da ult., ampiamente, R. MONGILLO, Il difetto di conformità nella vendita di beni di consumo, Na-poli, 2006.

66 Su cui, per tutti, la sintesi di G. PONZANELLI, Dal biscotto alla “mountain bike”: la responsabilità da prodotto difettoso in Italia, in Foro it., 1994, I, c. 252 ss.

Page 262: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 236

pretativo, tenuto conto del diverso modo che aveva la giurisprudenza di inten-dere tali disposizioni e, cioè, se fondate su un criterio di imputazione colposo o oggettivo67.

Ciò non significa che in Italia non vi fosse un atteggiamento di rigore verso il produttore il quale, già nel 1964, era stato condannato in via extracontrattuale al risarcimento dei danni cagionati da biscotti avariati attraverso il meccanismo della presunzione di colpa68.

Nel contempo, con riferimento al caso di danni accaduti prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 224/1988 la Corte di Cassazione aveva già affermato che ugualmente esso offriva “elementi che anche sul piano logico sono idonei ad una corretta impostazione del giudizio che si deve compiere, quando si tratta di stabilire se il danno è derivato dal difetto della cosa o se esso trova per contro la sua causa diretta ed autonoma nel comportamento tenuto dal danneggiato nel servirsene”69.

——— 67 Cosí, da ult., per tutti, F. PROSPERI, op. cit., p. 295 ss. 68 Cass., 25 maggio 1964, n. 1270, in Foro it., 1965, I, c. 2098 (caso Saiwa), su cui, fra tanti, F. MAR-

TORANO, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti difettosi (a proposito di una sentenza della Cassazione), in Foro it., 1966, V, c. 13 ss. Per una analisi delle decisioni giurisprudenziali an-teriori all’entrata in vigore del d.P.R. n. 228 del 1988, v., per tutti, da ult., V. CARFÌ, Art. 114, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 417 ss.

69 Cass., 29 settembre 1995, n. 10274, in Foro it., 1996, I, c. 954. Nel caso di specie veniva, tuttavia, confermata la decisione che mandava indenne da responsabilità il produttore, sul presupposto che il danno può essere addebitato ad un difetto di costruzione solo se il prodotto viene usato secondo la destinazione che il produttore poteva ragionevolmente prevedere. Il caso era quello di un ragazzo di dodici anni che utilizzando un’altalena per bambini era salito in piedi sul bracciolo del seggiolino e che, perso l’equilibrio, aveva tentato di aggrapparsi allo snodo dell’altalena, procurandosi lesioni alla mano: infatti, secondo la Suprema Corte correttamente, da parte dei giudici di II grado, accertato che tra il seggiolino ed il punto dello snodo in cui era stata introdotta la mano dell’attore vi era una distanza di m. 1,60 e che lo snodo era aperto nella misura minima per consentire l’oscillazione dei sostegni del seggiolino, si era ritenuto che nel processo eziologico di determinazione dell’evento aveva assunto ri-lievo esclusivo ed assorbente il comportamento del danneggiato, estrinsecatosi in una iniziativa del tut-to abnorme. In particolare, nel caso di specie: “anche l’uso dell’altalena stando in piedi sul seggiolino, con appoggio normale ai sostegni di questo, non può risultare pericoloso: ed è chiaro che l’eventuale accesso all’altalena di persone di alta statura, e quindi di età non propriamente infantile, sposterebbe la soluzione del problema della responsabilità per eventuali infortuni del tipo di quello per cui si procede verso la rilevanza esclusiva della autodeterminazione di un soggetto non carente di adeguata maturità ad un uso proprio dello strumento”. Questa decisione, tuttavia, come già evidenziato in dottrina, susci-ta delle perplessità e, ciò, indipendentemente dal fatto che si invochi il d.P.R. n. 224 o la normativa co-dicistica. Si può osservare, infatti, da un lato, che un produttore diligente avrebbe dovuto applicare una protezione che evitasse l’accesso delle mani allo snodo dell’altalena potendo essere prevedibile che un mi-nore tentasse di mettersi in piedi sull’altalena; dall’altro, che l’età di dodici anni non è certo una età alla qua-le si accompagna, abitualmente, una capacità atta a rendersi conto delle conseguenze degli atti che si pon-gono in essere, atti che sono frequentemente imprudenti (F. CARINGELLA, La ragionevolezza dell’uso della “res” quale condizione della responsabilità del produttore: il caso di prodotti destinati a minori, in Foro it., 1996, I, c. 958).

Page 263: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 237

È in questo contesto che si manifesta l’importanza del d.P.R. n. 224/1988 il quale, allo scopo di tutelare il consumatore per il danno subíto dall’uso di un prodotto difettoso, chiama espressamente a rispondere del danno chi ha pro-dotto la cosa indipendentemente dalla prova della sua colpevolezza (art. 1, ora art. 114 del codice del consumo), e sul solo presupposto della difettosità del be-ne messo in commercio (art. 5, ora art. 117 del codice del consumo)70.

Sotto il profilo soggettivo viene cosí in considerazione la persona che, ef-fettivamente, ha realizzato il bene. Si configura, quindi, un rapporto diretto tra chi produce ed utilizza la cosa e, con l’obiettivo di proteggere gli interessi del danneggiato in quanto tale, viene superato sia il rapporto negoziale a monte dell’acquisto del bene, sia il titolo che eventualmente legittima all’uso del pro-dotto.

La nozione di produttore, rilevante ai fini dell’applicazione della normativa, era stata delineata dall’art. 3 del Decreto del 1988 che indicava quali soggetti re-sponsabili, accanto al fabbricante del prodotto finito, il produttore delle parti componenti ed il produttore della materia prima (comma primo). Risultavano, in tale maniera, sottoposti alla disciplina del d.P.R. n. 224/1988 tutti coloro che potevano cooperare alla produzione di una merce, che si rivelava, poi, fonte di danno per l’utente. La finalità perseguita dal legislatore era, infatti, quella di fare in modo che ciascuno dei soggetti che prendevano parte al processo di fabbri-cazione di un bene avessero adottato tutti gli accorgimenti necessari a garantirne anche la sicurezza71. Nel contempo, il Decreto del 1988 assicurava una più am-pia tutela al consumatore rendendo responsabili, nei confronti di esso, il mag-gior numero possibile di persone. Al danneggiato veniva, così, riconosciuta la possibilità di agire non soltanto contro chi avesse partecipato alla creazione del bene difettoso, ma anche contro chi, in vario modo, fosse risultato coinvolto nella circolazione del prodotto stesso. In questo senso, era considerato produt-tore anche chi si fosse presentato come tale apponendo “il proprio nome, mar-

——— 70 G. PONZANELLI, Art. 1. Responsabilità del produttore, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura

di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Nuove leggi civ. commentate, 1989, p. 506 ss.; E. BELLISA-RIO, Art. 114, Responsabilità del produttore, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 740 s.; V. CARFÌ, Art. 114, cit., p. 420 s.

71 Sulla nozione di produttore v., per tutti, M. BIN, Il fabbricante del prodotto finito o di una sua compo-nente. Il fornitore della materia prima, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, in Tratt. dir. comm. dir. pubb. ec. diretto da F. Galgano, XIII, Padova, 1989, p. 57 ss.; U. CARNEVALI, Art. 3. Produttore, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990, p. 9 ss.; P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, 2002, p. 237 ss.

Page 264: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 238

chio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione” (comma ter-zo). L’apposizione del segno distintivo, infatti, generava nel consumatore la convinzione che il soggetto in esso indicato fosse il vero produttore del bene ed era per tale motivo che anche su di questi veniva fatto ricadere l’obbligo di con-trollare la qualità e di garantire la sicurezza del prodotto contraddistinto da sif-fatto marchio. In altre parole, chi apponeva un segno distintivo sul prodotto di-veniva il legittimato passivo all’azione di responsabilità del consumatore dan-neggiato da un difetto72. Allo stesso scopo, poi, la norma equiparava alla figura del produttore effettivo del bene quella dell’importatore – o di chi come tale si presentasse – che avesse importato nella Comunità europea prodotti provenien-ti da un Paese extracomunitario (quarto comma)73. Così, anche nei confronti di chi interveniva in una qualche maniera nella commercializzazione del bene tro-vava applicazione il d.P.R. n. 224/1988, con tutte le conseguenze che ne deriva-no sotto il profilo della proposizione dell’azione giudiziale74.

Oggi, nel codice del consumo non è stato riproposto il contenuto dell’art. 3 del d.P.R. n. 224/1988, di guisa che deve considerarsi operato il rinvio alla defi-nizione generale di produttore prevista dall’art. 3, lett. d), del codice del consu-mo. Tale norma offre una nozione onnicomprensiva di produttore all’interno della quale sono ricondotti: “il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta

——— 72 Si segnala che in dottrina si distingue tra marchio di fabbrica, utilizzato dagli imprenditori per

contrassegnare i propri prodotti, e marchio di commercio apposto dal distributore per pubblicizzare i beni da lui venduti indipendentemente dal marchio del produttore di provenienza. Con specifico rife-rimento al marchio di commercio, è stato evidenziato come il commerciante con esso non si presenta sul mercato come produttore del bene e non può essere con lui confuso: egli non è, quindi, respon-sabile per la difettosità dei prodotti sui quali il suo marchio è apposto. Ma, contro questa impostazione, è stato evidenziato come spesso il consumatore sia ignaro della distinzione fra marchio di fabbrica e marchio di commercio di guisa che egli, di fronte ad un marchio che contrassegna un prodotto, è in-dotto a ritenere che il soggetto ivi indicato sia il produttore del bene e, quindi, il soggetto responsabile in caso di danno da difetto. Pertanto, si deve ritenere che la responsabilità di chi ha apposto il marchio potrà essere evitata solo se la mera intenzione pubblicitaria risulterà così evidente da non sfuggire ne-anche al consumatore qualunque. Allo stesso modo, l’opinione prevalente della dottrina ricomprende nell’ambito di applicazione dell’art. 3, terzo comma, del d.P.R. n. 224/1988 il caso di marchio concesso in licenza d’uso, come avviene nei contratti di franchising o di merchandising. (Sopra questi aspetti, A. AT-TI, I soggetti equiparati al fabbricante, in G. ALPA, M. BIN e P. CENDON (a cura di), La responsabilità del pro-duttore, cit., p. 71 ss.; P.G. MONATERI, op. cit., p. 238 ss.).

73 Trib. Viterbo, Sez. dist. Civita Castellana, 17 ottobre 2001, in Rass. giur. umbra, 2001, p. 206; Cass., 14 giugno 2005, n. 12750, in Danno e resp., 2006, p. 259.

74 Cosí, L. MEZZASOMA, L’importatore all’interno della C.E. di prodotti difettosi fabbricati in altro stato co-munitario, in Rass. giur. umbra, 2001, p. 207 ss.

Page 265: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 239

come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, mar-chio o altro segno distintivo”. Trova, così, espressione l’intenzione del legislato-re di rendere responsabile nei confronti del consumatore danneggiato da pro-dotti difettosi qualsiasi operatore professionale, al di là del fatto che questi operi nell’ambito del processo produttivo o in quello distributivo75.

La responsabilità per danno da prodotto difettoso viene, poi, estesa dall’art. 4 del d.P.R. n. 224/1988 (ora art. 116 del codice del consumo) al fornitore che abbia distribuito il bene nell’esercizio di un’attività commerciale76. Questi, come si evince dalla lettera della norma, è chiamato a rispondere del danno soltanto qualora “il produttore non sia individuato” e sempre che egli non sia stato in grado od abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre me-si dalla richiesta, o in quello ulteriore concessogli dal giudice, l’identità e il domi-cilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto77.

Tuttavia, sebbene, come evidenziato78, vi siano delle circostanze in cui è il fornitore, ancor più del produttore, a svolgere un ruolo determinante per quel che concerne la presentazione del prodotto, le istruzioni ed avvertenze per la sua utilizzazione, nonché l’eventuale installazione o messa a punto dello stesso, la normativa non equipara completamente la posizione del produttore a quella del fornitore. La responsabilità del fornitore assume, infatti, carattere sussidia-rio rispetto a quella del produttore, il quale rimane per il consumatore il refe-rente principale della sicurezza e della qualità dei prodotti presenti sul merca-to79. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza comunitaria la qua-

——— 75 E. BELLISARIO, Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. d) produttore, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cu-

ra di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 75 ss., la quale si sofferma, in particolare, sulla inclusione tra i soggetti responsabili della figura del “fornitore del servizio” e dell’“intermediario”; G. CHINÉ, Art. 3, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 23 ss.

76 In questo modo l’art. 3 del d.P.R. n. 224/1988 si differenzia dal corrispondente art. 3, comma terzo, della Direttiva, che si riferisce genericamente ad “ogni fornitore”.

77 V., in proposito, C. COSSU, La responsabilità del fornitore, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 81 ss.; U. CARNEVALI, Art. 4. Responsabilità del fornitore, in G. AL-PA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 26 ss.; e, da ult., V. CARFÌ, Art. 116, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 425 ss.

78 M. MAZZIA, Art. 4. Responsabilità del fornitore, in R. PARDOLESI e G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 531.

79 V., L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, III, Obbligazioni e contratti, Torino, 1989, p. 750 s.; V. CARFÌ, Art. 116, cit., p. 425, la quale evidenzia come la ratio che ha portato a prevedere la responsabilità oggettiva del fornitore sia quella di indurlo a “rivelare l’identità del produttore, in tal modo, consentendo al danneggiato di raggiungere quest’ultimo ed, in ultima analisi al sistema di esercitare sul produttore la pressione rivolta a razionalizzare la produzione in termini di sicu-rezza”.

Page 266: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 240

le, dopo aver affermato che la responsabilità del fornitore ricorre soltanto nell’ipotesi in cui il danneggiato non possa esperire un’azione diretta contro il produttore, ha chiarito come tale previsione abbia lo scopo di evitare il molti-plicarsi delle chiamate in garanzia esperibili in giudizio80. Nel contempo, l’aver comunque considerato responsabile il fornitore risponde alla esigenza di non lasciare il consumatore privo di un soggetto contro cui agire per ottenere il risarcimento.

In ogni caso, l’art. 4 del Decreto del 1988 (ora art. 116 del codice del con-sumo) disciplina in modo preciso i presupposti in presenza dei quali il fornitore potrà essere esonerato da ogni responsabilità. Ed a tale fine, oltre ad essere ne-cessario che egli, nel termine previsto, assolva ai propri oneri informativi, viene specificato che l’estromissione dal giudizio del fornitore convenuto è, altresì, subordinata alla condizione che la persona indicata come produttore del bene difettoso compaia in giudizio e non contesti tale circostanza (ora art. 116, 5° comma, del codice del consumo)81. Diversamente, la mancanza oggettiva di tale indicazione farà sorgere la responsabilità del fornitore a prescindere dal fatto che egli sia colpevole o meno di tale omissione: rimane così a suo carico l’even-

——— 80 Così, Corte giust. CE, 25 aprile 2002, causa C-52/00, in Resp. civ. e prev., 2002, p. 986, che ha ri-

tenuto la normativa francese, la quale stabiliva che il distributore di un prodotto difettoso fosse re-sponsabile in ogni caso ed allo stesso titolo del produttore (art. 1386-7, comma 1, c.c.), non conforme alla direttiva comunitaria n. 374 del 1985. E, tenuto conto che, successivamente alla pronuncia di que-sta decisione, non sono stati adottati i provvedimenti necessari per darvi esecuzione, la Francia è stata condannata a pagare alla Commissione una penalità di mora per ogni giorno di ritardo (Corte giust. CE, 14 marzo 2006, causa C-177/04, in Foro it., 2006, IV, c. 317). Su questa stessa problematica v., inoltre, Corte giust. CE, 10 gennaio 2006, causa C-402/03, in Foro it., 2006, IV, c. 318, ove è stato sta-tuito che anche la legge danese sulla responsabilità del produttore, la quale prevede che i danneggiati possono agire direttamente nei confronti del distributore, è in contrasto con la Direttiva comunitaria. Tutto ciò sul rilievo che “pur riconoscendosi che la possibilità di far sorgere la responsabilità del forni-tore di un prodotto difettoso secondo le modalità previste dalla direttiva faciliterebbe le azioni giudizia-rie intentate dal danneggiato, viene osservato che tale facilitazione sarebbe pagata a caro prezzo in quanto, obbligando tutti i fornitori ad assicurarsi contro tale responsabilità, essa condurrebbe ad un notevole rincaro dei prodotti. Inoltre, tale facilitazione condurrebbe ad una moltiplicazione dei ricorsi, dato che il fornitore si rivolgerebbe a sua volta contro il fornitore risalendo sino al produttore […]. Risulta da queste considerazioni che dopo aver ponderato i ruoli rispettivi dei vari operatori economici che intervengono nella catena di fabbricazione e di commercializzazione è stata operata la scelta di im-putare in linea di principio al produttore, e unicamente in taluni casi delimitato all’importatore e al for-nitore, l’onere della responsabilità per i danni causati dai prodotti difettosi nel regime giuridico istituito dalla direttiva” (nn. 28 e 29).

81 Sul punto, E. BELLISARIO, Art. 116, Responsabilità del fornitore, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 745 ss., la quale precisa che, esclusa la responsabilità del fornitore ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, contro di lui il danneggiato potrà, comunque, agire con gli ordinari rimedi contrattuali (ma solo qualora fosse preesistente un vincolo obbligatorio), ovvero extra-contrattuali (ma con conseguente inversione della prova a suo carico).

Page 267: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 241

tuale irreperibilità del produttore o del precedente fornitore82. Nel caso in cui, poi, una pluralità di soggetti responsabili abbia contribuito alla realizzazione di un medesimo evento dannoso, l’art. 9 del d.P.R. n. 224/1988 (ora art. 121 del codice del consumo) dispone che essi ne rispondono solidalmente e chi ha ri-sarcito il danno ha azione di regresso contro gli altri “nella misura determinata dalle dimensioni del rischio riferibile a ciascuno, dalla gravità delle eventuali col-pe e dalla gravità delle conseguenze che ne sono derivate”; nel dubbio “la ripar-tizione avviene in parti uguali”83.

Con riferimento ai soggetti responsabili per danni cagionati da prodotti di-fettosi va segnalata una decisione del Tribunale di Ascoli Piceno84 secondo cui, sulla base di quanto disposto dall’art. 4 del d.P.R. n. 224/1988, che limita la re-sponsabilità del fornitore alle sole ipotesi in cui il produttore – o l’importatore nel caso di prodotti importati da Paesi extracomunitari – non sia individuato, va esclusa la responsabilità del rivenditore di una autovettura in ordine all’altera-zione dell’autoveicolo alienato e commercializzato nelle condizioni e nello stato in cui era stato consegnato dal produttore. In particolare, nella fattispecie ogget-to della decisione ove i danni erano conseguenza del mancato funzionamento del sistema di air bag, il giudicante ha affermato l’esclusiva responsabilità del fabbricante sul presupposto che lo stesso deve considerarsi produttore anche di siffatto dispositivo di sicurezza incorporato nell’autoveicolo.

Sulla responsabilità del fornitore è intervenuto anche il Tribunale di Roma per un caso di cattivo funzionamento dell’impianto frenante di un’autovettura85. In tale ipotesi è stata affermata la responsabilità del fornitore sul rilievo che egli aveva tardivamente eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, ex art. 4 del d.P.R. n. 224/1988.

Degna di segnalazione è, poi, una pronuncia del Tribunale di Firenze86 ove è stata sancita la responsabilità concorrente del produttore e del venditore per i

——— 82 U. CARNEVALI, La responsabilità del fornitore, in S. PATTI (a cura di), Il danno da prodotti in Italia, Au-

stria, Repubblica Federale di Germania, Svizzera, Padova, 1990, p. 132 ss. 83 In merito a questo profilo, C. COSSU, La pluralità dei responsabili, in G. ALPA, M. BIN e P. CEN-

DON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 177 ss.; D. POLETTI, Art. 9. Pluralità di responsabili, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 597 ss.; U. CARNEVALI, Prodotti difettosi, pluralità di produttori e disciplina dei rapporti interni, in Resp. civ. e prev., 2004, p. 649 ss.; E. BELLISARIO, Art. 121, Pluralità di responsabili, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 764 ss.; . CARFÌ, Art. 121, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 442 ss.

84 Trib. Ascoli Piceno, 5 marzo 2002, in Dir. lav. Marche, 2002, p. 75. 85 Trib. Roma, 4 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, c. 1631. 86 Trib. Firenze, 5 aprile 2000, in Arch. civ., 2001, I, p. 208.

Page 268: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 242

danni conseguenti ad una caduta da una bicicletta provocata dall’arresto repen-tino della ruota anteriore a causa della rottura in fase di frenata del cavo di azio-namento dei freni. Più specificamente, nel caso in oggetto, in sede di c.t.u. era stato evidenziato come tale inconveniente avrebbe potuto essere limitato con un dispositivo di sicurezza, fornito dalle case produttrici. Ed, al riguardo, si sottoli-neava come il produttore ed il rivenditore avrebbero dovuto quanto meno av-vertire ed informare il consumatore della pericolosità e della possibilità di realiz-zare con una semplice installazione di poco costo quelle condizioni di doppia sicurezza richieste dalla legge. Ciò posto, nella fattispecie in questione, è stata ritenuta configurabile a carico del venditore una responsabilità contrattuale ex art. 1494 c.c., ed a carico del produttore e del venditore una responsabilità e-xtracontrattuale sia ex art. 2043 c.c. che ex d.P.R. n. 224/1988 per difetto di in-formazioni e di avvertenze, all’atto della vendita, e per non aver adottato tutti gli accorgimenti tecnici, pur esistenti ed in loro possesso, necessari e facilmente as-semblabili al mezzo. Il tutto sul presupposto che l’art. 4 “non prevede in assolu-to l’esclusione della responsabilità del venditore quando questi, per certi versi, può assumere, per la sua qualifica professionale, una veste assai vicina a quella del produttore”87.

In collegamento con la nozione di produttore il legislatore ha, poi, delimita-to l’ambito della disciplina in materia di responsabilità per danni da prodotti di-fettosi, specificando il concetto di “prodotto”. A tale proposito, la disposizione di riferimento è l’art. 2 del Decreto del 1988 (ora art. 115 del codice del consu-mo) che definisce prodotto “ogni bene mobile anche se incorporato in un altro bene mobile o immobile” (comma primo), e che, espressamente, considera tale anche l’elettricità (comma secondo)88.

——— 87 V., in proposito, anche, Trib. Milano, 23 marzo 1995, in Danno e resp., 1996, p. 374, il quale, ac-

canto alla responsabilità del produttore, ha affermato, ex art. 9 d.P.R. n. 224/1988, pure la responsabili-tà solidale del venditore di un letto a castello che si era rovesciato, in quanto la società venditrice che aveva effettuato il montaggio del mobile aveva l’obbligo di effettuarlo in modo tale da evitare il verifi-carsi di eventi dannosi del tipo di quelli verificatesi. Infatti: “a prescindere delle istruzioni che la casa produttrice allega al mobile, è preciso obbligo del venditore procedere al montaggio a regola d’arte, modulando l’intervento alle condizioni contingenti che gli si presentano di volta in volta. Tanto piú che, essendo i mobili in questione componibili, l’assemblaggio di piú pezzi può incidere sulla statica globale e richiedere per il mobile risultante dalla combinazione accorgimenti tecnici non necessari per i singoli componenti”. Né, d’altra parte, poteva essere deciso diversamente, visto che il d.P.R. n. 224/1988 non “canalizza” la responsabilità sul solo produttore finale, ma la distribuisce su tutti coloro che hanno concorso al verificarsi dell’evento dannoso.

88 V., da ult., M. FRANZONI, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. Franzoni, Mi-lano, 2004, p. 581 s., il quale precisa che nel caso di danni cagionati dall’elettricità la disciplina applica-bile sarà quella prevista dal d.P.R. n. 224/1988 quando il danno sia derivato dalla elettricità in sé; diver-

Page 269: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 243

Nella sua formulazione originaria l’art. 2 del d.P.R. n. 224/1988 escludeva la responsabilità del produttore nel caso in cui un difetto avesse riguardato “i prodotti agricoli del suolo e quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia”89 a condizione che essi non avessero subito una qualche trasformazione (comma terzo). E, con riferimento a quest’ultimo aspetto, veniva espressamente specifi-cato che per trasformazione doveva intendersi qualunque trattamento volto a modificare le caratteristiche o ad aggiungere sostanze al prodotto naturale. Allo stesso tempo, per tali prodotti si considerava parificato alla trasformazione il confezionamento a carattere industriale ed ogni altro trattamento che rendesse difficile il controllo del prodotto da parte del consumatore o che creasse un af-fidamento circa la sua sicurezza.

Il legislatore italiano, quindi, introduceva una differenziazione tra i prodotti industriali ed i prodotti agricoli: i primi, sottoposti alla disciplina del d.P.R. n. 224/1988, i secondi, invece, esonerati dall’applicazione del regime di responsa-bilità, particolarmente gravoso, in esso previsto. Siffatta distinzione e la conse-guente impossibilità di configurare in capo ai produttori agricoli una responsabi-lità per danno da prodotti difettosi trovava giustificazione, secondo alcuni, in una sorta di presunzione di inidoneità del prodotto agricolo di provocare danni alla salute del consumatore90; secondo altri, nel fatto che i produttori agricoli, rispetto ai produttori industriali, erano chiamati, per il tipo di attività esercitata, a sopportare maggiori rischi collegati a fattori esterni alla produzione (il cosid-detto rischio biologico)91; secondo altri ancora, nella fungibilità dei prodotti a-gricoli, tenuto conto anche delle modalità mediante le quali essi erano distribuiti nel mercato e che erano tali da rendere normalmente impossibile l’identifica-zione del relativo produttore92.

Ma, queste argomentazioni, anche sulla scia delle preoccupanti vicende ine-renti i danni cagionati dalla cosiddetta mucca pazza e sugli ipotetici eventi dan-——— samente, nell’ipotesi in cui il danno sia conseguenza dell’esercizio dell’attività di erogazione troverà ap-plicazione l’art. 2050 c.c.

89 Sul punto la Direttiva lasciava libero ciascuno Paese di prevedere nella propria legislazione che il termine “prodotto” si riferisse anche ai prodotti agricoli naturali ed ai prodotti della caccia (art. 15).

90 Cosí, A. GERMANÒ, La responsabilità per prodotti difettosi in agricoltura, in E. ROOK BASILE, A MAS-SART, A. GERMANÒ, Prodotti agricoli e sicurezza alimentare. Atti del VII Congresso mondiale di diritto agrario dell’Unione Mondiale degli Agraristi Universitari in memoria di Louis Lorvellec. Pisa-Siena, 5-9 novembre 2002, Milano, 2003, I, p. 532.

91 V., per tutti, E. FERRERO, Il prodotto, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabili-tà del produttore, cit. p. 43 ss.; M.G. CUBEDDU, La responsabilità del produttore per i prodotti naturali, in S. PATTI (a cura di), Il danno da prodotti in Italia, Austria, Repubblica Federale di Germania, Svizzera, cit., p. 197 ss.

92 O. TROIANO, Art. 2, Prodotto, in P. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 516 s.

Page 270: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 244

nosi che potrebbero derivare dall’impiego e commercializzazione di O.G.M., sono state superate dal d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 25 che, in attuazione della di-rettiva n. 34/1999, ha abrogato il comma terzo dell’art. 2 del d.P.R. n. 224/198893. In questo modo, i prodotti naturali agricoli sono stati ricompresi nella defini-zione di prodotto contenuta nel Decreto del 1988, cosicché anche in presenza di un prodotto difettoso del suolo, dell’allevamento, della pesca e della caccia troverà interamente applicazione la disciplina sulla responsabilità del produttore, il quale, a seconda dei casi, sarà da identificare, rispettivamente, nell’agricoltore, nell’allevatore, nel pescatore e nel cacciatore94.

L’art. 2 del Decreto del 1988 (ora art. 115 del codice del consumo), come modificato, delinea, pertanto, un vasto ambito oggettivo di operatività della di-sciplina sulla responsabilità del produttore comprendendo i beni mobili di qua-lunque natura, siano essi prodotti industriali o agricoli, materie prime, parti componenti, prodotti assemblati o fabbricati in serie, nonché prodotti usati e rimessi in commercio95.

La lettera della norma non lascia, così, spazio ad alcuna limitazione nell’applicazione della responsabilità del produttore – fatta eccezione per i beni immobili, i servizi ed i beni immateriali – di talché, come è stato evidenziato dal-la dottrina, la responsabilità per danno da prodotto difettoso potrà essere fatta valere anche nei casi di rifiuti che vengono rimessi in commercio per venire rie-laborati o riutilizzati96, di eventi dannosi cagionati dall’uso di software97, dall’uso

——— 93 Cosí, da ult., F.P. TRAISCI, La disciplina di origine comunitaria in materia di OGM. I frutti della bioinge-

gneria fra regole proprietarie e tutela del consumatore, in Dir. giur. agr. amb., 2005, p. 219 s. 94 V., per tutti, A. PALAZZO, Tutela del consumatore e responsabilità civile del produttore e del distributore di

alimenti in Europa e negli Stati uniti, in Europa e dir. priv., 2001, p. 690 ss.; G. PONZANELLI, Estensione della responsabilità oggettiva anche all’agricoltore, all’allevatore, al pescatore e al cacciatore, in Danno e resp., 2001, p. 792 ss.; A. GERMANÒ, M. MAZZO, La responsabilità del produttore agricolo e principio di precauzione, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario diretto da L. Costato, 3ª ed., Padova, 2003, p. 743 ss.; A. GER-MANÒ, La responsabilità per prodotti difettosi in agricoltura, in E. ROOK BASILE, A MASSART, A. GERMANO, Prodotti agricoli e sicurezza alimentare, cit., p. 543; F. MAZZASETTE, La tutela del consumatore di prodotti agricoli e la sua incidenza sulle imprese produttrici, in Rass. giur. umbra, 2006, p. 559 ss.

95 Sul concetto di prodotto, v., per tutti, P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, cit., p. 231 ss.; E. BELLISARIO, Art. 115, Prodotto, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commen-tario, cit., p. 743 s.; ID., Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. e), prodotto, ivi, p. 86, la quale dopo aver eviden-ziato l’ampiezza della definizione generale di “prodotto”, di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), codice del consumo, rispetto alla formulazione prevista nell’art. 115, comma 1, rileva che “la scelta di mantenere nel codice una definizione più ristretta di prodotto (che era già quella prevista dall’art. 2 d.P.R. n. 224 del 1988), implica che è a quest’ultima (più specifica definizione) che occorre fare riferimento ai fini dell’applicazione delle regole di responsabilità ivi previste”; V. CARFÌ, Art. 115, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 421 ss.

96 P. G. MONATERI, op. ult. cit., p. 234.

Page 271: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 245

di farmaci o di prodotti di origine umana preparati ed utilizzati a scopo terapeu-tico98-99.

Definito in questo senso l’ambito oggettivo di operatività della disciplina del danno cagionato da prodotti difettosi, risulta che essa si configura come un’ipotesi di responsabilità la quale riguarda beni aventi come caratteristica spe-cifica quella di possedere un difetto il quale si pone come fonte dell’evento dan-noso ed è, nel contempo, in grado di sorprendere il consumatore, tradendo l’affidamento da lui riposto sulla sicurezza del prodotto100. Il fulcro di tale re-sponsabilità è rappresentato, quindi, dalle nozioni di difetto e di mancanza di sicurezza del prodotto. I due concetti sono tra loro collegati come si evince dall’art. 5 del Decreto del 1988 (ora art. 117 del codice del consumo) che defini-sce difettoso un prodotto quando “non offre la sicurezza che ci si può legitti-mamente attendere”. In questo senso, quindi, per difetto s’intende la violazione di una aspettativa di sicurezza stimata non tenendo conto delle specifiche con-dizioni soggettive del singolo consumatore, ma mediante una valutazione sociale di idoneità del prodotto al suo uso normale, assumendo, quindi, come parame-tro di riferimento, le legittime aspettative di sicurezza dell’intera categoria dei consumatori101.

Allo scopo, poi, di accertare la sicurezza o meno di un prodotto la norma individua quali circostanze oggettive di valutazione: il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l’uso al quale il prodotto può essere ragione-

——— 97 In proposito, P.G. MONATERI, op. ult. cit., p. 235 s.; A. LUPOLI, La responsabilità per danno da pro-

dotti difettosi, in F. BOCCHINI (a cura di), Diritti dei consumatori e nuove tecnologie, II, Il mercato, Torino, 2003, p. 69 ss.

98 M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 580 s. Nello stesso senso, Corte giust. CE, 10 maggio 2001, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 181, con nota di L.K. DOSI, Trapianto di rene e responsabilità per danno da prodotti difettosi: un’interpretazione ardita della Corte di Lussemburgo.

99 La giurisprudenza ha escluso, invece, l’applicabilità del d.P.R. n. 224/1988 alle ipotesi di danni da fumo, cosí: Trib. Napoli, 15 dicembre 2004, n. 12729, in Danno e resp., 2005, p. 645, ove, espressa-mente, si è affermato che “sono destituiti di fondamento i richiami dell’attore all’art. 2050 c.c., che ve-drebbe nella vendita di sigarette l’esercizio di una attività pericolosa, con conseguente responsabilità oggettiva delle parti convenute in relazione ai danni determinati dal fumo, nonché quelli relativi alla normativa di cui al d.P.R. n. 224/1988, in tema di responsabilità del produttore per i difetti di costru-zione, posto che nella fattispecie in esame non si è in presenza di un prodotto difettoso, per il quale la legge imponga uno specifico obbligo di informazione, ma di fattori di rischio connessi all’abuso, all’uso non corretto, del prodotto stesso”.

100 Cosí, per tutti, L. MEZZASOMA, Il danno da cose negli ordinamenti italiano e spagnolo, Napoli, 2001, p. 219.

101 L. MEZZASOMA, op. ult. cit., p. 202; P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, cit., p. 242 ss.; F. PROSPERI, op. cit., p. 305 ss.

Page 272: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 246

volmente destinato ed i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; il tempo in cui il prodotto è stato posto in circo-lazione (1° comma); nonché la sicurezza offerta normalmente dagli esemplari della medesima serie (3° comma). Nel contempo, viene precisato che un pro-dotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto piú perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio (2° com-ma)102.

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 (ora art. 117 del codice del consumo), il concetto di difettosità, punto centrale della discipli-na, va ricondotto alla mancanza di qualità del prodotto che, a seconda delle ipo-tesi, verrà a configurarsi come un difetto di informazione (1° comma, lett. a), o di progettazione (1° comma, lett. b); o di fabbricazione (3° comma)103.

Sul problema della difettosità del prodotto merita attenzione una decisione del Tribunale di Monza che ha dato, per la prima volta104, applicazione al d.P.R. n. 224/1988, occupandosi del caso di danni subiti da un ragazzo in séguito al cedimento della forcella, con conseguente distacco della ruota, di una bicicletta ———

102 M. L. LOI, Art. 5. Prodotto difettoso, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabili-tà per danno da prodotti difettosi, cit., p. 543 ss.; G. GHIDINI, Art. 5. Prodotto difettoso, in G. ALPA, U. CAR-NEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da pro-dotti difettosi, cit., p 40; C. COSSU, Sicurezza del prodotto e uso prevedibile, in Danno e resp., 1996, p. 87; E. BELLISARIO, Art. 117, Prodotto difettoso, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 751 ss.; V. CARFÌ, Art. 117, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 429 ss.

103 Su come vada inteso il concetto di sicurezza del prodotto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 115/1995 e del d.lgs. n. 172/2004, v. infra.

104 Va segnalato che la normativa in materia di responsabilità del produttore di cui al d.P.R. n. 224/1988 aveva già trovato una prima attuazione in una decisione arbitrale (Lodo arbitrale – Bologna 14 gennaio 1991, in Rass. dir. civ., 1992, II, p. 649) con riferimento all’ipotesi di un danno provocato dall’improvvisa fuoriuscita di di acqua bollente da un bollitore. Ed infatti, nell’esaminare siffatta fatti-specie, il Collegio arbitrale ha ritenuto che il concetto di prodotto insicuro, come tale difettoso o man-cante di qualità ai sensi dell’art. 1490 e ss. c.c., può essere desunto anche dalle norme contenute nel d.p.r. n. 224/1988. In tal modo si è arricchito il tradizionale concetto di vizio della cosa compravendu-ta facendovi rientrare anche il requisito della difettosità da assenza di sicurezza. Ne consegue che pro-dotto viziato è non solo quel bene carente delle qualità garantite dal compratore al venditore, oppure quel prodotto inidoneo all’uso in ragione del quale le parti hanno concluso il contratto di compraven-dita, ma anche quel prodotto insicuro potenzialmente idoneo a generare danni ai suoi utilizzatori. Piú specificamente, si è affermato che ai fini della valutazione della pericolosità del prodotto occorre avere riguardo sia all’uso normale del prodotto che alle capacità percettive e critiche del consumatore, re-stando invece escluse quelle ipotesi di danni cagionati da un uso anomalo del prodotto o a causa dell’ingenuità o disattenzione propria del consumatore. E, sotto quest’ultimo profilo, viene individuato quale parametro di riferimento la cultura media dei possibili fruitori di prodotti simili a quello in que-stione, non rilevando la circostanza che il prodotto stesso manifesti difettosità e/o vizi (da carenza di sicurezza) nel caso di un suo uso difforme rispetto alle modalità di utilizzazione cui risulta essere gene-ralmente indirizzato.

Page 273: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 247

acquistata circa due mesi prima105. I giudici, sussistendo la prova del danno, del difetto – il c.t.u. aveva messo in evidenza come la forcella, che è la parte piú im-portante sia dal punto di vista della resistenza che dell’equilibrio della bicicletta, era stata realizzata utilizzando un tubo di acciaio dolcissimo a bassissimo tenore di carbonio e privo di qualsiasi elemento di lega –, del nesso causale tra difetto e danno -acquisita a mezzo di prova testimoniale-, hanno condannato il produtto-re della bicicletta ex d.P.R. n. 224/1988. In particolare, è stato specificato che sussiste un grave difetto in quanto, trattandosi di una mountain bike, tipico mezzo adatto all’uso ‘fuoristradistico’, sorgono in capo al consumatore aspettative di particolare robustezza che, invece, non erano presenti in quello specifico pro-dotto. Si è così valutata la difettosità del prodotto rapportandola all’uso al quale il bene può essere normalmente destinato ed ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere (art. 5). Non altrettanto si sa-rebbe potuto dire se il danno fosse stato cagionato da una bicicletta da corsa che durante l’anomalo impiego ‘fuoristradistico’ avesse ceduto nel telaio. Nella stes-sa decisione, poi, si è espressamente richiamato anche l’art. 3 del d.P.R. n. 224/1988, specificando che la qualità di produttore si può desumere dalla appo-sizione sul prodotto del nome o del marchio106.

Nello stesso ordine di idee si collocano altre decisioni. La prima, del Giudi-ce di pace di Monza, ha applicato la normativa sulla responsabilità del produtto-re all’ipotesi di danni cagionati da prodotti alimentari107. Nella fattispecie si era verificata la frattura di due denti di un commensale per trauma da corpo estra-neo durante la masticazione di riso cotto con condimenti in scatola che conte-neva un frammento di metallo. In tal caso il prodotto agricolo inscatolato (con-dimento) è stato fatto rientrare tra i prodotti a cui andava applicato il d.P.R. n. 224/1988, essendo stato oggetto di trasformazione.

La seconda, del Tribunale di Monza, affronta il caso di danni cagionati da una macchina per la tessitura (orditoio) che aveva agganciato e risucchiato un ———

105 Trib. Monza, 20 luglio 1993, in Foro it., 1994, I, c. 251. 106 Cfr., Cass., 21 novembre 1995, n. 12023, in Danno e resp., 1996, p. 363, nella quale, relativamen-

te ad un caso antecedente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 224/1988, si è detto che all’identificazione del produttore si poteva giungere anche attraverso presunzioni: nell’ipotesi in cui su di una batteria c’era il solo marchio del rivenditore, il fatto che il rivenditore da tempo manteneva un rapporto di for-nitura esclusiva di quel tipo di batterie è sufficiente ad identificare il produttore, pur mancando la pro-va diretta di ciò (essendo distrutto il bene che aveva cagionato il danno). In proposito, si vedano: G. PONZANELLI, Batteria anonima e responsabilità del “vero” produttore, in Danno e resp., 1996, p. 363 ss.; C. MARTORANA, L’orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono legittimamente attendere. Le persone di non alta statura, in Resp. civ. e prev., 1996, p. 385 s.

107 Giud. Pace Monza, 20 marzo 1997, in Arch. civ., 1997, p. 876, con nota di V. SANTARSIERE.

Page 274: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 248

operaio che vi stava effettuando la manutenzione108. Anche qui la difettosità è stata desunta dalla mancanza di sicurezza che ci si può legittimamente attendere e che, come emerso dalla c.t.u., era conseguenza dell’assenza nel macchinario di protezioni e di meccanismi automatici di bloccaggio degli organi rotanti, dispo-sitivi che criteri di comune prudenza impongono di possedere.

La terza, del Tribunale di Milano, si è pronunciata in merito alle lesioni conseguenti alla caduta di un letto a castello inserito in un mobile componibile che si era rovesciato109. In questa ipotesi, sulle risultanze della c.t.u., è stato con-siderato difettoso il prodotto, in quanto: 1) il mobile commercializzato era affet-to da un vizio di costruzione di natura statica non essendo adeguato il rapporto fra le dimensioni della base rispetto all’altezza della struttura, talché era possibile il verificarsi del suo ribaltamento; 2) il mobile era affetto anche da un difetto di informazione. Ai sensi dell’art. 5, lett. a), nel giudizio di sicurezza del prodotto si deve tener conto del modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, della sua presentazione, delle sue caratteristiche palesi, delle istruzioni e delle avver-tenze fornite. Per un mobile del tipo di quello in questione – già di per sé, e tan-to più se di natura intrinsecamente instabile – deve essere previsto nelle istru-zioni il necessario ancoraggio al muro al fine di evitarne il rovesciamento, men-tre nel caso di specie tale ancoraggio era solo consigliato.

Il d.P.R. n. 224/1988 è stato, poi, applicato all’emblematico caso di scoppio di una bottiglia di acqua minerale nelle mani di un consumatore che l’aveva pre-sa da un self service110. Nella decisione in questione – che si occupa di una fatti-specie in cui la giurisprudenza aveva in precedenza sancito la responsabilità del gestore del supermercato, quale custode della cosa111 e del produttore per viola-———

108 Trib. Monza, 11 settembre 1995, in Resp. civ. e prev., 1996, p. 371. In questa decisione si è anche affermato che: la consapevolezza da parte del danneggiato del difetto del prodotto per rilevare ai fini della non responsabilità del produttore (art. 10) deve essere da questi positivamente provata; si deve ripartire la responsabilità tra i corresponsabili dell’evento dannoso, obbligati, però, al risarcimento in via solidale (art. 9). Nel caso di specie, perciò, non è stata tralasciata la valutazione della violazione del principio del neminem laedere da parte dell’acquirente/utilizzatore del macchinario -sanzionando il suo comportamento- che, in relazione alle vigenti norme antinfortunistiche, non aveva vigilato affinché i macchinari allocati nella propria officina fossero privi di difetti di sicurezza o di funzionamento.

109 Trib. Milano, 23 marzo 1995, cit. 110 Trib. Roma, 17 marzo 1998, in Foro it., 1998, I, c. 3660. 111 Trib. Monza, 10 novembre 1982, in Resp. civ. e prev., 1983, p. 789; Trib. Roma, 23 aprile 1984, in

Foro it., 1985, I, c. 588, con nota di N. MAZZIA; Trib. Roma 23 luglio 1984, in Temi rom., 1984, p. 822; App. Roma, 8 ottobre 1986, in Foro it., 1987, I, c. 1590, con nota di N. MAZZIA. V., tuttavia, Cass., 1° aprile 1987, n. 3129, in Dir. prat. ass., 1988, p. 125, in cui è stata esclusa la responsabilità di un negozian-te, nel caso in cui la bottiglia esplosa era stata consegnata pochi secondi prima al cliente, essendo venu-to meno il rapporto di custodia. In dottrina, A. DE BERARDINIS, La responsabilità extracontrattuale per danno da prodotti difettosi, in Resp. civ. e prev., 1996, p. 680.

Page 275: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 249

zione dell’art. 2043 c.c.112 – i giudici, raggiunta a mezzo testi la prova dell’esi-stenza del nesso causale tra l’evento dannoso e la bottiglia, hanno condannato il produttore al risarcimento, ricorrendo un difetto di fabbricazione. Il prodotto era difettoso in quanto, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R n. 224/1988, non offriva la sicurezza normalmente assicurata dai prodotti della medesima serie.

Anche in un’altra decisione del Tribunale di Milano113 inerente i danni ri-portati da un giardiniere che, mentre stava svolgendo la propria specifica attività lavorativa, era caduto, a causa del cedimento di due pioli, da una scala di allumi-nio, è stato richiamato l’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988. La responsabilità extra-contrattuale per danno da prodotto difettoso della società produttrice della scala è stata affermata sul rilievo che “non può ragionevolmente contestarsi la difet-tosità del prodotto messo in commercio dalla ditta convenuta, dal momento che una scala in alluminio che cede improvvisamente, mentre viene adibita all’uso cui è destinata, presenta un grado di sicurezza incompatibile con quello che il consumatore può da essa ragionevolmente attendersi”. All’uopo, si evidenzia come “una scala estensibile è normalmente destinata a sostenere il peso di una persona che vi salga per eseguire un lavoro, per prendere un oggetto posto piú in alto rispetto alla superficie su cui si trova o per altre ragioni”, cosicché non è risultato ravvisabile alcun uso anomalo dell’attrezzo da parte del danneggiato che, ex art. 10 del d.P.R. n. 224/1988, esclude la possibilità di ottenere il risar-cimento del danno.

Il Tribunale di Massa Carrara, poi, relativamente ai danni cagionati da un frullatore fornito di lame taglienti e rotanti ad alta velocità, e, pertanto, palese-mente dotato di intrinseca pericolosità114, accertato che il frullatore era sprovvi-sto di qualsiasi congegno di sicurezza, ha ritenuto che il produttore deve consi-derarsi responsabile non solo in presenza di uno specifico vizio ma anche qua-lora siano dimostrati quei fatti materiali che evidenziano la non sicurezza del bene. A tal fine, vengono indicati quali parametri di valutazione: il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, l’uso al quale può essere ragionevolmen-te destinato ed i comportamenti che in relazione ad esso si possono presumi-bilmente prevedere. Ne consegue, così, che, ai fini dell’applicazione del d.P.R. n. 224/1988, la difettosità di un prodotto non viene verificata semplicemente at-traverso il controllo delle regole di buona tecnica produttiva, ma costituisce il ———

112 Trib. Roma, 11 ottobre 1967, in Temi rom., 1976, p. 667; Trib. Savona, 31 dicembre 1971, in Giur. merito, 1973, p. 583; App. Roma, 30 luglio 1992, in Resp. civ. e prev, 1996, p. 672.

113 Trib. Milano, 31 gennaio 2003, in Danno e resp., 2003, p. 634. 114 Trib. Massa Carrara, 20 marzo 2000, in Arch. civ., 2002, I, p. 343.

Page 276: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 250

frutto di un giudizio di sintesi espresso in termini di non sicurezza del prodotto stesso che, nel caso di specie, si riferisce alla progettazione del bene115.

Ciò considerato, il Decreto del 1988 attribuisce, in ogni caso, al produttore la possibilità di liberarsi dalla propria gravosa responsabilità nelle sole ipotesi previste dall’art. 6 (ora art. 118 del codice del consumo)116. In particolare, egli avrà la facoltà di dimostrare: che non aveva messo in circolazione il prodotto difettoso (lett. a) o che, in tale momento, il difetto non esisteva (lett. b); che egli non aveva fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di di-stribuzione a titolo oneroso, né lo aveva fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività professionale (lett. c); che il difetto del prodotto era dovuto alla obbligatoria conformità dello stesso ad una norma giuridica o ad un provvedi-mento vincolante (lett. d); che, trattandosi della produzione o della fornitura di una parte componente o di una materia prima, il difetto era interamente dovuto alla concezione del prodotto finale in cui essa era stata incorporata od alla sua conformità alle istruzioni date dal produttore che l’aveva poi utilizzata (lett. f).

La disposizione prevede, inoltre, che il produttore di un bene difettoso possa essere esonerato dalla sua responsabilità raggiungendo la prova che lo sta-to delle conoscenze scientifiche e tecniche, al tempo della messa in circolazione del prodotto, non permetteva ancora di considerare lo stesso difettoso (lett. e)117-118. In tal modo, il legislatore italiano ha scelto di far gravare sul danneggia-

——— 115 Cosí, anche, Trib. Brindisi-Ostuni, 12 gennaio 2001, in Corti Bari, Lecce e Potenza, 2001, I, p.

331, che ha condannato al risarcimento dei danni, ai sensi del d.P.R. n. 224 del 1988, il produttore di un trampolino spezzatosi improvvisamente perché affetto da un difetto di fabbricazione. Allo stesso modo, Trib. Forlì, Sez. dist. Cesena, 25 novembre 2003, in Foro it., 2004, I, c. 1631, il quale ha afferma-to la responsabilità della società produttrice di comparti frigoriferi installati su automezzi per il caso di danni provocati dal cedimento della struttura refrigerante -dipeso da un’originaria ed intrinseca debo-lezza della struttura imputabile, come tale, ad un difetto di fabbricazione- con la conseguente perdita della merce in esso contenuta.

116 V., M. BIN, L’esclusione della responsabilità, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La respon-sabilità del produttore, cit., p. 114 ss.; N. MATASSA, Art. 6. Esclusione della responsabilità, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 556 ss.; C. M. VERARDI, Art. 6. Esclusione della responsabilità, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 64 ss.; E. BELLISARIO, Art. 118, Esclu-sione della responsabilità, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 754 ss.; V. CARFÌ, Art. 118, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 432 ss.

117 V., al riguardo, N. MATASSA, op. cit., p. 565 ss.; S. BASTIANON, La Corte di Giustizia Ce e la respon-sabilità del produttore (Nota a Corte giust. Comunità europee, 29 maggio 1997, n. 300/95, Commiss. Ce c. Gov. Regno Unito Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Danno e resp., 1997, p. 572 ss.; A. DI NEPI, “Danni da svi-luppo” e responsabilità del produttore (Nota a Corte giust. comunità europee, 29 maggio 1997, n. 300/95, Commiss. Ce c. Gov. Regno Unito Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Corr. giur., 1997, p. 1387 ss.; V. ANTUOFERMO, Il rischio da sviluppo nella responsabilità del produttore, in Riv. giur. sarda, 2000, p. 523 ss.; F. CAFAGGI, op. cit.,

Page 277: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 251

to e non sul produttore del bene i cosiddetti rischi da sviluppo tecnologico e scientifico volendo non disincentivare il progresso tecnico e l’immissione sul mercato di nuovi prodotti, anche a scapito della completa protezione dei con-sumatori119.

In ogni caso, il momento temporale da considerare per configurare la re-sponsabilità del produttore sarà quello della messa in circolazione del prodotto che, ai sensi dell’art. 7 del Decreto (ora art. 119 del codice del consumo) coinci-de con la consegna del prodotto all’acquirente, all’utilizzatore o ad un ausiliario di questi anche in visione o in prova, oppure con la consegna al vettore o allo spedizioniere per il successivo invio all’acquirente o all’utilizzatore120. Ne di-scende che un prodotto deve considerarsi messo in circolazione allorché sia u-scito dal processo di fabbricazione messo in atto dal produttore e sia entrato nel processo di commercializzazione in cui si trova nello stato offerto al pubblico per essere utilizzato o consumato121.

Ciò considerato, il contenuto specifico della prova liberatoria permette an-che di stabilire la natura della responsabilità del produttore su cui ampio è stato il dibattito della dottrina che ha visto schierarsi, da un lato, coloro i quali ne rav-visano un fondamento colposo, dall’altro, coloro che ritengono, invece, trattarsi di una responsabilità fondata sulla mera causalità.

Nell’ambito della suddetta contrapposizione tutti concordano, tuttavia, sul fatto che nell’ipotesi di difetto di fabbricazione il riscontro immediato ed oggettivo della difformità del prodotto dagli altri esemplari della medesima serie sarà suffi-ciente a determinare l’esistenza del difetto ed a rendere, quindi, responsabile il pro-duttore. In tale ipotesi, pertanto, ricorrerà un’ipotesi di responsabilità di natura pu-ramente oggettiva dalla quale il produttore non potrà in alcun modo liberarsi.

——— p. 560 ss.; E. VISENTINI, L’esimente del rischio di sviluppo come criterio della responsabilità del produttore. (L’esperienza italiana e tedesca e la Direttiva comunitaria), in Resp. civ. e prev., 2004, p. 1267 ss.

118 Per un confronto tra la prova liberatoria indicata dall’art. 2050 c.c. e quella prevista dall’art. 6, lett. e) del d.P.R. n. 224/1988, M. FRANZONI, Dei fatti illeciti. Art. 2043-2059, in Comm. cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro Quarto, Delle Obbligazioni, artt. 2043-2059, Bologna-Roma, 1993, p. 535 ss; ID., L’illecito, cit., p. 585 s.; G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, 3ª ed., Padova, 2005, p. 848.

119 L’art. 15, comma primo, lett. b) della Direttiva lasciava, infatti, liberi gli Stati membri nella in-dividuazione della tipologia dei prodotti cui applicare tale prova liberatoria. Così, Finlandia e Lussem-burgo non hanno previsto questa esimente, la Spagna non l’ha riconosciuta per i prodotti alimentari e farmaceutici, la Francia l’ha esclusa per i prodotti derivanti dal corpo umano, la Germania non l’ha ammessa per i prodotti farmaceutici.

120 P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, cit., p. 247 ss. 121 Così, Corte giust. CE, 9 febbario 2006, causa C-127/04, in Resp. civ., 2006, p. 113, con nota di

U. CARNEVALI, Consegna del prodotto al distributore e “messa in circolazione” di esso.

Page 278: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 252

Per quanto riguarda, invece, le altre tipologie di difetti la dottrina è divisa. Chi propende per un’interpretazione oggettiva della responsabilità prevista

dal d.P.R. n. 224/1988 sostiene che gli artt. 1 e 6 del Decreto del 1988 (ora art. 114 e 118 del codice del consumo) non prevedono la colpa quale criterio di im-putazione della responsabilità122. Il produttore è considerato responsabile per il danno cagionato da un prodotto difettoso sul presupposto che il bene non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le cir-costanze. Con riferimento, quindi, al contenuto della prova liberatoria il produt-tore potrà andare esente da responsabilità soltanto dimostrando che il prodotto era sufficientemente sicuro nel momento in cui è stato messo in circolazione. E, piú in particolare, sarà necessario dimostrare positivamente l’estraneità, sul pia-no meramente causale, del produttore alla causazione dell’evento dannoso me-diante la prova di taluna delle ipotesi previste dall’art. 6 (ora art. 118 del codice del consumo)123.

Coloro che, invece, assegnano un significato soggettivo alla responsabilità di cui al d.P.R. n. 224/1988 danno un particolare rilievo anche al comportamen-to diligente o meno del produttore124. In questo modo, si ritiene che la prova dell’imprevedibilità del difetto in base alle conoscenze tecniche e scientifiche del momento, nell’ipotesi di difetti di progettazione, e la prova dall’assenza o dall’inadeguatezza delle istruzioni fornite e necessarie per l’uso del prodotto, nell’ipotesi di difetti di informazione, implicano necessariamente una valutazio-ne in termini di diligenza del produttore. Così, infatti, dimostrare che il difetto non era prevedibile tenuto conto del progresso tecnico e scientifico raggiunto al tempo della messa in commercio del prodotto significa provare che il produt-tore ha adottato ogni accorgimento tecnico e scientifico idoneo ad evitare l’insorgenza nello stesso di difetti. Si deve trattare, in ogni caso, di difetti im-———

122 G. ALPA, M. BESSONE, V. ZENO-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Obbligazioni e contratti, 14, Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 2ª ed., Torino, 1995, p. 391 s.; G. ALPA, Trattato di diritto civile, IV, La responsabilità civile, Milano, 1999, p. 858 s.; M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 572 ss.; G. VISINTINI, Trat-tato breve della responsabilità civile, cit., p. 847; G. ALPA e M. ANDENAS, op. cit., p. 450.

123 Su questo aspetto, v., per tutti, G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., p. 401, ove viene specifica-to che la responsabilità oggettiva del produttore non configura, però, una responsabilità “assoluta” tenuto conto dei temperamenti dettati dalle cause di esclusione della sua responsabilità.

124 L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, cit., p. 770, per i qua-li “dal combinato disposto degli artt. 1 e 5, 1° comma, emerge dunque una peculiare ipotesi di respon-sabilità che, in virtù della sua graduazione intermedia tra il modello della responsabilità (puramente) oggettiva ed il modello della responsabilità (puramente) soggettiva può essere avvicinata –in una pro-spettiva di coerente inquadramento sistematico delle varie previsioni normative speciali di responsabili-tà civile- alle ipotesi di responsabilità semioggettiva delineate, sia pure con formule diverse, dagli artt. 2050, 2051 e 2052 cod. civ.”.

Page 279: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 253

ponderabili e sconosciuti per il produttore, cosicché non potrà considerarsi e-sclusa la sua responsabilità nell’ipotesi in cui ricorrano rischi dei quali è nota la presenza, pur soltanto potenziale, all’interno del processo produttivo. È in que-sto senso, pertanto, che la colpa del produttore si configura quale presupposto costitutivo della responsabilità, di guisa che il produttore risponderà dei danni se, alla stregua di un criterio obiettivo di diligenza, avrebbe dovuto essere in grado di prevedere la difettosità del prodotto al momento della sua messa in cir-colazione.

Sotto altro profilo, il comportamento del produttore assume una rilevanza decisiva pure nell’ambito della prova liberatoria accordata dal d.P.R. n. 224/1988 al produttore o al fornitore di una componente o di un materia prima che siano state realizzate secondo le indicazioni fornite da un altro produttore. Anche in questo caso, l’esclusione della responsabilità del produttore trova giustificazione nell’assenza della sua colpa che si sostanzia nell’aver realizzato la parte compo-nente o la materia prima in conformità alla prescrizioni indicate dal committente e nell’aver operato, a tal fine, con diligenza. E, con riferimento a quest’ultimo aspetto, dovrà considerarsi non diligente e, dunque, colposo, il comportamento di quel produttore che scelga di eseguire comunque le indicazioni impartite dal committente pur essendo consapevole della loro pericolosità per gli utilizzatori finali del bene, ovvero nel caso in cui la pericolosità era conoscibile.

Allo stesso modo, il criterio della colpa vale ad esonerare dalla responsabili-tà il produttore che abbia realizzato un prodotto attenendosi ai requisiti minimi di sicurezza imposti da una norma imperativa o da un provvedimento vincolan-te. In particolare, in tale ipotesi la mancanza di colpa del produttore risulta dal fatto che il rispetto delle prescrizioni legislative o regolamentari è per lui dove-roso, in modo che gli risulta preclusa la possibilità di operare scelte discrezionali circa l’adozione di diversi ed ulteriori procedimenti produttivi125.

Ciò considerato, l’onere della prova risulta, ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n. 224/1988 (ora art. 120 del codice del consumo), ripartito nel senso che al con-sumatore danneggiato spetterà semplicemente dimostrare il danno, il difetto ed il nesso causale tra il danno ed il difetto (1° comma)126; mentre al produttore

——— 125 Per queste considerazioni, v., da ult., P. PROSPERI, op. cit., p. 310 ss. 126 In proposito, v. Trib. Benevento, 24 febbraio 2006, in Danno e resp., 2006, p. 1254, che ha con-

dannato al risarcimento dei danni il produttore di una confezione di bottiglie di acqua minerale la qua-le, a causa della rottura del suo manico, cadendo violentemente urtava un’altra bottiglia di vetro che frantumandosi provocava delle lesioni agli occhi di un cliente. E, più in particolare, l’organo giudicante ha ritenuto sussistere il nesso di causalità tra il difetto della confezione e i danni verificatisi sul rilievo

Page 280: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 254

che intende liberarsi dalla responsabilità spetterà provare l’esistenza delle circo-stanze enunciate nell’art. 6 dello stesso Decreto del 1988 (2° comma)127.

Nel contempo, il risarcimento del danno dovuto dal produttore potrà esse-re limitato in ragione della colpa del danneggiato128. L’art. 10 del Decreto del 1988 (ora art. 122 del codice del consumo) richiamando, infatti, l’art. 1227, 1° comma, c.c., stabilisce che se il fatto colposo del danneggiato ha concorso a produrre il danno, il risarcimento sarà diminuito in relazione alla gravità della colpa ed all’entità delle conseguenze che ne sono derivate (primo comma); e che la responsabilità del produttore è esclusa ove il danneggiato, pur consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne deriva, lo utilizzi volontariamente esponendosi ai rischi ad esso connessi (secondo comma).

A tal proposito, in una decisione inerente i danni cagionati dall’esplosione di un fuoco d’artificio affetto da un vizio di fabbricazione, la Cassazione ha rite-nuto corretta la decisione di merito che, nella determinazione dell’ammontare del risarcimento del danno, ha tenuto conto del comportamento imprudente della vittima, la quale se si fosse allontanata immediatamente dal luogo in cui è avvenuto lo scoppio dell’ordigno, avrebbe con tutta probabilità riportato minori lesioni129.

Con particolare riferimento, poi, al danno risarcibile, l’art. 11 del Decreto (ora art. 123 del codice del consumo) limita le richieste risarcitorie che il con-sumatore potrà proporre nei confronti del produttore al danno cagionato dalla morte o da lesioni personali, ovvero dalla distruzione o dal deterioramento di

——— che “il cedimento del manico della confezione ha costituito l’antecedente necessario della serie causale culminata nel ferimento dell’attore”.

127 V., P. CENDON, P. ZIVIZ, La prova del danno, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La re-sponsabilità del produttore, cit., p. 155 ss.; C. MARTI, Art. 8. Prova, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 592 ss.; S. PATTI, Ripartizione dell’onere della prova, probabilità e verosimiglianza nella prova del danno da prodotto, in S. PATTI (a cura di), Il danno da prodotti in Italia, Austria, Repubblica Federale di Germania, Svizzera, cit., p. 139 ss.; F. DI GIOVANNI, La responsabilità del produttore tra protezione del consumatore e disciplina dell’attività d’impresa, in P. STANZIONE (a cura di), La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, cit., p. 303 ss.; E. DALMOTTO, L’onere della prova e la protezio-ne del consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 135; E. BELLISARIO, Art. 120, Prova, in G. ALPA, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo. Commentario, cit., p. 761 ss.; V. CARFÌ, Art. 120, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 440 ss.

128 V., P. CENDON, A. VENCHIARUTTI, La colpa del danneggiato, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 185 ss.; S. DI PAOLA, Art. 10. Colpa del danneggiato, in R. PARDOLESI, G. PONZANELLI (a cura di), La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 609 ss.; F. DI GIOVANNI, Art. 10. Colpa del danneggiato, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 171 ss.; F. CAFAGGI, op. cit., p. 582 ss.

129 Cass., 14 giugno 2005, n. 12750, cit.

Page 281: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 255

una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all’uso o al consumo privato e così principalmente utilizzata dal consumatore130.

La norma prevede, inoltre, una franchigia al di sotto della quale il d.P.R. n. 224/1988 non risulta applicabile: il danno alle cose risulta, così, risarcibile solo nella misura in cui esso ecceda la somma di € 387,34. Il legislatore ha voluto, in tal modo, evitare il proliferare, in modo sproporzionato, di controversie di lieve entità che si sarebbero riflesse negativamente sulla tutela del consumatore ren-dendo piú difficile il suo accesso alla giustizia, sempre con l’obiettivo di una ar-monizzazione globale dei sistemi131.

Con riguardo ai profili risarcitori appare degna di segnalazione una decisio-ne del Tribunale di Vercelli132 ove si precisa che la natura oggettiva della re-

——— 130 Quest’ultima previsione sottolinea inoltre come, nell’ipotesi di danni alle cose, la disciplina del

d.P.R. n. 224/1988 non possa trovare applicazione nel caso di danni connessi ad un uso professionale della cosa danneggiata, per la semplice perdita del bene difettoso e per le spese eventualmente sostenu-te a causa del richiamo del prodotto difettoso. In generale v., M. FRANZONI, Il danno risarcibile, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 207 ss.; C.M. VERARDI, Art. 11. Danno risarcibile, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VE-RARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 220 ss.; P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, cit., p. 253 ss.; V. CARFÌ, Art. 123, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 447 ss.

131 Cosí, la Corte di Giustizia ha condannato Francia e Grecia per aver ammesso la risarcibilità, in applicazione delle disposizioni della direttiva n. 374 del 1985, anche di danni inferiori alla franchigia prevista per legge: si vedano, Corte giust. CE, 25 aprile 2002, causa C-52/00, per la Francia e Corte giust. CE, 25 aprile 2002, causa C-154/00, per la Grecia, in Danno e resp., 2002, p. 717, con nota di G. PONZANELLI, Armonizzazione del diritto v. protezione del consumatore: il caso della responsabilità del produttore; in Foro it., 2002, IV, c. 295, con nota di A. PALMIERI, R. PARDOLESI, Difetti del prodotto e del diritto privato europeo; in Corr. giur., 2002, p. 1144, con nota di R. CONTI, Corte di giustizia e responsabilità del produttore. Un passo avanti e (tre) indietro nella tutela del consumatore?; in Resp. civ. e prev., 2002, p. 979, con nota di S. BASTIANON, Responsabilità del produttore per prodotti difettosi: quale tutela per il consumatore?; in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 119, con nota di V. LENOCI, Luci ed ombre della normativa europea in materia di responsabili-tà per danno da prodotti difettosi. Sulla questione v., anche, M-E. ARBOUR, Corte di giustizia e protezione delle tradizioni giuridiche nell’interpretazione della Direttiva CEE/374/85, in Danno e resp., 2003, p. 375 ss.; F. CA-FAGGI, op. cit., p. 533 ss.

132 Trib. Vercelli, 5 febbraio 2003, in Danno e resp., 2003, p. 1001. Nella specie il giudice fonda la responsabilità del produttore sul rilievo che, ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, “in ordine alla sussistenza del difetto, la vittima non è tenuta a dimostrare l’intrinseco vizio di fabbricazione del bene, essendo sufficiente dimostrare che il prodotto è insicuro”. Nel contempo, viene evidenziato, come nella secon-da parte dell’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 sono individuati alcuni criteri (non tassativi) ai quali ricorrere per verificare le condizioni di sicurezza offerte da un prodotto tra cui le istruzioni e le avvertenze for-nite, nonché l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato ed i comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere. L’assenza o la carenza di istruzioni o di avver-tenze allegate al prodotto si configura, pertanto, come un’ipotesi di mancato rispetto delle condizioni di sicurezza poiché si ritiene che “una corretta e completa informazione sia in grado di neutralizzare la pericolosità intrinseca del prodotto o quella legata a determinate possibilità d’uso dello stesso”. Ne consegue che “la nozione di difettosità non si incentra dunque sulla mera idoneità all’uso del prodotto, ma sulla legittima aspettativa di sicurezza che – tenuto conto dei parametri obiettivi indicati dal citato

Page 282: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 256

sponsabilità per danno da prodotto difettoso non impedisce il risarcimento del danno morale qualora le lesioni personali riportate dal consumatore siano ascri-vibili ad un comportamento colposo del produttore il quale, nella fattispecie considerata, è da ricondursi al fatto di aver predisposto ed allegato alla caffettie-ra istruzioni lacunose ed ambigue relative alla valvola che costituisce la compo-nente che garantisce la sicurezza complessiva del prodotto. In conclusione, il giudice precisa che va risarcito il danno morale poiché appare illogico ed immo-tivato che “il vantaggio offerto al consumatore dal d.P.R. n. 224/1988, ovvero la possibilità di ottenere un risarcimento a prescindere dalla colpa del produtto-re, possa essere diminuito per effetto di una preclusione assoluta ad ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali”133. Allo stesso modo, in un’altra pronuncia del Tribunale di Roma si è affermato che il produttore, responsabile oggettiva-mente del danno cagionato dal difetto del prodotto, deve risarcire l’utilizzatore anche dei danni non patrimoniali per la perdita del congiunto e la connessa lesione definitiva del rapporto parentale, nonché per la sofferenza psichica patita134.

Ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, poi, l’azione di risarcimento soggiace a termini di prescrizione e di decadenza diversi da quelli contenuti nel codice civi-le in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Così, l’art. 13 ——— art. 5 – il consumatore può nutrire”. Ciò premesso, il produttore è stato considerato responsabile dei danni cagionati dall’esplosione della caffettiera in quanto “avrebbe dovuto segnalare adeguatamente l’eventualità che dopo un determinato periodo o in considerazione di particolari situazioni ambientali (es. la presenza di acque dure) la valvola poteva non essere più in grado di garantire la sicurezza della caffettiera e di conseguenza l’incolumità del consumatore”.

133 In questa prospettiva, si colloca anche una decisione del Tribunale di Roma ove è stata affer-mata la responsabilità della casa produttrice di un motociclo per i danni sofferti da una signora che era rovinata a terra a causa, secondo quanto emerso a seguito della complessa attività istruttoria acquisita, di un difetto meccanico o di assemblaggio verificatosi in fase di produzione ed imputabile al solo pro-duttore. A tal riguardo, il giudice ha osservato che “spetta al produttore fornire idonea e rigorosa prova liberatoria. In conseguenza qualsiasi causa ignota è imputabile al produttore e non al consumatore, il quale ha pieno diritto di usufruire di prodotti non pericolosi”. È stata così dichiarata la responsabilità ex d.P.R. n. 224/1988 del produttore del motociclo il quale è stato condannato a risarcire, accanto al danno materiale (danni riportati dal mezzo, spese per il soccorso ed il deposito, acquisto di un’auto-vettura sostitutiva) ed al danno patrimoniale connesso alla riduzione della capacità reddituale, il danno non patrimoniale (Trib. Roma, 14 novembre 2003, in Foro it., 2004, I, c. 1632).

134 Trib. Roma, 4 dicembre 2003, cit., con nota di A.L. BITETTO. Si segnala, poi, una decisione del Tribunale di La Spezia ove, con riferimento al caso di danni provocati dalla caduta per rottura del tacco di uno stivale che presentava un difetto di fabbricazione, è stato risarcito il danno biologico ed il danno patrimoniale, ma si è esclusa la risarcibilità del danno morale sul rilievo che essa è subordinata alla sus-sistenza di una colpa, quanto meno presunta, da cui invece prescinde il d.P.R. n. 224 del 1988 (Trib. La Spezia, 27 ottobre 2005, in Corr. merito, 2006, p. 177, con nota di L. CABELLA PISU, Il costo di una caduta dagli stivali; in Resp. civ., 2006, p. 465, con nota di M. GORGONI, La responsabilità ex d.P.R. n. 224/1988 tra rigurgiti giurisprudenziali e manovre normative; in Danno e resp., 2006, p. 173, con nota di G. PONZANELLI, Stacco del tacco e difetto del prodotto).

Page 283: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 257

(ora art. 125 del codice del consumo) dispone che il diritto al risarcimento si prescrive nel temine di tre anni decorrenti dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del difetto del prodotto e dell’identità del danneggiante (comma primo)135.

Come è stata delineata, la responsabilità per danno da prodotto difettoso si impone quale disciplina di carattere imperativo ed inderogabile: l’art. 12 del d.P.R. n. 224/1988 (ora art. 124 del codice del consumo) statuisce, infatti, la nullità di qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la responsabilità prevista dal Decreto136. Nel contempo, però, il legislatore lascia sopravvivere le altre norme esistenti nel nostro ordinamento, contenute nel codice civile o nella legislazione speciale, che attribuiscono diritti al consumatore danneggiato137. Così, ai sensi dell’art. 15 (ora art. 127 del codice

——— 135 L’art. 14 (ora art. 126 del codice del consumo) prevede anche che il diritto al risarcimento si e-

stingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l’importatore nella Comunità euro-pea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno (comma primo). La norma precisa, inoltre, che la decadenza potrà essere impedita dalla proposizione di una domanda giudiziale, natural-mente rivolta ad ottenere il risarcimento, nonché dalla domanda di ammissione del credito in una pro-cedura concorsuale, o dal riconoscimento del diritto da parte del responsabile (secondo comma). In ogni caso, l’atto che impedisce la decadenza nei confronti di uno dei responsabili non ha effetto ri-guardo agli altri (comma terzo). In proposito, M. FRANZONI, La prescrizione e la decadenza, in G. ALPA, M. BIN e P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 253 ss.; U. CARNEVALI, Art. 13. Prescrizione, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 301 ss.; ID., Art. 14. Decadenza, in G. ALPA, U. CAR-NEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da pro-dotti difettosi, cit., p. 307 ss.

136 V., P. CENDON, F. DEVESCOVI, Le clausole di esonero della responsabilità, in G. ALPA, M. BIN, P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, cit., p. 225 ss.; G. ALPA, Art. 12. Clausole di esonero da responsabilità, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 261 ss. Nello stesso senso si esprime anche l’art. 1519-octies, 1° comma, c.c. (ora art. 134 del codice del consumo) che, in materia di vendita di beni di consumo, esclude la validità di qualsiasi clausola di esonero della responsabilità del professionista nei confronti del consumatore ed afferma la limitata negoziabilità e disponibilità dei diritti allo stesso attri-buiti. Per un commento, P.M. PUTTI, Art. 1519 octies., in G. ALPA, G. DE NOVA, G. CAPILLI, L. CO-LANTUONI, C. LEO, A. MANIACI, P. M. PUTTI, A. SCARPELLO, M. VALCADA, L’acquisto di beni di consumo. D.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., p. 77 ss.; A. ZACCARIA, G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, Padova, 2002, p. 134 ss.; F. PADOVINI, Sul carattere imperativo delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva 1999/44/CE (dedicata a taluni aspetti delle vendite e delle garanzie dei beni di consumo), in AA.VV., L’attuazione della direttiva 99/44/CE in Italia ed in Europa, Atti del Convegno Internazionale dedicato alla memo-ria di Alberto Trabucchi. Padova, 14-15 settembre 2001, Padova, 2002, p. 213 ss.; E. CORSO, op. cit., p. 177 ss.; F. MAZZASETTE, Carattere imperativo delle disposizioni sulla vendita di beni di consumo (art. 1519 octies c.c.), in M.J. REYES LÓPEZ (a cura di), La Ley 23/2003, de Garantía de los Bienes de Consumo: Planteamiento de Presente y Perspectivas de Futuro, Derecho Patrimonial, Navarra, 2005, p. 97 ss.

137 Questa previsione si ricollega ad altre disposizioni in materia di tutela del consumatore le quali, espressamente, lasciano sopravivere le normative nazionali che assicurano un maggior livello di prote-zione per il consumatore. Così, ad esempio, da ultimo, l’art. 1519-nonies c.c. (ora art. 135 del codice del

Page 284: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 258

del consumo), la normativa codicistica mantiene una sua specifica rilevanza sia nelle ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione del Decreto – ri-schio da sviluppo, danni patrimoniali inferiori al minimo ammissibile a risar-cimento, ecc. –, sia in quelle in cui l’evento dannoso è frutto delle azioni con-giunte di produttore e di altre persone, sia in quelle che sono da esso discipli-nate138, con l’obiettivo di realizzare un sempre maggior livello di protezione per il consumatore139.

Ciò significa che viene rimessa alla mera discrezionalità del consumatore danneggiato la opzione di quale azione esperire in giudizio nei confronti del professionista danneggiante, cosicché la disciplina di cui al d.P.R. n. 224/1988 rappresenta solamente uno dei possibili rimedi accanto alle azioni di tipo con-trattuale ed extracontrattuale già previste nell’ordinamento giuridico per il caso di danni cagionati da prodotti140. ——— consumo) statuisce che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”. Sul punto si rinvia a, L. MEZZA-SOMA, La disciplina sulla vendita di beni di consumo nell’ordinamento italiano ed il concorso con altre disposizioni (art. 1519 nonies c.c.), in M.J. REYES LÓPEZ (a cura di), La Ley 23/2003, de Garantía de los Bienes de Consumo: Planteamiento de Presente y Perspectivas de Futuro, Derecho Patrimonial, cit., p. 113 ss.

138 Cosí, G. ALPA, L'attuazione della direttiva comunitaria sulla responsabilità del produttore. Tecniche e modelli a confronto, in Contr. e impr., 1988, p. 575 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI e U. NATOLI, Diritto civile, cit., p. 771 s.; U. RUFFOLO, Art. 15. Responsabilità secondo altre disposizioni, in G. AL-PA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, U. RUFFOLO, C.M. VERARDI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, cit., p. 333 ss.; A. GORASSINI, Contributo per un sistema della responsabilità del produt-tore, cit., p. 327 ss.; A. SARAVALLE, Responsabilità del produttore e diritto internazionale privato, Padova, 1991, p. 280 ss.; B. GARDELLA TEDESCHI, La responsabilità del produttore e il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 333; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, 2ª ed., Milano, 1998, p. 315 ss. V. anche, F.D. BUSNELLI, G. PONZANELLI, La responsabilità del produttore tra legislazione speciale e codice civi-le, in S. PATTI (a cura di), Il danno da prodotti in Italia, Austria, Repubblica Federale di Germania, Svizzera, cit., p. 26 ss., per i quali le due diverse normative possono coesistere mantenendo distinte caratteristiche e garantendo al danneggiato un concorso di azioni tra le quali egli può scegliere valutando la convenien-za di ciascuna di esse.

139 E, non a caso, nei confronti della Spagna che ha recepito la direttiva Cee n. 374 del 1985 con alcuni anni di ritardo rispetto al termine ultimo per il recepimento fissato dal legislatore comunitario (legge n. 22/1994), né la Commissione europea, né la Corte di Giustizia, hanno adottato provvedimen-ti di condanna per violazione della normativa comunitaria sul presupposto che, nella sostanza, la L.G.D.C.U. (legge n. 26/1984) garantiva alla persona danneggiata dalla circolazione di prodotti difetto-si un livello di tutela, per alcuni aspetti, maggiore di quello contenuto nella normativa comunitaria; per tale constatazione L. MEZZASOMA, Il danno da cose negli ordinamenti italiano e spagnolo, cit., p. 205 ss.

140 Sul punto, Trib. Venezia, 14 febbraio 2005, in Danno e resp., 2005, p. 1125 (con nota di G. GUERRESCHI, Quando il cumulo di responsabilità viaggia su due ruote), in cui, occupandosi del caso di una bambina la quale aveva riportato lesioni causate dalla sporgenza di lame di ferro dal parafango di una city-bike, si è ha affermato che “il d.P.R. n. 224 del 1988, pur volendo fornire una disciplina di maggior favore per il consumatore danneggiato, tuttavia non esclude né limita i diritti a questo attribuiti da altre leggi. Rimane, perciò, nelle facoltà attoree quella di appuntare la propria azione sulla violazione della regola base del sistema di responsabilità civile predisposta dal codice e quindi indirizzare le proprie pre-

Page 285: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 259

3. — Il prodotto difettoso ed il prodotto insicuro. In questo quadro, dopo l’emanazione del d.P.R. n. 224/1988, sia in ambito

comunitario che nazionale sono stati adottati ulteriori provvedimenti legislativi che hanno inciso in modo rilevante sulla disciplina della responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione di prodotti difettosi e, più in generale, sulle problematiche inerenti alla sicurezza dei prodotti. Il riferimento è, più specifi-camente, ai vari regolamenti comunitari in materia di sicurezza dei prodotti a-gro-alimentari141 ed alla direttiva comunitaria n. 59/1992 attuata con il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 115, successivamente integrata e sostituita dalla direttiva n. 95/2001, recepita in Italia dal d.lgs. 21 maggio 2004, n. 172142.

In particolare, queste normative introducono nell’ordinamento interno una nozione generale di prodotto sicuro applicabile a qualsiasi tipo di bene destinato al consumatore ed indipendentemente dal fatto che esso sia nuovo, usato o ri-

——— tese risarcitorie verso il venditore piuttosto che verso il produttore, fermo restando l’evidente appesan-timento dell’onere probatorio: in questo caso, infatti, non può prescindersi né dalla dimostrazione dell’elemento oggettivo, né dall’accertamento dell’elemento soggettivo dell’illecito civile, quest’ultimo peraltro ben potendo essere ascritto al venditore anche attraverso l’istituto della responsabilità vicaria ex art. 2049 c.c.”. Sulla stessa questione v., anche, Cass., 29 aprile 2005, n. 8981, in Danno e resp., 2006, p. 261, ove l’incendio di un’autovettura causato da un difetto di progettazione dell’impianto di alimen-tazione è stato configurato quale “illecito extracontrattuale che, anche quando trae occasione dalla vendita, rimane ben distinto rispetto all’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto essen-do legato al generale divieto del neminem laedere, al quale anche il produttore è tenuto secondo un gene-rale principio di solidarietà sociale, e che implica la responsabilità (extracontrattuale) dello stesso, in presenza della prova, in concreto della colpa per i danni arrecati dal vizio evitabile del suo prodotto, sia nei confronti della parte che abbia da lui acquistato il prodotto, sia nei confronti dei terzi (tra i quali, rispetto al produttore, sono ricompresi i subacquirenti), anche al di fuori ed al di là dei casi specifica-mente indicati dal d.P.R. n. 224/1988, che, come è pacifico sia per la dottrina che per la giurispruden-za, viene ad affiancarsi, non a sostituirsi ai rimedi previsti dall’ordinamento in favore di colui che pati-sca un danno ingiusto”.

141 Con particolare riferimento agli interventi normativi in materia di sicurezza agro-alimentare, v. da ult., P. BORGHI, Biotecnologie, tutela dell’ambiente e tutela del consumatore nel quadro normativo internazionale e nel diritto comunitario, in Riv. dir. agr., 2001, I, p. 365 ss.; O. PROSPERI, Sicurezza alimentare e responsabilità civile, ivi, 2003, I, p. 351 ss.; A. GERMANÒ, La responsabilità per prodotti difettosi in agricoltura, in E. ROOK BASILE, A MASSART, A. GERMANÒ, Prodotti agricoli e sicurezza alimentare, cit., p. 538 ss.; S. TUCCILLO, La sicurezza dei prodotti alimentari, in F. BOCCHINI (a cura di), Diritti dei consumatori e nuove tecnologie, II, cit., p. 103 ss.; L. MARINI, Principio di precauzione, sicurezza alimentare e organismi geneticamente modificati nel diritto comunitario, in Dir. Un. eur., 2004, p. 281 ss.; L. COSTATO, L’agricoltura e il nuovo regolamento sull’igiene dei prodotti alimentari, in Dir. giur. agr. amb., 2004, p. 735 ss.; ID., Gli agricoltori e i prodotti di origine animale negli alimenti, in Riv. dir. agr., 2004, I, p. 520 ss.; F.P. TRAISCI, op. cit., p. 212 ss.; F. CASUCCI, La tutela del con-sumatore agro-alimentare nell’ordinamento giuridico comunitario, in Il diritto dei consumi, cit., II, p. 63 ss.

142 V., per tutti, F. RUSCELLO, La Direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti. Dalla tutela del consumatore alla tutela della persona, in Vita not., 2004, p. 139 ss.; A. CORDIANO, Sicurezza dei prodotti e tutela preventiva dei consumatori, Padova, 2005, p. 25 ss.

Page 286: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 260

messo a nuovo. Sicuro sarà quel prodotto che in condizioni di uso normale o ragionevolmente prevedibile, compresa la durata – e, se del caso, l’installazione e la manutenzione – non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente ri-schi minimi compatibili con l’impiego del prodotto o considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone. E, per garantire ciò, il legislatore ha previsto specifici obblighi d’infor-mazione gravanti sul produttore e sul distributore del bene ed ha predisposto efficaci controlli amministrativi volti a verificare le caratteristiche di sicurezza del prodotto, ad imporre l’apposizione sullo stesso di adeguate avvertenze – re-datte in modo chiaro e comprensibile – sui rischi che esso può presentare, a vie-tare l’immissione sul mercato di un prodotto ritenuto pericoloso o, se già in commercio, a disporne l’adeguamento agli obblighi di sicurezza ovvero il ritiro dal mercato. In tali disposizioni si è anche specificato che sul distributore grava l’obbligo di impedire la circolazione di prodotti che egli ritenga insicuri143.

In ogni caso, quanto ai rapporti con la normativa in materia di responsabili-tà del produttore, va evidenziato come sia il d.lgs. n. 115/1995, prima, che il d.lgs. n. 172/2004, poi, fanno espressamente “salve le disposizioni del d.P.R. 24 maggio 1988”. Tuttavia, tenuto conto che le normative successive al d.P.R. n. 224/1988 garantiscono maggiormente il danneggiato, ci si deve chiedere se sia possibile integrare il primo provvedimento con il contenuto di quest’ultimo144. Al riguardo, è d’obbligo segnalare una isolata pronuncia della giurisprudenza145 che ha applicato la disciplina del d.P.R. n. 224/1988 all’importatore da un singo-lo stato membro di un prodotto difettoso fabbricato all’interno di un altro stato della C.E., e ciò secondo la definizione di produttore-consumatore contenuta nel d.lgs. n. 115 del 17 marzo 1995. In tal modo, con l’obiettivo di ampliare la tutela del consumatore, è stata adottata una definizione più ampia di produttore rispetto a quella contenuta nell’art. 3 del d.P.R. n. 224/1988, rientrandovi ogni soggetto che in una qualche maniera sia intervenuto nel percorso che porta un bene dal luogo di fabbricazione alla sfera di disponibilità dell’acquirente-consu-

——— 143 Così, allo scopo di garantire l’effettivo rispetto delle prescrizioni sulla sicurezza generale dei

prodotti sono state introdotte specifiche sanzioni -amministrative e penali- a carico del produttore e del distributore che immettono sul mercato prodotti pericolosi, nonché è stata prevista la formazione di un sistema rapido di sorveglianza sulla sicurezza dei prodotti, denominato Rapex, con la funzione di coordinare e potenziare gli interventi delle diverse autorità nazionali finalizzati a garantire la sicurezza dei prodotti.

144 Per un’analisi delle ricadute che la normativa in materia di sicurezza dei prodotti ha avuto sulla disciplina della responsabilità per danni da prodotti difettosi, F. CAFAGGI, op. cit., p. 569 ss.

145 Trib. Viterbo, Sez. dist. Civita Castellana, 17 ottobre 2001, cit.

Page 287: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 261

matore. Ciò non significa, come è stato evidenziato146, che la normativa sulla re-sponsabilità del produttore risulti abrogata e modificata da quella successiva sul-la sicurezza dei prodotti, anche se entrambe le discipline concorrono congiun-tamente alla realizzazione di un sistema di tutela del consumatore sia in via pre-ventiva che risarcitoria147.

A tutto questo va aggiunto che l’entrata in vigore della l. n. 281/1998 ha in-trodotto un’ulteriore forma di tutela in capo ai consumatori. Tenuto conto che in virtù di tale normativa le associazioni dei consumatori potranno agire in giu-dizio sia per la tutela della salute che per garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti e servizi, risulta che sarà possibile azionare sia una tutela inibitoria per correggere un difetto di informazione inerente un prodotto, sia una tutela di ca-rattere ripristinatorio connessa all’obbligo del produttore di ritirare il prodotto insicuro dal mercato (art. 3, della l. 30 luglio 1998, n. 281, ora artt. 139 e 140 del codice del consumo)148.

Tutte queste previsioni legislative, le quali mirano ad assicurare una tutela al consumatore di fronte a danni cagionati da prodotti difettosi sia sotto il profilo preventivo che sotto quello risarcitorio, sono confluite, come già sopra evidenzia-to, nel codice del consumo nella Parte IV dedicata alla “Sicurezza e qualità”, con conseguente espressa abrogazione sia del d.P.R. n. 224/1988 che del d.lgs. n. 172/2004. Piú in particolare, sono state riproposte nella IV parte del codice, al Ti-tolo I, dall’art. 102 all’art. 113, le disposizioni sulla sicurezza generale dei prodotti di cui al d.lgs. n. 172/2004, ed al Titolo II, dall’art. 114 all’art. 127, quelle sulla re-sponsabilità per danno da prodotti difettosi previste dal d.P.R. n. 224/1988.

4. — De iure condendo. La disciplina che è stata tracciata nelle pagine precedenti pur rappresentan-

do un importante punto fermo nell’affermazione di una sempre più incisiva tu-tela forte del consumatore, presenta, tuttavia, alcuni profili che meriterebbero di essere ulteriormente migliorati.

——— 146 L. MEZZASOMA, L’importatore all’interno della C.E. di prodotti difettosi fabbricati in altro stato comunita-

rio, cit., p. 209 ss. 147 Sulla possibilità di configurare un’ipotesi autonoma di illecito per immissione di prodotti insi-

curi, ex d.lgs. 115 del 1995 ed ora ex d.lgs. n. 172 del 2004, ma non difettosi, ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, F. CAFAGGI, op. cit., p. 575 s.

148 In proposito v., F. CAFAGGI, op. cit., p. 593 ss.

Page 288: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 262

Le limitate modifiche introdotte dal codice del consumo che, nell’inten-zione del legislatore, hanno avuto come obiettivo quello di ampliare la sfera dei soggetti responsabili, destano, a volte, alcuni problemi di coordinamento149. Nello specifico, non risulta inserita all’interno della Parte IV, Titolo II, la nozio-ne di produttore prevista dall’art. 3 del d.P.R. n. 224/1988 ed, ai fini dell’appli-cazione della relativa disciplina, vi è il rinvio alla definizione generale prevista dall’art. 3, lett. d), del codice del consumo. Definizione che, a differenza di quel-la contenuta nel d.P.R. n. 224/1988, da un lato include tra i soggetti responsabili anche “il fornitore del servizio” e “l’intermediario”150; dall’altro, esclude ogni espresso riferimento al “fabbricante del prodotto finito o di una sua componen-te”, al “produttore della materia prima”, nonché per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, all’agricoltore, all’alleva-tore, al pescatore ed al cacciatore.

Con specifico riguardo al primo profilo va rilevato che l’applicabilità, così come previsto dall’art. 3 del codice del consumo, al “fornitore di servizi” della disciplina in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi risulta o-stacolata dalla stessa definizione di “prodotto” di cui all’art. 115 del codice del consumo (ex art. 2 del d.P.R. n. 224/1988) che limita l’ambito oggettivo di ope-ratività della responsabilità aggravata del produttore ad “ogni bene mobile anche incorporato in un altro bene mobile o immobile”. Ne consegue che, pur tenen-do conto del fatto che si sta affermando la tendenza ad uniformare la disciplina riguardante i prodotti e quella riguardante i servizi, la definizione restrittiva di prodotto rilevante ai fini dell’applicazione della normativa sulla responsabilità del produttore impedisce di inserire tra i soggetti responsabili anche il “fornitore di servizi”151. Quanto alla figura dell’“intermediario” non sussistono, invece, preclusioni: questi, in quanto soggetto professionale che, in posizione autonoma rispetto al produttore interviene nel processo di commercializzazione del pro-dotto e svolge un’attività capace di incidere sulle caratteristiche di sicurezza del-

——— 149 Con specifico riferimento, in materia di danni risarcibili, a chi debba intendersi per consumato-

re danneggiato ex art. 123 del codice del consumo, L. DELOGU, Leggendo il Codice del consumo alla ricerca della nozione di consumatore, in Contr. e impresa/Europa, 2006, p. 99 ss.

150 Su cui, E. BELLISARIO, Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. e), prodotto, cit., p. 78 ss., la quale com-menta l’estensione della disciplina a queste due figure professionali evidenziando che essa favorisce la costruzione di “un sistema unitario di responsabilità d’impresa che, eliminando le distinzioni meramen-te artificiali sia in grado di riflettere la complessità delle forme organizzative di produzione e di eroga-zione dei servizi”; G. CHINÉ, Art. 3, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 24.

151 E. BELLISARIO, Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. e), prodotto, cit., p. 80 ss.; G. CHINÉ, Art. 3, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 26.

Page 289: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 263

lo stesso, potrà essere chiamato dal danneggiato a risarcire il danno derivante dal consumo di prodotti difettosi152.

Sotto altro profilo, poi, l’assenza nella definizione generale di produttore di espliciti riferimenti a talune categorie professionali non sembrano essere in linea con quanto statuito dalla direttiva n. 374/1985 di guisa che, sul punto, risulta condivisibile la critica di chi evidenzia come siffatta scelta ponga inevitabilmente problemi di compatibilità tra diritto interno e diritto comunitario153. Infatti, seppur in dottrina non è mancato chi ha ritenuto implicito l’inserimento tra i soggetti responsabili anche del produttore di una componente del prodotto o della materia prima154, l’espressa indicazione anche di essi – così come nella formulazione dell’abrogato art. 3 del d.P.R. n. 224/1988 – avrebbe tolto ogni incertezza sulla possibilità di agire anche nei loro confronti. Stesso discorso va fatto con riferimento al pescatore ed al cacciatore tenuto conto che essi – quan-do non rivolgono il loro interesse ad animali allevati – non sono produttori in senso tecnico, bensì soggetti che pongono in commercio, seppur nel rispetto di precisi limiti di legge155, beni esistenti in natura ed oggetto del loro prelievo.

Altra problematica da segnalare è quella inerente i cosiddetti rischi da svi-luppo. In particolare, l’opportunità di una revisione della disciplina della respon-sabilità del produttore per danni cagionati da prodotti difettosi di cui agli artt. 114 e 127 del codice del consumo s’impone anche tenendo conto della norma-tiva di cui agli artt. 102 e 113 del codice del consumo: la nozione di prodotto sicuro ivi contenuta si ricollega, inevitabilmente, e si riflette sulla definizione di prodotto difettoso156.

Più specificamente, gli artt. 102 e 113 del codice del consumo impongono al produttore l’obbligo di immettere sul mercato solo prodotti sicuri e di mantenere in commercializzazione solo prodotti aventi tali caratteristiche di gui-———

152 G. CHINÉ, Art. 3, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 23. Cfr., però, E. BELLI-SARIO, op. ult. cit., p. 82 s., la quale evidenzia che la figura dell’intermediario cui il codice del consumo fa riferimento se, in astratto, potrebbe ricomprendere tutti gli intermediari della catena di distribuzione e commercializzazione, in effetti, essendo riferita all’intermediario del solo fabbricante, riguarda unica-mente “quei soggetti che, come il fabbricante, hanno il potere di incidere sulle caratteristiche di sicu-rezza del prodotto”.

153 Cosí, G. DE CRISTOFARO, Il “Codice del Consumo”: un’occasione perduta?, cit., p. 1140. Cfr., in pro-posito, Cons. Stato, 20 dicembre 2004, n. 11602 (parere), cit., c. 357 s.

154 E. BELLISARIO, Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. e), prodotto, cit., p. 76 s. 155 L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 21, che vieta la commercializzazione di alcune specie che, però,

possono essere oggetto di prelievo venatorio. 156 F. CAFAGGI, op. cit., p. 560 ss. V., inoltre, M.G. FALZONE CALVISI, op. cit., p. 111, per la quale è

dubbio se per la nozione di produttore di cui alla parte IV, Titolo II, si debba far riferimento all’art. 3 o, invece, all’art. 103 del codice del consumo.

Page 290: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 264

sa che, in mancanza di tali caratteristiche, sul produttore graverà l’onere di ade-guarsi agli obblighi di sicurezza ovvero di ritirare dal mercato, con spese a suo carico, i prodotti insicuri, pena la sottoposizione a provvedimenti inibitori e re-stitutori, nonché a sanzioni amministrative. In questa prospettiva, il legislatore interviene a tutela del consumatore non più soltanto sul piano risarcitorio ma pure sul piano preventivo accollando al produttore del bene l’onere di acquisire tutte le informazioni volte alla prevenzione dei rischi157. La nuova normativa sulla sicurezza generale dei prodotti si discosta, dunque, significativamente dal sistema di responsabilità per danno da prodotti difettosi: da una definizione di sicurezza del prodotto di carattere statico, in quanto temporalmente valutata so-lo con riferimento al momento della messa in circolazione del prodotto, si è passati ad una concezione dinamica di sicurezza che deve caratterizzare l’intera vita del prodotto anche se si tratta di beni già immessi sul mercato. Così sarà possibile che un stesso bene assuma la qualifica di prodotto non difettoso, ai sensi degli artt. 114 e 127 del codice del consumo (ex d.P.R. n. 224/1988) e, nel contempo, si configuri come prodotto insicuro secondo le previsioni contenute negli artt. 102 e 113 del codice del consumo. Infatti, quando un prodotto viene messo in circolazione potrebbe non presentare un rischio per i consumatori, considerato lo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche esistenti in quel momento, ma successivamente potrebbe divenire insicuro per il sopraggiungere di una causa di rischio prima sconosciuta. Pertanto, ne consegue che in tale si-tuazione, secondo la lettera della norma, mentre il produttore andrà esente, sot-to il profilo risarcitorio, da ogni responsabilità ricorrendo l’esimente del cosid-detto rischio da sviluppo prevista dall’art. 118, lett. e, codice del consumo (ex art. 6, lett. e), d.P.R. n. 224/1988), egli sarà soggetto alle sanzioni previste dagli artt. 102 e 113 dello stesso. Tutto ciò deriva dal fatto che l’art. 111 del codice del consumo (ex art. 10, d.lgs. n. 172/2004) afferma che “sono fatte salve le di-sposizioni in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi” 158. Alla luce di questo, appare sicuramente opportuno che la responsabilità del produt-tore venga estesa anche ai cosiddetti rischi da sviluppo al fine di affermare l’obbligo risarcitorio in séguito a difettosità del prodotto conosciuta in una fase

——— 157 In arg., L. ROSSI CARLEO, Riflessioni sparse intorno alle suggestioni offerte dal seminario, in Atti del se-

minario “La giurisprudenza sulle discipline di attuazione delle direttive comunitarie”, Roma, 21 novembre 2003, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, p. 24.

158 Tale conseguenza si realizza sul presupposto che la normativa in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi ha finalità prettamente risarcitorie, mentre quella sulla sicurezza dei prodot-ti persegue finalità di carattere preventivo e riconducibili a profili di carattere amministrativo e penale.

Page 291: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 265

successiva alla sua commercializzazione, così come accade con riferimento al-l’obbligo di ritirare i prodotti insicuri dal mercato.

Altro profilo che merita particolare attenzione, poi, è quello inerente l’introduzione di forme di tutela che vadano al di là del profilo sostanziale e toc-chino anche il profilo processuale.

Infatti, neanche con l’introduzione del codice del consumo si sono avuti provvedimenti volti ad introdurre meccanismi finalizzati a favorire l’ottenimen-to del risarcimento dei danni (sia di natura contrattuale che extracontrattuale) spesso, anche se non esclusivamente, di scarso o modesto valore e cagionati ad una pluralità di individui.

Il riferimento, in particolare, è alle cosiddette azioni di classe che, oramai, da molto tempo, fanno parte della tradizione giuridica dell’ordinamento norda-mericano (Rule 23 dei Federal Rules of Civil Procedure del 1938 così come modifica-ta nel 1966) e di altri Paesi di common law159, con un ruolo tutt’altro che seconda-rio160. Tutte le volte che si verifica un pregiudizio per una pluralità di soggetti e tale pregiudizio è imputabile ad un medesimo comportamento imprenditoriale,

——— 159 V., per tutti, A. GIUSSANI, Studi sulle “class actions”, Padova, 1996, passim, nonché, di recente,

P. FAVA, Class actions all’italiana: “paese che vai, usanza che trovi” (l’esperienza dei principali ordinamenti giuridici stranieri e le proposte di legge n. 3838 (*) e n. 3839(**)), in Corr. giur., 2004, p. 397 ss.; ID., L’importabilità delle class actions in Italia, in Contr. impr., 2004, p. 166 ss. e, per una efficace sintesi della situazione esistente nel Regno Unito, A. PALAZZO, Tutela della salute, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica del diritto privato, II, cit., p. 118, nota n. 265; L. MEZZASOMA, Tutela del consumatore ed accesso alla giustizia: l’introduzione della class action, in Rass. dir. civ., 2005, p. 776 ss.

160 In Spagna con la legge di riforma del codice di procedura civile (l. n. 1 del 7 gennaio 2000, Ley de Enjuiciamiento Civil -L.E.C.-) si è inequivocabilmente riconosciuta la facoltà di agire per ottenere il risarcimento del danno sia alle associazioni di consumatori o utenti, sia ai gruppi di consumatori dan-neggiati. Espressamente, all’art. 11 L.E.C., sono state introdotte le cosiddette “actiones colectivas indemni-zatorias”. Mediante esse possono agire in giudizio, al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati ad una pluralità di consumatori dallo stesso evento dannoso, i gruppi di consumatori danneggiati quando essi siano identificati o facilmente identificabili, sempre che il gruppo sia costituito dalla mag-gioranza dei danneggiati (art. 11, n. 2); le entità legalmente costituite che abbiano come oggetto la dife-sa dei consumatori (art. 11, n. 2); le associazioni di consumatori che siano rappresentative in base alla legge, sia nel caso in cui i consumatori danneggiati siano identificati o facilmente identificabili, sia nel caso in cui essi siano indeterminati o di difficile identificazione (art. 11, n 3), ma in tale ultimo caso la tutela si sposta dagli interessi collettivi agli interessi diffusi (L. MEZZASOMA, Tutela dei consumatori ed ac-cesso alla giustizia in forma collettiva: l’esperienza spagnola, in Scritti in onore di G. Badiali, in corso di stampa). Seppur con scarso successo anche in Francia, nel 1993, è stata inserita nel Code de la consommation la action en représentation conjointe (art. 422-1, 2 e 3) che ha legittimato le associazioni dei consumatori rap-presentative a livello nazionale a proporre un’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dai singoli consumatori in seguito al medesimo evento dannoso (su cui, R. MARTIN, L’action en représen-tation conjointe des consummateurs, in La Semaine Jur. (JCP), 1994, doctrine, p. 191 ss.; L. BORE’, L’action en représentation conjointe: class action française ou action mort-née?, in Rec. Dalloz Sirey, 1995, chr., p. 267 ss.; P. PETRELLI, Interessi collettivi e responsabilità civile, Padova, 2003, p. 49 ss.).

Page 292: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 266

l’azione di classe permette che una parte possa agire in giudizio, come rappre-sentativa di tutti coloro che sono titolari della singola situazione soggettiva pre-giudicata, al fine di ottenere un provvedimento di valenza generalizzata per tutti i danneggiati: il giudicato si estende infatti a tutti gli appartenenti alla classe. In buona sostanza, si verifica una “gestione collettiva di diritti di natura individua-le”161, giacché si tutelano più situazioni soggettive distinte ma tra loro omogenee, con notevolissimi vantaggi: riduzione delle spese processuali, risarcimento di eventi dannosi che per il singolo sono di modesto valore e che, pertanto, non giustificherebbero un’azione giudiziale in via individuale; pressione psicologica sugli imprenditori al fine di fargli tenere comportamenti diligenti nel timore di onerose azioni risarcitorie; miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario grazie alla diminuzione delle controversie che, seppur in numero contenuto, vengono singolarmente proposte; riduzione delle decisioni contrastanti su que-stioni analoghe; maggiore efficienza delle imprese162.

Ciò che si auspica, quindi, è l’introduzione anche in Italia di azioni colletti-ve, seppur in forma “attenuata”. I consumatori, infatti, non possono prescinde-re da provvedimenti che limitandosi ad una tutela sostanziale non realizzino an-che una concreta realizzazione dei loro diritti. Ed al riguardo va segnalato che, esaurita la XIV legislatura senza che sia stato approvato il disegno di legge S. 3058, recante “Disposizioni per l’introduzione dell’azione di gruppo a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti”, il 27 luglio 2006 è stato presentato dal Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro della Giustizia ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il disegno di legge C. 1495 nel qua-le è stato proposto l’inserimento all’interno del codice del consumo dell’art. 140-bis rubricato “Azione collettiva risarcitoria”.

Il disegno di legge attualmente al vaglio del Parlamento riprende il prece-dente S. 3058 apportandovi talune significative modifiche. In particolare, risulta esclusa qualsiasi limitazione all’ambito di operatività dell’azione collettiva risarci-toria, la quale potrà trovare applicazione per ottenere la “condanna al risarci-mento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli con-sumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nell’ambito

——— 161 Cosí, C. VERARDI, Accesso alla giustizia e tutela collettiva dei consumatori, in A. TIZZANO (a cura di),

Il diritto privato dell’Unione europea diretto da M. Bessone, XXVI, 2, cit., p. 1347. 162 A. GIUSSANI, A. ZOPPINI, Tutela del risparmio e mercati finanziari: una ricetta italiana per la “class

action”, in Guida al Diritto, 2004, n. 27, p. 11, i quali sottolineano come la situazione attuale “disincenti-va l’efficienza delle imprese, che talora esternalizzano sulla collettività dei consumatori dei costi senza sopportare alcuna conseguenza […]”.

Page 293: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 267

di rapporti giuridici relativi a contratti, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncorrenziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti”163. Nel contempo, da un lato, accanto alla possibilità per il giudice di stabilire “i criteri in base ai quali dovrà essere fissata la misura dell’importo da liquidare in favore dei singoli consuma-tori o utenti” è previsto anche che egli possa stabilire “l’importo minimo da li-quidare ai singoli danneggiati”164; dall’altro, si sono estesi a tutti i consumatori

——— 163 Nel precedente disegno di legge era previsto l’inserimento all’interno dell’art. 3 della legge 30

luglio 1998, n. 281 del comma 6-bis, il quale limitava la possibilità di agire da parte delle associazioni dei consumatori alle sole ipotesi di “illeciti plurioffensivi” scaturenti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, ex l’art. 1342 c.c. Cfr., criticamente, L. MEZ-ZASOMA, Tutela del consumatore ed accesso alla giustizia: l’introduzione della class action, cit., p. 797.

164 L’art. 140-bis, del codice del consumo dispone che: “1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti di cui al comma 1 dell’articolo 139, le associazioni dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura possono richiedere al tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede il convenuto la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamen-te ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nell’ambito di rap-porti giuridici relativi a contratti, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncorrenziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di uten-ti. 2. L’atto con cui il soggetto abilitato promuove l’azione di gruppo di cui al comma 1 produce gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’articolo 2945 del codice civile, anche con riferimento ai diritti di tutti i singoli consumatori o utenti conseguenti al medesimo fatto o violazione. 3. Con la sen-tenza di condanna il giudice determina, quando le risultanze del processo lo consentono, i criteri in base ai quali deve essere fissata la misura dell’importo da liquidare in favore dei singoli consumatori o utenti ovvero stabilisce l’importo minimo da liquidare ai singoli danneggiati. 4. In relazione alle contro-versie di cui al comma 1, davanti al giudice può altresì essere sottoscritto dalle parti un accordo transat-tivo nella forma della conciliazione giudiziale. 5. A séguito della pubblicazione della sentenza di con-danna di cui al comma 3 ovvero della dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione, le parti promuovono la composizione non contenziosa delle controversie azionabili da parte dei singoli con-sumatori o utenti presso la camera di conciliazione istituita presso il tribunale che ha pronunciato la sentenza. La camera di conciliazione è costituita dai difensori delle parti ed è presieduta da un concilia-tore di provata esperienza professionale iscritto nell’albo speciale per le giurisdizioni superiori ed indi-cato dal consiglio dell’Ordine degli avvocati. Essa definisce, con verbale sottoscritto dalle parti e dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare per soddisfare i singoli consumatori o utenti nella loro po-tenziale pretesa. La sottoscrizione del verbale, opportunamente pubblicizzata a cura e spese della parte convenuta nel precedente giudizio, rende improcedibile l’azione dei singoli consumatori o utenti per il periodo di tempo stabilito nel verbale per l’esecuzione della prestazione dovuta. 6. In alternativa al ri-corso alle camere di conciliazione di cui al comma 5, le parti possono promuovere la composizione non contenziosa presso uno degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni. Si applicano le disposizioni dell’ultimo periodo del medesimo comma 5 del presente articolo e, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 39 e 40 del citato decreto legislativo n. 5 del 2003, e successive modificazioni. 7. In caso di inutile esperimento della composizione non contenziosa di cui ai commi 5 e 6, il singolo consumatore o utente può agire giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l’accertamento, in capo a se stesso, dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna di cui al comma 3 e la determinazione precisa dell’ammontare del risarcimento dei danni riconosciuto ai sensi della medesima sentenza. La pronuncia costituisce tito-lo esecutivo nei confronti del responsabile. Le associazioni di cui al comma 1 e le camere di commer-

Page 294: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 268

ed utenti e non unicamente a quelli iscritti ad associazioni loro rappresentative gli effetti interruttivi della prescrizione, ai sensi dell’art. 2945 c.c.

Un netto miglioramento, quindi, rispetto al precedente Disegno di legge, sia perchè vengono tolte ingiustificate limitazioni alla possibilità di proporre a-zioni collettive, ampliando le fattispecie oggetto di tutela; sia perché viene data maggiore concretezza ai provvedimenti di condanna adottabili dal giudice165.

——— cio, industria, artigianato e agricoltura non sono legittimate ad intervenire nei giudizi previsti dal pre-sente comma. 8. La sentenza di condanna di cui al comma 3, unitamente all’accertamento della qualità di creditore ai sensi dei commi 5, 6 e 7, costituisce, ai sensi dell’articolo 634 del codice di procedura civile, titolo per la pronuncia da parte del giudice competente di ingiunzione di pagamento, ai sensi degli articoli 633 e seguenti del medesimo codice di procedura civile, richiesta dal singolo consumatore o utente”.

165 Va ricordato che, attualmente, sono all’esame del Parlamento altre proposte di legge volte ad introdurre nell’ordinamento italiano l’azione collettiva risarcitoria: alcuni di esse prevedono l’inserimen-to di una disposizione specifica all’interno del codice del consumo, altre, invece, intendono predisporre una normativa generale in materia. Nel primo gruppo, più in particolare, rientra il Progetto di legge C 1289 presentato in data 5 luglio 2006 – di iniziativa dei deputati Maran, Leoni, Mantini, Suppa e Tena-glia – il quale, attraverso l’aggiunta nell’art. 140 dei commi 8 bis-nonies, introduce una disciplina dell’azione collettiva identica a quella prevista nel Disegno di legge C 1495 da cui, però, si distingue nella parte in cui specifica che l’azione potrà essere esercitata con riferimento ai “danni conseguenza di atti illeciti plurioffensivi commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 c.c., ivi compresi quelli in materia di credito al consumo, rapporti bancari e assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investimento e gestione collettiva del risparmio, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti” (comma 8 bis). Assai simile al Disegno di legge C 1495 è, inoltre, il Progetto di legge S 679, presentato in data 6 luglio 2006 – di ini-ziativa del senatore Benvenuto – il quale prevede l’inserimento dell’art. 141 bis rubricato “Class action” (e con un contenuto analogo si segnala, poi, il Progetto di legge C 1662, presentato in data 19 settem-bre 2006 – di iniziativa dei deputati Buemi, Villetti, Schietroma, Turci, Crisici, Fluvi, Nannicini, Tolotti – intitolato “Introduzione dell’articolo 141bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, in ma-teria di “class action”). Anche qui viene attribuita ai soggetti di cui all’art. 139 cod. cons. la legittimazione “a richiedere al tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede il convenuto la condanna al risarcimen-to dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori e utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile, inclusi in ogni caso quelli in materia di credito al consumo, rapporti bancari e assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investi-mento e gestione collettiva del risparmio, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti”, ma è, espressamente, specificato: che le domande giudiziali presentate dalle associazioni dei consumatori sono “a pena di improcedibilità […] sottoposte a tentativo preventivo obbligatorio di conciliazione innanzi ad uno degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni, iscritti nel registro di cui al decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222” (comma primo) e che “nell’ipotesi in cui il giudice non determini i cri-teri in base ai quali definire i modi, i termini e l’ammontare per soddisfare i singoli consumatori o uten-ti nella loro pretesa, le parti sono tenute ad esperire in proposito, nel termine di sessanta giorni, un procedimento di conciliazione presso gli organismi di conciliazione e secondo le procedure e con gli effetti previsti dal secondo e terzo periodo del comma 1” (comma quinto). Da ultimo, vi è il Progetto di legge C 1883, presentato in data 7 novembre 2006 – di iniziativa dei deputati Crapolicchio, Vacca, Ferdinando, Benito Pignataro – che ripropone il contenuto del Disegno di legge C 1495, prevedendo l’introduzione dell’art. 140-bis del codice del consumo rubricato “Azione collettiva risarcitoria”.

Page 295: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - CODICE DEL CONSUMO E PRODOTTI DIFETTOSI 269

Infine, quanto evidenziato merita un’ulteriore precisazione. Le gravi conse-guenze che potrebbero subire i consumatori sotto il profilo dell’ottenimento del risarcimento nei casi in cui si verifichino eventi dannosi di notevole entità – sia sotto il profilo dell’elevato numero dei soggetti danneggiati che sotto quello del-la entità dei danni cagionati a ciascuno di loro – di fronte alle reali capacità eco-nomiche dei produttori danneggianti; nonché tutte le situazioni, purtroppo sempre più frequenti, in cui in capo ai produttori danneggianti ricorrono gravi situazioni di insolvenza o si aprono procedure concorsuali, portano ad auspicare che vengano introdotti meccanismi che permettano al danneggiato il sicuro ri-storo per il danno ricevuto, indipendentemente da quella che risulti essere la si-tuazione patrimoniale del danneggiante. Ed allora, la strada da percorrere appare essere quella che porta ad un intervento legislativo volto all’introduzione di forme di assicurazione obbligatoria a garanzia di qualsiasi danno che possa deri-vare dalla commercializzazione di beni difettosi166.

——— Tra le proposte di legge che, invece, mirano a predisporre una normativa generale in materia di a-

zione collettiva, si segnalano il Progetto di legge C 1330 presentato in data 10 luglio 2006 – di iniziativa dei deputati Fabris, Satta ed altri –, il Progetto di legge C 1443, presentato in data 21 luglio 2006 – di iniziativa dei deputati Poretti e Capezzone –, il Progetto di legge C 1834, presentato in data 17 ottobre 2006 – di iniziativa del deputato Pedica-, il Progetto di legge C 1882 presentato in data 6 novembre 2006 – d’iniziativa dei deputati Grillini e altri –. Tali provvedimenti, con diverse sfumature, intendono regolare l’azione collettiva attribuendo “a chiunque vi abbia interesse” (e non solamente, quindi, alle associazioni dei consumatori) la legittimazione a richiedere al tribunale la condanna al risarcimento dei danni conseguenza di illeciti plurioffensivi e la restituzione delle somme dovute direttamente ai singoli appartenenti ad una classe – definita come l’insieme dei soggetti danneggiati identificati dal giudice con decreto ed iscritti in un apposito elenco tenuto da un curatore amministrativo –. Si prevede che il pro-cedimento avrà inizio soltanto dopo che il giudice avrà valutato ed accertato la sussistenza del fumus boni iuris nell’istanza presentata, mentre sarà il curatore amministrativo a dare immediata esecuzione alla eventuale sentenza di condanna, provvedendo a rimborsare direttamente i cittadini iscritti nella classe. Ed al riguardo è previsto che, su richiesta del promotore dell’istanza, il giudice possa condannare il convenuto al pagamento di un danno maggiore rispetto al danno emergente ed al lucro cessante nella misura dell’eventuale vantaggio economico realizzato grazie all’illecito plurioffensivo. Infine, è risolta anche la problematica inerente la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli nel senso che, accerta-ta l’ingannevolezza dall’Autorità competente, il contratto è da considerarsi nullo nei confronti di tutti i soggetti appartenenti alla classe che lo abbiano sottoscritto nel periodo di diffusione del messaggio pubblicitario ingannevole.

166 Così è previsto nell’ordinamento spagnolo dove il legislatore è intervenuto con la seconda di-sposizione finale della l. n. 22/1994 che ha dato facoltà e mandato al Governo – in conformità con l’art. 76, l. 8 ottobre 1980, n. 50 – di introdurre sia un sistema di assicurazione obbligatoria per i danni cagionati da prodotti difettosi, che un fondo di garanzia volto a coprire, totalmente o parzialmente, i danni conseguenti alla morte, alla intossicazione o a lesioni personali del consumatore danneggiato. Non va sottaciuto, poi, che altra disposizione, l’art. 76 della l. n. 50/1980, andando al di là di quelli che sono i tipici effetti del contratto di assicurazione, agevola la posizione del consumatore danneggiato attribuendogli azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice anche nei casi di assicurazione volontaria e non solo in quelli di assicurazione obbligatoria.

Page 296: Diritto privato del mercato
Page 297: Diritto privato del mercato

CAPITOLO TERZO

AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ

SOMMARIO: 1. Le esperienze di autoregolamentazione in Italia. La pubblicità. — 2. Il co-dice di autoregolamentazione Tv e minori. — 3. I codici di autoregolamentazione per la tutela della privacy. — 4. Il codice Internet @ minori: per un’ipotesi di applicabilità dell’au-toregolamentazione a terzi non contraenti.

1. — Le esperienze di autoregolamentazione in Italia. La pubblicità. La qualificazione delle esperienze di autoregolamentazione privata a carat-

tere generale – esperienza accertata negli ordinamenti giuridici contemporanei – presuppone un’analisi ed una sintesi.

Analisi dei casi di produzione di norme giuridiche di derivazione non statuale, pubblica o privata, degli stimoli e dei bisogni cui risponde l’autonormazione, dell’efficacia di tali norme all’interno del gruppo che le ha volute, e delle espe-rienze di contatto con l’ordinamento statuale.

Sintesi, per la necessaria ridefinizione del principio di legalità, non più es-senzialmente legato a quello di statualità.

Ciò sia per le esperienze di autoregolamentazione infrastatuale, riferita a particolari settori, e complementare o alternativa alla normazione statuale, che per i rapporti internazionali, per i quali costituiscono, di regola, la forma preva-lente di produzione giudica.

Tradizionalmente, il diritto privato, ed in particolare quello dei contratti, è stato considerato inadatto a perseguire obiettivi di regolamentazione, di prefe-renza attribuita al potere pubblico ed amministrativo, per il potere di imperio caratterizzante lo Stato-apparato.

I fenomeni di fallimento della regolamentazione pubblica del mercato, ma anche e soprattutto l’emergere di valori etici condivisi dagli operati e, spesso, di esigenze di preparazione tecnica e cooperativa di alcuni settori, hanno però evi-denziato come “il diritto privato, in specie quello concernente proprietà, re-sponsabilità civile e contratti, svolge anche importanti funzioni distributive e di supporto alla costruzione del legame sociale, disciplinando le identità individuali

Page 298: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 272

e collettive ed i rapporti tra differenze, attraverso l’impiego di regole di compa-tibilità”1.

Le caratteristiche dell’autoregolamentazione vengono rintracciate nella so-stanziale coincidenza tra regolatori e regolati, e nella finalizzazione delle proce-dure di accertamento delle infrazioni alla cooperazione dei regolati stessi.

Per altri autori2, caratteri essenziali delle norme di produzione autodiscipli-nare sono l’astrattezza, l’originalità ed il vincolo di specialità rispetto all’ordina-mento generale.

Ma è pur vero che – talvolta in maniera evidente – la stessa produzione normativa statale perde la propria astrattezza e generalità, per dirigersi a fatti-specie determinate oggettivamente e soggettivamente, per la realizzazione di in-teressi particolari, anziché generali.

Sicché sarebbe opportuno interrogarsi sull’essenzialità di quei criteri alla giuridicità della norma.

Peraltro, le esperienze autoregolamentari realizzatesi fin qui sono solo tal-volta sostitutive della regolamentazione legislativa, e più spesso complementari, realizzando una cooperazione tra soggetti, Stato e privati, deputati alla produ-zione di norme.

Prima tra tutte, specie per efficacia generalizzata, è l’autodisciplina pubblici-taria, che raggiunge la quasi totalità degli attori del comparto, e da ciò trae la propria efficacia.

Tutti gli aderenti, infatti, sono tenuti a rispettare le norme del codice di au-todisciplina pubblicitaria, le decisioni dell’organo giudicante (Giurì) e del Comi-tato di controllo – organo con poteri esecutivi e di ingiunzione d’urgenza – pur se emesse contro soggetti diversi. Per l’effetto, chi non si uniformi alle regole e alle decisioni finirebbe per essere escluso dal settore pubblicitario, in quanto nessuno degli attori di questo concluderebbe più alcun contratto, né intratter-rebbe alcun rapporto, con il destinatario di una grave sanzione.

In ogni caso, il contraente aderente al C.A.P., stante l’obbligo assunto di far rispettare le disposizioni del codice, dovrà attenervisi, se del caso sospendendo la diffusione del messaggio, se tale è il contenuto della pronuncia del Giurì o dell’ingiunzione del Comitato di controllo.

——— 1 F. CAFAGGI, Crisi della statualità, pluralismo e modelli di autoregolamentazione, in Pol. del dir., 2001, 546.

Sulla “resurrezione dell’autonomia dei privati e, dunque, del negozio giuridico che ne è espressione” cfr. anche G.B. FERRI, Il negozio giuridico, 2a ed., Padova, 2004, p. 1.

2 F. CRISCUOLO, L’autodisciplina. Autonomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000, p. 100.

Page 299: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 273

In altri termini, le decisioni ricevono efficacia per effetto del comportamen-to adesivo di almeno una delle parti del contratto di pubblicità3.

2. — Il codice di autoregolamentazione tv e minori. L’esperienza del codice TV e minori, approvato il 29 novembre 2002 da al-

cune associazioni di tutela dei minori, associazioni dei genitori e dalle principali emittenti televisive, sotto gli auspici del Ministero delle Comunicazioni e poi con-fluito nella legge che del Ministro Gasparri porta il nome (l. 3 maggio 2004, n. 112, su cui cfr. retro, cap. 1), è un caso emblematico di questa cooperazione, sfo-ciata nel rinvio legislativo ad una fonte contrattuale, con estensione delle sua ef-ficacia, ope iuris, anche a coloro che non vi fossero già tenuti per vincoli obbliga-tori di origine contrattuale od associative.

Non altrettanto evidente, ma sostanziale, è stato il “rinvio sostanziale” ope-rato dal legislatore, prima comunitario e poi nazionale, all’esperienza dell’autodi-sciplina pubblicitaria, quando si trattò – con ritardo ventennale – di dettare una prima normazione sulla pubblicità ingannevole e, poi, sulla comparativa.

Allora, molti dei principi fondamentali e addirittura alcune definizioni di dettaglio furono mutuate dall’esperienza dei codici autoregolamentari diffusi nei Paesi dell’Unione, e perfino dai risultati della giurisprudenza autodisciplinare4. ———

3 Il Giurì discute anche di manifestazione tacita di volontà di adesione, da parte di un soggetto e-straneo all’ordinamento autodisciplinare, eventualmente anche attraverso una difesa improntata su questioni di merito, senza contestazione della giurisdizione. Parebbe sia così introdotta un preclusione tacita all’eccezione tardiva di giurisdizione, per il vero scarsamente compatibile con l’ordinamento ita-liano. La decisione autodisciplinare non è in ogni caso sostitutiva di quella emessa dall’Autorità Garan-te per la concorrenza e il mercato ai sensi del codice di consumo, ma ove sia proposta precedentemen-te impedisce la proposizione del ricorso amministrativo fino alla decisione del Giurì.

4 Sull’autodisciplina pubblicitaria cfr. retro, cap. 1 (Il codice del consumo - sez. II). Per quanto qui di in-teresse va rilevato come il sistema autodisciplinare, nato come codice di lealtà pubblicitaria nel 1966, si sia esteso fino a vincolare tutti gli attori della pubblicità (tecnici, agenzie, emittenti, mezzi di diffusione in genere, e committenti) attraverso la clausola di adesione, di cui alle lettere b e d delle Norme Preli-minari e Generali del C.A.P., a mente delle quali il codice “è vincolante per utenti, agenzie, consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato diret-tamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità”. Il riferi-mento è appunto alla “speciale clausola di accettazione del codice, dei regolamenti autodisciplinari e delle decisioni assunte dal Giurì, anche in ordine alla loro pubblicazione, nonché delle ingiunzioni del Comitato di controllo divenute definitive”. Cfr. sul punto B. GRAZINI, Norme preliminari e generali, in U. RUFFOLO, Commentario al codice di autodisciplina pubblicitaria, Milano, 2003, p. 8, anche per ulteriori riferimenti bibliografici. Mentre l’adesione diretta inserisce stabilmente l’associato nell’ordinamento separato autodisciplinare, la clauso-la di accettazione produce un vincolo occasionale, casualmente e temporalmente limitato al contratto di pubblicità in cui è compresa.

Page 300: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 274

Il codice distingue una “televisione per tutti”, per tale intendendo la pro-grammazione dalle 7.00 alle 22.30, nella quale – pur nella primaria considerazio-ne degli interessi del minore – le emittenti devono tener conto delle esigenze dei telespettatori di tutte le fasce di età, nel rispetto dei diritti dell’utente adulto, del-la libertà di informazione e di impresa, nonché del fondamentale ruolo educati-vo della famiglia nei confronti del minore.

Durante la fascia di protezione generale (dalle ore 19,00-22,30) vigono l’obbligo di informazione su programmi dedicati a minori, adatti alla fruizione familiare, e su programmi indirizzati al pubblico adulto, l’obbligo di adozione di sistemi di segnalazione dei programmi (bollini rossi, gialli, verdi …), fermo l’obbligo, per le imprese televisive nazionali che gestiscono più di una rete con programmazione a carattere generalista e non con caratteristiche tematiche spe-cifiche di garantire ogni giorno in prima serata, la trasmissione di programmi adatti ad una fruizione familiare congiunta, su almeno una rete5.

Rileva sottolineare come, in tale fascia, i programmi di informazione deb-bano essere ispirati al principio di necessità, ovvero al generale obbligo di evita-re immagini di violenza o di sesso che non siano effettivamente necessarie alla comprensione delle notizie, fermo, dalle ore 7,00 alle 22,00, il divieto di diffon-dere sequenze particolarmente crude o brutali, o notizie che possano nuocere alla integrità psichica o morale dei minori. Ove la trasmissione sia necessaria è obbligo del giornalista di avvisare preventivamente che quanto verrà trasmesso non è adatto ai minori6. ———

5 Riguardo a tale fascia si possono ricordare alcune pronunce del Comitato di applicazione del co-dice: Risoluzione 8 febbraio 2005: “Blob”, Rai 3, 6 gennaio 2005, ore 19,59. Violazione del codice per diffusione di immagini trasgressive, inidonee ai minori, nocive del loro sviluppo, specie per la difficoltà di lettura della trasmissione, il cui montaggio decontestualizzante, con finalità di denuncia sarcastica, non è comprensibile ai minori. Ordine di pubblicazione del provvedimento nel Tg2 delle 20,30; Riso-luzione 8 febbraio 2005, film “Relazioni Pericolose”, Rai2, prima serata, 17 dicembre 2005. Violazione del codice per mancata diffusione di avvertenze sul contenuto scabroso del soggetto, non adeguato alla visione dei minori; ordine di pubblicazione del provvedimento nel Tg2 delle 20,30; Risoluzione 8 feb-braio 2005, fiction “La caccia”, Rai1, prima serata, 16 gennaio 2005. Violazione del codice per mancata adozione di forme di preavviso sulla presenza di immagini di particolare crudezza, protagonista un bambino; ordine di pubblicazione del provvedimento nel Tg1 delle 13,30.

6 Cfr. Comitato di applicazione, delibera 1 giugno 2004, a seguito di notizie di abbandono di neo-nati, invita le emittenti a informare le madri della normativa che consente di non riconoscere il figlio, avviando pratiche di adozione e affidamento; delibera 8 giugno 2004, a seguito della trasmissione di immagini di torture di prigionieri ed assassini in Iraq, il Comitato segnala alle emittenti l'obbligo di far precedere da un preavviso tanto la prima diffusione quanto la riproposta di immagini crude; delibera 8 febbraio 2005, risoluzione di adeguamento indirizzata a Canale 5, per il programma “Tutte le mattine” del 9 dicembre 2004, ore 9,30, per la valenza negativa del servizio sulla pedofilia in famiglia, la cui va-lenza negativa prevale sul diritto di cronaca, a causa dell’estrema crudezza dei particolari riferiti; ordine di comunicazione della risoluzione nel Tg5 delle ore 13.

Page 301: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 275

Anche riguardo a film, fiction, spettacoli vari, vige l’obbligo di segnalazione preventiva, e ripetuta dopo ogni interruzione, del contenuto non adatto ai mi-nori, attraverso sistemi di segnalazione iconografica di evidente percezione, di grande e ripetuto rilievo; del pari, per le trasmissioni di intrattenimento, è vietata la trasmissione di quelle che: a) usino in modo strumentale i conflitti familiari come spettacolo, creando turbamento nei minori, preoccupati per la stabilità af-fettiva delle relazioni con i loro genitori; b) nelle quali si faccia ricorso gratuito al turpiloquio e alla scurrilità nonché si offendano le confessioni e i sentimenti re-ligiosi7.

Ma i tratti maggiormente caratterizzanti si rinvengono per “la televisione per i minori”, in quanto le imprese televisive si impegnano a dedicare nei propri palinsesti una fascia “protetta” di programmazione, tra le ore 16.00 e le ore 19.00, idonea ai minori con un controllo particolare sia sulla programmazione sia sui promo, i trailer e la pubblicità trasmessi.

Le imprese televisive nazionali che gestiscono più di una rete con pro-grammazione a carattere generalista si impegnano inoltre a ricercare le soluzioni affinché, su almeno una delle reti si diffonda una programmazione specifica-tamente destinata ai minori, con produzioni dedicate, di buona qualità e piace-vole intrattenimento, di proposizione di valori positivi e del rispetto della di-gnità umana, che accrescano le capacità critiche, favoriscano la partecipazione dei minori, e programmi di informazione specificamente destinati ai minori, rea-lizzati dalle i.t. che gestiscono più di una rete con programmazione a carattere generalista. ———

7 Risoluzione 8 febbraio 2005: violazione del codice, “Buona Domenica” in onda su Canale 5 il 5 dicembre 2004, per un’accesa discussione, dai livelli eccessivi, grave caduta di gusto in un programma di fruizione familiare; ordine di diffusione della risoluzione nel Tg5 delle 13.

Risoluzione 30 gennaio 2005: violazione del codice, “Studio Aperto” in onda su Italia Uno il 30 gennaio 2005, per ritorno ingiustificato alla trasmissione di immagini del delitto di Cogne, che ingenera insicurezza e sgomento nei minori; ordine di diffusione della risoluzione in altra edizione della mede-sima trasmissione

A proposito dei c.d. “Reality Shows”, va ricordata la violazione accertata e denunciata all’Agcom per “Il Grande Fratello” (aprile 2003); la Raccomandazione urgente per “L'isola dei famosi”, per argi-nare l'aggressività interpersonale, il turpiloquio, la rissosità, ed evitarne la trasmissione in fascia protetta (novembre 2003); la Raccomandazione disattesa dalla trasmissione, dalle ore 18,05, di “Casa Pappalar-do”, in cui il Comitato evidenzia i rischi di confusione sistematica tra realtà e finzione, di incoraggia-mento all'esibizione e al voyeurismo, la competitività e le offese alla dignità della persona, raccoman-dando alle emittenti di evitare “finestre” sui detti shows in fascia protetta, ed assicurando in ogni caso l'osservanza del codice (delibera 2 novembre 2003).

Cfr. anche Risoluzione 8 marzo 2005, “Il Ristorante”, Rai1, 4 gennaio 2005, per protratta volgare rissosità, riconducibile alla scelta dei partecipanti; inadeguato e tardivo intervento della conduttrice; ordine di comunicazione della risoluzione nel Tg1 delle 13,30.

Page 302: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 276

Speciale attenzione è riservata alla pubblicità, con un attento controllo sui contenuti di spot, promo e trailer, stante il divieto di trasmissione di pubblicità e autopromozioni che possano ledere l’armonico sviluppo della personalità dei minori o che possano costituire fonte di pericolo fisico o morale per i minori stessi dedicando particolare attenzione alla fascia protetta.

Quanto, dunque, alla disciplina della pubblicità sono tracciati distinti livelli di protezione:

I) una protezione generale, per la quale i messaggi pubblicitari: a) non debbono presentare minori come protagonisti impegnati in atteg-

giamenti pericolosi (situazioni di violenza, aggressività, auto aggressività, ecc.);

b) non debbono rappresentare i minori intenti al consumo di alcol, di ta-bacco o di sostanze stupefacenti, né presentare in modo negativo l’astinenza o la sobrietà dall’alcol, dal tabacco o da sostanze stupefacenti o, al contrario, in modo positivo l’assunzione di alcolici o superalcolici, tabacco o sostanze stupefacenti;

c) non debbono esortare i minori direttamente o tramite altre persone ad effettuare l’acquisto, abusando della loro naturale credulità ed inespe-rienza;

d) non debbono indurre in errore, in particolare, i minori sulla natura, sulle prestazioni e sulle dimensioni del giocatolo; sul grado di conoscenza e di abilità necessario per utilizzare il giocattolo; sulla descrizione degli acces-sori inclusi o non inclusi nella confezione; sul prezzo del giocattolo, in particolare modo quando il suo funzionamento comporti l’acquisto di prodotti complementari.

II) una protezione rafforzata (7,00-16,00 / 19,00-22,30) a) divieto di trasmissione di pubblicità direttamente rivolte ai minori, che

contengano situazioni che possano costituire pregiudizio per l’equilibrio psichico e morale dei minori (ad es. situazioni che inducano a ritenere che il mancato possesso del prodotto pubblicizzato significhi inferiorità oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte dei genitori;

b) ovvero situazioni che violino norme di comportamento socialmente ac-cettate o che screditino l’autorità, la responsabilità e i giudizi di genitori, insegnanti e di altre persone autorevoli; situazioni che sfruttino la fiducia che i minori ripongono nei genitori e negli insegnanti; situazioni di am-biguità tra il bene e il male che disorientino circa i punti di riferimento ed

Page 303: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 277

i modelli a cui tendere; situazioni che possano creare dipendenza affetti-va dagli oggetti; situazioni di trasgressione; situazioni che ripropongano discriminazioni di sesso e di razza, ecc.

III) una protezione specifica (16,00-19,00 e durante la programazione per minori, anche in prima serata):

a) i messaggi pubblicitari, le promozioni e ogni altra forma di comunicazio-ne commerciale pubblicitaria rivolta ai minori dovranno essere preceduti, seguiti e caratterizzati da elementi di discontinuità ben riconoscibili e di-stinguibili dalla trasmissione, anche dai bambini che non sanno ancora leggere e da minori disabili.

In questa fascia oraria si dovrà evitare la pubblicità in favore di: a1) bevande superalcoliche e alcoliche, queste ultime all’interno dei pro-

grammi direttamente rivolti ai minori e nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive;

a2) servizi telefonici a valore aggiunto a carattere di intrattenimento così come definiti dalle leggi vigenti;

a3) profilattici e contraccettivi (con esclusione delle campagne sociali).

L’attuazione e il controllo sull’ applicazione del codice è affidato a un Co-mitato di applicazione, composto da quindici membri effettivi, nominati con Decreto dal Ministro delle Comunicazioni d’intesa con l’Autorità Garante per le Comunicazioni, in rappresentanza paritaria delle emittenti televisive firmatarie del presente codice – su indicazione delle stesse e delle associazioni di categoria – delle istituzioni – tra cui un rappresentante dell’Autorità, un rappresentante del Coordinamento nazionale dei Corecom e il Presidente della Commissione per il riassetto del sistema radiotelevisivo – e degli utenti – questi ultimi su indi-cazione del Consiglio nazionale degli Utenti presso l’Agcom.

Il Presidente è nominato nel medesimo Decreto tra i rappresentanti delle Isti-tuzioni quale esperto riconosciuto della materia. Con i medesimi criteri e modalità sono nominati anche quindici membri supplenti. I membri nominati durano in ca-rica tre anni e decadono qualora non partecipino a tre sedute consecutive del Comitato o ad almeno la metà delle sedute nel corso di un anno solare.

Il Comitato, d’ufficio o su denuncia dei soggetti interessati, verifica le vio-lazioni del codice. Qualora accerti una violazione adotta una risoluzione motiva-ta e determina, tenuto conto della gravità dell’illecito, del comportamento pre-gresso dell’emittente, dell’ambito di diffusione del programma e della dimensio-ne dell’impresa, le modalità con le quali ne debba essere data notizia.

Page 304: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 278

Può inoltre: a) ingiungere all’emittente, qualora ne sussistano le condizioni, di modifica-

re o sospendere il programma o i programmi indicando i tempi e le mo-dalità di attuazione;

b) ingiungere all’emittente di adeguare il proprio comportamento alle pre-scrizioni del codice indicando i tempi e le modalità di attuazione.

Le delibere sono adottate dal Comitato con la presenza di almeno due terzi dei componenti e il voto della maggioranza degli aventi diritto al voto (otto). Le decisioni del Comitato sono inoppugnabili.

Ma l’efficacia del codice deriva prioritariamente dai legami instaurati tra il Comitato e l’Autorità Garante per le Comunicazioni.

Tutte le delibere adottate dal Comitato vengono infatti trasmesse all’Auto-rità per le garanzie nelle comunicazioni: qualora il Comitato accerti la sussisten-za di una violazione delle regole del codice, inoltra una denuncia all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni contenente l’indicazione delle disposizioni, anche eventualmente di legge, violate, le modalità dell’illecito, la descrizione del comportamento – anche successivo – tenuto dall’emittente, gli accertamenti i-struttori esperiti e ogni altro utile elemento.

La denuncia viene inviata allo specifico fine di consentire all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’esercizio dei poteri alla stessa attribuiti ai sensi dell’art. 15, comma 10, della l. 223/90 e dell’art. 1, 6° comma, lett. b, n. 6, con riferimento alla emanazione delle sanzioni previste da tale ultima disposizione al punto 14 e ai commi 31 e 32 dell’art. 1 della stessa l. 249/978.

Oggi, attraverso la l. 112/2004, art. 10, l’obbligo di osservanza del codice, è esteso a tutte le emittenti televisive, pur non firmatarie del codice, cui il legisla-tore fa rinvio recettizio, e di sue eventuali modifiche ed integrazioni, recepite con decreto del Ministro delle Comunicazioni; si introduce l’obbligo generale di adozione di specifiche misure di tutela dei minori per le programmazioni dalle ore 16 alle 19, o comunque dedicate ai minori, e per le trasmissioni di commen-to di eventi sportivi. ———

8 I poteri sanzionatori dell’Agcom sono particolarmente estesi: in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori o che contengano scene di violenza gratuita o por-nografiche, può irrogare direttamente sanzioni (l. 223/90 – art. 15, comma 10 e art. 31, comma 3) pari al pagamento di una somma da 5.000 a 20.000 euro; in caso di mancata ottemperanza ad ordini e diffi-de dell’Autorità in materia di tutela dei minori, anche tenendo conto dei Codici di autoregolamentazio-ne, (l. 249/97, art.1, 6° comma, lett. b, nn. 6 e 14 e commi 31 e 32), potere di irrogare sanzioni pari al pagamento di una somma da 10.000 a 250.000 euro con, in caso di grave e reiterata violazione, la so-spensione o la revoca della licenza o dell’autorizzazione.

Page 305: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 279

Alla verifica dell’osservanza dell’art. 10 l. 112/2004 e della disciplina della pubblicità dettata dalla legge Mammì provvede la Commissione per i servizi e i prodotti presso l’Agcom, in collaborazione con il Comitato di applicazione del codice tv e minori, anche sulla base delle segnalazioni di quest’ultimo. Restano senza dubbio alcune questioni aperte, tra cui la vincolatività dell’obbligo di co-municazione delle deliberazioni del Comitato, ai sensi dell’art. 6.2 del codice.

L’art. 10, 4° comma, l. 112/2004 prevede inoltre il potere dell’Agcom di dare adeguata pubblicità delle sanzioni inflitte sia dall’Agcom che dal Comitato:

“l’emittente sanzionata ne deve dare notizia nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon ascolto”. Con risoluzione dell’8 febbraio 2005 il Comitato si è espresso per l’auto-

noma diffusione dei propri provvedimenti, anche a fuori dalla “collaborazione” con l’Agcom, sostenendo la vincolatività delle proprie deliberazioni, garantita, ab externo, dal collegamento con l’Agcom, che verifica la violazione di norme statali (l. 223/1990 e l. 249/1997).

In caso di mancata ottemperanza ad ordine e diffide dell’Agcom, anche te-nendo conto dei codici di autoregolamentazione, l’art. 1 l. 249/1997 prevede l'irrogabilità della sanzione amministrativa del pagamento di somma da 10.000 a 250.000 euro, con, in caso di grave e reiterata violazione, la sospensione o la re-voca della licenza o dell'autorizzazione.

3. — I codici di autoregolamentazione per la tutela della privacy. Più di recente, emblematica è la disciplina sulla protezione dei dati persona-

li, che già con l’art. 31, lett. h, della l. 675/1996 assegnava al Garante “il compito di promuovere nell’ambito delle categorie interessate, nell’osservanza del princi-pio di rappresentatività, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, verificarne la conformità alle leggi ed ai rego-lamenti anche attraverso l’esame di osservazioni di soggetti interessati, e contribui-re a garantirne la diffusione e il rispetto”.

I codici di questa prima fase, cd. liberi, o di prima generazione, erano dun-que caratterizzati dall’avere efficacia solo endoassociativa9, ma per essi, come ———

9 A. SIMONCINI, I codici deontologici di protezione dei dati personali nel sistema delle fonti del diritto, in V. CUFFARO, V. RICCIUTO, Il trattamento dei dati personali, II, Torino, 1999.

Page 306: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 280

per i codici deontologici, si può discutere di generale applicazione, anche da par-te dei giudici statuali, attraverso l’impiego delle clausole generali, così diffuse nel nostro ordinamento, divenendo in tal maniera strumento per la risoluzione con-tenziosa degli interessi10.

Coi d.lgss. 30 luglio 1999, n. 281 e 282, si assiste alla formazione dei codici di seconda generazione, in materia di trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute, per fini statistici e di ricerca scientifica, la cui inosservanza rileva quale infrazione disciplinare e anche ai fini della valutazione della colpa, in un giudizio civile di responsabilità. Ne risulta una eterointegrazione del precetto generale del neminem laedere, specificato dalle regole deontologiche, che acquistano in tal ma-niera efficacia obbligatoria anche esterna al gruppo che le ha prodotte, per tutti coloro che svolgano quella data attività11.

Del pari di quanto si afferma per la disciplina dei diritti dei consumatori, si può dire che dalla normazione sui soggetti si è passati alla disciplina dell’atto, a prescindere dalle qualità dell’agente. E qui, anche con riferimento a precetti non riconducibili allo stesso né per il mezzo della rappresentanza politica, né per quello dell’adesione spontanea ad organismi di categoria.

Col decreto n. 467/2001, infine, si è perfezionato il processo di “rivoluzio-ne copernicana”, ampliandosi i poteri di vigilanza dell’Autorità sulla redazione di tali articolati, che realizzano vere e proprie fonti secondarie di diritto rilevanti per la stessa qualificazione in termini di liceità del trattamento, e dunque non più in sede di valutazione della colpa dell’agente, ai sensi dell’art. 2043 c.c., ma più a monte in termini di liceità o meno dell’atto, unico elemento di sicura rile-vanza nel sistema di responsabilità – oggettiva od aggravata, si discute ancora – vigente in materia di trattamento dei dati personali12.

——— 10 A. BELLELLI, Legge sulla privacy e codice deontologico dei giornalisti, in Rass. dir. civ., 1999, p. 1 ss. 11 G. SANTANIELLO, I codici di deontologia nel trattamento dei dati personali, in www.interlex.it, 24 ottobre

2002. Per l’ A., qualora si contravvenga alle disposizioni dei codici di seconda generazione “il tratta-mento diviene illecito perché contrario alla l. 657/1996. il rispetto delle disposizioni contenute nei co-dici, infatti, costituisce una condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati (art. 6, comma 2, d.lgs. n. 281/1999. il tratto evolutivo consiste nella loro sfera di efficacia che non è più soltanto intracategoriale, ma diventa ultracategoriale, cioè fonte di diritto oggettivo. L’inottempe-ranza rileva poi sia sul piano disciplinare, sia ai fini della valutazione della colpa in caso di danno (art. 18 l. 675/1999). Le disposizioni deontologiche diventano quindi “obbligatorie”, con una vera e propria funzione integrativa della legislazione”.

12 G. BUTTARELLI, Il dibattito sulla privacy è sempre aperto, in www.interlex.it, 17 gennaio 2002: “i codici di terza generazione, da strumento di autodisciplina non vincolante si trasformano in vere e proprie fonti secondarie di diritto rilevanti, dinanzi al giudice e al Garante, per stabilire se un trattamento sia lecito o meno”.

Page 307: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 281

Nella sua vigilanza, il Garante svolge un ampio potere di controllo e di in-dirizzo, anche sull’effettiva conformazione dei codici alle normative comunitarie ed alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

Da ultimo, il d.lgs. 30 giugno 2002, n. 196, pur dettato con l’esplicito inten-to di ricodificazione dei testi preesistenti, agli artt. 12, 24, lett. i, e 13313 (in rife-rimento alle reti telematiche), esplicita la funzione autorizzativi dei codici, rispet-to al trattamento di alcuni dati, con fissazione dei limiti e dei presupposti di li-ceità14.

Queste fonti, sintesi della disciplina comunitaria, delle regole di autodisci-plina e delle indicazioni del Garante, sono tra le forme di tutela più avanzate15, coniugando esigenze di flessibilità – innegabili in un contesto fortemente tecni-cizzato quale la disciplina delle reti telematiche – e le doti di efficacia tenden-zialmente caratterizzanti le norme di autoregolamentazione, riducendo al con-tempo il margine di discrezionalità dell’apprezzamento giudiziale di liceità.

Se ne desume16 l’avvenuto superamento della “dicotomia «diritto statuale – diritto categoriale», introducendo la terza via del diritto della categoria, che se-condo una determinata procedura, concorre a comporre il diritto statuale”, con la precisazione per cui il controllo statuale “non può incidere sulla formazione negoziale del diritto deontologico, laddove questo sia conforme alle norme di legge”17.

Norma generale, di principio, è l’art. 12 del medesimo d.lgs. 196/2003, rife-rito a tutti i codici di deontologia e buona condotta promossi dal Garante nell’ambito delle categorie interessate, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, e per l’effetto vincolanti erga omnes, ai sensi del comma terzo dell’art. in commento: “il rispetto delle disposizioni contenute nei codici di cui al comma 1 costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati perso-nali effettuato da soggetti privati e pubblici”, precetto la cui inosservanza legit-tima, ai sensi dell’art. 15, produce anche la risarcibilità del danno morale. ———

13 Disposizione attuativa della Direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, in GUCE L. 201, del 31 luglio 2002.

