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ODONTOTECNICO V ANNO Diritto, Pratica Commerciale e Legislazione socio-sanitaria - L’Imprenditore - Attività Economica - L’Impresa familiare - Il Sistema delle Società - La Società Semplice - La Società in Nome Collettivo - Società in Accomandita Semplice - Società per Azioni - Odontotecnica - Dispositivo Medico - La Marcatura CE - Dichiarazione di Conformità - Impresa Artigiana
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Feb 15, 2019

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ODONTOTECNICO

V ANNO

Diritto, Pratica Commerciale e Legislazione socio-sanitaria

- L’Imprenditore

- Attività Economica

- L’Impresa familiare

- Il Sistema delle Società

- La Società Semplice

- La Società in Nome Collettivo

- Società in Accomandita Semplice

- Società per Azioni

- Odontotecnica

- Dispositivo Medico

- La Marcatura CE

- Dichiarazione di Conformità

- Impresa Artigiana

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L’IMPRENDITORE

La disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore (definizione all’art. 2082 cod. civ.). Il codice civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri di selezione: l’oggetto dell’impresa, che determina la distinzione fra imprenditore agricolo (art. 2135) e imprenditore commerciale (art. 2195); la dimensione dell’impresa, che serve ad enucleare la figura del piccolo imprenditore (art. 2083) e di riflesso quella dell’imprenditore medio-grande; la natura del soggetto che esercita l’impresa, che determina la tripartizione legislativa fra impresa individuale, impresa costituita in forma di società ed impresa pubblica. Il codice civile detta innanzitutto un corpo di norme applicabili a tutti gli imprenditori e sono le norme che fanno riferimento all’imprenditore o all’impresa senza ulteriori specificazioni. È questo lo statuto generale dell’imprenditore che comprende parte della disciplina dell’azienda e dei segni distintivi, la disciplina della concorrenza e dei consorzi. Vi è poi uno specifico statuto dell’imprenditore commerciale che comprende: l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale; la disciplina della rappresentanza commerciale; le scritture contabili; il fallimento e le altre procedure concorsuali. Nel sistema del codice la qualifica di imprenditore agricolo o di piccolo imprenditore ha rilievo essenzialmente negativo in quanto serve a delimitare l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Imprenditore agricolo e piccolo imprenditore anche commerciale sono infatti esonerati dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre l’iscrizione nel registro delle imprese, originariamente esclusa, è stata oggi estesa anche a tali imprenditori, sia pure con rilievo diverso per l’imprenditore agricolo e per il piccolo imprenditore. Le società diverse dalla società semplice (definite società commerciali) sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese, con effetti di pubblicità legale, anche se l’attività esercitata non è commerciale. Le società non sono mai considerate piccoli imprenditori e perciò sono sempre esposte al fallimento se esercitano attività commerciale. Gli enti pubblici che esercitano impresa commerciale sono, all’opposto, sottratti in misura più o meno ampia alla disciplina dell’imprenditore commerciale. Non sono mai esposti al fallimento. Lo statuto dell’imprenditore commerciale è statuto proprio dell’imprenditore privato commerciale non piccolo. “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082). Dall’art. 2082 si ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti unificati da

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una funzione unitaria) ed attività caratterizzata sia da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità). L’impresa è attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni (art. 810 cod. civ.) o servizi. Non è impresa l’attività di mero godimento. È attività di godimento e produttiva (di nuovi beni) quella del proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione. È godimento e produzione (di servizi) l’attività del proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo, pensione o residence. È godimento o amministrazione del proprio patrimonio e attività di produzione, l’impiego di proprie disponibilità finanziarie nella compravendita di strumenti finanziari con intenti di investimento o di speculazione, o nella concessione di finanziamenti a terzi. Imprese commerciali devono essere qualificate infine le cosiddette holdings, società che hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società, con finalità di direzione, di coordinamento e di finanziamento della loro attività. È imprenditore anche chi opera utilizzando solo il fattore capitale ed il proprio lavoro, senza dar vita ad alcuna organizzazione intermediatrice del lavoro. La sempre più ampia fungibilità fra lavoro e capitale e la possibilità che l’attività produttiva raggiunga dimensioni notevoli pur senza l’utilizzo di lavoratori impongono la conclusione che l’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi (ed anche il capitale finanziario è un fattore produttivo) ed il loro coordinamento da parte dell’imprenditore per un fine produttivo (che ricorre anche quando esso consista nel far circolare titoli o danaro). La qualità di imprenditore non può essere negata, per difetto del requisito dell’organizzazione, sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori (autonomi o subordinati), sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi (capitale e lavoro proprio) non si concretizzi nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile. Si è posto il problema se si possa parlare di impresa anche quando il processo produttivo si fonda esclusivamente sul lavoro personale del soggetto agente, né lavoro altrui né capitali (proprio o altrui). Il problema assume pratico rilievo con riferimento specifico ai prestatori autonomi d’opera manuale o di servizi fortemente personalizzati. La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata organizzazione di tipo imprenditoriale e in mancanza di un coefficiente minimo di eteroorganizzazione deve negarsi l’esistenza di impresa, sia pure piccola. Piccola impresa è quella organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari. Un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa sia pure piccola. In mancanza si avrà semplice lavoro

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autonomo non imprenditoriale. L’impresa è attività economica. Nell’art. 2082 l’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell’attività ed al concetto di attività economica può e deve essere recuperato un proprio ed autonomo significato. Ciò che qualifica un’attività come economica non è solo il fine produttivo. È anche il modo, il metodo con cui essa è svolta. L’attività produttiva è condotta con metodo economico quando è svolta con modalità che consentono la copertura dei costi con i ricavi. Per aversi impresa è perciò essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico; secondo modalità che consentono quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. È invece imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico anche se ispirato da un fine pubblico o ideale ed anche se le condizioni di mercato non consentono poi in fatto di remunerazione i fattori produttivi. L’ultimo dei requisiti espressamente richiesti è il carattere professionale dell’attività. L’impresa è stabile inserimento nel settore della produzione e della distribuzione e solo tale stabile inserimento giustifica l’applicazione della disciplina dell’impresa a chi opera nel mondo degli affari. Professionalità significa perciò esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale debba essere necessariamente svolta in modo continuato e senza interruzioni. Per le attività cicliche o stagionali è sufficiente il costante ripetersi di attività d’impresa secondo le cadenze proprie di quel tipo di attività. La professionalità non implica neppure che quella di impresa sia l’attività unica o principale. Impresa si può avere anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Il compimento di un singolo affare può costituire impresa quando, per la sua rilevanza economica, implichi il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici. La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi. Indice espressivo di professionalità può essere anche la creazione di un complesso aziendale idoneo allo svolgimento di una attività potenzialmente stabile e duratura; il compimento di una serie coordinata di atti organizzativi indicativi del carattere non sporadico ed occasionale dell’attività Un primo controverso punto è quello se costituisca requisito essenziale dell’attività di impresa l’intento di conseguire un guadagno o profitto personale: lo scopo di lucro. Se lo scopo lucrativo si intende come movente psicologico dell’imprenditore, si ha lucro soggettivo. Lo scopo di lucro così inteso non può ritenersi essenziale. Essenziale è solo che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative. Ma è sufficiente anche solo il metodo economico. La nozione di imprenditore è nozione unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata sia dell’impresa pubblica; e ciò implica che requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. Lo scopo di lucro

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caratterizza il contratto di società. Le società sono tenute ad operare con metodo lucrativo e nel duplice senso che l’attività di impresa deve essere rivolta al conseguimento di utili (lucro oggettivo) e che l’utile deve essere devoluto ai soci (lucro soggettivo). Deve considerarsi pienamente rispondente ai dati legislativi e al dettato della Costituzione una gestione dell’impresa mutualistica fondata su criteri di pura economicità e non tesa alla realizzazione di profitti. Nulla si oppone a che si affermi chiaramente che requisito minimo essenziale dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro. La destinazione al mercato della produzione non è in verità richiesta da alcun dato legislativo. La destinazione allo scambio della produzione è implicitamente richiesta dal carattere professionale dell’attività di impresa ovvero dalla natura economica della stessa o, quanto meno, dalla funzione della speciale disciplina dell’impresa (tutela dei terzi); funzione che non sussisterebbe quando un soggetto risolve la propria attività produttiva in se stesso, senza entrare in contatto con i terzi. L’impresa per conto proprio non è impresa, pur concedendosi che per l’acquisto della qualità di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della produzione al mercato. Non è impresa per conto proprio la cooperativa che produce esclusivamente per i propri soci e nemmeno le aziende costituite dallo Stato o da altri enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo esclusivamente all’ente di pertinenza. Possono invece considerarsi vere e proprie imprese per conto proprio: a) la coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia; b) la costruzione di appartamenti non destinati alla rivendita (costruzione in economia). Ulteriore ed ultimo punto controverso è se la qualità di imprenditore possa essere riconosciuta quando l’attività svolta è illecita, cioè contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Non si può infatti trascurare che anche un’attività di impresa illecita può dar luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi. L’illiceità del risultato globalmente perseguito dall’imprenditore non comporta di per sé illiceità della causa o dell’oggetto dei singoli atti di impresa. Terzi creditori meritevoli di tutela possono esistere anche quando l’attività di impresa è illecita e perciò l’esposizione al fallimento di chi eserciti attività commerciale illecita non appare più del tutto ingiustificata. Proprio questo secondo ordine di considerazioni ha avuto il sopravvento di fronte ai casi in cui l’illiceità dell’impresa è determinata dalla violazione di norme imperative che ne subordinano l’esercizio a concessione o autorizzazione amministrativa: impresa illegale. Tale tipo di illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore (commerciale) e con pienezza di effetti. È pacifico che il titolare di una impresa illegale è esposto al fallimento. Si esita invece a pervenire alla stessa conclusione quando illecito sia l’oggetto stesso dell’attività: impresa immorale. Si teme che per tutelare i terzi estranei all’illecito si finisca col dover tutelare anche che dell’illecito è stato autore o complice. La preoccupazione è ingiustificata per l’esistenza di un principio generale dell’ordinamento secondo cui da un comportamento illecito non possono mai

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derivare effetti favorevoli per l’autore dell’illecito o per chi ne è stato parte. Perciò, anche chi esercita attività commerciale illecita è imprenditore ed in quanto imprenditore commerciale potrà fallire al pari di tutti gli altri imprenditori commerciali. Non potrà però avanzare le pretese del titolare di un’azienda o agire in concorrenza sleale contro altri imprenditori, in applicazione del principio della non invocabilità della qualificazione per la non invocabilità del proprio illecito. Esistono attività produttive per le quali la qualifica imprenditoriale è esclusa in via di principio dal legislatore. È questo il caso delle professioni intellettuali. Secondo l’art. 2238 cod. civ., le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa. Diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabili come imprese. Es: caso del medico che gestisce una clinica privata nella quale opera. La realtà è che i requisiti propri dell’attività di impresa possono ricorrere tutti anche nell’esercizio delle professioni intellettuali. L’attività professionale è attività produttiva di servizi suscettibili di valutazione economica; è attività di regola condotta con metodo economico. Non sempre è agevole stabilire se una data attività costituisce professione intellettuale e ricade perciò nell’ambito di applicazione dell’art.2238. Decisivo è invece il carattere eminentemente intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale).

