Associazione Demetra, via Cavini 7/f - 31100 Treviso tel. 0422 401853 Associazione Il Labirinto, via Meneghini 3 - 33077 Sacile (PN) tel. 348 3578 838 Copia ad uso esclusivo dei soci dell’associazione Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso Centro Studi Psicosomatica DEMETRA ISTANTI DI LUCE Per una integrazione psicosomatica n. 03 Novembre 2013
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Demetra Istanti di Luce - Per una integrazione psicosomatica
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Copia ad uso esclusivo dei soci dell’Associazione.
Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso
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EDITORIALE
Anna Villa - Presidente Associazione Demetra
Nei passaggi stagionali ciascuno è mobilitato ad affrontare dei
cambiamenti e degli assestamenti successivi, per quanto lievi, accettati
o subiti in quanto ritenuti necessari nella nostra percezione del tempo
che scorre, almeno in questa parte del mondo e in questo emisfero.
Attualmente ci si ritrova a far fronte a uno di questi passaggi mentre
veniamo traghettati nell’opposto, dal calore e vivacità estive alle
restrizioni delle stagioni fredde e buie. Tutto ciò senza risparmiare
ricadute psicologiche, emotive e fisiche, che ritardano o favoriscono
l’entrare in questa nuova fase, segnata appunto da una nuova stagione.
Come ben raccontato e argomentato nell’articolo di Carniello, l’umore ne
risente, il grigiore e il tempo uggioso di questi giorni recenti non hanno
fatto altro che sottolineare tristezza, stanchezza, bisogno di dormire,
raffreddamenti e malesseri, una sostanziale tendenza depressiva
nell’arrancare per affrontare il quotidiano.
L’estate è stata la stagione dell’Estroversione, della natura volta a dare i
suoi frutti, cioè di essere tutti come la natura proiettati all‘esterno,
mentre l’autunno si pone come annuncio di Introversione, di cedimento,
a conclusione di progetti realizzati (i frutti) e l’avvio della fase di
quiescenza che prepara la caducità delle cose e il successivo
rinnovamento.
Psicologicamente, sia a livello personale sia collettivo, non si è mai del
tutto preparati a questa fase di ridimensionamento delle attività, fase di
stallo apparente, di quiete e di sedimentazione, che offre la
preparazione adeguata per l’incontro con altre forze vitali, più nascoste
e silenti, spesso dormienti dentro di noi. Per le nostre caratteristiche di
popolazioni occidentali ci è molto più facile vivere di esperienze di sole,
di incontri, di sfide che portano a scalare le montagne. L’introversione si
presenta invece come l’essere pericolosamente vicini al mondo
dell’ignoto, delle ombre, delle paure e delle incertezze. Nel nostro
mondo occidentale l’anno sociale prende il via con l’inizio dell’autunno,
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forzandoci a uscire dalle nostre case calde e confortevoli, per condurci
ad attivare la nostra psiche più che i nostri muscoli. La nostra psiche ha
bisogno di ritrovarsi, di essere incontrata nei suoi aspetti più nascosti,
ma più ricchi.
Secondo Jung, due sono gli orientamenti della coscienza, l’introversione,
che opera in verticale e porta all’attenzione del proprio mondo interiore,
e l’estroversione, che si orienta in direzione orizzontale e mette al centro
l’interesse per il mondo fuori di noi.
Secondo molti autori e studiosi del mondo del profondo, la nostra civiltà
è in una dimensione di grande sbilanciamento, è orientata verso
l’estroversione e tende a mantenerla viva quasi costantemente, a
detrimento dell’introversione, con dei forti pregiudizi verso di essa, fino
ad assumere tratti di svalutazione verso questo polo opposto.
L’unilateralità che si produce in questo modo dà certezze, ma rende
arroganti, rende incapaci di spaziare, di cercare e trovare altrove
risposte altrettanto rassicuranti, si diventa intolleranti e la vita si
appiattisce.
Tutto ciò si riattiva, centuplicando gli effetti e le difficoltà,
all’approssimarsi delle stagioni umide e fredde con il loro tacito invito a
chiuderci, coprirci, ridurre le uscite. Le resistenze nell’accedere a questa
fase, ripropongono l’incapacità e l’intolleranza verso lo sguardo e
l’attenzione a sé, al nostro mondo interno, ai nostri bisogni, desideri,
affetti. A conferma che le nostre più grandi tensioni riguardano la
capacità di avere uno sguardo alla realtà attraverso quella che Jung
chiama la Funzione Sentimento.
