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RUE - Risorse Umane Europa 33100 Udine via G.Giusti 5 tel/fax 0432-227547 e-mail:[email protected] 30027 San Donà di Piave (VE) , ITIS V. Volterra via Milano,9 e-mail:[email protected] web:www.risorseumaneuropa.org 1 Servizio di promozione europea della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Associazione non profit iscritta nel Registro ‘Immigrazione ‘del Dipartimento degli Affari Sociali ex art.52 DPR 394/99 Iscrizione alla sezione prima dell’ Albo regionale FVG delle Associazioni e degli Enti per l’immigrazione Ente di formazione accreditato M.P.I. – D. G. form. Agg. personale scuola ex D.M. 177/2000 Ente legittimato ad agire in giudizio per conto delle vittime della discriminazione razziale ex art.6 DL.vo 215/03 Associazione membro della Consulta del M.P.I. per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE Master Universitario di I livello – Università degli Sudi di Udine Walter De Liva e Orsolina Valeri aprile/maggio 2008 In questo contributo, articolato in tre parti, sono stati presi in considerazione gli aspetti della comunicazione interculturale riferiti alla psicologia, alla psicologia sociale e ad alcuni tra i problemi della comunicazione stessa. Infatti la psicologia, in particolare la psicologia sociale, ha un ruolo di particolare rilievo in questo ambito. I contenuti proposti sono quelli più attinenti alla nostra esperienza in ambito interculturale risultato di formazione e di ricerca – azione.Una semplice analisi di fronte ad un tema così vasto verso il quale convergono gli studi di diverse discipline: antropologia, psicologia, sociologia, comunicazione e linguistica. Un percorso come guida base per chi si avvicina alla comunicazione interculturale per la prima volta, al fine di offrire un contributo che sia stimolo per un approfondimento.
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Didattica appunti

Feb 05, 2023

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30027 San Donà di Piave (VE) , ITIS V. Volterra via Milano,9 e-mail:[email protected]

web:www.risorseumaneuropa.org

1

Servizio di promozione europea della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

Associazione non profit iscritta nel Registro ‘Immigrazione ‘del Dipartimento degli Affari Sociali ex art.52 DPR 394/99

Iscrizione alla sezione prima dell’ Albo regionale FVG delle Associazioni e degli Enti per l’immigrazione

Ente di formazione accreditato M.P.I. – D. G. form. Agg. personale scuola ex D.M. 177/2000

Ente legittimato ad agire in giudizio per conto delle vittime della discriminazione razziale ex art.6 DL.vo 215/03

Associazione membro della Consulta del M.P.I. per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale

LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE Master Universitario di I livello – Università degli Sudi di Udine

Walter De Liva e Orsolina Valeri aprile/maggio 2008

In questo contributo, articolato in tre parti, sono stati presi in considerazione gli aspetti della

comunicazione interculturale riferiti alla psicologia, alla psicologia sociale e ad alcuni tra i

problemi della comunicazione stessa. Infatti la psicologia, in particolare la psicologia sociale,

ha un ruolo di particolare rilievo in questo ambito. I contenuti proposti sono quelli più

attinenti alla nostra esperienza in ambito interculturale risultato di formazione e di ricerca –

azione.Una semplice analisi di fronte ad un tema così vasto verso il quale convergono gli

studi di diverse discipline: antropologia, psicologia, sociologia, comunicazione e linguistica.

Un percorso come guida base per chi si avvicina alla comunicazione interculturale per la

prima volta, al fine di offrire un contributo che sia stimolo per un approfondimento.

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ASPETTI PSICOLOGICI

(prima parte)

A. L’incontro con l’altro: il sé e l’altro B. Conoscere se stessi

A. L’incontro con l’altro: il sé e l’altro

“A volte per sentire l’Altro basta solo saper ascoltare”

( saggio cinese)

L’incontro e l’Altro sono parole attorno alle quali ruotano molti studi , e anche noi, con

queste brevi riflessioni, abbiamo voluto partire da queste due parole per costruire un discorso

più generale che riguardi proprio l’Altro e l’incontro inserendo anche considerazioni e

conoscenze che, in merito a questi argomenti, abbiamo acquisito nel tempo leggendo e con il

nostro lavoro a RUE.

Parlare dell’Altro , dell’alterità, di cui oggi la società è intrisa significa parlare di incontro,

quell’incontro che avviene quando l’Altro “diverso da me” mi passa accanto, ma che si

realizza pienamente solo se gli individui sono disposti a questo. Infatti l’incontro non è un

fenomeno che avviene indipendentemente dalla volontà delle persone, perché ci sia io,

individuo, devo spostarmi verso l’Altro e pormi in un atteggiamento di disponibilità. Ciò che

si deve compiere è un movimento, un viaggio verso l’Altro, bisogna varcare una frontiera e

porsi in ascolto, disposti ad instaurare un rapporto di comunicazione. Attraverso i meccanismi

della comunicazione – traduzione, che sono a mio avviso passaggio indispensabile affinché

nella comunicazione ci sia una messa in comune da parte delle due alterità, si può arrivare ad

un reciproco dialogo. Dialogo attraverso il quale, prima di conoscere l’Altro, imparo a

conoscere me stesso, i miei limiti e le mie possibilità.

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L’ALTRO COMINCIA ACCANTO A ME

L’Altro, il diverso da me, è oggi sempre più presente nelle vicende quotidiane e questo rende

il discorso sulle diversità, di cui gli immigrati e i loro problemi di inserimento sono una delle

manifestazioni più evidenti, estremamente attuale. La parola “diversità” mi fa riflettere su

quanto in realtà le società ne siano intrise al di là della questione Immigrazione, e credo sia

possibile partire da questa considerazione per mettere in crisi un concetto abbastanza

tradizionale di cultura e di identità culturale.

Se mi fermo a “guardare” l’Europa di oggi, diventata meta di consistenti movimenti

migratori, i suoi Stati non possono essere più pensati come una totalità culturale con caratteri

distintivi propri senza il rischio di cadere nello stereotipo e nel pregiudizio, anche se non è per

tutti così, o meglio non tutti sono disposti a rendersene conto, per cui si sente ancora dire che

una presunta cultura italiana sarebbe messa a rischio dall’ “arrivo degli immigrati” Ma quale

cultura italiana? Quale identità italiana? Riflettendoci, non saprei proprio definirla. La

struttura stessa di queste società post-industriali è estremamente complessa al suo interno a

causa di diversi percorsi storici, di diversi ruoli sociali, di diverse esperienze individuali. Così,

tornando al discorso iniziale, la diversità comincia ben prima dell’arrivo dello straniero, si

lega alle credenze, alle opinioni, alle storie personali: “l’altro comincia accanto a me”, mi

piace molto questa espressione di cui non ricordo l’autore (grave dimenticanza!).

Di fronte alle diversità delle culture , di fronte ad una varietà così estrema non solo da popolo

a popolo, da Stato a Stato ma anche da individuo ad individuo, credo sia più semplice porsi di

fronte all’Altro “diverso da sé” in quanto individuo con la sua storia e la sua cultura, piuttosto

che definirlo in rapporto ad una presunta identità nazionale per cui l’Altro non è più un

gruppo più o meno identificabile, ma l’uomo che mi passa vicino. Andare all’individuo può

essere il modo migliore per aprirsi alla comunicazione e quindi per poter creare un

territorio comune di dialogo e comprensione, ricordandosi anche che l’individuo necessita

di riconoscersi all’interno di un gruppo e da questo può essere in parte definito. Conoscere la

storia di un popolo, la sua religione, la sua cultura, può quindi essere utilissimo per capire, per

comunicare con l’Altro, ma l’Altro è appunto una persona con una sua storia ed un suo

percorso, un suo carattere unico ed irripetibile. Questo modo di rapportarsi all’altro diventa

fondamentale per distruggere ogni forma di pregiudizio e di stereotipo.

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IL SE’ E L’ALTRO

Il rapporto con l’alterità culturale costituisce il momento che più di ogni altro individua la

specificità dell’umanesimo contemporaneo. Si è passati da un umanesimo circoscritto alla

nostra cultura (come se la nostra fosse l’unica cultura) ad un umanesimo che è capace di

impiegare la totalità delle culture umane. L’approccio centrato sulla Persona si colloca nella

più vasta corrente di pensiero della psicologia umanistica1. Tale approccio fa riferimento ad

una concezione positiva dell’ uomo, considerato come unità psico-fisica che ha in sé le

possibilità per un processo di crescita personale e sociale e può diventare sempre più

responsabile delle proprie scelte e della propria storia. Si lavora sulla fiducia che ognuno,

con punti di partenza diversi ed anche sfavorevoli, se adeguatamente sostenuto e facilitato,

è in grado di apprendere dalla propria esperienza la direzione verso l’ autonomia. E questo

si può fare nella misura in cui esso è in grado di conoscere l’Altro, di darsi quindi strumenti

adeguati a conoscere l’Altro. Rispettare l’Altro significa conoscere l’Altro. Non si può

essere però soltanto sul piano delle buone intenzioni: bisogna, per poter conoscere,

ripensare agli strumenti conoscitivi ed adeguarli alla mediazione conoscitiva dell’altro.

Questo però non è sufficiente. Non basta un rapporto con l’altro sbilanciato soltanto sul

piano dell’altro da conoscere, sull’altro da rispettare nel conoscere e da rispettare dopo

averlo conosciuto.

