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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE Corso di Laurea triennale in Storia Tesi di Laurea DINAMICHE FAMILIARI NEL CONTESTO DI RELAZIONI FRA IVREA E CANAVESE. UN BILANCIO PER PROBLEMI Relatore Candidato Giuseppe Sergi Alberto Sanna Anno Accademico 2012-2013
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Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

May 13, 2023

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Page 1: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE

Corso di Laurea triennale in Storia

Tesi di Laurea

DINAMICHE FAMILIARI NEL CONTESTO DI

RELAZIONI FRA IVREA E CANAVESE.

UN BILANCIO PER PROBLEMI

Relatore Candidato

Giuseppe Sergi Alberto Sanna

Anno Accademico 2012-2013

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3

INDICE

INTRODUZIONE p. 5

CAPITOLO PRIMO ORIGINE E CONTINUITÀ: LE FAMIGLIE SIGNORILI

EPOREDIESI E CANAVESANE

1. Origine dell’affermazione signorile delle famiglie

eporediesi 8

2. Origine delle famiglie comitali del Canavese 15

3. Origine delle altre famiglie dell’aristocrazia militare

del Canavese 17

4. La particolarità del Canavese 19

CAPITOLO SECONDO CLIENTELE VASSALLATICHE E RAPPORTI DI SOLIDARIETÀ

1. Legami vassallatico-beneficiari e istituti feudali 23

2. La signoria vescovile in Ivrea 25

3. Vassallo o senior? L’indefinita posizione del comune

di Ivrea 32

4. L’aristocrazia militare del contado 39

CAPITOLO TERZO FRA CITTÀ E CONTADO: I PATRIMONI DELLE FAMIGLIE

SIGNORILI

1. Tipologie di ricchezza delle famiglie signorili eporediesi 43

2. Patrimoni fondiari in Canavese 56

CAPITOLO QUARTO STRATEGIE MATRIMONIALI E POLITICHE FAMILIARI:

APPROFONDIMENTO SU NOMI E PARENTELE

1. I conti del Canavese 71

2. Le altre famiglie del contado canavesano 76

3. Le famiglie cittadine 78

4. Conclusioni sull’analisi delle strategie matrimoniali 83

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4

CAPITOLO QUINTO DINAMICHE POLITICHE E CARRIERE FAMILIARI

1. Dinamiche politiche e carriere familiari: Ivrea e Canavese

tra Due e Trecento 85

2. Canavese ed Eporediese dopo la dedizione ai Savoia

del 1313 95

3. Conclusioni 97

BIBLIOGRAFIA 102

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5

Introduzione

Negli ultimi vent’anni nuove ricerche di carattere prosopografico-

ricostruttivo su Ivrea e Canavese sono state validamente condotte da studiosi che

hanno ricevuto una duplice accoglienza positiva, dal mondo della cultura locale e

dalla comunità scientifica. Medievisti dell’ultima generazione hanno saputo

aggiornare le soluzioni raggiunte dall’erudizione tardo-ottocentesca e primo-

novecentesca riempiendone i vuoti o, all’opposto, smontandone integrazioni

fantasiose, e infine arricchendone le trattazioni di spunti problematici molto

aggiornati. Questa tesi si propone un provvisorio tentativo di sviluppo di quegli

spunti: si colloca, dunque, a metà strada fra risultati già conseguiti e proposte di

ulteriori conclusioni di carattere problematico.

Sono gli interrogativi a essere avanzati, come risulta dalla struttura stessa

del lavoro. La suddivisione in cinque capitoli riflette altrettanti argomenti: a un

approfondimento di dinamiche patrimoniali e politiche sono state affiancate le

strategie matrimoniali – alle quali è stato dedicato un capitolo a parte –

protagoniste decisive di dette dinamiche, oltre a diversi suggerimenti utili per

illustrare il rapporto città-contado.

Il primo di questi capitoli offre una rapida ricognizione dei protagonisti

considerati all’interno di questo studio, ovvero i lignaggi cittadini e l’aristocrazia

militare rappresentata dai conti del Canavese e dai castellani e signori fondiari, nei

decenni compresi tra la metà del XII secolo e i primi tre decenni del XIV; con una

rassegna sia delle origini e dei presupposti che risultano essere alla base del loro

potere, della loro influenza e delle loro fortune, sia del contesto in cui operarono

questi gruppi familiari: un contesto – come si vedrà – dal punto di vista

ambientale, ma soprattutto sociale, decisamente particolare. Il capitolo secondo

affronta, invece, il tema dei rapporti vassallatico-beneficiari nella città di Ivrea,

dove senior indiscusso risulta essere, almeno fino alla seconda metà del Duecento,

il vescovo: con un sistema di relazioni in parziale contrasto con quello che in quei

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decenni vedeva il comune cittadino quale naturale vertice di raccordo territoriale e

sociale. È risultato invece ancora poco definibile il quadro di relazioni esistenti in

Canavese, dove tuttavia appare diffusa la pratica di concessioni feudali per

ottenere fedeltà e sostegno militare.

Seguono altri due capitoli: uno sul possesso e la natura dei patrimoni

familiari, l’altro sulle strategie matrimoniali che a quei possessi rinviavano o al

cui ampliamento spesso aspiravano. Per il primo di questi (capitolo terzo) si è

fatto affidamento ai tanti studi volti a delineare la ricchezza, l’influenza e il

prestigio dei gruppi familiari canavesani ed eporediesi, mentre il secondo

(capitolo quarto) tenta di aggiungere a dati raccolti e trasmessi dalle ricerche degli

ultimi anni pochi spunti e riflessioni elaborate da chi scrive per fornire alcune

soluzioni originali da affiancare ad alcune proposte già avanzate.

Infine, il capitolo quinto unisce ai dati più legati alla storia evenemenziale

altre informazioni, relative ai traguardi, in particolare politici, raggiunti all’inizio

del Trecento dalle famiglie di Ivrea e Canavese prese in esame. Si trovano inoltre

brevi cenni sulle vicende politiche di famiglie urbane da poco entrate a far parte

dell’élite cittadina, giunte in quegli anni a costruire un’influenza e una solidità

patrimoniale che nulla avevano da invidiare a quei gruppi che da decenni avevano

in mano il controllo della vita politica in città. In questo capitolo sono inoltre

riportati i travagli politico-militari incontrati nella seconda metà del Duecento e

all’inizio del secolo successivo da una regione come quella canavesana da tempo

divisa al suo interno: una regione che aveva ormai perso l’equilibrio di forze

eterogenee che l’aveva connotata nella prima parte del secolo XIII.

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Capitolo primo

Origine e continuità: le famiglie signorili eporediesi e canavesane

I nomi di personaggi appartenenti alle famiglie signorili di Ivrea o quelle

dell’aristocrazia militare del Canavese che compaiono nella vasta documentazione

eporediese sia laica sia ecclesiastica costituiscono, almeno sino alla fine del secolo

XI, dei ‘casi isolati’. Essi rendono «necessariamente indiziaria ogni riflessione»

sulla possibile continuità fra il «ceto militare» attestato tra la fine del secolo X e

l’XI e quello presente nel secolo XII che permetterebbe di ritrovare così, a

distanza di centocinquant’anni, alcuni dei gruppi che entrarono a far parte della

compagine comunale o che s’insediarono in tutto il territorio canavesano1.

Elemento peculiare dei primi anni del secolo XI fu la polarizzazione «dentro e

intorno alla città» di conflitti e schieramenti che coinvolsero attori politici con

radicamenti diversi e con buona mobilità militare2. Dopo la morte di re Arduino, i

seguaci del suo partito, insieme con i suoi discendenti, riuscirono «a mantenere

frammenti di potere in contrasto con il vescovo»3, trovando nel territorio

eporediese un terreno fertile su cui attestarsi poter prosperare a lungo in maniera

indipendente. Di per sé i vescovi, dall’inizio dell’XI secolo, videro riconosciuto

«de iure» un potere esistente «de facto» e che cominciarono a organizzarlo

sull’antico sistema amministrativo carolingio. Fu in questo periodo che le varie

famiglie signorili assunsero in quest’area un ruolo politico nuovo rispetto al

passato, concorrente con quello della chiesa vescovile, nel contado eporediese4.

La lunga permanenza nel territorio di questa potente aristocrazia militare

contribuì a rallentare l’affermazione del potere vescovile a Ivrea, contrariamente a

quanto avvenne in altre aree dell’antica marca eporediese, Vercelli e Novara ad

1 A. FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” al primo comune: scambi sociali con il territorio, in

«Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», CX (2010), 2, p. 431. 2 Op. cit., pp. 418-419; G. SERGI, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni

medievali, Torino 1995, pp. 328-343. 3 Op. cit., p. 157.

4 A. OREGLIA, Le famiglie signorili del Canavese nei secoli XII e XIII. Prosopografia,

genealogia, vicende patrimoniali e politiche dei “comites et castellani Canapicii” coinvolti nelle

vicende della “societas Canapicii”, Tesi di laurea inedita in Esegesi delle fonti di Storia

Medievale, Università degli Studi di Torino, Sezione di Medievistica e Paleografia, p. 3.

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8

esempio, dove fu più rapido5. La presenza nel Canavese di sacche di resistenza

alleate con gli eredi di Arduino complicò la situazione, notevolmente eterogenea e

difficilmente inquadrabile dal punto di vista territoriale: la regione canavesana è

stata di recente assimilata a «un’area del Piemonte settentrionale formata da

‘enclaves e discontinuità […] ambiti sovrapposti e mal definiti che ostacolarono le

formazioni di stabili quadri territoriali’»6.

Sebbene sia preferibile affrontare unitariamente il Canavese e la città di

Ivrea nell’analisi delle basi economiche, e quindi del profilo sociale di personaggi

e famiglie che la documentazione «fa intravedere con particolare avarizia»,

evitando inoltre definizioni aprioristiche come «cittadino» o «rurale»7, per meglio

esporne le caratteristiche e la fisionomia, d’ora in avanti si separeranno i diversi

lignaggi di ambito eporediese dai gruppi signorili canavesani.

1. Origine dell’affermazione signorile delle famiglie eporediesi

All’interno di uno spazio permeabile, dove la linea di confine fra città e

campagna si stava definendo progressivamente presentandosi «in qualche misura

plasmabile», nel corso dell’XI secolo si colgono, benché in numero inferiore

rispetto ai primi decenni del secolo successivo, scampoli di una società che

cominciò a concentrare i propri interessi all’interno della «civitas»: indizi di

potenziamenti familiari che suggeriscono, dalla metà del secolo XII, l’esistenza di

due diverse aristocrazie cittadine. Alla prima appartengono i nuclei familiari di

antica tradizione urbana8, attestati in prevalenza fra i collaboratori del vescovo e i

suoi vassalli, che verso la fine del secolo s’identificarono con i vertici delle

5 Op. cit., pp. 3-5.

6 A. FALOPPA, Percorsi familiari e convergenze istituzionali nel primo comune eporediese,

in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», CXI (2011), 2, p. 419, n. 98; l’autrice ritiene che

la situazione del Piemonte dei secoli XI-XIII sia assimilabile a quella descritta da A. GAMBERINI,

La territorialità nel Basso Medioevo: un problema chiuso? Osservazioni a margine della vicenda

di Reggio, in ID., Lo stato visconteo: linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, p.

25 sg.; Sergi legge l’intervento di Olderico Manfredi, «insieme con altri fattori», come un ostacolo

nei confronti di Ivrea nell’allineamento «agli sviluppi vescovili e precocemente comunali di altre

città del Piemonte settentrionale»: SERGI, I confini del potere cit., p. 84, n. 117 e p. 338; ripreso

anche in ID., La marca e i marchesi, in Ivrea. Ventun secoli di storia, a cura di G. S. PENE VIDARI,

Pavone Canavese 2001, pp. 89-122. 7 FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 419 sg.

8 Il riferimento è ai gruppi dei Solero, dei del Pozzo e dei de Civitate: la storia dei Solero è

così profondamente intrecciata a quella della città e dei primi consolati, da rappresentare «un

elemento di comprensione dei percorsi di ascesa del ceto dirigente eporediese», FALOPPA, Percorsi

familiari cit., p. 416.

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magistrature comunali. Nella seconda sono annoverabili famiglie con disponibilità

fondiaria consistente e grande liquidità, «forse di immigrazione più recente» o di

media estrazione sociale, che privilegiarono un rapporto con il capitolo della

cattedrale – spesso concretizzatosi attraverso l’ingresso al suo interno di uno o più

membri in veste di canonici – o con altri enti religiosi: ma la caratteristica di

questo secondo gruppo di «cives» è la loro estraneità rispetto alla vita politica del

comune, almeno fino agli inizi del secolo XIII9. L’identificazione di alcune

famiglie cittadine come ceto aristocratico va fatta rientrare all’interno dei diversi

progetti che s’intersecarono in variabili mosaici di potere – come la discendenza

dal ceto dei «secundi milites», la tendenza a instaurare legami interfamiliari e la

capacità di allacciare contatti, e saperli conservare, con i centri monastici, la

chiesa cittadina e il suo vescovo – e contraddistinsero la natura aristocratica di

alcune famiglie.

I membri della famiglia dei Solero10

discesero probabilmente dai seguaci

cittadini di Arduino, mentre l’appartenenza alla curia vescovile – che caratterizzò

dapprima i de Civitate, i del Pozzo11

e gli stessi Solero – rappresentò

indubbiamente una delle possibili vie d’affermazione, ma non l’unica: i Suriano di

Albiano, i Genetasio e i Salerano, ad esempio, monopolizzarono le magistrature

cittadine per alcuni anni nella seconda metà del XII secolo senza, tuttavia, entrare

a far parte della cerchia dei «fideles» del vescovo. L’appartenenza al capitolo, la

vicinanza agli enti religiosi e al vescovo – non nel ruolo di vassalli, ma di

collaboratori finanziari o gestori delle proprietà ecclesiastiche come furono i della

Torre – di volta in volta furono usate come «possibili erogatori di prestigio, di

concessioni fondiarie e, soprattutto, a partire del Duecento, di prerogative

signorili», come parte di un progetto che è innanzitutto di consolidamento della

propria posizione fra i notabili cittadini – l’esempio dei Caldera è calzante, poiché

9 FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 420 sgg.

10 «Bonfiglio de Solario de civitate Iporegie» fu seguace di Arduino ed è identificabile

come il capostipite della famiglia: questa testimonianza colloca questo lignaggio in ambiente

urbano già nel secolo X e lo definisce precocemente in senso aristocratico e militare, FALOPPA,

Percorsi familiari cit., p. 417. 11

«Le attestazioni del secolo XII non sembrano essere sufficienti per spiegare l’ingresso

precoce dei del Pozzo nella clientela vassallatica, avvenuto apparentemente senza una pregressa

politica di rafforzamento patrimoniale e, in assenza di comprovati legami di parentela acquisita, di

azione comune – con famiglie eminenti di estrazione cittadina oppure signorili rurali –, che

avessero avuto funzione di ‘promozione’ di un gruppo che cercava percorsi di ascesa», op. cit., p.

448 sg.

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10

i membri di questo lignaggio privilegiarono il rapporto con il capitolo cattedrale

acquisendo visibilità pubblica e considerevoli possedimenti fondiari – e che in

qualche caso ha caratteri imprenditoriali12

.

Fra i potenziali vassalli del vescovo eporediese è possibile collocare, inoltre,

un gruppo di personaggi appartenenti al ‘ceto intellettuale’ dei giudici e, in misura

minore, dei religiosi e dei notai, capace di adottare gli stessi canali di

affermazione intrapresi dagli altri individui delle famiglie di tradizione cittadina: i

giudici furono «possessores» del contado durante l’intero secolo XI e ciò

arricchisce di ulteriori elementi la fisionomia di questo ceto. Ma il territorio

canavesano è riconducibile a «un contesto più ampio, comune all’Italia

settentrionale dei secoli X-XI», dove le «famiglie che esprimono iudices si

muovono allo stesso livello sociale delle famiglie che esprimono vassi» e, in

generale, dove «il mestiere connesso con l’amministrazione della giustizia

costituisce uno strumento di ulteriore promozione sociale per le famiglie in

ascesa»13

.

L’elemento caratterizzante la società urbana eporediese della prima metà del

secolo XI è la presenza di individui o piccoli gruppi familiari che agiscono

all’interno del territorio urbano in prevalenza come acquirenti di immobili e di

terre: in particolare, i Grasso, i Brusato, i Rucamerdosa, i Poma, quindi i de Vita.

Verso la fine del secolo XI, si realizzò un «precoce fenomeno di specializzazione

commerciale delle strade», con una nutrita presenza di botteghe e attività

commerciali poste all’interno della città e alla centralità che stava assumendo in

questo secolo il territorio urbano rispetto a quello del contado14

. Il processo

d’inurbamento coinvolse categorie piuttosto eterogenee, personaggi di estrazione

sociale diversa15

: si tratta per lo più di «presenze isolate che non consentono

12

Op. cit., p. 493. 13

Si veda il cap. V. 14

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 446, n. 99; C. TOSCO, Ricerche di storia

dell’urbanistica in Piemonte: la città di Ivrea dal X al XIV secolo, in «Bollettino Storico-

Bibliografico Subalpino», XCIV (1996), 2, p. 487 sgg. 15

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 457; alcuni cognomi tratti dalla toponomastica

cittadina – come i de Mercato e i Rucarmedosa – denunciavano un’origine modesta di alcune

famiglie dell’aristocrazia consolare del secolo XII: «forse si trattava di gruppi che si inurbarono

durante la fase di espansione dell’abitato cittadino tra la fine del secolo XI e i primi decenni del

successivo», EAD., Percorsi familiari cit., p. 490 sg.

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11

costruzioni di genealogie»16

, ma di cui è tuttavia possibile individuare i percorsi di

affermazione e di promozione sociale per alcune generazioni; una presenza

crescente di artigiani e di un ceto medio con buone possibilità economiche17

,

probabilmente di recente immigrazione dal contado, i cui interessi sono rivolti in

primo luogo al territorio urbano e, in parte, a una ‘colonizzazione’ del contado18

.

Nella prima metà del XII secolo, la vocazione, tutta urbana, a intraprendere

una politica di acquisizione di case e di terre nel contado fu tendenza manifesta in

tutta l’Italia settentrionale. Se si paragona al caso delle famiglie cittadine di

Vercelli19

, quelle eporediesi non trovarono nelle acquisizioni patrimoniali un

elemento dinamico interno a un percorso che modificasse, almeno non da subito,

la loro «condizione di partenza»20

: proprio in questo periodo, infatti, si costituì a

Vercelli il primo «governo comunale istituzionalizzato»21

. Nel territorio cittadino

eporediese si mantenne sostanzialmente inalterata la fisionomia di un ceto medio,

sul cui reale milieu il silenzio documentario resta notevole22

.

16

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 456 sgg. 17

R. BORDONE, Potenza vescovile e organismo comunale, in Storia della Chiesa di Ivrea:

dalle origini al XV secolo, a cura di G. CRACCO, Roma 1998, p. 810. 18

Nella seconda metà del secolo l’abitato cominciò a espandersi: furono creati nuovi

borghi, nell’area compresa fra la sede vescovile e la Dora, e l’architettura religiosa visse un florido

periodo di sviluppo, FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 490, n. 446; A. CASTAGNETTI, Feudalità e

società comunale, in Medioevo, Mezzogiorno, Mediterraneo. Studi in onore di Mario del Treppo, a

cura di G. ROSSETTI e G. VITOLO, voll. 2, Napoli 2000, I, p. 209 sottolinea come siano le famiglie

«cittadine, antiche o di recente immigrazione quelle che poterono usufruire delle possibilità offerte

dalla crescita demica ed economica delle città». 19

A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo, in

«Bollettino Storico-Bollettino Subalpino», XCI (1993), 1, pp. 6-7 e 14-21: i «cives» vercellesi

disponevano di grande liquidità che fu investita in acquisizioni e in attività finanziarie in favore del

vescovo e dei signori rurali, colpiti da difficoltà economiche proprio in questo periodo: si tratta di

«una nuova aristocrazia militare», un ceto in ascesa, «meno esclusivo» di quello del contado, che

attuò «una politica militare di penetrazione nel contado vercellese» attraverso lo strumento del

feudo oblato per costruire una rete di alleanze con i signori rurali e che mostrò interesse per i diritti

e i proventi legati al commercio. Il potenziamento di cui furono protagoniste, fu contraddistinto da

«acquisti frammentari» e, in seguito, da una fase di «costruzione di un possesso fondiario ricco di

potenzialità signorili». Inoltre, Degrandi ricorda i favoritismi compiuti verso i vassalli dai vescovi

vercellesi, in particolare da Guala Bondoni; negli anni in cui il comune e l’episcopato di Vercelli

appoggiarono l’imperatore Federico I nella guerra contro la Lega lombarda, vennero a convergere

le esigenze delle due parti: il presule cercava somme di denaro atte a finanziare la guerra che solo

le famiglie cittadine, bisognose di nuove opportunità di investimento, potevano offrirgli. 20

Nel corso del secolo XII, aree cittadine ben definite «furono oggetto di numerose

transazioni di case e terreni alienati o concessi a fronte di una fase di ripopolamento»; l’attenzione

dei gruppi familiari cittadini fu rivolta ad appezzamenti e case collocate all’interno del territorio

urbano, nell’area dove queste famiglie tendevano a insediarsi»: FALOPPA, Ivrea dalla “civitas”

cit., pp. 455-461; vedi anche EAD., Percorsi familiari cit., p. 491. 21

DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 16. 22

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 459.

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Infine, è stato impossibile per gli storici definire un ceto urbano eporediese

dedito ad attività commerciali: nemmeno l’importante commercio e trasporto

delle pietre da macina dalla Valle d’Aosta verso i mercati milanesi e d’oltralpe ha

dato luogo all’individuazione di gruppi familiari. Tale attività sembrava costituire

«una sorta di monopolio spartito fra vescovo e comune», con tentativi d’ingerenze

esterne da parte delle grandi famiglie e di rivali politici23

. Ne è un esempio la

«carta concordie» del 1180 un documento che ricomponeva la lite, fra il marchese

del Monferrato e i consoli eporediesi, sorta per il controllo dei diritti sui transiti e

il commercio delle mole e la «mercandia grani» di cui furono protagonisti, in

tempi diversi, oltre al comune di Ivrea e al marchese del Monferrato, il vescovo di

Ivrea, il potente comune di Vercelli e i conti di Biandrate24

. Va ricordato, inoltre,

che il 1180 è l’anno che segna l’ingresso dei signori di Bard nella documentazione

di Ivrea25

. Anche questa famiglia fu coinvolta nella lite che sfociò nella stesura

della «carta concordie»: con tale documento, infatti, fu regolata la condotta che

questi signori dovevano tenere riguardo al pedaggio e al transito delle pietre da

macina che avveniva sulle terre da loro controllate26

. La zona in cui sorge il

23

Op. cit., p. 420, n. 5. 24

Il libro rosso del Comune di Ivrea, a cura di G. ASSANDRIA, Pinerolo 1914 (Biblioteca

della Società Storica Subalpina, LXXIV), p. 168, doc. 178; per accenni su questo argomento:

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 411-415; BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 804 sgg.; M. C.

DAVISO DI CHARVENSOD, I pedaggi nelle Alpi occidentali nel Medioevo, Torino 1961 (Miscellanea

di Storia italiana, s. IV, 5), pp. 373-379; P. GRILLO, Il commercio delle mole in Piemonte nel basso

Medioevo (inizi XIV inizi XV), in Mulini da grano nel Piemonte medievale, a cura di R. COMBA,

Cuneo 1993, pp. 215-230; per gli eventi che ne derivarono: G. S. PENE VIDARI, Vicende e problemi

della “fedeltà” eporediese verso Vercelli per Bollengo e Sant’Urbano, in Vercelli nel secolo XIII

(Atti del primo congresso storico vercellese), Vercelli 1984, pp. 28-63; P. MAINONI, Un’economia

cittadina nel XII secolo: Vercelli, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 332-337; sull’importanza

commerciale dei centri canavesani si veda R. BORDONE, Fisionomia di un territorio medievale, in

Tracce di un percorso medievale: chiese romaniche nella diocesi di Ivrea, a cura di R. IENTILE,

Torino 1998, pp. 13-21. 25

A. FALOPPA, Tracce di aristocrazia valdostana nella documentazione eporediese: i

signori di Bard, in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», C (2002), 2, pp. 658-659: la

presenza di questa famiglia in un’area esterna, seppur di confine, quale era Ivrea, è elemento

«originale»; sul fronte eporediese non si hanno notizie precedenti a questa data, mentre in ambito

valdostano si sa che i Bard condivisero il ruolo di «advocati» del vescovo di Aosta con il conte

Umberto II di Savoia. Questa famiglia vantava «solide radici nella regione valdostana»; al tempo

stesso, fu attratta per almeno un trentennio dall’esperienza comunale italica più vicina, quella

eporediese. Questi «domini» forniscono un buon esempio di pluralità d’interessi, al cui interno è

possibile distinguere la normale strategia familiare, caratterizzata dai rapporti con il vescovo di

Aosta e con il conte di Savoia, e la tendenza «a curare interessi legati ai proventi del commercio,

in questo caso quello delle pietre da macina fra Aosta e Ivrea». 26

Op. cit., p. 659 e n. 4.

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castello di Bard fu un’«area di confine incastellata27

, caratterizzata da uno dei

punti di riscossione di pedaggio più cruciali d’Europa»28

, che influì sulle scelte

politiche di questa famiglia e che le permise di instaurare un potere signorile

locale in quei luoghi, al confine fra i regni di Borgogna e d’Italia e fra «due

regioni storicamente ben definite»29

, la valle d’Aosta e il Canavese.

Si può dunque notare come al principio dei processi di affermazione

signorile presenti nella città di Ivrea fra XI e XII secolo si trovasse una buona

parte di lignaggi e individui di estrazione urbana30

che, da un lato fu presente «nei

più importanti centri di controllo del potere»31

– la curia vescovile, il governo

comunale, il capitolo cattedrale – considerati come importanti fonti di prestigio,

dall’altro mantenne, fino a inizio Duecento, un «radicamento costante nella

collettività cittadina e nelle sue iniziative autonome»32

. Le diverse famiglie

appartenevano «a un certo mondo cittadino non necessariamente dotato di diritti

signorili» e quasi del tutto alieno da legami con il mondo rurale, non paragonabile

a quello del contado di stampo signorile, per estensione del proprio patrimonio

fondiario e per fisionomia sociale, né con quello dei gruppi che entrarono a far

parte delle prime magistrature consolari33

. Nello scambio fra la città e contado

sono individuabili fasi cronologiche: a un primo insignorimento di alcune famiglie

urbane, seguì l’ingresso nelle magistrature comunali di «domini» il cui carattere

27

Si veda A. FALOPPA, La connessione strada-castello in un’area alpina: Bard al confine

della Valle d’Aosta (secoli IX - XIII), in «Archivio per l’Alto Adige», vv. 99/100 (2005/06), p. 144

sg. dove si sottolinea la continuità che questo insediamento aveva col sistema di chiuse

tardoromane e longobarde che col tempo trasformarono il «loro carattere esclusivamente strategico

e militare» per svolgere la funzione di barriere doganali, luoghi di riscossione dei pedaggi posti

nelle zone alpine e, «come nel caso di Bard», in quelle di confine; cfr. con E. MOLLO, Le chiuse:

realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo, in «Bollettino Storico-

Bibliografico Subalpino», LXXXIV (1986). 28

DAVISO DI CHARVENSOD, I pedaggi cit., p. 46 sgg. e p. 373; cfr. P. CANCIAN, Le Alpi

confine permeabile, in Valle d’Aosta porta del Giubileo, a cura di G. SERGI e D. TUNIZ, Cinisello

Balsamo 1999, pp. 13-23, in particolare pp. 17-23. 29

FALOPPA, Tracce di aristocrazia valdostana cit., pp. 657-658. 30

«Vi fanno parte i ceti eminenti tradizionali, mercanti e personaggi che esercitano uffici

pubblici – è il caso dei giudici – che acquistano nuova importanza nel mondo urbano», DEGRANDI,

Vassalli cittadini cit., p. 15. 31

Op. cit., p. 21. 32

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 394-395. 33

Op. cit., p. 493.

Page 13: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

14

aristocratico risulta fuori discussione proprio per l’assestato esercizio di potere

sugli uomini34

.

In epoca carolingia e post carolingia, potere fondiario e comando «erano

categorie patrimoniali piuttosto che signorili, segnalavano ‘ricchezza’ più che

‘potere nobile innato’ o ‘dominio proprio’» ed era attraverso la «consapevolezza

di rango» che la ricchezza ereditaria consentì di creare una «fama di nobiltà»35

. La

«coesione politica e ideologica» della militia derivava dalla pratica del

combattimento a cavallo e dai conseguenti privilegi, ma anche da uno stile di vita

che ne sottintende la superiorità sociale e le conferisce lo status di nobiltà36

. Il

rango di «miles» cominciò a indicare un ceto a evidente carattere militare solo

dopo l’allentamento degli ordinamenti regi e la concentrazione del potere nelle

mani dell’aristocrazia. Dopo un periodo in cui i «milites» erano chiamati a

garantire la «defensio ecclesiae» e l’ordinamento giuridico «all’interno della

comunità cristiana», furono appunto la possibilità di creare un dominio personale

con i propri mezzi e uno stile di vita cavalleresco a far sì che il «significato

cetuale» soppiantasse il «riferimento funzionariale» che fino ad allora il termine

aveva avuto in Italia37

. Per questo si distingue fra aristocrazia, una forma di

eminenza sociale ed economica «riconosciuta in modo informale nel complesso

della società», e nobiltà, un gruppo sociale la cui supremazia è sancita e definita

giuridicamente e si trasmette per via ereditaria38

.

Per questo si vedono le famiglie di «cives» della classe dirigente del primo

comune eporediese cominciare a trarre ispirazione dal modello signorile incarnato

34

Op. cit., p. 495, n. 459. 35

H. KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995, p. 332 e

sgg. 36

J.-C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra e conflitti e società nell’Italia

comunale, Milano 2004, pp. 269-357, in particolare pp. 347-350: nel XIII secolo cominciarono a

circolare «termini che fanno riferimento più alla superiorità sociale che alla competenza militare

dei membri della classe dominante», o in grado di mettere in risalto la nobiltà o «l’antichità» delle

famiglie, accanto ai più diffusi milites e militia, i quali, talvolta, passano a indicare il combattente

nel «senso strettamente tecnico» del termine (p. 349); cfr. FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 404,

n. 41. 37

KELLER, Signori e vassalli cit., pp. 335; l’autore inoltre si domanda se le radici della

«coscienza di gruppo della cavalleria occidentale» non siano da ricercare nella «militia» diocesana

e urbana della «nobiltà italiana», op. cit., p. 336. 38

G. ALBERTONI, L. PROVERO, Il feudalesimo in Italia, Roma 2004, p. 91; sull’argomento

dell’ideale cavalleresco nelle città si veda anche R. BORDONE, I ceti dirigenti urbani dalle origini

comunali alla costruzione dei patriziati, in R. BORDONE, G. CASTELNUOVO, G. M. VARANINI, Le

aristocrazie dai signori rurali al patriziato, Roma-Bari 2004, pp. 50-54.

Page 14: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

15

dalla tradizione cavalleresca e dall’aristocrazia signorile del contado – un esempio

indicativo in questa direzione è offerto dalla politica intrapresa dalla famiglia dei

Grasso. Quest’adesione a un modello di stampo signorile rurale atteneva a un

habitus mentale che caratterizzava i gruppi in ascesa, là dove il modello di

riferimento doveva essere necessariamente offerto da chi maturò un prestigio

sociale e un potere socialmente indiscutibile anche se oggetto di concorrenze

politiche. I patrimoni tesero ad arricchirsi – negli anni fra la fine del XII secolo e

il primo ventennio del successivo – di prerogative signorili, spesso legate a nuove

acquisizioni fondiarie nel territorio circostante la città39

. Si trattò di un processo di

«neosignorilizzazione», nel nostro caso, precedente la fase di inurbamento di

alcuni signori rurali e riguardò in modo particolare le famiglie più importanti della

classe dirigente del comune, che colonizzarono in maniera più consistente parte

del contado40

. I nobili del contado, dal canto loro, si affacciarono alla vita

cittadina solo a partire dai primi decenni del secolo XIII, entrando anch’essi a far

parte di un rapporto dialettico con il comune, perché all’interno del territorio

cittadino l’appartenenza alle magistrature fu sempre più uno degli elementi

fondanti dell’élite urbana41

, e condizione di quello che è stato ribattezzato

l’«equivoco nobiliare»42

.

2. Origine delle famiglie comitali del Canavese

È probabile che tra X e XI secolo vi fosse stata una cooptazione fra le fila

dell’aristocrazia di recente ascesa, per la quale la revocabilità dei benefici

concessi era attuabile più facilmente e per cui la ricattabilità era maggiore, anche

se, complessivamente, le origini sociali dei sostenitori di Arduino sono da

considerare eterogenee: tant’è che, alla fine del secolo X, le famiglie radicate in

39

Si veda ad esempio MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 314-319. 40

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 494. 41

Op. cit., p. 493. 42

R. BORDONE, Introduzione, in Le aristocrazie cit., pp. VIII-IX. Questo ‘equivoco’ o

«paradosso» si presentò quando, da una fase iniziale (secoli XI-XII) in cui il potere esercitato sugli

uomini – si è visto – era dato sufficiente per essere considerati signori, si giunse a una situazione,

un secolo più tardi, in cui i domini del contado, se non possedevano cariche cittadine e non

mantenevano uno status nobiliare «ambiguo», non potevano essere considerati tali, G.

CASTELNUOVO, L’identità politica delle nobiltà cittadine (inizio XIII-inizio XVI secolo), in Le

aristocrazie cit., pp. 226-228.

Page 15: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

16

senso signorile sul contado dovevano essere ancora numericamente limitate43

.

Una parte dell’aristocrazia militare trasse notevole vigore dalla propria

partecipazione alla causa di Arduino: la famiglia dei conti di Pombia44

e, in

particolare, la sua divisione – avvenuta fra il 1034 e il 1070 – in tre rami

(Canavese, Biandrate, da Castello) rivestono un ruolo importante per chi intenda

rintracciare le origini dei gruppi parentali che furono protagonisti nel panorama

politico del Piemonte nord-occidentale durante il periodo che va dalla caduta di

Arduino d’Ivrea alla prima metà del XIII secolo. Coloro che si dissero «conti del

Canavese» non fecero più uso del predicato tradizionale, ma mantennero

comunque il titolo comitale, usato come una sorta di ‘distintivo sociale’45

.

Anche la famiglia dei conti «del Canavese» – predicato che dal 1141

cominciò a indicare tutto l’insieme delle famiglie signorili della zona e non

soltanto una di esse – tra il 1170 e il 1190 si divise in rami. Tale discendenza per

quelli che si dissero conti di Valperga, di San Martino, di Masino e di

Castellamonte sarebbe suggerita dall’uso dell’attributo comitale, nel possesso di

parte del loro patrimonio – «con i castelli sempre in primo piano»46

–, toponimi

dei predicati che, «a seconda della residenza o dell’area di principale interesse

fondiario o del luogo in cui si trovavano ad agire al momento»47

, furono adottati

da queste famiglie. Il Canavese fu teatro dei loro processi di affermazione: in

mano a questi conti si trovava un vasto dominio prediale48

e, soprattutto, «il

43

SERGI, I confini del potere cit., p. 289, n. 1; KELLER, Signori e vassalli cit., pp. 238 e 240

respinge l’interpretazione di vassalli aderenti alla politica di Arduino e appartenenti al ceto dei

valvassori sostenendo, invece, che fossero discendenti della nobiltà fondiaria di epoca carolingia: i

piccoli vassalli facevano parte di quel progetto esclusivamente perché al seguito dei loro signori,

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 429, n. 37. 44

G. ANDENNA, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche e famiglie su di un territorio: il

“comitatus Plumbiensis” e i suoi conti dal IX all’XI secolo, in G. ANDENNA, M. NOBILI, R.

