DIRITTO CANONICO- FELICIANI RIASSUNTO
INDICE
I. Le leggi delLa Chiesa
1. Unit e pluralismo
2. Diritto universale e diritto particolare
3. Il diritto della cristianit
4. Verso la codificazione del diritto della Chiesa cattolica
5. Il processo di codificazione
6. Il Codice di diritto canonico del 1917
7. Il Codice delle Chiese orientali
8. I principi del Concilio Vaticano II
9. Verso una nuova legislazione
10. Il Codice del 1983
11. Il Codice dei canoni delle Chiese orientali
12. La produzione del diritto
II. La legge nella Chiesa
1. Diritto e teologia
2. Autorit divina e autorit ecclesiastica
3. Certezza del diritto ed esigenze di giustizia
III. I poteri
1. Sistema gerarchico e organizzazione ecclesiastica
2. L'ufficio ecclesiastico
3. Il primato pontificio
4. Organi centrali di governo
5. Il collegio episcopale
6. Collegialit e primato
7. Esercizio congiunto del ministero episcopale
8. Il governo della Chiesa particolare
9. Il clero diocesano
10. I diaconi
11. Gli altri ministri
IV. I fedeli nella Chiesa
1. Lo status di fedele
2. La questione dei diritti fondamentali
3. Lelenco dei diritti e dei doveri
4. Il diritto di associazione
5. Lautonomia privata
6. Limiti e sanzioni
7. I chierici
8. I laici
9. La vita matrimoniale
10. La vita consacrata
11. I non battezzati
12. Le persone giuridiche
Capitolo 1
LE LEGGI della CHIESA
1. UNIT e PLURALISMO
II Concilio ecumenico Vaticano II, definisce la Chiesa come un
solo popolo di Dio radicato in tutte le nazioni della terra; essa
favorisce e accoglie tutte le ricchezze di capacit e di
consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le
purifica, le consolida ed eleva.
Grazie a questa universalit o cattolicit le singole parti
portano propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e cos il
tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando ognuna con le
altre e concordemente operando per la pienezza nellunit.
In tal modo:
si riconosce la legittimit dellesistenza, nellunica Chiesa
universale, delle Chiese particolari, presiedute dai singoli
vescovi e dotate di propria cultura e di proprie tradizioni;
si riafferma, al contempo, lautorit del vescovo di Roma che
presiede alla comunione universale di carit, tutela le variet
legittime, e insieme veglia affinch ci che particolare, non nuoccia
allunit, ma la serva.
Alla luce di questa dottrina, enunciata nella costituzione
conciliare Lumen gentium, si comprende il valore e il significato
dellunit e variet del diritto canonico che costituisce la struttura
giuridica del popolo di Dio.
Tale diritto ha un carattere, un contenuto e unefficacia
universali, abbracciando le genti pi disparate. Esso, pur restando
immutabile nelle sue strutture fondamentali e nei suoi principi
basilari, si rivela dotato di uneccezionale capacit di adattamento
alle diverse circostanze e necessit: ogni comunit ecclesiale ha
norme peculiari dirette a derogare o integrare quelle riguardanti
tutta la cattolicit.
Il pluralismo disciplinare si dimostra in modo particolarmente
evidente nelle differenze esistenti tra:
Chiesa latina
Chiese orientali cattoliche.
Precisazioni: nei primi secoli della Chiesa, il governo delle
varie comunit cristiane faceva capo non solo a Roma, ma anche ad
altre sedi patriarcali collocate in Oriente.
In seguito, il patriarcato di Roma o dOccidente (coincidente con
la Chiesa latina e comprendente la stragrande maggioranza dei
fedeli cattolici) si diffuse in tutta Europa e negli altri
continenti, mentre le comunit di Oriente se ne separarono dando
vita a Chiese autonome. Alcune di queste, con il volgere dei
secoli, hanno ritrovato lunit con Roma, che ne ha rispettato le
diverse tradizioni.
Attualmente si contano 22 Chiese orientali cattoliche, dotate di
propri riti liturgici, propria disciplina e propria gerarchia, e
raggruppate intorno ai 5 riti orientali pi antichi. Il Concilio
Vaticano II ne ha sancito anche il diritto (e il dovere) di
governarsi secondo le proprie discipline particolari.
NB: nel presente studio con il termine Chiesa si intende la
Chiesa cattolica, che si distingue dalle altre confessioni
cristiane per numerosi fattori di carattere dottrinale e
disciplinare (es. il riconoscimento della suprema autorit del
vescovo di Roma, considerato successore dellapostolo Pietro).
La precisazione si impone in quanto anche altre Chiese cristiane
sono dotate di un diritto proprio che non costituisce oggetto della
presente trattazione, esclusivamente dedicata al diritto della
Chiesa cattolica e, pi specificamente, della Chiesa latina.
2. DIRITTO UNIVERSALE e DIRIITO PARTICOLARE
Oltre che nelle differenze esistenti tra la Chiesa latina e le
singole Chiese orientali, il pluralismo disciplinare si manifesta
allinterno della stessa Chiesa latina dove, accanto ad un diritto
universale, valido dovunque, vigono diritti particolari,
obbligatori solo in certi luoghi.
Le leggi universali sono emanate:
dal pontefice, che esercita sempre liberamente la sua
potest,
dal collegio di tutti i vescovi, che pu agire previo il consenso
dello stesso pontefice; s che il concilio ecumenico (che
costituisce il modo solenne di esercizio del potere proprio del
collegio episcopale) viene convocato e presieduto dal papa che
provvede anche a confermarne le deliberazioni.
Le fonti del diritto particolare sono:
le norme emanate per un dato territorio dal pontefice, su
iniziativa autonoma o sulla base di convenzioni o accordi con le
autorit civili (concordati, intese, modus vivendi, protocolli,
accordi);
i decreti dei concili particolari, che riuniscono i vescovi di
una provincia ecclesiastica (concili provinciali) o di una
conferenza episcopale (concili plenari) e hanno nel rispettivo
territorio competenza legislativa di carattere generale,
le decisioni delle conferenze episcopali, che riuniscono di
regola i vescovi appartenenti ad uno stesso Stato e deliberano in
modo giuridicamente vincolante solo nelle materie ad esse
attribuite dal diritto universale o da una speciale disposizione
della Santa Sede,
le leggi riguardanti le singole diocesi, promulgate dal vescovo
sia nel sinodo diocesano (= in unassemblea ecclesiale celebrata con
particolare solennit), che fuori di esso,
le consuetudini, che sembrano attualmente svolgere un ruolo
ridotto a causa delle restrizioni imposte dalla legislazione.
Questa molteplicit di fonti pone il problema della loro
gerarchia, che nella disciplina canonica vigente determinata
esclusivamente dalla diversa autorit dei vari legislatori.
Gerarchia:
I. le leggi e disposizioni pontificie e i decreti dei concili
ecumenici,
II. le norme decise dagli episcopati locali in sede di concilio
particolare o di conferenza episcopale e in ogni caso soggette al
nullaosta della Santa Sede,
III. le leggi diocesane che non possono essere contrarie n al
diritto universale n a quello sancito collegialmente dai vescovi a
livello provinciale o regionale.
Il diritto particolare svolge un ruolo importante nella vita
della Chiesa:
da un lato assicura una precisa ed efficace applicazione della
legislazione universale, specificandola, completandola e
adattandola in funzione delle esigenze concretamente poste dalle
diverse circostanze,
dallaltro fattore talmente rilevante di sviluppo e di evoluzione
di tutto lordinamento che molte norme e istituti di carattere
universale sono nati in sede locale, soprattutto ad opera dei
concili particolari.
NB: non si pu, quindi, contrapporre diritto particolare e
diritto universale: lo spirito e la struttura dellordinamento
canonico esigono che questi due diritti vivano in un rapporto di
continua simbiosi che consenta un costruttivo interscambio e
unefficace comunicazione reciproca.
Lequilibrio tra lunit del sistema giuridico e il pluralismo
disciplinare non determinato una volta per tutte da principi
astratti e immutabili, ma condizionato dalla concreta situazione
della comunit (a sua volta influenzata delle vicende della societ
civile) la quale, in funzione delle tendenze che si manifestano
nelle diverse epoche storiche, ora favorisce lo sviluppo delle
legislazioni locali, ora porta ad accentuare la funzione del
diritto universale. In particolare, mentre nei secoli
immediatamente precedenti il Concilio ecumenico Vaticano II si
assiste ad un progressivo accentramento della vita ecclesiale, il
Codice promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983 consente maggiori
spazi allautonomia delle singole diocesi e degli episcopati
locali.
3. IL DIRITTO della CRISTIANIT
Al momento della convocazione del Concilio Vaticano I
(1869-1870) le linee fondamentali del sistema giuridico canonico
sono ancora offerte dal Corpus iuris canonici = linsieme delle pi
autorevoli collezioni in cui, prima del Concilio di Trento, si
venuta consolidando lesperienza giuridica della Chiesa.
II Corpus iuris canonici si apre con il Decretum di Graziano (o
Concordia o Concordantia discordantium canonum) in quanto il suo
autore (considerato come liniziatore della scienza canonistica e
maestro di teologia a Bologna nella prima met del XII sec.) si
propone di concordare i canoni discordanti = di ridurre a unit il
sistema giuridico della Chiesa quale era venuto delineandosi negli
11 secoli precedenti.
Sulla base di una molteplicit di fonti (dedotte dalla Sacra
Scrittura, dai concili generali e particolari, dalle opere dei
Padri, dalle lettere dei pontefici, da altri documenti
ecclesiastici e dalle stesse leggi civili), Graziano identifica i
problemi e ne prospetta la soluzione in asserzioni (dicta)
suffragate dalla citazione di testi autorevoli (auctoritates).
Lopera ha carattere privato e si articola in:
101 distinzioni dedicate al diritto e alle sue fonti, ai
chierici e alla loro ordinazione;
36 cause relative alle pi varie materie (es. la procedura, il
patrimonio, i religiosi, il matrimonio e la penitenza);
5 distinzioni riguardanti il culto, i sacramenti e i
sacramentali.
Il Decretum venne adottato da subito come manuale, prima a
Bologna e poi nelle altre universit del tempo, determinando intorno
allo studio del diritto canonico un vasto interesse che si riflette
anche sullattivit legislativa.
Infatti, a partire dalla seconda meta del XII sec., a causa
della crescente autorit di Roma e della maggior sensibilit per le
questioni giuridiche, i pontefici sono frequentemente chiamati a
risolvere autoritativamente le controversie che insorgono: le loro
costituzioni e decretali si moltiplicano cos rapidamente da porre
ben presto lesigenza di raccoglierle in collezioni.
II problema organicamente affrontato da Gregorio IX che affida a
Raimondo di Penafort il compito di riunirle in modo rispondente ai
bisogni del tempo, espungendo i testi simili, inutili o
contraddittori, modificando le fonti l dove necessario e
integrandole opportunamente con nuove decretali da emanarsi
appositamente.
