DIRITTO DEL LAVORO Il recesso dal contratto di lavoro
DIRITTO DEL LAVORO
Il recesso dal contratto di
lavoro
Le ipotesi “minori” di estinzione Le ipotesi “minori” di estinzione del rapporto di lavorodel rapporto di lavoro
a)a)Risoluzione consensuale o Risoluzione consensuale o per mutuo consenso;per mutuo consenso;
b)b)Maturazione del termine nei Maturazione del termine nei rapporti a scadenza finale;rapporti a scadenza finale;
c)c) Impossibilità sopravvenuta Impossibilità sopravvenuta della prestazionedella prestazione
d)d)Morte del lavoratoreMorte del lavoratore
e)e)……..
Il recesso unilateraleIl recesso unilaterale
Si tratta della causa di estinzione Si tratta della causa di estinzione del rapporto di lavoro più del rapporto di lavoro più rilevante dal punto di vista rilevante dal punto di vista normativo e sociale.normativo e sociale.
A seconda del contraente che pone in A seconda del contraente che pone in essere la decisione “unilaterale” di essere la decisione “unilaterale” di recedere dal rapporto, si distinguono:recedere dal rapporto, si distinguono:
1)1) Le dimissioni (da parte del Le dimissioni (da parte del lavoratore);lavoratore);
2)2) Il licenziamento (da parte del datore Il licenziamento (da parte del datore di lavoro).di lavoro).
L’impostazione originaria, ancora in parte presente nel
codice civile
L’istituto giuridico del recesso dal rapporto
di lavoro nella filosofia dei codici
liberali: ognuna delle due
parti può liberamente recedere dal
rapporto di lavoro alle
medesime condizioni medesime condizioni =
Il principio generale
della libera recedibilità
La libera recedibilità bilaterale nel codice del 1865…
Considerata una conquista di civiltà
giuridica per il lavoratore, elevato alla condizione di libero contraente
formalmente posto su un piano di parità
negoziale
Ratio simile a quella che
sorreggeva il divieto di
rapporti di lavoro a tempo
indeterminato
…e nel codice civile del 1942:
il recesso “ad nutum”
“Ciascuno dei contraenti può recedere dal
contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel
termine e nei modi stabiliti…”
(art. 2118 cod. civ.)
Ciascuno dei contraentipari significato giuridico
di dimissioni e
licenziamento
L’unico limite imposto alle parti:
IL PREAVVISO
o la corrispondenteindennitàsostitutiva
L’obbligo del preavviso incide sul principio di libera
recedibilità?
Rivela una considerazione della
situazione di sostanziale disparità
negoziale tra le parti?
Consente un controllo giurisdizionale sulla
decisione datoriale?
No, nella misura in cui è posto a carico di entrambe le
parti
No, nella misura in cui i
motivi della decisione datoriale
rimangono insindacabili
In alcuni casi viene meno anche il limite del preavviso
“…o senza preavviso qualora si verifichi una
causa che non consenta la
prosecuzione del rapporto” (2119 c.c.)
La “giusta causa”
La necessità di dimostrare la ricorrenza di una giusta causa incide sul principio di libera
recedibilità?
Per recedere da un rapporto di lavoro senza preavviso
occorre dimostrare la sussistenza di
una giusta causa
L’unica conseguenza che deriva dalla mancanza
di una giusta causa non è l’invalidità del
recesso, ma la necessità di concedere il preavviso (o, meglio, la relativa indennità)
Perché il licenziamento con preavviso ex art. 2118
rimane assolutamente insindacabile dal giudice
Perché la mancanza di giusta causa ex art.
2119, anche ove accertata dal giudice,
lascia comunque libero il datore di
licenziare, con l’unico limite della indennità
sostitutiva del preavviso
Nel sistema del codice civilela libertà di licenziare non viene
intaccata…
NÉ DALL’OBBLIGO DI PREAVVISO
NÉ DALLA PREVISIONE DELLA GIUSTA CAUSA
Le dimissioni del lavoratore
creano al datore di lavoro il mero fastidio di una
sostituzione
Il licenziamento comporta invece
per il lavoratore la perdita della fonte
del proprio sostentamento
Parità formale e diseguaglianza sostanziale dei contraenti
“Il contratto di lavoro
riguarda l’avere per il datore ma l’essere per il lavoratore”
(F. Santoro Passarelli)
qual è il compromesso più accettabile per comporre il contrasto tra
libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost)
e diritto al lavoro (art. 4 Cost)?