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ATTIVITÀ ECONOMICA

Il sistema economico ed il diritto commerciale I principi generali del sistema economico italiano sono regolati dagli articoli 41, 43, 45, e 47 della Costituzione. L’articolo 41 Cost. sancisce che: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. L’articolo 43 Cost. afferma che: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. L’articolo 45 Cost. dichiara che: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”. L’articolo 47 Cost. statuisce che: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Con l’espressione “diritto commerciale” si intende fare riferimento a quel ramo del diritto privato avente ad oggetto la disciplina giuridica dell’impresa. Nell’ordinamento giuridico italiano, il diritto commerciale trova soprattutto la sua fonte nei libri IV e V del Codice civile del 1942, rubricati (27) rispettivamente “delle obbligazioni” e “del lavoro”. Altre fonti sono la “legge cambiaria”, la “legge sull’assegno”, la “legge sul diritto d’autore”, la “legge fallimentare”, lo “statuto dei lavoratori”, l’imposta sul valore aggiunto, la legge sull’artigianato, il testo unico delle imposte sui redditi, la legge sulla tutela della concorrenza e del mercato, la “legge antiriciclaggio”, il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, la legge sul “riordinamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e

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agricoltura” e sul registro delle imprese, il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la legge in materia di professioni sanitarie, la legge sull’affiliazione commerciale, “il codice della proprietà industriale”, il “codice del consumo”, il codice delle assicurazioni private, il decreto legislativo in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie commerciali, le direttive comunitarie di settore, etc. Notevole significato assume la locuzione “commercializzazione del diritto privato”: invero, si ricorda che nel 1865, dopo l’unificazione italiana, vennero emanati separatamente un Codice civile ed un Codice di commercio; questi furono forgiati rispettivamente sui modelli francesi del Code civil del 1804, noto anche come Code Napoléon, e del Code de commerce del 1807; nel 1882 venne emanato un nuovo Codice di commercio, rimasto in vigore fino all’emanazione, nel 1942, dell’attuale Codice civile italiano; il Codice del 1882, incentrato sulla figura del “commerciante”, introduceva istituti giuridici peculiari come l’assegno, la cambiale e le società, e disciplinava differentemente gli stessi contratti ed istituti regolati dal Codice civile; ne derivava una doppia regolamentazione, sovente generatrice di incertezze, che indusse il legislatore italiano del 1942 ad unificare la normativa commerciale con quella civile; nella fusione tra le due normative venne accordata preferenza alle regole commerciali, in quanto maggiormente rispondenti alle esigenze dell’attività imprenditoriale, ritenuta comunemente generatrice di nuova ricchezza, e responsabile sola dell’aumento del reddito nazionale e del miglioramento del tenore di vita della collettività.

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L’IMPRESA FAMILIARE

Che cosa è l'impresa familiare

L'impresa familiare è un istituto giuridico introdotto all'interno dell'ordinamento giuridico in seguito alla riforma del 1975 ed è disciplinato dall'articolo 230 bis del Codice Civile secondo cui "Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.".

La normativa presenta numerose lacune, tali da comportare dei problemi di tipo interpretativo e da suscitare spesso dibattiti dottrinali. Una cosa è certa però: l'impresa familiare resta sempre un'impresa individuale. Ciò che la caratterizza è il tipo di rapporto che lega i collaboratori. Il legislatore, in sostanza, ha voluto evitare forme di sfruttamento del familiare, riconoscendo adeguati diritti a chi collabora nell'impresa. Naturalmente è sempre possibile per le parti definire i loro rapporti attraverso una diversa forma contrattuale come, ad esempio, una di quelle che rappresentano il lavoro subordinato.

Quali sono i soggetti dell'impresa familiare

Più nel dettaglio, fanno parte dell'impresa familiare il coniuge, i parenti fino al terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell'imprenditore. Sono ovviamente compresi anche i figli adottivi e quelli naturali. Perché perduri l'appartenenza all'impresa familiare, inoltre, è necessario che il rapporto familiare persista per tutta la durata dell'impresa stessa. Insomma: le cause di invalidità del matrimonio e il divorzio (ma non la separazione) comportano il venir meno dell'impresa familiare.

L'attività lavorativa come presupposto per l'applicazione delle norme in materia di impresa familiare

Presupposto per l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 230 bis del codice civile è che il familiare presti, all'interno di un'impresa che fa capo al coniuge, a un parente o a un affine, la propria attività lavorativa. Le attività idonee a rientrare nel campo di applicazione dell'impresa familiare sono, sostanzialmente, quelle che astrattamente potrebbero essere oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o

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autonomo. Esse, inoltre, devono essere svolte in maniera non saltuaria o occasionale ma continuativa. Nelle attività lavorative presupposto per l'applicazione delle norme in materia di impresa familiare possono quindi essere ricomprese anche quelle oggetto di lavoro domestico.

In questo caso, però, bisogna fare un'attenta valutazione, per evitare che della disciplina vengano fatti abusi.

Infatti il lavoro domestico deve, in questo caso, contribuire al miglior andamento dell'impresa familiare, come può accadere, ad esempio, quando un coniuge abbia il compito di svolgere lavori domestici per consentire all'altro di dedicarsi meglio all'impresa. In ogni caso, non rientra nelle prestazioni lavorative idonee a legittimare l'applicazione dell'articolo 230 bis del codice civile il normale lavoro domestico svolto in attuazione degli obblighi generali gravanti sui coniugi.

I diritti economici dei familiari che partecipano all'impresa

I principali diritti che acquisisce il familiare che collabora nell'impresa sono innanzitutto quelli di carattere economico. Tra di essi si ricorda, in primo luogo, quello al mantenimento, che va parametrato sulla condizione patrimoniale della famiglia e che sussiste anche quando mancherebbe per altro titolo, quindi anche nei confronti di figli maggiorenni e dei parenti o degli affini.

Vi sono poi il diritto alla partecipazione agli utili in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, da stabilire ad opera del giudice in caso di disaccordo, e quello ad una quota dei beni acquistati con gli utili stessi che, invece di essere distribuiti, vengono reinvestiti.

I partecipanti all'impresa familiare, sempre sotto il profilo economico, hanno infine diritto agli incrementi aziendali, anche in ordine all'avviamento e sempre in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Il diritto a partecipare alle decisioni

Il coniuge, il parente o l'affine che lavorano nell'impresa familiare hanno anche poteri decisionali sulle scelte di maggiore importanza. Infatti, le decisioni che riguardano la straordinaria amministrazione, l'impiego e l'investimento degli utili, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell'attività possono essere adottate a maggioranza. A tal proposito occorre specificare che, ai fini del calcolo della maggioranza, i voti dei partecipanti all'impresa hanno tutti lo stesso valore e non esistono quote.

Per coloro che non hanno la piena capacità di agire il voto è espresso da chi esercita la potestà su di essi.

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Trasferimento del diritto di partecipazione

Tutti i diritti dei partecipanti all'impresa familiare, sia di carattere economico che di carattere amministrativo, vengono complessivamente designati come diritto di partecipazione. Il diritto di partecipazione all'impresa può essere trasferito solo ai familiari e con il consenso di tutti gli altri partecipanti. Esso può anche essere liquidato in danaro in caso di cessazione della prestazione lavorativa o in caso di alienazione dell'azienda.

Il diritto di prelazione nell'impresa familiare

Il comma quinto dell'articolo 230-bis del codice civile stabilisce che in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda, coloro che partecipano all'impresa familiare hanno diritto di prelazione sull'azienda.

In questo caso, in quanto compatibili, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 732 del codice civile, che disciplina il diritto di prelazione in caso di divisione dell'eredità.

Si discute in dottrina se la prelazione nell'impresa familiare abbia natura reale o obbligatoria, questione rilevante soprattutto per capire se il titolare del diritto di prelazione abbia o meno la possibilità di riscattare l'azienda dagli eventuali acquirenti e dagli aventi causa di questi.

La titolarità dell'impresa

Anche se il reddito dell'impresa e i relativi oneri fiscali possono essere ripartiti tra più persone, così come tra più persone si distribuiscono i rischi che possono conseguire al fatto che l'impresa sia in perdita o sia aggredita dai creditori, in realtà la responsabilità, nei fatti, grava interamente ed esclusivamente sull'imprenditore titolare dell'impresa (definito come colui che esercita professionalmente, abitualmente o periodicamente, un'attività economica per produrre e/o scambiare beni e/o servizi). Egli è il solo che risponde con i propri beni personali nei confronti dei creditori e che fallisce in caso di insolvenza.

Aspetti fiscali dell'impresa familiare

Sotto il profilo fiscale l'impresa familiare è disciplinata dall'articolo 5 quarto comma del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi), in base al quale la partecipazione complessiva agli utili da parte dei familiari non può superare il 49% del totale.

La norma in questione dispone che:

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• I redditi delle imprese familiari limitatamente al 49 per cento dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attivita' di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Tale disposizione si applica alle seguenti condizioni:

a) che i familiari partecipanti all'impresa risultino nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo di imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti;

b) che la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore rechi l'indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo di imposta;

c) che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente.

Aspetti previdenziali

A norma della Legge 335/95 sia il titolare sia i familiari lavoratori debbono iscriversi alla gestione lavoratori autonomi INPS. I contributi previdenziali sono direttamente corrisposti dal titolare dell'impresa familiare.

L'impresa coniugale

Una forma particolare di impresa familiare è l'impresa coniugale. Quest'ultima si costituisce dopo il matrimonio e viene gestita congiuntamente dai due coniugi. In questo caso, i creditori potranno rivalersi su tutti i beni della comunione e, se non sufficienti a coprire il debito, sul patrimonio personale di ciascuno dei due coniugi.

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IL SISTEMA DELLE SOCIETÀ

Il nostro ordinamento giuridico prevede tre tipologie di società: le società lucrative, le società cooperative, e le società consortili. In questa sede ci si occuperà prevalentemente delle società lucrative, finalizzate al conseguimento di un profitto. L’attività d’impresa può essere esercitata da un imprenditore individuale oppure da un imprenditore collettivo. In entrambi i casi essa può essere svolta da una società. Fonti della società, sia questa un’impresa individuale o collettiva, sono tanto l’atto unilaterale quanto il contratto: invero gli articoli 2328 e 2463 del Codice civile dichiarano rispettivamente che le società per azioni e le società a responsabilità limitata possono essere costituite anche per atto unilaterale; mentre l’articolo 2247 c.c., rubricato “contratto di società”, statuisce che “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Dalla lettera dell’articolo 2247 c.c. discende che requisiti essenziali del contratto di società sono: il conferimento di beni o di servizi; l’esercizio in comune di un’attività economica; lo scopo di divisione degli utili. Pertanto un’attività d’impresa collettiva con finalità ricreative, culturali o politiche, originata da un contratto che prevede il conferimento di beni e servizi, ma che non prevede la divisione degli utili tra i partecipanti, non dà luogo ad una società, poiché non integra il requisito del fine di lucro. Inoltre, atteso che l’articolo in parola non menziona il requisito della professionalità, una società può essere costituita anche per concludere un affare occasionale. I conferimenti possono essere rappresentati da beni in natura, denaro, crediti o attività lavorativa. In quest’ultimo caso si parla di socio d’opera. La società semplice, la società in nome collettivo, e la società in accomandita semplice sono società di persone. Si tratta di una definizione convenzionale per indicare che ciascun socio decide di far parte della società in considerazione delle persone degli altri soci, in conseguenza della responsabilità personale e solidale dei soci e dell’ampio potere che ciascuno di essi ha nell’amministrazione della società. La loro caratteristica è l’autonomia patrimoniale imperfetta: i soci possono essere chiamati personalmente a rispondere dei debiti sociali. A dimostrazione dell’attenuata autonomia patrimoniale, per l’appunto imperfetta, il creditore sociale può anche pretendere il pagamento dei debiti gravanti sulla società aggredendo il patrimonio personale dei singoli soci.