PAULER ET ALII, Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo. Marchesi conti e visconti

nel regno italico (secc. IX-XII) (Atti del I Convegno di Pisa 10-11 maggio 1983), Roma 1988, p.

214: seguace di Arduino contro i vescovi di Ivrea, Novara e Vercelli, ed erede di una lunga

tradizione di funzionariato pubblico al servizio dei marchesi anscarici, questa famiglia deteneva

forti presenze patrimoniali nella circoscrizione; si veda anche OREGLIA, Le famiglie signorili cit.,

p. 6. 45

Si veda SERGI, I confini del potere cit., p. 52, ma soprattutto p. 144, in cui si parla di

«maggior utilizzabilità del comitato, distretto meno esteso, e più tradizionale, come elemento

portante di processi di ristrutturazione territoriale e amministrativa» rispetto a un «distretto

maggiore», come la marca; per le vicende legate ai Pombia e ai de Canavese, OREGLIA, Le

famiglie signorili cit. p. 7-106. 46

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 348. 47

Op. cit., p. 94. 48

Cfr. op. cit., p. 7 sgg.

Page 16: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

17

controllo della maggior parte dei castelli» dislocati capillarmente nella regione; il

loro possesso, insieme con il controllo di un’ampia clientela vassallatica che a essi

faceva capo, conferì a questi signori «la possibilità di organizzare e controllare il

territorio»49

.

Nel giro di una generazione, esito probabilmente della crescita numerica dei

componenti di queste famiglie, si verificò una seconda ramificazione. Nel primo

decennio del Duecento troviamo così i conti di Rivarolo, di Front e di

Castelnuovo (legati ai San Martino), quelli di Montalenghe, di Agliè e di Brosso

(legati ai Castellamonte), e infine quelli di Rivara (legati ai Valperga). Tuttavia si

dubita sull’effettiva divisione in altri rami, poiché questi potrebbero indicare la

semplice «adozione di predicati differenti per distinguere membri omonimi di una

stessa famiglia»50

.

3. Origine delle altre famiglie dell’aristocrazia militare del Canavese

Sin dalla metà degli anni Venti del XIII secolo apparvero nelle fonti – in

modo analogo alle famiglie comitali – alcuni personaggi dotati di patrimonio,

castelli e clientele vassallatiche, i ‘castellani’: essi risiedevano in luoghi fortificati

che possedevano insieme ai diritti e alle terre che componevano le relative

castellanie. Le affermazioni signorili percorrevano «molto spesso» la strada della

«fortificazione spontanea di terre allodiali». I castelli, «patrimonializzati dai

custodes pubblici o edificati su terre allodiali possedute in piena proprietà dai

signori fondiari», determinarono attorno a sé la formazione di «ambiti egemonici

militari e giurisdizionali»51

. A contraddistinguere questi «semplici signori rurali»

fu la condizione sociale, più bassa rispetto ai conti: detenevano un diritto privato

spesso identico a quello dei conti del Canavese, ma inferiore per quanto

riguardava la coercizione e la giurisdizione del territorio52

. Nelle fonti, infatti,

sono indicati con il predicato di «castellanus» – o «dominus» – e non quello di

«comes», poiché «non discendevano da famiglie di antiche tradizioni

49

Op. cit., p. 347. 50

Op. cit., p. 349; cfr. L. PROVERO, L’Italia dei poteri locali. Secoli X-XII, Roma 2011, pp.

160-161. 51

L. BERTOTTI, La pianticella di canapa. Signori antichi e usurpazioni nel Canavese del

medioevo, Ivrea 2001, pp. 12-13. 52

Op. cit., p. 15: secondo Bertotti il titolo da essi vantato «era esibito come un’insegna

‘dell’alta giurisdizione che è appannaggio dei conti’», per cui si veda anche G. TABACCO, Dai re

ai signori. Forme di trasmissione del potere nel Medioevo, Torino 2000, p. 72.

Page 17: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

18

funzionariali»: tuttavia, ricoprivano un ruolo politico e militare determinante e

possedevano patrimoni sostanzialmente uguali e obiettivi comuni ai conti del

Canavese53

. Bisogna distinguere fra l’«honor» esercitato «direttamente sui

possessi fondiari ai quali è legato» e l’«honor» esercitato «su un territorio rurale

omogeneo dal signore che protegge questo territorio»54

: il primo apparteneva ai

castellani, il secondo ai conti.

L’individuazione nelle fonti di questi castellani è possibile coglierla «per

esclusione»55

: nel caso si fossero trovati i conti del Canavese accanto ad altri

individui che, almeno all’apparenza non fossero cittadini dei comuni di Ivrea o di

Vercelli o abitanti di altri luoghi estranei al Canavese, potremmo ritenere di essere

di fronte a dei castellani del Canavese»; ciò non toglie, però, che essi fossero

vassalli dei conti e proprietari di «castra», quindi detentori dei «beni

economicamente più redditizi, oltre che di primaria importanza sul piano politico

e militare». I predicati adottati dalle famiglie suggeriscono quale castello

possedessero: è dunque sufficiente compiere lo stesso ragionamento fatto per le

famiglie comitali del Canavese56

.

I castellani sarebbero stati – secondo l’analisi fatta da Oreglia – «domini

loci» del tutto indipendenti, forse definiti tali per il fatto che possedevano sia la

fortezza sia il circuitus castris in allodio57

: ciò spiegherebbe perché le fonti non ci

parlano in modo esplicito del loro possesso e ammetterebbe così che i castellani

siano stati dei «domini loci» che usarono l’attributo «castellanus»58

– oltre al

predicato toponimico – per differenziarsi nel caso fossero stati elencati al fianco

dei «comes». L’uso di definirsi castellani «de Canapicio», ad esempio,

indicherebbe la condizione di appartenenza di questi dòmini all’organismo

politico-economico detto «consortile de Canapicio», che legò politicamente e

militarmente diverse delle famiglie signorili canavesane tra il XII e l’inizio del

53

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 352 sg. e n. 1; «il fatto che i castellani del

Canavese fossero dotati di un potere analogo a quello dei conti» trasse in inganno gli studiosi nel

passato: questi «non fecero mai distinzioni tra conti e castellani, ritenendo semmai in modo

sottinteso che questi ultimi appartenessero a rami cadetti delle famiglie comitali o trascurando

completamente di parlarne». 54

TABACCO, Dai re ai signori cit., p. 82: il primo viene definito «honor privatus et

specialis», mentre il secondo corrisponde a un «communis honor curie et castri». 55

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 265. 56

Si veda sopra n. 47. 57

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 266 sgg. 58

Per il significato del termine Canavese nei secoli XI e XIII, si veda op. cit., p. 269, n. 7.

Page 18: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

19

XIV secolo59

. L’ipotesi che considera i castelli alla stregua di oggetti d’investitura

da parte dei conti canavesani in cambio del giuramento di fedeltà oppure quella

che giudicherebbe i castellani come parenti diretti o acquisiti dei conti del

Canavese, sarebbero da accantonare: per la prima mancano fonti documentarie di

atti d’investitura e, soprattutto, questi castellani non rappresenterebbero dei

«gestori straordinari» delle castellanie, poiché sembrarono avere il controllo

costante e tutt’altro che straordinario delle proprie castellanie60

come se avessero

ricevuto la gestione di certe castellanie per via ereditaria o allodiale.

4. La particolarità del Canavese

L’eccentricità dell’area canavesana, insieme con il controllo su essa

esercitato dalle famiglie comitali61

– spinte poco per volta «ai margini dei processi

di redistribuzione clientelare innescati dai principati territoriali nei confronti dei

dòmini locali» –, convinse i soggetti politici esterni a «non intervenire

direttamente» nelle vicende che portarono all’affermazione in quei territori dei

«de Canavise»62

. Gli stessi comuni urbani si disinteressarono del controllo della

regione: ciò risulta anche dalla mancata fondazione di nuovi insediamenti nel

volgere del secolo XIII. L’assenza di pressioni da parte del comune di Ivrea,

infatti, «non rese necessario un adattamento a nuovi equilibri di potere degli

assetti insediativi», diversamente da altre zone dell’Italia centro-settentrionale63

: a

ciò va ricondotto il «carattere rurale del Canavese», non soggetto ai movimenti di

popolazione e ai mutamenti sociali e demografici che interessarono in questo

periodo «in misura più o meno massiccia» la maggior parte dell’Italia nord-

59

Op. cit., pp. 269-273. 60

Cosa che per i castellani Vercellesi – facendo eccezione per i San Martino possessori

della castellania di Castelletto – non avveniva, che «restavano semplici cittadini del comune», op.

cit., p. 270. 61

Cfr. A. FALOPPA, Società e politica alle origini del Comune di Ivrea, tesi di dottorato in

Storia medievale, Università di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, p. 272 sgg. 62

P. BUFFO, Lessico e prassi dell’affermazione signorile entro l’area d’influenza dei

Valperga. Il caso Busano, in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», CVI (2008), 2, pp.

401-402. 63

Per il Piemonte si veda R. BORDONE, P. GUGLIELMOTTI, M. VALLERANI, Definizione del

territorio e reti di relazioni nei comuni piemontesi nei secoli XII e XIII, in Ansätze und Befunde

zur Geschichte der Städte in honen und späten Mittelalter, Mainz 2000 (Trierer historische

Forschungen, 43); cfr. F. PANERO, Villenove medievali in Italia nord-occidentale, Torino 2004.

Page 19: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

20

occidentale64

, e organizzato territorialmente secondo forme di potere vecchie di

secoli, in cui il «castrum» era il cardine dell’organizzazione territoriale65

.

64

BUFFO, Lessico e prassi cit., pp. 400-401. 65

Op. cit., p. 412.

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23

Capitolo secondo

Clientele vassallatiche e rapporti di solidarietà

1. Legami vassallatico-beneficiari e istituti feudali

Una capillare presenza signorile costellava il territorio su cui i conti del

Canavese, e i «domini» locali pervenuti alla custodia di un castello, esercitavano il

potere: essa poteva rientrare sotto il loro coordinamento feudale (o economico),

ma poteva anche rimanerne estranea66

. Persa memoria del significato militare

originario, nei secoli XI e XII i rapporti vassallatici, e la terminologia feudale,

cominciarono a legarsi al carattere patrimoniale ereditario, di qualità signorile, dei

poteri regionali e locali67

. Nella ricomposizione dei poteri, che da questa fase

cominciò a muovere i primi passi, la trasmissione per via feudale divenne la sola

in grado di garantire la giusta legittimazione dei possessi fondiari e dei diritti

acquisiti: il carattere feudale implicava un legame formale con poteri superiori,

spesso di dimensioni regionali, e metteva al sicuro «da contestazioni circa la

legittimità d’esercizio dei poteri signorili»68

. Vescovo e conti del Canavese

rappresentavano i vertici di un ceto eminente attivo su un territorio, in questi

secoli, molto frammentato, che fin dal XII secolo vide svilupparsi relazioni

vassallatiche interne a un’aristocrazia «che adottava abitualmente gli strumenti

feudali, applicandoli a tutti i livelli sociali e a tutti gli usi giuridici ed

economici»69

: il tessuto aristocratico canavesano «con i suoi articolati intrecci

feudali» fu segno di vivacità sociale, ma denunciava allo stesso tempo quella

«intrinseca debolezza politica di un’area di difficile assestamento», ripercossosi su

ogni tentativo, signorile e cittadino, di costruzione a più vasto raggio70

.

66

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 806. 67

Sull’acquisizione di un significato politico del patrimonio ereditabile ed ereditato,

TABACCO, Dai re ai signori cit., pp. 67-87; per il mutamento nei rituali di sottomissione feudale,

ALBERTONI, PROVERO, Il feudalesimo cit., pp. 91 e 99; G. SERGI, Lo sviluppo signorile e

l’inquadramento feudale, in La Storia: i grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea, II:

Il Medioevo. Popoli e strutture politiche, a cura di N. TRANFAGLIA/M. FIRPO, UTET, Torino 1986-

1989, p. 387. 68

Op. cit., p. 388; si veda a proposito quello che in sede storiografica si suole chiamare

feudo di signoria («feudum rectum et nobile»), R. BORDONE, L’aristocrazia territoriale tra impero

e città, in Le aristocrazie cit., p. 7. 69

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 807 e n. 24. 70

Op. cit., p. 807.

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24

A livelli sociali superiori, il vassallaggio serviva invece a dare «forma

giuridica» a rapporti poco vincolanti71

. Tra i «domini» che entrarono a far parte

della clientela vassallatica del vescovo Gaimaro Solero, nel 1182 – Nicolao di

Montalto, Ardizzone conte di Cavaglià, Rainaldo di Azeglio, Meardo di Vercelli,

Guala Bicchieri – ce n’erano alcuni (i Montalto o i vercellesi Meardo e Guala

Bicchieri) posti, «per vocazione o interessi economici, al di fuori di un rapporto

esclusivo con Ivrea e il suo vescovo»72

. Talvolta, l’aspetto politico del rapporto

vassallatico si traduceva nell’impegno a non danneggiare o non muovere

militarmente contro l’altra parte, impegno cui poteva corrispondere la concessione

di un beneficio alla parte che si legava vassallaticamente. Per esempio, nel

documento del 1227 con cui il vescovo Oberto promuoveva la ricognizione dei

feudi della chiesa eporediese73

, il marchese di Monferrato, Bonifacio, riconosceva

nel vescovo di Ivrea il signore dei feudi di cui era stato investito, ma il rapporto

che li legava era per lo più politico. Questa ipotesi è avvalorata dalla presenza

come testimoni, di personalità importanti, tra cui Aimone, figlio del conte di

Savoia, i conti Pietro di Masino e Pietro di San Giorgio, i «domini» Oberto di

Magnano e Pietro di Barone74

. Altra pratica molto diffusa era il feudo oblato: il

proprietario di uno o più allodi o feudi lasciava (tramite werpitio) a un signore

tutto o parte del proprio patrimonio; successivamente, diventava, se già non lo era,

suo vassallo giurando fedeltà e omaggio; infine, riotteneva in feudo tutto ciò che

aveva affidato al signore. Le motivazioni che potevano spingere a questo atto

erano plurime: il nuovo vassallo poteva aver bisogno di protezione, oppure esser

71

Un signore di castello riconosceva la superiorità di un soggetto o un ente più forte e

potente o se ne dichiarava alleato, ALBERTONI, PROVERO, Il feudalesimo cit., p. 95. 72

La formulazione di un organismo vassallatico attorno alla figura del vescovo è stata di

recente vista come strumento necessario, atto a controllare il territorio a nord e a est di Ivrea e a

organizzare la difesa del passaggio di uomini e di merci provenienti o diretti verso la Valle

d’Aosta: una «costruzione ad hoc» della rete vassallatica, che troverebbe conferma nella presenza

dei signori del contado (i Montalto, gli Azeglio e i Cavaglià), i quali avevano il «controllo di aree

poste sulla direttrice Ivrea-Vercelli» FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 398-400. 73

Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, a cura di F. GABOTTO, Pinerolo

1900 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, V-VI), pp. 163-165, doc. 118; pratica

documentaria diffusa sia in ambito comunale sia in ambito signorile, più razionale nel primo meno

nel secondo, la «recognitio feudi» rifletteva la volontà del signore o del comune di registrare e

consolidare il sistema di controllo sul territorio, ALBERTONI, PROVERO, Il feudalesimo cit., pp.

110-111. 74

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 165, doc. 118; furono convocati, oltre a Bonifacio

di Monferrato, i rappresentanti delle famiglie di Valperga, San Martino, Montalto, de Castello,

Cavaglià, Barone, Mercenasco, «Arundello», Castellamonte, Fiorano, Torre e altri.

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25

stato obbligato a sottomettersi, o ancora poteva ricorrervi in seguito alla vendita di

un allodio. Ma molto spesso, il feudo oblato corrispondeva a un accordo fra le due

parti (politico, a titolo oneroso, ecc.) 75

. In Canavese troviamo molti esempi, in

particolare nell’azione politica portata avanti dal comune di Vercelli: nel 1141, i

conti del Canavese giurarono fedeltà, rapporto ereditato dalle famiglie dei San

Martino e dei Masino76

; mediante feudo oblato si legò a Vercelli anche Guglielmo

di Mercenasco nel 114277

.

Anche in area canavesana era diffuso l’uso di prestare omaggio a più

signori78

: il nuovo impegno, sostanzialmente, individuava un «dominus» fra gli

altri e lo poneva al di sopra degli altri, insieme alla fedeltà o al legame di alleanza

che il vassallo aveva con lui; così un signore territoriale del Canavese qualora

giurasse fedeltà vassallatica a una forza regionale superiore, questo, di seguito ai

propri doveri, si riservava il diritto di osservare gli impegni stretti in precedenza

con propri alleati o altri soggetti più potenti. Spesso si trattava di altre stirpi

comitali, per cui il motivo principale era il legame parentale tra loro esistente

(quando si trattava di castellani, sovente si trattava di alleati più potenti e propri

seniores); altre volte si trattava di forze superiori (l’imperatore, il vescovo di

Ivrea, il marchese di Monferrato, il comune di Ivrea, talvolta quello di Vercelli, o

il conte di Savoia).

2. La signoria vescovile in Ivrea

La figura attorno alla quale si raccolse l’aristocrazia militare canavesana,

nonché le élites cittadine fu quella del vescovo, l’unico in grado, di fatto, di dar

vita (grazie al potere signorile posseduto nelle sue mani e rimasto invariato

pressoché per un secolo) a rapporti feudali duraturi ed estesi a tutta l’area

75

F. L. GANSHOF, Che cos’è il feudalesimo?, Torino 2003, pp. 135-137; cfr. BORDONE, I

ceti dirigenti urbani cit., p. 40. 76

Vedi supra cap. I; all’origine dello stretto legame che unì le sorti di quest’ultima famiglia

con la città di Vercelli ci fu l’accordo stipulato nel maggio del 1224 dal conte Pietro, che fu redatto

in tre documenti, I Biscioni, a cura di G. G. FACCIO, M. RANNO, vol. I, Torino 1934 (Biblioteca

della Società Storica Subalpina, CVL) pp. 329-332, docc. 154 e 157, pp. 347-353, doc. 162;

l’obbligo di rinnovo quinquennale preteso da Vercelli fu costantemente rispettato dai suoi

successori, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 155-156, n. 21; 167-168, nota 43, 171-172. 77

Op. cit., p. 281; anche altri personaggi strinsero negli stessi anni un patto con questo

comune: nel luglio del 1142 i signori di Bollengo, e parecchi anni più tardi i domini di Burolo.

Inoltre, può darsi che il comune di Vercelli equiparasse i conti ai castellani: in questo caso la

differenza di status sembrerebbe «consistere soltanto nell’attributo comitale», op. cit., p. 283. 78

Cfr. GANSHOF, Che cos’è cit., pp. 112-114.

Page 25: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

26

canavesana. Infatti, laddove il vertice ecclesiastico esercitava poteri di

«distrettuazione»79

, la curia cittadina fungeva da punto di convergenza per

famiglie eminenti urbane e poteri feudali del contado. Erano partecipi tutti i

vassalli – maggiori e minori80

–, i quali erano coordinati dall’apparato

organizzativo vescovile (advocati, vicedomini, signiferi)81

. Nel 1212, a un placito

tenuto dal vescovo Oberto82

, è presente, e menzionata per la prima volta, una

«curie vassallorum intrinsecorum et extrinsecorum», che poneva una separazione

fra i vassalli cittadini («intrinseci») e i vassalli rurali («extrinseci») della chiesa

eporediese83

. Diversamente da altri casi84

, un limite riscontrabile nella

documentazione eporediese si ritrova proprio nella terminologia adoperata per

designare i vassalli vescovili: infatti, solo dal 1211 comparvero locuzioni come

«nobiles» o «capitanei»; altrove «non è possibile individuare una specificità

terminologica», poiché i documenti testimoniano quasi esclusivamente il

momento di concessione o di remissione di un feudo. Del tutto assente e il termine

«vassus»; per di più, i vassalli non sono mai, in nessun caso, detti «fideles»85

.

79

PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., p. 113 sg.; G. G. MERLO, I vescovi del Duecento,

in Storia della Chiesa di Ivrea cit., p. 258 sgg. La riunione del marzo 1227 – di cui si parlerà tra

poco – fu un chiaro segno del suo agire da «signore cittadino e territoriale»: in particolare, egli si

mostrò attento nel difendere la temporalità del suo episcopato e nell’esercitare i suoi poteri, agendo

in collaborazione sia con i «pares curiae», con la «curia vassallorum intrinsecorum et

extrinsecorum» e con i «vassalli Yporiensis ecclesiae», e ottenendo il supporto del clero cittadino

(canonici del capitolo cattedrale, abate di S. Stefano, preti delle chiese di S. Donato, di S. Maurizio

e di S. Pietro), G. S. PENE VIDARI, Vescovi e comune nei secoli XIII e XIV, in Storia della Chiesa

di Ivrea cit., pp. 927-929 e Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 120-123, docc. 85 e 87; 175,

doc. 127; cfr. MERLO, I vescovi del Duecento cit., p. 264 sg. 80

Si veda, per esempio, il caso di Milano in KELLER, Signori e vassalli cit.; cfr. BORDONE,

L’aristocrazia territoriale cit., p. 5. 81

Rispettivamente l’incaricato ai compiti giurisdizionali, l’amministratore del patrimonio

dell’episcopato e il comandante della milizia: BORDONE, I ceti dirigenti urbani cit., p. 44. 82

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 80-88, docc. 59-60; pp. 93-95, docc. 64-65. 83

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 277-279; una caratteristica che contraddistingue

questi ultimi, ad eccezione delle grandi famiglie di origine comitale, sembrò essere l’estraneità

all’ambiente cittadino, «un’estraneità ribadita dall’assenza, fra i pari di curia, di vassalli rurali che

collaborino con il vescovo in città o nel contado», op. cit. 263-264. Le origini dei membri

appartenenti a questo seguito, in tutto e per tutto vassallatico, sono di difficile riscontro a causa

dell’assenza di una documentazione che permetta di delinearne la fisionomia, aspetto reso ancor

più complicato dall’eterogeneità del lessico giuridico adottato in ogni sede; si veda, ad esempio,

La vassallità maggiore del Regno Italico. I capitanei nei secoli XI-XII (Atti del Convegno Verona

4-6 novembre 1999), a cura di A. CASTAGNETTI, Roma 2011. 84

«Se si confronta la situazione eporediese con quella vercellese, è chiara fin dalle prime

attestazioni, la differenza»: nei documenti vercellesi «già dalla metà del secolo XII compaiono

attestazioni di capitanei, valvassores, pares curie», FALOPPA, Società e politica cit., p. 264, n. 737;

cfr. DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., pp. 21-22. 85

Se nel secolo X, prima e durante Arduino, il termine «miles» era usato come sinonimo di

«vassus», questo cadde in disuso, tranne in momenti particolari, come nei documenti del 1211

Page 26: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

27

Attingere al patrimonio episcopale per redistribuire diritti e proventi

ecclesiastici all’interno della società aristocratica cittadina e rurale divenne prassi

comune, tanto da poter condizionare gli assetti locali del potere86

. A Ivrea, la

concessione beneficiaria di terre ecclesiastiche fu strumento per ottenere consenso

e appoggio militare nel contado; ma, una volta consolidata la propria presenza

(anni Sessanta del XII secolo), l’episcopato diede inizio a un recupero dei diritti

feudali, esigenza sorta dopo l’avvio, da parte di enti ecclesiastici e del comune, di

erosione di tali diritti e di autonomia. L’azione dei vescovi, portata avanti

mediante procedure d’investitura remunerativa (ultimo decennio del XII) nei

confronti di beneficiari – non solo eporediesi – e riacquisti di terre e diritti (primi

decenni del XIII secolo)87

, acquisì finalità politiche con il presule Oberto

attraverso l’instaurazione di rapporti vassallatici e concessioni patrimoniali,

proseguendo ben oltre la metà del XIII secolo con i successori Corrado e

Giovanni88

. Alla morte di quest’ultimo, l’episcopato aveva la disponibilità diretta

del palazzo vescovile in città e dei castelli di Albiano, Chiaverano, Montalto,

Pavone e Vische e della riscossione del pedaggio alle porte urbane89

. Ma la

valorizzazione del patrimonio e dei diritti della chiesa di Ivrea non raggiunse più i

livelli del genere: nel 1279, dopo aver proseguito l’opera dei suoi predecessori, il

(ampiamente trattati in A. BARBERO, Vassalli, nobili e cavalieri fra città e campagna. Un processo

nella diocesi di Ivrea all’inizio del Duecento, in «Studi Medievali», XXXIII (1992), pp. 620-644;

disponibile anche su www.retimedievali.it), «in cui la natura stessa del documento […] introduce

nella terminologia la necessità di un grande rigore», FALOPPA, Società e politica cit., p. 265. 86

Queste clientele esprimevano la duplice natura del potere ecclesiastico: erano cittadine,

perché il centro verso cui convergevano era un potere urbano; ma erano anche rurali, in quanto i

beni oggetto del beneficio, quindi del rapporto clientelare, erano situati – in massima parte – nel

contado, PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., p. 114 sg. Beni feudali concessi a vario titolo

sono quelli concessi all’aristocrazia militare: «domini» di Agliè (1181), di Perno (1204) e di

Bollengo (1209), Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 31, doc. 16; p. 56 sg., doc. 37; p. 75 sg.,

doc. 55; ebbero carattere beneficiario anche i diritti di riscossione della decima sacramentale: si

veda F. PANERO, La grande proprietà fondiaria della Chiesa di Ivrea, in Storia della Chiesa cit.,

pp. 846-847; furono investiti di diritti pubblici anche i del Pero, i del Pozzo, i Grasso, i Vadenotte,

i Solero, Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 132-134, doc. 93; si veda anche op. cit., pp. 140-

148, doc. 403. 87

PANERO, La grande proprietà cit., p. 847 sgg.; cfr. Le carte dell’archivio vescovile cit., I

e II. 88

Questo progetto politico trovava ispirazione e sostegno dal controllo operato dalla Santa

Sede; riguardo a questo si veda L. BAIETTO, Una politica per le città. Rapporti fra papato, vescovi

e comuni nell’Italia centro-settentrionale da Innocenzo III a Gregorio IX, in «Bollettino Storico-

Bibliografico Subalpino», CII (2002), 2, pp. 482-506; si veda anche Regesto del «Libro del

Comune» d’Ivrea, a cura di F. GABOTTO, Pinerolo 1900 (Biblioteca della Società Storica

Subalpina, VI), pp. 228-229, docc. 12-14. 89

PANERO, La grande proprietà cit., p. 863.

Page 27: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

28

vescovo Federico90

ordinò di redigere una copia dell’atto del 1227; ma ormai una

congiuntura politica sfavorevole aveva colpito la chiesa eporediese, la quale vide

svanire le sue anacronistiche pretese signorili sulla città91

.

2.1. Vassalli e feudi vescovili

Tra i «fideles» vescovili di metà XII secolo troviamo i Solero – il vescovo

Gaimaro apparteneva a questa famiglia – , i de Civitate e i del Pozzo92

. A essi si

aggiunsero con gli anni famiglie quali i Picoto, i del Pero, i della Porta93

, i

Rucamerdosa insieme ai Poma94

, i Montalto95

, i Delfino, i da Scarmagno96

. I

Grasso furono a lungo collaboratori vescovili, sin dagli anni Sessanta del secolo

XII97

, ma iniziarono a essere vassalli vescovili solo dall’inizio del XIII secolo98

,

come i della Torre, collaboratori finanziari o gestori delle proprietà ecclesiastiche

e vassalli vescovili dal 121199

. I Suriano di Albiano, i Genetasio, i Salerano e i de

Mercato non sono attestati fra i vassalli vescovili100

.

Anche le famiglie rurali, che tradizionalmente concentravano nel contado

tutti i loro interessi, strinsero rapporti di fedeltà vassallatica col vescovo

ottenendone in cambio un importante legame con la città, le sue istituzioni e le

possibilità offerte dalla dimensione sociale che si stava costantemente delineando

al suo interno. Tra i vassalli extrinseci del placito del 1212101

erano presenti

90

Menzionato già nel 1249 come «dominus Fredericus de Fronte» in un investitura di beni

in Pavone; nello stesso anno è in ospita nella propria casa la stesura dell’atto con cui i suoi parenti,

i conti di San Martino, vengono investiti di una decima in Romano («actum in domo in qua stat

dominus Fredericus de Fronte»), occasione in cui viene indicato come «Yporiensis canonicus». Gli

atti sono editi rispettivamente in Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 273-275, docc. 196-197;

cfr. PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 944, n. 94. 91

Si veda oltre cap. V. 92

Il nome è altre volte indicato diversamente: Faloppa adotta una traduzione in «Pozzo»,

Panero opta invece per «Dalpozzo». In questa sede si userà un’accezione diversa, più fedele al

toponimico «de Puteo», riportato nella documentazione; cfr. FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp.

448-449, PANERO, La grande proprietà cit., p. 857 sgg. 93

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 408-409. 94

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 464, n. 169. 95

Una famiglia inurbatasi probabilmente in un periodo precedente la nascita del comune,

FALOPPA, Società e politica cit., p. 249, n. 694. 96

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 444. 97

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 432: l’esempio è quello di Evrardo Grasso op. cit., p.

433. 98

FALOPPA, Società e politica cit., p. 248, n. 690; cfr. EAD., Ivrea dalla “civitas” cit., p.

458. 99

FALOPPA, Società e politica cit., p. 212 sgg. 100

Op. cit., p. 248, n. 690. 101

Si veda supra, p. 26.

Page 28: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

29

Guglielmo conte di San Martino, Giacomo conte di Castellamonte, Oberto e

Giacomo conti di Castelnuovo e ad altri castellani. Già nel 1195, Guglielmo conte

di Masino prestò giuramento al vescovo Gaido per un feudo102

, ma ancora nel

1263, Oddonino ricevette investitura di vari beni feudali, prima appartenuti a

personaggi di Settimo103

. Nel 1210104

i conti di Castellamonte detenevano feudi

dalla chiesa eporediese: di investitura feudale se ne ha notizia ancora nel 1249105

e

nel 1274106

. Oberto conte di Rivarolo giurò fedeltà nel 1255107

: un suo parente,

Federico di Front verrà eletto vescovo di Ivrea; Guglielmo di Rivara conte di

Valperga doveva fedeltà per l’investitura di un feudo ecclesiastico

108. Si è visto

che anche la famiglia dei marchesi di Monferrato fu legata per via feudale109

;

inoltre, un ramo della famiglia comitale dei Biandrate, i conti di San Giorgio,

ricevette da questi marchesi un feudo della chiesa eporediese110

. È difficile

stabilire se i beni feudali in possesso dell’aristocrazia militare canavesana

mantennero intatto il loro valore di remunerazione beneficiaria di un servizio, o se

i giuramenti di fedeltà fossero piuttosto il risultato di un compromesso che

permettesse di sanare antiche vertenze per il possesso di terre e di castelli111

, o se

avessero un «valore simbolico più che concretamente operante»112

. Il valore

simbolico del giuramento prevaleva sull’aspetto ‘costruttivo’: il rango di questi

vassalli era probabilmente tale per cui «risultasse naturale l’applicazione, anche

102

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 44, doc. 27; si trattava di un riconoscimento

formale di un rapporto vassallatico esistente de facto, acceso dal vescovo probabilmente per

risolvere i contrasti, FALOPPA, Società e politica cit., pp. 267-268: per tale feudo nel 1220 si vedrà

ancora il conte Pietro disputare con il vescovo Oberto, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 152,

n. 15. 103

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 32-34, doc. 322. 104

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 234; nel gennaio 1181 i «domini» di Agliè, a cui

in seguito sarebbero stati legati da parentela, possedevano beni feudali del vescovo. 105

Op. cit., p. 228. 106

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 113-114, doc. 376. 107

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 122-123 e nn. 11 e 12. 108

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 392, doc. 287; un legame passato, però, sarebbe

suggerito dal carattere ligio del giuramento di «cittadinatico» del 1213 fatto dai conti nei confronti

di Ivrea; si veda infra, pp. 37-38. 109

Si vedano i giuramenti contenuti in op. cit., pp. 339-340, doc. 237; 369-370, doc. 265. 110

Rimasto «pressoché intatto» per oltre centosessant’anni, OREGLIA, Le famiglie signorili

cit., p. 260. 111

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845. 112

FALOPPA, Società e politica cit., p. 267.

Page 29: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

30

sui feudi ottenuti dalla chiesa eporediese, di una consolidata pratica di esercizio di

poteri signorili»113

.

Fra i signori fondiari non appartenenti a stirpi comitali numerosi erano i

vassalli vescovili. Vassalli erano coloro che detenevano un castello nelle località

sotto diretto controllo della chiesa (Chiaverano, Albiano, Pavone, Vische);

dovevano fedeltà anche coloro che erano investiti di diritti ecclesiastici su siti

fortificati (sui quali si estendeva il compito di custodia) come quelli di Settimo,

Montestrutto, Montalto114

, Torrazzo, Unzasco, Loranzè, Rueglio con la

Valchiusella, San Giorgio, Romano, «Caraonum», Chivasso, Verolengo,

Castagneto, Rondissone115

, o di feudi ecclesiastici (Candia, Strambino,

Montanaro116

, Azeglio, Castellogno, Barone, Orio, Mercenasco, Torre, Fiorano117

,

Burolo118

, Scarmagno), in cui il controllo delle fortificazioni fu dinastizzato dalle

famiglie investite.

Un importante documento con cui l’episcopato determinò la consistenza del

proprio patrimonio e dei relativi diritti, cercando di stabilizzarne il controllo, fu la

ricognizione dei feudi ecclesiastici (10 maggiori, 4 medi e 24 minori) del 1227,

che permette di individuare parte dei vassalli vescovili. Detentori di feudi maiora

erano il marchese di Monferrato (per Chivasso, Castagneto, San Giorgio e parte di

Verolengo), i conti di Cavaglià (per Erbario, Areglio, «Meolo», Settimo Rottaro,

Vestigné, Caravino e parte di Cavaglià), i Montalto e i de Castello (per la Valle di

Montalto); altri feudi dello stesso tipo si trovavano in Cavagnolo, Candia,

113

Op. cit., p. 278. La ricorrenza, in molti dei feudi citati, del fodro regale riscosso, rende

plausibile ritenere che i signori esercitassero diritti signorili: ma non si può escludere che le

famiglie grazie alla loro intraprendenza avessero costruito i loro poteri su feudi puramente

fondiari, o che il legame vassallatico l’avesse legittimata. Non è inoltre sicuro che il legame avesse

come esito o motivo «un compenso per una fedeltà militarmente definita», perché nel periodo fra

XII e XIII secolo «si era disponibili all’homagium per raggiungere un obiettivo di terre e di diritti

beneficiari», SERGI, Lo sviluppo signorile cit., p. 387. 114

Località situate nella Valle di Montalto. 115

Questo luogo, che non compare nella bolla pontificia del 1223 con cui la Santa Sede

confermava i diritti e i feudi della chiesa eporediese, op. cit., pp. 149-151, doc. 108, ma compare

solo nel documento ricognitivo del 1227; questo dettaglio è trattato in A. A. SETTIA, Chiesa e

territorio nelle «Rationes» eporediesi, in ID., Chiese, strade e fortezze nell’Italia medievale, Roma

1991 (Italia sacra, 96), pp. 300-301. 116

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 149-151, doc. 108. 117

Op. cit., pp. 234-236, doc. 170; sulla vicenda del castello di Fiorano in cui furono

coinvolti episcopato e comune si vedano M. P. ALBERZONI, Da Guido di Aosta a Pietro di

Lucedio, in Storia della Chiesa di Ivrea cit., p. 225 e PANERO, La grande proprietà cit., p. 856; cfr.