Dopo la Costituzione
La progressiva riduzione della libera recedibilità da
principio ad eccezione residuale
La tendenza evolutiva dell’ordinamento italiano
Il blocco dei licenziamenti (1945 )
La successiva contrattazione interconfederale (1950)
La legge 604 del 1966
L'art. 18 dello Statuto
La legge 108/1990
1. Selezionare le ipotesi
di legittimo recesso
del rapporto
per iniziativa del datore
2. Sottoporre il giudizio
di legittimità del recesso
al controllo
giurisdizionale
DUE PRINCIPI
15
La giurisprudenza della Corte che precede la riforme degli anni 60-70
Il diritto al lavoro (art. 4) non è norma precettiva per cui il recesso ad nutum è legittimo
“l'art. 4 della Costituzione, come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un'occupazione (…) così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro
16
continua
Con ciò non si vuol dire che la disciplina dei licenziamenti si muova su un piano del tutto diverso da quello proprio dell'art. 4 della Costituzione.
occorre una legge…
17
continua … il potere illimitato del datore di lavoro
di recedere dal rapporto a tempo indeterminato non costituisce più un
principio generale del nostro ordinamento. Questi ultimi dimostrano che le condizioni economico-sociali del Paese consentono una nuova disciplina, verso la quale l'evoluzione legislativa
viene sollecitata anche da raccomandazioni internazionali
La disciplina del licenziamento oggi:
due tipologie di normative
(quando si può legittimamente
licenziare?)
Giusta causa e giustificato
motivo
(quali sono le conseguenze del
licenziamento illegittimo?)
Risarcimento o reintegra nel
posto di lavoro
(I) I LIMITI (II) I RIMEDI
(I) I LIMITI SOSTANZIALI
Il licenziamento come recesso “vincolato”
LA GIUSTA CAUSA CAMBIA FUNZIONE
Non più finalizzata al mero riconoscimento
del preavviso Ma elevata ad
elemento di legittimità del licenziamento
La “correzione” del libero recesso (l. 604/1966)
Articolo 30 Carta di Nizza: Ogni lavoratore ha il diritto
alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato,
conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni
e prassi nazionali
Il principio di causalità del licenziamento come principio
costituzionale in ambito europeo
GIUSTA CAUSA(2119 c.c.)
GIUSTIFICATO MOTIVO
(l. 604/1966)
Il principio della causalità del recesso
• Soggettivo
• Oggettivo
Notevole inadempimentodegli obblighi contrattuali
ragioni attinenti alla attività produttiva,
all’organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa
Gravissimo inadempimento
delle obbligazioni contrattuali
L’interpretazione delle clausole generali di giusta causa e di
giustificato motivo da parte della
giurisprudenza
LA NOZIONE DI GIUSTA CAUSA
gravissimo inadempimento contrattuale
o anche circostanze esterne al sinallagma
contrattuale?
Sussiste la giusta causa di licenziamento nel caso in cui il lavoratore abbia
trascorso il tempo destinato al lavoro, e come tale retribuito, a collegarsi per
scopi personali ad Internet ed a consultare i documenti scaricati, con la
rete telefonica pagata dall'azienda, integrando tale comportamento una
grave violazione degli obblighi contrattuali
(Corte d'appello Ancona 1/8/2003)
Un’ipotesi classica di licenziamento come sanzione dell’inadempimento
Fatti esterni comunque riconducibili alla nozione di
inadempimento Vincenzo C., dipendente con mansioni di operaio, si è assentato
per malattia, essendo stato colpito da lombosciatalgia acuta. Durante l’assenza ha lavorato nell’esercizio commerciale della moglie. L’azienda lo ha licenziato.