La collezione delle decretali di Gregorio IX (Decretales
Gregorii IX, detta anche Liber Extra in quanto raccoglie i testi
estranei alla Concordia grazianea):
suddivisa in 5 libri
giudice,
giudizio,
clero,
matrimonio,
delitto
viene promulgata nel 1234 con la bolla Rex pacificus che ne
sancisce il carattere autentico, attribuendole forza di legge per
la Chiesa universale, ed esclusivo, vietando il ricorso a qualunque
altra raccolta che non sia il Decretum di Graziano.
Lopera di Gregorio IX proseguita da Bonifacio VIII che nel 1298
promulga il Liber Sextus (cos chiamato per sottolineare la
continuit con i 5 libri del Liber Extra) dove sono raccolti,
i decreti dei concili generali celebrati a Lione nel 1245 e nel
1274,
le decretali successive al 1234.
Lultima raccolta ufficiale compresa nel Corpus costituita dalle
Clementinae, comprendenti quasi esclusivamente atti di Clemente V
che, dopo una prima promulgazione ad opera di questo pontefice,
sono riviste e promulgate da Giovanni XXII nel 1317.
A differenza dei libri Extra e Sextus non hanno valore esclusivo
in quanto, salvo che dispongano in senso a esse contrario, lasciano
in vigore le decretali precedenti.
Carattere, poi, puramente privato hanno le due collezioni,
pubblicate da Giovanni Chappuis nel 1500 e nel 1503 delle
Extravagantes Ioannis XXII che riuniscono 20 decretali di questo
pontefice (1316-1334) e delle Extravagantes communes che raccolgono
pi di 70 decretali dovute a vari papi da Urbano IV (1261-1264) a
Sisto IV (1471-1484).
Le Extravagantes concludono il Corpus che, di conseguenza, nel
testo approvato da Gregorio XIII nel 1580, risulta composto da:
Decretum di Graziano,
Liber Extra di Gregorio IX,
Liber Sesto di Bonifacio VIII,
Clementinae
Extravagantes
4. VERSO la CODIFICAZIONE del DIRITTO della CHIESA CATTOLICA
Al Vaticano I si rileva come la consultazione del Corpus si
presenti tuttaltro che agevole a causa della sua ampiezza, del
diverso valore giuridico delle singole parti, dellinsufficiente
sistematica, della scarsa rispondenza alle esigenze dei tempi.
quindi comprensibile che di fronte allincertezza del diritto,
molti dei vescovi che partecipano al Vaticano I ritengano
indispensabile una reformatio iuris. Si avverte il desiderio di una
certezza del diritto fondata prevalentemente su una legge scritta
che assicuri unit di disciplina in tutta la Chiesa.
Le proposte di codificazione nascono dallesigenza di una maggior
uniformit della legislazione ecclesiastica che, implicando
necessariamente una limitazione del pluralismo disciplinare, si
risolve in una riaffermazione dellunit della Chiesa universale
rispetto alla diversit delle Chiese particolari.
In ogni caso, il progetto si scontra con latteggiamento
sostanzialmente negativo prima delle commissioni preparatorie del
Vaticano I, (in larga parte composte da officiali della Curia
romana), poi della congregazione istituita da Pio IX per lesame dei
postulati, che, non senza incertezze e contraddizioni, decide di
sottrarre largomento alle deliberazioni del concilio, proponendolo
invece al pontefice in forma di umile domanda.
La sospensione del concilio e i pi urgenti problemi di carattere
politico che la questione romana pone alla Santa Sede fanno s che
la richiesta venga accantonata.
5. IL PROCESSO di CODIFICAZIONE
Nel marzo 1904 viene pubblicato il motu proprio Arduum sane
munus in cui Pio X, dopo aver sottolineato limportanza della
disciplina nella vita della Chiesa e la necessit di evitare la
dispersione delle leggi, riconosce che le varie collezioni
realizzate a tale scopo nei secoli precedenti e le stesse
disposizioni emanate dai suoi immediati predecessori non hanno
eliminato tutte le difficolt.
Ricorda, quindi, come da pi parti si chieda, da tempo, che tutte
le leggi della Chiesa siano raccolte in unit secondo un ordine
chiaro, espungendo quelle abrogate e superate e adattando le altre
alle condizioni dei tempi, e dichiara di approvare e accettare
questi voti, istituendo per la realizzazione dellopera unapposita
commissione cardinalizia e un collegio di consultori che si
avvarranno della collaborazione dellepiscopato mondiale.
Il motu proprio resta nel vago circa il metodo da seguire; ogni
dubbio in merito pero prontamente fugato dal segretario della
commissione, Gasparri, che nella lettera inviata nellaprile 1904
alle universit cattoliche precisa che intenzione del pontefice
provvedere a distribuire adeguatamente in canoni o articoli sul
modello dei pi recenti codici statuali tutto il diritto canonico,
curando, la raccolta di tutti quei documenti, pubblicati dopo le
collezioni autentiche contenute nel Corpus, da cui essi siano
desunti.
Questa lettera di Gasparri fornisce anche una prima indicazione
circa la sistematica del Codice che si ispira fondamentalmente ai
trattati di istituzioni di diritto canonico in uso nelle universit,
dove, seguendo il modello delle istituzioni giustinianee, le
materie sono ripartite in
persone,
cose
azioni.
Ulteriori precisazioni sono contenute nelle norme approvate dal
pontefice nellaprile 1904: i1 Codice, redatto in lingua latina,
conterr soltanto leggi disciplinari enunciate in canoni che il pi
chiaramente, brevemente e fedelmente possibile riportino, nella
sola parte dispositiva, quanto stabilito
dal Corpus,
dal Concilio di Trento,
dagli atti dei pontefici,
dai decreti delle congregazioni romane e dei tribunali
ecclesiastici,
tralasciando le norme abrogate o superate e innovando l dove
opportuno o necessario.
La commissione, coordinata da Gasparri, che nel 1907 viene
nominato cardinale, si mette al lavoro e nel 1912-1914 in grado di
inviare un primo progetto ai vescovi del mondo intero perch
facciano pervenire le loro osservazioni.
Il testo, adeguatamente rivisto, poi trasmesso per gli eventuali
rilievi ai cardinali e ai prelati della Curia romana e infine, nel
1916, i lavori della commissione possono considerarsi conclusi.
Durante la preparazione del Codice compaiono, come anticipazioni
della nuova disciplina, molti atti legislativi.
Tra i pi significativi vanno ricordati:
la costituzione Vacante Sede Apostolica, che innova la
disciplina del conclave per lelezione del pontefice (1904),
il decreto Ne temere, sulla forma di celebrazione del matrimonio
(1907),
la costituzione Sapienti consilio sul riordinamento della Curia
romana (1908).
Inoltre, nel 1909, inizia la pubblicazione degli Acta
Apostolicae Sedis = il periodico ufficiale della Santa Sede. Prima
di tale anno i principali atti del pontefice e della Curia romana
venivano inseriti negli Acta Sanctae Sedis (41 volumi comparsi tra
il 1865 e i1 1908); questa collezione aveva un valore puramente
privato fino al 1904 quando Pio X ne sanc il carattere autentico e
ufficiale.
6. IL CODICE di DIRITTO CANONICO del 1917
Il Codex iuris canonici viene promulgato da Benedetto XV
(1914-1922) con la costituzione Providentissima Mater Ecclesia nel
maggio 1917 ed pubblicato nel giugno successivo mediante inserzione
negli Acta Apostolicae Sedis.
Dal punto di vista formale il nuovo testo legislativo, entrato
in vigore nel maggio 1918, si compone di 2.414 canoni, stilati in
forma breve, astratta e senza menzione delle loro motivazioni,
distribuiti in 5 libri, che, a eccezione del primo, si articolano
in parti, di cui alcune sono suddivise in sezioni.
Tutti i libri, sono ripartiti in titoli, spesso distinti in
capitoli che, a loro volta, possono suddividersi in articoli. A
tutte queste suddivisioni sono premesse delle rubriche che
enunciano sinteticamente largomento trattato e di cui sono privi
solo alcuni canoni di carattere introduttivo, non ricompresi nei
titoli.
Infine i singoli canoni, dotati di numerazione continua per
tutto il codice, sono spesso suddivisi in paragrafi o in
numeri.
La sistematica adottata non si scosta molto da quella enunciata
da Gasparri nella lettera alle universit cattoliche:
il primo libro, Normae generales, tratta delle leggi e della
loro efficacia, della consuetudine, del computo del tempo, dei
rescritti, privilegi e dispense;
il secondo, De personis, contiene la disciplina relativa ai
chierici, ai religiosi, ai laici;
il terzo, De rebus, concerne i sacramenti, i luoghi e i tempi
sacri, il culto divino, il magistero ecclesiastico, i benefici e
gli altri istituti non collegiali, i beni temporali;
il quarto, De processibus, riguarda i giudizi, le cause di
beatificazione e canonizzazione e alcuni procedimenti speciali
riguardanti i chierici;
il quinto, De delictis et poenis, disciplina la materia
penale.
Ai cinque libri fanno seguito alcune costituzioni pontificie,
emanate in diverse epoche e riguardanti varie materie tra cui
lelezione del pontefice.
Il valore giuridico del Codice quello di una collezione
autentica: approvata e promulgata dal pontefice come supremo
legislatore,
unica: tutte le disposizioni in esso contenute, sia che
presentino carattere di novit sia che si limitino a ripetere
lantica disciplina, hanno la stessa fonte di obbligatoriet e, di
conseguenza, vanno considerate come emanate nello stesso
momento.
Luniversalit del Codice non assoluta: esso riguarda solo la
Chiesa latina.
Circa, poi, la sua esclusivit: nonostante i propositi enunciati
nel motu proprio Arduurn sane munus, il Codice non raccoglie
luniversum ius poich da un lato non comprende le leggi liturgiche e
dallaltro non abroga gli accordi della Santa Sede con le varie
nazioni (convenzioni, concordati), lasciando intatti anche i
diritti acquisiti e i privilegi disposti dalla Santa Sede e ancora
in uso.
Sono, infine, tollerate le consuetudini contrarie centenarie o
immemorabili non espressamente riprovate e non abolite.
A parte queste eccezioni, tutte le leggi sia universali sia
particolari, contrarie alla disciplina del Codice, vengono abrogate
(salvo diversa disposizione).
Circa lopera realizzata da Gasparri, diverse sono le opinioni
manifestate in merito.
Si pu affermare che ad una quasi unanime valutazione largamente
positiva si andata gradualmente sostituendo una pi meditata
riflessione che ha portato alla formulazione di vari e
significativi rilievi.
Una prima osservazione che bench il cardinal Gasparri nella sua
prefazione collochi il Codice nella grande linea delle collezioni
canoniche dei secoli precedenti, questa tesi non appare
sostenibile: il Codice conserva nella sua sostanza gran parte del
diritto precedente, ma esso costituisce unassoluta novit nella
storia della Chiesa, che non aveva mai conosciuto una legislazione
che assorbisse, in modo pressoch totale, la disciplina precedente,
abolendo formalmente tutte le collezioni anteriori.