La conoscenza dell’altro è contemporaneamente conoscenza di se stessi. La conoscenza

dell’altro porta a porre il problema: "ma perché la mia storia culturale ha intrapreso un

cammino completamente autonomo rispetto a quello delle culture di tipo etnologico?"2 Ed

allora mentre conosco l’altro, io mi interrogo sul processo storico che è alla base della mia

1 Verso la fine degli anni '50, in risposta ad alcune posizioni estreme del comportamentismo - che vedeva l'individuo come modellato esclusivamente dai condizionamenti ambientali - emerge una nuova voce, che rimette nuovamente l'individuo al centro del suo mondo, riconoscendogli potenzialità di autodeterminazione, di crescita, di trasformazione, ben più forti di qualsiasi condizionamento. E' l'inizio della psicologia umanistica, che amplia il campo di osservazione e di studio dell'essere umano dal comportamento alla qualità delle relazioni, dal resoconto del passato alla progettazione del futuro, dal patrimonio genetico ai talenti inespressi, dal riflesso condizionato alla spinta creativa, dal determinismo alla libertà di scelta, dall'enfasi sugli istinti a quella sulla dimensione etica, dallo studio dell'uomo malato a quello dell'uomo sano, dalla terapia alla formazione.

2 Ernesto De Martino, “Naturalismo e storicismo etnologico” 1941

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specificità culturale. Non bisogna assolutamente rinnegare la propria identità culturale.

Quando si ha una consapevolezza delle proprie radici, della propria tradizione, si ha anche

una autostima, si ha anche un senso del sé, della propria identità. Elemento importante per

entrare validamente in contatto con l’altro, con l’altra cultura. Noi non possiamo

abbandonare la nostra identità culturale, non possiamo né trasformarla in un feticcio tale da

non poter essere oggetto di indagine critica; né, al contrario, possiamo trascurarla come se

si potesse fare a meno. Bisogna rinnovare la conoscenza di se stessi, mettendosi a

confronto con gli altri e problematizzandosi in rapporto agli altri . Bisogna andare

verso gli altri per poterli conoscere, ma alla fine bisogna tornare a se stessi per poter

mettere in causa il processo di formazione delle categorie attraverso le quali noi

operiamo. E’ una forma di attività conoscitiva che ha due versanti: da un lato c’è l’altro,

dall’altro lato ci siamo noi che ci conosciamo e che ci riconosciamo dietro lo stimolo della

percezione positiva dell’altro.

Quando si affronta il tema dell’incontro con l’altro si mette subito l’accento sulle spinte

motivazionali quali contenuti che differenziano un operatore da qualsivoglia altro operatore

sociale. Questo interrogarsi sul senso delle motivazioni è importante, perchè non può esserci

un impegno all’incontro con l’altro, al suo ascolto senza motivazioni, intenti e interrelazioni

sociali .

In termini psicologici per motivazione si intende quel fattore dinamico del

comportamento umano che attiva e dirige un organismo verso una meta.

Le motivazioni possono essere coscienti o inconsce, semplici o complesse, transitorie o

permanenti, primarie ossia di natura fisiologica o secondarie di natura personale o sociale, a

cui si aggiungono le motivazioni superiori come gli ideali o i modelli esistenziali che

l’individuo assume in vista della propria autorealizzazione. Per comprendere le motivazioni

bisogna partire dal concetto di bisogno, del suo sviluppo e della sua soddisfazione. Abraham

Maslow3 elabora una teoria dello sviluppo sequenziale dei bisogni individuali in ordine di

successione:

1 - bisogni fisiologici (es. fame, sete);

2 - bisogni di salvezza (es. sicurezza, ordine);

3 Psicologo americano appartenente alla corrente umanista, ha dedicato i suoi studi allo sviluppo degli aspetti positivi della personalità, con l’obiettivo di sfruttare al massimo i talenti e le capacità; infatti, ha elaborato una “psicologia della salute” al fine di integrare la “psicologia della malattia”

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3 - bisogni di appartenenza e di amore (es. affetto, identificazione);

4 - bisogno di stima (es. prestigio, successo, rispetto di sè);

5 - bisogno di realizzarsi (es. desiderio di appagamento dell’Io).

Lo psicologo sostiene che un bisogno più basso deve essere soddisfatto adeguatamente, prima

che nello sviluppo dell’individuo possa emergere il bisogno successivo più alto. Man mano

che avviene la soddisfazione dei bisogni nei vari stadi dell’evoluzione psicologica, l’individuo

matura una struttura di personalità in cui i bisogni primitivi hanno perduto la loro imperiosità

ed egli è libero di realizzare i propri desideri più alti e la propria potenzialità.

Qualsiasi bisogno sottende a diversi scopi, la cui scelta dipende per ciascun individuo dai

valori culturali, dalla capacità biologica, dalla esperienza personale, dalle possibilità offerte

dall’ambiente. L’essere umano reagisce non solo agli oggetti e alle persone dell’ambiente

circostante ma anche al suo stesso corpo, ai suoi stessi pensieri, al suo stesso sentire. Così

facendo sviluppa conoscenze intorno a se stesso come oggetto centrale e importante. Sviluppo

del Sé

Prendono rilievo scopi e bisogni legati all’affermazione e alla difesa di Sé, che assume grande

importanza nella comprensione delle motivazioni.

Il Sé emerge nel comportamento quando l’individuo diventa oggetto sociale della propria

esperienza e ciò avviene quando assume atteggiamenti analoghi agli altri individui. Il Sè gioca

quindi un ruolo essenziale nella motivazione in quanto organizza i bisogni e gli scopi

dell’individuo. Il Sé è un prodotto di interazioni sociali e tende ad essere definito nei termini

dell’appartenenza al gruppo. A.Maslow sostiene altresì che ogni essere umano possiede

tendenze e bisogni essenzialmente buoni che si traducono in motivazioni ad agire. Il

soddisfacimento graduale di questi bisogni porta alla piena realizzazione delle potenzialità

personali. Egli, dopo aver studiato scientificamente soggetti sani e autorealizzati, giunge alla

conclusione che si può parlare di buona crescita e sana maturazione nella gioventù e di

autorealizzazione solo nella pienezza della vita. L’evoluzione dell’individuo è quindi un

processo che si svolge per tutto l’arco della vita.

Nel testo ”Motivazione e Personalità” lo studioso elenca alcune caratteristiche riscontrate

negli individui autorealizzati:

- percezione realistica degli individui e dell’ambiente;

- accettazione di Sé, degli altri, della natura;

- spontaneità, semplicità, naturalezza;

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- capacità di individuare e risolvere i problemi;

- godimento della compagnia degli altri, ma anche della solitudine;

- autonomia ed indipendenza;

- capacità di cogliere aspetti nuovi della realtà;

- carattere democratico, equilibrio morale;

- umorismo, creatività, originalità;

- capacità di vivere intensamente ogni esperienza.

In sintesi si può dire che, gli individui studiati da A.Maslow sono privi di pregiudizi,

accettano i loro aspetti positivi e quelli negativi, sono consapevoli delle loro possibilità e dei

loro limiti, sono democratici, sereni creativi ecc.

Quanto fino ad ora enunciato permette di comprendere come il concetto del Sé cambi nel

tempo. Questo perché lo sviluppo del Sé comprende diverse componenti:

1) ME : Sé come oggetto di conoscenze (idea di se stesso e proprie caratteristiche)

rappresentazioni;

2) IO : Sé come agente conoscitore, attore e autore delle proprie azioni; include

autoconsapevolezza, senso di continuità nel tempo e senso di unità.

Il concetto di Sé intende quindi definire una situazione di dinamica psichica, un

movimento di perenne evoluzione, e non una condizione statica. Inoltre, proprio per la sua

natura dinamica il Sé deve necessariamente consistere nella sintesi di due situazioni

esistenziali differenti: Me e Io.

Il Sé è all'origine del sentimento per il quale l'individuo si sente un polo autonomo di

percezione e di iniziativa, ha, quindi un ruolo funzionale, è una dimensione che si alimenta

del rapporto con gli altri, (definiti oggetti-Sé). Se il senso del Sé è scarso, il senso del Sé

finisce per essere legato all’Io. Basare, però, la propria identità sull’immagine corporea,

genera “disturbi” narcisistici. La relazione tra Io e Sé è complessa: senza un Io non ci può

essere un senso del Sé, ma se manca quest’ultimo, il senso della propria identità finisce

per essere legata all’Io. In realtà l’essere umano ha una duplice identità che deriva in parte

dall’identificazione dell’Io, in parte dall’identificazione con il corpo e ciò che sente. Vale a

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dire che dal punto di vista dell’io il corpo è un oggetto da osservare, studiare e controllare

nell’interesse di una prestazione che sia all’altezza della propria immagine. A questo livello

l’identità è rappresentata dall’io nelle sue funzioni di percezione cosciente, pensiero ed

azione. Si potrebbe dire che la famosa frase di Cartesio, “Cogito ergo sum” (Penso dunque

sono) sia appropriata al senso dell’Io, mentre le frasi: sono triste, sono arrabbiato, esprimono

l’idea che noi siamo ciò che sentiamo.

B. Conoscere se stessi

“Volere il meno possibile e conoscere il più possibile”

Schopenhauer

Conoscere se stessi è il punto di arrivo di un percorso, l’ultima tappa del lungo cammino

verso la maturità e l’auto-realizzazione, è la capacità di percepire gli stimoli che provengono

dalla propria realtà interna o da quella esterna, distinguendoli dal punto di vista cognitivo,

emotivo, comportamentale, somatico. La conquista dell’ in-dipendenza (la non dipendenza da

terzi) dell’autonomia (dal greco autos-nomos = capacità di darsi una legge) comincia già

verso i tre anni, l’età del no, quando per affermare la nostra personalità, dicevamo “sono

grande”.

In base all’esperienza quotidiana, nel rapporto con sè e con gli altri, risulta opportuno provare

a riflettere e valutare la nostra autonomia, intesa come “competenza di integrare le risposte

personali con gli stimoli che provengono dalla realtà esterna” :

1) nei confronti del:

- gruppo genitoriale, genitori e familiari;

- gruppo dei pari, amici e compagni;

- datore di lavoro e con i colleghi, dei condizionamenti e pregiudizi sociali,

pubblicità, moda e miti ….