14 Secondo altri autori, segnatamente R. ACCIAI, S. MELCHIONNA, Le regole generali per il trattamento dei dati personali, in R. ACCIAI, Il diritto alla protezione dei dati personali. La disciplina sulla privacy alla luce del nuovo codice, Santarcangelo di Romangna, 2004, p. 79, le generazioni di codici sarebbero due, la prima intracategoriale, la seconda ultracategoriale.

15 G. SANTANIELLO, op. e loc. cit. 16 S. SICA, D.lgs. 467/2001 e riforma della privacy; un vulnus al sistema della riservatezza, in Dir. inf. 2000, 290. 17 F. MACARIO, La protezione dei dati personali nel diritto privato europeo, in V. CUFFARO, V. RICCIUTO,

La disciplina del trattamento dei dati personali, Torino, 1997, 51.

Page 308: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 282

4. — Il codice Internet @ minori: per un ipotesi di applicabilità dell’autoregolamen-tazione a terzi non contraenti.

L’esperienza di questi codici può essere assunta a parametro di valutazione

della natura giuridica del codice “Internet @ minori”, allo stato non recepito in alcun articolato normativo, neppure nei limiti tracciati dalla legge 675/1996 per i codici di prima generazione.

Non è revocabile in dubbio che, nei confronti delle associazioni firmatarie e che hanno proceduto alla sua elaborazione il codice possa essere considerato una manifestazione dell’autonomia privata, in base alla quale i soggetti apparte-nenti alla categoria possono, nel rispetto delle disposizioni di legge, decidere di disciplinare gli interessi comuni e di impegnarsi reciprocamente a rispettare le regole che si sono dati18.

Per l’effetto, in accordo con la teoria della pluralità degli ordinamenti giuri-dici, tali norme dovrebbero essere rivestite di efficacia solo come fonti del sin-golo ordinamento a fini parziali, e non dell’ordinamento statale.

Valgono, per la materia in esame, le parole già spese a commento della l. 675/199619, quando si sosteneva la funzione integrativa del sistema di tutela le-gislativamente predisposto, svolto dai codici deontologici ivi previsti, anche per derivazione dalla direttiva comunitaria n. 95/46 del 24 ottobre 1995 che, all’art. 27 n. 1, dispone l’obbligo degli Stati di incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta “destinati a contribuire, in funzione delle specificità settoriali, alla cor-retta applicazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva”.

Per il codice Internet @ minori vale il richiamo alla direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, con particolare riguardo ai Considerando n. 31 e 48, oltre che l’art. 16, i sensi del quale “gli Stati membri e la Commissione incoraggiano l’elaborazione di codici di condotta riguardanti la protezione dei minori e della dignità umana”.

Nello stesso senso il decreto di recepimento, n. 70 del 2003, che all’art. 18 dispone:

——— 18 Così A. SIMONCINI, I codici deontologici di protezione dei dati personali nel sistema delle fonti. L’emersione

di un nuovo “paradigma” normativo?, in U. DE SIERVO, Osservatorio sulle fonti 1999, Torino, 2000, p. 286 ss., che distingue però per le categorie di interesse pubblico, medici, notai, avvocati o giornalisti, sulle quali si registra l’intervento normativo dello Stato per assicurare una disciplina uniforme e garantire la stabili-tà delle relative organizzazioni di categoria.

19 A. BELLELLI, op. cit., p. 6.

Page 309: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 283

“1. Le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori promuovono l’adozione di codici di condotta che trasmettono al Ministero delle attivi-tà produttive ed alla Commissione Europea, con ogni utile informazione sulla loro ap-plicazione e sul loro impatto nelle pratiche e consuetudini relative al commercio elet-tronico. 2. Il codice di condotta, se adottato, è reso accessibile per via telematica e deve essere redatto, oltre che in lingua italiana e inglese, almeno in un’altra lingua comunita-ria. 3. Nella redazione di codici di condotta deve essere garantita la protezione dei mi-nori e salvaguardata la dignità umana”. È certo che, anche all’interno dell’ordinamento derivato, questi codici a-

vrebbero sicura efficacia di moral suasion, ritenendosi troppo debole l’apparato sanzionatorio ivi disciplinato. Identiche censure, svolte a suo tempo a proposito dei codici deontologici, sono però decadute, com’è stato per il codice di autodi-sciplina pubblicitaria, di cui la giurisprudenza riconosce la natura di fonte di di-ritto, fin da Trib. Milano 22 gennaio 1976, dato oggi comunemente accettato, anche per le decisioni del Giurì.

Questione cruciale è, peraltro, quella attinente ai termini della loro rilevanza nell’ordinamento generale, non solo sulla base della disciplina di derivazione comunitaria citata.

Già a proposito dei codici deontologici professionali se ne è sostenuto il carattere normativo, prevedendo obblighi in capo al professionista incidenti nei rapporti giuridici con i terzi20. Si tratterebbe, però, di una tutela solo indiretta o riflessa, priva di strumenti direttamente azionabili.

In primo luogo, si può sostenere che tali regole rilevano indirettamente, per l’interpretazione e l’applicazione delle clausole generali di tutela dell’affida-mento, o dell’obbligo di esecuzione della prestazione secondo buona fede e cor-rettezza.

Le norme autoregolamentari – a prescindere dalla loro qualificazione in termini di deontologia o meno – specificano i dettami della correttezza profes-sionale, concretizzando il principio generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., che una pregevole dottrina ritiene estensibile oltre l’ambito dei rapporti ob-bligatori, ai rapporti con i terzi, indipendentemente da un preesistente vincolo contrattuale21.

La norma, infatti, trova riscontro negli artt. 1337 e 1338 c.c., in materia di responsabilità precontrattuale, nell’art. 2598 c.c., in materia di concorrenza slea-———

20 G. ROSSI, Enti pubblici associativi, Napoli, 1979, p. 62 s. 21 E. NAVARRETTA, Commento alla legge 31 dicembre 1996 n. 675, art. 9, in Nuove leggi civ. comm., 1999,

p. 317 ss.

Page 310: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 284

le, e nella disciplina dei diritti di risparmiatori e consumatori, e realizza una spe-cificazione del divieto dell’abuso del diritto, svolgendo al tempo stesso la funzione di parametro di onestà e lealtà cui devono conformarsi gli operatori del settore, e di metro di valutazione giudiziale, in caso di conflitti tra privati nei quali è do-vuto il bilanciamento degli interessi coinvolti, dei terzi interessati all’attività e degli operatori professionali.

Le norme dettate dal codice Internet @ minori, infatti, non sono mere enun-ciazioni di principio, ma incidono effettivamente sul modus operandi degli aderenti, disciplinandone puntualmente – tra l’altro – gli obblighi di informazione, di ac-cesso alla navigazione differenziata, di identificazione dell’utente, di gestione, custodia e conservazione dei dati utili alla tutela dei minori.

In questo senso, determinano precise indicazioni di comportamento, caratterizzate da quell’elemento della relazionalità che si ritiene essenziale al concetto di “abuso del diritto”.

Deriva che, nel conflitto tra due interessi giuridicamente rilevanti, il giudice che venga chiamato a giudicare dell’ingiustizia del danno dovrà tenere conto di parametri per la valutazione di quell’abuso, per realizzare la valutazione della sproporzione tra l’interesse perseguito, anche tenendo conto dei mezzi adopera-ti, e l’interesse leso, nonché il bilanciamento assiologico dei valori perseguiti e pregiudicati.

In tali termini, costituisce illecito extracontrattuale – e legittima l’azione di risarcimento – la condotta che, nella relazione tra fornitore dei servizi e utente, lede in interesse di quest’ultimo meritevole di tutela, com’è quello al libero svi-luppo ed alla dignità del minore, non solo ove la lesione sia prodotta attraverso una condotta che deroghi prescrizioni normative tipizzate da fonti statuali, ma anche nelle ipotesi in cui la condotta si dimostri contraria a correttezza, specifi-cata anche attraverso il richiamo al codice autoregolamentare.

In ciò si produce l’attuazione di quella “formazione negoziale del diritto”22 che da tempo la dottrina ha evidenziato, anche in relazione al principio di sussi-diarietà, in termini di pluralismo anche delle fonti, espressione dell’articolazione

——— 22 N. LIPARI, La formazione negoziale del diritto, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 307 ss.; G. ALPA, Autodisci-

plina e codice di condotta, in P. ZATTI, Le fonti di autodisciplina, Padova, 1996, p. 3 ss., che sottolinea come “le regole autopoetiche debbono uniformarsi ad una tavola di valori che non si può porre in contrasto con quella che sta alla base dell’ordinamento. Per dirlo con altre parole, la creazione negoziale non può farsi strumento di prevaricazione del più forte sul più debole, né strumento di contrasto con l’ordinamento, né strumento di elusione delle regole dell’ordinamento. Di qui il richiamo al valore della solidarietà, che si affianca a quello della libertà”.

Page 311: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 285

in ordinamenti giuridici settoriali23, sui cui svolgono ruolo unificatore i principi costituzionali.

Con ciò non si vogliono, tuttavia, tacere i rischi che la creazione di una fon-te di diritto per via negoziale può produrre, con riferimento al principio di lega-lità. Ma è questo principio ad essere rimesso in discussione, perché non più as-sociabile unicamente a quello della statualità24, per l’evoluzione subita dalla legge come dall’autoregolamentazione, entrambe espressive di ordinamenti particolari.

L’efficacia erga omnes del codice, in favore dei terzi, potrebbe, comunque, essere argomentata anche altrimenti.

La dottrina civilistica è da tempo giunta alla revisione del principio di inef-ficacia del contratto nei confronti dei terzi, e ha posto in luce “l’esigenza di ri-vedere la nozione (di autonomia negoziale), prendendo coscienza delle manife-stazioni di un’autonomia negoziale che vuole toccare sfere giuridiche estranee”, esigenza “dettata dalla constatazione della diffusa tendenza dei gruppi a riversa-re gli effetti della propria attività e quindi le regole che pongono, su soggetti e-stranei alla formazione sociale e tuttavia legati da un comune interesse di classe o di ceto economico”25.

Norma cardine è, per tale ambito, l’art. 1340 c.c., in materia di automatico inserimento delle clausole d’uso, ove non risulti la contraria volontà delle parti26.

In tal maniera, “il contratto e l’autonomia che con esso viene esercitata di-vengono atto e potestà contrattuali, destinati ad incidere sulla sfera dei terzi sen-za la mediazione di un vincolo associativo, a meno che le parti, nello stipulare i

——— 23 G. ZAGREBELSKI, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 45 ss.: “oltre che dal pluralismo politico-sociale

che si manifesta nella legge del Parlamento, gli ordinamenti attuali risultano poi anche da una moltepli-cità di fonti che è a sua volta espressione di un pluralismo di ordinamenti “minori”, che vivono all’ombra di quello statale e non sempre accettano pacificamente una posizione di secondo piano … La statualità del diritto, che era una premessa essenziale del positivismo giuridico del secolo scorso, è così messa in discussione e la legge spesso si ritrae per lasciare campi interi a normazioni di origine diversa, provenienti ora da soggetti pubblici locali, conformemente al decentramento po-litico e giudico che segna la struttura degli Stati moderni, ora dall’autonomia di soggetti sociali col-lettivi, come i sindacati dei lavoratori, le associazioni degli imprenditori, nonché le associazioni pro-fessionali”.

24 F. CAFAGGI, Crisi della statualità, cit., p. 544. 25 P. RESCIGNO, Formazioni sociali e terzi, in Persona e comunità, II, Padova, 1988, p. 414. 26 G. GITTI, Contratti regolamentari e normativi, Padova, 1994, p. 191 “L’art. 1340, cod. civ., infatti

svolge per l’autonomia privata collettiva la medesima funzione che l’art. 1372, cod. civ., svolge per l’autonomia privata individuale, fissa cioè il principio di efficacia del contratto regolamentare che è, come si è detto, efficacia generale. Vi è dunque da parte dell’ordinamento statuale italiano il riconoscimento del valore di norme obiettive alle regole collettive, in quanto clausole d’uso nel settore di riferimento, senza però smentire la loro natura negoziale, la quale fa sì che a sua volta venga garantita alle parti in-dividuali la libertà contrattuale di derogare espressamente alla disciplina collettiva”.

Page 312: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 286

successivi contratti individuali, abbiano espressamente escluso l’applicazione delle clausole contrattuali collettive27”.

Per clausole d’uso, storicamente, si intendono “le clausole tipiche di deter-minati mercati: clausole di determinati rami del commercio, di determinate cate-gorie professionali, di determinati ordinamenti del mercato. Oggi che l’ordinamento corporativo … è scomparso, si può forse dire che le clausole d’uso sono le norme corporative di fatto, che continuano a prodursi spontane-amente e che come le originarie norme corporative restano parificate alla volon-tà contrattuale nell’efficacia di derogare alla legge di carattere dispositivo, in di-fetto di volontà contraria”28.

Alla loro generale applicazione necessita, tuttavia, il carattere della usualità, dell’uniformità dell’osservanza e della reiterazione nel tempo delle clausole col-lettive, a meno di voler accogliere la tesi evolutiva, da taluno prospettata29, che sposta la valutazione dell’usualità in termini di diffusione ed autorevolezza dalla regola all’organismo che la pone in essere, rappresentativo della categoria.

Il codice Internet @ minori, in altri termini, sarebbe qualificabile come fonte ad effetti disponibili, che non produce effetti nei confronti della generalità in forza di una legittimazione ex ante dei compilatori, ma può produrre effetti nei con-fronti dei terzi che non hanno partecipato alla sua formazione per effetto di una loro adesione, ex post, ove questi chiedano di avvalersi di quei precetti, di cui le-gittimano l’esistenza a posteriori, nei limiti di quelle norme che producono effetti in loro favore30.

Tanto vale per tutti i contratti regolamentari, da cui nascono direttamente di-ritti ed obblighi per le parti, e nei quali si regola l’attività anche a prescindere dalla circostanza che questa si traduca nella stipulazione di contratti individuali.

Per i contratti normativi, invece, diretti a definire una disciplina la cui realiz-zazione debba avvenire attraverso la stipulazione di contratti individuali, il risul-tato è ottenuto imponendo l’inserzione di una clausola avente ad oggetto il pie-

——— 27 P. RESCIGNO, op. cit., p. 410, e G. GITTI, op. cit., p. 190, che a proposito dei contratti collettivi di

lavoro stipulati dalle associazioni maggiormente rappresentative, osserva: “risulta rovesciata per l’autonomia collettiva la regola della relatività del contratto, perché risulta praticata la quella opposta dell’efficacia del contratto collettivo … che ha normalmente efficacia generale nel settore produttivo o merceologico di riferimento, a meno che le singole parti, nello stipulare i successivi contratti individua-li, abbiano espressamente escluso l’applicazione delle clausole contrattuali collettive”.

28 A. ASQUINI, Integrazione del contratto con le clausole d’uso, in Scritti in onore di Antonio Scialoja, III, dirit-to civile, Bologna, 1953, p. 30.

29 G. GITTI, op. cit., p. 211 s. 30 F. CAFAGGI, op. cit., p. 573 ss.

Page 313: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - AUTOREGOLAMENTAZIONE E RESPONSABILITÀ 287

no rispetto del regolamento nei contratti individuali, con l’effetto di estenderne l’efficacia, intermini obbligatori.

Tale, ad esempio, è l’imposizione dell’inserimento nei singoli contratti di pubblicità della clausola di accettazione del codice di autodisciplina pubblicita-ria, che vincola gli aderenti ad inserire “nei propri contratti una speciale clausola di ac-cettazione del codice e delle decisioni assunte dal Giurì ... nonché delle ingiunzioni del Comita-to di controllo”.

La pratica, peraltro, è a tal punto diffusa che lo stesso Giurì ha affermato che la sottomissione al codice potrebbe ritenersi operante per l’utente anche in forza dell’art. 1340 c.c., cosicché sarebbe il fatto stesso di avvalersi, per la diffu-sione della propria pubblicità, di un mezzo aderente all’autodisciplina legittime-rebbe passivamente l’impresa al giudizio innanzi agli organi della giustizia auto-disciplinare, secondo quelle norme31.

Deriva che, anche per tale via – ove il codice Internet @ minori venga qua-lificato come contratto normativo – si potrebbe giungere, attraverso la diffusio-ne della pratica dell’inserimento di una clausola di accettazione nei contratti conclusi dagli aderenti con operatori professionali del settore – alla sostanziale efficacia generalizzata del codice, nell’interesse dei minori fruitori del servizio.

Per i contratti regolamentari, della specie del codice Internet @ minori, si po-trebbe discutere anche in termini di contratto a favore di terzo, nascendone ob-blighi a carico degli aderenti ed in favore di terzi, il cui diritto nasce immediata-mente al momento della stipulazione, ovvero come contratto da cui derivano obblighi a contrarre, ancora a carico degli aderenti ed in favore dei terzi, esegui-bili in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., ma che lascia alla contrattazione individuale la determinazione del contenuto del negozio, dei diritti e degli obbli-ghi dallo stesso nascenti, o ancora come contratto con obbligazioni del solo proponente, che si perfeziona, secondo la dottrina più accreditata, con la sola manifestazione di volontà del proponente, senza necessità del consenso del be-neficiario, ove non consti il suo dissenso, ai sensi dell’art. 1333 c.c.32.

Tanto nel rispetto, in ogni caso, del principio di meritevolezza di cui all’art. 1372 c.c., da interpretarsi anche in senso di legalità costituzionale delle fonti e dei valori alla cui realizzazione si dirige l’autonomia privata collettiva.

——— 31 Cfr. V. DI CATALDO, Natura giuridica dell’autodisciplina pubblicitaria e ambito soggettivo di applicazione

del codice di autodisciplina, in Contr. e impr., 1991, p. 111 ss.; A. PREDIALI, Profili soggettivi dell’autodisciplina pubblicitaria, in Riv. dir. ind., 1992, I, p. 136 ss.

32 V. R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto*, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, 3a ed., To-rino, 2004, p. 265 ss.

Page 314: Diritto privato del mercato

PARTE II — IL DIRITTO DEI CONSUMATORI 288

Criterio alla luce del quale non si può dubitare della piena legittimità del codice in commento, anche in termini di efficacia esterna a beneficio dei terzi.

In questo richiamo al costante vaglio di meritevolezza deve ravvisarsi il cri-terio dirimente in materia di efficacia extra-categoriale dei codici autoregolamen-tari, sia in termini di loro utilizzazione per la definizione del concetto di abuso di diritto, sia in quelli di efficacia obbligatoria per vincolo contrattuale, mante-nendo quale parametro i valori di solidarietà, libertà, e tutela della dignità uma-na, che costituiscono il discrimine tra sopraffazione del gruppo e attuazione dei valori dell’ordinamento.

Da ultimo, ma non in ragione di importanza, deve rilevarsi la peculiarità del codice Internet @ minori, definito dal Ministero per l’innovazione tecnologica un “codice di co-regolamentazione”, per effetto della previsione di un potere di controllo esercitato dal Comitato di Garanzia, in parte rappresentativo del Mini-stero delle Comunicazioni e del Dipartimento dell’Innovazione e delle tecnolo-gie, che vigila sul rispetto delle regole autonomamente dettate dai soggetti del-l’ordinamento particolare, generato dal codice stesso.

È indubbio che ciò implichi “una condivisione di responsabilità, attraverso un accordo tra pubblico e privato”33, ed è conferma – a tempo stesso – di quel principio di cooperazione tra i soggetti deputati alla produzione di norme, che più sopra è stato citato a fondamento della giuridicità delle fonti autoregolamentari.

L’esperienza del codice Tv @ minori, recepito dal legislatore statale nella sua totalità, come quella della riforma del diritto societario, affidata nella sua stesura ad un gruppo tecnico-giuridico, per essere poi deliberata dal Governo quale legislato-re delegato, e come quella del progetto di riforma delle persone giuridiche non lu-crative, scritto da una commissione di studiosi, sotto l’auspicio della Presidenza del Consiglio, e riproposto all’esame delle Camere, possono essere prese ad esem-pio dell’evoluzione del contenuto e della funzione della legge, spesso espressiva di interessi particolari – e non particolaristici – constatazione che fonda la piena ade-sione alla giuridicità delle norme autoregolamentari (o co-regolamentari) del codi-ce Internet @ minori, le quali, al pari di queste esperienze legislative, realizzano sistemi di sintesi normativa non affidati all’arbitrio dei compilatori, ma anzi pie-namente condivise da operatori e destinatari, rispettose dei principi costituzionali, di cui costituiscono attuazione anche in termini di cooperazione dei cittadini alla piena realizzazione dei diritti fondamentali della persona, ai sensi dell’art. 2 Cost.

——— 33 Comunicato dell’Ufficio Stampa del Ministro dell’Innovazione e delle tecnologie, pubblicato il 19

novembre 2003, originariamente pubblicato in www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/minori_codice/punti.html.

Page 315: Diritto privato del mercato

PARTE III

IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA

Page 316: Diritto privato del mercato
Page 317: Diritto privato del mercato

CAPITOLO PRIMO

ANALISI DELL’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA SECONDO VARI APPROCCI TEORICI

SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Il Gli approcci strutturalisti. — 3. Gli approcci comportamentali. — 4. L’approccio delle risorse. — 5. Gli approcci dinamici. — 6. Conclusioni.

1. — Introduzione. Il presente lavoro tratta, in chiave interdisciplinare (ovvero secondo la pro-

spettiva dell’economia politica, dell’economia industriale, dell’economia azienda-le), dell’evoluzione del concetto di concorrenza secondo vari approcci teorici (ap-proccio strutturalista, approccio comportamentale, approccio delle risorse, approccio dinamico).

Di ciascuno di questi approcci, tutti caratterizzati dal fatto di assumere, per un’analisi della concorrenza, il punto di vista dell’offerta e non della domanda1, si passano in rassegna i principali autori di riferimento, gli elementi in comune tra i vari autori, le critiche formulabili al paradigma di base, le implicazioni normative in tema di politiche anti-trust (laddove formulabili).

Parallelamente all’analisi dell’evoluzione del concetto di concorrenza si svi-luppa anche la trattazione dell’evoluzione della nozione di impresa sottesa a cia-scun approccio teorico.

Gli approcci analizzati possono essere schematicamente suddivisi in ap-procci oggettivi, ovvero che partono, per un’analisi della concorrenza, dalla consi-derazione del dato di realtà, ovvero delle caratteristiche quali-quantitative di un settore industriale, delle imprese e degli imprenditori, dei fattori produttivi (in cui rientrano l’approccio strutturalista, l’approccio delle risorse, l’approccio di-namico), e in approcci soggettivi, che si fondano invece sulla centralità della prefi-gurazione/percezione, da parte del management aziendale, delle azioni dei con-

——— 1 In questo senso si considera il mercato come insieme di produttori piuttosto che come insieme

di prodotti considerati intersostituibili dai consumatori (come avviene nel caso della definizione classi-ca di “mercato rilevante”).

Page 318: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 292

correnti come base per poter adottare le proprie decisioni strategiche (in cui si inserisce l’approccio comportamentale).

Gli approcci esaminati si possono distinguere anche a seconda delle deter-minanti che essi ritengono fondamentali nel condizionare la competizione con-correnziale (nel caso dell’approccio strutturalista si tratta della struttura del settore industriale, nel caso dell’approccio comportamentale delle scelte strategiche delle im-prese, nel caso dell’approccio delle risorse della dotazione/combinazione di risor-se/competenze aziendali, nel caso dell’approccio dinamico dell’innovazione).

Gli approcci possono infine essere ripartiti in statici (approccio strutturali-sta, comportamentale, delle risorse), assillati dall’analisi delle condizioni che de-terminano l’affermarsi o meno di un dato regime concorrenziale e dinamici (ap-proccio dinamico), miranti invece alla comprensione dei meccanismi di raggiun-gimento degli equilibri concorrenziali o alla investigazione delle modalità di di-struzione di tali equilibri.

Tab. 1

Differenti approcci teorici alla nozione di concorrenza in base alla determinanti della competi-tività ed in base alla oggettività/soggettività dell’approccio alla concorrenza

Determinanti della concorrenza

Struttura

del settore

industriale

Scelte

strategiche

delle imprese

Dotazione/

combinazione

di risorse/

competenze

Innovazione

Approccio

oggettivo

Approccio strutturalista

Approccio delle risorse

Approccio dinamico

Punto di vista

dell’approccio

Approccio

soggettivo

Approccio comportamentale

2. — Gli approcci strutturalisti. Gli approcci strutturalisti, pur se sviluppati nell’ambito di differenti disci-

pline (dell’economia politica, dell’economia industriale o dell’economia azienda-le), sono tutti accumunati dall’ipotizzare un ferreo determinismo tra caratteristi-che strutturali dell’economia→natura della concorrenza→comportamento delle imprese→risultati delle imprese, ma anche dal fatto di peccare tutti di staticità.

Page 319: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 293

Tab. 2

Approcci strutturalisti alla concorrenza in chiave interdisciplinare Economia politica Economia industriale Economia aziendale

Concorrenza nella teoria Degli economisti neoclassici

Concorrenza nello schema teorico S→C→P

Concorrenza nel quadro dell’analisi dell’ambiente competitivo

2.1. L’approccio strutturalista dell’economia politica: la concorrenza nella teoria degli

economisti neoclassici. – Prima che la Scuola Economica Neoclassica arrivasse alla formulazione compiuta della nozione di “concorrenza perfetta”, Agostino Cour-not nei suoi “Principi Matematici della Teoria della Ricchezza” (1838) ne aveva già anticipato il concetto, definendo la concorrenza come “quella configurazione di mercato in cui le variazioni nelle quantità prodotte da una singola impresa non hanno con-seguenza apprezzabili sul prezzo di vendita del bene”2. A questo sforzo teorico, egli aveva aggiunto un ulteriore passo: aveva infatti collegato il “price taking beha-viour”, ovvero l’assumere da parte dell’impresa il prezzo di equilibrio come da-to, ad una caratteristica strutturale del mercato data esogenamente, ovvero alla numerosità delle aziende in esso presenti. Un grande numero di imprese era, se-condo Cournot, il pre-requisito per l’esistenza della concorrenza. Dunque la struttura del mercato influenzava il comportamento imprenditoriale (ovvero la capacità di fissare in autonomia il prezzo) che, a sua volta, si riverberava sulla natura più o meno concorrenziale del mercato e quindi sulla profittabilità dell’impresa.

William Stanley Jevons, nell’opera “Teoria dell’economia politica ed altri scritti e-conomici” del 1871, aggiunge altre due condizioni per l’esistenza di concorrenza: l’esistenza di perfetta informazione tra gli operatori e l’inesistenza di accordi collusivi tra gli imprenditori.3

Gli esponenti della Scuola Neoclassica, seppur con accenti diversi tra loro, associano l’esistenza di un modello di concorrenza, che denominano “perfetta”, ad un set ancora più ampio di condizioni sempre strutturali: gran numero di opera-

——— 2 Cfr. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, Carocci, Roma, 1998, p. 16. 3 “È essenziale che il rapporto di scambio stabilitosi tra due individui sia noto a tutti gli altri … Non debbono es-

servi accordi dolosi volti ad assorbire e sottrarre al mercato provviste al fine di porre in essere rapporti non naturali di scambio” (cfr. W.S. JEVONS, Teoria dell’economia politica ed altri scritti economici, Utet, Torino, 1959, p. 87). “Ogni singolo agente tenta di procurarsi la migliore conoscenza che possa aversi delle condizioni dell’offerta e della do-manda e procura di essere informato, quanto più sollecitamente possibile, di qualsiasi mutamento ... Un mercato è quindi teoricamente perfetto solo quando tutti i commercianti hanno una perfetta conoscenza delle condizioni dell’offerta e della domanda e del conseguente rapporto di scambio” (cfr. W.S. JEVONS, op. cit., p. 68).

Page 320: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 294

tori, perfetta informazione, omogeneità e divisibilità del prodotto, libertà di entrata e di uscita dal mercato, costi di transazione trascurabili, assenza di esternalità, assenza di rendimenti crescenti (ovvero assenza di economie di scala). In presenza di tutti questi vincoli è im-possibile da parte dell’impresa o del singolo agente economico poter incidere sul prezzo che viene fissato dall’operare anonimo delle forze del mercato. Tali auto-ri si soffermano ad esaminare le ulteriori implicazioni della concorrenza perfet-ta, celebrando quest’ultima come quella forma di mercato che, data la tecnologia esistente, garantisce contestualmente efficienza tecnica (minimizzazione dei costi medi di produzione) ed allocativa (prezzi che uguagliano i costi marginali).

Lo schema strutturalista della concorrenza perfetta manifesta però nume-rose criticità.

La rilevanza empirica del modello è scarsa: tutte le condizioni strutturali della concorrenza perfetta si possono verificare in modo simultaneo soltanto ecce-zionalmente ed accidentalmente nel mondo reale (si parla per questo di “condi-zioni eroiche”), per cui il modello pecca di astrattezza.

La visione è atomistica: il modello presuppone che ogni operatore agisca in modo separato dagli altri in assenza di interazione strategica, altra condizione piuttosto irreale4.

La visione è statica: si considera il numero delle imprese presenti sul merca-to come una condizione data nel modello di equilibrio generale che non viene, almeno nel breve periodo, modificata5. Come conseguenza di questo presuppo-sto che conferisce imperturbabilità al sistema economico, alla visione neoclassi-ca non rimane che concentrarsi sull’esaltazione delle virtù (statiche) della concor-renza perfetta (ovvero sull’efficienza tecnica ed allocativa e non sull’efficienza di-namica connessa all’operare del progresso tecnologico).

Tenendo conto di tutte queste criticità del paradigma neoclassico, le impli-cazioni normative in termini di politiche anti-trust sono che il mercato di con-correnza perfetta, pur costituendo una situazione di “ottimo paretiano” dal punto

——— 4 Per una critica ai limiti logici ed esplicativi del modello economico neoclassico cfr. P. GRASSELLI,

C. MONTESI, Dall’individualismo dell’“homo oeconomicus” alla razionalità relazionale della differenza di genere, in Obiettivo Impresa, periodico della Camera di Commercio di Perugia, n. 2, 2004, pp. 34-36. Gli autori di-mostrano come il modello neoclassico difetta di efficacia esplicativa: esso si basa su assunzioni irreali-stiche (asocialità umana), non riesce a spiegare sia i comportamenti esplorativi degli agenti economici (ovvero quelli in cui viene meno la linearità consequenziale del meccanismo scelta→ azione→risultato) che i comportamenti in cui la relazione mezzi/risultati non è il solo criterio guida dell’azione del sog-getto, è incompatibile con l’esistenza della società e di altre organizzazioni sociali (imprese incluse).

5 Tra gli economisti neoclassici soltanto A. Marshall ha ipotizzato che, nel lungo periodo, il nume-ro delle imprese possa mutare purché non esistano barriere all’entrata ed all’uscita dal mercato.

Page 321: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 295

di vista dell’allocazione delle risorse6, non può comunque rappresentare il mo-dello di riferimento per l’intervento della Autorità deputate alla tutela della con-correnza per l’impossibilità tecnica e/o economica di eliminare tutte le imperfe-zioni esistenti nel mercato reale e di arrivare a soddisfare tutti i suoi requisiti “e-roici”7. Come guida per l’intervento anti-trust si è allora pervenuti alla formula-zione del concetto di workable competition, che, pur non mettendo radicalmente in discussione il paradigma della concorrenza perfetta come modello tendenziale a cui il mercato reale dovrebbe tendere, non esige tutti i rigorosi quanto irrealistici standard prefissati dagli economisti neoclassici8. I requisiti della workable competi-tion sono infatti praticamente riassumibili in: presenza di un numero sufficiente-mente grande di imprese (nessuna delle quali goda di posizioni dominanti), assenza di barriere all’entrata create artificialmente, un’informazione sufficientemente accessibile a tutti, assenza di collusione tra produttori e di pratiche predatorie, volumi contenuti di spese promozionali e pubblicitarie.

Inoltre per valutare, da parte delle Autorità anti-trust, in modo non sola-mente statico una data situazione di mercato, occorre tenere conto anche degli effetti sul benessere sociale che possono provenire dal progresso tecnologico (che è assente nella cornice della concorrenza perfetta neoclassica). Benefici so-ciali per i consumatori dinamicamente conseguibili nel medio periodo attraverso l’attività di ricerca e innovazione da parte di imprese dominanti potrebbero in-fatti compensare le perdite statiche dovute al minor livello di concorrenza sui mercati presente in un determinato istante di tempo.

2.2. L’approccio strutturalista dell’economia industriale: la concorrenza nello schema teo-

rico della scuola statunitense S→C→P. – La tesi di fondo di questo approccio teorico, elaborato da E. Mason9 e J. Bain10, che ha esplicite finalità normative anti-trust, è che esiste un legame di causa-effetto tra struttura del mercato→condotta delle imprese→performance delle imprese.

——— 6 Per ottimo paretiano si intende una situazione in cui non è possibile migliorare il benessere di qual-

cuno senza peggiorare quello di qualche altro soggetto. Cfr. V. PARETO, Principi di economia politica pura, V. Girard & E. Biere, Paris, 1909.

7 Cfr. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, op. cit., p. 45. 8 Cfr. J.M. CLARK, Toward a Concept of Workable Competition, in American Economic Review, 30, n. 2,

1940, pp.241-256. 9 Cfr. E. MASON, Price and Production Policies of large-scale Entreprise, in American Economic Review, n.

29, 1939, pp. 61 ss. 10 Cfr. J. BAIN, Relation of Profit Rate to Industry Concentration: American Manufacturing 1936-1940, in

Quarterly Journal of Economics, n. 65, 1951, p.293 ss.

Page 322: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 296

La struttura del mercato (cioè il suo livello di concentrazione e di prote-zione, le caratteristiche del processo produttivo, le caratteristiche dei prodotti) condiziona la condotta delle imprese (le politiche di prezzo, di prodotto, di cre-scita interna e/o esterna) che, a loro volta, determina i risultati delle imprese.

Tab. 3

Lo schema teorico S→C→P

Struttura→→→→ Condotta→→→→ Performance Variabili di struttura Variabili di condotta Variabili di performance

Numero degli operatori Dimensione degli operatori

Politiche di fissazione dei prezzi Pratiche collusive

Profitti

Grado di integrazione verticale degli operatori

Fusioni ed acquisizioni Innovazione Profitti

Tipologie di funzioni di costo (es. economie di scala)

Investimenti produttivi Costi di Produzione

Barriere all’entrata del mercato Differenziazione dei prodotti

Sostenimento “sunk costs”: spese in R&S

spese in pubblicità

Investimenti produttivi

Qualità dei prodotti

Quantità/qualità dei prodotti Qualità (presunta o effettiva)

dei prodotti

Capacità produttiva in eccesso Barriere all’uscita Sostenimento “sunk costs” Mobilità dei fattori produttivi

Secondo questo approccio la struttura del mercato è dunque la variabile

chiave che influenza la natura della concorrenza. Come quella neoclassica anche questa è una visione comunque statica della concorrenza.

Dall’assunto principale dello schema S→C→P di Harvard discende un’im-portante implicazione normativa in tema di politiche anti-trust: la struttura del mercato è l’oggetto su cui le Autorità garanti della concorrenza devono partico-larmente vigilare ed intervenire in modo tale da scongiurare il fatto che un nu-mero esiguo di imprese si ripartisca il mercato o che, pur in presenza di molti operatori, poche grandi imprese detengano quote rilevanti di mercato.

Le Autorità presteranno allora particolare attenzione alle fusioni/acquisizioni tra imprese che alterino il numero di imprese presenti sul mercato e/o la loro distri-buzione dimensionale e, ove necessario, imporranno il divieto di operazioni di con-centrazione che costituiscano o rafforzino una posizione dominante o che, attra-verso la riduzione del numero dei concorrenti presenti sul mercato, possano fa-cilitare indirettamente la stipulazione di intese collusive.

Questa impostazione teorica e normativa è stata contestata dalla Scuola di

Page 323: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 297

Chicago, tra le cui fila si annoverano gli economisti R. Bork11, R. Posner12, G. Sti-gler13, H. Demsetz14. Secondo tale Scuola l’efficienza tecnica non è conseguibile sol-tanto nell’utopico regime di concorrenza perfetta in cui sono presenti tanti operatori di piccole dimensioni. L’efficienza tecnica può essere raggiunta anche in mercati carat-terizzati dalla presenza di poche imprese di grandi dimensioni e per questo non concorrenziali. Non esiste conflitto tra la grande dimensione di un operatore econo-mico (che è uno degli elementi strutturali di un mercato) e l’efficienza tecnica. Le grandi imprese oligopolistiche, proprio perché verticalmente integrate, in qualità di “isti-tuzioni gerarchiche”, non devono infatti sostenere tutti i costi di transazione che sono invece sopportati, nel corso della loro interazione continua con i mercati (nella ne-goziazione dei fattori produttivi e dei prodotti), dalle imprese perfettamente con-correnziali della teoria neoclassica che si configurano e funzionano come “un in-sieme di contratti” (“nexus of contracts”)15. Inoltre le grandi imprese spesso godono di economie di scala che abbattono i costi di produzione rendendole più efficienti dal punto di vista tecnico e più competitive rispetto ai concorrenti. Infine, se sussiste libertà di entrata sul mercato (in un’ottica non statica, ma dinamica della concor-renza), allora una posizione dominante non rappresenta più un problema proprio perché effimera. Se invece una posizione dominante perdura sul mercato, allora significa che essa è veramente la conseguenza di una performance superiore. Evi-dentemente i potenziali entranti non riescono ad ottenere risultati migliori in ter-mini di efficienza tecnica e tali da poter permettere loro di erodere il vantaggio di cui godono le grandi imprese già presenti sul mercato. Lo schema S→C→P viene così ribaltato: è la performance più elevata di un’impresa che comporta l’acqui-sizione e/o il mantenimento di una posizione dominante sul mercato. Quindi è la performance che condiziona la struttura del mercato e non viceversa: P→S.

La presenza ed il permanere di un elevato grado di concentrazione su di un mercato è dunque il risultato delle condizioni più efficienti di produzione di un parti-colare prodotto e/o servizio. Perfino un monopolio può allora giustificarsi come risul-tato della prevalenza di economie di scala che lo rendono la forma di mercato migliore

——— 11 Cfr. R. BORK, The Antitrust Paradox, Basic Book, New York, 1978. 12 Cfr. R. POSNER, Theories of Economic Regulation in Bell Journal of Economics, n. 5, 1974, p. 335 ss.; R.

POSNER, The Social Cost of Monopoly and Regulation in Journal of Political Economy, n. 83, 1975, p. 807 ss.; R. POSNER, Antitrust Law: an Economic Perspective, University Chicago Press, Chicago, 1976; R. POSNER, The Chicago School of Antitrust Analysis in University of Pennsylvania Law Review, n. 127, 1979, p. 925 ss.

13 V. G. STIGLER, The Economic Effects of the Antitrust Laws, in Journal of Law and Economics, n. 9, 1966, p. 225 ss. 14 V. H. DEMSETZ, Economics as a Guide to Antitrust Regulation in Journal of Law and Economics, n. 19, 1976, p. 371 ss. 15 Per una nozione di impresa come istituzione gerarchica cfr. R. COASE, The Nature of the Firm, in

Economica, n.4, 1937, pp. 386-405 e O. WILLIAMSON, Markets and Hierarchies: Analysis and Antitrust Impli-cations, Macmillan, New York, 1975.

Page 324: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 298

dal punto di vista dell’efficienza produttiva (“monopolio naturale”) e la perdita di benes-sere sociale che procura è limitata dal fatto che la minaccia di nuove entrate non consente al monopolista di ridurre le quantità prodotte per aumentare i suoi profitti.

La visione della Scuola di Chicago, coerentemente ai suoi assunti, prescrive una diversa ricetta in materia di politiche anti-trust: le operazioni di concentrazioni tra imprese non vanno avversate di per sé, perché, a ben vedere, possono comportare, con l’aumento dimensionale dell’impresa, l’acquisizione di livelli maggiori di efficien-za16. L’obiettivo di una politica di tutela della concorrenza non è dunque quello di preservare “a priori” una struttura del mercato frammentata, bensì di facilitare il fun-zionamento di una dinamica concorrenziale dalla quale possa emergere quella strut-tura del mercato che si riveli come la più efficiente possibile dal punto di vista tecni-co. In questo senso le Autorità garanti della concorrenza devono puntare a ridurre l’interferenza dello Stato nell’economia, ovvero devono preoccuparsi di ridurre le barriere all’entrata e, più specificatamente, le barriere amministrative perché sono erette dal policy maker e non sono soggette alla pressione delle forze del mercato.

I critici della Scuola di Chicago sottolineano il fatto che i suoi esponenti sot-tovalutano l’esistenza e la persistenza di imperfezioni sui mercati e quindi i costi in termini di inefficienza allocativa connessi ai fallimenti del mercato.

2.3. L’approccio strutturalista dell’economia aziendale: la concorrenza nel quadro dell’a-

nalisi dell’ambiente competitivo. – Il modello, elaborato da M. Porter nel suo libro “Competitive Strategy” (1980), fornisce le basi per la scelta ottimale di posiziona-mento di un’impresa all’interno di un settore industriale a partire dall’analisi di alcune variabili strutturali che ne condizionano le opzioni strategiche17.

Date le caratteristiche strutturali di un settore, il modello permette infatti di in-dividuare la sua attrattività (connessa alla redditività media ed alla sua rischiosità che dipendono, a loro volta, dall’operare di cinque forze competitive) ed i fattori chiave di successo del comparto e, in base ai punti di forza/debolezza posseduti da un’im-presa, di individuare le strategie (leadership di costo, differenziazione, focalizzazio-ne18) con cui essa può scegliere di entrare nel settore e posizionarsi al suo interno.

——— 16 Bork (1978) propone che nella valutazione, da parte delle Autorità anti-trust, della pericolosità

di un’operazione di fusione/acquisizione che potrebbe generare un monopolio si assuma come criterio di giudizio il guadagno netto che può derivare ai consumatori dal trade-off tra riduzione dei costi conse-guibile grazie all’aumento dimensionale e riduzione delle quantità offerte associata alla fusione.

17 Cfr. M. PORTER, Competitive Strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competitors, The Free Press, New York, 1980.

18 Per focalizzazione Porter intende la scelta dell’impresa di competere solo in un’area ristretta del settore.

Page 325: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 299

Le cinque forze competitive sono quelle che si sprigionano sul fronte dei concorrenti già presenti nel settore, dei potenziali entranti, dei fornitori, degli acquirenti, dei sostituti nella veste rispettivamente di: intensità attuale della concorrenza nel settore, mi-naccia di nuovi entranti, potere contrattuale dei fornitori, potere contrattuale degli acquirenti, minaccia di prodotti o servizi sostitutivi19.

Un’analisi più dettagliata delle cinque forze competitive consente di ritrova-re, al loro interno, gran parte delle variabili strutturali, da cui dipende il grado di concorrenzialità di un settore, già passate in rassegna nei precedenti approcci strutturalisti (quello dell’economia politica e dell’economia industriale) (fig. 1).

Figura 1. Elementi della struttura di un settore industriale*

Minaccia di nuovi entranti

Potere contrattuale Potere contrattuale dei fornitori degli acquirenti

Minaccia di sostituti

——— 19 Cfr. M. PORTER, Il vantaggio competitivo, Edizioni di Comunità, 1987, pp.11, 13. * Fonte: Porter (1987).

Barriere all’entrata

Economia di scala Differenze esclusive del prodotto Identità di marchio Costi di passaggio Fabbisogni di capitale Accesso alla distribuzione Vantaggi di costo assoluti

Curva di apprendimento esclusivaAccesso agli input necessari Progettazione del prodotto esclu-

siva e a basso costo Politiche governative Possibili rappresaglie

Crescita del settore

Costi fissi (o di immagazzinamento) valore aggiunto

Eccesso di capacità produttiva inter-mittente

Differenze fra prodotti Identità di marchio Costi di passaggio Concentrazione ed equilibrio Complessità informativa Diversità dei concorrenti Interessi istituzionali Barriere all’uscita

Nuovi entranti

Concorrenti nel settore

intensità della concorrenza

Fornitori

Differenziazione degli input Costi di passaggio dei fornitori e delle

imprese nel settore Presenza di input sostitutivi Concentrazione dei fornitori Importanza del volume per i fornitoriCosti in relazione al totale degli acqui-

sti nel settore Influenza degli input sui costi o sulla

differenziazione Minaccia di integrazione a valle rispet-

to alla minaccia di integrazione a mon-te da parte di aziende nel settore

Acquirenti

Leva negoziale

Concentrazione dell’ac-quirente rispetto alla concentrazione del-l’impresa

Volume dell’acquirenteCosti di passaggio del-

l’acquirente rispettoai costi di passag-gio dell’impresa

Informazioni dell’acqui-rente

Capacità di integrazio-ne a monte

Prodotti sostitutivi Pull-throug

Sensibilità al prezzo

Prezzo totale acquistiDifferenze nei prodottiIdentità di marchio Impatto su quali-

tà/prestazioni Profitti dell’acquirenteIncentivi ai responsa-

bili decisionali

Determinanti del potere degli acquirenti Determinanti del potere dei fornitori

Sostituti

Determinanti della domanda di sostituzione

Prestazioni del prezzo rela-tivo dei sostituti

Costi di passaggio Propensione dell’acquirente

alla sostituzione

Page 326: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 300

Per quanto riguarda l’intensità attuale della concorrenza nel settore si ri-marca, tra gli altri, la numerosità e la dimensione degli operatori (ovvero la con-centrazione presente nel settore), la non esistenza di prodotti omogenei (ovvero le dif-ferenze esistenti tra i prodotti), la non esistenza di informazione perfetta (ovvero la complessità informativa), la mancata libertà di exit (ovvero le barriere all’uscita), l’esi-stenza di costi di transazione (nella veste dei costi di passaggio).

Per quanto concerne la minaccia di nuovi entranti la presenza di barriere all’entrata, strutturali (economie di scala) o istituzionali (politiche governative).

Per quanto riguarda il potere contrattuale dei fornitori ancora una volta la loro numerosità e dimensione (ovvero la loro concentrazione), la non omogeneità degli input (presenza di input sostitutivi, differenziazione degli input).

Per quanto attiene il potere contrattuale degli acquirenti si ritrova nuova-mente la distribuzione numerica e dimensionale all’interno del settore (la concen-trazione degli acquirenti) e la disponibilità di informazioni per il consumatore (in-formazioni per l’acquirente).

Per quanto infine attiene alla minaccia di prodotti o servizi sostitutivi si rin-vengono i costi di transazione, sempre nella veste degli “switching costs” (costi di passaggio) e la concorrenza rispetto al prezzo (prestazioni del prezzo relativo dei sostituti).

Anche il modello di Porter, come gli altri approcci strutturalisti, non è im-mune da critiche20.

Il modello è caratterizzato dall’ipotesi di un eccessivo determinismo della struttura del settore sull’agire competitivo dell’impresa che può così essere stabi-lito in modo oggettivo, presupponendo un’idea scientifica di impresa ed una ra-zionalità illimitata del management. In realtà la condotta aziendale viene eserci-tata in condizioni di complessità ambientale ed è caratterizzata da incompletezza informativa sull’insieme delle alternative a disposizione (con scarsità di informa-zioni che non sono date, ma faticosamente ed onerosamente acquisite), da con-dizioni di incertezza sulle conseguenze che possono derivare da ogni alternativa prescelta, da scelte basate su stime approssimative a causa di oggettive difficoltà di calcolo e stima.

Il modello presuppone un’idea statica della concorrenza che non tiene con-to della natura dinamica e destabilizzante della concorrenza sottesa ai processi di introduzione e diffusione delle innovazioni.

Il modello mette al centro dell’analisi della concorrenza la categoria del “set-tore economico”. L’analisi competitiva dell’impresa coincide di fatto con l’analisi

——— 20 Cfr. F. GOLFETTO, Impresa e concorrenza nella nuova economia, Egea, 2000, pp.33-40.

Page 327: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 301

del settore a cui essa appartiene. In realtà i confini dei settori delle attività sono oggi sempre più sfumati. Basti pensare al fatto che il riferimento dei consumato-ri ad uno stesso stile di vita ha creato convergenze tra settori diversi (come ad esempio tra moda, arredamento, alimentazione). L’uso di standard comunicativi nell’economia digitale (convergenza tecnologica) ha sovrapposto settori che prima erano nettamente distinti: telecomunicazioni, informatica, mass-media, intrattenimento, creando un unico meta-mercato digitale. Il più facile accesso e trattamento, grazie all’information and communication technology, di informazioni rile-vanti sugli acquirenti, ha sovrapposto settori, ad alta intensità di contatto con i consumatori, che prima erano separati: sul mercato del dettaglio bancario sono entrate ad esempio molte catene di distribuzione, molte industrie automobilisti-che, molte industrie di elettrodomestici (convergenza di mercato).

E come avviene per il settore, anche i confini dell’impresa non sono più così netti dato che per reagire alla complessità e turbolenza dell’ambiente ester-no e per rispondere ad una domanda sempre più volatile, frammentata, sofisti-cata le imprese agiscono, alla ricerca di una maggiore flessibilità produttiva, sempre più all’interno di sistemi di offerta (alleanze, distretti, sistemi produttivi lo-cali, filiere, subfornitura, reti di imprese) in una prospettiva di divisione del lavo-ro, anche cognitivo, e di co-apprendimento ed in stretta relazione con i clienti per una comune costruzione del valore21.

Infine il modello di Porter non tiene conto, ai fini concorrenziali, dell’im-portanza dei comportamenti delle imprese in termini di processi sociali di inter-dipendenza.

Il modello del Porter, a differenza dell’approccio S→C→P, non ha ricadute normative in termini di politiche per promuovere la concorrenza, ma al contra-rio serve alle singole aziende come guida per limitarla, sfruttando le rendite “mo-nopolistiche”, ovvero tutti i possibili vantaggi monopolistici a disposizione deri-vanti dai limiti strutturali alla competizione e da tutte le imperfezioni esistenti sul mercato (dei fattori produttivi o del prodotto finale) da esso evidenziate. Lo stesso Porter, in un articolo del 1981, rimarcava le differenze intercorrenti tra l’Economia industriale e l’Economia aziendale rispetto agli interessi che veniva-no tutelati (quelli dell’intera società da parte della prima rispetto agli interessi della singola azienda da parte della seconda) ed agli scopi disciplinari (definizio-———

21 Cfr. P. GRASSELLI, Distretti: contesto teorico di riferimento, relazione presentata al convegno Il credito secondo Basilea 2: a confronto con le imprese organizzate distrettualmente o a filiera, Perugia, 16 gennaio 2004; ed anche P. GRASSELLI, Riflessioni sul collegamento tra etica ed economia, Morlacchi Editore, Perugia, 2a ed., 2005, pp.69-95.

Page 328: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 302

ne di categorie analitiche generali versus elaborazione dettagliata di check list parti-colari)22.

3. — Gli approcci comportamentali. Gli approcci comportamentali, anche se fioriti nell’ambito di differenti di-

scipline, sono tutti accumunati dal fatto di essere nati come reazione allo strut-turalismo e dal fatto di porre l’attenzione, per l’analisi della concorrenza, non sulla struttura del mercato, ma sull’interazione strategica tra le imprese.

Secondo tali approcci la concorrenza è un articolato processo sociale di azioni e reazioni in cui le percezioni (soggettive) e i comportamenti degli attori occupano un ruolo ben più importante di quello esercitato dall’ambiente in cui le imprese operano.

Questo significa che, per comprendere veramente le dinamiche concorren-ziali, occorre badare alle congetture che ciascuna azienda formula sulle manovre attuabili dalle altre concorrenti, alla percezione che ciascuna azienda ha avuto delle manovre attuate dagli altri competitori, alla sequenza temporale con cui vengono effettuate le mosse, alla reputazione di azienda “aggressiva” che un’im-presa può essersi costruita nel tempo con i suoi comportamenti, alla memoria da parte di un’impresa delle mosse effettuate in precedenza dalle rivali con la maturazione di forme di apprendimento sui comportamenti e di credenze, alla possibilità di effettuazione da parte di un’impresa di rappresaglie a seguito di tradimenti altrui.

Tab. 4

Approcci comportamentali alla concorrenza in chiave interdisciplinare Economia politica Economia industriale Economia aziendale

Concorrenza nella teoria dell’oligopolio

Concorrenza nello schema teorico P→S della Nuova

Economia Industriale

Concorrenza nella teoria dei gruppi cognitivi

3.1. L’approccio comportamentale dell’economia politica: la concorrenza nella teoria del-l’oligopolio. – Nell’ambito della teoria dell’oligopolio si possono individuare due

——— 22 Cfr. M. PORTER, The Contribution Of Industrial Organization to Strategic Management, in Academy of

Management Review, n. 6, 1981, pp. 609-620.

Page 329: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 303

filoni teorici: quello delle variazioni congetturali e quello dell’approccio strategi-co in chiave di teoria dei giochi23.

Il filone teorico delle variazioni congetturali ricomprende, a livello para-digmatico, il modello del duopolio di Cournot, del duopolio di Stackelberg, del duopolio di Bertrand. Sono definiti così perché le variabili oggetto di scelta stra-tegica (quantità da produrre o prezzo a cui vendere il prodotto) e le congetture sui comportamenti dei concorrenti sono cruciali per la determinazione dei risul-tati di mercato. Nel modello di Cournot l’impresa stabilisce le quantità ottimale da produrre, considerando come data quella prodotta dalla concorrente; nel modello di Stackelberg l’impresa leader stabilisce la quantità ottimale da produr-re in base a quella che ipotizza sarà la reazione della rivale; nel modello di Ber-trand (in cui i prodotti in concorrenza non sono omogenei) l’impresa fissa il proprio prezzo di vendita, considerando come dato quello dell’avversaria24. I tre duopoli sono esempi di modalità di interazione strategica tra imprese non coopera-tiva, fatto questo che scongiura da un lato il raggiungimento di un monopolio (come avviene invece nel caso di interazione cooperativa tra aziende mediante la formazione di cartelli), ma che dall’altro impedisce il raggiungimento di un equi-librio di concorrenza perfetta ove tutti i numerosi produttori sono completa-mente indipendenti tra loro. In aggiunta al carattere cooperativo o non cooperati-vo i tre duopoli possono essere classificati anche in base alla sequenza tempora-le della formulazione delle congetture. In base a tale tempistica il duopolio di Cournot e Bertrand sono definiti come modelli dalle variazioni congetturali si-multanee essendo le ipotesi sul comportamento della rivale formulate da ciascuna impresa in perfetta sincronicità, il duopolio di Stackelberg viene considerato come un modello dalle variazioni congetturali sequenziali in quanto la formula-zione da parte dell’impresa “leader” di ipotesi sui comportamenti di reazione dell’impresa concorrente e la conseguente elaborazione della sua strategia pro-duttiva anticipano le azioni dell’impresa “follower”, trovando coronamento nel-l’attuazione, a proprio vantaggio, della prima mossa.

Il filone dell’approccio strategico in chiave di teoria dei giochi si articola in due rami: quello dei giochi non cooperativi (nell’ambito del quale vengono clas-

——— 23 Cfr. M. GRILLO, F. SILVA, Impresa concorrenza e organizzazione, Nis, Roma, 1991, p. 165. 24 Quelle di Cournot, Stackelberg, Bertrand sono solo tre esempi di possibili variazioni

congetturali. In realtà “la produzione di ipotesi e soluzioni siffatte ha raggiunto proporzioni allarmanti: uno degli economisti che si sono dedicati a quest’attività, Stackelberg, ad un certo momento scoprì che “le diverse ipotesi possono dar luogo ad un numero di casi così grande da sconcertare”. La verità è che, sulla via delle “variazioni congetturali” (cred’io ch’ei credette che io credesse) non ci ferma mai” (cfr. P. SYLOS LABINI, Oligopolio e progresso tecnico, Einaudi, 1972, p.46).

Page 330: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 304

sicamente studiati l’equilibrio con strategie dominanti e l’equilibrio di Nash) e quello dei giochi cooperativi. Anche questo filone mette al centro dell’analisi l’interazione strategica (cooperativa e non cooperativa) tra imprese che può av-venire in giochi ad un solo round o ripetuti. Questo approccio mette in risalto in che modo le azioni di un’impresa influenzano il comportamento delle rivali25. In questo quadro assume particolare rilievo l’importanza dell’ effettuazione di “mosse irreversibili” (come ad esempio il sostenimento di “costi affondati”, ovve-ro irrecuperabili quali gli investimenti in pubblicità, in aumento della capacità pro-duttiva, in ricerca e sviluppo) nel condizionare particolarmente le strategie altrui e, di conseguenza, i risultati competitivi dell’impresa che le ha poste in essere.

La ricerca dell’equilibrio di mercato alla quale tendono i modelli di Cour-not, Stackelberg, Bertrand e la ricerca della soluzione in termini di quei pay-off che garantiscono il raggiungimento dell’equilibrio nel gioco a cui anelano gli ap-procci strategici (cooperativi e non) rivelano che tutti i modelli comportamentali sono fondamentalmente modelli statici.

Dalla teoria dell’oligopolio come indicazione di policy anti-trust si desume che le forme concorrenziali non perfette essendo, in misura maggiore o mino-re26 inefficienti, sono comunque da rimuovere attraverso l’intervento regolativo dello Stato, anche se non emergono ricette specifiche per il raggiungimento di questo obiettivo.

3.2. — L’approccio comportamentale della Nuova Economia Industriale: la concorren-za nello schema teorico P→S. – La tesi di fondo della Nuova Economia Industriale, sviluppatasi negli Stati Uniti negli anni Ottanta, è che il legame tra le variabili struttura–condotta–performance non è di causalità lineare (S→C→P), ma sem-mai di causalità circolare, dato che ci possono essere effetti di feedback da parte del-la performance di un’impresa sulla struttura del mercato S←P. Ad esempio un elevato livello di profitti di un’impresa può influire sulla sua capacità di acquisi-zione di altre imprese e quindi modificare la struttura del mercato.

Inoltre secondo tale nuova Scuola di pensiero la struttura del mercato non è un dato esogeno, ma è il frutto dell’interazione strategica tra imprese che può dar luogo a com-portamenti cooperativi (collusione) o non cooperativi (concorrenza). Più le impre-

——— 25 Cfr. C. SHAPIRO, The Theory of Business Strategy, in Rand Journal of Economics, n. 20, 1989, pp.

125-137. 26 Una classificazione, in termini di benessere sociale, delle forme di oligopolio che sia allontanano

dalla concorrenza perfetta vede al primo posto l’oligopolio di Bertrand come situazione più favorevole al consumatore, seguito dall’oligopolio di Stackelberg ed infine dall’oligopolio di Cournot.

Page 331: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 305

se colludono, più incrementano il loro potere di mercato, che non dipende quindi soltanto dall’elasticità della domanda e dalla concentrazione del mercato27.

Da questa impostazione deriva un’importante implicazione normativa in tema di politiche anti-trust: la condotta degli operatori è l’oggetto da sorvegliare in primis da parte delle Autorità garanti della concorrenza, anche se è un compito non facile che si basa più su evidenze qualitative che quantitative. Poiché il nucleo centrale di questo approccio è il comportamento degli operatori, nel ventaglio dei possibili interventi dell’Autorità anti-trust, si darà la precedenza alla vigilanza sul rispetto del divieto di stipulazione di intese collusive ed alla loro eventuale punizione.

3.3. L’approccio comportamentale dell’economia aziendale: la concorrenza nella teoria dei gruppi cognitivi. – La nozione di gruppo strategico viene alla luce nell’ambito dell’approccio strutturalista dell’analisi dell’ambiente competitivo come ulteriore categoria di analisi rispetto al settore. Essa nasce per ovviare alla eccessiva gene-ricità della descrizione di una situazione media tipica di un’analisi condotta a li-vello settoriale. Dal punto di vista dell’organizzazione industriale il gruppo stra-tegico è un cluster di imprese, operanti all’interno di un settore, caratterizzato da rilevanti omogeneità sotto il profilo delle strategie perseguite entro il comparto che funge da gruppo di riferimento per le decisioni strategiche d’impresa. La ti-pologia, numerosità, differenziazione dei gruppi all’interno di un settore devono essere anch’essi valutati, insieme all’operare delle cinque forze competitive indi-viduate da M. Porter, per misurare la sua profittabilità.

Nell’ambito dello studio dei gruppi strategici, la teoria dei gruppi cognitivi si distingue intanto per il fatto di fondare la valutazione della similarità tra im-prese (e quindi l’appartenenza allo stesso gruppo) sulla percezione soggettiva che i managers hanno dei comportamenti dei rivali28 piuttosto che sulla base di dati più oggettivi come le informazioni disponibili sulla struttura del mercato. In questo senso avviene un processo di “enactement”, ovvero di “attivazione” reciproca, nel quale il “modello mentale” di ciascuna impresa è determinato, anche se non del tutto, dall’interpretazione dei comportamenti delle altre imprese. Il gruppo, se-condo l’approccio cognitivo, è dunque una realtà psicologica e sociale. In virtù dei comportamenti imitativi tra imprese che rendono simili i modelli mentali dei

——— 27 Cfr. L.M.B. CABRAL, Introduction to Industrial Organization, The Mit Press, Cambridge, Massachu-

setts, 2000, pp. 159-161. 28 Cfr. J.F. PORAC, H. THOMAS, C. BADEN-FULLER, Competitive Groups as Cognitives Communities: The

Case of Scottish Knitwear Manufacturers, in Journal of Management Studies, n. 26, 1989, pp. 397-414; ed anche K.E. WEICK, The Social Psychology of Organizing, Addison-Wesley, Reading, 1979.

Page 332: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 306

managers, si maturano delle “credenze a livello di gruppo” circa il mercato, che consentono a ciascuna impresa di capire la propria collocazione nello spazio competitivo, ovvero di comprendere con chi e come (se in rapporto di concor-renza o cooperazione) si è più direttamente in rapporto nel settore e di assume-re le decisioni strategiche più adeguate rispetto all’appartenenza ad un determi-nato gruppo.

4. — L’approccio delle risorse. Questo approccio, scaturito nell’ambito dell’Economia aziendale, è caratte-

rizzato dal fatto di non porre l’attenzione, per l’analisi della concorrenza, né sul-la struttura del mercato, né sulla interazione strategica delle imprese, ma sulla specificità della singola impresa e della sua attività (asset specificity)29.

In questa logica diventa essenziale analizzare la struttura più profonda dell’impresa, ovvero le sue risorse e competenze che le consentono di pervenire ai prodotti, così come le radici e la linfa permettono ad un albero la produzione dei suoi frutti.

Ecco perché tale approccio viene denominato Resource-Based View, ovvero approccio delle risorse.

Esso ha avuto origine con la elaborazione di E.Penrose (1959), ma ha avu-to il suo più forte impulso negli anni Ottanta (R.P.Rumelt, J.B.Barney)30. Dagli anni Novanta l’approccio ha ricevuto più ampia diffusione attraverso il lavoro di C.K.Prahalad-G.Hamel (1990), R.M.Grant (1991), M.A.Peteraf (1993)31.

——— 29 Si potrebbe rinvenire anche questa volta un approccio, simile a quello delle risorse (di matrice

aziendale), anche nel campo dell’economia politica e dell’economia industriale. Nel campo dell’economia politica nella teoria della concorrenza monopolistica che si incentra sulla specificità del prodotto di un’impresa ri-spetto a quelli degli altri concorrenti, nel campo dell’economia industriale nell’analisi delle dinamiche con-correnziali che caratterizzano i sistemi produttivi locali, nelle loro molteplici forme, che si fondano sulla specificità di un territorio, ovvero sul fatto di poter sfruttare, come fonte di vantaggio competitivo, le “economia di agglomerazione” (ovvero tutte quelle economie esterne alle imprese, ma interne ad un’area), in aggiunta alla sinergica integrazione di fattori storici, culturali, valoriali, sociali, ambientali, istituzionali.

30 Cfr. E. PENROSE, The Theory of the Growth of the Firm, Oxford, Basil Blackwell, 1959; R.P. RU-MELT, Towards a Strategic Theory of the Firm, in R. LAMB, Competitive Strategic Management, Englewood Cliff, Prentice-Hall, 1984; R.P. RUMELT, Theory, Strategy and Entrepreneurship, in D.J. TEECE, The Competitive Challenge, Ballinger, Cambridge, 1987; J.B. BARNEY, Organizational Culture: can it be a Source of competitive advantage, in Academy of Management Review, vol. 11, 1986.

31 Cfr. C.K. PRAHALAD, G. HAMEL, The Core Competence of the Corporation, in Harvard Business Review, n. 68, 1990, pp.79-91; R.M. GRANT, L’analisi strategica nella gestione aziendale, Il Mulino, Bologna, 1991; M.A. PETERAF, The Cornerstone of Competitive Advantage: a Resource-Based View, in Strategic Management Jour-nal, vol. 14, 1993, pp.179-191.

Page 333: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 307

4.1. L’approccio delle risorse: la concorrenza nella Resource-Based View. – Secondo l’approccio delle risorse la fonte del vantaggio competitivo di un’impresa risiede in una componente di stock ed in una componente di processo.

La componente di stock è rappresentata dalla dotazione di risorse specifiche dell’impresa, che possono rinvenirsi nel capitale tecnico (possesso di tecnologie esclusive, utilizzazione di impianti particolari), nel capitale immateriale (brevetti, marchi), nel capitale umano (le risorse umane con la loro specifica dotazione di conoscenze codificate e tacite, le singole capacità degli addetti, la peculiare or-ganizzazione aziendale).

La componente di processo è costituita dalla combinazione/coordinamento/ inte-grazione in forma originale delle risorse sia a livello di una singola funzione aziendale, che di intera impresa; sia all’interno dell’impresa che all’esterno (con fornitori, co-makers, produttori di beni complementari, distributori, clienti). Questo pro-cesso genera competenze e capacità distintive ed attiva soluzioni produttive specifiche che segnano la distanza dai concorrenti e qualificano la posizione competitiva detenuta dall’impresa. Si tratta di competenze e capacità che, per essere realmente efficaci, devono rivelarsi per l’impresa: critiche, ovvero determinanti per sfruttare opportunità e/o neutralizzare minacce presenti nell’ambiente competitivo; scarse, ovvero non disponibili da parte delle imprese concorrenti, imperfettamente imitabi-li, ovvero non replicabili tout court dai concorrenti, insostituibili, ovvero non a-venti sostituti strategicamente equivalenti (J.B. Barney, 1991).

Gran parte degli autori della Resource Based View più che sulla insosti-tuibilità delle risorse si sono concentrati sulla loro imperfetta imitabilità, ovve-ro sullo studio delle variabili o dei processi (“meccanismi di isolamento”) che im-pediscono la facile imitazione di una risorsa specifica da parte dei concorrenti, quali la presenza di brevetti e/o l’esistenza di costi di sostituzione dei prodotti da parte dei clienti, il carattere tacito della conoscenza degli individui che par-tecipano al processo produttivo, il livello di complessità sotteso all’utilizzo della risorsa32.

Quanto alla scarsità delle risorse alcuni autori insistono sul fatto che le ri-sorse altamente specifiche di un’azienda (divenute tali anche grazie a processi originali di combinazione) sono imperfettamente mobili, nel senso che non ba-sterebbe alle imprese rivali acquistarle sul mercato colmando così l’asimmetria competitiva dato che, se utilizzate in contesti diversi da quelli in cui sono state

——— 32 Cfr. S. LIPPMAN, R. RUMELT, Uncertain Imitability: an Analysis of Interfirm Differences in Efficiency

Ender Competition, in Bell Journal of Economics, 1982, pp. 418-438.

Page 334: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 308

create ed accumulate, perderebbero comunque il loro valore33. Altri autori più che mettere l’accento sull’inesistenza di mercati delle risorse

sottolineano l’esistenza di imperfezioni nei mercati che vengono sapientemente sfruttate dalle imprese34.

In sintesi è la dotazione di risorse specifiche, insieme al peculiare modo di combinarle, a rendere un’impresa unica nel suo campo di attività e quindi più competitiva, dato che sfrutta una rendita di natura “ricardiana”, ovvero derivante dallo sfruttamento di risorse che possono essere considerate scarse35. L’azienda deve avere non solo una forte capacità di introspezione per metterle a fuoco, ma anche una elevata capacità di operare sulle proprie competenze chiave.

La specificità dell’impresa può inoltre essere rafforzata dalla specificità delle condizioni storiche, sociali, culturali in cui le risorse/competenze aziendali sono immerse e dagli investimenti che, nel tempo, l’impresa ha effettuato per accu-mulare e/o accrescere le proprie risorse.

Anche all’approccio competitivo delle risorse possono essere formulate delle critiche.

La forte focalizzazione di questa teoria sulla dotazione di risorse/capacità eterogenee rispetto ai concorrenti come fonte del vantaggio competitivo rischia di far perdere all’impresa il senso dell’importanza della sua interazione con il mercato. La teoria è troppo sbilanciata sul versante dell’offerta trascurando il lato della domanda, ovvero prescrive all’impresa di badare più all’analisi dei fat-tori di distinzione dai concorrenti che non all’analisi della creazione del valore. La preoccupazione principale non viene tanto riposta nella necessità di verifica-re la corrispondenza tra risorse/competenze caratteristiche dell’impresa e gli at-tributi (di base, centrali, specifici) dei prodotti richiesti dal mercato, quanto nel differenziarsi dai concorrenti. Di conseguenza l’azienda rischia di valutare le proprie risorse/competenze soltanto relativamente ai competitors, non in base al tipo di risposta che queste sono in grado di fornire al mercato.

Come gli altri approcci (quello strutturalista e quello comportamentale) an-che quello delle risorse, nella sua versione originaria, pecca di staticità. La speci-ficità dell’impresa che costituisce, in una visione statica della concorrenza, il suo

——— 33 Cfr. I. DIERICKX, K. COOL, Asset Stock Accumulation and Sustainability of Competitive Advantage, in

Management Science, n.35, 1989. 34 Cfr. J.B. BARNEY, Strategic Factor Markets: Expectations, Luck and Business Strategy, in Management

Science, n. 32, pp. 1232-1241. 35 Cfr. G. GAVETTI, Le strategie dell’impresa innovativa, in AA.VV., Economia dell’innovazione a cura di

F. Malerba, Carocci, 2000, p. 212.

Page 335: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 309

punto di forza rischia, in una visione dinamica della concorrenza che si fonda invece sulla capacità innovativa, di rivelarsi un fattore di debolezza in quanto limita la sua capacità di evoluzione. Il mutamento di risorse/competenze che sarebbe necessario per fronteggiare il cambiamento (tecnologico e/o di merca-to) è fortemente condizionato dal vincolo delle risorse/competenze già a dispo-sizione che, a loro volta, sono frutto dell’accumulazione avvenuta in passato e della storia aziendale pregressa (path dependency), con un possibile pregiudizio per lo sviluppo evolutivo dell’impresa. Questa difficoltà teorica sarà comunque su-perata dagli affinamenti che la Resource-Based View avrà negli anni successivi alla sua prima divulgazione, con la formulazione della teoria delle capacità di-namiche (dynamic capabilities).

5. — Gli approcci dinamici. Gli approcci dinamici, pur se sbocciati nell’ambito di differenti discipline,

hanno tutti in comune il fatto di concepire la concorrenza come un processo dinamico. Più che all’equilibrio di mercato in sé, tali approcci sono attenti o al processo mediante il quale si arriva all’equilibrio concorrenziale o ai meccanismi di rottura dell’equilibrio stesso. Per quanto riguarda i meccanismi di raggiungimento dell’equilibrio, gli economisti classici li identificano nella mobilità dei fattori produttivi da un settore all’altro, gli economisti della teoria dei mercati conten-dibili nella mobilità delle imprese realizzabile a condizione di non dover subire costi irrecuperabili. Per quanto concerne i meccanismi di disequilibrio, Schum-peter li individua nella capacità innovativa dell’impresa, la teoria del ciclo tecno-logico e la teoria delle capacità dinamiche nelle discontinuità tecnologiche.

Tab. 5

Approcci dinamici alla concorrenza in chiave interdisciplinare Economia politica Economia industriale Economia aziendale

Concorrenza nella teoria degli economisti classici

Concorrenza nella teoria di J. Schumpeter

Concorrenza nella teoria dei mercati contendibili

Concorrenza nella teoria del ciclo tecnologico

Concorrenza nella teoria delle capacità dinamiche

Nelle ultime tre concezioni (schumpeteriana, del ciclo tecnologico, delle capacità dinamiche) la questione in gioco non è la lotta per la spartizione dei

Page 336: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 310

profitti, ma quella della creazione, attraverso o a seguito della distruzione del-l’equilibrio di mercato, di nuovo valore da parte delle imprese.

5.1. L’approccio dinamico dell’economia politica: la concorrenza nella teoria degli econo-

misti classici. – Gli economisti classici (A. Smith, D. Ricardo, J. Stuart Mill)36, co-me quelli neoclassici, sostengono che la concorrenza tra soggetti ed il persegui-mento dell’interesse personale (mitigato, nel caso di Smith, da sentimenti di em-patia e benevolenza verso il prossimo37), vincolati ad un contesto istituzionale minimo (con l’intervento dello Stato relegato soltanto alla applicazione del codi-ce penale, alla tutela della proprietà, alla tutela delle obbligazioni contrattuali), garantisca il massimo benessere sociale. A differenza degli economisti neoclassi-ci, essi non sono strutturalisti, ovvero non si preoccupano di definire tutte le con-dizioni necessarie e sufficienti affinché la concorrenza esista ed esplichi i suoi ef-fetti benefici. Essi prestano attenzione al processo di raggiungimento dell’equilibrio concorrenziale, che è garantito dalla perfetta mobilità dei fattori produttivi (capitale e la-voro). In questo senso concepiscono la concorrenza in termini dinamici38. Il mec-canismo attraverso il quale si attua il processo concorrenziale è infatti il trasfe-rimento delle risorse produttive tra i vari settori dell’economia a seconda dei rendimenti espressi dai prezzi di mercato. Il trasferimento delle risorse dai setto-ri a più basso rendimento verso i settori a più alto rendimento fa tendere i prez-zi verso il loro valore naturale (determinato dal costo minimo di produzione) e livella i rendimenti differenziali ad un tasso di profitto uniforme in tutti i settori. In tal modo i consumatori finiscono per pagare i prezzi più bassi ed il capitale accumulato viene investito negli impieghi più produttivi. La concorrenza è dun-que un processo dinamico che si svolge mediante l’entrata e l’uscita dai vari set-tori dell’economia dei fattori produttivi. Le implicazioni normative in termini di politica anti-trust sono immediate: tutti questi autori, in polemica con i mercan-

——— 36 Tra gli economisti classici Marx costituisce un caso a sé stante, anche se potrebbe essere fatto

rientrare nell’approccio dinamico alla concorrenza per la sua attenzione ai processi concorrenziali e non agli equilibri, per il fatto di presupporre che i processi concorrenziali si fondano sulla mobilità in-tersettoriale del capitale, per l’importanza attribuita come variabile di competitività all’innovazione di processo (il capitalista innova continuamente introducendo tecniche produttive labour-saving che in-crementano il profitto), per la considerazione dell’estrema mobilità del capitale che farà diffondere il capitalismo su scala globale.

37 Per un’interpretazione di Smith “paladino della simpatia” cfr. A. SEN, On Ethics and Economics, Blackwell Oxford, 1999; e S. ZAMAGNI, Paradossi Sociali della crescita ed economia civile, in Schumpeter Lecture, a cura di V. Orati, Agnesotti, Viterbo, 1997, pp. 27-29.

38 Cfr. I. MUSU, Il valore della concorrenza nella teoria economica, in La concorrenza tra economia e diritto a cura di N. Lipari, I. Musu, Cariplo-Laterza, 2000, pp. 7-9.

Page 337: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 311

tilisti, pensano che gli ostacoli maggiori alla concorrenza siano di natura pretta-mente istituzionale e per tale motivo invocano l’abolizione delle barriere amministra-tive e dei monopoli istituzionali.

5.2. L’approccio dinamico dell’economia industriale: la concorrenza nella teoria dei

mercati contendibili. – Gli autori di questa teoria, W. Baumol, J. Panzar, R. Willig (1982)39, si richiamano alla nozione dinamica di concorrenza degli economisti classici, di cui riprendono integralmente l’idea che il processo concorrenziale sia garantito dai trasferimenti dei fattori produttivi da un settore all’altro ogniqual-volta che si manifestano delle differenze nei tassi di profitto intersettoriali. A differenza degli economisti classici, questi autori sottolineano la necessità che i trasferimenti debbano avvenire senza il sostenimento di costi. Definiscono co-me contendibili quei mercati in cui è possibile, per un operatore, entrare ed usci-re liberamente, senza dover subire costi irrecuperabili40. I presupposti della con-tendibilità sono dunque la libertà di entrata (garantita dal fatto che non vi siano barriere all’entrata e dal fatto che gli entranti possano avere accesso alle stesse tecnologie delle imprese già operanti nel settore) e la libertà di uscita (garantita dall’assenza di costi irrecuperabili, ovvero dalla possibilità di uscire dal settore recuperando le spese sostenute per realizzare la produzione o rivendendo gli in-vestimenti produttivi effettuati in un mercato secondario o destinandoli ad usi alternativi).

Le conseguenze di questa teoria consistono nel fatto che la concorrenza più che dalla elevata numerosità degli operatori già presenti in un mercato, può essere comunque assicurata dalla sua contendibilità, indipendentemente dal nu-mero delle imprese attive in esso.

La concorrenza, anche solo potenziale, può aiutare a disciplinare il comporta-mento delle imprese operanti in mercati caratterizzati da non elevate barriere all’entrata ed all’uscita. A causa infatti dello spauracchio dell’entrata potenziale di nuovi concorrenti, le imprese già presenti nel settore, dovranno produrre quella quantità in corrispondenza della quale il prezzo uguaglia il costo medio minimo. Infatti se il prezzo superasse il costo medio minimo, altri concorrenti,

——— 39 Cfr.W. BAUMOL, J. PANZAR, R. WILLIG, Contestable Markets and The Theory of Industry Structure,

Harcourt, Brace, Jovanovich, New York, 1982. 40 I costi irrecuperabili sono quelli che devono essere sostenuti per affermarsi sul mercato e che

non possono essere recuperati in caso di uscita. Si pensi ad esempio ad un investimento in un impianto produttivo che, in caso di cessazione dell’attività, non può più essere venduto o riconvertito o ad un investimento pubblicitario per un prodotto che non può più essere recuperato, almeno per quanto concerne quella parte delle somme non ancora ammortizzate al momento dell’uscita dal mercato.

Page 338: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 312

allettati dalle possibilità di profitto, potrebbero facilmente entrare nel settore (praticando un prezzo più basso) ed altrettanto facilmente uscire (senza sostene-re costi irrecuperabili) prima che le imprese del settore possano reagire abbas-sando a loro volta i prezzi (concorrenza “hit and run”, ovvero concorrenza “mor-di e fuggi”). Anche un eventuale monopolista che operasse in un mercato con-tendibile dovrebbe adeguarsi alla minaccia della concorrenza potenziale, con la conseguenza che non potrebbe sfruttare appieno il suo potere di monopolio.

Da questa teoria deriva un’importante implicazione normativa in tema di politiche anti-trust: non è una certa struttura di mercato (come quella caratteriz-zata da un numero esiguo di operatori) a dover impensierire di più le Autorità anti-trust, ma la sua non elevata contendibilità.

Le Autorità garanti della concorrenza devono, prima di intervenire per modificare la struttura di un mercato, valutare il suo grado di contendibilità e preoc-cuparsi, in ogni caso, di ridurre le barriere all’entrata, specialmente le barriere ammini-strative.

Critiche sono state formulate a questa teoria soprattutto in merito al man-cato riscontro nella realtà della ipotesi di assenza di costi irrecuperabili e di pos-sibilità di uscire dal mercato prima che possa avvenire un aggiustamento dei prezzi da parte delle imprese già presenti in esso. Inoltre la strategia “mordi e fug-gi” può risultare meno efficace nel caso della esistenza sul mercato di prodotti differenziati rispetto al caso di prodotti omogenei41.

5.3. L’approccio dinamico dell’economia politica: la concorrenza nella teoria di J.

Schumpeter. – La teoria di J. Schumpeter si incentra sull’assunzione che le imprese non competono tra loro in base ai prezzi, ma alla loro capacità di innovazione42. L’imprenditore innovatore, attraverso l’attività innovativa che non si limita però all’innovazione di processo o di prodotto, ma abbraccia anche l’innovazione or-ganizzativa, l’allargamento dei mercati, l’acquisizione di nuove fonti di approv-vigionamento di materie prime e/o semilavorati, interrompe con una “distruzione creatrice” la routine ripetitiva dell’attività produttiva, godendo di una rendita mo-nopolistica dovuta al fatto che, proprio grazie all’innovazione, può produrre a costi inferiori a quelli dei rivali o può vendere nuovi prodotti. Questa posizione di monopolio non è però un “porto sicuro” né dura indefinitamente. I profitti derivanti dall’attività innovativa, salvo protezione legale da parte di un brevetto

——— 41 Cfr.F. GOBBO, Il mercato e la tutela della concorrenza, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 66. 42 Cfr. J. SCHUMPETER, Teoria dello sviluppo economico, Sansoni, Firenze, 1977.

Page 339: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 313

o la continuazione incessante dell’attività di ricerca e sviluppo da parte dell’im-presa “first comer”, possono essere erosi nel tempo dall’attività imitativa delle altre imprese, dall’entrata di nuovi concorrenti nel settore, dall’introduzione di nuove innovazioni che rimpiazzano le precedenti.

La concorrenza perfetta secondo Schumpeter non è mai esistita storica-mente, ma se anche fosse possibile la sua realizzazione, non sarebbe socialmen-te desiderabile, dato che l’attività innovativa non potrebbe trovare cittadinanza all’interno del suo paradigma. Infatti in regime di concorrenza perfetta la com-petizione si basa sul prezzo (e non sull’innovazione come accade invece nel mondo reale); inoltre in un mercato concorrenziale non si generano quelle risor-se finanziarie (rendite monopolistiche) che potrebbero, se investite in attività di ricerca e sviluppo, dare luogo all’attività innovativa. In sintesi la concorrenza perfetta non rappresenta per Schumpeter una forma di mercato efficiente in senso dinamico. Le implicazioni normative sono che una politica antimonopoli-stica che promuova a spada tratta il ripristino delle condizioni di concorrenza perfetta può rivelarsi dannosa in quanto ostacola l’attività innovativa delle im-prese ed il progresso tecnico.

A corollario di questa teoria della concorrenza, J. Schumpeter ipotizza un legame tra struttura del mercato ed attività innovativa, nel senso che individua una correlazione positiva tra potere di mercato ed attività innovativa e tra gran-de dimensione ed attività innovativa dell’impresa43.

Secondo Schumpeter le imprese che hanno un elevato potere di mercato sono quelle che innovano di più: esse dispongono infatti di elevate disponibilità finanziarie da investire in attività di ricerca e sviluppo44 e possono difendere meglio le loro innovazioni essendo in grado di erigere barriere (strategiche) all’entrata di altri concorrenti nel settore. Non tutte le forme di mercato, in cui l’impresa può esercitare un certo potere di mercato, sono però incitative dell’attività innovativa. Un monopolista (che operi in un mercato non contendi-bile) non ha infatti bisogno dell’innovazione per acquisire rendite di monopolio che già esistono, indipendentemente dall’introduzione di innovazioni (replacement effect). La sua propensione ad innovare è certamente meno elevata di quella di un’impresa costretta a vivere in un ambiente più competitivo, ovvero caratteriz-zato da un maggior grado di interazione strategica. ———

43 Cfr. J. SCHUMPETER, Capitalism, Socialism and Democracy, Harper & Row, New York, 1942 (rist. 1975). 44 L’attività di ricerca e sviluppo può così essere autofinanziata senza ricorrere al mercato dei capi-

tali, ove si andrebbe incontro a probabili fallimenti del mercato dovuti all’esistenza di incertezza e di asimmetrie informative.

Page 340: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 314

Quanto alla correlazione positiva tra grande dimensione e attività innovati-va sempre teorizzata da Schumpeter, le imprese di maggiori dimensioni sono più innovatrici perchè possono permettersi di istituire, all’interno della propria organizzazione, una funzione aziendale dedicata alla ricerca e sviluppo, pos-sono sfruttare delle economie di scala nel fare ricerca, possono far avanzare in parallelo differenti progetti di ricerca (diversificando così il rischio dell’attività innovativa). Tuttavia si può osservare che le grandi imprese burocratiche han-no elevati costi organizzativi che possono minare la loro efficienza, anche in campo innovativo; che anche le piccole e medie imprese, specialmente se ap-partenenti a “sistemi produttivi” e/o ad altri tipi di aggregazioni, sono in gra-do di innovare (più nel campo dell’innovazione incrementale che non radica-le); che sulla capacità innovativa delle aziende, di qualsiasi dimensione, può positivamente incidere il sostegno finanziario pubblico e/o l’intervento di nuovi tipi di infrastrutture (Parchi scientifici e tecnologici, Agenzie per il tra-sferimento delle tecnologie, etc.)45.

5.4. L’approccio dinamico dell’economia aziendale: la concorrenza nella teoria del ci-

clo tecnologico e la concorrenza nella teoria delle capacità dinamiche. – Entrambi gli ap-procci (teoria del ciclo tecnologico e teoria delle capacità dinamiche) sposano, come avviene in Schumpeter, una visione dinamica della concorrenza, incen-trata sull’innovazione, ma si differenziano dalla visione schumpeteriana per la presa in considerazione del ritmo, sempre più dinamico, dell’innovazione e per le caratteristiche dell’innovazione. Si tratta di un’innovazione immateriale, ovvero di un’innovazione eminentemente intesa come processo cognitivo, come sviluppo di nuova conoscenza; si tratta di un’innovazione che ha un ca-rattere preminentemente sociale in quanto richiede un passaggio tra persone di informazioni, di conoscenze codificate e di conoscenze tacite ed in quanto si fonda sull’apprendimento che è, per antonomasia, un processo sociale (tra individui all’interno ed all’esterno dell’impresa, tra imprese, tra imprese ed isti-tuzioni); si tratta di un’innovazione sistemica dato che un’innovazione fondata sulle dinamiche della conoscenza non è più riconducibile soltanto all’interno di una singola impresa, ma a reti di imprese o a reti instaurate da imprese con altri soggetti esterni che favoriscono l’apprendimento individuale e collettivo all’insegna della reciprocità. In sintesi l’innovazione nel quadro della nuova

——— 45 Cfr. C. MONTESI, L’innovazione ambientale di impresa: spunti di riflessioni teoriche e nuove politiche pubbli-

che (1997), in Il Pensiero Economico Moderno, anno XVII, n. 4, p. 318.

Page 341: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 315

economia della conoscenza ha dunque un carattere immateriale, sociale, si-stemico che la colloca in un orizzonte ancora più ampio della visione schum-peteriana che di per sé non si limita comunque all’innovazione di processo e di prodotto.

Questa visione di innovazione rinvia all’importanza delle dinamiche sociali, della fiducia e della reciprocità nelle relazioni tra individui, tra imprese, tra im-prese ed istituzioni per la produzione di nuova conoscenza46; all’importanza del-le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la produzione/gestione della conoscenza collegata al potenziamento delle possibilità di estrazione, tratta-mento, circolazione, utilizzazione delle informazioni47; all’esistenza di un mix di competizione/cooperazione tra imprese (la nuova conoscenza si produce, sot-toforma di apprendimento congiunto, in un clima di relazioni cooperative con altre imprese e con altri attori sociali, in compresenza con comportamenti con-correnziali).

5.4.1. L’approccio dinamico dell’economia aziendale: la concorrenza nella teoria del ciclo tecnologico. – La coesistenza di un mix di strategie di competizione/cooperazione è particolarmente evidente nella teoria del ciclo tecnologico48 che dimostra co-me le discontinuità tecnologiche non solo hanno conseguenze differenti da im-presa a impresa in merito alla loro sopravvivenza sul mercato, ma cambiano pu-re le regole dell’interazione tra le imprese nel senso che, alle tradizionali relazio-ni di concorrenza, si affiancano, in alcune particolari fasi del ciclo, rapporti di collaborazione.

Ogni settore industriale si evolve, secondo questa teoria, attraverso una successione di cicli tecnologici che possono suddividersi ciascuno in varie fasi che sono in sequenza: variazione (discontinuità tecnologica)→era del fermento→selezione del disegno dominante→ritenzione del disegno dominante selezionato49 (fig. 2).

——— 46 Cfr. P. GRASSELLI, Riflessioni, cit., pp. 106-113. 47 Per l’importanza delle ICT nell’apprendimento collettivo nelle imprese profit e non profit cfr.

P. GRASSELLI, C. MONTESI, V. CAPPONI, S. D’ALLESTRO, S. MENEGON, La Net Economy delle cooperative sociali della provincia di Perugia, Regione Umbria, Collana Umbria Sociale, Perugia, 2005.

48 Cfr. M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, Technological Discontinuities and Organizational Environments in Administrative Science Quarterly, n. 31, 1986, pp. 439-465.

49 Cfr. M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, C. O’REILLY, Technological Cycles, Innovation Streams and Ambidextrous Organizations: Organizational Renewal Through Innovation Streams and Strategic Change, in M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, Managing Strategic Innovation and Change, Oxford University Press, 1997.

Page 342: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 316

Figura 2. Ciclo tecnologico e correnti di innovazione*

Variazione Sostituzione tecnologica (3)

Selezione Disegno dominante (3)

Variazione

Sostituzione tecnologica (2)

Selezione Disegno dominante (2)

Discontinuità tecnologica Variazione

Selezione Disegno dominante (1)

Ogni ciclo comincia con una discontinuità tecnologica, originata da cambiamen-

ti scientifici o dall’introduzione sul mercato di combinazioni uniche di tecnolo-gie esistenti. Grazie ad essa compaiono sul mercato prodotti o processi nuovi che hanno, rispetto a quelli basati sulla vecchia tecnologia, vantaggi significativi in termini di costo, qualità o prestazioni.

Inizia così l’era del fermento, ovvero un periodo di forte instabilità dovuto da un lato alla lotta tra tutte le nuove soluzioni scaturite dalla comparsa della nuova tecnologia e dall’altro dalla lotta tra le soluzioni vecchie e quelle nuove. È una fase questa incerta, confusa, costosa per i concorrenti già presenti nel settore (che tentano di migliorare la tecnologia pre-esistente per combattere i nuovi en-tranti), per i nuovi entranti apportatori della nuova tecnologia (che spesso si combattono tra di loro contrapponendo “disegni rivali”), per gli acquirenti che

——— * Fonte: Tushman, Anderson, O’Reilly (1997).

Era del fermento (1)Era del cambiamentoincrementale (1)

Era del cambiamentoincrementale (2)

Era del fermento (2)

Page 343: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 317

hanno informazioni scarse sulle potenzialità o sugli aspetti critici della nuova tecnologia, per le agenzie di regolazione. L’era del fermento, che è tanto più lunga quanto più radicale è la discontinuità innovativa verificatasi, è dunque contraddistinta dalla competizione tra imprese per l’affermazione del “disegno dominante”. Si approda alla fine, durante la fase della selezione del disegno dominante, ad una soluzione tecnologica “architetturale” che costituisce finalmente il punto di riferimento stabile per una classe di prodotto o di processo e che, in generale, non corrisponde né alla prima versione della nuova tecnologia né alla sua ultima frontiera emerse entrambe durante l’era del fermento. La soluzione tecnica pre-scelta viene concertata principalmente all’interno della comunità delle imprese, anche se non unicamente tra le aziende. Il disegno dominante è il frutto da un lato del potere di mercato dei produttori, dall’altro delle strategie di cooperazio-ne tra le imprese interessate allo sviluppo di un determinato standard industriale e delle strategie di collaborazione tra le imprese ed altri soggetti (altre aziende di settori collaterali, soggetti pubblici, rappresentanze dei consumatori, enti norma-tivi, comitati scientifici). La determinazione del disegno dominante è importante perché con essa si riduce l’incertezza tecnologica e di mercato, vengono stimola-ti gli investimenti in prodotti complementari e/o ricercate traiettorie tecnologi-che migliorative, che culminano nell’era della ritenzione, così denominata perché una volta che un disegno dominante è stato assunto come standard di un setto-re, diventa molto difficile sradicarlo. È questo il periodo in cui avviene il miglio-ramento incrementale del disegno dominante fino alla comparsa di una nuova discontinuità tecnologica. Nel caso dei prodotti il miglioramento incrementale può tradursi nel miglioramento del design, dell’affidabilità, dell’assistenza e di altri servizi correlati; nella differenziazione; nello sviluppo, sulla stessa piatta-forma tecnologica, di beni complementari (come gli accessori del prodotto). Nel caso di prodotti-sistema il miglioramento può prendere la forma della standar-dizzazione delle parti e/o del miglioramento delle sinergie tra le diverse indu-strie.

Le variazioni tecnologiche non cambiano, come appena illustrato, soltanto le regole del gioco concorrenziale con la presenza, lungo tutto il ciclo tecnologi-co, di un mix di concorrenza/cooperazione tra imprese, ma selezionano le a-ziende del settore a seconda che le discontinuità rafforzino o distruggano le competenze presenti in esse.

Nel caso di variazioni tecnologiche incrementali sono le “imprese veterane”, ovvero già da molto tempo presenti nel settore, ad essere di norma avvantaggia-te. Nel caso delle variazioni tecnologiche radicali ad essere favorite sono invece

Page 344: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 318

le nuove entranti, dato che le imprese veterane possono avere grandi difficoltà ad acquisire nuove competenze in linea con la nuova tecnologia a causa delle performance attesa degli investimenti in ricerca e sviluppo che tendono a ricon-fermare la vecchia tecnologia per la sua maggiore affidabilità, della path dependency della struttura organizzativa sulla vecchia tecnologia (rigidità politiche esistenti tra divisioni aziendali, assenza in azienda di “communities of practices” eterogenee che, in modo autonomo, indipendente ed eterodosso, possano creare nuova co-noscenza), dei “costi affondati” già sostenuti, della focalizzazione sui bisogni dei clienti attuali piuttosto che sulle necessità di target emergenti di nuovi consuma-tori causata dalla persistente presenza di feedback esterni positivi, delle rigidità cognitive dei managers. Tuttavia, in questo secondo caso, le imprese veterane possono resistere all’impatto della discontinuità tecnologica perché spesso sono proprio loro che guidano la fase della selezione del disegno dominante che ne-cessita di una lunga esperienza di mercato (per imporre uno standard occorre infatti sapere bene ciò di cui il mercato ha bisogno). Inoltre le imprese veterane possono godere di relazioni strategiche, sia a monte che a valle della fase della produzione, che possono rivelarsi determinanti sempre per la selezione del dise-gno dominante (si pensi, nel caso dell’industria farmaceutica, all’importanza per le imprese di rapporti consolidati con il Ministero della Sanità che è l’Autorità regolatrice). Infine le imprese veterane produttrici di prodotti-sistema (orologi) o prodotti-sistema aperti (telefoni cellulari) possono comunque resistere all’onda d’urto di una discontinuità tecnologica perché la variazione può interessare sol-tanto un sub-sistema del loro sistema-prodotto50.

5.4.2. L’approccio dinamico dell’economia aziendale: la concorrenza nella teoria delle capacità dinamiche. – Questa teoria rappresenta la versione dinamica della Resource-Based View. Secondo tale approccio il vantaggio competitivo di un’impresa risie-de non solo nella specificità delle sue risorse/competenze che risultano scarse ed eterogenee in relazione ai concorrenti, ma anche nella capacità di riconfigurarle rispetto a rapidi cambiamenti (discontinuità tecnologiche e/o nuove richieste pro-venienti dal mercato)51. La capacità di rinnovare le competenze aziendali (dyna-mic capability) è funzione dell’apprendimento degli individui e dell’organizzazione. A se-guito dell’apprendimento vengono istituite nuove connessioni tra le risorse a-———

50 Cfr. F. GOLFETTO, op. cit., p. 159. 51 Cfr. D.J. TEECE, G. PISANO, The Dynamic Capabilities of Firms: an Introduction in Industrial and Cor-

porate Change, 1994, pp. 537-556; D.J. TEECE, G. PISANO, A. SHUEN, Firm Capabilities, Resources and the Concept of Strategy, Berkeley, University of California, 1997a; D.J. TEECE, G. PISANO, A. SHUEN, Dynamic Capabilities and Strategic Management in Strategic Management Journal, vol. 18:7, 1997b, pp. 509-533.

Page 345: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 319

ziendali (ovvero vengono create nuove competenze) che poi vengono trasfor-mate in nuove routine.

L’apprendimento va però inteso più come un processo di acquisizione di nuo-ve conoscenze che non come il perfezionamento della conoscenza già accumulata in azienda. In questo senso si configura come un’opportunità per poter effettua-re meccanismi di distacco dalla path dependency (ovvero come un’occasione per poter realizzare spostamenti dalla traiettoria imposta dalla sedimentazione delle risorse/competenze che vincola lo sviluppo evolutivo dell’impresa a percorsi migliorativi di natura meramente incrementale o comunque compatibili soltanto con il sentiero tracciato). Tuttavia l’apprendimento ha forti caratteri di contestuali-tà, dato che non può comunque prescindere dall’ambito in cui si sviluppa.

L’apprendimento ha anche un carattere multidimensionale: la produzione di nuova conoscenza si realizza infatti attraverso molteplici modalità. L’apprendi-mento può essere interno o esterno all’azienda (a seconda che la produzione di nuova conoscenza avvenga internamente all’impresa o provenga da fonti ester-ne all’impresa), anche se c’è comunque forte interazione tra le due modalità (una forte capacità di apprendimento interno funge da base per l’assorbimento di co-noscenze esterne che, a loro volta, migliorano la capacità di apprendimento in-terno).

L’apprendimento esterno all’azienda può scaturire dall’interazione dell’im-presa con vari soggetti (relazioni con fornitori, subfornitori, clienti) (learn by inte-racting); dall’imitazione delle innovazioni dei concorrenti; dal progresso scientifi-co (mediante lo sfruttamento commerciale da parte dell’impresa delle conoscen-ze che si sviluppano nel mondo scientifico).

L’apprendimento interno può procedere per esperienza (learn by doing)52, con l’utilizzo (learn by using)53, oppure tramite la funzione aziendale della ricerca e sviluppo o della progettazione (learn by searching).

L’apprendimento all’interno dell’impresa può avvenire a livello individuale o collettivo. Le due modalità si accavallano nella spirale della conoscenza elaborata da Nonaka (1994)54. In questo processo, mediante le relazioni sociali che il sogget-to intrattiene con un gruppo di riferimento, avviene la trasformazione della co-———

52 È l’apprendimento collegato al processo produttivo che genera innovazioni incrementali nei processi e nei prodotti.

53 È l’apprendimento correlato all’adattamento dell’impresa all’utilizzo di nuove tecnologie incor-porate in macchinari, componenti, semilavorati che comporta un uso più efficiente delle attrezzature e dei materiali.

54 Cfr. I. NONAKA, A Dynamic Theory of Organizational Knowledege Creation, in Organization Science, vol. 5, 1994, pp. 14-36.

Page 346: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 320

noscenza individuale, che è prevalentemente tacita (ovvero fondata sull’espe-rienza e sul saper fare), in conoscenza esplicita (ovvero codificata) che dal gruppo si trasferisce all’intera organizzazione o a livello inter-organizzativo, per poi es-sere introiettata nuovamente dal singolo. La spirale rappresenta un circolo vir-tuoso perché attraverso di essa la conoscenza complessiva dell’organizzazione si incrementa nel tempo di ciclo in ciclo.

La spirale si articola in varie fasi: socializzazione→esternalizzazione→ combinazio-ne→internalizzazione.

Con il processo di socializzazione si passa da una conoscenza tacita ad un’altra conoscenza tacita attraverso la condivisione di esperienze ed abilità tec-niche tra due o più individui appartenenti all’organizzazione55. Durante la fase della esternalizzazione la conoscenza tacita diventa esplicita prendendo, attraverso l’utilizzo del linguaggio più consono alle sue caratteristiche (matematico, etc.), la forma di un modello codificato, che poi viene racchiuso in manuali o documenti aziendali. Durante la fase della combinazione si ha il passaggio da una conoscenza esplicita ad un’altra conoscenza esplicita: la nuova conoscenza codificata viene infatti integrata alla vecchia generando uno schema formale più ampio di quello precedentemente in vigore. Infine nell’ultima fase, quella della interiorizzazione, la conoscenza codificata di nuova generazione viene recepita dall’individuo che arricchisce così la sua conoscenza tacita, dalla quale la spirale della conoscenza si riavvia nuovamente. Alla base del funzionamento della spirale della conoscenza è però necessario un nuovo design organizzativo, ovvero la presenza di strutture, come ad esempio i team di progetto, indipendenti dalle gerarchie organizzative formali, in cui possa avvenire la socializzazione e la esternalizzazione della co-noscenza (a cura quest’ ultima soprattutto del management intermedio, mentre ai livelli gerarchici superiori possono essere attribuiti tutti i compiti relativi alla fase della combinazione della conoscenza), ma anche un clima ed una cultura organizzativa volte alla promozione e valorizzazione della persona ed al rispetto della sua dignità56.

——— 55 Questo avviene ad esempio nei circoli della qualità del Total Qualità Management e/o nei team

interfunzionali di sviluppo del prodotto. 56 Cfr. P. GRASSELLI, Riflessioni, cit., pp. 126-127; ed anche P. GRASSELLI, Per una lettura dello svilup-

po economico nella prospettiva della persona, relazione presentata al convegno Economia e persona, Perugia, 10 marzo 2006.

Page 347: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 321

6. — Conclusioni. Questo saggio ha esaminato, in chiave interdisciplinare, l’evoluzione di di-

versi approcci teorici alla concorrenza, con i loro tratti distintivi e criticità e relative implicazioni in termini di politiche anti-trust, nel passaggio da una prospettiva statica (comune all’approccio strutturalista, all’approccio delle ri-sorse, all’approccio comportamentale) ad una prospettiva dinamica (approccio dinamico).

A questa evoluzione di approcci si può far corrispondere anche una diffe-renziazione/evoluzione del concetto di impresa a partire dall’ambito di ciascuna disciplina presa a riferimento (economia politica, economia industriale, econo-mia aziendale).

Nell’ambito dell’economia aziendale si può allora riscontrare che alla teoria strutturalista dell’analisi dell’ambiente competitivo si conforma una nozione di impresa intesa come “elaboratrice di informazioni”, alla teoria dei gruppi cognitivi un’impresa come “mappa cognitiva”, alla teoria delle risorse un’impresa come “combinazione irripetibile di risorse/competenze”, alla teoria del ciclo tecnologico un’impresa come “trattante l’innovazione”, alla teoria delle capacità dinamiche un’impresa come “sistema cognitivo”.

Nell’ambito dell’economia politica alla teoria della concorrenza degli econo-misti classici (ad esclusione di Marx che ha una visione più sociale dell’azien-da capitalistica) è sottesa una nozione di impresa come “combinazione mobile di capitale e lavoro” che si avvale della libertà di entrata e di uscita dai vari settori produttivi, alla teoria della concorrenza degli economisti neoclassici un’impresa come mero “coor-dinamento dei fattori produttivi” (ovvero come funzione di produzione tecnica in cui rientra, tra i vari input, anche il fattore organizzativo) o come “insieme di contratti” (stipulati tra il titolare dell’impresa, cui spetta la funzione di coordinamento, ed i proprietari degli input produttivi utilizzati), alla teoria oligopolistica un’impresa come “soggetto in interazione strategica non cooperativa con altre imprese”, alla teoria della concorrenza di J. Schumpeter un’impresa come “agente dell’innovazione”.

Nell’ambito dell’economia industriale allo schema concorrenziale S→C→P si confà una nozione di impresa come “prodotto della struttura del mercato”, alla Scuola di Chicago un’impresa come “funzione di produzione che sfrutta le economie di scala”, alla Nuova Economia Industriale dello schema P→S un’impresa come “soggetto relazionale in interazione strategica cooperativa con altre imprese”, alla teoria dei mercati contendibili un’impresa come “organizzazione errante” che sfrutta la con-tendibilità dei mercati.

Page 348: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 322

A questa pluralità di nozioni di impresa si ricollega anche una molteplicità di visioni della concorrenza che non è solo quella legata al perseguimento del-l’efficienza statica (produrre il giusto ammontare al minimo costo), ma anche quella associata al raggiungimento della efficienza dinamica (migliorare i proces-si produttivi e i prodotti attraverso l’attività innovativa).

E se si allarga il concetto di efficienza in modo tale da contemplare anche la dimensione dinamica, si appura che le forme di mercato compatibili con l’efficienza possono essere diverse: la concorrenza perfetta è quel regime di mercato che garantisce soltanto l’efficienza statica, ma non quella dinamica.

Inoltre l’efficienza statica, se intesa come efficienza tecnica (a prescindere da quella allocativa), è compatibile anche con forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta.

Infine si può concepire la concorrenza anche come processo, il che signifi-ca prestare maggiore attenzione, nel giudizio sul grado di concorrenzialità di un mercato, ai suoi meccanismi di funzionamento piuttosto che alla sua struttura.

Questa complessità si riflette naturalmente in una maggiore difficoltà di va-lutazione delle situazioni reali da parte delle Autorità anti-trust per l’adozione di azioni correttive, che devono comunque articolarsi, per tenere conto di tutta la varietà dei diversi approcci alla concorrenza (strutturalista, comportamentale, dinamico, delle risorse), in una vasta gamma di interventi (sulla struttura, sulla condotta delle imprese, sulla contendibilità dei mercati).

Bibliografia

AA.VV., Economia dell’innovazione a cura di F. Malerba, Carocci, 2000.

J. BAIN, Relation of Profit Rate to Industry Concentration: American Manufacturing 1936-1940, in Quarterly Journal of Economics, n. 65, 1951, p. 293 ss.

J.B. BARNEY, Organizational Culture: can it be a source of competitive advantage in Academy of Management Review, vol. 11, 1986.

J.B. BARNEY, Strategic Factor Markets: Expectations, Luck and Business Strategy, in Manage-ment Science, n. 32, pp. 1232-1241, 1986.

W. BAUMOL, J. PANZAR, R. WILLIG, Contestable Markets and The Theory of Industry Struc-ture, Harcourt, Brace, Jovanovich, New York, 1982.

C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, Carocci, Roma, 1998. R. BORK, The Antitrust Paradox, Basic Book, New York, 1978.

Page 349: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 323

L.M.B. CABRAL, Introduction to Industrial Organization, The Mit Press, Cambridge, Massa-chusetts, 2000.

J.M. CLARK, Toward a Concept of Workable Competition, in American Economic Review, 30, n. 2, 1940, pp. 241-256.

R. COASE, The Nature of the Firm in Economica, n. 4, 1937, pp. 386-405.

H. DEMSETZ, Economics as a Guide to Antitrust Regulation, in Journal of Law and Economics, n. 19, 1976, p. 371 ss.

I. DIERICKX, K. COOL, Asset Stock Accumulation and Sustainability of Competitive Advantage, in Management Science, n. 35, 1989.

G. GAVETTI, Le strategie dell’impresa innovativa, in AA.VV., Economia dell’innovazione, a cura di F. Malerba, Carocci, 2000, pp. 207-228.

F. GOBBO, Il mercato e la tutela della concorrenza, Il Mulino, Bologna, 1997. F. GOLFETTO, Impresa e concorrenza nella nuova economia, Egea, 2000. R.M. GRANT, L’analisi strategica nella gestione aziendale, Il Mulino, Bologna, 1991. P. GRASSELLI, Distretti: contesto teorico di riferimento, relazione presentata al convegno Il

credito secondo Basilea 2: a confronto con le imprese organizzate distrettualmente o a filiera, Pe-rugia, 16 gennaio 2004.

P. GRASSELLI, C. MONTESI, Dall’individualismo dell’ “homo oeconomicus” alla razionalità rela-zionale della differenza di genere, in Obiettivo Impresa, periodico della Camera di Com-mercio di Perugia, n. 2, 2004, pp. 31-41.

P. GRASSELLI, Riflessioni sul collegamento tra etica ed economia, Morlacchi Editore, Perugia, 2a ed., 2005.

P. GRASSELLI, C. MONTESI, V. CAPPONI, S. D’ALLESTRO, S. MENEGON, La Net Eco-nomy delle cooperative sociali della provincia di Perugia, Regione Umbria, Collana Umbria Sociale, Perugia, 2005.

P. GRASSELLI, Per una lettura dello sviluppo economico nella prospettiva della persona, relazione presentata al convegno Economia e persona, Perugia, 10 marzo 2006.

M. GRILLO, F. SILVA, Impresa concorrenza e organizzazione, Nis, Roma, 1991.

W.S. JEVONS, Teoria dell’economia politica ed altri scritti economici, Utet, Torino, 1959.

S. LIPPMAN, R. RUMELT, Uncertain Imitability: an Analysis of Interfirm Differences in Efficiency Ender Competition, in Bell Journal of Economics, 1982, pp. 418-438.

E. MASON, Price and Production Policies of large-scale Entreprise in American Economic Review, n. 29, 1939, p. 61 ss.

C. MONTESI, L’innovazione ambientale di impresa: spunti di riflessioni teoriche e nuove politiche pubbliche (1997), in Il Pensiero Economico Moderno, anno XVII, n. 4, pp. 309-326.

I. MUSU, Il valore della concorrenza nella teoria economica, in La concorrenza tra economia e diritto a cura di N. Lipari e I. Musu, Cariplo-Laterza, 2000, pp. 5-26.

I. NONAKA, A Dynamic Theory of Organizational Knowledege Creation in Organization Science, vol. 5, 1994, pp. 14-36.

Page 350: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 324

V. PARETO, Principi di economia politica pura, V. Girard & E. Biere, Paris, 1909. E. PENROSE, The Theory of the Growth of the Firm, Oxford, Basil Blackwell, 1959. M.A. PETERAF, The Cornerstone of Competitive Advantage: a Resource-Based View in Strategic

Management Journal, vol. 14, 1993. J.F. PORAC, H. THOMAS, C. BADEN-FULLER, Competitive Groups as Cognitives Communi-

ties: The Case of Scottish Knitwear Manufacturers in Journal of Management Studies, n. 26, 1989, pp. 397-414.

M. PORTER, Competitive Strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competitors, The Free Press, New York, 1980.

M. PORTER, The Contribution of Industrial Organization to Strategic Management, in Academy of Management Review, n. 6, 1981, pp. 609-620.

M. PORTER, Il vantaggio competitivo, Edizioni di Comunità, 1987. R. POSNER, Theories of Economic Regulation in Bell Journal of Economics, n. 5, 1974, p. 335 ss. R. POSNER, The Social Cost of Monopoly and Regulation in Journal of Political Economy, n. 83,

1975, p. 807 ss. R. POSNER, Antitrust Law: an Economic Perspective, University Chicago Press, Chicago,

1976. R. POSNER, The Chicago School of Antitrust Analysis in University of Pennsylvania Law Review,

n. 127, 1979, p. 925 ss. C.K. PRAHALAD, G. HAMEL, The Core Competence of the Corporation in Harvard Business

Review, n. 68, 1990, pp. 79-91.

R.P. RUMELT, Towards a Strategic Theory of the Firm, in R. LAMB, Competitive Strategic Man-agement, Englewood Cliff, Prentice-Hall, 1984.

R.P. RUMELT, Theory, Strategy and Entrepreneurship, in D.J. TEECE, The Competitive Chal-lenge, Ballinger, Cambridge, 1987.

A. SEN, On Ethics and Economics, Blackwell Oxford, 1999. C. SHAPIRO, The Theory of Business Strategy, in Rand Journal of Economics, n. 20, 1989, pp.

125-137. J. SCHUMPETER, Teoria dello sviluppo economico, Sansoni, Firenze, 1977. J. SCHUMPETER, Capitalism, Socialism and Democracy, Harper&Row, New York, 1942

(rist. 1975). G. STIGLER, The Economic Effects of the Antitrust Laws in Journal of Law and Economics, n.9,

1966, pp.225 ss. P. SYLOS LABINI, Oligopolio e progresso tecnico, Einaudi, 1972.

M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, Technological Discontinuities and Organizational Environ-ments, in Administrative Science Quarterly, n. 31, 1986, pp. 439-465.

M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, C. O’REILLY, Technological Cycles, Innovation Streams and Ambidextrous Organizations: Organizational Renewal Through Innovation Streams and Strate-gic Change, in M.L. TUSHMAN, P. ANDERSON, Managing Strategic Innovation and Change, Oxford University Press, 1997.

Page 351: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONCORRENZA 325

D.J. TEECE, G. PISANO, The Dynamic Capabilities of Firms: an Introduction in Industrial and Corporate Change, 1994, pp. 537-556.

D.J. TEECE, G. PISANO, A. SHUEN, Firm Capabilities, Resources and the Concept of Strategy, Berkeley, University of California, 1997a.

D.J. TEECE, G. PISANO, A. SHUEN, Dynamic Capabilities and Strategic Management in Stra-tegic Management Journal, vol. 18:7, 1997b, pp. 509-533.

K.E. WEICK, The Social Psychology of Organizing, Addison-Wesley, Reading, 1979. O. WILLIAMSON, Markets and Hierarchies: Analysis and Antitrust Implications, Macmillan,

New York, 1975.

S. ZAMAGNI, Paradossi Sociali della crescita ed economia civile, in Schumpeter Lecture, a cura di V. Orati, Agnesotti, Viterbo, 1997, pp. 27-29.

Page 352: Diritto privato del mercato
Page 353: Diritto privato del mercato

CAPITOLO SECONDO

LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO

SOMMARIO: 1. Oggetto del diritto privato dell’economia: il mercato e la libertà di concor-renza. — 2. Origini ed evoluzione del diritto della concorrenza in Italia. — 3. La clausola generale della correttezza professionale. — 4. La correttezza professionale come regola deontologica della categoria imprenditoriale. — 5. La correttezza professionale come principio normativo coerente al sistema economico e l’art. 41 Cost. — 6. Il quadro dei principi normativi espressivi della correttezza professionale come attuazione del valore costituzionale dell’utilità sociale. — 7. Le fattispecie legalmente tipiche di concorrenza sleale: a) gli atti di confusione. — 8. Segue: b) denigrazione e appropriazione di pregi. — 9. Le fattispecie di origine giurisprudenziale ex art. 2598 n. 3 c.c.: abuso di segreti e spio-naggio industriale. — 10. Segue: violazione di esclusiva. — 11. Segue: concorrenza paras-sitaria. — Segue: pubblicità menzognera. — 13. Segue: storno di dipendenti. — 14. Se-gue: violazione di norme pubblicistiche. — 15. Le sanzioni.

1. — Oggetto del diritto privato dell’economia: il mercato e la libertà di concorrenza. L’esigenza di una regolamentazione giuridica delle attività economiche,

vieppiù avvertita a livello sociale a seguito dei repentini mutamenti del sistema produttivo industriale verificatisi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Nove-cento1, è all’origine di tutte le legislazioni moderne volte a tutelare il bene “con-

——— 1 La dinamica dimensionale delle imprese mostra come storicamente, ancor prima che le grandi

società per azioni emergessero negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo, in Europa l’occupazione si sia concentrata essenzialmente nelle piccole e medie imprese: cfr. R. GIANNETTI, M. VASTA, Storia dell'im-presa industriale italiana, Bologna, 2005, p. 107 ss. Vero è, tuttavia, che l’organizzazione economica e giu-ridica della produzione e dello scambio tipica del sistema capitalistico è quella della società per azioni. Infatti, come ha ampiamente dimostrato F. GALGANO, Le istituzioni dell’economia capitalistica, Società per azioni, Stato e classi sociali, 2a ed., Bologna, 1980, p. 77 ss., mentre i tipi di impresa operanti nel tardo me-dioevo, quali la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice, furono “creazione di-retta della nascente classe capitalistica, prodotto degli statuti delle corporazioni dei mercanti, delle con-suetudini mercantili, della giurisprudenza della curia dei mercanti” (sicché i codici moderni si sono li-mitati ad un’opera di semplice recezione formale di essi), la società per azioni – ove compaiono per la prima volta i caratteri della limitazione della responsabilità dei soci e la divisione del capitale sociale in azioni – è un’istituzione dello Stato moderno, e trova la sua origine nella “vicenda, non marginale, dei rapporti che la classe capitalistica del diciassettesimo e del diciottesimo secolo stabilisce con lo Stato” (v. la storia delle Compagnie delle Indie). Cfr. amplius, F. GALGANO, Lex mercatoria, 4a ed., Bologna, 2001, p. 141 ss. La c.d. rivoluzione industriale è però un fenomeno che ha le sue origini nell’Inghilterra

Page 354: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 328

correnza”, che esprime un interesse o valore di rango costituzionale, fondamen-tale per il benessere della collettività2.

Il termine concorrenza designa, infatti, un sistema economico ove operano, allo stesso livello o a livelli diversi del ciclo produttivo, una pluralità di imprese che immettono nel mercato beni o servizi sostituibili tra loro, atti cioè a soddi-sfare bisogni identici o analoghi.

La concorrenza è, quindi, la proiezione pluralistica della libertà di impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione italiana, secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera” (1° comma)3.

La tutela della (libertà di) concorrenza, in questa prospettiva, significa in-nanzitutto difesa di un regime economico tipico degli Stati democratici, l’econo-mia di mercato.

Nonostante la difficoltà di enucleare una definizione univoca della materia, può dirsi che il diritto privato dell’economia in senso stretto è quella parte del di-ritto privato che disciplina i rapporti tra imprenditori al fine di salvaguardare l’effi-cienza del sistema economico di mercato nel suo complesso, ovverosia la libertà di concorrenza.

Il concetto di mercato, in una prima accezione, per così dire, naturalistica, evoca il luogo ideale in cui l’allocazione delle risorse (scarse), che soddisfano i molteplici bisogni dei componenti di una collettività, avviene attraverso il libero

——— della secondà metà del XVIII secolo: v. il classico saggio di T.S. ASHTON, La rivoluzione industriale. 1760-1830, Roma-Bari, 2006 (rist.; l’edizione originale è del 1948).

Sul tema, per letture di approfondimento, si suggeriscono: A.D. jr. CHANDLER, Scale and scope. The dynamics of industrial capitalism, Cambridge, 1990 (trad. it. Dimensione e diversificazione. Le dinamiche del capita-lismo industriale, Bologna, 1994); R. ROMANO, M. SORESINA, “Homo faber”. Economia, industria e società dal medioevo alla globalizzazione, Milano, 2003; V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economi-ca dell’ltalia. 1861- 1990, Bologna, 1993; V. CASTRONOVO, L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Milano, 1990; ID., Storia economica d’Italia. Dall’Ottocento ai giorni nostri, Torino, 1995; G. SAPELLI, Storia economica dell’Italia contemporanea, Milano, 1997; P.A. TONINELLI (a cura di), Lo sviluppo economico moderno dalla rivo-luzione industriale alla crisi energetica (1750-1973), Venezia, 1997; F. AMATORI, A. COLLI, Impresa e industria in Italia dall’Unità a oggi, Venezia, 1999.

Una delle analisi più accurate della storia italiana dell’industria è quella di L. SEGRETO, Storia d’Italia e storia dell’industria, in AA.VV., Storia d’Italia, a cura di R. Romano e C. Vivanti, vol. XXI, L’in-dustria. I problemi dello sviluppo economico, Torino, 1999 (rist. 2005), pp. 7-83.

2 V., da ultimo, M. LIBERTINI, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2005, I, p. 1429 ss.

3 Cfr. F. GALGANO, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna, 1982, sub art. 41, p. 11: “La libertà di iniziativa economica del singolo si presenta, in rapporto all’iniziativa eco-nomica degli altri, come libertà di concorrenza.” V. anche G. MINERVINI, Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile diretto da G. Grosso e F. Santoro-Passarelli, Milano, 1965, p. 7: “La libertà di iniziativa economica privata, data la possibile pluralità dei soggetti esercenti, si traduce in una libertà di concorrenza”.

Page 355: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 329

scambio dei beni, posto in essere tra i soggetti che, in varia misura, detengono la ricchezza4.

Questa raffigurazione del mercato ha sovente informato l’opinione di chi si accosta al tema in esame senza il tipico bagaglio concettuale del giurista.

Quando si parla di economia di mercato si allude, infatti, nella comune ac-cezione di stampo neoclassico, ad un sistema economico in virtù del quale la de-terminazione del prezzo di un bene o di un servizio è frutto dell’incontro spon-taneo tra la domanda e l’offerta di essi.

In buona sostanza, si tratta di un sistema in cui la famosa “mano invisibi-le”, secondo i dettami di una teoria che la communis opinio attribuisce al professo-re di filosofia morale Adam Smith (1723-1790), guida l’agire egoistico dei singoli consociati, in modo inconsapevole, verso il benessere della società nel suo com-plesso5. Tuttavia, è forse più esatto ritenere, come le indagini più accurate han-———

4 Sull’argomento, un’approfondita analisi in chiave storica è svolta da M. LIBERTINI, Il mercato: i modelli di organizzazione, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. Galga-no, vol. III, L’azienda ed il mercato, Padova, 1979, p. 337 ss.

5 A. SMITH, The Theory of Moral Sentiments, London, 1759, pp. 248-249 (trad. it. Teoria dei sentimenti morali, Milano, 1995), secondo cui i ricchi, attraverso il consumo di beni di lusso, sono in grado di promuovere l’occupazione. Infatti, tali soggetti, “malgrado il loro egoismo e la loro ingordigia naturale, […] da una mano invisibile sono guidati a fare quasi la stessa distribuzione dei beni necessari alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali fra tutti i suoi abitanti; e così, senza volerlo e senza saperlo, promuovono gli interessi della società”.

Lo stesso Smith, nel suo An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, London, 1776 (trad. it. La ricchezza delle nazioni, Roma, 1995), p. 39, sostiene che l’imprenditore, investendo all’interno del proprio Paese, anziché all’estero, per motivi di sicurezza, favorisce inconsapevolmente l’economia nazionale: “egli mira al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni”.

Gli intendimenti di Adam Smith sono stati, tuttavia, fraintesi, come ha efficacemente dimostrato A. RONCAGLIA, Il mito della mano invisibile, Roma-Bari, 2005, pp. 19 ss., 65 ss. Secondo Roncaglia (ivi, p. 22 ss.), infatti, il “mito” della “mano invisibile” nasce essenzialmente da una rilettura in chiave “attua-lizzante” degli scritti di Smith operata dall’economista neoclassico G.J. STIGLER, The Division of Labor is Limited by the Extent of the Market, in Journal of Political Economy, LIX, 1951, pp. 185-193, il quale suppor-ta un “concetto di mercato come meccanismo autoregolatore, che – secondo il teorema di Pareto – in condizioni di concorrenza perfetta assicura automaticamente il conseguimento di situazioni ottimali, tali che nessuno può migliorare la propria posizione senza che contemporaneamente peggiori la posi-zione di qualcun altro”.

La verità è che, nella visione di Smith, “il mercato non è il semplice insieme di atti di scambio: è un vero e proprio sistema istituzionale, ossia un sistema molto complesso di norme, consuetudini e costumi sociali che indirizzano il comportamento degli individui. Smith stesso sottolinea questo fatto: il mercato richiede per il suo buon funzionamento non solo che si trovi facilmente una controparte disposta ad acquistare o a vendere quanto offro o domando, ma anche che si possa avere fiducia nel rispetto dei contratti e nel rispetto di un codice di condotta civile raramente specificato per iscritto e nei dettagli. Debbo poter contare, cioè, sul fatto che il cibo che acquisto non sia adulterato dal com-merciante alla ricerca di un guadagno extra, che il professore dedichi abbastanza tempo a preparare le sue lezioni e il medico valuti diagnosi e cura con sufficiente attenzione e competenza. L’elemento della

Page 356: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 330

no messo in luce, che il vero “padre” della teoria della “mano invisibile” sia Léon Walras (1834-1910), il quale, nei suoi Elementi di economia politica pura (1874), formulò per primo la teoria secondo cui esiste un unico equilibrio eco-nomico generale guidato da leggi scientifiche, aprendo la strada alla successiva elaborazione degli strumenti matematici per l’analisi economica. “Mano invisibi-le”, dunque, come sinonimo di automatismo delle leggi del mercato, che condu-cono alla individuazione di prezzi in grado di uguagliare domanda e offerta dei prodotti e dei fattori produttivi6.

In questa prospettiva di stampo prettamente liberista, che presuppone la piena adesione al modello concorrenziale (c.d. mercato concorrenziale), effi-cienza allocativa vuol dire innanzitutto che alla perdita di benessere per qualcu-no corrisponde un guadagno per qualcun altro nel sistema, prescindendo da o-gni considerazione circa l’equità della distribuzione dei beni7.

——— fiducia è ancor più importante nei contratti a soluzione differita, dominanti nel campo finanziario” (A. RONCAGLIA, op. cit., pp. 65-66).

Le considerazioni di Roncaglia, peraltro, erano già state anticipate, sebbene in un diverso contesto, dall’interessante saggio di L. BRUNI, S. ZAMAGNI, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Bolo-gna, 2004, p. 91 ss., per i quali l’antropologia di Smith, la sua visione dell’essere umano, rivela come il mercato sia una delle espressioni principali della società civile, come emerge già dall’incipit della sua Teo-ria dei sentimenti morali: “Per quanto l’uomo possa essere considerato egoista nella sua natura, ci sono chiaramente alcuni principi che lo fanno interessare alla sorte degli altri, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità”.

Sull’argomento, suggeriamo le letture di E. ROTHSCHILD, Sentimenti economici. Smith, Condorcet e l’Illumionismo, Bologna, 2003; G. RUFFOLO, Lo specchio del diavolo, Torino, 2006, p. 74, per il quale negli anni Settanta del Novecento riacquistò grande fortuna il “credo liberale”, sotto forma dell’anacronistico remake in abiti moderni della “mano invisibile” di Smith.

Sintesi efficaci del pensiero di Smith sono quelle di J.K. GALBRAITH, Storia dell’economia, Milano, 2004 (X ed.), p. 70 ss, e di A. RONCAGLIA, P. SYLOS LABINI, Il pensiero economico. Temi e protagonisti, Ro-ma-Bari, 2002, p. 17 ss.; da ultimo, v. G. RUFFOLO, Cuori e denari, Torino, 2005, pp. 57-83.

Il fenomeno della globalizzazione dei mercati – a dispetto del titolo dell’opera di Smith – ha reso oggi assai difficile il controllo del flusso di ricchezza: cfr. G. TREMONTI, in F. GALGANO, S. CASSESE, G. TREMONTI, T. TREU, Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza nazione, Bologna, 1993, p. 49.

E v. anche F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, spec. pp. 43 ss., 56 ss., ove ampi ragguagli sulla tesi della fine della statualità del diritto a seguito della diffusione della nuova lex mercatoria di origine consuetudinaria, quale regola dei rapporti commerciali internazionali (v., ad es., i “Principi dei contratti commerciali internazionali”, elaborati dall’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, Unidroit, di Roma, sotto la guida di professori universitari di diritto privato). L’uso sempre più frequente di clausole compromissorie recanti l’indicazione della legge na-zionale applicabile in caso di controversie tra le parti del contratto concluso tra soggetti di nazionalità diversa, ha fatto poi parlare, in proposito, di un vero e proprio shopping del diritto. Cfr. F. GALGANO, op. ult. cit., p. 86 ss.

6 Cfr. S.C. SAGNOTTI, Le teorie del mercato, Torino, 2000, p. 28 ss; G. CALZONI, Lineamenti di microe-conomia, Torino, 2005, p. 117 ss.

7 Cfr. G. ZEZZA, Introduzione alla microeconomia, Milano, 2004, p. 44.

Page 357: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 331

Ma v’è di più: il c.d. paradosso dello scambio consiste proprio nel fatto che ciascuno dei soggetti (parti) dello scambio riceve un bene avente un’utilità mar-ginale superiore a quella del bene che cede all’altra parte. Ne deriva che il prezzo negoziato dalle parti è intrinsecamente capace di soddisfare i bisogni di entram-be e pertanto si rivela equo per definizione8.

Il primo approccio al tema del mercato, quindi, è contraddistinto dal rife-rimento alla sua autoregolazione, nel senso che gli interpreti del processo econo-mico, i produttori ed i consumatori, ovverosia offerta e domanda di un deter-minato bene, cercano di stabilire essi stessi le condizioni dello scambio, senza l’intervento di fonti regolatrici eteronome.

Bisogna però osservare come, nelle società evolute, la realtà degli scambi avviene in un contesto ordinamentale che inevitabilmente influisce sulla dinami-ca degli stessi. Il mercato può essere dunque meglio definito come un regime normativo di relazioni economiche9. Infatti, non vi può essere “libero scambio” senza regole giuridiche che lo disciplinino; esse rappresentano la veste normativa attra-

——— 8 Sull’argomento, v. l’ampia analisi di R. LANZILLO, La proporzione fra le prestazioni contrattuali. Corso

di diritto civile, Padova, 2003, p. 8 ss. Il prezzo negoziale è il prezzo c.d. soggettivo, mentre il prezzo c.d. oggettivo è il prezzo di mercato, che risulta dalla media dei prezzi praticati nelle singole contrattazioni. Secondo i principi degli economisti classici, la libertà di impresa e l’uguaglianza di tutti gli operatori economici sul mercato sono premessa e garanzia della congruità e adeguatezza sia dei prezzi negoziali (soggettivi), sia dei prezzi di mercato (oggettivi): cfr. R. LANZILLO, op. loc. cit.

L’esigenza del rispetto di un principio di proporzionalità tra le prestazioni contrattuali è messa in luce da P. PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, p. 334 ss.; ID., Nuovi profili del contratto, ivi, 2000, p. 560 ss., nonché in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 234 ss.

In realtà, al di là delle considerazioni di stampo prettamente economico, lo scambio contrattuale necessita, dal punto di vista giuridico, del rispetto di un principio di equità che si traduce nella garanzia di una parità sostanziale delle parti, attraverso un intervento eteronomo dell’ordinamento, tutte le volte in cui i contraenti non possiedono la stessa capacità informativa e decisionale ai fini della conclusione del contratto e della determinazione delle condizioni dello scambio. Si tratta di meccanismi di vera e propria integrazione cogente del contenuto del contratto ad opera dell’autorità giudiziaria, anche grazie all’applicazione e concretizzazione della clausola generale di buona fede oggettiva o correttezza.

Sul tema, anche in prospettiva storica, è fondamentale il contributo di A. PALAZZO, Interessi perma-nenti nel diritto privato ed etica antica e moderna, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica del diritto privato, Padova, 2002, I, p. 2 ss., ove sono analizzate le radici del principio di equità e il ruolo dei valori e delle “perma-nenze”, quali principi fondamentali della cultura giuridica; recentemente, sulla stessa scia si colloca la pregevole indagine di A. SASSI, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, Perugia, 2006, p. 15 ss, spec. pp. 24 ss., 48 ss. (ove si trova enunciato il suddetto principio di parità sostanziale).

La giustizia contrattuale è la linea guida della preziosa ricerca di A. D’ANGELO, La buona fede, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIII, t. IV**, Torino, 2004, spec. p. 155 ss.; cfr., altresì, G. VETTORI, Diritto dei contratti e “costituzione” europea, Milano, 2005, spec. p. 157 ss.

Di recente, v. G.M. UDA, La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004, p. 109 ss.; U. PER-FETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005, spec. p. 230 ss., ove l’accento è posto sulla necessità di garantire la giustizia materiale del contratto.

9 In questi termini, v. N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, 5a ed., Roma-Bari, 2003, p. 83.

Page 358: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 332

verso la quale gli interessi patrimoniali dei contraenti appaiono meritevoli di tu-tela da parte dell’ordinamento e sono, pertanto, suscettibili di attuazione in via coattiva.

In altri termini, il mercato, quale meccanismo allocatore delle risorse scarse del pianeta, postula l’esistenza di norme che riconoscano i diritti di proprietà sui beni ed elevino lo strumento contrattuale a sistema di trasferimento o di attri-buzione di quei diritti. La proprietà privata e la libertà contrattuale sono i con-cetti cardine attorno ai quali ruota l’asse portante della c.d. economia di merca-to. In tal senso, il diritto del mercato è sinonimo di diritto dei contratti10. La stessa idea dello scambio e, ancor più, quella di prezzo, si ricollegano immedia-tamente al più frequente dei contratti legalmente tipici, la compravendita (cfr. art. 1470 c.c.).

Ordine giuridico e processo economico costituiscono nient’altro che due facce della stessa medaglia, due aspetti complementari di una società liberale e democratica11. L’economia di mercato si traduce, quindi, in un modello organiz-zativo della società ove la struttura normativa deve innanzitutto assicurare la li-bertà di iniziativa economica privata, vale a dire la libertà dei soggetti privati di intraprendere e gestire un’attività economica organizzata per la produzione e/o lo scambio di beni o servizi12.

Si tratta, in una prospettiva storica, della originaria “libertà di commercio e di industria”, che la Rivoluzione francese del 1789 affermò per la prima volta quale principio cardine per la circolazione della ricchezza e punto di rottura del vecchio ordine economico di stampo feudale e corporativo13.

——— 10 Cfr. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, 2a ed., Roma, 2005, p. 29 ss.;

A. PERA, Concorrenza e antitrust, 3a ed., Bologna, 2005, p. 12. Ma v. le acute riflessioni di GUIDO ROSSI, Il gioco delle regole, Milano, 2006, pp. 26-27, che ben evi-

denzia i limiti del contrattualismo, quale fondamento ideologico del capitalismo, tutte le volte in cui i rapporti tra le parti siano squilibrati in partenza dal punto di vista della forza economica di ciascuna di esse e delle conseguenti asimmetrie informative; ne deriva che il contratto può divenire strumento per uno sviluppo economico anch’esso squilibrato.

11 In argomento, v. S. MEZZACAPO, La concorrenza tra regolazione e mercato. Ordine giuridico e processo econo-mico, Bari, 2004, p. 13 ss.; G. TESAURO, M. D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000; L. PROSPERETTI, I rapporti tra regolazione e tutela della concorrenza, in Mercato, concorrenza, regole, 2002, p. 277 ss.

12 Cfr. M. LIBERTINI, Il mercato: i modelli di organizzazione, cit., p. 361 s., il quale rileva come le strut-ture portanti dell’economia di mercato siano la libertà di iniziativa economica privata (libertà di accesso al mercato per tutti, in condizioni di uguaglianza); il libero mercato dei fattori produttivi; il libero gioco della concorrenza; l’organizzazione dell’impresa privata sul principio della sovranità del capitale; la so-vranità del consumatore.

13 Sull’argomento, v. T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto in-dustriale, 3a ed., Milano, 1960, p. 4 ss.

Page 359: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 333

La suddetta libertà di impresa è un valore costituzionalmente riconosciuto e protetto sia nell’ordinamento interno che in quello comunitario.

L’art. 41 Cost. sancisce, infatti, che “l’iniziativa economica privata è libera”, ag-giungendo però, al 2° comma, che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”14. La situazione giuridica soggettiva protetta dalla norma costituzionale, è opportuno ribadirlo, riguarda non soltanto l’iniziativa economica in senso stretto, intesa come decisione iniziale di investimento, ma tutta l’intera attività di impresa. Essa comprende, pertanto, la libertà di gestione dell’impresa (organiz-zazione e combinazione dei fattori produttivi), la libertà contrattuale, la libertà di azione concorrenziale e quella di abbandono del mercato15.

Tuttavia, la libertà di impresa è garantita e protetta solo in quanto situa-zione socialmente utile. Il limite dell’utilità sociale, in particolare, fa subito affio-rare il delicato tema della sua concreta specificazione, la quale è demandata non soltanto, come si vedrà, all’applicazione della normativa antimonopolisti-ca16, ma anche e soprattutto alle disposizioni legislative a tutela del consuma-tore o del cliente, che rappresenta la parte “debole” dei rapporti contrattuali intercorrenti con un imprenditore (cfr. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. co-dice del consumo, art. 21 d.lgs. n. 58/1998, artt. 115-128 d.lgs. n. 385 del 1993, d.lgs. n. 70/2003)17.

La tutela del consumatore18, è oggi un obiettivo esplicitamente dichiarato dalla nuova Costituzione per l’Europa19 (Cost. Eur.), sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004 dai venticinque Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea20. ———

14 Cfr. G. GRISI, L’autonomia privata. Diritto dei contratti e disciplina costituzionale dell’economia, Milano, 1999, spec. p. 94 ss.; F. GALGANO, Sub art. 41, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Rapporti economici, II, Bologna, 1982, p. 11 ss.; ID., La libertà di iniziativa economica privata nel sistema delle libertà costituzionali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. Galgano, vol. I, La costituzione economica, Padova, 1977, p. 511 ss.; A. BALDASSARRE, Iniziativa economica privata, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p. 582 ss.; G. AMATO, Il mercato nella costituzione, in Quaderni costituzionali, 1992, p. 7 ss.; G. BOGNETTI, Costituzione economica italiana, Milano, 1995; G. BIANCO, Costituzione ed eco-nomia, Torino, 1999.

15 In questi termini, v. M. LIBERTINI, La prospettiva giuridica: caratteristiche della normativa antitrust e si-stema giuridico italiano, in Concorrenza e Autorità Antitrust. Un bilancio a dieci anni dalla legge (Atti del Conve-gno, Roma, 9-10 ottobre 2000), Autorità garante della concorrenza e del mercato, p. 69 ss., spec. p. 72.

16 Cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, Padova, 1978, p. 87 ss.; ID., Profili evolutivi del diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, 2001, p. 171 ss.

17 Cfr. V. BUONOCORE, L’impresa, in Trattato di diritto commerciale diretto da V. Buonocore, Sez. I – Tomo 2.I, Torino, 2003, p. 268 ss.; G. PRESTI, M. RESCIGNO, Corso di diritto commerciale, vol. I, Bologna, 2004, p. 86 ss.

18 Ai sensi dell’art. 3 lett. a) del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo), per consumatore o utente si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Page 360: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 334

Ai sensi degli artt. II-98 e III-120 della Cost. Eur., infatti, le politiche del-l’Unione Europea sono ispirate all’esigenza primaria di garantire un livello eleva-to di protezione dei consumatori; in questa prospettiva, l’art. III-235 Cost. Eur. sancisce, più specificatamente, che

“Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelarne la salute, la sicurezza e gli interessi economici e a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”21. Per quanto riguarda la libertà di impresa, essa è espressamente considerata

dall’art. II-76 Cost. Eur., secondo cui “È riconosciuta la libertà di impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legi-slazioni e prassi nazionali”. Questo solenne riconoscimento, lungi dal costituire una semplice petizione

di principio, deve essere letto come una formale istituzionalizzazione di un principio già presente in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea e nel Trattato CE. La libertà di impresa, unitamente alla libertà di circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, costituisce il tratto fondamentale del mercato unico europeo22.

Riprendendo le fila del discorso sulla nozione di mercato, è da dirsi che la ricchezza di una comunità statuale si misura in base al grado di effettività della libertà di impresa, la quale, nella sua proiezione pluralistica, tipica dei regimi democratici, diviene sinonimo di libertà di concorrenza, ovverosia libertà di più imprese, che producono beni o servizi sostituibili tanto dal lato della domanda

——— 19 Cfr. A. TIZZANO (a cura di), Una Costituzione per l’Europa. Testi e documenti relativi alla Convenzione

europea, Milano, 2004; L.S. ROSSI (a cura di), Il progetto di Trattato-Costituzione. Verso una nuova architettura dell’Unione europea, Milano, 2004.

20 Il testo è stato pubblicato nella G.U.C.E. del 16 dicembre 2004 e approvato dal Parlamento eu-ropeo il 12 gennaio 2005, con una risoluzione che ne sostiene vivamente la ratifica da parte dei paesi membri dell’Unione. Sebbene la nuova Costituzione fosse destinata a sostituire integralmente il Tratta-to istitutivo della Comunità Europea (TCE) a partire dal 1° novembre 2006, l’esito negativo del refe-rendum di ratifica effettuato in Francia ed in Olanda ha portato inevitabilmente ad un rinvio dell’entrata in vigore della carta costituzionale europea.

21 Sul tema della tutela del consumatore nel diritto dei contratti alla luce delle direttive comunitarie nel settore del consumerism, v. G. BENACCHIO, Diritto privato della comunità europea. Fonti, modelli, regole, 3a ed., Padova, 2004, p. 280 ss.; P. CASSINIS, P. FATTORI, Disciplina antitrust, funzionamento del mercato e interessi dei consumatori, in I diritti dei consumatori e degli utenti a cura di G. Alpa e V. Levi, Milano, 2001, p. 185 ss.

22 S. CASSESE, La nuova costituzione economica, 3a ed., Roma-Bari, 2004, p. 31 ss.

Page 361: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 335

quanto da quello dell’offerta, di competere tra loro per il raggiungimento del massimo profitto (c.d. imprese rivali). La concorrenza è stata, infatti, assai effi-cacemente definita come “norma della lotta selettiva fondata sulla capacità di prestazione degli imprenditori operanti sul mercato interno”; ne deriva che, con tale nozione di concorrenza, “sono compatibili soltanto quei tipi di condotte im-prenditoriali il cui strumento di successo consiste nell’influenza di carattere pura-mente psicologico esercitata sulla volontà dei clienti tramite la valutazione com-parativa, da questi ultimi svolta, dei risultati della loro capacità produttiva”23.

Quali i vantaggi di questo sistema selettivo della produzione? Innanzitutto, sebbene possa apparire scontato, più alto è il numero di im-

prese concorrenti operanti in un determinato mercato, maggiore sarà la possibi-lità di scelta del consumatore. Ma, soprattutto, la libera concorrenza stimola il progresso tecnologico e la riduzione dei costi di produzione (c.d. efficienza pro-duttiva)24, a tutto vantaggio del consumatore finale, cui interessa principalmente acquistare beni della migliore qualità a prezzi il più possibile contenuti; essa si rivela inoltre l’unica via attraverso la quale espellere dal mercato le imprese re-almente inefficienti, favorendo al contempo l’ingresso e l’affermazione nel mer-cato stesso dei produttori più capaci25.

Da quanto si è detto emerge innanzitutto – è utile ribadirlo – la stretta in-terrelazione tra il sistema di mercato e lo strumento giuridico contrattuale, poi-ché attraverso una fitta rete di rapporti obbligatori, nascenti essenzialmente da un accordo tra le parti, trova attuazione il principio di libertà di concorrenza. Il contratto è, infatti, il mezzo attraverso il quale circola la ricchezza e ottengono protezione giuridica gli interessi economici sottesi alla logica dello scambio.

In questa prospettiva, il diritto dei contratti, ovverosia l’insieme delle regole che disciplinano i singoli tipi di accordi necessari alla circolazione dei diritti sui beni e dei crediti, assume un ruolo centrale per la crescita ed il rafforzamento di un regime concorrenziale.

V’è però un altro importante aspetto da considerare quando si osserva il rapporto tra diritto dei contratti e regole della concorrenza. Se è vero, infatti,

——— 23 L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, pp. 248-249. 24 Cfr. L. CABRAL, Economia industriale, Roma, 2004, p. 52: “l’efficienza produttiva misura quanto il

costo di produzione effettivo si avvicina al costo di produzione più basso raggiungibile”. 25 V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, 2a ed., Torino, 2005, p. 1; A. VANZETTI, V. DI CA-

TALDO, Manuale di diritto industriale, 5a ed., Milano, 2005, p. 527 ss.; V. MANGINI, La vicenda dell’antitrust dallo Sherman Act alla legge italiana n. 287/90, in Riv. dir. ind., 1995, I, p. 176; V. AMENDOLA, P.L. PARCU, L’antitrust italiano, Torino, 2003, p. 7; G. FLORIDIA, V.G. CATELLI, Diritto antitrust, Milano, 2003, p. 3 ss.; P. FATTORI, M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, 2004, p. 11 ss.

Page 362: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 336

che la libertà contrattuale è lo strumento principe della libertà di concorrenza, nondimeno è vero anche il reciproco, perché il controllo sul contenuto del con-tratto, prima di tutto sul prezzo, che è attività ermeneutica fondamentale per tu-telare gli interessi della parte debole (il consumatore), è notevolmente influenza-to dal grado di competitività del mercato in cui si svolge la contrattazione. In altri termini, la struttura di mercato condiziona l’assetto negoziale voluto dai contraenti26.

Nella prospettiva liberista classica, infatti, il contratto (lo scambio) è equo se esso è concluso tra soggetti equiordinati, i cui rapporti di forza, cioè, non so-no squilibrati in partenza. Il tipo di mercato dei liberisti classici è, però, un mo-dello soltanto teorico, poiché è contraddistinto dalla c.d. concorrenza perfetta. Per rendersi conto di come sia difficile o quasi impossibile ritrovare nella realtà un simile modello concorrenziale27, è sufficiente considerare quanto segue.

Da un punto di vista strettamente economico, in un mercato caratterizzato da concorrenza perfetta esistono molti produttori di beni che soddisfano gli stessi interessi, ma nessuna impresa può esercitare un potere di mercato, vale a dire ha la capacità di influire concretamente sul prezzo attraverso il proprio comportamento (c.d. price taking behaviour). Infatti, dal momento che ciascuna impresa sul mercato produce beni perfettamente sostituibili dal punto di vista degli interessi e dei bisogni del consumatore, qualora essa decidesse di aumenta-re il prezzo di vendita del suo prodotto, perderebbe certamente la clientela, che si rivolgerebbe al concorrente. Ne deriva che la curva della domanda presenta un’elasticità infinita28.

Incrementando le vendite di una unità, il ricavo dell’impresa si accresce in misura pari al prezzo: il ricavo marginale (ottenuto cioè dalla vendita di una uni-tà supplementare) dell’impresa in concorrenza perfetta è costante ed è sempre uguale al prezzo di mercato. Pertanto, l'imprenditore orienterà la propria politi-ca commerciale, al fine di massimizzare il profitto, unicamente sulla variazione della quantità da produrre, che verrà portata sino al livello in cui il costo margi-nale è uguale al ricavo marginale29.

——— 26 Cfr. G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 44; ID., Contratto e

concorrenza, in Contratto e mercato, a cura di A.M. Azzaro, Torino, 2004, p. 133 ss. 27 Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa, 4a ed., Torino, 2003, p. 214 ss. 28 Sull’argomento v. amplius, G. CALZONI, Lineamenti di microeconomia, cit., p. 80 ss.; J. SLOMAN, Microe-

conomia, Bologna, 2005, p. 152 ss.; D. BEGG, S. FISCHER E R. DORNBUSCH, Microeconomia, 2a ed., Milano, 2005, p. 138 ss.; P. SAMUELSON, W.D. NORDHAUS, Economia, 18a ed., Milano, 2006, pp. 65 ss., 143 ss.

29 Cfr. L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 49: “Nei mercati concorrenziali, le imprese sono price taker: se una sola impresa aumenta il prezzo, la sua domanda individuale sarà nulla, se invece lo dimi-

Page 363: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 337

In un mercato a concorrenza perfetta allora, dovrebbero ricorrere quattro condizioni: a) omogeneità dei prodotti venduti, ovverosia sostituibilità del bene venduto da un’impresa con quello venduto da altre; b) impossibilità da parte di ciascuna impresa di influenzare il prezzo di mercato facendo variare la propria produzione; c) piena mobilità dei fattori produttivi nel lungo periodo; d) infor-mazione perfetta, sia delle imprese che dei consumatori.