Questa rigida separazione tra storia e diritto vigente dovuta
alla stessa impostazione metodologica del Codice che, abbandonando
il sistema tradizionale delle collezioni, si ispira a quelle teorie
che, privilegiando i concetti giuridici e le formule astratte sulla
concretezza della vita sociale e delle vicende storiche, avevano
determinato in molti paesi il processo di codificazione.
Tale imitazione da parte della Chiesa di forme legislative
proprie degli Stati ed estranee alla sua tradizione ha provocato in
questi ultimi tempi alcune critiche in quanto appare dettata da
quella concezione secolarizzante della Chiesa come societas
iuridice perfecta che tende ad assimilare la societ ecclesiale a
quelle statuali.
Pi specificamente, il Codice si collocherebbe in un disegno di
accentramento che, mediante limposizione di una rigida uniformit
disciplinare, finisce col negare ogni legittimo pluralismo, col
favorire il giuridismo (= la sopravvalutazione dellimportanza del
momento giuridico nella vita della Chiesa), col ridurre quella
adattabilit alle pi diverse circostanze di tempo e di luogo che
caratterizza lordinamento canonico.
Tutte queste critiche sono meritevoli di attenta considerazione
anche se non si possono trascurare gli esiti positivi del Codice
che
ha posto termine alla confusione legislativa preesistente,
ha permesso una maggiore conoscenza delle leggi
ecclesiastiche,
ha consentito un pi ordinato svolgimento della vita
ecclesiale,
ha favorito un notevole sviluppo degli studi canonistici.
II dibattito, dunque, ancora aperto.
Si pu, comunque, affermare con certezza che la codificazione non
costituisce quella forma di legislazione assoluta e perfetta che
gli autori del Codice mostrano di credere.
Questa suggestione del mito della codificazione particolarmente
evidente nel motu proprio Cum iuris canonici con cui nel settembre
1917 Benedetto XV istituisce la commissione per linterpretazione
autentica dei canoni del Codice.
In questo documento il pontefice ritiene possibile arrestare
1evoluzione della legislazione o almeno regolarla in modo che anche
per il futuro la disciplina della Chiesa venga raccolta nellunico
testo legislativo del Codice.
Il motu proprio, infatti, dispone che le congregazioni romane si
astengano dallemanare decreti generali ma si limitino a pubblicare
istruzioni che si presentino come spiegazioni e complementi dei
canoni del Codice. Qualora, una grave necessit della Chiesa
universale imponga innovazioni legislative, la commissione
provveder a redigere le nuove disposizioni in canoni che verranno
sostituiti o aggiunti a quelli gi contenuti nel Codice.
Questultima disposizione non ha trovato pratica attuazione,
mentre la commissione ha puntualmente adempiuto al primo compito
assegnatole di interpretare autenticamente i canoni del Codice,
pronunciando numerosi responsi che sono stati pubblicati sugli Acta
Apostolicae Sedis.
7. IL CODICE delle CHIESE ORIENTALI
NB: il Codice di diritto canonico riguarda esclusivamente la
Chiesa latina: non vincola i fedeli di altro rito se non in quelle
disposizioni che per propria natura obblighino anche loro, come i
canoni che dispongono in materia di fede e morale e quelli che
contengono precetti di diritto divino.
La codificazione del diritto degli orientali viene decisa da Pio
XI che nel 1929, dopo aver consultato i vescovi di rito orientale,
affida i lavori preparatori ad una commissione cardinalizia,
presieduta da Gasparri, a cui vengono affiancate, lanno successivo,
altre due commissioni:
alla prima, composta dai delegati dei vari riti orientali e da
qualche canonista latino, viene assegnato il compito di collaborare
alla preparazione della codificazione,
la seconda, a cui partecipano studiosi di tutti i riti, riceve
lincarico di curare la raccolta delle fonti.
La commissione cardinalizia viene, infine, trasformata nel 1935
in commissione per la redazione del Codice di diritto canonico
orientale sotto la presidenza del cardinal Sincero, a cui succede
il cardinal Massimi.
Prima di tale data, i delegati orientali procedono
allelaborazione degli schemi da inviare ai vescovi orientali, ai
rappresentanti pontifici e ai vescovi latini nei territori
orientali, ai superiori maggiori dei religiosi orientali e ad
alcune universit ecclesiastiche.
Le risposte pervenute sono esaminate da un gruppo di consultori
che presenta le sue proposte alla commissione cardinalizia la
quale, a sua volta, provvede ad approvare il testo dei canoni da
sottoporre al sommo pontefice.
Un primo abbozzo di tutto il codice orientale viene dato alle
stampe nel 1943 e un nuovo schema, con numerose modifiche, viene
stampato nel 1945, sempre a uso interno.
Mentre continua il lavoro di miglioramento e revisione del
testo, la commissione inizia nel 1946 lesame delle fonti in vista
del loro inserimento nelle note ai vari canoni.
Ad una conclusione positiva ma parziale dei lavori si giunge
solo nel febbraio 1949 con la promulgazione dei canoni riguardanti
il matrimonio, avvenuta ad opera del motu proprio Crebrae allatae
sunt, a cui fanno seguito negli anni successivi le norme relative
ai giudizi, ai religiosi, ai beni temporali, al significato delle
parole, ai riti e alle persone.
Le promulgazioni parziali del codice orientale cessano con la
morte di Pio XII (1958), il quale aveva dato un deciso impulso ai
lavori della commissione facendoli giungere quasi al termine.
La codificazione orientale ha incontrato difficolt ben maggiori
di quella del diritto latino, come documentano chiaramente sia la
lunghezza dei lavori preparatori sia la mancanza di una loro
definitiva conclusione: mentre la disciplina della Chiesa latina
presentava una relativa omogeneit dovuta sia allunicit del rito
regolato, sia alla precedente opera centralizzatrice della Santa
Sede, i diritti delle Chiese orientali erano, e sono tuttora,
talmente diversi che alcuni di essi appaiono pi simili al diritto
latino di quanto lo siano tra di loro.
Da tale diversit deriva:
una notevole difficolt ad individuare e codificare un diritto
comune a tutte le Chiese orientali,
la necessit che il codice orientale lasci ai diritti particolari
uno spazio ben pi ampio di quello previsto dal Codice di diritto
canonico, data limpossibilit di ridurre a uniformit le differenti
tradizioni e discipline delle singole Chiese.
8. I PRINCIPI del CONCILlO VATICANO II
Nel 1959 Giovanni XXIII annuncia inaspettatamente la prossima
convocazione di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale,
provocando sorpresa.
Le ragioni che avevano indotto il pontefice a questa decisione
si trovano enunciate nella costituzione Humanae salutis, con cui
nel 1961, dopo un intenso lavoro di preparazione, viene convocato
il Concilio ecumenico Vaticano II.
A giudizio di Giovanni XXIII, di fronte alla crisi della societ,
la Chiesa chiamata a mettere in contatto con il Vangelo il mondo
moderno in cui al grande progresso materiale dovuto alle conquiste
della scienza e della tecnica non corrisponde un eguale avanzamento
in campo morale, dove, anzi, si manifestano preoccupanti
fenomeni.
Questa dolorosa constatazione non intacca la fiducia del
pontefice che, per rispondere ai segni dei tempi offerti
dallindigenza spirituale del mondo e dalla vitalit della Chiesa,
ritiene urgente convocare il concilio per dare a questultima la
possibilit di contribuire pi efficacemente alla soluzione dei
problemi della societ moderna.
Questa finalit ispira il grandioso programma del concilio che
dovr occuparsi dei problemi dottrinali e pratici corrispondenti
allesigenza di una perfetta conformit della Chiesa allinsegnamento
di Cristo:
la Scrittura, la tradizione, i sacramenti, la preghiera, la
disciplina ecclesiastica, le attivit caritative e assistenziali,
lapostolato dei laici, gli orizzonti missionari, preoccupandosi
anche specificamente dellinflusso che lordine soprannaturale deve
esercitare su quello temporale in modo che le deliberazioni
conciliari investano di nuova luce non solo lintimo delle
coscienze, ma anche tutta la massa collettiva delle umane
attivit.
I lavori del concilio, a cui partecipano circa 2.500 padri
(vescovi, prelati a essi equiparati, superiori generali dei
religiosi) giunti da ogni parte del mondo, hanno inizio nellottobre
1962 e si articolano in 4 periodi:
dallottobre al dicembre 1962,
dal settembre al dicembre 1963,
dal settembre al novembre 1964,
dal settembre al dicembre 1965.
L8 dicembre il Concilio Vaticano II viene solennemente
dichiarato concluso da Paolo VI.
I documenti conciliari - promulgati, per ordine del pontefice
mediante la pubblicazione sugli Acta Apostolicae Sedis sono 16:
4 costituzioni: hanno un carattere eminentemente dottrinale
oppure contengono deliberazioni di cui si voluto sottolineare la
particolare importanza;
9 decreti: pur non mancando di esposizioni dottrinali di varia
ampiezza, riguardano soprattutto le applicazioni pratiche;
3 dichiarazioni: risultano atti concernenti questioni
specifiche, affrontate sotto il profilo sia dottrinale che
pastorale, ai quali il concilio non ha ritenuto opportuno conferire
la solennit propria delle costituzioni.
II problema della qualificazione giuridica delle deliberazioni
del Vaticano II nel quadro delle fonti del diritto canonico
presenta una certa complessit in quanto le esposizioni dottrinali
non sono completate (come nei concili precedenti), da canoni che ne
sintetizzino le proposizioni, enunciando i relativi precetti e
sanzioni.
Questa assenza di canones (dovuta alla scelta precisa di
privilegiare la pastoralit sulla giuridicit) non implica la
mancanza di norme giuridiche, ma impone allinterprete di
identificarne lesistenza sulla base di unattenta analisi del
contenuto dei singoli documenti conciliari che, in quanto approvati
dai padri e promulgati dal pontefice, sono tutti idonei a contenere
disposizioni di tale natura.
Si pu innanzitutto affermare che in nessun caso si ritenuto
opportuno impegnare linfallibilit del magistero ecclesiastico,
mentre numerosi insegnamenti sono garantiti dallautorit del supremo
magistero ordinario, che deve essere accolto docilmente e
sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa
la natura e gli scopi dei singoli documenti.
Riguardo alla rilevanza giuridica delle deliberazioni
conciliari, spesso esse contengono norme-principio: tali norme
svolgono una funzione programmatica, qualificando lordinamento e
fissando le linee direttive del suo sviluppo; incidono talvolta
direttamente e immediatamente come norme sostanzialmente
sovraordinate, nella legislazione vigente, innovandola, abrogandola
o derogandola, e valgono, inoltre, come criteri di interpretazione
e integrazione delle disposizioni anteriori.