2) rispetto a:

- cibo, sonno, studio, divertimento, TV e videogiochi,

attività fisica, cura personale, sessualità, fumo, bevande alcoliche, sostanze eccitanti,

stupefacenti , ecc..

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Il risultato può costituire un elemento base per capire quanto manca nel nostro percorso

individuale verso l’autonomia attraverso anche una continua sfida con se stessi.

Conoscere se stessi prima di tutto, senza indulgere in un esercizio introspettivo possibile

generatore di misantropia se non addirittura di misoginia.

Che cosa significa conoscersi?

Sul tempio di Apollo, a Delfo, c’era scritto “conosci te stesso”. E “conosci te stesso” vuole

appunto dire: riconosci in primo luogo quello che sei, e cioè un uomo. Per conoscere noi

stessi, la prima condizione è quella di riconoscere le proprie possibilità ed i propri limiti, cioè

liberarci dalla vana presunzione di sapere tutto. Sono passati secoli, ma l’essere umano è così

complesso che molto rimane ancora da scoprire. Se vogliamo conoscerci meglio, se vogliamo

migliorare il nostro modo di vivere, lo stile di vita e modificare i comportamenti, dobbiamo

prendere coscienza di noi stessi seguendo alcuni parametri di riferimento. Senza una guida

orientativa è infatti diffcile avere di se stessi un’idea che rispecchi la complessità dell’essere,

del microcosmo umano. Quando vogliamo farci conoscere da qualcuno, parlando di noi,

senza riflettere, tendiamo ad evidenziare una caratteristica psicologica, un tratto della

personalità (ad es. sono un tipo tranquillo, ansioso, aggressivo, timido, introverso,

estroverso…). Ma se l’aspetto psicologico può bastare per iniziare una reciproca conoscenza,

in un laboratorio di orientamento e sensibilizzazione al conoscersi si deve comprendere sia il

corpo che la mente: aspetto fisico, quello psicologico e quello sociale.

Scrivi tutto quello che ti viene in mente su te stesso e poi incomincia a riflettere sul tuo

aspetto fisico e avrai un confronto tra ciò che sai e ciò che dovresti sapere su di te e sul

rapporto con il tuo corpo, per migliorare la “qualità della vita”.

La conoscenza è sicuramente la base per modificare i comportamenti, ma non basta.

Pensando a te stesso, cerca di estrarre dalla lista che segue quei tratti che più ti si adattano,

che contribuiscono a delineare l’aspetto fisico, quello psicologico e quello sociale nelle loro

interrelazioni.

1. Rispondi alla domanda “IO COME SONO fisicamente”

Può sembrare curioso, ma ciò che conosciamo di meno è proprio il nostro corpo: una

conoscenza approfondita comprende tutto ciò che segue

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Prova a descriverti fisicamente seguendo:

� tratti somatici - altezza - peso

� somiglianze o differenze ereditarie

� proporzione tra le varie parti

Rapporto con il proprio corpo (la cura di sé)

mi accetto fisicamente___si___no___non so_______________________________________

mi sento in forma____si___no___non so_________________________________________

cosa faccio per mantenermi in forma - curo l’alimentazione___l’attività fisica___ il . sonno____________________ - al mattino mi dedico all'igiene e all'estetica___________________________ - mi piace seguire la moda e usare i prodotti per la cura personale - profumi___si___no___non so___ - deodoranti___si___no___non so____ - abbronzanti____si____no___non so_____ - mi piace fare sport competitivo____si___no___non so__________________________ - mi dedico all’attività fisica: in casa___in palestra___all’aperto______ una volta al

giorno____una volta alla settimana___ al mattino___alla sera_______ - in sintesi cosa faccio per star bene, per mantenere la mia salute fisica________________

Rapporto con il cibo (abitudini alimentari )

- mi piace mangiare(m’interessa la quantità)___________________________________ - mi ritengo un buongustaio( m’interessa la qualità)______________________________ - cosa mangio nei tre pasti principali_________________________________________ - i pasti sono completi(varietà, calorie e sostanze nutritive, frutta, verdure)____________ - alimenti che preferisco____________________________________________________ - alimenti che rifiuto_______________________________________________________ - tendo ad alimentarmi fuori dai pasti, ad es. mentre guardo la TV__si__no__non so____ - mangio per dimenticare le delusioni della vita quotidiana: mai__qualche volta__sempre_ - difficoltà col cibo_____si____no___non so____

COSA PENSO DELLE VARIE TENDENZE ALIMENTARI

Preferisco:

- fast food (mangiare veloce__panini__ hamburger__):mai___qualche volta___ sempre___

- slow food (mangiare lento, in modo tradizionale): mai___qualche volta___ sempre______

cucina-mediterranea__si__no___non so_________________________________________

cucina-esotica(araba, cinese, giapponese, indiana) si___no___non so______

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- i dolci: non mi piacciono___mi piacciono, ma ne posso fare a meno__mi piacciono molto__

- le diete__non ne ho bisogno____vorrei seguirle, ma non posso_____le seguo___________

Rapporto sonno-veglia

Di solito a che ora vado a letto?____________a che ora mi sveglio?__________________

Mi sveglio da solo?______ uso la sveglia_____mi faccio svegliare dai genitori, dal coniuge

Quanto è importante per me il sonno____________________________________________

Quanto è importante stare sveglio________________________________________________

-mi piace dormire? si ____no____non so_________________________________________ -

quante ore in media di completo riposo 6 ore____ 8 ore____10 ore__________________

- difficoltà ad addormentarmi___mai__qualche volta____spesso___sempre_______________

a svegliarmi___mai_____qualche volta____ spesso______sempre______________

- interruzioni e difficoltà a riprendere sonno___mai___spesso____qualche volta ___sempre_

- sonno regolare____mai___ qualche volta_______spesso___sempre_______________ - sogni, incubi, insonnia ___mai____qualche volta____spesso___ _________

Rapporto con il proprio sesso (abitudini sessuali) Come vivo la mia sessualità

Mi accetto sessualmente____si_____no____non so______________________________

sono contento di come sono____si_____no____non so____________________________

Se potessi rinascere, - preferirei lo stesso sesso___cambierei____ non so_______________________________ - atteggiamento verso la sessualità: - facilità a comunicare con l'altro sesso____si ______no_______non so______________ - difficoltà a comunicare con l’altro sesso____si_____no_______non so______________ - accettazione, rispetto per le altre tendenze sessuali__si_______no______non so_______

Economia nella gestione delle risorse fisiche e psichiche:

Sono contento di come utilizzo le mie energie?___si___no___non so__________________

Mi sento adeguato quando affronto i problemi della vita quotidiana? __si___no___non so___

C’è equilibrio tra impegno e rendimento, a scuola, al lavoro e fuori?___si___no___non so___

Mi sento a volte stanco e insoddisfatto dopo un lavoro?__si___no____non so_____________

il rapporto"energie impiegate=rendimento " è: ottimale___ accettabile___insodisfacente___

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Sono contento, soddisfatto:

a) del mio equilibrio psicofisico_____si_____no____non so_________________________

b) delle mie attività____si___no___non so________________________________________

c) delle mie iniziative ed esperienze____si___no___non so___________________________

d) dei miei progetti____si____no___non so_______________________________________

Rapporto con la salute (abitudini igienico - sanitarie) Per quanto mi riguarda e dipende da me, cosa faccio per mantenermi in salute?

- sono favorevole alla prevenzione____si___no___non so_____________________________

- mi curo quando è necessario___si___no___non so__________________________________

- quando sorgono problemi, qual è l'atteggiamento prevalente:ad es. raffreddore,’influenza___

- mi preoccupo più del necessario___si___no___non so_____________________________

- tendo a considerare tutti gli aspetti(positivi e negativi)___si___no___non so____________

- tendo a sottovalutare___si___no___non so______________________________________

- non mi preoccupo___si___no___non so___ _____________________________________

Rapporto - terapie farmacologiche - altre terapie

Ho fiducia nella terapia con i farmaci____ si____no___non so_________________________

In genere tendo a: fare a meno dei farmaci___si___no_______non so___________________

- abusarne : si__no__non so__ -a farne un uso equilibrato___si____no____non so_____

Ho fiducia nella:

- psicoterapia: si__no__non so__ - psicanalisi___si________no______non so_________

medicina alternativa( omeopatia…): si___no___non so____________________________

cure senza intervento medico (agopuntura, shatzu, iridologia, massaggi)si__no__non so__

- mondo dell’astrologia, della magia____si___________no____________non so________

Se confrontando quello che avevi scritto prima con quello che viene delineato in questo

schema, hai avuto modo di approfondire la conoscenza del tuo corpo, potrai sentirti

protagonista della tua salute e orientarti sempre più verso scelte equilibrate e consapevoli.

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13

Il percorso dalla semplice conoscenza alla presa di coscienza e alla modificazione dei

comportamenti, in piena autonomia, senza condizionamenti di moda e miti, richiede

impegno e maturità personale. Abitudini, atteggiamenti, pensieri ripetitivi, a volte

ostacolano benessere e salute. Vivere diventa una sfida,ed è necessario “mettersi in

gioco”.

Chi conduce il gioco? Io mi sento protagonista del mio progetto di vita o soggetto passivo, in

balia di varie dipendenze?. Molto spesso il bisogno di fare o di essere come gli altri, il

conformismo, ci impedisce di essere veramente noi stessi.

2. Per approfondire l’aspetto psicologico è necessario chiedersi: “IO COME SONO

psicologicamente”?