Jung afferma che la coscienza personale si organizza tramite quattro
Funzioni, modi parziali di funzionamento che consentono la gestione
della vita: Pensiero, Sentimento, Intuizione, Sensazione. Tra queste, la
funzione Sentimento è caratterizzata da un modo di operare che
permette di conoscere attraverso la relazione, di considerare la realtà
esterna secondo dei valori, piacevole o spiacevole, adeguata o non
adeguata, dolorosa o non dolorosa. È un modo di pensare con il cuore,
secondo il valore del cuore e non di quello economico. Nella nostra
cultura questa è la funzione meno frequentata, meno compresa, spesso
rimossa. Si presta a essere sottovalutata e confusa con il
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sentimentalismo attribuito, a torto o a ragione, alle donne e che
imperversa nello sbandierare emozioni e sentimenti spesso portati
all’esasperazione.
Orientarsi all’Introversione e prendersi cura di un diverso modo di
“leggere” la vita, porta dei benefici e apre al mondo del profondo
rivelando, se si sarà attenti e pazienti, dei mondi segreti, delle
sensazioni di vita autentica, dei modi di essere originali, capaci non solo
di segnalare i problemi, ma anche di rivelare la cura e condurre alla
guarigione. Come possiamo leggere negli articoli di Rubatto e della
sottoscritta, spesso i sintomi di disagio e malattia costringono a
occuparsi del proprio sentire e ad attivare la funzione Sentimento che
aiuti a com-prendere (prendere-con) quanto alberga nel profondo,
capirne le ragioni e i bisogni e orientarli alla soluzione più adeguata e più
armonica. Malattia e guarigione sono aspetti dello stesso continuum nel
quale si esprime la vita, a ciascuno la scelta della vita possibile.
Il contributo di Vedelago sulla vita di E. Bach, lo scopritore e ideatore
della terapia con i Fiori di Bach, mette in risalto come la vita stessa
possa essere vissuta non tanto per realizzare all’esterno carriera e
potere, quanto per dare voce a quelle spinte profonde che vogliono
concretizzare impegno e ricerca per la scoperta di qualcosa che possa
far bene all’umanità.
Tornando alle nostre stagioni, autunnale e invernale, possiamo
riconoscere l’opportunità che ci offrono di un tempo più lento, di ritmi
dettati da esigenze di maggior riposo, di quiete senza il timore di essere
depressi e di silenzio. Il prof. Burgos, in un recente Seminario tenuto a
Treviso per il GITIM, afferma che il silenzio non è assenza di rumori o di
parole, il silenzio è una piena presenza, immediata apertura a tutti i
“possibili”, non è vuoto che spaventa e da cui scappare, è una pienezza
ricca di ogni futura creazione. Silenzio nel suo significato di silere,
rimanere silenziosi, di tranquillità ottenuta. Silenzio della natura, della
notte, del mare calmo, dei venti leggeri. Il Sile, fiume trevigiano – il
Silente – che accompagna la vita di questa cittadina piena di corsi
d’acqua e piena d’anima, ci invita con la sua sola presenza al silenzio, al
silere. Il silere che designa la venuta delle cose che ancora non c’erano,
ma che stanno per nascere, come il germoglio che sta per sbocciare o
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l’uovo che sta per schiudersi, tutto in attesa di qualcosa.
Il ruolo del silenzio è fare spazio in se stessi, questo è anche l’invito
delle stagioni fredde e umide: lasciare tutto il posto a un mondo
veramente nuovo. Per riuscire in questo intento abbiamo bisogno di
imparare, di fare esperienza, di scoprire che nel silenzio non c’è vuoto,
ma preludio di quanto può nascere, quindi, di vita nuova. Abbiamo
bisogno di educarci, di lasciare spazio alle immagini che si creano in
questi frangenti, di non temere le immagini dei nostri sogni notturni, di
soggiornare in compagnia di esse e aspettare che rivelino i loro
contenuti. Per scoprire che educarci al silenzio è educarci al sentimento,
alla funzione dell’ascolto e della scoperta del valore delle cose. Nel
silenzio troveremo l’equilibrio di corpo, mente e anima, magari anche la
paura, ma senza avere paura di provarla.
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Il filo conduttore di questo articolo ci accompagnerà, come
nell’intento di quelli precedenti, a ritrovare la “psicologia del benessere”.