La responsabilità dei soci delle società di persone è illimitata e solidale. Infatti i soci rispondono anche con il loro patrimonio personale per i debiti della società e ciascuno di essi può essere chiamato in causa per pagare l’intero importo dei debiti sociali

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anche per conto degli altri soci. Da ciò deriva che i terzi creditori sono interessati a conoscere i nomi dei soci, le loro doti morali, e l’entità dei mezzi personali.

La società per azioni, la società in accomandita per azioni, e la società a responsabilità limitata sono società di capitali. Si tratta, anche questa volta, di una definizione convenzionale per indicare la minore importanza attribuita alle persone dei soci ed alle loro qualità, rispetto alla maggiore importanza attribuita invece ai loro conferimenti. Sono caratterizzate dall’autonomia patrimoniale perfetta, che vale loro il riconoscimento della personalità giuridica. Da ciò discende che: il patrimonio personale dei soci è completamente separato da quello della società; la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali è limitata al capitale conferito; in caso di fallimento della società, la procedura fallimentare non si estende ai soci; del patrimonio sociale non possono disporre i soci come singoli, ma soltanto gli organi della società; i creditori particolari dei soci non possono soddisfarsi sul patrimonio della società, né possono pretendere la liquidazione della quota del socio loro debitore. Da ciò deriva inoltre il logico corollario che i terzi creditori sono, invece, interessati a conoscere l’entità del capitale sociale e del patrimonio sociale. Principio di ordine generale è la libertà di scelta del tipo sociale, ove non sia la stessa legge ad imporre l’adozione di un determinato tipo sociale in relazione all’attività esercitata. La società si definisce mutualistica o cooperativa quando finalità della stessa è fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che essi otterrebbero sul mercato. Qualora invece si costituiscano società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società per azioni, società in accomandita per azioni, o società a responsabilità limitata aventi come oggetto sociale lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese dei singoli soci, allora si parlerà di società consortili. Non è ammessa la costituzione di società atipiche, diverse cioè dai canoni espressamente previsti dall’ordinamento giuridico. Qualora vengano utilizzati schemi atipici o non vengano adempiute tutte le formalità, si hanno le cosiddette società irregolari.

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LA SOCIETÀ SEMPLICE

Si premette che le regole dettate dal Codice civile per la società semplice valgono, ove espressamente non derogate, per gli altri due tipi di società di persone: la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice. La società semplice è il tipo più elementare di società. Essa non può essere costituita per l’esercizio di attività commerciali. Il contratto sociale non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti. Ciò significa che la società semplice può essere costituita anche senza un contratto per iscritto, e quindi verbalmente o con un comportamento concludente. La società semplice deve essere iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese istituito presso ciascuna Camera di commercio, entro trenta giorni dall’inizio dell’attività di impresa o dalla conclusione del contratto. La domanda di iscrizione della società semplice, presentata dagli amministratori e corredata del contratto sociale, deve comprendere le seguenti indicazioni: il cognome ed il nome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza anagrafica, ed il numero di codice fiscale dei soci; la ragione sociale ed il codice fiscale della società; i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società; la sede della società e le eventuali sedi secondarie; l’oggetto sociale; i conferimenti di ciascun socio ed il relativo valore; le prestazioni alle quali sono obbligati i soci d’opera; le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite; e la durata della società. Inoltre gli amministratori della società semplice devono richiedere l’iscrizione delle modificazioni del contratto sociale e dello scioglimento della società con l’indicazione delle generalità degli eventuali liquidatori, entro trenta giorni dalle modificazioni e dallo scioglimento. In caso di contratto verbale, la domanda di iscrizione o di modificazione o di cancellazione della società semplice deve essere sottoscritta da tutti i soci. L’iscrizione nella sezione speciale ha normalmente funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità-notizia, e funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità dichiarativa esclusivamente per le società semplici esercenti attività agricola. Il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente. Costituisce obbligo dei soci effettuare i conferimenti previsti nel contratto sociale. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, essi si presumono eguali. Il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società. Le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. È nullo il cosiddetto “patto leonino”, con il

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quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. A ciascun socio vengono riconosciuti sia diritti patrimoniali che personali. Sono diritti patrimoniali il diritto alla propria parte di utili e quello riguardante la liquidazione della propria quota. Sono diritti personali il diritto di compiere atti di gestione, quello di opporsi al compimento di atti di gestione posti in essere da altri soci, chiedere la revoca per giusta causa dell’amministratore, deliberare l’esclusione di un socio, recedere dalla società, e, per i soci non amministratori, il diritto di controllo e di ottenere il rendiconto. Si sottolinea che mentre l’amministrazione della società riguarda i rapporti tra i soci, quindi le sole attività sociali interne, la rappresentanza della società è relativa ai rapporti della società con i terzi, quindi alle sole attività esterne. Salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri; se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione, prima che la stessa sia compiuta, che un altro voglia compiere; la maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione. Se l’amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali; se è convenuto che per l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina sempre secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili; i singoli amministratori non possono compiere singolarmente alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società. La revoca dell’amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa, la quale può essere richiesta giudizialmente da ciascun socio; invece l’amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme relative al contratto di mandato. I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento delle obbligazioni ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale; tuttavia la responsabilità non si estende a coloro che dimostrino di essere esenti da colpa. I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi all’amministrazione, e di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti; se il compimento degli affari sociali occupa oltre un anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto dell’amministrazione al termine di ogni anno, salvo che il contratto sociale stabilisca diversamente. Come anticipato, la società acquista diritti ed assume obbligazioni nei confronti dei terzi per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza, e quindi sta in giudizio nelle persone dei medesimi; in mancanza di diversa disposizione del contratto sociale, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale. Per oggetto sociale s’intende il genere di attività

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economica svolta dalla società. La responsabilità dei soci per i debiti sociali è illimitata e solidale. A norma dell’articolo 2269 c.c., pure il nuovo socio, cioè colui che entra a far parte di una società già costituita, deve rispondere, al pari dei vecchi soci, per tutte le obbligazioni sociali contratte anteriormente all’acquisto della sua qualità di socio. I soci, tuttavia, possono derogare al principio della responsabilità illimitata e solidale con uno specifico accordo che preveda, invece, per alcuni di loro una responsabilità limitata. In questo caso i beneficiari rispondono dei debiti sociali solo nei limiti della quota di partecipazione o comunque nei limiti indicati nel patto di limitazione della responsabilità. La società semplice è contraddistinta dall’autonomia patrimoniale imperfetta. I creditori sociali, invero, possono far valere i propri crediti indifferentemente nei confronti della società o dei singoli soci. Qualora non sia stato pagato un debito sociale, quindi, i creditori possono aggredire tanto il patrimonio della società, quanto quello personale dei singoli soci. L’unica tutela dei soci è rappresentata dal beneficio di escussione: il socio, richiesto del pagamento dei debiti sociali, può indicare al creditore i beni della società sui quali potersi soddisfare. Condizione perché il socio possa avvantaggiarsi del benefico di escussione è che i beni sociali indicati siano agevolmente aggredibili. Qualora non possa avvalersi del benefico di escussione, il singolo socio può essere richiesto dell’intero debito sociale a prescindere dall’entità della sua quota di partecipazione, essendo la responsabilità dei debitori solidale. Estinta l’obbligazione nei confronti del creditore, al socio è riconosciuta l’azione di regresso: il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi. Poiché nelle società di persone il contratto sociale è concluso da un socio in considerazione dell’adesione di quel socio piuttosto che di quell’altro o dell’adesione di taluni soci piuttosto che di talaltri, non è possibile il libero trasferimento della partecipazione per atto tra vivi. Pertanto nessun socio può trasferire la sua quota, o parte di essa, ad un terzo, facendolo così diventare socio, se tutti gli altri soci non sono d’accordo o se nel contratto non è stato espressamente ammesso il libero trasferimento. La medesima regola vale anche per l’ingresso di nuovi soci. La società si scioglie per il decorso del temine fissato nell’atto costitutivo, per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, per la volontà di tutti i soci, per il venir meno della pluralità dei soci, e per le altre cause previste dal contratto sociale. Tuttavia la società è tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere operazioni sociali. Verificatasi una causa di scioglimento, la società non si estingue immediatamente: invero la società entra automaticamente in stato di liquidazione. Le finalità del procedimento di liquidazione sono: in primis il soddisfacimento dei creditori sociali, in secundis la distribuzione fra i soci dei beni sociali e dell’eventuale residuo attivo, in tertiis la definizione dei rapporti in corso.

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Nel tempo intercorrente tra lo scioglimento della società e la nomina dei liquidatori, gli amministratori conservano il potere di amministrare limitatamente agli affari urgenti Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che possono essere anche non soci. La nomina richiede il consenso di tutti i soci se nell’atto costitutivo non è previsto diversamente; in caso di disaccordo fra i soci, i liquidatori vengono nominati dal presidente del Tribunale territorialmente competente. I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal Tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci. Con l’accettazione della nomina i liquidatori prendono il posto degli amministratori. Questi devono consegnare ai liquidatori i beni ed i documenti sociali, e presentare ad essi il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto. Successivamente gli amministratori ed i liquidatori, insieme, hanno l’obbligo di redigere e sottoscrivere l’inventario dal quale risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale. In questo momento si esaurisce l’attività degli amministratori. È compito dei liquidatori: chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie nei limiti della rispettiva responsabilità ed in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite, se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali; vendere anche in blocco i beni sociali; ripartire tra i soci i beni sociali solo dopo che siano stati pagati i creditori della società o siano state accantonate le somme necessarie per pagare gli stessi; ripartire tra i soci l’eventuale attivo residuo in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni; definire i rapporti che si ricollegano all’attività sociale, anche rappresentando la società in giudizio o ponendo in essere transazioni e compromessi; e provvedere alla cancellazione della società dalla sezione speciale del registro delle imprese. Si sottolinea che non è necessario che i liquidatori procedano all’effettiva ripartizione dell’attivo residuo fra i soci.

I liquidatori, invece, devono astenersi dall’intraprendere nuove operazioni; contravvenendo al suddetto divieto, essi rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi. La chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione della società, sempre che la relativa disciplina sia stata rispettata e siano stati perciò soddisfatti tutti i creditori sociali. In mancanza, la società continua ad essere esistente. Un socio cessa di far parte della società per morte, recesso, o esclusione. In caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che non preferiscano continuare la società con gli eredi stessi e questi vi acconsentano. La morte del socio può determinare la volontà dei soci superstiti a sciogliere la società. Mentre il recesso consiste in una manifestazione unilaterale della volontà del socio di non far più parte della società, l’esclusione dalla società viene deliberata dalla maggioranza dei soci contro la sua volontà. Ciascun socio può

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recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci; in tali casi il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi. Ciascun socio può, inoltre, recedere nei casi previsti dal contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa. L’esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, a causa dell’interdizione o dell’inabilitazione del socio, nonché per la sua condanna ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici; il socio che ha conferito nella società la propria opera o il godimento di una cosa può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori; parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà della cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società . È escluso di diritto il socio che sia stato dichiarato fallito ed il socio nei cui confronti un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota. Invero il creditore particolare del socio, se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, può in ogni tempo chiedere ed ottenere che la società liquidi la quota del debitore. La quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società. Inoltre, il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione. Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento; se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime; il pagamento della quota spettante al socio normalmente deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto. Inoltre nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento; lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza non è opponibile ai terzi che lo hanno ignorato senza colpa.