- Io posso considerarmi ed essere considerato: in parte conosciuto ed in parte sconosciuto.___

a) quello che io so di me ( o credo di sapere) ______________________________________

-mi accetto, mi piace il mio carattere, ho una personalità forte-si ___no____ non so____

-penso di avere(mi attribuisco) capacità, abilità particolari? si___no___non so___quali?__

b) quello che non so di me( e che vorrei sapere)___________________________________

c) quello che gli altri sanno di me_______________________________________________

d)quello che gli altri non sanno di me e che contribuisce a farci essere come siamo non

dipende solo da noi e da quanto ci è stato trasmesso geneticamente, ma anche dall’educazione

e dall’ambiente, intendendo per ambiente, sia quello fisico, naturale che quello umano e

sociale.

La personalità può essere considerata come un insieme strutturato di tratti e di qualità

comportamentali definibili però unitariamente.Dipende dalla personalità di ciascuno, il

modo in cui si vive la realtà quotidiana e si affrontano difficoltà e problemi

“Le persone sviluppano convinzioni specifiche su se stesse, attraverso le quali organizzano il

loro mondo e danno significato alle loro esperienze”.4 Queste convinzioni(attribution)

inducono a pensare e ad agire in modi differenti, pur trovandosi, i protagonisti, nella stessa

situazione.

… La qualità dell’educazione e lo stile di vita influiscono su tanti aspetti della personalità;

proviamo a delineare alcuni tratti che ci aiutano a conoscerci meglio:

4 Carol S. Dweck “ Teorie del Sé ” Edizioni Erickson-Trento

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Ogni individuo ha un suo personale modo di reagire alle diverse situazioni, in linea di

massima ci sono tre tipi di comportamenti, quello passivo (subisce le situazioni), quello

aggressivo (reagisce con violenza), quello assertivo (è sicuro di sé e sa lavorare

autonomamente o in gruppo).

Tra le voci che seguono puoi scegliere quella che ti si adatta di più:

Autofiducia :

- penso di avere abbastanza fiducia in me stesso___si_____no____non so_____

- sono spesso insicuro quando devo scegliere o prendere una decisione_si___no___non so_

(la fiducia: nelle proprie capacità, nelle proprie forze ci fa affrontare meglio le difficoltà)

Autostima, autovalutazione:

-penso di valutarmi abbastanza positivamente, di avere stima di me: si__no__non so

Autonomia:

-penso di essere abbastanza autonomo, indipendente dagli altri e dalle cose( mi sveglio da

solo, mi organizzo la mia giornata, mi programmo lo studio, il lavoro): si___no__non so___ Autocontrollo: - penso a volte di perdere il controllo, di essere aggressivo o passivo: si___no__ non so_____ Emotività: - sono timido, ansioso nel rapporto con gli altri o nelle situazioni:si___no____non so_______

Autoefficacia:

- quando m’impegno ottengo buoni risultati__mai___qualche volta____sempre__

Assertività: penso di essere sicuro di me stesso, affermativo: si____no_____non so_______

Questi tratti della personalità variano da soggetto a soggetto e orientano il nostro modo stile

di vita, il rapporto con noi stessi e con gli altri.

Il soggetto emotivamente maturo ammette di aver sbagliato e mette in atto le strategie

più efficaci per modificare il proprio comportamento; l’errore deve servire ad

affrontare le difficoltà e i problemi della vita quotidiana con atteggiamento positivo.

Provo ora delineare il mio profilo psicologico, scegliendo, i tratti, elencati di seguito, che mi

si adattano di più . Conoscersi a livello psicologico significa quindi scoprire ed evidenziare

una serie di aspetti della personalità, del carattere, del temperamento.

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Tratti del carattere

ottimista, pessimista, altruista, egoista, espansivo, esuberante, estroverso, introverso, stabile,

instabile (neurolabilità), impulsivo, timido, insicuro, ansioso, riservato, fiducioso, sospettoso,

pragmatico, sognatore, equilibrato, sensibile, brillante, fantasioso, apprensivo, teso, dinamico,

conformista, anticonformista,.atteggiamento realistico verso la vita, equilibrio, stabilità, senso

di sé, esteso fino a coinvolgere gli altri.

I sedici fattori della personalità secondo Cattel

desiderio di successo e di affermazione, deferenza, rispetto dell'autorità, ordine, puntiglio,

estroversione sociale, senso dell'armonia, solidarietà, tendenza introspettiva, sensibilità,

dipendenza, sottomissione, desiderio di prevalere, senso di colpa, altruismo, pietismo, volontà

di cambiare, viaggiare, costanza, tenacia, aggressività.

3. Per approfondire infine l’aspetto sociale, segui lo stesso metodo, partendo dalle esperienze

di socializzazione e di comunicazione: “IO COME SONO socialmente”?

Quanto influisce la personalità di ciascuno e quindi l’aspetto psicologico, su quello sociale,

cioè sul modo di accettare gli altri, di interagire, di comunicare, in una parola di star bene e

sentirci a nostro agio, anche in mezzo a tanta gente?.

Il primo ambiente sociale è naturalmente la famiglia e dal rapporto che si crea tra genitori e

figli, dalle esperienze di socializzazione allargate a parenti e amici dipende l’accettazione e

l’apertura verso gli altri .

La comunicazione, in famiglia, a scuola, nell'ambiente di lavoro e fuori diventa quindi

piacevole e naturale se favorita dall’ambiente, dal carattere e dalla personalità di

ciascuno(estroversione, prosocialità). Se gli aspetti psicologici sono importanti per la

comunicazione, quelli educativi e ambientali sono le basi per la socializzazione. e il

rapporto con gli altri.

C’è da precisare quindi che anche il timido, l’introverso può sviluppare le abilità sociali se

inserito in un ambiente stimolante che dà fiducia anche ai più maldestri tentativi di

comunicazione.

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Le difficoltà di comunicazione: la paura di parlare in pubblico e le altre paure impediscono lo

sviluppo delle strategie necessarie all’interazione sociale. Rispondendo alle domande che

seguono, se ce ne fosse bisogno, puoi valutare e verificare la tua disponibilità a intraprendere

rapporti con gli altri e ad allargare sempre più il gruppo degli amici e dei conoscenti,.in una

parola la tua capacità di socializzazione

Rapporto con gli altri (confronto) • Hai molti amici? ___________________________________________ • ti piace stare anche con persone che non conosci? ________________ • nelle riunioni tra amici ti piace proporre le tue idee? ______________ • ami incontrare e frequentare persone nuove? ___________________ • affrontare un pubblico ti suscita paura? ________________________ • in genere ti diverti e ti lasci andare alle feste? ___________________ • ti consideri una persona di compagnia? ________________________ • hai numerose attività di svago? ______________________________

Rapporto con gli altri (abitudini di svago)

Che tipo di divertimento preferisco • in discoteca___si______no________non so____________________________ • all’aria aperta___si______no_______non so___________________________ • il cinema___la Tv___si__________no__________non so________________ • altro(giochi, videogiochi, internet…) • hobby, turismo, sport manualità, creatività__________ • Mi diverto facilmente: • da solo___mai ______qualche volta ____sempre________________________ • con gli amici ___mai_______qualche volta______ sempre________________ • con l’amico-a del cuore___mai_______qualche volta_______sempre________ • dappertutto e con tutti___________________________________________

Atteggiamento di fronte al divertimento: che significa divertirsi? • è un’attività piacevole, spontanea e naturale • diventa più piacevole se favorita da sostanze eccitanti • diventa il massimo solo con la trasgressione e lo sballo

È più difficile divertirsi: • quando l’ambiente non è favorevole?__sì _____no_____non so _____ • quando non si sa cosa fare? ___ sì___no____non so______

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ASPETTI PSICO – SOCIALI

(seconda parte)

A. Per meglio comprendere: comunicazione e comunicazione interculturale

B. Conoscersi per comunicare e importanza dell’elemento culturale

C. Modelli culturali e comunicativi

A. Per meglio comprendere:comunicazione e comunicazione interculturale

INTERCULTURA: È LA MESSA IN RELAZIONE, INTERAZIONE, SCAMBIO DI DUE O PIÙ ELEMENTI CULTURALI.

Per comunicazione, si intende porre in comune, quindi condividere, scambiare. Noi non

comunichiamo solo con la parola, ma anche con tutti i nostri comportamenti, mediante ogni

manifestazione, sia livello cognitivo che emotivo.

Comunicare significa interagire, ossia influenzarsi reciprocamente,

L’aggettivo interculturale aggiunto rimanda alla modalità di comunicazione fra soggetti con

retroterra culturali e linguistici diversi, mediante la quale è possibile innescare un processo

che presuppone la messa in relazione, l’interazione, lo scambio, il dialogo sul piano culturale

e dei valori.

Diversi autori mettono, in evidenza i problemi legati al modo errato di interpretare la

comunicazione.

il fraintendimento interculturale è un prodotto

mutualmente costruito da tutti i partecipanti

all’interazione, non è responsabilità di uno solo.5

5 Chick, J. 1990

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Analizzando incontri interculturali si è visto come l’interazione fra persone di culture diverse

sia marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in silenzi,

sovrapposizioni, reazioni impreviste, interruzioni ecc.., che mostrano la difficoltà di stabilire e

mantenere una cooperazione conversazionale a causa delle differenze nel background

culturale e nelle convenzioni di comunicazione.

Il fallimento dell’incontro interculturale può essere di vari tipi:

1. può non esserci comunicazione, cioè l’enunciato di chi parla non comunica nessun

messaggio all’interlocutore

2. può esserci un fraintendimento, quando si comunica qualcosa che non si voleva dire

I fraintendimenti possono essere di tipo:

a. pragmalinguistico, quando si attribuisce erroneamente un significato a un

enunciato (ad esempio , quando un consiglio viene interpretato come un

rimprovero)

b. sociopragmatico, quando il contributo dell’altro non è ritenuto adatto alla

situazione, in seguito a diverse valutazioni dei parametri sociali che

determinano le scelte linguistiche (ad esempio, l’uso del registro sbagliato

per troppa o troppo poca formalità.)