Per questo motivo continueremo nel mostrare alcuni dei collegamenti con la
rete della vita di cui facciamo parte. Connessioni che affronteranno sia
alcuni nostri stili di vita, sia il nostro modo di leggere gli avvenimenti
corporei o sociali, che evidenzieranno sia il rapporto uomo-natura, sia la
correlazione tra la nostra partecipazione attiva o passiva a ciò che ci accade.
Tutto ciò per cogliere le relazioni che sottolineeranno non solo l’oggettività
degli eventi, ma anche l’aspetto simbolico o ecologico delle soluzioni
possibili.
La stagione invernale è alle porte e con
l’inverno le malattie e i disturbi tipici del periodo.
La domanda che potremmo farci (o che viene
sollecitata a noi psicosomatisti anche dai nostri
lettori) è: come ci dobbiamo comportare? Meglio
i farmaci, che con la loro molecola (figlia della
ricerca scientifica) sono più incisivi e rapidi o
meglio i trattamenti alternativi che, con i loro
ritmi più naturali e la loro sapienza antica,
possono essere in sintonia con ognuna delle
nostre singole specificità? È necessario
evidenziare come, senza una “appropriata
psicologia” del rapporto con la natura, è inutile chiedere alle erbe di dare ciò
che non possono dare, per non stabilire un’identità assoluta e lineare tra il
farmaco chimico e il rimedio erboristico. Inoltre, la farmacopea classica ci
LA VISIONE
PSICOSOMATICA
ACUISCI LO SGUARDO
E IL NODO DIVENTA RETE
Valter Carniello
La stagione invernale è alle porte e con l’inverno le malattie e i disturbi tipici del periodo. Meglio i farmaci, incisivi e rapidi o i trattamenti alternativi con i loro ritmi più naturali ?
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ha abituati a essere dei fruitori passivi nella relazione farmaco-paziente-
malattia, mentre le medicine alternative partono da un altro presupposto: il
mio corpo è il centro vitale e i suoi ritmi vanno assecondati. Il corpo e la
mente non sono estranei alla natura, ma ne sono parte integrante. È anche in
questo modo che da elementi passivi possiamo diventare protagonisti del
nostro benessere.
DENTRO DI NOI UN’INTELLIGENZA ANTICA
È affascinante il “letargo invernale” che coinvolge la natura e nello
specifico il mondo animale. Recettori cerebrali che avvertono l’avvicinarsi
dell’inverno e attivano i preparativi al lungo sonno dell’organismo.
“Intelligenze cellulari” capaci di entrare in
rapporto con il mistero del corpo, con il suo
essere in “simpatia” con l’universo. A fronte di
una natura che va in letargo, viceversa, noi esseri
umani non rinunciamo alla frenesia, refrattari a
ogni cambio di ritmo. Ecco allora che le malattie
da raffreddamento ci costringono a ridurre la
velocità.
Quante volte abbiamo detto o ci siamo
sentiti dire «Che disastro, mi sono beccato
l’influenza!» come se ci fosse capitata una
tragedia, preoccupandoci, più che della nostra
salute, dell’interrompere l’attività lavorativa e
sospendere la nostra capacità di fare, siamo cioè
angosciati dalla necessità improcrastinabile di
fermarci. Questo scatena la rincorsa alla “cura
miracolosa”, capace di interrompere il virus che
ha avuto l’ardire di frenare le nostre attività. Si
attua perciò una lotta (e non a caso il linguaggio dei media si rifà a un
allarmismo guerrafondaio) contro l’agente patogeno, lotta anche preventiva,
per scoprire poi che comunque il virus può cambiare forma nel corso dei
mesi facendo perdere d’efficacia al farmaco proposto. A nulla vale la
prudenza di una parte dei medici che consigliano di fare attento uso di
antibiotici e affini, perché contro l’iperattivismo del nostro stile di vita c’è
poco da fare, non c’è tempo per ammalarsi.
«Che disastro, mi sono beccato l’influenza!» e si scatena la rincorsa alla “cura miracolosa” … Si attua una lotta contro l’agente patogeno, perché contro l’iperattivismo del nostro stile di vita c’è poco da fare, non c’è tempo per ammalarsi.