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 303-304. 118

Sull’annosa questione relativa al castello di Burolo si veda op. cit., pp. 34-41.

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31

Castiglione, Torre, Barone con Orio, Rivarolo e Mercenasco. I quattro feudi

media erano quelli di San Martino, Alice, Romano e Bairo. Due dei quattro feudi

minora erano quelli detenuti dagli avvocati di Strambino, mentre i restanti erano

dei «domini» della villa di Strambino e dei Baldissero. Altri feudi erano tenuti dai

Castellamonte (in Barbania, Parella, Loranzé, Torrazzo, Rondissone, Burolo,

Lessolo), dal consortile di Rondissone, dai Candia, dagli Azeglio, dai Solero,

dagli Abonesi, dai Fanuelli, dal «dominus» Bovolo, dai della Porta, dai del Pero,

dai Grasso, dal «dominus» Iporeo Balbo, dai Bollengo, dal consortile dai Burolo,

dai Mercenasco in Valchiusella. L’azione dei vescovi acquisì finalità politiche con

il presule Oberto attraverso l’instaurazione di rapporti vassallatici e concessioni

patrimoniali proseguendo su ispirazione e con il sostegno della Santa Sede ben

oltre la metà del XIII secolo con i successori Corrado e Giovanni119

. Alla morte di

quest’ultimo, la valorizzazione del patrimonio e dei diritti della chiesa di Ivrea

non raggiunse più i livelli del genere.

Al censimento di questi feudi, si devono sommare i numerosi possedimenti

concessi in forma patrimoniale e vassallatica lungo tutto il restante XIII secolo120

.

Al novero feudale non vanno poi dimenticati i beni patrimoniali di cui furono

titolari il capitolo cattedrale e i canonici121

e, in egual misura, il monastero di S.

119

BAIETTO, Una politica per le città cit., pp. 228-229, docc. 12-14. 120

PANERO, La grande proprietà cit., p. 847 sgg.; i nomi più rilevanti di cives attestati

sono: Picoto, Poma, Solero, Fabro, Tagliandi, Stria, della Porta, de Mercato, Grasso, Carta,

Delfino, del Pozzo, de Civitate, del Pero, Suriano d’Albiano, Pandolfo, de Vita, Salerano; si

trovano molti individui attivi sul territorio canavesano: i conti di Castellamonte, di Brosso, di

Agliè, di San Martino (ossia Martino, che si dice «de Castelleto», Le carte dell’archivio vescovile

cit., pp. 122-123, doc. 385), di Masino e vari castellani («Arundello», Settimo, Candia, Vische,

Burolo, Droenghi di Valperga); parecchi «domini» e detentori di feudi ecclesiastici (a Pavone,

Albiano, Lessolo, Montalto, Montestrutto, Palazzo, Torrazzo, Agliè, Castelfranco, Bard, Viverone,

Fiorano, Tonengo, Romano, Pertuso, Azeglio, i de Benedetti di Vercelli, i Gattinara di Montalto, i

de Villa di Strambino, i Vadenotte); singoli individui tra cui i consoli del comune di Pavone,

Obertino di Biella, Enrico di Rosso di San Martino, Margherita contessa di Monferrato con suo

figlio (il futuro Guglielmo VII), «dominus» Ranieri di Mazzè, Guglielmo di Rivara conte di

Valperga e diversi detentori di feudi in Mercenasco (op. cit., pp. 328-330, doc. 229) e possidenti

nel territorio del castello di Romano (op. cit. pp. 304-311, doc 212); residenti di diversi centri del

Canavese; e, infine, altri per i quali è sovente tralasciata la provenienza; queste investiture sono

edite in op. cit., I-II. Gli intellettuali investiti per feudo di terre vescovili appartenevano alle

famiglie Solero, del Pero, Suriano, del Pozzo, de Civitate, Delfino, Carta e altre, PANERO, La

grande proprietà cit., p. 857. 121

Per cui furono accensati, tra gli altri: Poma, della Rocca, Brusato, Vadenotte, de

Mercato, Salerano (op. cit., p. 858); Caldera, Rucamerdosa, de Civitate, de Vita, Grasso, Solero,

Tagliandi, Valdano, Suriano d’Albiano, Bard, Challant, Arnaz, i castellani di Burolo, di

Mercenasco, di Montalto, di Fiorano, di Romano, di Azeglio, i conti di Rivarolo e quelli di San

Martino, Le carte dell’archivio capitolare d’Ivrea fino al 1230 con una scelta delle principali fino

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32

Stefano122

, nonché i vassalli vescovili attestati nel terzo quarto del XIII secolo, i

quali dovevano fedeltà e omaggio al vescovo Giovanni per i beni posseduti123

. Del

1248 è, invece, l’accordo stipulato fra comune e rappresentanti del vescovo per

l’affitto dato a privati di beni appartenenti ai «comunia» eporediesi124

.

3. Vassallo o senior? L’indefinita posizione del comune di Ivrea

3.1. Dalla subordinazione vescovile alla signoria laica

I ceti dominanti della città, appartenenti in massima parte – non

esclusivamente – a quei gruppi gravitanti attorno alla clientela vassallatica

vescovile, elaborarono al loro interno comportamenti politici e istituzionali che

portarono alla formazione del comune125

. Nel 1182 erano membri della curia

al 1313, a cura di E. DURANDO, Pinerolo 1902 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, IX), pp.

6-225. 122

Per il quale si rimanda ad A. FALOPPA, Un insediamento monastico cittadino: S. Stefano

di Ivrea e le sue carte (secoli XI-XIII), in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», XCIII

(1995), 1; in rapporti vassallatici o censuari con questo ente furono le seguenti famiglie: della

Torre, Solero, Salerano, del Pozzo, Genetasio, Grasso, de Civitate, Brusato, di Bollengo, de

Romano e Guido conte di Valperga (op. cit. pp. 23-37); della Rocca, Suriano d’Albiano, da

Scarmagno, EAD., Percorsi familiari cit., p. 476 sgg. Di ambito comunale, ma «dalle finalità

religiose ed umanitarie», fu la fondazione della Confraria di S. Spirito: Cartario della Confraria

del Santo Spirito d’Ivrea (1208-1276), a cura di G. BORGHEZIO, G. PINOLI, Torino 1925

(Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXXI), II, p. 213. Mantennero un rapporto stretto

con questo ente soprattutto i Solero, i Tagliandi, di Fiorano, i de Mercato, FALOPPA, Società e

politica cit., p. 207, n. 567. 123

Si riportano solo i nomi di famiglie contemplate in questa tesi: Giacomo Galvagno di

Candia, Giacomo della Villa di Strambino, Guglielmo del fu Guglielmo di Orio, Guglielmo

Punzone conte di Castellamonte, Bonifacio conte di Castelnuovo, Giacomo di «Arundello» e suo

fratello Pietro, Guglielmo e Pietro di Fiorano, Nicolino di «Arundello», Drous di Valperga, Oberto

fratello del fu conte Rofino di Castelnuovo, Rotefredo del fu Filippo di Burolo, i consorti e i

domini della Valle di Montalto, i fratelli Ardizzone e Guiberto di Mercenasco, Guglielmo conte di

Castelnuovo, Manfredo del fu Guido di Orio, Enrico figlio di Ponzio (di Castellamonte?) e Oberto

di Agliè con suo fratello Bonifacio, Giacomo di Ranieri conte di Castellamonte, Giovanni del fu

Giacomo «de domina Iulia» di Castellamonte, Ottavio della Villa di Strambino, Guido di Agliè,

Raimondo di Orio, Alberto del fu Calvo di Strambino, Filippo del fu Ottone della Villa di

Strambino, Raimondo del fu Guiberto di Agliè, Ardizzone conte di Front, Antonio del fu Giacomo

dei Droenghi di Valperga e suo fratello Pietro, Raimondo di Candia, Alberto conte di San Martino,

Oberto figlio del fu Enrico conte di Rivarolo, Raimondo di Montalenghe, Ranieri e Pietro figli del

fu Giacomo di Torre, Ranieri di Loranzè, Enrico conte di San Martino, Tommaso figlio del fu

Ardizzone di Torre, Oberto di Brosso, Manfredo figlio del fu Giovanni di Brosso e suo fratello

Guiberto, Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 284-299, doc. 207.

Nel marzo del 1250 i figli del «dominus» Ardizzone Tagliandi, Giacomo e Giovanni,

prestarono fedeltà, per sé e per loro padre, al neo eletto vescovo d’Ivrea Giovanni, per il feudo

tenuto dalla chiesa e di cui furono investiti, mentre nel 1253, in una consegna fatta al vescovo

Giovanni, Gregorio di Pasqualengo di Pila, cittadino di Ivrea, si disse vassallo del «dominus»

Tommaso di Torre, figlio del signore «de Canapicio» Ardizzone: op. cit., p. 281, doc. 202; p. 327,

doc. 228. 124

Op. cit., pp. 268-272, doc. 194. 125

La cooptazione all’interno dell’élite signorile pervenne in seguito all’intrecciarsi «di

124 Op. cit., pp. 268-272, doc. 194.

125 La cooptazione all’interno dell’élite signorile pervenne in seguito all’intrecciarsi «di

ricchezza, intraprendenza imprenditoriale – spesso perseguita per diverse generazioni –, attività

Page 32: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

33

vescovile126

di Gaimaro Solero127

alcuni cittadini eporediesi (Giacomo Solero,

Filippo del Pozzo, Bongiovanni de Civitate, Giacomo Delfino)128

, notabili

appartenenti a famiglie che espressero nel 1171 il primo comune129

: a dire la

verità un «piccolo comune», guidato da «antiche famiglie legate al vescovo» più

propense a collaborare con lui in forme tradizionali, «essendo coinvolte nella

riscossione della curadia e dei pedaggi», e nell’amministrazione vescovile130

.

A Ivrea non fu la tarda formalizzazione delle istituzioni del comune, bensì il

contesto regionale all’interno del quale nacque e maturò tale esperienza a

rappresentare un fatto discriminante del fallimento del pieno sviluppo comunale.

Altre realtà piemontesi erano nate già da parecchi anni (Vercelli quaranta, Asti da

creditizia e basi fondiarie», a cui poteva affiancarsi la «presenza nella curia vassallatica»,

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 400-401. 126

Si veda supra p. 24. 127

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 398. 128

Alcuni come i del Pozzo, o gli stessi Delfino, non rivestirono negli anni in cui sono

vassalli, cariche consolari, né sembrano avere un patrimonio cittadino o sul contado, non hanno

ricevuto in concessione né in affitto terre, eppure, essendo parte della clientela vassallatica del

vescovo, dovevano in qualche modo essere parte di quell’aristocrazia avvezza all’uso delle armi.

Si veda FALOPPA, Società e politica cit., pp. 236-237 e n. 663; cfr. R. BORDONE, Il movimento

comunale: le istituzioni cittadine e la composizione sociale durante il XII secolo, in Storia di

Torino, I, Dalla preistoria al comune medievale, Torino 1997, pp. 619-620. 129

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 814: i consoli del 1171 furono Bombello Solero

(parente del vescovo Gaimaro), Bonamico della Rocca (collaboratore di Guido nel 1162), Lilfredo

de Civitate, Milone Rebufato, Lilfredo ed Evrardo Grasso. La comparsa dell’organismo comunale

a Ivrea, come anche a Vercelli, fu agevolata da circostanze politiche favorevoli alla formulazione

del governo cittadino, oltre alla connivenza dei vertici ecclesiastici legati per via parentale: per

Ivrea si veda op. cit., p.; cfr. il caso vercellese analizzato in DEGRANDI, Vassalli cittadini cit. Come

in altri casi piemontesi l’estrazione urbana caratterizza la composizione dei primi consolati e

prescinde dal legame con il vescovo; cfr. R. BORDONE, Città e territorio nell’alto medioevo. La

società astigiana dal dominio dei Franchi all’affermazione comunale, Torino 1980 (Biblioteca

della Società Storica Subalpina, CC), 390-396, e ID., Il movimento comunale cit., pp. 623-630.

Nei collegi consolari fra il 1171 e il 1207 risultano, tra altri meno noti, i nomi Grasso,

Solero, della Rocca, Rebufato, de Civitate, Suriano, della Torre, Salerano, de Mercato, Genetasio,

del Pozzo, Caldera, Brolino, da Fiorano, F. PANERO, Il «Libro rosso» del comune d’Ivrea: raccolte

degli atti di cittadinatico e strumento giuridico per un coordinamento politico del territorio

diocesano, in Libri Iurium e organizzazione del territorio in Piemonte (secoli XIII-XVI), a cura di

P. GRILLO, F. PANERO, «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici e artistici della

provincia di Cuneo», CXXVIII (2003), p. 57, n. 26; cfr. ID., La grande proprietà cit., p. 857 sg. e

p. 860, n. 86. Nel periodo fra il 1213 e il 1226 si hanno nomi presenti già nella documentazione

precedente – Brolino, de Mercato, Grasso, della Torre, del Pozzo, della Rocca, Borgonovo, da

Bollengo, da Settimo, Suriano, Caldera, da Fiorano, Solero – ma anche di nuovi: ID., Il «Libro

rosso» cit., p. 59, n. 38; per l’estrazione sociale dei consoli e per la divisione in due organismi

separati dei rappresentanti cittadini si veda BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 819 sg. 130

PANERO, Il «Libro rosso» cit., pp. 53-54. Il rafforzamento del comune avviene nei primi

trent’anni del secolo XIII, con il ridimensionamento della clientela vescovile: quando un

personaggio non si legava più al vescovo ma solo al comune, e quindi intraprendeva un percorso

‘laico’, voleva dire che si era delineata una certa autonomia del comune dal vescovo, «che in una

fase di maggiore stabilità istituzionale poteva scegliersi i propri collaboratori senza dover attingere

dal ‘vivaio’ vescovile», FALOPPA, Società e politica cit., pp. 161 e 261.

Page 33: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

34

quasi un secolo), la cui concorrenza poté essere contenuta da forze sovraregionali

(Savoia o Milano) che tuttavia «su un piano prettamente politico funzionarono da

catalizzatori e cristallizzarono la realtà socio-istituzionale eporediese in una sorta

di incertà maturità»131

. La «fortuna di Ivrea», quella di trovarsi al centro di grandi

transiti viari, o quella di detenere il monopolio di un commercio prezioso come

quello delle mole, la resero paradossalmente più vulnerabile: priva di meccanismi

comunali collaudati e di una rassicurante rete di rapporti – in cui le relazioni delle

famiglie funzionassero da tutela della continuità politica del comune – Ivrea fu

contrastata in una fase precoce da forze molto più strutturate. La costante

preoccupazione di preservare diritti e fonti di entrate, le priorità politiche che

indussero ad attestarsi in modo difensivo e conservativo entro un territorio

circoscritto, estromisero Ivrea dai maggiori patti fra le città piemontesi e dalle

alleanze e dai raccordi associativi che da esse scaturirono132

. Alla luce di ciò dalla

documentazione eporediese emersero queste specificità «che in parte potrebbero

sottrarre una piena responsabilità vescovile»133

.

Ma non c’è dubbio che una soggezione alla figura vescovile si verificò nei

primi decenni di vita del comune, la quale spesso apparve come una «copertura»

da minacce esterne – come a cavaliere dei secoli XII e XIII, nelle fasi di contrasto

che videro scontrarsi il comune e il conte Ranieri di Biandrate, a cui solo

l’arbitrato del vescovo Pietro trovò soluzione –, consolidandosi già a partire dagli

anni Trenta del Duecento. Forte dell’investitura feudale «de bonis usantiis» da

parte del nunzio imperiale nel 1219134

, il comune aveva tentato di sottrarsi dalla

subordinazione vescovile per i diritti di mercato, erodendo parte delle prerogative

spettanti alla chiesa. Azione che non gli riuscì; anzi, su richiesta vescovile,

intervenne persino il pontefice: il comune si dovette piegare alla reazione

episcopale e, di fronte alla scomunica degli incaricati papali, cancellò gli statuti,

giudicati «iniqui», raggiungendo pure un accordo col presule, nel 1236135

, che

confermò quanto la propria giurisdizione fosse limitata dai privilegi ecclesiastici,

131

A. FALOPPA, Dal Vescovo al Comune, in Ivrea. Ventun secoli cit., p. 140. 132

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 332-333. 133

FALOPPA, Dal Vescovo cit., p. 140. 134

Il libro rosso cit., p. 152 sg., doc. 156. 135

PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 936; la vicenda del castello di Settimo è riportata

in Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 213-218, doc. 157.

Page 34: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

35

nonché dalla concorrente giurisdizione vescovile. La presenza di rappresentanti

imperiali (tra il 1238 e il 1250) limitò i motivi di contrasto con il presule136

. Anzi,

dal 1249 (e ancora nel 1263) –, il comune si fece garante per i beni e i diritti

episcopali in caso di sede vacante: mediante un particolare rituale procedurale, ai

procuratori comunali venivano consegnati beni e i diritti episcopali, i quali, a loro

volta, li assegnavano a singoli amministratori e custodi che, una volta eletto il

vescovo, ricevevano l’ordine dagli stessi procuratori di restituire i singoli beni al

neo-eletto; in tutto ciò, il comune otteneva protezione e investitura137

. Fu così che

il reciproco riconoscimento rifletté quella cooperazione che neppure il diploma di

Corrado IV del 1254138

e pendenze patrimoniali successive riuscirono a incrinare.

Sotto l’episcopato di Federico di Front, il comune continuò a seguire in genere le

posizioni vescovili – tranne in alcuni momenti di azione autonoma –, per poi

distaccarsene quando la signoria laica soppiantò quella ecclesiastica, tanto che

nessun rapporto di tacita sottomissione poteva più dirsi esistente nei confronti del

vescovo139

.

Le radici della debolezza che portarono Ivrea a cercarsi sempre chi la

tutelasse politicamente, ma soprattutto militarmente, dalle minacce presentatele

dai potenti vicini – Vercelli, i Monferrato, i conti di Biandrate e del Canavese – è

da cercarsi proprio nella «vita tranquilla all’ombra del vescovo» abbracciata dalle

famiglie del ceto dirigente: scelta che tardò, non tanto la formalizzazione di un

impianto istituzionale solido, quanto quell’organizzazione territoriale che

implicasse crescita demografica ed economica e che permettesse la creazione di

un esercito cittadino in grado di garantire l’autosufficienza militare, quindi

politica140

.

136

Essi risiedettero in Ivrea controllando direttamente il Canavese, ma mantenendo diviso il

distretto vescovile da quello al loro soggetto, pur percependo le prestazioni che dovevano essere

corrisposte all’imperatore. Se tale condizione presentava differenze, il controllo federiciano si

estendeva anche alle terre episcopali: queste possedevano una loro autonomia, per lo meno

tributaria, al contrario del comune che vede diminuire la propria, PENE VIDARI, Vescovi e comune

cit., p. 940. 137

L’analisi di questa prassi «specifica, altrove ignota» è contenuta in op. cit., p. 940 sgg.;

per un approfondimento si veda BAIETTO, Una politica per le città cit., pp. 496-498. 138

Il libro rosso cit., pp. 204-205, doc. 204; cfr. PANERO, Il «Libro rosso» cit., p. 61. 139

Si veda infra cap. V. 140

PANERO, Il «Libro rosso» cit., p. 62.

Page 35: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

36

3.2. Strategie politiche e feudali del comune di Ivrea

All’indomani della morte dell’imperatore Enrico VI141

, il comune di Ivrea

cercò di legare a sé le forze operanti sul territorio in un patto politico in funzione

anti-vercellese142

. Nel novembre 1197, Guiberto conte di Castellamonte e altri

suoi consanguinei giurarono il cittadinatico143

; poche settimane più tardi, i conti di

Valperga prestarono analogo giuramento144

. Nel 1198 il comune ottenne una serie

di giuramenti di cittadinatico da parte di signori presenti sul territorio canavesano:

castellani di Castruzzone, fedeli monferrini (febbraio)145

, i «domini» di Romano,

di Torre, di Candia, di Scarmagno, di Rondissone, di Settimo146

, di Mercenasco,

di Loranzè, di Griva (giugno)147

, il marchese Bonifacio del Monferrato

(ottobre)148

, Filippo «de Arundello» (dicembre)149

. La politica di avvicinamento

dei signori del contado alla città di Ivrea continuò nei primi anni del Duecento,

quando il comune eporediese consolidò le proprie basi territoriali legando a sé

feudalmente altri detentori di castelli, come i signori di Arnaz, quelli di Bard, che

giurarono il cittadinatico a Ivrea (1200)150

, e – probabilmente anche in accordo

141

PANERO, Il «Libro rosso» cit., p. 57. 142

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 826; un paragone può esser fatto con la strategia

messa in campo dal comune di Alba: La popolazione. Il cittadinatico come impegno reciproco, in

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), a cura di ID., disponibile su

www.retimedievali.it.; cfr. D. ALBESANO, La costruzione politica del territorio comunale di Alba,

in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», LXIX (1971). 143

Il libro rosso cit., pp. 72-73, doc. 88; per impegno e clausole, BORDONE, Potenza

vescovile cit., pp. 825-826. 144

Il libro rosso cit., pp. 173-175, doc. 181; per gli impegni richiesti ai conti e quelli

garantiti da Ivrea si veda BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 826. 145

Il libro rosso cit., pp. 87-88, doc. 107. 146

Nel 1193 due signori di Montalto e Corrado di Settimo del fu Guglielmo giurano ai

consoli di Ivrea e Vercelli, e al vescovo eporediese di proteggere uomini e cose di Vercelli e Ivrea,

«specialmente i molares e le pietre da mola», nonché i pellegrini, che transitavano sul loro

territorio. Il giorno successivo giurarono altri personaggi di Montalto e Corrado del fu Boiamondo

di Settimo e Guglielmo di Settimo, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 306, n. 82. 147

Il libro rosso cit., pp. 19-20, doc. 22; tutti giurano alla presenza dei consoli di Ivrea e dei

«comites Canapici», ormai membri del gruppo dirigente cittadino; nel 1209 Oberto figlio di

«dominus» Amedeo di Montalto giura il cittadinatico a Ivrea e obbliga i suoi beni ai consoli,

compreso il castello di Montestrutto, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 269. 148

Il libro rosso cit., pp. 170-173, doc. 179; per le clausole e gli impegni si veda BORDONE,

Potenza vescovile cit., p. 827. Seguirono un paio d’anni in cui il comune approfittando della

debolezza manifesta dell’episcopato di Giovanni, tentò di appropriarsi dei diritti signorili fino ad

allora condivisi con il presule: cfr. BAIETTO, Una politica per le città cit., pp. 499-506. 149

Regesto del «Libro del Comune» cit., p. 285, doc. 12. 150

I Bard facevano salvo il conte di Savoia, FALOPPA, Tracce di aristocrazia valdostana

cit., p. 662; già nel 1180, nei patti relativi al transito delle mole, essi riconoscono la superiorità del

comune eporediese, op. cit., pp. 658-659; nel 1214 si riconobbero vassalli del vescovo di Ivrea e

del conte di Savoia, p. 663.

Page 36: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

37

con il vescovo – i signori di Burolo (gennaio 1203), di Fiorano e i conti di San

Martino (febbraio 1205)151

.

Nel biennio 1212-13 questo progetto politico raggiunse la sua massima

espressione. Gli eporediesi stavano da qualche tempo incrementando

vigorosamente il controllo su uomini e signori del contado152

mediante il patto

«vicinium et habitaculum»153

: queste e altre azioni154

, benché denunciassero

ampia autonomia dei signori rurali, lesero gli interessi del comune di Vercelli, che

per tutta risposta nell’aprile del 1210 terminò la fondazione del borgo franco di

Piverone, nel territorio diocesano di Ivrea. Fu in questa fase che gli Eporediesi

allacciarono un’alleanza, destinata a durare fino al 1229, con il consortile dei conti

del Canavese155

, al quale, allora, aderivano alcune delle famiglie signorili del

contado: Biandrate, Valperga, San Martino, Castelnuovo, Front, Brosso, Agliè,

Castellamonte. Nel 1213, i conti giurarono di stare «secundum preceptum

potestatis vel consulum», promettendo inoltre «armaturas personarum, munitiones

civitatis et castrorum et equos emere»156

; in cambio ottennero la cittadinanza e il

riconoscimento di alcuni diritti157

. Ma l’ombra dell’episcopato emerse anche in

151

Il libro rosso cit., pp. 145-147, docc. 161-162 (Burolo); p. 90, doc. 110 (Fiorano): sulla

vicenda del castello di Fiorano si veda A. LUCIONI, Da Warmondo a Ogerio, in Storia della

Chiesa di Ivrea cit.; Il libro rosso cit., pp. 167-168, doc. 177 (San Martino): questi giurano fedeltà

al comune di Ivrea che li investe per «rectum et gentilum feudum» del castello e di tutto ciò che

era «in villa et curia et poerio di Casteglonum». Non v’è notizia di un giuramento di

«habitaculum» da parte dei San Martino verso l’organismo comunale eporediese come fu invece

per i Castellamonte e i Valperga negli ultimi anni del XII secolo, OREGLIA, Le famiglie signorili

cit., pp. 39-40. 152

Una decina entro il 1210 e circa quaranta fino al 1220; in Il libro rosso cit., pp. 1-18,

docc. 1-20, pp. 20-22, docc. 23-26, pp. 45-89, docc. 52-108, si ritrovano formule come «carta

habitaculi» o «carta obligationis pro habitaculo». 153

Regesto del «Libro del Comune» cit., pp. 299-301 e 304, docc. 34-42, 51-53; cfr.

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 833-834. 154

Ottenuta la piena solidarietà dagli enti religiosi eporediesi e, in agosto, dal neo eletto

vescovo Oberto, il comune di Ivrea, ritenuto insufficiente tale appoggio, dapprima cercò di colpire

economicamente il vicino e più potente rivale, bloccando l’esportazione delle macine e

aumentandone in seguito il pedaggio. 155

Si veda oltre cap. IV. 156

Il libro rosso cit., p. 175, doc. 182; FALOPPA, Società e politica cit., pp. 281-282. L’anno

precedente, il podestà Gaspare Avogadro si disse «civitatis Yporiensis et societatis Canapiensis»

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 95, doc. 65; cfr. BAIETTO, Una politica per le città cit., p.

492 sgg. 157

Come quelli di «eligere annuatim ante quam terminus potestatis vel consulum qui pro

tempore fuerint sit finitus», di giudicare i propri uomini e i reati commessi da uomini loro

sottoposti nei confronti dei dipendenti di altri signori del consortile: solo in caso di

inadempimento, dopo due mesi, il podestà si riservava il diritto di intervenire. Il comune,

nonostante le concessioni che ne sottolineavano ancora una volta la sua debolezza giurisdizionale,

riusciva, almeno per via mediata, a estendere il proprio controllo e a coordinare il territorio

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38

questa occasione: promettendo il cittadinatico, i conti riservarono i propri obblighi

tanto verso l’imperatore quanto verso la chiesa vescovile («defendere civitatem

[…] contra omnes homnes salvo imperatore et ecclesia yporiensi»), la quale parve

accondiscendente nei confronti di quest’alleanza, dati gli interessi che aveva nel

contrastare l’espansione del comune rivale di Vercelli158

. Tale strategia politica

rappresentò una realtà «quasi isolata»159

, ma benché limitasse possibili progetti

espansivi di entrambe le parti, gettò le premesse per lo scontro con i Vercellesi160

.

Nei primi trent’anni del Duecento si formò una «diarchia» fra comune e conti161

che, qualificandosi come aggregazione istituzionale, non intaccò l’identità delle

due forze, poiché mantennero ognuna la propria individualità162

. Un esempio

concreto di ciò è fornito dalle vicende dei signori di Settimo, i quali furono

sempre legati al comune di Ivrea, ma parteciparono come castellani, e senza avere

alcun legame parentale, al consortile dei conti del Canavese163

.

In questa fase (1213-1226) le iniziative politiche del comune – cittadinatici

e accensamento di terre comuni – proseguì164

e non si fermò dopo lo scioglimento

dell’alleanza con il consortile canavesano (fra il 1229 e i 1231). In seguito, il

comune ricorse di nuovo al legame con i conti del Canavese165

, benché essi si

trovassero contrapposti politicamente – i San Martino con i loro parenti e dagli

canavesano e gli uomini atti alle armi, e sottoposti ai signori, che ne facevano parte; così in

PANERO, Il «Libro rosso» cit., p. 59. 158

PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 932; va più nel dettaglio BORDONE, Potenza

vescovile cit. 159

Op. cit., pp. 834-835. 160

Nonostante fossero già intercorsi dei rapporti fra questo comune e l’aristocrazia

canavesana, dal 1206 fu vietato agli abitanti di Vercelli il prestito ai «comites de Canaves

habitante a flumine Durie insusum versus Canavesus» e ai conti di Biandrate, Documenti

dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea, a cura di G. COLOMBO, in Pinerolo 1901

(Biblioteca della Società Storica Subalpina, VIII), p. 39-40, doc. 22. 161

Si è parlato anche di «ménage à trois» fra episcopato, comune e consortile Canavesano,

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 825. 162

FALOPPA, Società e politica cit., p. 283: infatti, il giuramento di «cittadinatico» era solo

potenzialmente la premessa di un’affermazione urbana o di un mutamento interno all’istituzione

cittadina, G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli 1981, p. 176 sgg. Va

anche detto che la guerra con Vercelli sottolineò in ogni aspetto la fragilità di questa alleanza; si

veda OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 57 sgg. 163

Op. cit., p. 272, n. 8 e pp. 307-314; si veda anche PANERO, La grande proprietà cit., p.

861-862. 164

Il libro rosso cit., pp. 1-200. 165

Nel 1253-54 fu podestà di Ivrea il conte Corrado di Valperga, già podestà del consortile

composto dalla sua famiglia e quella dei castellani canavesani; nel 1255 Enrico di Masino fu

podestà sia del comune sia del consortile dei Valperga, Il libro rosso cit., pp. 104-107, docc. 125,

125 ins. 1 bis., 126.

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39

anni Sessanta del secolo i Castellamonte da una parte, i Valperga e i Masino

dall’altra –, non riuscendo più a determinarsi come vertice feudale né come centro

di convergenza politico-territoriale: infatti, continuò a esercitare soltanto un labile

controllo sul territorio – attraverso la custodia del castello di Settimo, la

superiorità feudale nei confronti di alcuni castellani, oppure, in forma mediata,

grazie ai signori che prendevano casa in città – che non gli permise di organizzare

un’area che travalicasse i confini di un distretto limitato alla città e ai pochi

castelli vicini166

.

4. L’aristocrazia militare del contado

La posizione occupata dall’aristocrazia rurale nella rete di rapporti

vassallatici e clientelari presenti in area canavesana è già più volte emersa nelle

pagine precedenti. Ma per rintracciare legami feudo-vassallatici riconducibili ai

conti e ai castellani, occorre analizzare la situazione documentaria e il contesto in

cui poterono crearsi tali rapporti. Per esempio, dai documenti di area eporediese

emergono, infatti, forme di contratto – il cui contenuto poteva essere la cessione

limitata nel tempo o la vendita di quote di terra in cambio di un affitto e, talvolta,

di obblighi specifici – in cui si traspare l’intenzione di adottare «rapporti

contrattuali di alto livello alla stregua di raccordi vassallatico-beneficiari»167

. I

soggetti maggiormente interessati erano notabili locali o «boni homines»168

: è in

questo gruppo di rustici che rientravano coloro che spesso affiancano nei

documenti i signori canavesani; essi, lontani dall’essere membri di famiglie

signorili169

, appartenenti a quei settori della società che grazie a una solida base

166

Il controllo dei castelli vescovili (Montalto, Chiaverano, Pavone, Albiano, Vische) era

soltanto temporaneo perché frutto di un impegno attivo solo nei periodi di sede vacante; la

fondazione del «castelfranco» di Bollengo nella primavera del 1250 fu possibile solo grazie alla

copertura politica del capitano imperiale, PANERO, Il «Libro rosso» cit., pp. 60-62. 167

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 432; a questo riguardo, è bene ricordare che «forme

clientelari non significa vassallaggio, o meglio non significa solo vassallaggio»: per sancire un

legame era frequente l’uso di «libelli», «enfiteusi» e «precarie»; vendere, donare e affittare terra

non era mai un atto puramente economico, ma una «manifestazione di un legame, di una

solidarietà», ALBERTONI, PROVERO, Il feudalesimo cit., pp. 73-74. 168

PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., p. 188. 169

Nella sua analisi Oreglia più volte formula seri dubbi sull’appartenenza alle famiglie

comitali di individui identificati con il semplice nome del luogo in cui probabilmente risiedevano:

ad esempio, si veda OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 61-62.

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fondiaria risultavano attivi politicamente in sede locale170

. E così, ogni famiglia

comitale aveva, sotto di sé, come vassalli gli uomini delegati alla custodia dei

castelli aviti, e aveva stretto rapporti almeno clientelari con le élites contadine dei

luoghi in cui esercitava un saldo potere signorile171

.

La famiglia di cui si ha maggiormente notizia di questi legami intrapresi a

livello locale è quella dei conti di Valperga: di ciò si ha certezza nel legame che

unì questi conti alla famiglia di Guglielmo «Drous de Gualpergia»172

; i

discendenti di Guglielmo, per distinguersi dalla famiglia comitale, assunsero il

nome del capostipite «Drous» come cognome (Droenghi)173

. A loro si aggiunsero

i «de Doblatio», forse proprietari – non senza qualche dubbio – di una torre,

edifici e terra colta e incolta «in territorio Ponti ubi dicitur ad Dobias»,e

probabilmente anche i Descalzi, a loro volta in rapporti stretti con i San

Martino174

. Inoltre, coloro che aggiunsero al proprio nome il predicato «de

Maçadio» (Mazzè) furono, con molte probabilità, personaggi legati ai Valperga da

un giuramento di fedeltà175

. La famiglia dei Silvesco (o Silveschi) possessori di

parte del castello di Salto «cum curte et poderio» e signori in Salto e Priacco, era

legata, vassallaticamente come i Droenghi, ai Valperga, ma anche ai San

Martino176

. Infine, nel 1272 Giacomino Manera di Cuorgné, detto «Blancio», cede

al conte Pietro di Valperga quattro sedimi in Rivassola, di cui viene in seguito

170

Individui spesso ascrivibili alla categoria degli «agenti del potere», membri dell’élite

contadina coinvolti in rapporti clientelari che spesso assumevano forme specifiche – ingresso nella

masnada signorile, attribuzione di incarichi e funzioni, convocazione per testimonianze o arbitrati,

la concessione di terre a condizioni particolari, come il «feudum scutiferi» – e per i quali

amministrazione del patrimonio e servizio militare, a metà strada fra milites e pedites, sono gli

incarichi che meglio ne definiscono la posizione sociale, PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., p.