I vantaggi di questo sistema (ideale) sono evidenti, atteso che il prezzo è uguale al costo marginale, cioè al livello minimo possibile, e perciò le imprese inefficienti saranno costrette ad abbandonare la competizione. Se lo scopo della (libera) concorrenza è il benessere del consumatore (consumer welfare), non vi sa-rebbe modo migliore per raggiungerlo.

Esistono, tuttavia, delle naturali imperfezioni che compromettono il corret-to funzionamento del mercato concorrenziale. Gli economisti degli Stati Uniti d’America hanno, assai efficacemente, parlato, in proposito, di market failures o fallimenti del mercato.30 Tra questi, particolare rilievo assume quello noto come monopolio, che allude ad una situazione in cui una sola impresa detiene la tota-lità del mercato di un determinato prodotto, caratterizzato dall’esistenza di bar-riere all’entrata che ostacolano l’ingresso di altre imprese nel mercato di riferi-mento.

Il monopolio è una situazione che può derivare dalla legge (monopolio legale: cfr. artt. 1679 e 2597 c.c.), dalla titolarità di diritti (esclusivi) di proprietà intellet-tuale (diritto di autore, invenzioni industriali, modelli e disegni ornamentali, se-gni distintivi), ovvero da economie di scala, vale a dire da risparmi sui costi di produzione derivanti dalle notevoli dimensioni dell’impresa (c.d. monopolio natu-rale), che, consentendo all’impresa di detenere un potere di mercato (market power), possono indurre la stessa ad una fissazione dei prezzi di vendita del pro-dotto in misura notevolmente superiore al suo costo marginale.

Infatti, anche il monopolista realizza il massimo profitto quando il suo ri-cavo marginale è uguale al costo marginale, ma vi è una differenza fondamentale rispetto all’ideale regime di concorrenza perfetta: il ricavo marginale del mono-

——— nuisce, la domanda aumenta in misura considerevole perché ora l’intera domanda di mercato sarà ri-volta all’unica impresa che ha ridotto il prezzo. In altre parole, un mercato concorrenziale è il caso limi-te in cui la curva di domanda ha un’elasticità infinita: anche una variazione molto piccola del prezzo implica una variazione molto grande della domanda dell’impresa”.

30 Sull’argomento, per un primo ragguaglio ed opportuni richiami della dottrina nordamericana, v. P. GALLO, Introduzione al diritto comparato. III. Analisi economica del diritto, Torino, 1998, p. 7 ss.; per un’indagine attenta alle nuove problematiche della concorrenza nell’era della globalizzazione, cfr. V. DE LUCA, Autonomia privata e mercato telematico nel sistema delle fonti, Milano, 2004, spec. p. 171 ss.

Page 364: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 338

polista non coincide con il prezzo di vendita. Ciò perché la fissazione del prezzo in monopolio avviene aggiungendo una percentuale al costo marginale; quest’ul-tima è inversamente proporzionale al grado di elasticità della domanda31. È no-to, infatti, che, se il prodotto non è facilmente sostituibile in relazione alle ne-cessità del consumatore, il costo di ogni unità aggiuntiva di esso potrà subire rialzi consistenti32.

Il monopolio conduce ad una riduzione della produzione e ad un aumento dei prezzi. La perdita di benessere per i consumatori o costo sociale (deadweight loss) che ne deriva è palese, atteso che alcuni di essi rimarranno giocoforza in-soddisfatti ed il loro surplus sarà di gran lunga inferiore a quello che otterrebbero in regime concorrenziale, in corrispondenza (almeno in parte) dell’aumento di profitto (rendita) del monopolista.

Tipologie affini di mercato in cui la libera concorrenza è compromessa so-no costituite dalla c.d. concorrenza monopolistica, contraddistinta dalla presen-za di molte imprese che producono beni simili tra loro, ma che si differenziano in modo sufficiente a consentire a ciascuna impresa di operare in un regime si-mile a quello di monopolio, e dall’oligopolio, in cui esistono poche imprese in competizione, ciascuna delle quali è però in grado di influenzare col proprio comportamento i risultati produttivi ed il profitto delle altre33. In altri termini, il minimo comune denominatore delle suddette tre forme di mercato risiede nel fatto che in esse le imprese operano da price makers, vale a dire sono in grado di influenzare concretamente il prezzo del bene o servizio prodotto a discapito del consumatore finale e degli eventuali concorrenti34.

Infine, va qui ricordato che, come il potere di monopolio può essere rag-giunto da una singola impresa, così esso può essere frutto di un accordo collusi-vo tra più imprese, le quali operano sul mercato congiuntamente, riducendo la quantità prodotta e aumentando i prezzi di vendita, proprio come fa il monopo-lista. Ne deriva che, in linea generale, per le imprese il modello collusivo è prefe-ribile a quello concorrenziale.

——— 31 Cfr. L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 92: “Un monopolista dovrebbe fissare un margine di

profitto unitario tanto più grande quanto più piccola è l’elasticità della domanda rispetto al prezzo”. 32 In argomento, v. assai chiaramente, G. ZEZZA, Introduzione alla microeconomia, cit., p. 97 ss. 33 Cfr. C. OSTI, Antitrust e oligopolio, Bologna, 1995; M. POLO, Teoria dell’oligopolio, Bologna, 1993. 34 Sul punto, v. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 114 ss.; R.

LANZILLO, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, cit., p. 41.

Page 365: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 339

2. — Origini ed evoluzione del diritto della concorrenza in Italia. La disciplina della concorrenza nasce e si sviluppa per la prima volta in Ca-

nada (1889) e negli Stati Uniti d’America (1890), sotto forma di legislazione c.d. antitrust35, proprio allo scopo di prevenire e reprimere quei comportamenti im-prenditoriali che attentano al principio fondamentale di un’economia di merca-to, la sua competitività.

Si tratta essenzialmente di assicurare al sistema economico la effettiva pos-sibilità della (tendenziale) ricerca di un equilibrio (perfettamente) concorrenziale, in virtù del quale nessuna impresa sia in grado di dettare unilateralmente le con-dizioni dell’offerta dei beni che produce, ovverosia il prezzo di questi ultimi36.

L’insieme delle norme volte a tutelare il c.d. libero gioco della concorrenza, altro non è che un sistema articolato di comandi e divieti diretti agli artefici della produzione per impedire che ciascuno di essi ponga in essere condotte collusive aventi per effetto il restringimento della concorrenza, ovvero abusi della posi-zione di dominio del mercato che detiene, al fine di impedire l’ingresso nel mer-cato di nuovi concorrenti ed espellere da esso quelli che già vi operano.

In questa prospettiva, l’interesse primario tutelato dalla normativa concorren-ziale è essenzialmente di natura pubblica, perché la libertà di concorrenza è un valo-re che necessariamente riguarda il benessere della collettività nel suo complesso.

In Italia, però, il cammino verso il riconoscimento della concorrenza come bene di rango costituzionale e di sicuro rilievo pubblicistico è stato intrapreso soltanto a partire dall’avvento dell’ordinamento repubblicano, in coincidenza con la formulazione dell’art. 41 della Costituzione, entrata in vigore il 1° gen-naio 1948, e con la stipula del Trattato di Roma del 25 marzo 1957, istitutivo della Comunità economica europea (ora Comunità europea, v. artt. 81 ss.), e si è concluso, almeno formalmente, con l’approvazione della l. n. 287 del 10 ottobre 1990 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato), che, come vedremo più avanti, ha segnato una svolta epocale nella considerazione, soprattutto giuri-sprudenziale, della materia che ci occupa.

Nel nostro Paese, infatti, la disciplina della concorrenza nasce essenzial-mente come creazione giurisprudenziale nella seconda metà dell’Ottocento, allo scopo di tutelare gli interessi del ceto imprenditoriale dominante, che, sotto ———

35 V. infra, cap. 3. 36 Cfr. R. COOTER, U. MATTEI, P.G. MONATERI, R. PARDOLESI, T. ULEN, Il mercato delle regole. A-

nalisi economica del diritto civile, Bologna, 1999, p. 47 ss.; F. DENOZZA, Antitrust, Leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori nella CEE e negli USA, Bologna, 1988, p. 18.

Page 366: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 340

l’impulso del sempre più intenso processo di industrializzazione dell’economia, si rivolse alla magistratura civile al fine di ottenere la garanzia del conseguimento del legittimo profitto derivante dall’attività svolta, tutte le volte in cui uno dei soggetti del rapporto concorrenziale impedisse all’altro di conseguire tale risulta-to attraverso comportamenti “sleali” o “scorretti”. Si trattava, in buona sostan-za, di null’altro che di illeciti civili sanzionati in base all’art. 1151 del codice civile del 1865, cui la giurisprudenza riconduceva ogni condotta imprenditoriale (col-pevole) che recasse un danno al concorrente37.

La qualifica di slealtà della condotta concorrenziale, se, da un lato, come è stato efficacemente sottolineato, evidenziava “la cultura generale borghese dei giudici, da cui si traeva la condanna morale di certi modi di comportamento im-prenditoriali”38, dall’altro era l’indice di una matrice corporativa della tutela civi-le accordata al danneggiato, atteso che la tipizzazione giurisprudenziale degli atti di concorrenza sleale traeva linfa dalla contrarietà al costume praticato dagli stessi imprenditori di un determinato settore produttivo. Il processo di valuta-zione comparativa degli interessi in gioco, alla base del giudizio di illiceità, quin-di, aveva esclusivo riguardo alla natura privata e corporativa degli stessi: la con-correnza era ritenuta espressione di un interesse privato, di pertinenza della clas-se mercantile e strumentale al raggiungimento del profitto individuale.

La mancata considerazione della concorrenza come bene pubblico trovò conferma anche in epoca successiva, allorché apparvero le prime regole scritte sulla concorrenza: è del 1883 la sottoscrizione, da parte dell’Italia, della Conven-zione d’ Unione di Parigi per la tutela della proprietà industriale, la quale, dopo la revisione dell’Aja nel 1925, dispose, all’art. 10-bis, rubricato Concorrenza sleale:

“I Paesi dell’Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini dei Paesi della Unione una protezione effettiva contro la concorrenza sleale. Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale. Dovranno particolarmente essere vietati: 1. tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente;

——— 37 La qualifica di ingiustizia del danno era assente nell’art. 1151 c.c. del 1865, ai sensi del quale

“Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno.” L’odierno art. 2043 c.c. recita, invece: “Qualunque fatto doloso o colposo, che ca-giona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

38 M. LIBERTINI, Della disciplina della concorrenza e dei consorzi, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon, vol. V, Torino, 1991, p. 1518.

Page 367: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 341

2. le asserzioni false, nell’esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente; 3. le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell’esercizio del commercio, possa trarre in er-rore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l’attitudine all’uso o la quantità delle merci”. Questa norma è stata recepita nell’ordinamento italiano, tramite l’ordine di

esecuzione emanato con r.d. 10 gennaio 1926, n. 169, convertito nella l. 29 di-cembre 1927, n. 2701. Essa, riveduta, da ultimo, a Stoccolma il 14 luglio 1967, è formalmente tuttora in vigore, anche se si discute del suo residuo ambito di ap-plicazione, a seguito dell’introduzione dell’art. 2598 c.c.

Infatti, l’art. 2598 c.c., rubricato Atti di concorrenza sleale, statuisce: “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di bre-vetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni di-stintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda”. In particolare, si ritiene che la norma del codice civile italiano sia più severa

di quella internazionale e perciò quest’ultima resti “assorbita” dalla prima, salvo che per il 3° comma, n. 3, dell’art. 10-bis, che, trattando esplicitamente della fat-tispecie di inganno del pubblico, sembra avere un’efficacia maggiore di quella derivante dall’interpretazione della clausola generale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., alla quale tradizionalmente la giurisprudenza ha ricondotto il mendacio e la de-cettività. Sennonché oggi il titolo III della parte seconda del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), agli artt. 18-32, disciplina dettagliatamente la pubblicità in-gannevole (e comparativa) stabilendo le sanzioni per la violazione dell’obbligo di corretta informazione del consumatore. Sembra, pertanto, che attualmente non sia rimasto spazio – almeno sul terreno della prassi giudiziaria – per l’appli-cazione del suddetto art. 10-bis della Convenzione d’Unione.

Ad ogni modo, ciò che interessa per ora sottolineare, è che il riferimento contenuto nell’art. 10-bis agli usi onesti in materia industriale o commerciale, qua-le parametro di valutazione della slealtà della condotta imprenditoriale, confer-

Page 368: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 342

ma la natura sostanzialmente corporativa degli albori della disciplina della con-correnza.

3. — La clausola generale della correttezza “professionale”. Sin dall’entrata in vigore del codice civile del 1942, dottrina e giurispruden-

za si sono cimentate con il problema fondamentale di ridefinire i contorni dell’attività di concorrenza sleale, tracciati dal legislatore all’art. 2598 n. 3 c.c., secondo cui, come si è visto, compie atti di concorrenza sleale chiunque “si vale, direttamente o indirettamente, di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.” Questa norma è tradizionalmente ritenuta una clausola generale del diritto privato39, at-traverso la quale la determinazione dei criteri di valutazione della liceità dei comportamenti concorrenziali è delegata a fonti secondarie40. Il giudizio di licei-tà o meno della condotta dell’imprenditore presuppone, quindi, la individuazio-ne dei principi di correttezza professionale, che costituiscono il parametro di qualificazione della slealtà dell’attività concorrenziale.

Secondo l’opinione preferibile, inoltre, le stesse fattispecie legali tipiche di atti di concorrenza sleale, di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c., relative alle ipotesi

——— 39 Cfr. A. GUARNERI, Le clausole generali, in Trattato di dir. civ. diretto da R. Sacco, Le fonti del

diritto italiano, 2, Le fonti non scritte e l’interpretazione, Torino, 1999, p. 131 ss.; ID., Clausole generali, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, p. 403 ss.; G. ALPA, Trattato di diritto civile, I, Storia, fonti, interpretazione, Milano, 2000, p. 951 ss.; L. CABELLA PISU, L. NANNI (a cura di), Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, Padova, 1998; D. MESSINETTI, I principi generali dell’ordinamento. Il pluralismo delle forme del linguaggio giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 7 ss.

40 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, in Euro-pa e dir. priv., 1999, p. 510 (il saggio è pubblicato anche in Studi per A. Pavone La Rosa, Milano, 1999, p. 575 ss.).

Sull’argomento, per un’attenta ricognizione del dibattito sul tema v. G. GHIDINI, La concor-renza sleale, in Giur. sist. di dir. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi, 3a ed., Torino, 2001, p. 229 ss.; G.M. BERRUTI, La concorrenza sleale nel mercato, Milano, 2002, p. 115 ss.; S. SANZO, La concorrenza sleale, Padova, 1998, p. 193 ss.; F. SCIRÈ, La concorrenza sleale nella giurisprudenza, 2a ed., I, Milano, 1989, p. 35 ss.

Per un efficace quadro di sintesi, v. N. ABRIANI, G. COTTINO, La concorrenza sleale, in Trattato di di-ritto commerciale diretto da G. Cottino, II, Diritto industriale, Padova, 2001, p. 289 ss.; S. RONCO, L’appli-cazione giurisprudenziale della clausola della correttezza professionale nella giurisprudenza, in Contr. e impr., 1997, p. 917 ss.

In ordine al ruolo di dottrina e giurisprudenza sull’interpretazione della legge v., da ultimo, G. ALPA, Istituzioni di diritto privato. Problemi, Torino, 2002, p.74 ss.

Page 369: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 343

di confusione, appropriazione di pregi e denigrazione41, andrebbero individuate, caso per caso, alla luce del giudizio di difformità ai principi di correttezza pro-fessionale di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c., atteso che la scorrettezza professionale della condotta imprenditoriale non sarebbe implicita nelle figure disegnate dal legislatore; ciò, come vedremo meglio in seguito, dipende essenzialmente dal contenuto normativo che l’interprete attribuisce alla clausola generale della cor-rettezza professionale42.

——— 41 Sulla denigrazione e sull’appropriazione di pregi, fondamentale è lo studio di M. AMMENDOLA,

L’appropriazione di pregi, Milano, 1991. Sulla concorrenza sleale per confusione, v. V. DI CATALDO, L’imitazione servile, Milano, 1979.

42 Cfr. G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, cit., 2001, p. 167; ID., Della concorrenza sleale, in Il Codice civile. Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1991 (rist. 1994), p. 303; Id., Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 133 ss.; ID., voce Concorrenza sleale, in Enc. dir. (Agg.), III, Milano, 1999, pp. 388-389, ove si sottolinea che, se “gli specifici divieti di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c. rappresentano una precisa predeterminazione, da parte del legislatore, di alcuni interessi imprenditoriali (contro la confusione, la denigrazione ecc.) meritevoli di protezio-ne”, tuttavia “la presenza di tali indici normativi specifici non elimina completamente lo spazio per l’applicazione della clausola generale: la quale, anzi, letta alla luce delle indicazioni costituzionali, ridefinisce con precisione l’ambito di protezione dell’interesse tutelato dallo specifico divieto, selezio-nando, tra diversi comportamenti a questo riconducibili, quello non contrastante con gli indicatori co-stituzionali”.

Per la lettura unitaria dell’art. 2598 c.c., cfr. G. SENA, Rilevanza della scorrettezza professionale nelle ipo-tesi di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598, in Temi, 1969, p. 567 ss.; P. MARCHETTI, Il paradigma della correttezza professionale nella giurisprudenza di un ventennio, in Riv. dir. ind., 1966, II, p. 181 ss.; P.G. JAEGER, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1970, I, p. 148 ss.; R. FRANCESCHELLI, Studi sulla concorrenza sleale. IV. La fattispecie, in Riv. dir. ind., I, 1963, p. 261 ss.

V. anche M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale, cit., p. 520, secondo il quale non può ammettersi “che l’ordinamento riconduca all’applicazione di certi principi generali la determinazione delle fattispecie atipiche di atti di concorrenza sleale e poi prescinda da tali principi nella determinazio-ne di alcune fattispecie tipiche”.

In tal senso v. Trib. Milano, 5 agosto 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, c. 444: “Il principio di correttez-za professionale enunciato dall'art. 2598 n. 3 c.c., costituisce l’unico canone alla luce del quale deve es-sere apprezzata la slealtà di un comportamento concorrenziale, anche se riconducibile alle fattispecie definite dai n. 1 e 2 del medesimo articolo”.

La tesi contraria è sostenuta, tra gli altri, da C. PASTERIS, La correttezza nella disciplina della concorrenza sleale, Milano, 1962, p. 160, secondo il quale le fattispecie di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c. sono del tutto autonome da quella di cui al n. 3 dello stesso articolo; T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, 3a ed., Milano, 1960, p. 208; G. MINERVINI, Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile diretto da G. Grosso e F. Santoro-Passarelli, s.d., ma Milano, 1965, p. 20; S. RONCO, op. cit., p. 925.

In giurisprudenza v. Cass., 26 novembre 1997, n. 11859, in Giust. civ., 1998, I, p. 358, ed in Dir. ind., 1998, p. 219, con nota di G. FLORIDIA, Correttezza professionale e qualificazione dell’illecito concorrenziale: “La previsione di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. ha carattere residuale, con ciò intendendosi la possibilità di fare ricorso a tale previsione solo quando non siano ravvisabili le ipotesi dei precedenti numeri dello stesso articolo; con il corollario che, essendo tutte le fattispecie di cui ai tre numeri della norma diverse tra loro, ben può un comportamento essere ricompreso in una sola di esse, e non nelle altre”.

Page 370: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 344

In questa prospettiva, la clausola generale di correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c., a differenza di quella di correttezza “civile” ex art. 1175 c.c., non riveste la funzione di fonte integrativa di un rapporto obbligatorio43, ma es-senzialmente di limite all’attività imprenditoriale, e quindi alla libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita (art. 41 Cost.)44, tutte le volte in cui il comportamento del concorrente si qualifichi sleale o illecito, come tale soggetto alla sanzione inibitoria e/o risarcitoria ex artt. 2599 e 2600 c.c.45.

Ed è proprio la garanzia costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, che tuttavia non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (art. 41, 2° comma Cost.)46, a porre con forza all’interprete il problema dell’aggancio, se-

——— Una posizione intermedia è assunta, al riguardo, da A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di di-

ritto industriale, cit., p. 24, secondo i quali solo innanzi ad incertezze interpretative delle fattispecie no-minate di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c. è lecito ricorrere al giudizio di difformità ai principi della correttezza professionale (e al giudizio circa l’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui azienda).

43 Cfr. A. DI MAJO, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 539 ss.; L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in AA.VV., Il principio di buona fede, Giornata di studio (Pisa, 14 giugno 1985), Milano, 1987, p. 16.; M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, II, in Il Codice civile. Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1999, p. 165 ss. ; G. ALPA, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in Vita not., 2002, p. 611 ss.; M. FRANZONI, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1999, p. 89 ss.; P. GALLO, Buona fede oggettiva e trasformazioni del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, p. 239 ss.; F.D. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 537 ss.

44 Cfr. G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 36, secondo cui “la precettistica concorrenziale (extracontrattuale) è, in questo senso, solo negativa”.

45 Che l’illecito civile ex art. 2043 c.c. si trovi in un rapporto di c.d. sussidiarietà necessaria rispetto all’illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c. è opinione largamente diffusa in giurisprudenza: v., tra gli altri, Trib. Milano, 26 maggio 1994, in Giur. annotata dir. ind. 1994, p. 759: “Costituisce illecito – ex art. 2598 n. 3 c.c. se l’autore è un imprenditore: ex art. 2043 c.c. se l’autore non è imprenditore – l’atto con cui un soggetto, in una data situazione dominante di mercato, da solo (boicottaggio primario individua-le) o con altri (boicottaggio secondario individuabile o boicottaggio collettivo) direttamente o indiret-tamente ostacola un determinato concorrente col fine di impedirgli o di rendergli eccessivamente gra-voso l’accesso a un mercato, oppure il permanervi, con danno del soggetto passivo e senza causa di giustificazione”.

Ma v. soprattutto Cass., 25 luglio 1986 n. 4755, in Nuova giur. civ. comm., 1986, p. 386: “In relazione a comportamenti antigiuridici atti a protrarsi nel tempo, l’esperibilità dell’azione inibitoria, rivolta cioè a conseguire una pronuncia del giudice che precluda la prosecuzione dei comportamenti medesimi, non configura espressione di un principio generale dell’ordinamento, e può essere riconosciuta soltanto nella materia in cui è specificamente contemplata dalla legge. Peraltro, nell’ambito di tali materie, deve ammettersi la possibilità di una applicazione analogica della norma che preveda l’inibitoria (art. 12, comma 2, disp. prel. c.c.), con riguardo a casi simili, per i quali non si giustificherebbe una deteriore tutela del soggetto a fronte del probabile ripetersi del fatto dannoso. Pertanto, nella ipotesi di compor-tamento lesivo della sfera patrimoniale dell’imprenditore, il quale, pur difettando dei requisiti per essere qualificato come atto di concorrenza sleale, integri un illecito aquiliano, deve ritenersi esperibile l'indi-cata azione, facendo applicazione per analogia dell’art. 2599 c.c. in tema di concorrenza sleale”.

46 Cfr. F. GALGANO, Sub art. 41, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Rapporti eco-nomici, II, Bologna, 1982, p. 11 ss.; C. SANTAGATA, Concorrenza sleale e interessi protetti, Napoli, 1975, p.

Page 371: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 345

condo una concezione c.d. normativa, della correttezza professionale ai principi ispiratori del nostro ordinamento, primo fra tutti quello derivante dalla lettura della normativa antitrust italiana e comunitaria, preordinata alla salvaguardia della effettività del gioco concorrenziale e, quindi, in definitiva, della stessa libertà di concorrenza, che, in tal modo, diviene l’aspetto positivo della libertà di intra-presa47.

Sotto questo profilo, scorretto è ogni comportamento imprenditoriale che sia idoneo a falsare o compromettere la funzionalità del mercato48. Ne deriva che la disciplina della concorrenza sleale tutela indirettamente anche gli interessi dei consumatori nei confronti di comportamenti imprenditoriali che potrebbero falsare la valutazione, e quindi la domanda, dei beni o dei servizi offerti sul mer-cato49.

——— 193 ss.; P.G. JAEGER, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 133 ss., mette in rilievo come la rilettura dell’art. 2595 c.c. alla luce dell’art. 41 Cost. comporta un necessario coinvolgimento di interessi diversi da quelli degli imprenditori nel giudizio di slealtà concorrenziale.

47 Cfr. G. MINERVINI, Concorrenza e consorzi, cit., p. 7, secondo il quale la libertà di concorrenza è la stessa libertà di iniziativa economica, dal punto di vista della coesistenza di più soggetti, che ne usufrui-scono. E v. G. SANTINI, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, p. 112 ss., secondo cui l’art. 2598 c.c., limitando i modi di svolgimento della concorrenza, limita anche la libertà economica.

La raffigurazione della disciplina antitrust quale limite dei poteri economici privati è particolarmen-te evidenziata da G. AMATO, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998, spec. p. 93 ss. Sul punto, cfr. V. MAN-GINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., p. 1 ss. E v. anche A. FRIGNANI, Commento all’art. 1 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi, L. C. Ubertazzi, vol. I, Bologna, 1993, p. 96 ss.

48 Cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 79 ss.; ID., Della concorrenza sleale, cit., p. 34; M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale, cit., p. 525: “la correttezza professio-nale non è altro che un insieme di principi fondamentali attinenti al buon funzionamento dei mercati, e ricavabili essenzialmente dalle norme costituzionali in materia di attività economiche, dalla legislazione antitrust comunitaria (ora anche nazionale) e dalle norme in tema di segni distintivi e di proprietà intel-lettuale. La clausola dev’essere dunque concretizzata in coerenza con i principi generali dell’ordinamento.” Questa linea di pensiero è presente nelle elaborazioni più recenti: cfr. N. ABRIANI, G. COTTINO, La concorrenza sleale, cit., p. 277, ove viene sottolineato come attraverso la condotta sleale l’imprenditore “attenti al corretto funzionamento del mercato e alla stessa reciproca libertà di concor-renza tra imprenditori.” E v. anche V. MANGINI, Manuale breve di diritto industriale, Padova, 2001, pp. 38-39. Contra, v. F. SCIRÈ, Concorrenza sleale e sfruttamento del lavoro altrui, Milano, 1994, p. 18.

In giurisprudenza, v., da ultimo, Cass., 11 agosto 2000, n. 10684, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 1774: “Nella valutazione dei comportamenti anticoncorrenziali occorre tenere conto degli interessi collettivi concorrenti alla dinamica economica, in adesione ai principi ed ai limiti di cui all’art. 41 della Costitu-zione, finalizzati a garantire che il mercato conservi la qualità strutturale di luogo della libertà di inizia-tiva economica per tutti i suoi partecipi, ovvero per chiunque pretenda di esercitare tale iniziativa. A tal riguardo la disposizione di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. sanziona, in modo residuale rispetto alle ipotesi specifiche contemplate e descritte ai nn. 1 e 2, ogni atto che, in quanto non conforme alla correttezza professionale, sia idoneo – come da esame da condurre caso per caso – a danneggiare l’altrui azienda”.

49 Ma v. già C. SANTAGATA, Concorrenza sleale e interessi protetti, cit., p. 171 ss., il quale rilevava come l’esigenza di tutela del consumatore, emergente dal riferimento costituzionale all’utilità sociale quale

Page 372: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 346

4. — La correttezza professionale come regola deontologica della categoria imprenditoriale. Secondo le prime pronunce della Cassazione, i principi di correttezza

professionale andavano identificati con i “principi etici universalmente seguiti dalla categoria imprenditoriale, si da divenire costume”50.

In altri termini, in un’ottica che potrebbe definirsi etica o deontologica più che normativa, la correttezza del comportamento concorrenziale è stata riferita alla morale imprenditoriale o professionale. Adoperare l’etica imprenditoriale quale strumento di riduzione, in sede interpretativa, dell’area di indeterminatez-za di significato della clausola generale di correttezza professionale, è però ope-razione ermeneutica assai rischiosa sotto il profilo della certezza del diritto51.

Infatti, se l’attività cognitiva del giudice non è ancorata a parametri norma-tivi desumibili dall’ordinamento, la determinazione della slealtà concorrenziale può facilmente risolversi in un giudizio rimesso alla “personale coscienza etica del giudice”52. Questa palese constatazione, tuttavia, non è penetrata adeguata-mente nel tessuto giurisprudenziale, ove, sin dalla seconda metà del Novecento, si sono susseguite pronunce nelle quali il riferimento alla morale sociale, o, an-cor più spesso, a quella imprenditoriale, ha significato il rinvio all’opinio iudicis quale interprete dell’etica collettiva o di categoria. Comportamento sleale è, in quest’ottica, ciò che generalmente è, secondo l’apprezzamento del giudice, ritenuto scorretto dalla stessa classe, rectius, categoria imprenditoriale.

Né aiuta, in tale direzione, lo sforzo compiuto da chi ha tentato di ricon-durre i principi di correttezza professionale alla prassi commerciale, sub specie di ——— limite alla libertà di concorrenza, fosse frustrata dalla inadeguatezza della normativa codicistica tesa a garantire gli interessi imprenditoriali. Sul punto, v. amplius §§ 3 e 4.

50 Cass., 31 luglio 1957, n. 3270, in Riv. dir. ind., 1957, II, p. 219; Cass., 17 aprile 1962, n. 752, in Riv. dir. ind., 1962, II, p. 12. In dottrina, v. G. AULETTA, V. MANGINI, Della concorrenza, in Comm. cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1973, p. 171, i quali però si rifanno alla “coscienza collettiva di tutto il popolo”; C. PASTERIS, La correttezza nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 125 ss., secondo cui il fondamento morale della normativa di correttezza dovrebbe valutarsi “con riferi-mento alla cosiddetta morale sociale, cioè alla coscienza morale dominante in un certo ambiente, in una certa società; nel nostro caso alla morale sociale professionale (la qualificazione è della stessa legge) e cioè alla coscienza morale dominante nell’ambito dell’attività di impresa, il che si traduce nelle regole di deontologia professionale proprie dell’ambiente e che hanno appunto un fondamento etico”.

51 In argomento, seppure in una prospettiva disancorata dal problema che esaminiamo, v. l’ottimo studio di F. ROSELLI, Il controllo della Cassazione civile sull’uso delle clausole generali, Napoli, 1983, spec. p. 211 ss. V. anche S. CHIARLONI, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, p. 1 ss.; R. GUASTINI, Principi di diritto e discrezionalità giudiziale, in Clausole e principi generali, cit., p. 85 ss.; M. BIN, Il precedente giudiziario. Valore e interpretazione, Padova, 1995.

52 Cfr. T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 253, il quale, per sfuggire all’arbitrio del giudice, suggeriva il ricorso ai costumi imprenditoriali, pur tradotti in pratica osservata.

Page 373: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 347

costume o di uso in senso tecnico (c.d. tesi fenomenologica)53. È facile, infatti, obiettare che, secondo una tesi già formulata in dottrina, si tratterebbe pur sem-pre di un costume commerciale eticamente qualificato54.

Inoltre, se tuttavia si volesse limitare l’arbitrio del giudice rilevando come tale qualificazione sia rimessa all’opinione dell’ambiente professionale, si do-vrebbe pur sempre ricavare la predetta opinione da indici obbiettivi, quale, ad esempio, un’indagine statistica (tecnico aziendale e/o sociologica), ovvero, co-me pur di recente è stato prospettato, da codici deontologici di categoria, quale il codice di autodisciplina pubblicitaria55.

La verità è che l’interpretazione dell’art. 2598 n. 3 c.c. è stata per lungo tempo influenzata dal disposto del già richiamato art. 10-bis della Convenzione Internazionale d’Unione per la tutela della proprietà industriale, norma che fa riferimento agli usi onesti in materia industriale e commerciale per qualificare l’atto di concorrenza sleale in linea generale, e che si ritiene dalla prevalente dottrina so-stanzialmente identica a quella di cui all’art. 2598 c.c.56.

L’orientamento che si rifà ai costumi imprenditoriali per rinvenire il limite di liceità di una condotta concorrenziale si contraddistingue per un’impronta marcatamente corporativa, che esclude la considerazione di interessi tutelabili

——— 53 Cfr. R. FRANCESCHELLI, Studi riuniti di diritto industriale, Milano, 1959, p. 355 ss.; G. SANTINI,

Concorrenza sleale ed impresa, in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 134 s.; T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 209.

54 Cfr. L. MOSCO, La concorrenza sleale, Napoli, 1956, p. 147; M. ROTONDI, Diritto industriale, 5a ed., Padova, 1965, p. 484 ss.; M. CASANOVA, voce Concorrenza, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, p. 999.

Cfr. App. Milano, 16 gennaio 1981, in Riv. dir. ind., 1982, II, p. 306: “ Il concetto di correttezza professionale non si identifica con quello di conformità ad una consuetudine storicamente determinata, ma va inteso nel senso di aderenza ad un principio etico universalmente seguito dalla categoria dei commercianti, con la conseguenza che la diffusione di un dato comportamento nella concorrenza fra imprese non implica necessariamente che esso debba essere valutato come corretto”. V. anche Trib. Catania, 15 maggio 1990, in Giur. ann. dir. ind., 1990, p. 524; Cass., 4 luglio 1985, n. 4029, in Giur. ann. dir. ind., 1985, p. 83; Cass., 15 dicembre 1983, n. 7399, in Giur. ann. dir. ind., 1983, p. 212.

55 In tal senso, da ultimo, v. Cass., 15 febbraio 1999, n. 1259, in Corr. giur., 1999, p. 1118 ss. In ar-gomento, v. P. GIUDICI, Autodisciplina pubblicitaria e concorrenza sleale: una recente decisione della Suprema Cor-te, in Riv. dir. ind., 1999, II, p. 186 ss.; B. GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e profili di diritto concorrenzia-le, in Resp. com. impr., 2001, p. 419 ss., spec. p. 431 ss. L’ultima edizione del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria italiana, elaborato dallo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria), è la quarantesima, in vigore dal 20 aprile 2006 (la prima edizione è del 12 maggio 1966).

56 R. FRANCESCHELLI, Studi sulla concorrenza sleale. IV. La fattispecie, cit., p. 261, secondo cui “L’art. 2598 è stato concepito e costruito sulla base dell’art. 10-bis del testo dell’Aja della Convenzione di U-nione, e quindi si compone di un principio generale, che è quello che, con capovolgimento delle posi-zioni logiche, è contenuto nel n. 3 che rinvia ai principi della correttezza professionale, e di varie appli-cazioni concrete o casi tipici di tale principio generale, quello contenuto appunto nei numeri 1 e 2 dell’articolo”.

Page 374: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 348

diversi da quelli del ceto imprenditoriale di un determinato mercato di riferi-mento57. Ciò in coerenza con tutta l’impostazione, assai efficacemente definita “statica e corporativa”, che era ritenuta propria della disciplina della concorren-za sleale58; ed in effetti, se si guarda, ad esempio, alla vecchia interpretazione del divieto di atti di denigrazione ex art. 2598 n. 2 c.c., che, anteriormente alla no-vella di cui al d.lgs. n. 67/2000, recepita nell’art. 22 del codice del consumo, por-tava ad escludere la liceità della pubblicità comparativa59, si aveva netta la sensa-

——— 57 Cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 59 ss., spec. p. 70 ss., il qua-

le mette in luce come il passaggio dalla disciplina unionista a quella codicistica, nonostante la sostanzia-le diversità del ruolo dello Stato nell’economia, significò la consacrazione istituzionale degli interessi del ceto imprenditoriale (dei gruppi dominanti, egemoni anche all’interno delle associazioni professio-nali legittimate ad agire contro i propri appartenenti ex art. 2601 c.c.) quale interessi collettivi (primari generali) della nazione, ed in questo senso, l’art. 2595 c.c., secondo cui “la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale”, “aveva la sola funzione di ribadire che i singoli imprenditori non potevano, per contingenti interessi privati, agire in contrasto con la legge di classe, fatta propria dallo Stato” (ivi, p. 78).

58 V. DONATIVI, Introduzione storica, in Diritto antitrust italiano, vol. I, cit., p. 62 ss. 59 L’atteggiamento giurisprudenziale tralatizio era quello di ammettere l’astratta liceità della pub-

blicità comparativa, salvo però che la stessa non fosse effettuata in modo incompleto, subdolo o tendenzioso: cfr., ex pluribus, Cass., 29 maggio 1978, n. 2692, in Giur. it., 1978, 1, c. 2297 ss.; Cass., 2 aprile 1982, n. 2020, in Giur. ann. dir. ind., 1983, n. 1585; App. Torino, 28 marzo 1984, in Le Società, 1984, p. 1013 ss.

Tuttavia, come è stato rilevato (G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 176), “il criterio della tendenziosità veniva per lo più assunto in un significato tale da rendere rarissima, se non da escludere, la possibilità di qualificare non tendenziosa, e quindi lecita, una comparazione commerciale”.

Ma v. in senso esplicitamente contrario alla pubblicità comparativa, ad esempio, App. Torino, 30 aprile 1997, in Dir. ind., 1997, p. 1039, secondo cui “posto che la divulgazione di notizie false è sempre illecita, non vale automaticamente il contrario perché il legislatore non ha distinto fra notizie vere e false. Ed invero, nonostante la veridicità delle notizie, può esservi denigrazione proprio perché l’imprenditore interessato si viene a sostituire al pubblico nella formulazione di quel giudizio che inve-ce a quest’ultimo dovrebbe essere riservato, di talché anche la diffusione di circostanze e di notizie vere idonee a gettare discredito sui prodotti o sull’attività dell’impresa concorrente è atto illecito non con-forme ai principi della correttezza professionale”.

Sulla stessa linea, v. Trib. Bologna, 12 novembre 1997, in Giur. ann. dir. ind., 1997, p. 3680, e App. Perugia, 20 ottobre 1990, in Riv. dir. ind., 1991, II, p. 199. Fa invece eccezione Cass., 3 agosto 1987, n. 6682, in Giur. ann. dir. ind., 1987, n. 2103.

La distinzione fra denigrazione e comparazione e la liceità di un raffronto, attraverso la pubblicità, corretto ed obbiettivo tra i prodotti e/o le attività comparate, fu affermata per primo da G. Ghidini, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano, 1968, p. 141 ss., spec. p. 145 ss., secondo il quale “se la tutela dell’iniziativa economica privata ed il regime di concorrenza si giustificano, dal punto di vista costituzionale, sul presupposto dell’utilità generale insito nella competizione commerciale basata sui miglioramenti qualitativi apprestati al proprio prodotto, altrettanto deve essere giustificato il diritto di ogni imprenditore di mettere pubblicamente in risalto le carenze dei prodotti altrui con ciò infor-mando i consumatori e contribuendo a quella trasparenza del mercato da cui il pubblico non può che trarre vantaggi”.

Per un quadro di sintesi della questione, cfr. M. FUSI, Concorrenza sleale e pubblicità, in Dir. ind., 1994, p. 863 ss.

Page 375: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 349

zione che l’interesse dei consumatori alla correttezza e veridicità dell’informa-zione pubblicitaria fosse del tutto negletto60.

Si è già accennato al fatto che la concezione c.d. normativa della correttez-za professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. presuppone un’operazione di autointegra-zione del sistema: i principi che valgono a qualificare un comportamento con-correnziale come lecito devono, cioè, ricavarsi dalle norme poste a garanzia del-la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost.

È stato, al riguardo, assai opportunamente rilevato come la coerenza inter-na dell’ordinamento giuridico imponga l’abbandono definitivo della tesi secon-do cui le regole deontologiche che conformano la condotta concorrenziale sono interne alla stessa categoria imprenditoriale, tramite il riferimento agli usi o alla prassi commerciale61.

Se, infatti, il bene giuridico protetto dalla disciplina sulla concorrenza sleale non è individuato nella clientela62, nell’avviamento63 o nell’azienda64 (teorie c.d. patrimoniali) né in un diritto soggettivo di personalità (diritto all’astensione da parte di un imprenditore concorrente dagli atti qualificati di concorrenza slea-le)65, bensì nella effettività del gioco concorrenziale, appare non persuasivo ritenere

——— In tempi recenti, v. l’interpretazione restrittiva del Giurì di autodisciplina pubblicitaria dell’art. 15

comma 2 del C.A.P., con la decisione dell’ 11 febbraio 2000, in Dir. ind., 2000, p. 374 : “Premesso che il comma 2 dell’art. 15 del c.a.p., che ammette la pubblicità comparativa purché essa non causi discredito o denigrazione, deve essere interpretato nel senso che il discredito che rende illegittimo il messaggio non è quello che deriva inevitabilmente dal fatto di mettere in risalto pregi o vantaggi del prodotto o del servizio pubblicizzato rispetto agli altri prodotti o servizi ma è quello non giustificato dall'utilità di illustrare, sotto l’aspetto tecnico o economico, le caratteristiche e i vantaggi dei beni o servizi pubblicizzati, causa illegitti-mo discredito agli agenti di assicurazione fingere con il messaggio di rivolgersi a quelli che non sopportano gli assicuratori per convincerli a stipulare la polizza telefonicamente perché in tal modo l’annuncio accredi-ta un vero o supposto pregiudizio negativo nei confronti degli agenti di assicurazione e fa leva su tale pre-giudizio sia per richiamare l’attenzione dei lettori sia per mettere in risalto la specifica caratteristica della polizza pubblicizzata che pertanto viene pubblicizzata più per il fatto di evitare gli inconvenienti derivanti dall’intermediazione degli agenti che non per i suoi vantaggi positivi”.

60 In tal senso, cfr. M. CASANOVA, Impresa e azienda, in Tratt. dir. civ. it. diretto da F. Vassalli, vol. X, t. I, fasc. 1, Torino, 1974, p. 657, che rilevava l’intento protezionistico della normativa sulla concorren-za sleale. In argomento, v. GIUS. ROSSI, voce Pubblicità comparativa, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Aggiorna-mento, I, Torino, 2000, p. 656 ss.

Sull’evoluzione della disciplina della concorrenza sleale, “dalla matrice corporativa agli interessi del mercato”, v. G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 165 ss.

61 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 518. 62 G. AULETTA, Azienda. Opere dell’ingegno ed invenzioni industriali. Concorrenza, in Comm. cod. civ. a cura

di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1961, p. 26. 63 P. GRECO, Corso di diritto commerciale, Impresa-Azienda-Società, Milano, 1959, p. 240 s. 64 F. FERRARA jr., Teoria giuridica dell’azienda, Milano, 1948, p. 122. 65 È la nota tesi di T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 205; contra, v. G.

SANTINI, I diritti della personalità nel diritto industriale, cit., p. 112: “Non esiste, dunque, un diritto assoluto

Page 376: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 350

che la slealtà della competizione economica possa dipendere da un giudizio tut-to interno a coloro che di quella competizione sono gli artefici principali.

Il costume correntemente posto in essere dagli imprenditori di un dato set-tore merceologico, infatti, finirebbe per giustificare come professionalmente corrette, e quindi lecite, tutte quelle condotte concorrenziali che siano approvate dalla maggioranza dei produttori di beni o servizi – o dai più influenti di essi sul mercato – in un dato momento storico, connotando in tal modo di “corporati-vismo” il giudizio di slealtà ex art. 2598 n. 3 c.c.

In altri termini, il processo di eterointegrazione del sistema, attraverso il rinvio a fonti extranormative esterne, porta con sé il germe di un intento prote-zionistico, che ignora i valori espressi nei principi normativi posti a presidio del-la libertà di concorrenza nel mercato, primi fra tutti quelli contenuti nella nor-mativa antitrust66.

La critica che è stata mossa dalla dottrina alla concezione della correttezza professionale quale prassi imprenditoriale si è svolta anche sul piano della diffi-coltà della rilevazione empirica del fenomeno67, sottolineando come il richiamo all’etica professionale implichi valutazioni deontiche diverse e/o confliggenti in ragione dei diversi interessi di cui sono portatori gli stessi soggetti del rapporto di concorrenza68.

Da questo punto di vista, la non univocità delle valutazioni etico professio-nali porta quasi sempre a privilegiare gli interessi delle imprese dominanti su quelli delle piccole e medie imprese69.

——— all’astensione degli altri concorrenti da atti sleali e tanto meno un diritto della personalità al riguardo; esiste, molto più semplicemente, un dovere assoluto di tutti i concorrenti di astenersi dagli atti sleali, dovere che si rivolge anche, e nello stesso modo, al titolare del presunto diritto.”

66 Cfr. G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., pp. 171-172. 67 L. C. UBERTAZZI, I principi della correttezza professionale: un tentativo di rilevazione empirica, in Riv. dir.

ind., 1975, I, p. 105 ss., secondo cui la giurisprudenza, nell’attività di rilevazione delle valutazioni im-prenditoriali, non si è avvalsa della collaborazione di alcun consulente tecnico d’ufficio, basandosi inve-ce sulla personale conoscenza del magistrato (fatto notorio ex art. 115, comma 2, c.p.c.).

68 G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 177 ss. E v. già G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 100 ss.

Cfr. P.G. JAEGER, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 69, che sottolineava come la giurisprudenza non si fosse mai preoccupata di ricostruire le consuetudini vigenti nelle catego-rie imprenditoriali o di esaminare le valutazioni prevalenti nelle categorie stesse, onde controllare se il proprio giudizio apparisse conforme a tali valutazioni. Cfr. anche P. MARCHETTI, Il paradigma della corret-tezza professionale nella giurisprudenza di un ventennio, cit., p. 208.

69 Cfr. G. GHIDINI, La concorrenza sleale, cit., p. 262, che osserva anche come “gli interessi collettivi possono trovarsi dalla parte ora dell’una ora dell’altra categoria (non potendosi escludere che certe pra-tiche delle grandi imprese assicurino talora ai consumatori maggiori vantaggi). Sono questi i casi, ad es., della concorrenza parassitaria e della violazione di eclusiva, alla cui repressione sono favorevoli gli inte-

Page 377: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 351

Senza contare l’ulteriore rilievo, secondo cui la consuetudine imprenditoria-le varrebbe unicamente quale causa di giustificazione di un comportamento concorrenziale lecito, ma non quale criterio identificativo di una condotta illecita (c.d. uso negativo)70.

5. — La correttezza professionale come principio normativo coerente al sistema economi-

co e l’art. 41 Costituzione. È di Marchetti la prima formulazione della tesi della correttezza professio-

nale come regola di comportamento coerente al sistema economico, nel tentativo di affran-care il giudizio di slealtà concorrenziale dai condizionamenti delle tesi etiche e/o fenomenologiche.

Più precisamente, il modello normativo cui fare riferimento per qualificare il comportamento imprenditoriale viene rinvenuto nei principi generali dell’ordi-namento in materia di buon funzionamento dei mercati, attraverso un collega-mento sistematico tra disciplina (allora solo comunitaria) antitrust e disciplina della concorrenza sleale.

Sotto questo profilo, la valutazione della condotta concorrenziale da parte del giudice riposa non già sulla sua sensibilità morale o sulla rilevazione delle va-lutazioni morali operate in un determinato ambiente, bensì sull’interpretazione del modello di economia di mercato che si deve assumere quale paramentro fondamentale di giudizio.

Ne deriva che il giudizio di slealtà concorrenziale non è più un giudizio morale, ma un giudizio di conformità ad un modello economico che si ritiene ottimo e cioè al sistema della libera concorrenza. In questa nuova prospettiva, le regole della correttezza professionale sono identificabili con le regole di com-portamento coerenti ad un dato sistema economico71.

L’approccio più significativo al tema che ci occupa, nell’alveo della conce-zione normativa della correttezza professionale, si deve però a Gustavo Ghidini, il quale ha riletto l’art. 2598 c.c. alla luce dei principi della costituzione economi-——— ressi delle imprese leaders, contrari quelli delle piccole e medie imprese nonché, di massima, quelli dei consumatori”.

70 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 521. Ma v., in proposito, le osservazioni di G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 282.

71 P. MARCHETTI, Il paradigma della correttezza professionale nella giurisprudenza di un ventennio, cit., p. 214 ss.; ID., Boicottaggio e rifiuto di contrattare, Padova, 1969, p. 237. Ma v. le critiche di C. SANTAGATA, Concorrenza sleale e interessi protetti, cit, p. 86 ss.

Page 378: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 352

ca, che permettono al giudice di qualificare come leciti ovvero illeciti i conflig-genti modelli professionali di comportamento concorrenziale, frutto delle diver-se scelte oggettive di politica imprenditoriale72.

Sotto questo profilo, innanzitutto è chiarito come l’art. 41, 1° comma Cost., sancendo che “l’iniziativa economica privata è libera”, si risolve non già in un mero riconoscimento di un diritto dei singoli imprenditori ad accedere e rima-nere sul mercato, bensì, attraverso l’innesto nell’ordinamento, su un piano sostan-zialmente costituzionale, della disciplina antitrust comunitaria (artt. 81 ss. Trattato CE), nella esplicita garanzia del “mantenimento di una struttura fondamentalmente concorrenziale del mercato” ed al “perseguimento di una funzionalità del mercato di stampo concorrenziale (pur imperfetto) piuttosto che monopolistico”73.

Ma per dare un contenuto concreto alla clausola generale della correttezza professionale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. è necessario individuare i criteri-limite della liceità della concorrenza e, quindi, della libertà di intrapresa.

Orbene, è l’art. 41 2° comma Cost., che surroga l’art. 2595 c.c.74, ad offrire all’interprete tali criteri, affermando che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”75.

——— 72 G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., pp. 79 ss., 94 ss. Nel solco traccia-

to da Ghidini, v. anche G. FLORIDIA, Correttezza e responsabilità dell’impresa, Milano, 1982, p. 239 ss. Il criterio ordinatore per l’interprete dei comportamenti concorrenziali, al fine di misurarne la coerenza con gli interessi garantiti dalla costituzione economica, è individuato da Ghidini in riferimento alla fun-zione imprenditoriale delle attività economiche. Egli distingue così fra le attività riconducibili alla fun-zione distintiva dell’impresa (atti confusori ex art. 2598 n. 1 c.c.), alla funzione promozionale (atti deni-gratori, di appropriazione di pregi – art. 2598 n. 2 c.c. – e di pubblicità menzognera), alla funzione di-stributiva (violazione di esclusiva, manovre di prezzo, boicottaggio), alla funzione di politica del perso-nale (storno di dipendenti e agenti), alla funzione di ricerca-sviluppo (abuso di segreti, concorrenza dell’ex dipendente, concorrenza parassitaria): cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione econo-mica, cit., p. 142 ss.; ID., Della concorrenza sleale, cit., pp. 94 ss., 110 ss., 193 ss., 273 ss.

73 G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 87 ss.; ID., Della concorrenza sleale, cit., p. 34; ID., Note sull’evoluzione della disciplina italiana della concorrenza sleale alla luce dei principi antitrust, in Riv. dir. ind., I, 2002, p. 426 ss.

In senso conforme, v. A. FRIGNANI, Commento all’art. 1 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 100: “Il riferimento all’art. 41 Cost. costituisce una specificazione che il man-tenimento di una struttura concorrenziale del mercato è un interesse costituzionalmente protetto”.

Cfr., sull’argomento, anche A. LISERRE, Tutele costituzionali della autonomia contrattuale, Milano, 1971, p. 86 ss.

74 Cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 75 ss. e p. 83, spec. nota 11.; ID., Della concorrenza sleale, cit., p. 29 ss.; P.G. JAEGER, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 130 ss.; contra, v. C. SANTAGATA, Concorrenza sleale e interessi protetti, cit., p. 313 ss.; P. MAR-CHETTI, Boicottaggio e rifiuto di contrattare, cit., p. 211 ss.

75 Cfr. V. MANGINI, La vicenda dell’antitrust: dallo Sherman Act alla legge italiana n. 287/90, cit., p. 177.

Page 379: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 353

Il principio dell’utilità sociale, in particolare, impone di tenere in considera-zione le situazioni di conflitto tra interessi imprenditoriali ed interessi extraim-prenditoriali. In altri termini, l’attuazione di questo principio richiede la sovra-ordinazione, rispetto all’interesse particolare dei singoli imprenditori, non sol-tanto dell’interesse generale alla funzionalità e all’efficienza del mercato in senso concorrenziale, ma altresì la prevalenza dell’interesse dei consumatori come a-spetto primario della funzionalità del mercato da parte della domanda.

In questa prospettiva, l’iniziativa economica esercitata senza pregiudizio dell’utilità sociale postula la garanzia di alternative di scelta individuale da parte del consumatore. In ciò si concreta anche, come ha sottolineato Natalino Irti, il rispetto della libertà umana di cui all’art. 41, 2° comma Cost., la quale “consiste propriamente nella libertà di scelta, nella capacità di adottare una decisione consapevole”76.

Il problema fondamentale, che è necessario affrontare per individuare le ipotesi concrete di concorrenza sleale è allora quello dell’individuazione degli indici normativi (di rango ordinario) ricavabili dalla costituzione economica, alla cui stregua valutare la correttezza della condotta imprenditoriale77.

6. — Il quadro dei principi normativi espressivi della correttezza professionale come

attuazione del valore costituzionale dell’utilità sociale. Se la illiceità dell’atto concorrenziale, cioè la contrarietà ai principi della

correttezza professionale, significa violazione del valore costituzionale dell’utilità sociale, che costituisce il limite allo svolgimento dell’iniziativa economica priva-ta78, la concretizzazione di quel valore passa necessariamente dalla individuazio-ne della normativa che mira a tutelare la libertà di concorrenza.

Orbene, gli artt. 81 ss. del Trattato CE, così come la l. 287/1990, tracciano le linee della disciplina antimonopolistica che esprime il modello di economia di mercato da salvaguardare.

I principi della correttezza professionale non possono allora che coincidere con gli stessi principi della normativa antitrust, essenzialmente perché un com-

——— 76 N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 71. 77 G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 102 ss. 78 Cfr. G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., pp. 35-36, secondo cui i principi espressi dalla costi-

tuzione economica agiscono come criteri-limite e non come criteri-indirizzo della libertà di concorren-za; ID., Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 91. Contra, P.G. JAEGER, Valutazione compara-tiva di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 101.

Page 380: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 354

portamento concorrenziale leale presuppone, e al tempo stesso implica, il man-tenimento di un (efficiente) regime di coesistenza di più imprese79.

In questo senso, la disciplina antitrust è strumento di realizzazione del prin-cipio-limite di carattere costituzionale della utilità sociale.

L’art. 1 della l. 287 del 1990, infatti, dichiara di attuare l’art. 41 Cost., “a tutela e a garanzia del diritto di iniziativa economica”80. D’altro canto, già l’analisi economica del diritto della concorrenza condotta

dagli epigoni della scuola harvardiana dell’economia industriale, dimostrò che l’efficienza produttiva e, quindi, il risultato economico delle imprese, dipende dal comportamento di venditori ed acquirenti, che a sua volta dipende dalla struttura del mercato, onde tra i fini della politica antitrust rientra a pieno titolo l’indicazione di standards di comportamento leale81.

In altri termini, può dirsi che tramite la tutela della struttura concorrenziale del mercato si raggiunge il benessere sociale, ovverosia l’efficienza allocativa, l’efficienza produttiva e l’innovazione, che contraddistinguono il funzionamento della c.d. workable competition82.

Sotto questo profilo, compito delle normative antitrust è quello di control-lare le condotte d’impresa volte a limitare ingiustificatamente l’attività dei con-———

79 Cfr. R. ALESSI, G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 3 ss., se-condo cui, poiché la libertà individuale d’intrapresa non è condizione sufficiente a garantire la presenza di una pluralità di imprenditori o comunque la mancanza di un rilevante potere di mercato di alcuni degli operatori, può risultare compressa la concorrenza in senso soggettivo quando essa si traduca in comportamenti che contrastano con un bene di rango superiore, e cioè la concorrenza in senso ogget-tivo.

80 Cfr. G. OPPO, Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. dir. civ., 1993, II, p. 543, il quale però nota lo “strabismo costituzionale” dell’art. 1, l. 287/1990, atteso che i divieti di abuso di posizione dominante e di intese e pratiche restrittive della concorrenza, ponendosi come limiti alla libertà di iniziativa economica privata, non possono considerarsi posti a garanzia della libertà medesi-ma, ma solo a garanzia di valori che la sovrastano, cioè della utilità sociale. All’opposto G. BERNINI, Un secolo di filosofia antitrust, Bologna, 1991, p. 319, sottolinea come il riferimento che la l. n. 287/1990 fa all’art. 41 Cost., proclamandosene attuazione, non sarebbe esatto, poiché “una legge che tutela la liber-tà di concorrenza non può essere citata quale limite alla libertà di iniziativa economica”. Sul punto, v. M. PINNARÒ, Diritto di iniziativa economica e libertà di concorrenza. Di talune ellissi e pleonasmi nella legge antitrust n. 287 del 10 ottobre 1990, in Giur. comm., 1993, p. 430.

In argomento, v. R. NIRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994; C. PICCIOLI, Contributo all’individuazione del fondamento costituzionale della normativa a tutela della concorrenza (c.d. legge anti-trust), in Riv. trim. dir. pubblico, 1996, p. 29 ss.; G. AMATO, Il mercato nella Costituzione, in Quaderni costitu-zionali, 1992, p. 12 ss.

81 Cfr. R. VAN DEN BERGH, L’analisi economica del diritto della concorrenza, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 17 ss.

82 Cfr. V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., p. 4 ss.

Page 381: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 355

correnti, nonché a creare, rafforzare e sfruttare situazioni di mercato che con-sentano loro di praticare, direttamente o indirettamente, prezzi o altre condizio-ni contrattuali deteriori per i contraenti, rispetto a quelle che si avrebbero in un contesto di mercato concorrenziale83.

Questa derivazione dei principi della correttezza professionale dal diritto antitrust, sulla base dell’art. 41 Cost., ha recentemente portato la dottrina a defi-nire professionalmente scorrette “quelle azioni concorrenziali che non possono trovare risposta adeguata da parte di un concorrente efficiente e che, pertanto, impediscono la normale continuazione del gioco concorrenziale”, come ad esempio, la vendita sotto costo, che consente a chi pratica un prezzo predatorio di espellere dal mercato imprese an-che di normale efficienza, tranne il caso che sia giustificata da esigenze tempo-ranee di organizzazione aziendale o di tipo promozionale84.

D’altro canto, anche la giurisprudenza della Cassazione sembra avere pre-stato convinta adesione alla concezione normativa della correttezza professionale, come quando ha affermato che il suddetto criterio, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c.,

“non deve essere più ricondotto, come in passato si è fatto, ad una visione corporativa che finirebbe con il legittimare una categoria professionale ad elaborare propri sistemi di riferimento generale imponendoli alla collettività, ma deve essere ricondotto alla no-zione di concorrenza ed alla sua posizione anche costituzionale nel sistema per dare luogo ad un valore-guida, la libertà di concorrenza, da considerare leso ogni qualvolta l’equi-librio delle condizioni del mercato venga compromesso fuori delle ipotesi espressa-mente previste dalla legge o fuori delle funzioni alle quali le eccezioni stesse debbono rispondere”85. Dal punto di vista della tutela degli interessi dei consumatori, poi, la legge

antitrust italiana vi presta attenzione non soltanto quando consente l’autorizza-zione di pratiche e intese restrittive nei casi in cui il sacrificio della concorrenza sia compensato da un beneficio sostanziale dei consumatori, in termini di mi-glioramento quantitativo e qualitativo della produzione ovvero di progresso tecnico o tecnologico (art. 4, 1° comma, l. n. 287/1990), ma altresì quando rico-nosce “a chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentati-ve dei consumatori”, la facoltà di denunciare all’Autorità garante della concor-———

83 F. DENOZZA, Antitrust, Leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori nella CEE e negli USA, Bolo-gna, 1988, p. 18.

84 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 528 ss.

85 Cass., 26 novembre 1997, n. 11859, cit.; sulla stessa linea v. Cass., 11 agosto 2000, n. 10684, cit.

Page 382: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 356

renza e del mercato eventuali violazioni del divieto di intese e di abuso di posi-zione dominante (art. 12, 1° comma, l. n. 287/1990)86.

Ma se si riconosce che l’interesse dei consumatori trova accoglienza nella normativa antitrust quale interesse al mantenimento di una struttura concorren-ziale efficiente, ciò significa che una concorrenza socialmente utile, ex art. 41, 2° comma Cost., è quella che non danneggi il consumatore, ovvero il suo diritto a scegliere tra offerte di-versificate di prodotti che mirino al miglior rapporto qualità/prezzo.

Ciò dovrebbe portare come logico corollario, ad ammettere altresì la legit-timazione attiva del singolo consumatore (o meglio, delle associazioni rappre-sentative dei consumatori) ad agire innanzi alla Corte d’Appello ex art. 33, l. n. 287/1990 per ottenere la nullità di accordi restrittivi della concorrenza ed il con-seguente risarcimento del danno, come nella tipica ipotesi di sovrapprezzo mo-nopolistico dall’intermediario successivamente trasferito a carico del consuma-tore finale87. In realtà questa conseguenza è stata già tratta dalle decisioni della Suprema Corte, che, di recente, ha ribadito in più occasioni come la legge anti-trust è invocabile da chiunque – ivi compreso il consumatore – abbia interesse al rispetto delle regole del gioco concorrenziale (interesse alla conservazione del carattere competitivo del mercato)88.

Ed ancora, se si ritiene che la salvaguardia di un regime di concorrenza “praticabile” sia anche la ratio ispiratrice della disciplina sulla concorrenza sleale, è giocoforza concludere che quegli stessi interessi dei consumatori entrino in gioco, sia pure indirettamente, tutte le volte che si giudichi di un illecito ex art. 2598 c.c., dal momento che il profilo qualificatorio della slealtà della condotta concorrenziale, basandosi sul rinvio ai principi della correttezza professionale, implica la necessità di tenere in considerazione, per la determinazione concreta di quei principi, non solo la normativa antitrust, ma anche quella che in via diretta tutela il consumatore.

Ciò emerge soprattutto dalle recenti linee evolutive del sistema, culminate ———

86 Il riferimento all’interesse dei consumatori nelle norme antitrust del Trattato CE è all’art. 82 lett. b), che indica, fra i casi di sfruttamento abusivo di posizione dominante, quello consistente “nel limita-re la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori” (v . art. 3, lett. b, l. 287/1990). In argomento, v. P. CASSINIS, P. FATTORI, Disciplina antitrust, funzionamento del mercato e interesse dei consu-matori, in I diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di G. Alpa e V. Levi, Milano, 2001, p. 185 ss.; G. AL-PA, La giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 725 ss.

87 Sul punto, v. L. NIVARRA, La tutela civile: profili sostanziali, in Diritto antitrust italiano, cit., vol. II, p. 1452 ss., che nota tuttavia come il danno da sovrapprezzo sia di difficile accertamento e distribuito tra una miriade di soggetti, col rischio che l’impresa già condannata al risarcimento nei confronti dell’in-termediario, alla fine venga penalizzata ben al di là delle sue colpe.

88 Cfr., infra, cap. 3, § 3.

Page 383: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 357

nella redazione del codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che agli artt. 33-38 individua le clausole vessatorie nei contratti stipulati tra profes-sionista e consumatore sancendone la nullità, ed esplicitamente afferma, nell’art. 39, sotto la rubrica Regole nelle attività commerciali, che

“Le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di cor-rettezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consu-matori” (il corsivo è nostro). Inoltre, l’art. 2, comma 2, lett. c) del codice del consumo sancisce espres-

samente il diritto fondamentale dei consumatori e degli utenti ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, così come reso esplicito nei successi-vi artt. 18-32 dello stesso codice, in materia di pubblicità ingannevole e compa-rativa.

D’altro canto, la pubblicità scorretta – e si pensi anche alla rilevanza attuale della pubblicità via Internet89 – qualifica positivamente la clausola generale della correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c., tutte le volte in cui danneggi (rec-

——— 89 Cfr. Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in Riv. dir. ind., 1999, II, p. 41: “la diffusione di un messaggio

promozionale via Internet (che si sostanzi: nell’uso di segni distintivi appartenenti ad altra azienda, in forma tale da ingenerare confusione sulla effettiva provenienza dei prodotti; nella attribuzione ai propri prodotti di qualità appartenenti in via esclusiva ai prodotti di un concorrente; nella presentazione come proprio, di un catalogo di fotografie appartenente ai prodotti di un concorrente; infine nella diffusione di notizie riservate, concernenti l’organizzazione e i metodi di produzione dell’impresa concorrente) è attività di concorrenza sleale, sia sotto il profilo confusorio, sia sotto il profilo della violazione dei prin-cipi della correttezza professionale”.

V. anche AGCM, 27 marzo 1997, n. 4820, in Dir. ind., 1997, p. 1064 (con nota di S. STABILE, La pubblicità in Internet), secondo cui non solo Internet è, e deve essere considerato, un veicolo pubblicita-rio, ma, altresì, “in considerazione della particolarità di Internet come veicolo pubblicitario, la circo-stanza che il titolare del sito sia persona diversa dall’operatore pubblicitario non esclude una responsa-bilità di quest’ultimo per le notizie e le informazioni diffuse a promozione della propria immagine”.

In argomento, v. A. VALERIANI, La direttiva 97/7 CE in materia di vendita a distanza e la pubblicità via Internet, in Dir. inf., 1999, p. 189 ss., spec. p. 208 ss.

La natura del c.d. domain name quale segno distintivo atipico, ora ammessa dalla prevalente giuri-sprudenza, pone inoltre il problema della sua tutela ex art. 2598 c.c.: v. Trib. Roma, 18 luglio 2000, in Dir. inf., 2001, p. 35, secondo cui “i nomi a dominio su Internet sono tutelabili a mezzo delle norme del codice civile che disciplinano la concorrenza”.

In argomento, cfr. E. TOSI, Nomi di dominio e tutela dei segni distintivi in Internet tra domain grabbing, lin-king, framing e meta-tag, in Riv. dir. ind., 2000, II, p. 168 ss.; ID., Domain grabbing, linking, framing e utilizzo illecito di meta-tag nella giurisprudenza italiana: pratiche confusorie on line vecchie e nuove tra contraffazione di marchio e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 2002, II, p. 371 ss.; S. NESPOR, A.L. DE CESARIS, Internet e la legge, 2a ed., Milano, 2001, p. 148 ss.; P. CERINA, Il diritto industriale 10 anni dopo. Il punto su… Internet, in Dir. ind., 2002, p. 351 ss.; F. TERRANO, La tutela del valore distintivo nell’era di Internet: il domain name come segno distin-tivo, in Dir. ind., 2002, p. 151 ss.; S. PERON, Concorrenza sleale on line: rassegna di giurisprudenza, in Riv. dir. ind., 2002, II, p. 73 ss.

Page 384: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 358

tius: sia idonea a danneggiare) l’imprenditore concorrente, ed in tal senso, le definizioni di pubblicità ingannevole e comparativa contenute nell’art. 20 del codice del consumo, specificano o tipizzano il comportamento scorretto san-zionabile90.

Proprio il riferimento alla normativa pubblicitaria esprime poi la rilevanza fondamentale per la tutela della corretta formazione della domanda di beni o servizi, e quindi per la tutela del regolare funzionamento del mercato, dell’infor-mazione fornita dalle imprese al consumatore, atte ad influenzare le sue scelte di acquisto.

Il riferimento costituzionale alla dignità, libertà e sicurezza della persona, quale limite allo svolgimento dell’iniziativa economica, conduce inoltre a ricordare come sia censurabile la scorrettezza di quelle azioni concorrenziali che si traduco-no in modalità di offerta che possono realizzarsi solo con il sacrificio di quei va-lori in ordine alle persone coinvolte nel processo produttivo o distributivo.

Sotto questo profilo, è sintomatico il divieto contenuto nel codice di auto-disciplina pubblicitaria della reclame violenta, volgare o indecente oppure di quel-la allarmistica (v. artt. 8 e 9 C.A.P.)91, così come il divieto legislativo della pub-blicità subliminale (art. 23, 3° comma, codice del consumo)92.

Parte della dottrina ha rilevato, in proposito, come sarebbe auspicabile dare spazio ad un vero e proprio diritto al mercato, nuovo diritto della persona, inteso come

——— 90 Ai sensi dell’art. 26 n. 14 del codice del consumo, “È comunque fatta salva la giurisdizione del

giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598 c.c.”. Sul punto, v. GIUS. ROSSI, La pubblicità dannosa, Milano, 2000, p. 153 ss.; C. BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, Milano, 2000, p. 51 ss. Il profilo anticoncorrenziale della pubblicità ingannevole è posto in luce da G. AMATO, Il gusto della libertà. L’Italia e l’Antitrust, Roma-Bari, 2000, p. 51 ss.

91 E v. anche gli artt. 10, 11 e 12 del C.A.P., in ordine al divieto di pubblicità offensiva delle con-vinzioni morali, civili o religiose della persona, alla protezione dei bambini e adolescenti da messaggi pericolosi e alla tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente nel messaggio pubblicitario. V. retro, parte II, cap. 3, § 1.

92 Così, M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 532, e spec. p. 562: “La tutela della libertà del consumatore, che costitutisce una componente essenzia-le del modello normativo dell’economia di mercato ed è legalmente sancita nel divieto di informazioni commerciali ingannevoli, richiede anche che il consumatore venga garantito nella libertà morale; la vo-lontà del consumatore, nel formulare la scelta, non solo non dev’essere distorta da informazioni sba-gliate, ma non deve neanche essere turbata da suggestioni o costrizioni psicologiche”.

Sulla libertà e consapevolezza della scelta del consumatore, v. N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 74, il quale rileva anche come le discipline in materia di concorrenza, pubblicità ingannevole, responsabilità del produttore per merci difettose, vendite porta a porta, credito al consumo, trasparen-za dei servizi bancari e finanziari, siano tutte finalizzate ad accrescere tale libertà.

Page 385: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 359

“diritto relativo all’interesse di ciascuno ad ottenere nel mercato la soddisfazione dei propri bisogni in modo soddisfacente”93. Un tale diritto costituirebbe, infatti, secondo questa opinione, un ponte tra

disciplina antitrust e disciplina della concorrenza sleale, entrambe ancorate ai medesimi principi, consentendo al soggetto colpito dalla violazione della norma-tiva a tutela della libertà di concorrenza di azionare una richiesta di risarcimento danni, ottenendo anche la presunzione di colpa prevista per gli atti di concor-renza sleale94.

Ed in effetti, come si vedrà nel prosieguo, ormai le Sezioni Unite della Cor-te di Cassazione, con la celebre sentenza n. 2207/2005, hanno riconosciuto la legittimazione attiva del consumatore all’azione risarcitoria fondata sulla viola-zione della normativa antitrust, innanzi alla Corte d’Appello competente per ter-ritorio ex art. 33 della l. n. 287/1990.

È giunto ora il momento di passare all’analisi delle singole fattispecie di concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 c.c.

7. — Le fattispecie legalmente tipiche di concorrenza sleale: a) gli atti di confusione. L’art. 2598, n. 1, c.c., dispone che compie atti di concorrenza sleale chiunque “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni di-stintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”. La norma protegge la c.d. funzione distintiva dell’attività d’impresa95, san-

zionando l’attività del concorrente che adotta nomi o segni distintivi confon-dibili con quelli legittimamente usati da altri, ovvero imita in maniera pedissequa (servile) la forma esteriore del prodotto del concorrente, con il risultato di ren-dere il proprio prodotto confondibile con quello imitato (concorrenza sleale confusoria o per confondibilità).

——— 93 V. MENESINI, Il diritto al mercato come nuovo diritto della persona, in Diritto e processo. Annuario giuridico

dell’Università degli Studi di Perugia a cura di A. Palazzo, 2001, p. 189. 94 Così, V. MENESINI, op. ult. cit., p. 162. 95 Cfr. G. GHIDINI, Slealtà della concorrenza e costituzione economica, cit., p. 142 ss.; ID., Della concorrenza

sleale, cit., pp. 94 ss., 110 ss., 193 ss., 273 ss.

Page 386: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 360

Sotto il primo profilo, è necessario ricordare che il codice civile ed il codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, d’ora innanzi c.p.i.), apprestano già una tutela per i segni distintivi tipici (ditta e insegna: artt. 2563-2566, art. 2568; marchio registrato, artt. 2569-2574 c.c. e artt. 7 ss. c.p.i.), attra-verso l’azione di contraffazione. Questo tipo di tutela concorre alternativamente e può anche cumularsi con quella prevista per la violazione dell’art. 2598 c.c. È stato, infatti, osservato che l’azione di concorrenza sleale, consentendo al giudi-ce, come si vedrà (infra, § 15), l’adozione di opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti (art. 2599 c.c.), in realtà aggiunge qualcosa all’azione di contraffazione e, quindi, non si rivela superflua nell’ipotesi in cui venga pro-posta cumulativamente a quest’ultima. Si tratta, in particolare, di concorrenza sleale dipendente, nel senso che la concorrenza sleale confusoria consiste nella stessa contraffazione del marchio o della ditta96.

Ma la norma in esame è estremamente utile soprattutto per sanzionare quei comportamenti idonei a generare confusione tra segni distintivi atipici97, quali la ditta irregolare (che non contiene né il nome né la sigla dell’imprenditore), il marchio di fatto (non registrato), la sigla (quando non corrisponde alla ditta), l’emblema, gli slogan, i c.d. nomi di dominio (domain names) su Internet98. ———

96 A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 47. In giurisprudenza, v. Trib. Catania, 13 novembre 2002, in Giur. dir. ind., 2003, p. 546: “La contraf-

fazione di marchio può integrare altresì una ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1, c.c.”; App. Torino, 22 novembre 2002, in Giur. dir. ind., 2003, p. 563: “La contraffazione di un marchio, seguita dalla diffusione sul mercato di prodotti contrassegnati dal marchio contraffattorio, integra l’illecito pre-visto dall’art. 2598, n. 1, c.c., ove questo comportamento abbia creato confondibilità con i prodotti e le attività del concorrente.” Ammette esplicitamente il cumulo delle azioni Trib. Torino, 26 novembre 2003, in Dir. ind., 2004, p. 228.

97 Ma v. ora la disciplina legislativa introdotta per tali segni dall’art. 2, comma 4, c.p.i., secondo cui “Sono protetti, ricorrendone i presupposti di legge, i segni distintivi diversi dal marchio registrato, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine”.

98 Cfr. Trib. Napoli, 7 luglio 2005, in Foro it., 2006, I, c. 598: “Il nome a dominio aziendale, tale es-sendo quello utilizzato in ambito imprenditoriale, o almeno pubblicitario, costituisce – nella vigenza del codice della proprietà industriale – segno distintivo tipico non titolato, e – a fronte dell’altrui condotta confusoria – usufruisce della tutela giurisdizionale, anche inibitoria cautelare, prevista dal capo III del codice per tutti i diritti di proprietà industriale (nella specie, il giudice, ai sensi dell’art. 133 cod. proprie-tà industriale, ha disposto l’inibitoria dell’uso dei nomi a dominio www.puntogioco.biz e www.puntogioco.info, in quanto confondibili con i marchi e nomi a dominio altrui antecedenti, comprendenti le parole “pun-to gioco”, disponendone anche il trasferimento provvisorio in favore dei titolari di questi ultimi, atteso che i primi segni sono relativi a servizi di assistenza per la gestione di giochi di abilità, concorsi, lotterie, mentre i secondi attengono ad un servizio che rende possibile giocare alle lotterie statali tramite Inter-net, in ragione della omogeneità di tali servizi, la pressoché totale coincidenza dei segni distintivi in questione e ritenuto infine che, quanto ai nomi a dominio, la confondibilità si manifesta già nella fase iniziale di contatto, vale a dire dell’accesso al sito Internet in forza della digitazione del nome a domi-nio simile all’altrui segno distintivo)”.

Page 387: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 361

Il presupposto per agire ex art. 2598 n. 1 c.c. è la confondibilità; tale requisito è stato assai chiaramente posto in luce dalla Suprema Corte a proposito dell’altra fattispecie considerata dalla norma in esame, l’imitazione servile, che concerne la forma del prodotto: “In tema di concorrenza sleale, l’imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale per confondibilità non si identifica con la riproduzio-ne di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo con quella che cade sulle carat-teristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e cioè idonee, proprio in virtù del-la loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa; in ogni caso, non si può attribuire carattere individualizzante alla forma funzionale, cioè a quella resa necessaria dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto; pertanto, la fabbricazione di prodotti identici nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente (che non fruisca più, per essi, della scaduta tutela brevet-tuale, o comunque non la invochi), costituisce atto di concorrenza sleale soltan-to se la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa caratteristiche del tutto inessenziali alla relativa funzione; se, infatti, non ricorre una privativa a tu-tela di una determinata funzione e di una determinata forma, alla libera riprodu-cibilità della funzione corrisponde la altrettanto libera riproducibilità della forma che, necessariamente, la realizza” (Cass., 19 gennaio 2006, n. 1062)99.

Il requisito della confondibilità può pertanto essere rinvenuto nella ripro-duzione di caratteristiche esteriori (forma) o più in generale, di elementi (segni distintivi) di un prodotto idonei ad individuare la sua provenienza da una de-terminata impresa.

Da questa massima emerge anche il problema del coordinamento del divie-to di imitazione servile con il sistema brevettuale, atteso che la forma del pro-dotto può assumere i caratteri dei disegni e modelli industriali100, per i quali l’art.

——— 99 In Rep. Foro it., 2006, voce Concorrenza (disciplina), n. 1. E v. anche Cass., 26 gennaio 2006, n.

1636, in Foro it., 2006, I, c. 687, secondo cui “Le testate di pubblicazioni periodiche che presentino scarsa originalità, perché costituite da parole suscettibili di individuare il settore di riferimento, sono rapportabili ai marchi c.d. deboli, sicché deve escludersi l’illiceità delle testate successive, che presentino varianti anche modeste, tali però da impedire la confondibilità tra le testate stesse” (nella specie, la Su-prema Corte ha ritenuto immune da vizi logici e giuridici la sentenza di merito che ha escluso la con-fondibilità da parte dei lettori tra le testate delle guide televisive Telesette e TV Sette, ancorché simili, in quanto prive di una qualche rilevante originalità, ma in presenza di una grafica nettamente differen-ziata e della espressione Corriere della Sera nella seconda delle predette testate).

100 Ai sensi dell’art. 31, 1° comma, c.p.i. “Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristi-che delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del pro-dotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale”.

Page 388: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 362

37 c.p.i. prevede una durata della registrazione di cinque anni (prorogabile sino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione), ovvero dei modelli di utilità, per i quali la durata del brevetto è fissata in dieci anni dall’art. 85, 1° comma c.p.i.101 Se, infatti, l’art. 2598 n. 1 c.c. appresta una tutela illimitata nel tempo contro l’imitazione servile, ne deriva una apparente contraddizione con i limiti di durata della tutela brevettuale. Tuttavia, il problema è superabile considerando che, anche dopo la scadenza del brevetto, una eventuale tutela contro l’imitazione servile è subordinata alla prova della confondibilità dei prodotti e non impedisce che i risultati dell’innovazione di-vengano utilizzabili da chiunque102.

8. — Segue: b) denigrazione e appropriazione di pregi. Secondo l’art. 2598, n. 2, c.c., compie atti di concorrenza sleale chiunque “diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente”. La denigrazione consiste dunque nella diffusione di notizie e apprezzamen-

ti screditanti l’imprenditore concorrente. Si tratta, ad esempio, di notizie false o allarmistiche circa la bontà dei prodotti del concorrente, ma la giurisprudenza è concorde nel ritenere che anche la diffusione di notizie vere può integrare la de-nigrazione se effettuata con modalità screditanti, ove la divulgazione venga ef-fettuata in maniera tendenziosa e comunque scorretta, non essendo consentito all’imprenditore interessato sostituirsi al pubblico nella formulazione di quel giudizio che invece a quest’ultimo dovrebbe essere riservato103.

Inoltre, la diffusione di notizie e apprezzamenti negativi non deve necessa-riamente consistere nella comunicazione di tali notizie ad una vasta cerchia di ———

101 Ai sensi dell’art. 82, 1° comma, c.p.i., “Possono costituire oggetto di brevetto per modello di utilità i nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consi-stenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti”.

102 In tal senso, v. Cass., 19 gennaio 2006, n. 1062, cit. Ma v. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 65, secondo i quali questa soluzione “comporterebbe peraltro l’impo-sizione all’imitatore di un brevetto per modello scaduto, e dunque caduto nel pubblico dominio, di un onere di differenziazione forse ingiustificato”.

103 Cfr. in tal senso, App. Brescia, 14 ottobre 2003, in Giur. dir. ind., 2003, p. 1178; Trib. Salerno-Eboli, 2 maggio 2004, in Dir. ind., 2005, p. 305.

Page 389: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 363

persone; infatti, può configurarsi denigrazione anche in presenza di comunica-zione rivolta ad un solo destinatario, purché si tratti di comunicazione suscetti-bile di divulgazione (non è tale, ad esempio, un progetto d’impresa presentato ad autorità pubbliche per accedere a finanziamenti pubblici posto che esso co-stituisce atto riservato, conoscibile soltanto dall’unico destinatario e non libera-mente divulgabile)104.

Per quanto riguarda la fattispecie dell’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente, è necessario ricordare che per pregio si deve in-tendere qualsiasi caratteristica dell’impresa o dei prodotti che sia considerata una qualità positiva dal consumatore, il quale orienta quindi le proprie preferenze in ragione dell’esistenza di esso.

La giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che costituisce pubblicità in-gannevole e atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi di prodotto altrui l’offerta in vendita di magliette, riproducendo sulle confezioni e sui dèpliant che li accompagnano immagini ed espressioni evidentemente riferite ad un pro-gramma televisivo di successo (nella specie la trasmissione “Saranno Famosi”), così ingenerando nel pubblico l’erroneo convincimento che si tratti proprio dei capi d’abbigliamento indossati dai partecipanti alla predetta trasmissione televi-siva105.

L’ambito della fattispecie in esame è stato poi ampliato sino a ricompren-dere la concorrenza sleale c.d. per agganciamento, come nel caso di impiego non autorizzato in materiali pubblicitari di immagini relative a prodotti di un’impresa concorrente; i giudici hanno ritenuto che tale comportamento costi-tuisce atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, risolvendosi in una forma tipica di agganciamento all’attività altrui attraverso la illecita attribuzione a sé dei pregi che contraddistinguono i prodotti presentati come propri106. In buona sostanza, è sanzionata la equiparazione dei propri prodotti a quelli del concorrente, in modo da sfruttare la notorietà e il credito di cui questi ultimi (e l’impresa che li produce) godono sul mercato. In questa prospettiva, costituisce appropriazione dei pregi nella forma del c.d. agganciamento o réclame di riferi-mento utilizzare nei propri cataloghi di pneumatici l’espressione “tipo” seguita dal segno distintivo di altro produttore di pneumatici107.

———

104 In tal senso, v. Trib. Catania, 22 gennaio 2002, in Giur. dir. ind., 2002, p.563. 105Trib. Modena, 19 agosto 2002, in Riv. dir. ind., 2003, II, p. 347. 106 Trib. Reggio Emilia, 18 dicembre 1998, in Giur. dir. ind., 1999, p. 808. 107 Trib. Pistoia, 12 novembre 1993, in Giur. dir. ind., 1993, p. 760.

Page 390: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 364

9. — Le fattispecie di origine giurisprudenziale ex art. 2598 n. 3 c.c.: abuso di segreti e spionaggio industriale.

L’art. 98 c.p.i. ha tipizzato legalmente una fattispecie di concorrenza sleale

di origine giurisprudenziale, consistente nella rivelazione a terzi o acquisizione o utilizzazione da parte di terzi di informazioni aziendali (e commerciali) segrete; la norma chiarisce che sono segrete le informazioni

“che non siano nel loro insieme, o nella precisa configurazione e combinazione dei lo-ro elementi, generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore”. Tali informazioni devono inoltre avere valore economico in quanto segrete

ed essere sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono sog-gette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete108.

L’abuso o sottrazione di segreti aziendali (ad es., procedimenti di fabbrica-zione, elenchi di clienti, studi di marketing) si definisce spionaggio industriale quando sia posto in essere da un’impresa concorrente, avvalendosi anche di no-tizie fornite da ex dipendenti109.

In tal senso la fattispecie in esame appare strettamente collegata a quella dello storno di dipendenti, agenti o collaboratori dell’imprenditore, i quali so-no in grado di rivelare al nuovo datore di lavoro tutte quelle informazioni che possono giovare per battere la concorrenza nel settore merceologico di rife-rimento110.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale antecedente all’entrata in vigore del nuovo art. 98 c.p.i. era focalizzato intorno alla individuazione di ciò che co-stituisse segreto aziendale, oggetto dell’appropriazione e divulgazione che inte-

——— 108 Cfr. L. MANSANI, La nozione di segreto di cui all’art. 6 bis l. i., in Dir. ind., 2002, p. 216 ss.; M.E.

TRAVERSO, La tutela giurisdizionale del segreto, in Dir. ind., 2002, p. 387 ss. 109 Cfr. G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 343, che rileva come il c.d. spionaggio industria-

le, pur frequente nella pratica, è raramente oggetto di giudizi, in quanto “a parte la difficoltà di prova, la vittima preferirà spesso evitare un’ulteriore fuga della notizia riservata, quale può prodursi dall’ingresso in giudizio”.

110 Cfr. Cass., 13 marzo 1989 n. 1263, in Giust. civ. Mass., 1989: “Costituisce concorrenza sleale a norma dell’ex art. 2598 n. 3 c.c., l’assunzione di dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione, non per la capacità di lavoro dei medesimi, ma per l'utilizzazione delle conoscenze tecniche (know how) usate presso l’altra azienda, e non in possesso del concorrente, configurandosi tale comportamento scorretto di quest’ultimo idoneo a danneggiare l’altrui azienda con il consentirgli l’ingresso sul mercato e la contesa della clientela prima di quanto gli sarebbe stato possibile in base a propri studi e ricerche”.

Page 391: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 365

grasse un atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.111. In linea generale, può concordarsi con l’opinione già espressa da Tullio

Ascarelli, secondo cui “non è illecita di per sé l’utilizzazione di segreti altrui, ché chi sfrutta creazioni intellet-tuali non brevettate o non brevettabili non vanta su di esse un diritto esclusivo ed è perciò esposto a vederle da altri utilizzate una volta conosciute”112. Il problema appare, infatti, collegato a quello della tutela del c.d. know how,

vale a dire delle conoscenze che nell’ambito della tecnica industriale sono richie-ste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia, nonché delle regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione impren-ditoriale.

Si tratta, in buona sostanza, di informazioni tecniche non brevettabili, che, ove presentino il carattere della novità (quando comportano vantaggi d'ordine tecnologico o competitivo) e della segretezza (quando non sono divulgate) as-sumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizza-zione economica da parte del possessore (cosiddetto “know how” in senso stret-to)113.

Recentemente, una precisa ed esauriente definizione legislativa del Know how è stata data dall’art. 1, comma 3, lettera a), della l. 6 maggio 2004, n. 129, re-cante norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale, ove si intende

“per Know how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da espe-rienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed indi-

——— 111 Prima dell’introduzione del nuovo art. 6-bis l. inv., l’unica norma che tutelava espressamente il

segreto di impresa era l’art. 623 c. p.: “Rivelazione di segreti scientifici o industriali. Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a ri-manere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa”. Cfr. M. FABIANI, In tema di responsabilità per violazione di segreti industriali, in Riv. dir. comm., 1963, II, p. 39 ss.

112 T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 251. 113 Cfr. Cass., 20 gennaio 1992, n. 659, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1021. In argomento, v. L. SORDELLI, Il know how: facoltà di disporne e interesse al segreto, in Riv. dir. ind., 1986,

I, p. 93 ss.; FED. GALGANO, I contratti di Know how, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da Franc. Galgano, vol. II, Torino, 1995, p. 1121 ss.; F. MASSA FELSANI, Con-tributo all’analisi del know how, Milano, 1997.

La figura del Know how è presa in considerazione dal Regolamento CE 31 gennaio 1996, n. 240, sull’applicazione dell’art. 85.3 del trattato agli accordi di trasferimento di tecnologia (art. 10).

Page 392: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 366

viduato; per segreto, che il Know how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il Know how comprende conoscenze indi-spensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il Know how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”. Gli atti concorrenziali compiuti dall’ex dipendente dopo lo scioglimento

del rapporto di lavoro, tutte le volte in cui questi non faccia uso di notizie riser-vate (sottrazione o abuso di segreti), non sono in linea di principio sleali.

È opportuno, però, fare al riguardo alcune precisazioni. La norma di cui all’art. 2105 c.c., che sancisce l’obbligo di fedeltà del pre-

statore di lavoro durante l’esecuzione del rapporto, sub specie di obbligo di non di-vulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, andrebbe, in linea di principio, coordinata col successivo art. 2125 c.c., che con-sente all’imprenditore di stipulare un patto di non concorrenza col dipendente per il tempo successivo alla cessazione del rapporto114.

Sembrerebbe, quindi, che il sistema normativo codicistico consenta la tute-labilità in sede civile (v. infatti, in sede penale, l’art. 623 c.p.) del c.d. segreto di impresa soltanto allorché il dipendente assuma espressamente l’obbligo di riser-vatezza per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, tramite un patto di non concorrenza nei limiti stabiliti dall’art. 2125 c.c.115.

Tuttavia, che l’obbligo di rispetto del segreto di impresa (know how) da parte del dipendente non venga meno con la cessazione del rapporto di lavoro, deve ritenersi oggi pacifico, alla luce del nuovo art. 98 c.p.i., almeno tutte le volte in cui l’ex dipendente abbia intrapreso un’attività concorrente con quella svolta dal suo ex datore di lavoro116; il che, peraltro, era già un dato acquisito anche a livel-

——— 114 Le notizie divulgate dal dipendente infedele possono essere strumento di concorrenza parassi-

taria: cfr. Cass., 20 aprile 1996, n. 3787, in Resp. civ. e prev., 1997, p. 136. 115 Cfr. P. ICHINO, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di lavoro, Milano, 1979, spec. p.

221 ss. Cass., 13 novembre 1976, n. 4212. 116 In tal senso, v. G. BONELLI, Tutela del segreto di impresa e obblighi dell’ex dipendente, in Dir. ind.,

2002, p. 65 ss., spec. p.71. Ma v. G. DALLE VEDOVE, La violazione dei segreti di impresa tra vecchio e nuovo diritto, in Riv. dir. ind., 1998, p. 251 ss., secondo cui la figura del concorrente di cui all’art. 6 bis l. inv. andrebbe intesa “in senso molto lato; nel senso cioè di chi faccia uso professionale dell’informazione, e sia interessato non già a divulgarla ulteriormente, ma a sfruttarne il valore nell’esercizio di un’attività economica”.

Cfr. anche, nel senso di cui nel testo, V. MELI, Note in tema di sfruttamento di informazioni da parte di ex dipendenti e collaboratori, in Riv. dir. ind., 1999, II, p. 305, in commento a Trib. Verona, 23 luglio 1998,

Page 393: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 367

lo giurisprudenziale, proprio in base all’applicazione della clausola generale di correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c.117.

——— ibidem, p. 293, secondo cui, però “la tutela dell’imprenditore a che determinate notizie attinenti la sua attività o organizzazione rimangano riservate e non vengano divulgate a profitto di un imprenditore concorrente non può giungere ad impedire o limitare la facoltà di sfruttamento da parte dell’ex dipen-dente o collaboratore delle conoscenze acquisite nella propria pregressa esperienza lavorativa o la liber-tà di avvalersi della propria capacità tecnica, pur se acquisita nell’esplicazione di mansioni alle quali esso era addetto nell’impresa”.

117 Ma v. in senso critico G. GHIDINI, Concorrenza sleale, cit., pp. 403-404. Da ultimo, si segnala una nuova tendenza giurisprudenziale che estende l’applicazione delle norme

sulla concorrenza sleale ai liberi professionisti: Trib. Bologna, 13 agosto 1999, in Dir. ind., 2000, p. 36 ss. con nota di G. FLORIDIA: “Compie atto di sleale concorrenza il consulente del lavoro che abbia prestato la sua opera alle dipendenze di un’associazione artigiana nell’ambito di un’attività diretta a for-nire alle imprese il servizio di consulenza in materia di lavoro se, cessato il rapporto di lavoro, si ap-propria della clientela dell’associazione inviando alle imprese una circolare con la quale comunica che lo studio ha cambiato sede e che il servizio-paghe da quel momento in poi sarebbe stato erogato presso il nuovo ufficio”. La decisione merita di essere segnalata non tanto perché ribadisce che “ l’attività del professionista intellettuale, per quanto strutturalmente e funzionalmente presenti i tratti fisionomici dell’impresa, è solo esentata dall’applicazione delle regole dello statuto dell’imprenditore”, quanto per la giustificazione della stessa ratio della disciplina concorrenziale, ove è esplicita l’adesione alla tesi “eti-co-deontologica” della correttezza professionale. Infatti, secondo il Tribunale di Bologna, l’art. 2598 c.c. “si inserisce in un apparato normativo che disciplina la concorrenza fra attività economiche, rego-lando, in particolare, i comportamenti degli operatori nella prospettiva della conformità ai modelli de-ontologici espressi dal settore di riferimento nella presunzione della coincidenza di fini fra la difesa dei propri schemi ideali di comportamento da parte degli stessi occupanti l’area professionale ed il perseguimento del benessere degli utenti, che dovrebbe assicurare anche la tutela dell’interesse della collettività. In questo contesto, ritenere inapplica-bile l’art. 2598 c.c. ai professionisti intellettuali, in una situazione ove la concessione di un marcato pri-vilegio richiede come contrappeso indispensabile l’adozione da parte degli operatori di un comporta-mento etico, significherebbe operare una professione di fede verso la capacità degli ordini professionali di mantenere il rispetto e l’osservanza della deontologia”.

La questione relativa alla definizione dei soggetti della concorrenza sleale, se affrontata alla luce dell’indirizzo che rinviene nella tutela dell’efficienza del mercato concorrenziale il valore guida del giu-dizio di slealtà, porta necessariamente ad abbracciare una nozione allargata di impresa, quale concetto economico, già adottata dalla legislazione antitrust italiana e comunitaria. Secondo la Corte di Giustizia della Comunità europea, infatti (sent. 23 aprile 1991, causa 41/90, Hofner e Helser – Macroton Gmbh, in Racc., 1991, p. 1979 ss.), la qualifica di impresa spetta “a qualsiasi entità che eserciti un’attività eco-nomica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento.” Sul punto v. V. DONATIVI, Impresa e gruppo nella legge antitrust, Milano, 1996, p. 10 ss.

In tal senso, risulta accentuato il rilievo dell’elemento oggettivo del rapporto di concorrenza: cfr. P. MARCHETTI, Spunti su enti non profit e disciplina del mercato, in Studi in onore di Gastone Cottino, Padova, 1997, I, p. 105, per il quale “l’attività economica rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina della concorrenza si riduce così ad una produzione o scambio di beni e servizi che sono o possono essere contemporaneamente offerti da altri soggetti ad un pubblico dal quale proviene una domanda disposta ad attribuire un valore a quanto offerto”. A favore della sussistenza di concorrenza illecita fra notai, v. Cass., 24 marzo 1995, n. 3427, in Dir. ind., 1996, p. 35. In argomento, v. il più antico studio di V. SGROI, La concorrenza sleale tra professionisti e l’art. 2598 cod. civ., in Riv. dir. ind., 1955, I, p. 125 ss., e, da ultimo, G. OPPO, Antitrust e professioni intellettuali, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 123 ss. Per l’applicabilità dell’art. 2598 c.c. ai liberi professionisti, v. già P.G. JAEGER, I soggetti della concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1971, p. 169 ss., spec. p. 194 ss.; E. GLIOZZI, L’imprenditore commerciale, Bologna, 1996, p. 174 ss.

Page 394: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 368

La giurisprudenza, infatti, è stata particolarmente rigida nell’affermare la re-sponsabilità dell’ex dipendente, come nel caso classico in cui, partendo dal rilie-vo che la banca dati consistente in un elenco informatizzato dei potenziali clien-ti costituisce un “quid” dotato di autonomo ed originale contenuto, sia per il fat-to oggettivo della raccolta, sia per la successiva informatizzazione, è ritenuto at-to di concorrenza sleale l’uso di una banca dati che conteneva nominativi dei potenziali clienti forniti ed informatizzati dall’ex amministratore unico e socio della impresa concorrente118.

Bisogna osservare, tuttavia, che a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione di dati personali, che sosti-tuisce l’abrogata legge 31 dicembre 1996, n. 675, sulla tutela delle persone ri-spetto al trattamento di dati personali), l’utilizzazione delle c.d. liste di clienti da parte di un concorrente, che le acquisisca anche avvalendosi di un dipendente “stornato”, deve ritenersi preclusa a prescindere dalla configurazione dei sud-detti dati quali segreti industriali, atteso il requisito del necessario consenso al trattamento dei dati da parte dell’interessato (art. 23 d.lgs. n. 196/2003), la cui mancanza è fonte di gravi sanzioni per chi se ne serve119.

In realtà, come ha rilevato la migliore dottrina, è necessario individuare quali siano i dati meritevoli di protezione, il cui divieto di divulgazione, se, da un

——— Cfr. anche G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 49 ss.; M. PINNARÒ, Profili soggettivi della concorrenza sleale, Milano, 1976.

E v. Cass., 14 febbraio 2000, n. 1617, in Riv. dir. ind., 2001, II, p. 96, che ravvisa nella comunanza di clientela, data dall’insieme di consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato, l’elemento costitutivo dell’illecito ex art. 2598 c.c., la cui assenza impedisce ogni concorrenza.

118 Trib. Genova, 19 giugno 1993, in Dir. inf., 1993, p. 1117. Cfr. anche Cass., 20 marzo 1991, n. 3011, in Foro it., 1993, I, c. 3154, con nota di S. DI PAOLA, Concorrenza sleale per l’utilizzo di notizie “segre-te”: quale avvenire per l’ex dipendente? : “Costituisce atto di concorrenza sleale, contrario alle regole di cor-rettezza professionale, lo sviamento di clientela posto in essere dall’ex-dipendente di un'azienda che, facendo uso di conoscenze riservate acquisite nel precedente rapporto di lavoro subordinato (e relative alla clientela ed alle condizioni economiche dei rapporti contrattuali in corso), intraprenda analoga atti-vità imprenditoriale acquisendo sistematicamente i clienti del concorrente (attraverso la predisposizio-ne di lettere di disdetta dei contratti preesistenti, l’invio delle stesse a sua cura nei termini contrattual-mente previsti, la conseguente stipulazione di nuovi contratti”. In senso conforme, v. Trib. Verona, 4 maggio 1996, in Giur. ann. dir. ind., 1996, p. 3485. Secondo App. Milano, 9 luglio 1991, in Giur. ann. dir. ind., 1991, p. 632, costituisce attività concorrenziale sleale “la sottrazione e l’utilizzazione dello scheda-rio clienti di un concorrente contenente notizie riservate e dettagliate sui rapporti fra questi e la sua clientela, relative alle caratteristiche dei prodotti richiesti ed acquistati, al prezzo, alle condizioni di pa-gamento”.

Per una fattispecie di impossessamento, da parte dell’ex socio, di copie di modelli dei macchinari prodotti dal concorrente, sanzionata quale illecito ex art. 2598 n. 3 c.c., v. Trib. Vigevano, 4 luglio 1994, in Riv. dir. ind., 2001, II, p. 425 ss., con nota di S. Peron, Il caso Gusbi.

119 Cfr. M. LIBERTINI, Raccolte di dati e concorrenza sleale, in AIDA, 1997, p. 210 ss.

Page 395: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 369

lato, tutela il patrimonio aziendale, dall’altro non impedisce lo svolgimento della funzione di ricerca e sviluppo dell’impresa concorrente che si avvale delle capa-cità professionali (ivi comprese le conoscenze tecniche acquisite nel corso del precedente rapporto di lavoro) dell’ex dipendente120.

In particolare, appare criticabile l’impostazione del nuovo art. 98 c.p.i. nella misura in cui privilegia, ai fini della qualificazione di slealtà della condotta con-correnziale (appropriativa e/o divulgativa), e quindi di ciò che è segreto azienda-le, la destinazione soggettiva dell’informazione o del dato da parte dell’impren-ditore, piuttosto che la rilevanza oggettiva degli stessi121. Ciò, infatti, si pone in contrasto col principio di libertà di concorrenza, essendo connaturale ad un’e-conomia di mercato la libera circolazione delle innovazioni tecnologiche non brevettate.

In questa prospettiva, mentre il brevetto attribuisce un diritto esclusivo di utilizzazione, limitato nel tempo, dell’invenzione, diritto che ha come contro-partita a favore della collettività la conoscibilità dell’innovazione tecnologica, a tutto vantaggio dello sviluppo economico e produttivo122, il segreto industriale, viceversa, soddisfa un interesse anti-concorrenziale dell’imprenditore, che lo sfrutta senza consentire ai concorrenti di beneficiare di quelle conoscenze ido-nee a migliorare i processi produttivi e, quindi, la crescita del mercato123.

Orbene, al di fuori dell’esistenza di un contratto sinallagmatico atipico di know how, ove il vincolo di segretezza è garantito dalle clausole dell’accordo di licenza, l’azione di concorrenza sleale contro chi utilizzi o divulghi tali cono-scenze, ora espressamente consentita dall’art. 99 c.p.i., appare uno strumento

——— 120 G. GHIDINI, op. loc. ult. cit.; ID., Della concorrenza sleale, cit., p. 345: “In omaggio dunque ai prin-

cipi di libertà di iniziativa economica e di concorrenza, non di ogni notizia può essere vietato lo sfrut-tamento: il problema dell’abuso di segreti è pertanto un problema di limiti. E di limiti, occorre sottoli-neare, che investono fondamentalmente il tipo di notizia riservata”.

121 La necessità di prendere in considerazione la “natura” del segreto è stata segnalata, prima della nuova norma, anche da A. FRIGNANI, voce Segreti d’impresa, in Nov.mo Dig. it., Appendice, VII, Torino, 1987, p. 18.

Cfr. anche F. SCIRÈ, La concorrenza sleale nella giurisprudenza, cit., III, p. 14. 122 Cfr. M. AMMENDOLA, Accordi di licenza di brevetto tra due imprese e legislazione nazionale antitrust, in

Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 447 ss., spec. p. 448, ove si ricorda che “all’esclusiva conferita dal bre-vetto viene riconosciuto il merito di stimolare l’innovazione, sia perché la prospettiva dei profitti ad essa conseguenti induce a sopportare i costi della ricerca e incentiva l’attuazione dell’invenzione protet-ta, sia perché l’ostacolo rappresentato dalla sua esistenza spinge i concorrenti verso la ricerca di nuovi ritrovati tecnologici in grado di superarlo”.

In argomento, v. L.C. UBERTAZZI, Invenzione e innovazione, Milano, 1978. 123 Sul brevetto v. spec. V. DI CATALDO, I brevetti per invenzione e per modello, 2a ed., in Codice civile.

Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 2000.

Page 396: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 370

estremamente pericoloso per la stessa sopravvivenza del dinamismo concorren-ziale, considerando che la circolazione delle innovazioni tecnologiche non brevet-tate è elemento essenziale allo sviluppo del mercato e, ancor prima, al manteni-mento della sua struttura concorrenziale, essendo evidente il rischio di monopoli-zation connesso alla espansione dell’area di protezione del segreto industriale124.

Rimane però il fatto che, come è stato recentemente ricordato, a prescinde-re dalla natura delle informazioni aziendali, tecniche o puramente commerciali (tra queste ultime rientrano, ad esempio, strategie di marketing, strumenti pubbli-citari o dati relativi alla clientela125), in base al dettato dell’art. 98 c.p.i., secondo cui “le informazioni devono essere sottoposte a misure da ritenersi ragionevol-mente adeguate a mantenerle segrete”, è solo l’adozione di adeguate misure di sicurezza (si pensi al modo di catalogazione dei dati inseriti in un computer ed al modo di accesso ad essi) a garantire all’imprenditore una tutela giurisdizio-

——— 124 V. le osservazioni di G. GHIDINI, La concorrenza sleale, cit., p. 327; ID., Profili evolutivi del diritto in-

dustriale, cit., p. 45 ss. Diversa, invece, la posizione di M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della

concorrenza sleale, cit., p. 541, secondo cui l’art. 6-bis l. inv. (ora riprodotto nel citato art. 98 c.p.i.) “non realizza una iperprotezione dell’informazione aziendale, ma può dirsi funzionale al buon funzionamen-to dell’economia di mercato. Una concorrenza dinamica, cioè caratterizzata da un flusso continuo di innovazioni, richiede una forte protezione delle informazioni aziendali. Le nuove iniziative e le innova-zioni devono essere programmate e preparate, e questa fase deve avvenire necessariamente in ambiente riservato”. Secondo Libertini (ivi, p. 551) “la concorrenza differenziale deve considerarsi, in linea di principio, prfessionalmente scorretta, se e in quanto non consenta una risposta ad armi pari da parte del concorrente che subisca tale modalità concorrenziale. In tali situazioni, se un concorrente conosce in anticipo il gioco che l’avversario ha in mano, e non viceversa, il gioco della concorrenza è falsato e il successo dell’uno non potrà dirsi frutto della sovranità del consumatore ma della informazione di-storta che al consumatore è stata data surrettizziamente”. Il discorso di Libertini, per quanto abbia l’indiscutibile pregio di focalizzare l’attenzione sui valori espressi dall’economia di mercato, non sembra tuttavia cogliere le attente osservazioni di Ghidini, nella misura in cui accetta senza riserve la nuova nozione di segreto industriale, la cui inserzione nella legge sulle invenzioni appare ingiustamente fare del segreto, secondo l’espressione di Ghidini (Profili evolutivi del diritto industriale, cit., p. 47), una sorta di “fratello di sangue” del brevetto.

Da ultimo, V. MENESINI, Il diritto al mercato come nuovo diritto della persona, cit., p. 173 ss., spec. pp. 183-184, sulla base della considerazione del principio di chiarezza e precisione quale principio di ordine pubblico (v. art. 59, n. 2, l. inv., secondo cui il brevetto è nullo “se l’invenzione non è descritta in modo sufficientemente chiaro e completo da consentire a persona esperta di attuarla”), ha rilevato che “un trovato industriale chiaro e preciso che l’inventore si sia tenuto nel cassetto come inedito brevettale, ma di cui abbia operato l’applicazione in sede commerciale, senza nulla spiegare al mercato, appare il primo candidato ad essere eleggibile per un trattamento interpretativo quale abuso di posizione dominante, che in quanto tale non è più proteggibile”. Ne deriva che “fra le notizie riservate, fra i tanti e possibili segreti, l’unico che è svelabile appare quello che copra un’invenzione industriale completa, pronta per la bre-vettazione, ma non brevettata per sfuggire alla concorrenza, e comunque tradotta in merci offerte sul mercato così da costituire una posizione dominante, che, in forza del segreto, appare dunque abusiva”.

125 Ma sui dati relativi alla clientela, v. quanto detto supra, nel testo.

Page 397: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 371

nale efficace, nel caso di sottrazione di tali informazioni da parte di un con-corrente126.

10. — Segue: violazione di esclusiva. La violazione della clausola di esclusiva contenuta negli accordi di distribu-

zione commerciale ad opera di un terzo estraneo all’accordo è stata ritenuta, dal-la migliore dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, un comportamento lecito, atteso che un divieto di violazione dell’altrui esclusiva renderebbe inattaccabili le posizioni conquistate sul mercato da parte di un concorrente, creando condi-zioni di abuso monopolistico con gravi conseguenze per la stessa libertà di con-correnza127.

La fattispecie, più precisamente, consiste nella vendita di prodotti contraddi-stinti dallo stesso marchio nella zona per la quale altro soggetto ha contrattual-mente acquisito, dalla casa produttrice, un diritto di esclusiva commerciale128.

In realtà, però, visto l’attuale sistema normativo, italiano e comunitario, è oggi inconfigurabile una fattispecie di concorrenza sleale per violazione di esclusiva.

Infatti, il titolare di un diritto di proprietà industriale129 è soggetto al princi-pio di esaurimento delle facoltà esclusive da esso derivanti, ai sensi dell’art. 5 c.p.i., “una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno

——— 126 L. MANSANI, op. cit., p. 219. 127 In tal senso, v. P. MARCHETTI, Il paradigma della correttezza professionale nella giurisprudenza di un ven-

tennio, cit., p. 181, ss., spec. n. 68. Cfr. Trib. Verona, 14 gennaio 1997, in Dir. ind., 1997, p. 481: “non costituiscono illecito civile e

concorrenziale le trasmissioni radiofoniche in diretta degli incontri di calcio da parte di radio locali nei confronti di radio concorrenti danneggiate dalla perdita di «audience», benchè tali trasmissioni siano ef-fettuate in violazione dell'esclusiva spettante alla Rai in forza di accordo stipulato con la Figc - Lega professionisti e senza avere ottenuto alcuna subconcessione dei diritti radiofonici in ambito locale”. V. anche Trib. Milano, 16 aprile 1992, in Giur. ann. dir. ind., 1992, p. 2820.

128 Così, G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 305; ID., La concorrenza sleale, cit., p. 270 ss. 129 Ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 30/2005 (codice della proprietà industriale), l’espressione “proprietà

industriale” comprende “marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di ori-gine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, infor-mazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”. Secondo il successivo art. 2, 1° comma, “I diritti di proprietà industriale si acquistano mediante brevettazione, mediante registrazione o negli altri modi previsti dal presente codice. La brevettazione e la registrazione danno luogo ai titoli di proprietà indu-striale.” In particolare, ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, “Sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali”, mentre “Sono oggetto di registrazione i marchi, i disegni e modelli, le topografie dei prodotti a semiconduttori”.

Page 398: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 372

Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”. Tuttavia, la stes-sa norma aggiunge che “questa limitazione non si applica, con riferimento al marchio, quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercia-lizzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.

Non è quindi illecita una violazione del diritto al marchio dell’esclusivista, sia esso registrante in nome proprio ovvero licenziatario con esclusiva del marchio130.

Inoltre, sia la Commissione che la Corte di Giustizia della CE hanno ribadi-to in più occasioni la liceità delle c.d. importazioni parallele, in base al principio dell’esaurimento comunitario dei diritti di proprietà intellettuale. Tale principio implica che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale non può opporsi all’importazione e alla commercializzazione di prodotti che sono stati messi in commercio nello Stato di esportazione da lui stesso o con il suo consenso o da persona a lui legata da vincoli di dipendenza giuridica od economica. In tal mo-do si evita il formarsi di restrizioni territoriali alla circolazione delle merci nel mercato comune (c.d. compartimentazione dei mercati), impedendo al titolare del di-ritto di esclusiva la costituzione di diritti paralleli nei diversi Stati membri della Comunità Europea131.

Il limite introdotto dal principio di esaurimento ai diritti di esclusiva con-sente, pertanto, al titolare della privativa di vedere premiata la sua innovazione o protetto il proprio marchio senza penalizzare la concorrenza132.

——— 130 Antecedentemente alla nuova norma v. invece l’opposta soluzione di App. Bologna, 22 aprile

1954, in Riv. dir. ind., 1954, II, p. 113; e in dottrina P. GRECO, Corso di diritto commerciale, Impresa-Azienda-Società, cit., p. 477 ss.

Ma la liceità della violazione di esclusiva venne affermata per primo da R. FRANCESCHELLI, Impor-tazioni libere in zone di esclusiva e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1954, I, p. 97 ss.; ID., Primo bilancio sulle importazioni libere in zone di esclusiva, in Riv. dir. ind., 1956, II, p. 70 ss.; Id., Epilogo sulle importazioni libere in zona di esclusiva, in Riv. dir. ind., 1957, II, p. 209 ss., sulla base dell’argomento antimonopolistico. La po-sizione di R. Franceschelli orientò la giurisprudenza prevalente, sin da Cass., 22 ottobre 1956, n. 3805, in Riv. dir. ind., 1957, II, p. 209.

131 Corte di Giustizia CE, causa 78/70, Deutsche Grammophon, sentenza 8 giugno 1971, Racc. p. 487, punto 12; Corte di Giustizia CE, causa 16/74, Centrafarm c. Winthrop, sentenza 31 ottobre 1974, Racc. p. 1183, punti 9-11. Cfr. G. TESAURO, Diritto comunitario, 2a ed., Padova, 2001, pp. 368, 394-395; G. BENACCHIO, Diritto privato della comunità europea. Fonti, modelli, regole, 2a ed., Padova, 2001, p. 485 ss.

Ma v. Corte di Giustizia CE, causa 355/96, Silhouette International Schmied c. Hartlauer Handel-sgesellschaft, sentenza 16 luglio 1998, Rep., 1998, p. I-4799, che ha considerato illecite, perché in viola-zione del diritto di marchio del titolare, o del suo licenziatario, le importazioni da paesi extra-comu-nitari. La decisione è annotata da C. BELLOMUNNO, L’esaurimento del diritto di marchio resta comunitario, in Dir. ind., 1999, p. 27 ss.

132 E v. M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 548: “La libertà così riconosciuta al c.d. importatore parallelo tiene conto del fatto che questi, per rea-

Page 399: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 373

Infatti, la possibilità per i free riders di operare sul mercato può condurre a risultati complessivi di efficienza allocativa e produttiva del sistema, stimolando l’innovazione e lo sviluppo delle imprese, secondo il modello economico della workable competition133.

11. — Segue: concorrenza parassitaria. La concorrenza parassitaria (parassitismo economico) consiste nell’imita-

zione sistematica, da parte di un imprenditore, delle iniziative e delle idee di un concorrente134.

Si deve a Remo Franceschelli il primo studio sul tema, ove vengono posti in risalto i caratteri differenzianti tale forma di concorrenza sleale dalla imitazio-ne servile di prodotti altrui, sia confusoria che non ex art. 2598 n. 1 c.c.135.

Secondo R. Franceschelli il parassitismo economico è caratterizzato, infatti, dal copiare tutto quello che fa il concorrente, appropriandosi di ogni sua idea e

——— lizzare la propria offerta di vendita, deve affrontare alcuni costi che, in linea di massima, dovrebbero essere superiori a quelli dell’importatore ufficiale. L’outsider, essendo fuori dell’organizzazione distribu-tiva ufficiale del produttore, deve procurarsi infatti le merci in altra zona, al normale prezzo di mercato, e poi affrontare i costi di trasporto e delle operazioni di rivendita. Questi maggiori costi possono bilan-ciare, in linea di massima, i diversi maggiori costi che il rivenditore ufficiale ha invece affrontato, al fine di realizzare l’avviamento del prodotto. Costi che saranno stati, di norma, già ripagati quando inizia l’importazione parallela (questa, tipicamente, riguarda solo prodotti di già riconosciuto successo). In questa prospettiva, la libertà di importazione parallela consente di orientare il gioco della concorrenza in direzione virtuosa: l’esclusivista sarà indotto a praticare prezzi bassi, al fine di scoraggiare l’importazione parallela, e a migliorare i propri servizi pre e post vendita”. Cfr. anche G. GHIDINI, Pro-fili evolutivi del diritto industriale, cit., pp 40 ss., 126 ss.

In argomento, v. D. SARTI, Circolazione dei prodotti brevettati e diritto antitrust, in Diritto antitrust italia-no, I, cit., p. 419 ss.

133 Cfr. E. MONTELIONE, Esaurimento del marchio e analisi economica, in Resp. com. impr., 1999, p. 177 ss. Al superamento del principio di territorialità delle legislazioni nazionali in materia di proprietà intel-lettuale hanno contribuito anche i regolamenti sul marchio comunitario (n. 40/1994 e n. 2869/1995), mentre soltanto il 3 marzo 2003 i ministri europei del Consiglio competitività sono riusciti a trovare un’intesa su iter e procedure del brevetto comunitario. In virtù di tale accordo (v. Il Sole 24 ore del 4/3/2003, p. 6), le imprese europee non saranno più costrette ad affidarsi a distinte azioni legali in ogni Paese europeo per veder riconosciute e tutelate le proprie innovazioni, ma potranno depositare dal 2005 un brevetto automaticamente valido in tutti gli stati dell’Unione europea (la nascita del Tribunale europeo sui brevetti è stata prevista per il 2010).

In argomento, cfr. F. BENUSSI, Il marchio comunitario, Milano, 1996; G. SENA, Il nuovo diritto dei mar-chi, 2a ed., Milano, 1998; M. RICOLFI, I segni distintivi. Diritto interno e comunitario, Torino, 1999.

134 Cfr. Cass., 26 gennaio 1999, n. 697, in Giust. civ., 1999, I, p. 1665; Cass., 20 aprile 1999, n. 3787, in Mass. Foro it., 1999.

135 R. FRANCESCHELLI, Concorrenza parassitaria, in Riv. dir. ind., 1956, I, p. 265 ss.

Page 400: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 374

seguendolo in tutte le sue realizzazioni, “quand’anche non giunga a realizzare confusione di attività o di impresa o di prodotti o di imprenditori, nel qual caso sarebbe represso in via tipica al titolo di che al n. 1 del 2598”136.

Sistematicità e non occasionalità dell’imitazione sarebbero dunque i tratti peculiari della concorrenza sleale c.d. parassitaria.

La prima critica a R. Franceschelli venne da Carnelutti, avversario del pri-mo nel noto caso giudiziario Motta/Alemagna, che diede origine alla polemica scientifica. Carnelutti, infatti, mise in evidenza come la concorrenza parassitaria costituisse una sorta di “miracolo logico”, atteso che essa avrebbe portato a considerare illeciti nel loro complesso una serie di atti innocui e perciò leciti come atti singoli (imitazione da parte di un imprenditore della forma del prodot-to, della confezione o degli slogans pubblicitari usati dal concorrente): “è vero che non vi si può applicare l’art. 2598 n. 1 c.c., ossia la fattispecie della concor-renza sleale per confusione; ma l’illiceità dell’atto, cacciata per la porta, rientra per la finestra del n. 3 attraverso il vago concetto della correttezza professio-nale [...] siamo perciò veramente nel caso di una somma di zeri che produce una unità”137.

Dal canto suo, la Suprema Corte aderì all’indirizzo dottrinale espresso da R. Franceschelli, affermando che

“ha diritto di ingresso nel nostro ordinamento, sotto il n. 3 dell’art. 2598 c.c., la c.d. concorrenza parassitaria, laddove l’attività commerciale dell’imitatore si traduca in un cammino continuo e sistematico (anche se non integrale) essenziale e costante sulle orme altrui, perché l’imitazione di tutto o di quasi tutto quel che fa il concorrente, l’adozione più o meno immediata di ogni sua iniziativa, se pure non realizzi una confu-sione di attività e di prodotti, è contrario alle regole che presiedono all’ordinario svol-gimento della concorrenza. L’imprenditore commerciale che si pone sulla scia del con-corrente, in modo sistematico e continuativo, viene a trarre profitto dagli studi, dalle spese di preparazione e penetrazione altrui e, utilizzando le realizzazioni già sperimen-tate, evita il rischio dell’insuccesso. Tale comportamento oltre a costituire un esoso sfruttamento dell’altrui iniziativa ed organizzazione contrario all’ampio concetto di cor-

——— 136 R. FRANCESCHELLI, op. cit., p. 291. In senso conforme, cfr. GIAN. GUGLIELMETTI, Sulla nozione di concorrenza parassitaria, in Riv. dir.

ind., 1956, II, p. 316 ss.; L. SORDELLI, Relazione fra ditta e marchio, problemi di confondibilità e la c.d. concorren-za parassitaria impropria, in Foro pad., 1958, I, p. 1469 ss. F. CAVAZZUTI, Note sulla c.d. concorrenza parassita-ria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 921 ss.; G. BARRESI, Note sulla concorrenza parassitaria, in Ann. Fac. Econ. e comm. Univ. Messina, 1967, p. 3 ss.; B. DE’ COCCI, Concorrenza parassitaria, correttezza professionale e principio di originalità, in Riv. dir. ind., 1979, I, p. 462 ss.; P.G. JAEGER, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., pp. 107-109.

137 F. CARNELUTTI, Concorrenza parassitaria?, in Riv. dir. civ., 1959, p. 491 ss.

Page 401: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 375

rettezza, esigendo gli usi onesti che nella competizione per la conquista dei mercati si prevalga sui concorrenti avvalendosi di mezzi di ricerca e finanziari propri, è idoneo a danneggiare l’altrui azienda, a causa dei minori costi di produzione ai quali deve sotto-stare l’imitatore, che gli consentono di praticare, a parità di prodotto, prezzi inferiori a quelli del concorrente e di avviare verso la propria impresa una quantità di affari e di clienti che avrebbero potuto invece avviarsi verso l’imprenditore imitato”138. A questa impostazione della fattispecie, avallata dalla Cassazione, seguì la

critica di Gustavo Ghidini139, il quale per primo rilevò il rischio che la c.d. con-correnza parassitaria favorisse posizioni monopolistiche per le aziende leaders del mercato140.

Alla teoria tradizionale è stato inoltre di recente obbiettato che in realtà, nella prospettiva diversa che vede il bene tutelato dalla disciplina della concor-renza sleale nei valori dell’economia di mercato, l’esigenza di evitare fenomeni di “parassitismo” emerge solo qualora l’imitazione del concorrente è “atta a sco-raggiare l’iniziativa economica o comunque l’innovazione”141.

In altri termini, è la stessa economia industriale moderna che postula, ai fini del progresso economico, la libertà di imitazione, nei limiti però in cui essa, anzi-ché orientare, scoraggi il flusso di innovazioni da parte degli imprenditori imitati. ———

138 Cass., 17 aprile 1962, n. 752, cit. Cfr. Cass., 20 luglio 2004, n. 13423, in Foro it., 2005, I, c. 448: “Nella c.d. concorrenza parassitaria,

l’imitazione può considerarsi illecita soltanto se effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), là dove per «breve» deve intendersi quell’arco di tempo per tutta la durata del quale l’ideatore della nuova iniziativa ha ragione di attendersi utilità particolari (di incassi, di pubbli-cità, di avviamento) dal lancio della novità, ovvero fino a quando essa è considerata tale dal pubblico dei clienti e si impone, quindi, alla loro attenzione nella scelta del prodotto; ciò in quanto la creatività è tutelata nel nostro ordinamento solo per un tempo determinato, fino a quando, cioè, può considerarsi originale, nel senso che, quando l’originalità si sia esaurita, ovvero quando quel determinato modo di produrre e/o di commerciare sia divenuto patrimonio ormai comune di conoscenze e di esperienze di tutti quanti operano nel settore, essendosi così ammortizzato (almeno secondo l’id quod plerumque accidit) da parte del primitivo imprenditore il capitale impiegato nello sforzo creativo, imitare quell’attività che, originale al suo nascere e nel suo formarsi, si è poi generalizzata e spersonalizzata, non costituisce più un atto contrario alla correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

139 G. GHIDINI, La c.d. concorrenza parassitaria, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 616 ss. 140 E v. sul punto G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 351 ss., spec. p. 358, ove rileva la “di-

sparità di trattamento” da parte della giurisprudenza tra concorrenza parassitaria (illecita) e violazione d’esclusiva (lecita). Tale disparità “desta tanto più stupore sia perché, nella violazione d’esclusiva, la posizione monopolistica cui si nega protezione è pur sempre fondata su di una situazione di diritto (seppure relativo) e non di mero fatto (priorità nel lancio di nuove iniziative) come è invece nella con-correnza parassitaria; sia e soprattutto perché, in quest’ultima sede, si viene ad ostacolare la concorren-za fra prodotti sostitutivi (c.d. interbrand) e non solo fra prodotti della stessa marca: realizzandosi quindi un vero effetto monopolistico (di fatto)”.

141 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale, cit., p. 544 ss.

Page 402: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 376

12. — Segue: pubblicità menzognera. Al di fuori delle ipotesi legalmente tipizzate di pubblicità denigratoria o ap-

propriativa ex art. 2598 n. 2 c.c. o di quelle di pubblicità confusoria ex art. 2598 n. 1 c.c., il tema della pubblicità menzognera riguarda tradizionalmente la indi-viduazione di una forma di pubblicità scorretta in sé, in quanto contraria ai principi della correttezza professionale, senza necessità che la valutazione della slealtà sia effettuata in relazione all’attività dei concorrenti142.

Tradizionalmente si ritiene, infatti, che la c.d. pubblicità menzognera consi-sta nella falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad altri concorrenti, e quindi non riconducibile alla fattispecie legale della ap-propriazione di pregi.

La dottrina più attenta, tuttavia, ha dimostrato come in realtà l’elemento ca-ratterizzante l’appropriazione di pregi risiede nella specificità delle qualità sfruttate a fini pubblicitari da chi le autoattribuisce ai propri prodotti; ne deriva che se il pubblico dei consumatori percepisce un pregio come appartenente ad un’impresa o ad un insieme ben delimitato di imprese si sarà in presenza di un’appropria-zione sleale ex art. 2598 n. 2 c.c., mentre si tratterà di pubblicità menzognera ex art. 2598 n. 3 c.c. ove l’oggetto dell’appropriazione sia una qualità non specifica, sia essa effettivamente posseduta dalla concorrenza od invece inesistente143.

L’importanza della fattispecie della pubblicità ingannevole nella tutela della libertà di concorrenza si coglie non appena si osservi che l’inganno del pubblico dei consumatori in relazione ad una determinata offerta di prodotti può produr-re seri effetti distorsivi del gioco concorrenziale. Se, infatti, la pluralità di impre-se operanti sul mercato è condizione necessaria per la sopravvivenza di una concorrenza, sia pure imperfetta, la presenza di un’impresa presuppone tuttavia

——— 142 Cfr. A. VANZETTI, La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 584 ss.; P.G.

JAEGER, Pubblicità e “principio di verità”, in Riv. dir. ind., 1971, I, p. 331 ss.; G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 262 ss.; ID., Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, cit., p. 10 ss., ove è ricostruita l’evoluzione degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali; GIUS. ROSSI, La pubblicità dannosa, cit., p. 35 ss.; C. BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, cit., p. 7 ss.

V. Cass., 25 febbraio 1993, n. 2357, in Foro it., 1995, I, c. 657. 143 M. AMMENDOLA, L’appropriazione di pregi, cit., p. 75, il quale aggiunge che “ciò non toglie che le

ipotesi di mendace appropriazione di pregi possano talora integrare due fattispecie di concorrenza slea-le. Esse, precisamente, possono costituire un illecito ex art. 2598 n. 2 c.c. ai danni del concorrente che possiede la qualità falsamente vantata, e insieme rappresentare un atto non conforme a correttezza pro-fessionale ex art. 2598 n. 3 c.c. verso gli altri concorrenti che ne possono essere danneggiati. Alle due fattispecie realizzate dalla medesima attività concorrenziale corrisponde naturalmente una diversa legit-timazione ad agire: più ridotta ex art. 2598 n. 2 c.c. e potenzialmente diffusa ex art. 2598 n. 3 c.c.”.

Page 403: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 377

che esista anche una domanda relativa ai beni da essa prodotti ed offerti ai con-sumatori.

Dal canto suo, il cittadino consumatore è chiamato ad effettuare una scelta tra i prodotti offerti dalle varie imprese operanti sul mercato, ma questa scelta, per essere realmente libera (v. art. 41, 2° comma Cost.) deve essere anche con-sapevole, cioè basarsi su informazioni, fornite essenzialmente dalle varie forme di pubblicità, veritiere. L’opera di persuasione del pubblico al fine di incentivare la domanda, non può cioè essere posta in essere dalle imprese in modo tale da alterare il libero incontro tra domanda e offerta, che, oltre a determinare il giu-sto prezzo dei prodotti, è condizione necessaria per lo sviluppo della competiti-vità del sistema economico. È stato efficacemente detto, al riguardo che, mentre la disciplina della concorrenza garantisce il potere di scelta, quella della pubblici-tà garantisce invece la consapevolezza della decisione144.

All’esito di un lento cammino evolutivo, che ha visto la giurisprudenza pro-gressivamente spostarsi da posizioni di aperta tolleranza nei confronti della pubblicità superlativa o iperbolica (c.d. puffing)145, ovvero addirittura nei con-fronti del falso pubblicitario non sorretto dall’intento lesivo del concorrente146, sino al riconoscimento dell’autonomia della fattispecie in parola rispetto alla de-nigrazione ed alla appropriazione di pregi ex art. 2598 n. 2 c.c.147, il legislatore ha finalmente preso atto dell’estrema importanza della repressione della pubblicità ingannevole ai fini della salvaguardia della struttura concorrenziale del mercato.

Il quadro normativo è stato infatti innovato ad opera del recepimento della disciplina comunitaria (direttiva CE n. 450/1984) in materia di pubblicità ingan-nevole (d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74), oggi confluita nei già citati artt. 18-32 co-dice del consumo, con la quale si afferma il principio secondo cui la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta (art. 19, 2° comma, codice del consu-mo)148, e si chiarisce che è ingannevole qualsiasi pubblicità

——— 144 N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 74. 145 Cfr., ad es., Cass., 2 aprile 1982, n. 2020, in Giur. ann. dir. ind., 1983, n. 1585; Cass., 18 maggio

1971, n. 1460, in Giur. it., 1971, I, 1, c. 1257. 146 Cfr. il noto caso Motta/Alemagna: Cass., 17 aprile 1962, n. 752, cit. Ma v. già le critiche a

questo atteggiamento giurisprudenziale di A. VANZETTI, La repressione della pubblicità menzognera, cit., p. 600 ss.

147 V. Trib. Milano, 3 giugno 1985, in Giur. ann. dir. ind., 1985, n. 1915, secondo cui “la pubblicità menzognera costituisce di per sé concorrenza sleale, ex art. 2598 n. 3 c.c., anche a prescindere dall’at-titudine di tale condotta a screditare il prodotto o l’attività di un concorrente”. In argomento, v. G. FLORIDIA, La repressione della pubblicià menzognera vent’anni dopo, in Quadrimestre, 1986, p. 69 ss.

148 V. anche l’art. 4 del d. lgs. 74/1992, sulla trasparenza della pubblicità.

Page 404: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 378

“che in qualunque modo, compresa la sua presentazione sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovve-ro che, per questo motivo, sia idonea ledere un concorrente” (art. 20 codice del con-sumo)149. Inoltre, è stato introdotto, sin dalla metà degli anni sessanta del Novecento,

un codice di autodisciplina pubblicitaria, che è un sistema di autoregolamenta-zione privata, interna al sistema imprenditoriale e con efficacia ristretta ai parte-cipanti150, ma che ha influito notevolmente sulla concezione della giurispruden-za circa il carattere ingannevole del messaggio pubblicitario151. Il codice di auto-disciplina, che è soggetto ad aggiornamenti periodici, stabilisce, infatti, il princi-pio di lealtà pubblicitaria (art. 1), mentre condanna la pubblicità ingannevole sancendo (art. 2) che

“la pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o i riconoscimenti”. Il ruolo fondamentale della pubblicità corretta e veritiera ai fini della effet-

tività del gioco concorrenziale è sottolineato dal fatto che il controllo contro la pubblicità ingannevole è affidato, dall’art. 26 del codice del consumo, all’Auto-rità garante della concorrenza e del mercato, alla quale si possono rivolgere tan-to i concorrenti che i consumatori e le loro associazioni ed organizzazioni, ri-chiedendo che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa, la loro continuazione e che ne siano eliminati gli effetti. Tuttavia, l’art. 26, n. 14, codice del consumo sancisce che

“è comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario, in materia di atti di con-correnza sleale, a norma dell’art. 2598 c.c.”. In questo senso, la giurisprudenza ha ritenuto che il giudizio di slealtà della

——— 149 Cfr. V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole, Torino, 1994; G. FLORIDIA, Repressione della

pubblicità scorretta: il sistema italiano, in Dir. ind., 1995, p. 80 ss.; M. FUSI, P. TESTA, P. COTTAFAVI, La pub-blicità ingannevole, Milano, 1993.

150 Cfr. C. BERTI, op. ult. cit., p. 93 ss.; A. RAPISARDI, Il diritto industriale 10 anni dopo. Il punto su…la pubblicità, in Dir. ind., 2002, p. 398 ss.

151 Cass., 15 febbraio 1999, n. 1259, cit.

Page 405: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 379

attività concorrenziale, posta in essere tramite messaggi pubblicitari, possa esse-re condotto, secondo i canoni della concezione normativa della correttezza pro-fessionale, alla luce dei parametri indicati dal d.lgs. n. 74/1992 (oggi confluito, come si è detto, nel codice del consumo)152.

13. — Segue: storno di dipendenti153. Il c.d. storno di dipendenti è un atto concorrenziale riconducibile alla fun-

zione aziendale di politica del personale154, e realizza, secondo l’opinione preva-lente, una fattispecie di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. tutte le volte in cui la sottrazione del personale altrui e la conseguente assunzione avvenga allo scopo di disgregare e/o disorganizzare l’azienda del concorrente acquisendo, in tal modo, una più ampia quota di mercato, atteso che il dipendente dotato di qualità professionali elevate costituisce un’importante risorsa per la competitivi-tà di un’impresa. ———

152 Trib. Roma, 25 febbraio 1998, in Giur. it., 1999, p. 335 ed in Riv. dir. ind., 1998, II, p. 204, con nota di V. FRANCESCHELLI: “L’accertamento del carattere ingannevole di un messaggio pubblicitario, richiesto ai fini di stabilire l'eventuale connotazione sleale della condotta concorrenziale posta in essere dal committente, può esser effettuato alla luce dei parametri e dei criteri definitori indicati dal d.lg. 25 gennaio 1992 n. 74, nella consapevolezza della necessaria unitarietà del sistema disciplinante la pubbli-cità commerciale – pur diversamente articolato – nell’esigenza di evitare una difformità di valutazioni in relazione all’eventualità del verificarsi di identica fattispecie, ancorché diversamente riguardata negli effetti lesivi ché suscettibile di produrre. La distinzione tra pubblicità ingannevole e pubblicità sleale, ossia tra illecito lesivo dell’interesse dei consumatori ed illecito eventualmente lesivo dell’interesse del concorrente, rilevante ex art. 2598 c.c., non può giungere sino al punto di negare la necessità, in en-trambe le ipotesi, di un accertamento specifico in ordine all’attitudine della pubblicità ad indurre in er-rore i consumatori del prodotto reclamizzato dal concorrente, in virtù della stessa portata relazionale del concetto di ingannevolezza”.

Cfr. G. GHIDINI, La concorrenza sleale, cit., p. 280, secondo cui la pubblicità ingannevole, già tradi-zionalmente ricondotta alla categoria degli atti professionalmente scorretti ex art. 2598, n. 3 c.c. “costi-tuisce oggi una fattispecie tipica di concorrenza sleale, in forza del disposto dell’art. 7, comma 13° del d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74”. Sul punto, v. anche C. BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, cit., p. 54, secondo cui “L’autonomia dei doveri imposti dal d.lgs. 74/92 rispetto ai limiti – soggettivi ed oggettivi – della disciplina concorrenziale giustificherebbe, pertanto, una sua invocabilità anche in circostanze difficilmente mediabili dal precetto contenuto nell’art. 2598 n. 3 c.c.: esemplificativa, in tal senso, è l’ipotesi di mendacio pubblicitario idoneo a pregiudicare un consumatore oppure un soggetto econo-mico che non si pone in una relazione di concorrenza con l’autore della pubblicità”.

Sull’uso decettivo del marchio v. G. GHIDINI, Decadenza del marchio per decettività sopravvenuta, in Riv. dir. ind., 1993, I, p. 215 ss.

153 Cfr. V. MELI, Lo storno di dipendenti come atto di concorrenza sleale: un uso giurisprudenziale della clausola di correttezza professionale, in Contr. e impr., 1990, p. 165 ss.; G. DALLE VEDOVE, Lo storno di dipendenti nella disciplina della concorrenza sleale, Padova, 1992.

154 G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 335 ss.

Page 406: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 380

Come è stato esattamente osservato, infatti, “in un’economia caratterizzata dalla concorrenza imperfetta tra imprese tecnologicamente avanzate, il successo di un’impresa dipende in massima parte dalle capacità del personale e dal modo in cui esso è organizzato”155.

Lo storno di dipendenti pone tuttavia un problema di conciliazione tra di-versi interessi di rango costituzionale: quello dell’imprenditore a conservare l’integrità della sua azienda, al fine di poter svolgere la propria iniziativa econo-mica (art. 41 Cost.) e quello del lavoratore dipendente a scegliere liberamente la propria occupazione nell’intento di migliorare la propria posizione professionale (art. 35 Cost.)156.

Ché, infatti, il principio di libertà di concorrenza implichi anche la mobilità del lavoratore e la libertà, per l’imprenditore, di sottrarre ai concorrenti i dipen-denti più qualificati, offrendo loro migliori retribuzioni e/o migliori condizioni di lavoro, è un dato inconfutabile. Così come, del resto, si è visto che lo sfrut-tamento delle esperienze professionali dell’ex dipendente da parte del nuovo da-tore di lavoro dovrebbe essere consentito entro il limite della violazione del se-greto industriale, anche se la recente novella alla legge sulle invenzioni sembra consentire una tutela del c.d. Know how che urta contro le ragioni di esistenza, e quindi gli interessi che stanno a fondamento, del diritto di brevetto157. V’è poi da considerare il fatto che l’effetto nocivo dello storno sull’azienda del concor-rente può essere una naturale conseguenza del libero gioco della concorrenza, tutte le volte in cui l’impresa che subisce lo storno non sia in grado di sostituire il personale per inefficienza, sino al punto di uscire dal mercato. In tal senso, notevole importanza sembra assumere soprattutto la dimensione o la modalità dello storno e le qualità professionali dei dipendenti sottratti; e tuttavia non si può prescindere dalla verifica dell’intenzione del concorrente di effettuare lo

——— 155 P. AUTERI, La concorrenza sleale, in Trattato di diritto privato a cura di P. Rescigno, XVIII, Torino,

1983, p. 404.; cfr. G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., p. 335 ss. 156 Cfr. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit, p. 111; P. CRUGNOLA, Lo

storno di dipendenti come atto di concorrenza sleale, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, p. 421 ss.; D. CAPRA, Concorrenza dell’ex e storno dei dipendenti, in Riv. dir. ind., 1998, II, p. 65 ss.

157 V. già T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza, cit., p. 251. E v. Cass., 3 luglio 1996, n. 6079, in Dir. ind., 1997, p. 35 ss., secondo cui “il nucleo dell’illiceità dello storno di dipendenti è costituito proprio dalla volontà di utilizzare le conoscenze tecniche acquisite dai dipendenti stornati presso il precedente datore di lavoro e dall’intento dell’agente di accedere al mercato prima di quanto gli sarebbe stato pos-sibile in base ai propri studi e ricerche”. Qui è massima la interrelazione tra storno e sottrazione di se-greti, quasi che la prima fattispecie fosse in funzione della realizzazione della seconda. In realtà non è sempre così, perché altrimenti si dovrebbe concludere per la illiceità in sé dello storno con conseguente impossibilità del dipendente di cambiare occupazione.

Page 407: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 381

storno per migliorare la produttività della propria azienda ovvero esclusivamen-te per danneggiare quella del suo rivale. Anche uno storno massiccio di qualifi-cati dipendenti, si pensi ad un intero staff operativo, può ritenersi infatti lecito nella misura in cui avvantaggia realmente l’imprenditore che lo pone in essere, e solo di riflesso danneggia il concorrente.

In questa prospettiva, sembrerebbe che solo nell’ipotesi di storno c.d. monopolistico, motivato cioè esclusivamente dall’intento di escludere dal mercato il concorrente, assume rilievo decisivo l’elemento soggettivo del dolo specifico o animus nocendi per qualificare sleale la condotta ex art. 2598 n. 3 c.c.

L’orientamento giurisprudenziale in materia oscilla tra una concezione sog-gettiva, individuante nel suddetto animus l’elemento che connota di slealtà la condotta158, ed una concezione oggettiva, che, invece, sul presupposto che il do-lo o la colpa non sono elementi costitutivi dell’illecito concorrenziale (arg. ex art. 2600 c.c.), dà rilievo unicamente alle modalità della condotta dell’autore dello storno159.

In realtà appare preferibile seguire un orientamento intermedio, che giusti-fica l’illiceità dello storno sulla base di elementi di fatto che fanno presumere l’intento esclusivamente distruttivo dell’impresa concorrente da parte dell’autore ———

158 Cass., 9 giugno 1998, n. 5671, in Dir. ind., 1999, p. 45 ss.: “Premesso che la concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non puo' in alcun caso derivare soltanto dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un'impresa ad un'altra concorrente, ne' dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, ma deve essere desunta dall'obiettivo che l'imprenditore concorrente si proponga attraverso questo passaggio, e' illecita una strategia diretta ad acquisire un intero «staff» operativo costituito da un funzionario e dalla sua squadra di procacciatori dato che questa strategia svuota l'organizzazione concorrente di specifiche sue ordinarie possibilità operative”.

159 Trib. Monza, 24 gennaio 2000, in Dir. ind., 2000, p. 253 ss., con nota di C. BELLOMUNNO, Lo storno come fattispecie oggettiva: “La concorrenza sleale non può essere configurata né sulla base della dan-nosità della condotta per l’avversario né sulla base di un non ben definito «animus nocendi». In particola-re va negato che tale «animus nocendi» valga a rendere illecite condotte che – esaminate sul piano ogget-tivo – tali non sarebbero. Ogni condotta di concorrenza è tenuta dall’imprenditore nella piena consa-pevolezza del danno che essa può arrecare al suo concorrente ed è anzi finalizzata a questo obiettivo e solo una malintesa concezione dell’attività imprenditoriale può arrivare ad immaginare una concorren-za non finalizzata alla eliminazione del concorrente dal mercato. Con particolare riguardo allo storno di dipendenti, va affermato il pieno diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purché ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo mi-gliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente. Di riflesso, va affermato il diritto di ogni lavoratore – sancito dall’art. 35 cost. – a mutare il proprio datore di lavoro senza che il bagaglio di co-noscenze ed esperienze maturato nell'ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permet-tergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in una sorta di vin-colo che lo leghi all’attuale datore di lavoro e che precluda al lavoratore stesso la possibilità di cercare sul mercato nuovi sbocchi professionali”.

In senso conforme, v. App. Cagliari, 12 gennaio 2000, in Riv. dir. ind., 2001, II, p. 44.

Page 408: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 382

dello storno. In questo senso, il reclutamento del personale dipendente si con-nota di intenzionale slealtà ogni volta che venga attuato con modalità abnormi (per numero e/o qualità dei prestatori d’opera distolti e assunti) sì da superare i limiti di tollerabilità del reclutamento medesimo che, nella sua normale estrinse-cazione, è del tutto lecito160.

È palese, infatti, che, ad esempio, l’assunzione di personale altamente quali-ficato senza che ad esso vengano poi affidate mansioni di alcun genere in seno all’impresa significa inequivocabilmente che lo storno è contrario alla correttez-za professionale. Lo scopo dello storno, potremmo dire, è in questo caso antie-conomico, poiché si risolve nel paralizzare la stessa attività professionale del di-pendente, senza che ne consegua alcun vantaggio diretto, in termini di efficienza produttiva, per l’impresa facente capo all’autore dello storno161. Uno storno con finalità meramente distruttive contrasta con il fondamentale interesse del merca-to (rectius: di tutti i soggetti che vivono nel mercato) allo svolgimento di una concorrenza effettiva tra le imprese: interesse che riassume le posizioni degli imprenditori e dei consumatori, per i quali ultimi la presenza di più operatori economici in un dato settore merceologico è senza dubbio garanzia di migliore qualità e di prezzi più bassi. ———

160 Cass., 20 giugno 1996, n. 5718, in Dir. ind., 1996, p. 932 ss., con nota di F. POLLETTINI, La qua-lificazione oggettiva dello storno: “Perché lo storno di dipendenti possa essere qualificato come atto di con-correnza sleale da parte dell’impresa concorrente non è sufficiente la mera consapevolezza, nell’agente, dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risul-tato (c.d. animus nocendi), la quale deve essere ritenuta sussistente tutte le volte che lo storno di dipen-denti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente”.

In senso conforme, v. Cass., 25 luglio 1996, n. 6712, in Riv. dir. ind., 1997, II, p. 86 ss., con nota di G. TASSONI, Lo storno di dipendenti tra illecito concorrenziale e libertà del lavoro.

La prima pronuncia di questo indirizzo è Cass., 17 gennaio 1974, n. 125, in Giur. ann. dir. ind., 1974, p. 460. Cfr. anche Cass., 6 maggio 1980, n. 2296, in Foro it., 1980, I, c. 1888, che tipizza così i comportamenti illeciti: “l’aver provocato lo storno di numerosi e qualificati collaboratori tecnici, ossia proprio di coloro sulla cui attività è prevalentemente fondata l’organizzazione del concorrente; l’idoneità di tale atto a determinare una grave disfunzione nello svolgimento dell’attività normale dell’azienda concorrente, per non essere tali collaboratori facilmente e tempestivamente sostituibili; l’essersi l’imprenditore avvalso, ai fini dello storno, dell’opera di dirigenti del concorrente, i quali, uni-tamente ad altri dipendenti erano poi passati presso il primo; l’avere l’imprenditore portato a compi-mento la sua opera di indebolimento del concorrente prima ancora della propria costituzione; l’avere due dirigenti del concorrente, mentre erano ancora alle sue dipendenze, stipulato con altre persone una convenzione in cui si prevedeva che sarebbero diventati soci della costituenda società concorrente e uno di essi componente del consiglio di amministrazione”.

161 Cfr. Trib. Verona, 1 febbraio 1997, in Dir. ind., 1997, p. 943 ss., per una fattispecie in cui lo storno riguardava gran parte dell’organigramma aziendale di un’impresa ed uno degli esperti tecnici stornati si era poi trovato ad essere “una sorta di emarginato privo di mansioni e di incarichi precisi” presso il nuovo datore di lavoro.

Page 409: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 383

Autorevole dottrina ha rilevato, in proposito, come lo storno di dipendenti si traduce in una modalità di abuso di potere di mercato o di sabotaggio dell’altrui impresa, atteso che la dinamica del mercato implica che i dipendenti di un’azienda possano liberamente trasferirsi ad un’altra per ragioni di convenienza personale. Da ciò se ne è tratta la conclusione che il c.d. storno di dipendenti non ha alcuna autonomia concettuale nella teoria della concorrenza sleale162.

14. — Segue: violazione di norme pubblicistiche163. Da tempo si discute se la violazione di norme pubblicistiche (penali, am-

ministrative, fiscali) da parte di un soggetto imprenditoriale integri di per sé gli estremi di un atto di concorrenza sleale. In realtà, come è stato esattamente rile-vato, ciò costituisce uno pseudo-problema, dal momento che è necessario pur sempre indagare se, di volta in volta, dalla commissione dell’illecito pubblicistico emerga un comportamento contrario a correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c.164

Al riguardo, è esplicita la massima della Cassazione, secondo cui “La slealtà del comportamento concorrenziale compiuto in violazione di norme pubblici-stiche non può essere ravvisata, in ogni caso ed automaticamente, solo nella i-nosservanza della norma; detta inosservanza assume rilievo nell’ambito della di-sciplina della concorrenza determinando la contrarietà del comportamento an-che alla correttezza professionale solo se tra gli interessi sottesi alla norma tra-sgredita siano compresi pure degli interessi collettivi, miranti alla disciplina del mercato e della concorrenza, al cui rispetto ogni singolo imprenditore sia tenu-to, sull’ulteriore piano etico della lealtà, secondo modelli comportamentali specifici, e se, in definitiva, la violazione della norma si carichi di un più pre-gnante valore negativo di trasgressione alla disciplina di categoria e venga stru-mentalmente perpetrata quale mezzo al fine di incidere direttamente sulla situa-zione concorrenziale, sì da rendere l’atto illecito causa diretta ed immediata del deterioramento, sul mercato, della posizione, attuale o potenziale, dell’altrui impresa”165.