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Perfino l’ambito lavorativo alimenta
questo stile di vita con un regolamento che
sancisce il diritto di indennità di malattia: da
parte dell’INPS, a decorrere dal 4° giorno
mentre i primi 3 giorni di “carenza” (se
previsto dal contratto di lavoro) sono a carico
dell’azienda. Inoltre, il legislatore anche
quest’anno sta proponendo un abbassamento
d’età per la gratuità del farmaco antinfluenzale
(50 anni), contrapponendo all’aumento di
spesa previsto per il sistema sanitario, un
guadagno dato dalla mancata perdita di fatturato da parte delle aziende.
Ecco allora ancora una volta come si consolida lo stile del “non c’è più
tempo, neppure per ammalarsi”, e in questo caso non ci si deve ammalare,
pena il mancato rimborso economico dei primi giorni.
Un’ulteriore riflessione a rete ci porta a evidenziare un altro risvolto
importante dello stile di vita convulso di oggigiorno, il fatto che nella
frenesia costante siamo sempre uguali, mentre attorno a noi, in natura, tutto
cambia e le stagioni si alternano con le loro caratteristiche. Riflessioni che,
se non tengono conto della realtà del nostro vivere sociale, appaiono come
osservazioni del filone newage. Noi sappiamo che il periodo autunnale,
dopo le sospirate ferie estive, è il momento della ripresa del lavoro, della
scuola e delle attività post scolastiche come lo sport, i corsi musicali, le
attività hobbistiche per i più grandi etc. Perciò non possiamo prendere alla
lettera il periodo invernale come una stasi totale del nostro agire, ma
dobbiamo considerarlo anche da un punto di vista simbolico e, nel fare ciò,
evidenziamo alcuni punti della nostra riflessione per aprirci a quella
psicologia del rapporto con la natura di cui accennavamo più sopra.
Il PUNTO DI VISTA PSICOSOMATICO
Esiste un legame tra uomo e natura a cui, con il variare delle stagioni,
corrisponde un cambiamento nell’equilibrio psicosomatico degli esseri
viventi. Questo deve essere in relazione con un cambiamento anche dello
stile di vita degli stessi. Perciò, se la natura rallenta, con le piante che
limitano la loro crescita o con le ore di luce che diminuiscono o con gli
animali che vanno in letargo, deve corrispondere anche per l’uomo questa
decelerazione, intesa psicologicamente come “occasione introspettiva”,
Nella frenesia costante siamo sempre uguali, mentre attorno a noi, in natura, tutto cambia e le stagioni si alternano con le loro caratteristiche.
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come recupero della nostra possibilità di essere passivi, come accettazione
della nostra inerzia interiore, come riconquista di una psiche dove possiamo
lasciar fluire l’energia della notte/inverno. Rallentamento trasmesso dal
piacere di rintanarci al calduccio della nostra casa (radicato nella nostra
biologia) e nel recuperare la relazione psicocorporea con il riposo, il calore,
la chiusura, il buio (ed è anche questo che volenti o nolenti le malattie
dell’inverno ci fanno fare). L’appartarsi nella propria tana per godersi il
“calduccio familiare” ci permette di riappropriarci di quelle immagini
originarie che si dipanano dal nostro “centro psicosomatico”.
Ecco allora che le soluzioni a una delle più comuni malattie da
raffreddamento, “il raffreddore”, che si possono trovare nelle riviste, dalle
specialistiche a quelle di moda, acquistano, pur nella loro semplicità, un
valore e un senso diverso. Un esempio per tutti può essere la formula della
nonna che indica: latte caldo e miele e via sotto le coperte, il tutto associato
alle tenere cure di una figura familiare. Ritrovare gli elementi della rete
della vita evidenziati più sopra, aspetti non solo biologici, ma che ci
permettono di intravvedere come questi rimedi agiscono non solo
psicologicamente, ma anche sul nostro sistema immunitario.
Una prima riflessione psicosomatica ci riavvicina a quel materno,
(alludendo al latte caldo) fatto di coccole e accudimento, che il bimbo
immediatamente metabolizza come un rimedio miracoloso, a fronte di
qualche adulto psicologizzato che potrebbe associarlo a mera regressione
infantile e perciò fuggirlo.
La copertina dentro cui avvolgerci ci indica un bisogno di aumentare
le ore di sonno e anche le ricerche scientifiche evidenziano come durante la
notte aumenta il livello della melatonina, importante fattore antistress e
stimolo delle difese immunitarie. Quindi, maggiori difese immunitarie
migliori barriere contro virus e batteri.