147-149, 189; riguardo al feudum scutiferi e alla figura dello scutifer si veda F. MENANT,

Lombardia feudale: studi sull’aristocrazia padana nei secoli X-XIII, pp. 277-293; cfr. BARBERO,

Vassalli, nobili e cavalieri cit. 171

Si veda per questo il capitolo sui beni fondiari delle famiglie aristocratiche (III). 172

Infatti, egli prestando fedeltà nel 1249 a «domino Conradus electo et procuratori» della

chiesa di Ivrea, per un feudo sito «in castro et ville et poderio et territorio» di Montalto di cui era

stato investito da «Martinus Longus», membro del consortile dei signori di Montalto, fece salva la

fedeltà ai signori di Valperga, «sui primi domini», Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 279-

281, doc. 201. 173

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 195; si veda la parte dedicata alla famiglia in

BERTOTTI, La pianticella di canapa cit., p. 22 sgg. 174

Op. cit., pp. 18-20; su Pont è stata dimostrata la cosignoria dei conti di Valperga e quelli

di San Martino, BUFFO, Lessico e prassi cit., p. 404. 175

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 198 sgg. 176

BERTOTTI, La pianticella di canapa cit., p. 21 sgg.

Page 40: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

41

reinvestito e per i quali s’impegnava a dare un censo annuo177

. Più complicato (e

carente dal punto di vista delle attestazioni dirette) rintracciare reti clientelari per

altre famiglie.

I conti di San Martino erano in rapporti stretti con i castellani di Candia178

e

i castellani di Castellogno179

. Anche i castellani di Mercenasco, si avvicinarono ai

San Martino180

. Un altro atto di sottomissione ai San Martino si registra nel marzo

1213181

. In un documento del gennaio 1181 – in cui vengono menzionati «Guala,

Martinus, Paynus, Guillelmus comitum de Sancto Martino» presenti in Agliè

come testimoni assieme ad altri personaggi, individuabili nei conti di

Castellamonte e altri signori del Canavese – compaiono anche due fratelli,

«Galdinius» e «Robaldus», detti di San Martino: essi detenevano un feudo in

Vialfrè dai signori di Agliè; «non si tratta probabilmente di parenti dei conti, ma

soltanto di persone provenienti da San Martino», poiché non si trova altra

menzione di questi personaggi. Nel documento i rappresentanti dell’intera

famiglia sono chiamati «a presenziare a un atto di giustizia di una certa rilevanza,

per il quale sono riuniti in assemblea di fronte a tre arbitri buona parte dei signori

del Canavese, ivi compresi alcuni clienti del vescovo, al fine di dirimere una

questione patrimoniale che coinvolgeva beni di notevole entità»182

.

Nel 1181 si apprende che una famiglia – quella di un certo Rofino padre di

Maria e suocero di Raimondo di Castellamonte, nonché zio di Azzone e Alberto,

il quale possedeva sia feudi sia allodi – era legata vassallaticamente ai San

Martino o ai Castellamonte183

. Nel 1186, Guglielmo di Castellamonte fu investito

177

Op. cit., p. 21. 178

Dai quali tenevano un feudo, che a sua volta era di proprietà della chiesa eporediese,

suddiviso fra «Caçaio», Agliè e «Macugnano», quindi nei dintorni di Agliè; altri beni si trovavano

in Loranzè e Parella, e in luoghi di difficile identificazione, come «Sugladio», «Cirriono»,

«Unçasco», OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 273, n. 10. Quando il fronte consortile si spezza,

questi castellani passano dalla parte dei Valperga, dei Castellamonte e dei San Giorgio, e quindi

del marchese del Monferrato, contro la chiesa e i San Martino, op. cit., p. 276. 179

Il legame con i conti di San Martino potrebbe essere stato, in forma molto dubitativa, di

tipo vassallatico: tre castellani di Castellogno, Bongiovanni, Bruno e Giacomo comparvero

insieme ai San Martino e a parecchi altri nella definizione del patto stretto da questi conti con i

comuni di Ivrea e Vercelli del 1232, op. cit., pp. 278. 180

Op. cit., p. 285. 181

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 100-101, doc. 70. 182

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 28-29; Gabotto, p. 29, doc. 16. 183

Il legame della famiglia di Rofino era probabilmente di natura vassallatica, e non di

parentela, nei confronti dei Castellamonte, poiché i nomi erano inusuali alla famiglia comitale e

perché l’assestamento del toponimo di questa avvenne solo a XIII secolo iniziato, e non prima,

Page 41: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

42

da Amedeo di Montalto di proprietà site in Valchiusella, come pegno di un mutuo

che aveva concesso a esso, fatta eccezione per la «curtis» di Strambinello, che

Amedeo teneva «in indiviso» con lui184

. Ugolino e Arnaldo, figli di Giacomo

Solero, furono in lite, nel 1249, con Guglielmo «Ponçonus», Raimondo e

Manfredo conti di Castellamonte per un feudo tenuto in Lessolo dai Solero (sito in

«Çerboris»)185

. Probabilmente, i castellani di Torre erano legati ai conti di

Castellamonte «visto che le loro vicende si intrecciarono in almeno tre occasioni

nell’arco di un secolo»186

.

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 217-220; si veda anche Le carte dell’archivio vescovile

cit., pp. 29-32, doc. 16. Questo legame torna anche in documenti successivi e molto distanti l’uno

dall’altro negli anni, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 222, n. 7: è possibile che si trattasse di

un gruppo che s’identificava con le località di Agliè o di Montalenghe; soltanto delle ipotesi

piuttosto difficili da dimostrare potrebbero delinearne lo status. 184

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 34-35, doc. 18. 185

Parte del feudo di «Çerboris» era stato dato in investitura dalla chiesa a Guido di

Lessolo i cui figli l’avevano ceduto ai conti di Castellamonte, mentre un’altra parte, affidata dalla

chiesa a Paolo di Lessolo, era andata ai Solero; il bene rimaneva di proprietà della chiesa: con la

mediazione del presule Corrado di San Sebastiano, i conti investono i Solero e ottengono fedeltà,

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., 228-230. 186

Op. cit., p. 296. I castellani di Loranzè-Arundello, oltre al castello di Loranzè,

possedevano un «feudum Morini de Marcenasco in valle Clivina» e un «feudum decime vallis

Clivine» che farebbero pensare a un legame vassallatico in favore dei castellani di Mercenasco; nel

1179, i castellani di Settimo investirono Giovani Grasso di Montalto di tutto ciò che tenevano in

quel luogo ottenendone in cambio fedeltà vassallatica; molti uomini di Strambino riconobbero i

propri beni e ne fecero fedeltà ai signori Martino ed Enrico di Romano nel marzo 1213; nel 1250

Guglielmo de Civitate giurò fedeltà ai «domini» Bonifacio di Romano e Giacomo Schiena di

Montalto per i beni in Albiano di cui fu investito; lungo tutto il XIII secolo, alcune famiglie

cittadine furono investite di terre e dovevano censi e imposte agli avvocati di Strambino: Abonesi,

Balbo, Bovolo, del Pero, della Porta, Fanuelli, Grasso; op. cit., p. 302; Le carte dell’archivio

vescovile cit., pp. 26-27, doc. 14; pp 101-102, doc. 71; p. 283, doc. 205; PANERO, La grande

proprietà cit., p. 850 sgg.

Page 42: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

43

Capitolo terzo

Fra città e contado: i patrimoni delle famiglie signorili

1. Tipologie di ricchezza delle famiglie signorili eporediesi

Nella prima metà del Duecento, a Ivrea le differenze sociali furono poco

visibili, poiché la sostanziale univocità d’interessi, pur trovando nel governo

comunale un valido motivo di definizione e creazione di un’identità di gruppo, si

espresse nella maggioranza dei casi nell’appartenenza o nel semplice

coinvolgimento con l’ambiente vescovile. All’interno di quest’orientamento

comune, e della partecipazione alla vita istituzionale, della rilevanza politica o

della consistenza patrimoniale che ogni famiglia riuscì a raggiungere, le differenze

individuali furono marcate e condizionate dall’intervento di fattori sociali e

politici diversi187

. Altre vocazioni, come quelle dichiaratamente mercantili,

sembrarono essere in gran parte assenti: infatti, un problema si pone se si affronta

il rapporto allora esistente fra le famiglie eporediesi e il loro effettivo

coinvolgimento nel commercio delle mole, «estremamente delicato e non privo di

rischi di generalizzazioni»188

. Anche la questione sulla percezione dei diritti

pubblici e commerciali in Ivrea è delicata quanto quella delle mole: solo in alcune

occasioni è stata trovata menzione dei detentori, e molto spesso si è trattato di

individui esterni al gruppo dirigente cittadino189

. Quest’ultimi, al contrario,

riuscirono ad arrogarsi alcuni diritti indipendentemente dal consenso del

187

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 235-236. 188

Op. cit., pp. 236-237 e n. 663. Il commercio delle mole rappresentò per Ivrea una delle

«componenti principali dell’economia cittadina», EAD., Percorsi familiari cit., p. 411-415 e nn.

67-76; si veda supra cap. I; riguardo al rapporto fra il Canavese e i signori valdostani e gli

interessi sul confine fra Canavese e Valle d’Aosta, DAVISO DI CHARVENSOD, I pedaggi cit.; cfr.

SERGI, I confini del potere cit., p. 5. 189

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 379-381, doc. 277; 39-40, doc. 327; 140-148,

doc. 403. Un paragone può essere fatto con il caso torinese affrontato in A. FRESCO, Aspetti

simbolici e significato socio-istituzionale negli usi feudali della chiesa torinese nei secoli XII-XIII,

in «Bollettino Storico-Bibliografico subalpino», XCII (1994), 1, pp. 187-188, dove si riconoscono

due livelli diversi di vassallità: un’alta vassallità di tradizione pubblica o comunque signorile (a cui

è affidata principalmente la custodia di castelli con relativi diritti), e una bassa, «stipendiata»

soprattutto attraverso la riscossione di decime e novali (che ricopre un ruolo di «manovalanza» per

le necessità del «senior»).

Page 43: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

44

vescovo190

, il legittimo detentore della giurisdizione cittadina e (in parte)

extraurbana191

.

A condizionare le vicende delle famiglie dell’élite cittadina furono

certamente gli eventi politici vissuti dalla città d’Ivrea che – come ha affermato

Giuseppe Sergi – rappresenta un modello di comune «ad autonomia breve», per

cui il «contesto cronologico» interagì con altri elementi che lo determinarono, ma

che fu esso stesso a determinare192

. Così la fortuna di una famiglia poteva essere il

risultato di un «rilancio», rispetto a «una fase intermedia di recessione che

probabilmente era seguita a una fase di precoce affermazione», come fu per i

Solero; più spesso, tuttavia, si trattava di una «creazione ex novo, sia di

patrimonio sia di status», che probabilmente prese avvio grazie ai mutamenti in

corso verso la metà del secolo XII all’interno della società cittadina193

e in molti

casi si consolidò attraverso i legami con il potere vescovile e gli enti religiosi194

.

I Solero o i de Civitate sono identificabili come quella nobiltà urbana

tendente a una precoce acquisizione di diritti, mentre alcune famiglie, come i della

Rocca o i del Pozzo, mantennero una prevalente fisionomia urbana, con un

patrimonio meno legato al contado e con una tardiva presenza del predicato

190

Ad esempio, si veda infra il caso dei Grasso. 191

Cfr. cap. II. 192

G. SERGI, La comparazione che cambia: le riletture comunali del Settentrione in una

prospettiva italiana, in Città e vita cittadina nei paesi dell’area mediterranea. Secoli XI-XV (Atti

del Convegno Internazionale in onore di Salvatore Tramontana, Adrano-Bronte-Catania-Palermo

18 -22 novembre 2003) a cura di B. SAITTA, Roma 2006, p. 93. 193

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 491-492. 194

FALOPPA, Società e politica cit., p. 236. All’interno delle mura e nel territorio di Ivrea il

monastero benedettino di S. Stefano possedeva beni presso l’edificio monastico (il «Cantonum

Sanctii Stephani», verosimilmente il patrimonio dell’antica cappella), presso la porta di Bando,

attorno alle chiese di S. Nazario, S. Quirico e S. Donato, presso il Paschero, nelle regioni di

Fiorana e San Giovanni, e forse, quattro banchi al mercato cittadino. I possessi fondiari canavesani

di S. Stefano si trovavano alla sinistra della Dora, presso Sessano, Perno, «Roda», Albiano,

Passerano, Piverone, Montalto, e Nomaglio, alla sua destra, presso Baio, Fiorano, Lessolo, Parella,

Loranzè, Pavone, «Vicinasco», Clusellario (tutte a sei chilometri dal centro cittadino), mentre più

distanti erano il manso di Macugnano, il mulino di Carrone (che si affiancava a quelli in Albiano e

Fiorano), la cappella di «Suagia» (Soavia), beni in Valchiusella, presso Romano, Carrone e

Vische; a Loranzè sarebbero stati in possesso del castello del luogo, FALOPPA, Un insediamento

monastico cit., p. 53-55; cfr. LUCIONI, Da Warmondo a Ogerio cit., pp. 162-163.

I possessi del capitolo cattedrale (secoli XI e XII), erano collocati nel borgo d’Ivrea e fino a

Palazzo, Lessolo, Sala, Piverone, Salerano, Rivarolo, Chiaverano, Romano, Pessano e Moirano

(PANERO, La grande proprietà cit., p. 851), oltre a terreni, diritti su decime e pedaggi in Ivrea,

censi e diritti di esazione in Albiano, Pavone, Areglio, Perno, Samone, Vische, Strambino,

Caravino, Fiorano e Bagnolo, Le carte dell’archivio capitolare cit. Per i possedimenti, allodi e

terre concesse in feudo, o accensate, della chiesa vescovile si veda il capitolo precedente.

Page 44: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

45

«dominus»195

. I vassalli cittadini, tuttavia, pur attingendo alla «bannalità

maggiore», contavano su possedimenti di estensione circoscritta, non paragonabili

a quelli di cui godevano le signorie di castello196

: in campagna come in città, il

linguaggio dei notai tendeva a riservare le qualifiche nobiliari alla cerchia delle

famiglie di tradizione militare. Inoltre, «la fluidità riflessa dal legame vassallatico

urbano» si manifestava facilmente in città, dove «era sufficiente il passare del

tempo e l’adozione di uno stile di vita adeguato» perché la semplice iscrizione alle

«cavalcate» si tramutasse in una pretesa di nobiltà, e molto più difficile in

campagna, dove si trattava di «alterare lo stato giuridico di un feudo»197

. Per il

resto, «si può solo supporre che i loro dominatus loci non potessero sopravvivere

senza il consenso di signorie maggiori che, in piccolo, esprimevano ambizioni

riconducibili al modello transalpino dei principati territoriali»198

. Infatti, per

quanto riguarda gli interessi e la partecipazione sul territorio si notano delle

differenze a Ivrea.

L’uso del capitale cittadino per la penetrazione nel contado è una

caratteristica comune alle famiglie che avevano in esse vassalli vescovili, come fu

per i Grasso, i de Mercato, i Genetasio: strategia che si sviluppò poi in senso

aristocratico199

. Gli anni in cui si riunirono i primi consolati coincisero, per le

famiglie dell’aristocrazia consolare, con quelli di maggiore successo: nel

ventennio successivo, «tutte le domus esaminate potenziarono la loro base

fondiaria», in diversi casi estesero il loro patrimonio sul contado200

, come i Solero

e i Grasso, che tesero a «creare enclaves territoriali compatte di allodi o di terre

beneficiarie»201

. Si trattava «di superfici che si misurano più spesso in decine che

in centinaia di ettari, «che non hanno niente a che vedere con i patrimoni dei

grandi monasteri o dei patrimoni delle famiglie dell’alta aristocrazia»202

. La

195

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 237-238. 196

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 403. 197

BARBERO, Vassalli, nobili e cavalieri cit., pp. 625-626. 198

FALOPPA, Società e politica cit., p. 275. 199

BORDONE, I ceti dirigenti cit., p. 40; cfr. DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., pp. 5-46. 200

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 492. 201

FALOPPA, Società e politica cit., p. 173. 202

MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., p. 232 sgg.

Page 45: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

46

concentrazione delle proprietà nella città e nei suoi dintorni è in contrasto con

l’estensione e la dispersione dei patrimoni di alcuni «domini» del contado203

.

Alle famiglie forti da tempo, partecipi alla «militia» cittadina e aperte alla

percezione di diritti signorili o a rapporti politicamente redditizi, si affiancarono

ceti che «basavano la loro ricchezza su elementi di professionalità»204

: un esempio

è dato dai notai, che a Ivrea mostrano «grande duttilità e una straordinaria capacità

di trovare spazio all’interno del ceto eminente»205

.

1.2. I patrimoni delle principali famiglie cittadine

Per i Solero si è già accennato alle confische imperiali che colpirono questa

famiglia: in seguito, i Solero furono costretti a limitare la loro sfera d’azione alla

città d’Ivrea da cui cominciarono a ricostruire il proprio patrimonio fondiario206

.

Nella seconda metà del XII secolo essi ricomparvero, fortemente radicati in città e

nel contado, come collaboratori del loro parente Gaimaro Solero, vescovo di

Ivrea: il suo episcopato fu un «periodo di espansione dei possessi sul contado che

si rifletté positivamente sull’estensione della loro base fondiaria» – assai più

consistente rispetto alla maggioranza dei lignaggi dell’aristocrazia consolare –, un

patrimonio costruito grazie anche alla collaborazione con il vescovo Guido e per

lo più formato da allodi, ma anche da terreni concessi in affitto o in feudo207

.

I Solero avevano allodi presso la Rocca di S. Maurizio (1179), nella Valle di

Montalto (1177), nell’Oltreponte eporediese e fino al torrente Chiusella, in

Albiano, in Fiorano, in Loranzè (1212)208

. Altri terreni erano in Perno e nel

territorio di Albiano (1170); il loro patrimonio arrivò ad estendersi fino a Piverone

– dove possedettero alcune vigne – a Vische e a Palazzo209

. Ancora a Perno erano

possessori di un sedime che nel 1214 fu donato alla chiesa eporediese con ogni

«honor, poderium, districtus», mentre fino al 1203, erano proprietari di una casa

«in Solerio», poi venduta ai canonici, e di un’altra nel «territorium» di Ivrea; fino

al 1205, furano in possesso di tre iugeri di terra e del diritto di riscuotere il fodro

203

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 492, n. 453. 204

Se ne accenna in FALOPPA, Società e politica cit., 318. 205

Op. cit., p. 240. 206

FALOPPA, Società e politica cit., p. 118. 207

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 421. 208

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 813. 209

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 422-423 e nn. 123-125.

Page 46: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

47

sul territorio di Ivrea «ad Pontem Petrum»210

. Nel 1287 (forse già da qualche

tempo) essi fruivano della carica di vicario vescovile211

.

I principali possessi beneficiari, soprattutto ecclesiastici, si trovavano in

Albiano212

, Azeglio, Fiorano, Loranzè, Lessolo e Ivrea. Risale al 1212 la lite per

delle terre d’Oltreponte con il vescovo213

, mentre fino al 1214 versarono un censo

in Lessolo, su una terra tenuta da Giovanni Doverolio214

. Detenevano un feudo

nella ricognizione del 1227215

, mentre altri possessi nella Valle di Montalto

comparvero tra le coerenze di una vendita del 1262216

. Nel 1276 avevano interessi

presso il mulino del vivaio di Chiaverano217

. Nel 1290, il vescovo Alberto

reinvestì di molti beni il «dominus» Ugolino Solero218

. Nel 1292, con ratifica

vescovile nel 1297, Ugolino permutò un beneficio ecclesiastico di Fiorano con un

210

FALOPPA, Società e politica, p. 119. 211

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 157-158, doc. 413; pp. 190-191, docc. 416-417:

per quanto riguarda la natura della concessione del «vicecomitatus Iporiensis ecclesie» i Solero

riuscirono a trasmettersi ereditariamente una carica che in origine aveva natura funzionariale; tale

natura era ancora effettiva nei primi decenni del Duecento, ma nella seconda metà del secolo il

vicecomitatus era diventato una sorta di «pacchetto di diritti svincolato dall’effettivo esercizio di

incarichi funzionariali», fra cui, probabilmente, anche la riscossione di diritti fiscali spettanti in

origine ai vescovi, FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 418, n. 96; la citazione è tratta da BUFFO,

La cogestione di beni e diritti pubblici da parte di comune ed episcopio a Ivrea: prassi, lessici,

attori, tesi di laurea magistrale presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Torino, sezione

di Medievistica e Paleografia, pp. 177-195, in cui si parla della famiglia Solero tra ultimi decenni

del Duecento e primi anni del Trecento. 212

FALOPPA, Società e politica, p. 119. 213

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 90, doc. 63. 214

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 422-423 e nn. 123-125. 215

Si veda supra cap. II. 216

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 27-28, doc. 317. 217

Op. cit., pp. 117-118, doc. 380. 218

Si trattava di investiture ricevute in passato dai suoi parenti (infatti la formula adottata è

«per rectum, gentile et antiquum feudum») di un certo rilievo, come la casa in cui è solito

soggiornare il podestà eletto di anno in anno, confinante con quella di Ugolino e il palazzo

comunale, a cui si aggiungono sedimi, appezzamenti, vigne, generici terreni, benefici, decime

(quella per il transito verso la Valle di Montalto, quella presso le mura di Ivrea, quella presso il

lago Siriaco [Sirio], quella di porta Bosone, di Sant’Eusebio di Montalto, quella ricevuta da Enrico

della Porta e quella che teneva dalla chiesa di San Francesco, alle quali si aggiungono la nona

parte della decima d’Oltreponte, metà delle decime «veteris» di Lessolo, quella nel territorio di

Mercenasco, la sesta parte della decima «sua de Burgari», il diritto di pedaggio che ha in Ivrea, la

curadia «de illis qui manent ultra elex citramontes», la metà «erbarii omnium bestiarum

extranearum» che venivano a pascolare nel territorio di Ivrea) e terreni, prati, boschi e altri beni di

difficile definizione e localizzazione; venivano inoltre ricordate le «advocatie» delle chiese di San

Vittore di Villate, tra Mercenasco e Musobolo, di San Martino «de Burgaro» – identificabile con la

chiesa romanica (rifatta nel ‘700) di San Martino, tra Azeglio e Settimo Rottaro – e di

Sant’Ambrogio «a Vigintiuno»; per queste ultime due si veda G. FORNERIS, Romanico in terre

d’Arduino, Ivrea 1995, pp. 311, 328-330; cfr. con quanto afferma A. PIAZZA, In chiesa e nella vita.

Luoghi istituzionali e scelte religiose nel XIII secolo, in Storia della Chiesa di Ivrea cit., pp. 292-

297 sull’Ospedale de’ Ventuno o di S. Antonino.

Page 47: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

48

allodio di Pavone posseduto da Giacomo di Fiorano219

: il carattere giuridicamente

feudale di quanto si permutava venne trasformato in allodio (e viceversa per

l’allodio di Giacomo) grazie all’intermediazione di Giorgio Solero, vicario

vescovile, mentre il figlio di Ugolino, Giacomo, agiva da procuratore per il padre.

La politica di rafforzamento patrimoniale e di promozione sociale attraverso

i legami con l’ambiente religioso di Ivrea fu da loro individuata non in un

rapporto esclusivo con singoli enti, come quello di S. Stefano (che contraddistinse

parte o l’intera strategia di potenziamento di altre famiglie, come i Brusato, de

Civitate, del Pozzo, della Torre, Grasso, Genetasio, Salerano220

, e come gli stessi

Solero, i quali riuscirono tra l’altro a installarvi come abate un loro membro,

Filippo), ma nel legame con diverse realtà (religiose, ospedaliere e di

assistenza)221

. Il luogo destinato ad accogliere i membri maschi della famiglia fu

allora S. Stefano, oltre al capitolo cattedrale222

, mentre è stato accertato il

coinvolgimento, anche di alcune donne, con il cenobio cistercense femminile di S.

Michele223

, sempre a Ivrea. Inoltre, un’altra strategia di potenziamento adottata

dai Solero fu quella della partecipazione al governo comunale. Solero, ma anche

de Civitate s’identificarono soprattutto con le dinamiche interne al mondo

cittadino: essi erano capaci di raggruppare una notevole quantità di denaro e di

investirlo nell’acquisto di terre, usandolo talvolta per prestiti e garanzie, fatto che

faceva di loro famiglie «imprenditrici», tese alla creazione di «patrimoni

compatti»; i Solero verso il contado, i de Civitate soprattutto in città224

.

I de Civitate formarono un gruppo coeso che basò la propria ricchezza e il

proprio prestigio su un patrimonio fondiario e immobiliare prevalentemente

urbano. Ma alcuni loro possessi allodiali si trovavano anche in Vische, «Salexio»,

Livione e Palazzo, percepirono un censo e il fodro nel territorio di Perno (fino al

1202) e ricevettero in beneficio un manso a Sessano dal vescovo Gaimaro

219

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 176-178, doc. 433. 220

FALOPPA, Un insediamento monastico cit., pp. 33-36 sgg. 221

Si veda PIAZZA, In chiesa e nella vita cit., pp. 291-302. 222

ALBERZONI, Da Guido di Aosta cit., p. 247, n. 243. 223

C. SERENO, Il monastero cistercense femminile di S. Michele d’Ivrea: relazioni sociali,

spazi di autonomia e limiti di azione nella documentazione inedita dei secoli XIII-XV, Torino 2009

(Biblioteca della Società Storica Subalpina, CCXXII), I, pp. 131-132. 224

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 406.

Page 48: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

49

(1182)225

. Nel 1168 Oberto fu eletto «curator» dal vescovo Gaimaro nella gestione

del patrimonio della famiglia Tagliandi, mentre nel 1195 si trovarono uniti ai loro

consorti nella lite sorta con Aicardo di Burolo per i diritti riguardanti la pesca sul

lago Trelago226

. Molti anni dopo (1250) per un beneficio in Albiano Ardizzone

doveva fedeltà a Guglielmo, signore di Romano, e a Boemondo del fu «dominus»

Giacomo Schiena di Montalto227

. La disponibilità di denaro liquido permise loro

di essere attivi sul contado e in città, e di candidarsi quali fideiussori, ruolo

favorito dai numerosi legami con le istituzioni religiose di Ivrea. L’attenzione

economica di questa «domus» fu rivolta anche ai rapporti con individui o gruppi

attivi nel commercio e nell’artigianato228

.

La famiglia dei Grasso dispose di un «patrimonio di dimensioni imponenti»

fra città e contado229

, che fu ridefinito in senso aristocratico e signorile attraverso

l’acquisizione di diritti e forse grazie alle strategie matrimoniali con altre famiglie

(portate avanti da singoli individui, come Evrardo e Guglielmo), fu un fattore di

progressiva affermazione nella vita istituzionale: infatti, i Grasso, a differenza dei

Solero e dei de Civitate, non trovò sufficiente legittimazione nell’appartenenza

familiare, ma necessitò di essere «costruito» mediante acquisizioni e

rafforzamenti patrimoniali230

.

I rischi di parcellizzazione del patrimonio furono ridotti231

, poiché fu

concentrato nelle mani di Evrardo e Guglielmo, insieme a Bongiovanni, e solo i

primi due ebbero un ruolo decisionale nelle transazioni delle proprietà232

. Il lungo

elenco di possessi allodiali contava di beni cittadini «subter Pusternam» (1133),

nella zona nord-occidentale della città, una casa accensata presso la cattedrale

(1158), un terreno, anch’esso dato in censo, presso S. Stefano (1178), e un diritto

signorile di successione su una persona, contestato dal vescovo,

nell’Oltreponte233

. Altri allodi, fuori Ivrea, erano: terreni in Palazzo (1175),

Lessolo (1188) e nel territorio di Albiano (1189), appezzamenti nel borgo di Ivrea,

225

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 145-148. 226

Op. cit., p. 139. 227

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 283-284, doc. 205. 228

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 145-148; cfr. EAD., Percorsi familiari, pp. 438 sg. 229

FALOPPA, Società e politica cit., p. 130. 230

Op. cit., 137-139. 231

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 428. 232

FALOPPA, Società e politica cit., p. 131. 233

BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 815.

Page 49: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

50

«in Pratis de Pontixello» in indiviso con Ardizzone di Salerano e Pietro Grasso,

mentre altri si trovavano a Pavone (1195), boschi e vigne a Romano, Mercenasco

e Strambino. Dell’effettiva estensione del loro patrimonio, e dell’integrazione al

possesso allodiale di lavoro diretto su terre date in censo ad altri, si ha notizia

nell’atto di vendita (di allodi e benefici) in favore dei figli del «dominus» Oberto

«de castro Romani» (ai quali i Grasso si legarono per via matrimoniale), di censi

in Pavone, nei territori di Mercenasco e Romano, nella città e nel territorio di

Ivrea, in Clusellario, Moirano e Strambino, più il censo che erano soliti versare

agli eredi del fu Restaldo più «duos fodrum regale» (1207). Vari altri beni si

trovavano in Piverone «cum omnibus pertinentis et cum omni honore» e a Ivrea

(in contrada S. Maurizio e nei pressi della chiesa di S. Olderico, dove

possedevano una casa)234

.

I Grasso beneficiarono di beni siti in Albiano, in Anzasco (tra cui una

decima), in Bollengo (un manso avuto da Ottobuono di Bollengo e tutto ciò che

teneva da Giacomo Carta di Bollengo) e tre case in Ivrea, di cui una «in Bando»

(1221)235

. Nel 1240, Giacomo Grasso possedeva benefici datigli dai fratelli

Manfredo ed Enrico di Montanaro236

; nel 1255, il vescovo Giovanni investì i

«domini» Rufino e Gaspare di una casa, dai quali ottenne giuramento di fedeltà237

(questa famiglia non possedette benefici ecclesiastici almeno non prima di avere

propri membri fra i «pares curiae» vescovili, ovvero dal secondo decennio del

Duecento in poi). Un altro beneficio ecclesiastico si trovava in Pavone (1256)238

,

mentre nel 1293, un Marino Grasso è coinvolto in una vertenza contro il vescovo

Alberto, per un appezzamento di terra239

. I Grasso, grazie a questo enorme

patrimonio disposero di ampia liquidità, tradotta presto in attività creditizia240

.

A inizio Duecento, i Salerano lasciarono le magistrature comunali per

amministrare un patrimonio che, probabilmente, aveva subito una contrazione e

234

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 128 sgg. 235

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 139, doc. 98. 236

Op. cit., p. 239, doc. 173. 237

Op. cit., pp. 354-355, doc. 250: «cum cupis et lignamine et curte et edificio et pecia una

terre culte et arboribus» comprata alla «domina» Bonavera, moglie del fu «dominus» Raimondo di

Oltreponte. 238

Op. cit., p. 363, doc. 259. 239

Op. cit., pp. 180-181, doc. 436. 240

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 427-428.

Page 50: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

51

chiedeva di essere rafforzato241

. Esso era costituito da molte terre avute in

beneficio dal monastero di S. Stefano (già nel 1180), mentre nel 1188 Ardizzone e

Omodeo di Salerano erano possessori di terre presso Lessolo242

. A guidare la

politica patrimoniale fu il «dominus» Rufino, il più attivo del gruppo familiare,

che nel corso degli anni ricevette diversi benefici dal monastero di S. Stefano: si

trattava di beni presso il Monte Ubaldo e, mediante enfiteusi, nel territorio «et in

campania» d’Ivrea (1240), mentre ottenne nuove terre in censo da S. Stefano nel

territorio di Ivrea l’anno dopo e altre nel 1251; risale al 1262 la vendita di diversi

suoi possessi a Guglielmo «Drous» di Valperga nel territorio di Ivrea243

.

La strategia adottata dai de Mercato fu singolare244

: la fonte di ricchezza fu

individuata nel possesso della terra, con particolare attenzione al «territorium»

cittadino245

. Infatti, i membri di questo gruppo contavano su un patrimonio urbano

che assicurò loro la netta prevalenza in alcuni borghi cittadini246

: avevano possessi

allodiali nel Pasquero (1188), altri «in Campagnola» (1184), presso la rocca di S.

Maurizio (1206), vicino S. Quirico e nel territorio di Ivrea e una quota di due case

condivise con Oberto di Salerano in località «Petram Marie» (fino al 1203),

presso la rocca di S. Maurizio; altri terreni erano in «Vicinasco» (presso Ivrea) e

in località «la Grossa»247

. Il secolo XIII si apre con uno spostamento degli

interessi della famiglia verso il contado: nel 1213, avevano benefici vescovili in

Pessano, allodi si trovavano nel territorio di Bollengo (1225), altri nel territorio di

Fiorano; la famiglia aveva due iugeri di terra nella valle di Montalto (1259) più un

altro nella medesima valle (fino al 1255), mentre alcuni allodi erano raggruppati

attorno a Samone248

. Nel 1255, investirono «per rectam et perpetua censariam»

241

Op. cit., pp. 446-447. 242

Op. cit., p. 446: «dominus Petro de castro Mercenaschi» concede in censo al canonico

Gregorio la sua porzione di due prati che si trovano a Lessolo e che deteneva in indiviso con

Ardizzone di Salerano. 243

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 444-445. 244

I suoi membri non si limitarono alla sola partecipazione alla politica cittadina, ma anche

alla costruzione di un patrimonio laddove si manifestò maggiormente la concentrazione di attività

umane, alla creazione di una rete di legami con il ceto eminente urbano e con le nuove forme

consociative di stampo religioso, alla creazione di attendibilità e prestigio propri, non attinti dalla

legittimazione vescovile, canale di affermazione mai percorso dai suoi membri, op. cit., p. 468. 245

Op. cit., p. 459-460. 246

FALOPPA, Società e politica cit., p. 134; ciò farebbe pensare a un interesse per le attività

commerciali, EAD., Percorsi familiari cit., p. 460. 247

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 198-201. 248

Op. cit., p. 201

Page 51: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

52

Ottino di Candia e suo figlio Giovanni di una casa in Ivrea, presso «domum

novam domini» Ardizzone Taglianti249

. Nel 1248 diedero alcuni averi alla chiesa

eporediese250

, e un appezzamento in Pavone fu venduto a un nipote di Girodo,

signore di Bard (1262)251

; nello stesso anno rimettevano al vescovo Giovanni un

prato in Albiano252

. Nel 1272, vendettero al vescovo un sedime e alcuni terreni

nella villa di Albiano253

; in quegli anni possedevano altri terreni in Buo254

. Il

biennio 1206-1207 fu un momento di svolta per le vicende di questa famiglia:

quasi tutti i de Mercato, infatti, si fregiarono del predicato di «dominus»255

e,

parallelamente, s’intensificò la loro attività nella Confraria di S. Spirito d’Ivrea e

nella gestione economica delle terre che la Confraria aveva ricevuto256

.