Non mancano, infine, soprattutto nei decreti, disposizioni di
carattere particolare che specificano o applicano i principi
generali precedentemente enunciati, comandando, invitando o
esortando ad unattivit pratica o anche predisponendo direttamente
innovazioni dellordinamento ecclesiastico.
Le 4 costituzioni:
1) Lumen gentium che, illustrando la struttura della Chiesa,
enuncia la dottrina della sacramentalit e collegialit
dellepiscopato e afferma la vera eguaglianza di tutti i fedeli, e
quindi anche dei laici, riguardo alla dignit e allazione
comune;
2) Dei Verbum, dedicata alla divina rivelazione e definisce il
significato e il valore della Scrittura e della Tradizione che
costituiscono fonti di cognizione del diritto divino positivo;
3) la costituzione Sacrosanctum Concilium stabilisce i principi
generali della riforma liturgica, innovando profondamente la
disciplina vigente;
4) di singolare importanza, poi, per la dottrina relativa alle
relazioni tra Chiesa e comunit politiche e allistituto matrimoniale
la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo.
Tra i 9 decreti:
1) lInter mirifica si occupa dei mezzi di comunicazione sociale,
sottolineandone lincidenza nella vita moderna ed enunciando diritti
e doveri dei fedeli e dei pastori danime in questo campo;
2) lUnitatis redintegratio affronta il problema ecumenico = il
ristabilimento dellunit tra i cristiani, con un atteggiamento
particolarmente aperto e disponibile;
3) lOrientalium Ecclesiarum riguarda le Chiese orientali
cattoliche che ottengono una considerazione e un apprezzamento
delle loro specificit ben maggiori di quelli precedenti;
4) lAd gentes riconosce nelle missioni unattivit essenziale alla
Chiesa che impegna la responsabilit di tutti i vescovi, stabilendo
nuovi principi generali e disposizioni specifiche per tutto il
diritto missionario;
5) il Christus Dominus, che tratta dellufficio dei vescovi nei
confronti della Chiesa sia universale che particolare, formulando
nel terzo capitolo la prima disciplina di diritto comune delle
conferenze episcopali a cui viene riconosciuta (in termini molto
limitati), vera e propria potest legislativa;
6) lOptatam totius, che innova limpostazione e i criteri della
formazione dei sacerdoti investendo lordinamento dei seminari;
7) il Presbyterorum Ordinis, che, oltre a definire la natura e
le funzioni del ministero dei sacerdoti, affronta anche problemi
molto concreti (es. la distribuzione del clero, le questioni
relative alla sua sussistenza, assistenza e previdenza,
listituzione del consiglio presbiterale);
8) il Perfectae caritatis traccia le linee per il rinnovamento
della vita religiosa;
9) lApostolicam actuositatem tratta dellapostolato dei laici
nella societ contemporanea alla luce di quei principi di
valorizzazione del laicato che si trovano gi enunciati nella
costituzione dogmatica Lumen gentium.
Le 3 dichiarazioni:
1) la Gravissimum educationis enuncia i principi fondamentali
sulleducazione cristiana, soffermandosi su scuole, universit e
facolt cattoliche;
2) la Nostra aetate si occupa delle relazioni della Chiesa con
le religioni non cristiane dopo aver sottolineato la necessit di
dialogo e collaborazione con buddisti, induisti e mussulmani,
insistendo sulla mutua conoscenza e stima con gli ebrei, condanna
come contraria alla volont di Cristo qualsiasi discriminazione e
persecuzione perpetrata tra gli uomini per motivi di razza, colore,
condizione sociale o religione;
3) la Dignitatis humanae interamente dedicata al problema della
libert religiosa: rivendica a tutti gli esseri umani libert
psicologica e immunit da coercizioni esterne nella ricerca della
verit.
Linterpretazione autentica di tutti questi documenti affidata
alla Commissione centrale per il coordinamento dei lavori
post-conciliari e per linterpretazione dei decreti del Vaticano II,
istituita nel gennaio 1966 con il motu proprio Finis Concilio.
Alla conclusione del concilio ha fatto seguito unintensissima
attivit legislativa da parte della Santa Sede, diretta:
sia ad emanare le necessarie norme di attuazione delle decisioni
conciliari,
sia ad introdurre nellordinamento canonico quelle riforme che
appaiano richieste dallo spirito del Vaticano II e dalle nuove
esigenze che si presentano.
Tra i pi importanti provvedimenti di Paolo VI si possono
ricordare listituzione del Sinodo dei vescovi; le ampie facolt di
dispensa concesse ai vescovi; la soppressione degli ordini
minori.
Di notevole rilevanza anche le disposizioni circa la vacanza
della sede apostolica, lelezione del pontefice, quelle di riforma
della Curia romana (modificate e sostituite da normative pi
recenti).
Da parte sua Giovanni Paolo II, nello stesso discorso
programmatico del suo pontificato, ha dichiarato di considerare un
compito primario quello di promuovere la pi esatta esecuzione delle
norme e degli orientamenti del concilio, avvertendo che esso potr
interessare pi settori (es. quello missionario, quello ecumenico,
quello disciplinare, quello organizzativo), ma dovr soprattutto
riguardare lecclesiologia.
A tale proposito il pontefice ha sottolineato la necessit di
riprendere in mano la magna charta conciliare cio la costituzione
dogmatica Lumen gentium, per una rinnovata meditazione sulla natura
e sulla funzione, sul modo di essere e di operare della Chiesa.
9. VERSO una NUOVA LEGISLAZIONE
1. Per la Chiesa latina
Nel discorso pronunciato nel gennaio 1959, Giovanni XXIII
annuncia, oltre alla prossima convocazione del concilio, la sua
intenzione di procedere alla revisione del Codice di diritto
canonico.
II progetto trova pratica attuazione nel marzo 1963 con
listituzione della Pontificia Commissio Codici iuris canonici
recognoscendo, che, nella sua prima riunione, decide di dare
immediatamente inizio ai lavori stabilendo un organico rapporto con
la segreteria del concilio per conoscere le questioni di carattere
giuridico e disciplinare sollevate dai padri.
I primi risultati dei lavori vengono sottoposti, per volere del
pontefice, al Sinodo dei vescovi del 1967, che esprime un largo
consenso di massima ai principi direttivi elaborati dalla
commissione.
II nuovo Codice (che dovr adattare la legislazione ai principi
del Vaticano II e alle nuove esigenze del popolo di Dio)
da un lato, manterr unindole giuridica,
dallaltro, sar animato da quello spirito di carit e moderazione
che proprio della legge canonica.
Si conceder ai vescovi una maggior discrezionalit nelladattare
il diritto universale alle necessit dei fedeli.
I pi ampi poteri dei vescovi non dovranno per intaccare la
necessaria unit del sistema giuridico e quindi, mentre si lascer
maggiore spazio allautonomia dei legislatori particolari, non
saranno consentiti nella Chiesa latina diritti particolari che si
presentino come leggi di Chiese nazionali e si porr particolare
attenzione a garantire una certa unit di disciplina nel campo
processuale.
In ogni caso, le posizioni dei singoli verranno tutelate
sia mediante unenunciazione dei diritti soggettivi dei fedeli
che preceda lesposizione degli specifici diritti e doveri
corrispondenti ai loro diversi status,
sia mediante una radicale riforma della giustizia
amministrativa.
Anche il diritto penale verr profondamente rivisto in adesione
allunanime richiesta di una riduzione delle pene.
Per quanto, infine, concerne il problema della determinazione
delle porzioni del popolo di Dio che costituiscono le singole
Chiese particolari, ci si atterr di regola allelemento
territoriale, senza pero escludere il ricorso ad altri criteri.
Questi principi direttivi si discostano sotto vari profili da
quelli che avevano ispirato la legislazione precedente e impongono,
di conseguenza, la revisione della sistematica adottata dal Codice
del 1917.
La commissione riconosce la necessit di una nuova ripartizione
delle materie in armonia con lo spirito del Vaticano II e con le
recenti acquisizioni scientifiche, ma non ritiene opportuno
fissarla a priori.
Viene quindi adottato un indice provvisorio delle materie al
fine di consentire la ripartizione dei consultori in diversi gruppi
di studio incaricati di predisporre le singole parti della futura
legislazione e di studiare alcuni problemi di carattere
generale.
I singoli gruppi si riuniscono pi volte a Roma per discutere le
questioni fissate dal presidente della commissione e presentate da
un relatore sulla base delle opinioni espresse in precedenza e per
iscritto dai vari consultori.
Gli schemi approvati dai gruppi di lavoro sono poi sottoposti al
pontefice perch ne autorizzi linvio alle conferenze episcopali, ai
dicasteri della Curia romana, alle facolt ecclesiastiche, allunione
dei superiori generali dei religiosi.
Le osservazioni pervenute da questi organi di consultazione
vengono, infine, esaminati dalla segreteria e dai consultori dei
vari gruppi per definire il testo da presentare alla commissione
cardinalizia che approva lo schema definitivo da trasmettere al
pontefice.
Nel contempo la Santa Sede provvede alle pi urgenti riforme
legislative con interventi di carattere specifico,
2. Per le Chiese orientali
Nel gi menzionato discorso del gennaio 1959, Giovanni XXIII
annunciava, oltre alla convocazione del concilio ecumenico e
allintenzione di procedere alla revisione del Codice, la prossima
promulgazione del codice orientale.
Tuttavia si rivel ben presto pi opportuno attendere la
conclusione del Vaticano II.
Paolo VI istituisce, nel giugno 1972, la Commissione pontificia
per la revisione del codice orientale con il compito di preparare,
soprattutto alla luce dei decreti del Concilio Vaticano II, la
riforma del Codice di diritto canonico orientale sia nelle parti gi
promulgate con i 4 motu proprio, sia nelle parti gi ultimate ma non
ancora promulgate e di curare, al contempo, la pubblicazione delle
fonti del medesimo diritto.
II pontefice si attende che limpresa incrementi sempre pi lunit
e il consenso tra le diverse tradizioni, facendo per salve le
peculiarit delle singole Chiese.
La presidenza viene affidata ad un prelato, il siro-malabarese
cardinal Parecattil, e vengono chiamati a far parte della
commissione, oltre a pochi cardinali della Curia romana, tutti i
patriarchi e alcuni vescovi orientali.
A giudizio di Paolo VI, questa composizione (che assicura per
quanto possibile il carattere orientale della commissione) dimostra
la volont della Santa Sede di far s che siano gli stessi orientali
a preparare il codice contenente la loro disciplina.
La Commissione ha innanzitutto provveduto a riordinare i
materiali frutto dei lavori precedenti e a raccogliere dai
patriarchi e dalle altre autorit delle Chiese orientali
suggerimenti circa la revisione del Codice e la designazione dei
consultori (poi ripartiti in 10 gruppi di studio).