Il miele, che non è solo un dolcificante, con il suo potere lenitivo e
disinfettante è estremamente ricco di antiossidanti (tra cui la vitamina C e i
flavonoidi, quello più scuro tende ad averne di più) e può avere un ruolo
nella lotta contro qualsiasi infezione generata dal raffreddore. Inoltre, è
denso e dolce e stimola quindi la salivazione, assottiglia il muco e lubrifica
le vie respiratorie superiori. Dopo queste brevi considerazioni sullo stile di
vita e sull’ecosistema in cui viviamo, allarghiamo ora la riflessione
all’interpretazione psicosomatica, osservando come il raffreddore sia una
malattia infettiva, di solito comune, che coinvolge il naso e la gola, ossia le
prime vie respiratorie. I virus, giunti nella mucosa nasale, esercitano la loro
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azione patogena solo se trovano un
ambiente favorevole, perciò la tendenza ad
ammalarsi dipende dallo stato fisico
dell’individuo in quel momento, dal ridotto
potere difensivo (affaticamento fisico, stato
di convalescenza), da fattori locali
(deviazione del setto nasale, ostruzione
nasale), da fattori legati all’ambiente di vita
o di lavoro (gas, polveri, vapori irritanti) e
anche da fattori farmacologici (abuso di
gocce nasali). Il raffreddore si presenta
con un primo stadio irritativo che può
durare da poche ore a uno o due giorni, caratterizzato da secchezza, bruciore
e starnuti e poi si passa a uno stadio secretivo (muco o catarro) che può
durare fino a una settimana. Ulteriori sintomi possono essere: congestione
nasale, mal di gola, tosse, mal di testa, lacrimazione oculare, perdita
temporanea dell’olfatto e del gusto, sensazione di stanchezza. In sintesi è
una rinofaringite acuta infettiva virale causata solitamente da Rhinovirus.
Tecnicamente, sul piano psicodinamico, si potrebbe ascrivere il
raffreddore comune a un aspetto depressivo transitorio, che in mancanza di
una verbalizzazione “efficace” viene somatizzato nel corpo. Quindi più il
tratto depressivo è fortemente coinvolto più noi potremo avere una sequela
di sintomi che rispecchiano la profondità di tali implicazioni, sintomi che
coinvolgono il naso piuttosto che il naso e la gola, piuttosto che il naso, la
gola e le corde vocali. Si tratta perciò di intensità proporzionali, sul piano
delle valenze emotive, che il soggetto trattiene (e non esprime
efficacemente). I sintomi del raffreddore, infatti, sembrano evidenziare
un’analogia con i sintomi depressivi: la congestione nasale, il muco e la
lacrimazione si riferiscono al pianto bloccato (quando si piange lacrimano
gli occhi e questa sollecitazione delle ghiandole lacrimali stimola anche le
mucose nasali); la diminuzione o la perdita dell’olfatto e del gusto e le
sensazione di stanchezza sono sintomi spesso presenti nella depressione (la
persona che ne è affetta perde la capacità di provare piacere e vi è un ritiro
dalle attività quotidiane). Gli starnuti e la tosse, invece, sottolineano il
tentativo di espellere contenuti vissuti come disturbanti l’equilibrio
psicofisico.
Alla radice di questi fenomeni si evidenzia una regressione a quei
momenti dell’esistenza in cui figure di riferimento (come la madre) si
Sul piano psicodinamico il raffreddore comune potrebbe essere un aspetto depressivo transitorio che in mancanza di una verbalizzazione “efficace” viene somatizzato nel corpo.
BIBLIOGRAFIA D. Frigoli, G. Cavallari, D. Ottolenghi, La psicosomatica. Il significato e il senso della
malattia, Xenia Edizioni, 2000.