——— 162 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale, cit., pp. 556-558. 163 In argomento, v. C. ALVISI, Concorrenza sleale, violazione di norme pubblicistiche e responsabilità, Mila-

no, 1997. 164 G. GHIDINI, Della concorrenza sleale, cit., pp. 369-370. 165 Cass., 25 marzo 1988, n. 2570, in Giur. ann. dir. ind., 1998, n. 2237.

Page 410: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 384

Questa pronuncia della Cassazione, tra l’altro, è paradigmatica in ordine ad un modo contraddittorio di intendere i principi della correttezza professionale, laddove si fa riferimento prima – esattamente – alla slealtà della condotta concor-renziale quale violazione dei valori del libero mercato sottesi alla disciplina anti-trust (sia pure senza alcun riferimento al principio costituzionale di utilità sociale, quale criterio – limite della libertà di concorrenza), e poi, invece, – erroneamente – all’ulteriore “piano etico della lealtà” ed alla “trasgressione alla disciplina di catego-ria”, rinverdendo in tal modo il giudizio di slealtà concorrenziale con vecchie idee di matrice corporativa.

Il problema della violazione di norme pubblicistiche quale atto illecito ex art. 2598 c.c. va, quindi, risolto verificando, in sede di giudizio, se la commissio-ne dell’illecito pubblicistico abbia in concreto realizzato un vantaggio concor-renziale. Infatti, come è stato osservato, in questa ipotesi “tutto il processo con-correnziale tenderà ad orientarsi in modo perverso: anche i concorrenti si senti-ranno legittimati a violare le norme pubblicistiche, e un danno concorrenziale potrebbe verificarsi (senza alcun giudizio negativo dei consumatori sulla qualità e sul prezzo dei prodotti) proprio a carico dell’imprenditore che intende com-portarsi più correttamente”166.

15. — Le sanzioni. Secondo l’art. 2599 c.c.,

——— 166 M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p.

559. E v. Cass., 17 dicembre 1994, n. 10863, in Riv. dir. ind., 1995, II, p. 245 “Il provvedimento pre-fettizio di autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza privata (art. 257 comma 4, del regola-mento per l’esecuzione del t.u.l.p.s., approvato con r.d. 6 maggio 1940 n. 635) ha un contenuto ne-cessitato (approvazione delle tariffe, dell’organico, delle merci, dell’orario e dei mezzi per provvede-re ai soccorsi in caso di malattia), espressivo del controllo operato dall’autorità di pubblica sicurezza sull’efficienza e la correttezza gestionale della singola impresa, alla luce degli interessi pubblici con-nessi all'esercizio della predetta attività. La violazione del provvedimento di autorizzazione nella parte in cui approva la tariffa, ancorché penalmente o amministrativamente sanzionata (art. 135 comma 5, 140, 221, comma 2 t.u.l.p.s. approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773), non può costitui-re, di per sé, elemento sufficiente a qualificare la pratica di tariffe diverse da quelle approvate come atti di concorrenza sleale, in difetto degli altri elementi che caratterizzano la fattispecie di cui all’art. 2598 n. 3 c.c.”. In senso conforme, v. M. LIBERTINI, op. ult. cit., p. 561, secondo cui la mancanza di autorizzazione si può tradurre in atto di concorrenza sleale tutte le volte in cui dia luogo al conse-guimento di un ingiustificato vantaggio concorrenziale, consistente nel risparmio di spese obbliga-torie da parte dell’impresa irregolare.

Page 411: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - LA CONCORRENZA SLEALE E IL MERCATO 385

“La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinchè ne vengano eliminati gli effetti”. Il successivo art. 2600 c.c., sancisce che « Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risar-cimento dei danni. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.» Il quadro delle sanzioni previste per la violazione della correttezza profes-

sionale o slealtà concorrenziale è dunque composto innanzitutto dalla c.d. inibi-toria, vale a dire dal divieto giudiziale di continuare l’attività illecita, la quale è fonte di danni per l’impresa concorrente che la subisce. Il danno c.d. concor-renziale può essere però soltanto potenziale e non effettivo, atteso che l’art. 2598 n. 3 c.c. richiede che gli atti di concorrenza sleale siano idonei a danneggiare l’altrui azienda. In definitiva, poiché l’obbiettivo del concorrente che agisce sle-almente è la conquista della clientela dell’altro imprenditore, il danno si configu-ra come potenziale tutte le volte in cui la condotta posta in essere sia idonea a sviare la suddetta clientela167.

Il giudice, accertati gli atti di concorrenza sleale, può anche disporre “op-portuni provvedimenti”, affinché ne vengano rimossi gli effetti dannosi (esem-pio, ordine di distruzione o di ritiro dal commercio dei beni realizzati con l’attività illecita). Inoltre, il concorrente che abbia agito slealmente può essere condannato al risarcimento dei danni e in tal caso la colpa è sostenuta da una presunzione relativa, onde spetterà al convenuto in giudizio fornire la prova li-beratoria. Infine, non va sottaciuta la sanzione consistente nella pubblicazione della sentenza di condanna, atteso che essa si risolve – indirettamente – in una pubblicità commerciale a spese del concorrente che ha agito scorrettamente.

——— 167 Cfr. Cass., 14 febbaio 2000, n. 1617, in Riv. dir. ind., 2001, II, p. 96.

Page 412: Diritto privato del mercato
Page 413: Diritto privato del mercato

CAPITOLO TERZO

IL DIRITTO ANTITRUST

SOMMARIO: 1. Le origini dell’antitrust. — 2. Il Trattato istitutivo della Comunità Europea, la nuova Costituzione per l’Europa e la l. 10 ottobre 1990, n. 287. — 3. Le intese restritti-ve della concorrenza e la tutela del consumatore. — 4. La nozione di mercato rilevante. — 5. Tipologia delle intese anticoncorrenziali e fattispecie tipiche. — 6. Le esenzioni. — 7. L’abuso di posizione dominante: nozione. — 8. Alcune fattispecie di abuso: a) il boi-cottaggio. — 9. Segue: b) i prezzi predatori e le vendite sottocosto. — 10. Segue: c) i tying contracts e il bundling. Il caso Microsoft. — 11. Abuso di dipendenza economica, boicottag-gio e tutela della libertà di concorrenza. — 12. Le concentrazioni tra imprese nel Regola-mento n. 139/2004. — 13. Gli aiuti di Stato alle imprese.

1. — Le origini dell’antitrust1. La disciplina a tutela della libertà di concorrenza è anche detta disciplina o

diritto antitrust, secondo la terminologia anglosassone che richiama le sue origini, risalenti al 1890, anno in cui il senatore dell’Ohio John Sherman fece approvare dal Congresso degli Stati Uniti d’America la legge antimonopolistica da lui stes-so proposta2, lo Sherman Act3. La legge colpiva le restrizioni del commercio rea-lizzate con accordi e pratiche concordate fra più imprese (section 1)4, ovvero

——— 1 Sulle radici storiche del diritto antitrust v., da ultimo, L. PROSPERETTI, M. SIRAGUSA, M. BERET-

TA, M. MERINI, Economia e diritto antitrust. Un’introduzione, Roma, 2006, parte I, cap. 2. 2 Bill to declare unlawful trusts and combinations in restraint of trade and production. 3 Tradizionalmente si fa risalire la prima legge antimonopolistica allo Statute of Monopolies del 1623

di Giacomo I Stuart, re d’Inghilterra. Tuttavia, l’accezione moderna del diritto antitrust trova certamente le sue radici nello Sherman

Act, più tardi completato e integrato dal Federal Trade Commission Act e dal Clayton Act (entrambi del 1914). Più tardi intervennero il Robinson Patman Act (1936), il Wheeler-Lea Act (1938), il Celler Kefauver Amendment (1950) e l’Hart-Scott-Rodino Act (1976). Cfr. G. AMATO, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998, p. 13 ss., spec. p. 19; ID., Il gusto della libertà. L’Italia e l’Antitrust, Roma-Bari, 1998, p. 5 ss.; A. PERA, Concorrenza e antitrust, cit., p. 38 ss.; C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 76 ss. Uno degli affreschi più completi della storia dell’antitrust è opera di I. FERRAN-TI, Etica del diritto privato commerciale, in A. PALAZZO, I. FERRANTI, Etica del diritto privato, vol. II, Padova, 2002, p. 274 ss.

4 Section 1: Every contract, combination in the form of a trust or otherwise, or conspiracy, in restraint of trade or commerce among the several states, or with foreign nations, is hereby declared to be illegal. Every person who shall make any such contract or engage in any such combination or conspiracy shall be deemed guilty of a misdemeanor […].

Page 414: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 388

con tentativi di monopolizzazione da parte di singole imprese (section 2)5. In particolare, lo Sherman Act si qualificò come legge antitrust per la sua idoneità ad impedire le concentrazioni industriali (già vietate, ma) attuate attraverso lo strumento dei trusts. Infatti, come ricorda il professore Morton J. Horwitz nell’analizzare la trasformazione del diritto americano, il primo grande trust, lo Standard Oil, fu progettato nel 1882 dal consulente legale della omonima socie-tà, S.C.T. Dodd, “per rendere possibile la fusione di corporations, eludendo il di-vieto previsto dalle leggi statali che impediva ad una corporation di possedere a-zioni di un’altra corporation. Dal momento che i singoli azionisti delle corporations che si univano affidavano le loro quote azionarie a degli amministratori fiduciari (trustees) in cambio di certificati di fiducia (trust certificates), il trust che nasceva da questa operazione non veniva registrato come corporation e quindi si riteneva immune dai limiti imposti dal diritto sulle corporations”6.

Il trust costituiva pertanto un efficace strumento collusivo per concordare le strategie competitive e tenere sotto controllo il comportamento dei concor-renti, specialmente in ordine alla fissazione dei prezzi.

Stante la trattazione essenzialmente istituzionale del nostro tema, non è questa la sede per dilungarci sulle teorie economiche che si sono succedute dallo Sherman Act in poi nelle Scuole di analisi economica del diritto (Economic Anal-ysis of Law) nordamericane (cfr., ad es., quelle più recenti di Harvard e di Chica-go)7 per giustificare la permanenza o il cambiamento di un tipo di legislazione antitrust8; ad esse verrà fatto cenno nei luoghi opportuni, mentre il nostro inte-

——— 5 Section 2: Every person who shall monopolize, or attempt to monopolize, or combine or conspire with any other

person or persons, to monopolize any part of the trade or commerce among the several states, or with foreign nations, shall be deemed guilty of a misdemeanor […].

6 M.J. HORWITZ, La trasformazione del diritto americano, 1870-1960, Bologna, 2004, p. 137. Cfr. altresì D.D. FRIEDMAN, L’ordine del diritto. Perché l’analisi economica può servire al diritto, Bologna, 2004, p. 459 ss., spec. p. 468; S. MEZZACAPO, La concorrenza tra regolazione e mercato, cit., p. 80 ss.; G. BERNINI, Un secolo di filosofia antitrust. Il modello statunitense, la disciplina comunitaria e la normativa italiana, Bologna, 1991, p. 5 ss.

Sulla figura di origine anglosassone del trust, v. soprattutto M. LUPOI, Trusts, 2a ed., Milano, 2001; ID., I trusts nel diritto civile, in Trattato di diritto civile diretto da Sacco, I diritti reali, vol. 2, Torino, 2004.

7 Sulla penetrazione nella giurisprudenza italiana della EAL v. soprattutto R. PARDOLESI, B. TAS-SONE, I giudici e l’analisi economica del diritto privato, Bologna, 2003.

8 L’argomento è affrontato in modo esauriente, tra gli altri, da R. VAN DEN BERGH, L’analisi econo-mica del diritto della concorrenza, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi, L.C. Ubertazzi, vol. I, Bologna, 1993, pp. 3-47; e da C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e poli-tica della concorrenza, cit., p. 59 ss. ; per una applicazione alla legislazione italiana, cfr. R. PARDOLESI, Ana-lisi economica della legislazione antitrust italiana, in Analisi economica del diritto privato, a cura di G. Alpa, P. Chiassoni, A. Pericu, F. Pulitini, S. Rodotà, F. Romani, Milano, 1998, p. 382 ss.; F. DENOZZA, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, 2002; F. GOBBO, Il mercato e la tutela della concorren-za, Bologna, 2001.

Page 415: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 389

resse si deve ora spostare sul dato positivo della legislazione antitrust italiana e comunitaria.

2. — Il Trattato istitutivo della Comunità Europea, la nuova Costituzione per l’Eu-

ropa e la l. 10 ottobre 1990, n. 287. Il Trattato istitutivo della Comunità Europea (d’ora in avanti, TCE), sotto-

scritto a Roma il 25 marzo 1957 e da ultimo modificato dal Trattato di Amster-dam del 2 ottobre 1997 e dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, prende in esame e disciplina la concorrenza tra imprese operanti nel territorio della Co-munità, al fine di prevenire fenomeni monopolistici9.

La peculiarità del diritto antitrust comunitario è essenzialmente quella di porsi come strumento di integrazione dei mercati nazionali per la realizzazione di un mercato unico europeo, come emerge dalla circostanza che l’art. 3, § 1, lett. g, TCE, indica espressamente che l’azione della Comunità comporta un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, ai fini isti-tuzionali enunciati all’art. 2 TCE. Allo stesso modo, la politica economica e monetaria degli Stati membri e della Comunità deve svolgersi conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza (v. artt. 4, 98 e 105 TCE)10.

La libertà di concorrenza quale valore fondante dell’ordinamento comuni-tario è ancora più evidente nella nuova Costituzione per l’Europa11, ove tra gli obiettivi dell’Unione è espressamente ricompreso un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata (art. I-3, n. 2), nonché un’economia sociale di mercato fortemente competitiva (art. I-3, n. 3), mentre viene sancita la competenza esclusiva

——— Il tema della giustificazione politica della normativa antitrust statunitense è trattato da G. ROSSI,

Antitrust e teoria della giustizia, in Riv. soc., 1995, pp. 1-21. 9 Cfr., da ultimo, A.M. CALAMIA, La nuova disciplina della concorrenza nel diritto comunitario, Milano,

2004. 10 Negli stessi termini, v. gli artt. III-177 e III-178 della Costituzione per l’Europa. Sulla costituzione economica comunitaria, v. soprattutto L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrat-

tuale nell’ordinamento comunitario, cit., p. 103 ss., spec. p. 108 ss.; G. DI PLINIO, Il common core della deregulation. Dallo Stato regolatore alla Costituzione economica sopranazionale, Milano, 2005.

Cfr. anche F. MUNARI, Le regole della concorrenza nel sistema del Trattato, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, nel Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, vol. XXVI, t. II, To-rino, 2000, p. 1149 ss.

11 Cfr. L.F. DI PACE, I fondamenti del diritto antitrust europeo. Norme di competenza e sistema applica-tivo dalle origini alla Costituzione europea, Milano, 2005.

Page 416: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 390

dell’Unione in tema di definizione delle regole di concorrenza necessarie al fun-zionamento del mercato interno (art. I-13, lett. b)12.

Orbene, le regole di concorrenza applicabili alle imprese riguardano innanzitutto il divieto di intese restrittive della concorrenza (artt. 81 TCE e, in termini identici, III-161 Cost. Eur.) e del c.d. sfruttamento abusivo di posizione dominante (artt. 82 TCE e III-162 Cost. Eur.)13.

Dal canto suo, la legge antitrust italiana, n. 287 del 10 ottobre 1990 (d’ora in avanti, L.A.), rispecchia fedelmente tali norme, rispettivamente, agli artt. 2 e 314.

Tale impostazione è coerente con quanto stabilito dall’art. 1 della stessa legge, secondo cui l’interpretazione delle norme antitrust nazionali, che costitui-scono attuazione dell’art. 41 Cost. a tutela e garanzia del diritto di iniziativa eco-nomica15 e si applicano alle fattispecie che interessano solo il mercato italiano, è effettuata in base ai principi dell’ordinamento comunitario in materia antitrust (art. 1, comma 1 e 4, L.A.)16.

A questa derivazione della disciplina interna della concorrenza da quella comunitaria si accompagna anche la competenza, espressamente prevista dal Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio17, sia delle Autorità garanti della con-———

12 Cfr. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 85 ss. 13 In argomento, v. soprattutto A. FRIGNANI, P. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella

CEE, 4a ed., Torino, 1996, p. 111 ss. 14 Fatte salve alcune differenze lessicali che possono ritenersi irrilevanti. Ciò che muta sostanzial-

mente nelle due discipline è solo l’ambito di applicazione, ristretto al solo mercato nazionale ovvero allargato a quello comunitario. Uno dei primi commenti alla legge antitrust italiana è di V. AFFERNI (a cura di), Concorrenza e mercato, Padova, 1994.

Sulle ragioni politiche dell’estremo ritardo dell’approvazione della legge antitrust italiana v. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., pp. 17 ss., 102 ss.

15 Cfr. G. OPPO, Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. dir. civ., 1993, II, p. 543 ss., il quale però nota lo “strabismo costituzionale” dell’art. 1, l. n. 287/1990, atteso che i divieti di abuso di posizio-ne dominante e di intese e pratiche restrittive della concorrenza, ponendosi come limiti alla libertà di iniziativa economica privata, non possono considerarsi posti a garanzia della libertà medesima, ma solo a garanzia di valori che la sovrastano, cioè della utilità sociale. All’opposto, G. BERNINI, Un secolo di filosofia antitrust, cit., p. 319, sottolinea come il riferimento che la l. n. 287/1990 fa all’art. 41 Cost., proclamandosene attuazione, non sarebbe esatto, poiché “una legge che tutela la libertà di concorrenza non può essere citata quale limite alla li-bertà di iniziativa economica”. In argomento, v. C. PICCIOLI, Contributo all’individuazione del fondamento costituzio-nale della normativa a tutela della concorrenza (c.d. legge antitrust), in Riv. trim. dir. pub., 1996, p. 29 ss.; R. NIRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994; R. ALESSI, G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 3 ss.

16 Una raccolta aggiornata delle decisioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) si trova in R. ROVERSI, Repertorio antitrust, Torino, 2004.

17 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, in GUCE n. L 1 del 4 gen-naio 2003. In realtà, come evidenzia il 4° considerando del Regolamento, la novità delle nuove regole risiede nell’applicabilità da parte delle autorità garanti della concorrenza e dei giudici nazionali non tanto

Page 417: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 391

correnza degli Stati membri che delle giurisdizioni nazionali, all’applicazione de-gli articoli 81 e 82 TCE, tutte le volte in cui le intese restrittive o gli abusi di po-sizione dominante possano pregiudicare il commercio tra Stati membri (artt. 3 e 6 Reg. n. 1/2003)18.

Ne consegue la necessità di trattare congiuntamente la disciplina della con-correnza nell’ordinamento interno e comunitario, partendo proprio da quest’ul-timo, specialmente avuto riguardo all’interpretazione di esso fornita dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea19.

3. — Le intese restrittive della concorrenza e la tutela del consumatore20. L’art. 81 TCE (III-161 Cost. Eur.) dichiara incompatibili con il mercato

comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di im-prese e le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Sta-ti membri21 e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

La norma in esame, al pari dell’art. 2 L.A., elenca poi una tipologia di ac-cordi, a carattere esemplificativo, che comportano per sé una restrizione della concorrenza. Si tratta, in particolare, delle fattispecie consistenti nel:

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione22;

——— degli artt. 81, n. 1, e 82 TCE, che erano già direttamente applicabili in virtù della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, bensì dell’art. 81 n. 3 TCE, in tema di esenzioni (v. infra, § 6).

18 Cfr. G. FLORIDIA, V.G. CATELLI, Diritto antitrust, cit., p. 39 ss.; M. SIRAGUSA, E. GUERRI, L’applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato CE in seguito all’introduzione del Regolamento 1/2003, in Dir. ind., 2004, p. 348 ss.

19 Fondamentale raccolta sistematica della giurisprudenza comunitaria è il recente volume di P. MANZINI, Antitrust applicato, Torino, 2004.

20 Sull’argomento, v. spec. R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, cit., pp. 145-307; M. PANUCCI, Le intese, in L’Antitrust italiano, a cura di G. Ghidini, Milano, 2003, pp. 1-40; G. TESAURO, Diritto comunitario, 3a ed., Padova, 2003, p. 525 ss.; C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 241 ss.; G. FLORIDIA, V.G. CATELLI, Diritto antitrust, cit., p. 59 ss.; P. FATTORI, M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., p. 41 ss.; L. MANSANI, La disciplina delle intese restrittive della concorrenza, in Riv. dir. comm., 1995, I, p. 55 ss., spec. p. 102 ss.; A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 557 ss.; M. RICOLFI, Antitrust, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. II, Diritto industriale, Padova, 2001, p. 565 ss.

21 Per l’art. 2 L.A., invece, sono vietate le intese restrittive in maniera consistente della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

22 Il termine “transazione” va qui inteso non già nel significato tecnico legato all’omonimo con-tratto tipico dell’ordinamento italiano (v. art. 1965 c.c.), bensì quale sinonimo di contratto in generale.

Page 418: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 392

b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investi-menti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contra-enti di prestazioni supplementari, che per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi. Sia il Trattato CE che la legge italiana sanciscono la nullità delle suddette in-

tese (artt. 81, § 2, TCE e 2, n. 3, L.A.); il che però lascia aperta la questione rela-tiva alla sorte degli eventuali contratti a valle, stipulati cioè da una singola impresa col consumatore in esecuzione dell’intesa vietata.23

Un caso recente24, ad esempio, è costituito, nel mercato italiano, dal prov-vedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avan-ti, AGCM) – organo amministrativo indipendente25 preposto all’applicazione del diritto antitrust unitamente alla Commissione CE – che ha irrogato una mul-ta di circa 700 miliardi delle vecchie lire nei confronti di quarantadue imprese assicurative operanti nel settore automobilistico, dopo aver verificato l’esistenza tra le stesse di un’intesa anticoncorrenziale ricavabile dal rifiuto omogeneo ed ingiustificato di vendere disgiuntamente prodotti inerenti a servizi e a rischi dif-ferenti (in particolare, polizze contro il furto e l’incendio separatamente rispetto alle polizze R.C. auto)26 e da un particolareggiato scambio di informazioni sen-sibili circa i vari aspetti dell’attività assicurativa27. In pratica, tale comportamento ——— Nell’art. 2 L.A. si parla, infatti, di “condizioni contrattuali”. L’uso del suddetto termine nel TCE e nella Cost. Eur. deriva dall’esperienza anglosassone. Nel diritto inglese, infatti, “si distingue tra contratti-transactions e contratti-relations. I primi sono contratti istantanei, che rappresentano operazioni isolate e fini a se stesse, come ad esempio l’acquisto di un bene al supermercato. I secondi sono contratti di du-rata, che interessano, invece, relazioni durevoli tra le parti, come il contratto di lavoro.” Così G. ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, in G. ALPA, M.J. BONELL, D. CORAPI, L. MOCCIA, V. ZENO-ZENCOVICH, A. ZOPPINI, Diritto privato comparato. Istituti e problemi, 6a ed., Roma-Bari, 2004, p. 191.

23 Per un primo, significativo, approccio al tema v. G. GUIZZI, Interessi individuali e collettivi nella di-sciplina della concorrenza, in Contratto e mercato, a cura di A. M. Azzaro, cit., p. 79 ss.; ID., Mercato concorren-ziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, p. 67 ss.

24 Il caso è dettagliatamente esaminato da V. AMENDOLA, P.L. PARCU, L’antitrust italiano, cit., p. 135 ss.

25 Cfr. F. MERUSI, M. PASSARO, Le autorità indipendenti, Bologna, 2003. 26 Secondo l’AGCM questa tipologia di condotta costituiva una fattispecie di pratica concordata. 27 AGCM, 28 luglio 2000, RC Log, in Boll. n. 30/2000. In particolare, l’Autorità ha ritenuto che,

tramite i servizi della società di consulenza RC Log, la quale trattava i dati commerciali del mercato di riferimento, le società assicurative (costituenti oltre l’80% di quelle operanti in Italia nel settore auto-

Page 419: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 393

è sfociato in un aumento generalizzato delle polizze assicurative a danno dei consumatori-clienti delle imprese colluse28; ci si è chiesti, pertanto, se i singoli contratti assicurativi stipulati – a seguito dell’intesa (nulla) – con i clienti, siano anch’essi invalidi, legittimando pertanto i consumatori danneggiati ad ottenere dalle compagnie sanzionate la restituzione delle somme versate in eccedenza. Il problema, assai rilevante dal punto di vista economico, attesa l’enorme diffusio-ne delle assicurazioni per responsabilità civile connessa alla circolazione auto-mobilistica, è stato da ultimo affrontato dalla Sezioni Unite della Corte di Cassa-zione con la sentenza n. 2207 del 4 febbraio 200529.

In proposito, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che un’automo-bilista, il quale, in sede di stipulazione della polizza di assicurazione R.C. auto, dimostri di aver ingiustamente pagato un sovrapprezzo per effetto di una intesa illecita restrittiva della concorrenza fra le compagnie assicuratrici, è legittimato ad esperire davanti alla Corte d’Appello l’azione di nullità e di risarcimento del danno prevista dall’art. 33 della L.A.30. In tal senso è stato riconosciuto che la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, vale a dire non tutela solo gli interessi delle imprese in rapporto di concorrenza31; essa è “la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia, interesse, processualmente rilevante, alla conser-vazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conse-guente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”32.

——— mobili) avevano creato un sistema istituzionalizzato di scambio di dati sensibili (tariffe, sconti, incassi, sinistri, condizioni contrattuali, costi di gestione e previsioni sull’evoluzione del mercato) allo scopo di prevedere il comportamento dei concorrenti.

La decisione dell’Autorità è stata confermata dal TAR del Lazio (sentenza 5 luglio 2001 n. 6139) e dal Consiglio di Stato (sentenza 2199/2002).

In senso analogo, cfr., da ultimo, AGCM, 30 settembre 2004, Ras-Generali/Iama consulting, in Boll. n. 40/2004; contra, v. invece AGCM, 10 giugno 2004, Philip Morris Italia/Rivendita di tabacchi, in Boll. n. 36/2004.

28 Le tariffe assicurative erano state liberalizzate, con d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175 (in esecuzione di una direttiva comunitaria), allo scopo di introdurre la concorrenza nel settore e ottenere così una riduzione delle stesse. Invece, nel periodo giugno 1994-gennaio 2000, i premi assicurativi sono aumentati del 96,55% (§ 70 provv. n. 8546/2000, cit.).

29 In Foro it., 2005, I. 30 La decisione delle Sezione Unite della Cassazione fa seguito all’ordinanza di rimessione di Cass.,

17 ottobre 2003, n. 15538, in Foro it., 2004, I, c. 466, con note di R. PARDOLESI, Cartello e contratti dei consumatori: da Leibniz a Sansone?, ivi, c. 469 ss.; F. FERRO-LUZZI, Prolegomeni in tema di mercato concorrenziale e “aurea aequitas” (ovvero delle convergenze parallele), ivi, c. 475 ss.; G. GUIZZI, Struttura concorrenziale del merca-to e tutela dei consumatori. Una relazione ancora da esplorare, ivi, c. 479 ss.

31 Come invece aveva ritenuto Cass., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it., 2003, I, c. 1121. 32 Cass., 2207/2005, cit. Nello stesso senso, da ultimo, v. Cass. 13 luglio 2005, n. 14716, in Rep.

Foro it., 2005, voce Concorrenza, n. 194.

Page 420: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 394

Che le norme antitrust tutelassero il più generale interesse al corretto fun-zionamento dei mercati, non era affermazione nuova per la dottrina più attenta, la quale aveva già ravvisato lo stesso interesse anche nello scopo della normativa codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598-2600 c.c.), al fine di affrancarla dalla inveterata idea di stampo prettamente corporativista, secondo cui la corret-tezza professionale, quale parametro per valutare la lealtà della condotta concor-renziale (cfr. art. 2598, n. 3, c.c.), doveva specificarsi tramite il rinvio agli usi o alla morale corrente della categoria imprenditoriale33.

Questo progressivo “smarcamento” della disciplina a tutela della libertà di concorrenza da finalità settoriali (di categoria) va salutato con estremo favore perché realizza finalmente il ruolo primario del consumatore nel sistema dell’e-conomia di mercato34. È del tutto evidente, infatti, che l’interesse dei consumatori finali a compiere scelte libere e consapevoli e ad ottenere il massimo risultato di soddisfazione al minimo prezzo possibile35 debba ormai ricevere la stessa protezione dell’interesse degli imprenditori in rapporto di concorrenza al mantenimento di una struttura di mercato concorrenziale e, in definitiva, al rispetto delle regole della competi-zione36.

Queste conclusioni appaiono tanto più vere allorché si allarghi lo sguardo alla prospettiva europea, atteso che l’attuale fase di applicazione del diritto anti-

——— 33 Cfr. M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, in Eu-

ropa e dir. priv., 1999, p. 509 ss., spec. p. 528 ss. Secondo Libertini, sono professionalmente scorrette “quelle azioni concorrenziali che non possono trovare risposta adeguata da parte di un concorrente efficiente e che, pertanto, impediscono la normale continuazione del gioco concorrenziale”, come ad esempio, la vendita sotto costo, che consente a chi pratica un prezzo predatorio di espellere dal merca-to imprese anche di normale efficienza, tranne il caso che sia giustificata da esigenze temporanee di organizzazione aziendale o di tipo promozionale. V. anche M. LIBERTINI, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, I, p. 452 ss.

34 Ma v., in senso contrario, C. CASTRONOVO, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, p. 469 ss., secondo cui la disciplina antitrust “è dichiaratamente rivolta alla concorrenza, che co-me tale è categoria dell’impresa.”

35 L’espressione, assai felice, è di M. LIBERTINI, Ancora sui rimedi civili conseguenti ad illeciti antitrust (II), in Danno e resp., 2005, p. 237 ss., spec. p. 241. Secondo M. LIBERTINI, op. ult. cit., p. 251, la decisione di Cass., sez. un., 2207/2005, sembra ammettere sul punto la possibilità di ricorrere tanto all’azione di risarcimento del danno quanto all’azione di ripetizione di indebito, ma per quest’ultimo rimedio sareb-be necessario dichiarare, pur se la sentenza non lo afferma esplicitamente, anche la nullità del contratto a valle e non solo dell’intesa principale.

In precedenza, sul tema specifico v. l’ampia indagine di A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Milano, 1996, cap. II.

36 V’è chi ha parlato, in proposito, di un autonomo diritto del consumatore alla corretta regolazio-ne del mercato: A.M. AZZARO, Intese restrittive della concorrenza e contratti in danno dei consumatori, in Riv. dir. comm., 2004, II, p. 339 ss. E v. altresì V. MENESINI, Il diritto al mercato come nuovo diritto della persona, in Diritto e processo – Annuario giuridico dell’Università di Perugia a cura di A. Palazzo, 2001, p. 189.

Page 421: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 395

trust comunitario si svolge in un quadro ordinamentale che vede già realizzato il mercato unico, il quale costituiva il primo obiettivo del processo di integrazione tra gli Stati dell’Unione: in funzione di tale obiettivo primario l’attenzione degli interpreti si era focalizzata principalmente sull’abbattimento delle c.d. barriere all’ingresso nel mercato, che colpivano innanzitutto le imprese new comers o ne ostacolavano la circolazione nel territorio comunitario. Ne derivava l’adozione di un c.d. modello multipurpose di tutela della concorrenza, in virtù del quale la libertà di concorrenza richiedeva il perseguimento simultaneo di una pluralità di obiettivi diversi fra di loro, non riconducibili alla sola dimensione dell’efficienza economica; questo modello lasciava però trasparire facili tentazioni di dirigismo, inteso quale controllo statale delle dinamiche competitive per assicurare la rea-lizzazione del mercato unico europeo, prima tappa del processo (da più parti ot-timisticamente ventilato come imminente) di unificazione politica dell’Europa. In sostanza, per controllare il potere economico privato si era reso talvolta ne-cessario espandere, in varia misura, l’intervento nell’economia dei pubblici pote-ri. In questa prospettiva, ad esempio, veniva ribadita, quale finalità precipua del-la normativa antitrust comunitaria applicabile alle imprese, la necessità di assicu-rare l’esistenza sul mercato di una concorrenza efficace (workable competition), cioè di un’attività concorrenziale sufficiente a far ritenere che fossero rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalità del Trattato e – in particolare – la creazione di un mercato unico che offrisse condizioni analoghe a quelle di un mercato interno37.

La situazione attuale, viceversa, consente di affermare che la costruzione del mercato unico è sostanzialmente già avvenuta, con il risultato di poter legge-re in controluce nella trama normativa un nuovo modello di tutela della concor-renza derivante dall’enforcement dell’antitrust comunitario, il c.d. modello dell’ot-timalità economica. Esso vede finalmente (e giustamente) la libertà di concor-renza essenzialmente quale ricerca della massimizzazione del benessere dei con-sumatori (c.d. consumer welfare)38.

Dal punto di vista della tutela degli interessi dei consumatori, poi, la legge antitrust italiana vi presta attenzione non soltanto quando consente l’autoriz-zazione di pratiche e intese restrittive nei casi in cui il sacrificio della concorren-

——— 37 Corte Giust., 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro SB-Grossmaerkte GmBH et Co. Kg c. Commissione, in

Racc., 1977, p. 1875, punto 20. 38 Queste indicazioni sono rinvenibili nell’accurata analisi di M. RICOLFI, Antitrust, cit., pp. 542 ss., spec. p.

547. Offre una prospettiva analoga, da ultimo, V. MELI, Rifiuto di contrattare e tutela della concorrenza nel diritto anti-trust comunitario, Torino, 2003, pp. 26-27.

Page 422: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 396

za sia compensato da un beneficio sostanziale dei consumatori, in termini di miglioramento quantitativo e qualitativo della produzione ovvero di progresso tecnico o tecnologico (art. 4, comma 1, L.A.), ma altresì quando riconosce “a chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentative dei consumatori”, la facoltà di denunciare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato eventuali violazioni del divieto di intese e di abuso di posizione dominante (art. 12, comma 1, L.A.)39.

Se, dunque, si riconosce che l’interesse dei consumatori trova accoglienza nella normativa antitrust quale interesse al mantenimento di una struttura con-correnziale efficiente, ciò significa che una concorrenza socialmente utile, ex art. 41, 2° comma Cost., è quella che non danneggi il consumatore, ovverosia il suo diritto a scegliere tra offerte diversificate di prodotti che mirino al miglior rap-porto qualità/prezzo.

4. — La nozione di mercato rilevante. Tra i presupposti applicativi della fattispecie collusiva vietata dagli artt. 81

TCE (III-161 Cost. Eur.) e 2 L.A.40, vanno annoverati la nozione di impresa e di mercato rilevante.

Riguardo alla nozione di impresa per il diritto comunitario si rinvia a quan-to già detto nella parte I, cap. 2, § 541.

Altro presupposto essenziale per comprendere il meccanismo sanziona-torio delle intese restrittive della concorrenza (e, ancor più, come vedremo, dell’abuso di posizione dominante) è costituito dalla esatta configurazione del mercato rilevante, rispetto al quale cioè valutare gli effetti degli atti o dei com-portamenti vietati dalle norme antitrust.

I precedenti giurisprudenziali cui fare riferimento per delimitare la no-zione di mercato rilevante sono in gran parte tratti dal contesto applicativo

——— 39 Il riferimento all’interesse dei consumatori nelle norme antitrust del Trattato CE è all’art. 82

lett. b), che indica, fra i casi di sfruttamento abusivo di posizione dominante, quello consistente “nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori” (v. art. 3, lett. b, l. 287/1990). In argomento, v. G. ALPA, La giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 725 ss.

40 Ma il discorso è identico ai fini dell’applicazione delle norme sul divieto di abuso di posizione dominante.

41 Con specifico riferimento all’argomento, v. G. GUIZZI, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. dir. comm., 1993, I, p. 277 ss..

Page 423: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 397

dell’art. 82 TCE: la definizione del mercato di cui trattasi è, infatti, una condi-zione necessaria e preliminare a qualsiasi giudizio su un comportamento che si pretende anticoncorrenziale, in quanto, prima di dimostrare la presenza di un abuso di posizione dominante, è necessario provare l’esistenza di una posizione dominante in un determinato mercato. Nel caso delle intese, invece, la nozio-ne de qua è utile soltanto per individuare l’ambito territoriale e merceologico nel quale esse sono destinate a produrre i loro effetti distorsivi della concor-renza42.

Il concetto in esame è tradizionalmente oggetto di contrastanti valutazioni, rispettivamente, da parte delle imprese interessate, le quali mirano ad ampliarne la portata, allargando il mercato di riferimento fintantoché è escluso ogni possi-bile profilo di violazione della normativa antitrust, e da parte degli organi di controllo (Commissione UE e AGCM), i quali, viceversa, tendono a delimitare in modo restrittivo l’ambito dello stesso mercato, allorquando si tratti di perse-guire dei comportamenti lesivi della libertà di concorrenza.

Il mercato rilevante presenta una duplice configurazione, quella del prodot-to e quella geografica. Il mercato del prodotto è individuato tramite il riferimen-to alla sostituibilità o interscambiabilità dei prodotti delle imprese che si assu-mono essere in rapporto di concorrenza.

La Corte di Giustizia, ha affermato, in proposito, che “le possibilità di con-correnza non possono essere valutate se non in funzione delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, grazie alle quali detti prodotti sarebbero particolarmente atti a soddisfare bisogni costanti e non sarebbero facilmente intercambiabili con altri prodotti” (caso Continental Can)43.

La stessa Corte, esaminando il noto caso delle “banane Chiquita” (caso U-nited Brands), ha inoltre ritenuto, ad esempio, che le banane non fanno parte in-tegrante del mercato della frutta fresca, in quanto presentano un basso grado di sostituibilità con gli altri prodotti stagionali, in ragione tanto delle caratteristiche specifiche di tali frutti, quanto di tutti i fattori che influiscono sulla scelta del consumatore. Ne deriva che “una grande massa di consumatori, per i quali il fabbisogno di banane è costante, non viene distolta in misura tangibile, né del resto apprezzabile, dall’acquisto di questo prodotto a causa dell’arrivo sul mer-cato di altra frutta fresca”, con il risultato che “il mercato della banana costitui-———

42 Cfr. Trib. di primo grado, sent. 21 febbraio 1995, causa T-29/92, SPO c. Commissione, in Racc.,1995, p. II-289.

43 Corte Giust., sent. 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage Corporation e Continental Can Company Inc. c. Commissione, in Racc.,1973, p. 215, punto 32.

Page 424: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 398

sce un mercato sufficientemente distinto da quelli dell’altra frutta fresca”44. Co-me si vede, anche le preferenze ed i gusti dei consumatori rilevano ai fini della c.d. sostituibilità dei prodotti dal lato della domanda, non essendo sufficiente che i prodotti in questione presentino le medesime caratteristiche oggettive (ad es., organolettiche).

Gli orientamenti della Corte di Giustizia sono stati poi recepiti nella Co-municazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza del 9 dicem-bre 199745. Secondo la Commissione, il mercato del prodotto comprende “tutti i prodotti o servizi che sono stati considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati”.

Il mercato geografico, invece, comprende “l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee46 e che può essere tenuta distinta dalle zone contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse”47.

In particolare, sotto il profilo merceologico, la Commissione ha distinto la sostituibilità dei prodotti sul versante della domanda da quella sul versante dell’offerta. In ordine alla prima, se ne è fornito un esempio applicativo nel caso di una concentrazione tra imprese imbottigliatrici di bibite. Al riguardo, al fine di stabilire se le imprese produttrici di bibite di gusto differente operino nello stesso mercato, secondo la Commissione è necessario stabilire se i consumatori della bibita di gusto A passerebbero ad un altro gusto innanzi ad un rialzo per-manente del 5-10% del prezzo della stessa. Se un numero sufficiente di consu-matori passasse al gusto B, causando una diminuzione delle vendite della bibita A, allora il mercato di riferimento dovrebbe comprendere almeno entrambi i prodotti in esame.

Per quanto concerne la sostituibilità sul versante dell’offerta, essa si riferi-sce essenzialmente alla capacità delle imprese di modificare il proprio processo

——— 44 Corte Giust., sent. 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands Company e United Brands Continental B.

V. c. Commissione, in Racc., 1978, p. 207, spec. punti 30, 34 e 35. 45 GUCE, 9 dicembre 1997, C 372, p. 5 ss. 46 Nel caso United Brands, cit., ad esempio, le condizioni di concorrenza non erano omogenee, tanto che il

mercato rilevante dal punto di vista geografico comprendeva tutti i Paesi della (allora) CEE tranne l’Italia, la Francia ed il Regno Unito. Tra i fattori che determinano l’uguaglianza o l’analogia delle condizioni obiettive di concorrenza sono state individuate quelle relative ai regimi di importazione, prezzi di vendita e caratteristiche dei prodotti commercializzati (cfr. Corte Giust., sent. 14 febbraio 1978, cit., punti 45-57).

47 Comunicazione cit., punti 7 e 8.

Page 425: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 399

produttivo, realizzando nuovi e diversi beni o servizi senza un aggravamento dei costi di produzione. L’esempio portato dalla Commissione riguarda il mercato della carta, che comprende una vasta tipologia di tale materia (carta per scrivere, carta per libri d’arte, ecc.).

Orbene, tutte le volte in cui, in risposta ad una variazione della domanda (si noti che per i consumatori i vari tipi di carta non rappresentano prodotti inter-cambiabili), le cartiere siano in grado di modificare rapidamente e senza costi aggiuntivi la produzione da un tipo di carta ad un altro (e, di norma, tutte le car-tiere sono attrezzate a tal fine), tali varietà di carta faranno parte dello stesso mercato rilevante e l’insieme delle vendite di carta determinerà il valore e l’am-piezza di esso.

5. — Tipologia delle intese anticoncorrenziali e fattispecie tipiche. Le intese vietate dalla normativa antitrust, interna e comunitaria, possono

consistere in accordi o pratiche concordate tra imprese, o ancora in decisioni di associazioni di imprese.

Dal punto di vista genetico, quindi, la collusione può avere origine non sol-tanto da un vero e proprio contratto, ma da qualsiasi manifestazione comune di volontà avente per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza, anche se non giuridicamente vincolante, come nel caso dei c.d. patti tra gentiluomini (gentlemen’s agreements)48, ovvero anche se priva di una forma scritta49. Al riguar-do, è d’obbligo ricordare il caso Polipropilene50, ove quindici imprese del settore petrolchimico avevano concluso un accordo verbale e privo di carattere giuridi-camente vincolante (ovverosia di sanzioni per la sua inosservanza) diretto alla spartizione dei mercati ed alla fissazione dei prezzi. Ma v’è di più: in questo ca-so, infatti, era stato rinvenuto tra le imprese interessate soltanto un parallelismo di condotte e senza una costante partecipazione di tutti i soggetti coinvolti.

Quanto alle pratiche concordate, vale a dire a quei comportamenti collusivi derivanti, ad esempio, da scambi di informazioni tra imprese che operano in un mercato oligopolistico, la Corte di Giustizia vi ha ravvisato forme di coordina-

——— 48 Corte Giust., sent. 15 luglio 1970, causa 41/69, Acf Chemiefarma Nv c. Commissione, in Racc.,1970, p. 661;

Corte Giust., sent. 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78 a 215/78 e 218/78, Heintz van Landewyck Sarl e altri c. Commissione, in Racc.,1980, p. 3125.

49 Cfr. AGCM, 2 marzo 2000, in Boll. n. 9/2000. 50 Commissione europea, 23 aprile 1986, Polipropilene, in GUCE 1986, L 230/1.

Page 426: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 400

mento dell’attività delle imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di veri e propri accordi, costituiscono delle consapevoli collaborazioni tra le imprese stesse, a danno della concorrenza; il che presuppone la sussistenza di contatti diretti o indiretti tra le parti, aventi lo scopo o l’effetto di influire sul comportamento te-nuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un concorrente il comportamento che l’interessato ha deciso, o prevede, di te-nere egli stesso sul mercato51.

Emblematico è, ad esempio, il caso italiano Vetri52, ove l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ravvisato un’intesa tra i quattro principali produttori di vetro cavo alimentare, con la quale, tra l’altro, i prezzi di vendita del vetro erano stati allineati allo stesso livello dalle imprese coinvolte mediante politiche di sconto “irrazionali”, che evidenziavano l’esistenza di una pratica concordata, finalizzata all’aumento generalizzato dei prezzi delle bottiglie ven-dute. In particolare, nonostante la omogeneità dei costi di produzione, che con-sentiva alle imprese interessate di competere ad armi pari sul mercato di riferi-mento, di cui detenevano complessivamente una quota pari al 90%, queste ave-vano posto in essere una pratica comune di fatturazione differenziata degli im-ballaggi, in base alla quale i grossisti ed i distributori erano costretti ad acqui-stare imballaggi, destinati alla resa, ad un prezzo superiore a quello che sarebbe stato loro riaccreditato alla data della restituzione. La fatturazione differenziata aveva pertanto consentito alle vetrerie di ottenere maggiori utili per circa 65 mi-liardi all’anno di vecchie lire.

Le intese restrittive vietate possono intercorrere tra imprese operanti allo stesso stadio del processo produttivo/distributivo (intese orizzontali o cartelli, che danneggiano la c.d. interbrand competition, ovvero la concorrenza tra marchi diver-si di prodotti) oppure a livelli diversi del processo stesso (intese verticali, tra fab-bricanti e distributori, che invece danneggiano la c.d. intrabrand competition, ri-guardante prodotti contraddistinti dallo stesso marchio, quindi la concorrenza tra distributori di uno stesso fornitore)53.

Le intese verticali sono tradizionalmente ritenute meno rischiose per il cor-

——— 51 Corte Giust., sent. 14 luglio 1972, causa C-48-57/69, Imperial Chemical Industries Ltd. ed altri c.

Commissione, in Racc. 1972, p. 619, punto 64.; Corte Giust., sent. 16 dicembre 1975, causa C-40/73, Sui-ker Unie U.A. ed altri c. Commissione, in Racc., 1975, p. 1663.

52 AGCM, 12 giugno 1997, Produttori di vetro cavo, in Boll. n. 24/1997. Il provvedimento è stato però annul-lato dal TAR Lazio con sentenza 19 gennaio 2000, n. 103, per vizi di procedura e riguardanti la definizione di mercato rilevante.

53 Sulle intese verticali, v. il nuovo Regolamento del 22 dicembre 1999, n. 2790, in GUCE 1999, L 336/21, in materia di distribuzione esclusiva, acquisto esclusivo e franchising.

Page 427: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 401

retto funzionamento del mercato rispetto a quelle orizzontali, sulla scia di un orientamento della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America (caso Sylvania del 1977)54, secondo cui, attesi i probabili benefici economici di siffatte intese55, è necessario adottare per esse la c.d. rule of reason; questa si traduce in un’indagine giudiziale diretta a soppesare “tutte le circostanze di fatto della controversia al fine di stabilire se una certa pratica restrittiva debba considerarsi vietata in quan-to imponga una irragionevole restrizione della concorrenza”.

Diversamente è a dirsi per la c.d. per se condemnation, che, invece, contraddi-stingue condotte palesemente anticompetitive56.

In particolare, il pensiero economico propugnato dalla c.d. Scuola di Chi-cago, fondata negli anni ‘50 dello scorso secolo dal professore dell’Università di Chicago Aaron Director (il quale, tuttavia, formulò le proprie idee in forma pre-valentemente orale) e ben rappresentata dalle tesi di Bork e Posner,57 afferma, tra l’altro, in aperta critica alle tesi della Scuola di Harvard dell’economia indu-striale, che le intese o restrizioni verticali alla concorrenza possono essere rite-nute lecite tutte le volte in cui servano ad implementare la competizione tra produttori diversi (c.d. concorrenza interbrand).

L’analisi Chicagoan delle restrizioni verticali, fondata sulla c.d. teoria dei prez- ———

54 Continental TV Inc. v. Gte Sylvania Inc., 433 U.S. 36 (1977). Si trattava di un’impresa produttrice di televisori (Sylvania), che aveva perduto mercato, scendendo sino all’1%, ma era risalita a quota 5% at-traverso la predisposizione di una rete di franchising, con l’obbligo, per i dettaglianti della rete, di vende-re solo nei locali stabiliti con la stessa impresa produttrice. Dieci anni prima, nel 1967, la Corte Supre-ma degli USA aveva peraltro deciso (caso Schwinn) in senso opposto, dichiarando la illiceità di un’intesa verticale con la quale la società Schwinn, produttrice di biciclette e detentrice di una consi-stente quota del mercato di riferimento, aveva imposto ai suoi rivenditori al dettaglio – ad essa legati da un contratto di franchising – di vendere soltanto ai consumatori finali ovvero ad altri dettaglianti come loro legati alla società produttrice: United States v. Arnold Schwinn & Co., 388 U. S. 365 (1967).

Cfr. R.A. POSNER, The rule of reason and the economic approach, in University of Chicago Law Review, 45, (1977), p. 1 ss.

55 Cfr. la limpida ed assai efficace esposizione riassuntiva di P. FATTORI, M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., p. 109, nota 222: “ Ad esempio, attraverso degli accordi di distribuzione esclusiva, il produttore può razionalizzare la fase della distribuzione assicurando stabilità e sicurezza di smercio dei propri prodotti, maggiore controllo della qualità, un miglior servizio di vendita (attraverso, ad esempio, attività di formazione in favore del rivenditore), mentre il distributore può assumersi le spese relative agli investimenti promozionali del prodotto senza dovere temere fenomeni di appropria-zione di benefici (free riding) da parte di altri distributori operanti nella stessa area territoriale; il tutto con conseguente beneficio dei consumatori finali.”

56 Cfr. sul punto l’ampia analisi di G. AMATO, Il potere e l’antitrust, cit., p. 28 ss.; cfr. anche V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., pp. 26-29.

57 R.A. POSNER, The Chicago School of Antitrust Analysis, in Un. Pa. L. Rev., 127 (1979), p. 925 ss.; Id., Economic Analysis of Law, 4a ed., Boston, 1992; R. Bork, Vertical Integration and the Sherman Act: The Le-gal History of an Economic Misconception, in Un. Chi. L. Rev., 22 (1954), p. 157 ss.; Id., The Antitrust para-dox: A policy at war with itself, New York, 1978 (rist. 1993).

Page 428: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 402

zi, ritiene, in sintesi, che le intese verticali possano aumentare il livello di effi-cienza nell’organizzazione produttiva e nella distribuzione58.

Secondo l’art. 81 TCE (e 2 L.A.), il comportamento imprenditoriale deve essere avere come oggetto o come effetto l’alterazione del gioco concorrenziale nel mercato comune (o in quello nazionale). Si tratta di due criteri (oggetto ed effetto) che non devono ricorrere cumulativamente, bensì alternativamente59; in assenza di oggetto chiaramente illecito dovrà farsi ricorso al parametro dell’effi-cacia dell’intesa sul mercato rilevante60.

Si è già visto che alcune fattispecie di intese vietate sono state tipizzate dal legislatore, il quale vi ha ritenuto intrinsecamente sussistente il requisito della anticoncorrenzialità dell’oggetto, inteso come scopo precipuo dell’accordo col-lusivo (si tratta di una c.d. condanna per se). Tra queste, particolare rilievo assu-me la condotta diretta alla fissazione dei prezzi (artt. 81, § 1, lett. a, TCE e 2, n. 2, lett. a, L.A.), c.d. price-fixing, atteso che il prezzo costituisce lo strumento prin-cipale per l’esistenza di un mercato concorrenziale, del quale – è stato detto as-sai efficacemente – esso rappresenta il sistema nervoso centrale61. In particolare, la fissazione di un prezzo – sia pure meramente indicativo – pregiudica il gioco della concorrenza in quanto consente a ciascun partecipante di prevedere, quasi con certezza62, quale sarà la politica dei prezzi dei suoi concorrenti63. ———

58 Sul punto, v. amplius R. VAN DEN BERGH, L’analisi economica del diritto della concorrenza, cit., p. 24 ss.

59 L’art. 2 L.A. parla, in proposito, di distorsione della concorrenza nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante “in maniera consistente”.

60 Corte Giust., sent. 30 giugno 1966, causa C-56/65, Societé Technique Minière c. Maschinenbau Ulm GmBH, in Racc. 1966, p. 262. In senso conforme, v. Corte Giust., sent. 28 febbraio 1991, causa C-234/89, Stergios Delimitis c. Henninger Braeu Ag., in Racc. 1991, p. I-935.

61 A. PERA, Concorrenza e antitrust, cit., p. 72. 62 R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, p. 151, mostra, con la consueta chiarezza, i limiti

delle intese restrittive: “I cartelli sono instabili. I loro membri hanno un forte incentivo individuale ad imbro-gliare i compagni di cordata. Per definizione, ognuno di essi vende ad un prezzo che corrisponde al ricavo marginale ed eccede il costo marginale (laddove per il gruppo nel suo insieme il prezzo risulta superiore al rica-vo marginale). Ciò significa che il singolo membro si trova, rispetto al cartello, nella situazione di price taker, assume il prezzo come dato ed è esposto alla normale tentazione di spingere la propria produzione sino al punto di corrispondenza tra prezzo e costo marginale. Per farlo, gli basta sfumare il prezzo di cartello e attrarre clienti che si sarebbero altrimenti rivolti a fonte diversa: il prezzo unitario sarà più contenuto, ma il volume di vendite maggiore e così l’utile complessivo. Senonché, ove un numero apprezzabile di membri scelga una sif-fatta condotta, c’è da aspettarsi che il cartello entri in fibrillazione: l’evidente emorragia di acquirenti indurrà i cartellisti fedeli a fronteggiare gli sconti offerti dai membri meno scrupolosi, sino alla completa erosione dei margini ultracompetitivi. Il pericolo, dal punto di vista di chi voglia violare le regole del gioco, può essere scon-giurato se la riduzione di prezzo rimanga nascosta. In pratica, l’imbroglio risulterà tanto più difficile quanto più largo e disperso è il numero dei clienti sulla cui omertà occorre fare affidamento”.

63 In questi termini, v. Corte Giust., sent. 17 ottobre 1972, causa C-8/72, Vereeninging van Cementhandelaren c. Commissione, in Racc., 1972, p. 977.

Page 429: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 403

Un caso italiano recente, Tim-Omnitel, riguarda la fissazione delle tariffe te-lefoniche64. In particolare, si trattava di una pratica concordata, posta in essere tra le società Telecom Italia Mobile s.p.a. e Omnitel Pronto Italia s.p.a., avente ad oggetto la fissazione di tariffe identiche per i servizi di comunicazione fisso-mobile, ritenuta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato grave-mente lesiva della concorrenza sul mercato dei servizi di comunicazione radio-mobile.

Quando la fissazione di un prezzo sia l’oggetto di un’intesa verticale, essa riguarda l’imposizione da parte dei produttori di un prezzo (minimo) di rivendi-ta ai distributori – spesso su loro espressa richiesta – di un determinato prodot-to (resale price maintenance, RPM); il che può essere assai dannoso per la concor-renza, atteso che il vincolo di RPM consente a rivenditori inefficienti di rimane-re sul mercato, in ragione della permanenza di prezzi più alti che garantiscano la copertura dei costi. Tutto ciò a beneficio dei rivenditori, che evitano guerre di prezzo, ed a svantaggio dei consumatori finali65.

Un’altra ipotesi di intesa restrittiva espressamente prevista dal legislatore (artt. 81, § 1, lett. b, TCE e 2, n. 2, lett. b, L.A.) è quella del c.d. contingentamento dell’output, tramite l’assegnazione a ciascuna impresa coinvolta nel cartello di una determinata quota di produzione o di vendita. Il contenimento della produzione può essere raggiunto anche in via indiretta, fissando dei tetti massimi di investi-mento in un dato settore, ovvero limitando l’entrata nel mercato di nuovi pro-dotti. Nel caso Mercato del calcestruzzo66, ad esempio, l’Autorità italiana ha rilevato la presenza di un accordo di ripartizione del mercato del calcestruzzo nell’area di Milano, fondato, tra l’altro, su una fitta rete di scambi di informazioni tra le imprese interessate.

La ripartizione dei mercati e delle fonti di approvvigionamento (artt. 81, § 1, lett. c, TCE e 2, n. 2, lett. c, L.A.) costituiscono certamente alcune delle re-strizioni della concorrenza più pericolose, dal momento che esse mirano, attra-verso la suddivisione, tra le imprese potenzialmente rivali, delle aree geografiche in cui svolgere la loro attività ovvero della clientela, alla creazione di situazioni di vero e proprio monopolio, con conseguente effetto di chiusura (foreclosure) della

——— 64 AGCM, 28 settembre 1999, in Boll. n. 39/1999. Il Consiglio di Stato, con sentenza 22 marzo 2001 n.

1699, ha annullato parzialmente la sentenza del TAR Lazio, 31 maggio 2000 n. 4504, che confermava il prov-vedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

65 Cfr. sul punto C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 266 ss., ove ulterio-ri approfondimenti.

66 AGCM, 29 luglio 2004, in Boll. n. 31/2004.

Page 430: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 404

singola zona di mercato, impedendo in tal modo lo svolgimento della gara con-correnziale. La giurisprudenza comunitaria offre al riguardo un’ampia casistica. La ripartizione dei mercati, ad esempio, può avvenire mediante una clausola di-retta a vietare all’acquirente di rivendere o di esportare la merce acquistata67.

In un caso di ripartizione delle fonti di approvvigionamento (caso Frubo), la Corte di Giustizia sancì la illiceità dell’accordo che vietava ai grossisti olandesi, i quali partecipavano alle aste pubbliche di Rotterdam, di acquistare agrumi che non fossero già stati importati e sdoganati in un altro Stato membro. Tale clau-sola, che impediva ai suddetti grossisti – riuniti nell’associazione “Fruitunie” – di importare direttamente nei Paesi Bassi, è stata ritenuta in grado di falsare il “corso naturale delle correnti commerciali” e, quindi, idonea a pregiudicare, in tal modo, gli scambi intracomunitari68.

Le discriminazioni contrattuali, soprattutto il boicottaggio69, nonché le clausole leganti o prestazioni gemellate, c.d. tying contracts, di cui agli artt. 81, § 1, lett. d ed e, TCE e 2, n. 2, lett. d ed e, L.A., sono fattispecie illecite che vengono più spesso poste in essere da una singola impresa in posizione dominante, atteso anche l’alto grado di instabilità dei cartelli70, che rende poco sicuro il ricorso alla collusione tutte le volte in cui le imprese coinvolte nell’accordo siano in numero elevato e non offrano prodotti altamente omogenei71. Di tali fattispecie si tratte-rà quindi, per comodità espositiva, più innanzi, a proposito della figura dell’abu-so di posizione dominante, di cui agli artt. 82 TCE e 3 L.A.

La legge antitrust italiana, all’art. 2, richiede, per la illiceità dell’intesa, che la restrizione della concorrenza da essa derivante sia consistente.

Del requisito della consistenza non v’è alcuna traccia nell’art. 81 TCE, ma le istituzioni comunitarie hanno elaborato in proposito la c.d. de minimis doctrine, secondo la quale vi possono essere degli accordi che, pur avendo per effetto o per oggetto la restrizione della concorrenza (all’interno del mercato comune), non sono vietati essenzialmente perché non hanno un impatto significativo sulla dinamica concorrenziale, attese le quote di mercato detenute dalle imprese inte-ressate72. In particolare, la Commissione ha emanato la recente Comunicazione

——— 67 Trib. di primo grado, 19 maggio 1999, causa T-175/95, Basf Lacke e Farben Ag c. Commissione, in Racc.

1999, p. II-1581, punto 133. 68 Corte Giust., sent. 15 maggio 1975, causa 71/74, Frubo c. Commissione, in Racc., 1975, p. 563, punti 33-39. 69 Nel caso di cartelli orizzontali, si tratta, come si vedrà, di boicottaggio collettivo. 70 Sul punto, v. soprattutto L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 163 ss. 71 A. PERA, op. loc. ult. cit. 72 Il principio secondo cui l’intesa deve produrre effetti sensibili sul mercato (un pregiudizio non irrile-

vante del mercato), è stato, in realtà già formulato sin dal 1969: cfr. Corte Giust., sent. 9 luglio 1969, causa

Page 431: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 405

relativa agli accordi di minore importanza che non determinano restrizioni sen-sibili della concorrenza ai sensi dell’art. 81 TCE, del 22 dicembre 2001 (De mini-mis, 2001/C 368/07)73, che fissa le soglie delle quote stesse al di sotto delle quali le intese devono considerarsi innocue per il corretto funzionamento del merca-to.74 Pertanto, l’art. 81 TCE non si applica agli accordi orizzontali fra imprese che abbiano, complessivamente, quote di mercato non superiori al 10% e ad ac-cordi verticali fra imprese che detengano non oltre il 15% del mercato di riferi-mento. Queste soglie di consistenza non valgono per le intese intrinsecamente anticoncorrenziali, c.d. hardcore restrictions, le quali sono sempre vietate. Si tratta, segnatamente, delle intese orizzontali che hanno ad oggetto la fissazione dei prezzi, la limitazione della produzione o delle vendite, la ripartizione dei mercati o della clientela, ovvero delle intese verticali dirette a restringere la libertà del-l’acquirente nella fissazione dei prezzi, fatta salva la possibilità di stabilire un prezzo massimo, ovvero a restringere il territorio in cui l’acquirente può vendere i prodotti.

Sono invece esenti dall’applicazione dell’art. 81 TCE, anche quando siano superate le suddette soglie, gli accordi tra piccole e medie imprese, così come definite dalla Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003, dal mo-mento che tali accordi possono raramente incidere in maniera significativa sul commercio tra Stati membri e sulla concorrenza nel mercato comune75.

——— 5/69, Franz Völk c. J. Vervaecke S.P.R.L., in Racc., 1969, p. 295, punti 5-7. Di recente, v. Corte Giust., sent. 28 maggio 1998, causa C-7/95 P, John Deere Ltd c. Commissione, in Racc., 1998, p. I-3111, punti 76-77; Corte Giust., sent. 21 gennaio 1999, cause riunite C-215/96 e C-216/96, in Racc., 1999, p. I-135, punti 33-34.

73 In GUCE del 22 dicembre 2001, pp. 13-15.. 74 Sull’argomento, v. spec. G. FLORIDIA, V.G. CATELLI, Diritto antitrust, cit., pp. 170-176. 75 Cfr., al riguardo, l’attenta analisi di R. CIPPITANI, A proposito della definizione di “piccole e medie imprese” nel di-

ritto comunitario, in Rass. giur. umbra, 2004, p. 439 ss., spec. p. 442 ss. Le piccole e medie imprese, secondo la pre-cedente Raccomandazione n. 280 del 1996 (PMI), erano imprese che rientravano in alcuni limiti dimensionali (meno di 250 dipendenti e con fatturato annuo non superiore ai 40 milioni di euro, oppure con bilancio totale annuo non superiore a 27 milioni di euro) e che potevano essere considerate indipendenti (erano tali quelle il cui capitale o i cui diritti di voto non erano detenuti per 25% o più da una sola impresa, oppure, congiunta-mente, da più imprese non conformi alle definizioni di PMI): v. art. 1 dell’Allegato alla Raccomandazione 96/280 CEE, ove ulteriori ragguagli sulla nozione di piccola impresa a determinati fini. La nuova Raccoman-dazione del 6 maggio 2003, in vigore dal 1° gennaio 2005, ha modificato i limiti relativi al fatturato (ora 50 mi-lioni di euro) ed al totale di bilancio (43 milioni di euro).

Da ultimo, è intervenuta sul tema, ma a proposito della concessione alle PMI degli aiuti di Stato, la sen-tenza della Corte di Giustizia del 24 aprile 2004 (C-91/2001), Repubblica italiana c. Commissione, (in Rass. giur. um-bra, 2004, p. 432, ampiamente commentata da R. Cippitani, o. c.), secondo cui “La nozione di piccola e media impresa ai sensi della disciplina comunitaria, va interpretata facendo riferimento alla ratio legis della normativa comunitaria, con la conseguenza che occorre assicurarsi accuratamente, nella fattispecie concreta, che l’impresa soffra effettivamente degli svantaggi riconducibili alla situazione delle piccole e medie imprese e che essa svol-ga effettivamente il ruolo positivo svolto dalle piccole e medie imprese nell’economia dell’Unione Europea”.

Page 432: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 406

Nel mercato italiano, l’Autorità garante, non avendo elaborato, a differenza della Commissione, alcuna soglia di consistenza delle intese, ha preferito un ap-proccio più elastico – secondo una sorta di rule of reason – al tema dell’applica-bilità del divieto di cui all’art. 2 L.A., ritenendo illecite le intese poste in essere da imprese che raggiungono quote di mercato non prefissate, ma, di volta in volta, quasi sempre superiori alle soglie de minimis comunitarie76.

6. — Le esenzioni. Il § 3 dell’art. 81 TCE e l’art. 4, 1° comma, L.A. prevedono quattro condi-

zioni che devono ricorrere affinché la Commissione ovvero l’AGCM possano ritenere lecite, e, quindi, esenti dal divieto di cui all’art. 81 TCE, alcune intese restrittive della concorrenza. In particolare, il suddetto divieto non è applicabile tutte le volte in cui ricorrano i seguenti presupposti:

1) Le intese contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodot-ti o a promuovere il progresso tecnico o economico (la legge italiana parla di miglioramen-to nelle condizioni di offerta sul mercato).

Secondo il leading case in materia, il caso Consten e Grundig del 1966, il miglio-ramento non può consistere nei vantaggi che i contraenti traggono dall’accordo per quanto riguarda la loro attività di produzione o di distribuzione, vantaggi che sarebbero incontestabili e che farebbero apparire l’accordo come indispen-sabile in ogni suo elemento al miglioramento in tal modo inteso. Il migliora-mento deve invece consistere in un rilevante vantaggio obiettivo, atto a com-pensare gli inconvenienti che ne derivano sul piano della concorrenza. Nella specie, si trattava di un contratto di concessione di vendita con esclusiva con-cluso tra il produttore tedesco Grundig ed un suo distributore in Francia, Con-sten. L’intesa verticale prevedeva la garanzia da parte di Grundig a favore di Consten di una protezione territoriale assoluta contro atti di importazione paral-lela (free riding); Grundig si impegnava, in proposito, a non commercializzare di-rettamente i suoi prodotti in Francia, obbligando anche gli altri suoi concessio-nari, operanti in altri Paesi, a rispettare il divieto. La Corte di Giustizia sancì la illiceità soltanto della c.d. esclusiva chiusa, riguardante cioè la garanzia di assen-za di importazioni parallele in territorio francese (e, quindi, il divieto di esporta-

——— 76 Cfr. in tal senso, P. FATTORI, M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., p 74; Consi-

glio di Stato, VI, 30 agosto 2002, n. 4362, e Consiglio di Stato, VI, 2 marzo 2004, n. 926.

Page 433: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 407

zione a carico degli altri distributori), mentre ritenne, in linea di principio, valido l’accordo principale tra Grundig e Consten, fonte di obblighi soltanto per costo-ro (esclusiva aperta)77.

La Commissione europea ha adesso elaborato le Linee Direttrici sull’applica-zione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trattato, allo scopo di consentire alle autorità na-zionali della concorrenza (AGCM) ed ai giudici nazionali di applicare più age-volmente (in forza del nuovo Regolamento n. 1 del 2003) le regole di cui all’art. 81 TCE, ivi compresa quella, che stiamo esaminando, sulle esenzioni. Orbene, secondo tali Linee Direttrici, contenute nella Comunicazione 2004/C 101/0878, ai fini della valutazione degli incrementi di efficienza derivanti dalla collusione tra imprese, che possono consentire la concessione dell’esenzione, non hanno nes-sun rilievo “i risparmi sui costi derivanti dal puro esercizio del potere di mercato delle par-ti”. In buona sostanza, deve trattarsi di miglioramenti sensibili dell’efficienza di un dato mercato, consistenti anche in riduzione dei costi di produzione, che de-rivino però da accordi di ricerca e sviluppo ovvero da accordi diretti alla crea-zione di economie di scala, come, ad esempio, nel caso, già sottoposto all’atten-zione dell’AGCM, dell’autorizzazione di un’intesa diretta a consentire la crea-zione di un impianto per la produzione e la distribuzione di una maggiore quan-tità di gas nell’Italia meridionale a costi (e a prezzi) notevolmente ridotti, essen-zialmente grazie alla sinergia delle imprese coinvolte79. Ma si pensi anche ai mi-glioramenti consistenti nell’ottimizzazione di un processo di fabbricazione di un autoveicolo, in relazione allo stato di sviluppo delle tecniche di costruzione degli autoveicoli in Europa, alla data dell’adozione della decisione80.

2) Le intese riservino ai consumatori (utilizzatori)81 una congrua parte degli utili che ne derivano (comportino un sostanziale beneficio per i consumatori, secondo la legge italiana).

——— 77 Corte Giust., sent. 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig-Verkaufs-GmBH e altri

c. Commissione, in Racc. 1966, p. 458. Nello stesso senso, v., da ultimo, Trib. primo grado, 23 ottobre 2003, causa T-65/98, Van den Bergh Foods Ltd c. Commissione, in Racc. 2004, punto 139.

78 In GUCE del 27 aprile 2004, pp. 97-118. 79 Cfr. AGCM, 21 febbraio 1994, Sapio/Igi/Siad/Chemgas, in Boll. n. 8/1994. E v., da ultimo, AGCM, 22

aprile 2004, FIEG/ANADIS, in Boll. n. 17/2004, per un caso di miglioramento nella distribuzione editoriale in Italia, con conseguenti effetti benefici sui prezzi di vendita.

80 Trib. primo grado, 15 luglio 1994, causa T-17/93, Matra Hachette Sa c. Commissione, in Racc., 1994, p. II-595, spec. punti 109-110.

81 Il termine utilizzatori adoperato dall’art. 81 TCE è, in realtà, comprensivo non solo dei consu-matori finali, ma altresì di tutti gli acquirenti intermedi dei beni o dei servizi. Nella citata Comunicazio-ne 2004/C 101/08 si specifica che per consumatori si intendono tutti i fruitori dei prodotti oggetto dell’ac-cordo, dai distributori all’ingrosso, ai dettaglianti, agli utilizzatori finali.

Page 434: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 408

L’obiettivo c.d. redistributivo è raggiunto quando i prezzi sono sensibil-mente inferiori a quelli praticabili in assenza dell’intesa, ovvero quando i beni o i servizi prodotti o erogati beneficiano, a seguito della stessa, di un apprezzabile miglioramento qualitativo82.

Nel caso Metro del 1977, ad esempio, la restrizione della concorrenza, che la Commissione esentò dal divieto, riguardava un sistema di distribuzione seletti-va83 diretto a migliorare l’approvvigionamento delle merci a tutto vantaggio dei consumatori. La Corte di Giustizia, infatti, stabilì che l’approvvigionamento regolare costituisce per i consumatori, nella situazione specifica, un vantaggio sufficiente per potersi con-siderare parte equa del vantaggio derivante dai miglioramenti arrecati dalla restrizione alla concorrenza ammessa dalla Commissione84.

3) Le intese non devono imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra.

Le Linee Direttrici elaborate dalla Commissione nella già citata Comunicazione del 2004, stabiliscono, in proposito, che il carattere indispensabile della restrizione, al fine di ottenere gli incrementi di efficienza che giustifichino l’esenzione, deve valutarsi avuto riguardo al contesto effettivo in cui opera l’accordo, vale a dire alla partico-lare struttura e al funzionamento del mercato di riferimento85.

4) Le intese non devono dare alle imprese interessate la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi (cioè del mercato rile-vante: cfr. art. 4 L.A.).

La Comunicazione della Commissione specifica ulteriormente che le intese non devono comportare l’eliminazione della concorrenza in una delle sue forme di espres-sione più importanti, come, ad esempio, la concorrenza sui prezzi86.

Le esenzioni di cui abbiamo parlato, per le quali la Commissione o l’Auto-rità garante della concorrenza e del mercato devono, di volta in volta, verificare la sussistenza delle condizioni di compatibilità delle restrizioni prodotte dalle in-tese con la funzionalità del mercato, sono dette individuali. ———

82 Cfr. Trib. primo grado, 21 febbraio 1995, causa T-29/92, SPO c. Commissione, in Racc., 1995, p. II-289, punti 289-300.

83 La distribuzione selettiva è una forma di distribuzione in cui i prodotti sono commercializzati esclusivamente tramite rivenditori che rispondono a determinati requisiti stabiliti dal produttore.

84 Corte Giust., sent. 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro SB-Grossmaerkte GmBH et Co. Kg c. Com-missione, in Racc.,1977, p. 1875, punto 48. Cfr. AGCM, 29 giugno 2004, Consorzio Grana Padano, in Boll. n. 26/2004.

85 Comunicazione della Commissione, Linee Direttrici sull’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trat-tato, 2004/C 101/08, cit., punto 80.

86 Comunicazione della Commissione, Linee Direttrici sull’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trat-tato, 2004/C 101/08, cit., punto 110.

Page 435: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 409

È necessario ricordare, in proposito, che, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento del Consiglio n. 1/2003 (cioè dal 1° maggio 2004), è venuto meno l’obbligo, previsto dal precedente Regolamento n. 17/1962, ora abrogato, della notifica preventiva alla Commissione per ottenere un’esenzione individuale. In base al nuovo Regolamento, infatti, si è passati da un sistema centralizzato di notificazione preventiva delle intese ad un sistema di eccezione legale, per cui le in-tese restrittive della libertà di concorrenza, che soddisfino i requisiti testé esami-nati per l’esenzione, sono considerate lecite ab initio, senza che sia necessaria una decisione espressa della Commissione (art. 1, n. 2, Reg. 1/2003). Ne deriva che la competenza a stabilire le esenzioni, rectius la liceità complessiva delle intese, anche alla luce dell’art. 81 n. 3 TCE, è stata estesa all’AGCM ed ai giudici na-zionali, dal momento che le decisioni adottate in forza dell’art. 81 § 3 TCE non hanno più valore costitutivo. Si tratta, in altri termini, più che di una decisione discrezionale ad hoc degli organi competenti, di un vero e proprio atto di accer-tamento della sussistenza delle condizioni di esenzione richieste dalla legge. La vera novità risiede, pertanto, nel fatto che tale accertamento va condotto ormai in maniera unitaria, nell’ambito di una valutazione complessiva dell’intesa, alla luce dell’art. 81 TCE, letto nella sua interezza87. Ciò significa, in buona sostanza, l’eliminazione della stessa possibilità di esenzione, atteso che le intese sono sempre valutate ex post, sulla base del complessivo art. 81 TCE, senza necessità di autorizzazioni preventive.

È stato affermato, al riguardo, in modo altamente incisivo, che “la valuta-zione delle intese alla luce del solo bilancio concorrenziale, da effettuarsi sulla base di un complessivo esame degli elementi previsti sia nel comma 1 che nel comma 3 dell’articolo 81, contribuirà ad un avvicinamento dell’approccio co-munitario a quello dell’ordinamento statunitense, consolidando l’impostazione basata sull’analisi economica”88.

Un altro tipo di esenzioni, con cui determinati accordi sono dichiarati compatibili con il mercato comune, sono, invece, quelle per categoria, c.d. block exemptions, che formano oggetto di una serie di regolamenti della Commissione, adottati in esecuzione di regolamenti del Consiglio ex art. 83 TCE, per determi-nate materie. In tali regolamenti, i cui schemi rispondevano ad una sorta di standard, erano elencate una varia tipologia di clausole, comprendenti quelle ne-re, che le imprese non dovevano riprodurre negli accordi, pena la comminatoria

——— 87 Cfr. M. SIRAGUSA, E. GUERRI, L’applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato CE in seguito all’intro-

duzione del Regolamento 1/2003, cit., p. 356. 88 A. PERA, Concorrenza e antitrust, cit., p. 84.

Page 436: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 410

di nullità dell’intesa ai sensi dell’art. 81 TCE (c.d. black list), quelle bianche, che dovevano inserirsi per ottenere l’esenzione (c.d. white list), e le c.d. clausole gri-gie, le quali, non essendo espressamente previste nel regolamento, andavano considerate volta per volta. Questo sistema è stato ora superato, soprattutto in ragione del fatto che l’adeguamento puro e semplice alle clausole bianche da parte delle imprese portava ad esentare le intese prescindendo, il più delle volte, da ogni considerazione circa i reali effetti degli accordi sul mercato di riferimen-to; i nuovi regolamenti, pertanto, elencano soltanto le clausole nere o hardcore restrictions. I principali regolamenti di esenzione per categoria89 riguardano: le in-tese verticali90, la cui liceità è basata, oltre che sull’assenza di clausole vietate, sul fatto che la quota di mercato detenuta dalle imprese che partecipano all’accordo non sia superiore al 30%; gli accordi di distribuzione di autoveicoli91; gli accordi orizzontali di specializzazione e di ricerca e sviluppo92; gli accordi di trasferi-mento di tecnologia93. Il regolamento n. 1/2003 ha conservato il sistema di e-senzione per determinate categorie di accordi, decisioni di associazioni di impre-se e pratiche concordate, per i quali la Commissione è autorizzata ad applicare l’art. 81, paragrafo 3, mediante regolamento94.

7. — L’abuso di posizione dominante: nozione95. L’art. 82 TCE dichiara che “è incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pre-giudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanzia-le di questo”. Analogamente, l’art. 3 L.A. prevede che

——— 89 Sui quali v. le approfondite analisi di G. FLORIDIA, V.G. CATELLI, Diritto antitrust, cit., pp.207-283; P.

FATTORI, M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., pp. 92 ss., 117 ss.; M. PANUCCI, Le intese, in L’Antitrust italiano, cit., pp. 24-40.

90 Regolamento CE n. 2790/1999 del 22 dicembre 1999, in GUCE L 336/21 del 29 dicembre 1999. 91 Regolamento CE n. 1400/2002 del 31 luglio 2002, in GUCE L 203/2002. 92 Regolamenti CE n. 2658/2000 e n. 2659/2000, entrambi in GUCE L 304 del 5 dicembre 2000. 93 Regolamento CE n. 240/1996 del 31 gennaio 1996, in GUCE L 31 del 9 febbraio 1996. 94 Cfr. il considerando 10 del Regolamento 1/2003, cit. 95 In argomento, da ultimo, v. l’ampia analisi di F. MARABINI, L’abuso di posizione dominante nella giurispru-

denza comunitaria, Torino, 2004.

Page 437: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 411

“È vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”96. Segue, sia nella norma comunitaria che in quella italiana, l’elencazione, me-

ramente esemplificativa, di una serie di comportamenti vietati, sostanzialmente corrispondenti a quelli che formano oggetto delle intese restrittive della concor-renza97. Di essi ci siamo già occupati in precedenza, ma ci soffermeremo su al-cune figure più ricorrenti nella prassi, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, nel prossimo paragrafo.

Le disposizioni sopra richiamate, tuttavia, non forniscono né la nozione di posizione dominante, né quella di sfruttamento abusivo della stessa. Con ri-guardo al primo di tali concetti, la Corte di Giustizia ha precisato che tale posi-zione si identifica con una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti, e, in ultima analisi, dei consumatori98.

Questo potere di mercato o posizione dominante dell’impresa – che, tra l’altro, può costituire il normale esito di una vittoria della gara concorrenziale99 –

——— 96 Sulla norma italiana, v. soprattutto [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit.,

pp. 127-186; A. FRIGNANI, Abuso di posizione dominante, in Diritto antitrust italiano, cit., p. 309 ss.; V. FALCE, Abuso di posizione dominante, in L’Antitrust italiano, cit., p. 41 ss.

97 Cfr. F. AMATO, Commento all’art. 82 Trattato CE, in Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, a cura di A. Tizzano, Milano, 2004.

98 Corte Giust., sent. 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman La Roche c. Commissione, in Racc., 1979, p. 461, punto 38; Corte Giust., sent. 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands Company e United Brands Conti-nental B. V. c. Commissione, cit. L’AGCM ha recepito questa definizione: cfr., ad esempio, AGCM, 14 giugno 2000, Stream/Telepiù, in Boll. n. 23/2000.

99 V. in proposito le limpide osservazioni di [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Ita-lia, cit., p. 127, secondo cui “ciascuna impresa operante sul mercato aspira a raggiungere una posizione di mo-nopolio, perché tale situazione le consentirebbe di massimizzare i propri profitti; nel contempo, è proprio nella speranza di accumulare potere di mercato, per poi estrarne il massimo profitto, che le imprese competono vigorosamente tra loro, dando corso a quel circolo virtuoso di concorrenza, innovazione, progresso, che com-porta considerevoli benefici per la collettività. Se è vero, quindi, che potere di mercato e concorrenza rappre-sentano, in un’ottica statica, due poli sostanzialmente opposti, in realtà la continua tensione delle imprese verso l’acquisizione di un sempre maggior potere di mercato costituisce un forte propulsore per il processo concor-renziale, il quale risulta, dunque, animato da una positiva e costante dialettica fra la creazione e la distruzione del potere di mercato stesso”. Cfr., sul punto, le osservazioni critiche di V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto anti-trust, cit., p. 44, secondo i quali l’abuso di posizione dominante “conferma e rafforza il paradosso rappresentato da una gara – quella concorrenziale – nella quale vincere, oltre ad essere vietato, risulta comunque inutile. In capo all’impresa in posizione dominante viene, infatti, posta una speciale responsabilità che, da un lato, le im-pedisce di adottare comportamenti generalmente consentiti in un regime di libero mercato; dall’altro, le impo-ne scelte atte a non ostacolare lo sviluppo di una concorrenza che non c’è più o che, in taluni casi, non c’è mai stata”.

Page 438: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 412

comporta a suo carico una speciale responsabilità, che le impedisce, in forza del di-vieto in esame, di abusare del suddetto potere a danno dei concorrenti e, in de-finitiva, dei consumatori. In altri termini, l’impresa in posizione dominante, è tenuta in modo particolare a non compromettere col suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune100.

L’economia industriale insegna, in proposito, che il potere di mercato può es-sere definito come la capacità di fissare prezzi superiori al costo, più precisamente superio-ri al costo incrementale o marginale ovvero al costo per produrre una unità addizionale101.

Per valutare, in concreto, quando esiste una situazione di c.d. market power o dominanza, è necessario innanzitutto individuare degli indici quantitativi, riferiti alle quote di un determinato mercato geografico e merceologico, che consenta-no ad un’impresa di porre in essere le condotte abusive. In generale, si ritiene che l’impresa detentrice di una quota di mercato superiore al 50% debba consi-derarsi in posizione dominante102. È evidente la differenza con una situazione di monopolio, atteso che quest’ultima esclude del tutto la concorrenza, mentre l’impresa in posizione dominante è in grado soltanto di influire, seppure in ma-niera notevole, sul corretto svolgimento del gioco concorrenziale. Inoltre, diver-samente dall’oligopolio, nel quale i comportamenti delle imprese si influenzano reciprocamente, in caso di posizione dominante il comportamento dell’impresa che si trova in tale posizione è, in gran parte, determinato unilateralmente103. Qualora la quota di mercato detenuta dall’impresa sia inferiore al 50%, tuttavia, vanno considerati altri fattori al fine di stabilire la sussistenza di una posizione dominante, quali, ad esempio, le quote di mercato dei concorrenti, le caratteri-stiche dell’impresa ovvero l’esistenza di barriere all’entrata104.

Le barriere all’entrata c.d. assolute, segnatamente, sono costituite da osta-coli all’effettivo ingresso nel mercato di riferimento di nuovi concorrenti; tali ostacoli sono, ad esempio, i marchi, i brevetti, e gli altri diritti di proprietà intel-

——— 100 Corte Giust., sent. 9 novembre 1983, causa 322/81, Nv Nederlandsche Banden – Industrie- Michelin

c. Commissione, in Racc., 1983, p. 3461, punto 57. 101 In questi termini, v. L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 23, il quale aggiunge che “se non ci fosse

potere di mercato, non ci sarebbe ragione di studiare l’economia industriale.” 102 Corte Giust., sent. 3 luglio 1991, causa C-62/86, Akzo Che mie Bv c. Commissione, in Racc., 1991, p. I-

3359, punti 59 e 60. 103 Corte Giust., sent. 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman La Roche c. Commissione, cit., punto 39. 104 Cfr. Corte Giust., sent. 9 novembre 1983, causa 322/81, Nv Nederlandsche Banden – Industrie- Mi-

chelin c. Commissione, cit.; Corte Giust., sent. 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman La Roche c. Commis-sione, cit.; Corte Giust., sent. 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands Company e United Brands Con-tinental B. V. c. Commissione, cit.; Corte Giust., sent. 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage Corpo-ration e Continental Can Company Inc. c. Commissione, cit.

Page 439: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 413

lettuale, che consentono al loro titolare lo sfruttamento esclusivo del prodotto, dell’invenzione o della creazione artistica o letteraria. Qui si affaccia il delicato tema dei rapporti tra proprietà intellettuale e libertà di concorrenza, oggi di e-strema importanza soprattutto a causa dell’incessante crescita dei c.d. high techno-logies markets, cui è da connettersi la nascita di sempre nuovi diritti di utilizzazio-ne esclusiva dell’opera dell’ingegno105.

Il problema della compatibilità dei diritti di privativa con l’economia di mercato va risolto tenendo presente che si configura una posizione dominante tutte le volte in cui il diritto di proprietà intellettuale o industriale “comporti la possibilità che il titolare di un copyright o di un brevetto venga a disporre, grazie al suo diritto di privativa, di una risorsa esclusiva, necessaria per ottenere un prodotto ovvero un servizio integralmente dipendente da tale risorsa, e caratte-rizzata da uno spiccato profilo di unicità”106. In particolare, secondo l’orienta-mento più recente della Corte di Giustizia, che si rifà alla c.d. essential facilities doc-trine107, il rifiuto, da parte di un’impresa in posizione dominante, di concedere una licenza per l’uso di un diritto di proprietà intellettuale, costituisce abuso di posizione dominante solo alle seguenti condizioni: 1) deve costituire ostacolo alla comparsa di un nuovo prodotto o servizio per il quale esiste una domanda potenziale; 2) deve essere senza obiettiva giustificazione; 3) deve essere tale da escludere qualsiasi concorrente sul mercato rilevante108.

In un famoso precedente, il caso Oscar Bronner del 1998, riguardante una so-cietà austriaca editrice di giornali, titolare di una rete di distribuzione a domicilio dei propri quotidiani, la quale ne rifiutava l’utilizzo agli editori suoi concorrenti, la Corte di Giustizia ha escluso che tale rifiuto integrasse gli estremi dello sfrut-tamento abusivo di posizione dominante, non essendo stata provata la eccessiva

——— 105 Si pensi, ad esempio, al technology copyright, cui è connessa una particolare forma di tutela dell’autore.

Sull’argomento, v. P.A.E. FRASSI, Riflessioni sul diritto d’autore. Problemi e prospettive nel mondo digitale, in Riv. dir. ind., 2002, I, p. 370 ss. Più in generale, v. L. NASCIMBENE, Diritto d’autore e abuso di posizione dominante: i rapporti (difficili) tra proprietà intellettuale e antitrust, in Foro it., 2002, IV, c. 338 ss.

106 [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., p. 160. Sul punto, v. Commissione europea, 21 dicembre 1988, Magill TV guide c. ITP, BBC and RTE, in GUCE

1989, L 78/43. 107 Cfr. G. MOGLIA, A. NICITA, D. DURANTE, La nozione di essential facility tra regolamentazione e anti-

trust, in Mercato, concorrenza e regole, 2001, p. 257 ss. La essential facility è, letteralmente, una infrastruttura essenziale, e riprende un concetto di derivazione statunitense: v., per tutti, P. Areeda, Essential facilities: An epithet in need of limitino principles, in Antitrust Law Journal, 58, 1990, p. 841 ss.

108 Il caso è Corte di Giust., 29 aprile 2004, causa C-418/01, IMS Health GmbH c. NDC Health GmbH, in Racc., 2004, punto 38, sulla quale v., da ultimo, E. AREZZO, Osservazioni a margine del caso NDC Health v. IMS Health, in Dir. ind., 2004, p. 236 ss.

Page 440: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 414

onerosità o la impossibilità tecnica della realizzazione, da parte dei concorrenti, di una rete distributiva autonoma109.

La prassi della Commissione e la giurisprudenza comunitaria, sulla base dell’art. 82 TCE, secondo cui l’abuso di posizione dominante può essere com-messo anche da più imprese, hanno elaborato la figura della posizione dominante collettiva (c.d. collective dominance).La posizione dominante può essere detenuta, cioè, anche da più imprese tra le quali non intercorrono necessariamente legami economici, ma che si comportano in modo tale da presentarsi sul mercato come un’unica entità economica110.

Come si è detto, la normativa italiana e quella comunitaria non individuano con esattezza la nozione di abuso o sfruttamento abusivo di posizione domi-nante; è stato compito della giurisprudenza, pertanto, individuare le ipotesi e le varie, concrete circostanze in cui il comportamento di un’impresa dominante può dirsi abusivo e, quindi, vietato. Così, ad esempio, è a dirsi per le pratiche di sconti sul prezzo dei beni o dei servizi effettuati al fine di “fidelizzare” la clien-tela, ovvero per l’inserimento nelle condizioni contrattuali della c.d. clausola in-glese, secondo cui è attribuito ad un fornitore “il diritto di prelazione e la facoltà di allinearsi ad offerte commerciali più vantaggiose ricevute dal cliente ad opera di un fornitore concorrente”111.

In un caso recente, l’AGCM ha sanzionato, ex art. 15 L.A., con un ammen-da di 152 milioni di euro la società Telecom Italia s.p.a.112, per avere abusato della propria posizione dominante sui mercati dei servizi di telecomunicazioni su rete fissa all’utenza affari. L’istruttoria ha evidenziato che le condotte abusive accertate dall’AGCM sono state sviluppate da Telecom nell’ambito di una stra-tegia unitaria diretta allo scopo di escludere i concorrenti dal mercato dei servizi finali all’utenza aziendale, preservando in tal modo la posizione di dominanza storicamente detenuta. In particolare, la strategia anticompetitiva, posta in esse-re in violazione dell’art. 3 L.A., è stata attuata anche attraverso clausole di esclu-siva e clausole equivalenti negli effetti a clausole inglesi, tali da vincolare alla so-

——— 109 Corte Giust., sent. 26 novembre 1998, causa C 7/97, Oscar Bronner c. Mediaprint, in Racc., 1998, p. 7791,

punti 23 ss. Su questa sentenza v., diffusamente, V. MELI, Rifiuto di contrattare e tutela della concorrenza nel diritto antitrust comunitario, cit., spec. pp. 13 ss., 123 ss.

110 Corte Giust., sent. 16 marzo 2000, causa C-395/96, in Racc., 2000, p. I-1365, punto 36. 111 Così, [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., p. 172. 112 Si noti che, in base all’art. 15 L.A., in caso di inottemperanza alla diffida di eliminazione

dell’infrazione agli artt. 2 e 3 L.A. da essa ravvisata, l’Autorità applica la sanzione amministrativa pecu-niaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida.

Page 441: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 415

cietà in questione gran parte dell’utenza aziendale, rendendo più difficoltosa o escludendo del tutto la possibilità per gli operatori concorrenti di offrire servizi di telecomunicazione su rete fissa, anche solo per una parte del traffico dei clienti in questione113. Infatti, una volta che il cliente sia vincolato a comunicare ad un fornitore le offerte più vantaggiose ricevute dai concorrenti, quest’ultimo vi si potrà allineare, rendendo del tutto vano – a causa del suo diritto ad essere preferito a parità di condizioni – lo sforzo dei concorrenti per competere sul mercato e scoraggiandoli da intraprendere altre iniziative dello stesso tenore.

In ordine alle fattispecie tipiche, previste dagli artt. 82 TCE e 3 L.A., l’espe-rienza ha evidenziato alcuni comportamenti abusivi, in esse rientranti, che pas-siamo ora ad esaminare.

8. — Alcune fattispecie di abuso: a) il boicottaggio. Il boicottaggio è tradizionalmente definito come “lo sforzo organizzativo per

eliminare o indurre terzi a far ritirare qualcuno da relazioni di affari con altri”114. Una distinzione importante, prospettata in dottrina e ripresa dalla giurispru-

denza, è quella tra boicottaggio primario e secondario, individuale o collettivo115.

——— 113 AGCM, 16 novembre 2004, Telecom, in Boll. n. 48/2004. Analogamente, v. AGCM, 9 aprile

1999, Enel. 114 M. ROTONDI, Le varie forme di lesione dell’avviamento come criterio di classificazione degli atti di concorren-

za sleale, in Riv. dir. comm., 1956, I, p. 359; sull’argomento, v. G. SENA, Il boicottaggio. Un aspetto della disci-plina della concorrenza, Milano, 1970; P. MARCHETTI, Boicottaggio e rifiuto di contrattare, cit; V. MENESINI, voce Boicottaggio, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, p. 1 ss.; V. MELI, Rifiuto di contrattare e tutela della concorrenza nel diritto antitrust comunitario, cit.

115 Cfr. G. SENA, Studi sul boicottaggio, I: boicottaggio primario individuale, in Riv. dir. ind., 1966, I, p. 5 ss; Id., Studi sul boicottaggio, II: boicottaggio secondario individuale, in Riv. dir. ind., 1966, I, p. 182 ss.; ID., Studi sul boicottaggio, III: boicottaggio collettivo, in Riv. dir. ind., 1966, I, p. 245 ss.; in giurisprudenza, v. Trib. Napoli, 7 gennaio 1999, in Foro napoletano, 1999, p. 53: “Il boicottaggio secondario individuale, illecito ex art. 2598 c.c., è il comportamento di un soggetto (promotore) il quale induce altri soggetti (esecutori) a rifiutare di intrattenere determinati rapporti con un terzo (il boicottato) al fine di ostacolarne o bloc-carne le relazioni economico sociali. Mentre il fine perseguito, elemento tipico del boicottaggio, è co-mune tanto al boicottaggio primario quanto al boicottaggio secondario, la fattispecie considerata è ca-ratterizzata dal fatto che l’autore non rifiuta egli stesso di trattare con il boicottato; il boicottaggio se-condario non consiste infatti nell’astensione, ma nell’atto commissivo dell’indurre altri a tale compor-tamento. Tale figura è integrata dalla condotta dell'imprenditore che impone ai negozianti al dettaglio di non acquistare merci di un dato concorrente, minacciando in caso contrario di non proseguire nella fornitura dei propri prodotti”.

Trib. Padova, 16 settembre 1998, in Foro it., 1999, I, c. 338: “Non integra gli estremi della concor-renza sleale per boicottaggio, a danno dell'imprenditore al quale il fornitore non ha consentito di prati-care diverse condizioni di vendita, la realizzazione di un sistema di distribuzione a carattere selettivo,

Page 442: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 416

Mentre il boicottaggio primario individuale consiste nel comportamento del singolo imprenditore, che spontaneamente rifiuta di intrattenere rapporti com-merciali con un concorrente (c.d. refusal to deal or to supply) al fine di ostacolarne o bloccarne l’attività116, il boicottaggio secondario individuale è caratterizzato dal comportamento di un imprenditore (promotore), il quale induce altri soggetti (e-secutori) a rifiutare di intrattenere determinati rapporti commerciali con un con-corrente (boicottato), al medesimo fine di comprometterne la stabilità sul mercato.

La differenza tra boicottaggio primario e secondario, dunque, corre sul filo dell’intervento diretto o indiretto di un imprenditore contro il suo concorrente, nel senso che il primo può astenersi egli stesso dal trattare col boicottato o, al-trimenti, indurvi altri soggetti117.

Il boicottaggio collettivo, invece, è una fattispecie ove è essenziale l’accor-do tra più soggetti imprenditoriali per esercitare, come gruppo, contro un con-corrente, tanto una forma di boicottaggio primario, quanto una di boicottaggio secondario (o entrambe)118.

Il boicottaggio è un’attività in cui i profili di interferenza tra disciplina sulla ——— allorché non vi sia stato accordo con altri venditori per escluderlo dal mercato e non gli sia stato impe-dito l’accesso alle fonti d'acquisto”.

Cass., sez. un., 15 marzo 1985, n. 2018, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 916: “Un accordo fra associazioni di produttori (nella specie: editori) e di rivenditori nella specie: giornalai) che consenta la distribuzione del prodotto soltanto ai rivenditori scelti dalle predette associazioni in base a regole predeterminate inerenti alla procedura ed ai criteri di scelta, non può qualificarsi come boicottaggio in danno degli im-prenditori non scelti (e quindi professionalmente scorretto ex art. 2598 c.c.), quando l’esclusione delle relazioni economiche di altri soggetti non sia assoluta e riguardante tutti gli estranei all’accordo, ma si dia la possibilità di accedere all’accordo stesso in base al riscontro dell’esistenza di requisiti qualitativi obiettivi correlati all'esigenza della razionalizzazione e del miglioramento della distribuzione del pro-dotto; e quando si apportano limiti, nell’interesse della categoria generale dei rivenditori, all’autonomia dei produttori. L’applicazione del suddetto accordo può essere considerato come atto contrario alla correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. non in base alla semplice valutazione discrezionale dei suddetti requisiti e per il conseguente rifiuto nei confronti di un aspirante alla rivendita ritenuto dotato di requisiti inferiori rispetto a quello scelto, ma soltanto se sono stati violati i criteri prefissati o non e' stata seguita una regolare o è posta in essere un’incongrua, errata o non imparziale valutazione delle situazioni esaminate. In tal caso, se l’atto è potenzialmente produttivo di danno a carico dell’escluso, con vantaggio potenziale di altro imprenditore concorrente, può essere considerato come atto di con-correnza sleale”. Trib. Milano, 26 maggio 1994, in Giur. ann. dir. ind., 1994, p. 759 “Costituisce illecito – ex art. 2598 n. 3 c.c. se l’autore è un imprenditore: ex art. 2043 c.c. se l’autore non è imprenditore – l’atto con cui un soggetto, in una data situazione dominante di mercato, da solo (boicottaggio primario individuale) o con altri (boicottaggio secondario individuabile o boicottaggio collettivo) direttamente o indirettamente ostacola un determinato concorrente col fine di impedirgli o di rendergli eccessivamen-te gravoso l’accesso a un mercato, oppure il permanervi, con danno del soggetto passivo e senza causa di giustificazione”.

116 G. SENA, Il boicottaggio, cit., p. 13 ss. 117 G. SENA, Il boicottaggio, cit., p. 33 ss. 118 G. SENA, Il boicottaggio, cit., p. 55 ss.

Page 443: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 417

concorrenza sleale e normativa antitrust sono assai evidenti. Infatti, quando si versi nell’ipotesi di boicottaggio collettivo, la fattispecie realizza tipicamente un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi degli artt. 2 L.A. e 81 TCE.

In particolare, posto che l’art. 2 lett. d) L.A. sancisce il divieto di intese re-strittive della libertà di concorrenza attraverso attività consistenti nell’applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni oggettivamente di-verse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svan-taggi nella concorrenza, è stato rilevato, secondo un’interpretazione a fortiori, che il boicottaggio ricade in tale fattispecie, poiché esso “altro non è se non la forma estrema di discriminazione”119.

Né è da esludere che il boicottaggio individuale primario si traduca in un abuso di posizione dominante ai sensi degli artt. 3 lett. c) L.A. e 82 TCE120.

Emerge quindi la possibilità di un duplice profilo del boicottaggio, quale at-to di concorrenza sleale e quale pratica monopolistica. Il “fine impeditivo” o di “annientamento” dell’attività del concorrente qui assume una colorazione parti-colare, essendo l’unico movente che spinge un soggetto imprenditoriale ad ini-ziare una pratica di boicottaggio (individuale o collettivo)121.

In altri termini, la condotta del boicottante non produce un immediato ef-fetto migliorativo dell’offerta di costui, ma mira solamente all’espulsione dal mercato del concorrente scomodo. Appare pertanto alquanto difficile, specie quando l’impresa boicottante sia in posizione dominante, ritenere che la discri-minazione attuata mediante il rifiuto di contrattare non ricada nell’illecito anti-trust122, salvo che non si intenda far leva sulla nozione legale di “ingiustificati svantaggi” arrecati al boicottato, quale elemento determinante per la rilevanza anticoncorrenziale della fattispecie discriminatoria, al fine di ammettere la liceità del rifiuto di contrattare tutte le volte in cui l’autore della discriminazione, trami-te tale condotta, miri a tutelare i propri interessi economici reagendo ad un’ag-gressione antigiuridica posta in essere dal concorrente123.

——— 119 R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 240. 120 Cfr. A. FRIGNANI, Abuso di posizione dominante, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 389. 121 Sulla perdurante autonoma configurazione del boicottaggio, quale atto di concorrenza sleale, rispetto

all’abuso di posizione dominante, v., da ultimo, Trib. Napoli, 23 luglio 2003, in Dir. ind., 2004, p. 268 ss., con commento di G. FLORIDIA, Boicottaggio e libertà d’impresa, ivi, p. 276 ss.

122 A. FRIGNANI, op. ult. cit., p. 390. 123 Cfr. R. PARDOLESI, op. ult. cit., pp. 241-242.

Page 444: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 418

9. — Segue: b) i prezzi predatori e le vendite sottocosto. I ribassi di prezzo e, in particolare, le c.d. vendite sotto costo sono qualifi-

cabili come comportamenti abusivi, se posti in essere da un’impresa in posizio-ne dominante, tutte le volte in cui emerga la loro idoneità a falsare il gioco della libera concorrenza tipico dell’economia di mercato124.

Se, infatti, può dirsi normale o fisiologico che in un’economia di mercato la concorrenza c.d. di prezzo porti i soggetti della gara concorrenziale ad effettuare ribassi di prezzo sui prodotti o servizi offerti al pubblico dei consumatori per conquistare più ampie quote di mercato, è necessario stabilire i confini di liceità del comportamento ribassista tutte le volte in cui questo si qualifichi nettamente per un intento monopolistico, consistente nel vendere i prodotti ad un prezzo inferiore al costo di produzione al fine di escludere (foreclose) dal mercato i con-correnti (o di impedire ai potenziali concorrenti di accedervi)125.

Tale comportamento implica, infatti, la rinuncia, sia pur temporanea, al conseguimento del necessario margine di profitto che consente ad un imprendi-tore privo di ingenti risorse finanziarie di resistere nel mercato dell’offerta, man-tenendo un saldo non passivo di bilancio126. Come è evidente, quindi, soltanto un’impresa che goda di una posizione dominante nel mercato è in grado di po-ter attuare sistematicamente, e per periodi più o meno lunghi, vendite sotto co-sto di determinati prodotti, in ragione della sua capacità finanziaria e della sua ramificazione nel mercato stesso.

La prevalente dottrina e la giurisprudenza dominante sono concordi nel ri-tenere la vendita sotto costo un comportamento sanzionato quale abuso di po-sizione dominante ex art. 3 L.A. (c.d. abuso di impedimento)127.

——— 124 In argomento, v. P. MANZINI, L’esclusione della concorrenza nel diritto antitrust comunitario, Milano,

1994, p. 147 ss. 125 Il primo studio sull’argomento si deve a V. MANGINI, La vendita sotto costo, in Riv. dir. civ., 1962,

I, p. 470 ss. 126 Sui prezzi predatori, v. L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 328 ss., spec. p. 336 ss. 127 Cfr., sull’argomento, M. LAMANDINI, Concorrenza sleale e diritto antitrust, in Dir. ind., 1994, p. 873

ss.; le analisi più approfondite si devono a L. MANSANI, Ribassi di prezzo, offerte promozionali e concorrenza sleale, Milano, 1990; e P. GIUDICI, I prezzi predatori, Milano, 2000.

In giurisprudenza, v., da ultimo, Cass., 26 gennaio 2006, n. 1636, in Foro it., 2006, I, c. 687: “La fissazione di prezzi anche particolarmente più bassi rispetto a quelli praticati da altri imprenditori del settore costituisce, di per sé, pratica lecita, in quanto espressione del principio di libertà di iniziativa economica e può integrare gli estremi della concorrenza sleale per vendita sottocosto solo se in contra-sto con il divieto legislativo, interno o comunitario, di abuso di posizione dominante, quale pratica po-sta in essere da un’impresa che, muovendo da una posizione di dominio, ne abusi con il frapporre bar-

Page 445: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 419

La pratica dei prezzi predatori (predatory pricing), finalizzata all’esclusione dei concorrenti più deboli, viene infatti ricompresa nella nozione di cui all’art. 3 let-tera a) L.A., secondo cui è vietato “imporre direttamente o indirettamente prezzi di ac-quisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose”, sul presuppo-sto che prezzo troppo basso ed eccessiva gravosità non sono termini incompa-tibili, perché “anche chi, per inseguire l’impresa dominante che pratica prezzi predatori, è costretto ad abbassare i propri prezzi al di sotto dei costi, si vede imporre un prezzo eccessivamente gravoso”128.

Anche la Corte di Giustizia della Comunità europea ha ricondotto la pratica dei prezzi predatori alla nozione di abuso di posizione dominante di cui all’art. 82, lettera a) TCE (che, tuttavia, parla di “condizioni di transazione non eque”), ponendo l’accento sul fatto che con i prezzi inferiori alla media dei costi variabili l’impresa persegue esclusivamente lo scopo di eliminare i concorrenti129.

Da ultimo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha espresso, in proposito, un parere130 sulla disciplina delle vendite sottocosto, ritenendo a-busive secondo la disciplina antitrust italiana e comunitaria “le vendite a prezzi inferiori ai costi soltanto se poste in essere da un’impresa in posizione dominan-te e quando presentano caratteristiche predatorie, ossia comportano l’elimina-zione degli eventuali concorrenti, consentendo all’impresa in posizione domi-nante un aumento significativo del suo potere di mercato”131.

——— riere all’ingresso di altri concorrenti sul mercato, ovvero favorendone l’eliminazione” (nella specie, la Suprema Corte ha escluso che la vendita di una guida televisiva settimanale abbinata ad un quotidiano integri gli estremi della vendita sottocosto, non essendo stato né allegato né tantomeno provato che l’editore si trovava in una posizione dominante sul mercato, e che la politica dei prezzi da esso praticata aveva l’effetto anche solo potenziale di rafforzare tale posizione, atteso oltretutto che si trattava di ini-ziativa editoriale praticata anche da altri concorrenti).

128 V. MELI, Il divieto di imporre prezzi ed altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 376, nota 211; ID., Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante mediante imposizio-ne di prezzi non equi, Milano, 1989, p. 146.

129 Corte Giust., sent. 3 luglio 1991, causa C-62/86, Akzo Chemie Bv c. Commissione, cit., punto 72; cfr. G. TESAURO, Diritto comunitario, cit., p. 582 ss.

130 AS 142 del 30 aprile 1998, in Boll. n. 23 del 22 giugno 1998. 131 Cfr. art. 15, 7° comma, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, che dà la seguente definizione di vendita

sottocosto: “vendita al pubblico di uno o più prodotti effettuata ad un prezzo inferiore a quello risul-tante dalle fatture di acquisto maggiorato dell’imposta sul valore aggiunto e di ogni altra imposta o tas-sa connessa alla natura del prodotto e diminuito degli eventuali sconti o contribuzioni riconducibili al prodotto medesimo purché documentati”. Tale norma, peraltro, sanziona in via amministrativa la ven-dita sottocosto indipendentemente dal fine di annientamento del concorrente. E v. ora il d.P.R. 6 aprile 2001, n. 218, con il quale è stato emanato il regolamento recante la disciplina delle vendite sottocosto ex art. 15 d.lgs. 114/1998. In argomento, da ultimo, v. M. LIBERTINI, G. SCOGNAMIGLIO, Alcune que-stioni interpretative sul regolamento in materia di vendite sottocosto (d.p.r. 6 aprile 2001, n. 218), in Contr. e impr., 2002, p. 828 ss.

Page 446: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 420

Sotto questo profilo, è stato rilevato come sia più opportuno far rientrare la fattispecie in esame nel divieto di cui all’art. 3 lettera b) L.A., che vieta le c.d. pratiche escludenti, consistenti nell’“impedire o limitare la produzione, gli sboc-chi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori”.

In effetti, con riferimento ad un comportamento praticato nei riguardi dei consumatori, l’imposizione di prezzi “non equi” o di condizioni “ingiustificata-mente gravose”, di cui all’art. 3 lett. a) L.A., si risolve necessariamente nell’im-posizione di prezzi troppo alti rispetto a quelli che si sarebbero formati in un mercato effettivamente concorrenziale; in questa prospettiva, la vendita sotto costo non dà origine ad una rendita del monopolista cui corrisponde una im-mediata perdita di benessere dei consumatori, bensì riduce soltanto la possibilità di scelta di questi ultimi per effetto dell’esclusione dal mercato interessato dei concorrenti vittime del comportamento predatorio132.

Tuttavia, se è vero che i prezzi “non equi”, vale a dire eccessivi, “danneg-giano sicuramente i consumatori rendendo, però, nel contempo più appetibile l’ingresso in quel mercato per eventuali nuovi concorrenti”133, è altrettanto vero che i prezzi eccessivi possono essere praticati anche nei confronti dei concor-renti dell’impresa in posizione dominante, ed in tal caso danneggiano diretta-mente i concorrenti stessi, allo stesso modo dei prezzi sotto costo (predatori).

Bisogna però considerare come interesse dei concorrenti ed interesse dei consumatori sono due facce della stessa medaglia, poiché unico è il bene tutela-to dalla normativa antitrust, vale a dire la effettività del gioco concorrenziale ov-verosia la libertà di concorrenza, ma nei limiti segnati dall’utilità sociale, di cui all’art. 41, 2° comma Cost.134.

Ad ogni modo, sembra che la questione abbia un rilievo meramente termi-nologico, dal momento che, abbracciando una nozione ampliata di “imposizio-

——— E v. Trib. Bari, 16 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, c. 1642: “Costituisce atto di concorrenza

sleale per contrarietà alla correttezza professionale la vendita sottocosto di prodotti (nella specie, olio lubrificante), in mancanza di circostanze particolari quali i saldi di fine stagione, l'esaurimento delle scorte, la liquidazione dell’attività o le vendite promozionali soggette ad apposita disciplina, e a nulla rilevando la temporaneità dell'offerta o la minima incidenza quantitativa sul mercato”.

132 In tal senso, cfr. V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., pp. 66-67. 133 V. MANGINI, G. OLIVIERI, op. ult. cit., p. 66. 134 Ma v. G. AMATO, Il potere e l’antitrust, cit., pp. 74-75, che distingue nettamente tra tutela della

concorrenza e tutela del consumatore, rilevando come la sanzione dei prezzi eccessivi praticati nei con-fronti diretti dei consumatori si risolve non già in uno strumento di politica antitrust, ma in una “rego-lazione bella e buona dell’impresa in posizione dominante”. In senso adesivo, v. M. RICOLFI, Antitrust, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, II, Diritto industriale, cit., pp. 761-762.

Page 447: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 421

ne”, la esclusione di un’impresa dal mercato è certamente il risultato della “im-posizione” ad essa di prezzi insostenibilmente bassi, e la pratica dei prezzi pre-datori può condurre, in ogni caso, all’applicazione dell’art. 3 L.A.

Rimane però il fatto che il profilo anticoncorrenziale della vendita sotto co-sto non va dato per scontato.

Abbiamo visto, infatti, come ciò che conta ai fini della valutazione di un comportamento come anticoncorrenziale è la sua idoneità a pregiudicare non solo e non tanto il concorrente, quanto la stessa efficienza e funzionalità del mercato.

Ora, se è vero che l’intento monopolistico dell’impresa che pratica vendite sotto costo è certamente un indice della presenza di una volontà soggettiva di violare il divieto di sfruttamento abusivo di posizione dominante, ciò tuttavia non basta per giudicare il comportamento predatorio come nocivo al sistema economico nel suo complesso, dovendosi tenere conto anche degli effetti di lungo periodo del ribasso dei prezzi, soprattutto in ordine alle sue ripercussioni sul livello di benessere dei consumatori.

Questa osservazione vale tanto più ove si consideri che la nozione di sfrut-tamento abusivo di posizione dominante viene tradizionalmente ricondotta ad un significato oggettivo, essendo l’abuso riferito a quell’impresa in posizione dominante che, utilizzando sistemi diversi da quelli propri di una normale poli-tica concorrenziale fondata sul merito e sulla qualità delle prestazioni, incide sul-la struttura del mercato e ne riduce il livello di concorrenzialità a proprio van-taggio135.

L’atteggiamento più corretto, in proposito, sembra essere quello delineato dalla dottrina statunitense della Scuola di Chicago136, laddove si osserva che la vendita sotto costo si rivela vantaggiosa nel lungo periodo solo se l’impresa, do-po avere estromesso il rivale, può rialzare i prezzi e così recuperare quanto per-duto in termini di profitto, dal momento che, praticando un prezzo inferiore al costo variabile medio l’impresa accumula perdite ad ogni unità addizionale ven-duta. Ma così facendo, nella maggior parte dei casi tale recupero sarà impossibi-le, perché i più alti prezzi praticati finiscono per incoraggiare l’ingresso di nuovi concorrenti, a meno che non esistano significative barriere all’entrata. Senza contare il fatto che l’impresa in posizione dominante, avendo una quota di mer-———

135 Corte Giust., sent. 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman La Roche c. Commissione, cit., punto 91. Cfr. F. MUNARI, G.M. ROBERTI, La disciplina della concorrenza, cit., p. 1204 ss.

136 Cfr. R. VAN DEN BERGH, L’analisi economica del diritto della concorrenza, in Diritto antitrust italiano, I, cit., p. 27 ss.

Page 448: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 422

cato più ampia del suo rivale minore, subisce perdite complessive maggiori ri-spetto ai danni inferti a quest’ultimo, il quale potrebbe minimizzare le sue perdi-te riducendo temporaneamente la produzione137.

Nel lungo periodo, quindi, l’impresa predatrice può anche non diventare monopolista. Ne deriva che per aversi abuso di posizione dominante è necessa-rio non soltanto che l’impresa pratichi prezzi inferiori ai costi, ma altresì che es-sa abbia la ragionevole prospettiva di recuperare le perdite, risultando in tal caso dimostrato che la vendita produrrà un danno per il consumatore138.

10. — Segue: c) i tying contracts e il bundling. Il caso Microsoft. Le pratiche leganti, dette anche di tie-in o tying contracts rientrano nella nota

fattispecie di cui all’art. 82, lett. d, TCE (e all’art. 3, lett. d, L.A.), secondo cui costituisce una pratica abusiva vietata il

“subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”. In realtà, il requisito della estraneità della c.d. prestazione gemellata alla

natura o alla funzione della prestazione principale, non va inteso in senso stretto, ma è suscettibile di essere valutato diversamente in base alle circostan-ze del caso concreto. Il fatto è che le vendite collegate di due o più prodotti o servizi, per essere considerate comportamenti abusivi, non devono trovare giustificazione in motivazioni di tipo tecnico o legate all’efficienza economica, come nell’ipotesi in cui i prodotti non siano vendibili in via disgiunta (ad es., le gomme di un’automobile non possono essere vendute separatamente dal-l’automobile)139.

A differenza dei tying contracts, il c.d. bundling consiste, invece, in una pratica mediante la quale “l’impresa in posizione dominante su uno o più prodotti di una stessa gamma può sfruttare tale situazione attraverso politiche di prezzo che rendano conveniente acquistare l’intera gamma piuttosto che il singolo prodotto ———

137 Cfr. M. RICOLFI, Antitrust, cit., p. 728. 138 Cfr. G. AMATO, Il potere e l’antitrust, cit., p. 25 ss. e pp. 71-72; A. PERA, Concorrenza e antitrust,

Bologna, 1998, p. 92. 139 L’esempio, assai efficace, proviene da [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in

Italia, cit., p. 173, nota 124.

Page 449: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 423

di punta”140. Più in generale, si tratta di una politica di vendita che implica l’offerta congiunta di più beni o di più unità dello stesso bene a un prezzo che è inferiore alla somma dei singoli prezzi141. Basti pensare, ad esempio, all’acquisto di due prodotti al prezzo di uno (sconto quantità); è evidente il fine escludente nei confronti dei concorrenti di prodotti simili (tentativo di monopolizzazione).

Ma il caso più eclatante di tie-in è legato al nome della società statunitense Microsft, la quale, in tempi recenti, ha subito una duplice condanna, ad opera del-la magistratura americana, prima, e della Commissione europea, dopo. In parti-colare, nel caso americano più antico142, Microsoft è stata ritenuta responsabile di avere violato lo Sherman Act per aver imposto ai costruttori di hardware l’acquisto di un software completo, oltre che del sistema operativo Windows, del browser de-nominato Internet Explorer, in tal modo danneggiando irrimediabilmente, a causa della situazione di quasi monopolio della Microsoft, il concorrente di quest’ultima, Netscape. Il caso europeo, più recente, ha visto invece, Microsoft sanzionata per abuso di posizione dominante, per aver venduto, in abbinamento al proprio si-stema operativo, il programma Windows Media Player, provocando in tal modo un effetto di chiusura del mercato dei media players a danno dei concorrenti e, in ultima analisi, dei consumatori143.

11. — Abuso di dipendenza economica, boicottaggio e tutela della libertà di concorrenza. L’art. 9 della l. 18 giugno 1998, n. 192 (Disciplina della subfornitura nelle attività

produttive) ha introdotto nel nostro ordinamento il divieto di abuso di dipenden-za economica, che, secondo tale norma, si ha quando un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La norma in esame individua, oltre al predetto squilibrio, un altro parametro indicativo della dipendenza economica, consistente nella impos-

——— 140 In questi termini, assai chiaramente, v. V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., p. 71. 141 Cfr. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 180: “Si ha bundling

puro quando l’impresa decide di vendere esclusivamente la combinazione congiunta di beni, escludendo la vendita separata dei singoli componenti, e bundling misto quando si offrono sul mercato sia i beni in confezione congiunta sia separatamente”.

142 Cfr. Corte App. Stati Uniti d’America, 23 gennaio 1998, caso Microsoft, in Foro it., 1998, IV, c. 343. Su questo caso v., amplius, P. SABBATINI, La concorrenza come bene pubblico. Il caso Microsoft, Roma-Bari, 2000; C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 201 ss.

143 Commissione europea, 24 marzo 2004, Microsoft/W2000. Sul caso europeo, v. C. BENTIVOGLI, S. TRENTO, Economia e politica della concorrenza, cit., p. 211 ss.

Page 450: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 424

sibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Inoltre, tra i casi di abuso, la stessa norma esemplifica quello rap-presentato dal rifiuto di vendere o di comprare, dall’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie e dalla interruzione ar-bitraria delle relazioni commerciali in atto. La sanzione prevista per la violazione del divieto è la nullità del patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipen-denza economica144.

Orbene, proprio il caso di abuso di dipendenza economica “fuori dal con-tratto”, realizzato cioè non già attraverso l’imposizione, da parte dell’impresa dominante, di clausole contrattuali, bensì tramite meri comportamenti quali “l’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto” o “il rifiuto di ven-dere o di comprare”, pone all’interprete il problema del coordinamento tra la norma sulla subfornitura, da un lato, e la legge antitrust, dall’altro, atteso che at-traverso tale condotta si può anche configurare la classica fattispecie del boicot-taggio145.

Innanzitutto è da rilevare che, nella prospettiva della nostra indagine, l’abu-so di dipendenza economica va guardato essenzialmente come comportamento potenzialmente lesivo del funzionamento del mercato concorrenziale.

Una recente ricerca condotta alla luce dei criteri di analisi economica del di-ritto ha, infatti, dimostrato come l’abuso di dipendenza economica possa de-terminare effetti distorsivi sulla concorrenza e sul mercato146.

Dal punto di vista economico, la caratteristica della situazione di dipenden-za è l’esistenza di un costo di commutazione (switching cost) per l’impresa dipen-

——— 144 L’analisi più recente del tema è di R. NATOLI, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il merca-

to, Napoli, 2004. 145 In argomento, cfr. V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e di-

ritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 389 ss., spec. p. 417, che nota come “il caso di boicottaggio ti-picamente sanzionato dall’art. 9 si ha nell’ipotesi in cui il rifiuto di contrarre sia disposto congiunta-mente da più imprese operanti al medesimo livello del processo produttivo o distributivo (e, quindi, in concorrenza tra loro) nei confronti di un’impresa cliente o fornitrice, che versi in uno stato di dipen-denza economica (c.d. boicottaggio diretto).”

La prima pronuncia in materia è di Trib. Bari, 6 maggio 2002, in Danno e resp., 2002, p. 765, se-condo cui “Il rifiuto arbitrario di vendere la merce commissionata integra gli estremi dell’abuso di di-pendenza economica in danno del rivenditore; va quindi ordinato al fornitore di consegnare immedia-tamente la merce richiesta, alle condizioni previste nel modulo, predisposto dal fornitore stesso e sot-toscritto dal cliente, contenente la proposta di acquisto”.

D’altra parte, se si accetta un significato estensivo del termine “imposizione”, non è escluso che tramite la “imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie”, l’im-presa che pratichi prezzi predatori possa commettere un abuso di dipendenza economica.

146 C. OSTI, L’abuso di dipendenza economica, in Mercato, concorrenza, regole, 1999, p. 9 ss.

Page 451: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 425

dente, che può essere definito come il costo aggiuntivo che un soggetto do-vrebbe sostenere o i benefici ai quali egli dovrebbe rinunciare se richiedesse gli stessi beni o servizi ad un altro fornitore147. I costi di commutazione coincidono con quelle situazioni che gli studiosi della economia dei costi di transazione de-finiscono di specificità del bene (asset specificity); tale specificità si rinviene laddo-ve sia stato effettuato un investimento specifico ad un rapporto (relation specific investment), che, una volta fatto da una o da entrambe le parti di un rapporto commerciale in corso, ha un valore inferiore in usi alternativi rispetto all’uso cui è destinato, di sostegno allo specifico rapporto commerciale bilaterale148.

Le situazioni di specificità dei beni, che possono essere di tipo fisico (rela-tive a macchinari, luogo di produzione, tecniche o sistemi non compatibili con altre applicazioni), transazionale (interruzione di un rapporto contrattuale in at-to), di apprendimento (competenze non utilizzabili in altre produzioni) o ri-guardanti la clientela (es. fedeltà ad un marchio), generano delle quasi rendite, che possono rendersi appropriabili dalla controparte, ponendo così il soggetto che ha compiuto l’investimento in posizione di dipendenza e rendendolo vulne-rabile ad una situazione di estorsione (hold up)149. Orbene, la posizione di potere economico dell’impresa che commette un abuso di dipendenza economica ap-pare di dominanza relativa, perché trova origine in un rapporto verticale tra im-prese operanti ad un diverso livello dello stesso processo di produzione e/o di-stribuzione e riguarda soltanto la relazione tra di esse. Viceversa, il potere eserci-tato dall’impresa in posizione dominante ex art. 3 L.A. è di dominanza assoluta, in quanto fondato su una elevata quota del mercato rilevante (market power). Questa differenza, tuttavia, non toglie che la posizione di potere economico, sia pure relativo, genera, per il soggetto dipendente, una perdita di benessere simile a quella che consegue all’esercizio del potere (quasi)monopolistico, principal-mente perché, come ha osservato la dottrina statunitense, le imprese clienti o fornitrici affronteranno investimenti meno specifici per evitare di rimanere inca-strate (locked in), e, verificatasi la situazione di estorsione, il ricavo complessivo derivante dal rapporto si riduce150. Sembrano queste le considerazioni che il le-gislatore ha tenuto presente inserendo, ad opera dell’art. 11 della l. 5 marzo

——— 147 Sugli switching costs, v. amplius, L. CABRAL, Economia industriale, cit., p. 270. 148 Cfr. C. OSTI, op. loc. cit.; P.L. JOSKOW, voce Asset specificity and vertical integration, in Palgrave Dic-

tionary of Law and Economics, Oxford, 1998, vol. I, pp. 107-108. 149 Cfr. C. OSTI, op. loc. cit. 150 C. OSTI, op. cit., p. 45 ss.; B. KLEIN, R.G. CRAWFORD, A.A. ALCHIAN, Vertical integration, appro-

priable rents, and the competitive contracting process, in Journal of Law and Economics, vol. XXI, 1978, p. 297 ss.

Page 452: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 426

2001, n. 57, il nuovo comma 3-bis dell’art. 9 della l. 192/1998, in virtù del quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è autorizzata ad intervenire nel caso in cui l’abuso di dipendenza economica abbia effetti distorsivi sul mer-cato, procedendo alle diffide e alle sanzioni di cui all’art. 15 della l. 287/1990 nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso151, salva l’applicazione dell’art. 3 della l. 287/1990, tutte le volte in cui l’abuso di dipendenza economica è esercitato da un’impresa in posizione dominante152.

Risulta, infine, esclusa l’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale ex artt. 2598 ss. c.c. alla fattispecie di abuso di dipendenza economica, atteso che in essa manca il rapporto di concorrenza tra le imprese153.

12. — Le concentrazioni tra imprese nel Regolamento n. 139/2004. Il tema delle concentrazioni nel diritto antitrust è di importanza cruciale, at-

teso che tali operazioni costituiscono lo strumento giuridico attraverso il quale le imprese realizzano una crescita dimensionale ed economica attingendo ad e-conomie di terzi (c.d. crescita esterna)154 e, quindi, sono in grado di esercitare un potere di mercato che si può tramutare in effetti distorsivi per il corretto svol-gimento della gara concorrenziale155. Ne deriva la necessità di sottoporre a con-

——— 151 Cfr. F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica. Profili ricostruttivi e siste-

matici, Napoli, 2002, p. 282, secondo cui “si tratta di una soluzione opportuna, consentendo all’organo di tutela della concorrenza di prevenire e di reprimere, avvalendosi di poteri, strutture e competenze adeguate allo scopo e di cui non dispone il giudice ordinario, anche quei comportamenti abusivi di im-prese che, singolarmente o in concorso con altre, siano in grado di falsare il gioco della concorrenza in un ambito settoriale, pur non disponendo di una quota rilevante del mercato”.

152 In tal senso depone l’inciso iniziale dell’art. 9, comma 3-bis, “Ferma restando l’eventuale appli-cazione dell’art. 3 della l. 10 ottobre 1990, n. 287”. Cfr. F. PROSPERI, op. cit., p. 283.

Per un attento esame della questione anteriormente alla modifica dell’art. 9 della l. 192/1998, v. M.S. SPOLIDORO, Riflessioni critiche sul rapporto fra abuso di posizione dominante e abuso dell’altrui dipendenza economica, in Riv. dir. ind., 1999, I, p. 191 ss.

153 Cfr. V. PINTO, op. cit., p. 424: “La relazione concorrenziale presuppone o che le imprese operino al medesimo livello del processo produttivo o distributivo (c.d. concorrenza orizzontale) oppure che esse, pur collocandosi a livelli diversi, svolgano una attività destinata a soddisfare i medesimi bisogni e la stessa clientela. Non è dato riscontrare, invece, alcun rapporto di concorrenza (neppure verticale) nelle relazioni tra imprese che operano a diversi gradi dello stesso processo produttivo o distributivo: in tale situazione, le imprese non possono (per definizione) contendersi la medesima clientela, essendo l’una cliente o fornitore dell’altra”.

154 La crescita interna si ha, invece, quando un’impresa riesce ad aumentare i profitti derivanti dalla vendi-ta dei beni che produce. Cfr. R. ALESSI, G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato, cit., p. 218.

155 Cfr., in generale, C. OSTI, Operazioni di concentrazione. Aspetti sostanziali, in Diritto antitrust italia-no, I, cit., p. 524 ss.; G.M. ROBERTI, La disciplina delle concentrazioni tra imprese, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, nel Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, vol. XXVI, t. II,

Page 453: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 427

trollo preventivo codesta forma di crescita del potere economico di un’impresa, al fine di evitare che la prima si trasformi in un processo degenerativo del mer-cato concorrenziale156. Si tratta, all’evidenza, di una scelta di politica economica che, tanto il legislatore comunitario che quello italiano, hanno fatto per far pre-valere le ragioni dell’efficienza su quelle del mercato; come è stato, infatti, assai incisivamente rilevato, non è altrimenti spiegabile perché un sistema di autoriz-zazione preventiva debba operare per impedire il formarsi di una posizione do-minante soltanto quando ciò avvenga attraverso l’acquisizione di risorse altrui piuttosto che tramite “i tradizionali strumenti di politica (e di lotta) commercia-le” (c.d. crescita interna)157.

Ai sensi dell’art. 3, § 1, del Regolamento (CE) del Consiglio n. 139 del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese158, si ha una concentrazione quando si produce una modifica duratura (vale a dire un passag-gio da un centro decisionale ad un altro) del controllo di un’impresa, a seguito: a) della fusione di due o più imprese precedentemente indipendenti o parti di im-prese; oppure b) dell’acquisizione, da parte di una o più persone che già detengo-no il controllo di almeno un’altra impresa, o da parte di una o più imprese, sia tramite acquisto di partecipazioni nel capitale (c.d. scalata azionaria) o di ele-menti del patrimonio (es., acquisto di azienda), sia tramite contratto (es. patto parasociale) o qualsiasi altro mezzo, del controllo diretto o indiretto dell’insieme o di parti di una o più altre imprese. La costituzione di un’impresa comune, che e-sercita stabilmente tutte le funzioni di una entità economica autonoma (c.d. full function joint venture), è considerata come una concentrazione ai sensi della predet-ta lettera b (art. 1, § 4, Reg. 139/2004)159.

Come si vede, risulta essenziale, ai fini dell’esatta comprensione del feno-meno in esame, la nozione giuridica di controllo160. Essa è fornita dall’art. 1, § 2,

——— cit., p. 1211 ss.; P. CASSINIS, Il controllo comunitario delle operazioni di concentrazione, in Dir. ind., 1998, p. 52 ss.

156 L’analisi del tema più completa ed aggiornata è opera di [P. FATTORI,] M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, cit., pp. 213-294.

157 Cfr. V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, cit., p. 77. 158 In GUCE L 24 del 29 gennaio 2004. In questo regolamento sono rifuse gran parte delle dispo-

sizioni contenute nel precedente Regolamento n. 4064 del 1989. Per uno sguardo d’insieme ed aggior-nato sulla storia della regolamentazione delle concentrazioni v. S. MEZZACAPO, La concorrenza tra regola-zione e mercato. Ordine giuridico e processo economico, cit., p. 104 ss.

159 Cfr. F. GHEZZI, La nozione di concentrazione e di impresa comune negli orientamenti della Commissione CEE, in Riv. soc., 1995, p. 284 ss.

160 Sulla tale nozione v. spec., M.S. SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge anti-trust, in Riv. soc., 1995, p. 466 ss.

Page 454: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 428

Reg. 139/2004, secondo cui si ha controllo quando si è in presenza di diritti, contratti o altri mezzi che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto con-to delle circostanze di fatto o di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza dominante sull’attività di un’impresa. Si tratta, in particolare, di: a) diritti di pro-prietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un’impresa; b) diritti o contratti che conferiscono un’influenza determinante sulla composizio-ne, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un’impresa.

L’ambito di applicazione del Regolamento 139/2004 è costituito dalle con-centrazioni di dimensione comunitaria. Ciò a differenza della disciplina italiana sulle concentrazioni, di cui agli artt. 5-7 L.A., che, invece, pur essendo costruita sostanzialmente sulla falsariga di quella comunitaria (e, in particolare, sulla base del precedente Reg. 4064/1989), si applica soltanto alle concentrazioni di di-mensione nazionale. Orbene, l’art. 1, § 2, Reg. 139/2004, stabilisce che una con-centrazione è di dimensione comunitaria quando: a) il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro e b) il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da al-meno due delle imprese interessate è superiore a 250 milioni di euro, salvo che ciascuna delle imprese interessate realizzi oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all’interno di un solo e medesimo Stato membro. Tutte le volte in cui la concentrazione supera tali soglie, la Commissione ha la competenza esclu-siva, secondo una particolare procedura, per valutare la compatibilità o meno della concentrazione con il mercato comune, adottando le decisioni di cui all’art. 8 Reg. 139/2004, le quali possono consistere, in caso di esito negativo del giudi-zio, anche nell’ordine alle imprese interessate di dissolvere la concentrazione ovvero, più in generale, nell’adozione di ogni misura opportuna per ripristinare le condizioni di concorrenza effettiva.

Viceversa, le concentrazioni sono di dimensione nazionale, ai sensi dell’art. 16 L.A., quando il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a € 258.228.449,54 ovvero qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’impresa di cui è prevista l’acquisizione sia superiore a € 25.822.844,95. Tali valori sono incrementati ogni anno di un am-montare equivalente all’aumento dell’indice del deflettore dei prezzi del prodotto interno lordo. Raggiunte le predette soglie numeriche, l’operazione di concentra-zione va notificata preventivamente, a cura delle imprese interessate, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale, in caso di rilevata anticoncor-renzialità della stessa operazione, adotterà le misure necessarie a ripristinare condi-zioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi (cfr. art. 18 L.A.).

Page 455: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 429

13. — Gli aiuti di Stato alle imprese. Le norme comunitarie sugli aiuti concessi dagli Stati alle imprese sono assai

rilevanti, perché attraverso tali aiuti, che possono consistere in una varia tipolo-gia161, come, ad esempio, agevolazioni di pagamento di contributi previdenziali, esenzioni fiscali, sovvenzioni a fondo perduto etc., gli Stati membri possono fa-vorire le imprese nazionali con pregiudizio delle imprese straniere in competi-zione con le prime162.

In particolare, ai sensi dell’art. 87, § 1, TCE, “sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidono sugli scambi fra gli Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minacci-no di falsare la concorrenza”. Sotto questo profilo, le norme del Trattato CE sugli aiuti di Stato (artt. 87-

89) sono complementari alle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, atteso che già l’art. 10 del Trattato sancisce un dovere generale di collaborazione tra Stati membri e Comunità europea, imponendo ai primi di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato. Tra questi ultimi, in particolare, rientra, come si è visto,163 il mantenimento di un regime inteso a ga-rantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno (art. 3, lettera g, del Trattato CE). Pertanto, la disciplina degli aiuti di Stato alle imprese si fonda sul principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, qualora questi falsino o minaccino di falsare la concorrenza, mentre la loro ammissibilità è condizionata all’esistenza di deroghe al suddetto principio, alcune applicabili ipso iure, altre in forza di una valutazione ampiamente discrezionale della Commis-sione164.

——— 161 Cfr., ad esempio, Corte Giust., 29 giugno 1999, C-256/97, DMT, in Racc., 1999, p. I-3913. Cfr.

G. TESAURO, Diritto comunitario, cit., pp. 625-681. 162 Sull’argomento, v. C. BUZZACCHI, Gli aiuti di Stato tra politica della concorrenza e politica sociale, in Il

diritto dell’economia, 2004, p. 623 ss.; M. ORLANDI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995; T. BALLARINO, L. BELLODI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1997; C. PINOTTI, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario, Padova, 2000; S. BARIATTI, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario, Milano, 1998; M. ANTONUCCI, Brevi cenni sugli aiuti di Stato, in Cons. Stato, 2003, n. 1.

163 V. supra, § 2 164 In questi termini, v. G. TESAURO, Diritto comunitario, 2a ed., Padova, 2001, p. 648.

Page 456: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 430

Infatti, i §§ 2 e 3 dello stesso art. 87 TCE, elencano, rispettivamente, gli aiuti sempre compatibili con il mercato comune e quelli che, invece, possono es-sere dichiarati compatibili, di volta in volta, dalla Commissione. Tra i primi, di particolare rilievo sono: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consu-matori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dal-l’origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati ad ovviare ai danni recati dalle calami-tà naturali oppure da altri eventi eccezionali. I secondi, invece, sono raggruppati in cinque categorie: 1) aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle re-gioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione; 2) aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; 3) aiuti destinati ad age-volare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempreché non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; 4) aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comu-nità in misura contraria all’interesse comune; 5) altre categorie di aiuti, determi-nate con decisione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su pro-posta della Commissione.

Il criterio generale adottato dalla giurisprudenza comunitaria per stabilire se si è in presenza di un aiuto di Stato è quello c.d. dell’investitore privato in un’eco-nomia di mercato, in base al quale l’erogazione di fondi o la costituzione di garan-zie a favore di un’impresa non configura un tale aiuto tutte le volte in cui anche un’investitore privato, che operi razionalmente in un sistema concorrenziale, sa-rebbe stato disposto a fornire tali risorse165.

Orbene, a norma dell’art. 88 TCE, la Commissione europea procede con gli Stati membri all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati, mentre questi ultimi sono tenuti a notificare alla stessa autorità comunitaria i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti, affinché essa conceda l’autorizza-zione ad erogarli, qualora ne ravvisi la compatibilità con il mercato comune. Vi-ceversa, nel caso in cui la Commissione, all’esito del suo esame, ravvisi nell’aiuto di Stato a determinate imprese un ostacolo al graduale sviluppo o al funziona-mento del mercato comune, può invitare lo Stato membro a sopprimere o mo-

——— 165 Cfr. Corte Giust., sent. 14 settembre 1994, cause riunite 278, 279, 280/92, Regno di Spagna c.

Commissione, in Racc., 1994, p. I-4103. In argomento, v. P. MENGOZZI, Il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato e i valori del diritto comunitario, in Riv. dir. eur., 1995, p. 19 ss.

Page 457: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 431

dificare l’aiuto nel termine fissato. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la Commissione o qualsiasi altro interes-sato può adire direttamente la Corte di Giustizia, al fine di ottenere una con-danna dello Stato inadempiente.

Bisogna però ricordare che, in base al Regolamento del Consiglio n. 994/1998 del 7 maggio 1998166, la Commissione ha adottato il Regolamento n. 69/2001 del 12 gennaio 2001167, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 TCE agli aiuti di importanza minore (de minimis), in vigore fino al 31 dicembre 2006168. Secondo l’art. 2 del Reg. 69/2001, non sono soggetti all’obbligo di noti-fica gli aiuti concessi alle imprese di qualsiasi settore (ad eccezione di quelli di cui all’art. 1), che non superino, quale importo complessivo erogato a favore di ciascuna impresa, centomila euro su un periodo di tre anni.

Di estrema importanza sono, inoltre, gli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, oggetto della Comunicazione della Commissione 1999/C 288/02169, i quali assumono rilevanza centrale per il si-stema economico dei singoli Stati membri tutte le volte in cui si riferiscano alle imprese operanti nel settore bancario.

La ristrutturazione dei gruppi bancari è un fenomeno che implica un inter-vento di sostegno statale a favore di banche che versano in una situazione di squilibrio gestionale tale da condurre ad una crisi di liquidità ed a conseguenti problemi di insolvenza170.

La fase della ristrutturazione aziendale, quindi, è preceduta da un interven-to dello Stato immediato (c.d. salvataggio) per far fronte al rischio che gli effetti negativi della crisi bancaria si propaghino all’intero sistema (rischio sistemico)171.

In questa prospettiva, particolare importanza assume la distinzione delle due diverse tipologie di aiuti di Stato alle imprese in crisi nel settore bancario: a) aiuti per il salvataggio e b) aiuti per la ristrutturazione. Sin dal 1993, infatti, la Commissione CE ha ritenuto applicabili alle banche, attesa la loro natura di or-ganismi imprenditoriali, le norme del Trattato sugli aiuti di Stato alle imprese in difficoltà finanziaria, nelle due forme sopra elencate. Mentre l’aiuto per il salva-

——— 166 In GUCE L 142 del 14 maggio 1998. 167 In GUCE L 10 del 13 gennaio 2001. 168 Alla scadenza del periodo di validità, le disposizioni del Reg. 69/2001 continueranno ad appli-

carsi, per un periodo transitorio di sei mesi, ai regimi di aiuti de minimis da esso disciplinati. 169 In GUCE C 288 del 9 ottobre 1999. 170 Cfr. G. BOCCUZZI, La crisi dell’impresa bancaria. Profili economici e giuridici, Milano, 1998, p. 487 ss. 171 Cfr. V. GIGLIO, R. SETOLA, La disciplina degli aiuti di Stato e le crisi bancarie italiane, in Mercato, con-

correnza, regole, 2002, p. 213 ss., spec. p. 219.

Page 458: Diritto privato del mercato

PARTE III — IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 432

taggio si traduce in un intervento di sostegno di breve durata (in genere non più di sei mesi), destinato a far fronte ad una situazione di crisi di liquidità dell’im-presa in attesa della predisposizione di un piano di risanamento, l’aiuto per la ristrutturazione, invece, è mirato al recupero della redditività a lungo termine dell’impresa, mediante un piano che preveda la riorganizzazione e la razionaliz-zazione delle attività aziendali al fine di riconquistare competitività sul mercato in un ragionevole lasso di tempo.

Il giudizio valutativo della Commissione europea in ordine alla compatibili-tà del regime degli aiuti di Stato alle imprese in crisi con la tutela della libertà di concorrenza in ambito comunitario è, avuto specifico riguardo ai gruppi banca-ri, particolarmente delicato. Ne è testimonianza l’evoluzione delle crisi bancarie italiane degli anni novanta, che sono sfociate in una diffusa tendenza al feno-meno concentrativi nel settore creditizio172. Del resto, mantenere in vita, grazie a finanziamenti pubblici, imprese bancarie in situazioni di dissesto economico, e quindi naturalmente destinate ad uscire dal mercato, significa necessariamente contemperare l’interesse alla salvaguardia del libero mercato con l’altro interes-se, di pari rango, alla stabilità del sistema creditizio (c.d. concorrenza stabile)173. La crisi di un gruppo bancario, infatti, può innescare pericolose corse al ritiro dei depositi (c.d. bank-run), con conseguenze disastrose sull’intero sistema eco-nomico174. In tal senso, la stabilità del settore bancario è una condizione essen-ziale per lo sviluppo di un’economia di mercato175. Ma v’è di più: l’estrema im-portanza delle banche nella nascita e nello sviluppo dei sistemi produttivi euro-pei ribadisce, ove ve ne fosse bisogno, l’essenzialità degli aiuti di Stato alle ban-che in crisi finanziaria allorché tali imprese non dispongano degli strumenti indi-spensabili per un risanamento autonomo176.

In proposito, è opportuno avvertire che, a norma dell’art. 86, § 2, del Trat-

——— 172 Cfr. F. PANETTA (a cura di), Il sistema bancario italiano negli anni novanta. Gli effetti di una trasforma-

zione, Bologna, 2004, ove ampi ragguagli sul tema specifico. 173 M.C. CARDARELLI, Concorrenza e stabilità nel settore del credito, in Giur. comm., 1999, I, p. 346 ss. 174 Cfr. D. VATTERMOLI, G. ROTONDO, Gli aiuti di Stato alle imprese bancarie in difficoltà, in Banca, bor-

sa, tit. cred., 2000, I, p. 239 ss. 175 Cfr. A. FAZIO, La ristrutturazione del sistema bancario nell’ultimo decennio. Problemi e prospettive, Testi-

monianza del Governatore della Banca d’Italia resa il 2 ottobre 2002 al Senato della Repubblica, VI Commissione Finanze e Tesoro, Roma, 2002, p. 28: “Un sistema bancario solido ed efficiente è condi-zione essenziale per contenere le ripercussioni dell’instabilità dei mercati finanziari sull’attività produt-tiva, per favorire l’accumulazione del risparmio ed il finanziamento degli investimenti, per assecondare una crescita dell’economia in linea con quella potenziale”.

176 V. soprattutto il recente e dettagliato studio di R. GIANNETTI, M. VASTA, Storia dell’impresa indu-striale italiana, Bologna, 2005, spec. p. 173 ss.

Page 459: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - IL DIRITTO ANTITRUST 433

tato CE, “le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale” sono sottoposte alle regole di concorrenza “nei limiti in cui l’applica-zione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere com-promesso in misura contraria agli interessi della Comunità”. Ne deriva la possi-bilità di affermare, con riferimento alle imprese bancarie, il principio generale, in base al quale gli “aiuti di Stato” sono da considerarsi ammissibili nella misura in cui essi siano destinati a compensare gli extra costi sostenuti dalle imprese per assicurare l’offerta di servizi a prezzi convenienti, in situazioni in cui ciò sia ne-cessario per promuovere la coesione sociale e territoriale, ossia per favorire il supera-mento degli squilibri regionali all’interno degli Stati membri177. Il potere di in-tervento riconosciuto agli Stati membri, in via di eccezione rispetto alla regola generale della parità concorrenziale delle imprese, trova tuttavia un vincolo nel superiore interesse dell’Unione di contenere al minimo le distorsioni competiti-ve, secondo il dettato dell’art. 87 del Trattato. Un caso emblematico riguarda il settore bancario tedesco, che ha visto di recente l’intervento della Corte di Giu-stizia con la sentenza del 12 dicembre 2002, Commissione c. Germania, con la quale la Corte ha condannato la Germania per non avere adottato nel termine pre-scritto le misure necessarie a sopprimere e recuperare gli aiuti statali illegittima-mente erogati alla Westdeutsche Landesbank Girozentrale tra il 1992 ed il 1998178.

Infine, vanno segnalati il Regolamento della Commissione n. 68/2001, sugli aiuti destinati alla formazione179, recentemente modificato dal Regola-mento n. 363/2004180, ed il Regolamento della Commissione n. 70/2001, rela-tivo agli aiuti a favore delle piccole e medie imprese181, ora integrato dal Rego-lamento n. 364/2004, che ne estende il campo di applicazione agli aiuti di ri-cerca e sviluppo182.

——— 177 Cfr. G. TESAURO, Diritto comunitario, cit. p. 638 ss. 178 Corte di Giustizia (Sesta Sezione) 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Commissione c. Germania.

Il testo integrale della sentenza si può leggere nel sito www.curia.eu.int. Sul punto, v. E. MAGGI, La presenza della mano pubblica nel settore bancario tedesco alla luce del diritto comunitario in materia di aiuti di Stato, in Il diritto dell’Unione Europea, 2003, p. 163 ss.

179 In GUCE L 10 del 13 gennaio 2001, p 20. 180 In GUCE L 63 del 28 febbraio 2004, p. 20. 181 In GUCE, L 10 del 13 gennaio 2001, p.33. 182 Inoltre, il Regolamento della Commissione n. 1/2004, del 23 dicembre 2003, contiene una spe-

cifica disciplina degli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nel settore della produ-zione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

Page 460: Diritto privato del mercato
Page 461: Diritto privato del mercato

PARTE IV

IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE

Page 462: Diritto privato del mercato
Page 463: Diritto privato del mercato

CAPITOLO PRIMO

DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI

SOMMARIO: Sezione I - Il documento informatico. 1. Nozione di documento informatico. — 2. Il documento elettronico e la firma digitale. — 3. La firma digitale. — 4. Documento in-formatico e regime probatorio. — Sezione II - I contratti digitali. 5. I contratti digitali in generale. — 6. I contratti telematici. — 7. La disciplina dei contratti digitali.