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LA SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO

Come già dichiarato, alla società in nome collettivo si applicano, ove non derogate, le norme disciplinanti la società semplice. La società in nome collettivo può essere costituita o con scrittura privata con sottoscrizione autenticata o con atto pubblico. L’atto costitutivo deve indicare: le generalità dei soci; la ragione sociale; i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società; la sede della società e le eventuali sedi secondarie; l’oggetto sociale; i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuiti e il modo di valutazione; le prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera; le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite; la durata della società. L’atto costitutivo può essere modificato, salvo patto contrario, con il consenso di tutti i soci. La società in nome collettivo è soggetta all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese anche se non esercita un’attività commerciale. L’atto costitutivo della società, con sottoscrizione autenticata dei contraenti, o una copia autenticata di esso se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, deve essere depositato entro trenta giorni per l’iscrizione a cura degli amministratori; se gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato, ciascun socio può provvedervi a spese della società, o far condannare gli amministratori ad eseguirlo; se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, è obbligato ad eseguire il deposito anche il notaio. Un estratto dell’atto costitutivo deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo in cui la società istituisce sedi secondarie con una rappresentanza stabile, entro trenta giorni dall’istituzione delle medesime; l’estratto deve indicare l’ufficio del registro presso il quale è iscritta la società e la data dell’iscrizione; l’istituzione di sedi secondarie deve essere denunciata per l’iscrizione nello stesso termine anche all’ufficio del registro del luogo ove è iscritta la società. Se la collettiva esercita un’attività commerciale è obbligata a tenere i libri e le scritture contabili. Caratteristica peculiare della società in nome collettivo è la responsabilità solidale ed illimitata di tutti i soci per le obbligazioni sociali. Pertanto, contrariamente a quanto potrebbe accadere nelle società semplici, il patto di limitazione di responsabilità per alcuni soci non ha mai effetto nei confronti dei creditori. Ne deriva

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che i creditori possono sempre rivolgersi per i crediti sociali a qualunque socio senza il rischio di vedersi opporre un patto sociale in forza del quale quel socio non risponde dei debiti sociali o ne risponde solo parzialmente. La mancata iscrizione del contratto costitutivo nel registro delle imprese non produce né l’inesistenza né l’invalidità della società, ma soltanto la sua irregolarità, di guisa che la società non registrata viene denominata “irregolare”. Anche se irregolare la società esiste ed opera, ma i rapporti tra la società ed i terzi sono regolati, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, dalle disposizioni relative alla società semplice; inoltre i patti che attribuiscono la rappresentanza soltanto ad uno dei soci o che limitano i poteri di rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza. La società in nome collettivo agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto sociale; la società può conservare nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, se il socio receduto o gli eredi del socio defunto vi acconsentono.

Dato il carattere strettamente personale della società, il socio non può fare concorrenza alla società di cui fa parte; in caso di violazione del detto divieto, la società ha diritto al risarcimento dei danni. La società in nome collettivo può decidere di ridurre il capitale sociale. La deliberazione di riduzione del capitale, mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi dall’obbligo di ulteriori versamenti, può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione. Il Tribunale, nonostante l’opposizione, può disporre che l’esecuzione abbia luogo, previa prestazione da parte della società di un’idonea garanzia. Nella società in nome collettivo vale l’obbligo della preventiva escussione del patrimonio sociale: trattasi del cosiddetto “beneficium ordinis”. Mentre nella società semplice il creditore sociale può rivolgersi indifferentemente alla società o al socio, nella società in nome collettivo il creditore deve in ogni caso agire contro la società ed il suo patrimonio, e solo dopo che questo si sia rivelato insufficiente può rivolgersi al socio. Le collettive si sciolgono per le stesse cause delle società semplici e, limitatamente a quelle aventi ad oggetto un’attività commerciale, anche a seguito della dichiarazione di fallimento. Nella società in nome collettivo i liquidatori devono redigere il bilancio finale ed il piano di riparto. Il primo è il rendiconto della gestione dei liquidatori: espone le entrare e le uscite verificatesi, nonché la situazione patrimoniale finale. Il secondo è, invece, una proposta di divisione fra i soci dell’attivo residuo. Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci ed il procedimento di liquidazione ha termine. Non è invece necessario, come già visto per

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la società semplice e diversamente da quanto previsto per le società di capitali, che i liquidatori procedano all’effettiva ripartizione dell’attivo residuo fra i soci. Dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione da parte dei soci, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Avvenuta la cancellazione, il procedimento di liquidazione ha termine e la società si estingue. Tuttavia i creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società possono far valere entro dieci anni i loro crediti nei confronti dei soci, che restano personalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali inadempiute, e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi. Nella società semplice il creditore particolare del socio può in ogni tempo chiedere ed ottenere che la società liquidi la quota del debitore. Questa regola non vale per le collettive. Invero, nelle società in nome collettivo il creditore del socio non può chiedere la liquidazione della quota del socio-debitore, se non dopo che sia stata esaurita la liquidazione dell’intera società. Nell’impossibilità per il creditore particolare del socio di ottenere la liquidazione della quota di questi finché la società è in vita, si nota, pertanto, una più accentuata autonomia patrimoniale, per quanto ancora imperfetta, delle collettive rispetto alle società semplici. Si noti, tuttavia, che in caso di proroga espressa della società il creditore particolare del socio può fare opposizione alla proroga medesima entro tre mesi dall’iscrizione della relativa deliberazione nel registro delle imprese; se l’opposizione è accolta, la società deve, entro tre mesi dalla notificazione della sentenza, liquidare la quota del socio debitore dell’opponente.

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SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE

La Società in Accomandita Semplice(Sas) è un tipo di società che fa parte della famiglia delle Società di Persone. Di solito, si crea quando ci sono dei soci che pur mettendo dei capitali a disposizione per l’attività dell’impresa, non vogliono assumersene i rischi.

Si tratta di soci finanziatori e si chiamano “soci accomandanti” i quali affidano i loro capitali e la gestione dell’attività ad altri soci che si chiamano “soci accomandatari”.

Nella Società in Accomandita Semplice (SaS) ci sono, quindi, due categorie di soci ben distinte tra loro sia per il tipo di responsabilità che stanno in capo ai singoli soci che per le attività di gestione dell’azienda stessa. Vediamo chi sono queste categorie di soci e come si comportano all’interno dell’organizzazione aziendale.

Società in Accomandita Semplice: le due tipologie di soci Come dicevamo poco sopra, la Società in Accomandita Semplice presenta due categorie di soci tra loro totalmente differenti e che sono:

• i soci accomandanti: non possono amministrare la società nè possono concludere affari per suo conto. I soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali entro i limiti della quota di capitale che hanno conferito. Questi soci partecipano agli utili e alle perdite in proporzione alle quote di capitale che hanno investito.

• i soci accomandatari: sono responsabili in modo illimitato e solidale per le obbligazioni sociali, perché ne rispondono anche con il loro patrimonio personale. Questi soci amministrano la società e ne hanno la rappresentanza legale.

La Società in Accomandita Semplice (Sas) si costituisce con Atto Costitutivo e Statuto in cui vengono riportati:

• la denominazione sociale con il nome di uno o più soci accomandatari • la sede della società • le generalità dei soci accomandanti e dei soci accomandatari • le quote di capitale dei soci • i criteri di ripartizione degli utili e delle perdite

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Società in accomandita semplice: caratteristiche

La Sas è una società che è “un mix” tra le caratteristiche delle società di persone e quelle delle società di capitali, perché il socio accomandante è un “socio di capitale” che si limita ad apportare il capitale ma non partecipa in modo attivo alla gestione dell’impresa la quale è lasciata ai soci accomadatari.

Questo tipo di società viene di solito costituita quando la compagine sociale è alquanto differenziata per competenze, disponibilità finanziarie e mansioni da svolgere.

Prima di scegliere questa forma giuridica è bene valutarne i vantaggi e gli svantaggi. Presentiamo di seguito una breve sintesi delle caratteristiche principali di un Società in Accomandita Semplice

Una delle cose più importanti che devi tenere presente nel momento in cui vuoi costituire una Società in Accomandita Semplice è la mancanza della cosiddetta “autonomia patrimoniale“: in tal senso ci si riferisce alla differenza tra il patrimonio della società e il patrimonio dei soci e le conseguenze che ci possono essere in caso di fallimento. Infatti, in caso di fallimento di una Società in Accomandita Semplice i creditori hanno diritto di escutere il patrimonio personale dei soci. Ciò significa che se hai una Ferrari o la villa al mare, devi stare molto attento ai debiti che fai e, soprattutto, alla capacità che hai di ripagarli poiché, in caso di mancata restituzione dei soldi, il creditore può portare via sia la tua Ferrari che la tua villa al mare.

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SOCIETÀ PER AZIONI

La società per azioni (S.p.A.) è certamente il prototipo delle società di capitali e costituisce il principale modello di società commerciale più idonea ai grandi investimenti.

La S.p.A. si costituisce con atto pubblico innanzi al notaio, che provvede a registrare l’atto e ad iscrivere la società nel Registro delle Imprese competente (quello in cui è posta la sede sociale). Le società di capitali infatti vengono ad esistenza solo se la società venga iscritta presso il Registro delle Imprese a cura del notaio.

Per la sua costituzione è richiesto un capitale minimo di 50.000 euro, di cui almeno il 25% del capitale sociale (pari a 12.500 euro) deve essere versato nelle mani degli amministratori e di ciò si deve dar conto nell’atto costitutivo. Per determinate società la legge prevede un capitale minimo più elevato, in relazione alla peculiarità dell’attività svolta (è il caso delle società di intermediazione mobiliare o delle società bancarie o finanziarie).

Nel caso in cui la società nasca con un unico socio deve essere versato l’intero importo del capitale sociale.

Le società per azioni possono essere di due tipi: aperte, che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (società quotate e con azioni diffuse) e chiuse, che non vi fanno ricorso. Nelle società chiuse il controllo contabile può essere affidato, in forza di specifica clausola statutaria allo stesso collegio sindacale; nelle società aperte invece il controllo contabile spetta per legge necessariamente ad una società di revisione.

Non è necessario che la partecipazione al capitale della società corrisponda ai conferimenti di ciascuno: i soci possono ad esempio liberamente decidere di “premiare” con una partecipazione maggiore un socio di cui reputano strategica la partecipazione o fondamentale l’apporto eseguito.

Caratteristiche

Le due caratteristiche fondamentali sono la responsabilità limitata di tutti i soci e la divisione del capitale in azioni.