Il Pretore ha nominato un consulente tecnico, dalla cui relazione è risultato che la collaborazione alla conduzione dell’esercizio commerciale s’era svolta con modalità richiedenti movimenti in iperestensione (spostamento e sistemazione della merce) e flessione del tronco (apertura e chiusura dei locali), tali da produrre un effetto ritardante del pieno recupero fisico
La Suprema Corte ha confermato la validità del licenziamento rilevando che il dipendente aveva dimostrato piena indifferenza per il nocumento che arrecava all’organizzazione aziendale: “Non si vede come il datore di lavoro possa continuare a fare affidamento sulla leale e corretta collaborazione di un dipendente che si sottragga al dovere primario di rendere possibile la prestazione ritardando il recupero della capacità a svolgere mansioni contrattualmente dovute”
(Cassazione n. 2378 del 17 febbraio 2003)
Cassazione Civile - Sez. Lavoro - Sentenza 16 giugno 2008 , n. 16207
IL FATTO. Un lavoratore in stato di astensione facoltativa dal lavoro ex Legge
n.53/2000 (congedo parentale), svolge attività lavorativa presso la pizzeria della
moglie e, conseguentemente a tale condotta, viene licenziato per giusta
causa dal datore di lavoro
Un caso recente
(e significativo di come
l’interpretazione delle norme influisca sul giudizio di validità del
licenziamento)
Impugnato il licenziamento dal lavoratore, il giudice di primo
grado rigetta la domanda dello stesso in quanto ritiene che
l’utilizzo del congedo parentale per finalità diverse dalla cura
della prole vale a configurare la giusta causa di licenziamento
GIUDICE DI PRIMO GRADO
Secondo il giudice del gravame occorre considerare la diversità della situazione in
esame rispetto a quella del lavoratore assente per malattia che presti attività
lavorativa a favore di terzi. Nel caso de quo l’attività svolta dal
lavoratore era finalizzata a soddisfare una esigenza della famiglia e quindi
rappresenta un legittimo esercizio del congedo pertanto il licenziamento è privo
di giusta causa e meritevole di essere annullato
GIUDICE D’APPELLO
La Corte richiama alcune sentenze della Consulta con le quali i giudici costituzionali
hanno ribadito come “ la tutela della paternità si risolva in misure volte a garantire il
rapporto del padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali dei
bambino al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità;
esigenza che, richiedendo la presenza del padre accanto al bambino, è impedita dallo
svolgimento dell'attività lavorativa e impone pertanto la sospensione di questa, affinché il padre dedichi alla cura del figlio il tempo che avrebbe invece dovuto dedicare al lavoro”.
LA CASSAZIONE
LE CONCLUSIONI
non può condividersi la tesi della realizzazione delle esigenze della figlia minorenne attraverso lo svolgimento di attività lavorativa, da parte del padre
in congedo, nella pizzeria della moglie: il legittimo esercizio del congedo parentale postula la presenza del
padre accanto alla propria bambina
pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene invece utilizzato per
svolgere una diversa attività, si configura un abuso per sviamento dalla funzione
propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà
della moglie) contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia
2) Fatti inerenti alla vita privata del lavoratore
Al ritorno da un volo internazionale, un assistente di volo è stato trovato in possesso di modica quantità di
stupefacente. La sentenza di merito, che ha ritenuto non sussistere una giusta causa, va cassata perché non ha
tenuto conto: della delicatezza delle funzioni affidate al soggetto;
dei profili di grave pericolo per la incolumità dei passeggeri;
dell'esigenza di continua attenzione da prestarsi nell'esercizio delle mansioni;
della responsabilità aggravata dell'azienda per eventuali accadimenti negativi conseguenti a tale
situazione; della immanente lesività dell'immagine della società del danno concreto alla stessa cagionato, posto che al
dipendente, in conseguenza del fatto, fu ritirato il tesserino di accesso ai locali doganali ed aeroportuali;
della strumentalizzazione del rapporto di dipendenza e del servizio per l'approvvigionamento della droga
Il principio generaleLa condotta inerente alla vita privata del lavoratore, di norma irrilevante ai fini della
lesione del rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro, può integrare giusta causa di licenziamento qualora fatti e comportamenti
estranei alla sfera del contratto siano tali da far venire meno quella fiducia che integra
presupposto essenziale della collaborazione tra datore e prestatore di lavoro.
Cass. civ., sez. lav., 22 agosto 1997, n. 7884
fatti e comportamentiestranei alla sfera del contratto siano tali da farfar venire meno quella fiducia
…segue: la valutazione “in concreto” del vincolo fiduciario
Nel caso di giusta causa di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione
dell'elemento della fiducia; la valutazione relativa deve essere operata con
riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, al grado di affidamento
richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, alle circostanze del suo verificarsi e ad ogni altro aspetto
correlato alla specifica connotazione del rapporto(Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 1998, n. 3270)
bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto
3) L’entità del pregiudizio patrimoniale
Un dirigente di una filiale di una catena di grandi magazzini, è sorpreso in un'altra filiale sita in una città diversa, ad occultare sulla propria persona alcuni oggetti di modestissimo valore economico, quali una confezione di chiavi tubolari e un paio di solette da scarpe
(Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 1998, n. 6100)
E’ UNA GIUSTA CAUSA DI
LICENZIAMENTO?