SEZIONE I - IL DOCUMENTO INFORMATICO

1. — Nozione di documento informatico. Volendo definire con precisione il “documento informatico” possiamo afferma-

re che ciò che lo contraddistingue dalle altre tipologie di documento è essen-zialmente una caratteristica negativa: il mancato utilizzo di carta, o di altri sup-porti, tanto che è possibile riferirsi ad esso utilizzando la locuzione paperless document.

Il legislatore ha provveduto a fornire un’ulteriore definizione con il d.lgs. 5 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) che, all’articolo 1, lettera p, lo definisce come “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”1.

Non si tratta certamente di un nuovo tipo di forma (c.d. forma elettronica da collocare accanto a forma orale e forma scritta), ma soltanto una specie, sia pure nuova, di scrittura; in breve, si può affermare che

- l’energia elettrica – e più precisamente il flusso degli elettroni – è il nuovo mezzo di scrittura dell’umanità: il nuovo inchiostro di cui l’uomo si serve; - le memorie elettriche o elettroniche […] non sono altro che la nuova carta, cioè il nuovo supporto su cui l’uomo scrive con il nuovo inchiostro;

——— 1 Il Codice dell’amministrazione digitale è stato, da ultimo, modificato dal Decreto legislativo 4 aprile

2006, n. 159, Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Page 464: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 438

- i bit (nella combinazione necessaria per rappresentare ogni carattere alfanumerico) non sono altro che il nuovo alfabeto universale ed internazionale, di cui l’uomo può servirsi per esprimere qualsiasi opera del pensiero2. Sempre nell’ambito del concetto di scrittura si rimane se è vero – come è

vero – che per scrittura deve intendersi un insieme di segni riportati con qualsiasi mezzo e tecnica su un qualsiasi supporto, purché possano essere letti e riletti anche a distanza di tempo, favorendo, così, la riflessione (quando si scrive, si riflette molto di più di quando si parla) e consentendo la documentazione: cioè le due finalità essenziali del documento scritto3.

Nonostante ciò, per molto tempo la dottrina ha discusso sulla validità pro-batoria del documento elettronico e sull’applicabilità ad esso della disciplina pre-vista per gli atti scritti finché non è intervenuto con decisione lo stesso legisla-tore affermando, nella legge delega del 15 marzo 1997, n. 59, (c.d. legge Bassa-nini), all’art. 15, 2° comma:

“… Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge. I criteri e le modalità di applicazione del presente comma sono stabiliti, per la pubblica amministrazione e per i privati, con specifici regolamenti da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 …”. Il documento informatico, quindi, è un documento come tutti gli altri e,

pertanto, le sue caratteristiche dovranno essere valutate dal giudice ai sensi degli artt. 2699 ss. c.c.

2. — Il documento elettronico e la firma digitale. Oggi, a distanza di quasi dieci anni, gli ostacoli da superare sono ancora

molti: sempre più spesso la giurisprudenza è chiamata a giudicare sulla base di un “documento informatico”, ma, soprattutto in tema di “firma elettronica”, ———

2 R. BORRUSO, Computer e diritto, Milano, 1988, I, p. 41. Per una più approfondita disamina delle problematiche legate alla paternità del documento elettronico si rimanda a F. RIZZO, Il documento infor-matico: paternità e falsità, Napoli, 2004.

3 R. BORRUSO, Computer e diritto, Milano, 1988, II, p. 218.

Page 465: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 439

non vi sono ancora norme chiare in grado di aiutare l’interprete ad effettuare una corretta valutazione.

La questione è resa ancora più complessa dalla circostanza che, nel corso degli anni, il legislatore è tornato più volte sull’argomento emendando, modifi-cando ed integrando una normativa che non ha ancora raggiunto una sufficiente stabilità. Ad oggi il testo di riferimento è il d.lgs. 5 marzo 2005, n. 82, come mo-dificato dal d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159, al quale già sono stati proposti numerosi emendamenti.

Premesso che, ai fini del presente discorso, le problematiche e le scelte tec-niche appaiono tranquillamente prescindibili in quanto destinate a divenire rapi-damente obsolete e ad essere, altrettanto rapidamente, modificate, vediamo i punti più interessanti che riguardano la firma elettronica e, quindi, il documento informatico.

Per prima cosa, nell’art. 20 viene fatta chiarezza sugli aspetti probatori del documento informatico già definito come “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Più precisamente viene stabilito che il documen-to informatico da chiunque formato, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se conformi alle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale (di seguito CAD) ed alle regole tecniche. Il comma 1-bis stabilisce che l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità. A ciò deve aggiungersi che il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71 CAD, che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, si presume riconducibile al titolare del dispositivo di firma ai sensi dell’articolo 21, 2° comma, e soddisfa comunque il requisito della forma scritta, anche nei casi previsti, sotto pena di nullità, dall’articolo 1350, 1° comma, nu-meri da 1 a 12 del codice civile. La data e l’ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale e, con le medesime regole tecniche, sono definite le misure tecniche, organizzative e gestionali volte a garantire l’integrità, la disponi-bilità e la riservatezza delle informazioni contenute nel documento informatico.

L’art. 21 affronta il valore probatorio del documento informatico sotto-scritto con la cd “firma elettronica debole”. Questo, sul piano probatorio è libera-mente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di

Page 466: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 440

qualità e sicurezza. Invece, il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 c.c. Da notare che l’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria.

In merito all’efficacia probatoria del documento informatico, dal CAD e-mergono tre ipotesi: a) il documento informatico sottoscritto con firma elettro-nica qualificata è equiparato al documento tradizionale sottoscritto (art. 21, c. 2); b) il documento informatico sottoscritto con “firma elettronica debole” è rimes-so alla libera valutazione del giudice (art. 20, c. 1); c) il documento informatico non firmato è equiparato alla riproduzione meccanica, con una piccola integra-zione all’art. 2172 c.c. (artt. 20, 1° comma, 23, 1° comma).

Dunque il documento informatico soddisfa il requisito legale della forma scritta e, se sottoscritto con firma qualificata, ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell’art 2702 c.c.

3. — La firma digitale. L’art. 1 CAD ci fornisce le seguenti definizioni di firma elettronica: q) firma

elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tra-mite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identi-ficazione informatica; r) firma elettronica qualificata: la firma elettronica otte-nuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma; s) firma digitale: un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’in-tegrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

L’art. 24 CAD disciplina la firma digitale stabilendo che essa deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme di docu-menti cui è apposta o associata. La sua apposizione integra e sostituisce l’appo-sizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente.

Page 467: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 441

La vera differenza tra firma digitale e firma elettronica debole è rappresen-tato dalla circostanza che, per la generazione della firma digitale, deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti sca-duto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso. Lo stesso CAD ci forni-sce la definizione di “certificato qualificato” individuato come “il certificato elettro-nico conforme ai requisiti di cui all’allegato I della direttiva 1999/93/CE, rilasciato da certificatori che rispondono ai requisiti di cui all’allegato II della medesima direttiva”.

In breve, i certificati qualificati devono includere: - l’indicazione che il certificato rilasciato è un certificato qualificato; - l’identificazione e lo Stato nel quale è stabilito il prestatore di servizi di certificazione; - il nome del firmatario del certificato o uno pseudonimo identificato come tale; - l’indicazione di un attributo specifico del firmatario, da includere se pertinente, a seconda dello scopo per cui il certificato è richiesto; - i dati per la verifica della firma corrispondenti ai dati per la creazione della firma sotto il controllo del firmatario; - un’indicazione dell’inizio e del termine del periodo di validità del certificato; - il codice d’identificazione del certificato; - la firma elettronica avanzata del prestatore di servizi di certificazione che ha rilasciato il certificato; - i limiti d’uso del certificato, ove applicabili; - i limiti del valore dei negozi per i quali il certificato può essere usato, ove applicabili. Qualora manchino tali requisiti avremo dei certificati elettronici semplici,

ovvero degli attestati che collegano i dati utilizzati per verificare le firme elettro-niche ai titolari e confermano l’identità informatica dei titolari stessi.

Molto importante è l’art. 25 secondo cui si ha per riconosciuta, ai sensi dell’art. 2703 c.c., la firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata au-tenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il codice spie-ga che l’autenticazione della firma digitale consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, pre-vio accertamento della sua identità personale, della validità del certificato elet-tronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l’ordinamento giuridico.

È stato osservato che la sottoscrizione elettronica, deve necessariamente implicare, sia tecnicamente che giuridicamente, idonee garanzie sulla imputa-bilità soggettiva del documento informatico, oltre alle opportune assicurazioni in merito all’autenticità oggettiva e veridicità del contenuto, ma il documento informatico, pur se sottoscritto con firma digitale, non può garantire la certezza

Page 468: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 442

sulla reale identità del sottoscrittore se non in caso di autentica della sottoscri-zione da parte di un pubblico ufficiale. In realtà la questione è agevolmente ri-conducibile alle problematiche legate all’utilizzo ed all’efficacia probatoria della scrittura privata (art. 2702 c.c.), della scrittura privata autenticata (art. 2703 c.c.), dell’atto pubblico (art. 2699 ss. c.c.) e delle riproduzioni meccaniche (art. 2712 c.c.).

A tale proposito si osserva che il principale problema è di collegare l’evi-denza informatica all’evidenza fisico-giuridica di un soggetto, e quindi la necessità di un sicuro punto di contatto tra la persona (fisica o giuridica) e l’insieme di bit che costituisce la coppia delle chiavi pubblica e privata, che identificano il sog-getto stesso.

D’altra parte la caratteristica innovativa della firma digitale consiste nel suo essere indissolubilmente legata al testo a cui è stata apposta: testo e firma pos-sono quindi anche essere oggetti fisicamente separati senza che questo elimini il legame esistente tra loro. A ciò si aggiunga che a testi diversi di uno stesso au-tore corrispondono firme diverse e, quindi, risulta perfettamente inutile tentare di associare una firma digitale ad un testo differente da quello originario. Occor-re, infine, osservare che del documento informatico non possono esistere delle “copie”, ma soltanto dei “duplicati” assolutamente identici all’originale e provvi-sti della stessa efficacia.

4. — Documento informatico e regime probatorio. Il ruolo ricoperto dal documento informatico nel processo civile è esatta-

mente identico a quello di qualsiasi altro documento. Gli unici problemi che l’utilizzo del documento elettronico introduce sono

meramente metodologici e riguardano l’individuazione delle norme allo stesso applicabili. Possiamo ricavare l’efficacia probatoria del documento elettronico attraverso l’esame congiunto delle disposizioni contenute nel codice civile (Ca-po II, Titolo II, Libro VI) e quelle contenute nel codice di procedura civile (Sezione III, Titolo I, Libro II).

La principale problematica è relativa alle differenze probatorie tra quei do-cumenti sottoscritti utilizzando una firma elettronica qualificata e quelli sotto-scritti utilizzando una firma elettronica generata utilizzando altri sistemi (per esempio PGP) che, a puro titolo esemplificativo, chiameremo debole.

Page 469: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 443

4.1. La firma elettronica “debole”. – La sottoscrizione effettuata utilizzando una firma elettronica debole è, sul piano probatorio, liberamente valutabile in giudi-zio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza.

La prima osservazione da fare è che in tal modo viene sicuramente rispet-tato il principio di prova per iscritto che il codice civile richiede per poter ammettere la prova per testimoni in caso di forma richiesta ad probationem tantum. A ciò si aggiunga che, se la controparte non si oppone, disconoscendone la conformità ai fatti ed alle cose rappresentate, il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica debole, forma piena prova.

Ma quid iuris se controparte si oppone? A questo punto si rende necessario distinguere tra le due differenti eccezioni che potrebbero essere sollevate: a) controparte eccepisce che il documento è completamente falso, non avendolo mai sottoscritto; b) controparte eccepisce che il documento, pur essendo stato da lei sottoscritto, ha subito in seguito delle modifiche.

Nel caso sub b) il giudice, e la parte interessata, possono agevolmente accer-tare, tramite verifica diretta, se il documento prodotto in giudizio è stato altera-to, ovvero non ha subito modifiche.

In quest’ultima ipotesi la dottrina è concorde nel sostenere che, ove si giun-ga alla conclusione che il documento informatico non è stato artefatto, questo acquista il valore di prova legale, mentre, in caso contrario, non ha alcuna efficacia probatoria. Si osserva, incidentalmente, che falsificare un documento sottoscritto con una firma elettronica sia pure “debole” è estremamente difficile, quindi la principale difficoltà consiste nell’attribuire con certezza la paternità del documento (ipotesi sub a) e, in tale situazione, il lavoro di accertamento della genuinità del documento risulta molto più oneroso.

Tralasciando i casi di manifesta impossibilità probatoria, le parti potranno allegare al documento informatico tutti quegli elementi in grado di permettere al Giudice la valutazione della genuinità del documento prodotto. Non dimenti-chiamo, infatti, il documento è pur sempre soggetto alla libera valutazione del Giudice secondo quanto disposto dall’art. 116 c.p.c. Pertanto il Giudice potrà provvedere alla libera valutazione dell’affidabilità delle prove contenute nel do-cumento informatico disconosciuto in toto, magari anche ricorrendo ad un c.t.u. in grado di ricostruire la storia della firma digitale debole con cui il documento è stato sottoscritto al fine di valutarne la genuinità.

4.2. La firma elettronica “forte”. – Sostanzialmente differente è invece il di-

scorso in merito all’utilizzo della firma elettronica “forte”. In primis ricordiamo che il documento informatico, sottoscritto con firma

Page 470: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 444

digitale, o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 c.c. e si ha per riconosciuta, ai sensi dell’art. 2703 c.c., la firma digitale, o altro tipo di firma elettronica qualificata, autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

In merito alla scrittura privata, dal combinato disposto degli art. 214 e 215 c.p.c. emerge che colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se inten-de disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o sottoscri-zione. Nel caso in cui ciò non avvenga, ovvero che controparte sia contumace, la scrittura si ha per riconosciuta. L’art. 216 c.p.c. prevede che, la controparte che intende avvalersi della scrittura disconosciuta deve proporre istanza di veri-ficazione.

Una volta riconosciuta, la scrittura privata fa piena prova fino alla propo-sizione di querela di falso. È evidente che, nel caso della firma elettronica quali-ficata, la portata dell’istanza di verificazione di scrittura privata, la cui funzione principale è di accertare l’autografia della scrittura per controllare la presunzione di veridicità dettata dall’art. 2702 c.c., risulta assai limitata soprattutto alla luce della presunzione secondo cui l’utilizzo del dispositivo di firma si presume ri-conducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria.

Utilizzando il sistema di crittografia a doppia chiave, infatti, la verificazione si risolve necessariamente in un mero confronto oggettivo tra le chiavi deposi-tate e quelle che, in concreto, sono state utilizzate per sottoscrivere il documen-to. Non è più necessario ricorrere a verificazioni effettuate tramite perizie calli-grafiche lunghe e laboriose, pur non potendosi escludere che l’evoluzione te-cnologica porti nuove forme di falsificazione della sottoscrizione effettuata con firma digitale: sul titolare del dispositivo di firma grava un obbligo di diligente conservazione.

Resta la possibilità di dimostrare che il dispositivo di firma è stato sottratto, o utilizzato, da terzi per fatto non imputabile al titolare. Gli spazi di propo-sizione di istanze di verificazione sono pertanto ridottissimi; se da un lato le contestazioni si riducono, stante la natura estremamente oggettiva del confronto tra le firme digitali, dall’altro il disconoscimento impone al soggetto, contro cui è prodotto un documento informatico munito di firma digitale, un difficile one-re probatorio.

Volendo eliminare anche questo, remoto, rischio, è pur sempre possibile ricorrere alla scrittura privata autenticata ex 2703 c.c., che, d’altronde, si rivela ne-cessaria per poter procedere a trascrizione, preso atto delle disposizioni dell’arti-colo 2657 c.c., la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pub-

Page 471: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 445

blico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialemente, ovvero per dotare il documento di data certa opponibile ai terzi ex art. 2704 c.c.

Con la firma elettronica diventa problematico anche proporre querela di falso, in quanto il contenuto del documento elettronico è insito nella stessa fi-rma digitale, essendo questa generata a partire dal documento sottoscritto e va-lidando solo tale documento.

Da ultimo si osserva che, stante il particolare meccanismo che sta alla base della firma elettronica, alcuni casi particolari, come ad esempio l’abuso di foglio firmato in bianco, non possono assolutamente riproporsi nel caso del documen-to informatico.

SEZIONE II - I CONTRATTI DIGITALI 5. — I contratti digitali in generale. I contratti digitali rappresentano il genus rispetto alla species contratti telematici.

Questi ultimi, sono dei contratti digitali caratterizzati dall’incontro a distanza tra acquirente e venditore. È innegabile che, nella pratica quotidiana, i contratti tele-matici rappresentino l’id quod plerumque accidit nel campo dei contratti digitali, ma, tuttavia, non sembra corretto, per ciò solo, trascurare gli altri aspetti innovativi della questione.

Tanto per fare un esempio le parti potrebbero spedirsi via e-mail il testo di un contratto, che allora, giustamente, chiameremo telematico, ma potrebbero be-nissimo sedersi di fronte al medesimo computer per sottoscrivere un contratto, che, pur essendo digitale, non potremmo correttamente definire telematico.

Come già per i documenti, definiremo digitali soltanto quei contratti con-clusi esclusivamente in forma elettronica, rectius elettronicamente, cioè senza che le parti utilizzino alcun documento cartaceo. Una volta che si è esposta la defini-zione di contratto digitale, si rende necessario distinguere tra contratti digitali in senso stretto e contatti digitali in senso ampio facendo riferimento alla prestazione ca-ratteristica del contratto.

Ne deriva che i contratti digitali in senso stretto sono quei contratti che hanno una prestazione caratteristica eseguita interamente e direttamente tramite il tra-sferimento elettronico di dati, per esempio la consultazione, a pagamento, di una banca dati effettuabile direttamente on-line oppure l’acquisto di un program-ma software effettuato tramite Internet. In quest’ultimo caso, il programma

Page 472: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 446

verrà direttamente installato sull’hard disk dell’acquirente senza dover essere prima copiato su un supporto ottico o magnetico e consegnato, o spedito, dal venditore all’acquirente. Allo stesso modo, quest’ultimo pagherà il venditore e-sclusivamente tramite l’utilizzo di una carta di credito o di altri meccanismi di trasferimento di denaro a distanza. La caratteristica di tale situazione è che con-clusione del contratto ed adempimento avvengono direttamente on-line.

Chiameremo, invece, contratti digitali in senso ampio tutti quei contratti che, pur essendo stati conclusi elettronicamente, hanno per oggetto la consegna di un bene materiale o che, comunque, non hanno avuto adempimento in forma esclusivamente digitale, come l’acquisto di un libro. In tal caso il contratto verrà stipulato elettronicamente, ma la parte dovrà attendere la consegna materiale del bene oggetto del contratto. Tale consegna potrà avvenire immediatamente, nel caso in cui le parti si trovino fisicamente nello stesso luogo, oppure in differita, per mezzo della spedizione del bene fatta dal venditore. Si noti che non ci inte-ressa sapere come paga l’acquirente, alla consegna oppure elettronicamente, in quanto si deve fare riferimento esclusivamente alla prestazione caratteristica.

È doveroso ricordare che tale distinzione non può e non deve, fatte le dovute eccezioni, essere considerata rigida ed immutabile; infatti, lo stesso con-tratto può, a seconda del modo in cui viene eseguita la prestazione carat-teristica, appartenere ora all’una, ora all’altra categoria. Immaginiamo di acqui-stare un libro: di solito il venditore lo spedisce all’acquirente su supporto car-taceo, ma niente e nessuno potrebbe impedire allo stesso venditore di cedere una copia elettronica del libro; allo stesso modo l’acquirente di un programma per computer potrebbe benissimo preferire ricevere la merce su un supporto ottico o magnetico, magari per non dover affrontare un lungo ed impegnativo download.

Già il d.P.R. n. 513/1997, all’articolo 11, aveva stabilito validità e rilevanza dei contratti digitali a tutti gli effetti di legge.

Il legislatore, nel c.d. codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 2064), ha disciplinato anche i contratti stipulati con strumenti informatici o per via telematica a cui si applica la disciplina prevista dal codice del consumo e, per le materie non regolamentate dal codice, dal d.lgs. 70/2003.

——— 4 Cfr. retro, parte II, cap. 1, spec. § 11.

Page 473: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 447

6. — I contratti telematici. I contratti telematici devono farsi rientrare nella categoria dei contratti inter

absentes, ma con alcune particolarità. La prima è che non esiste un solo tipo di contratto telematico, pertanto l’approccio dovrà essere differente a seconda della situazione.

Possiamo individuare tre modalità di utilizzo del computer nella stipula-zione di un contratto telematico: come mezzo di comunicazione della volontà, come un automatico5 oppure come mezzo integrativo della volontà umana. Altra parte della dottrina, sembra, invece, individuare soltanto due modalità di utilizzo del computer nella stipulazione di un contratto telematico: come un semplice mezzo di comunicazione della volontà ovvero come un automatico, identificando in tal caso il contratto per automatico con il contratto cibernetico.

Tale obiezione può, tuttavia, convivere agevolmente con la tripartizione precedentemente riportata. Dobbiamo, infatti, considerare che, quando si utiliz-za il computer come mezzo integrativo della volontà umana, pur facendolo fun-zionare come un automatico, il procedimento adottato dalla macchina è talmen-te elaborato e sofisticato da non poter assolutamente essere paragonato ai tradi-zionali negozi automatici, che sono caratterizzati dall’assoluta prevedibilità del comportamento tenuto dalla macchina. L’automatico, a meno di un malfunziona-mento, non devierà mai dallo schema tipo pagamento-consegna merce; tutt’al più, nel caso di automatici particolarmente sofisticati, si potrà permettere al-l’acquirente di modificare vari fattori, che, però, nell’ambito del contratto hanno un’importanza sicuramente marginale (i. e. quantità della merce, colore, dimen-sioni …).

Tale tripartizione dovrà essere salvata anche perché è necessario distin-guere tra negozi automatici semplici ed avanzati (o cibernetici); in questi ultimi il computer integra e sostituisce l’operatore umano che si limita a stabilire a priori, utilizzando un programma in grado di dotare la macchina di un’intelligenza artificiale, come il computer dovrà comportarsi nelle varie circostanze che si possono verificare. ———

5 È interessante ricordare l’ottima, ed ancora attuale, definizione di distributore automatico fatta da Antonio Cicu nel 1901: L’automa, nel senso ristretto che qui si intende attribuirgli, è un meccanismo per cui si effettua l’esecuzione di una prestazione, mediante un atto da porre in essere da colui che desidera la prestazione. L’atto e la prestazione sono indicati all'esterno dell'apparecchio. Il primo consiste nell'introduzione di una moneta (iactus pecuniae), ordinariamente dieci o venti centesimi (oggi cinquecento o seicento lire), attraverso un'apertura praticata all’esterno dell’apparecchio. La seconda assume aspetti diversi secondo le applicazioni sempre crescenti in cui l’ingegno umano può utilizzare un tal meccanismo. A. CICU, Gli automi nel diritto privato, in Il Filangeri, 1901, p. 561 ss.

Page 474: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 448

Il termine intelligenza artificiale (A.I.) viene, in genere, utilizzato per indicare la capacità di un programma di ricreare all’interno di un computer alcuni dei processi mentali tipici dell’uomo, dotando la macchina di una capacità di “ragio-namento” sempre maggiore.

I programmi di A.I. sono stati studiati ed applicati in svariati ambiti, ma hanno trovato quasi sempre il loro banco di prova nel settore videoludico. In questo settore, infatti, più che in altri capita di dover mettere a confronto le capacità di ragionamento dell’uomo con quelle della macchina e, pertanto, si avverte la necessità di programmi in grado di comportarsi in maniera non lineare e non prevedibile.

Proprio in ambito videoludico è stata applicata e studiata per la prima volta la c.d. logica fuzzy, detta anche logica sfumata.

La caratteristica della logica sfumata è proprio quella di rendere il com-portamento della macchina non lineare, ma capace di adattarsi alle più svariate situazioni prendendo in esame le varie opportunità offerte, dei parametri pre-definiti, ed infine una piccola dose di casualità.

In questo modo risulta molto più difficile, nei migliori programmi prati-camente impossibile, studiare il comportamento del computer per trovare delle sequenze logiche predefinite.

Tale procedura, definita reverse engineering, è particolarmente temuta dai pro-grammatori in quanto una volta scoperte delle costanti nel comportamento del computer risulta agevole utilizzarle per trarne dei vantaggi che possono essere non previsti, non voluti, o addirittura temuti dal programmatore.

In tali casi la macchina darà all’utente delle risposte predefinite, ma non ne-cessariamente fisse, in quanto sarà in grado di valutare un numero virtualmente infinito di variabili non dovendosi limitare ai soli casi previsti dal program-matore. Il computer sarà, quindi, in grado di accettare differenti offerte, sce-gliendo soltanto la più vantaggiosa, oppure di contrattare sul prezzo o di offrire sconti ai clienti più fedeli.

Esaminiamo ora le tre tipologie di contratto telematico cui si è accennato in precedenza.

Nel primo caso gli utenti si limitano ad utilizzare il computer per comu-nicare tra loro scambiandosi informazioni, decidendo la prestazione ed infine concludendo il contratto direttamente on-line. È evidente, ictu oculi, che questa situazione non presenta novità di rilievo rispetto ai tradizionali contratti inter absentes, siano essi conclusi a mezzo posta o per telefono.

L’unico aspetto veramente importante da tenere presente è che, sebbene la

Page 475: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 449

telematica metta a disposizione delle parti differenti sistemi di contrattazione a distanza, questi strumenti non possono assolutamente essere considerati identici dal punto di vista dell’efficacia probatoria.

Le parti potranno, infatti, comunicare tra loro ricorrendo ad e-mail, video-conferenze, vivavoce o sistemi di chat. Questi ultimi sono programmi che per-mettono ad un certo numero di utenti di incontrarsi in rete e di discutere in di-retta, senza le necessarie pause dettate dalla posta elettronica.

È evidente che l’efficacia probatoria di una videoconferenza, paragonabile ad una telefonata, sarà molto minore di quella di un’e-mail, che, se sottoscritta con firma digitale, ha efficacia di scrittura privata ex art. 2702 c.c. mentre, se non sottoscritta, ha l’efficacia probatoria propria delle riproduzioni meccaniche in base all’art. 2712 c.c.6.

I contratti telematici automatici devono essere distinti in automatici sem-plici e avanzati, o cibernetici.

La prima fattispecie è quella che più facilmente si incontra nel mondo del-l’informatica. La sua realizzazione non richiede, infatti, conoscenze particolari da parte del venditore e può essere gestita in maniera più facile e sicura. Navi-gando in Internet è facilissimo imbattersi in veri e propri negozi virtuali in cui è possibile fare acquisti semplicemente cliccando su un tasto oppure, inviando un’e-mail. In quest’ultima ipotesi non si può parlare di negozi automatici in quanto si presuppone necessariamente la lettura del messaggio da parte di un operatore umano. In tale caso, infatti, il sito Internet non agirà come un automatico, ma, molto più semplicemente, come strumento per la presentazione e la promo-zione dei prodotti.

La pubblicazione e l’offerta di merce all’interno del sito Internet deve essere ritenuta un’offerta al pubblico soggetta alle disposizioni dell’art. 1336 c.c. e del d.lgs. n. 206/2005 ed il contratto potrà considerarsi concluso nel momento in cui l’acquirente clicca sul tasto invia, o su altro tasto dal significato similare. Lo iactus pecuniae, tipico del tradizionale automatico, verrà ad essere sostituito dalla digitazione del numero della propria carta di credito, ma, al di fuori di

——— 6 In merito alla validità probatoria delle e-mail non sottoscritte con firma elettronica, la giurisprudenza ha, in più

occasioni, affermato che le stesse sarebbero idonee a soddisfare il requisito della forma scritta ai sensi dell’art. 633 c.p.c. laddove questo, per costante orientamento, ha una portata più ampia di quella prevista dagli artt. 2700 e 2702 c.c. In tal senso è indubbio che una semplice scrittura privata proveniente dall'intimato rappre-senta un documento che può legittimare l’emissione di un decreto ingiuntivo inaudita altera parte. D’altra parte la stessa Corte di Cassazione ha in più occasioni, ben prima del CAD, riconosciuto il valore dell’e-mail come riproduzione meccanica ex art. 2712 c.c. Si veda, per esempio Cass., 24 novembre 2005, n. 24814.

Page 476: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 450

questo particolare, non sembrano esserci notevoli differenze concettuali. La dottrina prevalente identifica, infatti, il momento della conclusione del contratto con la digitazione dei numeri della propria carta di credito, senza che sia ne-cessaria alcuna accettazione da parte del venditore. Di solito la digitazione dei numeri della propria carta di credito è preceduta, oltre che dalla scelta della merce, dalla compilazione di un modulo che ha il duplice scopo di garantire al venditore una minima sicurezza sull’identità di chi pone in essere l’operazione, ma soprattutto di accertarsi che l’acquirente sia consapevole di porre in essere un negozio giuridico e voglia realmente vincolarsi. Si consideri, infine, che l’ap-posizione in calce al modulo della firma digitale dell’acquirente ne determina la validità come scrittura privata.

Il principale limite dei contratti automatici semplici è la loro limitata flessi-bilità, il venditore potrà predisporre un certo numero di opzioni, ma sempre e soltanto nei limiti previsti dal programmatore. Questi limiti vengono invece superati dai contratti cibernetici, in cui il computer, utilizzando un programma di intelligenza artificiale, è in grado di adattarsi ad un numero virtualmente infinito di situazioni. Il programmatore, infatti, non si limita ad inserire alcune istruzioni prestabilite e immodificabili, ma “istruisce” il computer affinché sia in grado di stabilire l’approccio migliore con ogni singolo cliente; ovvero come comportarsi in una determinata situazione.

Il computer andrebbe quindi considerato, cum grano salis, un commesso elettronico piuttosto che un automatico. In tal senso, vi è stato chi ha affermato che il computer da semplice nuncius diverrebbe l’alter ego del dominus sia pur limitata-mente al principio dell’imputazione al dominus degli atti compiuti dal computer. Di certo non possiamo parlare di rappresentanza in senso tecnico, in quanto non esistono due soggetti con due volontà distinte, ma non sembra trascurabile il fatto che la volontà del computer, se pure è la stessa del dominus per quanto riguarda l’origine, è, invece, sua, cioè del computer stesso, quanto al modo e al tempo in cui concretamente si manifesta; in alcuni casi tale volontà potrebbe apparire non prevedibile anche per lo stesso programmatore.

Le variabili potrebbero essere talmente numerose e talmente articolate da non permettere a nessuno di prevedere quella che sarà la scelta, rectius il risultato dell’elaborazione, del computer. In ogni caso il dominus avrà la certezza che il computer ha fatto la scelta migliore, in base alle istruzioni impartitegli in pre-cedenza.

È opportuno ribadire ancora una volta che in una tale situazione il com-puter non si limita ad eseguire meccanicamente delle disposizioni, come invece

Page 477: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 451

avviene nel caso di negozio automatico semplice, ma, elaborando tutti i dati in suo possesso, prende una decisione che potremmo ben definire autonoma; in altri termini, il computer non si limita a trasmettere le decisioni prese dall’uomo, ma è in grado di elaborare, decidere e trasmettere decisioni proprie, come se fosse un essere che pensa e vuole autonomamente.

7. — La disciplina dei contratti digitali. L’utilizzo dei contratti digitali presenta particolarità relativamente ad alcuni

requisiti contrattuali. Accanto al problema della forma, la questione più dibattu-ta in dottrina è rappresentata dalla possibilità di imputare al dominus gli effetti giuridici dei contratti telematici automatici, ed, soprattutto, cibernetici. Non è affatto rilevante che programmatore e dominus siano o meno la stessa persona. Infatti, anche se il programmatore è una persona differente e distinta dal domi-nus, andrebbe comunque considerato come un mero esecutore materiale di ordi-ni, alla stregua di uno scriba o di un traduttore limitatosi a trasferire la volontà del dominus in un linguaggio comprensibile per la macchina. La responsabilità del programmatore, nel caso in cui questi non abbia utilizzato la necessaria diligenza nel lavoro svolto, sarà rilevante soltanto tra programmatore e dominus, ma non potrà mai essere opposta ai terzi in buona fede.

Parte della dottrina sostiene che le decisioni del computer devono essere sempre imputate all’uomo che lo ha programmato, in quanto nel programma va ravvisata la proiezione nel futuro del pensiero e della volontà dell’uomo e, quin-di, anche la capacità, sia pure contenuta entro limiti predeterminati, di intendere e di volere, ma, in alcune particolari situazioni, le decisioni del computer pos-sono non essere state previste dal programmatore ed essere pertanto estranee alla sua volontà, se non addirittura contrarie ad essa. È evidente che, al verifi-carsi di una simile fattispecie, il dominus non sarà vincolato dall’affare concluso dal computer, soltanto nel caso in cui riesca a dimostrare che questo è stato indotto a concludere il contratto da un malfunzionamento, rectius da un errore, che lo ha spinto ad uscire dai limiti di quel “mandato digitale” rappresentato dal programma.

Resta il problema, non indifferente, della tutela del terzo che, fidandosi delle apparenze ha concluso il contratto cibernetico. L’unica soluzione possibile sembra debba essere ravvisata nell’estensione per analogia della disciplina del-l’errore commesso dal rappresentante e quindi, in base al rinvio effettuato dal-

Page 478: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 452

l’articolo 1390 c.c., della disciplina dell’errore in generale. Una volta compiuta questa operazione, sarà agevole applicare alle varie fattispecie di contratto digi-tale, le disposizioni codicistiche con cui queste presentano le maggiori affinità: ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio.

Altri auspicano un intervento del legislatore affinché, attraverso una nor-mativa specifica, disciplini i contratti digitali come se si trattasse di una fattispe-cie a sé stante. In particolare si propone una disciplina dedicata ad alcuni feno-meni che apparentemente sono tipici dei contratti digitali: si pensi, a puro titolo d’esempio, ad errori durante la trasmissione, la memorizzazione o la visualizza-zione dei dati, ovvero all’utilizzo di programmi in grado di ingannare il com-puter inducendolo in errore su elementi essenziali del contratto.

Pur riconoscendo che queste fattispecie possono essere assimilate ai vizi della volontà già presenti nel nostro ordinamento (tanto più che l’interpreta-zione analogica di tali fattispecie ne permetterebbe agevolmente l’applicazione ai contratti digitali), la suddetta dottrina, negando l’esistenza di una volontà contrattuale del computer, afferma che l’assimilazione sarebbe inutile, se non dannosa, in quanto l’operato del giudice deve limitarsi ad un’analisi oggettiva, volta ad accertare la corrispondenza del contratto concluso dall’elaboratore alle procedure normalmente previste per esso.

In realtà un tale intervento legislativo non appare soltanto inopportuno, ma perfino da temere: attuandolo si rischierebbe di arrivare alla creazione di distin-zioni artificiali tra situazioni che sono sostanzialmente uguali. A ciò si aggiunga che, indipendentemente dal fatto che a compiere materialmente un determinato atto sia stato un computer, questo deve, necessariamente, essere stato prece-dentemente programmato da un operatore umano, che ha provveduto ad istrui-re la macchina determinando comportamenti e risposte alle richieste della con-troparte.

Il giudice nell’esaminare il “comportamento” tenuto dal computer dovrà necessariamente confrontarlo con quello previsto, almeno in linea di massima, dal programmatore per poi verificare se, ed eventualmente perché, la macchina se ne sia discostata.

È evidente che ciò può essere avvenuto fondamentalmente per tre ragioni: a) il programmatore è incorso in un errore di battitura mentre digitava le istru-zioni per la macchina, ovvero la macchina stessa ha commesso un errore nel trasmettere i dati (errore ostativo), in tal caso troverà applicazione l’art. 1433 c.c.; b) il programma è stato volontariamente manomesso in modo da commettere errori; la manomissione potrà essere stata compiuta da uno dei contraenti (art.

Page 479: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 453

1439, 1° comma c.c.), oppure da un terzo, ma essere stata sfruttata a proprio vantaggio da uno dei contraenti (art. 1439, 2° comma), in tal caso troveranno applicazione gli artt. 1439-1440 c.c.; c) il computer ha concluso il negozio per-ché caduto in errore su un elemento essenziale dello stesso, o a causa di un erro-re nell’elaborazione delle informazioni oppure perché il programmatore ha erro-neamente programmato alcune delle istruzioni necessarie alla macchina per ela-borare i dati, in tali casi troveranno applicazione gli articoli 1428 ss. c.c. (si os-servi, in via incidentale, che l’ipotesi “errore del computer” ha scarsissima rile-vanza pratica, in quanto è virtualmente impossibile che un computer, se ben programmato, commetta degli errori).

È, comunque, necessario mitigare la portata di quanto appena affermato ricordando che è sempre opportuno leggere gli articoli sopra riportati alla luce di quanto stabilito dall’art. 1390 c.c. in relazione ad eventuali vizi della volontà in cui sia incorso il rappresentante:

“Il contratto è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante. Quando però il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di questo”. A tale proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che, nei contratti conclu-

si dal rappresentante, sia nell’ipotesi di rappresentanza volontaria, sia in quella di rappresen-tanza legale, occorre avere riguardo per i vizi della volontà che rendono annullabile il negozio, agli stati soggettivi del rappresentante e non a quelli del rappresentato.

D’altra parte, in caso di vizio della volontà del dominus il problema di quali norme applicare non si porrebbe neanche.

L’ultimo problema degno di nota è la vexata quaestio del luogo di conclusio-ne del contratto.

È evidente che il problema si pone esclusivamente per i contratti telematici, in quanto non sembra siano ravvisabili questioni sul luogo di conclusione nel caso in cui le parti si siano incontrate fisicamente per stipulare un contratto digitale.

L’art. 1326, 1° comma c.c. stabilisce che il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha la conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

La presunzione di conoscenza è stabilita dall’art. 1335 c.c. secondo il quale la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.

Page 480: Diritto privato del mercato

PARTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 454

L’art. 1327, 1° comma, stabilisce, invece che qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una pre-ventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecu-zione.

Le due fattispecie, pur essendo simili, presentano alcune notevoli differen-ze che, considerando anche che all’ipotesi di cui all’art. 1327 possiamo assimila-re l’offerta al pubblico, spingono a ritenere più opportuno esaminarle separa-tamente, iniziando dalle ipotesi di conclusione previste dall’art. 1326. La situa-zione è in tutto e per tutto assimilabile ai contratti conclusi per mezzo del tele-fono oppure ricorrendo alla posta ordinaria.

Per quanto riguarda i contratti conclusi per mezzo del telefono, a cui pos-siamo assimilare tutti quei negozi giuridici stipulati utilizzando strumenti telema-tici in grado di garantire a due o più soggetti di comunicare tra di loro, oralmen-te o per iscritto, contemporaneamente, la Giurisprudenza della Corte di Cassa-zione ha affermato che il “luogo della conclusione è quello in cui l’accettazione giunge a conoscenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza dell’accettazione. Ne deriva che deve considerarsi concluso in Italia il contratto di compravendita di merci tra un’impresa italiana ed una avente sede in Austria, qualora risulti che quest’ultima abbia accettato a mezzo del telefono la proposta formulata dalla prima”7.

In materia di contratti conclusi attraverso la posta ordinaria, cui possiamo equiparare tutti quei negozi giuridici stipulati utilizzando strumenti telematici non idonei a permettere un dialogo in diretta tra le parti (i.e. e-mail), il quesito appare di facile soluzione: in tale situazione è estremamente agevole identi-ficare le varie fasi contrattuali della proposta e dell’accettazione: pur essendo i messaggi di posta elettronica rapidissimi tra l’invio e la risposta deve sempre intercorrere un certo lasso di tempo, cosa che non accade invece per i sistemi istantanei.

Più complesso appare il discorso in relazione ai negozi automatici. Abbiamo visto che l’art. 1327 c.c. prevede, in alcune situazioni che il con-

tratto possa essere eseguito senza una preventiva risposta, mentre l’art. 1336 af-ferma che l’offerta al pubblico vale come proposta. Nel primo caso, sempre che l’esecuzione sia perfettamente conforme alla proposta, il contratto dovrà rite-nersi concluso nel momento e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione, ma l’accettante dovrà ugualmente dare prontamente avviso alla controparte dell’ini-ziata esecuzione.

——— 7 Cass., Sez. un., 14 luglio 1994, n. 6581.

Page 481: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - DOCUMENTO INFORMATICO E CONTRATTI DIGITALI 455

Nel secondo caso, invece il contratto dovrà considerarsi concluso nel pre-ciso istante in cui un quisque de populo aderisce alla proposta richiedendo la con-segna della merce esposta in vetrina.

Occorre osservare che una giurisprudenza costante ha ritenuto tassative le ipotesi previste dall’articolo 1327 primo comma. Pertanto, la conclusione del contratto nel luogo e nel tempo in cui ha avuto inizio l’esecuzione da parte del destinatario della proposta si verifica solo nelle ipotesi tassative di cui all’art. 1327 c.c. Possiamo comunque tranquillamente affermare che l’id quod plerumque accidit nella contrattazione telematica per automatico è l’ipotesi di offerta al pubblico.

Differente è la questione dei contratti cibernetici. In tali ipotesi il computer, come un commesso digitale mostra al cliente una serie di prodotti, comunica la relativa disponibilità in magazzino, il prezzo e l’eventuale sconto dando infine immediata esecuzione all’ordine impartito dall’acquirente. La soluzione più cor-retta sembra essere quella di disciplinare una simile fattispecie ricorrendo alle di-sposizioni dell’art. 1327, ovviamente soltanto ove ricorra una delle ipotesi carat-teristiche previste dal primo comma: il proponente ha richiesto l’immediata ese-cuzione, o la prevedono gli usi o la natura dell’affare.

Page 482: Diritto privato del mercato
Page 483: Diritto privato del mercato

CAPITOLO SECONDO

RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI NELLA NORMATIVA DELL’UNIONE EUROPEA

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Riservatezza e trattamento dei dati: fondamento giuri-dico della competenza comunitaria. — 3. Il Consiglio d’Europa e disciplina del tratta-mento dei dati personali. — 4. Profili genrali del diritto alla riservatezza nell’Unione europea. — 5. La direttiva n. 95/46/CE sul trattamento dei dati personali e loro libera circolazione. — 6. Riservatezza, sicurezza interna ed internazionale. — 7. La specifica normativa per le istituzioni comunitarie in materia di rispetto della privacy. — 8. Il tra-sferimento dei dati personali ai paesi terzi. In particolare: flussi di dati provenienti dalla Comunità e clausole contrattuali tipo. — 9. Il diritto alla riservatezza nella Carta euro-pea dei diritti fondamentali. — 10. Il codice della privacy. L’attuazione in Italia della normativa europea.

1. — Premessa. L’odierna società dell’informazione trae origine dal crescente sviluppo della

scienza, anche e soprattutto applicata, a cui si è assistito negli ultimi decenni del secolo scorso1.

Nella Risoluzione n. 3384 (XXX) del 10 novembre 1975, denominata Di-chiarazione sull’uso del progresso scientifico e tecnologico nell’interesse della pace e a vantaggio del genere umano2, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite anticipava, indivi-duandola, l’antinomia di fondo della nascente società dell’informazione: da un lato le moderne tecnologie che si stavano sviluppando erano considerate il fat-tore principale della crescita della società – strumento d’innalzamento del tenore di vita delle nazioni e dei popoli – dall’altro, e nel contempo, minaccia ai diritti umani, politici e alle libertà fondamentali dell’uomo3.

——— 1 Si legga G. MENDOLA, La società dell’informazione fra opportunità per i nuovi prodotti e interoperatività: la

standardizzazione dopo il rapporto Bangeman, in C. VACCÀ (a cura di), Regole giuridiche ed evoluzione tecnologica, Milano, 1999, p. 129 ss.

2 In Yearbook of the United Nations, 1975, vol. 29, p. 725. 3 Si veda S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, p. 3 ss., per una indagine sulla globalizza-

zione dal punto di vista giuridico, sugli aspetti principali come sviluppo generalizzato delle tecnologie della comunicazione, l’interdipendenza degli Stati e l’esistenza accanto ad essi di soggetti economici quali le multinazionali.

Page 484: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 458

Alla fine degli anni settanta, quindi, in un decennio in cui le moderne tec-nologie anche informatiche erano solo in fase di gestazione, l’Assemblea genera-le dell’ONU si trovava a costatare l’esistenza di una duplice anima nel progresso scientifico e tecnologico.

La diffusione di massa dei prodotti multimediali, delle televisioni satellitari, l’estensione dell’uso di Internet, per fare qualche semplice riferimento, non so-no solo esempi di notevoli capacità tecniche raggiunte nel tempo dalla ricerca e dalla produzione su larga scala, ma anche realtà che hanno aperto la strada a ri-flessioni nuove e complesse sul piano giuridico. Si assiste, infatti, alla nascita di diritti fondamentali di nuova generazione4. Tra questi quello all’informazione5 il cui limite “è rappresentato [proprio] dal diritto alla riservatezza, per la tutela de-gli interessi pubblici e privati”6.

L’esigenza di garantire il rispetto della sfera intima delle persone ha iniziato ad essere elaborata negli Stati Uniti già negli anni sessanta. È il periodo “in cui la letteratura giuridica nord-americana, nella persona di W.L. Prosser, propone una teorizzazione del diritto all’identità personale […] parlando di false light in the pu-blic eye. Si configura, cioè, il tort of false light come una delle quattro ipotesi di at-tentato alla privacy, che può essere violata oltre che dalla generica invasione nel-la vita altrui (intrusion), o dalla pubblicazione di fatti privati altrui (public discolosure of private facts), o dall’uso non consentito, del nome o dell’immagine altrui (appro-priatìon), anche dalla diffusione di notizie personali non veritiere, che danno un’immagine falsata della persona (false light in the public eye)”7.

In questa fase iniziale il diritto degli individui all’essere lasciati soli8 coinci-deva da un lato con la protezione della sfera privata sia dalla curiosità dei terzi9

——— 4 Si pensi, ad esempio, al diritto alla comunicazione promosso nell’ambito dell’Unione Internazio-

nale delle Telecomunicazioni (ITU, Constitution of International Telecomunication Union, Kyoto, 1994). N. PARISI, Casi e materiali di diritto europeo dell’informazione e della comunicazione, Napoli, 2003, p. 18 ss., ritiene che detto diritto, qualificato come diritto umano fondamentale nella società globale dell’informazione, consiste nel riconoscimento per ognuno della facoltà di avere accesso ai servizi base di comunicazione ed informazione, senza che le nuove tecnologie incrementino il divario già esistente fra i paesi svilup-pati e in via di sviluppo nel mondo contemporaneo.

5 Sulla copiosissima dottrina in materia di diritto all’informazione si indica J. JACOPELLI (a cura di), Verso il diritto all’informazione, Bari, 1991.

6 Così M MIGLIAZZA, Profili internazionali ed europei del diritto all’informazione e alla riservatezza, Milano, 2004, p. 7.

7 Cfr. F. BASILICA, Il difficile percorso della formalizzazione giuridica dei diritti della personalità c.d. atipici, in Riv. dir. civ., parte II, 2005, p. 678.

8 L’esigenza di garantire il rispetto della vita privata veniva sintetizzato nella conosciuta formula linguistica del right to be let alone, adottata per la prima volta dal giudice Cooley.

9 Così P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1992, p. 236.

Page 485: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 459

che dall’interesse altrui a conoscere10, e dall’altro con il controllo del flusso di informazioni che dalla persona veicolavano verso l’esterno11.

Una nozione siffatta di riservatezza finiva per coincidere con l’esigenza di tutela dell’intimità domestica e del domicilio, così come del decoro e della repu-tazione. Le stessa inviolabilità della corrispondenza, così come dell’immagine, nelle discipline esistenti nei diversi ordinamenti, contribuivano a delineare i con-torni di questo diritto strettamente connesso alla tutela delle vicende private di ognuno, scevre di rilevanza sociale12.

L’originaria accezione individuante il diritto alla privacy si è mostrata nel corso del tempo non in grado di salvaguardare con sufficiente forza il bene giu-ridico della vita privata, esposto a nuove e possibili forme di aggressione.

L’iniziale modo di intendere il riserbo ha dovuto confrontarsi con la cre-scente tecnologizzazione ed informatizzazione della società.

La raccolta organizzata di dati su supporti che possono facilmente e velo-cemente circolare in tutto il mondo, la loro conservazione, elaborazione ed ag-gregazione, che agevola la formazione per ogni individuo di un profilo su gusti, orientamenti politici, preferenze di genere diverso, hanno necessariamente mu-tato i connotati del diritto alla riservatezza da come inizialmente elaborato.

La protezione del solo domicilio, dell’immagine, così come della corri-spondenza o dei mezzi della comunicazione del pensiero nelle forme tradiziona-li, si sono mostrati non più sufficienti a proteggere gli atti relativi alla sfera del riserbo: “dato di fondo del nuovo contesto è l’inserimento dell’individuo nella società ‘globale’, nella quale la stragrande maggioranza delle azioni compiute delle scelte individuali lasciano una ‘traccia’ che ne consente la mappatura e con essa la ricostruzione dell’identikit della persona”13.

——— 10 Cfr. A. CATAUDELLA, La tutela civile della vita privata, Milano, 1972, p. 9 ss. 11 Si veda in questo senso S. RODOTÀ, Repertorio di fine secolo, Bari, 1999, p. 216. 12 Nel nostro ordinamento giuridico la Cassazione nella sentenza n. 2199/1975, in Giust. civ., 1975,

I, p. 144, finiva per identificare il diritto alla riservatezza con l’interesse a sottrarre alla conoscenza dei terzi le vicende private accadute all’interno e fuori del domicilio domestico, e che non abbiano per i terzi un interesse socialmente rilevante. Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, il diritto alla riserva-tezza, così come originariamente concepito, ha trovato negli articoli 13, 14, 15 e 21 della Costituzione e nel più ampio riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2, agevole base giuridica. Va ricordato, comunque, che il cammino del riconoscimento di questo diritto non è stato necessariamente agevole come testimonia per esempio la sentenza della Cassazione n. 4487/1956, in Foro it., 1957, I, c. 423, la quale affermava che “nessuna disposizione di legge autorizza a sostenere che [ il diritto alla ri-servatezza] era stato sancito”.

13 Testualmente E. VARANI, Diritto alla privacy e trattamento dei dati sensibili in ambito sanitario: dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea al D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, in Giur. it., 2005, p. 1770.

Page 486: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 460

Nasce per tale ragione una sensibilità nuova verso il problema della modali-tà con cui salvaguardare la sfera individuale del riserbo.

Senza aprire scenari di pericoli apocalittici, da più parti definiti di orwel-liana memoria, si è riflettuto su come “la libertà di informazione e l’incre-mentata libera circolazione delle informazioni, realizzate dalle moderne tecno-logie, richiedano la contestuale ed indispensabile predisposizione di strumenti giuridici di protezione dei dati personali, per garantire ai privati il mantenimento di una sfera di riservatezza ed agli Stati o alle organizzazioni internazionali la possibilità di mantenere segrete alcune informazioni per motivi attinenti alla si-curezza pubblica, alle questioni militari, alle relazioni internazionali e a tutti quei motivi che attengono alla salvaguardia di interessi collettivi che lo richie-dono”14.

La normativa internazionale, quella comunitaria e successivamente quella nazionale hanno cercato, negli ultimi anni, di rispondere alla contemporanea e-sigenza di salvaguardare “da un lato, il diritto dei singoli a non vedere diffuse informazioni personali che li riguardano; dall’altro, la necessità di realizzare at-traverso il trattamento dei dati stessi finalità di utilità sociale o, anche, più sem-plicemente, profitti economici da parte di privati”15.

È proprio alla luce di queste esigenze che si parla oggi di ‘privacy’ alluden-do propriamente con tale espressione “ad una sorta di diritto comprensivo, oltre che dei tradizionali aspetti connessi alla ‘riservatezza’, anche del potere di con-trollo sulla circolazione delle proprie informazioni personali, e del complemen-tare diritto di essere lasciati in pace, inteso come esigenza di protezione del sin-golo dai tentativi di contatto realizzati da terzi secondo particolari modalità (con-nesse all’uso delle nuove tecnologie), e tendenzialmente per fini di carattere com-merciale”16.

Si assiste, cioè, ad una sorta di dilatazione dell’originario concetto di privacy inteso come intimacy all’identity ed autonomy. La sfera dell’identità persona-le già protetta in molti ordinamenti nazionali si estende naturalmente a ricom-prendere “l’interesse dell’individuo a veder rappresentato, identificato, anche attraverso l’aggregazione di dati informatizzati, il proprio modo di essere nella realtà sociale e nella Comunità statuale. […] Si sostanzia così il concetto di in-formational privacy che salvaguardia l’interesse dell’individuo ad una corretta ed ———

14 Così sul punto M MIGLIAZZA, op. cit., p. 11. 15 Si veda M. SPATTI, Diritto alla riservatezza e trattamento dei dati personali, in N. PARISI, D. RINOLDI

(a cura di), Profili di diritto europeo dell’informazione e della comunicazione, Napoli, 2004, p. 162. 16 Ancora E. VARANI, op. cit., p. 1770.

Page 487: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 461

esatta rappresentazione della sua identità/personalità in una società sempre più informatizzata”17.

L’oggetto della presente indagine sarà la considerazione normativa che l’U-nione europea ha riservato all’istituto della privacy, prestando maggiore atten-zione alle questioni attinenti al trattamento dei dati personali come ulteriore prospettiva di tutela del diritto alla riservatezza. Verrà tracciato, pertanto, un breve percorso attraverso il corpus di norme predisposto nel tempo dalle istitu-zioni comunitarie, con l’avvertenza che non vi sarà spazio per alcuna indagine intorno alla disciplina europea del diritto individuale all’informazione pur essen-do innegabile che la tutela effettiva della privacy sia anche manifestazione di uno dei limiti che incontra la variegata accezione di libertà d’espressione.

Parimenti verrà solo accennato il tema della privacy così come affrontato sul piano più propriamente internazionale18 pur nella consapevolezza che tale elaborazione ha inciso sulla produzione comunitaria del diritto in esame. La di-sciplina sulla protezione dei dati a livello dell’Unione è stata adottata, infatti, sul-la scorta delle diverse convezioni internazionali che l’hanno riconosciuta prima, regolata poi, quale diritto della personalità in relazione alla tutela della riserva-tezza19.

Limitato in questi termini il campo d’indagine si darà in primis conto del fondamento giuridico in forza del quale la Comunità è potuta intervenire con una propria disciplina in materia di privacy. Secondariamente si affronterà il te-ma della tutela dei dati personali in ambito del Consiglio europeo; quindi si trat-terà nello specifico della normativa dell’Unione europea in materia di riservatez-za, ponendo l’attenzione sui principi base posti dalle direttive n. 1995/46/CE e n. 2002/58/CE relative al trattamento dei dati personali. Quindi verrà passata in rassegna, benché in modo più sintetico, la disciplina dell’Unione relativa alla privacy nell’attività delle istituzioni, e nelle materie del secondo e del terzo pi-lastro della costruzione europea. Verrà trattato, successivamente, il ricono-scimento del diritto alla tutela dei dati personali contenuto nella Carta dei di-ritti fondamentali dell’Unione europea. Ci si occuperà, in ultimo, della normati-va italiana. ———

17 Testualmente G. CAGGIANO, Dossier e banche-dati personali: il diritto umano alla privacy e alla libertà di informazione, in Riv. int. dir. uomo, 1990, p. 287.

18 Si ricordi, infatti, che l’Assemblea generale della Nazioni Unite ha incluso fra i principi della Di-chiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, all’art. 12, il diritto alla privacy. Esiste un analogo riconoscimento nell’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici elaborato dalla Commis-sione per i diritti umani, ed approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1966.

Page 488: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 462

2. — Riservatezza e trattamento dei dati: fondamento giuridico della competenza comu-nitaria.

L’intervento della Comunità europea in materia di privacy è relativamente

recente. Nel continente europeo, infatti, il tema della protezione della sfera del ri-

serbo era stato trattato inizialmente dal Consiglio d’Europa. L’azione della Co-munità è successiva dal punto di vista temporale, e trova negli artt. 14, 95, 286 T.C.E. e nell’art. 6 T.U.E. il suo fondamento giuridico.

I Trattati fondamentali della Comunità, infatti, assegnano a quest’ultima il perseguimento di numerosi obiettivi20. Gli Stati che presero parte al progetto europeo, per perseguire - e raggiungere - gli scopi prefissati dagli accordi istitu-tivi, hanno conferito alla Comunità poteri e competenze21.

L’art. 5 del Trattato CE, così come introdotto dal Trattato di Maastricht, stabilisce, infatti, che “la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le so-no conferite e degli obiettivi che le sono attribuiti […]”. Le spettanze comunita-rie sono, quindi, di “attribuzione”, trasferite, cioè, dagli Stati membri alla Co-munità, quando per trasferimento la Corte di Giustizia europea intende una “limitazione definitiva dei […] diritti sovrani”22 dei singoli Stati. I poteri non e-spressamente assegnati alla Comunità rimangono nella esclusiva disponibilità dei paesi membri23.

È all’interno delle competenze conferite, quindi, che dovrà essere rintrac-ciato il fondamento giuridico in forza del quale le istituzioni comunitarie sono legittimate ad intervenire in materia di privacy.

La tutela del riserbo e del trattamento dei dati personali, espressione del di-ritto fondamentale della persona alla vita privata, sono manifestazione del pa-———

19 Si veda G. CAGGIANO, op. cit., p. 284. 20 Cfr. art. 2 T.U.E. ed art. 3 T.C.E. 21 Si veda art. 2 T.C.E. 22 Cfr. Corte di Giustizia sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, in Racc., 1964, p. 1129. 23 Quanto alle competenze della Comunità queste sono individuate come esclusive rispetto a quel-

le degli Stati membri, o concorrenti con quest’ultimi. E’ bene ricordare, comunque, come questa di-stinzione nella realtà delle cose appaia spesso sfumata e non sempre così netta: l’attuale delimitazione delle competenze desumibile dai Trattati vigenti non è spesso agevole né immediata; talvolta, infatti, sono utilizzate nei testi formule ampie, non sempre precise e certamente non contenti una chiara indi-cazione delle competenze Queste si desumono, quindi, essenzialmente dalle numerose disposizioni dei Trattati che attribuiscono alla Comunità funzioni nei diversi settori dove questa è chiamata a svolgere la propria attività. Si veda G. GAJA, Introduzione al dritto comunitario, Bari, 1999, p. 83: “Nel Trattato CE, come negli altri Trattati istitutivi, non si trova una indicazione esplicita di carattere generale concernete le competenze normative della Comunità”.

Page 489: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 463

trimonio genetico della costruzione europea in quanto “comunità di diritto”24. L’Unione, ai sensi dell’art. 6 T.U.E., individua come propri valori fondanti i

principi di libertà, democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto: “diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali di diritto comune”25.

L’Unione europea, infatti, attraverso l’attività della Corte di Giustizia26 prima, delle previsioni di cui all’art. 6 T.U.E. poi, ha fatto proprio il percorso di progressivo riconoscimento del diritto alla riservatezza compiuto dal Consiglio Europa e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (vedi in-fra), nonché dalle costituzioni degli stati membri.

Va ricordato, infatti, come alcune carte costituzionali europee riconoscano espressamente il diritto alla protezione dei dati personali. Si pensi alla costitu-zione irlandese27, a quella portoghese28 o quella spagnola che esplicitamente chiama la legge ordinaria a limitare “l’utilizzazione informatica al fine di garanti-re l’onore, l’intimità personale e familiare dei cittadini e il pieno esercizio dei lo-ro diritti”. Altri Stati membri non hanno nelle proprie carte costituzionali e-spressi riferimenti alla tutela della privacy, ma nel corpo normativo delle diverse

——— 24 In questo senso G. ALPA, La normativa sui dati personali: modelli di lettura e problemi esegetici, in Dir.

dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 703. 25 Cfr. art. 6 T.U.E. 26 La Corte di Giustizia europea, insieme a Tribunale di primo grado, assicura ai sensi dell’art. 220

TCE il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. E’ istituzione delle Co-munità Europee composta da un giudice per Stato membro (art. 221 TCE); i giudici sono assistiti da otto avvocati generali, i quali sono chiamati a presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che chiedono il loro intervento (art. 222 TCE). Precisa P. MENGOZZI, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione europea, Padova, 2003, p. 55: “quanto alle funzioni, la Corte di giustizia esercita, innanzi tutto, un controllo di legittimità sugli atti comunitari [quando il ricorso è presentato da una istituzione comunitaria o da uno Stato membro; quando il ricor-so è promosso da una persona fisica la competenza è del Tribunale di primo grado. La Corte ha in questo caso una giurisdizione di appello per soli motivi diritto] […]. Alla Corte di giustizia spetta poi la competenza a pronunciarsi su ‘ ricorsi per carenza ’ diretti a far accettare la violazione da parte del Par-lamento, della Commissione, del Consiglio o della Banca centrale europea dell’obbligo di prendere po-sizioni a cui tali istituzioni siano tenute in virtù del Trattato [anche in questo caso la Corte non si pro-nuncia sui ricorsi per carenza presentati dalle persone fisiche]. […]. Spetta alla Corte di giustizia il pote-re di pronunciarsi sui ricorsi di infrazione promossi, per violazione del diritto comunitario”.

27 Si veda l’art. 10 della Costituzione irlandese, il cui secondo comma demanda al legislatore ordi-nario il compito espresso di emanare norme a tutela della privacy nei confronti della raccolta e distri-buzione dei dati personali.

28 Cfr. legge costituzionale del 20 dicembre 1997, n. 1, la quale ha espressamente introdotto disposizioni in tema di protezioni di dati.

Page 490: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 464

costituzioni europee non vi è difficoltà a rintracciare la base giuridica della tutela della riserbo. Si pensi al caso italiano ed all’art. 2 della Costituzione: la “riserva-tezza viene … considerat[a] come un diritto della personalità rientrante in quella categoria di diritti caratterizzanti l’individuo” per cui “la tutela del dato persona-le è … strettamente collegata alla tutela della libertà personale, principio cardine della Costituzione italiana ed oggetto di tutela in tutti i rami [dell’ordinamento giuridico].”29.

Nell’ambito della salvaguardia dei diritti fondamentali, poi, la giurispruden-za della Corte di Giustizia, così come oggi l’art. 6 T.U.E., fa anche riferimento alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in poi: C.E.D.U). In realtà la protezione dei dati personali non è espressamente menzionata nella C.E.D.U.30, ma la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo31 ha protetto, comunque, la circolazione del-

——— 29 Così sul fondamento giuridico del diritto alla privacy nel nostro ordinamento F. TUFARELLI, La

tutela dell’interessato nel diritto alla riservatezza dei dati personali: conferme e novità presenti nel codice della privacy, in Dir. e form., fasc. 3, 2005, p. 392. La stessa Corte Costituzionale nella sentenza 12 aprile 1973 n. 38, in Foro it., 1973, I, p. 1978, ha affermato che “fra i diritti inviolabili dell’uomo, oltre che nell’art. 2, negli artt. 3, secondo comma, e 13, primo comma, rientrano quelli del proprio decoro, onore, rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

30 Il riferimento è alla Convenzione del 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia il 26 ottobre 1955. Le finalità della Convenzione sono nel Preambolo della conv. così sintetizzate: “I Governi firmatari, Membri del Consiglio dell’Europa, considerata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; considerato che questa Dichiarazione tende a garantire il riconoscimento e l’applicazione universale ed effettiva dei diritti che vi sono enunciati; considerato che il fine del Consi-glio dell’Europa è quello di realizzare una unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; riaffermato il loro profondo attaccamento a queste libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall’altra, su una concezione comune e un comune rispet-to dei Diritti dell’uomo a cui essi si appellano; risoluti, in quanto Governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della li-bertà e di preminenza di diritto, a prendere le prime misure adatte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale”.

31 La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha previsto l’istituzione di una Corte al fine di assicurare il rispetto degli impegni derivanti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli alle parti contraenti. Essa opera in modo permanente (art. 19). La Corte si compone di un numero di giudici eguale a quello delle parti contraenti (art. 22). I giudici vengono eletti dall’Assemblea parlamentare per ciascun Stato componente, a maggioranza dei voti espressi, su una lista di tre candidati (art. 20). La competenza della Corte si estende a tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che le verranno sottoposte (art. 32). La Corte può essere adita per ricorsi presentati da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di individui che pretenda di essere vittima di una violazione da parte di una

Page 491: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 465

le informazioni personali facendo ricorso all’art. 8 della citata convenzione, de-dicato al rispetto della vita privata32.

L’art. 95 T.C.E., base comune a copiosa produzione di diritto derivato dell’Unio-ne, è altro fondamento giuridico della normativa comunitaria in tema di privacy.

Le istituzioni europee possiedono, infatti, il potere di porre in essere “mi-sure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno”33.

La finalità dell’intervento comunitario in materia di privacy, quindi, è anche quella “di spingere gli Stati membri ad adottare una protezione uniforme dei di-ritti e delle libertà delle persone relativamente al trattamento dei dati e permette-re la piena realizzazione del mercato interno”34. Dentro l’obiettivo del raggiun-gimento di un mercato comune le istituzioni europee sono, quindi, chiamate a rispettare e tutelare i diritti fondamentali della persona, tra questi anche quello della vita privata.

Base giuridica della produzione comunitaria in tema di circolazione dei dati è poi anche l’art. 14 T.C.E.. La disposizione assicura la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali per la creazione del mercato comune, spazio privo di frontiere interne. Il raggiungimento dell’obiettivo dell’unificazione del mercato ha orientato la volontà politica degli Stati membri, accelerando la rea-lizzazione dell’integrazione dei mercati. “Proprio in ragione dell’importanza po-litica, più che giuridica, assunta dalla nozione di mercato interno, si è assistito alla sua progressiva identificazione … con l’intero campo d’azione della Comuni-tà: in altre parole, il mercato interno, secondo l’accezione oggi prevalente, non è limitato alle quattro libertà di circolazione …, ma ad esso tendono ad essere ri-condotte tutte le politiche comunitarie che contribuiscono, anche indirettamente, a rimuovere gli ostacoli all’unificazione dei mercati nazionali”35. Il perseguimento

——— delle parti contraenti dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli. Con l’impegno delle parti contraenti a non ostacolare in alcun modo l’esercizio effettivo di questo diritto (art. 34).

32 Cfr. art. 8 C.E.D.U., Diritto al rispetto della vita privata e familiare: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

33 Cfr. art. 95, par. 1, T.C.E.. 34 Ancora F. DONATI, op. cit., p. 85. 35 Riferisce sul punto L. DANIELE, Commento all’art. 14 TCE, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati

dell’Unione Europea e della Comunità europea, Milano, 2004, p. 14 ss.

Page 492: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 466

degli obiettivi dell’Unione impone, quindi, la libera circolazione anche dei dati personali.

L’art. 286 T.C.E.36 sancisce, poi, anche in capo alle istituzioni comunitarie l’obbligo del rispetto della normativa sul trattamento dei dati.

“Per rispondere alla necessità di norme che disciplinano il trattamento dei dati personali, la Commissione e il Consiglio, al momento dell’adozione della direttiva [n. 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento delle informazioni personali e la libera circolazione dei dati] si erano impegnati, con una dichiarazione pubblica, a conformarsi alle condizioni della direttiva [stessa] e hanno chiesto alle altre istituzioni di seguire il loro esem-pio”37. In forza dell’impegno assunto e della crescente importanza del rispetto dei diritti e delle libertà della persona nel sistema comunitario, l’art. 286 quindi è stato introdotto, con il Trattato di Amsterdam, nel Trattato istitutivo della Co-munità europea.

3. — Il Consiglio d’Europa e disciplina del trattamento dei dati personali. Come anticipato, in Europa la tutela della riservatezza ed il trattamento dei

dati personali iniziano ad affermarsi attraverso la lettura fatta, ad opera della Corte Europea dei diritti dell’uomo, dell’art. 8 C.E.D.U., pur non avendo detta disposizione un contenuto specificatamente dedicato agli aspetti menzionati38.

La Corte europea, più volte chiamata a pronunciarsi riguardo alla diffusio-ne di notizie intime o private relative agli individui, ha finito per applicare a que-ste fattispecie la norma di cui all’art. 8 C.E.D.U. che riconosce il diritto di ogni persona al rispetto della sua vita39.

——— 36 Testualmente l’art. 286 T.C.E.: “A decorrere dal 1° gennaio 1999 gli atti comunitari sulla protezio-

ne delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati si applicano alle istituzioni e agli organismi istituiti dal presente trattato o sulla base del medesimo. 2. Anteriormente alla data di cui al paragrafo 1 il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’art. 251, istituisce un organo di controllo indipendente incaricato di sorvegliare l’applicazione di detti atti alle istituzioni e agli organismi comunitari e adotta se del caso, tutte le altri pertinenti disposizioni”.

37 Così sul punto F. DONATI, Commento all’art. 8, in R. BIFULCO, M. CARTARIA, A. CELOTTO (a cu-ra di), L’Europa dei diritti – Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna, 2001, p. 86. La dichiarazione del Consiglio e della Commissione è stata pubblicata in un comunicato stampa del Consiglio il 24 luglio 1995 (9012/95 – Press. 226).

38 Espressamente Corte eur. sent. 27 agosto 1997, M.S. c. Svezia, in Eur. Court HR, IV, 1997, p. 1437 ss, ha ulteriormente affermato come l’art. 8 si applica alla materia dei dati personali.

39 In questo senso testualmente M. SPATTI, op. cit., p. 165.

Page 493: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 467

Le principali decisioni in cui la Corte ha statuito in tema di protezione dei dati, concernono l’utilizzo di questi da parte delle autorità pubbliche. Gli inter-venti giurisprudenziali erano sostanzialmente diretti a valutare le misure in ma-teria adottate dagli Stati, chiamati a bilanciare contemporaneamente l’interesse alla protezione della privacy con quello alla circolazione delle informazioni all’interno di strutture pubbliche. Si pensi al caso della conservazione dei dati sanitari negli ospedali e la loro segretezza40, al diritto che i dati presenti nei regi-stri di polizia non siano utilizzati per scopi diversi da quello per cui sono stati raccolti, oppure al diritto alla segretezza delle comunicazioni telefoniche41.

Per la giurisprudenza della Corte lo Stato aderente alla Convezione non è l’unico destinatario dell’articolo in commento, riferendosi il suo contenuto an-che alle eventuali violazioni commesse dai privati nei confronti di altri sogget-ti42. La Corte ha riconosciuto alle previsioni della Convezione europea su i diritti dell’uomo, e soprattutto all’art. 8 C.E.D.U., un’efficacia orizzontale: gli Stati, quindi, sono destinatari non solo degli obblighi derivanti dalla medesima Con-venzione, ma anche dello specifico dovere di sorvegliare che non siano com-messe violazioni interindividuali dei diritti ivi riconosciuti43.

La tutela di un diritto è apprestata con effettività quando la realtà economi-co-sociale, la collettività e i singoli nei loro comportamenti si adeguano al rispet-to dei principi fondamentali inerenti la disciplina di quella specifica situazione giuridica soggettiva44. La internazionalizzazione e la costituzionalizzazione di garanzie processuali marcia parallelamente alla effettiva fruibilità di quest’ultime da parte di ogni individuo45. Per tale ragione la possibilità attribuita ad un sog-getto privato di ricorrere, in caso di violazione dei diritti riconosciuti nella Con-venzione europea – previo esaurimento dei ricorsi interni46 – ad una procedura

——— 40 Si veda ancora Corte eur., 27 agosto 1997, cit., in Eur. Court HR, IV, 1997, p. 1437 ss. 41 In questo senso Corte europea, 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito, in Eur. Court HR, serie A,

vol. 82, 1984, p. 7 ss. o ancora molto più recentemente sentenza 16 febbraio 2000, Amman c. Svizzera, in Eur. Court HR, II, 2000, p. 2031 ss.

42 Così Corte Eu., 26 marzo 1985, X et Y c. Paesi Bassi, in Eur. Court HR, serie A, vol. 91, 1985, p. 11, sul diritto di ogni persona alla segretezza dei dati sanitari che la riguardano.

43 Sulla necessità che uno Stato promuova azioni positive per la protezione della vita privata ac-canto all’obbligo di non interferenza la Corte europea si è pronunciata per la prima volta nel 1979 nel caso Marcks, in Eur. Court HR, serie A, n. 31, 1979, p. 5 ss.

44 In questo senso A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 34 ss. 45 Sul valore sociale della tutela processuale apprestata alle situazioni giuridiche soggettive si veda

E. VITTA, Processo civile e diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 571. 46 Cfr art 34 C.E.D.U. che prevede il ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell’uomo,

l’art. 33 C.E.D.U. prevede la forma classica dal punto di vista internazionale del ricorso interstautale, in cui il singolo individuo è solo indirettamente interessato. Si veda F. CAPOTORTI, Corso di diritto interna-

Page 494: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 468

giurisdizionale internazionale per vedere affermata l’esistenza di diritto violato, è dato non sicuramente privo di valore dal punto di vista della diffusione, e della stessa socializzazione, della situazione giuridica soggettiva di cui si lamenta la le-sione.

Parallelamente quindi alle prime pronunce giurisprudenziali della Corte eu-ropea dei diritti dell’uomo anche il Consiglio d’Europa è stato investito del pro-blema della tutela del riserbo della persona.

I primi interventi dell’indicato organismo internazionale si esprimono at-traverso atti con carattere non vincolante. Essi si risolvono in semplici racco-mandazioni agli Stati, affinché i governi si adoperino per adottare provvedimenti diretti a far trovare ai principi fondamentali della persona applicazione nel campo della raccolta e dell’elaborazione dei dati. Sono la risoluzione del Comitato dei mi-nistri del Consiglio d’Europa del 26 settembre 197347 sulla protezione della vita privata delle persone fisiche rispetto alle banche dati elettroniche nel settore priva-to, e la risoluzione del 29 settembre 197448 relativa alle banche dati nel settore pubblico.

Alcuni Stati Europei hanno accolto, quasi nell’immediatezza, le raccomanda-zioni del Consiglio (la Svezia emana una legge sulla tutela della riservatezza e la tu-tela dei dati nel 1973, la Germania nel 1977, la Francia, la Danimarca, la Norvegia nel 1978, il Lussemburgo nel 1979). Tra gli Stati aderenti era ancora, comunque, mancante in materia una legislazione uniforme:“la presenza di disposizioni etero-genee finiva così per rappresentare anche un ostacolo alla libera circolazione transfrontaliere delle informazioni”49.

È in questa realtà in movimento che il Consiglio d’Europa predispone un altro documento, questa volta a carattere vincolante, sulla modalità attraverso la quale raccogliere, gestire ed eventualmente trasferire i dati personali, risponden-do alla duplice esigenza di garantire la libera circolazione dei dati, così come la salvaguardia dei diritti fondamentali. Da parte del Consiglio viene pertanto e-manata, il 28 gennaio 1981, la “Convenzione d’Europa per la protezione delle

——— zionale, Milano, 1995, p. 95 ss., il quale sostiene che il ricorso individuale rappresenti una delle forme più progredite in tema di tutela di diritto dell’uomo, e ha incontrato non poche resistenze da parte de-gli Stati nazionali che possono vedersi condannati quando sono riconosciuti responsabili nei confronti di violazioni.

47 R(73) 22 del 26 settembre 1973, in Council of Eur., Commitee of Ministers, Recommendations and Reso-lutions, 1973.

48 R(74) 29 del 20 settembre 1974, in Council of Eur., Commitee of Ministers, Recommendations and Reso-lutions, 1974.

49 Testualmente F. DONATI, op. cit., p. 85.

Page 495: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 469

persone in relazione all’elaborazione automatica dei dati di carattere personale” (n. 108), comunemente indicata come Convenzione di Strasburgo (d’ora in poi anche: Convenzione dati).

Il Trattato ha carattere aperto, accessibile pertanto a qualsiasi altro Stato non membro del Consiglio d’Europa invitato ad aderirvi da parte del Consiglio dei ministri. Alle disposizioni contenute nella Convenzione in esame doveva essere data, poi, attuazione attraverso la normativa interna di ogni paese aderente50.

Detto atto internazionale persegue la finalità di garantire ad ogni persona fisica “il rispetto dei suoi diritti e delle sue libertà fondamentali, e in particolare del suo diritto alla vita privata, in relazione all’elaborazione automatica dei dati a carattere personale che la riguardano”51. Quindi “lo scopo di tale accordo tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa è di assicurare la protezione dei dati per-sonali, elaborati tramite l’automatizzazione e […] procedure di registrazione, e-laborazione logica e/o aritmetica, modifica, cancellazione, estrazione e diffusione, nonché di individuare il responsabile del database, sia esso pubblico o privato”52.

La Convenzione dati appresta protezione alle persone fisiche “presenti sul territorio di uno degli Stati membri, indipendentemente dalla cittadinanza o re-sidenza, con la scelta quindi di un criterio oggettivo e non soggettivo di applica-zione di tale normativa”53.

La disciplina non è estesa alle persone giuridiche ed al trattamento dei dati conservati sui quali si opera manualmente. Rimane ferma la facoltà degli Stati aderenti di estendere comunque l’ambito d’applicazione delle regole indicate in Convenzione nei confronti delle persone giuridiche54 ed in riferimento alle ban-che dati manuali55.

In relazione alla circolazione dei dati personali la Convenzione di Strasbur-go del 1981 contiene principi fondamentali che verranno ripresi negli atti suc-cessivi del Consiglio d’Europa e della stessa Unione europea.

La Convenzione individua primariamente le informazioni oggetto di trat-tamento e le modalità con cui questo possa avvenire correttamente, lecitamente e per scopi legittimi.

——— 50 La c.d Convenzioni Dati è entrata in vigore per l’Italia il 1° luglio 1997. 51 Cfr. art. 1 Convenzione di Strasburgo. 52 Così M. MIGLIAZZA, op. cit., p. 31. 53 Ancora M. MIGLIAZZA, op. loc. cit. 54 Cfr. art.3, n.2, lett. b) Convenzione di Strasburgo. 55 Cfr art. 2, n. 2, lett. c) Convenzione di Strasburgo.

Page 496: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 470

I dati devono essere ottenuti ed elaborati in modo leale e legale. Devono essere registrati per fini determinati, con la conseguenza che l’utilizzo degli stessi debba avvenire compatibilmente con le finalità per cui è stata effettuata la regi-strazione. Lo scopo per cui sono registrati, poi, diventa anche cartina di torna-sole per valutare la loro pertinenza, adeguatezza e non eccessività rispetto al fine indicato. Devono essere, inoltre, esatti ed aggiornati, anche se conservati solo per il limite temporale necessario per realizzare la finalità perseguita e permette-re l’identificazione della persona interessata.

Le informazioni su convinzioni religiose, politiche, origine razziale, abitu-dini sessuali e condizioni di salute, condanne penali, sono escluse da ogni trat-tamento. Sono queste indicazioni qualificate come dati sensibili di cui è vietata l’elaborazione automatizzata. Alla presenza di idonee garanzie ogni Stato può, comunque, adottare un normativa interna che permetta il loro trattamento at-traverso data base56.

La Convenzione di Strarburgo impone regole minime agli Stati aderenti, e lascia quest’ultimi la facoltà di adottare norme d’attuazione maggiormente det-tagliate. I paesi, per questa ragione, sono chiamati anche a prevedere misure di sicurezza che impediscano forme di distruzione e di perdita accidentale dei dati registrati, e che, in ogni caso, impediscano l’accesso e la diffusione non autorizzate degli stessi57.

Qualora le informazioni siano contenute in banche dati, la Convenzione ri-conosce ai titolari di avere contezza sia dell’esistenza, sia dei fini della collezione elettronica, nonché dell’identità, della sede o residenza del responsabile della stessa.

Gli interessati possiedono, anche, il diritto di poter ottenere la correzione, così come la cancellazione dei dati quando questi siano trattati in modo illegit-timo58.

Il riconoscimento dei menzionati diritti implica la facoltà di poter far ricor-so innanzi alle competenti autorità in caso di violazione59.

La Convenzione Dati prevede, altresì, che gli Stati possano comunque at-tenuare sia gli obblighi sia i diritti previsti nell’accordo internazionale. La legge interna del paese aderente, infatti, per ragioni connesse alla sicurezza pubblica, alla sicurezza dello Stato, per interessi monetari, per far fronte alla repressione ———

56 Si veda art. 6 Convenzione di Strasburgo. 57 Crf. art. 7 Convenzione di Strasburgo. 58 Cfr art. 8 Convenzione di Strasburgo. 59 Ancora art. 8, lett. d), Convenzione di Strasburgo.

Page 497: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 471

dei reati e per la protezione dei diritti e delle libertà degli individui può prevede-re deroghe alle previsioni contenute nel Trattato60.

La finalità di armonizzazione delle legislazioni degli paesi aderenti affianca l’intento perseguito dall’Accordo di attuare tra gli stessi uno spazio di libera cir-colazione dei dati. Per tale ragione viene fatto divieto alle legislazioni interne di proibire o sottoporre ad autorizzazione il flusso di informazioni.

La trasmissione di dati personali può essere non consentita, invece, verso paesi terzi, quando questi non prestano idonea garanzia di protezione61.

La Convenzione di Strasburgo è stata recentemente novellata. L’otto no-vembre 2001 è stata aperto alla firma un Protocollo addizionale, entrato in vigo-re il primo luglio 2004. L’Accordo si è arricchito, così, di previsioni che da un lato contengono la possibilità di trasferire dati verso paesi terzi, dall’altro preve-dono l’obbligo di istituire un’Autorità di controllo chiamata ad assicurare il ri-spetto della normativa adottata per l’esecuzione degli impegni provenienti dalla Convenzione stessa.

Questi due ultimi aspetti normati dalla Convenzione attraverso Protocollo aggiuntivo, erano già presenti nella disciplina comunitaria intervenuta nel frat-tempo.

4. — Profili generali del diritto alla riservatezza nell’Unione europea. Come anticipato anche l’Unione europea, pur in tempi più recenti rispetto

al Consiglio d’Europa, è intervenuta espressamente in materia di privacy. L’azione comunitaria ha finito per creare “un sistema normativo e pretorio

relativamente […] completo, perfezionato ed adeguato agli sviluppi tecnologici in materia di tutela della privacy, che ha influenzato positivamente gli ordina-menti giuridici degli Stati membri, di cui alcuni come l’Italia in modo specifico, tramite l’introduzione di istituti che non erano ancora noti o sufficientemente applicati a livello nazionale”62.

L’intervento comunitario si è articolato attraverso fonti differenti. Il Parlamento europeo ed il Consiglio adottano il 24 ottobre del 1995 la di-

——— 60 Cfr. art. 9 Convenzione di Strasburgo. In realtà la presenza di eccezioni che permettano da par-

te dello Stato l’ingerenza nella vita privata degli individui era già contenuta nel secondo comma dell’art. 8 C.E.D.U..

61 Si veda art. 12 Convenzione di Strasburgo. 62 Testualmente sul sistema normativo comunitario M. MIGLIAZZA, op. cit., p. 35.

Page 498: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 472

rettiva n. 95/46/CE63 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento delle informazioni personali e loro libera circolazione.

Il 15 dicembre 1997 viene emanata la direttiva n. 97/66/CE 64 sul tratta-mento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle teleco-municazioni, oggi abrogata dalla n. 2002/58/CE del 12 luglio 200265 relativa al settore delle comunicazioni elettroniche.

Il problema del trattamento dei dati da parte delle istituzioni e degli organi-smi comunitari è invece affrontato dal regolamento n. 45/2001 del 18 dicembre 200066.

La Carta dei diritti, proclamata a Nizza nel dicembre del 2000, riconosce, poi, espressamente la protezione del dato personale come diritto fondamentale della persona.

5. — La direttiva n. 95/46/CE sul trattamento dei dati personali e loro libera circo-

lazione. Senza dar origine ad un sistema rigido di norme che finisse per imbrigliare

l’attività di trattamento dei dati – espressione comunque di sviluppo del merca-to67 – la direttiva n. 95/46/CE persegue la finalità di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, e in specifico quello alla vita privata con ri-guardo al trattamento delle informazioni sulla persona.

La direttiva, mettendo in relazione la tutela della riservatezza quale diritto della personalità con l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei dati personali, conserva l’impostazione della Convenzione di Strasburgo sotto il pro-filo in cui, più che rappresentare uno strumento attributivo di veri e propri dirit-ti della personalità, essa soddisfa l’esigenza di armonizzare nell’ambito del mer-cato unico la libera circolazione dei dati personali – considerati come beni giuri-dici a pieno titolo – in vista di liberalizzarne il flusso intracomunitario per la

——— 63 In G.U.C.E L 281/31 del 23 novembre 1995. 64 In G.U.C.E. L 24/1 del 30 gennaio 1998. Per un commento a questa come alla dir. 95/46/CE

si veda P. PIRODDI, Art. 286 CE, in F. POCAR (a cura di), Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione europea, Padova, 2001, p. 959 ss.

65 In G.U.C.E. L 201 del 31 luglio 2002. 66 In G.U.C.E. L 8/1 del 12 gennaio 2001. 67 Per S. SEMINARA, Privacy e diritti dell’interessato, in Riv. resp. civ e prevv., 1998, p. 885, l’impianto su

cui si regge la normativa comunitaria sono da un lato la disciplina del mercato e dall’altra il potenzia-mento dei diritti della persona.

Page 499: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 473

piena realizzazione del mercato interno68. Il divario nei livelli di tutela dei diritti e delle libertà personali, in particolare

della vita privata, infatti può impedire la trasmissione dei dati stessi fra territori degli Stati membri e tale divario può pertanto costituire un ostacolo all’esercizio di una serie di attività economiche su scala comunitaria, falsare la concorrenza e ostacolare, nell’adempimento dei loro compiti, le amministrazioni che interven-gono nell’applicazione del diritto comunitario69.

Per effetto, quindi, dell’attuazione della direttiva, in forza del ravvicinamen-to delle legislazioni nazionali, “gli Stati membri non potranno più ostacolare la libera circolazione dei dati personali per ragioni inerenti alla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche”70.

La normativa contenuta nella direttiva n. 95/46/CE eredita, pertanto, molti dei principi previsti nella Convenzione di Strasburgo (n. 108) della quale dichia-ra l’intenzione di ampliarne i contenuti.

La fonte comunitaria in esame si applica al trattamento dei dati personali interamente o parzialmente automatizzato, così come al trattamento non auto-matizzato di informazioni contenute o destinate ad archivi71. La Convenzione di Strasburgo (n. 108) è applicabile, invece, alle sole informazioni automatizzate.

Vengono qualificati come dati personali informazioni di qualsiasi natura provenienti da una persona che sia indetificata o identificabile, direttamente o indirettamente, “mediate riferimento ad un numero […] o ad uno o più elemen-ti specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica e culturale”72.

I privati intesi come persone fisiche titolari dei dati sono i destinatari delle garanzie. Ai paesi dell’Unione è rimessa, comunque, la facoltà di estendere la tu-tela alle persone giuridiche73.

Non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva in esame i tratta-menti effettuati da persone fisiche per l’esercizio di attività di carattere esclusi-———

68 Riflette in questi termini P. PIRODDI, op. cit., p. 960. 69 Cfr. Considerando n. 7 dir. n. 95/46/CE. 70 Considerando n. 7 dir. n. 95/46/CE. Rammenta a proposito della funzione dei considerando che

precedono i tesi di diritto derivato comunitario G. BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, Mi-lano, 1997, p. 54, come quest’ultimi pur essendo privi di valore precettivo abbiano un indubbio valore esegetico del testo normativo che precedono.

71 Cfr. art. 3 dir. n. 95/46/CE. 72 Si veda art. 2, lett. a) dir. n. 95/46/CE. 73 Si prevedeva nella direttiva n. 97/66/CE che fossero tutelabili gli interessi della persone giuri-

diche, se parti di un contratto con un soggetto fornitore di servizi di telecomunicazione offerti al pub-blico.

Page 500: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 474

vamente personale o domestico74. A provvedere con apposite normative nei settori esclusi dall’applicazione

saranno chiamati i singoli Stati. La disciplina prevista dalla direttiva n. 95/46/CE si incentra sulla informata

consapevolezza del titolare dei dati, che deve sempre esprimere il proprio con-senso al trattamento75.

L’informazione dell’interessato ha, quindi, un ruolo di particolare impor-tanza nella libera formazione della sua volontà. Diventa per tale ragione un vero e proprio diritto nei confronti del titolare del trattamento76.

L’introduzione del consenso del titolare dei dati assume carattere di assolu-ta novità in relazione al contenuto della Convenzione di Strasburgo (n. 108).

Questa rilevante previsione viene letta come dipendente dal carattere mag-giormente economico della direttiva in esame rispetto alla Convezione europea n. 108 del 1981. La normativa in questione , come anticipato, è infatti “stretta-mente correlata al funzionamento del mercato interno comunitario, per cui la privacy costituisce un diritto disponibile da parte del suo titolare, in funzione di un incremento della diffusione e dell’uso delle moderne tecnologie, intese sia come servizi che come merci”77.

Sarà la normativa interna di ciascun Stato membro che dovrà disporre mi-sure d’attuazione della direttiva in modo che i dati personali siano trattati leci-tamente e siano rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime.

La direttiva in esame chiarisce, poi, per la sua stessa comprensione ed ap-plicazione, il significato da attribuire ad alcune espressioni chiave in essa conte-nute. Specificatamente per trattamento la norma comunitaria intende “qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate ai dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o

——— 74 Così ancora art. 3, par. 2, dir. n. 95/46/CE. 75 Ai sensi dell’art. 2, lett. h) dir. n. 95/46/CE per consenso della persona interessata si intende

“qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata con la quale la persona interessata ac-cetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento”.

76 Nella dir. n. 95/46/CE, la sezione IV, è appositamente dedicata alla modalità d’informazione della persona interessata. Le modalità variano se l’informazione debba avvenire in caso di raccolta dei dati presso la persona interessata (art. 10) o no presso quest’ultima (art. 11). In entrambe i casi comun-que deve essere sempre fornita l’identità del responsabile del trattamento e le finalità per cui questo avviene.

77 In questo senso M. MIGLIAZZA, op. cit., p. 43.

Page 501: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 475

qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione”78.

Le informazioni dovranno, nel tempo, essere sempre trattate in modo compatibile con le finalità per cui sono state inizialmente raccolte. È qualificato come conciliabile con i scopi iniziali il successivo trattamento per fini storici, statistici o scientifici, purché sia prestata idonea garanzia ad opera degli Stati.

Dei dati, poi, deve essere sempre garantita l’esattezza e l’aggiornamento. In applicazione anche in materia di tutela della riservatezza del principio di

trasparenza che ispira molta dell’azione comunitaria (si pensi al diritto d’accesso nei confronti degli atti amministrativi delle istituzioni), la conservazione delle informazioni non deve comunque mai eccedere il tempo necessario per il rag-giungimento delle finalità previste79.

È possibile, in ogni caso, che il trattamento dei dati sia lecito pur prescin-dendo dal consenso dell’interessato.

Al principio della preventiva autorizzazione del titolare dei dati, su cui s’incentra l’intera disciplina, vengono pertanto introdotte una serie di eccezioni. Si può, quindi, operare su dati prescindendo dall’autorizzazione del titolare quando il trattamento sia previsto da un contratto; quando sia necessario per adempiere ad un obbligo facente capo al responsabile dei trattamento stesso; o ancora quando sia essenziale per salvaguardare un interesse pubblico o vitale della persona interessata; oppure per perseguire un interesse legittimo del re-sponsabile del trattamento o di un terzo, nel momento in cui non si incontri il limite del prevalente interesse della persona titolare dei dati80.

In realtà questa previsione ha sollevato non poche perplessità, consentendo un regime di deroghe sicuramente ampio rispetto al principio fondamentale del-la necessità del consenso dell’interessato81.

Categorie particolari di informazioni, concernenti diritti fondamentali della persona, indicate dall’art. 8 della dir. n. 95/46/CE, sono definite dati sensibili; essi ricalcano analoga previsione contenuta nella Convezione di Strasburgo (108). È vietato, pertanto, il trattamento delle notizie che rivelano di una persona l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’ap-partenenza sindacale, nonché quelle relative alla salute e alla vita sessuale.

——— 78 Testualmente la definizione di trattamento contenuta nell’art. 2, lett. b), dir. 95/46/CE. 79 Cfr. art. 6 dir. 95/46/CE, il quale contiene i principi relativi alla qualità dei dati. 80 I principi relativi alla legittimazione al trattamento dei dati sono contenuti nella sez. II, art. 7 dir.

95/46/CE. 81 Così rileva M. SPATTI, op. cit., p. 168.

Page 502: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 476

Il divieto si arresta, però, innanzi al consenso espresso della persona inte-ressata, salvo che la legislazione dello Stato membro preveda che questo non sia sufficiente per derogare al veto imposto. Altre ed ulteriori poi possono essere le eccezioni all’impedimento: il trattamento potrebbe, infatti, essere necessario per assolvere obblighi o diritti del responsabile del trattamento in materia di lavoro; oppure il trattamento riguarda dati resi pubblici in modo manifesto dallo stesso interessato; o è reso indispensabile per salvaguardare l’interesse vitale della per-sona interessata ovvero di un terzo, quando il titolare dei dati sia incapace fisi-camente o giuridicamente di prestare il proprio consenso.

Rispetto a quelle elencate l’articolo in oggetto lascia comunque un discreto margine ad ogni Stato membro di fissare ulteriori eccezioni al principio che vie-ta l’uso di siffatte categorie di dati. Dette deroghe aggiuntive, se adottate, devo-no sempre essere notificate dallo Stato membro alla Commissione.

I soggetti da cui provengono le informazioni sono anche titolari del diritto di poter accedere alla banca-dati per rettificarli.82. Di conseguenza all’interessato è consentito di ottenere dal titolare del trattamento la conferma dell’esistenza o meno di operazioni su informazioni che lo riguardano, così come di avere noti-zie sulle finalità, sulle categorie dei dati trattati e sui destinatari a cui questi ven-gono comunicati.

Ancora, gli interessati possono ottenere la comunicazione intelligibile dei dati che sono oggetto di trattamento, le informazioni disponibili sulla loro origi-ne, la conoscenza logico applicata nei trattamenti automatizzati. Il diritto d’ac-cesso dovrà essere esercitabile liberamente, senza costrizioni, ad intervalli di tempo ragionevoli e senza ritardi o spese eccessive.

Connessa all’esercizio del diritto d’accesso vi è la possibilità di comunicare ai terzi destinatari dei dati l’intervenuta rettifica, cancellazione o congelamento di quest’ultimi.

I responsabili delle operazioni prima di procedere al trattamento sono chiamati alla notifica all’Autorità di controllo83. A fronte di determinate condi-zioni gli Stati membri possono introdurre deroghe a detto obbligo, prevedendo esemplificazioni.

Esiste, disciplinato dalla direttiva in esame, un diritto d’opposizione della persona interessata al trattamento dei propri dati per motivi preminenti e legit-timi derivanti dalla sua situazione, salvo che la normativa nazionale disponga di-versamente. ———

82 Cfr. art. 12 dir. 95/46/CE. 83 Si veda l’art. 18 dir. 95/46/CE.

Page 503: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 477

Parimenti è riconosciuta la facoltà dell’interessato di opporsi gratuitamente, e su richiesta, al trattamento dei dati personali che lo riguardano per impedire l’invio di materiale pubblicitario, così come di essere informato se i propri dati personali vengano trasmessi per la prima volta a terzi per l’inoltro di questo tipo di propaganda. Del diritto di opposizione alla comunicazione dei dati o all’uti-lizzo nel senso indicato, la persona interessata deve essere sempre informata gratuitamente84.

Le garanzie assicurate ai titolari dei dati possono essere, comunque, deroga-te per rispondere alla salvaguardia di interessi pubblici e privati.

La limitazione coincide, per i primi, con la tutela dell’interesse dello Stato, della difesa, della pubblica sicurezza, delle finalità di prevenzione, così come per perseguire infrazioni penali o deontologiche, rilevanti interessi economici o fi-nanziari dello Stato membro, per effettuare compiti di controllo connessi con l’esercizio di pubblici poteri e per finalità di ricerca85.

Le limitazione alle garanzie per la salvaguardia di interessi privati concer-nono, invece, la protezione della stessa persona interessata, l’esercizio del diritto d’espressione dei giornalisti o degli artisti e letterati86, l’interesse preminente del responsabile del trattamento87.

I paesi della Comunità, poi, sono chiamati all’istituzione di Autorità di con-trollo indipendenti con funzioni di sorvegliare, nel territorio, l’applicazione della direttiva.

Le Autorità garanti istituite nei territori nazionali devono essere sempre consultate da parte degli Stati membri al momento dell’elaborazione di misure regolamentari o amministrative in tema di trattamento dei dati. Le Autorità ga-ranti sono dotate di poteri investigativi e di intervento; sono soprattutto destina-tarie di domande di controllo promosse da persone, o da associazioni che le rappresentino, quando ritengano violati i propri diritti88. Il ricorso alle Autorità è anche consentito di fronte alla violazione del diritto d’accesso e di rettifica.

Tale previsione non esclude la facoltà del singolo di rivolgersi, comunque, alle autorità giudiziarie dei rispettivi Stati per la salvaguardia dei propri diritti. L’azione in materia di tutela della persona titolare del trattamento è, infatti, ———

84 Cfr. art. 14 dir. 95/46/CE. 85 Queste deroghe al sistema di garanzia apprestato sono contenute sia nell’art. 13 della dir. 95/46

che nell’art. 14 della dir. 97/66/CE, la quale aggiunge all’elenco sopra riportato anche l’uso non auto-rizzato del sistema di telecomunicazione.

86 Cfr. art. 9 dir. 95/46/CE. 87 Cfr. Art. 16 e 17 dir. 95/46; nonché considernado n. 15 dir. 97/66. 88 Cfr. art. 28 dir. 95/46/CE.

Page 504: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 478

sempre proponibile anche innanzi agli organi giurisdizionali ed amministrativi dei singoli Stati.

Di fronte alla violazione dei diritti derivanti dalla disposizioni della norma-tiva comunitaria e facenti capo al soggetto titolare dei dati ad opera del respon-sabile del trattamento, la direttiva dispone un triplice livello di garanzie. Come detto è prevista la possibilità di ricorre la giudice ordinario, e ciò in maniera in-dipendente dall’eventuale ricorso amministrativo introdotto innanzi all’autorità di controllo89. Sul titolare del trattamento grava sempre l’obbligo di risarcire i danni causati dalla attività condotta in maniera illecita, salvo i casi di eventi a lui non imputabili dovuti ad errore della persona interessata o da forza maggiore90. L’ultima garanzia apprestata consiste nella predisposizione di sanzioni nei con-fronti di chiunque non rispetti norme d’attuazione della direttiva91.

È costituito a livello europeo, poi, un Gruppo di tutela delle persone con riguardo al trattamento dei dati, composto dai rappresentati delle singole autori-tà degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione92. Il Gruppo ha funzione consultiva e compito espresso di fornire parere in ordine sia al livello di protezione dei dati in Europa, sia in merito all’attuazione della normativa comunitaria nei singoli Stati membri.

Naturalmente il riferito documento disciplina le attività di spettanza comuni-taria in forza delle competenze attribuite alla Comunità dagli Stati. Per tale ragione la direttiva n. 95/46/CE esclude espressamente dalla sua applicazione i trattamenti dei dati personali effettuati nell’esercizio di attività non rientranti nel campo d’ap-plicazione del diritto comunitario (si veda i titoli V e VI del Trattato sull’Unione europea), nonché i trattamenti aventi ad oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato, compreso il benessere dello stesso qualora questi siano con-nessi a questioni di sicurezza e attività del paese in materia di diritto penale.

6. — Riservatezza, sicurezza interna ed internazionale. La direttiva n. 46/95/CE, come detto, non trova applicazione in riferimen-

to ad alcuni titoli del trattato istitutivo dell’Unione europea, precisamente il V (disposizione sulla politica estera e sicurezza comune) ed il VI (disposizione sul-la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). ———

89 Si veda art. 22 dir. 95/46/CE. 90 Cfr. art. 23 dir. 95/46/CE. 91 Così art. 24 dir. 95/46/CE 92 Cfr. art. 29 dir. 95/46/CE.

Page 505: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 479

I titoli a cui si fa riferimento sono parte del secondo e terzo pilastro della costruzione europea93. L’Unione, infatti, parallelamente al perseguimento degli scopi della Comunità si è dotata, da un lato, delle strutture necessarie per perse-guire ed attuare una politica estera comune94, e dall’altro si è prefigurata l’obiet-tivo di fornire ai cittadini un elevato livello di sicurezza in uno spazio di libertà e giustizia, di sviluppare tra gli Stati membri un’azione comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, prevenendo e reprimen-do, altresì, anche il razzismo e la xenofobia95.

Gli organismi chiamati ad operare in questi settori, essendo istituiti fuori del Trattato C.E., agiscono attraverso sistemi sottratti alla disciplina comunitaria sulla tutela della riservatezza e della privacy.

In realtà le strutture operanti nel sistema della politica estera e di sicurezza comune, nonché in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, potrebbero essere legittimati, proprio per gli scopi di sicurezza pubblica che essi sono chiamati a perseguire, a porre in essere, nello stesso trattamento dei dati, violazioni delle garanzie poste a tutela del diritto in esame.

Si pensi alle funzioni proprie dell’Ufficio europeo di polizia (Europol), il quale, per previsione contenuta nel trattato di Maastricht96, nell’intento di raf-forzare la cooperazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e le altri auto-rità competenti degli Stati membri è chiamato anche a raccogliere, archiviare, trattare, analizzare e scambiare informazioni pertinenti alla proprie funzioni, compresi dati in possesso ai servizi incaricati dell’applicazione della legge in or-dine a segnalazione di transazioni finanziarie sospette97. Oppure si pensi al Si-stema di Informazione Schengen (SIS), il quale prevede la creazione di un archi-

——— 93 Con la nascita dell’Unione europea il rapporto tra Unione e Comunità viene pertanto rappre-

sentato con la metafora del tempio greco (l’Unione) che si regge su tre pilastri: 1. I trattati Ceca, Cee ed Euratom. 2. La PESC (politica estera di sicurezza comune). 3. La politica di cooperazione in materia di affari interni e giustizia. L’Unione europea è così concepita come un ordinamento giuridico suddiviso al proprio interno in queste tre parti, nelle quali valgono regole diverse: il metodo comunitario per il pri-mo pilastro e una sorta di cooperazione intergovernativa per le materie degli altri due pilastri. I due nuovi pilastri introdotti non sono regolati da competenze comunitarie, ma da competenze intergover-native e cioè mantengono le caratteristiche degli accordi tra Stati. Si veda, comunque, G. MAMMAREL-LA, P. CACACE, Storia e politica dell’unione europea (1926-1997), Bari 1998, p. 232 per cui: “L’immagine dei tre pilastri è ripresa da molti commentatori del Trattato, ma più realistico sarebbe parlare di un edificio solido e ben piantato, anche se ancora costruito a metà, ai lati del quale esistono appena le fondamenta degli altri due, quello della PESC e della CGAI”.

94 Si veda art. 11 T.U.E. 95 Così art. 29 T.U.E. 96 Cfr. art. 30 T.U.E. 97 Si veda artt. 6-8 Convenzione Europol.

Page 506: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 480

vio comune agli Stati aderenti al Trattato Schengen, nel quale saranno conserva-ti dati circa persone ricercate o sorvegliate, relative a scomparsi o a coloro ai quali è vietato l’ingresso nell’area Schengen. O ancora si faccia riferimento al Si-stema di Informazione doganale (SID)98, per cui l’esigenza di archiviazione è prevista al fine di migliorare la cooperazione tra le amministrazioni doganali nel contrasto di traffici illeciti.

Il sistema di tutela dei dati e della riservatezza in questi settori è organizzato in modo diverso rispetto a quello di cui si è dato sopra conto, contemperando l’esigenza di tutela del singolo con quella di sicurezza comune.

Le Convenzioni istitutive delle sopra indicate strutture chiamano comun-que gli Stati aderenti a fornire un sistema di protezione e di tutela dei dati alme-no equivalente a quella ricavabile dalla Convenzione di Strasburgo (n. 108) e quello derivato dalla raccomandazione (15) del Comitato dei Ministri del Consi-glio d’Europa relativa all’uso dei dati di carattere personale da parte dell’autorità di polizia99.

In ogni caso la tutela dei diritti dei singoli sarà garantita dall’art. 6 TUE nonché ad opera delle autorità nazionali competenti in base alle previsioni delle singole normative100.

7. — Il tema specifico della riservatezza in materia di telecomunicazioni. Come già anticipato, nel ‘97 è stata adottata dal Consiglio e dal Parlamento

europeo la direttiva n. 97/66/CE in materia di trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore specifico delle telecomunicazioni. Il con-tenuto della direttiva n. 97/66/CE era integrato dalla n. 95/46/CE in relazione a tutti gli aspetti relativi alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali non di-sciplinati espressamente nella prima.

La normativa menzionata è oggi sostituita dalla direttiva n. 2002/58/CE specificatamente chiamata ad operare nel settore delle comunicazioni elettroni-che. Il settore oggetto di disciplina è sottoposto per sua stessa natura a costante ———

98 Questa è stata adottata con Atto del Consiglio 95/C 316/02 del 26 luglio 1995, che elabora la convenzione sull’uso dell’informatica nel settore doganale, in G.U.C.E. C 316 del 27 novembre 1995.

99 Ossia Racc. R. (87)15 del 17 settembre 1987. 100 Va ricordato come ai sensi della Dichiarazione n. 7, allegata all’Atto finale della Conferenza

intergovernativa di Torino 1996, sull’art. 30 del Trattato dell’Unione Europea così come modificato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, si afferma che ogni attività di polizia, compresa quella di Europol, deve essere soggetta al controllo giurisdizionale da parte della autorità nazionali competenti.

Page 507: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 481

e continua trasformazione si ché il primo intervento comunitario è stato, nella parte di regole specificatamente dedicate alla telecomunicazione, presto supera-to dagli sviluppi del settore stesso.

La direttiva n. 2002/58/CE si applica “al trattamento dei dati personali connesso con la fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico su reti pubbliche di comunicazione”101.

L’attuale disciplina nel settore delle comunicazioni elettroniche riconosce meritevoli di tutela non solo gli interessi delle persone fisiche, ma anche quelli delle persone giuridiche.

Specificatamente è fatto divieto ai terzi di procedere ad intercettazioni, ad ascolti, così come a memorizzazioni di conversazioni effettuate con il telefono o delle informazioni trasmesse via e.mail e che comunque si svolgano con ogni altro mezzo di comunicazione.

L’obbligo di assicurare la riservatezza delle comunicazioni effettuate me-diante rete pubblica incombe sugli Stati.

I dati sul traffico telefonico degli abbonati e degli utenti devono essere can-cellati quando non più necessari, come d’altro canto già previsto più in generale in tema di conservazione dei dati dall’art. 6 della direttiva n. 95/46/CE. Questo significa, in termini più espliciti, che nei casi di fatturazione dettagliata dei con-sumi dell’utente, i dati del traffico telefonico saranno conservati solo fino a quando sia possibile la contestazione della stessa fattura102.

In forza della direttiva in esame è stata attribuita la possibilità per l’u-tente di non mostrare indicazioni circa la linea telefonica da dove si sta ef-fettuando la chiamata, nel contemporaneo riconoscimento al destinatario di respingere le chiamate delle quali non sia possibile identificare la provenien-za103. Gli abbonati, altresì, hanno la facoltà di non figurare negli elenchi te-lefonici104.

L’invio, poi, di messaggi pubblicitari e commerciali non richiesti, il c.d. fenomeno dello spamming, è considerato dalla normativa in oggetto una in-terferenza nella vita privata105. Le disposizioni comunitarie, quindi, disciplina-no l’evento, non certo infrequente soprattutto per i fruitori della rete, dell’in-vio di posta elettronica con contenuti commerciali, possibile solo previo con-

——— 101 Testualmente art. 3, par. 1, dir. n. 2002/58/CE. 102 Cfr. art. 6, par. 1 e 2, dir. n. 2002/58/CE. 103 Cfr. art. 8 dir. n. 2002/58/CE. 104 Previsione contenuta nell’art. 12 dir. n. 2002/58/CE. 105 Così il considerando n. 40 della dir. n. 2002/58/CE.

Page 508: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 482

senso degli interessati (opt-in)106. 8. — La specifica normativa per le istituzioni comunitarie in materia di rispetto della

privacy. Il regolamento n. 45/2001107 disciplina il rapporto delle persone fisiche nei

confronti delle istituzioni comunitarie. La normativa in esame si applica al trattamento di dati personali da parte di

tutte le istituzioni e di tutti gli organismi europei nella misura in cui detto trat-tamento avviene nell’esercizio di attività che rientrano, in tutto o in parte, nel campo di applicazione del diritto comunitario108.

Il regolamento si applica al trattamento di informazioni personali intera-mente o parzialmente automatizzato, nonché al trattamento effettuato manual-mente di dati contenuti o destinati a figurare negli archivi109.

Come anticipato tale fonte comunitaria trova nell’art. 286 T.C.E. il proprio fondamento giuridico.

La previsione di una normativa in tema di rispetto della privacy e trattamen-to dei dati, anche ad opera delle istituzioni comunitarie, fonda la sua ragione d’esistenza sull’esigenza di garantire contemporaneamente tanto l'effettivo ri-spetto delle norme relative alla tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, quanto la libera circolazione dei dati personali tra gli Stati mem-bri, le istituzioni o organismi comunitari; nonché fra quest’ultimi e stesse le isti-tuzioni110.

I principi di cui alla direttiva n. 95/46/CE sono, comunque, orientanti la lettura delle disposizioni contenute nel regolamento in oggetto, affinché sia ga-rantita su tutto il territorio della Comunità l’applicazione coerente ed omogenea delle norme relative alla tutela della libertà e dei diritti fondamentali delle perso-

——— 106 Il fenomeno dello spamming è disciplinato dall’art. 13 della dir. n. 2002/58/CE. Non è consenti-

to il così detto opt-out, ossia l’invio di posta elettronica commerciale fino a che l’utente non comunichi di non volerne ricevere

107 Cfr Regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati, in G.U.C.E. L 8/1 del 12 gennaio 2001.

108 Così considerando n. 14 del reg. 45/2001. 109 Cfr art. 3 reg. n. 45/2001. 110 Si legga il considerando n. 13 del reg. 45/2001.

Page 509: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 483

ne fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali111. Fatta eccezione per alcuni articoli il cui contenuto è dettato in maniera pe-

culiare in riferimento allo specifico campo d’applicazione, il regolamento in e-same ricalca sostanzialmente il contenuto della direttiva n. 95/46/CE. Quest’i-dentità si rintraccia per esempio nella disciplina relativa al trattamento delle in-formazioni, a quella della liceità dello stesso, alla modalità con cui si può operare sui dati sensibili, alla disciplina circa il diritto all’informazione degli interessati, all’esercizio del diritto d’accesso, di rettifica, di blocco dei dati, così come in te-ma di cancellazione e notificazione a terzi e relativamente al sistema dell’opposi-zione.

Peculiare è, invece, la disciplina dell’utilizzo dei dati per scopi diversi rispet-to a quelli per cui sono stati inizialmente raccolti. Al contrario di quanto stabili-to dalla dir. n. 95/46/CE, il mutamento d’impiego è possibile soltanto se il cambiamento di finalità è espressamente autorizzato dalla regolamentazione in-terna dell’istituzione o dell’organismo comunitario.

Il trattamento dei dati c.d. sensibili è possibile, poi, anche quando espres-samente autorizzato dal Garante europeo. Ed è questa un’ipotesi ulteriore ri-spetto a quelle già stabilite nella direttiva n. 95/46/CE.

In caso di trasferimento di dati personali fra istituzioni ed organismi comu-nitari, o al loro stesso interno, si deve nel rispetto della normativa sulla privacy e nessuna informazione può circolare in violazione di dette previsioni. Vengono previste a tal fine la figura del responsabile del trattamento dei dati e del respon-sabile della protezione di quest’ultimi, nominato da ogni istituzione e organismo comunitario112.

La normativa in esame istituisce un’autorità indipendente di controllo, il Garante europeo della protezione dei dati113. La disciplina concernete il Garante europeo per molte sue parti è comune a quella prevista per le autorità nazionali di controllo istituite ai sensi della dir. n. 95/46/CE114. A questo è attribuita la funzione di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle per-sone fisiche, e primariamente del diritto alla vita privata in ordine al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, attraver-———

111 Ancora un considerando del reg. 45/2001, il n. 12. 112 Cfr. art. 24 reg. 45/2001. 113 Si vedano gli artt. 41 ss reg. 45/2001. 114 Per una analisi sulla disciplina relativa al Garante europeo sul trattamento dei dati, nello speci-

fico, e più in generale sulle autorità indipendenti si veda M.F. MERAVIGLIA, Autorità garanti nel settore dell’informazione e della comunicazione, in Diritto alla riservatezza e trattamento dei dati personali, in N. PARISI, D. RINOLDI (a cura di), Profili di diritto europeo dell’informazione e della comunicazione, Napoli, 2004, p. 162.

Page 510: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 484

so l’applicazione sia del reg. n. 45/2001, nonché di qualsiasi altro atto comunita-rio relativo alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche. La fonte comunitaria in esame attribuisce poi al Garante poteri d’indagine e di decisione115, così come la facoltà di intervenire nelle cause davanti alla Corte di Giustizia116 e di promuovere ricorso innanzi a quest’ultima117 in casi stabiliti dal regolamento stesso.

La normativa comunitaria, poi, individua alcune tipologie di informazioni sottoposte al controllo preventivo del Garante europeo per la protezione dei da-ti. Per natura, oggetto o finalità possono, infatti, presentare rischi specifici per i diritti e le libertà degli interessati in primis i trattamenti di dati relativi alla salute e quelli relativi a sospetti, infrazioni, condanne penali o misure di sicurezza; quin-di le operazioni destinate a valutare elementi della personalità degli interessati inclusi aspetti quali capacità, efficienza e comportamento; nonché i trattamenti che consentono interconnessioni tra dati trattati per finalità diverse e non previ-ste dalla normativa nazionale o comunitaria; ed infine i trattamenti volti ad e-scludere taluno dal beneficio di un diritto, di una prestazione o dalla conclusio-ne di un contratto118.

Di estrema importanza è la previsione contenuta nell’art. 19 del regolamen-to n. 45/2001.

Di fronte a decisioni individuali assunte dalle istituzioni comunitarie ed a-dottate sulla scorta di un trattamento automatizzato di dati valutante aspetti per-sonali come il rendimento professionale, l'affidabilità o il comportamento del destinatario, quest’ultimo ha la facoltà di sottrarsi alla loro attuazione, se i prov-vedimenti producono effetti giuridici o abbiano effetti significativi nei suoi con-fronti. Siffatte decisioni possono comunque essere espressamente autorizzate dalla normativa nazionale o comunitaria o, se necessario, dal Garante europeo della protezione dei dati, e comunque anche qualora la decisione di una istitu-zione comunitaria sia assunta nei modi sopra ricordati, deve essere sempre pre-visto il ricorso a misure comunque volte a salvaguardare i legittimi interessi del destinatario, ad esempio facendo in modo che questi possa esprimere a riguardo il proprio parere. L’illustrata modalità potrà divenire di uso frequente in materia di visti e di asilo, così come in tema di immigrazione. Infatti, il sistema automa-tizzato chiamato Eurodac prevede la formazione di una banca centrale informa-———

115 Si veda art. 47, lett. a-g), reg. 45/2001. 116 Art. 47, lett. i), reg. 45/2001. 117 Art. 47, lett. h), reg. 45/2001. 118 Si veda art. 27, reg. 45/2001.

Page 511: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 485

tizzata che tratti i dati relativi alle impronte digitali di coloro che avanzano richie-sta d’asilo, o di persone fermate per attraversamento irregolare delle frontiere119.

In realtà, l’esigenza di affermare anche nei confronti delle istituzioni un si-stema di tutela nel trattamento dei dati personali diventa rilevante in forza della costante intensificazione dei rapporti individuali con le stesse. Si pensi al sistema del diritto d’accesso agli atti comunitari di cui all’art. 255 TCE, così come a rela-zioni più profondamente capaci di incidere sui diritti e nelle libertà individuali come le decisioni di materia di concorrenza o in tema di concessione dei fondi.

9. — Il trasferimento dei dati personali ai paesi terzi. In particolare: flussi di dati pro-

venienti dalla Comunità e clausole contrattuali tipo. In un’economia globalizzata come quella contemporanea, la finalità di ga-

rantire un alto ed efficace livello di sicurezza nel trattamento dei dati personali non può essere assicurata all’interno dello spazio europeo e parimenti non per-seguita nei rapporti, soprattutto commerciali ed imprenditoriali, con i paesi terzi.

La consapevolezza che “lo sviluppo degli scambi internazionali comporta necessariamente il trasferimento oltre frontiera di dati personali”120, ha condotto la Comunità a predisporre a tal fine adeguate misure di garanzia. La mancanza di una previsione normativa che non trattasse l’aspetto del flusso dei dati verso paesi terzi avrebbe finito, infatti, per vanificare anche gli effetti del sistema in materia di privacy presente all’interno dell’area geografica europea.

“I sistemi di trattamento dei dati sono al servizio dell’uomo” pertanto “essi, indipendentemente dalla nazionalità o dalla residenza delle persone fisiche, deb-bono rispettare le libertà e i diritti fondamentali delle stesse”121. Per tale ragione la Comunità permette il trasferimento dei dati personali solo nei confronti di paesi terzi che garantiscano un livello adeguato di protezione. Rimane vietata, quindi, la circolazione di flussi di dati personali nei confronti di Stati non in gra-do di offrire idoneo livello di tutela.

La direttiva n. 95/46/CE impone di valutare il livello di adeguatezza della protezione apprestata da parte del paese terzo destinatario del flusso di infor-

——— 119 Così il regolamento n. 2725/2000. Il sistema Eurodac è stato istituito nell’ambito della politica

comune in materia di asilo per determinare lo Stato membro eventualmente competente ad esaminare domanda d’asilo presentata dallo straniero non comunitario.

120 Cfr. Considerando n. 56, dir. n. 95/46/CE. 121 Si veda il Considerando n. 2, dir. n. 95/46/CE.

Page 512: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 486

mazioni, ed individua i criteri attraverso i quali compiere detta comparazione. L’esistenza di un sufficiente livello di protezione andrà misurato “con riguardo a tutte le circostanze relative ad un trasferimento o ad una categoria di trasferi-menti di dati”122. Saranno, quindi, indici di valutazione “la natura … [delle in-formazioni], le finalità del o dei trattamenti previsti, il paese di origine e il paese di destinazione finale, le norme di diritto, generali o settoriali, vigenti nel paese terzo di cui trattasi, nonché le regole professionali e le misure di sicurezza ivi osservate”123.

Gli Stati membri e la Commissione, in ogni caso, sono chiamati a comuni-carsi vicendevolmente quando un paese terzo non sia in grado di garantire, in relazione ai criteri sopra indicati, un livello di protezione adeguato. Se la Com-missione costati124 poi, attraverso l’ausilio di un comitato composto dai rappre-sentanti degli Stati membri, che un paese esterno alla Comunità non offra un livello di protezione sufficiente, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per impedire ogni trasferimento di dati – della stessa natura – verso la nazione in questione. La Commissione potrà anche avviare con il paese terzo negoziati diretti a porre rimedio alla situazione risultante dalla constatazione125.

In considerazione della legislazione nazionale, degli impegni internazionali ed in particolare di quelli assunti in seguito a negoziati condotti con la stessa Comunità, la Commissione può, al contrario, valutare126 che un paese terzo of-fra sufficienti garanzie circa il livello di protezione dei dati, offrendo adeguata tutela alla vita privata, alle libertà ed ai diritti fondamentali della persona127.

In ogni caso, la Comunità non esclude che flussi di dati personali possano essere diretti verso un paese terzo anche nell’ipotesi in cui questo non fornisca sufficienti garanzie sul sistema di tutela. La presenza di una norma comunitaria che censurasse totalmente questa possibilità, infatti, avrebbe potuto essere non compatibile con l’attuale assetto degli scambi internazionali.

La direttiva in esame, quindi, individua le condizioni in cui questo trasferi-mento è ammissibile128.

In primis il passaggio di dati può avvenire nel momento in cui la persona in-

——— 122 Cfr. art. 25 dir. n. 95/46/CE. 123 Sempre art. 25, par. 2, dir. n. 95/46/CE. 124 La procedura di constatazione è disciplinata dall’art. 31, par. 2, Dir. n. 95/46/CE. 125 Ancora art. 25, par. 4, dir. n. 95/46/CE. 126 La procedura di constatazione è la stessa richiamata nella nota 26. 127 Anche in questo caso gli Stati membri adotteranno le misure necessarie per conformarsi alla

decisione della Commissione. 128 Si veda art. 26, par. 1, dir. n. 95/46/CE.

Page 513: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 487

teressata abbia manifestato in maniera inequivocabile il proprio consenso al tra-sferimento previsto, e quest’ultimo sia necessario per l’esecuzione di un contrat-to, o di misure contrattuali, tra la persona interessata ed il responsabile del trat-tamento. Il trasferimento, poi, potrebbe essere necessario per la stipula o l’ese-cuzione di un contratto corrente tra il responsabile del trattamento ed un terzo, negozio concluso, o comunque da concludere, nell’interesse della persona titola-re dei dati. Altra ipotesi prevista è riconducibile alla possibilità che il trasferi-mento sia prescritto dalla legge sia al fine di salvaguardare un interesse pubblico rilevante, sia per costatare, esercitare o difendere un diritto innanzi alle autorità giudiziarie.

La salvaguardia di un interesse vitale del titolare dei dati è altra situazione riconosciuta dalla direttiva n. 46/95/CE come capace di autorizzare il flusso di dati verso paesi non in grado di offrire un adeguato livello di tutela. In ultimo la normativa comunitaria fa riferimento alla possibilità che le informazioni oggetto di trasferimento provengano da un pubblico registro il quale, in forza di dispo-sizioni legislative o regolamentari, sia predisposto per l’informazione e sia aper-to alla pubblica consultazione, o comunque all’interrogazione da parte di chiun-que possa dimostrare un legittimo interesse. Rimane ferma la necessità di rispet-tare le condizioni che la legge prevede per la consultazione.

In ogni caso uno Stato membro può autorizzare il trasferimento, o una ca-tegoria di trasferimenti, di dati verso un paese terzo che non garantisca un livel-lo di protezione adeguato, qualora il responsabile del trattamento presenti ga-ranzie sufficienti per la tutela della vita privata e dei diritti e delle libertà fonda-mentali delle persone, nonché per l'esercizio dei diritti connessi129. Dette garan-zie possono risultare da clausole contrattuali, sottoposte alla preventiva appro-vazione da parte delle autorità nazionali (art. 26, par. 2, dir. 95/46/CE).

La stessa Commissione ai sensi dell’art. 26, par. 4, dir. 46/95/CE può pre-disporre130 clausole contrattuali tipo, come ulteriore strumento attraverso il qua-le procedere al trasferimento di dati verso paesi terzi con un livello di sicurezza non corrispondente agli standard di protezione richiesti dall’Unione.

L’obiettivo principale delle clausole contrattuali tipo è quello di facilitare i ———

129 Ancora art. 26, § 2, dir. n. 95/46/CE. 130 Il procedimento per la redazione di clausole contrattuali tipo dirette al trasferimento di dati

personali verso paesi esterni alla Comunità vede coinvolta la Comunità, un comitato composto dai rappresentanti degli Stati membri (art. 31, § 2, dir. 46/95/CE) ed un gruppo di lavoro sulla protezione dei dati personali, istituito ai sensi dell’art. 29 della dir. cit., con carattere consultivo ed indipendente. Le proposte per la redazione delle clausole possono provenire dai rappresentanti dell’imprese, come le camere di commercio internazionali.

Page 514: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 488

flussi di dati provenienti dalla Comunità, nel rispetto dei principi enunciati dalla direttiva, attraverso la fissazione di un unico insieme di norme di protezione dei dati che i responsabili del trattamento possono impiegare su scala mondiale. In mancanza di una normativa internazionale in materia, le clausole contrattuali ti-po costituiscono uno strumento estremamente utile allorché dati personali sono trasferiti al fuori dell’Unione europea in paesi che non garantiscono un adeguato livello di protezione131.

Le clausole contrattuali tipo fondano un sistema a carattere volontario, e costituiscono un insieme unico di norme per la protezione di dati da poter uti-lizzare su scala internazionale. Esse sono, allora, una delle possibilità previste dalla normativa comunitaria attraverso la quale procedere al trasferimento legale dei dati personali in paesi terzi con standard di tutela non adeguati.

Già nel 2001 e nel 2002 la Commissione ha provveduto all’emanazione di due decisioni – la n. 2001/497/CE132 e n. 2002/16/CE 133 – contenenti una prima elaborazione di clausole contrattuali tipo.

Va ricordato primariamente come la previsione di clausole contrattuali tipo – ad opera delle decisioni indicate – non incide sulle autorizzazioni nazionali che gli Stati membri possono concedere in forza di disposizioni adottate in at-tuazione dell'articolo 26, § 2, della direttiva 95/46/CE.

La loro predisposizione implica semplicemente che gli Stati membri rico-noscono come garanzie sufficienti al trasferimento di dati le clausole contrattuali predisposte delle indicate decisioni comunitarie. Esse comunque non sono ido-nee a produrre alcun effetto su clausole contrattuali di altra natura.

Le clausole preposte rispondono all’esigenza di tutela tracciata dalla diretti-va n. 46/95/CE.

In questo senso i dati personali oggetto di trasferimento devono essere ri-levanti e rispondenti a finalità determinate, esplicite e legittime.

Successivamente alla acquisizione, i dati non potranno essere utilizzati per scopi incompatibili con la finalità del conseguimento iniziale. Deve essere per-tanto sempre fornita alle persone interessate corretta informazione degli scopi per cui si compie la raccolta, così come indicata l’identità del soggetto responsa-bile del trattamento. È essenziale che ai titolari dei dati sia garantito diritto

——— 131 Testualmente a riguardo delle clausole contrattuali tipo, E. BIGI, La Commissione europea ap-

prova un nuovo set di clausole contrattuali tipo per il trasferimento di dati personali verso i paesi terzi, in Contratti, 2005, p. 311.

132 Cfr. decisione della Commissione del 15 giugno 2001, in G.U.C.E. L 181 del 4 luglio 2001, 19. 133 Cfr. decisione della Commissione del 27 dicembre 2001, in G.U.C.E. L 6, del 10 gennaio 2002, 52.

Page 515: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 489

d’accesso, con facoltà di cancellare e modificare le informazioni ritenute non corrette o incomplete.

L’utilizzo delle clausole contrattuali tipo deve comunque sempre assicurare idonea tutela giurisdizionale alle persone interessate, le quali “devono poter agi-re in giudizio, anche ai fini del risarcimento dei danni, nei confronti dell'esporta-tore che è il responsabile del trattamento dei dati personali trasferiti. Eccezio-nalmente le persone interessate dai dati devono potere agire in giudizio nei con-fronti dell'importatore, anche ai fini del risarcimento dei danni, […] qualora l’esportatore sia scomparso di fatto, abbia giuridicamente cessato di esistere o sia divenuto insolvente”134.

Le organizzazioni imprenditoriali sono state con sicurezza le prime utilizza-trici di dette clausole135. L’acquisizione nel tempo di una notevole esperienza de-rivante dall’impiego di queste formule negli scambi internazionali ha maturato l’esigenza, nelle stesse organizzazioni imprenditoriali, di offrire e predisporre un sistema di clausole contrattuali alternativo a quelle presenti nelle decisioni n. 2001/497/CE e n. 2002/16/CE.

La Commissione, accogliendo la richiesta degli operatori del settore, ha introdotto per il trasferimento di dati personali a paesi terzi un insieme al-ternativo di clausole, novellando la decisione n. 2001/497/CE con la n. 2004/915/CE.

Le clausole contrattuali tipo proposte dalle associazioni imprenditoriali ed accolte nella decisione in ultimo citata hanno lo scopo di rafforzare l’uso di clausole tra gli operatori, ad esempio rendendo flessibili i requisiti in materia di verifica o precisando le norme che disciplinano il diritto di accesso136.

Con quest’ultima modifica gli esportatori di dati nella Comunità e gli im-portatori di dati in paesi terzi avrebbero la facoltà di optare per uno degli insiemi di clausole contrattuali tipo (quelle presenti già nelle decisioni n. 2001/497/CE e n. 2002/16/CE o quelle introdotte con la decisione n. 2004/915/CE) o sceglie-re un altro fondamento giuridico per il trasferimento di dati tra quelli previsti dalla dir. n. 46/95/CE e sopra illustrati.

Tuttavia agli esportatori, dal momento che ciascun gruppo [di clausole] co-———

134 Così il Considerando n. 16 della decisione n. 2002/16/CE . 135 E precisamente Camera di Commercio Internazionale (ICC), Japan Business Council in

Europe (JBCE), European Information and Communications Technology Association (EICTA), EU Committee of the American Chamber of Commerce in Belgium (Amcham), Confederation of British Industry (CBI), International Communication Round Table (ICRT) e Federation of European Direct Marketing Associations (FEDMA).

136 Così Considerando n. 4 della decisione 2004/915/CE.

Page 516: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 490

stituisce un insieme coerente, non deve essere riconosciuta la possibilità di mo-dificarle totalmente o parzialmente né di combinarle in alcun modo137.

L’ultimo sistema di clausole contrattuali elaborato dall’esperienza ha intro-dotto modifiche al precedente soprattutto dal punto di vista della responsabilità degli operatori. L’esportatore e l’importatore di dati rispondono agli interessati per la violazione degli obblighi contrattuali, seppur nei limiti del danno realmen-te sofferto, sostituendo, così, al criterio della responsabilità solidale, previsto dalla decisione n. 2001/497/CE, un regime di responsabilità basato sugli obbli-ghi di normale diligenza.

L’esportatore è inoltre responsabile se non compie sforzi ragionevoli al fine di determinare se l’importatore è in grado di rispettare i suoi obblighi giuridici derivati dalle clausole (culpa in eligendo) 138. L’interessato ha pertanto la possibilità di avviare a questo titolo azioni contro l’esportatore di dati.

Per esercitare tale controllo è riconosciuta la possibilità all’esportatore di effettuare verifiche degli impianti dell’importatore di dati o di esigere prove che dimostrino la disponibilità di risorse finanziarie sufficienti per far fronte alle sue eventuali responsabilità.

Quanto all’esercizio dei diritti del terzo beneficiario da parte degli interessa-ti, si prevede un maggior coinvolgimento dell’esportatore di dati nella risoluzio-ne dei reclami degli interessati, essendo l’esportatore obbligato a mettersi in contatto con l’importatore, e se necessario ad eseguire il contratto entro il ter-mine normale di un mese. Se l’esportatore di dati rifiuta di eseguire il contratto e persiste il mancato rispetto degli obblighi da parte dell’importatore, l’interessato potrà invocare le clausole contro l’importatore di dati ed infine avviare un’azio-ne dinnanzi ai tribunali di uno Stato membro. Questa accettazione della giuri-sdizione e l’accordo di conformarsi alla decisione di un tribunale o di un’autorità di protezione di dati competenti non reca pregiudizio agli eventuali diritti pro-cessuali degli importatori di dati stabiliti in paesi terzi, ad esempio in materia di appello139.

A fianco al sistema delle clausole contrattuali tipo, alle quali possono aderi-re imprese non europee che intendano effettuare trattamenti di informazioni provenienti dall’Europa, è stato elaborato un metodo ad hoc per garantire il commercio dei dati con gli Stati Uniti d’America. Gli U.S.A., infatti, possiedono un sistema di tutela diverso da quello di cui si è dotata l’Unione europea. Per ta-———

137 Si veda ancora il Considerando n. 3 della decisione 2004/915/CE. 138 Si legga il Considerando n. 5 della decisione 2004/915/CE. 139 Cfr Considerando n. 6 della decisione 2004/915/CE.

Page 517: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 491

le ragione per evitare difficoltà nei rapporti commerciali transoceanici è stato negoziato dalla Commissione europea con rappresentati USA un sistema di principi, il Safe Harbor , al quale possono aderire le imprese americane che inten-dano utilizzare dati provenienti dai paesi dell’Unione.

Gli eventi del 11 settembre 2001, poi, hanno chiamato la Commissione eu-ropea e gli Stati Uniti ad un ulteriore confronto. Infatti, in seguito ai tragici at-tentati il governo americano ha varato una normativa diretta ai vettori di aeri i quali sono obbligati, entrando nel territorio statunitense, alla trasmissione dei dati personali dei passeggeri. Detta previsione, seppur comprensibile sul piano della sicurezza interna di quel paese, dall’altra poteva costituire una violazione sistematica del diritto alla riservatezza dei passeggeri europei, così come tutelato dall’ordinamento comunitario. Questo ha chiamato la Commissione a costatare, con decisione n. 2004/535 del 14 maggio 2004, l’adeguatezza del livello di pro-tezione dei dati offerto dalla normativa americana. Il Gruppo di tutela delle per-sone con riguardo al trattamento dei dati140, invece, ad oggi considera il sistema predisposto dagli Stati Uniti come non in grado di offrire sufficienti garanzie al-la protezione dei dati personali dei passeggeri provenienti dai paesi europei.

10. — Il diritto alla riservatezza nella Carta europea dei Diritti fondamentali. A Nizza il 7 dicembre del 2000 viene proclamata la Carta dei diritti fonda-

mentali dell’Unione europea, tappa di assoluta importanza nello sviluppo del cammino iniziato a Parigi nel 1954. I Trattati istitutivi delle Comunità mancava-no, infatti, di disposizioni che contenessero l’esplicita enunciazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

Nel tempo, all’interno di un progressivo percorso d’integrazione che ha af-francato sempre più il progetto europeo dalla sola ed iniziale dimensione eco-nomica, si è avvertita la necessità di compiere un’affermazione formale dei diritti fondamentali dell’uomo all’interno dell’Unione.

Alla Carta è stata, pertanto, affidato un compito ricognitivo e compilatorio dei diritti civili, politici, economici e sociali radicati in Europa in quanto già af-fermati dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali di ciascun paese membro, nonché riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e da quella europea dei diritti dell’Uomo.

——— 140 Si vedano i pareri n. 2/2004 del 20 gennaio 2004 e n. 6/2006 del 22 giugno 2004.

Page 518: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 492

Il catalogo dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quindi, non è un prodotto autonomo, ma affonda le radici della sua stessa esistenza nei citati rife-rimenti.

Raccogliendo la tradizione giurisprudenziale e normativa precedente la sua proclamazione, la Carta, quindi, nel suo articolo 8 riconosce espressamente il dirit-to dell’individuo alla protezione dei dati di carattere personale, confermando l’impor-tanza che gli Stati membri dell’Unione attribuiscono alla tutela della privacy.

L’articolo 7 della stessa si occupa, invece, del rispetto della vita privata e della vita familiare.

La Carta dei diritti, come noto, non viene inserita all’interno del Trattato di Nizza, rimanendo così proclamata dal punto di vista politico, ma non dotata di adeguata efficacia giuridica precettiva.

Questo limite non ha impedito comunque a quest’ultima di influenzare ampliamente lo sviluppo del sistema normativo comunitario e dei singoli Stati nazionali141.

Pur potendo in queste pagine solo accennare all’esistenza di una complessa riflessione intorno al valore dalla Carta dei diritti e alla sua natura, si faranno proprie alcune delle conclusioni di questo dibattito per sottolineare il significato, anche sul piano del diritto interno, della scelta fatta dalla Carta di inserire, a fianco al diritto del rispetto alla vita privata, l’autonomo diritto della persona di veder protetti i dati di carattere personale.

Se è pur vero che il catalogo in esame non ha di per sé una portata giuridi-camente vincolante, lo stesso è oggetto di costante richiamo nei propri atti da parte delle istituzioni comunitarie, ma soprattutto, come dentro ad in un effetto circolare, esso è oggetto di massiccio e stabile riferimento nella propria attività giurisprudenziale da parte della Corte di giustizia europea e del Tribunale di primo grado.

Il constante richiamo della Carta ad opera soprattutto della giurisprudenza comunitaria non può non avere riflessi anche sul piano dei diritti nazionali, e quindi sull’ordinamento giuridico italiano.

——— 141 Si veda L.S. ROSSI, La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione dell’ordinamento UE, in

Quaderni costituzionali, 2002, p. 565 ss. Oggi il valore della Carta è comunque rafforzato. Infatti il Tratta-to che istituisce una costituzione per l’Europa ha incorporato al suo interno la Carta dei diritti. Pur co-noscendo le attuali disavventure della Costituzione europea – non ratificata da tutti gli Stati membri – la scelta di inserire nel testo del Trattato le disposizioni della Carta è stato salutato come una delle sue novità più rilevanti, in ragione dell’accostamento che si determina con la struttura delle Costituzioni degli Stati membri. Tutte le Carte Costituzioni dei Paesi membri dell’Unione europea, infatti, dedicano una loro parte alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.

Page 519: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 493

Alla Carta è riconosciuta, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, una valenza interpretativa dei diritti fondamentali quali principi comuni degli ordi-namenti europei142. “Inevitabilmente l’applicazione sempre più stabile da parte degli organi e dei giudici comunitari comporta la stabilizzazione della Carta dei diritti quale fonte di origine giurisprudenziale come tale applicabile anche negli stati membri, anche in forza dell’orientamento della nostra corte costituziona-le”143.

Essa è pertanto strumento di esegesi delle tradizioni costituzionali comuni ai paesi europei, sia per i giudici della Corte di Giustizia che per gli stessi giudici nazionali chiamati ad applicare il diritto interno144.

Se così è anche la tutela della privacy sul piano del diritto interno riceve un impulso importante in forza della sua espressa inclusione nella Carta dei diritti. In questi termini “non soltanto non si potrà più dubitare della … valenza … [della privacy quale] interesse costituzionalmente garantito – salvo poi eventual-mente a disquisire della fonte di tale garanzia: gli artt. 2,13, 15 o l’art. 14 Cost. – ma neppure dell’ampiezza degli aspetti tutelati riconducibili ora al diritto alla ri-servatezza, ora al diritto alla protezione dei dati di carattere personale che ri-guardano l’individuo”145.

11. — Il codice della privacy. L’attuazione in Italia della normativa europea. L’esigenza di protezione dei dati personali ha assunto anche nell’ordinamento

——— 142 Così M.V. FERRONI, E. MARCHISIO, La giurisprudenza sul valore normativo della Carta dei diritti, in

Quaderni costituzionali, 2002, p. 676, ove si specifica: “Alla luce della giurisprudenza, la Carta non sembra avere valore normativo ulteriore rispetto a quello delle norme vigenti a fondamento dei diritti in essa richiamati. Tuttavia, il riconoscimento come ‘ fondamentale ’ di un diritto da parte della Carta sembra anche avere, nel diritto europeo efficacia di riconoscimento e gerarchizzazione di tale diritto nell’ordinamento giuridico comunitario, ‘al più alto rango dei valori comuni degli stati membri ’. Ne consegue che i diritti previsti nella carta abbiano bensì un contenuto sostanzialmente corrispondente a quello previsto dalle norme altrimenti vigenti, ma che il loro richiamo in quella sede sarebbe altresì i-doneo ad attribuire ai diritti in essa elencati una qualità che deve guidare la loro interpretazione (…). Tale funzione ‘ interpetrativa ’acquista rilevanza particolare nell’ottica di quanti ritengono la Carta ab-bia riconosciuto ‘seppur timidamente ’ nuovi diritti”.

143 Sul punto A. CELOTTO, Carta dei diritti fondamentali e costituzione italiana: verso il Trattato costituzio-nale europeo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

144 La Corte costituzionale, già da tempo con sentenza ha qualificato come direttamente applicabili e prevalenti sul diritto interno anche le statuizioni contenute nelle pronunce giurisdizionali delle Corti comunitarie Si vedano le sentenza Corte cost. n. 113/1985, in Giur. it., 1986, I, 1, p. 28, e Id. n. 389/89, in Corr. giur., 1989, p. 1058.

145 Testualmente E. VARANI, op. cit., p. 1773.

Page 520: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 494

giuridico italiano un’importanza crescente parallelamente al recepimento della normativa comunitaria, innestatasi sulla storica elaborazione dottrinale e giuri-sprudenziale del diritto alla riservatezza.

Come più volte ricordato “all’approccio tradizionale della privacy, come di-ritto all’intimità della vita privata, al riserbo, all’identità personale, si è con il pas-sare degli anni affiancata un’altra dimensione della … [stessa] connessa agli abu-si nella raccolta e nella utilizzazione delle informazioni da parte delle c.d. ‘ban-che dati’ … In pratica la privacy si arricchisce e si proietta ben al di là della mera sfera del riserbo, perché nella sfera privata rientrano tutte quelle azioni, opinio-ni, preferenze, informazioni personali su cui il soggetto intende mantenere un controllo esclusivo”146.

Non è mancato chi abbia sottolineato come dalla elaborazione della dottrina e giurisprudenza italiana sia derivata una nozione di riservatezza che in realtà deb-ba essere “distinta dalla privacy, che negli ordinamenti anglosassoni corrisponde all’intera gamma delle libertà individuali e non solo a quello che viene comune-mente detto diritto a essere lasciato solo”147, sul presupposto che nel nostro ordi-namento “possono rilevarsi violazioni dell’intimità della vita privata senza lesione della riservatezza: ad esempio varie forme di disturbo della pace domestica”148.

In ogni caso, nella presa d’atto dell’esistenza di nuove forme di aggressione alla riservatezza che potevano servirsi anche delle potenzialità dei sistemi infor-matici, viene riconosciuto il diritto a mantenere il controllo sulle proprie infor-mazioni attraverso la predisposizione di una normativa che introducesse pre-supposti e limiti al fenomeno della gestione del trattamento dei dati.

La prima organica disciplina italiana in materia di tutela della privacy, ri-spetto al trattamento dei dati personali, è offerta dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675149.

——— 146 Così F. BASILICA, Il difficile percorso della formalizzazione giuridica dei diritti della personalità c.d atipici,

in Riv. dir. civ., II, 2005, p. 694, anche per una lucida ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che ha accompagnato nell’ ordinamento giuridico italiano il consolidarsi del diritto all’identità personale.

147 Fa rilevare F. TUFARELLI, La tutela dell’interessato nel diritto alla riservatezza dei dati personali: conferme e novità presenti nel codice della privacy, in Dir. e form., 2005, p. 394.

148 Così A. CATRICALÀ, L’esame di diritto civile, Rimini, 2000, p. 250. 149 La l. 31 dicembre 1996, n. 675, Tutela delle persone e degli altri soggetti rispetto al trattamento dei dati

personali, è stata abrogata dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, in G.U. del 29 luglio 2003, modificato con d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, conv. in l. 26 febbraio 2004, n. 45, Conversione in legge del d.l. 24 dicembre 2003 n. 354, recante Disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per l’amministrazione di giustizia, in G.U. 27 febbraio 2004, n. 48. Per una lettura non benevola sulla legge n. 675/1996, in quanto considerata non capace di tradurre lo spiri-to della direttiva n. 95/46/CE, G. CAPECCHI, I nuovi profili di responsabilità penale e civile alla luce della disci-

Page 521: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 495

Successivamente il primo gennaio del 2004 è entrato in vigore il d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 – il c.d codice della privacy – che ha completato l’impianto normativo delineato dalla legge del 1996, allineandolo maggiormente alla disci-plina comunitaria che lo ha ispirato, nonché apportandovi le correzioni desunte dall’esperienza della sua stessa applicazione.

Il codice150 compie un’opera di razionalizzazione della normativa italiana in tema di protezione dei dati personali 151. Ad esso, comunque, non si è attribuita una funzione meramente ricognitiva. Attraverso il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 si è provveduto all’introduzione di disposizioni normative di coordinamento e con carattere innovativo sì da far qualificare detto intervento quale nuova fonte giuridica in materia152.

La disciplina novellata attraverso il codice “va decisamente oltre alla tutela della riservatezza (comunque la si voglia definire), poiché si riferisce a dati per-sonali relativi anche a comportamenti in luoghi pubblici od aperti al pubblico (ad es. si pensi a larga parte della video-sorveglianza) o a dati personali comun-que spesso già conferiti o raccolti, rispetto ai quali si opera per ridurne la circo-lazione o la diffusione non voluta dall’interessato o estranea al vincolo in base al quale il dato è stato conferito (la raccolta di molti dati, specie sul versante pub-blico, è infatti obbligatoria o comunque è voluta dall’interessato per conseguire servizi o prestazioni da parte di soggetti pubblici o privati)”153.

——— plina italiana in materia di trattamento dei dati personali, in U. DRAETTA, N. PARISI (a cura di), Trasparenza, riservatezza, impresa, Torino, 2001, p. 151 ss.

150 Si veda sulla opportunità di qualificare il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 come “co-dice”, S. RODOTÀ, Tra diritti fondamentali ed elasticità della normativa: il nuovo codice sulla prinvay, in Europa e dir. priv., 2004, p. 1: “Codice è parola storicamente forte e, per questa sua capacità evocativa, assai appe-tita per designare questa o quella impresa di regolazione giuridica. A questo fascino non si è sottratto il legislatore italiano […]. Viene così abbandonata la fraseologia tradizionale che parlava di «testi unici», evidentemente ritenuta minimalista e burocratica, non in grado di conferire alla nuova impresa la forza di annuncio impressa appunto nella parola «codice»”.

151 Il d.lgs. n. 196/2003 compendia, infatti, la legge fondativa in materia di protezione dei dati per-sonali n. 675/1996, nonché ben dieci decreti legislativi succedutesi nel tempo e recanti disposizioni integrative e/o correttive dell’indicata legge, varie disposizioni a riguardo sparse nel sistema normativo italiano, tenendo conto altresì anche dei risultati raggiunti dal Garante per la protezione dei dati negli anni di attività di quest’ultimo.

152 Afferma S. RODOTÀ, op. ult. cit., p 2, che il Codice in materia di privacy “tiene ampliamente conto anche del lavoro svolto nei sei anni precedenti dal Garante per la protezione dei dati personali in sede di applicazione della prima legge italiana in materia (legge 31-12-1996, n. 675). Rappresenta il pri-mo tentativo su scala internazionale, di riordino generale di una materia complessa e, soprattutto, stra-ordinariamente mobile”.

153 Così U. DE SIERVO, La tutela dei dati personali e riservatezza, in Diritti nuove tecnologie trasformazioni sociali – Scritti in onore di Paolo Barile, Padova, 2003, p. 152.

Page 522: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 496

Alla luce del processo normativo che ha attraversato l’Unione europea e la comunità internazionale, il nuovo diritto alla privacy emerge come fattispecie com-plessa anche all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Il diritto alla riserva-tezza, quello all’identità personale, così come il diritto alla protezione dei dati personali, ne sono singole componenti costituzionalmente garantite154.