R. Dahlke, Malattia come simbolo, Edizioni Mediterranee, 2000.
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La vita al giorno d’oggi non è semplice, offre molte possibilità, mobilita ciascuno nell’attivarsi e, nonostante le enormi difficoltà che la crisi attuale determina, induce a impegnare il tempo a disposizione in mille occupazioni e le tante cose da fare. Sia i bambini sia gli adolescenti sono costantemente proiettati a impegnarsi in qualcosa e le proposte non seguono grandi variazioni, sperduti tra scuola, sport e telefonino. Una vita condotta secondo questi ritmi dà un’apparente percezione di consistenza e di esistenza, ma non facilita il riconoscimento di sé e l’accoglimento e la risoluzione dei momenti “critici” disseminati lungo il percorso. Sempre più spesso accolgo nel mio studio persone giovani che sono dilaniate dalla tensione, dalle preoccupazioni, dall’ansia, sintomi che oggi frequentemente si strutturano poi negli attacchi di panico, paralizzanti e spaventosi e che inducono a chiedere aiuto sia farmacologico sia psicologico. Come se questi sintomi in qualche modo fossero l’espressione di disagi personali, ma anche di un male di vivere, un’incapacità di far fronte al quotidiano con le proprie risorse. Valentina entra nel mio studio un po’ intimidita e un po’ di fretta. Al telefono mi aveva spiegato le sue necessità e i suoi timori. Ha bisogno di liberarsi dalla tensione costante, dal respiro affannoso, da una tachicardia preoccupante, dalla sensazione di non farcela e dalla paura, una paura folle e persistente, di non poter mai più essere calma, concentrata e di vivere la sua vita. Mentre davanti a me, seduta in punta di poltrona, cerca di raccontarmi della sua ansia, come sta e come affronta le sue giornate, il suo respiro è superficiale, si muove solo la parte alta del torace, le parole escono a scatti, la gamba non sta ferma un attimo, i pensieri si affastellano
LE VERITÀ DEL CORPO
LA VITA IN GIOCO
Anna Villa
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nella sua mente rendendole difficile scegliere quali di essi mettere per primi in parola. In questa descrizione possiamo cogliere il grande disagio di questa giovane donna di trentacinque anni, disagio che in qualche occasione e davanti a qualche particolare evento abbiamo sicuramente riconosciuto come ansia, provato anche noi e per questo siamo capaci di comprendere o di intuire il suo malessere. L’unica differenza tra una comune reazione a un momento particolarmente difficile e la condizione vissuta da Valentina è data dallo stabilizzarsi del vissuto, dal suo comparire in molti momenti della giornata, fino alla possibilità di strutturarsi in uno stato d’animo ansioso permanente. Valentina parla, racconta di sé, della sua vita, del suo lavoro in ufficio che non la soddisfa, della vita familiare difficile in questo momento per problemi di salute del padre, dei fratelli che ormai vivono fuori casa e di lei che si sente incapace di essere felice e soddisfatta di sé. Dalle amiche cerca conforto, dalla madre ha sostegno e cura, perché non riesce a farsi andar bene la vita che, in confronto a quella degli altri, è buona e non le manca niente? Questi in genere gli interrogativi di chi soffre di ansia e di tensione, di attacchi di panico. Il professor G. O. Gabbard introduce il capitolo sui Disturbi d’ansia3 con questa frase di Giulio Cesare: “Di regola, ciò che non si vede disturba la mente degli uomini assai più profondamente di ciò che essi vedono”, fornendoci già una chiave per la comprensione di questa scomoda e preoccupante tensione. Infatti, Gabbard dice che “In molti casi, i pazienti che presentano ansia non hanno alcuna idea riguardo a ciò che li rende ansiosi”4 e, quindi, compito del soggetto e di chi se ne prende cura è di comprendere quali siano i motivi che sottostanno a tale segnale. Nel susseguirsi degli incontri Valentina, prendendo confidenza con il setting terapeutico e con il nostro modo analitico di procedere, comincia a rivelare aspetti di sé più intimi. Dice di avere poca autostima, di avere scoperto un forte bisogno di trovare un riferimento nella madre, in un’amica, in figure di donne che incontra al lavoro e che apprezza, generalmente più grandi di lei. Da sola fa fatica a prendere delle decisioni. In concomitanza di scelte che spettano a lei aumenta la sua ansia e quando le crisi si fanno più forti e la paralizzano deve assolutamente parlare con 3 G. O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992, p. 235.