Nel caso di licenziamento per giusta causa, viene in considerazione non l'assenza o la speciale tenuità del
danno patrimoniale (rilevanti in sede penale), ma la ripercussione sul
rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura
correttezza dell'adempimento - in quanto sintomatica di un certo
atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti
SI
In ipotesi di licenziamento per giusta causa (comminato a dipendente di impresa
operante nel settore della grande distribuzione per avere consumato in due mattinate successive alcuni pasticcini), la
complessiva valutazione della gravità dell’infrazione, è da condurre sulla base dei
seguenti criteri: esistenza o meno di precedenti disciplinari, posizione del
dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, modalità della commissione del
fatto, entità del danno provocato all’impresa;
Un altro caso
ove, in applicazione di tali criteri, risultino l’inesistenza di precedenti disciplinari, lo svolgimento di mansioni non implicanti particolari responsabilità, modalità di commissione del fatto implicanti indici minimali di intensità dolosa, nonché la
particolare tenuità del danno provocato, il licenziamento deve considerarsi illegittimo, trattandosi di infrazione inidonea a minare irreparabilmente l’elemento fiduciario (Pret.
Varese 9/5/97)
…
Le possibili conseguenze paradossali del rilievo attribuito alla sussistenza del vincolo fiduciario
Comportamento veniale del lavoratore
Notevole inadempimento degli obblighi contrattuali
Se viene meno la fiducia
Licenziamento in tronco
Licenziamento con preavviso
GIUSTA CAUSA
GIUSTIFICATO MOTIVO
SOGGETTIVO
4) I rapporti tra giudizio penale e giudizio civile nel caso del recesso per giusta
causa
Il proscioglimento esclude sempre la sussistenza di una
giusta causa di licenziamento ?e la condanna la implica
necessariamente?
Il Tribunale ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente che aveva tentato, in concorso con altri, di sottrarre denaro dai conti correnti dei clienti della banca e che, chiamato a rispondere del reato di associazione a delinquere, era stato assolto dal giudice penale per essere rimasta l'intenzione criminosa alla fase, penalmente non rilevante, degli atti preparatori
Trib. Roma, 30 settembre 1997
Assolto ma licenziato
Enrico G., dipendente della S.p.A. Terminal Contenitori Porto di Genova, è stato licenziato con l’addebito di aver fatto inviare al direttore generale vari quantitativi di merce mediante l’apposizione della firma contraffatta dal medesimo.
Pretore e Tribunale hanno invalidato il licenziamento, affermando che il fatto attribuito al lavoratore, integrante il reato contravvenzionale di molestie, poteva definirsi uno scherzo di pessimo gusto, una condotta fastidiosa, ma inidonea ad interferire sulla comunità di lavoro.
L’azienda ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la motivazione data dal Tribunale per la sua decisione doveva ritenersi gravemente illogica in quanto, pur dando atto che il lavoratore aveva commesso un reato nei confronti del direttore generale, aveva escluso la sanzionabilità di questa illecita condotta con il licenziamento
Condannato ma reintegratoLa Suprema Corte ha confermato la
sentenza del Tribunale rilevando che la condotta tenuta dal lavoratore, pur costituendo un reato, non aveva una portata violenta, intimidatrice ovvero ingiuriosa e quindi era inidonea a influire sull’attività lavorativa del direttore e a ripercuotersi sulla comunità di lavoro aziendale.
(Cassazione Sezione Lavoro n. 18282 del 23 dicembre 2002)
Il rilievo del giudicato penale DOPO il licenziamento
considerato valido per g.m.o. in caso di applicazione di misure
restrittive della libertà personale (rinvio)
GIUSTA CAUSA (2119 c.c.)
…se, con riferimento alla specifica prestazione, sono in grado di alterare il vincolo fiduciario…
…senza considerare l’entità del danno patrimoniale…
…e a prescindere da ogni rilievo del parallelo giudizio penale
Rilievo di fatti estranei al rapporto…
La nozione di giustificato motivo:
Oggettivo: ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa
Soggettivo: notevole inadempimento degli obblighi contrattuali
I rapporti con la nozione di giusta causa
Insindacabilità delle scelte datoriali, mitigata solo da: C.d. obbligo di repechage
Verifica del nesso di causalità
La valutazione giudiziale dell’esigenza organizzativa
Il titolare della ditta Star Ricambi, ha licenziato un’impiegata, con motivazione riferita alla necessità di dare un lavoro a suo figlio, che aveva appena assolto agli obblighi di leva.
“La interpretazione del termine "giustificato" di cui all'art. 3 della legge n. 604 del 1966 che il ricorrente implicitamente prospetta è esclusa dalla lettera del medesimo articolo che
precisa il significato del termine alternativamente come notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del
prestatore di lavoro (giustificato motivo soggettivo) ovvero ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del
lavoro, al regolare funzionamento di essa (giustificato motivo oggettivo).