Le competenze che assicurano una effettiva comunicazione interculturale sono complesse e

legate al contesto, che in nessun modo possono essere direttamente insegnate come un

insieme di conoscenze.Essere consapevoli delle fonti potenziali di asincronia e delle sue

potenziali conseguenze negative sono un prerequisito necessario per l’apprendimento in

quanto permette di ripercorrere retrospettivamente il discorso, di cercare e di identificare

eventuali punti di asincronia per mettere in campo adatte strategie di riparo.

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19

INTERCULTURA

COMUNICAZIONE

- mettere in relazione

- interazione

- scambio di due o più

elementi culturali

- porre in comune

- condividere

- scambiare

- interagire

- influenzarci

reciprocamente

VERBALE

NON VERBALE

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COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

- modalità di comunicazione fra

soggetti diversi per cultura e lingua

- mettere in relazione - interazione

FALLIMENTO

non c’è comunicazione

(chi parla non comunica alcun

messaggio all’interlocutore)

fraintendimento

- comunicare qualcosa che non

si vuole dire

- causato da tutti i partecipanti

all’interazione

pragmalinguistico quando si attribuisce erroneamente un significato a un enunciato

sociopragmatico

quando il contributo dell’altro non è

ritenuto adatto alla situazione, in

seguito a diverse valutazioni dei

parametri sociali che determinano le

scelte linguistiche

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mediazione interculturale

e didattica interculturale

culturale

pedagogia interculturale educazione interculturale

COMUNICAZIONE

INTERCULTURALE

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EDUCAZIONE INTERCULTURALE

rivolta ad autoctoni e immigrati

in ambito scolastico

integrazione decentramento

interazione relazione

Educazione interculturale è un approccio metodologico per rivedere:

- i curricoli formativi - gli stili comunicativi

- la gestione delle differenze, delle identità,

dei bisogni di apprendimento

metodologie

contenuti

facilitare la conoscenza reciproca e la

disponibilità allo scambio e all’incontro,

ma anche al cambiamento

degli uni verso gli altri

permette agli allievi di

diversa provenienza etnica,

religiosa e sociale di

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B.Conoscersi per comunicare e importanza dell’elemento culturale

Uno degli ostacoli più grossi alla comprensione tra culture differenti, è la mancata

consapevolezza che tutto ciò che pensiamo, affermiamo e proponiamo dipende non solo più o

meno da esplicite supposizioni che differiscono tra loro ma anche da presupposti di cui non

siamo completamente consapevoli, e che non necessariamente sono gli stessi dei nostri

interlocutori:

a. supposizione, principio che io stabilisco alla base del mio processo pensante

b. presupposizione, qualche cosa che do per scontato, che presuppongo indiscriminatamente senza riflettere; nasce dal mondo cui faccio parte e in base al quale costruisco il mio modo di pensare

Solo noi stessi in un momento di riflessione successiva, o un’altra persona, possiamo renderci

consapevoli delle nostre supposizioni. essere costantemente aperti e consapevoli che le nostre

azioni e la nostra vita sono basate su presupposizioni, è una condizione importante perché

possa esserci una comprensione e un dialogo aperto. Questo assicura l’attitudine all’ascolto

da entrambe le parti.

Com’è dunque possibile capire, dialogare, senza essere intrappolati nei nostri schemi

culturali?

1. conoscersi per comunicare

2. attribuire importanza all’elemento culturale

1. CONOSCERSI PER COMUNICARE

- la comunicazione è una realtà

- non si può non comunicare

- la comunicazione è l’insieme dei comportamenti verbali e non verbali

Tra emittente e ricevente la comunicazione avviene attraverso:

- parole - gesti - silenzi- mimica dei volti - gli sguardi - vicinanza/ distanza

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La conoscenza dell’altro aiuta la comunicazione

e rende più comprensibile

il suo contenuto

- esplicito, implicito

- verbale, gestuale

e permette di interagire con l’altro

Per riprendere quanto enunciato nella prima parte, presupposto per interagire è dunque

la conoscenza di sé:

a. come persona: - qualità

- risorse

- limiti

- abilità, - grado di coinvolgimento emotivo

- capacità di ascolto

- interesse per gli altri

b. in rapporto al proprio ruolo: - famiglia

- scuola

- lavoro

- vita di società

c. in rapporto alla propria esperienza: - positiva

- negativa

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La conoscenza appare dunque un presupposto fondamentale per interagire con l’altro: si

costruisce un percorso per cui comunicazione, conoscenza, comprensione, interconnessi

tra loro consentono di sviluppare una relazione. E’ un percorso connotato da elementi di:

- reciprocità: nella comunicazione ciascuno mette in comune una parte di sé ed

acquisisce contemporaneamente conoscenze di una parte dall’altro

- bidirezionalità: nel conoscere l’altro ognuno riflette, riscopre ed approfondisce la conoscenza di sè

ALCUNE REGOLE MINIME 6

1. METTERCI NEI PANNI DI CHI RICEVE LA NOSTRA COMUNICAZIONE

2. FARE DOMANDE DI VERIFICA. RIFORMULARE

3. ASCOLTARE ATTIVAMENTE

4. PARLARE IN MANIERA CHIARA E PRECISA. NON USARE PIU’ PAROLE

DEL NECESSARIO NE’ MENO DEL NECESSARIO

5. SCINDERE LE PERSONE DAL PROBLEMA

6. CONCENTRARSI SUGLI INTERESSI DELLE PERSONE E NON SUI LORO

RUOLI

7. INVENTARE SOLUZIONI VANTAGGIOSE PER AMBO LE PARTI

8. CREARE SINTONIA RELAZIONALE CONCENTRANDOCI NON SOLO SU

QUANTO SI DICE, MA ANCHE SU COME LO DICIAMO

9. USCIRE IMMEDIATAMENTE DALLE TENSIONI INTERPERSONALI NON

ASPETTANDOCI CHE LO FACCIA L’ALTRO (in quanto è suo dovere)

6 Guglielmo Spadetto, Regole minime per ben comunicare, dispensa

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2. IMPORTANZA DELL’ELEMENTO CULTURALE

guardare alle differenze

lavorare sulla consapevolezza

La cultura è un deposito di conoscenze, esperienze, credenze, valori, attitudini, significati,

religioni, senso del tempo,….. acquisiti da un gruppo nel corso di generazioni, anche

attraverso scambi sempre più frequenti con l’ambiente esterno

al sistema della singola cultura, e trasmessi di generazione in generazione.

Poiché siamo cresciuti all’interno dei modelli della nostra cultura, ne siamo generalmente

consapevoli:

“ ci sembra naturale mentre è culturale che ci sia un capofamiglia

e non una capofamiglia” (Balboni)

la cultura

è

appresa e trasmissibile

è

un sistema dinamico

è

selettiva ed etnocentrica

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27

E’ quindi necessario saper osservare la propria cultura mentre si osserva quella altrui, in

particolare:

DOMINIO 1: LE RELAZIONI SOCIALI7

a) Rapporto con uno straniero

b) Rapporto giovani / adulti

c) Rapporto con i superiori

d) Corteggiamento, relazione amorosa

e) Relazioni omosessuali

f) Uso di offrire sigarette, bevande, ecc.

g) Modo di riparare ad errori, scusarsi

eccetera

DOMINIO 2: L'ORGANIZZAZIONE SOCIALE

a) Sistema istituzionale ed elettorale

b) Sistema giudiziario

c) Sistema bancario e finanziario

d) L'industria

e) L'agricoltura

f) Il terziario

g) Le tele-comunicazioni

h) I trasporti

i) I mass media

j) La criminalità

k) La/e religione/i

eccetera

7 P.E.Balboni, Parole comuni,Culture diverse.Guida alla comunicazione interculturale, Marsilio Editore – Venezia, 1999

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DOMINIO 3: LA CASA E LA FAMIGLIA

a) Dimensione della famiglia

b) Ruoli nella famiglia

c) Rapporto genitori-figli

d) Autonomia dei figli da ragazzini, età dell’uscita da casa

e) Tipologia della casa

f) Tradizione e innovazione nelle case

g) Proprietà e affitto di abitazioni

h) Pulizia della casa

i) La casa di città

j) La casa di paese

k) La casa in campagna

l) Interesse della famiglia per la casa: pulizia, restauro, ecc.

eccetera

DOMINIO 4: LA CITTA'

a) Rapporto città-cittadina-paese-campagna

b) Rapporto centro-periferia

c) Traffico privato e traffico pubblico

d) Strutture produttive e città

e) Divertimento, sport e città

f) Città e cultura

g) Il governo della città

h) La città e gli abitanti: come questi si sentono “cittadini”, padroni della città

i) Città e sostegno alle famiglie: asili, ricoveri, ecc.

j) Città e scuole

k) I problemi della droga

eccetera

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DOMINIO 5: LA SCUOLA

a) Scuola privata e pubblica

b) Livelli scolastici

c) Prestigio sociale della scuola, degli insegnanti

d) Rapporto scuola-mondo del lavoro

e) Tradizione e innovazione nella scuola

f) Ruolo delle famiglie nella scuola

g) Le lingue straniere

h) Scuola come formazione personale e/o professionale

eccetera

DOMINIO 6: I MASS MEDIA

a) MM pubblici e privati

b) Autonomia dei MM, MM e politica

c) I giornali quotidiani

d) I settimanali politici e culturali

e) I settimanali per pubblici speciali (donne, sport, ecc.)

f) La pornografia

g) Televisione: informazione e intrattenimento

h) La radio

i) Il cinema d'autore e quello popolare

j) Presenza di mass media stranieri

k) Letteratura d'autore e d'evasione

eccetera.