La società, infatti, fa fronte alle spese e ai debiti solo con il proprio patrimonio, vale a dire con il proprio capitale e in generale con le proprie risorse economiche. I soci non sono tenuti a pagare i debiti con i propri beni personali e non sono obbligati a prestare i propri soldi alla società. In caso di difficoltà economiche e quindi di “insolvenza”,

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la società può fallire, ma i soci o l’unico socio non falliscono e perdono soltanto il valore delle proprie azioni e quindi il denaro che hanno investito per partecipare alla società.

Il capitale è suddiviso in azioni di un valore fissato nell’atto costitutivo (“valore nominale”), di solito l’importo minimo è di 1 euro per ciascuna azione. Le azioni sono quote di partecipazione liberamente trasferibili. L’emissione delle azioni è normale ma non essenziale, essendo possibile che esse non vengano materialmente emesse; nelle società quotate in borsa le azioni non possono più essere rappresentate da documenti cartacei, ma da semplici registrazioni contabili, definite "azioni scritturali" o "azioni dematerializzate".

L’amministrazione

L’amministrazione delle società per azioni può, con le norme in vigore dal 2004, essere organizzata secondo tre modelli distinti: quello tradizionale, quello monistico (di derivazione anglosassone) e quello dualistico (di derivazione tedesca).

1. Nel modello tradizionale, la S.p.A. è amministrata da più persone che formano il “Consiglio di Amministrazione” ma può anche essere amministrata da un amministratore unico. A volte gli amministratori non sono soci, ma persone esperte nell’amministrazione e nell’ambito dell’attività svolta dalla società. Chi firma per la società è l’amministratore unico o il presidente del Consiglio di Amministrazione. Gli amministratori hanno il compito di gestire la società e la loro competenza ricomprende tutti gli atti necessari al conseguimento dell’oggetto sociale. Il numero dei membri del consiglio di amministrazione è stabilito nell’atto costitutivo, che però può limitarsi ad indicare un numero minimo ed un numero massimo di amministratori; in questo caso, compete poi all’assemblea ordinaria la determinazione in concreto del numero degli amministratori.

2. Nel sistema dualistico, invece, l’amministrazione è affidata ad un consiglio di gestione, eletto dal consiglio di sorveglianza, che a sua volta è eletto dall’assemblea: a tali organi si applicano le specifiche norme previste dalla legge, e, in via residuale, le generali norme in tema di amministrazione e controllo.

3. Nel sistema monistico, l’amministrazione e il controllo sono affidati ad un consiglio di amministrazione e ad un comitato costituito al suo interno; pertanto la disciplina relativa al funzionamento del consiglio di amministrazione è la stessa di quella prevista nel modello tradizionale, fatta eccezione per alcuni requisiti dei componenti del consiglio stesso. Al contrario

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il sistema di controllo è molto differente rispetto al modello tradizionale. Questo modello, di stampo anglosassone, risulta in assoluto il meno diffuso nel nostro ordinamento giuridico.

L’organo di controllo

Il collegio sindacale è l’organo di controllo delle società per azioni che adottano il sistema tradizionale: ad esso è demandato il compito di controllare l’amministrazione della società e di vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo. L’attività di controllo dei sindaci riguarda non solo il riscontro di dati puramente formali, ma anche la sostanza dell’amministrazione, senza però poter entrare nel merito della gestione degli amministratori e delle loro valutazioni di mercato.

Nelle società che adottano il sistema dualistico, il controllo sulla gestione e di legalità viene svolto dal consiglio di sorveglianza, che tra l’altro riveste anche alcune delle principali competenze dell’assemblea ordinaria (nomina dei consiglieri di gestione, esercizio della relativa azione di responsabilità e approvazione del bilancio).

Nelle società che hanno eletto il sistema monistico invero il controllo è svolto da un apposito comitato per il controllo sulla gestione eletto in seno al consiglio di amministrazione, cui spetta anche la competenza alla nomina, revoca e sostituzione e quindi con competenze ulteriori rispetto al modello tradizionale.

L’assemblea

L’assemblea, che è formata, dai soci, non ha compiti di amministrazione, ma deve riunirsi almeno una volta all’anno per approvare il bilancio. L’assemblea viene convocata dagli amministratori anche per prendere decisioni importanti ad esempio per le modifiche dello statuto o per l’aumento del capitale sociale e la relativa deliberazione deve essere verbalizzata da un notaio che, entro trenta giorni, verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l’iscrizione nel Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio del luogo ove la società ha sede. L’ufficio del registro delle Imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro. Se il notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione agli amministratori che possono ricorrere al tribunale per ottenere la predetta iscrizione della delibera nel registro delle imprese.

Scioglimento

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La società si scioglie anticipatamente con una delibera di assemblea verbalizzata dal notaio ovvero quando ricorre una delle cause di scioglimento indicate dalla legge, quali il decorso del termine di durata, il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea, la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.

Gli effetti dello scioglimento decorrono dal giorno dell'iscrizione presso il Registro delle Imprese della dichiarazione di accertamento fatta dall'organo amministrativo o della delibera assembleare in caso di scioglimento volontario.

Occorre nominare un liquidatore (in genere un ex amministratore della stessa o un esperto in amministrazione e contabilità) che si occupi della chiusura dei debiti, dei crediti, e di tutte le partite contabili in sospeso. Il liquidatore richiederà poi direttamente la cancellazione della società dal Registro Imprese (senza alcun ulteriore atto notarile).

È ammessa la revoca dello stato di liquidazione da adottarsi con le maggioranze richieste per la modifica dell'atto costitutivo o dello statuto, occorrendo previa eliminazione della causa di scioglimento.

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ODONTOTECNICA

L’odontotecnica è la professione con la quale si raggiungono le conoscenze per procedere alla costruzione di protesi dentarie fisse e mobili e altri apparecchi ortodontici su misura. È definita come l'insieme delle tecniche che permettono di preparare apparecchi dentari, specialmente protesi.

L’odontotecnico è quindi colui che sui modelli ottenuti delle impronte fornite dagli odontoiatri costruisce protesi dentarie di qualsiasi tipo impiegando i materiali utilizzati in odontotecnica. Le impronte fornite all'odontotecnico devono essere accompagnate da una prescrizione che riporta il tipo di protesi da eseguire, il materiale da impiegare e tutte le informazioni di progettazione necessarie alla realizzazione del manufatto.

L'odontotecnico può essere consultato presso lo studio medico ogni qualvolta l'odontoiatra lo ritenga opportuno. Questo può avvenire in maniera da ottimizzare il dispositivo medico su misura o per eventuali richieste ai fini della costruzione di una protesi più rispondente alle caratteristiche estetiche e strutturali del paziente. In Europa, la direttiva comunitaria 93/42 impone all'odontotecnico di allegare alle protesi da lui prodotte una dichiarazione di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza indicati dalla direttiva stessa.

Storia dell'odontotecnica

L'uomo fin dai tempi più remoti si è dedicato alla cura dei denti e alla sostituzione di essi. Alcune fra le civiltà più antiche, quali l'egizia, l'etrusca, la fenicia e la greca, ci hanno lasciato diversi reperti archeologici riguardanti l'antica arte delle protesi.

Una delle protesi più antiche da noi conosciuta risale a circa 2600 anni a.C. ed è costituita da due denti naturali legati ai denti vicini con un cerchio d'oro.

Tutte le protesi antiche ritrovate sono composte da anelli e cerchietti d'oro, paragonabili come principio, al sistema che oggi si chiama a ponte; già allora era noto il metodo di fusione detto a cera persa. Scoperte archeologiche abbastanza recenti, hanno dimostrato che alcune antiche civiltà realizzavano intarsi di ematite, sostituivano i denti e usavano il trapianto. Si usava sostituire i denti mancanti con denti scolpiti in legno duro, in osso, in avorio, pietra preziosa, legati ai denti vicini con fili di rame.

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Dopo un lungo periodo di decadenza dell'odontotecnica, contribuì a dare una notevole ripresa una particolare citazione di un trattato francese "Chirurgien dentiste" del XVIII secolo, ad opera di Pietro Fouchard. In tale trattato si parlava, del fissaggio dei perni nelle radici per il sostegno di denti artificiali e di ancoraggio di protesi mobili ad elementi sani mediante specifici ganci. Nella stessa epoca, vennero realizzate per la prima volta corone in oro smaltato e i modelli in gesso ricavati da un'impronta in bocca.

Attorno al 1900 si iniziò ad eseguire ponti e corone in porcellana cotta su matrice di platino o oro. Sempre attorno ai primi anni del ‘900 comparve il primo grande trattato dell’odontotecnica, una vera opera completa che forniva tutte le basi dell'odontotecnica studiate sino a quel tempo.

Ma una tappa importantissima nell'odontotecnica fu l'introduzione dell'acciaio inossidabile e delle leghe stelliti. Un'altra tappa importante da ricordare è l'introduzione in Italia delle resine sintetiche per la confezione di protesi.

Una realtà consolidata dell'odontotecnica è il metal free, basato sull'utilizzo dell'ossido di zirconio e dell'ossido di alluminio e del Disilicato di litio.

L'ultima frontiera per i restauri è la fibra di carbonio ad uso odontotecnico realtà per l'industria e futuro possibile per l'odontotecnica.

Normativa italiana

In Italia, la collocazione giuridica dell'odontotecnico non è tra le professioni sanitarie. Alla figura professionale dell'odontotecnico è preclusa qualunque manovra, cruenta o non cruenta, presso il cavo orale del paziente, ed è solo consentita la realizzazione di protesi modellate su modelli ottenuti da impronte rilevate da un odontoiatra, come sopra specificato ed ai sensi dell'art. 11 r.d. 31 maggio 1928 n.1334. Pertanto, commette il delitto di esercizio abusivo della professione medica, a mente dell'art. 348 c.p., l'odontotecnico il quale provveda direttamente alla installazione di una protesi dentaria (limando monconi, fissando viti ai perni, rilevando impronte, fissando infine la protesi), in tal senso Cass. Pen., Sez. VI, 10.06.2004, nr. 37120.

Per esercitare la professione in forma autonoma o in società si sostiene un Esame di stato per ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione odontotecnica in base all'ordinanza Ministeriale 11 luglio 2000, n.180 la quale dall'anno 1999 disciplina con nuove modalità l'Esame di abilitazione all'esercizio dell'arte sanitaria ausiliaria di odontotecnico.

Il collocamento della professione odontotecnica è dibattuta, probabilmente nel tentativo di sanare posizioni professionali piuttosto ambigue, considerata l'elevata incidenza di abuso della professione odontoiatrica da parte degli odontotecnici.

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La confusione è spesso incrementata anche dalla similitudine dei due termini odontotecnico ed odontoiatra, il primo è un diploma professionale di scuola secondaria di secondo grado conseguito presso Istituti Professionali, il secondo è una laurea conseguita presso una Università, i profili professionali restano ben distinti.

Negli ultimi anni è stata proposta dalle associazioni di categoria odontotecniche una modifica al profilo professionale, che prevederebbe l'istituzione di un corso di laurea triennale in Scienze odontotecniche. Il nuovo profilo per la professione di odontotecnico è stato al vaglio del Ministero della Salute e di altre Istituzioni, ma recentemente è stato definitivamente rigettato.