Dopo lapprovazione dei principi direttivi, (1974), tra il 1980 e
il 1984 vengono inviati a tutto lepiscopato cattolico orientale e
agli altri organi di consultazione gli schemi predisposti dai
diversi gruppi di studio.
Nel 1986 il progetto dellintero Codice, rielaborato alla luce
delle osservazioni pervenute, sottoposto allesame dei membri della
Commissione e nel 1989 lo schema definitivo viene presentato al
pontefice.
3. Una costituzione per la Chiesa?
Fin dallinizio dei lavori per la revisione del Codice, la
Commissione si trova di fronte ad un grave problema che viene cos
descritto da Paolo VI: dal momento che la Chiesa latina e quella
orientale sono dotate di codici distinti, necessario valutare
lopportunit di promulgare un codice comune e fondamentale che
contenga il diritto costitutivo della Chiesa.
La questione viene affrontata dalla Commissione che si pronuncia
nella sua maggioranza a favore di un codice fondamentale o
costituzionale comune sia alla Chiesa latina sia a quelle
orientali.
Indicazioni pi specifiche vengono formulate dal gruppo centrale
dei consultori: la Lex Ecclesiae fundamentalis avr natura giuridica
e teologica e permetter a tutti di conoscere la Chiesa nella sua
nozione e struttura, occupandosi anche dei diritti e dei doveri che
incombono a tutti i fedeli e delle relazioni della Chiesa con
lumana societ.
Viene quindi elaborato, da un apposito gruppo di studio, un
documento che si articola in un proemio sulla divina istituzione
della Chiesa e in 3 capitoli:
il primo, dedicato al popolo di Dio, tratta, in 2 distinti
articoli, dei fedeli, illustrandone i diritti e i doveri
fondamentali e soffermandosi sui loro diversi status (chierici,
laici, religiosi), e della gerarchia (del somma pontefice, dei
vescovi come collegio e come singoli, dei presbiteri e dei
diaconi);
il secondo riguarda gli uffici di insegnare, santificare e
governare;
il terzo concerne le relazioni della Chiesa con il mondo in cui
essa esiste e opera e con le societ umane che perseguono fini
temporali.
Lo schema, dopo essere stato emendato in base ai rilievi dei
cardinali componenti la Commissione, della Commissione teologica
internazionale e della Congregazione per la dottrina della fede,
inviato nel 1971 ai vescovi del mondo intero perch si
pronuncino.
II numero singolarmente elevato di voti contrari e di
approvazioni con riserva dimostra chiaramente che molti vescovi
sono in parte contrari, in parte gravemente perplessi di fronte al
progetto.
Tale perplessit, favorita dalle polemiche nel contempo accese
intorno alla Lex Ecclesiae fundamentalis, trova modo di
manifestarsi anche al Sinodo dei vescovi del 1971, dove alcuni
padri sollevano critiche e obiezioni di portata generale.
Il gruppo di consultori incaricato della preparazione della Lex
Ecclesiae fundamentalis si vede quindi costretto a rivedere lo
schema anche nei criteri ispiratori, riconoscendo la necessit che
la nuova legge si limiti ad enunciare le norme canoniche
fondamentali della Chiesa universale ed eviti dichiarazioni di
carattere dottrinale non opportune o necessarie ai fini della
certezza del diritto.
Si procede alla rielaborazione del testo, che nel 1974 viene
affidata da Paolo VI ad un gruppo misto composto da consultori
delle 2 Commissioni per la revisione del Codice latino e di quello
orientale e presieduto dal cardinal Felici.
Questo gruppo di studio ha concluso i suoi lavori presentando un
nuovo schema al pontefice, che si riservato ogni decisione.
Nel corso del dibattito che ha accompagnato lelaborazione della
Lex Ecclesiae fundamentalis sono state rivolte numerose critiche al
progetto e molte questioni restano ancora aperte, inoltre non ha
giovato lincertezza intorno alla natura e all oggetto della Lex,
che a volte stata presentata come un codex communis contenente le
disposizioni valide per la Chiesa universale, a volte come una
legge costituzionale.
Successivamente il dibattito si polarizzato intorno a temi pi
specifici come i problemi che deriverebbero da uneventuale rigidit
della Lex Ecclesiae fundamentalis.
A questo proposito, la relazione allo schema del 1970 si limita
a prevedere che:
le leggi emanate dalla suprema autorit, salvo espressa
disposizione contraria, vengano interpretate in base alle norme
della Lex e, qualora vi deroghino, siano soggette a stretta
interpretazione;
le leggi emanate da ogni altro legislatore, se contrarie alla
Lex, restano prive di efficacia giuridica.
In un secondo tempo, il gruppo di studio incaricato
dellelaborazione della Lex opta chiaramente per la sua rigidit: la
nuova legge sar superiore a tutte le altre leggi positive,
universali e particolari, e godr della massima stabilit (le
eventuali modifiche saranno introdotte dalla suprema autorit
secondo unapposita procedura ancora da stabilirsi).
Da tutto questo dibattito, emerge abbastanza chiaramente che
laspetto pi problematico non quello tecnico-giuridico ma costituito
dalle ragioni che ispirano il progetto: dallimmagine di Chiesa e
dal tipo di organizzazione ecclesiastica a cui la Lex si rivela
funzionale.
In ogni caso, va rilevato che, nel loro complesso, le critiche
ai diversi schemi di Lex Ecclesiae fundamentalis sono state
ritenute meritevoli di attenta considerazione da parte
dellautorit.
Infatti, non solo il progetto stato accantonato ma Giovanni
Paolo II, presentando il nuovo Codice, ha indicato nel Vangelo
lunica vera e insostituibile legge fondamentale della Chiesa.
4. La conclusione della revisione del Codice pio-benedettino
I lavori per la revisione del Codice pio-benedettino trovano
definitiva e positiva conclusione.
Ne1 1980, infatti, si giunge alla redazione di un nuovo e
completo schema.
Il pontefice dispone che per lesame del nuovo schema, la
competente commissione cardinalizia sia allargata ad altri vescovi
dei vari continenti.
I 64 membri della commissione, allinizio del 1981 presentano per
iscritto le loro osservazioni che vengono raccolte in una
voluminosa relazione.
Si riuniscono a Roma nellottobre dello stesso anno e decidono
allunanimit che lo schema, come modificato secondo gli emendamenti
emersi nella discussione e perfezionato nello stile e nella lingua
latina, sia presentato al pontefice perch lo pubblichi.
La presidenza e la segreteria della commissione provvedono alla
revisione richiesta, preoccupandosi anche di inserire nello schema
quei canoni del progetto di Lex Ecclesiae Fundamentalis richiesti
dalla sistematicit e dalla completezza del futuro Codice.
Lo schema, rivisto e integrato, viene consegnato nellaprile 1982
al pontefice.
Infine, nel gennaio 1983, a 24 anni esatti di distanza dal
discorso con cui Giovanni XXIII annunciava i suoi propositi di
revisione legislativa, il nuovo Codice viene promulgato da Giovanni
Paolo II con la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges
che ne fissa lentrata in vigore per la prima domenica di Avvento
dello stesso anno.
La sua interpretazione autentica affidata ad una commissione
appositamente istituita, che, in seguito alla riforma della Curia
romana, riceve pi ampie competenze e assume poi lattuale
denominazione di Pontificio Consiglio per i testi legislativi.
10. Il CODICE del 1983
II nuovo Codice si compone di 1.752 canoni e si intitola (come
quello precedente) Codex iuris canonici. Anche per quanto concerne
la struttura formale, la nuova legislazione non presenta rilevanti
mutamenti mantenendo la partizione del Codice pio-benedettino in
libri, parti, sezioni, titoli, capitoli, articoli, canoni,
paragrafi, numeri, con alcune discutibili modifiche di carattere
marginale.
Un pi ampio discorso merita lorganizzazione della materia, ora
distribuita in 7 libri:
1. le norme generali,
2. il popolo di Dio,
3. la funzione di insegnare,
4. la funzione di santificare,
5. i beni temporali,
6. le sanzioni,
7. i processi.
1: II primo di essi, dedicato alle norme generali, tratta di
argomenti diversi, senza che risulti sempre chiaro il criterio
adottato per riunire materie cosi disparate: le fonti del diritto,
le persone fisiche e giuridiche, la potest di governo al computo
del tempo.
2: Uno svolgimento pi lineare presenta il secondo libro,
riguardante il popolo di Dio, che offre una nuova e originale
sistemazione della materia: espone innanzitutto i diritti e i
doveri di tutti i fedeli per illustrare quindi gli status personali
specifici dei laici e dei chierici e la disciplina delle
associazioni. Segue unarticolata esposizione della struttura della
Chiesa universale e particolare e, infine, la normativa degli
istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica.
3: Sensibili novit nellorganizzazione interna presenta anche il
libro terzo che, occupandosi esclusivamente della funzione di
insegnare, regola il ministero della parola, lazione missionaria,
leducazione cattolica, i mezzi di comunicazione sociale e la
professione di fede.
4: il quarto libro, relativo alla funzione di santificare,
ricalca in larga parte la sistematica del codice pio-benedettino
disciplinando i sacramenti, gli altri atti del culto divino, i
luoghi e i tempi sacri.
5: La stessa osservazione vale per la normativa dei beni
temporali contenuta nel libro quinto che ripete quasi testualmente
gli ultimi quattro titoli del libro terzo del Codice del 1917
(acquisizione dei beni, amministrazione, contratti e alienazioni,
pie volont in genere e fondazioni).
6: Del pari, la partizione del libro sesto (le sanzioni nella
Chiesa) in 2 parti, riguardanti rispettivamente i delitti e le pene
in genere e le pene per i singoli delitti, non si discosta
sostanzialmente da quella adottata dal cardinal Gasparri.
7: Quasi totalmente nuova risulta la suddivisione dellultimo
libro che, dopo aver esposto la disciplina dei giudizi in genere,
tratta ampiamente del processo contenzioso, ordinario e orale, dei
giudizi speciali, del processo penale e della procedura
amministrativa.
Ai fini di una valutazione globale e critica di questa
sistematica, si pu dire che il Codice, pur non abbandonando
radicalmente la sistemazione fin qui usata, presenta delle
interessanti novit.
Ad un attento esame, risulta evidente la reale portata delle
innovazioni che investono limpostazione di tutta la
sistematica.
Essa, infatti, non deriva pi esclusivamente da dottrine
giuridiche di origine secolare (come la tripartizione giustinianea
in persone, cose, azioni), ma si ispira anche allinsegnamento del
Vaticano II che presenta la Chiesa come popolo di Dio, mettendone
in luce le funzioni di insegnamento, di santificazione e di
governo. Il significato di questa opzione: documenta una certa
preoccupazione di elaborare un diritto ecclesiale che non si
proponga unacritica imitazione degli ordinamenti civili, ma si
ispiri ad una riflessione originale sulla natura propria ed
esclusiva della Chiesa.