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30

Entrare in una prospettiva interculturale non significa abbandonare i propri

valori

conoscere gli altri

tollerare le differenze

rispettare le differenze

accettare il fatto che alcuni modelli culturali degli altri

possano essere migliori dei nostri

mettere in discussione i nostri modelli culturali

Comprendere le dinamiche della comunicazione interculturale significa guardare a come le

culture, comunicando, si adattano al mutamento dando talvolta origine e culture diverse. Di

conseguenza in un processo comunicativo che muta nel suo divenire è importante avere

consapevolezza e sviluppare competenze.

lavorare sulla consapevolezza:

riconoscere che ciascuno porta con sé un particolare modo di pensare che deriva

dal modo in cui è cresciuto, e che coloro che sono cresciuti in altre condizioni

hanno, per le stesse ragioni, un diverso modo di pensare

Hofstede afferma che l’acquisizione delle abilità della comunicazione interculturale

passa attraverso tre fasi:

1. la consapevolezza: riconoscere che ciascuno porta con sé un particolare modo di

pensare che deriva dal modo in cui è cresciuto, e che coloro che sono cresciuti in altre condizioni hanno, per le stesse ragioni un diverso modo di pensare;

2. la conoscenza: se dobbiamo interagire con altre culture, dobbiamo imparare come sono queste culture, quali sono i loro simboli, i loro riti…;

3. abilità di comunicare tra culture che deriva dalla consapevolezza, conoscenza e esperienza personale.

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31

In un processo comunicativo è dunque importante avere consapevolezza e sviluppare

competenze che favoriscano l’efficacia della comunicazione – l’apprendimento passa

attraverso l’attuazione della relazione con l’altro/a:

livello interpersonale individuare elementi e strumenti per

migliorare le relazioni fra culture

differenti e affinare le competenze

interculturali:

- dimostrare rispetto per altri e altra

cultura

- flessibilità rispetto ad idee altrui

- ascolto e percezione bisogni altrui

- empatia

- tolleranza e ambiguità

- controllo e gestione dei problemi

- sensibilità per le differenze culturali

livello mediatico considerare diversi elementi che

influiscono sulla ricezione di messaggi:

ambiente, situazione culturale,

contesto, interazione fra i diversi

media, comportamenti e personalità

competenze di comunicazione

abilità di gestire la comunicazione interculturale

capacità di stabilire relazioni interpersonali

favoriscono il funzionamento individuale

nel confronto con le culture altre

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C. Modelli culturali e comunicativi da osservare8

Valori culturali di fondo

a) Il tempo

b) La gerarchia e il potere

c) Il rispetto sociale e la “correttezza politica”

d) Attribuzione e mantenimento dello status: la necessità di salvare la faccia

Uso del corpo per fini comunicativi

a) Sorriso

b) Occhi

c) Espressioni del viso

d) Braccia e mani

e) Gambe e piedi

f) Sudore (e profumo)

g) Rumori corporei

h) Toccarsi i genitali

i) Distanza frontale tra corpi

j) Contatto laterale

k) Il bacio

l) Lo spazio personale nel luogo di lavoro

Uso di oggetti per fini comunicativi

a) Vestiario

b) Status symbol

8 P.E.Balboni, Parole comuni,Culture diverse. Giuda alla comunicazione interculturale, Venezia, Marsilio Editore,1999

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c) Oggetti che si offrono: sigarette, liquori, ecc.

d) Regali

e) Danaro

f) Biglietti da visita

La lingua

a) Tono di voce

b) Velocità

c) Sovrapposizione di voci

d) Superlativi e comparativi

e) Forme interrogativa e negativa

f) Altri aspetti grammaticali

g) Titoli e appellativi

h) Registro formale/informale

i) Struttura del testo

Mosse comunicative

a) Abbandonare

b) Attaccare

c) Cambiare argomento

d) Concordare

e) Costruire

f) Difendersi

g) Dissentire

h) Domandare

i) Esporsi

j) Incoraggiare

k) Interrompere

l) Ironizzare

m) Lamentarsi

n) Ordinare

o) Proporre

p) Riassumere

q) Rimandare

r) Rimproverare

s) Scusarsi

t) Sdrammatizzare

u) Tacere

v) Verificare la comprensione

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Situazioni comunicative

a) Dialogo

b) Telefonata

c) Conferenza

d) Presentazione della propria azienda, dei propri prodotti

e) Partecipazione a cocktail party, pranzo o cena

f) Riunione, lavoro di gruppo

DA REGOLE MINIME PER COMUNICARE 9 (uno studio) 1. La comunicazione è il comportamento delle persone quando si trovano tra loro.

I corpi “parlano” sempre quando si è insieme. 2. Quando ci si trova nello stesso ambiente non si può non comunicare. anche il

silenzio è sempre una comunicazione. 3. La reale comunicazione non è quella che si invia, ma quella che l’altro interpreta.

E’ sempre così. uno che vuole comunicare bene sta sempre attento a che cosa l’altro interpreta della sua comunicazione: sta attento al feedback verbale e, ancor più, al feedback non verbale dell’altro. Importante: Non è l’intenzione che conta, anche se buona, ma il risultato ottenuto. Se non hai raggiunto quanto volevi rivedi il tuo modo di comunicare.

4. A una comunicazione che manifesta un sentimento o atteggiamento (emotività) di

una persona, se vuoi ottenere la sua attenzione, rispondi con una comunicazione emotiva (che la comprendi, la capisci). Solo dopo funziona l’intervento razionale (farla ragionare).

9 Guglielmo Spadetto

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5. La comunicazione è circolare. Una volta che le persone che stanno assieme hanno trovato un concreto sistema di comunicare tra loro, tendono a non cambiarlo più. ognuno con il suo comportamento rinsalda il comportamento dell’altro e viceversa. •••• I disturbi comunicativi però avvengono in ogni sistema continuativo di

comunicazione. •••• Essi avvengono per fraintendimenti non voluti (almeno all’inizio) che

necessariamente sorgono. •••• I disturbi comunicativi:

- creano difficoltà per raggiungere gli obiettivi - producono tensione alle persone che stanno comunicando - sono fonti di disagio generale

•••• Le persone coinvolte in un disturbo comunicativo, quando se ne accorgono, si danno da fare

per cercarne le cause. •••• Entrano così nella spirale della circolarità: poiché la comunicazione in ultima analisi è soggettiva, ognuno parte dal suo punto di vista e si può entrare in una circolarità senza fine evidenziando una serie di cause tra le quali è difficile, se non impossibile, per trovarsi d’accordo nel definire quale sia stata la prima. •••• Allora la tensione e l’ansia aumentano sempre di più e dalla ricerca delle cause si passa alla

……imputazione della colpa (il primo segnale generalmente è il tono della voce) e non ci si intende più ……

6. La via della colpevolizzazione è, in generale, improduttiva.

Occorre. - applicare il metodo dell’ascolto vicendevole (metodo, non moralismo!) e in un secondo tempo passare ai suggerimenti e alle spiegazioni. - cambiare un proprio comportamento che induca il cambiamento altrui. - farsi aiutare da un “terzo”. - vedere il disturbo tra le persone che comunicano più che nelle singole persone. 7. In ogni comunicazione intenzione coesistono sempre due messaggi:

A. MESSAGGIO DI CONTENUTO

- sono le informazioni che gli interlocutori si scambiano circa l’oggetto

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- delle loro comunicazione intenzionale - esso è generalmente fatto di parole - “la mappa non è il territorio!” - le parole hanno un significato molto soggettivo

B. MESSAGGIO DI RELAZIONE - sono le informazioni che gli interlocutori si scambiano sulle loro persone:

che cosa l’uno è per l’altro, come si vivono - questi messaggi sono inviati attraverso la comunicazione non verbale (tono, sguardo,

gesto, uso di certe parole,…) - ogni persona comunica all’altra se per lei vale, se è stimabile, se la trova

piacevole … e, allo stesso tempo, richiede di essere confermata dall’altra nel senso che per lei vale, è stimabile, è piacevole

- il messaggio di relazione generalmente non è l’oggetto della comunicazione, ma ne costituisce lo sfondo, lo scenario relazionale e influisce molto sul contenuto ( se viene più o meno accettato, se viene più o meno detto con attenzione all’altro). I messaggi di relazione sono di tre tipi: di conferma: “per me tu vali” di rifiuto : “ per me tu non vali” di disconferma: “per me tu non esisti” I messaggi di disconferma ripetuti in un ambiente che non si può lasciare producono: - reattività - irritazione - demotivazione generalizzata Quando il contenuto è chiaro e nascono tensioni, queste provengono sempre dal fatto che gli interlocutori, magari senza saperlo, si inviano messaggi di relazione di rifiuto o di disconferma. CAPACITA’ DI ASCOLTO E DI RISPOSTA 1. Il primo ascolto è dato da come si “accoglie” una persona. e’ il primo messaggio di

relazione che le si dà e questo rimane molto impresso. 2. Mentre si ascolta:

- comprendere quello che l’altro dice con le sue parole e con il suo

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“comportamento” (comunicazione non verbale). capire bene cosa intende dirci - “mettersi nei suoi panni” per entrare nel suo mondo di significati e di sentimenti - con tutta la nostra persona comunicare che “si è in ascolto”, fare cenni con il capo, con gli occhi…inviargli il messaggio che ci interessa - fare attenzione non solo a quello che ci dice ma anche a come ce lo dice - osservare anche noi stessi mentre si ascolta: il proprio umore, carattere, le proprie reazioni interne

Ascoltare non significa essere d’accordo con quanto l’altro dice. L’obiettivo dell’ascolto è: - capire bene quanto l’altro vuol dirci - capire bene il suo punto di vista prima di esprimere il nostro - capire bene l’importanza che ha per lui quanto si dice, capire bene che “idea” noi ci facciamo di lui.