Negli anni sono stati diversi i tentativi di modifica al profilo professionale dell'odontotecnico, sempre respinti, tuttora le competenze degli odontotecnici sono definite dall'articolo 11 del Regio Decreto 1334 del 1928:

Gli odontotecnici sono autorizzati unicamente a costruire apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte loro fornite dai medici chirurghi e dagli abilitati a norma di legge all'esercizio della odontoiatria e protesi dentaria, con le indicazioni del tipo di protesi da eseguire. È in ogni caso vietato agli odontotecnici di esercitare, anche alla presenza ed in concorso del medico o dell'abilitato all'odontoiatria, alcuna manovra, cruenta o incruenta, nella bocca del paziente, sana o malata. Resta comunque inteso che solo l'odontotecnico è abilitato a costruire dispositivi medici su misura che poi possono essere installati nella bocca dagli odontoiatri. Solamente l'odontotecnico e in grado di fornire la documentazione necessaria (dichiarazione di conformità) da allegare al prodotto finito.

Nelle more del già citato art. 348 del Codice Penale e dall'art.101 del Testo Unico delle Leggi Sanitarieì (T.U.L.L.S.S., Regio Decreto 1265 del 1934).

Sono inoltre previste determinate attrezzature tecniche da laboratorio definite nel Decreto Ministeriale Determinazione delle attrezzature tecniche e strumentali degli esercenti le arti ausiliarie sanitarie (del 3 maggio 1994 in Gazzetta Ufficiale n.108 dell'11 maggio 1994).

L'utilizzo di apparecchiature radiologiche da parte di soggetti non autorizzati è inoltre punibile con sanzioni penali, in ambito odontoiatrico l'uso di tali apparecchiature è consentito agli abilitati alla professione odontoiatrica (iscritti all'Ordine dei Medici ed Odontoiatri, Albo Odontoiatri), visto il Decreto Legislativo n. 230 del 1995 Attuazione delle Direttive Euratom 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in Materia di Radiazioni Ionizzanti:

«art. 110 Titolo e qualifiche professionali 3. L'attività radiodiagnostica in ambito odontoiatrico, complementare all'esercizio clinico, è consentita ai laureati in medicina e chirurgia che ai sensi della normativa vigente esercitano la professione di

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odontoiatra e ai laureati in odontoiatria, anche non in possesso del diploma di specializzazione in radiodiagnostica. Tali laureati devono possedere le necessarie competenze in radioprotezione e devono osservare, nell'ambito delle proprie competenze, le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 111.»

Il medesimo Decreto regolamenta anche la denuncia della semplice detenzione di apparecchiature radiologiche per scopi medici/odontoiatrici:

«art. 22 Detenzione di sorgenti di radiazioni ionizzanti 1. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, e successive modificazioni e integrazioni, chiunque detiene a qualsiasi titolo sorgenti di radiazioni, ivi comprese le macchine radiogene, deve farne denuncia entro dieci giorni agli organi del servizio sanitario nazionale competenti per territorio, al comando provinciale dei vigili del fuoco e all'ANPA, nonché, ove di loro competenza, all'ispettorato del lavoro, al comandante di porto e all'ufficio di sanità marittima, indicando i mezzi di protezione posti in atto.»

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DISPOSITIVO MEDICO

Un dispositivo medico è uno strumento utilizzato in medicina per finalità diagnostiche e/o terapeutiche. Spesso sono oggetto di specifica disciplina normativa, che può variare da paese a paese.

Disciplina normativa

Italia

Secondo la definizione contenuta nel decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46 ("Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici)", un dispositivo medico è:

«qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi.»

Rientrano quindi in tale definizione gli strumenti concepiti a scopo di:

• diagnosi, prevenzione, controllo, terapia, o attenuazione di una malattia; • diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un

handicap; • studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo fisiologico; • intervento sul concepimento".

Un dispositivo medico non deve esercitare la sua "azione principale nel o sul corpo umano con mezzi farmacologici o immunologici, né mediante processo metabolico".

L' Italia ha inoltre recepito altre direttive europee in materia:

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• Decreto legislativo 14 dicembre 1992 n. 507, di recepimento della direttiva 90/385/CEE sui dispositivi medici impiantabili attivi;

• Decreto legislativo 8 settembre 2000 n.332, di recepimento della direttiva 98/79/CE sui dispositivi diagnostici in vitro.

In Italia la progettazione e le attività di sviluppo correlate ai dispositivi medici sono professioni regolamentate dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328 (G.U. 17 agosto 2001, n. 190, S.O.)

Art. 46. Attività professionali:

1. Le attività professionali che formano oggetto della professione di ingegnere sono così ripartite tra i settori di cui all'articolo 45, comma 1:

a) ... omissis ...

'b) per il settore «ingegneria industriale»: pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo, la gestione, la valutazione di impatto ambientale'

• di macchine, impianti industriali, • di impianti per la produzione, trasformazione e la distribuzione dell'energia, • di sistemi e processi industriali e tecnologici, • di apparati e di strumentazioni per la diagnostica e per la terapia medico-

chirurgica

Banca dati dei dispositivi medici

L'elenco dei dispositivi medici e dispositivi medici impiantabili attivi notificati nel sistema "Banca dati dei dispositivi medici" è disponibile al pubblico per agevolare la diffusione e l'utilizzo del numero di iscrizione nella banca dati istituita ai sensi del Decreto del Ministro della salute 21 dicembre 2009.

La consultazione pubblica è disponibile in due modalità diverse. È infatti possibile interrogare direttamente la banca dati attraverso l'impostazione di semplici criteri di ricerca oppure scaricare l'intero data set in modalità "Dati aperti". Con Dati aperti, comunemente chiamati con il termine inglese Open Data anche nel contesto italiano, si fa riferimento ad una filosofia, che è al tempo stesso una pratica, in base alla quale alcune tipologie di dati sono rese liberamente accessibili a tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione.

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Unione Europea

Le direttive comunitarie disciplinano, separatamente, tre categorie di dispositivi medici, recepite già dalla legislazione italiana (vedi sopra):

• Direttiva 90/385/CEE sui dispositivi medici impiantabili attivi; • Direttiva 93/42/CEE sui dispositivi medici (in genere); • Direttiva 98/79/CE; sui dispositivi diagnostici in vitro.

I dispositivi medici sono raggruppati, in funzione della loro complessità e del potenziale rischio per il paziente, in quattro classi: I, IIa, IIb, III. La classe I ha un'incidenza di diffusione minima, e comprende solo dispositivi non attivi. Esistono inoltre alcune categorie di dispositivi che sono oggetto di regole speciali di classificazione.

Ad un dispositivo che richiede l'applicazione di più regole, la normativa prevede di scegliere per la classificazione quelle che determinano la categoria più elevata di appartenenza.

Caratteristiche

Dispositivi medici attivi

La maggior parte dei dispositivi medici per scopi di diagnosi e cura sono detti attivi, perché in tal caso per funzionare essi necessitano di una qualche forma di energia, diversa da quella generata direttamente dal corpo umano o dalla gravità, ed agisce convertendo tale energia nelle modalità utili al suo principio di funzionamento.

Sono ad esempio dispositivi attivi la tomografia assiale computerizzata (TAC), il laser, i dispositivi per elettroanalgesia.

Sicurezza

I dispositivi medici, al pari dei farmaci, prima di essere immessi in commercio devono poter dimostrare la loro sicurezza e la loro efficacia nel campo di azione previsto mediante studi clinici svolti presso strutture idonee ed autorizzate allo scopo. Non sono necessari nuovi studi clinici quando il dispositivo non introduce nessuna variazione funzionale (parametri operativi) ed in termini di prestazioni e sicurezza rispetto a tecnologie già autorizzate di cui è disponibile la letteratura scientifica di riferimento.

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Pseudo-dispositivi medici

Esistono fabbricanti di apparecchiature che sono apparentemente dispositivi medici, ma non rispettano nessuna delle regole fondamentali previste dalle normative in termini di verifica di efficacia e sicurezza. Per questa ragione non dispongono delle autorizzazioni necessarie per essere riconosciuti come dispositivi medici, anche se la pubblicità lascia intendere questo.

Queste apparecchiature sono destinate prevalentemente al mercato della cosiddetta "medicina alternativa", e di fatto realizzano pseudo-dispositivi medici, che in alcuni casi sono realmente pericolosi per la salute umana. A titolo di esempio, un apparecchio che viene venduto per diagnosi precoce del cancro o di altre gravi malattie, e non ha nessuna possibilità di fare realmente questa diagnosi (altrimenti sarebbe un dispositivo medico effettivo), impedisce una corretta diagnosi precoce, che invece spesso avrebbe potuto salvare la vita della persona interessata.

Di solito queste apparecchiature vengono commercializzate utilizzando un linguaggio apparentemente scientifico (in realtà è del tutto pseudoscientifico), che si richiama a interpretazioni grossolane delle leggi della fisica, specie quella quantistica, od altre problematiche della scienza che pur essendo reali (sistemi non lineari, complessità) sono presentate in maniera confusa, oppure a veri dispositivi medici, allo scopo di rendere più "credibile" e vendibile il prodotto in questione.

Questo genere di comunicazione utilizza un linguaggio "pseudoscientifico" e "pseudotecnologico", che per gli addetti ai lavori è una grottesca parodia del reale, ma che può risultare ingannevole e pericoloso per l'utente non preparato sull'argomento. Il pericolo non si limita al danno economico derivato dall'eseguire esami o cure del tutto inutili, con apparecchiature che non possono oggettivamente realizzare nulla di quello che promettono; la vera problematica sanitaria associata è il ritardo di una corretta diagnosi o di una corretta terapia.

Nei casi dove la tempistica dell'intervento produce la differenza tra scenari drammatici o la possibilità di soluzione della patologia, questo non è elemento di poco conto. In altri termini, è sbagliato pensare che questi dispositivi siano nella migliore delle ipotesi innocui, anche quando sono solo scatole piene di luci colorate. Le denunce dei media, o purtroppo di persone che hanno fatto le spese della loro ingenuità, permettono alle autorità di intervenire, ma il problema si ripropone continuamente in altre forme. La stessa tipologia di apparecchiature che viene bloccata dalle autorità competenti, si ripropone subito dopo sul mercato con piccole variazioni (generalmente il nome e qualche ritocco estetico), spesso utilizzando nuovi

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stratagemmi per eludere le normative. Uno stratagemma tipico è quello di passare dalla dicitura di "sistema diagnostico", quindi di dispositivo medico con obbligo di certificazione e verifica, a "sistema di pre-diagnosi", quindi di pseudo dispositivo medico senza alcun obbligo di verifica. In questo modo pur continuando a "suggerire" ed evocare manipolatoriamente possibili applicazioni di diagnosi e cura, il dispositivo può essere venduto come un qualsiasi elettrodomestico, con cui realisticamente condivide le stesse, inesistenti, capacità "diagnostiche" e "curative".

Dispositivo medico legale

Un dispositivo medico legale si riconosce con facilità perché rispetta le normative di riferimento, deve quindi essere collegato obbligatoriamente a letteratura scientifica e studi clinici coerenti con le disposizioni sanitarie in materia, (non quindi libri od articoli stampati ad hoc per sostenere una scientificità dai contenuti autoreferenti), deve poter esibire certificazioni a norma di legge, come assicurare la possibilità di verifica trasparente sulle certificazioni rilasciate dagli organismi notificati.