Strutturalmente155 il codice della privacy è articolato in tre parti, di cui la prima dedicata alle disposizioni di carattere generale, applicabili indistintamente a tutti i tipi di trattamento salvo speciali deroghe. Una seconda parte prevede disposizioni particolari per trattamenti specifici; introduce cioè distinta normati-va relativamente al trattamento dei dati che avviene in ambito giudiziario, da parte delle forze di polizia, nel settore della difesa e sicurezza dello Stato, nel campo pubblico o sanitario, in materia di istruzione, o per scopi storici, statistici o scientifici; in ambito di lavoro e previdenza sociale, in ambiente bancario, fi-nanziario ed assicurativo, nel campo delle comunicazioni elettroniche, libere professioni e investigazioni private, nel settore del giornalismo, espressione let-teraria ed artistica.

Un’ultima articolazione del decreto legislativo in esame è dedicata alla tute-la apprestata all’interessato ed al conseguente sistema sanzionatorio.

L’art. 1 del Codice riproduce sostanzialmente l’art. 8 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea: “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati

——— 154 Si veda E. VARANI, op. cit., p. 1773, la quale compie un percorso nel diritto interno per vagliare

se è riconoscibile alla protezione dei dati personali lo status di nuovo diritto di rango e valore costitu-zionale. Diverse sono le ipotesi prospettabili, secondo l’autrice: “in senso negativo, potrebbe invero argomentarsi che l’inclusione tra i diritti inviolabili dell’uomo proclamata dalla Corte costituzionale è riferita al diritto alla riservatezza concepito come diritto al riserbo sulle vicende personali prive di rile-vanza sociale, mentre analoghe conferme non si hanno per il «diritto alla protezione dei dati a carattere personale»; laddove la considerazione di quest’ultimo, in quanto enunciato in sede comunitaria e inter-nazionale, appare a prima vista francamente eccessiva, o comunque, da sottoporre ad attenta verifica. Dall’altro, e nella direzione opposta, potrebbe viceversa deporre la possibilità di interpretare in senso evolutivo le norme costituzionali sì da giungere per questa via a ritenere che il diritto alla riservatezza vada inteso a seguito dei più recenti sviluppi tecnologici, come diritto alla privacy, comprensivo del profilo della protezione dei dati di carattere personale. Ancora e nella prospettiva, diversa dalla prece-dente, della alterità delle due predette situazioni giuridiche soggettive […] nella direzione dell’eleva-zione del «diritto alla protezione dei dati di carattere personale» a nuovo diritto di rango costituzionale, a fianco al diritto alla riservatezza, sia pure a reciproco completamento nell’ambito della nozione di privacy, possono trarsi dall’analisi delle caratteristiche essenziali delle fonti comunitarie da cui la fatti-specie nasce, e dagli effetti da esse spiegate sul riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali di un uomo”.

155 Afferma F. BASILICA, op. cit., p. 698: “la tecnica legislativa utilizzata è quella delle c.d. leggi di-zionario, mutuate dall’esperienza anglosassone ed acquisita anche nelle direttive comunitarie, caratte-rizzate, nell’ottica della semplificazione, da una dettagliato sistema di definizioni (art. 4) volto a garanti-re a qualunque cittadino l’immediata comprensione dei precetti normativi”.

Page 523: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 497

personali che lo riguardano”. Il riferimento quasi letterale alla Carta sembra ave-re l’effetto di voler mutuare della stessa i medesimi canoni interpretativi.

La Carta è espressione come ricordato di importanti diritti affermatesi, così come rafforzatosi, “alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici” 156 – si pensi al contenuto dell’art. 3 della Carta in tema di bioetica. “Il suo trasferimento nel sistema italiano produce una chiarissima innovazione legislativa, che rende non più proponibili le interpreta-zioni riduttive del significato e della portata della protezione dei dati personali avanzate, sia pure con argomenti sostanzialmente deboli, con riferimento alla legge n. 675/1996”157.

Il rimando espresso a suddetta matrice comunitaria, attraverso l’art. 1 e l’art. 2 del Codice, introduce esplicitamente il diritto alla protezione dei dati nel-la dimensione unitaria dei diritti fondamentali: “il […] testo unico […] garanti-sce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare rife-rimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”158.

In forza della qualificazione compiuta dalla nuova legge l’oggetto della ga-ran-zia è il trattamento dei dati. Il diritto alla protezione dei dati individua, allo-ra, una delle dimensioni della personalità: “il rispetto del diritto alla protezione dei dati personali si configura come una precondizione per il pieno godimento di altri diritti fondamentali; e, dall’altra, impone una ricostruzione dei singoli di-ritti fondamentali nel nuovo contesto sociale disegnato dalle tecnologie dell’in-formazione e della comunicazione”159.

L’art. 3 del codice sancisce, poi, un principio di necessità nel trattamento dei dati, per ridurre al minimo l’utilizzo di informazioni personali ed identifica-tive. Quando, cioè, le finalità perseguite dalla raccolta possono essere altrimenti realizzate mediante dati anonimi o sistemi che permettano l’identificazione dell’interessato solo in caso di necessità, allora il trattamento deve essere esclu-so, o comunque ridotto al minimo.

——— 156 Così Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 157 Testualmente ancora S. RODOTÀ, op. ult. cit., p. 3. 158 Cfr. art. 2, 1° comma, Codice della privacy. 159 Ancora S. RODOTÀ, op. ult. cit., p. 4, il quale ricorda che: “per esemplificare, la logica della pre-

condizione era già ben visibile, ad esempio, nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300), dove il divieto per il datore di lavoro di raccogliere informazioni sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore non è finalizzato alla tutela della sua riservatezza, ma al rispetto del principio di eguaglianza ed alla effettività dei diritti di libertà dei lavoratori.

Page 524: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 498

Il principio di necessità integra e completa quello di pertinenza e non ecce-denza di cui all’art. 11160. I dati personali devono, quindi, essere trattati in modo lecito e secondo correttezza. Devono essere, poi, sempre raccolti e registrati per scopi legittimi, espliciti, determinati ed utilizzati compatibilmente con le finalità indicate.

Il mancato rispetto di dette formalità ha come conseguenza l’inutilizza-bilità. Ai dati non trattati regolarmente si toglie quindi “ogni possibilità di pro-durre effetti giuridici”161.

La definizione di trattamento, così come di ogni altra espressione rilevante per l’applicazione del codice, è contenuta nell’art. 4.

La stessa Corte di Cassazione ha tracciato, comunque, l’ampiezza del si-gnificato di trattamento affermando che consta nell’attività attraverso la quale si compiono operazioni su dati per cui dal “loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio, … [possono ricavarsi] ul-teriori informazioni e quindi, un ‘valore aggiunto informativo’, non estraibile dai soli dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità del-l’interessato (ai sensi degli artt. 3, primo comma, prima parte, e 3 della Costi-tuzione), valore sommo a cui è ispirata la legislazione sul trattamento dei dati personali”162.

L’art. 5 specifica, poi, che il codice disciplina il trattamento dell’informa-zioni sulla persona anche detenute all’estero ed “effettuato da chiunque è stabili-to nel territorio dello Stato o in luogo comunque soggetto alla [sua]sovranità”, così come il “trattamento di dati personali effettuato da chiunque è stabilito nel territorio di un paese non appartenente all’Unione europea, … [ ma che ] im-piega, per il trattamento, strumenti situati nel territorio dello Stato anche diversi da quelli elettronici, salvo che essi siano utilizzati solo ai fini di transito nel terri-torio dell’Unione europea”.

Il trattamento di informazioni da parte di una persona fisica per scopi e-sclusivamente personali non è sottoposto alla disciplina del codice, fuorché i da-ti non siano destinati ad una comunicazione sistematica ed alla diffusione. In ogni caso anche a questi soggetti si applicano le norme previste nel codice in tema di responsabilità e sicurezza.

——— 160 Detto principio era già stato introdotto dalla l. n. 675/96. 161 Sul punto così si esprime G. SANTANIELLO, Le nuove garanzie nell’era del diritto alla protezione dei

dati personali, 2004, in www.garanteprivacy.it. 162 Così Cass. 25 giugno 2004, n. 11864, in Dir. e Giust., n. 36, 2004, p. 44.

Page 525: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - RISERVATEZZA E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI 499

Come già la l. n. 675/96 anche l’attuale normativa prevede codici di deon-tologia e di buona condotta163.

Al Garante viene attribuito il potere di promuovere, all’interno di categorie d’interesse, l’adozione e la sottoscrizione di codici deontologici e di buona con-dotta. Detta previsione è stata letta come capace di rispondere dinamicamente all’esigenza di adattare con rapidità una disciplina di settore ai cambiamenti tec-nologici che possono investire la materia. Il codice deontologico è per sua stessa natura strumento flessibile, come tale in grado di dotarsi progressivamente di idonea regolamentazione. Dinamica costruzione a rete di norme che si contrap-pone a quella verticistica o a piramide della produzione tradizionale164.

L’attuale legge, poi, regola in maniera più dettagliata di quanto facesse la norma-tiva previgente il trattamento dei dati personali da parte degli soggetti pubblici.

Nel trattamento dei dati il soggetto pubblico osserva i presupposti ed i limiti stabiliti dal codice, e ad esclusione degli esercenti le attività sanitarie e gli organismi sanitari pubblici, i soggetti pubblici non devono richiedere il consenso dell’inte-ressato165. I soggetti pubblici sono così autorizzati a trattare tutti i dati funzionali allo svolgimento delle proprie attività istituzionali, ivi compresi, dunque i dati sensibili, pur in stretta aderenza al principio di necessità e di pertinenza.

In base alla disciplina contenuta negli artt. 20 e 22 della normativa, comun-que, il trattamento di tali dati da parte dei soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da apposita previsione di legge con cui si identifichino i specifici dati che possono essere trattati, i tipi di operazioni che su di essi possono essere ese-guiti, le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite. Quest’ultime sono dal decreto legislativo in esame tipicizzate166, così come dettagliate sono le condi-zioni e i limiti in cui può compiersi il trattamento dei dati sensibili. Si considera-no rilevanti finalità di interesse pubblico la tutela alla salute, i rapporti con gli enti di culto, l’applicazione della disciplina in materia di elettorato e di diritti po-litici, la concessione di benefici economici, l’attività di istruzione e formazione, la gestione dei rapporti di lavoro.

Alla presenza di eventuali lacune legislative ed in mancanza di una legge che autorizzi il trattamento, è attribuita la possibilità al soggetto pubblico inte-ressato di avanzare richiesta al Garante di individuare attività per cui il tratta-mento dei dati sensibili possa considerarsi autorizzato. ———

163 Cfr art. 12 d.lgs. n. 196/2003. 164 Si esprime in questi termini a riguardo ancora G. SANTANIELLO, op. loc. cit. 165 Così art. 18, d.lgs. n. 196/2003. 166 Si vedano gli artt. 64 ss., d.lgs. n. 196/2003.

Page 526: Diritto privato del mercato

PERTE IV — IL DIRITTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 500

Come anticipato la terza parte del codice è dedicata alle azioni esperibili dal privato per la tutela dei propri diritti.

Il sistema ricalca il precedente predisposto dalla l. n. 675/96 con la previ-sione di una sostanziale alternatività dell’azione diretta alla pretesa violazione dei diritti di accesso ai dati, così come di cancellazione, blocco, rettifica e integra-zione. Tutela da promuovere davanti al Garante167 ed innanzi al Giudice ordina-rio168; naturalmente è disposta l’impossibilità di introdurre, di fronte a que-st’ultimo, la stessa azione eventualmente già pendente davanti al Garante e vice-versa169, correggendo così una non spiegata disparità prevista dalla precedente normativa che prevedeva solo l’improponibilità dell’azione al Garante se la que-stione già pendeva innanzi al giudice ordinario.

——— 167 Cfr. art. 141 ss., d.lgs. n. 196/2003: (Forme di tutela) “1. L’interessato può rivolgersi al Garan-

te: a) mediante reclamo circostanziato nei modi previsti dall’articolo 142, per rappresentare una viola-zione della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali; b) mediante segnalazione, se non è possibile presentare un reclamo circostanziato ai sensi della lettera a), al fine di sollecitare un controllo da parte del Garante sulla disciplina medesima; c) mediante ricorso, se intende far valere gli specifici diritti di cui all’articolo 7 secondo le modalità e per conseguire gli effetti previsti nella sezione III del presente capo”.

168 Cfr art. 152 (Autorità giudiziaria ordinaria) “1. Tutte le controversie che riguardano, comun-que, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria”.

169 Cfr art. 145 (Ricorsi): “1. I diritti di cui all’articolo 7 possono essere fatti valere dinanzi all’autorità giudiziaria o con ricorso al Garante. 2. Il ricorso al Garante non può essere proposto se, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, è stata già adita l’autorità giudiziaria. 3. La presentazione del ricorso al Garante rende improponibile un’ulteriore domanda dinanzi all’autorità giudiziaria tra le stesse parti e per il medesi-mo oggetto”. Prevede, infatti, l’art. 7 (Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti) 1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non an-cora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. 2. L’interessato ha diritto di ottenere l’indicazione: a) dell’origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificati-vi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2; e) dei sog-getti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati. 3. L’interessato ha diritto di ottenere: a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o com-porta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. 4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguar-dano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.

Page 527: Diritto privato del mercato

PARTE V

GLI STRUMENTI NEGOZIALI PER LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO

Page 528: Diritto privato del mercato
Page 529: Diritto privato del mercato

CAPITOLO PRIMO

LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La cartolarizzazione dei crediti classica (True Sale Securitisa-tion). — 3. La cartolarizzazione sintetica (Synthetic Securitisation). — 4. La Whole Business Se-curitisation. — 5. La cartolarizzazione di immobili (Real Estate Securitisation). — 6. Le obbli-gazioni bancarie garantite (Pfandbriefe, Covered Bonds).

1. — Premessa. Il termine “cartolarizzazione”1, nella sua accezione più ampia, indica il

procedimento di trasformazione di determinate attività in titoli. Lo scopo principale di tali operazioni finanziarie è, nella maggior parte dei casi, quello di ottenere un finanziamento. Le operazioni di cartolarizzazione sono manifestazioni del fenomeno di disintermediazione2 e rivestono grande importanza nella realtà dei mercati, essendo diventate uno dei principali strumenti di finanziamento delle grandi imprese.

2. — La cartolarizzazione dei crediti classica (True Sale Securitisation)3. Il tipo principale delle operazioni di cartolarizzazione è la cosiddetta true sa-

le securitisation4, ossia la cartolarizzazione dei crediti nella sua configurazione clas-sica. Si tratta di una tecnica e non di un istituto giuridico (in estrema sintesi si po-

——— 1 Derivante da chărtula, il diminutivo di chărta: la carta, il foglio. 2 Tradizionalmente, le banche agiscono come intermediari tra i debitori, che ricevono un prestito,

e gli investitori, che lo concedono. Nelle operazioni di cartolarizzazione, invece, il beneficiario del cre-dito si finanzia direttamente nei mercati di capitali. Il rapporto di credito tra i debitori e gli investitori si costituisce direttamente senza coinvolgimento delle banche (“cutting out the middlemen“). La tradizionale attività creditizia viene, quindi, progressivamente sostituita da finanziamenti attraverso titoli.

3 Bibliografia selezionata di approfondimento: ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA (a cura di), La cartolarizzazione dei crediti in Italia, Roma, 1999; P. BONTEMPI, G. SCAGLIARINI, La securitization, Milano, 1999; L. CAROTA, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002; M. DAMILANO, La securitisation dei crediti, Torino, 2000; D. GALLETTI, G. GUERRIERI, La cartolarizzazione dei crediti, Bologna, 2002; G. GIANNOTTI, La cartolarizzazione dei crediti: rischi e regolamentazione, Milano, 2004; R. PARDOLESI, (a cura di), La cartolarizzazione dei crediti in Italia, Milano, 1999; C. PORZIO (a cura di), Securitization e crediti in soffe-

Page 530: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 504

trebbe descriverla come “solo” una serie di contratti). La true sale securitisation è stata sviluppata negli anni ‘70 negli USA per poi diffondersi a livello internazio-nale, progressivamente sviluppandosi. L’operazione è di una complessità note-vole, coinvolgendo una grande quantità di soggetti e richiedendo vari passaggi. La sua struttura fondamentale può essere sintetizzata nel modo seguente.

Il punto di partenza è una persona fisica o giuridica, qui denominata origina-tor, che è titolare di un portafoglio di crediti. Può trattarsi ad esempio di una banca titolare di crediti nei confronti dei suoi mutuatari, di un’impresa titolare di crediti nei confronti dei suoi clienti per beni forniti o servizi prestati, o anche di uno Stato titolare di crediti di natura tributaria nei confronti dei suoi cittadini. Tali crediti generano mezzi finanziari solo periodicamente o comunque in tempi differiti (una banca ad es. ogni mese riceve dai suoi mutuatari le rate di capitale ed interessi dei mutui concessi). In altre parole, il capitale non è esigibile e non è a disposizione qualora l’originator necessiti di un ampio finanziamento immediato. Invece di ricorrere a un mutuo o a espedienti simili (che sono delle fonti di fi-nanziamento costose) per ottenere la liquidità desiderata, l’originator procede a un’operazione di cartolarizzazione dei suoi crediti. A tal fine, egli individua in blocco un portafoglio di crediti, di solito di alta qualità (cioè a basso rischio di insolvenza), e li cede ad uno special purpose vehicle (SPV), costituito in Italia nor-malmente da una società veicolo (special purpose company).5 In contropartita, l’orginator ottiene dallo SPV immediatamente mezzi liquidi dell’ammontare del valore dei crediti meno le spese di strutturazione, con conseguente “monetizza-zione” di tali crediti. Lo SPV rifinanzia l’acquisto dei crediti emettendo titoli. Con i crediti (assets) vengono garantiti (backed) i titoli (securities), il che significa che i pagamenti dei debitori ceduti sono destinati esclusivamente alla soddisfa-zione del capitale e degli interessi risultanti dai titoli (i quali ultimi vengono quindi denominati asset backed securities o ABS).

——— renza, Roma, 2001; F. REALI, I contratti di credit risk monitoring, Perugia, 2005, p. 205 ss.; V. TROIANO, Le operazioni di cartolarizzazione, Padova, 2003; particolarmente utile appaiono anche gli studi di lingua anglosassone di cui vedansi, per tutti, F. FABOZZI, M. CHOUDHRY (a cura di), The Handbook of European Structured Financial Products, New Jersey, 2004, p. 1 ss.; C.A. HILL, Securitization: a Low-Cost Sweetener for Lemons, in 74 Washington University Law Quarterly (1996), p. 1061 ss.; L.T. KENDALL, M.J. FISHMAN, A Primer on Securitization, 3° ed., London, 1998; S.L. SCHWARCZ, The Alchemy of Asset Securitization, in 1 Stanford Journal of Law, Business & Finance (1994), p. 133 ss.; inoltre in lingua tedesca sul diritto tedesco e italiano: R. ARLT, True Sale Securitisation, tesi di dottorato Univ. Amburgo, in corso di stampa.

4 Esistono due varianti ortografiche del termine: “securitization” è quella US-americana, “securitisa-tion”, la più usata a livello internazionale, è quella inglese.

5 In altri ordinamenti si utilizza come SPV anche un trust (ad es. negli USA o nel Giappone) o un fondo (Francia: il fonds commun de créances, Spagna: i due tipi di fondos de titulización).

Page 531: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 505

Lo SPV deve essere bankruptcy remote (escluso dal rischio di insolvenza) sot-to due punti di vista: esso deve essere insensibile all’eventuale insolvenza dell’originator6 e deve essere strutturato in modo tale da rendere altamente im-probabile la propria insolvenza7. Per permettere agli investitori la valutazione del rischio di credito, i titoli solitamente ottengono almeno una valutazione del me-rito del credito (il cosiddetto rating) da parte di una agenzia di rating. Per miglio-rare il profilo di rischio degli ABS (e quindi per ridurre il tasso d’interesse da pa-gare agli investitori) s’implementano tutta una serie di meccanismi di garanzia (il cosiddetto credit enhancement) che possono suddividersi in (i) garanzie prestate dall’originator, (ii) meccanismi esterni di copertura8 e (iii) meccanismi interni di copertura9, oltre a delle linee di credito (liquidity facilities).

Il risultato complessivo dell’operazione è che gli investitori si assumono so-lo il rischio connesso ai crediti selezionati (di alta qualità ed ulteriormente mi-gliorati nel profilo di rischio) e non si assumono i rischi c.dd. operativi essen-zialmente connessi all’attività di gestione dell’originator, per cui chiedono un tas-so d’interesse inferiore di quello che chiederebbero per un mutuo concesso all’originator o per obbligazioni emesse dallo stesso.

Le strutture della true sale securitisation possono suddividersi in due classi.

A) Nei cosiddetti term deals (o one-off securitisations) lo SPV viene costituito da e per uno specifico originator e per una specifica operazione, e viene dissolto do-po il pagamento dei titoli. I titoli hanno normalmente una lunga durata fino a 30 anni (bonds) e vengono emessi di differenti tranches. I term deals hanno il vantaggio della loro “cucitura su misura”, ma, a causa degli alti costi di strutturazione, so-no economicamente convenienti solo a partire da un cospicuo volume del por-tafoglio cartolarizzato (circa € 100-300 milioni).

——— 6 A tal fine innanzitutto è necessario che la cessione dei crediti avvenga pro soluto, cioè con il pieno

trasferimento del rischio in capo allo SPV, perché altrimenti la vendita potrebbe essere qualificata co-me mutuo garantito, con la conseguenza che nell’eventuale fallimento dell’originator, lo SPV (e quindi gli investitori) sarebbero solo creditori privilegiati e non creditori separatisti (che hanno diritto alla restituzione dei loro beni detenuti dal fallito e di conseguenza non sono parti della procedura falli-mentare).

7 A tal fine è necessario che lo SPV non svolga alcuna attività di impresa (limited purpose concept), non abbia dipendenti e non possa entrare in rapporti contrattuali al di fuori dell’operazione di cartolarizzazione.

8 I meccanismi esterni, di cui in questa sede si possono solo indicare i termini tecnici senza ulte-riori spiegazioni, sono: le garanzie assicurative (financial guaranty insurances, FGIs), le letters of credit (LOCs), i cash collateral accounts (CCAs), le lettere di patronage e le pool insurances.

9 I meccanismi interni di copertura sono delle tecniche di strutturazione denominate overcollaterali-sation, cash reserve account, excess spread account, subordinazione e early amortisation triggers.

Page 532: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 506

B) Nei cosiddetti multi-seller conduits, invece, vari originators utilizzano insie-me una struttura esistente e risparmiano così sui costi di strutturazione, renden-do un’operazione di cartolarizzazione conveniente già a partire da un volume del portafoglio di circa € 5-20 milioni. Lo SPV, il conduit, solitamente emette ti-toli a breve termine (i cosiddetti asset backed commercial papers/ABCP).

Una true sale securitisation comporta tutta una serie di vantaggi per l’originator, di cui i principali sono i seguenti.

• L’originator ottiene subito mezzi liquidi, “monetizzando” i crediti. La li-quidità può essere impiegata in vario modo, ad esempio per compiere nuovi in-vestimenti o per ridurre l’indebitamento.

• L’originator ottiene un finanziamento ad un tasso d’interesse inferiore ri-spetto a quello di altri mezzi finanziamento.

• Il finanziamento avviene con neutralità di bilancio (off-balance sheet). Mentre un mutuo o l’emissione diretta di obbligazioni risultano – con tutti gli effetti negativi – al passivo del bilancio, nella true sale securitisation avviene sola-mente una sostituzione di attività (sostituendo il denaro ai crediti) senza incre-mentare le passività.

• L’originator sfrutta un’ulteriore fonte di finanziamento, il che può dimo-strarsi particolarmente utile quando le altre possibilità sono esaurite, o anche so-lo per il fatto che tale opzione conferisca all’originator maggiore indipendenza nelle proprie scelte finanziarie.

• L’originator si libera dai rischi inerenti ai crediti, trasferendoli sui mercati di capitali. Tale aspetto è particolarmente vantaggioso per gli intermediari ban-cari e finanziari soggetti alle regole di vigilanza prudenziale poste dall’Accordo di Basilea 2, il quale impone di tenere certe quantità di capitale di fronte a de-terminate esposizioni di rischio. Liberandosi dai rischi di credito, l’originator libe-ra il capitale in precedenza vincolato.

Sebbene la true sale securitisation sia una tecnica che, in quanto tale, può ten-denzialmente essere applicata in quasi tutti gli ordinamenti giuridici (compor-tando eventualmente solo dei costi aggiuntivi dovuti all’“aggiramento” degli o-stacoli legislativi di un dato sistema), l’ordinamento giuridico italiano, con la leg-ge 130/199910, ha emanato una disciplina specifica per facilitarne l’attuazione. La normativa (i) prevede la possibilità di creare società veicolo con patrimoni

——— 10 Legge 30 aprile 1999, n. 130, pubblicata nella G.U. 14 maggio 1999, n. 111 – “Disposizioni sulla

cartolarizzazione dei crediti”.

Page 533: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 507

separati, (ii) facilita la cessione dei crediti e ne garantisce l’efficacia con specifi-che disposizioni sull’opponibilità della cessione e sulla revocatoria fallimentare, (iii) facilità l’emissione dei titoli, e (iv) prevede disposizioni fiscali e di bilancio favorevoli.

3. — La cartolarizzazione sintetica (Synthetic Securitisation)11. La cartolarizzazione sintetica (synthetic securitisation) costituisce una combina-

zione della cartolarizzazione classica con i derivati di credito12 sviluppata alla fi-ne degli anni ‘90. Al contrario della cartolarizzazione true sale, nelle operazioni sintetiche l’originator non cede determinati crediti selezionati, ma trasferisce in capo allo SPV solo il rischio di credito.

Il trasferimento avviene solitamente con credit default swaps o con credit linked notes. Il credit default swap (CDS) rappresenta la forma più semplice di un derivato di credito. Si tratta di un contratto tramite il quale un soggetto detto protection seller (letteralmente venditore di protezione) s’impegna a pagare al protection buyer (letteralmente compratore di protezione) una determinata somma di denaro qualora in un patrimonio di riferimento richiamato dal contratto si verifichi una perdita. Il protection seller, a seguito del pagamento da lui effettuato al protection bu-yer, acquista da quest’ultimo l’attività “sofferente” (ad. es. contratto o titolo di credito), il suo attuale valore di mercato o una somma fissa di denaro previa-mente stabilita nel contratto di CDS, oltre al compenso per il tempo in cui si è tenuto a disposizione a scopo di garanzia. Come controprestazione il protection buyer paga un premio che è o periodico o da versare in un’unica soluzione. Giu-ridicamente il CDS è da qualificare come un’opzione: il protection seller concede al protection buyer dietro corrispettivo il diritto irrevocabile di effettuare un “put” del-

——— 11 Bibliografia selezionata di approfondimento: A. FABBRI, Le synthetic securitization: struttura, caratte-

ristiche economiche e logiche di valutazione, in Bancaria, I, 2001, p. 54 ss.; ID., Le synthetic securitization: un con-fronto con le operazioni classiche, in Bancaria, III, 2001, p. 53 ss.; E. ANGELINI, La synthetic securitization: una valida simbiosi tra derivati di credito e cartolarizzazione, in Bancaria, IV, 2003, p. 52 ss.; inoltre: I. BELL, P. DAWSON, Synthetic Securitization: Use of Derivative Technology for Credit Transfer, in 12 Duke Journal of Com-parative & International Law (2002), p. 541 ss.; C.A. HILL, The Future of Synthetic Securitization. A Comment on Bell & Dawson, ivi, p. 563 ss.; B. STERN, Synthetic Securitization. A Comment on Bell & Dawson, ivi, p. 567 ss.

12 Un derivato di credito è un contratto in cui l’obbligazione di una parte dipende dal verificarsi di un determinato evento creditizio (normalmente una perdita) in un altro rapporto contrattuale. Di con-seguenza, una parte (il c.d. protection buyer), trasferisce il rischio di un determinato rapporto di credito sull’altra parte (il c.d. protection seller), senza modificare o novare il rapporto di credito originario.

Page 534: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 508

le perdite di credito, ossia il diritto di trasferirle al protection seller ottenendo un indennizzo, quando le condizioni dell’opzione si sono verificate.

La credit linked note (CLN) costituisce un titolo di debito e quindi un deriva-to di credito cartolarizzato. La sua funzione principale è quella di “rispecchiare” un altro titolo di debito, che per comodità denominiamo titolo di riferimento, per cui il suo impiego si presta in particolare qualora l’attività di riferimento – ad esempio per divieti legislativi – non possa essere acquistata da determinati inve-stitori o non possa essere trasferita. Il protection seller acquista la CLN e ottiene in cambio lo stesso tasso d’interesse di quello del titolo di riferimento nonché, alla scadenza, la stessa somma di capitale. Quando in relazione al credito incorpora-to nel titolo di riferimento si verifica una determinata perdita, egli perde il diritto al pagamento integrale del capitale e degli interessi, ricevendo invece il valore attuale del titolo di riferimento (cash settlement) o – se consentito dalla normativa – il titolo stesso (physical settlement).

In entrambe le situazioni sopra richiamate concernenti la cartolarizzazione sintetica, lo SPV reperisce i fondi necessari per la copertura del rischio, a sua volta (nel primo caso) contraendo credit default swaps con gli investitori o (nel se-condo caso) emettendo credit linked notes nei mercati di capitali. I titoli vengono emessi in differenti tranches e migliorati, nel loro profilo di rischio, con diversi meccanismi di copertura13.

Le cartolarizzazioni sintetiche sono lo strumento adatto qualora l’obiettivo primario dell’originator sia quello di liberarsi da determinati rischi di credito, oppure quando ostacoli legislativi impediscono l’efficace attuazione della true sale securitisation.

La strutturazione presenta una complessità minore rispetto alla cartolariz-zazione true sale. Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste alcuna disciplina specifica al riguardo, per cui le cartolarizzazioni sintetiche devono essere strut-turate in base ai principi generali.

4. — La Whole Business Securitisation14. La whole business securitisation (WBS) costituisce una tecnica di cartolarizza-

——— 13 I meccanismi di credit enhancement sono l’investimento dei fondi ottenuti dagli investitori in titoli

di alta qualità e alcune tecniche di strutturazione denominate margin call, hedging agreement, overcollateralisa-tion e acceleration.

14 Bibliografia selezionata di approfondimento: R. ARLT, La whole business securitisation alla luce del nuovo diritto societario e fallimentare, in corso di pubblicazione in Dir. fall.; J. GERARD, A. MEGLIO, Cor-

Page 535: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 509

zione sviluppata in Inghilterra a metà degli anni ‘9015. Ivi largamente applicata, si sta diffondendo sempre di più al di fuori del proprio paese d’origine. Essa si presenta come una combinazione di elementi della true sale securitisation con il mutuo garantito. Oggetto di cartolarizzazione non sono – come nella true sale securitisation – determinati crediti selezionati, ma l’intero cash flow16 (il “whole busi-ness”) dell’impresa. Di conseguenza, gli investitori non si assumono solo il ri-schio connesso a determinati crediti, ma i loro diritti di credito sono in una certa misura soggetti al rischio economico ed imprenditoriale dell’originator. Nono-stante tale rischio operativo, la WBS permette dei costi di finanziamento più bassi rispetto all’emissione diretta di obbligazioni da parte dell’originator, giacché essa pone gli investitori in una posizione più favorevole rispetto a quella che ri-vestirebbero come titolari di obbligazioni dell’impresa. Tale risultato viene tec-nicamente raggiunto tramite uno SPV che concede all’originator un mutuo cospi-cuo e a lungo termine, rifinanziando tale mutuo tramite l’emissione di titoli nei mercati di capitali. I titoli vengono serviti dal flusso di cassa dell’originator. L’elemento decisivo è il controllo sui beni produttivi: per assicurare il pagamen-to del mutuo, l’originator concede ampi diritti di garanzia su tali beni e contrae stringenti vincoli contrattuali relativi all’attività operativa (covenants) nei confronti dello SPV.

Una classica WBS nel diritto anglosassone viene strutturata in maniera tale che nell’eventuale insolvenza dell’originator lo SPV possa (attraverso un cosiddet-to back-up servicer) attirare a sé la gestione dei beni produttivi per assicurare il pa-gamento del mutuo.

Non ogni tipo di cash flow si presta ad essere utilizzato per una WBS. Alla luce della lunga durata del finanziamento e del continuo pagamento delle rate

——— porate Securitization to Profit from Italian Reform, in International Financial Law Review, novembre 2003, p. 49 s.; A. GIANNELLI, A. GIAMPIERI, New Opportunities Offered by the Italian Corporate Law Reform for Securitisa-tion Transactions, in Gianni, Origoni, Grippo & Partners, Publications, http://www.gop.it, p. 1 ss.; E. LANDOLFI, Considerazioni sulla whole business securitisation, in Diritto & Diritti, www.diritto.it; M. MAZZUCA, La whole business securitisation: aspetti tecnici e prospettive nel mercato italiano, in Bancaria, 2004, IV, p. 76 ff.; P. MESSI-NA, Corporate Law Reform Provides New Structures, in International Financial Law Review, 2005 Guide to Struc-tured Finance, p. 30 s.; inoltre: FITCH RATINGS, Criteria for Whole Business Securitisation, in Fitch Ratings, European Structured Finance Criteria Reports, www.fitchratings.com, p. 1 ss.; C.A. HILL, Whole Business Securiti-zation in Emerging Markets, in 12 Duke Journal of Comparative & International Law (2002), p. 521 ss.; A. RAMGARHIA, M. MUMINOGLU, O. PANKRATOV, Whole Business Securitisation, in F. FABOZZI, M. CHOUDHRY (a cura di), op. cit., p. 329 ss.

15 Altre denominazioni sono: operating asset securitisation, corporate securitisation, whole company securitisa-tion, operating company securitisation, corporate entity securitisation, structured finance/corporate hybrid transaction.

16 Il “cash flow” o “flusso di cassa” è un parametro della finanza definito come la differenza tra le entrate e le uscite monetarie di un determinato periodo contabile.

Page 536: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 510

del mutuo, l’attività imprenditoriale deve generare un flusso di cassa che, in base a previsioni ragionevoli e giustificate, sarà stabile per anni. In generale, il rischio economico dell’impresa deve essere già basso in partenza. Di conseguenza pos-sono agire come originators solo imprese di un determinato profilo, che possibil-mente presentino le seguenti caratteristiche: l‘insensibilità verso cicli economici, l’insensibilità verso fattori di rischio tecnologico, delle stabili entrate di denaro, una posizione di mercato consolidata e delle alte barriere di entrata, un patrimo-nio attivamente amministrato e diversificato, dei beni patrimoniali chiaramente i-dentificabili, e una scarsa importanza e sostituibilità dell’amministrazione17.

L’ordinamento giuridico italiano non possiede alcuna disciplina specifica della WBS. Tuttavia, al fine di strutturare una tale operazione può essere com-binato (i) il “finanziamento destinato ad uno specifico affare” (art. 2447-bis, comma 1°, lett. b) e 2447-decies c.c.) (ii) con il modello alternativo ex art. 7, comma 1°, lett. a) della l. 130/1999. Va comunque tenuto presente che nel nostro ordinamento esistono principi fondamentali che potrebbero limitare l’efficacia di tali operazioni, quali il divieto del patto commissorio (Art. 2744 c.c.) o il principio della par condicio creditorum (Art. 2741 c.c.), per cui spesso non si potranno realizzare tutti gli elementi di una tipica WBS inglese.

5. — La cartolarizzazione di immobili (Real Estate Securitisation)18. Il termine “cartolarizzazione di immobili” (real estate securitisation, property se-

curitisation, commercial mortgage backed securitisation/CMBS) indica tutta una serie di operazioni accomunate dal fatto che l’originator utilizza un patrimonio immobi-liare di sua proprietà non – nel modo tradizionale – come oggetto di garanzia ———

17 Così, tramite una WBS sono stati finanziati ad esempio cliniche private, società di gestione delle superstrade, catene di public houses (pubs), alberghi, parchi dei divertimenti, aeroporti, teatri, case editrici musicali, imprese di logistica, di trasporto e di traghetto, fornitori di acqua, imprese di telecomunica-zioni, imprese forestali, imprese funebri, assicuratori sulla vita, la società di gestione della “Formula Uno”, l’Eurotunnel e la metropolitana di Londra.

18 Bibliografia selezionata di approfondimento: F. REALI, Pubblica amministrazione e fattispecie contrat-tuali atipiche: la cartolarizzazione degli immobili, in Vita not., 2002, p. 1716 ss.; ID., I contratti di credit risk monitoring, cit., p. 219 ss.; L. CAROTA, Le operazioni di cartolarizzazione relative agli immobili pubblici, in Contr. e impr., 2003, p. 789 ss.; inoltre in lingua inglese M. BREIDENBACH, Real Estate Securitisation – As-set-Backed Security Financing for the Property Industry, Köln, 2005; A. PEREL, P. BARRY, Commercial Mortgage-Backed Securitization: Key Capital Source for Commercial Real Estate Investment and Development, in Real Estate Finance Journal, autunno 2000, p. 30 ss.; M. HOWARD, G. ROEHL, German CMBS lives up to its potential, in International Financial Law Review, maggio 2006, p. 27 ss.; STUDIO LEGALE BELTRAMO, Real Estate Securi-tization, in International Financial Law Review, febbraio 2003, p. 51.

Page 537: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 511

per ottenere un mutuo bancario, ma per accedere a mezzi finanziari attraverso i mercati di capitali.

A) Nella prima variante, l’operazione è finalizzata alla dismissione di un pa-trimonio immobiliare determinato. L’originator cede allo SPV i beni immobili ed ottiene in cambio mezzi liquidi. Lo SPV rifinanzia l’acquisto dei beni emettendo titoli. Esso in seguito provvede alla vendita dei beni, normalmente incaricando-ne l’originator stesso. Il ricavato della vendita viene utilizzato per il pagamento dei titoli. Mentre lo SPV nell’ambito di una true sale securitisation è un mero veicolo finanziario, lo SPV di una real estate securitisation di questo tipo svolge un ruolo di gestione e vendita di beni immobili.

Quanto alla disciplina legislativa si osserva che la l. n. 130/1999 è applicabi-le esclusivamente alle operazioni di cartolarizzazione di crediti. Per permettere l’operazione di cartolarizzazione di immobili pubblici, quindi, il legislatore ita-liano è intervenuto con disposizioni ad hoc, le quali richiamano parzialmente la disciplina della l. n. 130/199919, dando luogo a fattispecie negoziali di non facile inquadramento dogmatico. Ma tali disposizioni non sono applicabili al di fuori della cartolarizzazione di immobili pubblici, con la conseguenza che qualora l’operazione venga compiuta da originators privati, l’operatore giuridico dovrà fa-re ricorso ai principi ricavabili dalla normativa generale.

Nelle seguenti varianti, invece, l’originator non intende dismettere un determi-nato patrimonio immobiliare, utilizzandolo invece per ottenere un finanziamento.

B) Lo strumento giuridico chiave della seconda variante è il contratto di sa-le and lease back: l’originator aliena allo SPV i beni immobili, ottenendo, quindi, il finanziamento desiderato a titolo di prezzo di vendita. Egli però conserva il go-dimento della cosa a fronte del quale paga allo SPV un canone di leasing. Adem-piute le obbligazioni del contratto di leasing, l’originator ha la facoltà di riacquista-re la proprietà dei beni20. Lo SPV finanzia l’acquisto dei beni immobili emetten-

——— 19 D.l. 25 settembre 2001, n. 351 – “Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizza-

zione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo di fondi comuni di investimento immobilia-re“, pubblicato nella G.U. 26 settembre 2001, n. 224, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novem-bre 2001, n. 410, pubblicata nella G.U. 24 novembre 2001, n. 274. Modifiche e integrazioni: Art. 9 del-la l. 15 giugno 2002, pubblicata nella G.U. 15 giugno 2002, n. 139 di conversione del d.l. 15 aprile 2002, n. 63; decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze di attuazione del d.l. n. 351: 30 no-vembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 dicembre 2001, n. 290; 18 dicembre 2001, pubblicato nella G.U. 4 febbraio 2002, n. 29; 21 novembre 2002, pubblicato nella G.U. 28 novembre 2002, n. 279.

20 Il contratto di sale and lease back si pone in un rapporto per certi versi conflittuale con il divieto del patto commissorio (art. 2744 c.c.). Alla luce della frequente applicazione del modello contrattuale nella pratica degli affari, nonché in considerazione del fatto che esso risponda all’esigenza degli operatori eco-

Page 538: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 512

do titoli, i quali sono serviti con i pagamenti dei canoni di leasing. In Italia anche questa variante deve essere strutturata sulla base dei principi generali.

C) La terminologia usata nella prassi internazionale non è del tutto precisa sotto il profilo strutturale, atteso che si denomina come terzo tipo di real estate securitisation la cartolarizzazione di crediti di locazione da parte del proprieta-rio/locatore di beni immobili. Strutturalmente si tratta in questo caso di una true sale securitisation, per cui l’operazione può essere basata sulla l. n. 130/1999.

D) La quarta variante consiste in un mutuo, concesso dallo SPV al proprie-tario dei beni immobili, e rifinanziato dallo SPV con l’emissione di titoli. Il mu-tuo viene garantito con ipoteche su tali beni e con pegni (soprattutto di conti e/o di azioni), destinando così i cash flows degli immobili (generati soprattutto dai pagamenti dei canoni di locazione) alla restituzione dello stesso. L’operazione va strutturata sulla base dei principi generali.

6. — Le obbligazioni bancarie garantite (Pfandbriefe, Covered Bonds)21 Le “obbligazioni bancarie garantite” costituiscono una forma di cartolariz-

——— nomici di ottenere, con immediatezza, liquidità, la Corte di Cassazione ne ha dichiarato l’ammissibilità pur-ché il contratto non sia finalizzato alla violazione o elusione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. Tale ultima ipotesi si realizza solo se, per le circostanze concrete (difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della suo condizione di debolezza; sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente che confermi la validità del sospet-to), l’operazione si atteggi in modo da perseguire un risultato confliggente con il divieto sancito dall’art. 2744 c.c.. Cass., 22 aprile 1998, n. 4095, in Foro it., 1998, I, c. 1820; conformi Cass., 21 luglio 2004, n. 13580, in Contratti, 2004, p. 1011 con nota di E. CALICE; Cass., 14 marzo 2006, n. 5438, in Rep. Foro it., 2006, v. Contratto in genere, n. 3. In dottrina v. A. SASSI, Garanzia del credito e tipologie commissorie, Napoli, 1999, p. 384 ss.

21 Bibliografia selezionata di approfondimento sulla legge italiana: M. LANTELME, Covered Bonds Emerge in Italy, in International Financial Law Review, luglio 2006, p. 42 ss.; P. MESSINA, op. cit., p. 31 ss.; STUDIO LE-GALE BELTRAMO, Italy: Market Opens to Covered Bonds, in International Financial Law Review, ottobre 2005, p. 42 s.; sui covered bonds a livello internazionale: EUROPÄISCHER HYPOTHEKENVERBAND (a cura di), Die Hypo-thekenbanken und der Pfandbrief in Europa, 3° ed., Baden-Baden, 2001, opera contemporaneamente pubblicata anche in lingua inglese e francese sotto i titoli EUROPEAN MORTGAGE FEDERATION (a cura di), Mortgage Banks and the Mortgage Bond in Europe e FÉDÉRATION HYPOTHÉCAIRE EUROPÉENNE (a cura di), Les banques hypothécaires et l'obligation foncière en Europe; G. CROSS, The German Pfandbrief and the European Covered Bonds Market, in F. FABOZZI, M. CHOUDHRY (a cura di), op. cit., p. 523 ss.; J. RICE, A. ROBERTS, K. KELLY, The Many Faces of Covered Bonds in Europe, in International Financial Law Review, agosto 2004, p. 30 ss.; ASSET SE-CURITIZATION REPORT, Covered Bonds: Here, There and Everywhere, in Asset Securitization Report, 30 maggio 2005, p. 23 s.; EAD., European Countries in Final Push Behind Covered Bonds Laws, in Asset Securitization Report, 13 maggio 2006, p. 23 s.; sul Pfandbrief è d’uopo considerare la letteratura tedesca, tra cui si vedano, per tutti, W. FRANK, S. GLATZL, Das Pfandbriefgesetz, in Wertpapier-Mitteilungen, 2005, p. 1681 ss.; W. GOEDE-CKE, Die deutschen Hypothekenbanken: Pfandbrief, Realkredit, Kommunalkredit, 4° ed., Frankfurt am Main, 1997.

Page 539: Diritto privato del mercato

CAP. 1 - LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 513

zazione di crediti recentemente introdotta nell’ordinamento giuridico italiano22. A differenza delle forme di cartolarizzazione in precedenza analizzate, l’obbli-gazione bancaria garantita non rappresenta una tecnica ma un istituto giuridico, cioè una figura iuris creata dal legislatore la quale esiste solo sulla base della legge specifica. Si tratta di un istituto di origine tedesca, denominato Pfandbrief, che ri-sale ad un’iniziativa legislativa di Federico II di Prussia (1769) e che ha una lun-ga tradizione in Germania. A livello internazionale, i corrispondenti istituti dei vari ordinamenti giuridici vengono accomunate dal termine covered bonds (o tal-volta anche mortgage bonds).

Il covered bond è un titolo di debito emesso da un istituto di credito per rifi-nanziare la concessione di crediti fondiari e ipotecari (e quella di crediti di qual-che altro tipo). Quindi a differenza della true sale securitisation è il titolare dei cre-diti stesso – e non uno SPV – ad emettere i titoli che incorporano i crediti. Per far sì che i titoli siano garantiti dal portafoglio di crediti è necessaria una segre-gazione patrimoniale che comporti che all’investitore venga conferito un parti-colare diritto di garanzia sulla massa di tali crediti, comprese le ipoteche. Mentre nel modello classico tedesco a tale scopo la legge attua una forma di segregazio-ne patrimoniale all’interno del patrimonio della banca emittente, la legge italiana realizza la segregazione attraverso la cessione dei crediti ad una società veicolo. Il risultato è che la banca emette i titoli e lo SPV ne garantisce il pagamento con i crediti trasferiti.

Dalla struttura base discendono varie ulteriori differenze dalla true sale securi-tisation: ad esempio, i titoli non vengono serviti dai flussi di denaro generati da determinati crediti, ma dal cash flow dell’impresa, la banca iscrive i titoli nel pro-prio bilancio, nell’eventuale insolvenza della banca gli investitori sono creditori privilegiati e non creditori separatisti, il credit enhancement e le liquidity facilities sono assenti.

I covered bonds hanno il vantaggio della loro minore complessità strutturale rispetto alla cartolarizzazione classica e godono di una larga accettazione da par-te degli investitori, specialmente nei paesi in cui già presentano una lunga appli-cazione pratica.

——— 22 Artt. 7-bis e 7-ter, l. 130/1999, introdotti con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, pubblicato nella G.U.

16 marzo 2005, n. 62, supplemento ordinario n. 12, convertito in l. 14 marzo 2005, n. 80, pubblicata nella G.U. 14 maggio 2005, n. 111, supplemento ordinario n. 91. L’istituto ha avuto un precedente nell’ordinamento giuridico italiano con le cosiddette “cartelle fondiarie”.

Page 540: Diritto privato del mercato
Page 541: Diritto privato del mercato

CAPITOLO SECONDO

I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Il mercato dei capitali. — 3. Titoli di credito e demateria-lizzazione. — 4. Prodotti e strumenti finanziari. — 5. Emissione e collocamento di stru-menti finanziari: cenni. — 6. I contratti di borsa. — 7. Contratti derivati: profili generali. — 8. Cenni sui principali contratti derivati.

1. — Premessa. L’interesse sul delicato ruolo della contrattualistica nella intermediazione

finanziaria, specie nell’ambito delle borse valori, dei mercati cc.dd. non regola-mentati (non ufficiali o over the counter, che letteralmente significa “sopra il ban-cone”) e, in generale, dei rapporti tra consumatore e professionista, in questi ul-timi anni sta sempre più attirando l’attenzione della dottrina, così come del legi-slatore sia italiano sia comunitario, tanto che la materia ha pian piano cessato di essere appannaggio dei soli operatori pratici – spesso addetti agli uffici legali di banche e altri intermediari finanziari non bancari – e di economisti, di solito at-tenti ai soli aspetti finanziari, contabili, gestionali e tributari del fenomeno, mol-to meno a quelli propriamente giuridici, diventando oggetto di attenzione e di studio da parte della più attenta civilistica.

Tale fenomeno è divenuto particolarmente accentuato anche a seguito dei catastrofici flops che, specialmente in sede giudiziaria – così come arbitrale – molte clausole e, talvolta, interi modelli contrattuali – frutto di una infelice arte stiplulatoria – hanno conosciuto. Si pensi al caso dei contratti denominati 4you proposti dalla Banca del Salento (poi Banca 121), oggi incorporata dal Monte dei Paschi di Siena, considerati nulli perché aleatori e rischiosissimi per una sola parte, ma sempre vantaggiosi per l’altra1. Tale infelice arte stipulatoria è altresì foriera di condurre a declaratorie di nullità parziale ex art. 1419, 1° comma c.c., senza sostituzione automatica con altre clausole ex art. 1339 c.c., con conse-guenze disastrose per gli investitori professionali, così come per il pubblico dei

——— 1 In questo senso si sono pronunciante due corti di merito: Trib. Firenze 19 aprile 1006 e Tribunale

di Brindisi 21 giugno 2006, in Altalex - Quotidiano d’informazione giuridica, n. 1507, 19 agosto 2006.

Page 542: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 516

risparmiatori (c.dd. investitori retail, che si distinguono da quelli professional o in-vestitori istituzionali). Per farla breve, in questa sede contempleremo i problemi che il civilista deve affrontare nell’ambito della contrattualistica della interme-diazione finanziaria, me per far ciò occorrerà preliminarmente analizzare taluni concetti fondamentali inerenti i mercati, in particolare quelli dei capitali.

2. — Il mercato dei capitali. Innanzitutto, va evidenziato che il “mercato”, sinteticamente, è “luogo”

ove si incontra la domanda e l’offerta relativa a una determinata categoria di “beni” (in senso atecnico e agiuricdico), intesi da un punto di vista economico. Infatti, quelli che da un punto di vista economico (così come nel linguaggio co-mune) sono denominati “beni”, da un punto di vista giuridico sono in realtà “diritti”. A ben vedere, infatti, in un mercato si scambiano i “diritti” su beni, come ad esempio il complesso di situazioni giuridiche soggettive, tra cui il dirit-to di opzione, collegate ad un contratto di borsa a premio (di tipo derivato) co-me il coverd warrant, da cui prende il nome l’omonimo strumento finanziario.

È quindi opportuno mettere in luce che in questa sede si discorrerà dei meccanismi contrattuali sottesi la circolazione dei beni in senso economico (o diritti su beni mobili dematerializzati), non in tutti i mercati, bensì nei soli mer-cati dei capitali. Le stipulazioni che riguardano “beni” circolanti nel mercato dei capitali, avvengono sia all’interno dei c.dd. mercati ufficiali, sia all’interno dei mercati non ufficiali sia con operazioni c.dd. fuori mercato, con o senza l’uso di contratti di borsa. In questo modo, si distinguono due nozioni di mercato. In-fatti, da una parte si pone quella nozione che indica il “luogo” (inteso lato sensu, senza riferimento ad un luogo effettivo) in cui una gamma “beni” (melius, diritti su beni) omogenei sono oggetto di domanda e di offerta. Dall’altra si pone in-vece la nozione di mercato (inteso stricto sensu) quale luogo effettivo – anche di tipo telematico – in cui determinati beni in senso economico (ad esempio appar-tenenti al mercato dei capitali) sono materialmente scambiati. Non tutti i beni di un mercato (come quello dei capitali) sono sempre scambiati con operazioni all’interno di mercati ufficiali o non ufficiali a mezzo contratti tipici di quel set-tore. Talvolta, infatti, essi sono ceduti con operazioni fuori mercato, ovvero con negozi mortis casusa, ecc.

Il mercato dei capitali è il “luogo” dove si realizza l’incontro dei flussi di domanda e dei flussi di offerta relativi a prodotti finanziari. In Europa, il merca-

Page 543: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 517

to dei capitali si distingue in due grandi tronconi, ovverosia il mercato diretto e il mercato aperto. Nel mercato diretto due soggetti si scambiano direttamente il prodotto finanziario, come nei rapporti diretti tra banca e cliente. Nel mercato aperto, invece, gli scambi sono eseguiti in virtù di regole standardizzate, sulla scorta di condizioni e prezzi resi noti al pubblico, in modo impersonale, senza negoziazione ad personam. Il mercato aperto è a sua volta suddiviso in tre com-parti: mercato monetario, mercato finanziario e mercato dei cambi.

Nei mercati monetari si negoziano titoli a breve termine, come buoni ordi-nari del Tesoro e accettazioni bancarie (vaglia di sicura riscossione e fondi inter-bancari)2. I titoli in esso scambiati sono di quasi immediata liquidabilità e a bas-sissimo rischio.

Nei mercati finanziari3 circolano titoli (scilicet, strumenti finanziari) a medio e lungo termine, come azioni societarie e obbligazioni (titoli di debito). In essi si distinguono tre grandi comparti, ovverosia il mercato dei mutui, il mercato degli strumenti alternativi (dove si negoziano titoli innovativi, per lo più sconosciuti, come le polizze di credito commerciale) e il mercato mobiliare. Quest’ultimo è il più noto ed è fondamentalmente basato sulla circolazione di obbligazioni (titoli di debito) e di titoli rappresentativi di beni, come le quote di partecipazione so-cietaria rappresentate da azioni, e relativi contratti derivati. I mercati finanziari si distinguono a loro volta in mercati primari e mercati secondari. Nei primi circo-lano i titoli di prima emissione e possono partecipare alla domanda e all’offerta solo i soggetti abilitati alla emissione e al collocamento di nuovi strumenti fi-nanziari (c.dd. soggetti abilitati alla prestazione di servizi d’investimento di cui all’art. 18 T.U.F.) come banche e S.I.M. Nei mercati secondari, invece, circolano i prodotti finanziari già collocati e sottoscritti, e tutti i risparmiatori possono ac-cedervi. Va infine ricordato che tutti i mercati mobiliari si distinguono in due grandi comparti, ovverosia quello dei mercati ufficiali (o regolamentati), e quello dei mercati non ufficiali (o non regolamentati, c.dd. over the counter).

Vi sono poi i mercati dei cambi, in cui si distinguono operazioni a pronti e operazioni a termine. In entrambi vi è il differimento del temine del regolamento delle stipulazioni, nel senso che la consegna dei titoli (rapportati a valuta e a di-

——— 2 Sul mercato telematico dei fondi interbancari (c.d. M.I.D.) inteso come mercato non ufficiale di

dealers, v. S. AMOROSINO, C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 195.

3 Atecnicamente, S. AMOROSINO, C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), op. cit., passim si riferiscono ai “mercati finanziari” intesi non come comparto dei mercati mobiliari, bensì come mercati di capitali tout court.

Page 544: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 518

visa) e il pagamento del prezzo avviene ad una data successiva rispetto a quella del perfezionamento del contratto di scambio, anche se nei mercati a temine questo lasso temporale è di regola molto breve.

La fondamentale differenza sta nel fatto che nel nei mercati a pronti, il prezzo (spot) del titolo è prefissato al momento del perfezionamento del contrat-to, mentre in quelli a termine tale prezzo (forward) verrà calcolato e individuato al momento del c.d. regolamento, ovverosia al momento della esecuzione del contratto di scambio (compravendite, riporti di borsa, ecc.). Il mercato dei cam-bi è caratterizzato da transazioni in valuta, le quali sono operazioni volte a tra-sformare la moneta di un paese in moneta di un altro paese. I mercati dei cambi a pronti sono divisi in tre comparti (cable, cheque e banconota), mentre quelli a termine sono divisi in due soli comparti (termine secco o outrigh, e pronti contro termine o swap).

Onde evitare confusioni logiche o argomentative, va innanzitutto eviden-ziato che i “mercati” sopra delineati sono caratterizzati dallo scambio di stru-menti finanziari. Tuttavia, la cosa che potrebbe indurre in errore interpretativo è il fatto che tali strumenti finanziari, nella realtà, sono negoziati all’interno di strut-ture – vale a dire segmenti e comparti – che non sempre rispecchiano la corretta suddivisione logica sopra delineata. Ad esempio, abbiamo teorizzato che di regola i mercati non ufficiali sono un comparto del mercato mobiliare e non di quello dei cambi, eppure vi sono titoli che rappresentano lo scambio di divise (quindi che appartengono al mercato dei cambi), che sono tuttavia negoziati nei mercati (se-condari) non regolamentati (o over the counter). Stiamo parlando (anche) di un par-ticolare tipo di contratto derivato che prende il nome di forward, il quale è il frut-to della stipulazione di un contratto di forward rate agreement tra l’emittente, e il primo acquirente del titolo. Per fare un altro esempio, si consideri che non tutti i titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazione sono negoziati nell’apposito mercato (secondario) denominato “SeDex” gestito da Borsa Italiana s.p.a.

Esistono due sole società che gestiscono i mercati regolamentati, primari e secondari. Queste sono M.T.S. s.p.a. e Borsa Italiana s.p.a. create nel 1998 dopo la privatizzazione della borsa valori. La prima gestisce soltanto il mercato all’ingrosso dei titoli di stato, mentre Borsa Italiana s.p.a. gestisce tutti gli altri mercati ufficiali in cui si negoziano strumenti finanziari, tra cui quello denomi-nato, appunto, “Borsa” il quale, rispetto alle azioni e alle obbligazioni societarie, nonché ai loro contratti derivati4, si pone a fianco del Mercato Ristretto e del

——— 4 V. infra, §§ 7-8.

Page 545: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 519

Nuovo Mercato, essendo a sua volta suddiviso in comparti e sottocomparti (o segmenti).

Circa i mercati non regolamentati, questi sono non di rado creati ad hoc da singoli intermediari come banche, e sono succintamente disciplinati al capo II, del titolo I del Testo Unico della Finanza, che li suddivide in “scambi organizza-ti di strumenti finanziari” o S.S.O. (art. 78) e “scambi di fondi interbancari” (art. art. 79).

Con comunicazione Consob n. 98097747 del 24 dicembre 1998, è stato definito come sistema di scambi organizzati “un insieme di regole e di strutture, anche automatizzate, che consente in via continuativa o periodica: a) di racco-gliere e diffondere proposte di negoziazione di strumenti finanziari, e b) di dare esecuzione a dette proposte con le modalità previste dal sistema”. La caratteri-stica dei mercati non regolamentati è quella di non essere autorizzati dalla Con-sob; inoltre, il regolamento del mercato non regolamentato non deve essere ap-provato da alcuna autorità (come la Consob) e non deve essere obbligatoria-mente gestito da una società per azioni avente il capitale minimo fissato dalla Consob (cinque milioni di euro), né sono richiesti requisiti per esponenti e soci, né vi è obbligo di realizzare i livelli di sicurezza e trasparenza prescritti per i mercati regolamentati5. Trattasi di un sistema all’interno del quale, secondo re-gole predisposte dall’organizzatore (società di gestione), vengono scambiati strumenti finanziari e fondi interbancari (o divise), al di fuori dell’ordinario cir-cuito borsistico, e nell’osservanza di un regolamento interamente autonomo, predisposto dalla società di gestione, e dunque sottratto a controlli costanti, an-che solo formali o residuali, di una qualsiasi autorità.

Vale infine la pena osservare che la distinzione teorica dei mercati come sopra delineata (monetari, dei cambi e mobiliari) e loro sottoinsiemi, solo in par-te coincide con le suddivisioni che esistono nell’ambito dei mercati regolamen-tati e di quelli non regolamentati. In effetti, nei mercati non regolamentati – che in linea teorica rappresentano una branca del mercato mobiliare – vengono spesso scambiati strumenti finanziari e fondi interbancari che nulla hanno a che vedere con il mercato mobiliare. Inoltre, all’interno di singoli comparti disegnati da Borsa Italiana s.p.a., possiamo trovare svariati segmenti (o sottoinsiemi) nei quali sono accorpati titoli che non sempre, in termini civilistici, appartengono alla stessa categoria contrattuale. Sono infatti, talvolta, malamente accorpati

——— 5 Sul punto, v. R. DE CHIARA, Principi legislativi e regolamentazione: alcuni dubbi interpretativi, in Bancaria,

n. 5/99.

Page 546: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 520

strumenti finanziari che rappresentano le posizioni contrattuali più disparate, relative a contratti aleatori, a contratti ad alea normale molto ampia, a giochi e a scommesse.

È dovere del civilista, pertanto, nella ponderazione di ciascun contratto, prescindere dal comparto borsistico così come dal segmento del mercato non regolamentato in cui il singolo strumento finanziario è negoziato. Le scelte ge-stionali del soggetto che gestisce un mercato – inteso come apparato organizza-to per l’incontro della domanda e dell’offerta su un vasto numero di prodotti finanziari – non sempre corrispondono a precise logiche civilistiche.

Così, è possibile che posizioni contrattuali – le quali circolano incorporate in strumenti finanziari dematerializzati – che teoricamente appartengono a di-versi “mercati” (monetario, mobiliare e dei cambi), siano di fatto, per esigenze amministrative e gestionali, negoziati all’interno di un medesimo segmento o comparto borsistico, che atecnicamente viene chiamato “mercato”. Tale discra-sia tra la corretta interpretazione civilistica e la prassi è frequente, specie nell’am-bito degli strumenti finanziari derivati.

Cura del civilista, pertanto, sarà innanzitutto quella di prendere in conside-razione il singolo contratto stipulato tra emittente (del singolo strumento finan-ziario) e primo sottoscrittore, valutandone in dettaglio ogni aspetto, specie in ordine ad eventuali invalidità anche solo parziali del medesimo, e alla sua classi-ficazione nell’ambito dei contratti aleatori, commutativi (ad alea normale molto elevata), di gioco o di scommessa. Successivamente, si dovranno prendere in considerazione le modalità delle successive cessioni di tale titolo, che in buona sostanza corrispondono a cessioni atipiche di contratto preventivamente accet-tate dall’altro contraente (emittente).

Tali successive cessioni possono essere realizzate attraverso una variegata gamma di congegni contrattuali, spesso molto complessi, sostanzialmente ri-conducibili a due genera somnia, ovverosia la compravendita e il riporto, fatto sal-vo il c.d. prestito di titoli che in realtà è un contratto di mutuo. Tale ultima ana-lisi dovrà tenere conto della persona del cessionario, in quanto se questi è un soggetto non professional, o consumatore finale non esperto in materia finanziaria, si dovrà valutare il rispetto, da parte dell’intermediario, di tutta una serie di rego-le di correttezza – alcune delle quali poste a pena di nullità del contratto di ces-sione – a carico dell’intermediario che recepisce l’ordine di acquisto o di vendita di diritti su strumenti finanziari, su valuta o su fondi interbancari.

Dal momento della emissione al momento dell’ultima cessione di uno stru-mento finanziario, quindi, si possono configurare svariate responsabilità precon-

Page 547: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 521

trattuali e contrattuali. Vi è la responsabilità civile dell’emittente per inadempi-mento o per mancato rispetto della disciplina sugli emittenti di cui al T.U.F. e relativa disciplina d’attuazione (reg. Consob 11971/1999 e successive integra-zioni e modificazioni). Vi è la responsabilità civile della Consob per insufficiente controllo sui prospetti informativi inesatti. Vi è la responsabilità civile dell’inter-mediario (anche) per omessa completa e veritiera informazione sul prodotto fi-nanziario nei confronti del consumatore. Vi è la responsabilità civile dell’agenzia di rating per imperizia nella valutazione di un titolo quotato con rating. Vi è la re-sponsabilità civile della clearing house (o società che si occupa in concreto delle compensazioni delle operazioni poste in essere in un mercato) che non di rado coincide con la società che gestisce il mercato ove il titolo in questione è nego-ziato.

Infine, a proposito della microstruttura di ogni mercato, si consideri che i si-stemi di negoziazione possono essere schematicamente distinti in quote driven e or-der driven. Nei mercati c.dd. quote driven6 un intermediario espone, contestualmente e in via continuativa, quotazioni c.dd. denaro (bid) e lettera (ask) a cui è disposto – rispettivamente – ad “acquistare da” e a “vendere a” terzi – prevalentemente in-vestitori istituzionali, ma non solo – i titoli per cui “fa mercato” (to make a market). Si afferma in tal caso che l’intermediario opera come dealer, ossia agisce per conto proprio e non, come il broker, per conto terzi. Quando l’intermediario che opera in tale modo è specializzato nell’operatività su un certo titolo si dice che l’intermediario è market maker di tale titolo. Un mercato molto noto, orga-nizzato in forma quote driven, è lo statunitense Nasdaq, ove oltre cinquecento in-termediari operano come market makers e ciascun titolo dispone in media di un-dici market makers.

Diversamente, nei mercati order driven non è presente alcun intermediario che svolga istituzionalmente le funzioni di dealer o market maker. In tal caso i contratti si stipulano attraverso l’interazione immediata di soggetti appartenenti ai lati opposti del mercato, interazione immediata in quanto non interviene al-cun intermediario che si frappone alle due parti nello scambio. La formazione del prezzo in un mercato order driven è guidata, dunque, da tutti i partecipanti al mercato (sia intermediari finanziari, sia investitori c.dd. finali) attraverso la tra-smissione delle proprie volontà negoziali nella forma di ordini7. ———

6 Tradotto, letteralmente, significa “guidati dalle quotazioni”. 7 L’ordine presuppone l’accettazione della futura conclusione del contratto. Quando l’ordi-

ne è recepito dalla controparte o da chi è competente alla ricezione, il contratto può dirsi conclu-so, salvo revoca che deve intervenire in termini quasi immediati. Sul punto v. C. COLTRO CAMPI, Osser-

Page 548: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 522

Il mercato azionario italiano, ad esempio, nella fase continua della sessione diurna (Mercato Telematico Azionario o M.T.A.) opera con un sistema order dri-ven puro per i titoli maggiormente scambiati e con un sistema order driven ibrido per i titoli meno negoziati (detti anche titoli sottili). Il sistema puro – ossia quel-lo relativo ai titoli liquidi – consiste in un registro di ordini a prezzo limitato (book), mentre quello ibrido si differenzia dal precedente esclusivamente perché prevede la presenza di un intermediario c.d. specialist. Questi è tenuto a “fare mercato” (ossia a fornire liquidità al mercato: to make the market) per i titoli meno scambiati, attraverso l’inserimento nel book di proposte di negoziazione in ac-quisto e in vendita.

In un sistema order driven – sia puro che ibrido – gli scambi si realizzano attraverso l’incrocio di due differenti tipi di ordini: gli ordini di mercato (in alcuni casi coincidenti con quelli noti come ordini al meglio) e gli ordini a prezzo limitato (o proposte di negoziazione). I primi specificano soltanto la quantità da acquistare o da vendere, senza precisazione il prezzo. I secondi, invece, indicano – oltre alla quantità che si intende negoziare (acquistare o vendere) – anche il prezzo massimo che si è disposti a pagare in acquisto (prezzo limite di acquisto) o il prezzo minimo che si è disposti ad accettare in vendita (prezzo limite di vendita). L’insieme degli ordini a prezzo limitato di un certo titolo in un certo istante rappresenta il cosiddetto book di negoziazione del titolo. Nel book sono elencate le migliori proposte di negoziazione (ovvero gli ordini a prezzo limita-to), in senso decrescente per quelle in acquisto e crescente per quelle in vendita. In breve sostanza, l’operatore che trasmette un ordine di mercato otterrà il mi-glior prezzo disponibile dal lato opposto del mercato, ossia la quotazione ask se

——— vazioni su ordini di borsa e usi di borsa, nota a Cass. 23 dicembre 1977, n. 5724, in Banca borsa tit. cred., 1978, II, pp. 129-145 il quale ritiene, in maniera conforme alla sentenza annotata, che la disciplina dell’ordine di borsa, dettata dagli usi, si innesta, quale elemento qualificante, in contratti che possono, sotto altri aspetti, essere regolati, secondo i casi, oltre che dalle poche specifiche disposizioni di legge in tema di borsa, ricordate dalla Cassazione, anche dalle norme generali sul mandato, sulla commissione o sulla mediazione con chiari elementi prevalenti del contratto di mandato. Si può quindi parlare dell’ordi-ne di borsa come di un contratto che adatta a un particolare mercato, a particolari esigenze e a parti-colari intermediari il contratto di mandato. Qualificato poi l’uso in funzione del vuoto normativo, contrattuale o interpretativo che esso va a riempire, l’autore ritiene che gli usi di banca in materia di ordini di borsa siano usi negoziali. A. ANTONUCCI, La consegna dei titoli al cliente nell’ordine di borsa, in Di-ritto della banca e del mercato finanziario, 1993, II, nota a Cass. 11 marzo 1992, n. 2907 pp. 200-205 è critica rispetto a quell’orientamento della Suprema Corte per cui “l’ordine di borsa è fondamentalmente rego-lato dagli usi di borsa, costituenti usi normativi praeter legem, con la conseguenza che l’intermediario non può essere ritenuto inadempiente nei confronti del cliente per la mancata consegna di titoli azionari comprati per suo conto, quando il ritardo dipenda da fattori estranei al comportamento delle parti e sia considerato come normale negli usi di borsa”.

Page 549: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 523

trasmette un ordine in acquisto, ovvero bid se trasmette un ordine in vendita; ma questo è anche il principio di funzionamento di un mercato di c.dd. dealers, ovverosia di un mercato c.d. quote driver.

3. –– Titoli di credito e dematerializzazione. Vale la pena prendere in considerazione una particolare categoria di beni in

senso giuridico, o cose, che sono i “titoli di credito”. Essi, stricto sensu intesi, so-no disciplinati dal codice civile agli artt. 1992 ss. c.c., che distingue tra titoli al portatere, titoli all’ordine e titoli nominativi. Vi sono leggi e regolamenti speciali che disciplinano singole categorie di titoli di credito, come ad esempio gli asse-gni. Vi sono poi una serie di titoli c.dd. atipici, come le cambiali finanziarie, le obbligazioni corporate (emesse da società private) al portatore o nominative, i ti-toli di debito (emessi da enti governativi), le notes (emesse da società veicolo in esecuzione di contratti di credit linked note), i titoli derivanti dalla cartolarizzazione di crediti, di immobili o di altre attività finanziarie, e molti altri i quali molto ra-ramente esistono in forma cartacea.

Dalla istituzione del Monte Titoli s.p.a. e, più in particolare, dalla introdu-zione dell’euro avvenuta nel 1998 (anno in cui entrava in vigore il d.lgs. 24 feb-braio 1998, n. 58 “legge Draghi”) si è assistito a un fenomeno più conosciuto come “dematerializzazione” dei titoli di credito. Essi, infatti, quando sono e-messi in ampia quantità e sono destinati a circolare a mezzo contrattazioni pri-vate realizzate in massa da uno o più intermediari finanziari, oppure in uno o più mercati di capitali, ufficiali o non ufficiali, esistono solo in forma non carta-cea ovverosia in forma digitale o informatica, fatta salva l’annotazione nei regi-stri dell’emittente, che non di rado avviene in forma digitale.

Ebbene, sembra corretto affermare, ai sensi dell’art. 812, 3° comma, c.c., che il nostro legislatore considera i titoli di credito (tipici e atipici) come veri e propri beni mobili caratterizzati dalla cartolarità, dall’astrattezza e dalla letterali-tà, che possono circolare secondo le regole stabilite dal codice civile e dalle sin-gole disposizioni di legge (o di regolamento) speciale. Essi, in tal caso, circolano secondo le regole di circolazione dei beni mobili non registrati, fatta salva l’applicazione delle ulteriori regole stabilite dalla disciplina speciale dei titoli de-materializzati, regolati da specifiche disposizioni dettate dal legislatore, dalle au-torità creditizie e da altre istituzioni quali la Borsa Italiana s.p.a.

Quando essi sono dematerializzati e privi di un supporto cartaceo – ciò

Page 550: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 524

normalmente avviene quando essi assumono la forma di strumenti finanziari – si discute se essi siano beni mobili, ovvero cose equiparate a beni mobili o anco-ra beni immateriali.

Nel 2000 la Suprema Corte di Cassazione ha seguito ques’utlima strada, postulando altresì che i “crediti” non possono essere considerati cose, né mate-riali né immateriali, bensì diritti alla percezione di cose (tra cui denaro e divisa) i quali, logicamente e come tali, non sono beni in senso giuridico secondo la di-zione dell’art. 810 c.c.8. Tale ultima affermazione può di certo condividersi, visto che i crediti sono beni solo in senso economico e non in senso giuridico. Quali beni in senso economico, inoltre, la loro valutazione varierà da zero sino al loro valore nominale, otre interessi e spese di recupero, a seconda della consistenza patrimoniale e delle capacità di reddito della persona del debitore, oltre che dalle eventuali garanzie reali e personali che lo assistono, tenuto conto delle eventuali legittime cause di prelazione di altri creditori.

Sotto questo aspetto, la Cassazione si è ben pronunciata. Per il resto, il cita-to orientamento della Corte di legittimità non può affatto condividersi, in quan-to i titoli dematerializzati, sebbene non esistenti in forma cartacea, sono suscet-tibili di essere costituiti in garanzia reale, ovverosia ceduti in pegno a un credito-re c.d. pignoratizio. Inoltre, un titolo dematerializzato può essere oggetto di se-questro conservativo o giudiziario, al pari di un qualsiasi bene mobile – sebbene attraverso peculiari formalità – ed esso “esiste” all’interno di un supporto in-formatico. In definitiva, un titolo dematerializzato deve essere considerato alla stregua di un bene mobile o, al limite, di una “cosa” equiparata a un bene mobi-le, di cui segue la disciplina, ma non certo a un bene immateriale come un segno distintivo, oggetto solo di diritti di sfruttamento temporanei ed esclusivi (c.d. privativa). Del resto è lo stesso art. 812, 3° comma, ad affermare che “sono mobili tutti gli altri beni” diversi dagli immobili.

Si rifletta che la cessione di un diritto – come la proprietà, l’usufrutto, o il pegno – su un titolo di credito (dematerializzato) a mezzo atto mortis causa (e.g.: legato) o inter vivos (e.g.: riporto; compravendita a termine; compravendita; dona-zione; pronti contro termine; prestito di titoli; ecc.) segue regole del tutto sui ge-

——— 8 Cass., 14 giugno 2000, n. 8107, in Giust. civ., 2000, I, p. 2593. La corte ha postulato il principio

per cui la dematerializzazione dei titoli di credito supera la fisicità del titolo consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali; essa non elimina, però, anche la necessità dell’individuazione, a norma dell’art. 1378 c.c., attraverso meccanismi sia pure alternativi di scritturazione, del titolo stesso come bene immateriale, configurandosi, altrimenti, in relazione a questo, un credito e non più un titolo di credito.

Page 551: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 525

neris rispetto a quelle tipiche della circolazione dei beni mobili o dei titoli di cre-dito. In effetti, i titoli di credito dematerializzati corrispondono sostanzialmente a “strumenti finanziari” emessi da soggetti (enti pubblici, società quotate e so-cietà non quotate) che desiderano collocarli presso il pubblico dei risparmiatori (c.d. retail) o presso investitori istituzionali (c.dd. professionals), ovvero nella di-sponibilità di entrambe le categorie, o addirittura di uno o di pochissimi sogget-ti. In quanto “prodotti finanziari” e, nella specie, “strumenti finanziari”, essi so-no soggetti alle disposizioni del T.U.B., più in particolare del T.U.F., e dei relati-vi regolamenti d’attuazione emanati dalle autorità creditizie, che sono la B.C.E., la Banca d’Italia, il Ministro del Tesoro, l’Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.), la Consob e il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R.), nonché a quelle disposizioni contenute negli accordi sottoscritti dalle associa-zioni dei consumatori da un lato e dall’ABI dall’altro, normalmente sorretti da conformi direttive dell’ABI.

4. –– Prodotti e strumenti finanziari. Per l’ordinamento italiano, il “prodotto finanziario” è (anche) un titolo di

credito (o di debito), non di rado atipico, dematerializzato. Esso, da un punto di vista giuridico è una “cosa” equiparata a un bene mobile ovvero un bene mobile vero e proprio, il quale, ai sensi dell’art. 810 c.c., è suscettibile di essere oggetto di diritti. Atecnicamente ed erroneamente, quindi, si dice che un prodotto fi-nanziario circola (ad esempio) in un mercato di capitali. In realtà sono i diritti (normalmente di proprietà, di pegno e di usufrutto) su tale prodotto finanziario che sono oggetto di cessione (inter vivos o mortis causa).

Al pari di un titolo di credito, la cessione del diritto di proprietà sul mede-simo comporta il trasferimento di tutti i diritti e di tutti gli obblighi ad esso col-legati. A ben vedere, infatti, il titolare del diritto di proprietà di un prodotto fi-nanziario è titolare non solo di crediti ma anche di obbligazioni, ovverosia di una situazione giuridica oggettivamente complessa (si pensi a un titolo azionario o a un future). Solo per i titoli obbligazionari potrebbe dirsi che il titolare del di-ritto di proprietà su un simile prodotto finanziario assume la titolarità di un cre-dito, oltre che degli oneri e dei rischi che stanno in capo ai soggetti creditori.

Come tale, esso – in determinati casi e secondo determinate procedure – può essere direttamente venduto dall’emittente ai propri clienti o a terzi. Tutta-via, nella maggior parte dei casi, il (diritto di proprietà su un) prodotto finanzia-

Page 552: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 526

rio circola presso il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali solo attraverso negoziazioni che di esso si possono fare all’interno di un mercato di capitali, fatte salve le operazioni fuori mercato.

Autorevole dottrina, sulla scorta del dato normativo, ha messo in luce che “nell’espressione prodotti finanziari il legislatore comprende ‘ogni forma di in-vestimento di natura finanziaria’ (art. 1 co. 1° lett. u t.u. 1998/58), e cioè ogni investimento di capitali in attività economiche esercitate da altri soggetti, attività produttive di reddito (utili, interessi) e/o di incrementi patrimoniali (differenze nel tempo dei valori di scambio delle attività oggetto dell’investimento). / Nel concetto di prodotto finanziario rientrano quindi i diritti (di credito; ovvero di partecipazione a società o ad altri enti) anche se non rappresentati da documenti o certificati: ad es., le quote delle società a responsabilità limitata; ma vi rientra-no anzitutto i titoli di credito di identico contenuto emessi da società in quantità plurime (c.d. titoli di massa: azioni, obbligazioni di società); vi rientra anche ogni altro documento o certificato (anche se non ha natura di titoli di credito; anche se atipico perché non conosciuto dal legislatore […]; anche se non è destinato alla circolazione: ad es., polizza di assicurazione sulla vita in cui una parte dei premi sono investiti in attività finanziarie) che direttamente o indirettamente rappresenti un interesse patrimoniale dell’investitore (ovvero un diritto volto a tutelare un interesse patrimoniale dell’investitore, e quindi economicamente un investimento)”9.

Va evidenziato che il legislatore italiano utilizza talvolta una terminologia non identica rispetto a quella utilizzata dal legislatore comunitario. In effetti, con il decreto Eurosim del 1996, non si parla più di valori mobiliari, bensì di prodotti finanziari e di strumenti finanziari. Ai sensi dell’art. 1, comma I, lett. u), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, per “prodotti finanziari” si intendono “gli stru-menti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”. Per-tanto, i prodotti finanziari sono tutte le forme di investimento, tra cui, preci-puamente, gli strumenti finanziari.

In passato, appena entrato in vigore il T.U.F., c’è stata una polemica dottri-nale su cosa dovesse intendersi per “strumento finanziario”. Dopo che parte della dottrina, sulla scorta di una metodologia pandettistica malamente applicata, ha tentato di dare una definizione unitaria alla locuzione “strumento finanzia-rio” di cui all’art. 1, 1° comma, lett. u), T.U.F., la dottrina più autorevole ha os-servato che, in Italia, gli strumenti finanziari sono esclusivamente quelli elencati

——— 9 G. AULETTA, N. SALANITRO, Diritto commerciale, 6a ed., Milano, 2006, pp. 239-240.

Page 553: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 527

all’art. 1, 1° comma, lettere da a) a j), T.U.F. e che non è consentito inventare nuove categorie di strumenti finanziari non contemplate in quell’elenco, dal momento che solo il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob, “può individuare, al fine di tener conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabili-te dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari” (art. 18, 5° comma, T.U.F.)10.

Pertanto, tutti gli strumenti finanziari sono prodotti finanziari, mentre non tutti i prodotti finanziari sono strumenti finanziari, qualora non rientrino nel-l’elenco citato, così come integrato con regolamento ministeriale. In proposito, Irti ha evidenziato che non tutti i prodotti finanziari emessi a seguito della stipulazione di contratti derivati di credito11 sono strumentri finanziari derivati (lett. f), g), h), i), j), art. 1, 2° comma, T.U.F.). Contrariamente a questo orientamento si pone chi, ragionando (erronamente) in termini econominci e non giuridici, in particolare ba-sandosi su un infelice linguaggio molto diffuso tra i pratici, o addetti ai lavori, ri-tiene che tutti i credit derivatives siano strumenti finanziari derivati di cui all’art. 1, 3° comma, T.U.F. che richiama alcune lettere di cui al comma precedente. A ben ri-flettere, infatti, nella prassi degli addetti si usa dire atecnicamente che i contratti derivati sono ricondotti a tre tipologie generali, ovverosia (i) i financial derivatives (contratti derivati relativi ad attività finanziarie come valute, tassi d’interesse o in-dici finanziari, (ii) commodities derivatives (contratti derivati su merci o materie prime) e (iii) credit derivatives12. Orbene, tale tripartizione è totalmente da respingere.

Infine, si rifletta che nei mercati di capitali sono collocati, sottoscritti e ne-goziati esclusivamente strumenti finanziari, ed ogni operazione eseguita “fuori mercato” su tali titoli deve essere comunque e senza ritardo comunicata all’ente gestore del mercato (art. 11, reg. Consob 11768/1998 e successive integrazioni e modificazioni).

5. –– Emissione e collocamento di strumenti finanziari: cenni. A questo punto, compresa la definizione di “prodotto finanziario” e quella

——— 10 N. IRTI, Teoria generale del diritto e problema del mercato, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 19. 11 F. REALI, I contratti di credit risk monitoring. Contratti derivati, derivati di credito e istituti affini, Perugia,

2005, pp. 190-204 12 A.M. CAROZZI, Contratti derivati finanziari e di credito. Lezioni tenute presso la Luiss Management

S.p.A., Roma, 2003, p. 3.

Page 554: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 528

di strumento finanziario, sorge spontanea una domanda, ovverosia: come nasce uno strumento finanziario? Ebbene, occorre innanzitutto che un soggetto emit-tente, pubblico o privato, decida, per qualsiasi motivo (speculativo, di finan-ziamento, di ampliamento del capitale sociale, ecc.), di creare titoli di credito (o di debito) che avranno il carattere della dematerializzazione (non cartacei). L’emittente, in breve sostanza, decide di assumere una posizione giuridica com-plessa, e più che altro nuova, nei confronti di chi sarà portatore di quel titolo (azione, obbligazione, ecc.). L’emissione costituisce un’offerta pubblica d’acqui-sto di una posizione giuridica contrattuale nuova, che è estrinsecata, a mezzo collocamento, sul c.d. mercato primario. Si invita cioè almeno un soggetto (in-vestitore istituzionale) a stipulare un contratto attraverso la sottoscrizione del titolo. Il collocamento costituisce una proposta contrattuale, mentre il primo acquisto del titolo (sottoscrizione) significa accettazione della proposta nei con-fronti dell’emittente, da parte di un soggetto abilitato alla prestazione di servizi d’investimento. Successivamente, il titolo è collocato nel mercato secondario ed ivi può essere ceduto al pubblico dei risparmiatori.

Può anche accadere che il soggetto emittente sia già titolare di una posizio-ne giuridica complessa ben precisa nei confronti di un altro soggetto con il qua-le ha stipulato un contratto, e decida di cedere a terzi uno o più diritti di credito, ovvero tutta la propria posizione contrattuale oggettivamente complessa o parte di essa, per avere un’immediata liquidità o per disimpegnarsi da un rischio che si preferisce cedere al pubblico dei risparmiatori. Si pensi al caso di un imprendito-re che si occupa di import-export di materie prime il quale, avendo stipulato un contratto di compravendita di merci con una controparte che si trova in un pae-se nel quale è scoppiata una guerra civile, preferisca cedere a terzi alcuni rischi di tale operazione. In tal caso può darsi che egli collochi direttamente sul mercato titoli relativi ad alcuni aspetti (come la riscossione del corrispettivo) relativi alla propria posizione contrattuale. Oppure, l’imprenditore in questione potrebbe aver stipulato cautelativamente un contratto di currency domestic swap con un altro imprenditore che ha stipulato, parallelamente un analogo contratto di import-export, ma nella veste di importatore anziché di esportatore, o viceversa. Oppure ancora, l’imprenditore in questione potrebbe aver stipulato una polizza commer-ciale ovvero un contratto di credit default swap con una merchant bank londinese.

Ciascuno dei soggetti richiamato nell’esempio, è titolare di una posizione giuridica oggettivamente complessa, scomponibile in singole obbligazioni e in singoli diritti di credito, e è libero di decidere di collocare in un mercato di capi-tali un prodotto finanziario di nuova emissione, per cedere a terzi, almeno in

Page 555: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 529

parte, i diritti di credito e le obbligazioni nascenti dalla stipulazione di uno dei contratti menzionati. In questo modo, il rischio finanziario dell’operazione, o di parte di essa, è fatto ricadere sul pubblico dei risparmiatori, professionali e non. Presa questa decisione, avverrà il collocamento del titolo inizialmente nel c.d. mercato primario, e poi, subito dopo, nel c.d. mercato secondario. All’uopo, non esiste una sola procedura di collocamento, bensì ne esistono diverse, con e senza rating, che non è il caso in questa sede di esaminare nei dettagli.

Va evidenziato solo che alcuni prodotti finanziari sono venduti ai singoli ri-sparmiatori a mezzo contrattazione privata (o diretta). È il caso delle obbliga-zioni emesse da banche, le quali sono di regola vendute dall’istituto emittente ai propri clienti in una situazione di “conflitto d’interessi”, in quanto è la stessa banca che, anziché collocare (o far collocare da altri) i propri titoli su un merca-to di capitali, decide di venderli ai propri clienti, ponendosi così in una situazio-ne di conflitto. A ben riflettere, infatti, nel caso in cui nascesse una controversia tra il cliente e l’emittente, quest’ultimo rivestirebbe i panni di intermediario, ov-verosia del soggetto che ha sollecitato quel tipo di investimento. Ai sensi della Comunicazione Consob DAL/RM/96002282 del 13 marzo 1996 all’intermediario non è consentito porsi come controparte del cliente, per cui se una banca emet-te proprie obbligazioni, quale intermediario dovrebbe astenersi dal sollecitare i propri clienti ad investire in simili titoli. L’intermediario, infatti, non può rivesti-re al contempo la qualità di emittente, ed in ciò sta il conflitto d’interessi.

Ciò comporta, ai sensi del Reg. Consob 11522/99 e successive integrazioni e modificazioni (attuativo del T.U.F.), che la banca dovrebbe innanzitutto aste-nersi dal suggerire simili soluzioni ai propri clienti. Tuttavia, se malauguratamen-te una simile strada fosse in concreto percorsa, la banca dovrebbe spiegare ai singoli clienti le ragioni del conflitto d’interessi e i dettagli dei rischi che si cor-rono con quell’investimento, tutt’altro che sicuro, visto che la banca potrebbe in qualsiasi momento decidere di ritirare il titolo dal mercato, a danno dell’investi-tore, come normalmente è scritto nei regolamenti d’emissione (quasi mai letti o consegnati nelle mani dei clienti, i quali sarebbero altrimenti disincentivati a procedere nell’investimento).

Va infine evidenziato che, quanto meno nei mercati regolamentati, la sotto-scrizione e il collocamento di un titolo (c.d. emissione), in ambito sia italiano sia comunitario, è riservata ad alcuni intermediari finanziari abilitatiti alla prestazio-ne di servizi di investimento, vale a dire a S.I.M., a banche e a società di merchant manking (c.dd. banche d’affari). Per i mercati non regolamentati valgono invece le regole poste dall’ente gestore del singolo mercato non regolamentato.

Page 556: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 530

Per quello che riguarda la successiva fase della circolazione del titolo demate-rializzato (incorporante una posizione contrattuale) all’interno di un mercato re-golamentato, la negoziazione del medesimo in conto proprio e per conto terzi è ammessa solo a mezzo banche o S.I.M., mentre gli agenti di cambio sono abili-tati alla sola negoziazione per conto terzi. Tali intermediari, purché autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento, di regola non possono realizzare ne-goziazioni di strumenti finanziari fuori mercato, fatte salve alcune eccezioni sta-bilite agli art. 7, 8 e 9 del reg. Consob 11768/1998 e successive integrazioni e modificazioniche riguardano innanzitutto i contratti derivati (art. 7).

6. –– I contratti di borsa. I contratti c.dd. di borsa13 – ovverosia quei contratti che sono utilizzati per

lo scambio di strumenti finanziari nel mercato secondario, una volta che questi siano già stati emessi e sottoscritti nel mercato primario – presentano sovente caratteristiche costanti e comuni, che valgono sia per i mercati ufficiali, sia per quelli non ufficiali14.

Secondo la prevalente dottrina15, essi – nell’ambito del c.d. mercato secon-dario16 ovverosia di quello in cui gli strumenti finanziari sono negoziati una vol-ta emessi e sottoscritti da un primo acquirente – possono essere inquadrati in due grandi categorie o genera somnia. L’una coincide, grossomodo, con lo schema causale oggettivo della compravendita (a pronti, a termine ovvero ad esecuzione differita, a mercato fermo a termine ovverosia a contante o a giorni, a premio ecc.)17, mentre l’altra è da ricondursi al contratto di riporto, anche se le fattispe-

——— 13 In generale, sull’argomento, v. C. COLTRO CAMPI, v. Borsa (contratti di), in Dig disc. priv., sez.

comm., Agg., II, Torino, 1987, p. 171 ss. 14 Sui contratti di borsa, in generale, v. anche F. MESSINEO, Operazioni di borsa e di banca. Studi giu-

ridici, Milano, 1966, passim nonché C. COLTRO CAMPI, Problemi del diritto di borsa, Milano, 1968, pas-sim.

15 T. ASCARELLI, Disciplina giuridica delle operazioni della borsa valori, in AA.VV., Lezioni del corso di ag-giornamento sulle borse valori, Milano, 1958, p. 303 ss.

16 Sulla definizione di mercato secondario e sulle operazioni che ivi sono realizzate, viste dal lato non economico ma giuridico, v. C. CONTI, La disciplina del mercato mobiliare. Dal diritto della borsa al testo unico della finanza, Padova, 2001, p. 177 ss.

17 Va però messo in luce che non tutti le compravendite di borsa sono anche contratti di borsa. Sebbene ai fini fiscali esse siano equiparate ai contratti di borsa e sebbene siano stipulate nell’ambito di un mercato (regolamentato o meno), i contratti di compravendita in cui alla consegna (dematerializzata) di titoli o di valori segua immediatamente la conclusione del contratto non sono contratti di borsa stricto sensu, ma generiche compravendite. Sul punto v. R. CORRADO, I contratti di

Page 557: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 531

cie concrete raramente sono esattamente coincidenti con quella astratta discipli-nata nel nostro codice civile. Per contratto di borsa, quindi, si intende quella fat-tispecie contrattuale a mezzo della quale gli strumenti finanziari sono scambiati all’interno di un mercato (regolamentato o over the counter), una volta emessi. Tali fattispecie costituiscono un numero aperto, e sono in continua evoluzione, sia nel numero, sia nel loro contenuto, costantemente adeguato alle esigenze degli operatori finanziari.

La stipulazione – quella che i praticoni definiscono tecnicamente “negozia-zione” – dei contratti di borsa è riservata alle imprese di investimento e alle ban-che – salvo che in vari mercati non ufficiali dove l’interessato può porre in essere direttamente operazioni di acquisto o di riporto sulla proprietà o su al-tro diritto concernente strumenti finanziari – le quali operano generalmente “in conto proprio”, una volta ricevuto l’ordine da parte dell’investitore, il quale deve essere debitamente informato sui rischi dell’investimento. In tali ipotesi, tra l’impresa di investimento (o la banca) e l’investitore (cassettista, ribassista, rialzi-sta o arbitraggista) è stipulato un contratto di mandato senza rappresentanza.

Le residue operazioni sono invece poste in essere per conto terzi, di soli-to per mezzo di un broker autorizzato, in modo tale che tra l’investitore e l’intermediario autorizzato è stipulato un contratto di mandato con rappresen-tanza. Come già osservato, nei mercati non ufficiali è possibile operare diretta-mente, da parte dell’interessato, sotto la sola supervisione della società che gesti-sce quel mercato over the counter.

Anche l’attività di ricezione degli ordini di “negoziazione” è riservata dal legislatore italiano alle banche e alle imprese di investimento (italiane, comunita-rie e extracomunitarie) autorizzate ex art. 18 T.U.F. In realtà, tale riserva (pro-pria dell’Italia) è per la verità in contrasto con la disciplina comunitaria che sol-lecita la liberalizzazione di codesto servizio. Tale attività di ricezione di ordini, con contestuale stipulazione di un contratto di mandato (con o senza rappresen-——— borsa, coll. Trattato di diritto civile italiano, a cura di F. Vassalli, 2a ed., Torino, 1960, nt. 76. L. BIANCHI D’ESPINOSA, I contratti di borsa. Il riporto, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, vol. XXXV, t. 2, Mi-lano, 1969, p. 308 in proposito afferma che l’effetto delle disposizioni di legge che rinviano agli usi di borsa e ai regolamenti – quanto alla definizione dei contratti di borsa – producono, tra gli altri, l’effetto di far sì che “la compravendita «a contante», che gli usi di borsa distinguono dalla vendita «a termine», ma che è in definitiva anche essa, strutturalmente, una compravendita a esecuzione differita (sia pure caratterizzata da un termine particolarmente breve), e si avvicina perciò più alla compravendita «a termine» che non al contratto di vendita in cui lo scambio tra cosa e prezzo av-venga subito dopo la conclusione del contratto, debba essere considerata in modo autonomo; e che ad essa non si applichino quelle norme legislative che dettano disposizioni per i contratti di borsa «a termine»”.

Page 558: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 532

tanza), costituisce un servizio di investimento ed è disciplinata dagli artt. 21 ss. T.U.F. L’art. 21 T.U.F. (di cui è diretta emanazione il reg. Consob 11522/1998 con relativi allegati), in particolare, detta le regole di correttezza dell’interme-diario il quale è esposto al rischio della responsabilità precontrattuale, ed altresì al rischio di vedersi condannato alla refusione dei danni sopportati dall’investi-tore. Ulteriore rischio che potrebbe sopportare l’intermediario, è quello di accol-larsi interamente le conseguenze derivanti dalla stipulazione di un contratto di borsa (concluso dentro e fuori i mercati regolamentati), per via della nullità del contratto di mandato professionale stipulato con il cliente, nullità derivante dalla violazione di norme imperative. In questo senso si è orientata la recente giuri-sprudenza di merito a proposito dell’acquisto dei famigerati Cirio-bond, il cui acquisto era stato richiesto da ingnari piccoli risparmiatori i quali non erano stati avvertiti, dall’intermediario, circa i rischi che correvano. Una volta che il contratto di mandato volto alla stipulazione di un contratto di borsa è stato poi adempiuto, per conto proprio o per conto terzi, dall’intermediario, si crea una totale separazione patrimoniale18, disciplinata dall’art. 22 T.U.F. a cui si rinvia per maggiori dettagli.

Criticabile appare l’art. 23 T.U.F. in quanto, dopo essersi soffermato sui re-quisiti di forma, previsti a pena di nullità, prescritti per i contratti di prestazione di servizi di investimento, il legislatore precisa, al 5° comma, che agli strumenti finanziari derivati non si applica l’art. 1933 c.c. Vale la pena di precisare che una simile disposizione, era prevista già nella c.d. legge S.I.M. del 1991 con portata applicativa molto limitata. L’ambito di applicazione oggettivo di tale originaria disposizione era stato ampliato con il decreto Eurosim del 1996, fino all’attuale formulazione, di carattere omnicomprensivo di cui all’art. 23, 5° comma, T.U.F. In proposito, si osservi che tale scelta legislativa era stata dettata dall’esigenza di evitare che l’autorità giudiziaria, a torto o a ragione, potesse considerare certi contratti derivati come scommesse, con conseguente applicazione dell’exceptio ludi di cui all’art. 1933 c.c., come effettivamente era accaduto.

Tale tecnica legislativa, tuttavia, risulta molto poco felice, perché, in realtà,

——— 18 Sulla separazione patrimoniale, in particolare sui patrimoni destinati ad uno specifico affare v.

R. ARLT, Die neuen italienischen Zweckvermögen: Erstmalige Einführung der Protected Cell Companies in Europa, in Zeitschrift für Bankrecht und Bankwirtschaft, 2004, p. 382-395; ID., I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, in Contr. e impr., 2004, p. 323-356; ID., La s.p.a. con patrimoni destinati: una protected cell company “ancora agli inizi“, in Diritto e processo. Annuario giuridico dell’Università degli Studi di Peru-gia - 2005, 2006, 401-455, anche in lingua tedesca, Die italienische Aktiengesellschaft mit Zweckvermögen: Eine Protected Cell Company „noch in den Kinderschuhen“, ivi, p. 343-399

Page 559: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 533

alcuni contratti derivati (dove la posizione contrattuale di un soggetto è rappre-sentata dalla titolarità del relativo strumento finanziario) sono effettivamente, dal punto di vista della migliore interpretazione civilistica, vere e proprie scom-messe, come i famigerati swaps in & out, la cui stipulazione è spesso proditoria-mente proposta da intermediari senza scrupoli a piccoli enti locali che hanno debiti con la Cassa Depositi e Prestiti. Si tratta, quindi, di «scommesse atipiche», poiché il contratto derivato (che fonda il suo valore su valori sottostanti quali indici, tassi, o altri strumenti finanziari e che non sempre è un contratto aleato-rio o commutativo), quando assume la forma di scommessa, non è eccezional-mente sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1933 c.c.

Talvolta, esso è un vero e proprio contratto commutativo ad alea norma-le molto ampia, ed è risolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta quando si superano certi parametri, inizialmente non prevedibili, ad esempio per fatti catastrofici come attacchi terroristici o catastrofi naturali che condizionano negativamente la quotazione dello strumento finanziario che rappresenta il contratto derivato in questione, o del parametro sottostante di riferimento. In definitiva, in alcuni casi il contratto derivato è un vero e proprio contratto a-leatorio, in altri un contratto commutativo, ed in altri ancora una scommessa. In quest’ultima ipotesi tale scommessa è atipica e non si applica l’art. 1933 c.c., per lo meno quando una delle due parti che hanno stipulato tale contrat-to prima della sua negoziazione nel mercato secondario, sia un interemediario finanziario abilitato alla prestazione di servizi di investimento ex art. 18 T.U.F. A questo punto va però precisato che i contratti derivati non sono contratti di borsa, bensì fattispecie contrattuali di solito rappresentate da omonimi stru-menti finanziari, i quali circolano dentro e fuori i mercati attraverso contratti di borsa.

Ciò posto, siamo in grado di distinguere tra contratti stipulati tra emittente e primo sottoscrittore di uno strumento finanziario (come i contratti derivati, rappresentati da strumenti finanziari detti appunto “derivati”), e i contratti di scambio di tali strumenti finanziari. Solo questi ultimi sono inquadrabili nella categoria dei c.dd. contratti di borsa, che sono di regola atipici, in quanto ge-neralmente non disciplinati dal codice civile o da leggi speciali, bensì da usi di borsa. Per fare un esempio, il contratto stipulato tra una società privata che colloca sul mercato primario proprie obbligazioni e il sottoscrittore di tali tito-li costituisce nella sostanza un contratto di mutuo, dove il mutuante (creditore della somma) è il sottoscrittore dei titoli, mentre il mutuatario (debitore della somma) è la società emittente. La successiva cessione nel mercato secondario

Page 560: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 534

di tali obbligazioni costituisce una cessione di contratto atipica, perché realiz-zata attraverso la cessione di un titolo di credito dematerializzato, secondo gli usi di borsa.

Quanto ai contratti di riporto stipulati per lo scambio di strumenti finanzia-ri si consideri che una cosa è il contratto di riporto c.d. legale o tipico, di natura reale, altra cosa è il riporto c.d. di borsa, di natura normalmente consensuale. In effetti, la dottrina – di pari passo con la giurisprudenza – non ha mancato di e-videnziare che i contratti di borsa rappresentano un’autonoma categoria di ne-gozi ai quali non è sic et sempliciter applicabile la disciplina della compravendita e del riporto, prevedendo gli stessi artt. 1536 e 1551 c.c. un rinvio alle leggi speciali (ancorché in riferimento al solo inadempimento dei contratti di borsa) ed essendo la loro regolamentazione – nel complesso – atipica o meglio «tipica» dell’ordinamento borsistico dei mercati finanziari italiani19.

Si è visto, infatti, che lo schema causale tipico dei riporti di borsa è gene-ralmente quello del contratto di riporto – salvo per il fatto che il riporto di borsa non è un contratto reale ma consensuale, diversamente da quello tipico di cui agli art 1548 ss., c.c. – quando si ha a che fare con i contratti a premio (e.g.: con-tratto dont semplice), mentre lo schema causale del contratto di compravendita (a termine di titoli di credito dematerializzati) è rinvenibile nella maggior parte delle rimanenti fattispecie.

Per quello che riguarda i riporti di borsa, essi somigliano molto da vicino alle compravendite a termine di strumenti finanziari, ma da esse si differenziano, poiché con i riporti “il riportato trasferisce in proprietà al riportatore titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo, ed il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà dei titoli della stessa specie, verso il rimborso del prezzo, che può essere aumen-tato o diminuito nella misura convenuta” (art. 1548 c.c.).

Cessa di essere un contratto reale, per divenire un contratto consensuale il riporto c.d. staccato, tipico del mercato borsistico, utilizzato a scopo di finan-ziamento, non per lo scambio di strumenti finanziari. Anziché al momento della stipulazione, i titoli (dematerializzati) vengono “consegnati” al momento della scadenza pattuita, e non al momento del perfezionamento, come invece avviene

——— 19 L. BIANCHI D’ESPINOSA, I contratti di borsa. Il riporto, cit., p. 133 ss. Ritiene invece che i contratti

di borsa siano una categoria tipica o socialmente tipica secondo quanto dispongono gli usi di borsa (con esclusione dell’applicazione dell’art. 1322, 2° comma c.c.). F. MESSINEO, Il contratto a “fermo” a ter-mine, in AA.VV., Operazioni di borsa e di banca, 3a ed., Milano, 1966, p. 24 ritiene che le disposizioni sul riporto e sulla vendita di beni mobili siano applicabili solo in quanto compatibili.

Page 561: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 535

nel riporto classico, mentre le operazioni di acquisto e di rivendita sono tenute distinte. Ciò avviene allo scopo di prolungare una preesistente posizione pen-dente in titoli o in denaro, rinviandone la scadenza e quindi la liquidazione ov-vero per scopi precipuamente speculativi.

Altra figura particolare di riporto di borsa è il riporto c.d. proroga, a sua volta suddiviso in riporto proroga diretto (o classico) e riporto proroga indiret-to. Con la prima tipologia contrattuale (atipica), le parti di un contratto di com-pravendita a termine di strumenti finanziari, invertono sostanzialmente i ruoli quando, in prossimità della scadenza, colui che è obbligato a trasferire i titoli non è ancora in grado di farlo. In questo modo, chi avrebbe dovuto ricevere i titoli li rivende a chi avrebbe dovuto consegnarglieli, il quale, a sua volta, paghe-rà all’altro il prezzo dei medesimi alla scadenza. Non si avrà così alcun passaggio di consegna dei titoli ma solo la liquidazione del loro valore alla scadenza a cari-co del riportatore20.

Nell’altra tipologia, invece, un terzo soggetto paga il valore dei titoli all’alienan-te (allo scoperto), con contestuale obbligazione dell’acquirente a termine dei titoli a consegnarli al terzo, ad una futura scadenza (normalmente coincidente con quel-la di un contratto principale di riferimento). Si usano questi riporti proroga quan-do il venditore dei titoli non è in realtà in possesso dei medesimi, ed è intenziona-to ad adempiere in altro modo, attraverso la liquidazione della differenza del loro valore, con contestuale dilazione dei termini per la consegna effettiva dei beni.

I contratti di borsa costituiscono senz’altro una figura unitaria, a differenza di quei collegamenti negoziali conosciuti come “pronti contro termine”, rispetto ai quali si è in passato discusso se si trattasse di duplici contratti collegati, o di un unico contratto. Tuttavia, oggi che è stata abrogata la disciplina di carattere tributario rispetto alla quale era rilevante sapere con certezza se ci fossimo tro-vati di fronte a due contratti collegati o a un unico contratto, è venuta meno an-che l’esigenza pratica ci cimentarsi in una simile disputa. Vero è che, da un pun-to di vista strettamente civilistico, sembra più corretto affermare che si ha a che fare con due contratti con cause collegate, stipulati contemporaneamente.

Con il collegamento negoziale denominato pronti contro termine, appunto, si ha a che fare con un primo contratto ad effetti reali ad esecuzione immediata (a pronti), e ad un secondo contratto ad esecuzione differita (a termine), di tal-

——— 20 Sui sistemi di liquidazione per compensazione v., per tutti, S. AMOROSINO, C. RABITTI BEDO-

GNI (a cura di), op. cit., pp. 204-206; e F. REALI, I contratti di credit risk monitoring. Contratti derivati, derivati di credito e istituti affini, cit., pp. 127-137.

Page 562: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 536

ché tra il termine pattuito per la seconda vendita e la scadenza definitiva, l’investitore non risulta essere proprietario dei titoli bensì creditore del prezzo che gli verrà corrisposto alla scadenza. Tale collegamento negoziale o “pronti contro termine” è spesso utilizzato nella prassi bancaria, per ottenere veloce li-quidità (da parte della banca), attraverso il suggerimento di simili operazioni ai propri clienti. In breve sostanza avviene che un venditore “a pronti” cede i pro-pri strumenti finanziari ad un acquirente “a pronti”, il quale si obbliga a rivende-re (melius, rivende contestualmente) a termine al primo soggetto una identica quantità di titoli della stessa specie e di identico valore nominale, ad un prezzo normalmente superiore al valore iniziale, e ad una scadenza futura.

Ovviamente, la rivendita a termine dei titoli è preventivamente calcolata sulla base del corrente tasso d’interesse, riferito al c.d. mercato a termine. Il cal-colo per la verità è complesso e varia a seconda che i titoli in questione (di rego-la non derivati) siano a reddito fisso o variabile.

Altro contratto di borsa è il contratto di “prestito titoli”, anch’esso atipico, che è strettamente legato al sistema della liquidazione per differenziale21 in con-tanti. In parole povere, avviene che un soggetto che non possiede titoli, li vende pur non avendoli, ovverosia li vende “allo scoperto”, per poi riacquistare una medesima quantità di titoli al momento opportuno, cioè al momento del ribasso del loro valore sul mercato (operazione al ribasso). Per poter fare ciò, chi vuole porre in essere una simile operazione di trading (scilicet, speculativa), gli operatori pratici evidenziano che costui “prende in prestito” i titoli (che non ha), a titolo oneroso. In realtà, all’occhio attento del civilista non sfugge che tale contratto – atecnicamente denominato “prestito” – è in realtà un mutuo di cose generi-che che obbliga il mutuatario ha restituire cose dello stesso genere entro una data prestabilità, a titolo oneroso. Il mutuatario dei titoli è così proprietario dei medesimi, e pertanto può disporne. Al contempo, il mutuatario presta una garanzia in denaro al mutuante, la quale rientra nella disciplina del contratto atipico denominato cash collateral22. Al momento della restituzione dei titoli, il

——— 21 In dottrina si discute se la liquidazione per differenziale alla scadenza caratterizzi o meno una

tipologia a sé stante di contratti di borsa, vale a dire quella dei contratti differenziali. In senso positivo si pone G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, 12a ed. aggiornata a cura di C. Angelici, G.B. Ferri, Tori-no, 2006, p. 736 il quale definisce il contratto differenziale come quell’accordo in virtù del quale le parti non si obbligano ad addivenire al trasferimento degli strumenti finanziari, ma si obbligano alla liquida-zione della differenza tra il prezzo pattuito e il prezzo corrente al momento della scadenza.

22 Su tale contratto, e sulla sua variegata natura a seconda del regolamento concreto d’interessi scelto dalle parti, v. F. REALI, I contratti di credit risk monitoring. Contratti derivati, derivati di credito e istituti affini, cit., pp. 238-243.

Page 563: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 537

mutuante restituirà al mutuatario il denaro, i titoli o gli altri beni conferiti in garanzia a titolo di cash collateral, oltre agli interessi (frutti civili), costituenti il rendimento dei beni conferiti in garanzia, fermo restando che quest’ultimo contratto, di regola concluso con una controparte (parte mutuante o lender), che normalmente è una banca, rientra tra i contratti di garanzia finanziaria di cui al d.lgs. n. 170/2004.

Va infine evidenziato che i titoli utilizzati nell’operazione vengono “presta-ti”, vale a dire concessi a mutuo, da parte di una banca la quale utilizza titoli non propri bensì dei suoi clienti, i quali preventivamente debbono aver consentito alla banca di disporre dei medesimi concedendoli a mutuo a terzi, fermo restan-do il principio di separazione patrimoniale di cui all’art. 22 T.U.F. Tale procura, conferita all’azienda di credito, è un mandato con rappresentanza, che a sua vol-ta si distingue in securities borrowing e in securities lending, a seconda che occorra o meno l’assenso specifico del proprietario dei titoli prima del “prestito” dei me-desimi, prestito che è posto in essere a discrezione della banca, la quale utilizza i titoli dei propri clienti.

Ad ogni modo, si distingue tra contratti di borsa stipulati a mercato fer-mo e a mercato libero. Con i primi i contraenti si impegnano a eseguire il con-tratto ad una determinata scadenza, alle condizioni stabilite al momento del perfezionamento dell’atto. Con i secondi uno dei due contraenti versa all’altro una somma (c.d. premio) onde ottenere un diritto potestativo che può avere il contenuto più vario. Spesso i contratti di borsa sono “a contante”, tipici delle operazioni a mercato fermo, dove le rispettive obbligazioni devono essere a-dempiute il terzo giorno di borsa aperto. Se a quella data la liquidità del com-pratore di un titolo è carente, quest’ultimo può incaricare l’intermediario di stipulare un particolare contratto di riporto (c.d. proroga) allo scopo di otte-nere immediata liquidità, o di fornirgli liquidità dando in garanzia titoli, ad e-sempio attraverso la stipulazione con l’intermediario di un contratto di cash collateral.

Nei contratti a mercato libero, invece, solo l’obbligazione di pagare il corri-spettivo del premio va adempiuta il quinto giorno di borsa successivo alla stipu-lazione. Tutti i contratti a premio costituiscono compravendite a termine, in quanto la loro esecuzione avviene a scadenze predeterminate, ogni mese. Va e-videnziato che i contratti tipici del mercato libero come i contratti dont (o a premio semplice) comportanti il diritto di non eseguire il contratto, o come gli ormai noti stellage, comportanti un doppia facoltà, hanno sostanzialmente perdu-to ogni interesse dal momento che simili diritti potestativi sono incorporati

Page 564: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 538

all’interno di molti strumenti finanziari. Per essere più chiari, contratti derivati come i coverei warrants sono rappresentati da strumenti finanziari omonimi e la posizione contrattuale di chi ha sottoscritto il titolo emesso dall’emittente, è ce-duta nel mercato secondario attraverso la cessione del titolo. Ebbene, di per sé, gli strumenti finanziari a contenuto opzionario come quello ora menzionato, danno diritto al loro titolare di esercitare una o più opzioni. Per cui non c’è bi-sogno di cedere il contratto “a mercato libero”, per conferire all’avente causa un diritto potestativo che è già incorporato nel titolo23.

Per terminare questa breve sintesi, si osservi che i contratti di borsa sono stipulati, in forma libera, con modalità differenti a seconda che si abbia a che fa-re con strumenti finanziari negoziati in mercati orden driven o in mercati quote dri-ver, e che talvolta gli stessi sono stipulati direttamente tra gli interessati, ponen-dosi l’intermediario finanziario quale semplice mediatore, e fermo restando che in Italia l’attività di mediazione non è liberalizzata bensì riservata a poche cate-gorie di operatori qualificati, come le banche (art. 5, 5° comma, lett. e), T.U.F.).

Vale comunque la pena rammentare che il legislatore ordinario non dà una definizione di contratti di borsa, lasciando agli agenti di cambio periodicamente incaricati di aggiornare le raccolte degli usi (di borsa) presso le Camere di Com-mercio l’arduo compito. Il legislatore, in realtà, interviene solo con provvedi-menti di carattere tributario, i quali presuppongono l’esistenza di tali contratti. Unica eccezione è l’art. 1 del r.d. n. 3278 del 30 dicembre 1923 a mente del qua-le “i contratti di borsa sono soggetti ad una tassa speciale che si applica nei modi e nelle misure di seguito determinati” (1° comma); e, in particolare (2° comma , sono “contratti di borsa: a) i contratti, siano fatti in borsa o anche fuori borsa […] di cui formino oggetto i titoli di debito dello Stato, delle Province, dei Co-muni e di enti morali; le azioni ed obbligazioni di società, comprese le cartelle degli istituti di credito fondiario, e in generale qualunque titolo di analoga natu-ra, sia nazionale, sia estero siano o no quotati in borsa; b) le compra-vendite a termine di valori in moneta o verghe, siano fatte in borsa o fuori borsa; c) […]. La tassa si applica anche ai contratti a titolo oneroso aventi per oggetto titoli e valori di cui alle lettere ‘a’ e ‘b’ del secondo comma, nonché le quote di parteci-pazione in società di ogni tipo, conclusi per atto pubblico o scrittura privata, comunque in altro modo non conforme agli usi di borsa”24. L’elencazione, in ———

23 Diversamente, G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, cit., pp. 737-738. 24 C. SPECIFICO, Tassa sui contratti di borsa. Un po’ d’ordine, in www.federnotizie.it, XI, 2003, p. 1 precisa

che a dispetto del nome e del contenuto dell’articolo 1 del citato decreto “può sottolinearsi come, il d.lgs. 21 novembre 1997 n. 435 (successivamente modificato ad opera dell’art. 6 comma 1 del d.lgs 16

Page 565: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 539

questo caso, è in parte pleonastica e in parte non vincolante per l’analisi civilisti-ca della fattispecie, sia per la non completezza della medesima, sia per la finalità di carattere tributario del provvedimento in cui essa è contenuta. Tuttavia, essa è comunque idonea a rendere l’idea di cosa doveva intendersi per contratti di bor-sa nella prassi degli addetti ai lavori nel primo dopoguerra.

Va messo in luce, tuttavia, che non tutti i contratti con cui si scambiano di-ritti all’interno di una borsa valori sono necessariamente definibili come contrat-ti di borsa. Ad esempio, la compravendita in borsa valori di strumenti finanziari (o valori) non costituisce contratto di borsa (stricto sensu) se alla stipulazione se-gua immediatamente o contestualmente la consegna della res25. Autorevolmente si è affermato che “la compravendita ‘di borsa’ ha finito per assumere una pro-pria configurazione, e costituisce un negozio tipico, che risente delle esigenze tecniche del mercato borsistico, onde può tranquillamente concludersi che ad essa si applicano le norme comuni vigenti per la vendita, ed in particolare per la vendita mobiliare, solo in quanto compatibili con la particolare regolamentazio-ne del negozio […] Ancora di più diverge […] il riporto di borsa, nelle sue varie forme, da quello che è il tipico contratto di riporto, così com’è regolato dal co-dice civile, in quanto quest’ultimo è contratto reale (cfr. art. 1549 cod. civ.) men-tre il riporto di borsa può perfezionarsi senza consegna del titolo”26. Vale solo la pena osservare che oggigiorno i titoli non possono materialmente scambiarsi, considerato il fenomeno della dematerializzazione dei medesimi, ma le citate considerazioni sono ancora valide.

In definitiva, volendo analizzare i profili generali delle principali tipologie di ——— giugno 1998 n. 201) sottragga dal trattamento tributario in esame proprio i contratti di borsa in senso stretto […] L’articolo 1 del provvedimento afferma che sono esenti dalla tassa di cui al r.d. 30 dicem-bre 1923 n. 3278 i contratti aventi ad oggetto titoli, quote e partecipazioni in società di ogni tipo con-clusi nei mercati regolamentati” che, a stando a quanto stabilito dalla Consob sono: la Borsa, il merca-to ristretto, il mercato di Borsa, il mercato all’ingrosso dei titoli dello Stato ed il mercato dei con-tratti a termine uniformi sui titoli dello Stato. L’esenzione viene poi estesa alle negoziazioni in cui intervengono banche o intermediari finanziari, ad alcune particolari operazioni e alle negoziazioni in-tervenute tra particolari soggetti al di fuori dei mercati regolamentati, ma aventi ad oggetto titoli quota-ti. Questa modificazione – che va valutata nell’ottica di un tentativo di riordino razionale dell’im-posizione legata alla contrattazione mobiliare – sopprime proprio per le operazioni di borsa la tassa sui contratti di borsa, e pertanto, alla luce di questa apparente contraddittorietà tra nome e presupposto d’imposta appare più appropriata la denominazione utilizzata dal legislatore del 1954 per tale imposta, visto che nella l. 10 novembre 1954 n. 1079 si parla di “tasse per i contratti di trasferimento di titoli e valori”.

25 L. BIANCHI D’ESPINOSA, I contratti di borsa. Il riporto, cit., p. 309. L’autore si riporta alle conside-razioni di D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, vol. XXIII, Milano, 1962, nn. 78, 124 e a quelle di R. CORRADO, op. cit., nn. 2, 76.

26 L. BIANCHI D’ESPINOSA, I contratti di borsa. Il riporto, cit., p. 308.

Page 566: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 540

contratti di borsa, deve prescindersi dal fatto che esse siano poste in essere all’interno di un mercato e, quindi, attraverso l’intermediazione (o meno) di una clearing house, oppure direttamente tra gli interessati, come avviene nelle negozia-zioni over the counter. Si osservi che, tradizionalmente, i contratti di borsa possono essere descritti sistematicamente secondo due tronconi affatto simili. Da un lato Bianchi D’Espinosa li distingue in contratti a mercato fermo, in contratti a merca-to libero (o a termine) e in riporti. I primi sono compravendite a contante (con-tratto “a contante” e contratto “contante a giorni”) e compravendite a termine fermo. I secondi, invece, sono compravendite a premio semplice (dont, put), di aggiunta (noch) e a premio doppio (stellage, spread e alcuni derivati); mentre i ri-porti sono distinti in riporti di borsa, riporti-proroga e riporti staccati. Corrado, dal canto suo, distingue più semplicemente i contratti di borsa in compravendite – a termine (“a pronta consegna”; “entro breve termine”) e a contante (“con impegni definitivi”; “con impegni non definitivi” quali quelli “a premio sempli-ce”, “a premio doppio” e “di aggiunta” o noch) – ed in riporti (“in senso stretto” e “deporti”)27.

In breve sostanza, Bianchi D’Espinosa evidenzia che, a prescindere dagli schemi classificatori, le caratteristiche comuni di tali negozi sono le seguenti: 1) assenza di formalità particolari per la loro conclusione (che si realizza con il semplice consenso, non trattandosi di contratti reali); 2) prestazione differita, con termine di scadenza che in ogni caso non ha natura di termine essenziale28; 3) “hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere (art. 1378 c.c.); e pertanto con efficacia esclusivamente obbligatoria, non con effetti reali”29. Quest’ultima affermazione potrebbe essere non del tutto condivisibile, ed anzi secondo noi non lo è affatto, se si tiene conto dell’odierna realtà dei contratti c.dd. derivati ed in particolar modo degli swaps – i quali, similmente alle scommesse, sono liquidati per differenziale – e dei futures. Vale solo la pana di aggiungere che il rapporto credito-debito è così complesso che solo alla scaden-za potrà dirsi chi dei due sarà obbligato a pagare – in un contratto di borsa a termine di tipo differenziale semplice o complesso30 – il differenziale. Talvolta le posizioni sono molto complesse, come ad esempio nei contratti c.dd. “deriva-

——— 27 Sui contratti a premio semplice v. M. IRRERA, Il contratto a premio semplice “dont”: causa del contratto

ed eccessiva onerosità, in Giurisprudenza italiana, 1985, XI, p. 625-630. 28 Sul punto v. U. NATOLI, Il termine essenziale, in Riv. dir. comm., 1947, I, p. 221; e V. ANDRIOLI,

Appunti sulla clausola risolutiva espressa e sul termine essenziale, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1950, p. 52.

29 L. BIANCHI D’ESPINOSA, I contratti di borsa. Il riporto, cit., p. 312. 30 Sul punto v. infra, § 8.

Page 567: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 541

ti” o in quelli “derivati di credito”, detti anche credit derivatives, così che è impos-sibile individuare la parte creditrice e la parte debitrice al momento della stipula-zione del contratto.

7. –– Contratti derivati: profili generali. In passato, i Padri del diritto civile quando parlavano di contratto derivato

si riferivano al subcontratto, come il subappalto o la sublocazione. Oggi con tale termine, si prende in considerazione un particolare contratto dell’intermediazione finanziaria, di regola a termine, a mezzo del quale il vantaggio economico della stipulazione del medesimo può spostasti ambulatoriamente sull’una o sull’altra parte a seconda del variare di un valore sottostante (indice, tasso, valuta, divisa, strumenti finanziari, ecc.). Per la verità, è sbagliato parlare di contratto derivato al singolare, essendo piuttosto preferibile parlare di contratti derivati al plurale, viste le grandi differenze che sussistono tra i medesimi, spesso sottoposti a dif-ferenti discipline civilistiche, non avendo comuni caratteristiche. Si osservi che non necessariamente alla stipulazione di un contratto derivato consegue la na-scita di un corrispondente strumento finanziario, come nel caso di contratti sti-pulati tra imprese private, o tra imprese o enti pubblici e banche. Molto spesso, tuttavia, un contratto derivato nasce dall’incontro della proposta di colui che emette un nuovo strumento finanziario e colui che accetta la proposta, sotto-scrivendo il titolo di nuova emissione. Inutile dire che nei mercati ufficiali sono ammessi alla quotazione solo quegli strumenti finanziari, tra cui i contratti deri-vati, stiplulati attraverso l’utilizzo di un modulo contrattuale uniforme (o master agreements) che abbia avuto il placet della società che gestisce il mercato regola-mentato in cui si vuole che esso sia collocato e negoziato. Mentre nei rapporti diretti tra gli interessati, così come ai fini del collocamento e della negoziazione di un contratto derivato in un mercato non regolamentato, è ben possibile stipu-lare un contratto derivato usando moduli contrattuali personalizzati.

In linea teorica, vale la pena ancora osservare che possiamo ipotizzare varie distinzioni all’interno della vasta gamma dei contratti derivati. Ad esempio, li possiamo distinguere in base allo scopo – normalmente comune ad entrambe le parti – della loro stipulazione che può essere puramente speculativo, oppure di copertura (hedging) di determinati rischi economici ponendosi il rischio insito nella stipulazione del contratto derivato de quo di segno opposto rispetto a quel-lo che deriva dal parametro sottostante di riferimento, oppure di arbitraggio (di

Page 568: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 542

borsa). Si possono poi distinguere contratti derivati cum titolo e sine titulo, avendo i primi come valore sottostante uno strumento finanziario mentre i secondi uti-lizzano altri parametri di riferimento, come tassi d’interesse e indici di borsa. Si può poi distinguere tra contratti derivati a premio (opzioni o options) e contratti derivati per pronta consegna (future, forward, swap). Normalmente, si usa dire che all’interno della gamma dei contratti derivati vi è sostanzialmente una quadripar-tizione caratterizzata da future, forward, swap e options, a loro volta suddistinti in svariate sottocategorie. Non mancano, naturalemte, ipotesi di contratti derivati talmente complessi, frutto di una raffinata quanto complicata arte stipulatoria, che è ostico inquadrare in modo uniforme, come lo stock index financial future. In-fine, si usa distinguere tra tre tipi di contratti derivati, ovverosia tra contratti che hanno come valore sottostante uno strumento finanziario, merci (commodities) e infine altri valori diversi da strumenti finanziari e da merci, come gli indici di borsa.

8. –– Cenni sui principali contratti derivati. Come già osservato, vi sono varie tipologie di contratti derivati. I contratti

di swap, ad esempio, non rappresentano una tipologia unitaria, ma sono scom-ponibili in diversi tipi, ciascuno dei quali ha caratteristiche proprie che lo con-traddistinguono indefettibilmente rispetto agli altri. La traduzione letterale del termine swap è “scambio” nel senso anglosassone di exchange, ovverosia un “termine” o “vocabolo tecnicizzato” come osservato da una parte della dot-trina31 ed esso si riferisce ad operazioni che in linea logica e per la maggior parte sono poste in essere nel mercato dei cambi. Essi sono contratti di scam-bio non di rado strutturati sullo schema dei c.dd. pronti contro termine, e non di rado perfezionati con l’ausilio di intermediari professionali32, il cui valore sot-———

31 G. TARELLO, L’interpretazione della legge, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, Milano, 1980, p. 108 ss., parla del termine swap come di un “vocabolo tecnicizzato”, ovverosia come uno di quei vo-caboli di uso ordinario che nell’ambito di una scienza o di una tecnica si specializzano e, in questa, conservano solo una delle diverse accezioni che hanno nell’uso ordinario. La House of Lords, Ha-zell v. Hammersmith and Fulhan LBC, 24.1.91 ha definito lo swap come il “contratto con cui le parti con-vengono di scambiarsi, in una o più date prefissate, due somme di denaro calcolate applicando due diversi parametri (tassi di interessi e/o di cambio) ad un identico ammontare di riferimento […] Alla scadenza viene effettuato un unico pagamento, su base netta, in forza di compensazione volonta-ria” (la traduzione è di A.M. CAROZZI, op. cit., Roma, 2003, p. 7).

32 In passato la giurisprudenza di merito (v. le due famose ordinanze del Tribunale di Milano del 21 febbraio e dell’11 maggio 1995, entrambe pubblicate in Banca borsa tit. cred., 1996, II, p. 442, con no-

Page 569: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 543

tostante consiste in tassi di interesse, valute, merci, mercati e relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti. Quelli su merci, in particolare quelli e sui relativi indici azionari so-no detti, nella prassi degli addetti ai lavori, commodity o equity swaps33. È natural-mente preferibile parlare di swaps al plurale e mai al singolare, ancorché una bril-lante dottrina è riuscita a inquadrare l’ampia categoria dei contratti di swap attra-verso una definizione unitaria, ovverosia come quei “contratti di scambio a pronti o a termine […] su tassi d’interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari”34.

A proposito del currency swap in particolare, Inzitari lo definisce come il pat-to mediante il quale due parti si obbligano a corrispondere l’una all’altra, al veri-ficarsi di un termine stabilito, una somma di denaro in valuta nazionale di am-montare pari alla differenza tra il valore in euro di una somma in valuta estera al tempo della conclusione del contratto ed il valore in euro della stessa somma in valuta estera in un momento successivo contrattualmente stabilito35. Parte del-la dottrina definisce poi negozio denominato domestic currency swap come mecca-nismo contrattuale finalizzato ad evitare rischi, in caso di interscambi o di rapporti di import/export tra operatori commerciali, a motivo delle fluttuazioni monetarie che potrebbero verificarsi tra il momento della sottoscrizione di un contratto e quello della sua esecuzione36. In entrambe le definizioni è ovviamente preso in considerazione il modello base di currency swap, avente ad oggetto valute o divi-se. Ad ogni modo, con tale contratto derivato (currency domestic swap) – che na-

——— ta di A. PERRONE Osservazioni a Trib. Milano, 21 febbraio 1995 e 11 maggio 1995, in tema di applicabilità agli swaps della l. 2 gennaio 1991 n. 1, ivi) era altalenante nel considerare nulli i contratti di swap conclusi fuori dei mercati regolamentati tra un privato e un procacciatore d’affari in forza degli artt. 23, commi 1-2, e 5, 1° comma, l. 2 gennaio 1991, n. 1, ma non mancava di rilevare l’invalidità in costanza di carenza dei dovuti obblighi informativi di cui all’art. 6 della medesima legge. Con l’entrata in vigore del decre-to Eurosim e, successivamente, della legge Draghi, gli obblighi informativi, se non rispettati, non por-tano alla nullità del contratto ma alla sua annullabilità per dolo, se c’è, e comunque all’obbligo di ri-sarcire i danni ex art. 1337 c.c. (responsabilità precontrattuale), che di solito è considerata aquiliana, salvo un singolare orientamento della Suprema Corte di Cassazione a proposito di danno da prospetto informativo inesatto. Sul punto v. F. REALI, Profili civilistici ed etici del trattamento dei dati nel sistema bancario italiano, in Responsabilità, comunicazione e impresa, 2003, III, p. 341 ss.

33 L’art. 1, comma II, lett. g) del T.U.F. colloca tra gli strumenti finanziari anche i “contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché sui relativi indici azionari (equity swaps), anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti”.

34 E. PAGONI, Contratti di swap, in P. RESCIGNO, E. GABRIELLI (a cura di), I contratti del mercato fi-nanziario, t. II, Torino, 2004, p. 1077.

35 B. INZITARI, Sponzorizzaizone, in Contratto e impresa, 1988, p. 597. 36 R. CAFARO, Strumenti finanziari derivati: materia complessa anche per il giudicante, in Il merito, XII, p. 13.

Page 570: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 544

sce per scopi non speculativi ma di copertura dai rischi connessi all’oscilla-zione delle valute – due parti – di solito un importatore e un esportatore i quali, a loro volta, hanno stipulato contratti di import-export in valuta estera con sogget-ti non residenti – decidono di compensare vicendevolmente il rischio della oscil-lazione della valuta medesima a misura della quale i rispettivi contratti – connes-si alle loro rispettive attività – furono stipulati. Di regola, entrambe le parti risie-dono nel Paese della valuta nella quale dovrà successivamente eseguirsi il paga-mento per differenziale. Ovviamente, al momento della stipulazione è impossi-bile sapere chi sarà la parte obbligata a pagare il differenziale alla scadenza. È per questo che con la stipulazione di questo contratto il rischio di cambio è sostanzialmente annullato mentre quello di credito purtroppo – almeno in parte – permane.

Quello su tassi d’interesse, invece, è denominato interest rate swap, utile ai fi-ni di una reciproca ripartizione del rischio legato alla fluttuazione dei tassi d’interesse o di cambio. Vale la pena notare che il meccanismo contrattuale degli swaps su tassi d’interesse37 è disegnato in modo tale da ridurre i rischi tra soggetti di cui almeno uno sia titolare di una posizione di debito a medio (o lungo) termine38 con un terzo soggetto, il quale rimane estraneo al contratto. La funzione è, naturalmente compensativa, e l’alea derivante dall’incertezza del rialzo o del ribasso dei tassi è praticamente annullata dalla sostanziale commuta-tività del risultato economico e dalla reciproca assunzione di rischi.

Ciò che rileva, in definitiva, è che con l’interest rate swap “gli operatori s’impegnano a pagare […] gli interessi relativi al debito dell’altro, contratti, rispettivamente, uno a tasso fisso e l’altro a tasso variabile”39. In questo caso, il contraente obbligato a pagare il tasso fisso (fixed rate payer) spera nel rialzo dei tassi, mentre quello obbligato a pagare un tasso variabile (floating rate payer) spera ———

37 Con tale contratto le parti s’impegnano a versare o a riscuotere, a date prestabilite, importi de-terminati in base al differenziale di tassi diversi. Detti importi sono calcolati applicando due diversi parametri, coincidenti con due diversi tassi di interesse, al c.d. ammontare (o capitale nozionale), che non è oggetto di scambio.

38 N. SALANITRO, Elementi di diritto commerciale, 2a ed., Milano, 2003, p. 405 fa l’esempio di un soggetto (debitore) che ha stipulato un contratto di mutuo a tasso fisso, il quale è ben conscio che un’eventuale riduzione dei tassi non gli gioverà ma neppure potrà approfittarne. Dall’atra parte, vi è un soggetto che ha stipulato un contratto di mutuo a tasso variabile (con terzi estranei al contratto di swap) il quale è fortemente preoccupato per un aumento dei tassi d’interesse. Per questo le due parti addi-vengono alla stipulazione di un contratto a termine – naturalmente fuori dei mercati regolamentati – a mezzo del quale alla scadenza si avrà la liquidazione dei differenziali secondo calcoli predeterminati ed idonei ad annullare il rischio di un ribalzo o di un rialzo inaspettato.

39 R. CAFARO, op. loc. cit. Sullo swap d’interessi v. l’interessante contributo di C.M. DE IULIIS, Lo swap d’interessi o di divise nell’ordinamento italiano, in Banca borsa tit. cred., 2004, I, p. 391 ss.

Page 571: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 545

invece in un ribasso. In previsione della stipulazione del contratto derivato in commento, il primo contraente ha come scopo quello di fissare il costo di una passività o indicizzare il rendimento di un’attività40; il secondo, invece, stipula il contratto di swap per indicizzare il costo di una passività o fissare il rendimen-to di un’attività41.

Come anticipato, oltre agli swaps che hanno come valore sottostante valuta (currency swap)42, tassi d’interesse (inerest rate swaps)43, o indici di mercato – struttu-ralmente assimilabili agli swap di interessi, e caratterizzati dal fatto che i parame-tri presi in considerazione sono costituiti da due differenti indici di mercato, come il Dow Jones della borsa di New York o il Nikkei della Borsa di Tokio – non mancano quelli il cui valore sottostante è costituito da beni materiali (com-modities). Si osservi che, nel contratto di swap su merci, oggetto materiale del medesimo non sono vere e proprie merci (commodities) ma i loro prezzi, all’uopo distinguendosi tra il prezzo di mercato esistente al momento della sti-pulazione e quello futuro relativo al giorno della scadenza di tale contratto. In pratica, le due parti “si scambiano, ad una o più scadenze predeterminate, due importi calcolati applicando due diversi prezzi allo stesso ammontare noziona-le, che, nel caso di specie, coincide con una certa quantità di merce”44. È ———

40 R. CAFARO, op. loc. cit. 41 R. CAFARO, op. loc. cit. 42 Swap su valute sono il forward currency agreement e lo straight currency swap. 43 Trattasi di contratti con cui le parti si scambiano, per un predeterminato periodo di tempo, una

serie di flussi finanziari rappresentati dagli interessi maturati su un certo capitale di riferimento. Si parla di coupon swaps se un flusso d’interessi a tasso fisso viene scambiato periodicamente con un flusso a tasso variabile, mentre nei basis swaps un flusso d’interessi calcolato in base a un determinato tasso variabile viene scambiato periodicamente con un flusso, sempre a tasso variabile, ma parametrato ad un diverso indice. Su questo tipo di swap e sugli effetti delle procedure concorsuali sul medesimo si rivelano utili le considerazioni di L. RUGGERI, Interest rate swap e fallimento, in Contratti, 2003, I, p. 97 ss. Sul punto v. altresì J.C. HULL, Opzioni futures e a altri derivati, tradotto da E. Barone, Milano, 2000, p. 125 ss. Dal canto suo, G. FERRARINI, I derivati finanziari tra vendita a termine e contratto differenziale, in F. RIOLO (a cura di), I derivati finanziari. Profili economici, giuridici e finanziari, Milano, 1993, p. 29 ss. non prende una precisa posizione sulla natura dello swap su tassi d’interesse. Sull’argomento v. al-tresì D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici (in particolare caps, floors, swaps, in-dex futures), in Dir. comm. int., 1992, I, p. 183. Infine, F. ROSSI, Profili giuridici del mercato degli swaps di interessi e divise in Italia, in Banca borsa e titoli di credito, 1993, I, p. 614, riconduce lo swap d’interessi e il domestic currency swap al differenziale semplice quando vi sia coincidenza tra le valute e le scadenze delle obbligazioni reciproche.

44 R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, in Banca borsa e titoli di cre-dito, 1997, I, p. 118-119. L’autore spiega tale figura contrattuale con un brillante esempio che vale la pena citare. Trattasi del caso di un «produttore di petrolio (Alfa) che, in data 1° gennaio, ha un interes-se a fissare un certo prezzo (poniamo 20 USD/barile) su una quantità pari a diecimila barili, alla sca-denza del 1° giugno. Conclude quindi uno swap con un intermediario (Beta) in base al quale verranno effettuati, su base netta, i seguenti pagamenti: Beta pagherà ad Alfa l’eventuale differenza positiva tra il

Page 572: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 546

ovvio che non vi è una permuta di merci ma una reciproca assunzione di posi-zioni di rischio.

La caratteristica che accomuna tutti i contratti di swap (compresi quelli da cui derivano i complessi “titoli sintetici”, di difficile inquadramento dogmatico) è quella di non eliminare completamente il rischio di credito o d’insolvenza della controparte, mentre è del tutto eliminato quello c.d. di prezzo, ovverosia quello legato alla fluttuazione inaspettata di tassi di cambio e d’interesse45. I contratti di swap sono infatti stiplulati nell’ambito del c.d. mercato dei cambi.

Quanto al future, esso è “un contratto con cui ci si obbliga a consegnare o a ritirare in una borsa ufficiale un determinato quantitativo di merci o di altri beni (titoli di Stato, azioni, obbligazioni, valute, beni componenti un indice) ad un dato termine futuro e ad un prezzo concordato tra le parti”46. Controparte for-male di tali contratti è – di regola – una Cassa di Compensazione e Garanzia – che nel mercato dei futures assume il ruolo di vera e propria clearing house – la cui presenza è idonea a controbilanciare (in parte) il rischio di credito (o d’insol-venza) della controparte effettiva (o sostanziale). In linea teorica si possono di-stinguere i commodity futures (prevalentemente negoziati sulla borsa di Chicago) dai financial futures, vertendo i primi su merci e i secondi su attività finanziarie (e.g.: titoli, valuta, ecc.) come ad esempio i nostrani Fib30 e MiniFib47.

Ora, mentre i commodity futures hanno per oggetto beni reali come cereali, cacao e, in genere, materie prime, i financial futures riguardano invece strumenti finanziari (stock future)48, tassi d’interesse (interest rate future), indici borsistici (stock index futures) o valuta (currency future). Tutti, tuttavia, assumono necessariamente la forma che le autorità che sovrintendono i mercati impongono, non essendo possibile un perfezionamento a forma libera dei medesimi. Come già palesato, i ——— prezzo di mercato a scadenza della merce e l’ammontare calcolato applicando il prezzo fisso (20 USD/barile); mentre Alfa pagherà a Beta l’eventuale differenza positiva tra il prezzo di mercato sca-denza della merce e l’ammontare calcolato applicando il prezzo fisso (20 USD/barile).

45 F. MESSINEO, Il contratto in generale, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, I, Milano, 1973, p. 615 evidenzia che il fondamentale tratto distintivo di tutti i contratti di swap è la dualità delle parti o, per essere più precisi, la dualità degli interessi a cui, per ciascuno, possono corrispondere anche più parti.

46 L. VALLE, Il contratto future, Padova, 1996, p. 1. 47 F. GENERALI, I contratti futures: il Fib30 e il MiniFib, in www.borse.it, VII, 2002, p. 1, evidenzia

che essi sono “contratti a termine […] sull’indice Mib30 […] di acquisto o vendita all’indice, ad una data futura, a un prezzo prefissato”.

48 Tra questi spiccano gli stock index futures, aventi quale parametro sottostante titoli a tasso fisso, non-ché i time deposit futures, concernenti depositi a termine. Interessanti sono i futures su buoni del tesoro, il cui schema negoziale è predisposto da un Comitato di gestione ed approvato dal Ministro del Tesoro. Circa il valore di tale schema negoziale quale contratto normativo, v. F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, t. I, cit., p. 129.

Page 573: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 547

commodity futures non hanno come riferimento strumenti finanziari o indici (sul valore delle merci), bensì vere e proprie merci, in particolare beni di prima ne-cessità. In effetti, attraverso tali contratti la controparte si impegna ad acquistare (oppure a vendere), alla scadenza, una prefissata quantità di merce a un deter-minato prezzo.

Circa i financial futures, invece, tra più importanti è da registrare il currency fu-ture, avente ad oggetto valuta, con cui una parte si impegna a cedere o ad acqui-stare una certa quantità di una determinata valuta, alla scadenza, ad un prezzo di cambio prefissato. Non è rilevante il momento in cui il prezzo è pagato – infatti il pagamento può anche essere anticipato in tutto o in parte al momento della stipulazione – ma quello in cui la valuta dedotta in contratto è materialmente trasferita. È pacifico che l’intento dei contraenti potrà essere meramente specu-lativo, ma sono altresì innegabili le potenzialità di copertura dal rischio di credi-to (c.d. hedging) caratterizzanti questo “tipo” contrattuale. La tecnica stipulatoria può essere alternativamente quella dello short hedging (vendita di future a fronte di acquisti a termine) o quella del long hedging (acquisto di contratti future a fronte di vendite immediate con regolamento differito)49.

Da non sottacere è pure l’elevato numero di stipulazioni di interest rate (fi-nancial) futures, ovverosia quel tipo di contratti derivati ove lo strumento finan-ziario sottostante “è rappresentativo di un tasso d’interesse; cioè un contratto che impegna a consegnare o a ricevere uno strumento finanziario che può con-sistere in titoli di Stato o in time deposit”50, vale a dire, certificati di deposito o investment account51. Questo peculiare future è utile al fine di cautelarsi avverso la perdita di valore di titoli detenuti in portafoglio52. A questo contratto, sempre nell’ambito dei financial futures, va ad aggiungersi anche lo stock index financial futu-re il quale altro non è che un future su indici finanziari, e rappresenta una vera e propria scommessa, atipica in quanto l’art. 1933 c.c. non gli è eccezionalmente applicabile in forza dell’art. 23, 5° comma, T.U.F.

Non poteva mancare, naturalmente, un contratto derivato che come para-

——— 49 Sul punto v. E. GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p. 64 definisce per semplicità il con-

tratto derivato in oggetto (currency future) come compravendita a termine di valute estere. 50 P. DE BIASI, Strumenti ben temperati. Alcuni profili giuridici e regolamentari dell’operatività in derivati

OTC, Siena, 2000, p. 35. 51 Il time deposit è definito da T.P. FITCH, Dictionary of banking terms, USA, 2000, pp. 465-466, come

«deposit account paying interest for a fixed term, with the understanding that funds cannot be withdrawn before maturity without giving advance notice».

52 Cfr. E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 63-64 a cui si rinvia per gli esempi dimostrativi che l’autore brillantemente pone all’attenzione dei lettori.

Page 574: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 548

metro sottostante avesse a sua volta un altro contratto derivato. Stiamo parlan-do del c.d. mini-future certificate indicizzato su futures, più conosciuto come “future su future”. Esso – quotato in borsa valori a partire dal 23 settembre 2004 – con-sente all’investitore di puntare sul rialzo dei futures sottostanti sfruttando, a con-trario, l’effetto leva finanziaria, grazie alla clausola stop-loss53. L’unico lato positivo di questi prodotti finanziari consiste nel fatto che l’investitore rischia sì di perde-re l’intero capitale investito ma non rischia, come avviene di regola, invece, sul mercato dei futures, di perdere una somma di gran lunga eccedente il suo inve-stimento iniziale.

Ciò posto, circa i contratti derivati di tipo forward, va detto che con tale lo-cuzione si allude – non solo al c.d. cambio forward, tipico delle operazioni sui cambi a termine (outright e swap) di cui abbiamo già parlato, ma anche e soprat-tutto – a quel genere di contratti derivati che hanno tutte le caratteristiche dei futures ad eccezione del fatto che: a) sono negoziati al di furori dei mercati rego-lamentati; b) riguardano esclusivamente operazioni sul mercato dei cambi; c) similmente ai contratti di tipo swap prevedono il pagamento di un differenziale. Tale differenziale, tuttavia, non è pagato a determinati scaglioni periodici, ma alla scadenza, sotto la forma di interessi anticipati. Ciò determina talune evidenti diversità rispetto ai contratti di tipo future, tra cui la mancanza di una clearing house titolare di un fondo di garanzia idoneo a coprire in buona parte il rischio default della controparte o del mercato. In breve sostanza, è carente la possibilità di li-quidazione anticipata dell’obbligazione contrattuale dedotta nel derivato mede-simo. In verità, non manca in dottrina chi preferisce ricondurre tale contratto allo swap d’interesse anziché ad una variante del future54.

Il più noto di codesta “tipologia” è il contratto denominato forward rate agre-ement – negoziato nel mercato dei cambi – particolarmente utile a quei soggetti che sono in procinto di chiedere un mutuo a tasso variabile, i quali, ovviamente, intendono limitare i rischi di fluttuazione dei tassi d’interesse, bloccando in anti-cipo il prezzo della transazione futura con una sorta di scommessa – scilicet di copertura (hedging) – al rialzo o al ribasso. ———

53 Trattasi della possibilità di acquistare o di vendere beni d’investimento i quali consentono di determinare in anticipo la massima perdita sostenuta (ad operazione eseguita).

54 Pur essendo carente di specifiche argomentazioni, sembrerebbe che per R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, cit., p. 115, il leitmotiv della riconduzione di tale fattispecie (forward rate agreement) allo swap di interesse sia la sua negoziazione nel mercato dei cambi, ma l’illazione non appare condivisibile. È lo stesso autore a riconoscere, d’altronde, che ad esso si tende ad attribuire autonoma rilevanza, evidenziando che per mezzo di esso come nel caso dello swap, si assiste al pagamento su base netta di due somme di denaro, calcolate applicando due diversi tassi d’interesse ad un unico ammontare di riferimento.

Page 575: Diritto privato del mercato

CAP. 2 - I CONTRATTI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 549

Quanto alle opzioni (o options), non può sottacersi che trattasi di contratti derivati “a premio” nei quali una parte (buyer o beneficiario), dietro pagamento di un prezzo prefissato (c.d. premio) eseguito a favore dell’altra parte (seller o concedente), ottiene da questa la facoltà (scilicet, il diritto potestativo) di acqui-stare (opzione call) oppure di vendere (opzione put) l’attività sottostante ad un prezzo prestabilito e ad una data prefissata.

In genere, il contratto di “tipo” option55 è comunemente definito come quel patto a mezzo del quale “le parti si scambiano un premio contro la facoltà (e non l’obbligo) di acquistare (call option) o vendere (put option)56 una certa quantità di beni (titoli, valuta ecc.) ad una scadenza e ad un prezzo predeterminati»57. Se l’opzione conferisce la facoltà di conseguire una determinata prestazione prima della scadenza si parlerà di european option, altrimenti, se tale prestazione si può ottenere solo dopo la scadenza del termine (c.d. expiration day), il patto è qualifi-cato dagli addetti ai lavori come american option. In breve, se l’opzione è di tipo call il beneficiario avrà il diritto di “acquistare” (aliquid), mentre, se l’opzione è di tipo put egli avrà diritto di “vendere” (aliquid)58.