È evidente che l'esigenza di dare lavoro ad un figlio nella azienda, anche allo scopo di addestrarlo alla conduzione di
essa in vista della successione, non rientra tra le ragioni che integrano il giustificato motivo oggettivo”
(Cassazione Sezione Lavoro n. 10371 del 30 luglio 2001)
Il G.m.o. riconducibile a fatti interenti alla persona del lavoratore
“in caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l’impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato non è ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal lavoratore, perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia riconducibile – alla stregua di una interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 codice civile) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore
Fattispecie di licenziamento invalido, diverse dalla annullabilità
(mancanza di giusta causa o giustificato motivo) Il
licenziamento nullo
Discriminatorio, Intimato durante il
periodo di malattia o maternità
In occasione di matrimonio della lavoratrice
Il licenziamento inefficace
Privo delle forme prescritte
1) Comunicazione per iscritto 2) Possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni
3) Obbligo di rispondere entro 7 giorni4) Altre “irritualità” (non immediatezza,
modificazione dei motivi)
Un caso particolare di licenziamento soggetto a
specifiche “forme” procedurali
Il licenziamento disciplinare
Il problema del licenziamento disciplinare
L’art. 7 dello Statuto Le norme disciplinari
relative alle infrazioni e alle relative sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti
Il datore non può irrogare sanzioni senza aver preventivamente contestato l’addebito al lavoratore e averlo sentito a sua difesa
Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale
Queste disposizioni si applicano al licenziamento disciplinare?
ovveroIl licenziamento
è una sanzione disciplinare?
La fonte del problema “Non possono essere disposte
sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro” (art. 7, c.
4 Statuto)
E il licenziamen
to?
Le diverse conseguenze pratiche
Se il licenziamento è qualificato come
sanzione disciplinare
Se il licenziamento non è qualificato come
sanzione disciplinare
Contestazione dell’addebito
Difesa del lavoratore assistito, se vuole, dal
sindacato
Comunicazione per iscritto del recesso
Possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni
Si applica l’art. 7 StatutoSi applica la disciplina ordinaria (L. 604/66/
La soluzione giurisprudenziale
IL LICENZIAMENTO COME SANZIONE
ONTOLOGICAMENTE DISCIPLINARE
(l’area della giusta causa è pressoché interamente coperta
da licenziamenti disciplinari)
L’impugnativa del licenziamento
Art. 6, l. 604/1966:Il licenziamento deve essere impugnato
a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua
comunicazioneovvero della comunicazione dei motivi
ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento
L’impugnativa può essere:
GIUDIZIALE STRAGIUDIZIALE
qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del
lavoratore (art. 6, l. 604/1966)
impedisce, in ognicaso,
la decadenza
(II)I RIMEDI
(quali sono le conseguenze del licenziamento illegittimo perché privo di
giusta causa o giustificato motivo?)
RISARCIMENTO o
EFFETTIVA REINTEGRA nel posto di lavoro
Tutelaobbligatoria
Tutelareale
COSA SI INTENDE PER “TUTELA OBBLIGATORIA”
(art. 8 l. 604/1966)
Quando risulti accertato che non
ricorrono gli estremi del
licenziamento per giusta causa o per
giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di
lavoro
…o, in mancanza, a risarcire il
danno versandogli
un’indennità di importo compreso tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 6 mensilità
dell’ultima retribuzione
globale di fatto
riassumere
risarcire
Una norma pragmatica…
Nell’ambito della tutela obbligatoria, il licenziamento privo di giustificazione è illegittimo, ma è
ugualmente idoneo a produrre i suoi
effetti (Mancini)
La finta alternativa tra riassunzione e
pagamento dell’indennità
La monetizzazione di fatto del
licenziamento
…e un po’ ipocrita
COSA SI INTENDE PER “TUTELA REALE”
(art. 18 l. 300/1970)
il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il
licenziamento o annulla il licenziamento intimato senza
giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità, ordina al datore di lavoro di
reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
inefficaceannulla
nullità
reintegrare
COSA SI INTENDE PER “TUTELA REALE” (art. 18 l. 300/1970)
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto
dal giorno del licenziamentosino a quello dell'effettiva reintegrazione
LA DIFFERENZA DI FONDO
RISPETTO
ALLA TUTELA OBBLIGATORIA:
QUI UN ATTO INVALIDO
NON È IDONEO
A PRODURRE GLI EFFETTI PER I QUALI ESSO E’ STATO ADOTTATO
Alcuni nodi applicativi problematici
L’esecuzione dell’ordine di reintegra
La detraibilità dell’aliunde perceptum
La detraibilità dell’aliunde percipiendum
Una rilevante questioni processualeLa riforma in appello della sentenza di primo grado che era stata favorevole al lavoratore:
- Le somme corrisposte in esecuzione della sentenza che ordina la reintegra nel posto di lavoro
costituiscono risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l’illegittimo licenziamento, di
modo che con la riforma della sentenza che dichiara la legittimità dell’impugnato licenziamento viene a viene a cadere l’illecito civile ascritto al datore di lavoro e cadere l’illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussiste più l’obbligo del risarcimento a suo non sussiste più l’obbligo del risarcimento a suo
caricocarico. Pertanto, le somme percepite dal lavoratore perdono il loro titolo legittimante e devono essere, conseguentemente, restituite al datore di lavoro
(Cass. 30/3/2006 n. 7453, Pres. Lupi)
Le somme corrisposte dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la
reintegrazione nel posto di lavoro costituiscono risarcimento del danno; in caso di riforma della
sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, pertanto, venendo conseguentemente
meno l'obbligo di risarcimento a suo carico, esse devono essere restituite fin dal momento della
riforma della sentenza. Solo quando all'ordine di di reintegrazione abbia fatto seguito l'effettiva ripresa
dell'attività lavorativa resta preclusa, a norma dell'art. 2126 c.c., la ripetibilità delle somme versate
al lavoratore a titolo di retribuzione per l'attività stessa (Cass. 13/1/2005 n. 482).
Un correttivo
La reintegra nel posto di lavoro in funzione non sanzionatoria (l.
322/1995)
Il nuovo art. 102 bis disp. att. c.p.p
Chiunque sia stato licenziato perché sottoposto alla misura della custodia
cautelare in carcere ovvero degli arresti domiciliari ha diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro in caso
di sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a
procedere ovvero di provvedimento di archiviazione
Le modifiche del 1990
L’indennità sostitutiva della reintegra
“Il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di
lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a
quindici mensilità di retribuzione globale di
fatto”
Una giuridificazione
delle prassitransattive
Area in cui si applica ancora il principio della libera recedibilità
I lavoratori domestici I lavoratori ultrasessantenni in
possesso dei requisiti per la pensione, salvo che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto
I lavoratori in prova I dirigenti
COME CONVIVONO LE TRE DISCIPLINE
DEL LICENZIAMENTO?
Le discipline successive non sostituiscono quella precedenti. Tutte
continuano a trovare applicazione
1. Artt. 2118 e 2119 c.c. (recesso ad nutum)
2. Art. 8 l. 604/1966 (tutela obbligatoria)3. Art. 18 Statuto dei lavoratori (tutela
reale)
Unità produttive
fino a 15 dipendenti
Unità con più
di 15 o datoricon più di 60
dipendenti
Area della stabilitàobbligatoria:
alternativa rimessa al datore di lavoro
Area della stabilità reale:
ordine giudiziale di reintegra
L’intensità della tutela
dipende dalle
dimensioni dell’unità produttiva
ove avviene il recesso
Il problema del computo dei dipendenti
Oltre il “velo” della personalità giuridica?Recenti orientamenti giurisprudenziali
Pur non essendo consentito attribuire all’attività di gruppo, di per sé, un valore giuridicamente unificante, è tuttavia sempre possibile, in presenza di determinate caratteristiche organizzative e strutturali, ravvisare, in caso di collegamento societario, un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.