Infine, per completare la descrizione della struttura del nuovo
Codice, va ricordato che ledizione ufficiale del 1989 comprende,
oltre ai canoni e allindicazione delle relative fonti, la
costituzione di promulgazione, unampia prefazione, la costituzione
apostolica di riforma della Curia romana allora vigente e un
dettagliato indice analitico-alfabetico.
Il nuovo Codice non intende essere considerato come una
revisione della normativa stabilita nel 1917: esso vuole costituire
una nuova legislazione.
Infatti, se allinizio dei lavori si riteneva sufficiente
rivedere, aggiornare, introdurre le modifiche giudicate necessarie,
senza scostarsi troppo dal Codice vigente, successivamente sia a
conclusione di studi fatti in seno alla Commissione, sia per i
suggerimenti ricevuti dalle Conferenze episcopali e da altri organi
di consultazione, sia per il progredire della scienza canonica e
soprattutto per levolversi della vita ecclesiale, si cap che non
bastava una semplice revisione ma occorreva una vera e propria
riforma.
Inoltre il nuovo Codice intende costituire una legislazione
unica ed una nella quale non si possono scegliere, n contrapporre
canoni nuovi a canoni vecchi, ma dove tutto va fuso armonicamente
in un unico intento ed in ununica volont legislativa.
evidente la necessit, per unadeguata valutazione della nuova
legislazione canonica, di individuare gli elementi essenziali e
caratterizzanti dellintento e della volonta legislativa che lhanno
ispirata quali emergono dalla sua prefazione e dalla costituzione
di promulgazione, tenendo anche conto delle indicazioni emergenti
dai discorsi pronunciati in occasione della presentazione.
Se al nuovo testo legislativo viene assegnato lo scopo
estremamente ampio e generale di restaurare la vita cristiana, la
prima preoccupazione specifica quella di riaffermare lautentico
significato e la vera funzione della legge nella Chiesa.
In tale intento, papa Giovanni Paolo II non evidenzia lesistenza
di una relazione specifica e diretta tra il Codice e il Concilio
Vaticano II. A suo avviso i postulati conciliari trovano nel nuovo
testo legislativo esatti e puntuali riscontri a volte perfino
verbali s che, come afferma la costituzione di promulgazione, il
Codice, almeno in un certo senso, potrebbe intendersi come un
grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico lecclesiologia
della costituzione Lumen gentium.
Queste affermazioni vogliono mettere in evidenza la novit del
Codice che si presenta sotto diversi profili. Innanzitutto, per la
prima volta nella storia della Chiesa, un concilio ecumenico
direttamente alla base di una riforma organica e globale di tutta
la disciplina precedente.
E questo avvenimento risulta ancor pi singolare se si considera
che il Vaticano II, aveva evitato di sintetizzare le sue
enunciazioni in canones che stabilissero i relativi precetti e
sanzioni, in ossequio ad una scelta precisa che intendeva
privilegiare la pastoralit sulla giuridicit.
Si pu qui riconoscere una chiara conferma della stretta
relazione che intercorre tra disciplina canonica e azione
pastorale: ogni significativa evoluzione di questultima non pu non
importare un adeguamento della normativa.
Vi sono, poi le molteplici innovazioni che derivano direttamente
dallecclesiologia del Vaticano II.
A questo proposito, la costituzione di promulgazione non solo
afferma che la novit sostanziale del concilio costituisce altres la
novit del nuovo Codice, ma ricorda anche specificamente gli
elementi pi innovatori dellimmagine di Chiesa che viene
proposta.
Questa ripetuta affermazione del carattere di complementariet
che il nuovo Codice presenta sotto diversi aspetti in relazione
agli insegnamenti del Vaticano II, importa precise conseguenze
anche di carattere propriamente giuridico, nellinterpretazione e
nellattuazione dello stesso Codice.
Dal momento che la normativa in esso sancita ha, per
dichiarazione del pontefice, la sua ratio generale nellimmagine
conciliare della Chiesa, in questa stessa immagine deve trovare
sempre, per quanto possibile, il suo essenziale punto di
riferimento.
Il Codice non pu quindi essere adeguatamente valutato e
correttamente interpretato se viene considerato, secondo lideologia
delle codificazioni civili, come un testo normativo autonomo,
completo ed esauriente. Esso, invece, deve essere collocato accanto
al Libro contenente gli Atti del Concilio in un abbinamento
significativo che vede questi due libri, elaborati dalla Chiesa del
secolo XX integrarsi vicendevolmente in una unit armonica e
complementare. E sopra e prima di questi due libri da porre, quale
vertice di trascendente eminenza, il libro eterno della Parola di
Dio, di cui centro e cuore il Vangelo.
Giovanni Paolo II indica cos nel Vangelo lunica, vera e
insostituibile legge fondamentale della Chiesa di cui ogni norma
canonica deve essere derivazione; come un ideale triangolo:
in alto ce la Sacra Scrittura
da un lato gli Atti del Vaticano II dallaltro il nuovo Codice
canonico.
Ai fini di una valutazione critica, bisogna rilevare che, mentre
la codificazione previgente si limitava per lo pi a raccogliere e
ordinare leggi gi largamente collaudate e sperimentate, quella di
Giovanni Paolo II recepisce le deliberazioni di un concilio
concluso meno di ventanni prima, integrandole e completandole con
disposizioni affatto nuove.
E laver voluto sancire con tanta solennit un diritto
recentissimo, non ancora adeguatamente verificato nella concretezza
dellesperienza ecclesiale, pu apparire decisamente criticabile.
In proposito, anche da tenere presente che il nuovo Codice, a
differenza di quello precedente, non stato concepito come un testo
tendenzialmente fisso e immutabile, ma come una legislazione
programmaticamente aperta a un continuo rinnovamento della vita
ecclesiale.
In questo senso si pronuncia chiaramente Giovanni Paolo II nel
discorso del febbraio 1983 affermando che il legittimo posto,
spettante al diritto nella Chiesa, si conferma e si giustifica
nella misura in cui esso si adegua e rispecchia la nuova temperie
spirituale e pastorale e ribadendo la necessit che lo stesso
diritto si ispiri sempre pi e sempre meglio alla legge-comandamento
della carit, in esso vivificandosi e vitalizzandosi.
La stessa prefazione al Codice si preoccupa di avvertire che se
per i troppo rapidi mutamenti della societ odierna alcune delle
disposizioni in esso sancite divenissero inadeguate ed esigessero
una nuova revisione, la Chiesa ha tanta vitalit da poter
intraprendere nuovamente lopera dell aggiornamento delle leggi che
ne regolano la vita.
Questo costante adeguamento della legislazione canonica ai segni
dei tempi e alle nuove esigenze della comunit ecclesiale risulter
notevolmente facilitato dal superamento della pretesa, presente nel
Codice del 1917, di imporre allintera Chiesa universale una
disciplina tanto rigidamente accentrata quanto rigorosamente
uniforme.
Gi i principi direttivi della revisione, approvati dal Sinodo
dei vescovi nel 1967, avevano espressamente riconosciuto
lopportunit di operare un certo decentramento, lasciando un pi
ampio spazio di autonomia ai legislatori particolari, soprattutto
agli episcopati nazionali e regionali.
Tale orientamento ha tuttavia trovato una attuazione decisamente
inferiore a quella prevista nei progetti iniziali.
Resta, comunque, innegabile che il nuovo Codice, in ossequio
allecclesiologia conciliare, riconosca la competenza delle Chiese
particolari in molte materie che prima erano riservate alla Santa
Sede.
Ne segue che i singoli vescovi e le stesse conferenze episcopali
sono chiamati a svolgere un ruolo determinante nellattuazione del
Codice in quanto, oltre a promuovere losservanza della disciplina
comune a tutta la Chiesa, devono integrarla e specificarla in
funzione delle diverse esigenze dei tempi e dei luoghi.
Opzione, questa, nella quale si pu intravedere una tendenza
verso il superamento del mito della codificazione: il legislatore
centrale non concepisce il Codice come il libro, completo ed
esclusivo, che raccoglie tutta la disciplina della Chiesa, ma
ritiene indispensabile un suo completamento ad opera dei
legislatori periferici.
Sulla base di tutte queste considerazioni si pu concludere che
il Codice di Giovanni Paolo II, almeno nei suoi principi ispiratori
e nelle sue linee generali, presenta vari e significativi elementi
che possono facilitarne la ricezione nellambito della Chiesa
universale.
In particolare si propone di evitare ogni giuridismo,
radicandosi nellinsegnamento del Vaticano II e aprendosi alla luce
della Rivelazione.
Inoltre non pretende di cristallizzare la disciplina canonica,
ma vuole sancire una legislazione che sia attenta alle sempre nuove
esigenze del popolo di Dio.
Infine sembra voler evitare quegli aspetti della tecnica della
codificazione, adottata da non pochi Stati moderni e contemporanei,
che appaiono pi evidentemente incompatibili con la natura della
societ ecclesiale.
11. IL CODICE dei CANONI delle CHIESE ORIENTALI
Il Codice dei canoni delle Chiese orientali viene promulgato da
Giovanni Paolo II nellottobre 1990 con la costituzione Sacri
canones e costituisce unautentica novit nell ordinamento della
Chiesa che non aveva mai avuto una legislazione completa ed
organica comune a tutte le Chiese orientali cattoliche.
Con questa riforma, ci si propone di tutelare tali Chiese nella
loro identit e specialmente di promuoverne lazione e lo sviluppo
secondo i principi conciliari e con modalit adeguate alle esigenze
dei tempi.
Il Codice orientale presenta una struttura notevolmente diversa
da quella delC odice per la Chiesa latina. Infatti, al fine di
rispettare le tradizioni legislative delle Chiese interessate, le
diverse materie non sono distribuite in libri ma in titoli, a loro
volta suddivisi in capitoli ad articoli, secondo un ordine di
priorit dettato dallimportanza degli argomenti trattati.
Sintetico riferimento ai principali titoli:
lenunciazione dei diritti e doveri dei fedeli (titolo I),
la struttura gerarchica (titoli II-IX)
i chierici, i laici, i religiosi e le associazioni (titoli
X-XIII).
i canoni relativi al magistero ecclesiastico (titolo XV),
i canoni relativi al culto divino (titolo XVI),
i canoni relativi ai beni temporali (titolo XXIII),
i canoni relativi ai giudizi (titoli XXIV-XXVI)
i canoni relativi alle sanzioni (titoli XXVII-XXVIII),
le fonti del diritto, la prescrizione ed il computo del tempo
(titoli XXIX-XXX).
Le profonde differenze esistenti tra le diverse Chiese orientali
hanno suggerito alla Commissione codificatrice di limitarsi ad
enunciare le disposizioni ritenute necessarie al bene comune.
Per il resto si lasciato ampio spazio ai legislatori particolari
perch promulghino normative complementari conformi alle tradizioni
delle loro Chiese.
La ricezione di questo Codice non esente da difficolt e
resistenze: a tuttoggi sono poche le Chiese orientali che hanno
provveduto agli adempimenti legislativi di loro competenza.