I Brusato possedevano una casa in Ivrea presso la cattedrale (1153), forse la

stessa che Bosone teneva in affitto da Evrardo de Civitate nel 1169. Questa

famiglia ricevette terre dall’abate Garnerio di S. Stefano, a Montalto (1177),

mentre nel 1167, Oberto di Bosone, uno dei membri più attivi della famiglia, fu

investito di una terra presso S. Maria dai figli di Oberto de Civitate: anni dopo

(1181) prese in affitto quattro appezzamenti in Ivrea posseduti da Giacoma, del fu

«dominus» Tiberio, e dal «dominus» Fanoello di Rucamerdosa, mentre nel 1183

acquistò terre a Chiaverano; insieme a Bonamico possedeva una casa «pro

indiviso» in Ivrea (la sua parte fu donata ad Aimone, notaio, nel 1202); acquistò la

casa «in Solario» da Bonagente Solero e sua moglie Bellavia (1203) e poco tempo

dopo, con Bonamico e Riccardo cedette al monastero di S. Stefano dei terreni in

Piverone257

. Mente la famiglia de Vita riuscì a incrementare il proprio patrimonio

249

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 156, doc. 112; pp. 228-230, doc. 168; p. 357 sg.,

doc. 252. 250

Op. cit., pp. 267-268, doc. 194. 251

Op. cit., p. 21, doc. 310. 252

Op. cit., p. 25 sg., doc. 315; tra le coerenze sono indicati i Tagliandi di Ivrea. 253

Op. cit., p. 97, doc. 356. 254

Op. cit., pp. 102-103, doc. 352. 255

FALOPPA, Percorsi familiari cit., 462-464. 256

Op. cit., p. 466 sg.: nel 1213 Adamo del fu Mainardo di Fiorano donava a essa, a

Benedetto de Mercato e a Rodolfo Caldera una terra che confinava con «dominus» Giacomo de

Mercato; nel 1226, Ivoreo confinava con terre «retro Guarnero», e aveva ricevuto terre «in

Campagnola». 257

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., pp. 467-469.

Page 52: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

53

fondiario durante gli anni Novanta, concentrato tra Ivrea, Albiano, Bollengo,

Burolo e Montalto: tra i suoi membri, il più attivo fu certamente Brolino258

.

Almeno fino agli anni Trenta, è impossibile ricostruire il patrimonio

fondiario della famiglia Genetasio259

: ma già nel 1188 avevano possessi nel

Paschero, e nel territorio di Lessolo (1192), altri erano in Albiano (fino al 1207),

erano proprietari di metà di un sedime e di una vigna, posseduti in indiviso con

Boiamondo de Mercato. Semplici possessi si trovavano presso Azeglio (1209),

beni di proprietà presso il pozzo di rocca S. Maurizio (1213); fino al 1222,

percepirono un censo su una casa e un terreno situati a Ivrea presso la porta di

Bando, mentre ebbero in censo un appezzamento nel «poderio» di Chiaverano da

Manfredo di Ottone, di Chiaverano (fino 1287)260

.

La famiglia della Torre aveva proprietà allodiali e diritti signorili, come può

far arguire la precoce adozione del predicato «dominus» di Evrardo261

. Contavano

su terre nel Paschero (poi donate al monastero di S. Stefano nel 1163), un loro

manso si trovava in Salerano («cum omni honore»), mentre erano proprietari di

una casa presso la rocca di Sant’Orso (1169): la chiesa di S. Maria acquistò tutte

queste sostanze e tutti i diritti nel 1177. Tre anni dopo, comparvero fra le coerenze

di una terra accensata dal monastero di S. Stefano in «Leonis»; possedevano un

sedime in Salerano che dava reddito, due giunte di terre date in affitto e alberi da

noce, più uno iugero di terra nella valle di Montalto, poi donato alla chiesa di S.

Maria. Una «domina Isabella de Turri» donò alla chiesa di S. Maria una casa

presso la rocca di Sant’Orso (probabilmente la stessa del 1169, nel caso si

trattasse di una parente); nel 1223, «domina Mathelda» donò alla Confraria di S.

Spirito una vigna presso S. Quirico e altre terre alla chiesa di S. Maria. La

famiglia aveva poi terre confinanti con quelle della confraternita di S. Stefano,

«retro Montis Restaldi» (1226) e con una vigna «in Campagnola» (1208)262

.

I del Pozzo possedevano una base fondiaria relativamente esigua, la cui

consistenza andò arricchendosi di nuove acquisizioni nel primo Duecento: i

258

Per le transazioni e un suo breve tratto biografico si veda op. cit., pp. 469 sg.; cfr. Le

carte dell’archivio vescovile cit., pp. 228-230, doc. 168. 259

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 469-470. 260

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 153-154, doc. 410. 261

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 454. 262

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 218-221.

Page 53: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

54

membri di questo lignaggio non attuarono un progetto di controllo delle zone

cittadine strategiche (come anche nel contado) o un coinvolgimento nell’ambiente

vescovile da cui trarre benefici263

. Il loro fu un patrimonio più edilizio che

fondiario o fondato sulla riscossione di diritti, diverso da quelli «costruiti» da altre

famiglie264

. Nel 1171, in un documento che riguardava una donazione di terre in

Valchiusella a S. Stefano, l’ente s’impegnava a dare quattro denari all’anno in

forma di censo a Filippo del Pozzo265

. Nel 1232, i membri di questo gruppo

possedevano terre nel podere di Samone in località «Roncallum»; tre anni dopo

una coppia di coniugi teneva una casa di proprietà dei del Pozzo; nel 1216,

vendevano una casa e una cella nel territorio di Ivrea a Giacomo Recagno di

Montestrutto; una loro vigna in Albiano fu data in beneficio a due fratelli canonici

(1212). Quando il «dominus» Giacomo di Barone (1216) e il marchese del

Monferrato (1223) ottennero le case per il giuramento di «habitaculum» a Ivrea,

queste furono fornite al comune rispettivamente da Milo e Guido del Pozzo;

infine, nel 1237, delle terre nella valle di Montalto furono lasciate da Milo «pro

anniversario suo et patris et matris sue», più due case (di cui una «ad Puteum»)

agli enti religiosi di Ivrea266

. Nel 1239 «illi de Puteo» avevano possessi nel

territorio di Fiorano267

.

La famiglia dei Suriano d’Albiano, pur concentrando i suoi interessi politici

in Ivrea, possedeva parecchie terre ad Albiano. Nel 1153 Suriano aveva beni a

Palazzo e confinava con una terra venduta a Ivrea e, ormai raggiunto il titolo di

«dominus» (ultimi anni del XII secolo), concesse alcuni terreni a Ugo e Giacomo

di Oltreponte. Con il consenso dei figli e del nipote cedette al vescovo Oberto, nel

1216, i suoi cospicui possessi ad Albiano detenuti «de iure e de facto», mentre fu

il figlio Tommaso, nel 1231, a cedere a Oberto tutti i diritti sui quei beni ceduti o

263

Op. cit., p. 174. 264

Se mai vi fu un potenziamento, o una collaborazione con il vescovo, probabilmente si

verificò prima della nascita del comune – fase di cui mancano molte attestazioni – o dopo che il

governo cittadino era avviato da decenni, in un momento di contrazione economica, in cui i

modelli signorili esercitavano ormai scarso interesse o erano ancora fuori dalla loro portata, op.

cit., p. 179-180; un documento di difficile datazione, ma sicuramente edito nel XIII secolo riporta

la lite tra la famiglia del Pozzo con il monastero di S. Stefano per un censo dovuto da Enrico su

alcuni beni siti nel territorio di Bollengo per i quali riceveva investitura mediante fitto annuo di tre

soldi segusini, op. cit., pp. 172-173 e nn. 459-460. 265

Op. cit., p. 168. 266

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 171-175. 267

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 228-230, doc. 168.

Page 54: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

55

obbligati dal padre quindici anni prima: ciò si verificò dopo che egli contrasse un

debito con Manfredo Bicchieri, poi ceduto da questo a Oberto, che segnò la fine

della carriera e delle fortune di questa famiglia268

.

Per quanto riguarda la famiglia dei Caldera, di centrale interesse è il legame

intrattenuto con il presule da Rodolfo269

, che durante la sua attività di canonico,

impiegato nelle transazioni patrimoniali riguardanti il vescovo, ricavò prestigio e

ricchezza: fu proprio questa collaborazione il canale attraverso cui questa famiglia

accrebbe il proprio patrimonio270

.

Il potenziamento patrimoniale dei della Rocca cominciò nella seconda metà

del XII secolo con Bongiovanni, che acquistò una terra nel Pasquero (agglomerato

suburbano dove si concentrarono probabilmente le attenzioni di questo gruppo)271

:

costui possedeva una terra nel territorio di Ivrea che fu venduta ai coniugi

Rainerio de Mercato e Giacoma (1184) forse per necessità di denaro liquido272

;

Bonamico, invece, aveva avuto benefici dal «dominus» Giacomo di Rucamerdosa

(1187). Intorno al 1216, l’estensione patrimoniale di questa famiglia si estendeva

probabilmente dal battistero di S. Giovanni alle chiese di S. Quirico (nel terziere

di «Civitas») e S. Pietro; in questi anni, Bongiovanni entrò in lite con l’abate di S.

Stefano circa alcuni censi e terre273

. Un «dominus» Bonifacio di Ruca, «civis»

eporediese, nel 1287, in qualità di procuratore del fratello Benedetto, prevosto

della chiesa d’Ivrea, investì un abitante di Perosa di quanto avevano fino ad allora

avuto in censo gli antenati della moglie da Benedetto274

.

I Rucamerdosa e i Poma furono legati per oltre un ventennio da un sodalizio

che li vide operare insieme in acquisizioni, alienazioni e attività comuni275

(come

268

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 477. 269

Op. cit., p. 472 sgg. 270

Per le transazioni e le acquisizioni patrimoniali dei Caldera si veda FALOPPA, Società e

politica cit., pp. 230-233. 271

Op. cit., p. 159; Le carte dell’archivio comunale, p. 50, doc. 41. 272

FALOPPA, Società e politica cit., p. 159. 273

Op. cit., pp. 163-164. 274

I possessi (sedimi, terreni ricevuti da Benedetto in prebenda dalla chiesa e tenuti, in

passato, dagli antenati di Giacoma, prati e boschi), che col consiglio del «dominus» Raineri di San

Donato, arciprete di Ivrea, furono investiti, erano presenti presso le località di Moirano, «ad

Broglum», in «Campegla», in «Preallo», in «Vilmallo», «ad Richum spateallum», sul retro del

mulino «de Balcono», in «Tronpego» (sono elencate le coerenze del conte di San Martino

Guglielmo e di Giovanni di Cesnola), in «Orcayra» e in «Campagnola», Le carte dell’archivio

vescovile cit., p. 151, doc. 408. 275

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 462.

Page 55: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

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quella creditizia, rivolta soprattutto verso famiglie signorili del contado), mentre

molti beni allodiali si trovavano in Ivrea e nel territorio di Pavone276

. Risale al

1187 la divisione patrimoniale tra il canonico Gregorio Valdano e Giacomo, figli

di Enrico di Rucamerdosa. Gregorio di Rucamerdosa acquistò da Ivoreo de

Mercato un prato a Ivrea (1214) e, inoltre, era proprietario della vigna tenuta da

Giuliano de Ponte; l’intero patrimonio dei Rucamerdosa finì in mano a Gregorio,

il quale lo donò al capitolo nei suoi ultimi anni di vita: fatto che segnò la fine delle

vicende di questa famiglia277

. Per i Poma, un Guglielmo «de Pomo» è citato fra le

coerenze di un terreno in Romano nel 1223278

.

2. Patrimoni fondiari in Canavese

2.1. Le famiglie comitali

Avvalendosi del predicato toponimico adottato, si possono rintracciare i

luoghi a presenza allodiale di ogni gruppo signorile del contado canavesano (e,

per questo, faticosamente rintracciati dalle schedature che hanno analizzato la

documentazione eporediese). Le famiglie del contado adottarono, di volta in volta,

il nome del luogo in cui concentravano i loro interessi politici, o dove erano soliti

gestire il loro patrimonio allodiale, che, verosimilmente, ruotava attorno a edifici

fortificati, come castelli, torri, ricetti, caseforti, o a grosse aziende agrarie, ossia

centri in cui, per tali ragioni, spesso tendevano a risiedere stabilmente279

.

Riguardo ai possessi beneficiari, centrali nelle politiche patrimoniali

dell’aristocrazia militare canavesana, è difficile stabilire se avessero mantenuto

intatto il loro valore di remunerazione beneficiaria in cambio di un servizio

militare, o se i giuramenti di fedeltà fossero il risultato di un compromesso che

permetteva di sanare antiche vertenze per il possesso di terre e di castelli280

o se

avessero un «valore simbolico più che concretamente operante»281

. Sia per i

276

Op. cit., pp. 462-467. 277

Op. cit., p. 466. 278

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 147, doc. 106. 279

I patrimoni signorili contavano su «un insieme di terre, diritti e dipendenti sparsi

all’interno di uno o più villaggi, privo di coerenza territoriale», che trovava il suo unico fattore di

unità nel coordinamento del centro aziendale, e su un ampio numero di diritti, imposizioni e

obblighi esercitabili sui sudditi, molto differenziati tra loro e spesso distribuiti, all’interno di un

insediamento, fra diversi signori, PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., pp. 56 e 130. 280

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845. 281

FALOPPA, Società e politica cit., p. 267.

Page 56: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

57

piccoli sia per i grandi signori rurali, è possibile che l’insieme dei loro benefici

non avesse un contenuto giurisdizionale282

e che il valore simbolico del

giuramento prevalesse sull’aspetto «costruttivo»: ma è altresì probabile che il loro

rango (legittimato dal predicato comitale o dall’importanza delle terre che

controllavano) fosse tale per cui risultasse naturale l’applicazione, anche sulle

terre ricevute dalla chiesa eporediese, di una consolidata pratica di esercizio di

poteri signorili»283

.

Il patrimonio dei conti di San Martino, molto documentato (soprattutto per il

loro duraturo rapporto con la chiesa eporediese), arrivò a estendersi su diverse

località nel (e fuori del) Canavese: comprendeva alcuni possessi allodiali nei

territori presso San Martino (1180)284

, mentre in «castro Strambini» (1244) furono

riconosciuti i diritti rivendicati dal conte Enrico e lasciati in eredità da Giordano

de Villa285

. Ma si dispone di maggiori notizie soprattutto riguardo ai benefici.

I conti di San Martino furono presenti in Romano e Strambino, come anche

in Pavone, dove avevano un beneficio concesso dalla chiesa eporediese, alla quale

fu poi ceduto, e furono possessori di una casa in Ivrea, acquistata in ottemperanza

agli obblighi derivanti dal patto di «cittadinatico» stabilito con il comune

eporediese (1202)286

, mentre nel 1205 giurarono fedeltà287

, ottenendo per «rectum

et gentilum feudum» il castello e tutto ciò che «in villa et curia et poderio» di

Castiglione i loro «antecessores» erano soliti tenere dal comune288

. I conti

avevano ricevuto in beneficio da Filippone di Candia benefici in «Cazayo», in

Agliè e in Macugnano (1221): beni di natura feudale che lo stesso Filippone aveva

avuto dal vescovo d’Ivrea, al quale, in quella data, li aveva restituiti289

; inoltre, i

San Martino ottennero in eredità dai castellani di Burolo (loro parenti) diversi beni

282

Cfr. SERGI, Lo sviluppo signorile cit., pp. 377-386. 283

FALOPPA, Società e politica cit., p. 278. 284

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 28. 285

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 250-252, doc. 181. 286

Il libro rosso, p. 167, doc. 177. 287

Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 328, doc. 92. 288

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 42; in un documento del febbraio 1281 si ha

l’intimidazione del comune di Ivrea rivolta a Enrico di Rivarolo, Gotefredo di Favria e Giacomo di

Castelnuovo, «tutti conti di San Martino», che riguardava l’obbligo di giuramento di fedeltà al

comune per il feudo di Castiglione. Il giorno seguente lo stesso ultimatum fu dato anche a Filippo

di Strambino: il feudo di Castiglione era, quindi, da un secolo nelle mani della famiglia, OREGLIA,

Le famiglie signorili cit., p. 95. 289

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 139, doc. 99.

Page 57: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

58

del luogo290

. Nella ricognizione vescovile del 1227, i San Martino erano in

possesso del feudo di San Martino, appartenente alla chiesa eporediese291

. Furono

investiti da Giovanni, arciprete di Ivrea, di una decima a Romano (1249)292

, il

«dominus» Paino di San Martino, massaro e vice presbitero del capitolo

cattedrale, fu destinatario di una donazione di alcune decime (con annessi diritti

su cose e «accionibus») fatta dal vescovo Giovanni, dall’arciprete di Montanaro,

«dominus» Giovanni, e dal «dominus» Egidio, canonico (1254)293

. Fin dal

1186294

, i conti di San Martino possedevano in forma beneficiaria il castello di

Castelletto295

dal comune di Vercelli: oltre al castello, alla corte e alla

giurisdizione su questo luogo, nel 1229 Ardizzone del fu Paino venne investito

degli «stessi diritti inerenti al castello e alla corte di Gifflenga»296

.

La famiglia dei conti di San Martino, almeno dalla fine del XII secolo, si

divise in rami, frammentando così anche il proprio patrimonio297

. Dalle fonti

analizzate da Oreglia è inoltre emersa «la fitta rete di legami economici e politici

con i quattro poli di potere» che influenzarono le vicende del Canavese nei secoli

XII e XIII: il marchese di Monferrato, i comuni di Vercelli e Ivrea, la chiesa di

Ivrea, oltre naturalmente agli altri signori del Canavese. In ogni caso, l’ambito

d’azione di questi conti fu abbastanza limitato298

: esso rimase interno al Canavese,

salvo in pochi casi299

. A queste parche notizie – difficilmente estrapolate a causa

dello stato lacunoso delle fonti riguardanti i possessi allodiali, che non permettono

290

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 37 sg. 291

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 163, doc. 118 del 7 marzo 1227; OREGLIA, Le

famiglie signorili cit., p. 100 e n. 172. 292

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 274, doc. 197. 293

Op. cit., p. 341, doc. 239. 294

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 51. 295

Le carte dell’archivio comunale cit., p. 22, doc. 10. 296

Località nel vercellese a breve distanza da Castelletto, e finora assente nelle fonti

relative ai possedimenti della famiglia, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 54; Oreglia ha dato,

inoltre, notizia della struttura del patrimonio fondiario dei San Martino intorno al 1254: esso era

fondato sia sul possesso fondiario, sia sull’esercizio di certi diritti connessi al possesso della

castellania, com’era sempre avvenuto in passato; per l’evoluzione del possesso dei conti, op. cit.,

pp. 74-75, 97-98. 297

La questione è affrontata in op. cit., pp. 101-102 e n. 180. 298

Notizie di acquisizioni allodiali (non del tutto accertate) dei conti di San Martino si

trovano in, Il Canavese. Da Ivrea tutto intorno, a cura di G. GULLINO, I. NASO, F. PANERO, Torino

1977, pp. 99-100, 113-114, 207-209, 227-228. 299

Per lo più «avanzi di antichi retaggi o compensi ottenuti da alleati»: la forza economica

e politico-militare dei San Martino «non era certo all’altezza di quella dei loro alleati o dei loro

avversari», e forse per questo si riunirono in un organismo che coordinasse l’azione delle famiglie

signorili, «tutte alle prese con lo stesso problema», OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 102.

Page 58: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

59

di valutare la reale ricchezza fondiaria e del potere coercitivo e fiscale della

famiglia dei conti di San Martino300

– se ne aggiungeranno altre nel corso della

descrizione in un certo modo «indirette», poiché tratte da documenti che

interessano altri gruppi signorili301

.

I conti di Castelnuovo avevano allodi in Pavone e territorio, acquistati da

Manfredo di Moirano e in seguito ceduti al vescovo Oberto (1238)302

. Questi conti

ottennero alcuni beni lasciati loro in eredità dai castellani di Burolo: si può

«notare una certa prevalenza percentuale» – ma Oreglia ha riservato dubbi a

riguardo, dato il numero così limitato di menzioni – di beni tenuti in beneficio

dalla chiesa (nel 1251 avevano un beneficio in Loranzè)303

. Altri beni,

individuabili grazie ad alcune menzioni fra le coerenze, si sarebbero trovati in

Romano304

.

Probabilmente, tra il 1237 e il 1245, i conti di Rivarolo-Front vantavano il

possesso «pro indiviso» con i conti di Valperga del castello di Rivarossa305

. Altri

possedimenti allodiali dei Rivarolo-Front erano in Locana306

e in Loranzè, oltre

ovviamente al castello di Rivarolo e quello di Front, tenendo presente che forse,

come nel caso di Castiglione, e forse di Pont, potevano anche esistere possessi in

comune con il resto della famiglia «consorziata» dei conti di San Martino, per i

quali, però, le notizie sono assenti. Furono investiti nel 1255 del feudo di

Castiglione dal comune insieme ad altri conti di San Martino307

. Manfredo di

Front, conte di Rivarolo e padre di Enrico conte di Rivarolo diede il proprio

assenso alla pace firmata dal figlio308

, il quale s’impegnava ad acquistare beni in

Piverone, Fiorano e «Castrum Francum» in conformità ad alcuni patti (1262)309

:

300

Op. cit., p. 101. 301

Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 77-79, doc. 66. 302

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 220, doc. 159. 303

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 116; Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 284,

doc. 207. 304

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 116; riguardo al sito di Castelnuovo, di cui non si

può dire molto, «poiché compare nelle fonti soltanto come predicato di queste persone» e di cui

«non sono specificati loro possessi di alcun tipo nei pressi», op. cit., p. 143, n. 69. 305

L. cit. 306

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 373, doc. 270. 307

Cfr. op. cit., p. 284, doc. 207. 308

Il libro rosso cit., p. 236, doc. 234. 309

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 124 e n. 13.

Page 59: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

60

l’«actum» fu redatto «in castro Riparolii», per cui il castello e probabilmente

anche tutti i diritti connessi erano in mano a questi conti.

I conti di Masino possedevano un patrimonio di buona estensione, ma

soprattutto di «notevole compattezza»310

. Furono signori incontrastati della zona

intorno a Masino ad eccezione di Maglione, per il quale dovettero ogni cinque

anni giurare fedeltà al comune di Vercelli: ciò dava loro, però, «l’innegabile

vantaggio» dell’alleanza con il potente vicino, da cui derivava una «discreta

libertà di movimento» anche sulle loro terre. Questa famiglia deteneva

strategicamente due castelli (di Masino e di Maglione) posti al confine delle «aree

di influenza di Vercelli e Ivrea», che tra l’altro permettevano loro di controllare i

traffici tra le due città; fu per questi motivi che Vercelli cercò di mantenere buoni

rapporti con questo gruppo parentale311

. I conti di Masino potevano fare

affidamento sulla lealtà degli uomini residenti sui loro possedimenti attorno a

Masino, Borgomasino, Maglione, Settimo (Rottaro), Vestignè, Caravino e

Cossano312

.

Ma spostando l’attenzione ai rapporti intrattenuti con l’ambiente eporediese,

nel 1195 il conte Guglielmo di Masino giurò fedeltà al vescovo Gaido per il

castello di Azeglio e per tutti i beni del villaggio e del territorio posseduti in quel

luogo dal presule, il quale li cedette al conte probabilmente nella forma di feudo

oblato313

. Nel 1220, Pietro fu in lite con il vescovo Oberto per i diritti di «curadia»

sugli uomini di Maglione e Borgomasino314

: figlio di Guglielmo, egli fu uno dei

protagonisti indiscussi di questa regione nella prima metà del Duecento; fu lui a

stringere la vantaggiosa alleanza con Vercelli. Nel 1263, Oddonino acquistò

diversi benefici della chiesa eporediese di cui fu investito dal vescovo

Giovanni315

. Infine, va ricordato che le due famiglie di Valperga e di Masino, pur

essendo imparentate tra loro, furono nettamente separate sul piano patrimoniale,

310

Op. cit., p. 173. 311

L. cit. 312

I Biscioni cit., CVL, pp. 354-355, docc. 165-166; p. 82, doc. 24; cfr. Le carte

dell’archivio vescovile cit., p. 304, doc. 212. 313

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845 sgg.; per la prassi del feudo oblato e del suo

uso come strumento di potere si vedano gli esempi tratti dalla politica viscontea e analizzati in G.

CHITTOLINI, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado (secoli XIV-XV),

Torino 1979, pp. 36, 51-59, 69 sgg., 181-183. 314

Il vescovo rivendicava i diritti ecclesiastici di cui erano stati investiti per trent’anni

Guglielmo Forneris, Gualterio, Guglielmo Picoto e Oberto del Pero. 315

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 32 sgg., doc. 322.

Page 60: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

61

come non fecero mai uso «contemporaneamente» dei due predicati (diversamente

dai San Martino e i collaterali Castelnuovo e Rivarolo-Front), dimostrato dal fatto

che le due famiglie ebbero «vicende e patrimoni ben distinti» e dalla mancata

partecipazione dei conti di Masino al consortile del Canavese316

.

Nel gennaio del 1172 è attestato il primo conte di Valperga, Guido: egli

diede il proprio consenso alla moglie Anna di Pavone per la vendita al monastero

di S. Stefano di Ivrea di beni siti in prossimità del castello di Pavone e confinanti

con terre dello stesso Guido317

; il coinvolgimento con l’ambiente cittadino fu

mantenuto con il giuramento di cittadinatico del 1197, con il quale fu riconosciuto

ai conti un reddito proveniente dal commercio delle mole318

.

Essi avevano un patrimonio piuttosto consistente nei luoghi intorno a

Valperga. Erano presenti in Rivassola319

, Cuorgnè – nella cui villa erano patroni

della chiesa di San Dalmazzo (e dove investirono di alcuni beni i Silveschi,

possessori di una quota del castello di Salto, e signori in Salto e Priacco320

), che

dopo varie vicissitudini, nel 1317 passò al principe d’Acaia321

–, in Pont (dove

erano consignori con i San Martino), Rivarossa322

, ma soprattutto a Rivara

(diversi anni più tardi alcuni membri della famiglia si distingueranno usando

come predicato il nome di questa località)323

. A queste si aggiunsero altre località,

su cui i conti manifestarono diversi interessi e furono in contrasto con famiglie di

signori del luogo324

. Inoltre, questi conti instaurarono un duraturo rapporto con un

centro religioso importante a livello locale, ossia il monastero di S. Maria di

Belmonte, nelle vicinanze di Valperga325

. Possedevano allodi nel territorio

circostante (e dentro) il castello di Montalto, mentre, sempre in questa località

ricevettero benefici dalla chiesa eporediese326

. Questa famiglia ebbe forti interessi

316

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 148, n. 5. 317

Op. cit., p. 176. 318

Il libro rosso cit., pp. 173-175, doc. 181; per gli impegni richiesti ai conti e quelli

garantiti da Ivrea si veda BORDONE, Potenza vescovile cit., p. 826. 319

BERTOTTI, La pianticella di canapa cit., p. 21. 320

Op. cit., pp. 24-25. 321

Op. cit., p. 22. 322

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 196, n. 30. 323

Op. cit., p. 199. 324

Corio, Rocca, Busano, Camagna, Barbania e Levone, BERTOTTI, La pianticella di

canapa cit., pp. 26-29. 325

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 192, n. 22. 326

Op. cit., p. 193.

Page 61: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

62

nella regione di Mazzè327

: nel 1209 il vescovo Oberto probabilmente diede loro,

come il suo predecessore Pietro, il consenso per edificare una nuova chiesa presso

il ponte di Mazzè328

. Più tardi, nel 1255329

, un Raineri conte di Mazzè, era legato

ai conti di Valperga e vantava il possesso della decima della chiesa di

«Macellum», un insediamento oggi scomparso tra Mazzè e Caluso.

I conti di Castellamonte, in apparente decadenza sul finire del XII, nel

secolo successivo sarebbero stati signori in Brosso, Lessolo, Strambinello,

Quagliuzzo, Vidracco, Feletto e Montalenghe, e in parte di Agliè, Balangero,

Ozegna e Strambino330

. Uno dei primi documenti schedati che riporta notizia di

loro interessi patrimoniali è la contesa sul testamento-patrimonio di un certo

Rofino, la cui indefinita provenienza ha finora reso difficile ricondurre ai reali

possessori l’insieme delle terre in esso menzionate331

.

Sono accertati i loro interessi in Lessolo, Strambinello, Brosso e in

Valchiusella. In quest’area, essi consolidarono il controllo di diversi allodi,

benefici (tutti di origine ecclesiastica)332

e diritti333

: a riguardo si ha la seconda

menzione di un «de Castromonte»334

, mentre si sa che risiedevano nel castello di

Brosso, fatto che portò alla cognominalizzazione in «de Brosso»335

di alcuni

membri della famiglia. A Lessolo e dintorni (sino a Fiorano), i Castellamonte

tenevano benefici della chiesa eporediese, per i quali giurarono fedeltà al vescovo

Oberto (1210). Sempre a Lessolo liti e malintesi portarono a un intervento del

vescovo Corrado: nel giugno del 1249, Ugo e Arnaldo, figli di Giacomo Solero,

327

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 72-72, doc. 53. 328

Forse perché «esisteva un piccolo insediamento verso la Dora sprovvisto di parrocchia o

forse semplicemente per avere una nuova fonte di reddito sulle proprie terre», OREGLIA, Le

famiglie signorili cit., p. 180, n. 6. 329

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 351 sg., doc. 247. 330

Da Ivrea cit., pp. 127-128. 331

Che qui non saranno riportate: per una loro menzione completa, OREGLIA, Le famiglie

signorili cit., p. 219, n. 8. 332

Nessun altro gruppo parentale compare in modo tanto massiccio quanto quello dei conti

di Castellamonte, op. cit., p. 234. 333

Op. cit., pp. 223-227 e 237. 334

Guglielmo, investito da Amedeo di Montalto di proprietà site in Valchiusella, come

pegno di un mutuo che aveva concesso a esso, fatta eccezione per la «curtis» di Strambinello, che

Amedeo teneva «in indiviso» con lui; quest’ultima formula di possesso era più che usuale fra

parenti: è probabile che le famiglie di Montalto Dora e di Castellamonte fossero imparentate. 335

«Evidentemente era successo qualcosa all’interno del gruppo parentale che aveva spinto

alla necessità di diversificare i predicati», op. cit., p. 243.

Page 62: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

63

furono in lite con i conti di Castellamonte per un beneficio (sito in «Çerboris»)

tenuto dagli stessi Solero336

.

Oltre a ciò, avevano altrettanti beni allodiali (e forse di altra natura) tra

Castellamonte, Agliè, Montalenghe, Feletto337

, in Balangero338

e, con molta

incertezza, si potrebbe azzardare una presenza in Ivrea339

. Nel 1274 vendettero al

vescovo Federico quanto avevano in Bienca, Chiaverano e nei rispettivi

territori340

. Nel 1279, per il matrimonio tra Emilia, figlia del conte Enrico di

Brosso, e Rogerio (Ruggero) Taglianti341

, il padre di costui, il «dominus» Rufino,

diede in dote al consuocero beni siti nelle ville e territori di Fiorano e Lessolo

(mallevando il censo a parecchi uomini della valle di Brosso). Nel 1263, dai

documenti prodotti in seguito ai patti stipulati per estirpare il pericolo dei

«berrovieri», si viene a sapere che Castellamonte era diviso in tre terzieri342

a capo

dei quali è stato supposto che ci fossero i tre rami in cui si era col tempo divisa la

famiglia comitale343

.

2.2. Castellani e signori fondiari

I castellani di Mercenasco avevano prati e terre nel territorio di Lessolo

(1188)344

, di cui alcune parti erano in indiviso con Mainardo di Fiorano,

Ardizzone di Salerano, Evrardo Grasso e Giordano di Loranzè. Ma la prima

notizia di un castellano di Mercenasco è del 1142 (Guglielmo Bogio o «Boglo»),

che investì l’«universitas» di Vercelli della propria parte del castello di

Sant’Urbano e dei diritti connessi345

; da questo documento si ha quindi notizia di

obblighi vassallatici e allodi che possedeva in Canavese346

: egli si impegnava,

infatti, a far giurare i suoi uomini in Caluso, Strambinello, Sant’Urbano e

336

Op. cit., pp. 228-230. 337

Op. cit., p. 230. 338

Op. cit., p. 237, n. 20. 339

Op. cit., p. 226, n. 11. 340

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 113, doc. 375. 341

Op. cit., p. 132, doc. 396. 342

Le carte dell’archivio comunale cit., p. 240, doc. 142. 343

Rispettivamente «dominorum de Bruzio» (Brosso), «illorum de domina Iulia»

(probabilmente membri del ramo di Agliè) e due consoli con un castellano (probabilmente legati ai

Castellamonte), OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 246-248, n. 28. Del patrimonio fondiario

in mano al ramo dei San Giorgio dei conti di Biandrate se n’è già parlato nel cap. II. 344

FALOPPA, Società e politica cit., p. 215 345

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 281. 346

Op. cit., p. 281 sg.

Page 63: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

64

Mercenasco. Questi castellani ricevettero benefici dalla chiesa eporediese

confinanti con terre del monastero di S. Stefano: Mercenasco era, infatti, uno dei

«maiora feuda» della chiesa di Ivrea; mentre il loro castello dovette pervenire al

ramo Mazzè dei conti di Valperga nel secolo XIV347

.

Già nel 1155, i castellani di Candia cedevano le decime che avevano nella

località di Quarto al priore di Sant’Orso, tramite il vescovo Guido348

: attestati fin

dalla metà del XII secolo, furono particolarmente attivi fra il 1181 e il 1225, con

interessi anche in Montalenghe, Macugnano presso Agliè e Montanaro349

. Il loro

fu uno dei «maiora feuda» della chiesa eporediese: erano presenti in Vistrorio,

Anzasco, «Yxello», «Quaresmo», «Sugladio», «Cirriono», Loranzè e Parella

(1221)350

. Apparvero in un primo momento vicini ai conti di San Martino, che da

questi castellani avevano benefici di proprietà della chiesa nei dintorni di Agliè.

Nel 1225, frutto di investitura erano i possessi in Mercenasco, Macugnano e

«Cazadio»351

, mentre il vescovo Giovanni alienò a due fratelli di Mercenasco, il

feudo tenuto in passato dal «dominus» Guala (1255)352

, composto da terreni in

Mercenasco («capud ville»), San Giorgio, Feletto e altri. Nel 1263, il vescovo fece

autenticare l’ultimo «consegnamento» di benefici (tra cui alcune decime) fatto da

Guala per sé e per i suoi consorti anni prima353

, suddivisi fra varie località:

Montanaro, Macugnano, Candia, «Alao» (forse Agliè), «Oçeyne» (Ozegna) e altri

luoghi.

Nonostante la vicinanza dei due luoghi, le vicende dei castellani di

Castiglione (uno dei «maiora feuda») non possono essere identificate, dal punto di

vista del legame familiare, con quelle di Candia354

. Il «dominus» Ardizzone, nel

347

Op. cit., p. 286; da un elenco di beni feudali della chiesa si trae notizia di numerose

coerenze di altri individui presenti in Mercenasco oltre a uomini del luogo (1253): Enrico della

Porta, il conte Martino del fu Rosso di San Martino, i figli del fu «dominus» Giacomo di Barone, i

«domini de Guiscis», i signori di Mercenasco, i figli del fu Guglielmo di Valperga, Guglielmo di

«domino» Morino di Mercenasco, Ardizzone di Mercenasco e altri; inoltre, viene ricordata una

vigna che gli antenati di Oberto di Valperga diedero in censo a Giacomo Rosso, Le carte

dell’archivio vescovile cit., pp. 328-330, doc. 229. 348

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845 sgg. 349

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 272 e n. 10. 350

Op. cit., p. 273, n. 10. 351

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 157, doc. 113. 352

Op. cit., pp. 344-345, doc. 241. 353

Op. cit., pp. 37-38, doc. 325. 354

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 277, n. 22.