4 Ibidem, p. 236.
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qualcuno e, se non c’è la madre, telefona alle amiche per essere ascoltata e perché le suggeriscano la scelta migliore. Spesso l’ansia si ripercuote in tutto il corpo provocandole mal di stomaco, coliche intestinali, insonnia e agitazione diffusa amplificando il suo malessere e rendendo difficile la gestione della sua vita lavorativa. “L’ansia, come la maggior parte dei sintomi, è spesso multideterminata da tematiche derivanti da una varietà di livelli evolutivi”5 e queste vanno conosciute e comprese nel percorso terapeutico approfondendo gradatamente i passaggi di vita salienti e soprattutto i vissuti emotivi che li hanno accompagnati. Conoscendo e aiutando Valentina a trovare i tratti salienti della sua storia, individuati gli eventi significativi della sua vita, abbiamo potuto insieme comprendere che su di lei hanno influito molto l’essere primogenita di 4 fratelli e la nascita del secondo fratello quando lei aveva due anni, ancora troppo piccola per comprendere che la madre doveva ridurre le attenzioni a lei per darle al fratellino. Quindi, i grandi pianti e il suo rifiuto di andare alla scuola materna per poter stare a casa con la madre, una sorella che si ammala gravemente quando lei ha 8 anni e richiede svariati ricoveri, la madre molto meno presente alle sue esigenze per seguire i fratelli e il padre occupato con un lavoro fuori casa per dei giorni, perciò non sempre disponibile per lei. Ciò che colpisce è che la madre, quando c’è per Valentina, tende a sostituirsi a lei in qualsiasi situazione, sbrogliandole e risolvendole qualsiasi problema e lasciandola sguarnita di forze, prove, esperienze, frustrazioni e vittorie che le diano la percezione di sé e delle proprie risorse. La figlia non impara a sperimentare se stessa nelle piccole azioni, nella lotta per avere quello che desidera, nel correre dei rischi e attivarsi per fare nuove esperienze. Tutto
5 Ibidem, p. 237.
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ciò emerge come difficoltà in adolescenza, quando Valentina si ritrova ad affrontare, molto insicura, i coetanei e le scelte tipiche dell’età nella frequentazione dei ragazzi e nello studio. Quando ormai giovane incontra l’amore, ne è felice, ed è il suo ragazzo che diventa il suo punto di riferimento, ma nel momento in cui egli le chiede di fare famiglia e di sposarsi, lei non accetta e riconosce in analisi che il suo rifiuto, inspiegabile per tutti, era dovuto all’impossibilità per lei di lasciare la madre. Nella vita di una giovane ragazza che incontra un giovane uomo e si innamora si profila una prova determinante: fare esperienza di essere una donna capace di impostare una vita propria e originale, che non ricalchi necessariamente le regole materne, che rinunci alla garanzia di essere sempre rassicurata e tutelata dalla madre e che riesca a reggere eventuali critiche e perplessità sulle proprie scelte. Una ragazza che corre dei rischi e che decida di accompagnarsi a un uomo in un rapporto alla pari invece che rimanere nel rapporto figliale con i genitori. Il tema di Valentina è proprio la sua difficoltà a separare se stessa dalla madre e da tutte le persone significative per lei, incapace di fare delle scelte e reggerne le conseguenze, non abbastanza in grado di contare su di sé, di essere “sola” con se stessa, per affrontare le prove della vita con sufficiente sicurezza. Potremmo dire che Valentina era arrivata ai 35 anni senza avere un costante rapporto diretto con le radici di sé, con i propri bisogni, desideri, progetti, non aveva maturato una buona consapevolezza di sé: la sua identità. L’identità non è solo un insieme di caratteristiche personali ma, lungo il percorso di crescita, diventa la struttura portante attorno a cui una persona si costruisce e fonda la percezione di sé. Per Valentina quest’esperienza non era stata possibile se non per frammenti e di fronte alle prove della sua esistenza si è ritrovata in più occasioni a sentire il vuoto dentro, a non avere la percezione del suo corpo, delle sue emozioni, dei suoi desideri, della forza interiore che poteva guidarla nella vita. Sappiamo che se non viene da dentro, questa forza sarà attinta altrove, al di fuori di sé. Molto facilmente si potrà diventare prede della manipolazione e seduzione di persone senza scrupolo o mantenere un costante bisogno di dipendenza. In molte persone, come Valentina, spesso c’è una sorta di intuizione, una insoddisfazione profonda che agisce e blocca ogni tentativo di repressione e negazione del problema. I sintomi possono diventare dei segnali preziosi per comprendere che così non si può continuare a vivere, che ci sono altre necessità che vanno considerate, delle domande cui rispondere. Tutto ciò offre, anche se nel