Una questione particolarmente delicata poi costituita dalla
limitazione del potere del patriarca al territorio soggetto alla
sua giurisdizione: una restrizione conforme alla tradizione, ma
divenuta problematica a causa della diaspora di milioni di
cattolici orientali in tutto il mondo.
Per ovviare ai possibili inconvenienti stata prevista la
possibilit che il pontefice, su richiesta delle gerarchie
interessate, approvi disposizioni di carattere speciale e
transitorio dirette a facilitare la soluzione dei problemi di
maggior rilevanza.
Come ha rilevato Giovanni Paolo II, il popolo di Dio oggi
dispone di un nuovo Corpus iuris canonici, composto dai 2 Codici
riguardanti la Chiesa latina e le Chiese orientali e dalle
disposizioni di riforma della Curia romana promulgate nel 1988 con
la costituzione apostolica Pastor bonus.
12. LA PRODUZIONE del DIRITTO
1. La legge
II Codice di diritto canonico non prospetta una definizione
della legge, ma si limita a regolare le questioni pratiche relative
alla sua produzione, efficacia e interpretazione.
universalmente accettato dai canonisti linsegnamento di Tommaso
dAquino (1225-1274) che riconosce nella lex una disposizione della
ragione diretta al bene comune e promulgata da chi ha la
responsabilit della collettivit.
Di larghissimo seguito gode anche la definizione, ispirata alla
dottrina del Suarez (1548-1617), secondo cui la legge un comando
della legittima autorit per il bene dei sudditi, comune, perpetuo,
sufficientemente promulgato.
Se questultima nozione, pi specificamente giuridica, mette in
luce i caratteri che differenziano la legge da altre fonti del
diritto, la definizione tomistica, privilegiando la ragione sulla
volont, sottolinea la ragionevolezza come requisito essenziale di
ogni legge.
In forza di tale concezione, nel diritto della Chiesa viene
considerato come giuridicamente vincolante solo il comando
dellautorit che si riveli coerente ai valori fondamentali
dellordinamento giuridico canonico o, pi in generale, alla
concezione della vita che propria del cattolicesimo.
Circa, poi, i caratteri formali enunciati nella seconda
definizione:
la generalit esclude che la legge possa riguardare singole
persone o casi del tutto particolari essendo per sua natura
indirizzata a delle comunit per disciplinare comportamenti che si
presentano con una certa frequenza;
la perpetuit implica che di regola la legge venga emanata per un
periodo di tempo indeterminato e resti in vigore fino a quando non
sia abrogata.
Lo stesso Codice stabilisce che la legge esiste dal momento
della sua promulgazione (= della sua solenne intimazione alla
comunit).
A proposito della forma, di regola, le leggi universali sono
inserite negli Acta Apostolicae Sedis ed entrano in vigore 3 mesi
dopo.
Quanto alle leggi particolari, esse vengono promulgate nel modo
stabilito dai rispettivi legislatori e, salvo diversa disposizione,
hanno una vacatio di 1 mese.
Se ne pu dedurre che nel diritto della Chiesa la promulgazione
un requisito pi sostanziale che formale della legge, la quale deve
in ogni caso essere portata a conoscenza dei suoi destinatari con
mezzi adeguati.
Le leggi pontificie vengono emanate con:
bolle (bullae),
brevi (brevia), meno solenni,
atti motu proprio, decisi di propria iniziativa dal
pontefice,
chirografi (chirografa), scritti di pugno dal papa o almeno da
lui personalmente sottoscritti.
lettere apostoliche = sono gli atti di maggior importanza, per
lo pi bolle o brevi,
se indirizzate allintero mondo cattolico o anche ai vescovi di
una sola regione = lettere encicliche,
epistole apostoliche = gli atti relativi a questioni di minor
rilievo,
constitutiones apostolicae = sono le bolle contenenti norme
generali di carattere legislativo.
Queste varie forme corrispondono a una maggiore o minore
solennit, ma non importano una diversa efficacia normativa delle
disposizioni emanate per loro mezzo, in quanto essa dipende
esclusivamente dallautorit di chi le promulga.
Tale efficacia poi regolata, nella sua estensione nel tempo, dal
principio dellirretroattivit: salvo espressa disposizione in
contrario, le leggi riguardano solo il futuro.
Circa lestensione nello spazio occorre distinguere:
le leggi universali obbligano le persone per cui sono state
promulgate dovunque siano,
le norme emanate per un determinato territorio riguardano solo
coloro che, oltre a risiedervi abitualmente, vi si trovano
effettivamente con lavvertenza che, se non risulta diversamente,
tutte le leggi particolari si presumono territoriali.
Circa il soggetto passivo, le leggi, qualora non ripetano
precetti stabiliti direttamente da Dio, obbligano solamente quanti
hanno ricevuto il battesimo nella Chiesa cattolica o vi sono stati
successivamente accolti. Inoltre, le leggi non obbligano i fedeli
privi delluso di ragione e, salvo espressa disposizione contraria,
di et inferiore ai 7 anni.
Le norme relative allinterpretazione si occupano innanzitutto
dellinterpretazione operata dal legislatore o da chi abbia da lui
ricevuto questa autorit.
Se essa contenuta in una legge, ha la stessa efficacia di
questultima e deve essere promulgata con lavvertenza che, qualora
si limiti a esplicitare maggiormente una norma gi di per s chiara,
ha effetto retroattivo.
Se, invece, restringe o estende le disposizioni vigenti o
risolve dubbi obiettivi sul loro tenore, non retroagisce.
Questa diversit di disciplina si spiega con losservazione che
nella seconda ipotesi non si ha, a rigor di termini,
uninterpretazione, ma una nuova legge.
Linterpretazione autentica pu avvenire anche per mezzo di
sentenza o di atto amministrativo riguardante un caso specifico, ma
in tal caso la sua efficacia non eccede le persone e le cose prese
in considerazione.
Linterpretazione vera e propria, cio il procedimento
logico-giuridico diretto a cogliere il senso della norma, regolata
dal canone 17 secondo cui la legge da intendersi in conformit al
significato usuale delle parole valutata nel rispettivo testo e
contesto.
Solo qualora risulti dubbio o oscuro che questa sia il vero
senso, linterprete potr scostarsene, attenendosi alle diverse
indicazioni emergenti dalle eventuali altre norme che regolino la
stessa materia, dal fine della legge, dalle circostanze della sua
emanazione e dalla mente del legislatore.
Tra questi mezzi interpretativi, riveste una particolare
importanza il fine o ragion dessere della legge (ratio legis) = il
bene specifico tutelato dalla norma quale emerge da una valutazione
della sua fattispecie alla luce dei valori supremi
dellordinamento.
Lidentificazione della ratio da considerarsi momento essenziale
e insostituibile di ogni processo interpretativo.
Infatti ogni singola norma svolgimento e determinazione della
norma suprema dellordinamento e, di conseguenza, per la sua
corretta interpretazione occorre sempre valutare se il senso
emergente dallinterpretazione letterale coerente con i valori
supremi cui si ispira il diritto della Chiesa oppure, al contrario,
risulta irrationabilis.
In questultimo caso, linterprete dovr scostarsene attenendosi
alle indicazioni emergenti dal ricorso ai mezzi previsti nella
seconda parte del canone 17, il quale si limita a stabilire in
quali casi e a quali condizioni linterprete possa e debba non
attenersi al significato usuale delle parole adottate dal
legislatore per manifestare la sua volont.
Inoltre, in tutte le materie in cui il diritto canonico rinvia
alla legislazione dei diversi Stati (come avviene per i contratti)
questa trova applicazione solo se non risulta in contrasto con il
diritto divino e le leggi della Chiesa.
Va infine ricordato che determinate leggi vengono promulgate con
la denominazione di decreti genera: questa espressione viene
utilizzata anche per indicare provvedimenti di carattere esecutivo
emanati dallautorit amministrativa al fine di determinare le
modalit di applicazione delle leggi o di sollecitarne
losservanza.
Dai decreti generali esecutivi si differenziano le istruzioni
che vengono indirizzate dallautorit esecutiva nei limiti della sua
competenza a quanti devono curare lesecuzione delle leggi, per
stabilirne i criteri specifici.
NB: sia i decreti generali esecutivi, sia le istruzioni non
possono contenere disposizioni derogatorie o contrarie alla
legge.
2. La consuetudine
Gli usi e i comportamenti praticati dai fedeli non costituiscono
fonte formale di diritto in quanto il Codice stabilisce che essi
acquistano valore di legge solo quando siano approvati dal
legislatore.
Hanno valore giuridico le consuetudini praeter e contra legem
che siano state osservate per 30 anni continui e completi e non
risultino espressamente proibite da una legge precedente; deve in
ogni caso accompagnarsi lelemento psicologico = lintenzione di
introdurre nuove norme giuridiche.
Le norme consuetudinarie cessano solo per consuetudine contraria
o per disposizione legislativa. Questultima, per, se di carattere
universale, non revoca gli usi particolari e, salvo espressa
menzione, lascia in vigore quelli centenari o immemorabili che
possono affermarsi anche contro le leggi che vietano le
consuetudini future.
Il diritto canonico, dunque, a differenza del codice civile
Italiano, ammette:
sia la consuetudine secundum legem
sia la consuetudine praeter legem,
sia la consuetudine contra legem.
3. II diritto suppletorio
Il legislatore ecclesiastico ha respinto quella pretesa di
completezza della codificazione secondo cui ogni caso della vita
deve trovare nella legislazione positiva la sua specifica
disciplina.
Nel diritto canonico pacifico linsegnamento tradizionale che la
legge, non essendo in grado di prevedere tutte le situazioni che
possono verificarsi, deve limitarsi a regolare quelle che si
presentano con maggior frequenza.
Le lacune della legislazione sono dovute ad una serie di fattori
che non eliminabili: la generalit e lastrattezza del diritto
positivo che contrasta con la concretezza e complessit della vita
sociale, la staticit del testo legislativo che non consente un
immediato adattamento alle nuove esigenze, le sempre possibili
negligenze e dimenticanze del legislatore, la sua volont di non
vincolare il comportamento dei consociati in schemi troppo rigidi e
dettagliati.
Il problema delle lacune affrontato dal canone 19: se un caso
determinato non trova una disciplina espressa nella legislazione
universale e particolare o nel diritto consuetudinario, la causa
deve essere definita sulla base delle leggi emanate per casi
simili, dei principi generali del diritto intesi con equit
canonica, della giurisprudenza e della prassi della Curia romana,
della comune e costante opinione dei dottori.
Il primo di questi mezzi di integrazione si risolve
nellapplicazione, sia pure indiretta, di una legge positiva che
viene estesa dallinterprete fino a regolare un caso non contemplato
nella fattispecie, ma ad essa somigliante. Tale somiglianza si
realizza in concreto quando il caso previsto e quello non previsto
hanno in comune elementi tali da consentirne una comune valutazione
dal punto di vista giuridico, con la conseguente attribuzione di
una medesima qualificazione.