3. Mentre si ascolta si deve sempre tacere - occorre fare “domande di ascolto” - queste sono diverse dalle “domande di giudizio” per come vengono fatte: tono di voce, utilizzo di determinate parole,….

- spesso è necessario che noi “riformuliamo” quanto l’altro ci sta dicendo: “se ho ben capito, intendi dire…” così non si corre il rischio di fraintendere e dimostriamo che siamo veramente in ascolto (messaggio di relazione di conferma). 4. All’ascolto subentra la “nostra risposta” e quindi “il dialogo” - se non si è d’accordo, dapprima esprimerci nelle parti in cui si è d’accordo.fermarci nel sottolineare questo aspetto e non farlo di sfuggita - nel dialogare con l’altro utilizzare il più possibile il suo modo di esprimersi.inserire nel nostro parlare le sue “parole chiave” (sincronizzazione) - utilizzare un linguaggio preciso, concreto, vicino all’esperienza della persona con la quale si parla, togliendo le generalizzazioni “es: tutti, per sempre, mai, …” e le espressioni vaghe - esprimere sempre il “perché” di quanto si dice. un linguaggio quindi positivo e libero da ridondanze - durante il dialogo, nei momenti appropriati, inserire il nome della persona con la quale parliamo oppure la qualifica se il rapporto non è egualitario. sentirci chiamare per nome o per qualifica ci fa piacere - uscire immediatamente da simmetrie (tensioni) che possono insorgere. il tono della voce sarà per noi un segnale da controllare sempre - stando molto attenti a come l’interlocutore reagisce si può arrivare a prevedere come egli potrebbe recepire le nostre argomentazioni

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5. La conclusione del dialogo spesso è l’operatività. E’ importante che questa sia ben chiarita e non ci sia fraintendimento da nessuna parte. per questo una riformulazione conclusiva è sempre positiva.

COMUNICAZIONE INTERCULTURALE: PROBLEMI (terza parte)

Abbiamo ritenuto opportuno, al termine del lavoro fin qui prodotto, soffermarci su tre aspetti problematici che interessano la comunicazione interculturale: 1. il linguaggio non verbale 2. la lingua 3. le concezioni e valori non condivisi dai parlanti Il primo infatti gioca un ruolo molto importante. Noi siamo più visti che ascoltati. Dice Balboni: il 70/80 % delle informazioni giunge dall'occhio e solo il 10/15% proviene dall'orecchio. nella comprensione di un messaggio (e nella comunicazione). La lingua in quanto può causare incidenti interculturali e incomprensioni . Le concezioni ed i valori non condivisi dai parlanti perché, pur essendo di carattere più generale rispetto ai due precedenti, provocano disagio nell’apprendimento delle lingue, soprattutto in ambiente scolastico.

1. PROBLEMI - LINGUAGGIO NON VERBALE

sorriso: è universalmente utilizzato per comunicare messaggi positivi, ma nella cultura asiatica è utilizzato anche in situazioni nelle quali la persona si sente in imbarazzo (invece di dissentire o rispondere no, spesso gli asiatici si limitano a sorridere e a stare in silenzio, situazione che un occidentale interpreta sicuramente come assenso).

sguardo: esiste tutta una complessa codifica sul tempo , sulla direzione dello sguardo che varia dal contesto , dalla gerarchia, dalla confidenza, dal sesso degli interlocutori e queste regole variano da cultura a cultura. E' noto l'incidente classico fra l'insegnante italiano e l'allievo cinese, che rimproverato, tiene gli occhi fissi a terra. Questo atteggiamento viene interpretato dal docente come segno di falsità, o comunque di poco pentimento da parte dell'allievo e quindi l'insegnante richiama ulteriormente il ragazzo dicendogli "Guardami negli occhi mentre ti parlo!". Per

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l'alunno cinese tenere gli occhi bassi era invece segno di rispetto nei confronti dell'insegnante.

Pensiamo poi a quanto varia nelle culture il tempo concesso allo scambio di sguardi fra due persone di sesso opposto, prima che venga scambiato come proposta erotica….

espressione del viso: le espressioni sono abbastanza universali, ma varia molto la quantità e il controllo intenzionale sulle espressioni stesse. Nell'area del Mediterraneo si lascia che le emozioni e i sentimenti emergano abbastanza liberamente attraverso la mimica facciale (un discorso a parte andrebbe fatto per l'uomo che non deve lasciar trasparire la propria "debolezza"). In altre zone del mondo, soprattutto in Asia, si chiede invece un certo controllo sulla propria espressività: questo controllo dà a noi mediterranei la sensazione che gli asiatici siano imperscrutabili, o che comunque, provino i sentimenti con minore intensità rispetto a noi, cosa che è naturalmente falsa.

braccia e mani: probabilmente le mani, insieme al viso, sono gli strumenti di comunicazione non verbale più utilizzati e maggiormente codificati, sarebbe dunque difficile fare una panoramica dell'estrema variabilità, anche da una regione all'altra dell'Italia. Pensiamo ad esempio a come vengono utilizzate le mani per salutare, dal palmo alzato alla stretta di mano, ai gesti per dire "vieni qui", "cosa vuoi"," vai via" ecc.. Talvolta gesti che hanno un significato positivo in una cultura, come il gesto dell'o.k. americano, risultano offensivi in altre culture.

gambe e piedi: tenere le gambe accavallate con la caviglia appoggiata al ginocchio o levarsi le scarpe può essere segno di rilassatezza in alcune culture e risultare offensivo in altre: far vedere la suola delle scarpe nella cultura araba è molto offensivo, così come per noi italiani è segno di poco rispetto levarsi le scarpe (non nella cultura araba dove è necessario levarsi le scarpe per entrare nella moschea).

odori, rumori e umori corporei : senza entrare nei particolari, c'è una diverso grado di tolleranza verso ciò che esce dal corpo ed è corporeo. Quasi tutte le culture considerano impuro ciò che esce dal corpo, variano però alcune regole: nella cultura occidentale, ad esempio, è permesso soffiarsi il naso, mentre in Giappone, ma anche in Cina è considerato irrispettoso. Mi è capitato più volte di vedere i bambini cinesi che si infilavano sotto un banco o che cercavano di nascondersi in qualche angolino per cercare di tamponare (non soffiare) il naso poiché farlo davanti all'insegnante sarebbe stato maleducato.

Distanza fra i corpi: ognuno di noi ha, in maniera più o meno consapevole, una specie di "bolla" all'interno della quale si sente al sicuro. Quando qualcuno oltrepassa il limite di questa bolla avvertiamo la sua vicinanza come aggressione e ci sentiamo a disagio. Faccio un esempio: più o meno nell'Italia centrale e in molta

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parte del Mediterraneo riteniamo che la "giusta" distanza da tenere fra due interlocutori, che non siano intimi amici chiaramente, è di circa un braccio. Nel nord Europa percepiscono il limite di questa bolla a circa due braccia di distanza. Nell'Italia del sud e nel mondo arabo, ma anche in altre parti del mondo, la distanza fra i due parlanti può essere invece inferiore ad un braccio e capita spesso di toccare l'interlocutore. Capite bene come sia fonte di estremo disagio la conversazione fra due persone che hanno bolle di dimensioni diverse: chi è abituato a stare a due braccia di distanza percepisce la vicinanza dell'altro come una aggressione personale, mentre il suo interlocutore percepirà il mantenere la distanza fisica come manifestazione di freddezza, di distanza emotiva e di poca partecipazione affettiva.

Oltre a queste regole a carattere molto generale ci sono tutte le norme che regolano il contatto fra le persone dello stesso sesso e del sesso opposto e fra persone più o meno in confidenza.

Infine le regole per baciare chi, come, dove, quando e quanto variano in ogni cultura: in Italia il bacio fra gli uomini è poco diffuso, mentre invece è normalmente utilizzato come saluto nell'area meridionale del Mediterraneo. Il bacio in pubblico (fra uomo e donna, ma anche fra padre e figlio ) è diversamente tollerato e/o ammesso.

vestiario: "l'abito fa il monaco" e il concetto di eleganza, formalità varia fra le culture anche all'interno di quella occidentale.

oggetti di status symbol: gli status symbol variano da cultura a cultura, ma anche da una classe sociale all'altra e da un gruppo all'altro. Gli oggetti, i simboli (stemmini, marchi), le "firme", che denotano benessere e ricchezza, sono valide spesso solo per una cultura, ma risultano irrilevanti per un'altra. Avere il vestito firmato, avere la penna o l'orologio di una determinata marca può comunicare lo status di "ricco" in una cultura, ma certi particolari possono risultare insignificanti per gli altri. Il mostrare la ricchezza, portare pesanti monili in oro o pesanti anelli, può essere interpretato da alcune culture come segno di poca raffinatezza, ma in altre può indicare benessere sociale e anche il proprio titolo di studi (come i grossi anelli da uomo che vengono regalati per la laurea).

oggetti che si offrono: il gesto dell'offrire è sempre segno di rispetto verso l'ospite, così come l'accettare. Variano però le regole sugli oggetti che si offrono e sul modo in cui si deve insistere nell'offrire o schernirsi nell'accettare. In Italia ad esempio si tende molto (tendenza che fortunatamente si sta attenuando) a insistere nell'offrire soprattutto cibi e bevande, cosa che mette in imbarazzo persone provenienti da altre culture (ad esempio anglosassone) abituate a tutt'altre maniere.

regali: il regalo è sicuramente un mezzo per comunicare rispetto, amicizia, affetto, ma possono essere oggetto di incidente interculturale. Ogni cultura ha oggetti che

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assolutamente non possono essere regalati in determinate occasioni: in Italia, ad esempio, non si regalano crisantemi, e non si portano fiori ad una partoriente (perché risulterebbero di cattivo auspicio, prima che il bambino sia ancora nato). In Germania portare i fiori nel cellophane è offensivo. Anche la regola dello scartare o non scartare i regali di fronte a chi li ha portati varia: in Occidente si scarta il regalo per dimostrare il proprio gradimento, mentre in diversi paesi orientali si ringrazia senza aprire.