Tale situazione è ravvisabile ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico e ciò venga accertato in modo adeguato
(Cass. n. 4274 del 24 marzo 2003)
LA REGOLA GENERALE PUO’ ESSERE INDICATANELLA TUTELA OBBLIGATORIA
A MENO CHE…più di 15 dipendenti nell’unità produttiva
più di 60 nel complessoAREA DELLA TUTELA REALE
A MENO CHE…Lavoratore domestico
DirigentePiù di 65 anni
Lavoratore in provaAREA DEL LICENZIAMENTO AD NUTUM
Due eccezioni importanti
PRIMA ECCEZIONECasi in cui, anche nelle
piccole imprese, e anche nell’area del licenziamento ad
nutum, si applica la tutela reale
SECONDA ECCEZIONE
Casi in cui, anche nelle grandi imprese,
si applica la tutela obbligatoria
IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO
LE ORGANIZZAZIONIDI TENDENZA
Definizione di “organizzazione di tendenza”
“datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di
istruzione ovvero di religione o di culto”
Problemi applicativi:a) l’ambito di estensione della disciplina, con riferimento alle istituzioni scolastiche laiche o confessionali (ambito oggettivo di applicazione);b) l’ambito di estensione della disciplina con riferimento al personale che non è ideologicamente legato all’organizzazione (ambito soggettivo di applicazione)
Alcune indicazioni di prospettiva
L’ART. 18 DELLO STATUTO: una norma perennemente al centro dei dibattiti sulla
“modernizzazione” del diritto del lavoro
Sgombrare il campo dalle false rappresentazioni del problemaDa un articolo del senatore Debenedetti (PD) sul Sole 24 ore di qualche anno fa: “Occorre introdurre norme che rendano possibile il licenziamento per giustificato motivo economico“ “Per la nostra legge, non spetta all'azienda, ma al giudice, decidere se può o no mantenere quel lavoratore in quel posto”
Il senatore Debenedetti
bocciato all’esame di diritto del
lavoro
La flessibilità non comporta soltanto una maggiore libertà per le imprese di assumere o licenziare e non implica che i contratti a tempo indeterminato siano un fenomeno obsoleto. La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la "mobilità ascendente", lo sviluppo dei talenti.
La sicurezza, d'altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro. Essa ha anche a che fare con adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni
Verso il superamento dell’art. 18
nell’ordinamento italiano?
Le ricadute nel dibattito interno
L’obbligo giudiziale di reintegra, questione fondamentale nell’ordinamento italiano
È VERO O NON È VERO CHE SI TRATTA DI UN UNICUM NORMATIVO?
Molti sistemi nazionali consentono al giudice di non ordinare la reintegra – cosa che pure potrebbe fare – e di optare per un rimedio risarcitorio, quando risulti provato che “è impossibile ripristinare un’ulteriore proficua collaborazione fra le parti”
L’uso corretto della comparazione implica una contestualizzazione degli istituti Il caso tedesco
Il ruolo sindacale Il caso olandese
Il ruolo amministrativo Il caso spagnolo
Il licenziamento “abaratado”
Una prima conclusione:due possibili modelli di gestione del
licenziamento
Modello di gestione “preventiva”, del licenziamento, che trova i suoi
elementi costitutivi in una proceduralizzazio
ne dei poteri datoriali
Modello di gestione “successiva”, che
rinvia la definizione della vicenda ad un
momento cronologicamente posteriore all’atto
di recesso
IL MODELLO ITALIANO: TUTTO
IL PESO SCARICATO SUL
MOMENTO GIUDIZIALE A
VALLE DEL RECESSO
L’ORIGINE DEI PROBLEMI INTERNI
La reintegra e i suoi possibili
effetti distorsivi in un sistema
giudiziale non perfettamente
funzionante
A differenza del principio di causalità
del recesso, la reintegra non è una
nozione costituzionalmente
vincolataLa Corte costituzionale (sent. n. 46/2000) ha
escluso che la tutela reale rappresenti “l’unico possibile paradigma
attuativo” dei principi di cui agli artt. 4 e 35 della
Costituzione
I POSSIBILI INTERVENTI CORRETTIVI RISPETTO AD
ALCUNE UTILIZZAZIONI DISTORTE DELLA NORMA:
Gli interventi sul processo (e la sua durata)
La possibile diversificazione nella tutela fondata sulle diverse cause di invalidità del recesso
IL SUPERAMENTO DELL’ART. 18 NEGLI
ANNI 2000Tentativi falliti e proposte in atto
L’accantonamento dell’art. 18 nelle proposte di riforma dei primi anni 2000
La reintegra non avrebbe più trovato applicazione ai lavoratori: “Emersi” dal sommerso La cui assunzione avrebbe
fatto scattare la soglia dimensionale
Il cui contratto a tempo indeterminato fosse frutto di una conversione di un originario contratto a termine
L’insostenibilità dei “doppi regimi” di recesso rispetto all’art. 3 Cost Tra lavoratori
Vecchi e nuovi assunti con contratto a termine
“stabilizzato”
Secondo alcuni emendamenti introdotti in sede
parlamentare, la misura sulla stabilizzazione avrebbe riguardato solo il Sud
Tra territori
Lo “stralcio” della norma dalla legge delega (il “Patto per l’Italia”)
Tutti i rapporti di lavoro instaurati nell'arco di tre anni dalla data di
entrata in vigore del relativo provvedimento, non saranno
computati nel numero dei dipendenti ai fini dell'individuazione del campo di applicazione dell'art. 18 l. n. 300
del 1970
Il problema di “doppio regime” residuo”
Tra imprese
Due imprese di 20 lavoratori, a seconda
della data di assunzione degli ultimi
5, sarebbero state sottoposte a due diversi regimi di
recesso
L’accantonamento delle proposte(sostanziale superamento del problema attraverso
la moltiplicazione delle forme di flessibilità in entrata?)