In generale un dispositivo medico in utilizzo in un paese membro dell'Unione europea deve sempre esibire la marcatura CE, con la chiara indicazione del numero dell'organismo notificato che l'ha rilasciata. Questo permette la verifica presso l'organismo notificato delle effettive caratteristiche per cui il dispositivo ha ricevuto autorizzazione in ambito sanitario, e se la marcatura è autentica e coerente con la dichiarazione d'uso pubblicizzata del fabbricante. Alcune strutture private rilasciano certificazioni di pre-verifica alla conformità, ma non hanno nessun valore sanitario. Anche una marcatura CE che copre la sola parte elettrica non ha alcun valore sanitario, e non qualifica il dispositivo come medico.

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LA MARCATURA CE

Una garanzia europea di qualità e sicurezza

La marcatura CE è il fondamentale e obbligatorio collegamento fra la certificazione dei sistemi di gestione per la qualità (es. ISO 9001 e ISO 13485) e i requisiti essenziali di sicurezza dei prodotti. Per dimostrare la conformità ai requisiti essenziali di sicurezza delle diverse direttive tecniche, spesso è richiesta l’apposizione della marcatura CE. Quando prevista, la marcatura è una sigla che deve, in ogni caso, essere apposta in modo visibile e indelebile. Risulta, infatti, lo strumento per comunicare agli utilizzatori che quel prodotto rispetta i requisiti essenziali di sicurezza (cogenti) contenuti nella direttiva di riferimento.

La marcatura CE è la sola che può attestare la conformità ai requisiti cogenti prescritti dalle direttive. La marcatura deve essere apposta sul prodotto o, quando le caratteristiche del prodotto non lo permettano, e a condizione che la direttiva lo preveda (es. per i giocattoli), la marcatura può essere apposta sull'eventuale imballaggio o sui documenti che accompagnano il prodotto. Secondo la sua natura, un prodotto può essere soggetto a requisiti di più direttive. Si consideri ad esempio un impianto di automazione industriale; questo può essere soggetto alla direttiva macchine, compatibilità elettromagnetica e materiale elettrico di bassa tensione. La marcatura CE può, ovviamente, coesistere con altri marchi volontari di conformità (es. IMQ, TÜV, etc.). Attenzione, però, che l’unica conformità cogente europea è quella CE; le restanti sono richieste fatte da specifici mercati o clienti. Ai fini dell’ottenimento di uno schema che sia chiaro ed uniforme in tutti gli stati membri, la Commissione Comunitaria ha introdotto una serie di percorsi per la certificazione della conformità ai requisiti delle direttive tecniche. Tali percorsi sono noti come approccio modulare e sono contenuti a loro volta in una direttiva (93/465). Le direttive sopra elencate ricalcano questo approccio e vengono così identificate come direttive nuovo approccio. Secondo la direttiva 93/465 i percorsi di certificazione sono suddivisi in diversi moduli, i quali possono essere composti secondo la pericolosità e tipologia del prodotto.

Semplificando i percorsi ai quali i moduli portano, si può affermare che, quando il prodotto non è pericoloso e/o complesso, il fabbricante, effettua l'analisi tecnica dei rischi del prodotto (prima dell'immissione sul mercato), redige un fascicolo tecnico ed un manuale di uso e manutenzione per l'utilizzatore e si autodichiara conforme alle

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direttive (o direttive). Il fabbricante immette sul mercato, quindi, i prodotti dotati della identificazione CE e accompagnati da una dichiarazione formale di conformità (percorso del Modulo A).

Nel caso, invece, di prodotti pericolosi e/o complessi, occorre la certificazione del tipo (prototipo di prodotto) da parte di un organismo notificato (percorso del Modulo B). L'organismo rilascia un certificato di conformità solo al prototipo, dopodiché è il fabbricante che deve garantire che i successivi prodotti (se ci sono) sono conformi al prototipo.

Ecco quindi che, secondo il prodotto, la direttiva può prevedere che l'organismo:

• verifichi con intervalli casuali i prodotti immessi sul mercato (Modulo B+C); • verifichi (non certifichi) il sistema di gestione per la qualità ISO 9001

dell'organizzazione nei processi di fabbricazione, controllo e prove finali (Modulo B+D), escludendo quindi progettazione e sviluppo;

• verifichi (non certifichi) il sistema di gestione per la qualità ISO 9001 dell'organizzazione nei soli processi di controllo e prove finali (Modulo B+E)

• verifichi (non certifichi) il sistema di gestione per la qualità ISO 9001 dell'organizzazione nei processi di progettazione, fabbricazione, controllo e prove finali (Modulo B+H), quindi senza esclusione alcuna;

• verifichi ogni esemplare di prodotto dell'organizzazione, o su base statistica definita, prima dell'immissione sul mercato (Modulo B+F).

Nel caso di esemplare unico di prodotto (esempio grossi impianti industriali su commessa), vale sostanzialmente il modulo B, che si compone con uno specifico modulo, il G. Ogni direttiva tecnica del tipo nuovo approccio indica specificamente quali fra gli otto moduli e loro combinazioni debbano essere utilizzate dal fabbricante. L'organizzazione, individuato il proprio percorso cogente, può, in ogni modo, scegliere volontariamente percorsi più restrittivi.

Ad esempio, se un'organizzazione ricade nel percorso Modulo A di auto dichiarazione, può però utilizzare i moduli B+C. In questo modo l'organizzazione è maggiormente garantita della conformità ai requisiti essenziali e, fra l'altro, dal punto di vista legale, condivide la responsabilità con l'organismo notificato. Molte organizzazioni che ricadano, invece, nel percorso modulo B+F, preferiscono i moduli B+D o B+H per questioni economiche; spesso, infatti, costa meno far verificare il proprio sistema di gestione per la qualità periodicamente, piuttosto che far controllare uno ad uno o statisticamente i prodotti. Da notare che i percorsi B+E, B+D o B+H, non richiedono all'organizzazione di ottenere un certificato di conformità ISO 9001; il sistema deve essere verificato - approvato. Considerando che la verifica periodica di un sistema ha dei costi per l'organizzazione e che, in ogni caso, i costi più alti sono quelli per la sua realizzazione e miglioramento, tante vale utilizzare un organismo

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notificato che sia al tempo stesso ente terzo accreditato per certificare ISO 9001. In questo modo la verifica prevista dalle direttive si trasforma in una vera e propria certificazione di conformità ISO 9001. Gli organismi notificati, come già visto, sono enti terzi accreditati dai Ministeri che possiedono requisiti, ancora una volta, fissati all’interno della direttiva tecnica di prodotto. Sono notificati alla Comunità Europea dai vari stati membri sotto la propria responsabilità e l'organizzazione può utilizzare anche organismi notificati esteri. Va da sé, che anche nei percorsi dove è coinvolto l'organismo, l'organizzazione deve redigere il fascicolo tecnico e il manuale di uso e manutenzione. Il primo rimane all'interno dell'organizzazione, per almeno dieci anni, a disposizione delle autorità di controllo, il secondo è ovviamente consegnato con il prodotto in formati diversi (per prodotti semplici possono bastare istruzioni di uso sulla confezione del prodotto stesso).

Un buon fascicolo tecnico, solitamente:

• nasce come uscita dalla progettazione e sviluppo; • contiene un'accurata analisi dei rischi per l'utilizzatore (es. FMEA, FTA); • contiene le azioni correttive di progetto o processo produttivo per contenere od

eliminare i rischi; • contiene la descrizione tecnica del prodotto e del processo di produzione; • è un documento controllato passibile di modifiche.

Il manuale di uso e manutenzione, invece:

• deve essere redatto in modo chiaro, senza ambiguità, facendo largo uso di avvertenze iconiche;

• deve contenere avvertenze ed espliciti divieti per l'utilizzatore al fine di evitare rischi; • deve delimitare lo scopo ed applicazione del prodotto; • deve essere redatto nelle lingue dei possibili utilizzatori.

Si evince, quindi che, in dipendenza dal tipo di prodotto la qualità cogente può avvicinarsi, in parte, all’assicurazione qualità o addirittura alla gestione per la qualità; il percorso del modulo B+H è rappresentativo. Lo scenario è talmente vario che si possono avere prodotti, quali i dispositivi medicali impiantabili, o i farmaceutici, dove di fatto occorre un completo sistema di gestione per la qualità ISO 9001. Oppure un giocattolo di stoffa, dove basta la preparazione di un fascicolo tecnico e di istruzioni per l'uso con adeguata risoluzione - documentazione delle componenti di rischio.

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DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ

La dichiarazione di conformità (nota come DICO), in Italia, è un documento, o un insieme di documenti, con cui si dichiara che un bene (per esempio un impianto, o un dispositivo) rispetta gli standard imposti dalle norme tecniche e/o dalla legge.

Disciplina normativa

Il riferimento principale anche prima dell'istituzione della dichiarazione di conformità è il requisito della cosiddetta "regola d'arte", come definito dalla legge 1º marzo 1968, n. 186 (a cui la legge 5 marzo 1990, n. 46, sostituita dal D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, fa riferimento).

La legge n. 186/1968, formata da due articoli, prescrive:

• che gli impianti e le apparecchiature elettriche ed elettroniche debbano essere realizzati a regola dell'arte

• che gli impianti realizzati secondo le norme CEI hanno la presunzione della regola dell'arte.

Ciò significa che l'aspetto primario nella realizzazione di un impianto o di un'apparecchiatura elettronica resta il rispetto della "regola dell'arte", mentre le specifiche norme e regolamenti scelti come riferimento restano a discrezione dell'installatore (ciò anche per mantenere stabile la norma pur con la flessibilità dovuta al progresso tecnologico). Tuttavia, come stabilito dalla legge stessa, l'applicazione delle norme CEI fa sì che gli impianti risultino a regola d'arte, quindi de facto sono cogenti, perché dimostrare la regola dell'arte senza l'applicazione di tali norme è molto complesso e in vari casi non possibile, vista la varietà di casistiche previste dalle norme CEI stesse. Nel modello ministeriale di dichiarazione di conformità è esplicitamente richiesto di indicare quali norme si sono utilizzate come riferimento per l'impianto (applicabili all'impiego).

Il requisito della dichiarazione di conformità fu introdotto per la prima volta proprio con la legge 5 marzo 1990, n. 46. Un modello per la redazione della dichiarazione di conformità alla regola dell'arte è stato pubblicato con il D.M. 20 febbraio 1992.

Il D.M. del 22 gennaio 2008 n. 37 reca due allegati (modello) per la redazione della dichiarazione di conformità: uno per le imprese installatrici e uno per gli enti che posseggono "uffici tecnici" interni. Una delle novità più sostanziali del D.M. è che la

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"Dichiarazione di Conformità" dovrà essere fatta per ogni tipo di impianto e per ogni tipo di edificio (prima esisteva la differenza tra civile abitazione e uso industriale e terziario). Una seconda novità è l'introduzione della "Dichiarazione di Rispondenza", da redigersi per gli impianti esistenti alla data dell'entrata in vigore del D.M. Di essa non vi è modello, infatti essa ha più carattere di una "relazione tecnica" e di una raccolta di dati tecnici e di altra natura, come foto e schede per esempio. Per le cabine di media tensione infine vi è la "Dichiarazione di Adeguatezza" (fonte CEI 0-16), che viene redatta da una impresa abilitata in sostituzione e/o mancanza della "dichiarazione di conformità"; solitamente viene richiesta dagli Enti fornitori di energia per gli impianti esistenti.

Con la pubblicazione del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 19 maggio 2010 "Modifica degli allegati al decreto 22 gennaio 2008, n. 37, concernente il regolamento in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici", sono stati introdotti nuovi moduli per la dichiarazione di conformità.