——— 55 In generale, sull’opzione contrattuale, v. E. CESARO, Opzione nel contratto, in Enc. dir., vol.

XXX, Milano, 1980, p. 561 ss. Sui contratti di borsa a premio ed in particolare su quelli a contenuto opzionario v., invece: A. SERRA, I contratti di borsa a premio, Milano, 1971, passim; R. CLARIZIA, Le options tra disciplina codicistica e regolamentazione pattizia, in F. RIOLO (a cura di), I derivati finanziari. Profili economici, giuridici e finanziari, cit., p. 119 ss.

56 Sulle modalità di esercizio, sui profili civilistici e sulle definizioni di call option e di put option, v. S. SIANI, I contratti futures: financial futures e commodity futures. Call Option e Put Option: definizioni e modalità d’esercizio dell’opzione, in www.magistra.it, 2001, p. 3 ss.

57 A.M. CAROZZI, op. cit., p. 19. Sul punto v. anche G. GALASSO, Options e contratti derivati, in Con-tratto e impresa, 1999, II, fasc. 3, p. 1269 ss. il quale, tra l’altro, fa una ricognizione approfondita sulle varie definizioni di option a sua disposizione.

58 Per un esempio di contratto derivato d’opzione strutturato, v. Tribunale di Trani, decr. 22 dicem-bre 2003, n. 3967, in Banca borsa e titoli di credito, 2004, II, p. 204 ss., pp. 189 ss. con commento di A. ANTONUCCI, Considerazioni sparse in tema di strumenti finanziari derivati creati da banche, ivi, ivi, Nella specie, si trattava di un’operazione in cui erano contestualmente sottoscritti due contratti, funzionalmente col-legati: “la banca acquista da un cliente, a fronte del versamento di un premio in suo favore, opzioni put di tipo europeo […] collegate all’andamento dei corsi di un paniere di titoli azionari di riferimento […] d’altro canto, essa vende al medesimo cliente titoli di stato, che restano vincolati a garanzia del diritto di opzione della banca”. I contratti derivati in questione erano denominati btp-tel, btp-index e btp-online emessi dalla Banca 121 (dal 2002 incorporata nel Monte dei Paschi di Siena), collocati esclusiva-mente nella zona del Tribunale di Trani.

Page 576: Diritto privato del mercato
Page 577: Diritto privato del mercato

CAPITOLO TERZO

I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ

SOMMARIO: 1. I contratti di pubblicità. — 2. I contratti di diffusione e di concessione pubblicitaria. — 3. Il contratto di agenzia pubblicitaria. — 4. I contratti di diffusione della pubblicità below the line. 4.1. Telepromozione. 4.2. Televendita. 4.3. Pubblicità redazionale e product placement. 4.4. Tele e radiosponsorizzazione.

1. — I contratti di pubblicità. Come si è visto1, la funzione di pubblicità, ai sensi dell’art. 20, codice del

consumo, si ravvisa in ogni comunicazione diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, e può dunque concretizzarsi – come avviene prioritariamente – nell’offerta in vendita, ma alla medesima funzione si può associare la promozio-ne del marchio o dell'immagine del prodotto o del produttore, come avviene per le campagne c.d. di brand, per la fidelizzazione dei consumatori al marchio, ov-vero per esigenze di differenziazione di un prodotto già noto rispetto a quelli concorrenti.

Si tratta senza dubbio della realizzazione di un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, anche alla luce della tutela costituzionale dell’iniziativa economica privata, ma della pubblicità si riscontra solo una disci-plina parziale – per quanto sopra abbiamo ricordato – diretta, ai sensi dell’art. 19 del codice al

“lo scopo di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i sog-getti che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i consumatori e, in genere, gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblici-tari, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa”. Nessuna previsione normativa è dettata, né all’interno del codice del con-

sumo per la disciplina dei rapporti negoziali (trattandosi di rapporti tra impren-ditori, che pure hanno riflesso sui processi di acquisto e di consumo, e, indiret-tamente, sugli interessi dei consumatori) che legano gli attori della pubblicità: ———

1 Retro, parte II, cap. 1.

Page 578: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 552

agenzie pubblicitarie, committenti, mezzi di diffusione pubblicitaria (media o enti locali per il servizio di affissione) e loro società concessionarie per la pub-blicità.

Si tratta pertanto di rapporti regolati secondo l’autonomia delle parti, ed as-soggettabili alla disciplina di cui all’art. 1322 c.c.:

“le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme corporative). Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a re-alizzazione interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”. Il rinvio all’autonoma determinazione pattizia non è tuttavia esaustivo di

ogni questione, giacché ogni contratto obbliga le parti non solo a quanto ivi pat-tuito ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l’equità (art. 1374 c.c.): pertanto, ove i contraenti non abbiano disciplinato tutti gli aspetti del rapporto, ovvero insorgano controversie al tempo della sua esecu-zione, è essenziale raggiungerne una qualificazione giuridica, al fine prioritario di integrare la disciplina pattizia con quella legale2.

Il contratto concretamente negoziato potrà qualificarsi quale atipico, ove non sussista perfetta identità della sua causa – da intendersi quale scopo concre-to avuto di mira dalle parti con la negoziazione – rispetto a quella disciplinata dal diritto positivo per uno dei contratti c.d. tipici, tali intendendosi quelli ogget-to di specifica normazione del codice civile o in leggi speciali.

Ma potrebbe integrarsi anche un contratto misto, in cui la causa propria di un contratto tipico si fonde con quella di uno atipico, o di altro contratto tipico.

In tali ipotesi, la disciplina pattizia potrà essere integrata attraverso le nor-me dettate per i corrispondenti negozi tipici, in via di applicazione diretta, più spesso estensiva, ovvero analogica.

——— 2 La bibliografia sul punto non è particolarmente ampia: per le monografie si vedano A. NIGRA,

La pubblicità e i suoi contratti tipici, Rimini, 2000; R. ROSSOTTO, E. ELESTICI, I contratti di pubblicità, Milano, 2006; M. FUSI, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale, tecnica, modelli, tipi contrattuali, nel Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino, 2001; tra i saggi v. A. MOLO, I contratti di pubblicità, in Nuova giur. civ. comm., 1990, II, p. 270; V. FARINA, I contratti di pubblicità: natura e disciplina del rapporto utente-mezzo e agente-mezzo (nota a Pret. Torino, 5 aprile 1990), in Rass. civ. 1992, I, p. 923; C. POGGI, I contratti di diffusione della pubblicità e di sponsorizzazione presso le aziende sanitarie e le istituzioni scolastiche, in Dir. informatica, 2004, fasc. 182, p. 291; R. ROSSOTTO, I nuovi contratti di pubblicità predisposti dall’AssAP, in Foro padano, 1988, II, p. 187. Sulla sponsorizzazione, per quanto qui di interesse, cfr. M.V. DE GIORGI, Contratti di sponsoriz-zazione e doveri di correttezza (nota a Trib. Rieti, 19 marzo 1994), in Dir. informatica, 1994, I, 2, p. 1017; R. DI PACE, Il contratto di sponsorizzazione e la sua utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni, in Foro amm. TAR, 2004, 12, p. 3898.

Page 579: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 553

Sempre ai sensi dell’art. 1374 c.c., rileva considerare la disciplina integrativa che possa derivare, oltre che da norme di legge, dagli usi normativi, ai sensi dell’art. 8 disp. prel. c.c.:

“Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati” Sono elementi costitutivi dell’uso normativo, o consuetudine, quello este-

riore, integrato dalla ripetizione costante di un comportamento in una determi-nata comunità, e quello soggettivo, o psicologico, consistente nella generale o-pinione di osservare una norma giuridica. Si presumono esistenti le consuetudini risultanti dalle raccolte curate dalle Camere di Commercio (art. 9 disp. prel. c.c.), tra le quali rilevano per i contratti della pubblicità, quelle delle Camere di Mila-no, Bari, Torino e Vicenza.

È bene distinguere la differente rilevanza degli usi negziali (o pratiche ne-goziali) che costituiscono mezzo di interpretazione della volontà contrattuale ambiguamente espressa e di integrazione attraverso quelle clausole che, abitual-mente inserite nei contratti del settore, si presumono volute dalle parti, anche se non esplicitamente consentite, ai sensi dell’art. 1340 c.c.:

“le clausole d’uso si intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti” Tali clausole, pertanto, obbligano le parti anche se da esse ignorate, in

quanto la loro applicazione è esclusa solo se risulti con certezza che i contraenti non abbiano voluto riferirsi ad esse, ove naturalmente non deroghino norme di legge imperative.

In sintesi, sono fonti di disciplina dei contratti di pubblicità: - il d.m. 14 dicembre 1942, n. 1485: contratto di commissione di cartelloni pubblicitari; - il d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507: disciplina dell’affissione di manifesti; - gli usi normativi: raccolti dalle Camere di Commercio (cfr. usi Milano, Torino, Vicen-

za, Bari); - gli usi negoziali: contratti tipo elaborati da associazioni professionali (Ass.AP, UPA). 2. — I contratti di diffusione e di concessione pubblicitaria. L’opera pubblicitaria, già realizzata dall’agenzia – o, più raramente, dal

Page 580: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 554

committente attraverso propri mezzi – deve raggiungere il proprio scopo onto-logico primario, che si può ricondurre alla conoscibilità della campagna ai con-sumatori, secondo le scelte di selezione del target operate già in sede di redazio-ne della campagna pubblicitaria, e con le modalità confacenti allo scopo promo-zionale. L’incremento delle vendite, o la fidelizzazione del cliente costituisce in-vece lo scopo ultimo, cui la conoscibilità e mezzo, alla cui realizzazione concor-rono però elementi diversi ed ulteriori, non tutti dipendenti dalla professionalità e della perizia degli intermediari pubblicitari, non potendosi mai garantire, in as-soluto, il risultato promozionale, pur di una campagna pubblicitaria perfetta-mente organizzata. Le scelte di consumo, in definitiva, pur orientabili, restano di esclusiva spettanza dei consumatori, arbitri ultimi del mercato.

È tuttavia essenziale condurre a conoscenza dei consumatori il “prodotto pubblicitario”, nella formula tradizionale (c.d. tabellare) dell’affissione murale, dello spot televisivo o radiofonico, del banner inserito nella pagina web, o in quella c.d. below the line, realizzata con mezzi differenti, quali la sponsorizza-zione, la telepromozione ecc.

In tale processo di esteriorizzazione della campagna pubblicitaria sta lo scopo – o causa – del contratto di diffusione, anche detto di “vendita” di spazi pubblicitari.

La dizione è atecnica, non integrandosi compravendita, ai sensi dell’art. 1470 c.c., perché non vi è alcun trasferimento di proprietà su beni materiali o immateriali, quanto semmai la realizzazione di un risultato (la diffusione del messaggio) attraverso l’attività autonoma dell’impresa di mezzi, sicché si potrà semmai discutere di appalto, nella forma dell’appalto di servizi di cui all’art. 1655 c.c.:

“L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi ne-cessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Di regola sono attori dei contratti di diffusione le imprese che gestiscono

mezzi di diffusione (televisione, radio, stampa ecc.) spesso rappresentante da agenzie concessionarie per la pubblicità su tali mezzi, e gli utenti di pubblicità (imprenditori che richiedono la promozione pubblicitaria), di regola sostituiti dalle medesime agenzie pubblicitarie che hanno ideato la campagna.

Analogamente, gli enti locali gestiscono di regola attraverso proprie con-cessionarie il servizio di affissioni pubblicitarie.

Page 581: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 555

La prassi ha infatti indirizzato da tempo le imprese di mezzi ad occuparsi esclusivamente dell’oggetto principale della propria attività imprenditoriale, con la costruzione di palinsesti televisivi o l’ideazione di prodotti editoriali adegua-tamente apprezzabili dal pubblico, mentre il reperimento di strumenti di finan-ziamento della medesima impresa attraverso la c.d. “vendita” di spazi pubblici-tari viene realizzato affidando ad una società concessionaria di pubblicità l'incarico di acquisire e gestire, con propria autonoma organizzazione di mezzi e personale, la pubblicità da diffondere, verso corrispettivo, attraverso il mezzo stesso.

La l. 5 agosto 1981, n. 416, tenuto conto del rilievo assunto dalle commis-sioni pubblicitarie nel finanziamento delle imprese di mezzi, impone anche per le concessionarie di pubblicità per quotidiani o periodici l’obbligo di iscrizione nel corrispondente registro, la pubblicazione dei bilanci annuali, e dispone limiti di concentrazione a garanzia del pluralismo dell’informazione (art. 21 Cost.).

Identica previsione è contenuta nella l. 6 agosto 1990, n. 223 (l. Mammì), ai cui sensi le concessionarie di pubblicità radiotelevisiva sono soggette ad analoga iscrizione ed a limiti di concentrazione, ove siano controllate da imprese eser-centi la radiotelediffusione, restando sotto la vigilanza dell’Autorità per le Ga-ranzie nelle comunicazioni.

Il rapporto tra la società di concessione ed il mezzo di diffusione è regolato dal contratto di concessione, col quale il concessionario si impegna a concludere in nome proprio, con propria organizzazione imprenditoriale, a ricercare e rac-cogliere ordini per pubblicità da inserire nel mezzo di diffusione, a concludere in nome proprio contratti con gli utenti, a fatturarne ed incassarne i corrispetti-vi, ripartendo parte del ricavo con il proprietario del mezzo.

Per la realizzazione della sua causa ultima – il finanziamento stabile dell’impresa di mezzi – il contratto di concessione è di regola un contratto di durata, abitualmente concluso in forma scritta, pur senza alcun vincolo di legge ma allo scopo di realizzare la massima chiarezza e non contestabilità dei patti raggiunti.

Tra gli obblighi assunti dal concessionario verso il mezzo, al fine del repe-rimento di risorse finanziarie, può essere pattuito il raggiungimento di un volu-me di fatturato pubblicitario (target), e comunque la cura dell’immagine o la va-lenza pubblicitaria del mezzo, attraverso la selezione di messaggi pubblicitari non ingannevoli – per le ripercussioni in termini di perdita di immagine che po-trebbero derivare dalla pubblicazione della pronuncia di declaratoria dell’ingan-nevolezza – o comunque conformi alla linea editoriale del mezzo.

Page 582: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 556

Stante l’interesse diretto dell’impresa di mezzi alla vendita di spazi, di regola sono pattuite anche le tariffe, suddivise in fasce orarie commisurate all’audience, che il concessionario proporrà agli acquirenti, e gli eventuali sconti praticabili in considerazione del periodo (es. il periodo estivo, per i canali televisivi) o della quantità di spazi acquistati dal utente (inserzionista). Dipende poi dal peso con-trattuale della concessionaria rispetto all’impresa di mezzi la pattuizione di un’esclusiva, a favore della concessionaria, impegnandosi ad esempio la piccola emittente a trasmettere unicamente le pubblicità trasmesse dalla concessionaria.

La concessione è contratto sinallagmatico, ossia la prestazione del conces-sionario ha causa nel corrispettivo, abitualmente pattuito in termini di riparti-zione dei ricavi risultanti dalla diffusione pubblicitaria tra il concessionario ed il mezzo (di prassi spettano al concessionario i due terzi del “prezzo” di diffusio-ne, da cui detrarre la commissione del 15% che abitualmente è girata alle agen-zie pubblicitarie che assistono l'inserzionista).

Proprio per la realizzazione della causa del contratto di concessione, di re-gola il concessionario beneficia di clausola di esclusiva per la “vendita” degli spazi pubblicitari sul mezzo.

In ogni caso, l’impresa concessionaria assume in nome proprio l’obbligo prioritario, verso l'utente/inserzionista, di diffondere il messaggio sul mezzo, se-condo le modalità grafiche e la tempistica prescelta dall’utente: tale è il contenuto del contratto di diffusione, o “vendita di spazi” che sopra abbiamo tracciato.

La diffusione, tuttavia, è risultato rimesso all’attività di un soggetto terzo, esterno al contratto di diffusione, l’impresa di mezzi.

Se nei rapporti col concessionario il committente potrebbe richiedere, ai sensi dell’art. 2931 c.c. l’adempimento in forma specifica, a spese del concessio-nario, delle attività necessarie per l’inserimento della pubblicità sul mezzo, quali la trasmissione dei calendari delle uscite e l’ indicazione delle modalità di inseri-mento, ciò non garantisce il risultato voluto, lo scopo del contratto: la concreta diffusione del messaggio, all’interno del palinsesto televisivo, del prodotto edi-toriale, della pagina web ecc.

Allo scopo di riconoscere una qualche forma di tutela all’inserzionista, il contratto di diffusione può essere ricondotto al prototipo della contratto avente per oggetto la promessa del fatto del terzo, di cui all’art. 1381 c.c.:

“Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso”.

Page 583: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 557

Contratto, questo, concluso tra con concessionario e committente, che pre-suppone la collaborazione del terzo (nel nostro caso, l’impresa di mezzi) nel raggiungimento dei fini pratici del contratto (la diffusione pubblicitaria).

Applicando l’art. 1381 c.c., pertanto, il promittente (concessionario) si libe-ra dalla sua obbligazione solo se il fatto promesso si verifica, nelle forme pro-messe o comunque accettate dal promissario (utente o committente)

Il terzo, tuttavia, estraneo al contratto potrebbe legittimamente rifiutarsi di assumere l’obbligazione o compiere il fatto promesso, salva la responsabilità per altro titolo verso il promittente, che di regola avrà formulato quella promessa bene conoscendo il vincolo assunto nei suoi confronti dal terzo, nel nostro caso con il contratto di concessione.

Ma tale responsabilità, per inadempimento ex art 1218 c.c. non è azionabile dal committente, estraneo al contratto di concessione: questi potrà soltanto ri-chiedere al proprio contraente, l’impresa concessionaria per la pubblicità, l’indennizzo ai sensi del citato art. 1382 c.c.

È bene sottolineare come di indennizzo si tratti, e non di risarcimento, trat-tandosi di rimedio della perdita patrimoniale subita per effetto di un atto lecito (la mancata adesione del terzo a quanto promesso), mentre si discuterebbe di risarcimento riguardo al danno derivante da fatto illecito (art. 2043 c.c.).

La distinzione rileva nell’apprezzamento della somma al cui pagamento può essere condannato il promittente, pari alla spesa sostenuta per la campagna pubblicitaria (danno emergente), e con esclusione del risultato promozionale sperato, per effetto della diffusione di quella campagna, che invece rileverebbe come lucro cessante.

È peraltro indubitabile che, con esclusione dei casi marginali di pubblicità palesemente ingannevoli o comunque pregiudizievoli per l’immagine del mezzo di diffusione, raramente il mezzo stesso rifiuterà di trasmettere il messaggi pub-blicitario recapitatogli dalla concessionaria, con la quale ha una diretta cointeres-senza, fruendo della pubblicità quale fonte di sostentamento e di reddito (unica per le imprese televisive e radiofoniche private, che non fruiscono di canone, a differenza del concessionario televisivo pubblico, Rai s.p.a.) dell’impresa di mezzi.

Se si guarda allora all’altro contratto, intercorrente tra impresa di mezzi e concessionario per la pubblicità, il contratto di concessione, ne rileva la destina-zione a soddisfare l’interesse di un terzo, l’inserzionista, secondo il prototipo del contratto a favore di terzi disciplinato dall’art. 1411 c.c.:

Page 584: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 558

“è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. Questa però può essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare”. In questi termini, fin dal tempo della conclusione del contratto di conces-

sione, il terzo (nella specie, l’utente inserzionista) acquista nei confronti del promittente (impresa di mezzi) il diritto a ricevere la prestazione pattuita in suo favore dal concessionario, ed ha dunque azione per l’esecuzione dell'ordine di inserzione del messaggio nel palinsesto, da parte del mezzo di diffusione.

Dall’art. 1411 c.c. deriva, però, anche la facoltà di revoca del beneficio, o di destinazione del medesimo ad altri, che perdura in capo all’impresa concessio-naria fino al momento in cui l’utente non abbia dichiarato di voler profittarne, nella specie concludendo il contratto di diffusione.

Resta da specificare che, in ogni caso, stante la responsabilità concorrente del mezzo di diffusione per la pubblicità illecita o ingannevole diffusa, il mezzo mantiene il diritto di non accettare i messaggi ritenuti ingannevoli, nonostante l'impegno assunto dal concessionario, ed in tale ipotesi non sarebbe ammessa l’azione di adempimento avviata dall’inserzionista per ottenere la pubblicazione del messaggio.

Spesso tale diritto di rifiuto è formalizzato già nel contratto di concessione, e di prassi la clausola si estende anche ai messaggi che il mezzo di diffusione ri-tenga non graditi al pubblico, o incompatibili con la propria linea editoriale: condizione contrattuale, questa, che espone il committente al rischio, difficil-mente ponderabile, di rifiuto della propria campagna pubblicitaria, anche se non ingannevole, secondo l’esclusivo apprezzamento del mezzo, rischio che potreb-be scivolare nell’alea (contratti aleatori).

Il gradimento, dunque, andrebbe ancorato a criteri meglio determinati, con riferimento a parametri oggettivi, al fine di dare certezza ai rapporti ed evitare la condanna del mezzo all’adempimento, ed all’ulteriore risarcimento del danno.

3. — Il contratto di agenzia pubblicitaria. A monte della diffusione pubblicitaria sta la creazione di una campagna

promozionale, di regola affidata ad un’agenzia tecnicamente e professionalmen-te costituita a tale scopo.

Page 585: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 559

La dizione richiama il contratto di agenzia, di cui all’art. art. 1742 c.c.: “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per con-to dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”. Contratto modellato sullo schema del mandato, di cui all’art. 1705 c.c.: “il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e assume gli obblighi deri-vanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del man-dato. I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante”. Ed a tale schema legale è riconducibile l’attività dell’agenzia pubblicitaria,

nel concludere il contratto di diffusione o acquisto di spazi, ma si tratta solo del-la fase terminare di un’opera più complessa, che ha il suo antecedente necessa-rio nelle attività di tecnica pubblicitaria affidate dal committente per la realizza-zione della speranza promozionale3.

Il contratto di agenzia pubblicitaria potrebbe dunque essere definito come l’accordo con cui l’impresa committente (altrimenti detta utente di pubblicità) incarica un’organizzazione di tecnica pubblicitaria della progettazione, pianifica-zione e realizzazione di una o più iniziative di comunicazione (o campagne pubblicitarie) in proprio favore, verso corrispettivo4. Contratti tipo sono stati redatti dalle associazioni di categoria, e le clausole fondamentali di questi si sono consolidate in usi, sicché è possibile tracciarne le fasi e la struttura essenziali.

Il rapporto si avvia con una prima fase precontrattuale, nella quale il com-mittente richiedere, anche attraverso procedure di gara, la redazione di un pro-getto di massima, per poterne valutare la potenziale efficacia promozionale ed in tal maniera scegliere l’agenzia di tecnica pubblicitaria cui affidare la materiale re-alizzazione della campagna.

Segue una fase creativa, essenzialmente riconducibile alla elaborazione e redazione del messaggio, alla scelta del mezzo di diffusione ed alla pianificazio-ne della ripartizione del budget stanziato dal committente tra i vari mezzi di comunicazione e nelle differenti forme di pubblicità, tabellare o below the line. ———

3 Cfr. per una prospettiva comparatistica M. ARIETTI, Il contratto di agenzia pubblicitaria negli Stati U-niti e in Germania, in Giur. it., 1995, IV, c. 5.

4 Per tali ragioni si considera operatore pubblicitario anche chi, pur non avendo partecipato alla conclusione del contratto di pubblicità con l’impresa di diffusione, perché rappresentato da un’agenzia, si sia di fatto avvalso dello scopo e del risultato promozionale del messaggio, a vantaggio della propria attività imprenditoriale o professionale. Cfr. R. ANGELINI, L’operatore pubblicitario nel d.lgs. 74/1992, in Riv. dir. ind., 2000, 6, p. 185.

Page 586: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 560

Della successiva fase gestoria, di contrattazione con i mezzi e le concessio-narie, abbiamo già detto sopra e diremo ancora, anche con riguardo alla verifica dell'esatta diffusione e alla fatturazione.

Ciascuna delle fasi presenta propri aspetti critici, di non agevole soluzione giuridica, di cui tratteremo specificatamente, ad iniziare da quella, eventuale, precontrattuale.

Di regola, il committente richiede, spesso a più agenzie, la predisposizione di un progetto di massima, per poter valutare l’idoneità delle proposte comuni-cazionali dell’agenzia rispetto al risultato promozionale sperato.

In tale fase ci si interroga se l’invito rivolto all’agenzia costituisca proposta contrattuale, in quanto nel caso affermativo il contratto si concluderebbe, ai sensi dell’art. 1326 c.c. nel momento in cui il committente riceve il progetto di campagna redatto dall’agenzia. Tuttavia, considerato che l’invito rivolto dal committente non può che contenere indicazioni di massima, si discute meglio di mero invito ad offrire.

Più particolareggiato è invece il progetto presentato da parte dell’agenzia, in risposta all’invito del committente, contenendo di regola gli elementi essenziali della campagna da realizzare: tuttavia, non potendo fissare autonomamente e-lementi riferibili alla durata del rapporto, e al corrispettivo dell’opera, e comun-que non essendo stato negoziato il contenuto del contratto di agenzia, pare do-versi concludere che anche in questa fase non possa discutersi di proposta con-trattuale, mancandone gli elementi fondamentali5.

In questi termini, il committente che interrompa ingiustificatamente le trat-tative, se del caso affidando l’incarico ad altra agenzia, potrebbe essere chiamato a risarcire il danno causato nei limiti dell’interesse negativo, per culpa in contra-hendo ex art. 1337c.c., ma non si potrebbe raggiungere in ogni caso il corrispet-tivo per l’opera. Possono però sorgere questioni di copyright sul bozzetto pubbli-citario, che la giurisprudenza risolve riconoscendo il diritto d’autore, ai sensi del-la l. 22 aprile 1941, n. 644, solo ove lo stesso implichi una creazione originale, anche se tratta da altra opera tutelata6, e creativa, anche se modesta7.

——— 5 Cfr. Cass., 23 ottobre 2001, n. 12999, in Giust. civ., 2002, I, p. 672, “la realizzazione di attività ti-

piche del contratto di agenzia pubblicitaria non può indurre a ritenere concluso il relativo contratto, quando essa sia volta solo a rendere concreta la proposta contrattuale dell’agenzia, non essendosi anco-ra formato il consenso sull’oggetto del contratto”.

6 Cass., 7 marzo 2003, n. 3390, in Giust. civ., 2003, I, p. 2093, a proposito del bozzetto tratto da un fo-togramma di un’opera cinematografica, con originale rielaborazione di colori, contrasti, tecnica pittorica.

7 Cfr. Trib. Bari, 14 settembre 1999, in Dir. informatica, 2000, p. 455, che ritenne tutelabile il boz-zetto pubblicitario ideato per la Fiera di Bari, costituito dalla rappresentazione grafica dell’omino che

Page 587: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 561

In altri termini, la creazione pubblicitaria deve essere nuova, originale, espres-sione dell’intelletto nelle arti, figurative, sceniche, musicali, affinché sia invocabile il risarcimento del danno per violazione del diritto d’autore dell’agenzia sul bozzetto.

In tale ipotesi questa potrebbe invocare la tutela del diritto morale e mate-riale d’autore, ma non l’art. 13, 1° comma, del codice di autodisciplina pubblici-taria8, che vieta qualsiasi imitazione pubblicitaria servile, essendo oggetto della protezione la creazione pubblicitaria “che già in concreto abbia svolto la sua funzione pubblicitaria” e non la semplice creazione intellettuale inedita, sempre che abbia caratteri di originalità e innovatività, al fine di evitare ingiustificati monopoli su modelli espressivi appartenenti al dominio pubblicitario del lessico comunicazionale9.

Passando alla fase successiva del contratto di conclusione dell’accordo, è bene notare come di regola essa sia perfezionata attraverso lo scambio di lettere di uguale contenuto, modellate sui citati contratti tipo. pur non sussistendo un vincolo di forma a pena di nullità del contratto (trattandosi di un contratto ati-pico, per il quale vale il principio di libertà delle forme di cui all’art. 1350 c.c.) è consigliabile che sia data prova scritta del contenuto dell’accorso, per ragioni di certezza della pattuizione, specie delle clausole accessorie.

Sarà difatti necessario identificare preliminarmente i mezzi di diffusione e del-le eventuali forme di pubblicità below the line (sponsorizzazione, merchandising, ecc.) prescelti dal committente, e specificare la libertà del cliente di dar corso o meno alla campagna, di cui al bozzetto ideato dall’agenzia, o di “variare, sospende-re, ridurre o aumentare i piani e programmi pubblicitari, anche se approvati, e di annullare la realizzazione di una campagna pur se già decisa” come prevede il con-tratto tipo redatto dall’Associazione Utenti di pubblcità (UPA).

Della validità di una clausola siffatta si è peraltro dubitato, potendo integrare una condizione meramente potestativa, sanzionata con la nullità dall’art. 1355 c.c.:

“è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una con-dizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispetti-vamente, del debitore”.

——— accorcia le distanze tra oriente e occidente, ed il connesso claim “Bari. Dove l’Europa incontra l’oriente”. In questa ipotesi era in discussione l’appropriazione della campagna da parte del committen-te, ed il suo rinnovato utilizzo per la successiva manifestazione annuale, oltre il tempo fissato contrat-tuale, facoltà negata proprio in considerazione del diritto d’autore sul bozzetto.

8 Su cui v. retro, parte II, § 3. 9 Giurì dell’Autodisciplina pubblicitaria, 24 marzo 2004, n. 80, in Rass. dir. farmaceutico, 2004, p. 403.

Page 588: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 562

Secondo la dottrina dominante e la giurisprudenza10, dunque, l’obbligazio-ne permane ed la clausola in questione sarebbe valida quando la condizione sia semplicemente potestativa, nel senso che la volontà del debitore dipenda da un complesso di motivi rappresentanti apprezzabili interessi che, pur essendo rimessi alla esclusiva valutazione dell’interessato, agiscano sulla sua volontà ed anzi la determinino.

Resta però necessario pattuire strumenti di tutela dell’agenzia, altrimenti esposta al rischio di non ricevere alcun corrispettivo per l’opera compiuta, se l’utente rinuncia alla diffusione pubblicitaria del bozzetto ideato, o un corrispet-tivo irrisorio se il budget stanziato è basso.

È a tale scopo che si dirige la previsione dell’obbligo di rimborso dei costi sostenuti dall’agenzia, contenuta nel contratto tipo UPA, e quella più ampia del-l’obbligo di risarcire ogni eventuale danno, eventualmente compreso anche quel-lo all’immagine dell’agenzia, di cui al contratto tipo redatto dall’Associazione delle agenzie pubblicitarie (AssAP).

In entrambi i casi è previsto un corrispettivo minimo garantito, anche in caso di stanziamento pubblicitario troppo esiguo (è bene infatti ricordare che il corrispettivo dell’agenzia è di regola calcolato quale percentuale dello stanzia-mento complessivo per la campagna).

Quanto all’oggetto del contratto, si intende per “campagna” l’insieme co-ordinato di azioni pubblicitarie da divulgare sui vari mezzi di comunicazione per raggiungere un obiettivo fissato nella strategia creativa.

In mancanza di determinazione pattizia, gli usi raccolti dalle Camere di commercio si riferiscono ai messaggi da divulgarsi attraverso i mezzi classici quali la stampa (compresa quella specializzata), la televisione,la radio, il cinema, le affissioni e i mezzi di pubblico trasporto, con esclusione delle azioni promo-zionali e di incentivazione di qualsiasi genere, delle azioni di merchandising, del-le azioni sul punto vendita e di pubblicità diretta, delle sponsorizzazioni, delle public relations ed ogni altra attività non rientrante nel concetto di pubblicità in senso classico, nonché delle eventuali azioni pubblicitarie collaterali minori, an-che se realizzate attraverso i mass media.

Anche le obbligazioni assunte dall’agenzia sono differenti, nelle distinte fasi di esecuzione dell’incarico ricevuto.

Nella prima fase sarà necessaria una analisi preliminare del mercato e del prodotto, l’individuazione e definizione delle strategie di comunicazione idonee,

——— 10 Cass., 25 gennaio 1983, n. 702, in Mass. Giur. it., 1983.

Page 589: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 563

l’ideazione e la progettazione dei messaggi, la selezione e scelta dei mezzi di diffusione, la pianificazione dell’investimento pubblicitario sui media.

Nella fase successiva, in cui l’idea promozionale è stata creata ed il prodot-to pubblicitario deve essere confezionato e diffuso, l’agenzia si occuperà delle trattative con i fornitori per la realizzazione del messaggio, e di quelle con i mezzi di comunicazione (ovvero con i rispettivi concessionari di pubblicità) per l’acquisizione degli spazi (diffusione), nonché della supervisione eventuale di re-alizzazioni affidate a terzi (es. film, spot, jingles), il controllo qualitativo e quan-titativo della diffusione della pubblicità e delle successive fatturazioni.

In tale fase, nei rapporti intrattenuti dall’agenzia con i terzi, questa può as-sumere la veste di independant contractor, acquisendo in proprio gli spazi dai mezzi e i materiali dai fornitori, e fornendo quindi al cliente la campagna, già realizza-ta, ovvero può acquistare prodotti e servizi (spazi e materiale pubblicitario) in proprio nome, ma per conto del cliente, in forza di mandato senza rappresen-tanza, e utilizzando i mezzi somministrati (artt. 1719-1720 c.c.).

Infine, il rapporto può essere formulato secondo lo schema del mandato con rappresentanza, ovvero l’agenzia si muoverà con autonomia, concludendo in proprio contratti, dopo trattative da essa stessa, i cui effetti si produrranno direttamente nella sfera giuridica del committente rappresentato.

I richiamati modelli contrattuali preferiscono incaricare l’agenzia della con-duzione delle trattative con i mezzi, anche quando l’utente non le abbia conferi-to il potere di rappresentanza per la stipulazione di contratti (così gli usi Milano, Bari, Vicenza), mentre allorché si pattuisca il mandato senza rappresentanza si prevede l’anticipata somministrazione della provvista necessaria a pagare il cor-rispettivo degli acquisti, a tutela dell’agenzia, ed il rilascio di garanzie fideiussorie a tutela del committente e dei terzi per l’eventuale inadempimento dell’agenzia.

Nell’esecuzione del contratto l’azione dell’ agenzia deve essere ispirata all’obbligo di diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176 c.c., che si tradurrà ovviamente in termini differenti nelle varie fasi del contratto.

Se nella fase progettuale è d’obbligo osservare norme di legge11 e di autodi-sciplina12, nonché le disposizioni attinenti alla pubblicità dello specifico settore merceologico particolare (es. medicinali da banco), in quanto dalla violazione deriverebbero danni, anche in termini di immagine, al committente, la profes-sionalità imposta all’operatore pubblicitario si estende alla proposizione di solu-zioni innovative o potenzialmente efficaci. ———

11 V. retro, parte II, cap. 1. 12 V. retro, parte II, cap. 3.

Page 590: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 564

A tale scopo, spesso i contratti contengono una clausola di approvazione della campagna da parte del committenti e di esonero dell’agenzia dalla respon-sabilità conseguente alla sua diffusione, clausola che non può tuttavia estendersi ad elementi non conoscibili dal cliente, quali aspetti tecnico-comunicazionali, incorrendo altrimenti nella nullità delle clausole esonerativi da responsabilità per dolo o colpa grave di cui all’art. 1229 c.c.13.

Produce l’effetto diametralmente opposto l’eventuale clausola di accollo di ogni responsabilità in capo all’agenzia, e per l’identica ragione non potrebbe va-lidamente comprendere la responsabilità per false informazioni, se queste sono state fornite dallo stesso cliente, e non erano verificabili da parte dell’agenzia.

Ai sensi dell’art. 1218 c.c. l’inadempimento dell’agenzia (o il non perfetto adempimento) delle obbligazioni assunte contrattualmente legittima il commit-tente a richiedere il risarcimento del danno patito.

Tanto specialmente ove la diffusione del messaggio sia inibita con provve-dimento dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato o dal Giurì del-l’Autodisciplina pubblicitaria.

Ma altro è discutere, in termini economici, della perdita economica che il cliente non avrebbe dovuto subire ove l’agenzia avesse operato diligentemente, e che potrebbe limitarsi al rifacimento di materiali difettosi, o al risarcimento dovuto a terzi lesi dalla pubblicità ingannevole o vietata, altro è richiedere il ri-sarcimento del danno patito per c.d. perdita delle chances promozionali poten-zialmente derivanti dalla diffusione del messaggio e pregiudicate dall’ordine di cessazione della trasmissione14.

Si può discutere anche del danno all’immagine del prodotto, causato dalla pubblicità scorretta o ingannevole, mentre non può richiedersi il lucro cessante, ovvero il mancato aumento di guadagno sperato, dei mancati effetti promozionali.

Ove l’agenzia abbia diligentemente eseguito le prestazioni dedotte in con-tratto, non potrà essere ritenuta responsabile del mancato successo della pubbli-cità, essendosi impegnata a realizzare una campagna a regola d’arte, ma non a garantire incrementi di fatturato, trattandosi di evento non dipendente dalla sua diligenza ma da fattori esterni e imprevedibili, quali la risposta dei consumatori alla sollecitazione promozionale e la valutazione delle alternative di mercato.

Obbligazione accessoria deriva dal divieto di concorrenza, in forza del qua-le in costanza di rapporto e per tutta la sua durata l’agenzia è tenuta a non as-———

13 Cfr. sulla ripartizione dell’onere della prova della colpa Cass. Civ., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9810, in Giur. it., 1998, p. 1096.

14 Trib. Milano, 11 gennaio 1988.

Page 591: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 565

sumere incarichi e comunque a non prestare la propria attività in favore di pro-dotti o servizi concorrenti con quelli a cui il contratto si riferisce (così il contrat-to tipo UPA).

Se gli usi di Milano e Bari specificano che si intenda per concorrenza solo quella diretta, relativa allo stesso segmento di mercato, il modello redatto dall’AssAp discute di prodotti o servizi identici.

Di converso, spesso è pattuito un diritto di esclusiva in favore dell’agenzia, com’è per gli usi normativi citati, per cui il cliente non può avvalersi di altre a-genzie per la pubblicità dei medesimi prodotti o servizi.

Non sussiste rapporto sinallagmatico con l’obbligo di esclusiva gravante sull’agenzia: l’esclusiva a favore del cliente deriva infatti dall’obbligo di fedeltà cui l’agenzia è tenuta per la natura dell’incarico, quella a favore dell’agenzia è imposta dalla necessità di efficacia della campagna pubblicitaria, e soddisfa l’esigenza di remunerazione dell’agenzia, ed entrambe sono limitate alle sole a-zioni di pubblicità classica.

Ove il committente venga meno a tale vincolo, ferma l’azione di adempi-mento, o quella di risoluzione, in ogni caso con risarcimento del danno patito dall’agenzia, pari all’intero compenso pattuito.

In prossimità della scadenza del contratto è pattuito l’obbligo di preavviso per l’eventuale affidamento ad altra agenzia del medesimo incarico, in conside-razione dell’interesse dell’agenzia a mantenere i frutti dell’idea pubblicitaria già realizzata, e quindi di proporre il rinnovo dell’incarico a condizioni vantaggiose.

Obbligazione principale del committente è invece il pagamento della com-missione, o fee, commisurata quale percentuale del budget complessivo, che il cliente spende per la campagna affidata all’agenzia, e risultate dal netto delle fattu-re emesse da fornitori e mezzi, per prassi internazionale fissata intorno al 15%.

Nel corrispettivo sono compresi tutti i servizi affidati per contratto al-l’agenzia, escluse le prestazioni non tipiche, quali l’approntamento di materiali, riproduzioni, composizioni, clichées, esecutivi, adattamenti, traduzioni e simili, e con esclusione di tutto quanto non compreso nella nozione di campagna pub-blicitaria, ed in particolare delle iniziative di pubblicità below the line, quali pro-mozioni, pubblicità sul punto vendita, azioni di public relations, progettazione di confezioni.

In conclusione, in punto di definizione della natura giuridica del contratto in questione, va rilevato che svolgono rilievo determinante, specie nella prima fase, prestazioni di natura intellettuale, di analisi del mercato, del prodotto, di individuazione delle strategie di comunicazione; progettazione dei messaggi, se-

Page 592: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 566

lezione e scelta dei veicoli diffusivi. La seconda fase è caratterizzata da presta-zioni gestorie, di regola affidate, all’interno dell’organizzazione dell’agenzia, a professionalità differenti da quella del tecnico pubblicitario, tipicamente respon-sabile invece degli aspetti comunicazionali.

L’incarico affidato dal committente è dunque assimilabile a un contratto d’opera professionale, disciplinato dall’art. 2229 e ss. c.c.

Non esistendo tuttavia un albo professionale dei tecnici pubblicitari, non si tratta di professione protetta, esercitabile unicamente a seguito della verifica del-la professionalità con esame di stato, per cui il corrispettivo è comunque dovu-to, non applicandosi l’art. 2231 c.c.

Del resto, è caratteristica dell’agenzia pubblicitaria la compresenza di pro-fessionalità diverse (creativi, illustratori, specialisti di marketing, addetti ai con-tatti con i clienti, manager e responsabili dell’acquisto di spazi), ed in definitiva una struttura imprenditoriale.

Si pone, in questi termini, un conflitto tra l’ordinaria organizzazione di im-presa dell’agenzia e l’art. 2232 c.c., che impone la personalità della prestazione professionale, in considerazione del vincolo di fiducia che lega committente e prestatore d’opera professionale.

Contraddizione difficilmente risolvibile, se non inquadrando invece il rap-porto come contratto di appalto, di cui sarebbe oggetto la prestazione di servizi (1655 c.c.), cui è applicabile anche la disciplina della somministrazione (art. 1559 ss. c.c.), stante il richiamo dell’art. 1677 c.c.

L’appalto è infatti caratterizzato dal carattere imprenditoriale dell’appaltato-re e dall’obbligazione di risultato che egli assume, in questo caso consistente nell’ideazione e diffusione della campagna pubblicitaria, verso un corrispettivo in denaro.

Altre norme applicabili sono l’art. 1703 ss. (mandato), l’art. 1387 ss. (rap-presentanza), con particolare riguardo alla fase gestionale, ovvero l’art. 2222 e ss. c.c. (contratto d’opera non professionale), anche nella prospettiva dell’assimi-labilità del contratto di agenzia ad un negozio atipico, in cui convivono cause differenti.

4. — I contratti di diffusione della pubblicità below the line. Abbiamo finora trattato delle forme tradizionali di pubblicità, anche dette

Page 593: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 567

tabellari per l’accostamento della diffusione del messaggio attraverso il mezzo televisivo, radiofonico o editoriale all’affissione murale.

Si discute anche di ulteriori forme di promozione, definite below the line advertising15, che spesso non realizzano attività di comunicazione, com’è per le promozioni, i concorsi o le operazioni a premio, ovvero utilizzano forme di comunicazione diverse da quelle tradizionali o tabellari (es: telepromozioni, tele-sponsorizzazioni, pubblicità redazionale, operazioni di product placement).

La funzione pubblicitaria in senso proprio è riconosciuta anche dal legisla-tore di riforma del sistema delle comunicazioni (l. 3 maggio 2001, n. 112, c.d. legge Gasparri, che all’art. 4, lett. c, pone a garanzia degli utenti,

“la diffusione di trasmissioni pubblicitarie e di televendite leali ed oneste, che rispettino la dignità della persona, non evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non offendano convinzioni religiose o ideali, non inducano a comportamenti pregiudizievo-li per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non possano arrecare pregiudizio morale o fi-sico a minorenni, non siano inserite nei cartoni animati o durante la trasmissione di funzioni religiose e siano riconoscibili come tali e distinte dal resto dei programmi con mezzi di evidente percezione, con esclusione di quelli che si avvalgono di una potenza sonora superiore a quella ordinaria dei programmi, fermi gli ulteriori limiti e divieti previsti dalle leggi vigenti”. 4.1. Telepromozione. – Tale è la menzione, esibizione o presentazione dei pro-

dotti, del marchio, del nome o dell’attività dell’impresa nel corso di un programma televisivo, così definita dall’art. 8, 12° comma della l. 223/1990 (l. Mammì),

“Ai sensi della presente legge per sponsorizzazione si intende ogni contributo di un’impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, al finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti. I programmi sponsorizzati devono rispondere, ancora ai sensi della citata norma, ai se-guenti criteri: a) il contenuto e la programmazione di una trasmissione sponsorizzata non possono in nessun caso essere influenzati dallo sponsor in maniera tale da ledere la responsabilità e l’autonomia editoriale dei concessionari privati o della concessionaria pubblica nei con-fronti delle trasmissioni; b) devono essere chiaramente riconoscibili come programmi sponsorizzati e indicare il nome o il logotipo dello sponsor all’inizio o alla fine del programma.

——— 15 Cfr. M. FUSI, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale, cit., p. 41

Page 594: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 568

I programmi non possono essere sponsorizzati da persone fisiche o giuridiche la cui at-tività principale consista nella fabbricazione o vendita di sigarette o di altri prodotti del tabacco, nella fabbricazione o vendita di superalcolici, nella fabbricazione o vendita di medicinali ovvero nella prestazione di cure mediche disponibili unicamente con ricetta medica. I programmi sponsorizzati sono considerati messaggi pubblicitari nella misura minima del 2 per cento della durata dei programmi stessi da comprendersi nel limite di affol-lamento giornaliero. Il Garante, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, propone al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, che provvede, entro novanta giorni, con decreto, una più dettagliata regolamentazione in materia, sia per la concessionaria pubblica sia per i concessionari privati”. Si distingue pertanto dalla telesponsorizzazione, caratterizzata dal semplice

invito, ringraziamento o promo. Per l’effetto, mentre la prescrizione, di natura speciale, dell’art. 6 della legge Gasparri vieta la sponsorizzazione dei notiziari, è legittimo l’invito all’ascolto del notiziario, con la menzione del solo marchio del prodotto o dell’impresa committente.

Da ultimo, il testo unico sulla radiotelevisione, approvato con d.lgs. 31 lu-glio 2005, n. 177, vigente, definisce, all’art. 2

“telepromozione ogni forma di pubblicità consistente nell’esibizione di prodotti, pre-sentazione verbale e visiva di beni o servizi di un produttore di beni o di un fornitore di servizi, fatta dall’emittente televisiva o radiofonica nell’ambito di un programma, al fine di promuovere la fornitura, dietro compenso, dei beni o dei servizi presentati o e-sibiti”. Fin dalla direttiva comunitaria 97/36/CE la telesponsorizzazione, la tele-

vendita e la pubblicità sono accomunate nell’identico trattamento normativo, fin dalle definizioni (art. 1), quanto nella titolazione del capo IV, che contiene la di-sciplina di dettaglio, tanto in materia di contenuto dei messaggi che di divieti merceologici, che di tutela dei minori16.

Con legge 1 marzo 2002, n. 39, di recepimento della direttiva 89/552/CEE, modificata dalla citata direttiva 97/36/CE, le citate disposizioni sono state tra-sfuse nell’ordinamento italiano. ———

16 Cfr. anche l’art. 2 della Deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che e-sercita la vigilanza sulla materia, del 26 luglio 2001, n. 538, parte II, la quale definisce ancora “telepro-mozione: forma di pubblicità consistente nell’esibizione di prodotti, presentazione verbale e visiva di beni o servizi di un produttore di beni o di un fornitore di servizi, fatta dall’emittente televisiva o ra-diofonica nell’ambito di un programma al dune di promuovere la fornitura, dietro compenso, dei beni o dei servizi presentati o esibiti”. Si distingue anche dalla autopromozione, ovvero dagli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi ed ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati.

Page 595: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 569

Quanto al relativo contratto, concluso tra emittente (o sua concessionaria) e committente (eventualmente per il mezzo di un’agenzia pubblicitaria) questo si caratterizza quale accordo con cui l’emittente si obbliga, verso corrispettivo, a far apparire nel corso di una trasmissione messaggi promozionali in forma appa-rentemente casuale o informale, e comunque integrati nel programma.

Il negozio è di regola concluso di regola in forma scritta, anche se ovvia-mente non a pena di nullità, e spesso contiene la pattuizione di elementi ulterio-ri, quali allestimenti scenici, o la conduzione da parte dello stesso presentatore del programma.

È infatti, di regola, rilevante nell’interesse del committente la conduzione dello spazio telepromozionale da parte dello stesso conduttore del programma, al fine di caratterizzare e differenziare il messaggio rispetto agli spot pubblicita-rio che interrompono il programma.

Il rapporto tra committente e presentatore può essere gestito attraverso l’intermediazione dell’emittente, che contrae in proprio con il committente, promettendo l’opera del presentatore, secondo il prototipo della promessa del fatto del terzo, di cui all’art. art. 1381 c.c.:

“Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso”. Pertanto, il mezzo resta obbligato ad indennizzare la perdita subita dal ter-

zo se il presentatore non adempie la propria prestazione, secondo il contenuto originario del patto.

Quando, invece, il committente contrae con il presentatore si perfeziona un contratto di prestazione d’opera professionale, collegato a quello di telepro-mozione, ed il corrispettivo spettante al presentatore è distinto, nella causa, da quello pattuito dal mezzo televisivo, spesso proporzionato al tempo della pro-mozione ed all’audience del programma

4.2. Televendita. – Ai sensi del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, art. 2, è “televendita ogni offerta diretta trasmessa al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico allo scopo di fornire, dietro pagamento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni” Si tratta dunque di una forma di offerta commerciale rivolta prioritariamen-

te alla conclusione di contratti a distanza con i telespettatori, che mantiene co-

Page 596: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 570

munque anche la funzione pubblicitaria dell’azienda o dei prodotti, a prescinde-re dalla effettiva conclusione del contratto di acquisto17.

Convivono pertanto nella sua disciplina le norme a tutela dei consumatori, rispetto alle forme di vendita non tradizionali e condotte fuori dai locali com-merciali, e quelle specificamente dettate per la regolamentazione della pubblici-tà, ora inserite tutte nel Codice del consumo.

Rinviando per la più ampia trattazione al commento del codice del consu-mo18, specie con riguardo al diritto di recesso riconosciuto al consumatore che concluda un contratto fuori dai locali commerciali – applicabile anche al con-tratto concluso attraverso la televendita – e ricordando che i tempi dedicati alle televendite non si sommano a quelli pubblicitari, ai fini del raggiungimento dei tempi di affollamento, ma sono compresi in un autonomo tetto, l’inquadramento sistematico della televendita ne giustifica la riconduzione al prototipo dell’offerta al pubblico di cui all’art. 1336 c.c.:

“L’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui con-clusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi”. A tali fini, tuttavia, rileva qualificare la posizione del mezzo televisivo, che

gestisce la televendita, rispetto al committente, allorché il contratto di acquisto sia concluso direttamente tra lo spettatore ed il mezzo, con la risposta del primo in adesione all’offerta contenuta nella televendita.

Perché gli effetti del contratto concluso si producano in capo al commit-tente il mezzo televisivo deve essere rappresentante dell’impresa stessa, giusta idonea procura, ai sensi dell’art. 1388 c.c.:

“il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato”. Si tratta, senza dubbio, di una forma di comunicazione commerciale parti-

colarmente persuasiva e potenzialmente caratterizzata da forte rischio, per la più agevole suggestionabilità dei consumatori, attraverso il mezzo televisivo, e per

——— 17 Cfr. la citata delibera 26 luglio 2001, n. 538, art. 1, che così definisce: “televendita: offerta diretta

trasmessa al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico allo scopo di fornire, dietro paga-mento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni”.

18 Cfr. retro, parte II, cap. 1.

Page 597: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 571

l’immediata instaurazione del vincolo contrattuale di compravendita, per effetto della stimolazione a distanza.

È per tale ragione che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha emanato il regolamento allegato alla delibera n. 538 del 26 luglio 2001, in mate-ria di pubblicità radiotelevisiva e televendite, prevedendone caratteri di ricono-scibilità rispetto al resto della programmazione televisiva attraverso l’uso di mezzi ottici ed acustici di immediata percezione, inseriti all’inizio e alla fine della televendita, l’inserzione sullo schermo della scritta “televendita”, con caratteri chiaramente leggibili, lo stacco anche temporale rispetto al contesto del pro-gramma televisivo, quando si tratta di spazi condotti dal medesimo presentato-re, ed il divieto di utilizzare parodie di un programma per televendite trasmesse durante, prima o dopo di questo.

I programmi per bambini di durata inferiore a trenta minuti non possono essere interrotti da pubblicità o televendite.

L’identica ratio che fonda il divieto di telepromozioni dei notiziari giustifica il divieto di utilizzare, nelle televendite, il richiamo visivo o orale a persone che presentano regolarmente i telegiornali o le rubriche di attualità, al fine di rendere pienamente consapevoli gli spettatori del carattere pubblicitario della comunica-zione, assolutamente distinta dalle trasmissioni informative19.

Si tratta all’evidenza di misure volte ad applicare quel principio di differen-ziazione della pubblicità e della sponsorizzazione dal resto delle trasmissioni te-levisive, e di lealtà delle televendite, cui abbiamo fatto cenno sopra, sancito an-che dal Codice del consumo.

In particolare, a mente dell’art. 30 del citato Codice “è vietata la televendita che offenda la dignità umana, comporti discriminazioni di raz-za, sesso o nazionalità, offenda convinzioni religiose o politiche, induca a comporta-menti pregiudizievoli per la salute o la sicurezza o la protezione dell’ambiente. È vieta-ta la televendita di sigarette o di altri prodotti a base di tabacco. Le televendite non devono contenere dichiarazioni o rappresentazioni che possono in-durre gli utenti o i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagera-zioni, in particolare per ciò che riguarda le caratteristiche e gli effetti del servizio, il

——— 19 Su tale presupposto il TAR Lazio, sez. II, con sentenza del 21 dicembre 2005, n. 14357, ha rite-

nuto la legittimità del Regolamento in materia di pubblicità televisiva e televendite adottato dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, nel fissare il tetto massimo di sei spot isolati ammis-sibile all’interno di una trasmissione televisiva di eventi sportivi, e con sentenza del 2 dicembre 2005, n. 12820, ha concluso per la legittimità del divieto di televendite aventi ad oggetto servizi di astrologia, cartomanzia e pronostici nella fascia oraria compresa tra le 7 e le 23.

Page 598: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 572

prezzo, le condizioni di vendita o di pagamento, le modalità della fornitura, gli even-tuali premi, l’identità delle persone rappresentate”. 4.3. Pubblicità redazionale e product placement. – Stante il divieto di pubblici-

tà non riconoscibile, di cui all’art. 23 codice del consumo, il contratto diretto a diffondere un messaggio pubblicitario redazionale è nullo se conclusi per elude-re la legge, a norma dell’art. 1344 c.c.

“si reputa illecita la causa quando il contratto costituisce il modo per eludere una nor-ma imperativa”.

e dell’art. 1418 c.c., che sanziona con la nullità il contratto con causa illecita. Il negozio è invece lecito ove si pattuisca l’obbligo per il mezzo di distin-

guere nettamente la pubblicità dal testo dell’informazione, ovvero, in caso di product placement, quando si tratti di coproduzioni, sempre che siano eviden-ziati gli scopi pubblicitari. Tanto ai sensi del d.lgs. 28/2004, di riforma del si-stema cinematografico, che riconosce pienamente compatibile con i precetti dell’allora vigente d.lgs. n. 74/2002 Urbani (ora sostituito, con identica previsio-ne, dal codice del consumo) la presenza di marchi e prodotti nel contesto narra-tivo di un film, quando siano integrati nello sviluppo dell’azione

Tanto in considerazione della già diffusa pratica del piazzamento di prodot-to, nelle produzioni cinematografiche statunitensi, che occupano la gran parte del mercato italiano, e per conciliare le esigenze di finanziamento delle produ-zioni italiane con quelle di tutela dei consumatori.

Quanto alla pubblicità redazionale, di cui abbiamo detto sopra, raramente si è ritenuta la riconoscibilità per le rubriche “Le aziende informano” o in “spe-ciali”, con l’obbligo di adeguata manifestazione della natura promozionale.

In ogni altro caso, la nullità del contratto implica che lo stesso non produca effetti e dunque non obbliga né al pagamento del corrispettivo né all’esecuzione della prestazione20.

4.4. Tele e radiosponsorizzazione. – Ai sensi dell’art. 8 l. 223/1990: è sponso-

rizzazione radiofonica:

——— 20 Per i fondamentali risultati della psicologia, applicata alla pubblicità, cfr. D. TREVISANI, Psicologia

di marketing e comunicazione, Milano, 2001; G. SIRI, La psiche del consumo, Milano, 2001; V. PACKARD, I persuasori occulti, Milano, 1958; F.M. NICOSIA, Lo studio del consumatore e le sue prospettive, Milano, 1958. Per i riflessi sugli studi in materia di consumer behavior, sui quali è modellata la struttura del codice del con-sumo cfr. G. FABRIS, Il comportamento del consumatore: psicologia e sociologia dei consumi, Milano, 1972.

Page 599: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 573

“ogni contributo di un’impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, al finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti” Previsione oggi trasfusa con identico contenuto nel d.lgs. n. 177/2005, e

specificata dal d.m. n. 581/1993, in virtù del quale le sponsorizzazioni televisive o radiofoniche devono essere limitate ai soli inviti all’ascolto o offerte di pro-gramma che lo precedono, e ai ringraziamenti al suo termine, con esclusione di qualsiasi claim pubblicitario o presentazione di prodotti, e, per i programmi che eccedono i 45 min. o presentino giochi e concorsi, a brevi apparizioni del mar-chio o di jingles per la radio.

Il relativo contratto è assimilabile al contratto di diffusione per pubblicità tabellare.

4.5. Contratto di sponsorizzazione. – Si tratta di una figura di genere, caratteriz-

zata da una funzione unitaria, ma distinta in fattispecie solo parzialmente coinci-denti: talora l’impresa sponsor acquista il diritto di usare il marchio di una manife-stazione di grande risonanza e di presentarsi come main sponsor, sponsor o official sponsor, ed il rapporto è giuridicamente assimilabile a una licenza non esclusiva di marchio, o merchandising; altrimenti il contratto può essere diretto ad ottenere il diritto di abbinare il nome dello sponsor ad un evento, collocandovi cartelli ed al-tri mezzi pubblicitari, con fattispecie assimilabile alla diffusione della pubblicità, e dunque ad un appalto di servizi; ovvero si dirige ad abbinare il marchio ad un e-vento culturale o sociale, dichiarando pubblicamente di avervi contribuito, fatti-specie questa assimilabile a una vera e propria sponsorizzazione, che assume la dizione di patrocinio, quando sia sponsor una pubblica amministrazione.

Nelle manifestazioni sportive spesso si verifica una forma tipica di sponso-rizzazione, per la quale una squadra si obbliga ad apporre il marchio dello spon-sor su oggetti e locandine di specifiche manifestazioni, fino a prenderne il mar-chio come nome, come avviene ad es. nel basket o nella pallavolo. Può coesi-stere con la sponsorizzazione della squadra quella autonoma del singolo atleta, che si obbliga a usare i prodotti e presentarsi come testimone della loro quali-tà, oltre a partecipare a manifestazioni collaterali organizzate per la promo-zione pubblicitaria. Talora, si configura anche una sponsorizzazione tecnica, assimilabile al contratto di somministrazione, allorché un’impresa fornisca il materiale necessario all’attività dello sponsee in corrispettivo della sua esibi-zione, nell’attività stessa.

Page 600: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 574

“Art. 1559. Contratto di somministrazione: La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire a favore del-l’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”. Caratteristica comune a tutte le figure, per unanime interpretazione di dot-

trina e giurisprudenza, è la piena autonomia dello sponsee, che non è assoggetto alle direttive dello sponsor nella gestione della sua attività, pur dovendo evitare ogni comportamento che ne comprometta l’immagine, ex art. 1175 c.c.:

“il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. L’obbligazione non si estende tuttavia, al pari degli altri contratti di pubbli-

cità, al ritorno positivo dell’iniziativa, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, con cui è compatibile la pattuizione di clausola di esclusiva assoluta o per il settore merceologico dello sponsor, al fine di evitare la conseguente di-minuzione della valenza promozionale dell’abbinamento.

La qualificazione giuridica del contratto non è agevole: se potrebbe discu-tersi di appalto, in considerazione della causa del contratto, tanto non si coniu-gherebbe con la natura non imprenditoriale del patrocinatore, e con il contenu-to del contratto, talora limitato a prestazioni permissive o di pati.

Identica obiezione vale per l’inquadramento della prestazione dello sponsee quale esecuzione di un contratto d’opera professionale, ed in ogni caso lo spon-see non è sempre tenuto a svolgere personalmente l’attività in favore dello sponsor. Né potrebbe discutere di associazione in partecipazione all’attività e-conomica dello sponsee, in quanto lo sponsor non si impegna a ripartire le e-ventuali perdite subite dallo sponsee, quanto invece ad una erogazione prefissata anche nel quantum.

La migliore dottrina ha chiarito come non si configuri neppure donazio-ne21, in quanto lo sponsor non è mosso dall’intento liberale, di beneficiare a ti-tolo gratuito e senza esservi tenuto lo sponsee, quanto invece da quello di rica-vare un indiretto profitto dalla sua attività, in termini di visibilità commerciale.

Si può pertanto discutere di un contratto atipico, pur se nettamente caratte-rizzato nella prassi, spesso complesso, ossia risultante dalla combinazione di più contratti, con il quale lo sponsee, verso corrispettivo, si obbliga a prestazioni at-tive o permissive verso lo sponsor, in modo da consentirgli di sfruttare, attra-

——— 21 Si realizza invece una gratuità strumentale alla soddisfazione dell’interesse dello sponsor, cfr. A.

PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2000, p. 65 ss.

Page 601: Diritto privato del mercato

CAP. 3 - I CONTRATTI DELLA PUBBLICITÀ 575

verso differenti forme comunicazionali di abbinamento, le proprie notorietà e immagine, per incrementare nel pubblico la conoscenza dello sponsor o dei suoi prodotti, e di promuoverne l’immagine22.

——— 22 Cfr. I. MAGNI, Merchandising e sponsorizzazione: nuovi contratti per lo sfruttamento e la promozione

dell’immagine, Padova, 2002; E.V. NAPOLI, La sponsorizzazione: nuovi modelli contrattuali nella pubblica ammi-nistrazione, nelle reti informatiche, negli istituti di credito, Milano, 1998; R. ROSSOTTO, I contratti di pubblicità, cit.; A. FRIGNANI, A. DESSI, M. INTROVIGNE, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, Torino, 1993; D. MENICUCCI, La sponsorizzazione, in Quaderni della CCIA di Perugia, Perugia, 1991; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990.

Page 602: Diritto privato del mercato
Page 603: Diritto privato del mercato

CAPITOLO QUARTO

I CONTRATTI PER L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI

SOMMARIO: Sezione I - I Programmi Comunitari. 1. I programmi comunitari. 1.1. Contributo dei pro-grammi alla costruzione comunitaria. 1.2. Identificazione del concetto di “programma”. — 2. L’elaborazione della definizione di “programmi comunitari”. — 3. Il programma come “azione”. — 4. Base giuridica dei programmi comunitari. — 5. La Commissione come istituzione attuatrice dei pro-grammi. — 6. I soggetti beneficiari. 6.1 Requisiti per la partecipazione ai programmi comunitari. 6.2 Soggettività giuridica. — 7. La spesa a carico del bilancio. 7.1 Tipologia di spesa. 7.2 Appalti (public pro-curement). 7.4. Operazioni delle istituzioni finanziarie (mutui, garanzie, partecipazioni). 7.5. Altri tecni-che di spesa. —

Sezione II - I contratti tra istituzione attuatrice e beneficiari. Caratteri e procedura di formazione. 8. Il contrat-to per l’attuazione del programma. 8.1. I contratti delle istituzioni. 8.2. Il contratto tipo. 8.3. La struttu-ra del contratto tipo. — 9. Caratteri generali del contratto di finanziamento. 9.1. Formalità del contrat-to. 9.2. Il contratto di diritto comunitario. 9.3. Il contratto di diritto comunitario per l’attuazione di un programma. 9.4. Poteri e obblighi della Commissione. 9.5. Qualificazioni dei contratti per l’attuazione dei programmi comunitari. — 10. Procedura di formazione dei contratti. 10.1. Principi generali per la formazione dei contratti con le istituzioni. 10.2 Requisiti per la partecipazione dei candidati. 10.3. Pro-cedura di formazione per i contratti di sovvenzione. 10.4. Procedura di formazione nei contratti di ap-palto. 10.5. Sottoscrizione del contratto. 10.6. Modifiche del contratto. —

Sezione III - Gli effetti dei contratti tra istituzione attuatrice e beneficiari. 11. Le obbligazioni dei contraenti diversi dall’istituzione finanziatrice. 11.1. Le obbligazione del coordinatore. 11.2. L’obbligazione di ese-guire l’attività oggetto del contratto. 11.3. Le altre obbligazioni dei beneficiari. — 12. L’obbligazione di rendicontazione nelle sovvenzioni. 12.1. La rendicontazione. 12.2. Criteri generali di ammissibilità. 12.3. Criteri generali di ammissibilità. 12.4. Costi ammissibili e costi non ammissibili. 12.5. Le entrate. — 13. Obbligazioni derivanti dai rapporti con i terzi. 13.1. I subcontratti. 13.2. Subcontratti per le sovvenzio-ni. 13.3. Subcontratti negli appalti. 13.4. Rapporti tra istituzione finanziatrice e subcontraente. — 14. Caratteri delle obbligazioni dei beneficiari. 14.1. Le obbligazioni dei beneficiari come obbligazioni di fare. 14.2. Intuitus personae. 14.3. Diligenza nell’adempimento. 14.4. Solidarietà. 14.5. Indivisibilità della prestazione. — 15. Le obbligazioni dell’istituzione finanziatrice. 15.1. Il prezzo e il contributo. 15.2. Modalità di pagamento. 15.3. Caratteri dell’obbligazione dell’istituzione finanziatrice. 15.4. Le altre ob-bligazioni dell’istituzione finanziatrice. — 16. Termini temporali del contratto. 16.1. Durata del contrat-to e del progetto. 16.2. Il computo del tempo nel diritto comunitario. — 17. Proprietà industriale e intellettuale e uso dei segni distintivi della Comunità. 17.1. Diritti sui risultati. 17.2. L’utilizzo dei segni dell’Unione europea. —

Sezione IV - La patologia del contratto tra istituzione attuatrice e beneficiari. 18. La fine del contratto prima della completa esecuzione. 18.1. Introduzione. 18.2. L’inadempimento. 18.3. La forza maggiore. 18.4. Procedure di risoluzione. — 19. Sanzioni e Controlli. 19.1. Sanzioni. 19.2. Controlli. 19.3. Strumenti di tutela delle ragioni delle istituzioni attuatrici. 19.4. Prescrizione e decadenza. — 20. Responsabilità re-ciproca dei beneficiari. 20.1. La responsabilità del coordinatore nei confronti degli altri contraenti. 20.2. La responsabilità di ciascun contraente nei confronti degli altri. 20.3. Conseguenze nel rapporto tra i contraenti. — 21. Responsabilità della Commissione. 21.1. Aspetti generali. 21.2. Responsabilità non contrattuale della Commissione. 21.3. La responsabilità contrattuale della Commissione. 21.4. Strumen-ti per la tutela delle ragioni dei contraenti. — 22. Legge applicabile e giudice competente. 22.1. La legge applicabile. 22.2. Il giudice del contratto. —

Page 604: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 578

Sezione V - I contratti collegati. 23. Il Consortium Agreement. — 24. Caratteri del Consortium Agreement. 24.1. Il Consortium Agreement come contratto collegato. 24.2. Il Consortium Agreement come contratto plu-risoggettivo con comunione di scopo. 24.3. Il Consortium Agreement come contratto internazionale. 24.4. Il Consortium Agreement come contratto atipico. — 25. Il contenuto del Consortium Agreement.

SEZIONE I - I PROGRAMMI COMUNITARI 1. — I programmi comunitari. 1.1. Contributo dei programmi alla costruzione comunitaria. – Una parte rilevante

del bilancio dell’Unione europea è oggi destinato al finanziamento di più di cento “programmi comunitari”1.

Tali programmi hanno accompagnato l’intera storia dell’integrazione europea2. I primi programmi comunitari, infatti, sono stati i programmi quinquennali

di ricerca nel settore dell’energia nucleare, istituiti negli anni immediatamente successivi alla firma del Trattato Euratom.

Negli anni ‘60, inoltre, presero l’avvio programmi nell’ambito delle compe-tenze previste originariamente dai Trattati (nel settore agricolo, il fondo sociale europeo, i primi programmi nel settore della formazione professionale).

——— 1 Il bilancio per il 2006 prevede su impegni totali per 121 miliardi e 190.909.324 di Euro: il 45,5% per

le azioni nel settore dell’agricoltura; il 31,6% per le azioni strutturali (Fondi strutturali e Fondo di coesio-ne); il 7,9% per le azioni relative alle “Politiche interne” (Sesto programma quadro per la ricerca e lo svi-luppo tecnologico, Educazione e cultura, Affari economici e finanziari, Occupazione e affari sociali, Im-prese (escluso Sesto programma quadro), Ambiente, Giustizia e affari interni, Salute e tutela dei consuma-tori, Energia e trasporti (escluso Sesto programma quadro), e altre); il 4,8% per azioni esterne. Fonte: Commissione Europea, BILANCIO GENERALE DELL’UNIONE EUROPEA PER L’ESERCIZIO 2006, Bruxelles-Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Gennaio 2006.

2 Sui programmi nel settore culturale e in particolare in quello della ricerca e dell’istruzione e for-mazione, cfr. R. CIPPITANI, L’Europa della conoscenza (la ricerca e l’educazione al centro della costruzione comuni-taria, in T. Sediari (a cura di) Cultura dell’integrazione europea, Torino, 2005, p. 81 ss. Per quanto riguarda i programmi nel settore dell’istruzione e formazione v. L. Pépin e altri, Histoire de la coopération euro-péenne dans le domaine de l’éducation et de la formation, Lussemburgo-Bruxelles, 2006. Per i pro-grammi per la ricerca e lo sviluppo tecnologico L. GUZZETTI, Breve storia della politica della ricerca dell’Unione Europea, Lussemburgo-Bruxelles, 1995, p. 76. Per i programmi strutturali, tra gli altri v. A. DASSI, Fondi strutturali, interventi finanziari e di sostegno, in U. DRAETTA (a cura di), Elementi di diritto comuni-tario, parte speciale, Milano, 1995, p. 231 ss.; D. EITHER, La rèforme des fonds structurels de la Communautè Europèenne: de l’Act Unique à l’après-Maastricht, Revue Internationale des Sciences Administratives, 1993, p. 232 ss.; T. FRAZER, The new structural Funds, State aids and interventions on the single market, in European law review, 1995, p. 3 ss.; M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, La politica regionale e di coesione economica e sociale, in U. DRA-ETTA (a cura di), Elementi di diritto comunitario. Parte speciale, Milano, 1995, p. 275 ss.; C. MESTRE, Y. PETIT, La cohèsion èconomique et sociale après le Traité sur l’Union europèenne, in Rev. trim. de droit europèenne, 1995, pp. 207-243; G. GALLIZIOLI, I Fondi strutturali delle Comunità europee, Padova, 1992.

Page 605: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 579

A cominciare dagli anni ‘70, a seguito del vertice di Parigi dell’ottobre del 1972, furono istituti programmi in materie non ancora di competenza delle Comunità, come per esempio la ricerca (in settori diversi dalla ricerca nucleare) e l’istruzione (con l’istituzione della prima generazione di programmi come Era-smus, Petra, Comett, Eurotecnet, Force, Lingua, Tempus, Gioventù per l’Euro-pa). Dopo l’Atto unico ed il Trattato di Maastricht, il riconoscimento formale delle competenze comunitarie in materie come l’ambiente, la ricerca e l’educa-zione, ha ulteriormente potenziato i relativi programmi comunitari, in termini di risorse e di struttura. Emblematica è la razionalizzazione dei programmi di i-struzione e formazione, operata dall’ultima Commissione Delors (e soprattutto dall’allora Commissario Antonio Ruberti): i diversi programmi, sopra citati, vennero organizzati in uno schema più semplice, funzionale e accattivante, quel-lo dei programmi Socrates (incentrato sull’istruzione in tutte i suoi livelli) e Leo-nardo Da Vinci (per la formazione professionale).

Oltre a scandire dall’interno l’integrazione europea, i programmi sono stati i principali strumenti di allargamento e di apertura dell’Europa comunitaria. Ne-gli anni ‘80-‘90 del secolo scorso i programmi (come Tempus e Phare) sono serviti per preparare l’ingresso di nuovi paesi nell’Unione. Ancora oggi i pro-grammi sono al centro della cooperazione internazionale con l’America Latina, l’Asia, l’area del Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Africa.

Nell’ultimo decennio, i programmi comunitari sono spesso presi in conside-razione dai documenti di riflessione istituzionale sul futuro dell’integrazione euro-pea, a partire dal Libro Bianco sulla Crescita, Competitività e Occupazione, della Commissione di Delors, fino all’attuale “Strategia di Lisbona”, nell’ambito degli obiettivi contemplati: la creazione di uno spazio europeo della ricerca e dell’in-novazione; il processo di Bologna e il processo di Copenaghen; la realizzazione di una knowledge-based economy, in cui sia assicurato un alto livello di protezione sociale. Tutti questi documenti considerano i programmi (per esempio i pro-grammi-quadro di ricerca e sviluppo, i programmi di formazione e istruzione, i fondi strutturali, i programmi di cooperazione internazionale) tra i principali strumenti di azione dell’Unione.

Non è un caso che nel dibattito sulla Governance europea3 si sono considerati i programmi come esempio di un modello di integrazione, alternativo all’approc-cio “verticistico”. A questo proposito i programmi contribuiscono al governo di una realtà policentrica e composita come quella europea, attraverso concrete

——— 3 Cfr. la Comunicazione “La Governance europea”, COM (2001) 428 def./2 del 5 agosto 2001.

Page 606: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 580

occasioni di coordinamento e di convergenza4, che realizzano quella “solidarietà di fatto”, di cui si parla fin dalla dichiarazione di Schuman-Monnet del 9 maggio 1950.

1.2. Identificazione del concetto di “programma”. – I programmi comunitari, pur

avendo un ruolo di rilievo nella storia dell’integrazione europea, solitamente non sono oggetto di trattazione da parte della letteratura giuridica.

Le stesse fonti giuridiche forniscono scarsi elementi per la elaborazione del concetto giuridico di “programma comunitario”.

A cominciare dai Trattati istitutivi, che solo occasionalmente si riferiscono ai programmi, come nel caso del Titolo XVIII del Trattato CE (articoli 163 ss.), a proposito dell’attuazione della Politica comunitaria della Ricerca e Sviluppo Tecnologico (programmi quadro, programmi specifici e programmi comple-mentari)5.

Maggiori dati sono contenuti nelle fonti giuridiche di diritto derivato, che disciplinano però aspetti particolari del fenomeno. Da un lato, infatti, tali fonti si riferiscono a singoli programmi comunitari, per disciplinarne l’istituzione e le regole di partecipazione e gestione. Dall’altro lato, si regolano fattispecie parti-colari, anche riconducibili ai programmi: il nuovo regolamento finanziario 1605/20026 e le relative modalità di esecuzione (regolamento 2342/2002, della Commissione del 23 dicembre 2002) disciplinano le modalità di spesa, gli aspetti contrattuali, le sanzioni; il regolamento (CE) n. 58/2003 del Consiglio del 19 di-cembre 2002, disciplina “lo statuto delle agenzie esecutive incaricate dello svol-gimento di alcuni compiti relativi alla gestione dei programmi comunitari”7.

——— 4 Sull’importanza dei programmi comunitari per l’integrazione europea si rinvia ai numerosi scritti

e discorsi di Antonio Ruberti sull’argomento, tra i quali, a proposito dei programmi di ricerca v. A. RUBERTI, M. ANDRÉ, Uno spazio europeo della scienza, Firenze, 1995. A proposito dei programmi di istru-zione come strumento di integrazione v. anche M. CONOSCENTI, U. MORELLI, N. WERLY (a cura di), Gli scambi Erasmus come educazione alla pace, Torino, 2001.

5 Non molto diversa è la situazione per quel che riguarda la bozza di Costituzione per l’Europa. Si parla di “programmi” ancora a proposito di alcune materie, come accade per la ricerca, sviluppo tecno-logico e spazio e la cooperazione internazionale. Ci si riferisce ai programmi con riferimento ai poteri della Commissione (la quale “Cura l’esecuzione del bilancio e gestisce i programmi”, v. art. 25, par. 1)

6 Regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio del 25 giugno 2002 che stabilisce il re-golamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee.

7 V. anche sul punto la Comunicazione della Commissione dal titolo “L’esternalizzazione della ge-stione dei programmi comunitari”, COM(2000)788 del 13 novembre 2000.

Page 607: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 581

2. — L’elaborazione della definizione di “programmi comunitari”. Dai pochi e parziali riferimenti normativi è comune possibile tentare di in-

dividuare alcune regole generali che governano i programmi. Allo scopo, si può partire dall’unica esplicita definizione di “programma

comunitario” contenuta nelle fonti giuridiche, che è quella di cui all’art. 2, lett. b) del regolamento 58/2003, sopra citato. Tale disposizione stabilisce che per “programma comunitario” deve intendersi “qualunque azione, insieme di azioni o altra iniziativa comportante una spesa che, secondo l'atto di base o l'autorizza-zione di bilancio relativi, deve essere attuata dalla Commissione a favore di una o più categorie di beneficiari specifici”.

Nella definizione sopra riportata si può evidenziare che i programmi co-munitari costituiscono “azioni” che si caratterizzano per la ricorrenza dai se-guenti elementi:

a) una base giuridica; b) una istituzione attuatrice, indicata nella Commissione europea; c) soggetti beneficiari. d) la spesa a carico del bilancio della Comunità. 3. — Il programma come “azione”. È opportuno, in primo luogo, dare qualche elemento per definire il signifi-

cato giuridico di “azione”. Si può partire, a tale riguardo, dall’art. 2 del Trattato CE. Ai sensi di questa

disposizione la Comunità ha il compito di promuovere alcuni obiettivi (uno svi-luppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di con-vergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri), per mezzo dell’instaurazione di un mercato comune, di un’unione e-conomica e monetaria e mediante l’attuazione di “politiche e azioni”, così come previste negli articoli 3 e 4 e dalle Parti III e IV del Trattato.

Tra le possibili definizioni di “azioni”, che si possono elaborare a partire dal citato articolo 2, qui si preferisce ritenere che esse costituiscano atti o com-

Page 608: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 582

plessi di atti, compiuti dalle istituzioni, in attuazione degli obiettivi e nell’ambito delle materie, previsti nei Trattati.

Nelle Parti III e IV del Trattato CE, infatti, le istituzioni al fine di attuare le “politiche” adottano “misure”, “divieti” e altre tipologie di “azioni”, utilizzando i previsti poteri legislativi o di governo.

Tra queste azioni figurano i programmi, come si evince da alcune disposi-zioni del Trattato CE8 e nella citata definizione del regolamento n. 58/2003.

4. — Base giuridica dei programmi comunitari. Nella definizione proposta si pone in risalto la circostanza che i programmi

comunitari vanno attuati in virtù di una base giuridica. La disciplina dei programmi è contenuta in primo luogo nei Trattati istitu-

tivi e nel Trattato CE in modo particolare, che descrivono le politiche e le attri-buzioni delle istituzioni. Come si è detto in precedenza, è raro che i Trattati isti-tutivi parlino in modo specifico di programmi, preferendo espressioni più gene-rali come “azioni”.

I programmi sono disciplinati principalmente dalle fonti derivate, per mez-zo delle procedure legislative dettate per la specifica materia di competenza co-munitaria. Dopo il Trattato di Maastricht e quello di Amsterdam, per esempio, la disciplina giuridica di molti programmi è dettata attraverso la procedura di “codecisione”, prevista dall’art. 251 Trattato CE, che contempla la partecipazio-ne, con poteri legislativi, del Parlamento oltre che del Consiglio.

In ogni modo si osserva una grande varietà di forma nella base giuridica, che dipende dall’altrettanto ampia eterogeneità delle fonti giuridiche che com-pongono il diritto comunitario.

E così, alcuni programmi sono disciplinati da accordi internazionali, come quelli di associazione; altri da accordi intergovernativi tra i paesi membri e tra questi e la Comunità (si pensi a programmi di ricerca come COST ed EURE-KA); altri programmi prevedono una disciplina, che trova origine in accordi tra stati, che con qualche difficoltà possono considerarsi trattati internazionali. È il caso dei nuovi programmi in materia di istruzione e formazione, che fanno rife-———

8 Per esempio nell’ambito della materia “ricerca e sviluppo tecnologico” l’art. 164 Trattato CE prevede che per perseguire gli obiettivi fissati dall’art. 163, la Comunità svolge azioni, quali: a) attuare programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione; b) cooperare con i paesi terzi; c) diffonde-re e valorizzare i risultati delle ricerche; d) la mobilità dei ricercatori.

Page 609: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 583

rimento al cosiddetto “processo di Bologna”, basato sulla “Dichiarazione” del giugno 1999 e delle altre dichiarazioni che ne sono seguite.

In altri tempi, la base giuridica dei programmi comunitari spesso è stata dettata prima che la relativa materia fosse accolta nei Trattati. E’ il caso dei pro-grammi di ricerca nei settori diversi dal nucleare. Prima che la ricerca divenisse una competenza comunitaria, in virtù dell’Atto unico, vennero istituiti diversi programmi (tra i quali il Primo Programma Quadro nel 1984), attraverso “riso-luzioni”, emanate ai sensi dell’art. 235 Trattato CEE (oggi corrispondente all’art. 308 del Trattato CE). È anche il caso dei programmi di istruzione della “prima generazione”, emanati sulla scorta della giurisprudenza comunitaria (nelle cause Gravier del 1985 e Blaizot del 1986), che ampliava la nozione di “formazione pro-fessionale”, fino a comprendere l’istruzione di livello universitario.

Oltre alle fonti istitutive dei programmi, la base giuridica è completata da testi giuridici di diverso tipo. I programmi sono così regolati dalle fonti sublegi-slative della Commissione, ma si osserva anche un ampio ricorso a testi istituzio-nali non legislativi. Si pensi, all’utilizzo di testi giuridici atipici (comunicazioni, tra i quali i libri bianchi e verdi), che hanno una rilevanza giuridica in quanto richiamati nelle fonti che istituiscono il programma, in modo da influenzare, per esempio, il procedimento di selezione dei beneficiari. Oppure si consideri la grande impor-tanza assunta da testi amministrativi emessi dalla Commissione per regolare il pro-cedimento di partecipazione e la gestione finanziaria del programma comunita-rio: programmi di lavoro, linee guida per la gestione, e così via.

5. — La Commissione come istituzione attuatrice dei programmi. Nella definizione del regolamento n. 58/2003, da cui si è partiti, la Com-

missione è indicata come la principale istituzione “attuatrice” dei programmi co-munitari. Ciò è coerente con i compiti assegnati alla Commissione da parte del-l’ordinamento comunitario. L’istituzione, infatti, “vigila sull’applicazione” delle fonti giuridiche, dispone di un proprio potere di decisione, esercita le compe-tenze conferite dal Consiglio per l’attuazione delle norme (art. 211 Trattato CE), “cura l’esecuzione del bilancio” (art. 274 Trattato CE), ha la rappresentanza ne-goziale della Comunità (art. 282 Trattato CE). Si tratta di tutti compiti utili al-l’attuazione della base giuridica dei programmi, come si vedrà meglio nei para-grafi che seguono.

In applicazione dell’art. 53 ss. del regolamento 1605/2002, la Commissione

Page 610: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 584

può attuare i programmi in modo centralizzato (diretto o indiretto), concorren-te, decentrato oppure in maniera congiunta con le organizzazioni internazionali.

Quando la Commissione attua il programma in modo centralizzato, l’attivi-tà di esecuzione è svolta dalle Direzioni Generali e dai servizi della Commissio-ne stessa. L’attuazione del programma in modo centralizzato, può avvenite an-che in maniera “indiretta”. La gestione centralizzata indiretta è realizzata attra-verso le “agenzie esecutive” (v. art. 54 e 55 regolamento 1605/2002), organismi creati dalla Commissione (v. art. 185 regolamento 1605/2002) e “organismi na-zionali pubblici o … entità di diritto privato investiti di attribuzioni di servizio pubblico che presentano sufficienti garanzie finanziarie nelle condizioni previste dalle modalità d’esecuzione”. La gestione centralizzata indiretta risponde alla cosiddetta strategia di “esternalizzazione della gestione dei programmi comuni-tari”, di cui è espressione il citato regolamento 63/2003.

La gestione concorrente è quella realizzata mediante la delega agli Stati membri (art. 53, par. 3, regolamento 1605/2002). I programmi attuati in modo concorrente sono quelli finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamen-to e Garanzia (Parte seconda, Titolo I, regolamento 1605/2003) e dai Fondi strutturali, dal Fondo di coesione e dalle misure strutturali e agricole di preade-sione (Parte seconda, Titolo II, regolamento 1605/2003). In questi casi il pro-gramma viene attuato con l’intervento di organismi ed enti nazionali, come, per esempio in Italia, i Ministeri e le Regioni.

La gestione “delegata” viene realizzata in collaborazione con i paesi terzi (art. 53, par. 4, regolamento 1605/2002). La gestione delegata e quella congiunta con le organizzazioni internazionali sono svolte nell’ambito delle cosiddette “a-zioni esterne” (Parte seconda, Titolo IV, Regolamento 1605/2003). Tra le azio-ni esterne assumono una grande importanza i programmi comunitari di coope-razione internazionale.

L’affidamento dell’esecuzione ad altri soggetti deve avvenire nel rispetto di due regole fondamentali, previste dal primo paragrafo dell’art. 54 del regolamento 1605/2002. In primo luogo la Commissione “non può affidare a terzi i poteri d'e-secuzione di cui è titolare in forza dei trattati, ove implichino un ampio margine di discrezionalità tale da esprimere scelte politiche”. In secondo luogo le fun-zioni d'esecuzione delegate “devono essere esattamente definite e il loro uso de-ve essere rigorosamente controllato”.

Soprattutto in applicazione del secondo principio, sono previste tutta una serie di cautele, che devono essere adottate nella decisione, che conferisce la ge-stione centralizzata indiretta ad agenzie ed altri organismi (art. 54 regolamento

Page 611: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 585

1605/2002). Nei casi di gestione concorrente, decentrata e congiunta, inoltre, la Commissione deve controllare che gli stati membri, gli stati terzi e le organizza-zioni internazionali applichino in modo corretto le regole di gestione.

6. — I soggetti beneficiari. 6.1. Requisiti per la partecipazione ai programmi comunitari. – I beneficiari dei

programmi sono individuati, secondo le procedure di cui si parlerà nei paragrafi successivi, e in base ai requisiti stabiliti nella base giuridica.

Tali requisiti riguardano la tipologia di spesa (v. il paragrafo successivo e quanto si dirà a proposito delle sovvenzioni e degli appalti), nonché lo specifico programma comunitario. In questo secondo caso i requisiti possono essere di vario genere, tra i quali i più comuni sono la tipologia (e cioè forma giuridica o attività svolta dai soggetti), il numero minimo, la provenienza geografica. Vi sono, pertanto, programmi che prevedono la partecipazione di alcune tipologie di soggetti e non al-tri: i programmi per attuare la politica dell’istruzione e della formazione, per e-sempio, richiedono la partecipazione di università e istituti di istruzione superiori, scuole; le azioni per la ricerca cooperativa dei Programmi Quadro di ricerca, sono riservati alle piccole e medie imprese (v. il capitolo 2). In altri casi il requisito ri-chiesto è la provenienza geografica dei soggetti: nei programmi di cooperazione internazionale una parte dei soggetti deve essere stabilita nell’Unione europea o in uno stato associato, e un’altra parte deve provenire da paesi terzi di una certa area.

6.2. Soggettività giuridica. – È da sottolineare che, indipendentemente dagli spe-

cifici requisiti richiesti, il presupposto per la partecipazione ai programmi comuni-tari è la “soggettività giuridica”. La tecnica per definire tale soggettività, consiste, im-plicitamente o esplicitamente, in un rinvio al diritto nazionale dei paesi dell’Unione e degli stati associati, al diritto internazionale (per quanto riguarda le organizzazione internazionali e gli altri soggetti di diritto internazionale) e allo stesso diritto comuni-tario. Quest’ultimo disciplina infatti tipologie di soggetti, quali il G.E.I.E. (Gruppo Europeo di Interesse Economico) o la Società Europea. Il diritto comunitario, inol-tre, individua soggetti di diritto pubblico, come avviene per il Centro Comune di Ri-cerca (Joint Reserche Centre)9, che può partecipare ai Programmi Quadro di Ricerca.

——— 9 Il Centro Comune di Ricerca fa parte dell’organizzazione della Commissione. Il CCR ha cinque

sedi (Geel, Karlsruhe, Ispra, Petten, Seviglia) e sette istituti specializzati in altrettante materie. Le de-

Page 612: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 586

La tecnica definitoria “con rinvio”, in alcuni casi è accompagnata dalla pre-cisazione che il soggetto deve essere dotato “della capacità di essere titolare di diritti e di obblighi di qualsiasi natura”10, in questo senso utilizzando una nozio-ne molto simile a quella di capacità giuridica accolta in alcuni ordinamenti, tra i quali quello italiano11.

7. — La spesa a carico del bilancio. 7.1. Tipologia di spesa. – I programmi comunitari sono azioni che comporta-

no una spesa a carico del bilancio della Comunità. Secondo il regolamento 1605/2002 e altre fonti, la spesa può essere erogata

principalmente attraverso le seguenti tecniche: appalti (public procurement o tender), sovvenzioni (grant), operazioni finanziarie (loan, partecipation, guarantee).

L’utilizzo di una o più di tali tecniche di spesa è previsto nella base giuridica dei programmi comunitari. A seconda della forma di spesa prescelta si adotterà una disciplina particolare, sotto il profilo della partecipazione e gestione dei programmi.

La scelta di una tecnica di spesa, inoltre, comporta l’applicazione di una particolare disciplina contrattuale, che sarà l’argomento di cui si parlerà nella se-conda sezione del capitolo.

Nei paragrafi che seguono si individueranno gli aspetti peculiari delle diver-se tecniche di spesa.

7.2. Appalti (public procurement, tender). – Gli appalti sono definiti dal re-

golamento 1605/2002 come “contratti a titolo oneroso, conclusi per iscritto da un'amministrazione aggiudicatrice ai sensi degli art. 104 e 167, per ottenere, con-tro pagamento di un prezzo in tutto o in parte a carico del bilancio, la fornitura ——— nominazioni (in inglese), gli acronimi e le localizzazione degli istituti del CCR sono i seguenti: The Insti-tute for Reference Materials and Measurements (IRMM) - Geel; The Institute for Transuranium Elements (ITU)- Kaarlsruhe; The Institute for Energy (IE)- Petten;The Institute for the Protection and the Security of the Citizen (IPSC) - Ispra; The Institute for Environment and Sustainability (IES) - Ispra; The Institute for Health and Con-sumer Protection (IHCP) - Ispra; The Institute for Prospective Technological Studies (IPTS)- Seville.

10 V., per esempio, il regolamento n. 2321 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicem-bre 2002, relativo alle regole di partecipazione delle imprese, dei centri di ricerca e delle università, nonché alle regole di diffusione dei risultati della ricerca, per l'attuazione del sesto programma quadro della Comunità europea (2002-2006).

11 Cfr. nella dottrina italiana F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p. 24.

Page 613: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 587

di un bene mobile o immobile, l’esecuzione di lavori o la prestazione di servizi” (art. 88, par. 1, regolamento 1605/2002).

Le istituzioni ricorrono all’appalto, pertanto, quando devono acquistare un bene immobile12, una fornitura13, un lavoro14 o un servizio15.

7.3. Sovvenzioni (grant). – La sovvenzione è la forma giuridica più utilizzata

per l’attuazione dei programmi comunitari. L’art. 108 del regolamento n. 1605/2002 definisce i grant come “contributi

finanziari diretti a carico del bilancio, accordati a titolo di liberalità, per finanzia-re…: a) un'azione destinata a promuovere la realizzazione di un obiettivo che si iscrive nel quadro di una politica dell'Unione europea; b) oppure il funziona-mento di un organismo che persegue uno scopo di interesse generale europeo o un obiettivo che si iscrive nel quadro di una politica dell’Unione europea”.

Nei grant la Commissione, pertanto, attua un programma partecipando alla spesa per l’esecuzione di un determinato progetto o per il funzionamento di un ente.

7.4. Operazioni delle istituzioni finanziarie (mutui, garanzie, partecipazioni). – Le i-

stituzioni finanziarie, inoltre, svolgono la loro attività istituzionale attraverso contratti di mutuo (loans), di garanzia (guarantees) e contratti di tipo societario (participations).

Queste operazioni sono realizzate principalmente dalla Banca Europea de-gli Investimenti, che, a norma dell’art. 267 del Trattato CE persegue lo “svilup-po equilibrato e senza scosse del mercato comune nell’interesse della Comuni-tà”, attraverso il finanziamento di a) progetti di valorizzazione delle regioni me-

——— 12 Per l’art. 116, par. 1, regolamento 2342/2002 “Gli appalti immobiliari hanno per oggetto l'ac-

quisto, l'enfiteusi, la locazione finanziaria, la locazione, l'acquisto a riscatto, con o senza opzione per l'acquisto, di terreni, edifici esistenti odi altri beni immobili.”.

13 Gli appalti di fornitura sono quelli che “…hanno per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione, l'acquisto a riscatto, con o senza opzione per l'acquisto, di prodotti. La fornitura di pro-dotti può includere a titolo secondario lavori di posa in opera, d'installazione e di manutenzione.” (art. 116, par. 2, regolamento 2342/2002)

14 Per appalti di lavoro si intendono quelli che hanno “per oggetto l’esecuzione o, congiuntamen-te, l'esecuzione e la progettazione di lavori o di opere, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di u-n'opera rispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice. Per «opera» si intende il risultato di un insieme di lavori edili o di genio civile avente una funzione economica o tecnica auto-noma” (art. 116, par. 3, regolamento 2342/2002).

15 “Gli appalti di servizi hanno per oggetto tutte le prestazioni intellettuali e non intellettuali non contemplate dagli appalti di forniture, di lavori e dagli appalti immobiliari. Queste prestazioni sono elencate negli allegati IA e IB della direttiva 92/50/CEE”. (v. art. 116, par. 3, regolamento 2342/2002).

Page 614: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 588

no sviluppate, b) progetti di ammodernamento o di riconversione di imprese, oppure la creazione di nuove, c) progetti di interesse comune per più Stati membri che, per la loro ampiezza o natura, non possono essere completamente assicurati dai vari mezzi di finanziamento esistenti nei singoli Stati membri16.

La BEI opera, inoltre, attraverso anche attraverso il Fondo Europeo per gli Investimenti17.

——— 16 In modo più specifico i finanziamenti della BEI riguardano le seguenti materie: sviluppo delle

regioni svantaggiate dell’Unione; arricchimento del capitale umano, soprattutto per quel che riguarda salute ed istruzione (in favore di università e scuole); tecnologie dell’informazione e reti di comunica-zione; ricerca e sviluppo; diffusione ed innovazione; trasporti, telecomunicazioni e reti transeuropee; ambiente: protezione e miglioramento dell’ambiente urbano, progetti con un impatto positivo sull’ambiente regionale o globale (sviluppo sostenibile e prevenzione del cambiamento globale); au-mento della competitività dell’integrazione dell’industria europea; sviluppo di piccole e medie imprese (le operazioni di venture capital, con l’obiettivo di stimolare l’innovazione delle PMI e l’imprenditoria-lità sono svolte dal Fondo Europeo di Investimento); produzione, distribuzione e conservazione della fornitura di energia. La BEI finanzia anche progetti nell’ambito dei paesi in adesione, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo di infratstrutture di base, la creazione di nuove attività, la protezione dell’ambiente ed il recepimento della legislazione comunitaria. La Banca Europea per gli Investimenti, inoltre, finanzia progetti anche nei paesi terzi (v. The Project Cycle at the European Investiment Bank, vers. 12 luglio 2001, disponibile sul sito ufficiale della BEI www.eib.org)

17 Il Fondo Europeo per gli Investimenti è un organismo dotato di personalità giuridica il cui ca-pitale è sottoscritto dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) (40%), dalla Comunità (30%) e da 76 istituzioni finanziarie e bancarie dei settori pubblico e privato dei paesi Membri dell’Unione Euro-pea (30%). Lo scopo principale di questo organo è quello di sostenere la creazione, la crescita e lo svi-luppo di PMI nei Paesi Membri dell’Unione Europea e nei paesi nei quali è già in corso il processo di adesione (Turchia, Romania e Bulgaria), e ciò, attraverso strumenti di capitale di rischio e di garanzia. In riferimento al capitale di rischio, il FEI interviene con investimenti in partecipazione al capitale di rischio ed incubatori che sostengono le PMI e in particolar modo, le imprese che si trovano nelle pri-me fasi di sviluppo nel settore tecnologico. In riferimento agli strumenti di garanzia del FEI consisto-no nel fornire garanzie ad istituzioni finanziarie che concedono prestiti alle PMI e a quelli specializzati nel microcredito. In effetti, il FEI (che non finanzia direttamente le PMI) fornisce le risorse alle istitu-zioni finanziarie intermediarie che istituiscono i fondi assieme ad altre istituzioni finanziarie ed investi-tori, generalmente secondo le seguenti proporzioni: 50% dei fondi devono provenire da investitori del settore privato; 50% dal settore pubblico (la partecipazione del FEI, che è considerato pubblico, è dell’ordine del 20-25% del totale del capitale impegnato). La partecipazione al fondo è detta “assun-zione di partecipazione”. I fondi, così istituiti, finanziano le piccole e medie imprese privilegiando queste nelle prime fasi di crescita del settore industriale e del terziario che utilizzano o sviluppano tecnologie avanzate. Con lo strumento di garanzia, invece, il Fondo Europeo per gli Investimenti si propone di fornire con i suoi prodotti (assicurazione di garanzia, supporto al credito, transazioni strut-turate, ecc..) un forte sostegno alle piccole e medie imprese, grazie all’effetto leva di tali prodotti sul volume dei finanziamenti accordati. Gli strumenti del FEI sono garanzie per portafogli forniti a una vasta gamma di intermediari che possono ottenerle attraverso due diverse gamme di prodotti: I pro-dotti gestiti direttamente dal FEI: Assicurazione e riassicurazione del credito Tramite questo stru-mento il FEI offre garanzie e contro-garanzie di portafogli di finanziamenti o di leasing , per i quali il FEI stesso copre fino al 50% del rischio di credito relativo ad ogni singola operazione di prestito o di leasing. Supporto al credito Attraverso esso il FEI fornisce garanzie che migliorano la qualità creditizia dei titoli emessi a fronte del portafoglio crediti cartolarizzato. Transazioni strutturate. Queste transa-

Page 615: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 589

7.5. Altre tecniche di spesa. – Le istituzioni possono attuare i programmi attra-verso altre tecniche, oltre a quelle di cui si è detto nei paragrafi precedenti.

In particolare le istituzioni possono eseguire il programma attraverso propri dipendenti, collaboratori e consulenti: è il caso delle borse (fellowship) attribuite direttamente dalle istituzioni o degli incarichi ai valutatori dei pro-getti.

Nella prossima sezione si prenderanno in considerazione gli aspetti con-trattuali dei programmi, soprattutto per quel che riguarda gli appalti e le sovven-zioni. Dei contratti delle istituzioni è opportuno descrivere le principali regole relative a: il procedimento di formazione del contratto, le principali regole contrattuali, la patologia del contratto e le sanzioni contrattuali.

SEZIONE II - I CONTRATTI TRA ISTITUZIONE ATTUATRICE

E BENEFICIARI. CARATTERI E PROCEDURA DI FORMAZIONE 8. — Il contratto per l’attuazione del programma. 8.1. I contratti delle istituzioni. – Il rapporto tra istituzioni e i soggetti è regola-

to, oltre che dalla base giuridica, da un contratto18, come è consueto nel diritto dei programmi comunitari, fin dai primi programmi quinquennali nel settore della ricerca nucleare19.

Questi contratti rappresentano uno strumento caratteristico dell’azione comunitaria, con una ricchezza di soluzioni tecniche e con una disciplina speci-

——— zioni (con un periodo di tempo limitato) sono create dal FEI per investire in PMI che normalmente non otterrebbero un prestito bancario convenzionale. I prodotti gestiti dal FEI per conto della Commissione Europea: Meccanismo di garanzia per le PMI che comprende: garanzie per prestiti; garanzie per portafogli di microprestiti; contro-garanzie e co-garanzie;garanzie per investimenti in tec-nologie dell’informazione e della comunicazione;schema “crescita e ambiente”.

18 Come si afferma in giurisprudenza “la concessione di un contributo finanziario è subordinata al rispetto non solo delle condizioni enunciate dalla Commissione nella decisione di concessione del con-tributo, ma anche dei termini della domanda di finanziamento oggetto di tale decisione. Lo stesso dica-si, nella fattispecie, per la dichiarazione del destinatario della sovvenzione, in quanto tale dichiarazione costituisce parte integrante del complesso di regole che disciplinano il contributo finanziario comunita-rio” (Tribunale di primo grado, 17 settembre 2003, Stadtsportverband Neuss eV/ Commissione, T-137/01, Racc. 2003, p.II-3103, p. 82).

19 V. M. CARPENTIER, P. MATHIJSEN, Les Contrats de recherches d’Euratom. Quelques aspects particu-liers, in Revue trimestrielle de Droit Européen, 1965, p. 358 ss.; G. AGHINA, Disciplina giuridica dei contratti di ricerca tra industria ed enti di diritto pubblico, relazione al Convegno Montedison Università-Industria, 1976.

Page 616: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 590

fica, che ha pochi riscontri nei finanziamenti pubblici nazionali o delle organiz-zazioni internazionali20.

Nei prossimi paragrafi si parlerà della normativa e della tecnica di tali con-tratti. Si prenderanno in considerazione, in questa sede, i contratti di appalto e quelli di sovvenzione. Molte delle osservazioni che verranno proposte possono essere applicate ai contratti utilizzati per attuare le altre tecniche di spesa.

I concetti esaminati, inoltre, potranno essere un utile strumento di com-prensione dei rapporti elaborati nell’ambito di programmi di finanziamento na-zionali o internazionali che, come si è osservato, non hanno una base giuridica così articolata come quella dei programmi comunitari.

8.2. Il contratto tipo. – I contratti con l’istituzione, sia per i tender che per i

grant, sono stipulati, secondo un modello approvato dalla Commissione o da al-tra istituzione attuatrice – detto “model contract” o contratto tipo21 – tenendo conto di quanto stabilito dal regolamento finanziario e dalle altre fonti, in parti-colare dalla base giuridica dei programmi comunitari.

Di seguito si riporta l’elenco delle materie che devono essere regolate nei contratti tipo, così come stabilito dal regolamento 1605/2002 e dal regolamento di attuazione.

A) Il contratto per le sovvenzioni. Riguardo alle sovvenzioni, l’art. 164 del regolamento 1605/2002 dispone

che nel contratto debbano essere precisati: a) l'oggetto; b) il beneficiario; c) la durata, e precisamente: i) la data d'entrata in vigore e di scadenza; ii) la data d'i-nizio e la durata dell’azione o dell’operazione sovvenzionate; d) il finanziamento massimo possibile, sotto le seguenti forme: i) dell’importo massimo della sov-venzione; ii) del tasso massimo di finanziamento dei costi dell’azione o del pro-gramma di lavoro approvato, tranne nel caso degli importi forfetari di cui all’art. 181, par. 1; e) la descrizione dettagliata dell’azione o, per una sovvenzione di funzionamento, il programma di lavoro approvato dall’ordinatore per l’eser-cizio; f) le condizioni generali applicabili a tutte le convenzioni dello stesso tipo, che includono, in particolare, la precisazione della legge che governa la conven-zione, la giurisdizione competente in caso di controversia e l’accettazione da

——— 20 A. TIZZANO, Contratti “strumentali” e contratti d’impiego delle Comunità Europee, in Rivista di Diritto eu-

ropeo, 1978, p. 415 ss.; A. TIZZANO, Capacità privatistica e competenza contrattuale delle Comunità europee, in Rivista diritto internazionale privato e processuale, 1978, p. 5 ss.).

21 Cfr. A. TIZZANO, Contratti “strumentali” e contratti d’impiego delle Comunità Europee, cit., p. 453 s.

Page 617: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 591

parte del beneficiario dei controlli della Commissione, dell’OLAF e della Corte dei conti, nonché delle norme di pubblicità a posteriori di cui all'art. 169, secon-do le disposizioni del regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio; g) il bilancio di previsione complessivo e il dettaglio dei costi ammissibili dell’azione o del programma di lavoro approvato, tranne nel caso degli importi forfetari di cui all'art. 181, pa. 1; i) le responsabilità del beneficia-rio, in particolare per quanto attiene alla sana gestione finanziaria ed alla presen-tazione di relazioni finanziarie e d’attività; j) le modalità e i termini d’appro-vazione di queste relazioni e di pagamento da parte della Commissione.

B) Contratti di appalto. Nei tender la normativa prevede che la disciplina contrattuale dei rapporti

tra istituzione e soggetti aggiudicatari degli appalti sia costituita dal “contratto” e dal “capitolato delle condizioni generali”.

Il “contratto” contiene le disposizioni specifiche riguardanti lo specifico rapporto. Esso deve avere i seguenti contenuti, così come richiesto dall’art. 130, par. 4, regolamento n. 2342/2002: a) le penali previste in caso d’inosservanza delle clausole del contratto; b) le diciture che devono figurare sulle fatture o sui documenti giustificativi a sostegno, a norma dell’art. 98; c) la legge applicabile al contratto e la giurisdizione competente in caso di controversie. Il capitolato contiene, invece, le regole generali applicabili agli appalti di una data categoria (cfr. art. 130, par. 1, lett. b), regolamento 2342/2002).

Come si vedrà nei prossimi paragrafi i contenuti suddetti sono ulteriormen-te precisati e dettagliati nella base giuridica dei programmi comunitari e dalla prassi contrattuale delle istituzioni, in particolare della Commissione.

8.3. La struttura del contratto tipo. – I contratti tipo hanno una struttura carat-

teristica, anche se occorre tenere conto delle differenze derivanti dalla specifica base giuridica del programma e della tecnica di spesa adottata22. Generalmente nei contratti tipo possono distinguersi quattro partizioni: a) clausole speciali; b) clausole generali; c) descrizione dell’attività da realizzare; d) bilancio.

a) Clausole speciali. La parte iniziale del contratto viene solitamente identificata con espressioni

quali: contract (soprattutto negli appalti), core contract, body of the contract, special condi-tions. ———

22 Per quanto riguarda le sovvenzioni, dove non specificato diversamente, si utilizzerà il contratto tipo “convenzione di sovvenzione di un’azione”, versione del 3 ottobre 2003.

Page 618: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 592

Questa parte è dedicata alla disciplina degli aspetti che identificano lo speci-fico rapporto tra istituzione attuatrice e beneficiari e che quindi variano (almeno in parte) in ciascun contratto: il numero del contratto; il tipo di programma; il nome del progetto; le generalità delle parti; la durata del progetto e gli altri ter-mini temporali; le somme che deve corrispondere l’istituzioni attuatrice e le modalità di pagamento; i periodi di relazione; gli indirizzi per le comunicazioni; la legge applicabile e il giudice competente; eventuali altre clausole speciali.

b) Clausole generali. Il contratto tipo contiene poi una partizione che viene denominata: capito-

lato (negli appalti), condizioni generali, Allegato II. Le denominazioni utilizzate stanno ad indicare che le clausole previste ri-

guardano, in generale, tutti i contratti che ricadono in un dato programma co-munitario. A differenza della partizione relativa alle clausole speciali, pertanto, le condizioni generali non mutano da un contratto all’altro, nell’ambito di uno specifico programma.

In detta partizione del contratto tipo sono dettate le regole relative: gli ob-blighi dei contraenti (sia per l’istituzione attrattrice, sia per quanto riguarda i be-neficiari); le ipotesi di scioglimento del contratto prima del termine previsto; alle disposizioni finanziarie generali (soprattutto per quanto riguarda la rendiconta-zione nelle sovvenzioni); le previsioni in tema di controlli, recuperi e sanzioni. Sono poi previste le regole riguardanti la disciplina dei “diritti di proprietà intel-lettuale” e dell’uso dei segni distintivi dell’Unione europea.

Le clausole generali, pertanto, prescrivono il quadro di regole che poi viene specificato dalle altre partizioni del contratto. E così, le regole generali sui pa-gamenti sono poi specificate dalla parte contenente le regole speciali, le quali in concreto precisano: l’ammontare massimo dei pagamenti, le rate periodiche, il conto corrente sul quale viene effettuato il pagamento da parte dell’istituzione attuatrice.

c) Descrizione dell’attività da eseguire. Il contratto tipo prevede una parte dedicata alla descrizione dell’attività che

deve essere compiuta dal beneficiario. Tale partizione del contratto viene soli-tamente denominata: specifiche tecniche, terms of references (negli appalti); Allega-to I o Allegato tecnico (nelle sovvenzioni).

d) Bilancio. Nel contratto tra istituzione e beneficiario è contenuto un “bilancio” e cioè

un dettaglio dei costi relativi all’attuazione dell’attività.

Page 619: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 593

Questa partizione, ovviamente, va letta in sistema con le clausole speciali relative agli importi da pagare e alle modalità di pagamento, nonché tenendo conto delle regole finanziarie, contenute nelle clausole generali.

Il bilancio ha un significato molto diverso a seconda che si stia prendendo in considerazione un contratto per sovvenzioni o quello per appalti.

Le diverse partizioni del contratto tipo, indipendentemente dalla denomi-nazione che ricevono (in particolare quella di “allegato”), formano il testo con-trattuale nella sua interezza e, pertanto, vanno interpretate in modo sistematico.

Questo però non significa che non possano esserci contraddizioni. Ciò det-to, i contratti tipo prevedono regole per eliminare le aporie tra le partizioni.

In particolare, di solito è stabilito che le clausole speciali prevalgono su quelle generali. Le clausole speciali, come si è detto, attuano e specificano quan-to è stabilito nella parte relativa alle condizioni generali.

Le condizioni speciali e quelle generali, inoltre, prevalgono sulla parte del contratto che descrive l’attività da compiere. Per fare un esempio di applicazio-ne di questo principio, si pensi all’eventuale quantificazione dei costi descritta nell’Allegato tecnico di un contratto di sovvenzione, che spesso si osserva nella pratica (introdotta da frasi del tipo “il costo dei viaggi sarà di euro …”, “lo sti-pendio medio del personale sarà di euro …”). Ai sensi della regola citata, i costi indicati nell’Allegato tecnico non dovranno essere utilizzati per la rendiconta-zione, in quanto ciò comporterebbe la violazione della regola del costo effettivo, contenuta nelle condizioni generali.

9. — Caratteri generali del contratto di finanziamento. Il contratto con la Commissione presenta alcuni caratteri generali, che è

opportuno evidenziare23. 9.1. Formalità del contratto. – Il contratto in discorso è innanzitutto un contratto

formale, perché, in applicazione del principio generale stabilito dal regolamento 1605/2002, va redatto per iscritto (v. la definizione di cui all’art. 88 per gli appalti e all’art. 108, regolamento 1605/2002, per quanto riguarda le sovvenzioni). ———

23 Sui caratteri dei contratti di per l’attuazione dei programmi comunitari di ricerca comunitari, v. anche R. FONTANA, L. CIPPITANI, Manuale dei contratti di ricerca con l’Unione europea, 2000, p. 28 ss.; R. CIPPITANI, Qualificazione dei contratti di ricerca con l’Unione europea, in PIERINI (a cura di), Trenta temi per l’Europa, Urbino, 2002, p. 223 ss.

Page 620: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 594

Inoltre la procedura di formazione deve rispettare la disciplina prevista nei regolamenti finanziari e nella base giuridica. Come si vedrà meglio in seguito, il carattere formale comporta, tra l’altro, che le comunicazioni, le eventuali modi-fiche, molti aspetti delle vicende legate a questi contratti, devono essere realizza-ti soltanto nella forma e con le procedure previste.

I contratti in parola, pertanto, si comportano come altri contratti stipulati dalle amministrazioni pubbliche nazionali, che solitamente richiedono il rispetto della forma scritta e di ben precise regole procedurali. La forma, in questa tipo-logia di contratti, diviene un elemento essenziale dell’accordo (cfr. art. 1325 c.c.). La mancanza dei requisiti formali comporta l’invalidità della relativa pattui-zione24.

9.2. Il contratto di diritto comunitario. – Il contratto con la Commissione è poi

un contratto di diritto comunitario, perché disciplinato fondamentalmente dalla base giuridica del programma comunitario e dalle altre fonti giuridiche dell’or-dinamento dell’Unione europea.

Il carattere “comunitario” non è compromesso dalla circostanza che la disci-plina del contratto è completata con un rinvio ad una legislazione nazionale, come, per esempio, quella belga (al quale si farà riferimento nei successivi paragrafi, in-sieme al confronto con il codice civile italiano).

Come si vedrà successivamente, questo rinvio è effettuato per ragioni di tecnica legislativa e sempre dal punto di vista del diritto dell’Unione europea. Questo comporta che tutte le espressioni e i significati giuridici del contratto in discorso vanno elaborati a partire dalle norme di diritto comunitario e dalla in-terpretazione che ne fornisce il giudice comunitario25.

9.3. Il contratto di diritto comunitario per l’attuazione di un programma. – Tra i con-

tratti di diritto comunitario, il contratto in parola è finalizzato all’attuazione di un programma comunitario.

È questa finalità che permette di parlare insieme di contratti che adottano schemi negoziali diversi, come l’appalto, la sovvenzione, il mutuo e così via. Il

——— 24 Cfr. Tribunale primo grado, 17 dicembre 1998, Embassy Limousines & Services/Parlamento

europeo, T-203/96, Racc. 1998,p.II-4239. 25 Sui principi di diritto comunitario, applicabili anche ai contratti in parola, R.E. PAPADOPOULOU,

Principes généraux du droit et droit communautaire, Origines et concrétisation, Athenes-Bruxelles, 1996. Cfr. sull’argomento anche R. CIPPITANI, Il giudice comunitario e l’elaborazione dei principi di diritto delle obbligazioni, in Rass. giur. umbra, 2004, p. 847 ss.

Page 621: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 595

fatto è che, in ogni modo, il contratto di finanziamento ha ad oggetto una attri-buzione patrimoniale, finalizzata al raggiungimento di un obiettivo, che è quello stabilito dalla base giuridica del programma comunitario. Nella fattispecie in commento, l’interesse fondamentale perseguito è quello della promozione di una delle politiche dell’Unione europea, come la ricerca, la cooperazione inter-nazionale e le altre competenze comunitarie26.

Al di là dello schema negoziale adottato, i contratti in parola possono esse-re considerati “funzionali”, secondo la classificazione proposta da Tizzano27. Si tratta infatti dei contratti “direttamente finalizzati all’esecuzione di compiti isti-tuzionali delle singole Comunità, nel senso di rappresentare un mezzo per l’esercizio delle funzioni specifiche di queste”. Sono invece contratti strumentali quelli che hanno l’obiettivo di procurare beni e servizi all’istituzione per il fun-zionamento dell’apparato organizzativo.

E così, per esempio, la disciplina applicabile ad un appalto utilizzato per l’attuazione di un programma comunitario, sarà parzialmente diversa da quella applicabile all’appalto per dotare l’istituzione di risorse per il suo funzionamen-to. Nel caso l’appalto fosse stato stipulato nell’ambito di un programma di fi-nanziamento, infatti, alla soddisfazione dell’interesse dell’istituzione relativo alla disponibilità di beni e di servizi, si aggiunge la finalità di attuare una certa politi-ca pubblica di carattere promozionale, come lo ricerca, la cooperazione transeu-ropea o internazionale, e così via. Nei programmi di finanziamento tali finalità costituiscono il fondamento del rapporto tra le parti e dovranno essere tenute in considerazione nell’interpretazione del contratto28. Si tratta di un’applicazione del riconoscimento dell’oggettivazione dei motivi, caratteristico del diritto co-munitario dei contratti.

———

26 Per i programmi comunitari di ricerca, indipendentemente dalla tecnica contrattuale utilizzata, cfr. M. CARPENTIER, P. MATHIJSEN, Les Contrats de recherches d’Euratom. Quelques aspects particuliers, cit, p. 359. Come sottolinea M. BASILE, Ricerca scientifica (contratto), in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 319, attraverso le sovvenzioni “l’amministrazione non si propone semplicemente di far beneficiare il privato di un incremento patrimoniale,ma mira a rimettere all’iniziativa privata la realizzazione di uno o più elementi di un disegno programmatico predeterminato”.

27 A. TIZZANO, Contratti “strumentali” e contratti d’impiego delle Comunità Europee, cit., p. 431. 28 La finalità di attuare un programma comunitario, comporterà una particolare interpretazione di

norme nazionali, eventualmente richiamate, ad ulteriore conferma del carattere comunitario del con-tratto in parola. Come afferma l’avvocato generale Lenz: “Tenuto conto di queste particolarità, è evi-dente come…non si possano applicare disposizioni del diritto tedesco che non sono compatibili con la natura e gli obiettivi del contratto stipulato o con talune delle sue disposizioni, come quelle risultanti dal testo, dall’economia e dal contesto della disciplina di cui trattasi.” (Conclusioni del 22 ottobre 1991, nella causa Commissione/Walter Feilhauer, C-209/90, Racc. 1992, p. I-02613, punto 22).

Page 622: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 596

9.4. Poteri e obblighi della Commissione. – Un altro aspetto interessante del con-tratto, di cui si sta parlando, è che uno dei contraenti, la Commissione (o altra istituzione attuatrice), ha poteri e obblighi particolari, in quanto istituzione di diritto pubblico comunitario. Come si vedrà nei paragrafi e nei capitoli successi-vi, infatti, la Commissione, ha poteri che non sono riconosciuti agli altri contra-enti, il che si può osservare in tutte le fasi di vita del contratto: nella scelta delle controparti; nel potere di controllare i beneficiari e di imporre sanzioni; nelle particolari regole previste per la risoluzione del contratto; nella disciplina degli strumenti di autotutela.

L’ordinamento comunitario, oltre a riconoscere una posizione di suprema-zia alla Commissione nei rapporti contrattuali, così come accade anche per le pubbliche amministrazioni nazionali, prevede anche obblighi particolari. È im-portante sottolineare, infatti, che la Commissione dovrà esercitare i suoi poteri in coerenza con il diritto comunitario. In particolare, anche nei rapporti contrat-tuali, l’esecutivo comunitario dovrà rispettare alcuni “principi” come quello del-la necessità della motivazione (previsto in via generale dall’art. 253 del Trattato CE)29; il principio del legittimo affidamento, il principio della “buona fede”e gli altri principi di cui si è già parlato nel capitolo 4 della parte I. ———

29 Come si è deciso: “La motivazione … dev’essere adeguata alla natura dell'atto considerato. Essa deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall'istituzione da cui promana l'atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo” (Corte di giustizia, 14 maggio 1998, Windpark Groothusen GmbH & Co. Betriebs KG/Commissione, C-48/96, Racc. 1998,p.I-2873).

30 Il principio della “confiance légittime” è stato affermato nella sentenza Lemmerz-Werke del 1965, nei rapporti tra soggetti giuridici e Istituzioni e poi utilizzato in altre materie, come nel rapporto di pubblico impiego. Secondo il giudice comunitario, infatti, va tutelato il soggetto in capo al quale l’am-inistrazione ha fatto nascere “fondate speranze” ad una data prestazione. V. Corte di giustizia, 5 giugno 1973, Commissione/Consiglio, 81/72, Racc., 973,p.575, e conclusioni dell’avvocato generale Werner, p. 588; Id. 14 maggio 1975, CNTA/Commissione, 74-74, Racc. p. 533; Id. 1 ottobre 1987, Regno Uni-to/Commissione, 84/85, Racc. 1987, p. 3791; Id. 19 maggio 1993, Twijnstra/Minister von Landbouw, Na-tuurbeheer en Visserij, Racc. 1993, I, p. 2476; Tribunale di primo grado, 11 luglio 1996, Ortega Urretavizca-ya /Commissione, T-587/93, Racc. p. II-1027, punto 57. Per la dottrina v. R.E. PAPADOPOULOU, Principes généraux du droit et droit communautaire, cit. p. 227 ss.

31 Cfr. Tribunale di primo grado, 5 giugno 1996, Günzler Aluminium / Commissione, T-75/95, Racc. p. II-497; Id., 22 gennaio 1997, Opel Austria / Consiglio, T-115/94, Racc. p. II-39, punti 90-91, 93-94. Per una teoria generale del principio di “buon fede”, cfr. A. SASSI, Equità e buona fede oggettiva nel diritto interno ed europeo, in Sediari (a cura di), Cultura dell’integrazione europea, Torino, 2005, p. 209 ss.; ID., Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, Perugia, 2006. V. anche retro, parte I, cap. 1.

32 Il principio della legalità consiste nella necessità del rispetto del diritto comunitario e viene con-siderato un principio che tutela l’interesse pubblico; il principio di sicurezza giuridica prevede che le regole siano certe, senza ambiguità e dalle conseguenze prevedibili. V. per esempio, Tribunale di primo grado 14 luglio 1997, Interhotel / Commissione, T-81/95, Racc. p. II-1265; Id. 22 gennaio 1997, Opel Au-stria / Consiglio, cit. punto 124.

Page 623: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 597

La Commissione, inoltre, deve esercitare in maniera corretta il proprio potere discrezionale, in modo da evitare lo “sviamento di potere”. Quest’ultimo, conosciuto anche nel diritto amministrativo nazionale33, ricorre quando “un atto … pur essendo conforme al dettato normativo quanto alla forma, alla competenza e ai suoi elementi costitutivi, tende a produrre una modificazione giuridica consentita, ma per fini diversi da quelli che essa è preordinata a per-seguire”34.

9.5. Qualificazioni dei contratti per l’attuazione dei programmi comunitari. – La cir-

costanza che il contratto in discorso sia disciplinato dal diritto comunitario e che sia finalizzato all’attuazione dei programmi, consiglia di applicare in modo prudente le categorie civilistiche nazionali.

Si pensi a concetti come “corrispettività” oppure “onerosità” e “gratuità”. Il codice civile italiano del 1942 individua la categoria dei contratti con pre-

stazioni corrispettive, caratterizzati da prestazioni interdipendenti35, in cui, per-tanto, la prestazione di una delle parti è “in funzione”36 di quella della contro-parte. La nozione di contratto con prestazioni corrispettive è parzialmente di-versa da nozioni analoghe accolte in altri ordinamenti europei: il contratto bila-terale del codice Napoleone (v. art. 1102 code civil), il Gegenseitiger Vertrag del BGB (§§ 320 ss.), il bilateral contract del diritto anglosassone.

I contratti per attuare i programmi comunitari non possono essere ricon-dotti facilmente in una o nell’altra delle qualificazioni proposte.

Nel diritto comunitario e nella interpretazione giurisprudenziale si utilizza-no espressioni come “contratto a titolo oneroso”. Si pensi alla definizione dei pubblici appalti (art. 1, par. 2, lett. a, direttiva 2004/18/CE), ed in particolare ———

33 Lo sviamento di potere è una delle categorie del vizio dell’atto, conosciuto in diritto ammini-strativo come “eccesso di potere”. L’eccesso di potere comprende “tutte le violazioni di quei limiti in-terni della discrezionalità amministrativa, che non sono consacrati in norme espresse di legge” (VIRGA, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 415). In particolare lo sviamento di potere si verifica, tra le altre ipotesi, per violazione del limite posto al potere discrezionale della pubblica amministrazione dalla cau-sa tipica dell’atto (cfr. P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, p. 419).

34 F. POCAR, Diritto dell’Unione e delle Comunità europee, Milano, 1997, p. 196. Come ha affermato, anche di recente, la Corte di Giustizia (Corte di giustizia CE, 14 maggio 1998, Windpark Groothusen GmbH & Co. Betriebs KG/Commisione, cit.): “secondo la giurisprudenza della Corte, sussiste sviamento di potere quando un'istituzione esercita i suoi poteri allo scopo esclusivo, o quantomeno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie” (v., in particolare Corte di giustizia 12 no-vembre 1996, causa C-84/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. 1996, p. I-5755, punto 69).

35 F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1988, p. 465 ss. 36 F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1994, p. 787.

Page 624: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 598

dei già citati tender comunitari per l’attuazione dei programmi (art. 88 regolamen-to 1605/2002), alla disciplina degli aiuti di stato, dell’imposta sul valore aggiunto (v. art. 2, Sesta direttiva, in materia di IVA) e così via.

L’interpretazione giurisprudenziale di tali espressioni, che non è certo vin-colata da questo o quell’ordinamento giuridico particolare, ritiene che un con-tratto è a “titolo oneroso”, quando le parti hanno assunto “obbligazioni reci-proche”, mentre è unilaterale il contratto con obbligazioni in capo ad una sola delle parti37.

La definizione utilizzata sembra simile a quella di contratto bilaterale del co-de. Nel campo dei contratti comunitari, tuttavia, una tale definizione non po-trebbe essere utilizzata per distinguere gli appalti dalle sovvenzioni, visto che anche queste ultime, sono all’origine di obbligazioni bilaterali.

In realtà il diritto dei programmi comunitari, più che distinguere i rapporti a titolo oneroso dagli altri, ha la finalità di disciplinare gli strumenti giuridici per l’attuazione della spesa, tra i quali, come si è detto, gli appalti e le sovvenzioni. Le differenze di disciplina tra i due strumenti prescindono dal carattere corri-spettivo o meno, ma investono aspetti quali la procedura di scelta dei beneficia-ri; le obbligazioni che incombono sulle parti; la proprietà dei risultati; la discipli-na della patologia del rapporto.

In base alla medesima prospettiva metodologica, l’espressione “a titolo di liberalità”, contenuta nell’art. 88 del regolamento 1605/2002 a proposito delle sovvenzioni comunitarie, non identifica atti “gratuiti” in senso tecnico. Come è noto, la gratuità si realizza quando all’animus donandi corrisponda un animus ac-cipiendi38 e quando la volontà dei soggetti coinvolti è fondata sulla liberalità. Quest’ultimo concetto comporta essenzialmente una “spontaneità” (cfr. art. 1050 c.c. 1865), la mancanza di un obbligo ad adempiere39. Il carattere gratuito

——— 37 Cfr. Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 28 ottobre 1999 - Berliner Kindl Brauerei AG/

Andreas Siepert, C-208/98, Racc. 2000, p. I-01741, punti 34 ss. Léger considera unilaterale il contratto di fideiussione (per quel che concerne il rapporto tra creditore e debitore garantito), al fine di escluderlo dalla disciplina di cui alla direttiva 87/102 in materia di contratti di credito.

38 La corrispondenza della volontà accettare e quella di donare è bene espressa nella definizione che dà della donazione, proposta da B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, trad. ital. di Fadda e Bensa, vol. II, Torino, 1904, § 365. Cfr. § 516 BGB.

39 A.C. JEMOLO, Lo spirito di liberalità, in Studi Vassalli, vol. II, Torino, 1960, p. 973 ss.; V.R. CA-SULLI, Donazione (dir. civ.), cit. p. 969. La giurisprudenza romana contrapponeva liberalitas a necessitas. Nel Digesto si afferma che “nemo in necessitatibus liberalis existat” (Mod. D., 34, 4, 18) e “donare videtur quod nullo iure cogente conceditur” (D. 50, 17, 82). V. sul punto G.G. ARCHI, Donazione (diritto romano), in Enc.dir., Milano, vol. XIII, 1964, p. 930 ss., in particolare p. 935.

Page 625: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 599

o oneroso di un rapporto, ha diverse conseguenze giuridiche che riguardano il rapporto tra le parti40 e gli effetti sui terzi41.

Nei programmi comunitari non si può certo affermare che il rapporto tra istituzione finanziatrice e beneficiario sia fondato su di una liberalitatis causa. Nel-la fattispecie in esame, non si può parlare di animus liberale visto che gli enti fi-nanziatori non perseguono la liberalità, ma hanno per obiettivo l’attuazione del-le competenze loro attribuite dall’ordinamento (cfr. il già citato art. 108 regola-mento 1605/2002)42.

Ma anche se si ammettesse che tali enti possano porre in essere liberalità43, nel caso dei programmi comunitari essi non hanno il potere di scegliere se ero-———

40 In particolare, nei rapporti gratuiti viene attenuato l’obbligo del promittente in tema di respon-sabilità e garanzia (artt. 789, 798, 1266, 1710, 1768, 1821 c.c.). In questi casi, la legge afferma che la responsabilità per colpa è da valutare con minore rigore (artt. 1710, 1768, 1821 c.c.), oppure che è da limitarsi alla sola colpa grave o al dolo (art. 789 c.c.; cfr. l’art. 1821 c.c.); nei casi in cui la prestazione consiste in un dare, si circoscrive l’operatività della responsabilità per i vizi (art. 798 c.c.) e per l’evizione (art. 797 c.c., art. 1266 c.c.). La gratuità, inoltre, si riverbera sull’interpretazione, la quale deve essere condotta nel modo di rendere meno gravoso possibile l’adempimento dell’unico obbligato (art. 1371 c.c.).

41 Innanzitutto viene trattato differentemente il rapporto gratuito, quando l’alienante manca della legittimazione a disporre del bene (artt. 534, 2° comma, 1455, 2038, 2901 c.c.). In questi casi il terzo acquirente in buona fede non è tutelato, come nel caso in cui l’acquisto fosse oneroso (cfr. art. 1445 c.c.). Da un’altra prospettiva, la gratuità viene vista come pregiudizio dei terzi creditori, in quanto comporta un depauperamento del disponente. L’esistenza del pregiudizio è esclusa per legge quando l’acquisto del terzo sia “adeguato” soggettivamente (privo cioè, a seconda dei casi, del consilium fraudis, della partecipatio fraudis, o della conoscenza dello stato di insolvenza) ed oggettivamente (il cosiddetto eventus damni, che è da escludere, solitamente, quando vi è un sacrificio patrimoniale “correlativo”). È in base alla adeguatezza di questi due elementi che la legge considera un oneroso o gratuito, in rapporto ai terzi. Sono allora considerati atti gratuiti quelli che sono adeguati solo soggettivamente, oppure quelli che non lo sono affatto, perché, per esempio, sono stati compiuti durante lo stato di insolvenza. Sono considerati invece onerosi gli altri tipi di negozi. Da questa prospettiva, l’ordinamento giuridico preve-de un trattamento diverso a seconda se un contratto è oneroso o gratuito, ai fini della revoca degli ef-fetti pregiudizievoli per i creditori o per altre categorie di soggetti come i legittimari. Si pensi alla diver-sa disciplina delle presunzioni per l’azione revocatoria, sia ordinaria (art. 2901 c.c.), sia fallimentare (artt. 64 e 67 legge fall.), a seconda che l’atto sia qualificato oneroso o gratuito; oppure si prenda in considerazione la normativa sull’azione di riduzione per integrare la quota dei legittimari (art. 564 ss. c.c.).

42 V., tra gli altri, A. PALAZZO, Le donazioni, in Comm. cod. civ. Schlesinger, 2a ed., Milano, 2000, p. 236 ss.; C. IACOVINO, V. TAVASSI, T. CASSANDRO, in A. Cataudella (a cura di), La donazione, Milano, 1996, 130; R. ALESSI, Sull’ammissibilità di donazioni da parte di enti pubblici, in Giur. Cass. civ., 1947, 2, 480. V. an-che S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2000, p. 24.

43 È questa la posizione di M.S. Giannini (Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1970, p. 764 s.) per la mancanza nell’ordinamento di una limitazione della capacità degli enti pubblici. V. sul punto anche F.P. PUGLIESE, Contratti della pubblica amministrazione, in Enc. giur., Roma 1988, vol. IX, 989; O. SEPE, Con-tratti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., Milano 1954, vol. IV, 11. In modo conforme, la giurispru-denza ammette che gli enti pubblici possano porre in essere atti di liberalità: cfr. Cass. 17 novembre 1953, in Rep. Foro it., 1953; Cass., Sez. un., 18 gennaio 1955, in Foro it., 1955, 1, 471, Cass. 18 dicembre

Page 626: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 600

gare i finanziamenti o meno, essendo vincolati dalla base giuridica a effettuare la spesa come strumento per raggiungere le loro finalità istituzionali.

In modo analogo a quanto si è detto a proposito dell’espressione “a titolo oneroso”, pertanto, il concetto di “liberalità” nell’ambito della materia in esame, va inteso come identificativo di una certa tecnica di esecuzione dei programmi comunitari (e di una certa tipologia contrattuale).

10. — Procedura di formazione dei contratti. 10.1. Principi generali per la formazione dei contratti con le istituzioni. – I procedi-

menti di formazione dei contratti per l’attuazione dei programmi comunitari so-no regolati da alcuni principi generali comuni:

a) Rinvio alla disciplina dei pubblici appalti. Nel regolamento 1605/2002 è fissato il principio per cui i contratti delle i-

stituzioni comunitarie devono richiamarsi alla disciplina degli appalti pubblici, alla quale si è accennato nel capitolo 4 della parte I (cfr. il ventiquattresimo “considerando” del regolamento, che si riferisce agli appalti e il trentesimo “considerando”, che riguarda le sovvenzioni). La disciplina comunitaria dei pubblici appalti rappresenta, pertanto, il quadro di riferimento per la regolamen-tazione dei contratti delle istituzioni comunitarie. Tale normativa in alcuni casi è richiamata direttamente (come avviene per gli appalti, v. l’art. 105 del regola-mento 1605/2002), in altri è applicata indirettamente o per analogia (come ac-cade per le sovvenzioni).

Nell’ambito di tale quadro, tuttavia, il diritto comunitario prevede regole particolari per i contratti con le istituzioni, di cui si parlerà nel corso dei paragra-fi successivi.

b) Principi per lo svolgimento delle procedure. Così come stabilito dalla normativa sugli appalti pubblici, anche nel diritto

dei contratti con le istituzioni, valgono i principi di trasparenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, di cui si è detto nel precedente ca-——— 1996 n. 11311, in Rep. Foro it., 1996). Si precisa , comunque, che gli enti pubblici possano compiere atti liberali “solo in quanto rientrino tra i propri fini istituzionali o siano strettamente legati da un rapporto di connessione o strumentalità con gli stessi” (Corte Conti, sez. contr., 26 gennaio 1989, n. 2076, in Riv. Corte conti, 1990, fasc. 3, 6). Si può osservare, comunque, che il potere di attribuire contributi da parte di un ente pubblico non equivale a conferire il potere di compiere atti di liberalità in senso civili-stico.

Page 627: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 601

pitolo 2 della parte I (cfr. art. 109 regolamento 1605/2002). Il richiamo a detti principi comporta, nello specifico: l’adozione di una idonea pubblicità sulle pro-cedure di selezione (v. i paragrafi successivi); la previsione di criteri di valutazio-ne preventivamente resi pubblici (v. per gli appalti gli artt. 97 s., regolamento 1605/2002; per le sovvenzioni art. 115 s. dello stesso regolamento); che, duran-te lo svolgimento della procedura, i contatti tra l’istituzione e i candidati debba-no avvenire secondo modalità che assicurino trasparenza e parità di trattamen-to” (art. 99, regolamento 1605/2002); l’obbligo di motivazione della mancata selezione della proposta o dell’offerta (art. 100, per gli appalti e art. 116, par.3, per le sovvenzioni, regolamento 1605/2002).

10.2. Requisiti per la partecipazione dei candidati. – Prima di parlare delle proce-

dure di formazione dei contratti, con riferimento ai grant e ai public procurement, occorre ricordare i requisiti generali per la partecipazione dei candidati a tali procedure.

Soggettività giuridica. Si è detto che la soggettività giuridica è il presuppo-sto per la stipula dei contratti con le istituzioni. Nel procedimento di formazio-ne del contratto, pertanto, le istituzioni potranno richiedere “i riferimenti da uti-lizzare a prova dello stato giuridico e della capacità giuridica degli offerenti o dei candidati” (art. 135, par. 4, regolamento 2342/2002; cfr. per le sovvenzioni l’art. 173, par. 2 dello stesso regolamento).

Requisiti di onorabilità. I soggetti di diritto che partecipano alla formazione dei contratti con le istituzioni, non devono trovarsi nelle situazioni previste dagli artt. 93 e 94 del regolamento 1605/2002. In particolare, ai sensi dell’art. 93, i candidati non devono essere assoggettati a fallimento o ad altra procedura con-corsuale; non devono essere stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per reati che incidano sulla moralità professionale o per frode, corruzione, par-tecipazione ad un’organizzazione criminale, o comunque per un’attività illecita che leda gli interessi della Comunità; non abbiano commesso un grave errore professionale o che, a seguito all’aggiudicazione di un altro appalto o sovven-zione, siano stati dichiarati gravemente inadempienti; siano in regola con il pa-gamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei tributi. I candidati devono dichiarare di non trovarsi nelle suddette situazioni, allegando la relativa documentazione emessa dalle autorità competenti (autorità fiscali, tribunale fal-limentare e così via). L’art. 94 prescrive l’esclusione per quei candidati che siano in conflitto di interessi, che abbiano reso dichiarazioni false all’amministrazione aggiudicatrice o che non ne abbiano fornite affatto.

Page 628: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 602

Idoneità ad attuare il contratto. La disciplina dei contratti delle istituzioni, così come la disciplina generale degli appalti pubblici, richiede che siano rispet-tati alcuni requisiti per la selezione, quali quello della “capacità finanziaria ed e-conomica” e della “capacità tecnica” (o “capacità operativa” come è detto a proposito delle sovvenzioni, art. 176, par. 1). Il soggetto ha una capacità finan-ziaria (art. 136 regolamento 2342/2002), quando dispone di fonti di finanzia-mento stabili e sufficienti per mantenere la sua attività durante l’esecuzione del contratto (cfr. art. 176, par. 2). La capacità tecnica (o operativa) consiste nel di-sporre delle competenze e qualificazioni professionali richieste per l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto (cfr. la disposizione da ultimo citata, secondo periodo).

Il candidato può far valere la capacità finanziaria ed economica e quella tecnica di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei rapporti esistenti (art. 136, par. 3; art. 137, par. 4). Ovviamente occorre provare che tali soggetti si obbligheranno a mettere a disposizione del candidato le proprie fonti di finanziamento e le proprie competenze e qualificazioni; ciò avviene, per e-sempio, per mezzo di appositi accordi.

Il regolamento 2342/2002 specifica, per gli appalti, la documentazione da produrre al fine di provare la capacità finanziaria44 e tecnica45. Per le sovvenzio-ni si prevede, in modo più generico, che l’istituzione debba verificare il possesso di dette capacità, mediante l’esame della documentazione da allegare alla do-manda di sovvenzione (art. 176, par. 3)46.

——— 44 La capacità finanziaria ed economica, nel caso degli appalti, si accerta mediante documenti quali:

dichiarazioni di banche o prova di un'assicurazione dei rischi professionali; bilanci di almeno gli ultimi due esercizi; una dichiarazione sul fatturato globale e sul fatturato dei lavori, forniture o servizi riguar-danti l’oggetto del contratto, realizzati almeno nel corso degli ultimi tre esercizi; oppure altri documenti ritenuti idonei dall’istituzione (art. 136, par. 2).

45 Ai sensi dell’art. 137 regolamento 2342/2002, per documentare tale capacità si richiede di alle-gare alla domanda alcuni documenti, tra i quali: curriculum vitae dello staff; principali servizi e forniture effettuate nel corso degli ultimi 3 anni; principali lavori eseguiti nel corso degli ultimi 5 anni (importo, data e luogo); descrizione dell’equipaggiamento tecnico, dell’attrezzatura e del materiale usati per ese-guire gli appalti; descrizione delle misure adottate per garantire la qualità delle forniture e dei servizi; indicazione dei responsabili del controllo della qualità; l’organico medio annuo dell’imprenditore; indi-cazione della quota di appalto che il prestatore di servizi intende eventualmente subappaltare. L’istituzione può richiedere i documenti che provino l’autorizzazione a svolgere l’attività oggetto del contratto, quali l’iscrizione al registro del commercio o all’ordine professionale (art. 135, par. 3, rego-lamento 2342/2002).

46 Ai sensi dell’art. 173, par. 2, 2° comma, regolamento 2342/2002: “Sono uniti alla domanda an-che il conto di gestione, il bilancio finanziario dell’ultimo esercizio chiuso e qualsiasi altro documento giustificativo richiesto nell'invito a presentare proposte, in base all'analisi dei rischi di gestione effettua-ta dall’ordinatore competente sotto la propria responsabilità”.

Page 629: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 603

10.3. Procedura di formazione per i contratti di sovvenzione. – A) Inviti a presenta-re proposte e pubblicità.

Nei grant i soggetti sono individuati attraverso il procedimento che inizia con un “invito a presentare proposte” (call for proposals), tranne nei casi tassati-vamente indicati (art. 110, par. 1, regolamento 1605/2002 e art. 168 regolamen-to 2342/2002).

I candidati devono presentare proposte di progetti che, come si è anticipa-to, sono finalizzati ad attuare gli obiettivi fissati dalla base giuridica e specificati dallo stesso bando47.

Gli inviti sono pubblicati (art. 167, par. 2) sul sito ufficiale delle istituzioni interessate48 e, eventualmente, su qualsiasi altro supporto adeguato, compresa la Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, in modo da garantire la più ampia pubblicità presso i potenziali candidati.

La pubblicazione dei singoli inviti è preceduta, entro il 31 gennaio di ogni esercizio, dalla pubblicazione, da parte della Commissione, sul proprio sito web, di un “programma di lavoro annuale in materia di sovvenzioni” (art. 110, par. 1, regolamento 1605/2002 e art. 166 regolamento 2342/2002).

B) Partecipanti agli inviti a presentare a proposte. I soggetti, che intendono rispondere all’invito, solitamente devono essere

più di uno, stabiliti in diversi stati membri o associati. Si deve trattare di soggetti diversi dalle persone fisiche (art. 114, par. 1, c. 1, regolamento 1605/2002) a meno che “A titolo eccezionale e in funzione della natura dell’azione o dell’obiettivo perseguito dal richiedente” sia stabilito diversamente (art. 114, par. 1, c. 2, regolamento 1605/2002).

C) Modalità di partecipazione. I soggetti richiedenti devono compilare una domanda di sovvenzione, se-

condo la modulistica prevista (art. 173, par. 1, regolamento 2342/2002). La domanda di sovvenzione descrive il “progetto” e deve essere accompa-

gnata da un bilancio preventivo, anche in questo caso formulato per mezzo della

——— 47 Gli inviti a presentare proposte devono contenere (art. 167, par. 1, regolamento 2342/2002): a)

gli obiettivi perseguiti; b) i criteri d’ammissibilità, di selezione e d’attribuzione, nonché i relativi docu-menti giustificativi; c) le modalità del finanziamento comunitario; d) le modalità ed il termine finale di deposito delle proposte e la data possibile d'inizio delle azioni, nonché la data prevista per la chiusura della procedura d'attribuzione.

48 V., al riguardo, il sito www.europa.eu, soprattutto le pagine delle Direzioni Generali della Com-missione, e su altri siti ufficiali come www.cordis.europa.eu per il Programma Quadro di Ricerca e Svilup-po Tecnologico.

Page 630: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 604

modulistica adottata (art. 173, par. 3, regolamento 2342/2002)49. Il bilancio pre-ventivo non è richiesto se il grant è forfetario.

Questo bilancio dovrà esporre le categorie di costi ammissibili (solitamente: personale; spese di viaggio e di soggiorno; attrezzature; servizi; materiali consu-mabili; altri costi diretti e spese generali50). Detti costi rappresentano il valore rispetto al quale viene calcolata la sovvenzione, che di solito rappresenta una percentuale del totale dei costi ammissibili.

D) Valutazione e selezione dei partecipanti. Alla scadenza dell’invito viene effettuata la valutazione e la selezione dei

progetti, secondo i criteri indicati preventivamente negli inviti a presentare le proposte (art. 115, par. 2, regolamento 1605/2002).

Per alcuni programmi la fase di selezione si articola in due fasi. La prima fase consiste nella valutazione di una proposta sintetica; mentre la

seconda fase, alla quale accedono le sole proposte selezionate nella prima, pre-vede l’elaborazione di una proposta maggiormente approfondita. Si utilizza que-sto metodo soprattutto per i programmi dell’istruzione e formazione come So-crates e Leonardo da Vinci.

In altri programmi la valutazione è effettuata in un’unica fase. Dopo la valutazione, alcuni programmi – come di solito accade per i Pro-

grammi Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico – prevedono una fase di “negoziazione”. Durante la negoziazione sono precisati gli aspetti tecnici e fi-nanziari del contratto da stipulare, anche tenendo conto delle osservazioni pro-poste in fase di valutazione.

È prevista anche una pubblicità ex post sulle sovvenzioni assegnate (art. 110, par. 2, regolamento 1605/2002 e art. 169 regolamento 2342/2002).

E) Principi di concessione Ai sensi dell’art. 109, par. 1, regolamento 1605/2002 le sovvenzioni sono

concesse nel rispetto dei già citati principi della trasparenza e della parità di trat-tamento; è richiesto, inoltre, l’osservanza di regole specifiche, quali il divieto di cumulo e di retroattività, del cofinanziamento e dell’assenza di profitto.

——— 49 Per azioni che comportino un finanziamento superiore a 300.000 euro, per ciascun beneficiario,

è richiesto che il bilancio sia accompagnato dalla relazione di un revisore contabile esterno (art. 173, par. 4, regolamento 2342/2002). L’istituzione attuatrice può esentare dalla relazione gli enti pubblici e gli istituti di istruzione secondaria e superiore, le organizzazioni internazionali e i contraenti che siano tra loro solidalmente responsabili nei confronti della Commissione (art. 173, par. 4, 5° comma, regola-mento 2342/2002).

50 V. infra, § 12.

Page 631: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 605

Il divieto di cumulo consiste nel divieto di attribuire più di una sovvenzio-ne allo stesso soggetto beneficiario per la stessa azione (art. 111, regolamento 1605/2002). Uno stesso soggetto, inoltre, non può ricevere più di una sovven-zione di funzionamento per lo stesso esercizio. Un’azione può essere oggetto di un finanziamento congiunto, ma comunque su linee di bilancio distinte di com-petenza di più ordinatori (art. 170 regolamento 2342/2002). I soggetti di diritto possono presentare domande a più di un servizio della Commissione, a condi-zione che la sovvenzione riguardi progetti separati o spese diverse dello stesso progetto. I servizi della Commissione si consulteranno tra loro prima di proce-dere. In tutti questi casi, in ogni modo, il singolo costo non può essere rimbor-sato da più programmi, come si dirà a proposito dell’obbligo di rendicontazione.