Disposizioni per il superamento del dualismo del mercato del lavoro, la promozione del lavoro stabile in strutture produttive flessibili e la garanzia di pari opportunità nel lavoro per le nuove generazioni
La c.d. proposta Ichino (raccoglie consensi e dissensi trasversali da
entrambi gli schieramenti parlamentari)
Il dibattito in corso:una riforma bi-partisan?
LO SCAMBIO PROSPETTATO:
meno flessibilità in entrata contro più flessibilità in
uscita
(ovvero: “Il Contratto unico a stabilità
crescente” ) ?
Chi riguarderebbe
Tranne pochi casi in cui continuerebbe ad essere ammesso il contratto a termine, i new entrants
sono tutti assunti a tempo indeterminato, con periodo
di prova di sei mesi
Secondo la Relazione di presentazione, le imprese che assumono sarebbero molto più disposte a farlo a tempo indeterminato se si offre loro la possibilità di applicare ai nuovi assunti il nuovo regime, piuttosto
che se le si costringe a operare nel vecchio
“controllo giudiziale e art. 18 per il licenziamento disciplinare e quello discriminatorio, salva la possibilità per il giudice, considerate le circostanze, di condannare l’imprenditore anche solo al risarcimento (o, in altri casi, solo alla reintegrazione senza risarcimento)”
Le novità per i licenziamenti “soggettivi”
In realtà ciò equivarrebbe,
malgrado l’enunciazione,
ad un abbandono
dell’art. 18, con la sua piena applicazione lasciata alla
discrezionalità del giudice
Le novità per i licenziamenti “oggettivi”: il cuore della proposta
Le esigenze economiche od organizzative che motivano il licenziamento non sono soggette a sindacato giudiziale, salvo il controllo, quando il lavoratore ne faccia denuncia, circa la sussistenza di motivi discriminatori determinanti, o motivi di
mero capriccio, intentendosi per tali motivi futili totalmente estranei alle esigenze organizzative o produttive
aziendali.
Quando il lavoratore abbia maturato venti anni di anzianità, il licenziamento motivato con esigenze economiche od organizzative si
presume dettato da intendimento di discriminazione in ragione dell’età, con
conseguente applicazione dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300,
salva prova del giustificato motivo economico, tecnico od organizzativo, della quale il datore
di lavoro è onerato in giudizio
All’atto della cessazione del rapporto conseguente a licenziamento non disciplinare, al prestatore è dovuta dal datore di lavoro un’indennità pari a tanti dodicesimi della retribuzione lorda complessivamente goduta nell’ultimo anno di lavoro, quanti sono gli anni compiuti di anzianità di servizio in azienda, diminuita della retribuzione corrispondente al preavviso spettante al prestatore stesso.
Il prestatore stesso ha inoltre diritto alla stipulazione del contratto di ricollocazione di cui all’articolo 3.
Le (nuove) tutele per il lavoratore licenziato per motivi oggettivi
Al lavoratore al quale si applichi il nuovo sistema di protezione, quando abbia perso il posto in conseguenza di un licenziamento
non disciplinare o di un licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo in sede giudiziale, l’ente bilaterale è obbligato a offrire la stipulazione di un contratto di ricollocazione al lavoro che preveda:
Articolo 3 ‑ Contratto di ricollocazione al lavoro
Una sorta di “modello danese”?
a) l’erogazione di una indennità di entità pari al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno, all’80% per il secondo, al 70% per il terzo e al 60% per il quarto; la durata minima del trattamento di disoccupazione è pari alla durata del rapporto di lavoro che lo ha preceduto, con il limite di quattro anni;
b) l’erogazione di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione
c) la predisposizione di iniziative di formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti
d) l’impegno del lavoratore a porsi a disposizione dell’ente per le iniziative di cui alle lettere b e c secondo un orario settimanale corrispondente all’orario di lavoro praticato in precedenza;
e) l’assoggettamento dell’attività svolta dal lavoratore nella ricerca della nuova occupazione al potere e di controllo dell’ente, il quale lo esercita di regola attraverso un tutor cui il lavoratore viene affidato.
Maggiori informazioni ed interventi
(compresi quelli critici) sul sito
www.pietroichino.it