2. PROBLEMI - LINGUA

tono e intonazione: in Italia utilizziamo un tono di voce piuttosto alto. Diversi stranieri (soprattutto del nord Europa) mi hanno raccontato che non riuscivano a capire perché i loro interlocutori urlassero: che cosa avevano fatto di male? perché erano arrabbiati con loro? Se aggiungiamo poi il fatto che la distanza fra i corpi è più ristretta, che parlando gesticoliamo, possiamo comprendere il disagio, la sensazione di essere aggrediti dei nostri interlocutori abituati a toni pacati, a gesti controllati e a distanze fisiche maggiori

velocità: parlare con uno straniero rallentando la velocità del parlato è segno di rispetto verso chi è meno competente. Non tutti utilizzano questa accortezza e ciò può far scattare reazioni negative nell'interlocutore.

sovrapposizione di voci: le culture del Mediterraneo normalmente accettano la sovrapposizione delle voci. In una discussione è anzi segno di partecipazione sentita. In altre culture invece si concede un tempo per la riflessione e la risposta. Possiamo dire che in Italia, come in altre culture mediterranee, c'è l'horror vacui per cui i tempi fra una battuta e l'altra sono sempre piuttosto ristretti e la tolleranza del silenzio è bassa (troviamo sempre tutta una serie di frasi fatte, dei riempitivi per non stare in silenzio). I popoli scandinavi, al contrario, sono infastiditi dalla sovrapposizione e chiedono il rispetto rigido dei turni di parola nelle conversazioni non sono necessari i riempitivi e il silenzio non mette a disagio gli interlocutori.

scelte lessicali: a parte il problema della traducibilità di un termine da una lingua all'altra esistono altri problemi legati alle scelte lessicali, soprattutto quando si hanno scambi culturali in particolare a livello scientifco o tecnico. Si ha cioè lo scontro fra l'esigenza della precisione degli occidentali e la maggiore "tolleranza alla ambiguità" degli orientali

aspetti morfosintattici: escludendo in questo momento il problema delle differenze fra lingue con una morfologia verbale molto ricca (come l'italiano) e lingue non

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flessive (come il cinese) ci concentriamo momentaneamente sull'uso di alcuni tempi verbali come il futuro e l'imperativo. Senza approfondire il tema delle diverse concezioni di tempo , diciamo che agli interlocutori non occidentali può dar fastidio il modo così sicuro con il quale invece gli occidentali parlano del futuro: si Dios quiere, se Dio vuole, inshallah dicono gli arabi, perché il futuro è nelle mani di Dio: nessuno sa effettivamente che cosa farà domani, ed è pura presunzione poterlo affermare con sicurezza. Scollon e Scollon (1981) riferiscono che una fra le cause dei cattivi rapporti fra gli statunitensi e gli athapaska (nativi del nord America) è ad esempio l'usanza, da parte degli statunitensi, di chiudere la conversazione con "ci vediamo presto" o " ci vediamo domani", frasi che suonano arroganti agli orecchi dell'athapaska, in quanto gli americani trattano il futuro come se fosse in loro possesso( in più parlare del futuro per gli athapaska, può essere di cattivo auspicio). Anche nella lingua italiana, comunque, il tempo futuro non è molto utilizzato, spesso esprime l'incertezza, il forse, mentre per le azioni ancora da svolgere, ma delle quali siamo certi, utilizziamo il presente (prendo il treno alle 7, fra poco vado fuori).

Anche l'utilizzo dell'imperativo è diversamente regolato: in alcune culture è ammessa la richiesta diretta come per gli israeliani, mentre in altre culture la richiesta, l'ordine, viene mitigato fino ad essere quasi del tutto velato come nella cultura giapponese ( si va dal "passami il sale, per favore" a "per favore, puoi passarmi il sale?" a "c'è il sale?")

Interrogativi e negativi: ogni cultura ha codificato regole diverse per dire no e per dissentire: rispondere no ad una richiesta o ad una domanda di un interlocutore, soprattutto se di una certa autorità, è praticamente vietato in alcune culture. Quando l'insegnante chiede al suo alunno cinese "Hai capito?", l'alunno non può che rispondere "Sì" anche se non è vero, perché rispondere "no" sarebbe un'offesa, sarebbe come dire al suo insegnante "non hai spiegato bene". Il "sì" (quando dovrebbe essere un no) delle risposte dei genitori e degli studenti asiatici non è una mancanza di rispetto, una "presa in giro", è semplicemente dovuta al fatto che (ai loro occhi), se noi formuliamo una risposta chiusa, vuol dire che "vogliamo" sentirci rispondere sì, e così fanno per rispetto.

Titoli e appellativi : ogni cultura ha proprie regole per quanto riguarda il mettere in evidenza o meno i titoli professionali della persona (dottore, ingegnere, professore, architetto) così come esiste un diverso utilizzo del "signore" " signora" "signorina". Quello che comunque può causare maggiormente incidenti interculturali è il nome e il cognome delle persone. In Cina non si può chiamare una persona per nome proprio, ma solo per cognome- nome o per cognome preceduto da "signor x" o "signora y". Anche all'interno della famiglia non si usa il nome proprio, ma il grado di parentela: gli stessi coniugi si chiamano con degli appellativi. Può capitare che i bambini non conoscano il nome proprio dei nonni, ma anche degli stessi genitori: gli insegnanti scambiano questo per volontà di nascondere qualche situazione illegale , in realtà, i bambini veramente non conoscono il nome proprio dei loro parenti. Se pensiamo che in cinese c'è un termine specifico per indicare non solo il grado di parentela, ma anche se è di parte materna o paterna e se è più anziano o più

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giovane, possiamo comprendere come sia possibile questo (ad esempio c'è un termine specifico per indicare la zia materna maggiore o il fratello maggiore o ancora il lo zio paterno minore..).

formale - informale: senza approfondire molto, c'è un diverso uso del registro formale e informale, nelle diverse culture, così come ci sono diverse regole per stabilire chi decide quando si deve passare all'informale e con quali formule. Darsi del tu fra colleghi di lavoro è cosa abbastanza frequente, molto meno utilizzare il tu con il capo…

struttura del testo: è molto importante tener presente che la struttura del testo varia da cultura a cultura. I testi argomentativi in italiano, tedesco, slavo spagnolo vanno da un punto A ad un punto B con tutta una serie di digressioni e potrebbero essere rappresentati graficamente come una linea spezzata; i testi anglosassone e scandinavo vanno dritti al punto e tutte le informazioni accessorie vengono poste in seguito; il testo asiatico e in parte quello arabo vengono strutturati per progressivi avvicinamenti al punto, con un andamento che potrebbe essere definito a spirale. Pensiamo alle difficoltà che i ragazzi, abituati ad una determinata struttura testuale, e quindi ad una diversa disposizione delle informazioni nel testo, incontrano nello studio delle discipline. Probabilmente, in una certa fase dell'apprendimento, i ragazzi tendono a trasferire, nei loro elaborati, la struttura testuale della loro lingua: ai nostri occhi possono apparire confusionari, ripetitivi, in realtà semplicemente scrivono applicando le regole testuali della loro lingua.

3. PROBLEMI - CONCEZIONI E VALORI

NON CONDIVISI DAI PARLANTI

• Il contesto sociolinguistico e cioè la predominanza, nella scuola, dello scritto sull’oralità, della razionalità sulla affettività, della Cultura sulla cultura: queste differenze sono fonte di difficoltà non solo per gli studenti provenienti da culture "altre", ma anche da diverse "classi" sociali.

• Il contenzioso storico , ad esempio, dover apprendere la lingua dei colonizzatori, fattore meno sentito per quanto riguarda l’italiano (anche se può darsi che possa influire sui corsisti provenienti dall’Etiopia o dall’Eritrea) può risultare invece influente nell’apprendimento del francese e dell’inglese.

• Logica contro sincretismo nella lingua: assenza della concordanza dei tempi, giustapposizione delle idee, poca coordinazione, assenza di congiunzioni che assicurino i legami logici- nella lingua araba o nel turco; approssimazione contro precisione nella cultura orientale.

• Lo statuto della lingua e dello scritto

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Nell’occidente la lingua svolge essenzialmente una funzione pragmatica (la lingua è uno strumento che serve per dire, rappresentare, organizzare il pensiero). Ricordiamo invece, come esempio, che l’arabo è la lingua sacra del Corano. In molte culture africane la parola ha potere, essa è riservata agli anziani mentre ai giovani spetta il silenzio; in queste culture la parola ha valore iniziatico, come rivelazione progressiva della conoscenza; la scrittura per queste culture toglie forza alla parola.

E’ vero comunque che anche nella cultura occidentale la parola ha un valore magico, evocativo e religioso; questo aspetto però resta in secondo piano ed è sempre più ridotto a fasce di utilizzo marginale, viste come facente parte della credulità e della superstizione popolare…

• La dimensione culturale del tempo (concezione lineare vs. tempo policronico)

Nella lingua la concordanza dei tempi, la coniugazione segue criteri diversi :es. nel turco il grado di certezza di una cosa o azione, nell'uso del perfettivo e dell'imperfettivo, prevale sul tempo; nella lingua degli indiani Hopi i verbi non hanno il tempo, ma indicano la validità di una affermazione, la conoscenza e l’esperienza che il parlante ha avuto di un fatto.

• La freccia del tempo (ad esempio il tempo musulmano è orientato più verso l’origine che verso il futuro)

• Differenze fondamentali nelle concezioni di famiglia, individuo, ruolo della donna e del bambino, religiosità

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BIBLIOGRAFIA SELETTIVA

Gregoretti L. – Le parole dell’integrazione – Anolf, 2001

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