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1156, diede in investitura censuaria a un abitante di Caluso alcuni benefici355

.

Successivamente, anch’essi sembrarono legati ai San Martino, e anche al comune

di Ivrea e al vescovo. Prima del 1252, i «de Romano» avevano ricevuto da loro un

beneficio (forse un manso), situato fra Scarmagno e Romano356

. Arduino prestò

omaggio e fedeltà al vescovo Giovanni nel 1255 per i benefici che i suoi

«antecessores consueverunt tenere» dalla chiesa eporediese e di cui fu

nuovamente investito357

.

Nel 1181 i castellani di Torre avevano possessi in «Musobolo», presso

Agliè, in «Carpeçneto», presso la cappella di San Benedetto e nella stessa Agliè, e

feudi ecclesiastici in Musobolo (tra cui una decima)358

. Nel 1253 Tommaso, il più

attivo di loro, e figlio di Ardizzone «de Turre de Canapicio», investì un cittadino

di Ivrea di parecchi benefici359

. Alla fine del 1289, Tommaso, con l’approvazione

vescovile, investì le figlie di «domina Alaxia», di possessi beneficiari in Vische,

Mazzè, Valchiusella, Chiaverano, Sessano e Bienca («Bleyca»)360

: secondo

Oreglia si tratterebbe del primo e unico caso canavesano di investitura in favore di

donne361

. Nel 1258 il vescovo di Ivrea decise di dare a «Drous» di Valperga un

insieme di benefici (tra Sessano e Chiaverano) prima tenuti da Tommaso362

.

Nel 1188 i castellani «de Lorençaio» possedevano terre in Lessolo

confinanti con quelle di Pietro di Mercenasco363

. Oltre al «castrum Lorençadi»,

questi castellani possedevano un «feudum Morini de Marcenasco in valle Clivina»

e un «feudum decime vallis Clivine» che farebbe pensare a un legame vassallatico

stretto con i castellani di Mercenasco364

. Possedevano, a inizio XIII secolo,

benefici nella castellania di Fiorano dalla chiesa eporediese365

e percepivano una

decima a Vico366

. In buoni rapporti con il comune, i membri di questa famiglia

355

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845 sgg. 356

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 278. 357

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 346, doc. 243. 358

Op. cit., pp. 29-30, doc. 16. 359

Op. cit., p. 327, doc. 228. 360

Op. cit., pp. 158-159, doc. 414. 361

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 289. 362

Op. cit., p. 295. 363

Op. cit., p. 297. 364

Op. cit., p. 302. 365

Per le vicende legate al castello di Fiorano, ALBERZONI, Da Guido di Aosta cit., p. 225;

cfr. PANERO, La grande proprietà cit., p. 856 e OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 303-304. 366

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 44, doc. 331.

Page 65: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

66

abbandonarono il predicato «di Loranzè» per assumere quello «de Arundello»,

località in cui forse costruirono un castello «ex novo» e in cui si trasferirono,

ottenendo Loranzè e tutte le sue dipendenze in feudo oblato dalla chiesa367

. Nella

ricognizione del 1227 il «castrum Lorençadi» figura fra i quattro «minora feuda».

I castellani di Settimo (che entrarono in possesso del castello di

Montestrutto, in origine appartenente alla mensa vescovile, attraverso una

probabile investitura)368

attuarono una politica autonoma fino alla sottomissione al

comune (1209), al riconoscimento, puramente formale, della giurisdizione

vescovile, riaffermata nel 1223 e sanzionata nella «recognitio» dei beni

ecclesiastici (1227), e in seguito agli accordi fra il comune di Ivrea, quello di

Vercelli e il vescovo369

. Forte della posizione raggiunta, il presule eporediese poté

investire feudalmente uomini che lì avevano accumulato i propri patrimoni (come

Guglielmo Dro di Valperga nel 1249 e, nel 1251, Giovanni di Montalto)370

.

Probabilmente, i signori di Settimo possedevano diritti signorili in Bienca371

e

controllavano le decime di alcune chiese – parti forse della castellania – in

Montalto (chiesa Sant’Eusebio), Torre Daniele, Settimo (chiesa San Lorenzo),

Caluso (chiesa di San Pietro di Castagneto), Mazzè (chiesa di San Lorenzo).

Inoltre sarebbe possibile azzardare un appartenenza dei signori di Vallesa

all’ampio consortile nato fra i signori di Settimo e i Montalto372

, legati tra loro

forse da vincoli di parentela, ma comunque certamente da interessi economici, in

quanto gli uni vantavano possessi anche sul territorio degli altri, in un’autonoma

gestione delle alleanze e delle politiche familiari373

.

Furono invece numerosi i signori e castellani di Montalto. Giacomo del fu

«dominus» Lilfredo possedeva una parte di pedaggio in Settimo, Montalto e

relative corti374

. Il figlio del fu «dominus» Oberto il Turpe di Settimo, Merlo, con

sua madre, «domina» Giacoma, vendette a Guglielmo e Pietro, figli del fu

367

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 300-301. 368

FALOPPA, Società e politica cit. p. 268, n. 751; cfr. Ivrea tutto intorno, pp. 69-71. 369

Per i contrasti sorti fra il comune e il vescovo nel corso della prima metà del XIII secolo

e le ripercussioni sul gruppo signorile dei Settimo, PANERO, La grande proprietà cit., p. 861-862,

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 313; cfr op. cit. p. 272, n. 8; si veda supra cap. II. 370

Da Ivrea cit., pp. 61-63. 371

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 230-232, doc. 168. 372

Da Ivrea cit., p. 78. 373

Op. cit., pp. 61-62. 374

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 154, doc. 111.

Page 66: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

67

«dominus» Nicolò di Montestrutto tutto ciò che possedevano «in castro et burgo,

villa et territorio Septimi» e in altri luoghi della valle di Montalto (1232)375

.

Giovanni, del fu «dominus» Bonifacio di Gattinara, aveva benefici ecclesiastici

nei territori di Mombueno e Bienca (1251)376

. Brunasio, figlio del fu «dominus»

Giacomo Console, nel 1262 vendette molti beni in Bienca, oltre ad altri luoghi

della valle di Montalto (tranne quelli «in Cerisola»)377

. Riccardo del fu «dominus»

Manfredo investì un «civis» eporediese di molti possessi in Monbueno (1285), in

parte di proprietà della chiesa di San Lorenzo, su alcuni dei quali già il padre

aveva esercitato diritti signorili378

. Il vescovo Alberto investì i fratelli Grasso di

Montalto dei benefici (con relativi «servicia») che erano soliti tenere dalla chiesa

eporediese (1291)379

; nello stesso anno investì i «domini» Rufino di Ardrico e

Giacomo del fu Manfredo di quanto avevano in beneficio dalla chiesa di Ivrea380

.

La famiglia dei Droenghi di Valperga – si è detto – fu legata

vassallaticamente alla famiglia comitale dei Valperga: capostipite e iniziatore del

potenziamento economico della famiglia fu Guglielmo «Drous» di Valperga381

, i

cui discendenti, per distinguersi dalla famiglia maggiore di Valperga, assunsero il

soprannome del capostipite come patronimico, denominandosi di volta in volta

Drous, Droy o Droenghi382

. Guglielmo «Drous» acquistò (tra il 1249 e il 1262) da

vari personaggi in molti luoghi (Montalto, Pavone, Samone, Loranzè, Sessano e

Chiaverano), benefici della chiesa, dei quali fu investito dal vescovo Corrado383

.

Gli stessi benefici furono confermati nel 1296 al figlio Matteo, ai quali si

aggiunsero quelli in Albiano e altri in Ivrea384

.

375

Op. cit., p. 177 sgg., doc. 129. 376

Op. cit., pp. 315-316, doc. 215. 377

Op. cit., pp. 27-28, doc. 317. 378

Ovvero «bannum homicidii et bannum furti et bannum percussionis hominis […]

sanguis exiverit et excepta guayta castri», op. cit., pp. 151, doc. 407. 379

Op. cit., pp. 165-166, doc 421. 380

Op. cit., pp. 170-171, doc. 425. 381

Infatti, egli prestando fedeltà nel 1249 a «domino Conradus electo et procuratori» della

chiesa di Ivrea, per un feudo sito «in castro et ville et poderio et territorio» di Montalto di cui era

stato investito da «Martinus Longus», membro del consortile dei signori di Montalto Dora, fece

salva la fedeltà ai signori di Valperga, «sui primi domini», op. cit., pp. 279-281, doc. 201. 382

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 195; si veda la parte dedicata alla famiglia in

BERTOTTI, La pianticella di canapa cit., p. 22 sgg. 383

Op. cit., p. 23; cfr. OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 194, n. 28. 384

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 193-194, doc. 448.

Page 67: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

68

La famiglia dei de Scarmagno vantava possessi in Moirano (1199), e in

Mercenasco385

. Nel 1209, possedevano benefici in Scarmagno dai signori di

Burolo386

: i membri di questa famiglia furono coinvolti nella lite fra Ranieri

Solero e Ottolino e Giacomo Vadenotte (1224)387

e nel 1239 avevano possessi nel

territorio di Fiorano388

.

Già nel 1160, Manfredo e Ottone degli Avvocati di Strambino diedero in

pegno alcuni benefici in Fiorano e allodi a Bombello Beccario, a fronte di un forte

mutuo, dopo aver ottenuto il permesso del vescovo Guido. L’anno dopo il presule

concesse i benefici e i diritti posseduti dai figli di Leone Gualia di Strambino, in

precedenza avvocato vescovile, al suo nuovo avvocato: egli stava cercando di

recuperare le terre feudali attraverso l’acquisizione della sesta parte del castello di

Strambino, tenuto in allodio dai Gualia389

. Strambino fino al XII secolo, quando

comparve come «castrum», era poco più che una «villa» o probabilmente un

villaggio rurale precocemente fortificato: ai piedi del castello dovette sorgere

prima della fine del X secolo il primitivo nucleo insediativo abitato da rustici; da

questa «villa» in seguito prese il nome una famiglia di «domini» locali, in

contrapposizione con la famiglia degli «advocati» (i de Villa di Strambino)390

.

Questi, nel 1239, avevano allodi nella «villa» di Fiorano391

, mentre nel 1255

Filippo e Raimondo, «consortes» di Giacomo e Ottavio, loro fratelli, avevano

benefici ricevuti dal vescovo Giovanni392

. Nel 1263 si ritrovano Filippo e

Raimondo del fu Ottone, nella vendita di metà del monte Fiorentino, nel territorio

di Fiorano, al vescovo Giovanni, con il consenso del quale vendettero l’altra metà

a Guglielmo e Obertino, figli del fu «dominus» Pietro di Fiorano, e a Corrado del

fu «dominus» Giacomo di Fiorano, i quali la tenevano in beneficio da loro393

.

385

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 444. 386

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 75-77, doc. 55. 387

In cui Ranieri aveva, a detta del vescovo Oberto, «ius dominorum de Scarmagno super

predicta decima e reperiretur per confessionem predictorum Otulini et Iacobi quod predicta decima

tenebatur in feudum a dominis de Scarmagno», Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 154, doc.

145. 388

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 228-230, doc. 168. 389

PANERO, La grande proprietà cit., p. 845 sgg. 390

Da Ivrea cit., p. 207 sgg. 391

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 228-230, doc. 168. 392

Op. cit., p. 348, doc. 245. 393

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 35-37, doc. 324.

Page 68: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

69

I possessi della famiglia de Romano alla fine del XII secolo confinavano

con beni spettanti alla chiesa di S. Maria in Moirano. Anni dopo, nel 1235, il

«dominus» Ottone di Aramengo ricevette dal «dominus» Enrico di Romano beni

per la dote di sua moglie, Maria, figlia di Enrico: oggetto della transizione furono

appezzamenti di terra, prati, sedimi, vigne e case «merlate». Nel 1240, questi

«domini loci» furono investiti dal vescovo Oberto dei benefici presenti «in castro

Romani et villa territorio et districtu», mentre nel 1251, il «dominus» Enrico di

Romano fu coinvolto in una vertenza con i signori di Castiglione per alcuni

benefici che da loro aveva ricevuto. Nel 1257, un arbitrato operato dai «domini»

Bonifacio di Fiorano, canonico eporediese, e Martino del Prato tentò di

raggiungere un compromesso nella lite, che vedeva opposti i signori di Romano e

i consoli della villa di Romano al vescovo Giovanni e i consoli del comune di

Pavone, sui confini e le terre comuni («comunia») situate tra Pavone e Romano.

Nel 1278, furono investiti del feudo ecclesiastico che avevano in Romano394

.

Nel 1234, Rotefredo di Pertusio, figlio del fu «dominus» Filippo di Burolo

(discendente dei castellani di Burolo), cedette al vescovo Oberto i diritti che aveva

nel castello e nella corte di Montalto, in Burolo, in Sala, in Torrazzo, in Perno e in

Bagnolo «cum omni honore et iuridictione»; analoga azione compì suo fratello,

Aimone di Settimo. Dello stesso anno è un documento in cui diversi personaggi

riconobbero i loro obblighi relativi al beneficio ecclesiastico tenuto da Aicardo di

Burolo. Nel 1264, i «domini» Raineri di Burolo e Raineri di «Biatino» prestarono

fedeltà per le loro metà dei benefici aviti a Torrazzo, e per quanto il primo aveva

in Burolo, al vescovo eletto Federico di Front. Nel 1291, il vescovo Alberto

ordinò ai fratelli Ruggero e Ottobuono di consegnare quanto tenevano dalla chiesa

di Ivrea; nello stesso anno, i signori di Pertusio furono investiti di molti benefici

che erano soliti tenere e per i quali giurarono fedeltà al vescovo Alberto395

.

Isembardo, Ottone e Baldovino, castellani di Baldissero, alla fine degli anni

’80 del XII secolo, vendettero al «dominus» Oberto del castello di Romano una

394

Queste informazioni si ritrovano in: Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 77-79,

doc. 66; Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 202 sgg., doc. 145; pp. 240-241, doc. 124; pp. 304-

311, doc. 212; pp. 383-385, docc. 281-282; p. 125, doc. 388. 395

Per queste indicazioni: op. cit., p. 188, doc. 135; p. 191 sg. 137; pp. 194-195, doc. 139;

pp. 41-42, doc. 328; pp. 164-165, doc. 420; pp. 167-168, doc. 423.

Page 69: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

70

pezza di prato in «Vinchelle et territorio Romani»396

. I «domini» Guglielmo e

Corrado di Parella consegnarono al vescovo Oberto (1235) benefici e censi avuti

in precedenza dalla chiesa eporediese nelle località di Loranzè, Remonda,

Fiorano, Montanaro e Areglio397

; mentre nel 1257, Ardizzone del fu Corrado,

signore di Parella, e Manfredo del fu «dominus» Guglielmo, suo nipote, avevano

benefici in Parella, Loranzè, Loggia e Fiorano dal vescovo Giovanni (prati,

sedimi, boschi, la decima di Loggia tenuta da Riccardo di Loggia e i suoi

consorti)398

. Menzioni di altri signori rurali compaiono nella seconda metà del

Duecento399

.

396

Op. cit., p. 35, doc. 19: il «territorium» di Baldissero era giuridicamente un feudo della

chiesa eporediese; il consortile dei Baldissero, nella seconda metà del XII secolo, dovette crescere

di numero, con la conseguente frammentazione in quote del loro patrimonio, di volta in volta

vendute ad altri soggetti: i signori di Romano, probabilmente, acquisirono un’ampia quota del

castello intorno al 1190, Da Ivrea cit., pp. 113-114. 397

Nel documento compaiono i nomi di Ardizzone di Rivarolo e Guglielmo di Cavaglià,

op. cit., p. 204, doc. 146. 398

Op. cit., p. 375, doc. 272. 399

Nel 1246 si ha la conferma di un nucleo di allodi in mano ai signori di Viverone: i loro

interessi gravitavano attorno a Buo, Mombueno e Montalto; nel 1250, Oberto di Tonengo, fratello

del «dominus» Rufino, arcidiacono di Novara, prestò fedeltà e ricevette investitura per un

beneficio «rectum et gentile» in Fiorano «et poderio et territorio, et in eorum doa [sic]»; nel 1252,

il signore di Agliè, Guido, consegnò e giurò fedeltà al vescovo Giovanni, per i benefici che aveva

in Musobolo, mentre nel 1291, il vescovo Alberto investì il «nobile vir» Martino del fu Giovanni

di Agliè dei benefici che costui teneva dalla chiesa eporediese, e che giurò fedeltà a nome suo e dei

fratelli; nel 1255, Guglielmo di Montanaro, consegnò «pro se e pro fratre suo Albertino», al

vescovo Giovanni il beneficio che teneva dai signori di Montanaro; Oberto, signore di Vische,

consegnò diversi benefici al vescovo Federico, e giurò fedeltà per sé e per il fratello Raineri; nel

1293, il «dominus» Bonifacio di Orio, con sua moglie Imeldina, diede in enfiteusi ad Arnolfo di

Montiglio, rappresentante degli uomini di Chiaverano, due appezzamenti di terra e boschi in

Chiaverano; Ardizzone de Castello vantava diritti signorili in Quinto e Andrate: op. cit., p. 238,

doc. 187; pp. 282-283, doc. 204; pp. 320-322, doc 221; p. 164, doc. 419; pp. 350-351, doc. 246;

pp. 106-107, doc. 367 e pp. 107-109, docc. 369-370; p. 179, doc. 435; pp. 144-145, doc. 103.

Page 70: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

71

Capitolo quarto

Strategie matrimoniali e politiche familiari:

approfondimento su nomi e parentele

Finora non c’è studio che dedichi al centro di un proprio capitolo le vicende

matrimoniali intercorse fra le famiglie dei conti e dei castellani del Canavese,

oppure fra le domus signorili della città di Ivrea, o fra queste e quelle appartenenti

all’aristocrazia militare del contado canavesano. Laddove le analisi recenti

segnalino informazioni, anche in numero sufficiente, su linee di parentela o

percorsi genealogici400

, di vera politica matrimoniale non si può parlare, perché se

essa viene da un lato inserita all’interno di capitoli inerenti a patrimoni, strategie

politiche e geografie sociali, dall’altro questi argomenti, assai più studiati, la

occultano. Per tale motivo si cercherà di analizzare le strategie e le politiche

matrimoniali di queste famiglie mantenendole separate da riferimenti a semplici

genealogie e limitandosi, nonostante il campo delle congetture non lasci molto

spazio a quello delle certezze, a proporre poche e puntuali ipotesi di collegamento

parentale.

1. I conti del Canavese

I documenti mostrano come i conti canavesani, sin dalla fine del XII secolo,

ritenessero di possedere un’origine comune e ricorressero al predicato «de

Canavise» per identificarsi401

: un esempio lo fornisce la riserva mostrata dai conti

nell’agire contro gli interessi dei propri parenti del Canavese402

. La famiglia dei

conti di Pombia era di legge salica403

: questo significa che, se si considera

400

Il riferimento è agli studi di Antonella Faloppa sulle famiglie signorili coinvolte nel

primo comune eporediese (Un insediamento monastico cit., pp. 23-36; Società e politica cit., pp.

117-286; Ivrea dalla “civitas” cit., pp. 433-455 e 462-471; Percorsi familiari cit., pp. 416-486) e

di Alberto Oreglia sulle famiglie dell’aristocrazia militare del Canavese (Le famiglie signorili cit.,

pp. 7-315) citati in questa tesi, della quale rappresentano la base di partenza nonché la principale

fonte di informazioni e di spunti di ricerca. 401

Op. cit., pp. 7-33, 144-150, 176-183, 214-222 e 252-253, ha analizzato la

documentazione superstite in cui sono indicate possibili tracce che legherebbero le famiglie

comitali dei Valperga, dei San Martino, dei Castellamonte e dei Masino a quella dei conti che si

dissero «de Canavise», e provato la discendenza di quest’ultimi dai conti di Pombia. 402

A riguardo, Oreglia ha parlato di «norme regolanti l’esistenza fra i domini canavesani,

magari fondate sulla consuetudine», op. cit., p. 33. 403

Op. cit., p. 11.

Page 71: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

72

attendibile una discendenza da loro e attraverso i «de Canavise» delle stirpi

comitali canavesane (Valperga, San Martino, Castellamonte e Masino), è possibile

che anche tale professione di legge si sia mantenuta, per poi evolversi nel

principio agnatizio del lignaggio404

. Da ciò nascerebbe un’ulteriore ipotesi, ossia

che ogni volta che dai documenti non si riesca a trarre nomi femminili, e quindi

notizie su matrimoni o su nomi di famiglie che si legarono ai conti, questo

accadrebbe perché le eredi donne erano d’abitudine mantenute ai margini del

lignaggio e coinvolte solo in calcoli politico-patrimoniali in quanto vettori di

potenziamento economico o depositarie di sostanze comunque importanti che

andavano investite con oculatezza405

.

Del gennaio 1172 è l’atto in cui si vede Guido, conte di Valperga, dare il

proprio consenso alla moglie Anna di Pavone per la vendita, al monastero di S.

Stefano di Ivrea, di beni siti in prossimità del castello di Pavone e confinanti con

terre dello stesso Guido406

. Nella zona di Pavone, nei secoli XI e XII, è stata

accertata da Antonella Faloppa la presenza di famiglie di maggiorenti locali legati

al vescovo e indicati come «boni homines», talora come «boni Francos Romanos

et Longobardus», del quale probabilmente tutelavano il patrimonio in quanto loro

«senior»407

. Ne derivano due possibilità: la prima è che con il matrimonio con una

donna originaria di questa località i conti di Valperga coltivassero interessi per

quanto concerneva il legame e il coinvolgimento con il vertice ecclesiastico di

Ivrea; la seconda permette, invece, di pensare che Anna fosse di legge longobarda,

perché appartenente a una di quelle famiglie di collaboratori vescovili408

(pensiero

giustificabile per via delle clausole della sua vendita, attuabile solo con il

404

F. LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni nel Medioevo italiano. Dal tardo antico al

rinascimento, Roma 2005, pp. 47-56. 405

Op. cit., p. 49; il coinvolgimento di donne appartenenti a famiglie signorili eporediesi o

all’aristocrazia militare canavesana con il monastero di S. Michele d’Ivrea è stato analizzato in

SERENO, Il monastero cistercense cit., pp. 129-170. 406

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 176. 407

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., pp. 451-452; in questo gruppo extraurbano rientrano

i numerosi personaggi, i cui nomi emergono dalla documentazione eporediese, accompagnati dal

toponimo di luoghi soggetti al vescovo: si veda supra capp. II e III. 408

Faloppa pone a confronto questi individui (op. cit. pp. 449-450) con un gruppo di boni

homines astigiani dei secoli IX e X analizzato in BORDONE, Città e territorio cit., pp. 90-93, i quali

«appartenevano a una categoria precisa di collaboratori del vescovo, quelli di origine extraurbana,

che risiedevano dove il vescovo aveva possessi»; invece, secondo l’autrice, quello eporediese

sarebbe un caso meno (ovvero non del tutto) assimilabile alla categoria vercellese di vassalli

vescovili, e «indicati espressamente come cives», supra n. 19.

Page 72: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

73

consenso di Guido in quanto partecipe alla gestione del patrimonio della

coppia)409

.

Ma delle famiglie signorili dell’aristocrazia militare canavesana quella dei

conti di San Martino è sicuramente quella per cui si dispone di maggiori

informazioni. Nel giuramento di cittadinatico dei conti di Castellamonte fatto al

comune di Ivrea (1197) sono ricordati i vincoli che li legavano ai Valperga, ai

Masino, e ai San Martino; così i Valperga, nel medesimo giuramento, si

riservarono di rispettare la lealtà ai conti del Canavese410

. Tale rapporto è

ricordato circa un secolo dopo (1281), quando per il matrimonio fra la giovane

Isolda, figlia di Enrico di Rivarolo, e Bertolino, conte in età avanzata della

famiglia dei Valperga e figlio del fu Matteo, si ricorse a dispensa papale, su

intercessione del vescovo Federico di Front, il quale d’altronde aveva tutto

l’interesse di sciogliere il grado di parentela che legava i due promessi: il vescovo

di Ivrea era allora insidiato dal marchese di Monferrato. Il fine della sua richiesta

era dunque quello di porre termine ai dissidi interni al «parentado» del Canavese –

ossia, cercare di far finire lo scontro fra il consortile dei San Martino, alleati della

chiesa eporediese, e quello dei Valperga, alleati dei Monferrato – tramite un

matrimonio fra quella che Oreglia identifica come la nipote dello stesso Federico

e un discendente dei Valperga411

. Risale invece al 1291 un altro matrimonio «ad

sedandas discordias inter consanguineos» tenutosi fra il conte Giacomo di

Castellamonte e Beatrice di San Martino, e anch’esso reso possibile da una

dispensa papale ottenuta dal vescovo Alberto Gonzaga, anch’egli imparentato con

i San Martino come il suo predecessore, poiché era figlio di Antonio Gonzaga il

quale aveva sposato una donna della famiglia dei conti di Strambino, da decenni

ormai ramo collaterale dei San Martino412

. Si ignorano, invece, i motivi per cui

questa casata decise di legarsi ai d’Andrea, una domus in ascesa che stava

cominciando a dominare il panorama cittadino di Ivrea. Andrea d’Andrea, fidelis

409

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., p. 30. 410

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 32-33. 411

Il matrimonio doveva risalire alla fine degli anni ’70, poiché lo scontro tra i San Martino

e Valperga ebbe inizio non prima della metà degli anni ’60 del Duecento, op. cit., p. 132, n. 37. 412

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 251-252; per la parentela di Alberto Gonzaga

con i conti di San Martino, Statuti del comune di Ivrea, a cura di G. S. PENE VIDARI, Torino 1968

(Biblioteca della Società Storica Subalpina, CLXXXV), I, p. LXXII.

Page 73: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

74

di Amedeo V e Filippo d’Acaia, sposò Geremia, figlia di un uomo dei San

Martino e di una donna dei Valperga413

.

Anche i conti di Castellamonte non mancarono di legarsi a famiglie non

appartenenti al loro status: la scelta fu guidata da interessi patrimoniali sia nel

matrimonio risalente alla seconda metà del XII secolo che strinsero con un ricco

possessore della zona intorno ad Agliè, Rofino, il quale diede in sposa sua figlia

Maria al conte Raimondo414

; sia in quello che li legò alla famiglia in ascesa dei

Tagliandi, del 1279, nel quale Emilia, figlia del conte di Brosso Enrico, sposò

Rogerio, figlio di Rufino Tagliandi che diede in dote al consuocero beni siti nelle

ville e nei territori di Fiorano e Lessolo mallevando, inoltre, il censo a parecchi

uomini della valle di Brosso415

: area, questa, in cui erano installati da parecchio

tempo gli stessi conti416

. Gli stessi motivi furono probabilmente alla base della

scelta, fatta dai conti di San Martino, di legarsi a signori della media nobiltà come

i castellani di Burolo e quelli di Strambino417

.

Si è detto che queste famiglie si considerarono (e furono considerate)

imparentate e accomunate da un lontano progenitore418

. Questa discendenza

comune sarebbe giustificata dall’esistenza del consortile – di cui sarebbe anche

una delle principali cause – da loro costituito tra gli ultimi decenni del secolo XII

e i primi tre di quello successivo, e che raccolse, oltre a queste, famiglie della

media aristocrazia di signori fondiari e custodi di castello del Canavese419

. Alla

stessa deduzione conduce il fatto che, ogni volta che non stipularono accordi

matrimoniali con famiglie legate alla città o a quelle di altri signori rurali, ma tra

di loro – ad esempio, per stringenti ragioni di ordine politico-militare –, fu

413

G. ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane nel Trecento, in Storia della Chiesa di

Ivrea cit., p. 330. 414

Il legame della famiglia di Rofino fu probabilmente anche di natura vassallatica, oltre

che di parentela, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 217-220; si veda anche Le carte

dell’archivio vescovile cit., pp. 29-32, doc. 16. 415

Op. cit., p. 132, doc. 396. 416

Negli anni ’80 del secolo XII, Guglielmo fu investito da Amedeo di Montalto di

proprietà site in Valchiusella, fatta eccezione per la «curtis» di Strambinello, che Amedeo teneva

«in indiviso» con lui: quest’ultima formula di possesso, secondo Oreglia, era più che usuale fra

parenti ed è dunque probabile che le famiglie di Montalto e di Castellamonte fossero imparentate,

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 223-226. 417

Si veda infra. 418

Supra nn. 401-402. 419

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 316-345.

Page 74: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

75

necessario aggirare lo scoglio dell’affinità di parentela420

esistente tra queste

famiglie attraverso interventi vescovili e dispense papali.

Anche le singole famiglie di conti si raccolsero in consortili basati sul

principio della consanguineità e guidati dal ramo più forte o più rappresentativo di

tutti quelli tra loro collaterali421

. Tracce del ben strutturato e coeso consortile dei

conti di San Martino risalgono al settembre 1229, alla convocazione per un

giuramento di conti e castellani fatta dal podestà di Ivrea Rufino Gavazzo: per i

conti di San Martino erano presenti due uomini in rappresentanza della loro

«domus seu albergum»422

, in cui rientrarono o vi avrebbero fatto parte nei decenni

successivi – oltre ai Castelnuovo, ai Rivarolo-Front e ai Favria423

– anche le

famiglie signorili di Burolo e Strambino («consanguinei» dei San Martino i primi,

legati ai conti matrimonialmente i secondi)424

. I Valperga e i Masino erano

«parentes paterni»425

e anch’essi costituirono un consortile, nella seconda metà

del XIII secolo, ma il principio di consanguineità era soltanto la base di

determinati progetti politici: in esso era sicuramente coinvolto anche il ramo

collaterale dei Rivara426

, ma a guidarlo fu la famiglia dei Valperga, che in quei

decenni cercava di assumere sempre più potere attraverso l’ottenimento della

carica podestarile di Ivrea ricorrendo, talvolta, all’appoggio del marchese di

Monferrato427

. Non si ha, invece, notizia di una struttura consortile organizzata

dalla famiglia dei conti di Castellamonte, almeno per i secoli presi in

considerazione da questa raccolta di studi e documenti428

: ma è facile supporre

che anch’essi si fossero riuniti in un organismo simile poiché, assai più di altri

lignaggi aristocratici, questi conti ricorsero a un’onomastica che finì

420

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., pp. 50-51. 421

Op. cit., pp. 73-83 e soprattutto p. 77. 422

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 55-56. 423

Op. cit., p. 95. 424

L’affinità con i Castelnuovo e i Rivarolo-Front è dimostrata in op. cit., p. 92, 103 sgg. e

130; pp. 118-126; per i legami con i Burolo, op. cit., pp. 34-37; per i rapporti matrimoniali dei

conti con i signori di Strambino, op. cit., pp. 62-63; pp. 91-93; Il Libro rosso cit., p. 177, doc. 183;

Documenti dell’archivio comunale cit., pp. 229-232 e 240, docc. 140-141 e 240, mentre per il loro

coinvolgimento nel consortile familiare, Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 216, doc. 189. 425

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 187. 426

Op. cit., p. 199. 427

Nel 1253-54 fu podestà di Ivrea il conte Corrado di Valperga, già podestà del consortile

composto dalla sua famiglia e quella dei castellani canavesani; ma nel 1255 Enrico di Masino fu

podestà sia del comune sia del consortile dei Valperga, Il libro rosso cit., pp. 104-107, docc. 125,

125 ins. 1 bis., 126. 428

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., p. 77.

Page 75: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

76

irrimediabilmente per veder chiamati col medesimo nome individui appartenenti a

rami diversi della famiglia e, come i San Martino, molti di loro usarono

contemporaneamente il predicato comitale429

. Solo così è spiegabile l’assunzione

da parte di uno di questi del patronimico «de Iulia», i cui membri furono

probabilmente signori di Agliè, conti allo stesso titolo dei Brosso, legati come loro

al ramo-guida dei Castellamonte.

2. Le altre famiglie del contado canavesano

Si è appena visto che alcune famiglie della media aristocrazia rurale

strinsero accordi matrimoniali con le stirpi comitali: per cui si possono solo

supporre, per queste, i medesimi interessi legati al rafforzamento del patrimonio e

del ruolo giocato dalla propria famiglia nello scacchiere canavesano. Salvo in

questi e altri pochi casi, l’assenza di legami con lignaggi più alti di status, con

l’ambiente religioso cittadino e con i servizi di assistenza, oppure con quello delle

magistrature politiche del comune, ha lasciato un vuoto nelle già scarse

informazioni riguardo a precise scelte di politica matrimoniale. Il caso ha voluto

che di molte di queste famiglie di ricchi possidenti e di custodi di castello siano

rimasti documentati i soli individui maschi, e soltanto in alcune si sa che legge

questi professassero430

. Anche laddove gli studi abbiano rintracciato personaggi

femminili, come nel caso del consortile dei signori della Valle di Montalto

(formato da signori attivi nei principali centri della vallata, ovvero Settimo,

Montalto, Monstestrutto, Quinto, Carema, Bienca), l’affollamento di individui e di

429

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 246-248, n. 28; in particolare per i casi di

omonimia come strumento di trasmissione della memoria familiare e della coscienza dei propri

antenati, LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., p. 70; per l’organismo consortile come esito di

progetti politici e di raccordi parentali in Piemonte, G. TABACCO, Il rapporto di parentela come

strumento di dominio consortile: alcuni esempi in Piemonte, in Famiglia e parentela nell’Italia

Medievale, a cura di G. DUBY, J. LE GOFF, Bologna 1981, pp. 83-88. 430

Per i Fiorano Cartario della Confraria cit., pp. 226-227, num. 3; Le carte dell’archivio

vescovile cit., pp. 284-299, doc. 207; pp. 35-37, doc. 324; per i Loranzè-Arundello, OREGLIA, Le

famiglie signorili cit., p. 297; Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 284-299, doc. 207; per i

Baldissero, op. cit., p. 35, doc. 19; per i Torre, op. cit., p. 327, doc. 228; per gli Scarmagno, Le

carte dell’archivio capitolare cit., p. 77, doc. 66; Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 75-77,

doc. 55; pp. 228-230, doc. 168; per i Mercenasco, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., pp. 281-283;

Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 61, doc. 52; Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 284-

299, doc. 207; per i Candia, PANERO, La grande proprietà cit., p. 845 sgg.; OREGLIA, Le famiglie

signorili cit., p. 273, n. 10; Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 157, doc. 113; pp. 284-299, doc.

207; per i Castiglione, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 277, n. 22; PANERO, La grande

proprietà cit., p. 845 sgg.; Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 346, doc. 243; per i Bard, Le

carte dell’archivio capitolare cit., p. 152, doc. 142.