Il divieto di retroattività impone di non finanziare azioni già concluse e spese sostenute prima della presentazione della domanda di sovvenzione, tranne casi eccezionali, debitamente giustificati, previsti dalla base giuridica (art. 112, par. 1, regolamento 1605/2002).

Per quanto riguarda il principio del cofinanziamento, l’art. 113 del regola-mento 1605/2002, stabilisce che la sovvenzione di un’azione non possa finan-ziare l’integralità dei costi sostenuti, tranne nei casi di alcune sovvenzioni alla cooperazione internazionale. I soggetti che partecipano ai programmi comunita-ri hanno, pertanto, l’obbligo di coprire la parte dei costi non finanziata dalla sovvenzione. Il beneficiario della sovvenzione giustifica l’importo dei cofinan-ziamenti ricevuti in termini di: risorse proprie; trasferimenti finanziari forniti da terzi; contributi in natura se ammessi (art. 172 regolamento 2342/2002; per la nozione di contributi in natura v. il successivo paragrafo 12).

In ogni modo la sovvenzione non può determinare un profitto per il bene-ficiario, anche nei casi in cui questa riguardi la totalità dei costi (art. 113, par. 2, regolamento 1605/2002). In base al principio dell’assenza di profitto, il contri-buto comunitario viene ridotto se la somma di questo e delle altre entrate è su-periore ai costi ammissibili (art. II.17, par. 4, contratto per le sovvenzioni).

10.4. Procedura di formazione nei contratti di appalto. – A) Procedure di parteci-

pazione. Nel caso in cui la Commissione (o altra istituzione) debba ricorrere alla

forma del tender, l’individuazione dei soggetti contraenti avviene con una proce-dura differente da quella vista per i grant. Il bando, chiamato in questo caso call for tender, non fissa obbiettivi da raggiungere mediante le proposte di progetti, ma descrive i beni o servizi che la Commissione intende acquistare.

Page 632: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 606

Nel regolamento finanziario viene fissato il principio per cui “Le procedure d’aggiudicazione di appalti si svolgono assicurando la più ampia concorrenza” (art. 59, par. 2, regolamento 1605/2002), il che si realizza, principalmente, attraverso le procedure di gara previste nell’art. 91 dello stesso regolamento: la procedura aperta, la procedura ristretta, il concorso di progettazione. Que-ste procedure sono disciplinate dagli artt. 122 e seguenti del regolamento n. 2342/2002.

In particolare: - la procedura “aperta” è quella alla quale qualunque operatore economico può parte-cipare (art. 122, par. 2, c.1); - la procedura “ristretta” prevede solo la partecipazione dei candidati invitati per iscrit-to dall’istituzione (art. 122, par. 2, c. 2); - la procedura “negoziata” prevede che l’istituzione consulti i candidati scelti e concor-di con le loro le condizioni dell’appalto; questa procedura può essere con bando, se i candidati sono più di uno, o senza bando quando non sia prevista una pluralità di can-didati (art. 122, par. 3); - i concorsi, sono procedure “che permettono all’amministrazione aggiudicatrice di ac-quisire, soprattutto nel settore dell’architettura e dell’ingegneria industriale o del trat-tamento di dati, un piano o un progetto che viene proposto da una commissione giudi-catrice dopo apertura alla concorrenza, con o senza attribuzione di premi” (art. 122, par. 4). B) Pubblicità della procedura. Come si è accennato, la disciplina degli appalti delle istituzioni comunitarie

fa riferimento alle direttive sui pubblici appalti delle amministrazioni nazionali. In particolare, l’art. 105 del regolamento 1605/2002 prevede le procedure degli appalti delle istituzioni rispetti i termini e le forme di pubblicità, previsti nelle direttive in materia.

Come stabilisce l’art. 90, par. 1, regolamento 1605/2002, gli appalti di importo superiore alle soglie, stabilite dalle direttive sugli appalti pubblici, sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

La pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale si realizza attraverso la pubblicazione di (art. 118, regolamento 2342/2002): un avviso di preinformazione; un bando di gara; un avviso di aggiudicazione.

L’avviso di preinformazione “è l’avviso con il quale le amministrazioni aggiudicatrici fanno conoscere, a titolo indicativo, l’importo totale previsto degli appalti per categoria di servizi o gruppi di prodotti e le caratteristiche essenziali degli appalti di lavori che prevedono di aggiudicare nel corso di un esercizio fi-

Page 633: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 607

nanziario, quando l’importo totale stimato è pari o superiore alle soglie” (art. 118, par. 2, regolamento 2342/2002).

Il bando di gara rende noto l’avvio della procedura di aggiudicazione del-l’appalto (art. 118, par. 3, regolamento 2342/2002).

L’avviso “comunica i risultati della procedura di aggiudicazione degli appal-ti” (art. 118, par. 4, regolamento 2342/2002). La pubblicazioni delle informa-zioni relative all’attribuzione dell’appalto può essere omessa “qualora ostacoli l’applicazione della legge, sia contraria all’interesse pubblico o leda gli interessi commerciali legittimi di imprese pubbliche o private oppure possa nuocere ad una concorrenza leale fra queste ultime” (art. 90, par. 1, 3° comma, regolamento 1605/2002).

Gli avvisi sono redatti secondo i modelli allegati alla direttiva 2001/78/CE. Per gli appalti di valore inferiore alla soglia è prevista una “pubblicità adegua-

ta” (art. 90, par. 2, regolamento 1605/2002), al fine “di garantire l’apertura alla concorrenza degli appalti e l’imparzialità delle procedure di aggiudicazione” (art. 119, par. 1, regolamento 2342/2002).

Tale pubblicità si realizza: a) in mancanza del bando di gara, mediante la pubblicazione di un “invito a manifestare interesse” per gli appalti d'oggetto si-mile, di valore uguale o superiore all’importo di cui all’art. 128, par. 1 (e cioè € 50.000,00); b) attraverso la pubblicazione annuale di un elenco dei contraenti, che precisa l’oggetto e l’importo dell’appalto aggiudicato. È prevista la pubblica-zione annuale specifica per quanto riguarda gli appalti immobiliari (art. 119, par. 2, regolamento 2342/2002).

La pubblicità ex-ante e la pubblicazione annuale dei contratti stipulati è effettuata nel sito web delle istituzioni. La pubblicazione ex-post ha luogo entro il 31 marzo dell'esercizio successivo. Può anche essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale (art. 119, par. 5, regolamento 2342/2002).

Oltre alle forme di pubblicità di cui si è detto, gli appalti possono essere oggetto di qualsiasi altra forma di pubblicità, in particolare in forma elettronica (art. 121 regolamento 2342/2002). Tuttavia le ulteriori forme di pubblicità de-vono far riferimento al bando e non possono essere anteriori a questo. Inoltre “Dette forme di pubblicità non possono introdurre discriminazioni tra i candi-dati o offerenti, né contenere informazioni diverse da quelle contenute nell’e-ventuale bando di gara”.

C) Criteri di selezione. I criteri di selezione generali sono definiti e precisati nei “documenti della

gara d’appalto” (art. 97 regolamento 1605/2002). Le amministrazioni devono

Page 634: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 608

quindi stabilire “criteri di selezione chiari e non discriminatori.” (art. 135, par. 1, regolamento 2342/2002).

L’amministrazione aggiudicatrice, al termine della procedura di valutazione eseguita ad opera della commissione valutatrice, prende la propria decisione in ordine ai candidati selezionati ed ai candidati esclusi (art. 147 regolamento 2342/2002).

Le istituzioni aggiudicatrici informano quanto prima i candidati e gli offe-renti delle decisioni prese in merito all’aggiudicazione del contratto d’appalto (art. 149 regolamento 2342/2002).

D) Modalità di attribuzione. Gli appalti possono essere attribuiti (art. 138, par. 1, regolamento 2342/

2002): per aggiudicazione (offerta con prezzo più basso) o per attribuzione (offer-ta economicamente più vantaggiosa). Quest’ultima consiste nella “migliore rela-zione tra la qualità ed il prezzo, tenuto conto di criteri giustificati dall’oggetto dell’appalto quali il prezzo proposto, il valore tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il costo d’utilizzazione, la redditività, il termine d’esecuzione o di consegna, e l’assistenza alla clientela e l’assistenza tec-nica” (art. 138, par. 2). La ponderazione relativa a ciascun criterio per determinare l’offerta più vantaggiosa, va stabilita nel bando di gara o nel capitolato d’oneri (art. 138, par. 3). Qualora la ponderazione non sia tecnicamente possibile, “l’ammini-strazione aggiudicatrice precisa soltanto l’ordine decrescente d’importanza nel-l’applicazione dei criteri” (ivi ).

Ai sensi dell’art. 139, par. 1, “se, per un determinato appalto, talune offerte appaiono anormalmente basse, l’amministrazione aggiudicatrice, prima di re-spingere tali offerte in base a quest’unica motivazione, richiede per iscrittole precisazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta e verifica, con il ricorso al contraddittorio, detti elementi costitutivi tenendo con-to di tutte le spiegazioni ricevute”.

10.5. Sottoscrizione del contratto. – Come si è anticipato, il contratto deve esse-

re stipulato per iscritto. In ossequio al principio di formalità, non sono ammesse ipotesi di conclusione del contratto, quali il comportamento concludente (cfr. art. 1327 c.c.).

La stipula del contratto non avviene solitamente in un unico luogo. L’istituzione finanziatrice invia al all’altro contraente due copie del contrat-

to per la firma.

Page 635: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 609

Nel caso di più contraenti solitamente è richiesta la firma del solo soggetto mandatario (“coordinatore” o altra denominazione, v. meglio il successivo para-grafo 11.1). Quest’ultimo, secondo le regole generali sulla rappresentanza e quelle specifiche dei programmi comunitari, dovrà premunirsi di una procura nella forma prevista dal contratto (cfr. art. 1392 c.c.) e cioè per iscritto e per mezzo della modulistica eventualmente richiesta. La procura, se ciò è disposto dalla base giuridica del programma, dovrà essere messa a disposizione dell’isti-tuzione finanziatrice.

Nell’ipotesi in cui la procura venga revocata, il relativo documento dovrà essere restituito (cfr. art. 1397 c.c.). La revoca della procura deve essere portata a conoscenza della Commissione (cfr. art. 1396 c.c.), che altrimenti, legittima-mente, può considerare il contratto firmato anche dal revocante (a meno che questi dimostri che la Commissione era a conoscenza della revoca). Il coordina-tore è comunque responsabile nei confronti della Commissione nel caso non abbia il potere di rappresentanza, e da ciò sia derivato un danno (cfr. art. 1994, code civ. belge; cfr. art. 1398 c.c.).

L’istituzione finanziatrice, solitamente, è l’ultima parte ad apporre la firma sul contratto51.

10.6. Modifiche del contratto. – Una volta stipulato il contratto con l’istituzione

finanziatrice, anche le eventuali modifiche devono rispettare la regola di for-malità.

Nelle sovvenzioni, in particolare, si specifica che “Qualsiasi modifica delle condizioni della sovvenzione deve essere oggetto di una clausola aggiuntiva scritta” e che quindi “Nessuna intesa orale in tal senso è vincolante per le parti.” (art. II.13, c. 1, contratto per le sovvenzioni; v. anche, per esempio, l’art. 21, par. 1, gen.cond. service contracts)52.

Le modifiche del contratto possono riguardare le partizioni variabili e quindi non concernono le condizioni generali. Si tratta pertanto di variazioni che si riferiscono, tra l’altro, ai soggetti, alla durata, all’importo massimo della sovvenzione, al bilancio preventivo e all’allegato tecnico.

——— 51 Nelle sovvenzioni, la prassi raccomandata è che la Commissione firmi per ultima (v. nota con-

giunta n. 62239 delle DG della Commissione). 52 La mancanza di vincolatività delle variazioni, effettuate senza il rispetto delle forme previste,

comporta, tra l’altro, la non eleggibilità delle spese eventualmente sostenute. V. Sentenza del Tribunale di primo grado, 7 novembre 1997, Azienda Agricola “Le Canne” Srl/ Commissione, T-218/95, Racc. 1997, p. II-2055.

Page 636: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 610

Una variazione degli elementi sopra indicati può condurre ad una modifica contrattuale soltanto se è di entità rilevante; e solo se la variazione non è altri-menti regolata dal contratto.

Riguardo all’entità della variazione, questa deve condurre ad una modifica sostanziale degli elementi del contratto. Per esempio, non sono considerate mo-difiche del contratto i cambiamenti riguardanti la sede legale o il domicilio del contraente, il numero di conto corrente, il nome del responsabile del progetto (cfr. art. 21, par. 7, gen.cond. service contracts). In questi casi è richiesto, al più, che il contraente comunichi la variazione all’istituzione finanziatrice. In altri casi anco-ra, come per quanto riguarda la modifica della composizione dello staff, oppure le variazioni riguardanti alcuni parametri che misurano l’impegno del contraente (il numero di mesi uomo descritte nel progetto, per esempio), non è richiesta una comunicazione ufficiale, ma eventualmente una giustificazione nelle relazio-ni periodiche.

Anche nel caso di modifiche sostanziali, in ogni modo, queste non possono essere incoerenti con i principi e le regole che governano l’attribuzione delle sovvenzioni. Si prevede, infatti, che la modifica al contratto “non può avere per oggetto o per effetto di apportare alla convenzione modifiche sostanziali che potrebbero rimettere in questione la decisione di attribuzione della sovvenzione o violare il principio della parità di trattamento dei richiedenti” (art. II.13, par. 3, contratto per le sovvenzioni)

Come si diceva, inoltre, le variazioni non comportano modifiche del con-tratto, quando possono essere regolate da disposizioni particolari. Per il contratto tipo, ad esempio, non costituiscono modifiche del contratto i “trasferimenti” tra rubriche del bilancio preventivo53, per importi inferiori ad una certa percentuale, sempre che “un simile adeguamento delle spese non incida sulla realizzazione dell’azione” (art. I.3, par. 4, opzione 1, contratto per le sovvenzioni)54. Il benefi-ciario, in questo caso, avrà semplicemente l’onere di comunicare la nuova strut-tura del bilancio.

——— 53 V. infra, § 12.3. 54 Una clausola simile può comparire anche negli appalti, se il prezzo è stabilito con riferimento a

più componenti. Per esempio, l’art. 21, par. 2, delle condizioni generali per i contratti di servizi, si stabi-lisce che “However, where the amendment does not affect the basic purpose of the contract and, for a feebased contract, the financial impact is limited to a transfer within the Fees or between the Fees and the Provision for incidental expendi-ture involving a variation of less than 10% of the original amount in the Budget breakdown, the Project Manager shall have the power to order any variation to any part of the services necessary for the proper execution of the contract, without changing the object or scope of the contract. Such variations may include additions, omissions, substitutions, changes in quality, quantity, specified sequence, method or timing of performance of the services”.

Page 637: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 611

La richiesta di modifica può provenire dall’istituzione finanziatrice o dal beneficiario. In questo secondo caso, il contratto tipo prevede che il beneficiario invii la richiesta entro un certo numero di giorni prima che la modifica abbia ef-fetto (v. art. 21, par. 1, gen.cond. service contracts). La richiesta di modifica deve es-sere supportata dalla necessaria motivazione (cfr. l’art. II.21, par. 4, gen.cond. ser-vice contracts).

In alcuni casi è specificato che la modifica non può essere richiesta oltre una certo termine temporale precedente alla fine dell’attività (per esempio non oltre un mese, v. art. II.13, par. 4, contratto per le sovvenzioni).

L’accettazione della modifica viene solitamente espressa attraverso una let-tera di risposta dell’istituzione finanziatrice (“administrative order”, come viene chiamato nei contratti tipo degli appalti).

SEZIONE III - GLI EFFETTI DEI CONTRATTI TRA ISTITUZIONE ATTUATRICE E BENEFICIARI

11. — Le obbligazioni dei contraenti diversi dall’istituzione finanziatrice. Dai contratti tipo derivano obbligazioni per la Commissione (o altra istitu-

zione) e per gli altri contraenti. 11.1. Le obbligazione del coordinatore. – Nel caso in cui i contraenti, diversi

dalla Commissione, siano più di uno (v. art. 9, par. 5, gen. cond. supply contracts), è prevista l’individuazione di un “coordinatore” o comunque di un contraente (le denominazioni contenute nei contratti, infatti, possono essere diverse) che agi-sca in nome e per conto degli altri, nei rapporti con l’istituzione finanziatrice.

Il coordinatore viene investito del mandato da parte degli altri contraenti (cfr. art. 1703 ss. c.c.), con l’obbligo di rappresentare gli stessi nei rapporti con la Commissione. Per i rapporti con i terzi, invece, ciascun contraente mantiene la propria autonomia.

Il mandato conferito al coordinatore è speciale, con rappresentanza, collet-tivo, a titolo oneroso e nell’interesse dello stesso mandatario.

Il mandato conferito al coordinatore è speciale, perché riguarda esclusiva-mente i rapporti con la Commissione (o altra istituzione) per le finalità proprie del programma. Nell’ambito di detta materia il coordinatore non sembra avere una grande discrezionalità, potendo solo compiere gli atti previsti dal contratto

Page 638: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 612

tipo e quelli accessori (cfr. art. 1709 c.c.). Occorre però ricordare che il conte-nuto del mandato può essere ampliato dai contraenti, sia a tutela dell’interesse individuale che di quello collettivo, attraverso altri accordi. Secondo le regole generali, il coordinatore deve svolgere in modo diligente i propri compiti (art. 1991 code civil belge). Il comportamento del coordinatore verrà apprezzato con maggiore rigore, in considerazione del fatto che il mandato gli è conferito a tito-lo oneroso (cfr. art. 1992, 2° comma, code civil belge; v. art. 1710 c.c.). Oltre alle informazioni richieste dal contratto tipo, il coordinatore è obbligato, in base alla disciplina del contratto di mandato, a comunicare ai mandanti l’esecuzione dei suoi compiti (cfr. art. 1712 c.c.), nonché presentare il conto del suo operato (v. art. 1993 code civil belge; cfr. l’obbligo di rendiconto, di cui all’art. 1713 c.c.)

Si tratta di mandato con rappresentanza perché, nelle materie previste dal contratto tipo, egli agisce in nome dei mandanti, potendo compiere atti che rientrano nella sfera giuridica dello stesso (cfr. art. 1998, 1° comma, code civil bel-ge; art. 1704 c.c.).

Il coordinatore riceve un mandato collettivo, essendogli conferito da più soggetti congiuntamente. Questo significherà, in primo luogo, che i mandanti saranno responsabili in solido, nei confronti di esso, per il rimborso delle perdi-te (cfr. art. 2002 code civil belge).

Si tratta inoltre di un mandato a titolo oneroso, in quanto a fronte della sua attività, il coordinatore percepirà una parte delle somme previste per svolgere l’attività di coordinamento (cfr. art. 1186 code civil belge). Il coordinatore, inoltre, avrà diritto ad essere rimborsato “des pertes que celui-ci a essuyées à l’occasion de sa ge-stion, sans imprudence qui lui soit imputable” (art. 2000 code civil belge).

Infine il mandato conferito al coordinatore è nel suo stesso interesse, visto che egli è tra coloro che eseguono l’attività prevista dal contratto. Questo com-porta che la revoca può avvenire solo per giusta causa, e cioè per un inadempi-mento grave55.

——— 55 Nel codice civile italiano questo principio è espresso negli artt. 1724 e 1726 c.c. Nel diritto belga

e francese si desume ugualmente, in base ai principi generali. Da un lato, infatti, si richiede che il man-dato non sia revocato per un abus de droit (cfr., nella giurisprudenza francese, Civ. 1re, 2 mai 1984: Bull. civ. I, n. 143, in Code Civil Dalloz, commento all’art. 2004). D’altro lato, si parla di mandat d’intéret com-mun: “Lorsque le mandat a été donné dans l’intéret commun du mandant et du mandataire, il ne peut pas e^tre révoqué par la volonté de l’une ou meme de la majorité des parties intéressées, mais seulment de leur consentement mutuel, ou pour un cause légitime reconnue en justice” (Civ. 13 mai 1885: DP 1885.1.350, in Code Civil Dalloz, commento all’art. 2004). Questa vecchia giurisprudenza francese si è mantenuta costante fino ai nostri giorni.

Page 639: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 613

11.2. L’obbligazione di eseguire l’attività oggetto del contratto. – I contraenti diversi dalla Commissione sono obbligati, per le sovvenzioni, all’attuazione dell’azione o “progetto” (art. 1, par. 2, condizioni speciali, contratto tipo “convenzione di sovvenzione di un’azione”, di seguito “contratto tipo sovvenzioni”), per gli ap-palti all’esecuzione del servizio, della fornitura o dell’opera (art. 1, par. 1, con-tratti tipo per gli appalti).

Come si è anticipato, l’attività, che deve essere svolta dai contraenti, è de-scritta in modo dettagliato in uno degli allegati al contratto: rispettivamente nell’Allegato 1 per le sovvenzioni e nell’allegato denominato “terms of references” per gli appalti. Questo soprattutto perché si tratta di attività complesse sotto il profilo tecnico, che è opportuno rappresentare in una sezione apposita del contratto.

L’attività da svolgere, che viene definita “oggetto del contratto”, è, più corret-tamente, la prestazione e cioè l’oggetto dell’obbligazione principale dei contraenti (cfr., per esempio, art. 1174 c.c.; art. 1108 code civil belge). L’attività, in quanto ogget-to dell’obbligazione, dovrà avere i caratteri prescritti dalla legge applicabile (cfr. artt. 1174 e 1346 c.c.; artt. 1126 ss. code civil belge). Per l’esistenza dell’obbligazione dei beneficiari, pertanto, l’attività da svolgere, in base alla nomenclatura adottata dal legislatore italiano, dovrà essere: economicamente valutabile, lecita, possibile e determinata. Per quanto riguarda il primo requisito (cfr. art. 1174 c.c.), l’attività è economicamente valutabile. L’esecuzione di essa, infatti, ha il valore corrisponden-te al finanziamento dell’istituzione. Il progetto dovrà poi essere possibile (cfr. an-che art. 1129; art. 1128 code civil belge)56, e cioè dovrà essere suscettibile di esecuzio-ne. L’ammissibilità dell’oggetto, inoltre, sarà legata alla liceità di esso e cioè al ri-spetto delle norme imperative comunitarie, nazionali e internazionali. In quanto “On ne peut déroger, par des convéntions particulières, aux lois qui intéressent l’ordre pubblic et les bonnes moeurs” (artt. 6 code civil belge; v. in part. 1128 e cfr. anche art. 1131 per quanto riguarda la causa). L’attività prevista, per esempio, non potrà contrastare con i diritti fondamentali della persona o con i principi etici fondamentali. L’oggetto dovrà essere determinato con riferimento alle modalità di svolgimento dell’attività (cfr. art. 1129 code civil belge). La determinazione della prestazione è con-tenuta, come si è detto, negli allegati del contratto.

——— 56 L’art. 1128 code dispone, in particolare, che l’oggetto deve essere possibile sotto il profilo giuri-

dico: “Il n’y a que les choses qui sont dans le commerce qui puissent être l’objet des conventions”. Dall’art. 1129 code, invece, si può far discendere il concetto di possibilità “naturalistica”, allorché chiede che l’oggetto sia determinato, e quindi non “illusorio”. Per questa interpretazione v. A. SERIAUX, Droit des obligations, Paris, 1998, p. 95.

Page 640: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 614

11.3. Le altre obbligazioni dei beneficiari. – Oltre all’obbligazione di eseguire l’attività prevista, i beneficiari sono soggetti ad ulteriori obblighi.

a) Le comunicazioni. Il contratto prevede un obbligo di informazione, con riguardo a diversi a-

spetti legati all’attuazione del contratto. Nelle sovvenzioni, il beneficiario deve mettere a disposizione della Com-

missione ogni documento e informazione, necessari per la valutazione dell’at-tuazione del progetto (art. II.6, contratto per le sovvenzioni), sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello finanziario. Il contraente è inoltre è obbligato a comu-nicare tutti gli eventi che possano pregiudicare l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto il contratto (i casi di conflitto di interessi, forza maggiore, intenzione di sospendere il progetto).

L’obbligo di comunicazione deve essere adempiuto secondo le modalità previste dal contratto (art. I.7, contratto per le sovvenzioni; art. 4 gen.cond. works contracts), e cioè solitamente per iscritto (raccomandata con avviso di ricevimen-to) o in formato elettronico, se previsto. Le comunicazioni vanno indirizzate all’indirizzo o agli indirizzi previsti dal contratto.

Come si è avvertito, nel caso di più contraenti, le comunicazioni di ciascu-no di essi deve avvenire attraverso il coordinatore.

b) Conflitto di interessi. Il beneficiario, inoltre, deve evitare le situazioni di conflitto di interessi (v.

art. II.2, contratto tipo per le sovvenzioni; cfr. art. 9 gen.cond. services contracts) e cioè tutte quelle situazioni tali “da influire sull’imparzialità e obiettività nell'at-tuazione della convenzione”, che possono risultare “da un interesse economico, da affinità politiche o nazionali, da ragioni familiari o affettive o da ogni altra comunanza d’interessi” (cfr. art. 52, par. 2, regolamento 1605/2002). Vi è con-flitto quando, ovviamente, questo interesse sia in contrasto con quello comuni-tario alla realizzazione del progetto e al rispetto delle regole finanziarie.

Nel caso in cui si possa verificare una tale situazione di conflitto, il benefi-ciario deve comunicarla per iscritto alla Commissione e adottare i necessari prov-vedimenti. La Commissione può esigere altri provvedimenti oltre a quelli già messi in atto dal contraente.

c) Pubblicazioni e diffusione delle informazioni. Il beneficiario, in ogni comunicazione o pubblicazione legate al progetto,

deve dichiarare di aver ricevuto il contributo comunitario (art. II.5, par. 1, con-tratto per le sovvenzioni; art. 9, par. 10, gen.cond. supply contracts).

Page 641: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 615

Nelle sovvenzioni, il beneficiario autorizza la Commissione alla pubblica-zione, in qualsiasi forma, di alcune informazioni che lo riguardano: il nome e l’indirizzo, l’oggetto della sovvenzione, l’importo accordato e il tasso di finan-ziamento rispetto al costo totale dell'azione. Ciò sempre che la diffusione di tali informazioni non sia pregiudizievole alla sicurezza e agli interessi commerciali del beneficiario (art. II.5, par. 2, contratto tipo per le sovvenzioni) e che non contrasti con la tutela della riservatezza dei dati personali (art. I.9 e regolamento n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istitu-zioni e degli organismi comunitari) e dell’obbligo generale della riservatezza.

d) La riservatezza. L’obbligo di riservatezza, che incombe su tutti i contraenti della sovvenzione,

compresa la Commissione, consiste nel tenere riservati “ogni documento, infor-mazione e altro materiale in nesso diretto con l’oggetto della convenzione, che siano stati debitamente qualificati come riservati e la cui diffusione possa causare pregiudizio all’altra parte” (art. II.4), anche dopo la conclusione del progetto.

Analogo obbligo è previsto nei contratti di appalto (v., per es. l’art. 9, par. 9, gen.cond. work contracts).

e) Obbligo di relazione. Nei contratti tipo è previsto un obbligo di relazione (art. 1.5 contratto per

le sovvenzioni e diverse disposizioni per gli appalti). I beneficiari, infatti, devono periodicamente relazionare sull’attuazione tecnica dell’attività prevista dal contrat-to e, nel caso specifico delle sovvenzioni, anche sui costi sostenuti e le eventuale entrate percepite57.

La periodicità di queste relazioni è specificata nel contratto.

f) Altri obblighi. Tra gli altri obblighi eventualmente previsti dai contratti tipo vi sono, per

esempio, la prestazione di garanzie per la corretta esecuzione dell’attività o a fronte del pagamento del pre-finanziamento; il rispetto della clausola di origine (soprattutto per gli appalti, e cioè l’obbligo di acquistare i beni e servizi all’interno dell’Unione o dei paesi con i quali si realizza la cooperazione); l’osservanza della normativa giuslavoristica e quella previdenziale e assistenziale (soprattutto per gli appalti); l’obbligo di mantenere indenne l’istituzione finanziatrice dalle pre-tese di terzi, e così via.

——— 57 V. il successivo § 12, per quanto riguarda l’obbligo di rendicontazione

Page 642: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 616

12. — L’obbligazione di rendicontazione nelle sovvenzioni. 12.1. La rendicontazione. – La disciplina delle sovvenzioni, come si è accen-

nato nei paragrafi precedenti, prevede che il contributo dell’istituzione finanzia-trice sia calcolato come una percentuale dei costi sostenuti per l’esecuzione del progetto. La percentuale del contributo e l’ammontare massimo di tale contri-buto sono stabiliti nel contratto di sovvenzione (art. I.3 contratto per le sovven-zioni)58. Il che significa che tale limite non può essere superato neppure se il be-neficiario sostiene costi maggiori di quelli preventivati (art. II.17, par. 2). D’altra parte, qualora i costi siano inferiori a quelli stimati, l’importo del contributo sarà determinato in base alla percentuale applicata ai costi effettivamente sostenuti, e quindi sarà inferiore a quanto previsto (art. II.17, par. 3).

Il beneficiario, per ottenere il contributo, dovrà presentare alla Commissio-ne “il conto finanziario … dei costi ammissibili effettivamente sostenuti, strut-turati secondo l’articolazione del bilancio di previsione”. Come si è detto sopra, il conto finanziario ha una periodicità stabilita dal contratto. Per le sovvenzioni di durata superiore ai dodici mesi, solitamente il beneficiario dovrà presentare un conto finale e diversi rendiconti intermedi (art. II.15, par. 3 e 4).

Come è stabilito nella disposizione da ultimo citata, i costi evidenziati dal conto finanziario devono essere ammissibili.

I costi sono ammissibili se rispettano i cosiddetti criteri generali, stabiliti dall’art. II.14, par. 1, del contratto tipo per le sovvenzioni e se appartengono alle tipologie di cui al successivo paragrafo 2 dello stessa disposizione.

12.2. Criteri generali di ammissibilità. – Quanto ai criteri generali, i costi sono

ammissibili se sono: - effettivamente sostenuti (criterio del costo reale); non sono quindi ammissibili i costi presuntivi, figurativi ed i costi medi (questi ultimi tranne se il contratto li preveda e ge-neralmente se non sono molto diversi dai costi effettivi); non sono neppure ammissibili

——— 58 La disciplina della rendicontazione è specificata nella base giuridica e nei documenti amministra-

tivi della Commissione, elaborati per ciascun programma o gruppi di programmi. Può essere utile fare riferimento anche al “Vademecum” sulla gestione amministrativa redatto in due versioni: una del 1998 per i beneficiari (disponibile in diverse lingue, tra cui l’italiano, dal titolo “Vademecum sulla gestione delle sovvenzioni”); l’altra, aggiornata nel 2000, più dettagliata, per i funzionari della Commissione europea (redatta soltanto in lingua inglese: Vademecum on grant management). Il Vademecum non è più in vigore, ma fornisce una panoramica generale sulla rendicontazione dei grant, utile per un approccio globale alla materia.

Page 643: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 617

gli “apporti in natura” (contribution in kind), tranne nei casi previsti dalla base giuridica59; - necessari per la realizzazione dell'azione formante oggetto della convenzione (criterio di necessarietà); - rispondenti ai principi di buona gestione finanziaria, in particolare di economia e di rapporto costi/efficacia (criterio di economicità); - sostenuti durata del progetto, così come definita dall’art. I.2, par. 2, del contratto (criterio della competenza); - registrati nella contabilità del beneficiario, conformemente ai principi contabili appli-cabili, ed essere stati oggetto delle dichiarazioni prescritte dalle leggi fiscali e sociali ap-plicabili (criterio del rispetto della disciplina contabile); - identificabili e controllabili (criterio della identificabilità e controllabilità); - ragionevoli e giustificati (criterio della giustificazione); i beneficiari, in base a questo criterio, devono conservare tutti i documenti che provano il rispetto dei criteri generali e delle altre regole di rendicontazione. Infatti “incombe al beneficiario l'onere di dimo-strare l'effettività delle spese e la loro connessione con l'azione approvata. Egli si trova nella situazione migliore per farlo e deve dimostrare che l'ottenimento di finanziamenti provenienti da fondi pubblici è giustificato”60.

——— 59 Sul punto v. il Vademecum, cit., par. 5.1.5. Gli apporti in natura sono costituiti dai beni o servizi

che si utilizzano nel progetto, senza il pagamento di un corrispettivo (si pensi all’utilizzo di lavoro volontario o di un terzo soggetto, che non viene rimborsato; il canone di locazione figurativo per l’utilizzo di un proprio immobile, e così via). Quando la base giuridica ammette la possibilità di esporre gli apporti in natura, questi devono figurare da entrambi i lati del bilancio di previsione, come equiva-lente in moneta dei servizi e materiali forniti dal lato delle entrate e per un importo uguale dal lato delle spese, ma separatamente dal resto del bilancio poiché non costituiscono costi ammissibili. In pratica questo significa che il contributo della Commissione non sarà calcolato su tali importi. Infatti, come è specificato nel Vademecum: “Nel caso in cui siano presi in considerazione gli apporti in natura, la sov-venzione comunitaria è limitata alle spese effettivamente sostenute e non può comunque superare il costo totale ammissibile, al netto del valore degli apporti stessi”. In ogni modo l’imputazione degli im-porti in parola deve rispettare le seguenti condizioni: l’importo dichiarato dal beneficiario quale equiva-lente degli apporti in natura va valutato sulla base di fattori oggettivi o di criteri ufficiali stabiliti da un’autorità indipendente o da un professionista indipendente; il costo delle attività volontarie va calco-lato conformemente alle norme nazionali in materia di costo orario, settimanale o mensile per presta-zione d’opera, ove applicabili.

60 V. Tribunale di primo grado, 14 luglio 1997, Interhotel / Commission, cit. punto 47. La Com-missione ha quindi il diritto di non riconoscere costi che, seppure previsti nel contratto di finanziamen-to, non sono rappresentati da idonea documentazione (v. il punto 43 della sentenza da ultimo citata). Secondo la giurisprudenza Stadtsportverband Neuss eV/ Commissione, T-137/01, cit., punto 88, sembre-rebbe, inoltre, che i documenti probatori non possano essere presentati al giudice successivamente. Infatti: “A questo riguardo va ricordato che, secondo una costante giurisprudenza, la legittimità di un atto individuale impugnato deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l'atto è stato adottato (v., in particolare, sentenze della Corte di giustizia 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, cause riunite 15/76 e 16/76, Racc. p. 321, punto 7, e 17 maggio 2001, IECC/Commissione, C-449/98, Racc. p. I-3875, punto 87; Tribunale di primo grado 12 dicembre 1996, Altmann e altri/Commissione, cause riunite T-177/94 e T- 377/94, Racc. p. II-2041, punto 119). Qualora infatti dovesse esaminare gli atti impugnati, alla luce di elementi di fatto non esistenti alla data in cui l'atto è stato emanato, il Tribunale si sostituirebbe all'istituzione da cui promana l'atto di cui trattasi.

Page 644: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 618

12.3. Costi ammissibili e costi non ammissibili. – I costi, che rispettano i criteri generali sopra indicati, sono ammissibili se rientrano nella definizione di alcune tipologie di spesa. In particolare i costi ammissibili possono essere diretti o indi-retti.

Sono “costi diretti”, quelli legati direttamente all’attuazione del progetto, e cioè:

- i costi del personale addetto all’azione, in base a contratti di lavoro dipendente o pa-rasubordinato (“in house”o “intra-muros” consultants, nella terminologia della Commissio-ne); tali costi comprendono le retribuzioni effettive, i contributi previdenziali e assi-stenziali e gli altri costi previsti dalla legge, purché non siano eccessivi rispetto ai livelli retributivi abitualmente pagati dal beneficiario; - le spese di viaggio e di soggiorno del personale partecipante all’azione, purché corri-spondano alle prassi consuete del beneficiario per le spese di trasferta e non eccedano i tariffari approvati ogni anno dalla Commissione (i cosiddetti “per diem”, che però non si applicano a tutti i programmi); - i costi per l’acquisto di attrezzature (nuove o di seconda mano), stabiliti in base alle quote di ammortamento e alla percentuale di utilizzo; - i costi di materiali d’uso e di forniture, purché siano identificabili e servano ai fini dell’azione; - i costi derivanti da altri contratti che il beneficiario ha concluso con terzi ai fini della realizzazione dell’azione (i cosiddetti “subcontratti”); - altri costi diretti necessari per l’attuazione del progetto (ed in particolare per le attività di diffusione, d’informazioni, valutazione specifica dell’azione, revisioni contabili, tradu-zioni, riproduzione, spese per garanzie richieste dall’istituzione finanziatrice e così via). Oltre ai costi diretti il beneficiario può imputare una quota delle proprie

spese generali e cioè di spese non strettamente legate alla realizzazione del pro-getto, che sono sostenute indipendentemente dall’attuazione del progetto (si pensi alle spese per i contratti di somministrazione di gas, luce ed acqua; i costi dell’amministrazione centrale; i canoni di locazione degli immobili, le assicura-zioni, e così via) (v. l’art. II.14, par. 3). La base giuridica di alcuni programmi comunitari ammettono la possibilità di determinare un criterio di attribuzione di una quota delle spese generali al progetto (v. i modelli Full Cost dei Programmi Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico). Nella maggior parte dei casi questa quota, tuttavia, è stabilita in modo forfetario nel contratto (con una percentuale

——— (sentenza del Tribunale 11 luglio 1991, Von Hoessle/Corte dei conti, T-19/90, Racc. p. II-615, punto 30). Di conseguenza vanno presi in considerazione solo gli elementi di cui la Commissione poteva prendere conoscenza nel corso del procedimento amministrativo”.

Page 645: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 619

di solito del 7% del totale dei costi diretti). In questi casi non è necessario pro-durre la documentazione giustificativa dei costi.

Alcuni costi, seppure soddisfano ai criteri generali e rientrano nelle tipolo-gie suddette, non sono mai considerati ammissibili. Si tratta, in particolare, dei seguenti (art. II.14, par. 4): i rendimenti del capitale proprio; gli accantonamenti per perdite o eventuali debiti futuri; gli interessi passivi; le perdite su crediti; le perdite su cambi; l’IVA, se il beneficiario dimostri che non può recuperarla; i costi rendicontati e finanziati nell’ambito di un altro progetto a cui viene con-cessa una sovvenzione comunitaria.

12.4. Le entrate. – Come si è anticipato a proposito del principio dell’assenza

di profitto, il contributo nelle sovvenzioni va calcolato deducendo le entrate le-gate al progetto.

I contraenti, di conseguenza, devono tenere conto, nella determinazione del bilancio preventivo e nella rendicontazione, non solo dei costi ammissibili ma anche delle entrate.

Le entrate (o receipts) sono costituite da somme o apporti provenienti da terzi soggetti, pubblici o privati, e attribuite specificamente per il progetto (si pensi a contributi di enti territoriali, fondazioni, imprese e così via). Non sono considerate entrate le somme o comunque i valori derivanti da terzi, che non riguardano in modo specifico il progetto, ma che sono attribuiti per la generale attività del soggetto.

Sono considerate entrate anche i corrispettivi derivanti dalla vendita di beni o servizi legati al progetto. Si pensi a progetti che prevedano l’organizzazione di eventi (mostre, concerti, convegni, corsi di formazione): in questo caso costitui-ranno entrate il prezzo dei biglietti, l’iscrizione al corso, il prezzo della vendita di dvd o pubblicazioni, e così via. In alcuni programmi, ma si tratta di eccezioni che devono essere espressamente previste, non sono considerate entrate gli in-troiti derivanti dallo sfruttamento commerciale dei risultati, come accade nei Programmi Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico.

Nella determinazione del contributo da pagare, oltre alle entrate come so-pra definite, occorre anche dedurre gli interessi maturati, o vantaggi equivalenti, derivanti dal prefinanziamento versato dalla Commissione (art. II.16, par. 4, contratto tipo sovvenzioni). Questi interessi sono presi in considerazione se “costituiscono importi considerevoli”, e vanno calcolati dal momento in cui so-no percepiti al momento del saldo.

Page 646: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 620

13. — Obbligazioni derivanti dai rapporti con i terzi. 13.1. I subcontratti. – Una disciplina particolare viene prevista per la stipula

dei subcontratti e cioè di contratti per acquistare beni e servizi necessari per l’esecuzione del progetto (art. II.9, contratto tipo per le sovvenzioni), forniti alle parti del contratto da soggetti terzi.

Anche se la formulazione utilizzata è molto ampia, la disposizione in com-mento non riguarda i contratti di lavoro o quelli per la fornitura di beni o servizi non attinenti agli obiettivi principali del progetto. Un subcontratto – come ha evidenziato più in generale la dottrina civilistica – è più propriamente quello “mediante il quale una parte reimpiega nei confronti di un terzo la posizione che gli deriva da un contratto in corso, detto contratto base”61. Nel subcontratto, uno dei contraenti è parte di un altro contratto, detto contratto base, dove è obbligato ad eseguire una certa prestazione (o come nel contratto di locazione, esercita un diritto di credito). Detto contraente affida al subcontraente, in tutto o in parte, l’esecuzione della prestazione a cui è obbligato nel contratto base.

Proprio per questa particolare rilevanza del subcontraente, la disciplina dei contratti tipo dispone tutta una serie di cautele

13.2. Subcontratti per le sovvenzioni. – Nelle sovvenzioni, il beneficiario è

obbligato a stipulare i subcontratti tenendo conto della convenienza economica ed evitando il conflitto di interessi; è prescritto, inoltre, il rispetto dei principi che ispirano la disciplina dei contratti pubblici e cioè la trasparenza e la parità di trattamento dei potenziali contraenti (art. II.9, par. 1).

La stipula dei contratti in parola deve rispettare le condizioni previste dal-l’art. II.9, par. 2, del contratto tipo:

- il contratto può riguardare solo l’attuazione di una parte limitata dell’azione; questo per evitare che il progetto sia eseguito da un soggetto che non la qualifica di beneficia-rio; - la conclusione dei contratti in parola deve essere giustificata dalla natura dell'azione e dalle esigenze per la sua realizzazione; - l’attività da svolgersi (non necessariamente il soggetto che la svolgerà) deve essere in-dicata nell’allegato tecnico ed i relativi costi vanno stimati nel bilancio preventivo; qua-

——— 61 C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 3, Il contratto, Milano, 1997, p. 691. Sul subappalto v. F. GALGA-

NO, Diritto civile e commerciale, vol. II, Le obbligazioni e i contratti, tomo II, I singoli contratti, Gli atti unilaterali e i titoli di credito, I fatti illeciti e gli altri atti e fatti fonte di obbligazioni, La tutela del credito, Padova, 1993, pp. 65 s.

Page 647: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 621

lora sia necessario stipulare contratti non previsti nell’allegato I, occorre la preventiva autorizzazione scritta dalla Commissione; - il beneficiario deve far sì che il subcontraenete rispetti alcuni obblighi, che incombo-no su di esso. Tra questi il dovere di segretezza (art. II.4), il divieto di conflitto di inte-ressi (art. II.2), la disciplina della proprietà dei risultati (art. II.3), della pubblicità (art. II.5), l’obbligo di fornire le informazioni necessarie per la valutazione dell’azione (art. II.6), e a sottoporsi ai controlli della Commissione e degli altri organismi comunitari (art. II.19). 13.3. Subcontratti negli appalti. – Per i contratti di appalto la disciplina si ispira

alle stesse regole di fondo (cfr. art. 6, gen.cond. supply contracts). In particolare, il subcontratto deve essere preventivamente autorizzato, per

iscritto, dall’istituzione. Il contraente deve fornire a detta istituzione tutte le infor-mazioni relative all’attività da subcontrattare e al subcontraente. Il subcontraente dovrà avere tutti i requisiti che erano necessari per la partecipazione all’appalto e la procedura di selezione dovrà rispettare i principi generali in materia.

13.4. Rapporti tra istituzione finanziatrice e subcontraente. – I contratti tipo stabi-

liscono la regola che non deve esistere alcun rapporto diretto tra istituzione fi-nanziatrice e subcontrente, sebbene detta istituzione autorizzi il rapporto, come si è visto (cfr. art. II.9, par. 2, lett. e), contratto per le sovvenzioni; art. 4, par. 3 e 4, cond.gen. service contracts)62. Se il subcontraente non adempie alle sue obbligazio-ni, sarà responsabile il contraente per fatto di terzo (cfr. art. 1121 code civil belge; cfr. art. 1381 c.c.), in base ai principi generali della responsabilità per gli ausiliari (art. 1384 e art. 1797 code civil belge; cfr. art. 1228 c.c.). Il contraente potrà però rivalersi sul subcontraente medesimo (cfr. art. 1798, 2° comma, code civil belge; art. 1670 c.c., per quanto riguarda il subappalto).

14. — Caratteri delle obbligazioni dei beneficiari. Sotto il profilo giuridico, l’obbligazione principale dei contraenti presenta

alcune caratteristiche, che è importante sottolineare. 14.1. Le obbligazioni dei beneficiari come obbligazioni di fare. – Le obbligazioni dei

contraenti, nel caso delle sovvenzioni e degli appalti (tranne per quel che riguar-

——— 62 Cfr. Cassazione civile, sez. II, 11 agosto 1990, n. 8202, in Giust. Civ. Mass., fasc. 8.

Page 648: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 622

da l’oggetto degli appalti di forniture), possono essere considerate come “obbli-gazioni di fare” e cioè di svolgere un’attività in senso materiale, che è quella de-terminata dal contratto (cfr. art. 1126 e v. la disciplina specifica delle obbligazio-ni di fare e non fare, di cui agli artt. 1142 ss. code civil belge). Nei casi in cui la pre-stazione sia fungibile, l’istituzione finanziatrice potrebbe far eseguire ad altri la parte di progetto che spettava al contraente inadempiente, a spese di quest’ultimo (cfr. art. 60, par. 3, gen.cond. work contracts; cfr., nel diritto italiano, art. 2931 c.c., con le modalità previste dagli art. 613 e s. c.p.c.). Qualora, a causa della specifici-tà dell’attività da realizzare, la prestazione fosse infungibile, il contraente ina-dempiente è tenuto al risarcimento.

14.2. Intuitus personae. – Le prestazioni previste dai contratti tipo, anche

nel caso in cui siano fungibili, sono di tipo personale o, come si dice altrimenti, basate sull’intuitus personae. Come si è spiegato in precedenza, i beneficiari devo-no avere particolari requisiti, previsti nella base giuridica e accertati nel processo di valutazione. È in base a detti requisiti che il contraente viene selezionato. Il carattere personale della prestazione ha per effetto il divieto di cessione delle si-tuazioni giuridiche soggettive derivanti dal contratto e del contratto medesimo.

L’adempimento dell’obbligazione può essere effettuato soltanto dal contra-ente e non da un terzo (cfr. art. 1180 c.c.)63. Ciò detto, i contratti per l’attua-zione dei programmi comunitari non ammettono la libera modificazione nella posizione passiva del contraente.

Non è cedibile, inoltre, il diritto di credito nei confronti dell’istituzione fi-nanziatrice (v. art. II.10, contratto per le sovvenzioni; artt. 6 e 51 gen.cond. work contracts). Non dovrebbe applicarsi il principio della inopponibilità del divieto di cessione al cessionario che non era conoscenza del patto (cfr. art. 1260, c. 2, c.c.). In questi casi, infatti, il divieto di cessione è solitamente contenuto nella base giuridica del programma o comunque nel contratto tipo adottato con deci-sione, che è una fonte giuridica anche se di carattere secondario.

L’immodificabilità non riguarda soltanto il lato passivo del rapporto con-trattuale, ma l’intero contratto (cfr. art. 1406 ss. c.c.). Inoltre, non sembra possi-bile neppure la cessione a titolo universale, come nel caso in cui il contraente ceda l’azienda (cfr. art. 2558 c.c.), oppure si trasformi (cfr. art. 2498 ss. c.c.) o si fonda in un nuovo soggetto (cfr. art. 2501 ss. c.c.). Il che è confermato dalla di-

——— 63 Questo divieto non comprende, ovviamente, gli ausiliari del contraente o il sub-contraente, per-

ché costoro, semmai, coadiuvano l’esecuzione della prestazione da parte del contraente medesimo.

Page 649: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 623

sciplina del contratto tipo sulla risoluzione, a motivo delle modificazioni delle caratteristiche personali del contraente64.

La cessione delle situazioni giuridiche e del contratto sono ammessi soltan-to previa autorizzazione scritta della Commissione.

14.3. Diligenza nell’adempimento. – Ammesso che la circostanza sia rilevante

per l’ordinamento applicabile65, l’individuazione della prestazione di fare (per esempio nell’ambito della ricerca, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, ecc.) av-viene spesso più per obiettivi, che per risultati.

I beneficiari adempiono alle obbligazioni, quando dimostrano di aver ese-guito le attività previste in modo diligente, e cioè di aver impiegato adeguata-mente le proprie risorse al fine di eseguire il progetto, soddisfacendo gli interessi dell’ente finanziatore, così come previsti dalla base giuridica66. L’adeguatezza deve essere valutata in modo oggettivo e soggettivo67. Dal punto di vista ogget-tivo l’esecuzione del progetto sarà diligente, quando verranno impiegate tutte le conoscenze e gli strumenti tecnici necessari, con il rispetto delle regole tecnico-scientifiche fondamentali in una data branca del sapere. Sotto il profilo soggetti-vo, la diligenza richiesta per l’esecuzione dell’attività dipende dalle caratteristiche del beneficiario (cfr. art. 1176 c.c.)68.

——— 64 V. il § 18, sull’inadempimento delle obbligazioni previste dal contratto tipo. 65 Come si è sottolineato, non ha rilevanza, nel nostro ordinamento, la differenza tra obbligazioni

di mezzi e di risultati, tipica della dottrina francese. Sul punto v. C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 4, Le obbligazioni, Milano, 1995, pp. 71 ss. Nella letteratura francese, tale distinzione è rilevante ai fini della prova: le obbligazioni di risultato sono quelle in cui la sola prova della mancanza dei risultati, comporta l’obbligo di risarcire il danno. V. J. CARBONNIER, Droit civil, XXII ed., Paris, 2000, p. 298 ss., che ripor-ta anche le critiche a detta classificazione (p. 305).

66 Per gli ordinamenti che ammettono la categoria, le obbligazioni del beneficiario possono essere considerate come “obbligazioni di mezzi” e non di risultato. È il caso del diritto francese, nell’ambito del quale si ritiene che i contratti di ricerca siano “la terrain d’élection de l’obligation de moyens” (Y. REBOUL, Les contrats de recherche, Paris, 1978, p. 125). Per l’inapplicabilità di tale distinzione nel diritto italiano v. A. CAN-DIAN, Ricerca (contratto), in Digesto it., IV ed., Torino, p. 517 ss., qui p. 523, che riprende la critica di L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “mezzi” (studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, 185 ss.

67 C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 4, Le obbligazioni, cit., pp. 92 ss., scompone il concetto di diligen-za nei suoi aspetti fondamentali che sono: a) la cura, e cioè l’attenzione al soddisfacimento dell’interes-se del creditore; b) la cautela “ossia l’osservanza delle misure di cautela idonee ad evitare che sia impe-dito il soddisfacimento dell’interesse che l’obbligazione è diretta a soddisfare e che sia pregiudicati gli interessi del creditore giuridicamente tutelati”; c) la perizia, che sarebbe l’impiego di adeguate nozioni e strumenti tecnici; d) la legalità “intesa come l’osservanza delle norme giuridiche rilevanti al fine del soddisfacimento dell’interesse del creditore e del rispetto della sfera giuridica”.

68 E così, per esempio, lo svolgimento di un progetto di ricerca da parte di una università, un ente di ricerca o di un singolo ricercatore professionista dovrà essere valutato tenendo conto delle particola-ri caratteristiche professionali del beneficiario. Cfr. A. CANDIAN, Ricerca (contratto), cit. p. 523.

Page 650: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 624

14.4. Solidarietà. – Nel caso di una pluralità di contraenti, le obbligazioni de-rivanti dal contratto sono di tipo solidale, almeno per quel che riguarda il rap-porto tra detti contraenti e Commissione (v. art. 9, par. 5, gen. cond. supply con-tracts)69. In questi casi, infatti, ricorrono i caratteri identificativi dell’obbligazione solidale, quali, principalmente, la pluralità dei debitori (i contraenti appunto) e l’unicità della prestazione, che è appunto l’esecuzione dell’attività prevista dal contratto (cfr. art. 1292 ss. c.c.). L’obbligazione solidale comporta, secondo la Corte di giustizia, che ciascun obbligato è “individualmente tenut[o] ad adem-piere l'insieme delle obbligazioni previste dal contratto in caso di inadempimen-to” dei coobbligati, non potendosi eccepire che l’inadempimento era riferibile al coordinatore70 o agli altri contraenti71. In alcuni contratti tipo si opera una di-stinzione tra prestazioni: e così, mentre è considerata solidale l’obbligazione di svolgere l’attività prevista dal contratto, non altrettanto avviene per l’obbliga-zione di restituire le somme illegittimamente percepite da uno dei beneficiari72; oppure alcuni beneficiari sono esclusi da questa obbligazione, come accade per gli enti pubblici nel Sesto Programma Quadro, ai sensi dell’art. 13, par. 3, rego-lamento 2321/2002.

Il carattere solidale della responsabilità dei beneficiari comporta diversi ef-fetti, che riguardano sia i rapporti tra detti beneficiari (rapporti interni) sia quelli con la Commissione (rapporti esterni).

A. Rapporti esterni. Sotto il profilo dei rapporti esterni, in particolare, valgono le seguenti prin-

cipali regole: - I beneficiari devono prendere tutte le misure necessarie e ragionevoli per eseguire la parte del progetto non eseguita da uno dei partecipanti. Ciò anche se l’inadempimento di uno degli obbligati in solido è divenuto impossibile (cfr. art. 1205 code civil belge; art. 1307 c.c.). - Alcuni i fatti o atti pregiudizievoli ad uno dei contraenti non si comunicano agli altri. Per esempio, la comunicazione della risoluzione del contratto limitatamente ad uno dei

——— 69 Nelle joint venture generalmente la responsabilità dei contraenti è tra di essi solidale ed illimitata:

cfr. C. VACCA, Origine e lineamenti dei contratti di joint venture, in U. DRAETTA, C. VACCÀ, Le Joint Venture - Profili giuridici e modelli contrattuali, Milano, 1997, p. 130.

70 V. anche le Conclusioni dell’avvocato generale Alber del 25 gennaio 2001, nella causa Commis-sione/ Oder-Plan Architektur GmbH e altri, C-77/99, Racc. 2001, p. I-07355, punto 62 ss.

71 Corte di giustizia, 25 febbraio 1999, Commissione/Gariboldi Engineering Company, C-65/97, Racc. p. I-1017, v. punti 21 ss.

72 Corte di giustizia 17 marzo 2005, C-294/02, Commissione/AMI Semiconductor Belgium e altri, Racc. 2005, p. I-2175.

Page 651: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 625

beneficiari (qualora il contratto tipo preveda questa ipotesi), deve essere effettuata diretta-mente al contraente interessato (art. II.15, par. 5 e 6, contratto tipo per il Sesto Program-ma Quadro); se il contratto tipo non prevede la possibilità di terminare la partecipazione di uno o più contraenti, le comunicazioni vanno dirette soltanto al coordinatore; - In altri casi, invece, il fatto o l’atto sfavorevole per uno dei condebitori si comunica agli altri. Così, l’interruzione della prescrizione nei confronti di uno condebitori ha effetto nei confronti degli altri contraenti (cfr. art. 1206 code civil belge; art. 1310 c.c.); la domanda di interessi, rivolta contro uno dei condebitori, fa decorrere gli interessi riguardo agli altri (art. 1207 code civil belge). - I fatti favorevoli ai condebitori, generalmente si comunicano: ogni debitore in solido può far valere le eccezioni comuni, di natura non personale (art. 1208 code civil belge; art. 1297 c.c.; non si considera eccezione comune quella di compensazione, v. art. 1294, comma 3, code civil belge); il pagamento di uno dei condebitori libera gli altri per la parte pagata (art. 1200 code civil belge; cfr. anche art. 1210 code civil belge, per il quale se il cre-ditore acconsente alla “divisione” del debito in capo ad uno dei condebitori, gli altri rimangono debitori in solido, ma devono pagare soltanto quello che rimane); la remis-sione fatta a vantaggio di uno dei condebitori libera tutti gli altri, se non diversamente disposto (ma in ogni caso si opera la deduzione di quanto rimesso: v. art. 1285 code civil belge; art. 1301 c.c.).

B. Rapporti interni. Nei rapporti tra i contraenti, inoltre: - L’onere di eseguire la parte della prestazione non eseguita deve essere ripartito a seconda della partecipazione alle spese, così come previsto dall’allegato I, del bilancio preventivo o degli accordi tra i contraenti, anche attraverso il Consortium Agreement (v. in seguito) (cfr. art. 1213 code civil belge); se nulla è stabilito, l’onere va ripartito in quote uguali (cfr. art. 1298 c.c.) - Secondo le regole generali sulle obbligazioni solidali (cfr. art. 1214 code civil belge; art. 1299 c.c.), i contraenti che abbiano preso le misure necessarie per eseguire il lavoro della parte inadempiente, potranno agire in regresso contro detta parte per le spese non rimborsate dalla Commissione e potranno, altresì agire, per il risarcimento del danno. 14.5. Indivisibilità della prestazione. – Nei confronti del creditore (cfr. gli artt.

1217 e 1218 code civil belge), e cioè dell’istituzione finanziatrice, la prestazione principale si può considerare indivisibile. Da quanto detto nei paragrafi prece-denti, infatti, l’attività prevista, in linea di principio, non può essere realizzata in modo parziale, a meno che ciò non sia accordato dall’istituzione finanziatrice.

L’indivisibilità della prestazione non osta che ciascun contraente principale, nei rapporti interni, sia responsabile per la propria parte del progetto, così come individuata nell’allegato I o nel Consortium Agreement (cfr. art. 1213 code civil belge).

Page 652: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 626

15. — Le obbligazioni dell’istituzione finanziatrice. 15.1. Il prezzo e il contributo. – Per il contratto tipo, l’obbligazione principale

dell’istituzione consiste nel pagare una somma di denaro agli altri contraenti. Negli appalti la somma di denaro è denominato “prezzo”. Il prezzo è de-

terminato durante la fase di formazione del contratto. È posto a carico del con-traente l’obbligo di verificare che il prezzo proposto sia adeguato all’adempi-mento delle obbligazioni previste (v. la clausola “Sufficency of the tender price”, per esempio nell’art. 18 gen. cond. work contracts).

Il bando deve stabilire se il prezzo dell’appalto può essere soggetto a revi-sione e le modalità per effettuare tali modifiche (art. 132, par. 2, regolamento 2342/2002). In questo caso si deve tenere conto della natura dell’appalto e della congiuntura economica nella quale sarà eseguito; della natura e della durata dei compiti e dell’appalto; degli interessi finanziari dell’istituzione finanziatrice.

Nel caso delle sovvenzioni, come si è accennato, l’istituzione finanziatrice paga un “contributo”, calcolato sulla base di una percentuale applicata al valore dei costi ammissibili, con i limiti massimi stabiliti dal contratto.

Da quanto detto, le differenze tra prezzo dell’appalto e contributo nelle sovvenzioni sono soprattutto due.

Il prezzo, seppure determinato con riferimento alla clausola di “Sufficency”, viene pagato senza riferimenti ai costi effettivamente sostenuti. Nelle sovven-zioni, al contrario, per ottenere il pagamento del contributo è necessario dimo-strare i costi effettivamente sostenuti.

Il prezzo negli appalti, inoltre, viene normalmente calcolato tenendo conto del profitto del contraente. Il contributo delle sovvenzioni, come si è visto, deve assicurare il cofinanziamento del beneficiario e l’assenza di profitto.

15.2. Modalità di pagamento. – Il pagamento delle somme dovute dalla Com-

missione viene effettuata in euro, accreditando il relativo importo sul conto cor-rente del beneficiario o, nel caso di più contraenti, del coordinatore. Nei con-tratti sono precisate, a riguardo, le coordinate bancarie del percettore del paga-mento. Le spese di pagamento sono solitamente a carico del beneficiario.

I pagamenti sono effettuati secondo un calendario, stabilito dal contratto, che prevede in un primo tempo un “pre-finanziamento”, e cioè un anticipo. Successivamente vengono pagate le altre tranches, previo accertamento dell’ese-cuzione dell’attività prevista; nel caso delle sovvenzioni l’istituzione finanziatrice dovrà, inoltre, verificare la presentazione dei rendiconti finanziari.

Page 653: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 627

15.3. Caratteri dell’obbligazione dell’istituzione finanziatrice. – La principale obbli-gazione dell’ente finanziatore, come si è visto, consiste nel pagamento di una somma di denaro. Questa circostanza permette di qualificare tale obbligazione come “pecuniaria”. La qualifica di obbligazione pecuniaria comporta l’appli-cazione delle regole specifiche, approntate dall’ordinamento quali il principio nominalistico, la fecondità del denaro, l’applicazione degli interessi moratori, il divieto di anatocismo.

In virtù del principio nominalistico (prescritto, nel diritto italiano, dal pri-mo comma dell’art. 1277 c.c.; nel diritto belga tale principio si ricava dall’art. 1153 code civil belge), le obbligazioni pecuniarie si estinguono in conformità del valore nominale della moneta, anche se il potere di acquisto della moneta si modi-fica nel lasso di tempo che va dal sorgere dell’obbligazione all’adempimento della medesima. Il debito dell’ente finanziatore è pertanto un debito di valuta e non di valore, in quanto esso dovrà essere estinto nella quantità di euro predeterminata, indipendentemente dal valore della divisa europea al momento del pagamento (in rapporto, per esempio, alle altre monete).

La legge italiana prescrive che i crediti in denaro liquidi ed esigibili produ-cano interessi di pieno diritto (art. 1282 c.c.). Tale principio appare valido per il diritto belga e si ricava, per esempio, dalla disciplina delle obbligazioni condi-zionali (artt. 1168 ss. code civil belge). Un credito è liquido se determinato nel suo ammontare, mentre è esigibile, quando non è “soggetto a condizione sospensiva né a termine in favore del debitore”73. Il debito dell’ente finanziatore è liquido ed esigibile dai beneficiari, una volta approvati i rendiconti finanziari relativi ad un dato periodo. Da quel momento l’ente finanziatore dovrà corrispondere un interesse e secondo le modalità previste dalla base giuridica o dal diritto generale.

In caso di inadempimento di una obbligazione pecuniaria, l’art. 1153 code ci-vil belge (così come l’art. 1224 c.c.) prescrive che il debitore deve corrispondere un interesse dal giorno della messa in mora, e cioè dal giorno in cui riceva l’intimazione di pagare, inviata dal creditore (artt. 1139 e 1153, 3° comma, code civil belge; cfr. art. 1219 c.c.). Il tasso di interesse sarà quello legale, oppure quello stabilito dalla parti se più alto. Dal momento che il contratto di ricerca stabilisce un tasso di interesse probabilmente più alto del tasso legale oggi vigente, si ap-plicherà il tasso contrattuale. Questo interesse ha la funzione di risarcire il dan-no sopportato dal creditore, indipendentemente dalla circostanza se il creditore dimostri l’esistenza e l’entità del danno (art. 1153, 2° comma, code civil belge). La

——— 73 C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 4, L’obbligazione, cit., p. 184.

Page 654: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 628

prova del danno sarà necessaria soltanto qualora il creditore voglia dimostrare di aver subito un danno più alto di quello risarcito dall’interesse. Per il codice Na-poleone, il maggior danno può essere richiesto se vi è dolo del debitore (art. 1153, 4° comma, code civil ).

L’altro principio vigente nella disciplina delle obbligazioni pecuniarie è il divieto di capitalizzazione (“anatocismo” nel linguaggio legale italiano), e cioè il divieto di calcolo di interessi su interessi scaduti (art. 1154 code civil; cfr. art. 1283 c.c.), tranne in qualche caso.

15.4. Le altre obbligazioni dell’istituzione finanziatrice. – Oltre all’obbligazione

principale di effettuare il pagamento, la Commissione deve esercitare alcuni po-teri, che attengono alla sua funzione istituzionale, come la tutela degli interesse finanziari della Comunità.

La Commissione, come si è visto nei paragrafi precedenti, ha quindi il pote-re di controllare, da parte dei beneficiari, il rispetto della base giuridica del pro-gramma. In particolare l’istituzione finanziatrice ha il potere di esaminare le re-lazioni periodiche, tecniche e finanziarie, dei beneficiari. Tali poteri vanno eser-citati in coerenza con i principi dell’ordinamento comunitario.

La giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare, ritiene che il con-trollo delle relazioni debba rispettare l’obbligo di motivazione: “la Commissione non può rifiutare l'approvazione di elaborati o di rendiconti di spese senza giu-stificare in modo dettagliato in cosa consistono le deficienze di tali elaborati. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il carattere specifico del con-tratto, attinente al fatto che esso rappresenta un contratto il cui oggetto è quello di erogare sovvenzioni che non comportano una vera e propria contropartita per la detta istituzione, non ha l’effetto di conferire a quest’ultima un potere di-screzionale in ordine all’accettazione degli elaborati. Come rilevato a giusto tito-lo dall'avvocato generale … per conferire alla Commissione poteri decisionali di così ampio respiro, sarebbe stato necessario prevedere nel contratto delle clau-sole in tal senso”74.

16. — Termini temporali del contratto. 16.1. Durata del contratto e del progetto. – I contratti di attuazione dei pro-

——— 74 Corte di Giustizia 17 marzo 2005, C-294/02, Commissione /AMI Semiconductor Belgium e altri, cit.

Page 655: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 629

grammi comunitari sono contratti di durata. Le prestazioni del beneficiario si svolgono nel tempo necessario (solitamente anche diversi anni) ad eseguire il progetto, a fornire un servizio, a realizzare un opera.

La durata è rilevante, tra l’altro, in caso di scioglimento del contratto. Gli effetti della fine del contratto, pertanto, non riguardano le prestazioni rese pri-ma dell’evento che conduce allo scioglimento del contratto (cfr. art. 1458 c.c.).

Gli effetti del contratto cominciano a decorrere dalla stipula75 e permango-no fino al momento in cui le obbligazioni delle parti contraenti siano state a-dempiute. Il termine finale del contratto viene pertanto determinato tenendo conto non solo della fine della durata del progetto, ma anche dei termini con-cessi ai contraenti per consegnare all’istituzione tutte le relazioni, nonché dei termini necessari per l’approvazione di tali relazioni e per il pagamento finale. La fine del contratto, in ogni modo, può intervenire anche per altre cause, di-verse dall’esecuzione degli obblighi delle parti, come nei casi di risoluzione per inadempimento o impossibilità sopravvenuta76.

Anche quando il contratto non è più in vigore, alcune disposizioni conti-nuano ad applicarsi, come quelle relative alla proprietà intellettuale e industriale, le disposizioni sui controlli e le sanzioni, nonché quelle riguardanti la consegna delle relazioni, la riservatezza.

Nell’ambito della durata del contratto, il contratto tipo individua il periodo di durata del progetto (nelle sovvenzioni, cfr. art. I.2, par. 2) o di esecuzione (come si usa dire negli appalti, cfr. art. I.2, par. 2, service contract). Si tratta del pe-riodo in cui devono essere realizzate le attività descritte negli allegati tecnici.

Per quanto riguarda le sovvenzioni, soltanto durante questo periodo di tempo i contraenti sono legittimati a sostenere i costi eleggibili (in base al prin-cipio di competenza temporale), fatta eccezione per i casi espressamente previsti.

Il termine iniziale della realizzazione dell’attività può essere determinato in diversi modi, come, per esempio: il primo giorno del mese successivo alla firma da parte della Commissione; una data di inizio prefissata; la data della firma del contratto; una data successivamente stabilita dalla Commissione, e così via. La durata del progetto è solitamente espressa in un numero di mesi a partire dalla data di inizio.

Nel caso in cui si stabilisca l’inizio del progetto ad una data fissa, qualora il ———

75 V. retro, § 10.5. 76 V. infra, § 18. 77 In pratica si tratta soltanto dei costi per la redazione delle relazioni, sostenuti entro 45 giorni

dalla fine del progetto.

Page 656: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 630

contratto sia firmato dopo tale data, gli effetti retroagiscono al momento di ini-zio del progetto.

16.2. Il computo del tempo nel diritto comunitario. – Il computo del tempo nel

contratto con la Commissione, avviene tenendo conto della disciplina comuni-taria vigente, ed in particolare del regolamento n. 1182/71 del Consiglio, del 3 giugno 1971, che stabilisce le norme applicabili ai periodi di tempo, alle date e ai termini.

In particolare le regole rilevanti, ai fini del computo del tempo, sono le se-guenti:

a) Termine iniziale. Se un periodo di tempo espresso in giorni, in settimane, in mesi o in anni deve essere calcolato a partire dal momento in cui si verifica un evento o si compie un atto , il giorno nel corso del quale si verifica tale evento o si compie tale at-to non è computato nel periodo (art. 3, par. 1, c. 2). b) Termine finale. Un periodo di tempo espresso in giorni comincia a decorrere all'i-nizio della prima ora del primo giorno e termina con lo spirare dell'ultima ora dell'ulti-mo giorno del periodo. Un periodo di tempo espresso in settimane, in mesi o in anni comincia a decorrere all’inizio della prima ora del primo giorno del periodo e termina con lo spirare dell’ultima ora del giorno che, nell’ultima settimana, nell’ultimo mese o nell’ultimo anno, porta la stessa denominazione o lo stesso numero del giorno iniziale. Se in un periodo di tempo espresso in mesi o in anni il giorno determinante per la sca-denza manca nell’ultimo mese , il periodo di tempo termina con lo spirare dell'ultimo giorno di detto mese (art. 3, par. 2, lett. b e c). c) Termine finale festivo. Se l’ultimo giorno del periodo di tempo, espresso non in ore, è un giorno festivo, una domenica o un sabato, il periodo di tempo termina con lo spirare dell’ultima ora del giorno lavorativo successivo. Questa disposizione non si ap-plica ai periodi di tempo calcolati retroattivamente a partire da una data o da un evento determinato (art. 3, par. 4). d) Luogo del termine finale. Per determinare se il termine finale è un giorno festivo, occorre far riferimento a “tutti i giorni previsti come tali nello Stato membro presso il quale o nell’istituzione delle Comunità presso la quale un atto deve essere compiuto. A tale scopo ciascuno Stato membro comunica alla Commissione l’elenco dei giorni pre-visti come festivi dalla propria legislazione. La Commissione pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee gli elenchi comunicati dagli Stati membri, completati con l’indicazione dei giorni previsti come festivi nelle istituzioni delle Comunità” (art. 1, par. 1). e) Giorni compresi nel periodo. I periodi di tempo comprendono i giorni: festivi , le domeniche e i sabati, salvo che questi ne siano espressamente esclusi o che i periodi di tempo siano espressi in giorni lavorativi (art. 3, par. 3).

Page 657: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 631

Il tempo viene computato in coerenza con altre disposizioni, ed in partico-lare con la clausola della legge nazionale applicabile ed il luogo di stipula del contratto.

17. — Proprietà industriale e intellettuale e uso dei segni distintivi della Comunità. 17.1. Diritti sui risultati. – Nel capitolo 3 della parte I, facendo riferimento ai

beni secondo la concezione del diritto privato comunitario, si è parlato della di-sciplina dei “beni immateriali”.

Come si è accennato, i beni immateriali sono considerati come “risultati” dell’attività di ricerca e di altre attività creative. Queste attività costituiscono spesso l’oggetto dei contratti per l’attuazione dei programmi comunitari.

È per questo motivo che tali contratti contengono alcune regole riguardanti i diritti sui risultati.

Negli appalti solitamente la regola è che i risultati dell’attività svolta sono di proprietà dell’istituzione finanziatrice.

Le sovvenzioni presentano regole più articolate. In generale, la proprietà dei risultati è attribuita al beneficiario o ai benefi-

ciari (art. II.3, par. 1, contratto per le sovvenzioni). La Commissione, tuttavia, si riserva un diritto di godimento gratuito dei risultati, fati salvi gli obblighi della riservatezza ed il rispetto dei preesistenti diritti di proprietà industriale e intellet-tuale (art. II.3, par. 2).

In alcuni programmi comunitari, inoltre, la disciplina è ancora più dettaglia-ta; come accade, in modo particolare, nei Programmi Quadro di Ricerca e Svi-luppo Tecnologico78. Nel Sesto Programma Quadro, per esempio, la proprietà sui risultati spetta alla Comunità quando essi sono prodotti nell’ambito delle a-zioni dirette di ricerca e cioè quelle condotte dal Centro Comune di Ricerca, che è una struttura della Commissione che svolge attività di ricerca. Il regolamento 2321/2002 prevede, inoltre, che la proprietà sui risultati è attribuita alla Comu-nità nel caso di azioni indirette (art. 21, par. 2, regolamento 2321/2002), realiz-zate attraverso lo strumento delle azioni di supporto specifico (SSA); quando la Commissione ha adottato le procedure previste dal regolamento 1605/2002 per gli appalti; nel caso in cui i risultati derivano dall’attività degli esperti, nominati

——— 78 V. più diffusamente R.CIPPITANI, L. FULCI, I programmi comunitari per la ricerca e l’innovazione: il con-

tratto e le regole di partecipazione, Perugia, 2007, p. 213 ss.

Page 658: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 632

dalla Commissione, per assistere questa nelle valutazioni, nei controlli e in gene-rale nell’attuazione della politica di ricerca (v. l’art. 11, regolamento 2321/2002).

Nell’attuazione delle azioni indirette, la proprietà sui risultati spetta invece ai beneficiari, coinvolti nella ricerca (art. 21, par. 2, secondo periodo, del rego-lamento 2321/2002 e come ribadito dall’art. II.32, par. 1, del contratto tipo per il Sesto Programma Quadro). I contraenti che non sono proprietari dei risultati hanno però un diritto di accesso (e cioè un diritto di godimento) sui risultati, al fine di svolgere la ricerca del progetto e per sfruttare economicamente i propri risultati.

Nei contratti tipo, inoltre, è previsto che i contraenti adottino clausole con-trattuali e le altre misure necessarie affinché i rapporti con gli ausiliari (dipen-denti, collaboratori, subcontraenti, fornitori) e gli altri terzi non impediscano l’applicazione della disciplina sui risultati.

17.2. L’utilizzo dei segni dell’Unione europea. – Come si è detto sopra, i benefi-

ciari hanno l’obbligo di dare visibilità al finanziamento comunitario della loro attività.

Questo implica soprattutto l’utilizzo dei segni distintivi dell’Unione euro-pea. Si tratta, in particolare, dell’emblema dell’Unione (e cioè delle dodici stelle dorate disposte in circolo su sfondo blu)79, degli emblemi delle istituzioni co-munitarie, degli altri simboli, come quelli identificativi degli specifici programmi. Questi segni devono essere utilizzati rispettando le specifiche tecniche relative ai colori e alle forme80 e il loro uso “non deve creare confusione tra l’utilizzatore e l’Unione europea o il Consiglio d’Europa; non deve essere legato ad obiettivi o attività incompatibili con i principi e gli scopi dell’Unione europea e del Consi-glio d’Europa”81.

L’utilizzo dei segni comunitari è soggetto ad autorizzazione scritta, a meno che il contratto o la base giuridica del programma comunitario prevedano diver-samente. L’autorizzazione va rivolta al funzionario della Commissione che si occupa del progetto o ai competenti servizi della Commissione82. L’autorizza-zione deve essere concessa in modo esplicito83.

——— 79 Cfr. l’art. IV-1 della Costituzione per l’Europa, comma 1, per il quale “La bandiera dell’Unione

rappresenta un cerchio di dodici stelle dorate su sfondo blu”. 80 Per l’emblema dell’Unione, v. le specifiche tecniche all’indirizzo: http://europa.eu.int. 81 V. il paragrafo “Uso da parte di terzi” all’indirizzo: http://europa.eu.int. 82 V., il documento della Commissione, Guide to Intellectual Property Rights for FP6 projects, versione

del 17 marzo 2003, paragrafo 3, ANNEX I – USE OF THE EUROPEAN UNION EMBLEM, che rinvia al se-

Page 659: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 633

Come è specificato in qualche contratto tipo (v. art. II.12, contratto tipo Sesto Programma Quadro, ma si tratta dell’applicazione di una regola generale), l’utilizzo dell’emblema dell’Unione o degli altri segni distintivi non consente l’acquisto della proprietà o di diritto esclusivi su di essi84.

SEZIONE IV - LA PATOLOGIA DEL CONTRATTO TRA ISTITUZIONE ATTUATRICE E BENEFICIARI

18. — La fine del contratto prima della completa esecuzione. 18.1. Introduzione. – Il contratto per l’attuazione del programma può termi-

nare prima che la Commissione e i contraenti abbiano eseguito correttamente tutte le loro obbligazioni.

Nelle varie ipotesi in cui si verifica la fine anticipata del contratto, i contrat-ti tipo utilizzano l’espressione “risoluzione”. In realtà vengono prese in conside-razione fattispecie che, negli ordinamenti nazionali e nella prassi contrattuale, sono qualificate in modo diverso, come recesso, risoluzione per inadempimen-to, risoluzione per forza maggiore, e così via.

In generale, il contratto tipo si occupa principalmente di disciplinare le di-verse fattispecie di risoluzione dal punto di vista dell’esercizio delle attribuzioni della Commissione: da un lato si prevede il potere della Commissione di acco-gliere la richiesta di risoluzione del contraente; dall’altro si regola il diritto della Commissione di risolvere il contratto nel caso di inadempimento o impossibilità sopravvenuta di uno o più contraenti.

Nulla viene invece stabilito con riferimento agli effetti che la risoluzione del contratto avrà nel rapporto tra i contraenti, oppure con riguardo alla respon-

——— guente indirizzo: The Services of the Commission (Secretariat-General) Directorate “Coordination I”, Rue de la Loi 200, 1049 Bruxelles, Tel.: (+32 2) 29 531 69 - 29 626 26; Fax: (+32 2) 29 588 69); e-mail: [email protected].

83 Come specificato nei documenti ufficiali della Commissione europea (http://europa.eu.int.): “O-gni caso sarà esaminato individualmente per verificare il rispetto dei … requisiti”.

84 Questo in applicazione così come previsto dall’art. 6-ter della Convenzione di Parigi per la pro-tezione della proprietà industriale”, sopra citata, che stabilisce: “(a) The countries … agree to refuse or to invalidate the registration, and to prohibit by appropriate measures the use, without authorisation by the competent au-thorities, either as trademarks or as elements of trademarks, of armorial bearings, flags, and other State emblems, of the countries …, and any imitation from a heraldic point of view. (b) The provisions of subparagraph (a), above, shall apply equally to armorial bearings, flags, other emblems, abbreviations, and names, of international intergovernmental organisations”.

Page 660: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 634

sabilità reciproca di quest’ultimi; raramente viene disciplinata un’azione di riso-luzione dei contraenti nei confronti della Commissione.

Visto il particolare ruolo della Commissione nella procedura di risoluzione, è appena il caso di ricordare che l’esecutivo comunitario dovrà rispettare i prin-cipi che regolano la sua azione, anche in materia contrattuale, come l’obbligo di motivazione85. Non è pertanto ammissibile, per esempio, la risoluzione unilate-rale del contratto, con riferimento ad un contraente o all’intero partenariato senza una motivazione fondata e chiaramente esplicata.

Il dato comune alle diverse ipotesi di risoluzione è lo scioglimento del vin-colo contrattuale, ma sono disciplinate differentemente le modalità e le conse-guenze di detto scioglimento.

18.2. L’inadempimento. – Come si è visto nei paragrafi precedenti, il contratto

con la Commissione è fonte, per le parti contraenti, di diverse obbligazioni. Si può verificare l’ipotesi che dette obbligazioni non vengono adempiute.

L’inadempimento delle obbligazioni, e cioè la mancata esecuzione nei modi stabiliti dal contratto e dalla base giuridica, può essere imputabile o meno ai contraenti.

L’inadempimento è imputabile, di regola, in base al principio di colpevo-lezza, e cioè in tutti quei casi in cui il debitore non riesca a dimostrare “che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della presta-zione derivante da causa a lui non imputabile” (art. 1218 c.c.; dello stesso tenore l’art. 1147 code civile belge).

L’inadempimento è imputabile, quando dipende da “colpa” o da “dolo”. L’inadempimento è colposo quando è determinato da “negligenza o im-

prudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (cfr. la definizione di colpa di cui art. 43 c.p.).

L’inadempimento è fondato sul dolo, quando è voluto come conseguenza della propria azione o omissione (cfr. la definizione di dolo contenuta nell’art. 43 c.p.).

In diritto civile non mancano, quando specificamente previste dalla legge, anche ipotesi di responsabilità oggettiva, in cui si prescinde dalla ricerca della colpevolezza. È il caso, ricorrente nelle obbligazioni derivanti da contratti, dell’inadempimento prodotto per il comportamento degli ausiliari, siano essi di-pendenti o collaboratori del debitore.

——— 85 V. quanto accennato retro, § 9.4.

Page 661: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 635

Secondo le regole generali, l’inadempimento è rilevante quando non è di scarsa importanza (cfr. art. 1455 c.c.). In alcuni casi il contratto qualifica già al-cune fattispecie di inadempimento come importanti, mentre negli altri casi la va-lutazione va effettuata caso per caso.

18.3. La forza maggiore. – L’inadempimento può verificarsi anche senza che

esso sia imputabile al debitore, e cioè per forza maggiore o per un caso fortuito (art. 1148 code civile belge; cfr. artt. 1256 ss. c.c.86). Il concetto di forza maggiore è ampiamente utilizzato nella giurisprudenza comunitaria, come anche si è ricor-dato nel capitolo 4 della parte I. Nei contratti tipo, in modo specifico, la forza maggiore è “ogni situazione o evento imprevedibile ed eccezionale, indipenden-te dalla volontà delle parti della convenzione e non attribuibile a una loro colpa o negligenza, che impedisca a una delle parti della convenzione di adempiere a uno degli obblighi della convenzione stessa, senza possibilità di ovviare a tale impedimento nonostante tutta la diligenza dispiegata” (v. art. II.8, par. 1, con-tratto per le sovvenzioni). Si tratta, in particolare, di eventi come, per esempio (l’elencazione è indicativa): “acts of God, strikes, lock-outs or other industrial distur-bances, acts of the public enemy, wars whether declared or not, blockades, insurrection, riots, epidemics, landslides, earthquakes, storms, lightning, floods, washouts, civil disturbances, ex-plosions” (art. 63, par. 2, gen.cond. work contracts).

Non possono considerarsi eventi di forza maggiore, difficoltà di carattere economico o tecnico che riguardano il contraente e non l’esecuzione del proget-to87. In alcuni casi i contratti contengono una elencazione di queste ipotesi: “manchevolezze o ritardi (se non derivano da un caso di forza maggiore) nell'a-vere a disposizione attrezzature o materiali, vertenze di lavoro, scioperi o diffi-coltà finanziarie” (art. II.8, par. 1). Elenchi di questo genere non contengono una presunzione assoluta di esclusione della forza maggiore; il che emerge dalla stessa lettera della disposizione e dalla circostanza che alcune ipotesi, come gli scioperi, sono considerate in modo diverso a seconda dei contratti tipo (cfr. ap-punto l’art. II.8, par. 1 e l’art. 63, par. 2). È sempre possibile dimostrare, pertan-to, che gli eventi sopra citati abbiano i caratteri della forza maggiore.

Nel caso di forza maggiore, il debitore non è considerato inadempiente, ed quindi è liberato dalle obbligazioni interessate dall’evento, senza essere obbliga-to al risarcimento del danno.

——— 86 Sul concetto di forza maggiore nel diritto comunitario, v., tra gli altri, R.E. PAPADOPOULOU,

Principes généraux du droit et droit communautaire, cit., p. 272 ss. 87 Corte di giustizia, Commissione/Hitesys, C-356/99, Racc. 2000, p. I-9537.

Page 662: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 636

In alcuni contratti tipo, comunque, è posto a carico della parte che non e-segue la prestazione per causa di forza maggiore, l’obbligo di ridurre al minimo i danni che potrebbero derivare all’altra parte (art. II.8, par. 3, contratto per le sovvenzioni).

18.4. Procedure di risoluzione. – Il contratto tipo regola le fattispecie risolutorie

in modo diverso a seconda di chi ha dato origine alla risoluzione del contratto, e cioè, in particolare, se la risoluzione è stata decisa autonomamente dalla Com-missione o se è stata richiesta dai contraenti.

A) Risoluzione richiesta dal beneficiario. Nelle sovvenzioni il beneficiario può chiedere di sciogliersi dal vincolo con-

trattuale. La richiesta deve essere motivata e rivolta per iscritto alla Commissione,

con un preavviso di almeno sessanta giorni (art. II.11, par. 1). Nel caso in cui la Commissione consideri ammissibili le motivazioni del contraente, provvede ad accettare formalmente la risoluzione e a pagare gli importi per i costi sostenuti fino alla data in cui la risoluzione ha effetto.

La Commissione può non ritenere valida la motivazione addotta e conside-rare la risoluzione “abusiva”. In questo caso si applicheranno le sanzioni con-trattuali ed eventualmente amministrative88.

Nei contratti di appalto, spesso è prevista una clausola risolutiva espressa in favore del contraente (v., per esempio, art. 62 gen.cond. work contracts).

La risoluzione è ammessa quando la Commissione non adempie all’obbli-gazione di pagare gli stati di avanzamento dei lavori, oppure non adempie le al-tre obbligazioni, dopo ripetute richieste da parte del contraente; oppure nel caso la Commissione sospenda i lavori senza motivo, dopo che è trascorso il periodo minimo specificato dal contratto.

B) Risoluzione decisa dalla Commissione. I contratti tipo contengono una clausola risolutiva espressa in favore della

Commissione, nel caso di inadempimento delle obbligazioni che incombono sul contraente (cfr. art. 1456 c.c.; nel diritto franco-belga, in generale, si ammette la cosiddetta “clause résolutoire de plein droit”, anche se il code non ne parla espressa-mente). In virtù di questa clausola la risoluzione opera dal momento in cui la parte interessata, constatato l’inadempimento o l’impossibilità, dichiari di voler

——— 88 V. infra, § 19.

Page 663: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 637

risolvere dal contratto. Questo non significa che i presupposti della risoluzione sono sottratti al controllo del giudice, ma che la parte interessata può sciogliersi dal vincolo contrattuale, e pertanto dalle sue obbligazioni, anche prima che av-venga tale controllo. Il giudice dovrà limitarsi ad accertare l’esistenza dei pre-supposti per la risoluzione con una sentenza dichiarativa e non costitutiva.

Nel caso dei contratti di sovvenzione i presupposti per applicare la clausola risolutiva riguardano i casi di inadempimento – in particolare, nel caso il contra-ente abbia commesso frode o comunque gravi irregolarità finanziarie –; nell’ipotesi di modifica delle caratteristiche del contraente (modifiche della for-ma o dell’organizzazione, tali da ripercuotersi nei rapporti con la Commissione, fallimento o altre procedure concorsuali) (art. II.11, par. 2).

La procedura di risoluzione viene azionata da una lettera della Commissio-ne (cfr. art. II.11, par. 3). Nelle ipotesi di inadempimento o mutamento delle ca-ratteristiche del contraente, questi è tenuto a “presentare le proprie osservazioni e… prendere gli eventuali provvedimenti necessari per assicurare la continuità del rispetto degli obblighi impostigli” (art. II.11, par. 3). La lettera della Com-missione, in questi casi, può essere considerata una sorta di diffida ad adempie-re89 (cfr. art. 1454 c.c.). Nel caso in cui la Commissione non accetti, per iscritto, le osservazioni e le proposte del beneficiario, il contratto si scioglie90. Nelle altre ipotesi, la risoluzione opera di diritto.

Anche nel caso di risoluzione richiesta dalla Commissione, è comunque riconosciuto un rimborso delle spese utilmente sostenute per il progetto fino alla risoluzione, a meno di gravi inadempimenti (art. II.11, par. 7).

Analoghe previsioni, riguardanti la disciplina della risoluzione, sono conte-nute nei contratti tipo per gli appalti (v., per esempio, l’art. 61 gen.cond. work con-tracts).

C) Risoluzione per forza maggiore. I contratti tipo prevedono alcuni obblighi in capo alla parte che non esegue

l’obbligazione a causa di forza maggiore. Innanzitutto la parte interessata ha l’onere di avvisare l’altra parte, “senza

indugio”, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento “precisando

——— 89 Per un esempio di diffida ad adempiere da parte della Commissione, v. Corte di giustizia, 10

giugno 1999, Commissione/Comune di Valmontorio al Vomano, C-334/97, Racc. 1999,p. I-3387. 90 V. però quanto affermato dall’avvocato generale Alber nella causa Commissione/ Oder-Plan Archi-

tektur GmbH e altri, C-77/99, cit. (punto 66), per il quale l’intimazione ad adempiere è superflua quando la condotta delle parti è tale da escludere la volontà di continuare l’esecuzione del contratto.

Page 664: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 638

la natura, la durata probabile e gli effetti prevedibili” dell’evento (art. II.8, par. 2; cfr. anche l’art. 63, par. 4, gen. cond. work contracts).

La legge prevede alcune conseguenze per il soggetto inadempiente, in quanto, come è stato osservato “gli sono preclusi i vantaggi che hanno fonda-mento nell’esatta esecuzione della prestazione (ad es., non può pretendere in tutto o in parte la controprestazione)”91. In particolare potrà essere richiesta la risoluzione del contratto (v. il rimedio della risoluzione per impossibilità so-pravvenuta, artt. 1463 ss. c.c.).

I contratti tipo prevedono che, se la forza maggiore comporta un impedi-mento solo temporaneo, l’esecuzione del contratti può essere sospesa e ripresa quando l’impedimento è terminato. In questi casi il contratto è prorogato per il tempo corrispondente all’impedimento (art. II.7, par. 2). In ogni modo la pro-roga del contratto, e le eventuali ulteriori variazioni necessarie, devono essere approvate secondo la procedura prevista per le modifiche (v. il precedente para-grafo 10.6).

Nelle sovvenzioni, se la parte colpita da forza maggiore è il beneficiario (che è poi l’ipotesi più comune), la Commissione può risolvere il contratto qualora l’impedimento si protrae per un tempo considerato eccessivo (art. II.7, par. 2).

Negli appalti, si prevede solitamente un tempo di sospensione, oltre il quale ciascuna delle parti, quindi anche il contraente diverso dall’istituzione finanzia-trice, può risolvere il contratto (art. 63, par. 5).

——— 91 C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 5, La responsabilità, Milano, 1997, p. 11. 92 Sul concetto di forza maggiore nel diritto comunitario, v., tra gli altri, R.E. PAPADOPOULOU,

Principes généraux du droit et droit communautaire, cit., p. 272 ss. 93 Corte di Giustizia, sentenza del 17 dicembre 1970, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und

Futtermittel / Köster, 25-70, Racc. p. 1161. Conformi: Corte di Giustizia, sentenza del 28 maggio 1974, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Pfützenreuther, 3-74, Racc. p. 589; Id. sentenza del 30 maggio 1984, Ferriera Vittoria/Commissione, 224/83, Racc. p. 2349, punto 13; Id. sentenza del 12 luglio 1984, Ferriera Valsabbia/ Commissione, 209/83, Racc. p. 3089, cfr. cpv. 21; Id. sentenza del 17 settembre 1987, Commissione/Grecia, 70/86, Racc. p. 3545, punto 8; Id. sentenza del 27 ottobre 1987, Theodorakis /Grecia, 109/86, Racc. p. 4319, punto 7; Id. sentenza del 8 marzo 1988, McNicholl / Minister for Agricolture, 296/86, Racc. p. 1491, punto 11; Id. sentenza del 10 luglio 1990, Grecia/Commissione, C-335/87, Racc. p. I-2875, punto 22; Id. sentenza del 22 gennaio 1986, Denka-vit France / FORMA, 266/84, Racc. p. 149, cav. 27; Id. del 5 febbraio 1987, Denkavit / Stato belga, 145/85, Racc. p. 565, punto 11.

94 Corte di Giustizia, sentenza del 17 dicembre 1970, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Köster, 25-70, Racc. p. 1161; Id. sentenza del 28 maggio 1974, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel / Pfützenreuther 3-74, Racc. p. 589.

Page 665: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 639

19. — Sanzioni e Controlli. 19.1. Sanzioni. – L’ordinamento comunitario prevede diverse tipologie di

sanzioni, nel caso di violazione delle regole di partecipazione ai programmi co-munitari. Tali sanzioni possono essere raggruppate in due categorie: sanzioni contrattuali e sanzioni amministrative.

a) Sanzioni contrattuali La distinzione tra inadempimento imputabile e non imputabile sta nella di-

versità delle conseguenze, dato che solo nel primo caso il debitore è responsabi-le per il diritto civile95 e amministrativo.

La responsabilità civile fa sì che il soggetto inadempiente incorra nelle con-seguenze previste (dal contratto e dalla legge), e che i propri beni siano assog-gettati all’esecuzione del creditore (art. 2740 c.c.). In diritto civile la responsabilità del soggetto inadempiente ha uno scopo essenzialmente risarcitorio, in quanto de-stinata ad eliminare, per quanto possibile, la lesione del diritto del creditore. Le conseguenze, infatti, consistono nel risarcimento del danno subito (art. 1149 code civile belge; art. 1223 c.c.) e, eventualmente, nel ripristino della situazione anterio-re all’inadempimento. Un’ulteriore conseguenza della responsabilità, nel caso di obbligazioni di fonte negoziale, è quella dello scioglimento del contratto.

Nel caso di forza maggiore, come si è detto, il debitore non è responsabile ed è liberato dall’obbligazione, senza l’obbligo di risarcire il creditore. In questo caso l’inadempimento, anche se non imputabile, comporta la risoluzione del contratto (v. il rimedio della risoluzione per impossibilità sopravvenuta, artt. 1463 ss. c.c.).

Le sanzioni contrattuali sono collegate all’inadempimento delle obbligazio-ni derivanti dai contratti stipulati con la Commissione (o altra istituzione attua-trice).

In generale le sanzioni contrattuali, previste dai contratti tipo e dalla base giuridica dei programmi, sono costituite, oltre alla risoluzione del contratto, dal rimborso del contributo e dal risarcimento del danno.

Il rimborso (o la diminuzione del contributo) è una sanzione che riguarda soprattutto i beneficiari dei grant. Questi sono obbligati a restituire la sovvenzio-ne percepita (in tutto o in parte), qualora il progetto non è stato realizzato (in

——— 95 In questa sede non si parlerà delle altre forme di responsabilità in cui potrebbero incorrere le

parti nello svolgimento del contratto, come la responsabilità penale (v. per es. il reato di malversazione di cui all’art. 316-bis c.p.) o quella amministrativa.

Page 666: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 640

tutto o in parte), oppure i costi eleggibili sono totalmente o parzialmente consi-derati inammissibili96.

Il risarcimento del danno consiste nel pagamento di un indennizzo alla Commissione, oltre all’eventuale rimborso del contributo. Il risarcimento può essere preventivamente determinato per mezzo di un importo proporzionale al danno (c.d. liquidate damages) o attraverso una percentuale di interessi di mora (di solito calcolati con riferimento al tasso ufficiale della BCE, aumentato di alcuni punti percentuali); in altri casi il risarcimento del danno non è predeterminato, ma liquidato, eventualmente, dal giudice competente.

Il pagamento della somma dovuta e degli interessi di mora è anche la tecni-ca utilizzata nel caso di inadempimento dell’istituzione finanziatrice, a motivo del carattere essenzialmente pecuniario dell’obbligazione di questa.

b) Sanzioni amministrative Le sanzioni amministrative sono irrogate dalla Commissione europea, in

seguito alla violazione delle norme a tutela degli interessi finanziari della Comu-nità. Esse quindi non hanno una finalità risarcitoria, come le sanzioni contrat-tuali, ma colpiscono le condotte illegittime chiamate “irregolarità”. Per irregola-rità s’intende, ai sensi dell’art. 1 del regolamento 2988/1995, “qualsiasi violazio-ne di una disposizione del diritto comunitario derivante da un’azione od omis-sione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, at-traverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse pro-prie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita”.

Tra le irregolarità sanzionate sono previste, per esempio le false dichiara-zioni ed i gravi inadempimento contrattuali. Altre sanzioni sono previste dalla normativa che colpisce le ipotesi di frode.

Le sanzioni amministrative possono essere pecuniarie e non pecuniarie. Le sanzioni pecuniarie (c.d. penalties) sono pari ad una percentuale tra il 2% e il 10% del valore del contratto (le percentuali sono raddoppiate in caso di recidiva nel periodo di cinque anni dal primo inadempimento). Le sanzioni non pecuniarie ———

96 Questo ovviamente anche se sono state accettate le relazioni periodiche. L’accettazione di que-ste relazione è infatti sotto condizione di un possibile controllo entro il termine di decadenza previsto. Per giurisprudenza costante, infatti, il beneficiario di un contributo finanziario la cui domanda è stata approvata dalla Commissione non acquisisce, a questo titolo, alcun diritto definitivo al pagamento in-tegrale del contributo qualora non rispetti le condizioni alle quali l'aiuto era subordinato (sentenze del Tribunale 14 luglio 1997, causa T-81/95, Interhotel/Commissione, cit., punto 62; Id. 29 settembre 1999, Sonasa/Commissione, T-126/97, Racc. p. II-2793, punto 59). Questo ovviamente anche se sono state accettate le relazioni periodiche.

Page 667: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 641

possono consistere nell’esclusione del soggetto inadempiente dall’assegnazione di grant e di tender per certo numero di anni.

Alle sanzioni contrattuali e amministrative si possono aggiungere, nel caso del verificarsi dei relativi presupposti, anche sanzioni di tipo diverse, come quel-le penali, previste dagli ordinamenti nazionali.

19.2. Controlli. – Al fine di applicare le eventuale sanzioni contrattuali e

amministrative, il diritto comunitario prevede il potere di effettuare controlli da parte di istituzioni e altri organismi. Questi controlli devono essere iniziati entro un termine temporale, che solitamente è di cinque anni dalla fine dell’attività da compiere.

Il regolamento 1605/2002 contempla, prima di tutto, il potere di controllo della Commissione, che provvede direttamente con i propri servizi o per mezzo di altri soggetti (società di revisione, altri esperti di questioni finanziarie o tecni-che).

I controlli possono poi essere effettuati dall’Ufficio europeo di lotta anti-frode (OLAF), che può svolgere indagini, interne ed esterne all’amministrazione comunitaria, a tutela degli interessi comunitari, per accertare le ipotesi di frode97.

La Corte dei Conti, inoltre, nel quadro della sua funzione di istituzione di controllo contabile, può effettuare controlli sull’amministrazione comunitaria, ma anche sui soggetti beneficiari di contributi comunitari (v. soprattutto art. 248, par. 3, Trattato CE).

Oltre ai controlli effettuati dalle istituzioni comunitarie, inoltre, i beneficiari dei programmi sono assoggettati all’attività di verifica delle autorità nazionali, per l’applicazione delle relative norme penali e amministrative. Queste autorità nazionali, inoltre, hanno il dovere di collaborare con le istituzioni comunitarie, al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione.

Nel rispetto dei principi generali, i controlli e l’eventuale irrogazione delle sanzioni vanno effettuati, tenendo conto del diritto dei beneficiari di proporre le proporre le proprie osservazioni98.

——— 97 V. regolamento (CE) n. 1073/99 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999,

relativo alle indagini svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e regolamento (Euratom) n. 1074/99 del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF).

98 Cfr. Corte di giustizia, 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e altri, Racc. pag. I-5373, punto 21.

Page 668: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 642

19.3. Strumenti di tutela delle ragioni delle istituzioni attuatrici. – È opportuno ri-cordare gli strumenti, messi a disposizione della Commissione, per soddisfare le proprie ragioni, nel caso in cui si verifichino i presupposti per l’applicazione del-le sanzioni.

In particolare si ricorda che i provvedimenti della Commissione, che ri-chiedono il pagamento di una somma, sono “titoli esecutivi” (art. 258, c. 1, Trattato CE). Essi costituiscono pertanto titolo per l’inizio del procedimento esecutivo, previo il controllo meramente formale da parte dello stato membro (in Italia, da parte del Ministero degli affari esteri). Indipendentemente dall’in-serimento della “clausola compromissoria”, prevista dall’art. 238 (v. il successivo paragrafo 18.2), il giudice comunitario è competente in via esclusiva a sospendere l’esecuzione degli atti della Commissione (art. 256, 2° comma, Trattato CE).

La Commissione, inoltre, può ricorrere ad altri strumenti di soddisfazione delle proprie ragioni, quali “compensazione”, nel caso in cui “il debitore è titola-re di un credito certo, liquido e esigibile nei confronti delle Comunità” (art. 73, par. 1, c. 2, regolamento 1605/2002).

19.4. Prescrizione e decadenza. – Alle pretese creditorie della Commissione si

applica la regola della prescrizione99. Non sono termini di prescrizione del diritto di credito della Commissione,

quelli entro i quali si deve svolgere il controllo finanziario o tecnico. In questo caso, si tratta più propriamente di termini di decadenza (cfr. artt. 2964 ss.), che non possono essere interrotti. Spirato il termine previsto la Commissione non perde il suo diritto di credito, ma soltanto quello di procedere alla verifica con gli strumenti specificamente previsti100.

Per la giurisprudenza comunitaria, il termine di prescrizione serve per garantire la certezza del diritto e dovrebbe deve essere fissato previamente dal legislatore101, non potendo determinarsi in analogia con le leggi nazionali102. ———

99 Per l’art. 2934 c.c. “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”.

100 Cfr. Tribunale di primo grado, 17 settembre 2003, Stadtsportverband Neuss eV/Commisione, cit., punto 124.

101 V., in particolare, sentenze della Corte 15 luglio 1970, ACF Chemiefarma/Commissione, 41/69, Racc. pag. 661, punti 19 e 20, e Id. 14 luglio 1972, ICI/Commissione, 48/69, Racc. p. 619, punti 47 e 48; Tribunale di primo grado 17 ottobre 1991, De Compte/Parlamento, T-26/89, Racc. p. II-781, punto 68, e Id. 15 settembre 1998, BFM e EFIM/Commissione, cause riunite T-126/96 e T-127/96, Racc. p. II-3437, punto 67

102 V. la sentenza BFM e EFIM/Commissione, cit., punto 68. Si tenga presente, comunque, che nel caso della legge belga o italiana il termine di prescrizione ordinario che è di dieci anni (art. art. 2262-bis

Page 669: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 643

Generalmente, tuttavia, la disciplina dei programmi comunitari non prevede un termine di prescrizione per i crediti della Commissione.

In mancanza di un termine di prescrizione specifico, è necessario che la pretesa dell’istituzione sia esercitata entro termini ragionevoli sulla scorta delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie e, in particolare, del contesto in cui essa si inserisce, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità, nonché dell'interesse che riveste per le diverse parti interessate104.

20. — Responsabilità reciproca dei beneficiari. I contratti tipo per l’attuazione dei programmi comunitari non disciplinano

la responsabilità reciproca dei beneficiari. Per regolare questa materia è di fondamentale importanza stabilire

disposizioni più precise negli accordi integrativi tra beneficiari, ed in particolare del Consortium Agreement (v. successivamente).

In questo paragrafo si possono riassumere alcune ipotesi di inadempimento dei contraenti.

20.1. La responsabilità del coordinatore nei confronti degli altri contraenti. – La prima

forma di responsabilità è quella del coordinatore, in quanto mandatario degli altri contraenti.

Il coordinatore risponderà dei danni arrecati agli altri contraenti dal suo ina-dempimento. L’inadempimento del coordinatore, vista la sua posizione infatti, può facilmente determinare l’inadempimento dell’intero partenariato, con le con-seguenze patrimoniali negative di cui si è parlato.

Un particolare forma di responsabilità nei confronti dei contraenti, è quella derivante dal mancato trasferimento delle somme percepite dalla Commissione. In questo caso si applicano le norme sull’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ed in particolare quelle riguardanti l’applicazione degli interessi di mora. Se il Consortium Agreement nulla stabilisce al riguardo, il tasso di interesse ——— code civil belge; art. 2946 c.c.). Secondo le regole generali il termine può essere interrotto da qualsiasi “atto che valga a costituire in mora il debitore”, oltre che dalla proposizione di qualsiasi procedimento davanti il giudice competente (art. 2943 c.c.; dello stesso tenore art. 2244 code civil belge).

103 Cfr. Tribunale di primo grado, 17 settembre 2003, Stadtsportverband Neuss eV/Commisione, T-137/01, in Racc. 2003, p.II-3103, punto 124.

104 Tribunale di primo grado, 22 ottobre 1997, SCK e FNK/Commissione, cause riunite T-213/95 e T-18/96, Racc. p. II-1739, punto 57.

Page 670: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 644

moratorio applicato sarà quello legale, così come previsto dall’ordinamento ap-plicabile.

20.2. La responsabilità di ciascun contraente nei confronti degli altri. – Nei rapporti

tra i contraenti, si ritiene che siano configurabili almeno tre ipotesi di responsa-bilità per inadempimento.

In primo luogo, sorge una responsabilità del contraente nei confronti degli altri, nel caso di inadempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto con la Commissione. Questo inadempimento, come si è anticipato, comporta l’obbligo di tutti i contraenti di riparare al pregiudizio che ne deriva. In seguito, in applicazione della disciplina sulle obbligazioni solidali, i contraenti adempienti possono agire in regresso nei confronti di quelli che hanno determinato l’ina-dempimento.

Il contraente, inoltre, ha la responsabilità per i diritti eventualmente vantati dai terzi (principalmente dai dipendenti o dai subcontraenti) sui risultati del-l’attività di ricerca.

È ipotizzabile, infine, una responsabilità per l’inadempimento delle regole stabilite specificamente nel Consortium Agreement.

20.3. Conseguenze nel rapporto tra i contraenti. – L’inadempimento dei doveri del

coordinatore e quelli che incombono su ciascun contraente può avere conse-guenze nel rapporto con la Commissione e nel rapporto tra i contraenti stessi.

Le conseguenze di un eventuale inadempimento tra i contraenti possono non avere rilevanza nel rapporto con la Commissione europea. Questo dipende dalla natura dell’inadempimento o comunque dalla decisione dei contraenti.

Nei casi in cui i contraenti decidano, tuttavia, l’esclusione del contraente inadempiente, nonché nell’ipotesi che l’inadempimento comunque compromet-ta l’esecuzione delle obbligazioni dell’intero partenariato, le conseguenze incide-ranno nel rapporto con la Commissione. La Commissione medesima, in seguito all’esclusione di uno dei contraenti, potrebbe risolvere dall’intero contratto se l’apporto del contraente inadempiente fosse considerato essenziale.

21. — Responsabilità della Commissione. 21.1. Aspetti generali. – Come si è avuto modo di dire all’inizio del presente

capitolo, il contratto tipo è particolarmente attento a regolare lo scioglimento

Page 671: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 645

del rapporto per eventi riferibili ai contraenti e le sanzioni applicabili a questi ultimi. Il contratto non contiene invece una dettagliata disciplina della respon-sabilità della Commissione, né delle conseguenze di tale responsabilità, come la risoluzione e il risarcimento del danno.

Occorre, pertanto, far riferimento ai principi generali del diritto comunita-rio, in tema di responsabilità delle istituzioni, così come viene interpretato dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado.

Nel diritto comunitario le istituzioni possono incorrere nella responsabilità di tipo contrattuale (art. 238 e 288, c. 1, Trattato CE) ed extracontrattuale (artt. 235 e 288, c. 2, Trattato CE)105.

21.2. Responsabilità non contrattuale della Commissione. – La responsabilità extra-

contrattuale della Commissione si verifica nel caso di danni provocati nell’eser-cizio delle proprie funzioni istituzionali, e ciò indipendentemente dall’eventuale vincolo contrattuale con il soggetto danneggiato.

La giurisprudenza comunitaria ha individuato diverse fattispecie di respon-sabilità extracontrattuale, che possono applicarsi anche alla partecipazione ai programmi comunitari.

a) Responsabilità precontrattuale. Occorre osservare, innanzitutto, che la Commissione può incorrere nella re-

sponsabilità precontrattuale, durante il procedimento di formazione del contratto109. La Commissione, come si è detto, nel procedimento di aggiudicazione dei

grant e dei tender, deve agire in ossequio delle regole di “trasparenza” e di “parità di trattamento”110. ———

105 V. quanto detto retro, parte I, cap. 4. 106 Il danno è considerato effettivo se è certo e attuale, anche se non è stata esclusa la responsabili-

tà nel caso di danni prevedibili ed imminenti. Cfr., per esempio, Corte di Giustizia, sentenza del 2 giu-gno 1976, Kampffmeyer/Commissione e Consiglio, 56-60/74, Racc. p. 711.

107 La condotta illegittima può essere anche di tipo omissivo. V., per esempio, Corte di Giustizia, sentenza del 15 settembre 1994, Kydep/Consiglio e Commissione, C-146/91, Racc. I-4199.

108 Il nesso di causalità si verifica quando “existe un lien de cause à effet entre la faute commise par l'institution concernée et le préjudice invoqué”. Tribunale di primo grado, sentenza del 22 ottobre 1997, SCK et FNK / Commissione, T-213/95 e T-18/96, Racc. p. II-1739, punti 39, 98.

109 Il principio per il quale gli organi comunitari, possano incorrere in una responsabilità extracon-trattuale nel procedimento di formazione dei contratti, è affermato da una costante giurisprudenza del-la Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado. V., per esempio, il Tribunale di primo grado nella sentenza nella causa Embassy Limousines & Services/Parlamento europeo, cit.; Id, 29 ottobre 1998, Team Srl/Commissione, causa T-13/96, Racc. 1998, p. II-4073.

108 Cfr. gli art. 89 e 109 del regolamento 1605/2002, che disciplinano tali principi, rispettivamente, per gli appalti e le sovvenzioni.

Page 672: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 646

Inoltre, la Commissione deve correttamente utilizzare l’ampio potere di-screzionale che gli viene riconosciuto, sia nell’applicazione dei principi e criteri di valutazione, sia nelle altre fasi del procedimento di formazione del contratto. Detto potere discrezionale deve essere esercitato “senza rischiare di infrangere i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento”111. Quanto più un procedimento dell’amministrazione comunitaria è soggetto a va-lutazioni anche tecnicamente difficili – come avviene, per esempio, nella valuta-zione delle proposte di partecipare ad un programma di ricerca e sviluppo tec-nologico – tanto più è necessario il rispetto di tutte le norme che sovrintendono il procedimento. Infatti “proprio nei casi in cui le istituzioni comunitarie di-spongano di un tale potere discrezionale, il rispetto delle garanzie procedurali derivanti dall’ordinamento comunitario assume un’importanza ancor più fon-damentale. Tra queste garanzie figurano specificatamente l’obbligo per l’istitu-zione competente d’esaminare, con cura e imparzialità, tutti gli elementi rilevanti per il caso di specie; il diritto per l’interessato di far conoscere il proprio punto di vista e quello di veder motivata la decisione in modo sufficiente. È solo così che la Corte può verificare se tutti gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende l’esercizio del potere discrezionale sono stati considerati”112.

Le ipotesi specifiche di responsabilità precontrattuale in cui può incorrere la Commissione riguardano, soprattutto, il mancato rispetto dei principi e dei criteri posti a base della valutazione delle proposte. La circostanza che tali viola-zioni possano essere imputabili agli esperti valutatori, non solleva certo la Commissione, visto che gli esperti agiscono come agenti della Commissione stessa.

Altra ipotesi riscontrabile è quella dell’ingiustificato recesso della Commis-sione dal procedimento o di esclusione di un proponente, che si verifica “senza alcuna ragione o adducendo ragioni pretestuose o ragioni che dovevano essere note già al momento iniziale delle trattative”113. In particolare la responsabilità potrebbe sorgere in caso di mancanza di adeguata motivazione, oppure nel caso al proponente escluso non sia data la possibilità di esporre le proprie ragioni114. ———

111 Tribunale primo grado, sentenza del 29 ottobre 1998, Team Srl/Commissione, cit. 112 Corte di giustizia, 21 novembre 1991, Technische Universität München / Hauptzollamt München-

Mitte, C-269/90, Racc. 1991,p.I-5469. 113 C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. 3, Il contratto, cit., pp. 183 s.

114 Pur affermando la responsabilità della Commissione per difetto di motivazione (Cfr. Corte di giustizia, 14 maggio 1998, Windpark Groothusen GmbH & Co. Betriebs KG/Commissione, cit.), la Corte di giustizia, facendo riferimento alla giurisprudenza comunitaria, afferma che “Emerge … dalla predetta giurisprudenza come non si possa esigere che la motivazione di un atto specifichi i vari elementi di fat-

Page 673: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 647

b) Altre ipotesi di responsabilità non contrattuale. Nell’ambito della materia che si sta trattando, possono verificarsi altre ipo-

tesi di responsabilità della Commissione. Il giudice comunitario, come si è detto nel capitolo 2 della parte I, ha ritenuto

di individuare una responsabilità della Comunità, nel caso venga emanato un atto (anche di natura legislativa), che provoca un danno “anormale”115. Anche in que-sto caso l’attore deve dimostrare che la condotta, seppure legittima, della Comuni-tà ha provocato il danno e che esiste il nesso di causalità tra i diversi elementi116. Nella materia che si sta trattando, questa forma di responsabilità potrebbe versifi-carsi nel caso in cui la Commissione utilizzi in maniera non corretta il proprio po-tere normativo, in base al quale approva i testi giuridici subordinati a quelli emana-ti dal Consiglio e dal Parlamento. Si pensi ai regolamenti con i quali sono approva-ti i programmi di lavoro o le decisioni con le quali sono adottati gli schemi di con-tratti tipo o la modulistica di partecipazione ai programmi117-118-119.

c) Conseguenze della responsabilità non contrattuale. In tutti i casi di responsabilità non contrattuale, gli attori potranno adire il

Giudice comunitario, sia per impugnare l’eventuale provvedimento illegittimo ——— to e di diritto che ne costituiscono l’oggetto, qualora l’atto stesso sia in armonia con il contesto norma-tivo di cui fa parte”. Secondo la Corte un provvedimento di esclusione da una gara è motivato se le norme alla base di detto procedimento, fissano i criteri di scelta, rendendo così superflua una dettaglia-ta motivazione individuale. La Corte di Giustizia CE, inoltre, non ritiene che sussista un obbligo di ascoltare il partecipante alla selezione prima del provvedimento di esclusione, quando la Commissione abbia stabilito che l’audizione degli interessati avvenga soltanto nel caso lo richieda la Commissione medesima. Questa posizione presta il fianco a diverse critiche, soprattutto perché nella stessa sentenza (la citata giurisprudenza Windpark Groothusen GmbH & Co. Betriebs KG/Commissione) la Corte sostiene di partire dal principio per cui “Emerge dalla giurisprudenza della Corte (v., in tale senso, la sentenza 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fiskano/Commissione, Racc. pag. I-2885, punti 39 e 40) che il dovere di sentire gli interessati prima dell’emanazione dell'atto che li interessa sussiste solamente quando la Commissione preveda l'applicazione di una sanzione o l’adozione di un provvedimento che possa inci-dere sulla loro situazione giuridica”. Non si vede come il provvedimento di esclusione da una gara non sia idoneo ad incidere sulla situazione giuridica dell’escluso.

115 Cfr. Corte di giustizia, 6 dicembre 1984, Biovilac /CEE, 59/83, Racc. p. 4057, punto 28. 116 Corte di giustizia, 15 giugno 2000, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, C-237/98, Racc. I-

4549, punto 19. 117 V., per esempio, Corte di Giustizia, sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione/Repubblica

italiana, C-129700, non pubblicata; Id. sentenza del 15 settembre 1998, Edilizia Industriale Siderurgica Srl (Edis) / Ministero delle Finanze, C-231/96, non pubblicata; Id. sentenza del 15 settembre 1998, Ansaldo Energia SpA e a. / Amministrazione delle Finanze dello Stato e a. C-279/96, C-280/96 e C-281/96, non pubblicata.

118 Corte di Giustizia, sentenza dell’11 luglio 1968, Danvin/Commissione, Racc. 1968, p. 464. 119 Corte di Giustizia, sentenza del 10 luglio 1990, Grecia/Commissione, C-259/87, Racc. pag. I-

2845, pubblicazione sommaria, punto 26; Tribunale di primo grado, sentenza del 10 ottobre 2001, Co-rus UK / Commissione, T-171/99, Racc. p. II-2967.

Page 674: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 648

(l’atto di esclusione dalla gara, l’atto di irrogazione delle sanzioni, e così via) e sia per chiedere il risarcimento del danno.

Per quanto riguarda l’impugnazione dell’atto emanato dalla Commissione, nei casi esaminati, deve avvenire entro “due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza” (art. 230, c. 5, Trattato CE).

Per quel che concerne il risarcimento del danno, questo, nella responsabili-tà extracontrattuale è limitato al danno emergente, costituto da “gli oneri e le spese sopportati”; mentre non si ritiene ammissibile richiedere anche il “lucro cessante”120.

21.3. La responsabilità contrattuale della Commissione. – La Commissione può

incorrere nella responsabilità contrattuale in tutti quei casi in cui viola le clausole contrattuali.

Il contratto tipo, in particolare, prende in considerazione una sola ipotesi di inadempimento, che è quella del ritardato pagamento del contributo (art. II.16, par. 3). In questo caso i contraenti possono chiedere il pagamento di interessi calcolati al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle sue operazioni di ri-finanziamento121, maggiorato di tre punti e mezzo. Gli interessi sono dovuti per il periodo intercorrente tra la scadenza prevista per il pagamento e la data effet-tiva del pagamento. I contraenti hanno l’onere di richiedere il pagamento degli interessi di mora entro due mesi dal ricevimento della somma alla quale avevano diritto.

Per quanto riguarda le ulteriori ipotesi di inadempimento, che non vengono disciplinate dal contratto tipo, occorre ricordare che – come si è detto fin dal capitolo 2 della prima parte e come si è ripetuto in questo capitolo – anche a proposito della responsabilità contrattuale sono rilevanti fattispecie come la vio-lazione dei principi che regolano l’azione della Commissione (la violazione del-l’obbligo di motivazione, del legittimo affidamento e degli altri principi, lo svia-mento di potere).

La Commissione, pertanto, non può, per esempio, senza motivazione ri-solvere il contratto con riferimento ad un contraente o all’intero consortium, op-

——— 120 Cfr. Tribunale di primo grado, 29 ottobre 1998, Team Srl / Commissione, cit. 121 Tale tasso è pubblicato nella serie C della Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Si prende in

considerazione il tasso del primo giorno del mese in cui rientra la data di richiesta degli interessi.

Page 675: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 649

pure trattare in modo difforme fattispecie analoghe, fornire interpretazioni illo-giche e contrastanti.

Le conseguenze dell’inadempimento della Commissione potrebbero consi-stere, secondo i principi generali, nella risoluzione e nel risarcimento del danno. La risoluzione, dato che i contraenti non beneficiano di una clausola risolutiva espressa, può essere decisa solo dal giudice comunitario. Per quanto riguarda il risarcimento del danno, questo va determinato non solo come “danno emergen-te” ma anche, a differenza della responsabilità extracontrattuale, tenendo conto dell’eventuale lucro cessante122.

21.4. Strumenti per la tutela delle ragioni dei contraenti. – Anche i contraenti pos-

sono beneficiare di strumenti per la tutela delle proprie ragioni nei confronti della Commissione. Si tratta di strumenti che non possono essere azionati au-tonomamente dai contraenti, o comunque da coloro che sono stati danneggiati dalla condotta della Commissione. Tali strumenti sono applicati soltanto per or-dine del giudice comunitario, in quanto giudice competente a conoscere la ma-teria in discorso.

In particolare, l’esecuzione coattiva sui beni della Commissione, può essere autorizzata soltanto dalla Corte di giustizia, ciò ai sensi dell’art. 1 del Protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità Europee, allegato ai Trattati istitutivi.

Il giudice comunitario, inoltre, è il solo competente a dichiarare la compen-sazione delle posizione debitorie e creditorie tra contraenti e Commissione.

22. — Legge applicabile e giudice competente. 22.1. La legge applicabile. – Come si è detto in precedenza, la disciplina appli-

cabile al contratto in parola è in primo luogo quella comunitaria, anche se tale nor-mativa non regola tutti gli aspetti del rapporto contrattuale. In mancanza di una disciplina uniforme della materia contrattuale nei paesi comunitari, e per la pratica impossibilità di stipulare un contratto completamente “autosufficiente” sotto il

——— 122 Infatti, come è stato deciso: “Nella fattispecie è stato provato che l’illecito commesso dal Par-

lamento è tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Per contro, non sussi-ste alcuna responsabilità contrattuale. Di conseguenza, non è fondata la richiesta della ricorrente di ri-chiedere un risarcimento per il mancato guadagno, poiché ciò corrisponderebbe a far produrre effetti ad un contratto mai esistito”, Tribunale di primo grado, 17 dicembre 1998, Embassy Limousines & Servi-ces/ Parlamento Europeo, cit.

Page 676: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 650

profilo normativo, è opportuno individuare un ordinamento giuridico di riferi-mento. La scelta della legge applicabile è pienamente disponibile dalle parti, co-me previsto dall’art. 3 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, del 19 giugno 1980123.

La legge applicabile alle controversie tra i soggetti del contratto per le sovvenzioni è quella dell’“ordinatore competente”, così previsto dall’art. II.8, c. 1, del contratto tipo, e cioè dell’istituzione competente124. Per quanto riguarda la Commissione europea la legge che governa i contratti sarà, come si è anticipato, quella del Regno del Belgio, sede della maggior parte delle direzioni generali o del Granducato del Lussemburgo, nel caso di contratti stipulati da direzioni con sede in quel paese.

Nei contratti di appalto la legge nazionale applicabile può essere diversa, come, per esempio, quella del paese dove è stabilito il contraente.

22.2. Il giudice del contratto. – Altra questione è il modo con il quale verranno

risolte le eventuali controversie tra le parti. Nel contratto tipo per le sovvenzioni il giudice competente, per quanto ri-

guarda le controversie tra la Commissione e gli altri contraenti, è quello co-munitario, e cioè il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia in appello (v. art. II.8, c. 2, contratto tipo per le sovvenzioni).

Il giudice comunitario, infatti, oltre alle altre funzioni “è competente a giu-dicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di di-ritto pubblico o di diritto privato stipulato dalla Comunità o per conto di que-sta” (art. 238 Trattato CE125). La clausola compromissoria, come è affermato solitamente dalla giurisprudenza, deve essere esplicitamente prevista e va inter-pretata restrittivamente, essendo considerata derogatoria del diritto comune126.

Il procedimento dinanzi al giudice comunitario avviene secondo le regole di procedura stabilite dallo Statuto della Corte (Protocollo, allegato al Trattato CE, sullo Statuto della Corte di giustizia) e dal Regolamento di procedura.

Il contratto per le sovvenzioni, invece, non stabilisce di solito quale debba essere il giudice competente nelle controversie tra gli altri contraenti diversi dal-

——— 123 V. retro, parte I, cap. 4. 124 La scelta della legge applicabile, operata nel contratto, prevale su ogni altro indizio, come, ad

esempio il luogo di stipula del contratto: v. Corte di giustizia, 26 novembre 1985, Commissio-ne/CO.DE.MI., 318/81, Recc. p. 3693.

125 V. art. III.279 Costituzione per l’Europa. 126 V., per esempio, Corte di giustizia, 18 dicembre 1986, Commission / Zoubek, 426/85, Racc. p. 4057.

Page 677: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 651

la Commissione. In concreto le parti potranno liberamente scegliere, in base al regolamento n. 44/2001, il giudice nazionale preferito (solitamente quello ap-partenente all’ordinamento applicabile) o l’arbitro. Detta scelta è di solito opera-ta nel Consortium Agreement.

Generalmente, nei contratti di appalto si indica come giudice competetene quello del paese della legge nazionale applicabile.

SEZIONE V - I CONTRATTI COLLEGATI 23. — Il Consortium Agreement. Nel caso in cui i beneficiari siano più d’uno, come accade sovente per le

sovvenzioni, occorre regolare i rapporti tra i contraenti, in modo da assicurare la corretta esecuzione delle obbligazioni derivanti dalla base giuridica del pro-gramma.

Per raggiungere questo obiettivo è opportuno (o necessario come previsto in alcuni programmi comunitari)127, la stipula di uno o più contratti integrativi del contratto con l’istituzione finanziatrice. Quest’ultimo contratto, infatti, è e-laborato dai servizi della Commissione soprattutto per regolare i rapporti tra la Commissione medesima e gli altri contraenti, mentre si occupa solo marginal-mente delle questioni interne al partenariato.

Il contratto tipo contiene diverse altre disposizioni che rinviano esplicita-mente o implicitamente ad accordi tra i contraenti. Di solito questi accordi ven-gono chiamati “Consortium Agreement”, “Cooperation Agreement”, Associazioni tem-poranee di scopo o d’impresa, e così via.

Nei prossimi paragrafi si utilizzerà, per comodità, l’espressione “Consortium Agreement”, che è quella adottata dal Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico. In effetti questo programma è tra i pochi che contiene una defini-zione di questo tipo di accordi, e la cui base giuridica prevede (cfr. art. 12, par. 5, regolamento 2321/2002, per quanto riguarda il Sesto Programma Quadro) che i servizi della Commissione elaborino “orientamenti non vincolanti”, come supporto alla redazione del Consortium Agreement da parte dei beneficiari. La Commissione ha così adottato un documento (come era già accaduto nel Quin-

——— 127 E’ il caso del Sesto Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico: v. art. 12, par. 4,

regolamento 2321/2002.

Page 678: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 652

to Programma Quadro) intitolato “Sixth Framework Programme Consortium Agreee-ment Checklist” (in seguito la “checklist”) per l’elaborazione del Consortium Agreement.

24. — Caratteri del Consortium Agreement. Prima di fornire alcune indicazioni di massima sul contenuto del Consortium

Agreement, è opportuno parlare dei caratteri generali dei contratti in parola. 24.1. Il Consortium Agreement come contratto collegato. – Il contratto con la

Commissione si può considerare al centro di un sistema di contratti, che al pri-mo fanno riferimento. Le stesse fonti comunitarie accennano a questa circo-stanza, quando prescrivono l’obbligo dei contraenti di stipulare accordi tra di loro, di disciplinare il rapporto con i subcontraenti ed i terzi che mettono a di-sposizione beni e servizi, di regolare con i propri ausiliari la materia della pro-prietà dei risultati, al fine di non pregiudicare il diritto di accesso e così via.

Il Consortium Agreeement e gli altri contratti dello stesso tipo, possono essere definiti “accessori” a quello con la Commissione128.

Il contratto principale e quelli accessori sono tra loro collegati. Il collega-mento non si esprime soltanto sul piano formale, mediante il rinvio del contrat-to accessorio a quello con la Commissione (che al limite può anche mancare), ma dal punto di vista sostanziale, poiché anche con questi contratti “le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso non per mezzo di un singolo contratto bensì attraverso una pluralità coordinata di contratti, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un regolamento unitario di interessi”129.

Ciò detto, la centralità del contratto di ricerca con la Commissione si mani-festa nell’influenza sui contratti accessori, e ciò da diversi punti di vista.

I contratti accessori fanno riferimento al contratto con la Commissione, prin-cipalmente per quel che riguarda il contenuto. Il contenuto dei contratti accessori, infatti, richiama quello del contratto principale per applicarlo, integrarlo, comple-tarlo e così via. Le prestazioni alle quali sono tenute le parti, il tipo dei diritti acqui-siti o trasferiti dipenderà dalla disciplina del contratto con la Commissione. ———

128 Per la nozione di contratto collegato, ed in particolare di quello accessorio, v. F. SANTORO PAS-SARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 215 ss.

129 Cass., 27 aprile 1995, n. 4645, in Giust. civ. 1996, I, p. 1093, sul collegamento negoziale in generale.

Page 679: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 653

Questo collegamento tra il contenuto dei contratti accessori ed il contratto principale, si manifesta in tutte le vicende, che accompagnano la vita dei con-tratti collegati: l’esistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione del contratto acces-sorio dipenderà dalla validità, efficacia ed esecuzione del contratto principale130.

In conseguenza di quanto si è detto, il collegamento tra i contratti accessori ed il contratto con la Commissione si manifesta con tutta la sua importanza an-che nell’interpretazione.

Sebbene i contratti collegati si presentino, dal punto di vista materiale, co-me separati gli uni dagli altri, possono considerarsi globalmente sotto il profilo interpretativo, in modo che ogni clausola possa interpretarsi nel sistema dei con-tratti stessi.

24.2. Il Consortium Agreement come contratto plurisoggettivo con comunione di sco-

po. – Il Consortium Agreement è un contratto solitamente stipulato tra più di due soggetti, e comunque caratterizzato dalla circostanza per cui le parti si obbligano a raggiungere un obbiettivo comune (l’attuazione del progetto finanziato dalla Commissione).

Il carattere della “comunione di scopo”131 e quello della pluralità comporta che gli eventi che riguardano uno dei contraenti (come l’inadempimento e la forza maggiore) non hanno necessariamente conseguenze sull’intero contratto, a meno che la prestazione di detto contraente sia da considerarsi essenziale132.

Inoltre, nello specifico del Consortium Agreement, la pluralità e lo scopo co-mune hanno ulteriori conseguenze, come la necessità di disciplinare il procedi-mento per assumere le decisioni, riguardanti il rapporto.

24.3. Il Consortium Agreement come contratto internazionale. – Il Consortium

Agreement può considerarsi un contratto internazionale. Un contratto si definisce internazionale quando presenta uno o più elemen-

ti di collegamento (points de rattachement) con ordinamenti giuridici differenti. La

——— 130 F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit. , p. 216. 131 La comunione di scopo è in realtà considerato il carattere più importante: sul punto v. A. PI-

NO, Il contratto con prestazioni corrispettive, Padova, 1963; in particolare cfr. p. 149 ss.. Per i contratti con comunione di scopo, infatti, non si applica la disciplina dei contratti con prestazioni corrispettive, che sono quelli con i quali lo scambio economico (il reciproco trasferimento di beni e servizi) si realizza con un unico strumento negoziale.

132 Ciò in applicazione di un principio che compare anche nell’ordinamento italiano per i contratti pluri-soggettivi con comunione di scopo. V. a riguardo gli articoli sulla nullità (art. 1420 c.c.), annullabilità (art. 1446 c.c.), inadempimento (art. 1459 c.c.) o impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1466 c.c.).

Page 680: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 654

nozione di contratto internazionale è di solito molto ampia comprendendo “… non solo il contratto tra soggetti di paesi diversi … ma anche il contratto che presenti altri tipi di collegamento con l’esterno, come ad es., la presenza di pre-stazioni da eseguirsi (in tutto o in parte) all’estero, il riferimento a prodotti da acquistarsi (o trasportarsi) all’estero, la previsioni di pagamenti all’estero e/o in valuta straniera”133. In sintesi, nei contratti internazionali il rapporto negoziale non si esaurisce all’interno di un determinato paese134. Tale definizione è volu-tamente generale, per adattarsi alle molteplici fattispecie che concretamente si realizzano nei rapporti commerciali, e si può applicare agevolmente ai contratti in parola.

Se il Consortium Agreement è un contratto internazionale, si pone il problema di stabilire, tra l’altro, la lingua delle comunicazioni tra i contraenti, la legge ap-plicabile e l’organo giurisdizionale competente a conoscere delle controversie tra le parti (v. sotto a proposito dell’elaborazione dei contenuti).

Riguardo al carattere internazionale del contratto in discorso, va comunque sottolineato che la maggior parte o la totalità dei contraenti sono appartenenti a paesi dell’Unione europea; inoltre il Consortium Agreement è destinato ad avere ri-levanza nel diritto comunitario, in ragione della funzione che assolve. Al Consor-tium Agreement, pertanto, si applicano le fonti di diritto comunitario come, per esempio, quelle che disciplinano la concorrenza, la proprietà dei risultati, la nor-mativa etica e così via.

Il Consortium Agreement, pertanto, può considerarsi “internazionale”, ma solo nel senso tradizionale che, almeno in parte, rende necessario specificare quale legislazione nazionale è applicabile e quale giudice è competente.

Forse sarebbe opportuno parlare, anche in questi casi, di contratti “comu-nitari”.

24.4. Il Consortium Agreement come contratto atipico. – Il Consortium Agreemen-

t, pur essendo nominato dalle fonti comunitarie, non è regolato da tali fonti, né dal diritto nazionale. Si tratta, pertanto, di un contratto atipico.

Questo contratto, in particolare, è un contratto con comunione di scopo, riconducibile a quei contratti conosciuti come joint venture, che disciplinano la collaborazione tra più soggetti al fine di realizzare insieme un opera o un servi-———

133 F. BORTOLOTTI, Diritto dei contratti internazionali, Manuale di diritto commerciale internazionale, Padova, 1997, p. 63.

134 A. FRIGNANI, Il contratto internazionale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’econo-mia, diretto da Galgano, vol. XXII, Padova, 1990, p. 122 s.

Page 681: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 655

zio comune. Pur nella eterogeneità della definizione del fenomeno, i dati carat-teristici dei contratti riconducibili alla nozione di joint venture sono la pluralità e la comunione di scopo135, dove lo scopo comune solitamente è rappresentato dalla realizzazione di un progetto finanziato da un organismo nazionale o internazio-nale. In particolare il Consortium Agreement può ricondursi alla nozione di joint ven-ture di tipo non societario, visto che la collaborazione tra soggetti, di solito non dà vita ad un soggetto giuridico nuovo distinto dai contraenti.

L’atipicità pone due ordini di problemi: l’ammissibilità di tali contratti per l’ordinamento giuridico e la disciplina applicabile. Per quanto riguarda l’ammis-sibilità, non sembra che il Consortium Agreement ponga alcun problema, visto che è nominato dall’ordinamento comunitario. Il che, ovviamente, avrà rilievo anche negli ordinamenti nazionali136. L’ammissibilità si considera in astratto. In con-creto il Consortium Agreement può essere, in tutto o in parte, illegittimo, se viola il diritto comunitario e, eventualmente, quello nazionale.

Se, in astratto, il Consortium Agreement è giuridicamente ammissibile, rimane da stabilire quale disciplina è applicabile. Tale disciplina è quella della base giuri-dica del programma comunitario, in virtù del collegamento con il contratto con la Commissione, nonché quella nazionale eventualmente scelta dato il carattere internazionale del Consortium Agreement.

Tra i contratti tipici, che possono essere richiamati a proposito della disci-plina del Consortium Agreement, si pensi agli altri contratti con comunione di sco-

——— 135 V. A. ASTOLFI, Il contratto di joint venture, Milano, 1981, pp. 12 e 75, che propone di ricondurre

l’eterogeneità formale degli accordi di joint venture alla figura del contratto atipico, plurilaterale e norma-tivo.

136 Come è noto, per l’ordinamento italiano, le parti possono stipulare contratti “che non ap-partengono ai tipi aventi una disciplina particolare”. In questo caso va accertato, se tali contratti siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” (art. 1323 c.c.).

137 Cfr. l’articolo 1323 c.c., per il quale i contratti atipici sono regolati sicuramente dal titolo se-condo del libro quarto, contenente le disposizioni generali sui contratti: le norme sui requisiti del con-tratto; quelle sull’interpretazione; la disciplina della nullità e dell’annullabilità, della rescissione e risolu-zione e così via.

138 Un caso di applicazione della disciplina del “tipo prevalente” è quello contenuto in Cassazione civile, sez. un., 15 marzo 1989 n. 1283, in Rass. giur. Enel 1990, 158.

139 Sulla corretta portata della cosiddetta “analogia” nel diritto in teoria generale del diritto, v. PI-NO, La ricerca giuridica, Cedam, Padova, 1996, p. 287 ss.

140 F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 1996, p. 774 s. 141 V. A. ASTOLFI, Il contratto di joint venture, cit. p. 248: “La ricerca va perciò indirizzata, da un can-

to verso l’individuazione di quel tipo joint venture al quale sia riferibile un complesso elastico di carat-teristiche capaci di essere comprese in un quadro unitario di riferimento […] dall’altro verso i modelli cui è ispirata la disciplina di contratti nominati che appaiono apparentati. Una volta accertata la con-

Page 682: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 656

po142; il contratto di mandato, per quando riguarda i rapporti con il coordinato-re143; il contratto d’opera e di appalto, per quel che concerne i rapporti con la Commissione, ove non previsto dal contratto tipo144.

25. — Il contenuto del Consortium Agreement. Nella citata checklist per il Sesto Programma Quadro, si afferma che il Con-

sortium Agreement debba regolare almeno le seguenti materie: � Informazioni generali

� Preambolo

� Oggetto: scopo, natura e durata ——— gruenza tra il tipo e i modelli, nulla osterà all’applicazione al contratto di joint venture di aspetti della normativa che regge più tipi legali”.

142 La compresenza di elementi causali riconducibili a contratti associativi e a contratti corrispetti-vi, ha fatto avvicinare, per esempio, il contratto di ricerca all’associazione in partecipazione, di cui all’art. 2549 c.c., anche se, come si è detto “…la stringatezza della disciplina oggi prevista per i contratti di associazione conferisce all’accostamento un valore forse più dogmatico che applicativo” (M. BASILE, Ricerca scientifica (contratto), cit., p. 443).

143 La posizione del coordinatore nei confronti degli altri contraenti, come sarà meglio spiegato successivamente, potrà essere regolata dalle norme che riguardano il contratto di mandato (artt. 1703 ss. c.c.). Il coordinatore agisce, infatti, in nome e per conto degli altri contraenti, rappresentandoli nei rapporti con la Commissione, in virtù di un mandato collettivo, oneroso e nell’interesse dello stesso mandatario. Il contratto di mandato verrà preso in considerazione per regolare i limiti dell’attività del coordinatore, i suoi obblighi nei confronti degli altri contraenti, le modalità di nomina o di revoca, sempre nella misura in cui tali fattispecie non vengano regolate dal contratto tipo.

144 Il rapporto tra i contraenti e la Commissione ricorda molto da vicino il contratto di opera intel-lettuale (artt. 2222 ss. c.c.). La dottrina si è interessato di una particolare applicazione del contratto di opera intellettuale, che è la cosiddetta “commessa di ricerca”. Sul punto v. M. BASILE, Ricerca scientifica (contratto), pp. 421 ss.. Utile è anche il riferimento al contratto di quello di appalto (artt. 1655 ss. c.c.), ed in particolare all’appalto di servizi. Nel rapporto che si sta analizzando, infatti, i contraenti si obbligano a svolgere l’attività di ricerca, che può considerarsi un servizio. Alla Commissione, d’altro canto, ven-gono riconosciuti poteri molto simili a quelli del committente, come il potere di verifica sul progetto, periodica e finale, o il potere di risolvere o recedere dal contratto, in corso d’opera. Come ha posto in luce BASILE nell’opera da ultimo citata (p. 438 ss.), il contratto di commessa e quello di appalto sono, soprattutto nel campo dei contratti di ricerca, molto vicini e non sempre distinguibili con sicurezza. L’autore, pertanto, propone di avvicinare tali contratti, nella specie le commesse di ricerca, di volta in volta al contratto d’opera o a quello di appalto, a seconda del rilievo assunto dalle caratteristiche dell’e-secutore della ricerca (lavoratore autonomo o imprenditore) e del progetto (opera intellettuale o servi-zio). Si deve sottolineare che i diversi aspetti del contratto di ricerca, sopra evidenziati, sono tra loro strettamente connessi nello stesso rapporto contrattuale, costituendo altrettanti elementi dell’unico fondamento causale. Ciò detto non sarebbe corretto, per esempio, smembrare il contratto di ricerca, considerandolo come il collegamento negoziale tra un contratto d’appalto e un’associazione tempora-nea tra i soggetti che svolgono l’attività di ricerca.

Page 683: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 657

� Regole tecniche

� Disposizioni commerciali - riservatezza - diritti di proprietà intellettuale - pubblicazioni e reports alla Commissione Europea

� Disposizioni organizzative - organi decisionali ed esecutivi

� Disposizioni finanziarie - piano finanziario e allocazione fra i partner - modalità di trasferimento dei pagamenti

� Disposizioni legali - responsabilità - inadempimenti - controversie. Si tratta di indicazioni di massima che devono essere opportunamente ap-

plicate ed integrate in ragione del programma comunitario, delle caratteristiche delle parti e dell’attività da compiere145.

a) La parte introduttiva: informazioni generali, premesse, definizioni. Secondo la checklist, il Consortium Agreement deve fornire alcune informazioni

introduttive in modo da identificare i soggetti coinvolti ed il contesto in cui vie-ne stipulato il contratto, nonché la definizione dei concetti utilizzati.

b) Disposizioni tecniche. L’oggetto del contratto di Consortium Agreement, come si è detto, è quello di

precisare e completare le disposizioni del contratto tipo. La checklist consiglia, in particolare, di precisare le “disposizioni tecniche” e

cioè le modalità di esecuzione dell’obbligazione principale delle parti che è quel-la dell’esecuzione del progetto di ricerca.

Secondo la checklist è opportuno raccogliere le informazioni tecniche di dettaglio in uno o più allegati al Consortium Agreement, che comunque ne fanno parte integrante.

c) Disposizioni relative alla proprietà intellettuale e industriale. Il Consortium Agreement deve completare la disciplina in materia di proprietà

——— 145 Per approfondire le tecniche di redazione dei contratti, con riferimento anche ai contratti ri-

conducibili alle joint venture, si rinvia a R. CIPPITANI, A. SASSI, Introduzione alla tecnica di redazione dei con-tratti nazionali e internazionali, in corso di pubblicazione.

Page 684: Diritto privato del mercato

PARTE V — LA PRODUZIONE DELLE REGOLE DI MERCATO 658

ed uso dei risultati. In particolare si richiede di adottare criteri per attribuire la proprietà nel caso in cui questa possa spettare a più contraenti; le regole relative allo sfruttamento dei risultati (per esempio in modo congiunto, attraverso una spin-off company, disgiuntamente) le clausole che disciplinano la segretezza (per esempio le modalità con le quali sono identificate le informazioni da tenere se-grete, il personale ammesso a trattare le informazioni, ecc.); la disciplina di ac-cesso e cioè di godimento dei risultati dai contraenti non titolari; le procedure per la pubblicazioni dei risultati e così via.

d) Disposizioni organizzative. Come si è detto, il Consortium Agreement ha un carattere plurisoggettivo e i

contraenti hanno uno scopo comune. Occorre inoltre tenere in considerazione il fatto che il rapporto derivante dal Consortium Agreement si protrae per il periodo del contratto con la Commissione e, eventualmente, per il tempo ulteriormente necessario. Durante questo periodo è necessario che i contraenti definiscano una struttura organizzativa che si adatti alle esigenze dell’attività da compiere. Tanto più è ridotto il numero dei partecipanti quanto più sarà semplice la struttura or-ganizzativa delineata. Insieme alla struttura organizzativa occorrerà anche defi-nire le modalità necessarie ad assumere le decisioni che regolano lo svolgimento del rapporto, ad integrazione e in applicazione di quanto già stabilito nel Consor-tium Agreement.

Solitamente la struttura organizzativa si compone di uno o più organismi (solitamente detti “bodies” o “committees”), composti dai rappresentanti dei con-traenti.

Il numero, la composizione e le attribuzioni di questi organismi, dipendono dal tipo programma e di progetto.

Si possono prevedere organismi che assumono le decisioni strategiche più importanti o che possono pregiudicare gli interessi di uno o più contraenti (per esempio: risoluzione parziale o totale, applicazione di sanzioni, modifiche im-portanti del progetto o del budget). È opportuno che tali organi siano composti dai rappresentanti di ciascun contraente (solitamente sono chiamati General As-sembly o Governing Board).

Altri organismi più agili, composti solo dai rappresentanti di alcuni contra-enti o da esperti, possono invece essere responsabili della gestione operativa del progetto, sia amministrativa, sia tecnico-scientifica (tali organismi sono detti spesso Steering Committe, Executive Board, e cosi via).

Oltre agli organi decisionali possono essere individuati organi di carattere consultivo, composti solitamente da esperti, con particolari competenze specia-

Page 685: Diritto privato del mercato

CAP. 4 - L’ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI COMUNITARI 659

listiche in materie come la proprietà industriale, le questioni bioetiche, la valuta-zione della ricerca, e così via.

In generale, nel Consortium Agreement occorre definire, per tutti gli organi, la composizione, le attribuzioni, i quorum e gli altri aspetti procedurali. È anche opportuno, soprattutto per gli organi composti da un gran numero di membri, prevedere procedure telematiche di riunione, in modo da renderne effettivo e più rapido il funzionamento.

È inoltre essenziale stabilire in modo chiaro le competenze dei diversi organi, in modo che non si producano sovrapposizioni e situazioni di stallo (deadlock).

e) Disposizioni finanziarie. Il Consortium Agreement deve contenere disposizioni atte a disciplinare in

modo dettagliato la gestione finanziaria del progetto. Si consiglia, pertanto, di predisporre un budget con una chiara distribuzione

del contributo tra i contraenti, così da specificare o integrare quanto già stabilito nel bilancio allegato al contratto.

Nell’accordo tra i contraenti devono anche essere stabilite le regole da se-guire per apportare le necessarie modifiche al budget nel corso del progetto, in particolare quelle che riguardano una distribuzione del contribuito fra i parteci-panti, diversa rispetto agli accordi iniziali.

È opportuno, inoltre, fissare le regole riguardanti i flussi dei pagamenti dal coordinatore agli altri contraenti: i termini di pagamento; l’identificazione dei conti correnti da utilizzare; gli eventuali interessi di mora per ritardato pagamen-to; chi deve sostenere le spese bancarie.

f) Disposizioni legali. Il Consortium Agreement dovrebbe contenere ulteriori disposizioni, che comple-

tano la disciplina del rapporto tra i contraenti e che si ritrovano negli altri contratti. Si tratta in particolare di stabilire la disciplina della patologia del contratto

(in particolare del recesso e della risoluzione), specificando i presupposti, le mo-dalità e le conseguenze.

Inoltre, dato il carattere internazionale del Consortium Agreement, occorre stabilire quale legge nazionale sarà applicabile e quale giudice o arbitro sarà com-petente a dirimere le eventuali controversie. Si ricorda l’applicazione, in questo campo, della Convenzione di Roma del 1980 e del regolamento n. 44/2001, di cui si è già parlato nel capitolo 4 della parte I. Ovviamente la disciplina applica-bile sarà rappresentata anche dalle altre fonti comunitarie, tra le quali quelle che regolano il programma comunitario di riferimento.

Page 686: Diritto privato del mercato

Impresso nel marzo 2007 a cura della “Tipolitografica Pievese” di Sgoifo Franco

Strada Prov.le di Maranzano, 11 Città della Pieve – Perugia