In tale ipotesi, lestensione analogica si giustifica sul piano
logico con il principio di identit e sul piano giuridico, con la
razionalit e la coerenza dellordinamento.
Nel diritto canonico il divieto del ricorso allanalogia (e agli
altri mezzi di integrazione) vige per diverse materie e
innanzitutto per le pene.
In questo campo, il divieto corrisponde allesigenza di tutelare
le libert individuali contro i possibili abusi dellautorit e
costituisce una specifica applicazione del principio generale che
le pene canoniche devono essere irrogate a norma di legge.
Lestensione analogica vietata (in considerazione della
particolare gravit delle restrizioni) alla libert dei singoli, per
le leggi che stabiliscono nullit di atti o incapacit di persone
poich tali effetti devono essere disposti dalla legge in forma
espressa.
Infine vietata lestensione delle disposizioni del Codice che
implichino revocazione di diritti acquisiti, stabilendo che questi
ultimi, unitamente ai privilegi concessi in passato dalla Santa
Sede e ancora in vigore, restino integri a meno che siano
espressamente revocati.
L analogia incontra non solo limiti legislativi, ma anche limiti
logici: non per tutti i casi non previsti possibile trovare una
legge che regoli un caso simile.
Occorrer, allora, far ricorso a quei principi generali del
diritto che sono indicati dal canone 19 come il secondo mezzo per
supplire al silenzio della legge.
Per lo pi essi vengono identificati con i principi generali
dellordinamento canonico, ma molti vi aggiungono anche quelli del
diritto naturale e del diritto civile, soprattutto romano.
NB: i principi invocati per supplire al silenzio della legge
canonica debbano essere formalmente canonici, anche se il diritto
della Chiesa pu averli mutuati da altri ordinamenti.
In concreto essi si possono talvolta trovare gi formulati nelle
regole di diritto contenute nelle decretali di Gregorio IX e nel
libro sesto e in quelle tradizionali regole di diritto che passano
sotto il nome di brocardi, ma per lo pi devono essere desunti per
via di astrazione dallesame delle singole leggi positive o dedotti
dalla norma fondamentale e dallo spirito dellordinamento
canonico.
In ogni caso tali principi vanno interpretati con equit: da
applicare al caso specifico con umanit, misericordia e carit
cristiana, tenendo presenti sia la giustizia naturale, sia il bene
della Chiesa.
Questa regola comunemente considerata valida anche per
lestensione analogica.
In realt, lequit da considerarsi come il supremo criterio
dellinterpretazione di ogni norma canonica.
Emerge come nel diritto della Chiesa, in modo anche pi evidente
che negli ordinamenti dove vige il principio della separazione dei
poteri, il giudice non un meccanico riproduttore della volont del
legislatore che esaurisce la sua funzione in una mediazione tra la
norma giuridica generale e il caso concreto. Egli, invece, da
considerarsi la voce viva dellordinamento che con un procedimento
non arbitrario, ma non privo di discrezionalit trae da tutti gli
elementi offerti dallordinamento stesso (dalle leggi, dalle
consuetudini, dai principi generali, dallequit, dalla prassi, dalla
dottrina) il criterio per risolvere il caso sottoposto al suo
giudizio.
4. Gli atti amministrativi c.d. singolari
Sotto la denominazione di atti amministrativi singolari (=
riguardanti singoli casi o singole persone) il Codice riunisce, nel
titolo IV del libro 1, diverse fonti che finora avevano discipline
autonome, stabilendo per esse alcune norme comuni.
In particolare dispone che, di regola, tali atti possono essere
emanati anche da chi sia titolare della sola potest esecutiva con
la precisazione che qualora ledano diritti acquisiti da terzi o si
rivelino contrari alle leggi e alle consuetudini approvate, devono
essere completati da unapposita clausola in tal senso da parte
della competente autorit.
In ogni caso devono essere intesi secondo il significato usuale
delle parole e il comune modo di esprimersi e non possono essere
applicati a casi diversi da quelli espressamente menzionati.
Qualora, poi, dirimano controversie, comminino o infliggano
pene, limitino i diritti personali, ledano i diritti acquisiti da
terzi, contengano eccezioni alle leggi in favore di privati,
soggiacciono a interpretazione stretta.
Altre norme di carattere molto dettagliato riguardano la modalit
di esecuzione.
II Codice si preoccupa anche di disciplinare specificamente i
singoli e diversi tipi di atti amministrativi.
i decreti singolari = gli atti con cui lautorit esecutiva,
procedendo a norma di diritto circa un caso particolare, prende una
decisione o assume un provvedimento che per loro natura non
presuppongono unapposita istanza;
precetti singolari = impongano a una o pi persone (soprattutto
allo scopo di assicurare losservanza della legge), di tenere o di
evitare un dato comportamento.
Tutti i decreti singolari riguardano esclusivamente le cose e le
persone per le quali sono stati emanati e, se non risulta
diversamente, hanno efficacia vincolante dovunque queste ultime si
trovino.
La tutela delle posizioni dei soggetti viene assicurata sotto
diversi profili:
prima di emanare un decreto singolare occorre raccogliere le
opportune notizie e informazioni, ascoltando possono risultarne
danneggiati;
il decreto viene emanato in forma scritta con menzione delle
motivazioni e, quando non sia possibile consegnarne il testo, deve
essere letto allinteressato davanti ad un notaio o a 2
testimoni;
nel caso di silenzio amministrativo, trascorso inutilmente il
termine di 3 mesi, la risposta dellautorit, fermi restando i suoi
obblighi, si presume negativa.
A differenza dei decreti, i privilegi possono essere disposti
solo dal legislatore o dallautorit esecutiva che abbia da lui
ricevuto tale potest.
Si tratta infatti, di norme di diritto obiettivo che
stabiliscono per determinate persone fisiche o giuridiche una
condizione pi favorevole di quella sancita dal diritto comune.
Vanno sempre interpretate in modo da assicurare allinteressato
leffettivo conseguimento della grazia (=privilegio)
concessagli.
Nei precetti e nei privilegi si manifesta la capacit del diritto
della Chiesa di adattarsi alle specifiche esigenze poste dalla
concretezza dei singoli casi che non trovano una risposta adeguata
nella formula generale e astratta della legge. Tale adattabilit si
documenta anche nelle dispense.
Poich la legge si esprime in termini generali e astratti e si
occupa solo di ci che accade solitamente, possibile che la sua
applicazione ad un caso specifico determini inconvenienti tali da
rendere giusta e ragionevole una deroga. In questa ipotesi lautorit
esecutiva nellambito della sua competenza o coloro che ne hanno la
potest, possono concedere unattenuazione o sospensione
dellobbligatoriet della norma (purch si tratti di una legge
meramente ecclesiastica che non definisca gli elementi essenziali
di un atto o di un istituto giuridico.
I privilegi, le dispense e altre grazie, vengono di norma
concessi mediante rescritti = atti amministrativi emanati in forma
scritta dallautorit esecutiva competente in seguito ad apposita
istanza.
Di regola, ogni rescritto si articola in:
una parte espositiva, che riassume la sostanza della domanda
presentata
una parte dispositiva, che enuncia la risposta del superiore.
Tale risposta subordinata alla condizione che il richiedente non
abbia alterato i fatti o tacendo circostanze rilevanti o allegando
circostanze false.
In questa ipotesi, peraltro, si ha la nullit dellatto solo
qualora non risulti vero nemmeno uno dei motivi addotti oppure,
salvo che si tratti di una grazia concessa motu proprio, qualora
siano stati omessi gli elementi richiesti per la validit dalla
legge o dallo stile e dalla prassi canonici.
In sintesi, risulta evidente che sotto la denominazione di atti
amministrativi singolari, il Codice ha riunito categorie di norme
tanto disparate da non avere tra loro nulla in comune oltre la
mancanza di generalit.
NB: la definizione della natura giuridica dei precetti, dei
privilegi, delle dispense, dei rescritti ha dato luogo fra i
canonisti a non poche incertezze poich:
da un lato, trattandosi di istituti peculiari allordinamento
canonico, non consentono immediate e dirette valutazioni di diritto
comparato;
dallaltro, non sempre facile distinguere nella Chiesa lesercizio
della funzione amministrativa da quello della funzione legislativa,
a causa dellinesistenza della separazione dei poteri.
Il Codice vorrebbe risolvere la questione radicalmente, ma la
soluzione adottata risulta tuttaltro che convincente. Non si vede,
infatti, a quale titolo si possano considerare amministrativi atti
come i privilegi, che richiedono la potest legislativa, o come le
dispense, che sospendono o attenuano lobbligatoriet della
legge.
Il titolo successivo (V) del Codice disciplina gli statuti e gli
ordini:
- statuti = quelle norme stabilite nelle universitates
personarum e nelle universitates rerum per definirne la finalit, la
costituzione, il funzionamento;
ordini = sono le regole da osservarsi nelle assemblee indette
dallautorit ecclesiastica o convocate per libera iniziativa dei
fedeli.
Capitolo 2
La LEGGE nella CHIESA
1. DIRITTO e TEOLOGIA
I canonisti, ispirandosi a diverse concezioni, hanno proposto
varie definizioni del diritto della Chiesa.
In ogni caso, il diritto canonico il diritto della Chiesa e
lesistenza stessa di un diritto siffatto ha sollevato in passato e
solleva tuttora molte questioni.
Specialmente nel secolo scorso, ne fu da pi parti contestata la
giuridicit sulla base della convinzione che non fossero possibili
altri diritti al di fuori di quelli degli Stati.
Si sosteneva, inoltre, che poich questi ultimi consideravano la
Chiesa alla stregua di una semplice associazione privata, il suo
ordinamento non era originario.
Le sue norme, infine, non potevano dirsi in alcun modo
giuridiche perch:
da un lato, risultavano prive di coazione dal momento che la
Chiesa non poteva imporne il rispetto con la forza;
dallaltro, mancavano della necessaria intersubiettivit in quanto
non erano destinate a disciplinare rapporti sociali, ma
riguardavano le relazioni delle anime con la divinit.
Si pu tranquillamente affermare che queste tesi, in genere, sono
state quanto meno accantonate
Di maggior attualit si rivela lobiezione che nasce
dallaffermazione di una radicale incompatibilit del fenomeno
giuridico con lessenza della Chiesa.
Secondo questa teoria (che si ispira alle idee di Lutero e dei
riformatori protestanti e ha trovato la sua pi organica
formulazione nel secolo XIX) la Chiesa, essendo il regno di Cristo,
il regno di Dio, il regno celeste, un regno di spirito, non pu aver
altro capo se non lo spirito divino, Cristo. Di conseguenza essa
non pu accettare alcun sovrano carnale, alcuna dottrina umana,
alcun precetto ed incompatibile con ogni potere fondato su principi
esteriori e formali.
Ai nostri giorni questa posizione si esprime per lo pi in un
atteggiamento pratico di dec