Page 76: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

77

nomi, e la stessa ampiezza dell’organismo creato, contribuiscono a complicare

ancor di più un quadro familiare (anzi, consorziale) sbiadito. Di esso si sa che dal

XII secolo era già relativamente vasto e guidato dai castellani di Settimo e

Montalto, i quali controllavano tutta la vallata (e quindi il transito di merci e

uomini) ed erano legati tra loro forse da vincoli di parentela, ma comunque

certamente da interessi economici: gli uni vantavano possessi anche sul territorio

degli altri, in un’autonoma gestione delle alleanze e delle politiche familiari431

. A

queste due famiglie egemoni col tempo se ne aggiunsero altre insieme a singoli

individui della zona432

. A tutto ciò, si aggiungano i casi di realtà sociali in

trasformazione – come, ad esempio, quelle di Chiaverano, Pavone o Albiano – in

cui è arduo far luce sulle possibili famiglie signorili attive e coinvolte.

Per altre famiglie, come i Bollengo e i de Romano, o i già menzionati

Burolo e Strambino, si ha qualche informazione in più. I signori di Bollengo erano

di legge longobarda433

: ancora prima della cessione a Vercelli del loro castello,

questa famiglia fu pronta a stringere legami sia con l’ambiente cittadino sia con

quello extraurbano. Adepandolfo, marito di Imelda (indicato come «de civitate

Yporegie»), era padre di Bongiovanni ed Enrico, e Pandolfo, del fu Filippo di

Pandolfo, confessò di professare legge longobarda, come la stessa Imelda434

. Nel

1198 Berlenda, figlia di Pandolfo, ricevette da lui «pro padelfio» (probabilmente

qui s’intendeva faderfio), una vigna in Pessano, l’atto fu stipulato «in Bolengo»

alla presenza dello zio materno («avunculus») di Berlenda, Roberto di Loranzè435

.

E poi: nel 1213 Enrico, figlio di Berlenda e Giovanni Gauna, compare accanto

alla moglie Richelda436

; Enrico è indicato come nipote di Berno, probabile fratello

di Pandolfo, marito di Waldra e padre di Filippone (1226)437

, che è detto

originario di Rocca S. Maurizio438

. Anch’essi privati della custodia della

431

Da Ivrea cit., pp. 61-62. 432

FALOPPA, Società e politica cit. p. 268, n. 751; Da Ivrea cit., p. 78; Le carte

dell’archivio capitolare cit., p. 89, doc. 75; FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 398-400;

Documenti dell’archivio comunale cit., p. 126, doc. 90; p. 244, doc. 145; p. 177 sgg., doc. 129; pp.

230-232, doc. 168; pp. 315-316, doc. 215; pp. 27-28, doc. 317; pp. 284-299, doc. 207; pp. 170-

171, doc. 425; OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 313; cfr op. cit. p. 272, n 8. 433

Documenti dell’archivio comunale cit., pp. 14-16, doc. 4. 434

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 27, doc. 15. 435

Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 72-73, doc. 61. 436

Op. cit., p. 114, doc. 101. 437

Cartario della Confraria cit., p. 240, doc. 17. 438

Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 152, doc. 143.

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78

castellania intorno agli anni ’20 del Duecento, i signori di Burolo dovettero

riorientare i loro progetti. Ci riuscirono solo dal quarto decennio del Duecento,

dove sono attestati intorno al 1234 nell’area a Nord di Ivrea439

, e soprattutto di

Pertusio, con Rotefredo, marito di Beatrice e figlio del fu «dominus» Filippo di

Burolo, nonché fratello di Aimone di Settimo (padre di Bonaveria)440

. La famiglia

mantenne probabilmente interessi a Bollengo nel 1264, ma nel 1291, la famiglia

aveva radicato i propri interessi nella zona di Pertusio441

.

A Strambino, una famiglia della villa sorta attorno all’antico «castrum», da

cui prese il nome, si mise in concorrenza con gli altri signori del luogo, gli

Avvocati nonché castellani vescovili. Questa famiglia, i de Villa, per meglio

rivaleggiare con i propri rivali si riunì in un consortile formato (o guidato) dai figli

di Ottone de Villa; ma è con l’avvicinamento tramite matrimonio ai San Martino

che essi riuscirono a rafforzarsi fino ad esprimere un proprio membro come

podestà del consortile raccolto attorno a questi conti442

. Per i de Romano, invece,

si sa che nel 1235 Ottone di Aramengo ricevette da Enrico di Romano parecchi

beni per la dote di sua moglie Maria o Marca, figlia di Enrico443

; nello stesso atto

è indicata la moglie di Enrico «domina Spagna». Di questo legame coniugale si ha

ancora notizia nel 1249444

, quando Selvatica, figlia di Enrico e moglie di Rufino

«Paneneri» di San Giorgio, rinunciò all’eredità paterna in favore di Maria, sua

sorella e moglie di Ottone signore di Aramengo, i quali si impegnavano a pagarle

una forte corrispettivo per la dote (65 lire segusine).

3. Le famiglie cittadine

Accanto alla gestione di ampi patrimoni e al potenziale politico garantiti

dalle istituzioni comunali e soprattutto dall’ambiente religioso a Ivrea, le fonti

hanno permesso agli studiosi del recente passato di ricavare informazioni sui

lignaggi cittadini eporediesi, assai più numerose di quelle a disposizione per

l’aristocrazia militare canavesana. È possibile esprimere con maggiore sicurezza

439

Op. cit., p. 188, doc. 135. 440

I necrologi del Capitolo di Ivrea, a cura di G. BORGHEZIO, Torino 1925 (Biblioteca della

Società Storica Subalpina, LXXXI), I, pp. 79-80, num. 271; p. 112, num. 417; Documenti

dell’archivio comunale cit., pp. 191 sg. e 137. 441

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 41-42, doc. 328; p. 167, doc. 423. 442

Si tratta di Pietro, per il quale si veda supra n. 425. 443

Le carte dell’archivio vescovile cit., p. 202 sgg., doc. 145. 444

Op. cit., pp. 276-277, doc. 199.

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79

considerazioni sulle strategie matrimoniali e sui raccordi parentali fra nuclei

cittadini in origine diversi oppure separatisi da un ceppo comune nel giro di poche

generazioni. Alcune situazioni di maggiore ricchezza documentaria sono state

segnalati dagli studi di Faloppa (de Civitate, Grasso, de Mercato, Solero) rispetto

ad altre (del Pozzo, Caldera, della Rocca, della Torre, Genetasio): aggiungendovi

alcune informazioni complementari tratte da regesti di inizio secolo445

, si trovano

conferme a tutto ciò nella forma d’intrecci familiari (di cui soltanto alcuni sfociati

in raggruppamenti consortili) o di cambi di orizzonte che segnalano strategie

matrimoniali inserite in mirate politiche familiari.

Nel 1195 il consortile guidato dai de Civitate era unito in una lite con al

centro un insieme di diritti sul lago Trelago446

: questo gruppo doveva

probabilmente, già in questa data, avvertire il rischio di disperdere il proprio

patrimonio, a causa dell’alto numero di individui e, forse, di una solidarietà

familiare venuta inevitabilmente meno dopo la divisione della famiglia in diversi

rami. Probabile capostipite di questa domus fu Ubaldo de Civitate (attestato nel

1127)447

. Da lui nacque Bonamico, i cui figli tuttavia non mantennero il

patronimico originale. Gualtiero e Bosone, infatti, accostarono al proprio nome

l’aggettivo «Brusato»448

: è accertato che la famiglia dei de Civitate era

imparentata con loro, e al gruppo dei de Vita449

. Dei loro figli, soltanto Oberto

(nato dal matrimonio fra Bosone e Richelda) mantenne il patronimico, ma non lo

trasmise ad alcuno perché divenne canonico450

. Invece, da una figlia di Gualtiero,

Odelina (moglie di Azone di Guglielmo «de Furno» di Masino), si scopre che i de

445

Ovvero quelli redatti da Ferdinando Gabotto, Enrico Durando, Giuseppe Colombo,

Giuseppe Assandria, Gino Borghezio citati in questa tesi. 446

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 437. 447

Padre di Boiamondo, Pasquale, Ubaldo (padre di Robaldo, marito di Berta dalla quale

ebbe Ubaldo, padre di Ardizzone e marito di Emilda, e Giacomo, padre di Grifone; di Uberto,

padre di Clavino, Evrardo e Guiberto), Bongiovanni e Lifredo (padre di Filippo), FALOPPA, Un

insediamento monastico cit., p. 31; Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 100, doc. 88; p. 142,

doc. 132 e p. 162, doc. 152; I necrologi del Capitolo cit., p. 40, num. 107 e p. 123, num. 478;

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 437 e 479. 448

Bonamico e Riccardo, Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 22, doc. 15; in SERENO, Il

monastero cistercense cit., p. 220, doc. 1, Bonamico, figlio di Bosone Brusato, è indicato come

fratello di Brida, «neptis» di Giacomo Breario, padre costui di Berlenda. 449

ALBERZONI, Da Guido di Aosta cit., p. 247, n. 243; vedi anche FALOPPA, Un

insediamento monastico cit., pp. 29-31. 450

I necrologi del Capitolo cit., p. 54, num. 167; ALBERZONI, Da Guido di Aosta cit., p.

247, n. 243; Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 82, doc. 70; FALOPPA, Ivrea dalla “civitas”

cit., p. 469.

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80

Civitate professarono legge longobarda451

. Anche la famiglia dei de Vita era attiva

nel consortile dei de Civitate. Figli di Ivoreo de Vita, marito di Vinberga452

, erano

il canonico Pietro e Brolino453

. Quest’ultimo, più volte menzionato come un «de

Civitate»454

– come fu del resto per il padre Ivoreo –, era marito di Imelda e,

insieme a lei, lasciò un’ampia discendenza455

.

I Grasso, con un precoce tentativo di instaurare legami interfamiliari e di

strutturarsi in senso aristocratico e signorile, misero in atto una «strategia

calibrata» di potenziamento, perseguita attraverso una politica matrimoniale e una

serie di rapporti con alcune famiglie signorili del contado nel frattempo

inurbate456

. I Grasso strinsero rapporti familiari con i «domini» di Romano nel

1207, ciò permise loro di qualificarsi in senso signorile457

e, nello stesso anno, essi

alimentavano le proprie relazioni in città attraverso il matrimonio fra Beatrice, una

de Mercato e sorella di Giacomo e Ivoreo458

, e Guglielmo Grasso, il quale sembra

sia stato l’unico della sua famiglia ad aver messo in atto strategie matrimoniali459

.

Rimane inspiegata la relazione fra questa famiglia e il gruppo di individui che

assunsero il patronimico «de la Grassa», da attribuire probabilmente a Ivoreta

Grasso o Grassa: questi personaggi, congiuntisi poi al nucleo che si denominò «de

Ogerio», comparvero in atti accanto alla famiglia Grasso460

.

Pur essendo molto documentata la famiglia dei Solero, anche sul piano delle

relazioni parentali e matrimoniali, è difficile cogliere la provenienza dei congiunti

a questa numerosa e compatta domus. La legge professata dai Solero,

diversamente dai de Civitate, era quella romana: ce lo attesta un documento del

451

Op. cit., p. 459. 452

Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 34-35, doc. 28; I necrologi del Capitolo cit., p.

145, num. 586. 453

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., pp. 469-470; I necrologi del Capitolo cit., p. 16,

num. 30. 454

ALBERZONI, Da Guido di Aosta cit., p. 247, n. 244. 455

Suoi figli furono Federico (anch’esso attestato come de Civitate e padre di Enrico),

Guercio, Bartolomeo, Guglielmo, Alario, Corrado e Giacomo; un possibile fratello di Brolino

sarebbe Martino (1196): I necrologi del Capitolo cit., p. 92, num. 328; Le carte dell’archivio

capitolare cit., p. 87, doc. 74; p. 91, doc. 77; p. 195, doc. 172; p. 120, doc. 108; p. 208, doc. 182. 456

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 426 sgg.; ma anche con i Mercenasco op. cit., p.

431. 457

Op. cit., p. 429. 458

Op. cit., p. 430; I necrologi del Capitolo cit., p. 38, numm. 100-101. 459

FALOPPA, Società e politica cit., p. 134-135. 460

Op. cit., p. 363, doc. 259; I necrologi del Capitolo cit., p. 38, num. 102; Le carte

dell’archivio capitolare cit., p. 195, doc. 172.

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81

1203461

. Un legame matrimoniale è attestato fra Maria, figlia di Ottone Solero, e

Ferrario di Albiano462

, fratello di Suriano di Diusio, molto attivo nelle

magistrature e nella società eporediese; ciò conferma l’interesse ad avvicinarsi a

una realtà sociale vicina sia al vescovo e sia alla zona di sviluppo finale degli

interessi patrimoniali extraurbani di famiglia, a nord-ovest dalla città. Ma altri

accordi avvennero con i de Oltreponte e i Montestrutto: nel 1302 Giuliana di

Oltreponte era madre di Bertina e moglie di Emblavato Solero463

; moglie di

Ardizzone Solero fu Margherita figlia di Uberto di Montestrutto464

. Mentre da

Bovolo Solero465

probabilmente si affermò un ramo collaterale, i «de Bovolo».

Nella famiglia dei Solero, come in tutte le altre, coloro che non erano coinvolti

dalle strategie matrimoniali erano indirizzati verso carriere religiose (entro il

capitolo cattedrale, i cenobi urbani ed extraurbani, maschili e femminili)466

, o ne

rimanevano semplicemente ai margini non arrivando (quasi) mai a sposarsi467

.

I de Mercato mantennero i propri interessi entro il territorio cittadino anche

sul piano delle relazioni familiari. Infatti, matrimoni accertati sono quelli con altre

due domus dell’élite comunale eporediese, i de Civitate e i Grasso. Probabilmente

anche i de Mercato erano di legge longobarda: si è appena visto che la figlia di

Giacomo de Mercato, Beatrice fu moglie di Guglielmo Grasso, attestato come suo

mundoaldo. Ad altra famiglia di legge longobarda si sarebbe legata attraverso il

matrimonio, nel 1184, di Pietro di Rainario de Mercato con Giacoma, forse la

stessa de Civitate – secondo Faloppa – menzionata in un atto del 1181, come

figlia del fu Tiberio de Civitate, la quale dice di «Longobardorum lege vivere».

Inoltre, da questo documento emerge un possibile legame di affinità parentale fra

la famiglia de Civitate e i della Torre e i Genetasio: infatti, nell’atto sono presenti

Giacomo della Torre e Giacomo Genetasio che sono testimoni in veste di «Iacoma

461

Op. cit., p. 83, doc. 71. 462

I necrologi del Capitolo cit., p. 22, num. 47. 463

Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 218, doc. 192. 464

I necrologi del Capitolo cit., p. 137, num. 532. 465

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 424. 466

Le maggiori informazioni sono contenute in FALOPPA, Un insediamento monastico cit.,

p. 19, EAD., Ivrea dalla “civitas” cit., pp. 434-438, EAD., Percorsi familiari cit., pp. 416-422 e

SERENO, Il monastero cistercense cit., pp. 129-153 e 161-170; mentre ulteriori informazioni sono

rintracciabili in Cartario della Confraria cit., I necrologi del Capitolo cit. e Le carte dell’archivio

capitolare cit. 467

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., p. 49.

Page 81: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

82

propinquorum parentum»468

. I della Torre e i Genetasio, inoltre, erano imparentati

tra loro469

– il capostipite dei Genetasio sarebbe lo stesso Genetasio della Torre

attestato nel 1177470

–: i della Torre furono legati anche ai de Carisio con il

matrimonio di Matelda, una della Torre, e Rainerio471

.

Isolate notizie di matrimoni trapelano dai documenti che interessano altre

famiglie del mondo cittadino. I Salerano, con Evrardo, si legarono ad Albiano e ai

suoi nuclei familiari, poiché egli è attestato nel 1198 come marito di Serafina,

figlia di Pietro d’Albiano472

. Dei Taglianti si è detto che avendo interessi nella

vallata di Brosso e attorno a Lessolo e Fiorano furono avvicinati e coinvolti nelle

politiche matrimoniali dei conti di Castellamonte; ma va menzionato anche un

ipotetico legame con i de Civitate, dato che, nel 1169, Bongiovanni del fu Rodolfo

Taglianti, agiva col consenso di Uberto de Civitate, tutore del patrimonio della sua

famiglia473

. Un’associazione di natura economico-patrimoniale legava le due

famiglie dei Rucamerdosa e dei Poma474

. Un legame di consanguineità legava i

del Pozzo e ai di Biella475

, mentre un accordo matrimoniale aveva avvicinato

questi ultimi al consortile della Valle di Montalto476

; ulteriori (ma ipotetici)

legami potrebbero esser colti leggendo gli obituari del capitolo cattedrale, per

esempio, tra de Mercato e della Rocca477

(o Borgonovo, come propone

Faloppa)478

; mentre non risultano che isolati nomi femminili per altri (Caldera,

468

FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 465; Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 47-48,

doc. 39. 469

FALOPPA, Un insediamento monastico cit., p. 33, n. 97. 470

FALOPPA, Società e politica cit., pp. 218-221. 471

Le carte dell’archivio capitolare cit., p. 150, doc. 140. 472

Op. cit., p. 75, doc. 63. 473

Op. cit., p. 30, doc. 23. 474

Dei Poma si perdono le tracce a inizio Duecento, FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p.

467; le vicende dei Rucamerdosa sembrarono chiudersi con la morte di Gregorio, canonico di S.

Maria (op. cit., pp. 465-466): invece, continuarono con i discendenti di Pietro Valdano, figlio di

Enrico, morto nel 1213; di questi si conosce solo Franchino – attestato nel 1231 e nel 1256 –,

avuto dalla moglie Cara; di lui si sa che fu sposato a Sibilla e divenne padre di Oberto: Le carte

dell’archivio capitolare cit., p. 122, doc. 110; p. 178, doc. 165; p. 195, doc. 172; I necrologi del

Capitolo cit., p. 71, n. 236; p. 103, num. 372; p. 142, num. 558. 475

Cartario della Confraria cit., p. 242, doc. 18. 476

Op. cit., pp. 316-317, doc. 216. 477

I necrologi del Capitolo cit., p. 28, num. 69; p. 78, num. 264. 478

FALOPPA, Percorsi familiari cit., pp. 482-487.

Page 82: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

83

Stria), e per cui singole informazioni sugli uomini del gruppo familiare non

permettono di ricostruirne i raccordi matrimoniali479

.

4. Conclusioni sull’analisi delle strategie matrimoniali

Gli interessi che orientarono le strategie matrimoniali delle diverse famiglie

signorili furono per lo più di natura patrimoniale: lo erano, ad esempio, quelli che

mossero le stirpi comitali a cercare legami con le famiglie di castellani e signori

fondiari presenti sul territorio canavesano480

. Mentre erano soprattutto di natura

politica i motivi che spinsero questa aristocrazia a legarsi con famiglie di maggior

prestigio o a cercare tregue agli scontri militari, compromessi spesso raggiunti

attraverso il matrimonio fra individui di famiglie tra loro consanguinee481

; altre

volte il matrimonio funzionava come strumento per sancire un passaggio al fronte

opposto482

, o per rafforzare legami tra famiglie appartenenti alla stessa fazione

politica483

. In taluni casi, prestigio e rafforzamento patrimoniale potevano

combinarsi dando vita a matrimoni fra gruppi cittadini ricchi e potenti con

esponenti del notabilato canavesano o della stessa aristocrazia militare.

Anche i consortili familiari creatisi nel corso del Duecento furono l’esito di

soluzioni richieste da necessità legate ai patrimoni e al venir meno della

solidarietà fra parenti e di compromessi raggiunti grazie a comuni interessi

politici. A riguardo resta evidente il fatto che, se le famiglie signorili resistettero a

lungo e con successo all’influenza e alle mire espansionistiche dei comuni

cittadini o dei signori più potenti, fu grazie anche a tale espediente che esse, oltre

a contraddistinguersi nel panorama dell’Italia centro-settentrionale484

, riuscirono a

condividere, oltre ai patrimoni e al potere politico, gli sforzi militari ed economici

nella difesa di interessi comuni e particolari.

479

Le carte dell’archivio capitolare cit., pp. 8-10, docc. 2-3; pp. 15-17, docc. 810; p. 21,

doc. 14; p. 52, doc. 43; p. 68, doc. 57; pp. 70-71, doc. 59; pp. 95-96, doc. 83; p. 116, doc. 104; p.

119, doc. 107; p. 124, doc. 112; pp. 133-134, doc. 112; p. 139, doc. 128; p. 154, doc. 144; p. 157,

doc. 146; p. 162, doc. 152; pp. 174-175, doc. 162; p. 183, doc. 167; p. 209, doc. 183; FALOPPA,

Ivrea dalla “civitas” cit., p. 459. 480

Valga come esempio per tutti, il legame matrimoniale che cominciò a legare da metà

Duecento la famiglia comitale dei San Martino ai de Villa, signori di Strambino. 481

Supra p. 73. 482

Il riferimento va al matrimonio tra i conti di Castellamonte e la famiglia Tagliandi. 483

Come poteva essere per i San Martino con i d’Andrea. 484

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., pp. 77-78.

Page 83: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

84

Grazie alle informazioni tratte dalla documentazione e dagli studi su

vicende e tendenze patrimoniali, è possibile affermare che a indirizzare le

strategie matrimoniali messe in atto dalle famiglie signorili cittadine concorsero,

insieme ad altri (attività economiche, sociali, civiche e coinvolgimento in

ambienti quali quello vescovile e quello comunale), fattori quali la professione di

legge e la tradizionali politiche legate alla trasmissione agli eredi del patrimonio.

Così, alcune domus, come i de Civitate485

, strinsero accordi matrimoniali con

quelle famiglie che come loro avevano il centro dei propri interessi patrimoniali e

delle proprie attività politiche in città: nelle loro scelte giocò probabilmente un

ruolo importante l’appartenenza ala legge longobarda. Fuori da Ivrea guardarono i

Tagliandi, i Salerano, ma soprattutto i Solero (che a inizio Trecento disposero di

molti possessi a nord-ovest della città)486

: per questa famiglia si può ipotizzare che

la professione di legge romana agevolò il loro inserimento nel contado e nei

circuiti di ricchezza e potere rappresentati da piccoli-medi signori fondiari,

maggiorenti locali, ecc. A metà strada si trovarono lignaggi, quali i Grasso,

interessati a legarsi sia a domini loci del contado sia a famiglie molto attive in

città: essi valorizzarono gli aspetti legati alla famiglia e alla trasmissione del

patrimonio del diritto longobardo per legarsi ad altre famiglie cittadine, mentre

per unirsi ai signori di Romano valorizzarono al meglio la loro strategia

matrimoniale attraverso il ricorso all’istituto dotale, non del tutto estraneo alla

loro legge di appartenenza487

.

485

Fu la sola domus cittadina a comparire come partecipe a un consortile familiare, anche

se le poche notizie (coerenze patrimoniali, interessi sulla percezione di censi e affitti, ecc.) relative

ai del Pozzo (indicati talvolta come «illi de Puteo», per cui si veda supra il testo compreso fra le

nn. 266-267) potrebbe far pensare a una struttura basata sulla solidarietà familiare e la coincidenza

di politiche e sostanze patrimoniali. 486

Si veda oltre cap. V. 487

LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni cit., pp. 27-37, in particolare 29-31.

Page 84: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

85

Capitolo quinto

Dinamiche politiche e carriere familiari

1. Dinamiche politiche e carriere familiari:

Ivrea e Canavese tra Due e Trecento

Rispetto al modello di riferimento dei decenni a cavallo fra XII e XIII

secolo, ossia quello pubblicistico di matrice comunale, il Canavese – come ha di

recente affermato Paolo Buffo – parve orientarsi verso «prospettive ideologiche

eccentriche»488

: al fine di legittimare con argomenti nuovi antiche modalità di

controllo su uomini e territori, le famiglie signorili furono in grado di elaborare

varie e inedite concezioni del potere, grazie soprattutto alla comunicazione con

«interlocutori esterni di rilievo», come i comuni cittadini e i principati

territoriali489

. L’autonomia di cui godettero – protrattasi fino agli inizi del secolo

XIV – aveva consentito a queste famiglie di operare entro un quadro istituzionale

eccezionalmente fluido490

.

Se le vicende patrimoniali di queste famiglie furono autonome491

, quelle

politiche furono doverosamente comuni per la necessità di offrire una risposta

unitaria alle sfide esterne, ma anche interne, al Canavese492

: un «osservatore del

Duecento» avrebbe colto abbastanza nettamente la separazione politica esistente

fra l’area eporediese e quella dei bacini dell’Orco e della Dora Baltea, poiché,

diversamente dalla maggior parte dei lignaggi signorili dell’Italia settentrionale,

protagonisti fra XII e XIII secolo di un «serrato confronto» con l’espansione delle

città comunali, le famiglie comitali del Canavese si mantennero autonome rispetto

488

BUFFO, Lessico e prassi cit., pp. 438-439. 489

L. cit. 490

Ad esempio, durante le esperienze del consortile dei conti e dei castellani del Canavese e

della coniuctio con il comune di Ivrea – nate da necessità di convivenza e gestione politica, ma

concluse dopo o a causa di conflitti militari esterni o interni che ne coinvolsero le parti – i vari

organismi adottarono la terminologia propria del potere pubblico, OREGLIA, Le famiglie signorili

cit., pp. 316-345. 491

Si trova raramente notizia di beni allodiali di una famiglia signorile canavesana; ma al

contrario le notizie più frequenti riguardano beni dei quali i singoli membri erano investiti dalla

chiesa o dai comuni di Ivrea o Vercelli: questi in origine erano di tipo allodiale, che venivano

ceduti a un altro organismo politico e subito affidati in gestione ai conti con il meccanismo del

feudo oblato, OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 231. 492

Op. cit., p. 348 sgg.

Page 85: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

86

ai comuni urbani della regione493

. Nel tentativo di assicurarsi il loro appoggio

«nella lotta di sopravvivenza contro il ben più potente comune di Vercelli», Ivrea

tentò più volte di aggregarle intorno a sé, attraverso la concessione di cittadinatici

politici o «soluzioni politiche inedite»494

: tali accordi – che sovente avevano

natura militare – non si tradussero in omaggi vassallatici in favore del comune, il

quale mai si impose come senior collettivo dell’aristocrazia comitale, riuscendo

soltanto a coordinare, per via mediata, il territorio canavesano e gli uomini atti

alle armi che ne facevano parte ed erano sottoposti a quei signori495

.

Soltanto la famiglia dei conti di Masino prese immediatamente le distanze

anche dal punto di vista politico e militare: forse per la prossimità territoriale, essi

si schierarono a fianco del comune vercellese. Ciò non rappresentava una novità:

già nel 1141 i «de Canavise» investirono l’«universitas» di Vercelli di vari beni,

compresi i due «castra» di «Castellito et Malione cum villis et curiis eorum seu

cum omnibus districtis […] et honoribus» e la «curadia» dei mercati di Mazzè e

Rivarolo496

, legandosi con un giuramento di fedeltà al comune; questo rapporto fu

ereditato dalla famiglia dei San Martino497

, i quali furono a lungo detentori del

feudo di Castelletto498

.

In seguito al controllo territoriale esercitato da questa aristocrazia militare, il

Canavese si configurò come un’area «compattamente signorile», articolata in

«territori dipendenti ciascuno dal proprio castrum», a capo dei quali vi erano le

famiglie signorili che, «per estendere la propria influenza a territori controllati da

altri domini», non mancarono di servirsi della «mediazione di organismi comunali

locali»499

. La famiglia di cui sono state maggiormente indagate circa questo tipo

di legami intrapresi a livello locale è quella dei conti di Valperga. Vassalli o «boni

493

BUFFO, Lessico e prassi cit., p. 399. 494

Op. cit., p. 400; cfr. OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 316 sgg. 495

PANERO, Il «Libro rosso» cit., pp. 57-59: se con le stirpi comitali il comune di Ivrea

riuscì a stringere solamente accordi politico-militari, con i signori appartenenti al vasto consortile

della Valle di Montalto giunse a veder riconosciuta una superiorità per certi versi signorile; cfr.

supra n. 135. 496

Documenti dell’archivio comunale cit., p. 11, doc. 1; OREGLIA, Le famiglie signorili cit.,

pp. 15-16. 497

Anche se in un’attestazione tarda rispetto al periodo considerato, questa famiglia

possedeva il feudo di San Martino concesso «dalla chiesa eporediese»: Le carte dell’archivio

vescovile cit., p. 163, doc. 118; OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 100 e n. 172. 498

Identificabile «con sicurezza» con Castelletto Cervo a nord di Vercelli sulle rive del

torrente Cervo, op. cit., p. 11 e n. 32. 499

BUFFO, Lessico e prassi cit., p. 402.

Page 86: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

87

homines» a loro sottoposti furono i Droenghi di Valperga, i de Doblazio di Pont e

dintorni, i Descalzi di Salto, i Manera di Cuorgné, i Silvesco di Salto e Canischio,

i Folli di Rocca, i signori di Barbania, i Biamonti, i Serotti, i Tibaudi, gli

Alberti500

, i castellani di Mazzè, e famiglie di Busano come i Mollo, i Berro, i

Fabro, i de Muro, i Doglio501

. Il loro patrimonio arrivò a lambire diversi centri,

come Valperga, Rivara e Mazzè, con i loro territori, e – sebbene in momenti

diversi fra loro – Barbania, Corio, Ozegna, Oglianico, Rivarossa, Pont502

, Caluso,

Candia, Castiglione, Mercenasco, Montalenghe503

e Busano. I conti di Valperga

guidarono un consortile molto impegnato politicamente che consentì ai suoi

aderenti di raggiungere la carica di podestà condiviso con il comune di Ivrea a

metà Duecento, ruolo rivestito a fasi alterne e in concorrenza con i rivali del

gruppo rappresentato dai conti di San Martino504

. Essi furono i più fedeli

sostenitori del ‘partito ghibellino’ – di cui si parlerà più avanti – attivo in

Canavese.

Vicini a questa famiglia per motivi di parentela e adesione politica erano i

conti di Masino. Essi furono economicamente e militarmente molto potenti:

giunsero a controllare un territorio particolarmente compatto e posto al confine

delle aree di influenza dei comuni di Ivrea e Vercelli, una importante zona di

transito per commerci e uomini. La loro signoria, riconosciuta come feudo oblato

dal comune di Vercelli – al quale si erano legati vassallaticamente –, si estese sui

centri fortificati di Masino e Maglione, e sui territori su cui sorgevano le attuali

Borgomasino, Settimo Rottaro, Vestignè, Caravino e Cossano. Altri possessi di

questa famiglia erano situati nel Canavese centro-occidentale, mentre un secondo

feudo oblato probabilmente fu concesso sulla località di Azeglio dal vescovo di

Ivrea a inizio XII secolo505

. Consecutivamente negli anni 1264 e 1265 la carica

podestarile di Ivrea fu ricoperta dai due fratelli Oddonino e Giacomo506

, mentre

500

Cfr. BERTOTTI, La pianticella di canapa cit., pp. 18-29. 501

BUFFO, Lessico e prassi cit., pp. 418-428. 502

Da Ivrea cit., p. 175. 503

Op. cit., p. 274. 504

PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 945 sgg. 505

CHITTOLINI, La formazione dello Stato regionale cit., pp. 51-59, 69 sgg. 506

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 170.

Page 87: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

88

nel 1296 Guieto fu capitano della «societas populi» di Ivrea507

.

Nei decenni iniziali e centrali del Duecento, i conti di San Martino unirono

al loro consortile i centri di Rivarolo, Front, Castelnuovo, Baldissero508

,

Strambino e Favria, e controllarono vaste aree attorno a Burolo, Agliè509

, Candia e

Castiglione. Questi conti si unirono al partito ‘guelfo’510

facendo causa comune

con la Chiesa eporediese e alla famiglia Gonzaga di Mantova: la salita al soglio

episcopale di Federico di Front prima, e di Alberto Gonzaga poi511

, sono una

conferma a questo progetto politico. Anche i Castellamonte, dopo una fase filo-

monferrina, avrebbero aderito alla causa guelfa con l’inizio del XIV secolo. Da

decenni si erano inseriti nelle principali istituzioni religiose512

unendosi per via

matrimoniale ai Tagliandi, a capo del partito avverso al marchese del Monferrato

e ai ghibellini. Questa famiglia di conti giunse a controllare la Val Chiusella e i

centri di Castellamonte, Brosso, Strambinello, e diversi beni nei territori di

Lessolo, Quagliuzzo, Vidracco, Feletto e Montalenghe, e in parte di Agliè,

Balangero, Ozegna e Strambino.

Intorno alla metà del Duecento, il comune di Ivrea aveva riallacciato

relazioni politiche con i conti di Castelnuovo e di San Martino513

, mentre il

vescovo Federico di Front, dopo aver proseguito l’opera dei suoi predecessori,

dovette rassegnarsi a una congiuntura politica sfavorevole che aveva colpito la

chiesa eporediese, la quale vide svanire ogni sua anacronistica pretesa signorile

sulla città.

A metà degli anni ’60 l’eporediese, reduce dal periodo di dominazione

imperiale (1238-1250) – durante il quale Federico II aveva installato in Ivrea,

507

P. BUFFO, I documenti dell’archivio storico del comune di Ivrea (1142-1313), in

«Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», CX (2012), I, pp. 270-275, doc. 40. 508

Da Ivrea cit., p. 108. 509

Cfr. op. cit., p. 209. 510

Per ciò che è da salvare delle tradizionali definizioni guelfo e ghibellino, L. BAIETTO, Il

papa e le città. Papato e comuni in Italia centro-settentrionale durante la prima metà del secolo

XIII, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2007, pp. 279-281, 341-356 e

relativa bibliografia. 511

Ovvero, dopo il trasferimento di Federico a Ferrara, su volontà del papa, nel 1289,

OREGLIA, Le famiglie signorili cit., p. 142. 512

Ad esempio, Giacomo, abate di S. Stefano (1256-1295), fu un membro di questa

famiglia, PIAZZA, In chiesa e nella vita cit., p. 286; cfr. SERENO, Il monastero cistercense cit., pp.

139-144 e 145 sgg. 513

E stringendo un accordo con altre famiglie che erano venute meno ai doveri previsti dal

cittadinatico dopo la pace separata fra Ivrea e Vercelli del 1231, Il libro rosso cit., pp. 255-284,

docc. 245-248.

Page 88: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

89

come in altre città italiane, suoi funzionari (capitanei o podestà)514

–, fu teatro

della prova di forza ingaggiata dal vescovo Federico contro il marchese del

Monferrato. Il conflitto che ne risultò si sovrappose, anzi venne a coincidere

rapidamente con i contrasti interni all’aristocrazia comitale: da una parte insieme

con i conti di San Martino, alleati della Chiesa, si trovarono i Castelnuovo, i

Rivarolo-Front (famiglia di cui faceva parte il presule) e gli Strambino; dall’altra i

Valperga-Rivara, filo-monferrini, furono appoggiati dai conti di Castellamonte

(prima della loro adesione alla parte opposta) e quelli di Masino, i signori di

Mazzè, di Candia e di Castiglione. Questa contrapposizione assunse col tempo i

colori della lotta fra «guelfi» e «ghibellini», ma senza che «tali denominazioni

abbiano avuto – oltre la profonda rilevanza di contrapposizioni locali – quel noto

connotato di specifico legame ideologico con i partiti pontificio o imperiale

assunto altrove», poiché, durante il regno di Federico II – e quindi durante la

supervisione in Ivrea di suoi rappresentanti – questo scontro attraversò un

momento di particolare intensità, la situazione canavesana non fu nel complesso

«molto agitata»515

.