Tipologie

Dichiarazione di conformità per impianti

L'installatore di un impianto (impianto elettrico, idro-sanitario, termico, ecc.) è tenuto per legge a presentare dichiarazione di conformità inerente all'impianto stesso.

Per mezzo di essa, si dichiara che l'installazione dell'impianto è stata compiuta in conformità a disposizioni legislative particolari o a specifiche norme tecniche. Per la redazione degli allegati e degli eventuali progetti sono necessarie specifiche figure come il Responsabile Tecnico o il Progettista abilitato, iscritto in apposito albo.

Dichiarazione di conformità CE

Viene emessa in accordo alle direttive europee che prevedono la marcatura CE dei prodotti. Viene redatta dal produttore (o importatore) dichiarando la conformità alle direttive europee applicabili allo specifico prodotto, che devono essere tutte elencate. Eventuali requisiti specifici sono indicati nelle rispettive direttive.

Il certificato di omologazione comunitaria (C.O.C.) è un certificato di conformità dell'Unione europea rilasciato per i veicoli appartenenti alla categoria internazionale “M1”, cui fanno parte i veicoli adibiti al trasporto di persone con almeno quattro ruote, acquistati direttamente da singoli privati in un paese comunitario o commercializzati in Italia da operatori privati o tramite reti ufficiali dei concessionari.

Dal certificato di omologazione comunitaria sono desumibili tutti i dati necessari per la compilazione della carta di circolazione. A tale documento può essere allegata una

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dichiarazione per l'immatricolazione che serve per agevolare il collegamento con il numero di omologazione europeo.

Modalità di presentazione

Tali documenti, uno per ogni impianto (elettrico, idro-sanitario, termico, ecc.) presente in un edificio, vengono solitamente presentati insieme al certificato di agibilità di un edificio (o di una porzione di esso).

L'installatore dell'impianto deve possedere i requisiti previsti dalla legge e con questo documento si assume la responsabilità che l'impianto risponda alle vigenti norme tecniche italiane ed europee, e a tutte le leggi in materia tecnica.

Pur col modello unico stabilito a livello ministeriale, ogni comune prevede proprie modalità di presentazione pratica.

Contenuto

La dichiarazione di conformità contiene i dati dell'impianto e dei seguenti soggetti: responsabile tecnico, proprietario, committente. Fornisce inoltre informazioni sulla procedura di installazione, sulla tipologia di materiali impiegati, sulle norme seguite, sull'ubicazione dell'impianto.

La dichiarazione di conformità si redige su un modello approvato dal Ministero del Lavoro ed è completata da una serie di allegati, alcuni dei quali obbligatori (pena la nullità della dichiarazione):

• il progetto (se l'immobile supera certi limiti dimensionali) vedasi D.M. 37/08 c.1 e 2 (Art. 5)

L'obbligo del progetto sussiste per l'installazione, la trasformazione e l'ampliamento degli impianti;

• lo schema di impianto (dove non ci sia il progetto), "inteso come descrizione funzionale ed effettiva dell'opera";

• la relazione tipologica (o elenco dei materiali); • il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria, artigianato e

agricoltura.

la dichiarazione di conformità deve essere composta da un minimo di cinque copie:

• una copia con gli allegati per chi utilizzerà l'Impianto; • una copia al committente con allegati (firmata dal responsabile tecnico e dal

titolare dell'impresa ove fossero distinte);

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• una copia all'installatore (firmata dal committente per ricevuta); • una copia all'installatore che la depositerà entro 30 giorni dalla conclusione dei

lavori, presso lo sportello unico per l'edilizia del comune ove ha sede l'impianto (firmata dal committente per ricevuta).

Può esserci la necessità di ulteriori copie (anche con allegati) per attività soggette a certificato di prevenzione incendi (CPI) o per il cui svolgimento sia richiesto un nulla osta sanitario.

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IMPRESA ARTIGIANA

Come abbiamo visto, dalla definizione, l’impresa artigiana è caratterizzata dall’esercizio in maniera prevalente del lavoro dell’imprenditore nell’attività svolta. Sulla base di questa definizione possiamo dire che può essere considerata artigiana qualsiasi impresa, che abbia come fine prevalente lo svolgimento di una attività di produzione di beni o di prestazione di servizi. L’impresa artigiana può essere avviata anche in forma societaria: come società in nome collettivo, cooperativa, società in accomandita semplice o a responsabilità limitata, anche con socio unico a condizione che vengano rispettati i seguenti requisiti:

• il lavoro abbia funzione preminente sul capitale; • in presenza di più di due soci (accomandatari per le S.a.s.), la maggioranza

svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo; • in presenza di due soci (accomandatari per le S.a.s.), almeno uno svolga in

prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo.

Sono considerate lavorazioni artistiche artigianali, le creazioni produzioni od opere ad alto valore estetico o ispirate a forme, modelli, decori, stili, e tecniche che costituiscono gli elementi tipici del patrimonio storico e culturale, anche con riferimento a zone di affermata ed intensa produzione artistica. Sono, inoltre, considerate lavorazioni tradizionali le produzioni e le attività di servizio realizzate secondo tecniche e modalità consolidate, tramandate nei costumi e nelle consuetudini a livello locale e regionale.

Sulla base delle considerazioni sinora affrontate possiamo quindi escludere alcune attività dalla sfera delle imprese artigiane. Si tratta, in particolare, di tutte quelle attività dove l’imprenditore si limita alla mera gestione dell’attività, non intervenendo in prima persona all’interno del processo produttivo. Sono poi escluse in maniera categorica le seguenti tipologie di attività:

• le imprese agricole agricole; • le imprese che effettuano prestazioni di servizi commerciali; • le attività di intermediazione nella circolazione dei beni; • le attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.

Impresa artigiana: Requisiti soggettivi

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L’esercizio di un’impresa artigiana richiede, generalmente, di essere in possesso di specifici requisiti tecnico/professionali previsti dalla normativa vigente, posti a tutela del cliente finale. Tra questi segnaliamo quello che prevede che l’imprenditore artigiano possa essere titolare di una sola impresa artigiana. In particolare poi ci riferiamo a tutte quelle attività economiche per le quali occorre preliminarmente possedere una specifica certificazione rilasciata dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato sulla base del possesso dei requisiti da parte del soggetto richiedente. Classici esempi di queste attività sono quelle dei tecnici idraulici, elettricisti, installatori di impianti, facchini, estetisti, acconciatori, imprese di pulizie, ecc. In ogni caso sono le stesse Commissioni ad organizzare specifici corsi per rendere gli interessati in possesso dei requisiti richiesti per l’esercizio di queste attività, in forma di impresa artigiana. Naturalmente l’impresa artigiana potrà svolgere anche altre attività “strumentali ed accessorie “all’’ esercizio dell’impresa: ad esempio un forno artigianale che rifornisce abitualmente le pasticcerie può vendere parte dei propri prodotti anche direttamente al pubblico in orari notturni nei locali di produzione, in quanto tale commercio è puramente accessorio, ovvero secondario, rispetto all’attività principale (quella produttiva artigianale).

Limiti dimensionali dell’impresa artigiana

Tra i requisiti richiesti all’impresa artigiana particolare importanza rivestono quelli dimensionali, disciplinati dall’articolo 4, della Legge n. 443/85, i quali prevedono che l’impresa artigiana possa essere svolta anche attraverso la prestazione lavorativa di personale dipendente, diretto personalmente dall’imprenditore o dai suoi soci, nel rispetto di alcuni limiti dimensionali, non derogabili, che di seguito riportiamo:

• 18 dipendenti, compresi gli apprendisti che non possono essere più di 9, per le imprese che non lavorano in serie;

• 9 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5, per le imprese che lavorano in serie, purché con lavorazione non del tutto automatizzata;

• 32 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16, per le imprese che svolgono le loro attività nei settori delle lavorazioni artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura (tali settori sono individuati con decreto del Presidente della Repubblica);

• 8 dipendenti, come limite massimo per le imprese di trasporto (compresi gli apprendisti);

• 10 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5, per le imprese edili.

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È concesso il superamento dei valori sopra riportati fino ad un massimo del 20% e per un periodo non superiore a tre mesi all’anno.

Albo delle imprese artigiane

Per acquisire lo status di impresa artigiana, l’imprenditore deve iscriversi presso la specifica sezione delle camere di commercio, competenti per Provincia di appartenenza della sede legale, entro 30 giorni dall’inizio dell’ attività lavorativa, o comunque dal momento in cui l’impresa e l’imprenditore sono in possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi indicati nella Legge n. 443/85, pena l’applicazione di sanzioni amministrative.

La domanda di iscrizione deve essere esaminata entro 60 giorni dalla data di presentazione previo accertamento comunale che deve avvenire entro 30 giorni dalla richiesta spedita dalla Segreteria dell’Albo. In mancanza di comunicazioni da parte della Commissione Provinciale per l’Artigianato, entro il termine di 60 giorni, l’azienda è comunque iscritta all’Albo professionale a partire dal 61 giorno.

L’iscrizione all’albo ha natura costitutiva: pertanto, senza di essa non sarà possibile avere accesso alle agevolazioni che il nostro ordinamento riserva a questa tipologia di impresa. Di conseguenza è vietato adottare come ditta, insegna o marchio una denominazione in cui ricorrano riferimenti all’artigianato senza essere preventivamente iscritti all’Albo.

Avvio dell’attività

Per iniziare l’attività l’imprenditore deve munirsi di partita Iva. Per ottenerla deve presentare all’Ufficio delle Entrate un apposito modello entro 30 giorni dalla data d’inizio attività. Importante è la scelta del regime fiscale che può essere “semplificato” o “ordinario“. La partita Iva, con apposita procedura, può essere richiesta anche direttamente presso gli Uffici della Camera di Commercio, contemporaneamente alla denuncia di inizio attività. Con il regime semplificato sono obbligatori i registri Iva e il Libro dei Cespiti Ammortizzabili: Con il regime ordinario, oltre ai registri previsti per il regime semplificato è necessario avere anche il libro Giornale ed il Libro Inventari. L’avvio della gestione amministrativa di una impresa comporta scelte ed opzioni delicate. È quindi opportuna una analisi approfondita e il consiglio di un dottore Commercialista.

Posizione Inail

Il passo successivo riguarda la denuncia d’iscrizione all’Inail (Istituto Nazionale Assicurazione e Infortuni sul Lavoro), obbligatoria sia per gli artigiani, sia per gli

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eventuali soci o collaboratori e dipendenti, in applicazione del DPR n. 1124/65. La denuncia deve essere presentata almeno cinque giorni prima dell’inizio dell’attività. Per quanto riguarda le eventuali comunicazioni di variazione o di cessazione dell’attività, queste devono essere presentate entro 8 giorni dall’evento. L’iscrizione all’Inail fa sorgere l’obbligo del pagamento di un premio assicurativo, commisurato al grado di rischio dell’attività svolta. A fronte del premio pagato, l’Istituto eroga prestazioni economiche in caso di infortunio sul lavoro. È fatto obbligo al titolare della posizione assicurativa di denunciare entro 24 ore dal suo verificarsi, gli infortuni sul lavoro, che prevedano una inabilità temporanea superiore ai tre giorni. Tale comunicazione deve essere fatta anche presso la locale sede di Pubblica Sicurezza.