Tuttavia, un richiamo a queste contese lo consente il fatto che, nel biennio

1266-1267, solo parte dell’aristocrazia eporediese e canavesana operò in favore

del marchese del Monferrato Guglielmo VII, il quale ottenne la signoria sulla città

di Ivrea516

. Il conflitto appena cominciato, e lontano dal risolversi con questa

soluzione, era destinato a proseguire, poiché soltanto parte della popolazione

eporediese lo aveva voluto come suo signore, e tra questi di certo non vi erano il

vescovo Federico e i suoi alleati. Dopo l’episodica transizione imperiale di

Corradino II (1268), il comune – probabilmente il partito opposto a quello che

aveva consegnato la città a Guglielmo – e la Chiesa – quest’ultima su

suggerimento del pontefice – si decisero a passare dalla parte del nuovo potente

514

BORDONE, I ceti dirigenti cit., p. 79. 515

PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 945 e n. 101; cfr. BAIETTO, Il papa e le città cit.,

pp. 280 sgg., 346-349. 516

Sotto la podestaria di Corrado Valperga di Rivara, il comune e i maggiorenti

riconobbero la signoria di Guglielmo VII di Monferrato; dopo un secolo di soggezione, il comune

aveva ritrovato, fuori Ivrea, un potente signore che contrastava efficacemente la signoria vescovile.

Già nei primi mesi del 1267, tuttavia, dopo le conseguenze della propria decisione, i maggiorenti si

riallinearono alle posizioni vescovili. Linea politica che non mutò in occasione del ‘sacrificio’

della signoria vescovile nella dedizione a Carlo d’Angiò nel 1271: il vescovo con questo nuovo

atto mantenne gli assodati rapporti vassallatici con l’élite cittadina e la parte guelfa della nobiltà

rurale, ma perse ogni potere politico formale, PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., p. 946 sgg.

Page 89: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

90

del momento, il guelfo Carlo d’Angiò517

(1271-1276, con avvicinamento fin dal

1268). Quest’ultima dedizione rientrava nelle speranze di Federico di avere un

protettore in grado di tenere a bada gli sconfinamenti nella diocesi perpetrati da

Guglielmo VII: tuttavia, l’evanescenza dell’avanzata angioina portò a un nuovo

riconoscimento della signoria monferrina sulla città (1277-1309) e

all’appianamento dei rapporti fra vescovo e marchese, mentre il comune non seguì

immediatamente l’esempio vescovile, ma attese la dedizione di Vercelli, allora

alleato degli eporediesi, sottomettendosi soltanto l’anno seguente518

.

Fu probabilmente in questo periodo che si definirono gli schieramenti che si

sarebbero fronteggiati sulla scena politica canavesana e in guerra nella prima metà

del XIV secolo519

. La stabilità portata dalla signoria monferrina consentì la

cristallizzazione delle correnti interne alla città che avevano tutto l’interesse a

prevalere sulla parte avversa: da una parte erano raggruppati i Solero e alcuni

signori della zona a Nord di Ivrea, l’area in cui gli stessi Solero avevano il centro

dei propri interessi (Lessolo, Baio, Fiorano), dall’altra gli Stria e i Tagliandi, di

parte guelfa e a capo della corrente avversa allo strapotere dei Solero520

.

I Solero rappresentano la famiglia che più di ogni altra segnò la storia

religiosa e civile della città521

portando a compimento una strategia chiaramente

perseguita sin dal secolo XII, allo scopo di consolidare il prestigio e le relazioni

sociali del gruppo, in una fase che segnò il loro trionfo nel ceto dirigente cittadino.

517

Si veda a riguardo M. FUIANO, La penetrazione e il consolidamento della potenza

angioina in Italia, in «Archivio storico per le province napolitane», XXXIX (1959), pp. 179-234. 518

Nel 1277, gli Eporediesi giurarono fedeltà al nuovo signore, il marchese del Monferrato

Guglielmo VII (anche se non con la stessa immediatezza vescovile): una signoria «personale e

vitalizia» sulla città, poi confermata, ma anche «concordata» dallo stesso governo comunale, a

Giovanni I, che significò per alcuni maggiorenti investitura di determinati poteri cittadini, op. cit.,

pp. 941-954; cfr. FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 418, n. 96; vedi anche P. BUFFO, La

cogestione di beni e diritti pubblici da parte di comune ed episcopio a Ivrea: prassi, lessici, attori,

Torino 2009, tesi di laurea magistrale presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Torino,

sezione di Medievistica e Paleografia, pp. 177-195. 519

ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane cit., pp. 325-345 e 347 sgg. 520

Statuti cit., I, p. LXXII. 521

Furono spregiudicati e versatili nel perseguire alleanze, veri e propri «imprenditori della

terra», capaci di costruire un patrimonio fondiario esteso e compatto, vicini al vescovo e al

capitolo, «un’élite urbana già collaudata nella consueta collaborazione con il vescovo, ad assumere

la direzione in rappresentanza anche degli altri cives del nuovo ente», BORDONE, I ceti dirigenti

cit.; è valido il paragone di questo gruppo parentale con quello degli Avogadro di Vercelli, per le

«analogie che questi due lignaggi esprimono nella capacità di assicurarsi una centralità nella vita

cittadina», fatto da A. BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel secolo

XII, in Vercelli, nel secolo XII (Atti del quarto congresso storico vercellese, Vercelli, 18-20 ottobre

2003), Vercelli 2005, pp. 262-268; si veda anche FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 434.

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91

Essi si inserirono ai massimi livelli delle cariche politiche e si segnalarono come

promotori o animatori di tutte le esperienze religiose cittadine, dall’episcopato al

collegio canonicale, dal cenobio di S. Stefano alla Confraria del S. Spirito, dagli

ordini mendicanti ai flagellanti, comparendo anche fra i benefattori della

Confraria del S. Spirito, o fra gli uomini e le donne devoti dei numerosi ospedali

di Ivrea. Negli anni novanta membri della famiglia furono vicari generali del

vescovo, arcidiaconi, visconti della chiesa eporediese, mentre nel secondo

decennio del Trecento ben sei erano i Solero inseriti con varie cariche nel capitolo

della cattedrale522

, e i parenti rimasti nel secolo svolsero compiti di primo piano

nella mediazione politica fra forze interne (vescovi e aristocrazia) ed esterne (i

Savoia) al territorio Eporediese523

.

Anche le famiglie dei Tagliandi e degli Stria giocarono un ruolo di primo

piano alla fine del Duecento e nei primi decenni del Trecento. Lungo tutto il XIII

secolo queste due famiglie collaborarono o furono attive una accanto all’altra

nell’acquisizione di numerosi terreni e benefici ecclesiastici524

, mentre il

mantenimento della fedeltà al vescovo consentì loro di ottenere il possesso di un

quarto dei diritti vicecomitali e dell’avvocazia della Chiesa di Ivrea. I Tagliandi,

inoltre, espressero dalle proprie fila un frate minore, familiare e confessore del

vescovo Alberto Gonzaga, Giacomo525

, e un canonico della cattedrale di Milano e

«legum professor», Alberto di Ardizzone526

. Ai Tagliandi e agli Stria si sarebbero

uniti nell’opposizione allo strapotere dei Solero alcuni maggiorenti eporediesi più

moderati come i d’Andrea e i de Berlenda.

522

SERENO, Il monastero cistercense cit., pp. 131 e 142-143; cfr. ALBERZONI, Da Guido di

Aosta cit., pp. 203-206, PIAZZA, In chiesa e nella vita cit., pp. 237-318, in particolare pp. 291-298

e 304-309, MERLO, I vescovi del Duecento cit., pp. 269-274, ANDENNA, Episcopato e strutture

diocesane cit., pp. 324-328 e 343-346: i poteri vicecomitali dei Solero consistevano nella

giurisdizione criminale sui vassalli e sui districtabiles, gli uomini sottoposti alla giurisdizione

signorile della Chiesa eporediese, soprattutto nei castelli e nei villaggi sui quali si estendeva il

dominatus dei presuli; importanti carriere furono quelle di Nicola e Giorgio Solero, op. cit., pp.

326-328. 523

Per cui si veda infra; una «testimonianza innegabile della grande influenza della

famiglia in ambito religioso» fu quella di esser riuscita a imporre una propria rappresentante al

vertice del cenobio di S. Michele, Ardizzona, giunta solo dopo il 1301, «in una fase in cui a

prevalere nel bacino di reclutamento erano le famiglie extraurbane», SERENO, Il monastero

cistercense cit., p. 143. 524

Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 228-230, doc. 168; pp. 253-256, docc. 183-184;

p. 284, doc. 206; pp. 316-317, doc. 216; pp. 128-130, doc. 392. 525

BUFFO, I documenti dell’archivio storico cit., pp. 284-285, docc. 46-48 e p. 290, doc. 50. 526

ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane cit., p. 327.

Page 91: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

92

Una famiglia probabilmente discesa da una donna appartenente al gruppo da

tempo inurbatosi dei signori di Burolo527

, i de Berlenda rappresentarono quella

categoria che mantenendo un certo rilievo politico e sociale riorientò i propri

interessi nell’esercizio del diritto, nell’attività notarile528

– come i della Torre, o

famiglie ‘nuove’ come gli stessi de Berlenda529

– e nel coinvolgimento nel

capitolo cattedrale – come i del Pozzo530

–, ai quali integrarono un ruolo più che

attivo sulla scena politica di Ivrea.

Dall’inizio dell’XI secolo, i giudici di area canavesana ed eporediese

cominciarono a estendere i propri possedimenti sul contado, anche in virtù dei

molteplici legami con le istituzioni ecclesiastiche e grazie a una ricchezza e un

prestigio alimentati dall’esercizio di professioni legate alla giustizia, al diritto e

alla scrittura sul modello di affermazione di un notariato dotato di «fides publica»

che «proprio in quegli anni si va affermando» conferendo a questa categoria

notevole potere. Nonostante nel secolo XII e fino alla metà di quello successivo

non siano attestati fra i vassalli vescovili, nell’area eporediese al prestigio legato

alla professionalità e all’appartenenza a un’élite intellettuale, alla fine del secolo

XII si aggiungono in qualche caso prerogative che derivano dall’appartenenza al

ceto vassallatico. Le famiglie furono in grado di attivare una pluralità di carriere

basata sull’uso professionale della scrittura e che «evidentemente corrisponde a

precisi disegni di potenziamento attraverso un uso che integra funzioni del

mestiere del giurisperito e potenzialità che offre l’appartenenza al mondo

ecclesiastico». È verosimile che questo ceto «cominciasse a dare vita in città a

progetti di potenziamento constatabili invece per alcuni gruppi cittadini solo dalla

metà del secolo XII». I legami interpersonali trovarono una loro corrispondenza

nella duplice adesione al mondo del diritto e a quello religioso531

.

I d’Andrea furono un’altra delle più importanti famiglie eporediesi a cavallo

tra Due e Trecento. Le origini di questa domus sono ancora indefinite, tuttavia, nel

527

Si veda supra cap. IV. 528

Statuti cit., I, p. LIX, n. 59. 529

Per i della Torre, Documenti dell’archivio comunale cit., pp. 205-206, doc. 179; per i de

Berlenda, ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane cit., p. 344 sg. 530

Uno degli individui più rappresentativi di questa famiglia fu Uberto, op. cit., pp. 349. 531

FALOPPA, Ivrea dalla “civitas” cit., p. 430 e p. 448 sgg.; C. VIOLANTE, Una famiglia

feudale della «Langobardia» tra il X e il XI secolo: i «Da Bariano»-«Da Maleo», in «Archivio

Storico Lodigiano», s. II, XXII (1974), p. 10 sgg.

Page 92: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

93

1318 – e fino alla decisione contraria del papa nel 1320 – il vescovo Alberto

attribuì ad Andrea d’Andrea il feudo ecclesiastico che comprendeva, tra gli altri,

Chivasso, Castagneto e S. Giorgio532

. Andrea era di recente divenuto fidelis di

Amedeo V e Filippo d’Acaia, ed esponente di spicco dell’élite cittadina; inoltre, si

legò per via matrimoniale al casato dei San Martino e a quello dei Valperga533

.

Nel corso del Duecento alle famiglie da lunga data appartenenti alla militia,

in possesso di diritti signorili, o protagoniste di carriere politicamente redditizie si

affiancarono ceti che basarono la loro ricchezza su «elementi di professionalità»: i

notai, per esempio, che a Ivrea mostrarono «grande duttilità e una straordinaria

capacità di trovare spazio all’interno del ceto eminente»534

. Ma molte altre volte si

trattò di «piccoli e medi possessori del contado inurbati, di artigiani della città

organizzati su base professionale o raccolti in associazioni di tipo rionale» che

inquadrarono il loro reclutamento militare, erano legate da solidarietà di vicinato e

tutelavano gli interessi degli aderenti535

.

Nel corso del Duecento i ceti emersi sulla scena politica comunale trovarono

il collante adatto per integrarsi con i lignaggi del primo organismo comunale nella

«comune cultura cittadina e dal persistente modello aristocratico che la

governava»536

, a Ivrea rappresentato tradizionalmente, per tutto il Duecento e

oltre, dal legame con l’ambiente vescovile e quello religioso, il quale era di solito

532

Che in passato era appartenuto ai Monferrato, ma che poi fu devoluto alla Chiesa di

Ivrea alla morte di Giovanni nel 1305, in quanto il suo erede Teodoro Paleologo le possedeva

«contra Deum et iustitiam», poiché non si era accordato con il presule, ANDENNA, Episcopato e

strutture diocesane cit., pp. 330 e 332. 533

Si veda supra cap. IV. 534

FALOPPA, Società e politica cit., p. 240: «in campagna come in città, il linguaggio dei

notai tende a riservare le qualifiche nobiliari alla cerchia delle famiglie di tradizione militare»;

inoltre la fluidità riflessa dal legame vassallatico urbano si nota facilmente in città dove «era

sufficiente il passare del tempo e l’adozione di uno stile di vita adeguato perché la semplice

iscrizione alle cavallate si tramutasse in una pretesa di nobiltà, e molto più difficile in campagna,

dove si trattava di alterare lo stato giuridico di un feudo», BARBERO, Vassalli, nobili e cavalieri

cit., pp. 625-626. 535

BORDONE, I ceti dirigenti cit., pp. 66-67; a Ivrea compare la «societas sancti Mauritii»,

che vede coinvolte, molto probabilmente, famiglie come i Drogo o i Calvo: tuttavia, la realtà

eporediese, di recente formazione, si presentava «semplice e troppo rigida» perché risultasse

significativo il loro sviluppo nella vita politica comunale, FALOPPA, Società e politica cit., 318. 536

Non si «trattava, in realtà, di un modello esterno alla città», rappresentato cioè

dall’inurbamento dei lignaggi signorili del contado che, secondo un equivoco della storiografia

degli anni ’70-’80 del XIX secolo, avrebbero importato i costumi dell’aristocrazia rurale, ma

piuttosto di una cultura che accomunava, al di là della residenza, i ceti dirigenti medievali che si

erano andati formando nel corso del XI secolo, ed era una cultura ‘cortese’, che aveva anzi avuto

le sue origini proprio presso i centri scolastici cittadini e nella loro rivisitazione della tradizione

classica», BORDONE, I ceti dirigenti cit., p. 107.

Page 93: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

94

accostato a un quadro istituzionale anch’esso cavalleresco e signorile. Fedeltà e

stipendi di vario livello garantiti dalla figura vescovile rimasero fra i principali

fattori di collegamento città-contado e di ascesa sociale537

: per tutti, lo status

vassallatico continuò a rappresentare un percorso, una transizione talmente

importante che si configurò quasi come una condizione socialmente dinamica538

.

Mentre altro importante percorso attraverso cui fu possibile per le famiglie

dell’aristocrazia cittadina esprimersi in carriere di successo continuò a essere

rappresentato dal coinvolgimento nella credenza, mantenutasi quale organo di

coordinamento politico in Ivrea anche sotto i regimi signorili di fine Duecento e

inizio Trecento. Ciò sarebbe confermato dall’alto numero di famiglie che ne

fecero parte e il persistere di nomi della vecchia aristocrazia539

: due fattori, questi,

che diedero vita a una situazione del tutto diversa da quella del primo comune,

dove prevalsero esiguità di famiglie coinvolte e l’indefinita dimensione nobiliare

raggiunta dalle diverse famiglie eporediesi, che fecero di Ivrea una realtà distinta

da altre come Asti e Vercelli540

.

Ma i confini di ciascun gruppo rimasero sensibili ai mutamenti economici e

sociali. Famiglie arricchite con i commerci potevano acquistare terre e diritti

signorili. Famiglie legate a una tradizione professionale erano in grado di

accumulare nell’esercizio della professione ricchezze e prestigio spendibili

537

Cfr. con ciò che ha affermato FALOPPA, Percorsi familiari cit., p. 407, in cui i motivi

dell’accorpamento pressoché compatto di grandi patrimoni rurali da parte delle famiglie in ascesa

vengono spiegati attraverso il confronto con la situazione del tutto opposta dell’area torinese, dove

gli interessi dei gruppi familiari erano diretti verso il «territorium» urbano, e quella del rapporto

fideles-vescovo del vercellese, rapporto di natura vassallatica sfruttata per potenziarsi sul contado,

più simile a quella di Ivrea dove rimase immutato l’interesse a «colonizzare» parte del contado. 538

SERGI, I confini del potere cit., p. 295; per i nomi di coloro a cui furono concessi

possedimenti in forma patrimoniale e vassallatica nel XIII secolo, PANERO, La grande proprietà

cit., p. 857 e Le carte dell’archivio vescovile cit., pp. 122-123, doc. 385; pp. 304-311, doc 212; pp.

328-330, doc. 229. 539

Ricorrono ancora i nomi Solero, della Torre, de Mercato, Grasso, Genetasio, della

Rocca, del Pozzo, Caldera; a questi si accostarono gradatamente famiglie inurbate da tempo o

emerse dal populus: Tagliandi, de Berlenda, Pasqualengo, delle Logge, dell’Olmo, «de Guatacio»,

Stria, de domino Opizzone, Valdano, «de Guischis», d’Andrea, d’Arnaldo, di Fiorano, del Pero,

della Porta, del Prato, dell’Erba, Salerano, di Biella, di Biava, Drous, de Calvi, Picoto,

Tagliaserazzo, Sartore, Grimaldi, della Fontana, BUFFO, I documenti dell’archivio storico cit., p.

244, doc. 22; p. 253, doc. 23; pp. 254-255, doc. 25; p. 263, doc. 29; pp. 270-275, doc. 40; pp. 294-

300, doc. 55. 540

FALOPPA, Società e politica cit., p. 237.

Page 94: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

95

nell’ambito politico. Famiglie di tradizione signorile si aprirono (o da tempo

avevano cominciato ad aprirsi) alle attività di commercio e alle professioni541

.

2. Canavese ed Eporediese dopo la dedizione ai Savoia del 1313

Durante l’ultimo periodo monferrino ricomparve sulla scena politica la

societas populi, mentre i contrasti fra le varie famiglie eporediesi non si chiusero

nemmeno con la dedizione ai Savoia nel 1313542

, poiché la potente famiglia

Solero cercò di prevalere sulle altre, accordandosi segretamente ad Avigliana con

i nuovi signori543

; anche la contitolarità della città da parte di Amedeo V di Savoia

e di Filippo d’Acaia non facilitò la distensione politica. Probabilmente ad Amedeo

si legarono i fautori di una politica più moderata, una corrente stanca di contrasti,

favorevole alla tranquillità interna (d’Andrea, de Berlenda), a Filippo i più

intransigenti. Ai primi era vicino anche il vescovo di Ivrea, Alberto Gonzaga, che

dopo una prima fase in cui aveva appoggiato la presenza dei suoi parenti Gonzaga

al vertice degli organi politici di governo, dopo la dedizione ai Savoia cercò di

mantenere un atteggiamento di cautela e contrario alle posizioni di rigida

intransigenza. Ai secondi si unirono i Solero, a causa, forse, della delusione

provata dalla mancata attuazione dell’accordo segreto di Avigliana. Per questo

motivo il gruppo contrario ai Solero (Tagliandi, Stria) si avvicinò ad Amedeo e al

vescovo Alberto. La designazione del podestà, inoltre, operata per lo più a turno

annualmente dai due consignori entro la ‘rosa’ proposta, era fattore nocivo a una

tranquillità interna: le fazioni continuarono a esistere, anche se la vita cittadina

non parve del tutto «assorbita» da queste544

.

La situazione in Ivrea e nel Canavese era destinata a precipitare dopo il

ritiro (1320) dal soglio episcopale di Alberto Gonzaga. La posizione di

equidistanza da lui mantenuta non gli aveva impedito, negli ultimi anni del suo

541

Op. cit., p. 237 sgg. 542

Dopo le discordie sorte fra l’ormai marginale figura vescovile di Alberto Gonzaga e il

nuovo marchese del Monferrato, Teodoro Paleologo, e dopo la nuova sottomissione all’episodico

revival imperiale di Enrico VII, la città trovò infine il potente ‘preparato’ a tutelarne gli interessi

nella dinastia sabauda, PENE VIDARI, Vescovi e comune cit., pp. 957-958; si veda anche Statuti del

Comune di Ivrea, a cura di ID., Torino 1974 (Biblioteca della Società Storica Subalpina,

CLXXXVIII), III, pp. 5-19. 543

Esso fu senza seguito: circa un mese più tardi fu siglato l’accordo di dedizione di tutta la

città al conte di Savoia, Statuti cit., I, p. LVI. 544

Statuti cit., I, pp. LXXII-LXXIII.

Page 95: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

96

trentennale compito di vertice ecclesiastico di Ivrea, di favorire uomini moderati,

come i d’Andrea e i de Berlenda, o di riconoscere un ruolo di primo piano ai

sempre più potenti Solero545

. All’incertezza e allo stallo raggiunto dalla scena

politica negli anni 1320-1321 si cercò di far fronte con l’elezione di Uberto di

Santo Stefano, vicino al marchese del Monferrato Teodoro Paleologo, prima, e di

Palaino Avogadro di Casanova, membro di una delle più note famiglie signorili di

Vercelli e appoggiato da papa Giovanni XXII546

, poi. Purtroppo, la regione aveva

ormai destato l’interesse di vecchi e nuovi potenti: i marchesi di Monferrato, da

decenni tradizionali e naturali signori legittimati a controllare la regione; gli

Acaia, nuovi aspiranti al controllo dei centri fortificati e delle principali vie di

transito.

In perenne oscillazione fra tentativi di indipendenza e alleanze siglate con i

principati territoriali – che a un tempo ne minacciavano le basi di potere a un altro

ne tutelavano gli interessi e il potenziamento economico e politico – e con la

Chiesa eporediese, l’aristocrazia militare canavesana avrebbe alimentato con il

suo secolare conflitto interno lo scontro per il controllo della regione apertosi a

metà degl’anni ’10 del XIV secolo e durato per diversi decenni tra alterni episodi

di pace e di guerra e repentini cambiamenti di fronte. In esso furono coinvolti

nuovamente i guelfi Angiò547

che avevano cominciato una seconda avanzata

militare in Piemonte, e i papi di Avignone che con i propri progetti politici

legittimarono l’entrata sulla scena politica e militare dei Visconti di Milano e della

dinastia regnante francese dei Valois548

. Lontana dal risolversi, questa guerra fece

da sfondo al lento ma costante lavoro di acquisizione di diritti e giurisdizione

appartenenti all’episcopato portato avanti dai conti di Savoia per tutto il XIV

secolo che, anche sul piano militare, diplomatico e politico, dovettero faticare non

poco prima di assestare il proprio controllo su Ivrea e Canavese549

.

545

ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane cit., p. 324. 546

Op. cit., p. 348. 547

Cfr. supra n. 517. 548

ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane cit., pp. 330-364. 549

Op. cit., pp. 370-394.

Page 96: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

97

3. Conclusioni

Nonostante il fatto che ogni sviluppo familiare possa fare, anche se in parte,

storia a sé, alla luce di quello che è stato detto nelle pagine precedenti si possono

delineare alcune tendenze generali, alcune caratteristiche che maggiormente

emergono nelle dinamiche locali delle famiglie signorili di Ivrea e Canavese. La

particolarità che accompagna l’analisi delle vicende del Canavese e del suo centro

più importante, Ivrea, è quella necessaria separazione fra i due ambiti (cap. I),

quello urbano e quello rurale. Si verificarono casi di inurbamento o di

spostamento da Ivrea verso il territorio circostante di gruppi di persone o famiglie:

tuttavia, è risultato necessario considerare separati i due contesti, perché per più di

un secolo mancò una decisa dialettica città-contado (cap. II) che solo

un’istituzione quale il comune cittadino giunse a realizzare, razionalizzandola e

piegandola ai propri interessi.

S’è visto che l’aristocrazia militare canavesana raccolse l’eredità dei conti di

Pombia. Fattori che cercano di dimostrare fattivamente questa ancora incerta

discendenza comitale – come il controllo dei medesimi territori, l’uso del

predicato comitale, l’ininterrotto potere e la molta influenza riconosciute dalle

altre forze politiche, le similitudini nell’onomastica degli individui – furono

presenti in parte o integralmente in ognuna delle famiglie analizzate (cap. I). La

presenza patrimoniale di questa aristocrazia, in alcuni casi compatta in altri più

estesa e influente, fu salvaguardata dalle relazioni feudali con entità politiche

superiori o pari, oppure mediante accordi matrimoniali (cap. IV) con l’universo

signorile canavesano (capp. II e III). Questa ricchezza patrimoniale si trasformò in

una ragguardevole forza militare e in influenza politica delle singole famiglie,

accresciutesi ancor di più nell’unione, avvenuta a inizio Duecento, del consortile

dell’aristocrazia militare del Canavese, che da una parte le consentì di opporsi o

ergersi a mediatrice fra i comuni cittadini e il territorio circostante, dall’altra ne

faceva il naturale interlocutore di forze superiori, che prima ne provocano la

divisione interna per poi allearsi con una o l’altra parte in vista di un inserimento

nel particolare scacchiere politico-territoriale del Canavese (capp. II e V).

Per quanto riguarda i castellani e signori fondiari che completavano il

quadro canavesano, la loro presenza patrimoniale raggiunse soltanto un livello

Page 97: Dinamiche familiari nel contesto di relazioni fra Ivrea e Canavese. Un bilancio per problemi

98

medio-basso (cap. III): concentrata per lo più attorno al luogo in cui risiedeva il

centro del dominatus, essa era esposta alla pressione delle forze regionali (conti

del Canavese, comuni, vescovo, marchese del Monferrato), fatto per cui solo

alcuni di questi domini riuscirono a difendersi e a mantenere un saldo controllo

del proprio patrimonio e – in pochi casi fra questi – anche a rafforzarlo (cap. I). Il

loro rapporto con i potenti fu regolato da non molti rapporti di sottomissione

vassallatica (cap. II), mentre risultò diffusa la relazione feudale sia con i conti del

Canavese sia con il comune di Ivrea, o quello di Vercelli, ma soprattutto nei

confronti del vescovo. Il loro potere militare e la loro influenza politica erano al

quanto mediocri: solamente l’importanza strategica dell’area da loro controllata ne

faceva preziosi alleati o semplici ostacoli all’espansione delle entità politiche

superiori (cap. V), mentre gli accordi matrimoniali rimasero una variabile

possibile nella salvaguardia o nella condanna della propria esistenza (cap. IV).

Il potere politico delle famiglie cittadine, invece fu l’esito di una gamma

variegata di fattori (cap. I). Essi vanno dai diffusi inserimento e collaborazione

con enti e ambienti religiosi e, soprattutto, con la figura vescovile, alla non sempre

scontata partecipazione alle magistrature comunali, oppure al tardo

raggiungimento del possesso di qualità e conoscenze del diritto e del relativo

esercizio dell’attività notarile. O ancora, fattori civili quali il controllo strategico

di aree urbane con densa presenza demica nonché delle attività economiche lì

presenti, e l’investimento del ruolo civico-sociale guadagnato con il sostegno a

ospedali, luoghi di devozione e ad attività di assistenza. Mentre altri furono

accompagnati da una promozione sociale ottenuta dopo un primo periodo di

esercizio di attività professionali e commerciali, dal legame con l’aristocrazia del

contado attraverso rapporti feudali o matrimoniali.

La presenza e l’orientamento patrimoniale seguirono le differenti

inclinazioni delle famiglie delle loro tradizionali politiche di potenziamento (cap.

III). Al concentrarsi in città concorsero interessi quali la percezione delle entrate

derivanti dalle imposte urbane detenute e concesse dal vescovo, le concessioni

beneficiarie di terre, boschi, censi, decime in mano al capitolo cattedrale, agli enti

religiosi e laici o, ancora, alla chiesa episcopale, il controllo o cessione di parte del

tessuto edilizio. Mentre per chi guardava fuori città i motivi poterono essere la

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99

grande disponibilità di liquidi investita in acquisizioni di beni rilevati dalla chiesa

o da famiglie indebitate del contado, o ancora le medesime concessioni

beneficiarie delle strutture religiose cittadine, a cui si aggiungevano i beni ottenuti

dal legame (feudale o semplicemente censuale; cap. II) con l’aristocrazia del

contado. A ciò si aggiunga la variabile rappresentata dalle collaborazioni

patrimoniali tra famiglie imparentate o con interessi comuni.

Alcune famiglie approdarono a uno status sociale, e politico, considerevole

(cap. V): le singole carriere politiche dell’élite cittadina furono il frutto di costanti

strategie familiari, di sicure affermazioni costruite attorno a ruoli sociali

monopolizzati all’interno del capitolo cattedrale, nella collaborazione con la

figura vescovile, nell’esercizio di attività giuridico-notarili, nel controllo di

attività economico-professionali, nell’investimento delle risorse di famiglia in

attività di avvocazia di enti religiosi o di rappresentanza politica e finanziaria,

oppure di politiche patrimoniali orientate verso l’investimento per ottenere

maggior prestigio attraverso matrimoni (cap. IV) con gruppi signorili o

appartenenti all’aristocrazia militare, o ancora in attività commerciali purtroppo

non documentate.

Dalle informazioni raccolte è inoltre possibile distinguere precise fasi

cronologiche in cui far rientrare le diverse stagioni vissute dalle famiglie cittadine

coinvolte nell’attività pubblica del comune, o nelle vicende storiche della città,

insieme alla rivoluzione generatasi all’interno del vasto consortile del Canavese.

Una prima fase, delineabile tra il 1141 e il 1210, vedrebbe il comune di

Vercelli cominciare la sua politica di espansione politica e territoriale a danno di

Ivrea (1141-1169); questa pressione economico-territoriale e la particolare

situazione politico-militare del tempo sfociarono nella formulazione del primo

organismo comunale in Ivrea (1171) che, uscito da un breve periodo di controllo

imperiale diretto (1176-1178), sembra rafforzarsi costantemente mediante accordi

politico-militari con i signori presenti nella regione canavesana o nell’immediate

vicinanze (1180-1193), nonostante debba affrontare le rivendicazioni del conte

Raineri di Biandrate riguardo la signoria sulla città (1193-1206);

contemporaneamente il comune prosegue nell’assestamento politico intra ed extra

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100

cittadino, arrivando a legarsi con i signori e i conti del Canavese (1197-1205),

attraverso concessione di cittadinatici politici e accordi militari.

Una seconda fase, compresa tra il 1213 e il 1236, si apre con la prova di

forza ingaggiata dal comune di Ivrea verso due direzioni. La prima, verso

Vercelli, si intensifica a partire dai primissimi anni del secondo decennio del

Duecento: tuttavia, non risultò sufficiente l’alleanza con il consortile dei conti e

dei castellani del Canavese (1213-1229); la coniuctio che ne derivò era destinata a

sfaldarsi lentamente in seguito al conflitto militare con il comune rivale, che

prima divise città e consortile e poi minò la solidità del consortile stesso (1225-

1226). Successivamente, il comune contrasse la propria iniziativa, limitandola alla

città o a poche località chiave del territorio canavesano. Fu in questo momento

che il comune si pose contro il vescovo, e la sua signoria nociva all’autonomia

cittadina: il tentativo venne stroncato praticamente sul nascere dalla chiesa

episcopale, la quale si poté giovare del sostegno e dell’intervento papale (1234-

1235).

La terza fase, tra il 1238 e il 1250, vide convivere il comune appena uscito

sconfitto dai suoi tentativi d’espansione e il fronte aristocratico-signorile, da poco

spaccatosi al suo interno, con la rappresentanza imperiale in Ivrea e, anche se in

misura minore, in Canavese.

Conclusasi la seconda esperienza vicariale, il comune cominciò a

collaborare con la chiesa episcopale al rafforzamento politico nel territorio, in

un’alterna dialettica con l’aristocrazia militare filo-vescovile, e in

contrapposizione con quella parte filo-ghibellina alleata del marchese del

Monferrato, il quale, grazie ai suoi alleati dentro e fuori Ivrea, riuscì a ottenere il

riconoscimento della signoria sulla città (1250-1267).

Nel breve periodo tra il 1268 e il 1277 le fazioni politiche presenti in città

presero in mano la situazione. Appena impostosi come il partito più forte, il

gruppo guelfo, per fronteggiare la pressione militare monferrina, decise di

avvicinarsi a Vercelli promuovendo, insieme alla chiesa episcopale, la dedizione

della città a Carlo d’Angiò (1271). La sua parabola termina, però, rapidamente:

ciò consente al marchese del Monferrato, attraverso il partito ghibellino, di

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101

operare diplomaticamente con il comune e il vescovo per riottenere la signoria

cittadina.

Una sesta fase coincide con la signoria monferrina sulla città (1277-1305).

Questo periodo di pace trascorre senza particolari sconvolgimenti politici o

giurisdizionali: tuttavia, da modo ai fronti politici interni alla città, riflesso della

situazione aristocratica del Canavese, di definirsi e cristallizzarsi, anche attraverso

episodiche tensioni politico-sociali fra gruppi cittadini.

L’ultima fase individuabile (1305-1319) si apre con la scomparsa della

dinastia degli Aleramici, alla quale succede alla guida del marchesato del

Monferrato Teodoro Paleologo. Ivrea approfittò della situazione d’incertezza

creatasi per liberarsi dalla presenza monferrina e per cercare alleati che le

permettessero di conservare l’autonomia; ma fece presto i conti con la propria

debolezza politica. In seguito alla protezione garantitale dalla discesa in Italia

dell’imperatore Enrico, i Savoia, i quali nutrivano da tempo interessi per la

regione canavesana, ottennero la signoria sulla città di Ivrea, insieme al ramo

Acaia (1313). Lontano dall’assestarsi, la signoria savoiarda convisse con le

tensioni interne alla città e quelle che dilaniavano da decenni il territorio

canavesano: quest’ultima fase, si concluse con l’abbandono del soglio episcopale

da parte di Alberto Gonzaga, il quale dovendo affrontare la drammatica situazione

finanziaria della diocesi riconobbe ai Savoia alcuni fondamentali diritti pubblici,

vendendo loro inoltre una parte consistente del patrimonio ecclesiastico; egli

lasciava ai Savoia-Acaia il compito di rispondere all’impellente bisogno di

mettere ordine alle tensioni politiche interne alla città di Ivrea e al costante stato di

guerra in cui sarebbe precipitato di lì a poco il Canavese.

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