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malessere, l’occasione per diventare consapevoli del mondo nascosto, velato, che ciascuno custodisce dentro di sé. Per Valentina è stato possibile giungere a questa consapevolezza tramite il lavoro lento, a volte faticoso, di mettere insieme la sua storia passata e presente. Ma ancora non era sufficiente, la fase successiva è stata di impedirle di trovare nella terapeuta un’altra figura che si sostituisse a lei. La scelta è stata di invitarla in ogni seduta ad ascoltarsi, a sentire ciò che dentro di lei provava, a farle notare in quante occasioni la sua “donna autentica” si era fatta sentire, a permetterle di riconoscersi nei suoi gusti, pensieri, desideri. Inizialmente tutto ciò le procurava fatica e lacrime poi dentro di lei si è fatto posto il suo mondo, cominciava a riconoscere la propria interiorità. Tra i livelli di ansia che Gabbard prende in considerazione, quello di Valentina può essere riconosciuto nel “timore di perdere l’amore o l’approvazione di un altro significativo (all’origine un genitore)”6. Per lei era angosciante pensare di essere sola, senza l’adulto di riferimento, e di dover affrontare la vita. Tutto ciò però era solo un intoppo nel suo percorso di crescita e di maturazione. Quando questa donna cominciò a sentire che in sé trovava sensazioni, pensieri, desideri, bisogni e si occupò di riorganizzarli, comprendendoli, quando si accorse che lei “sapeva” cosa le piaceva e cosa non le si confaceva, allora trovò in sé un’alleata, quel riferimento sempre presente per poter agire le sue scelte, esprimere le sue opinioni, confrontarle coraggiosamente con gli altri. Seppe contestare la madre e a sentire il suo legame affettivo con lei, affermare le sue posizioni, fare scelte difficili, incontrare e riconoscere l’amore per un uomo, lasciare quindi la madre e attivare il suo progetto insieme al compagno con cui adesso vive. Quali considerazioni possiamo fare a commento di quanto fin qui raccontato? Se l’ansia si manifesta come indicatore di tensione e preoccupazione di fronte a un evento incombente, un incontro, un esame, un colloquio di lavoro, questa si pone come segnalatore del valore dell’evento stesso per noi e la sua presenza ci permette di avere più consapevolezza e più lucidità per far fronte alla prova; una volta sostenuta, l’ansia poi si riduce e lascia il posto all’esito dell’evento. Ma se l’ansia diventa diffusa, impedisce la serenità, toglie ogni rapporto con il proprio mondo interiore e si sintonizza solo sui pensieri, così diventa un segnale di disagi
6 ibidem, p. 237.
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più profondi e richiede di essere affrontata seriamente. La vita di oggi accentua la reazione ansiosa per le mille incombenze che il quotidiano richiede, ma la scarsa qualità del vivere si presta facilmente a collocarci su un livello superficiale di vita, senza spessore e senza conoscenza, se non si recuperano le forze del profondo, anche quelle oscure, le forze che sono il traino dell’energia vitale personale e poi collettiva. Tutto ciò ci presenta il compito arduo di non accontentarci e di cercare, sondare, comprendere i nostri e altrui segnali di disagio. Abbiamo bisogno di entrare in sintonia con le forze profonde di vita, in esse albergano le spinte a evolvere, a trovare nell’aderire a esse il senso di un’esistenza che chiede di essere vissuta appieno. È il presente che ci vuole vivi, l’ansia vive del passato o del futuro, è nel presente che troviamo motivo di apertura, libertà e scoperta.
[email protected] BIBLIOGRAFIA G. O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992.
D. Frigoli, Fondamenti di psicoterapia ecobiopsicologica, Armando Editore, Roma, 2007.
R. Dahlke, Malattia come simbolo, Mediterranee, Roma, 2005.
C. Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, Milano, 1994.
J. Viorst, Distacchi, Frassinelli, Milano, 1987.
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Via Treviso, 22 31057 Silea (TV) tel e fax 0422 360240 E_mail [email protected]
I nostri servizi:
Misurazione pressione
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Consulenza medicina naturale e di omeopatia
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Zona riservata per allattamento e peso del bambino
Spazio dedicato per inalazioni acqua di Tabiano
Servizio qualificato tecnico-ortopedico (convenzioni INAIL e ULSS)
“IN UN MONDO MIGLIORE” di SUSANNE BIER presso il Cinema Edera Piazza Martiri Belfiore 2 – Treviso; Costo ingresso: € 6,00
MERCOLEDÌ 07, 14 MARZO DUE LABORATORI DI ESPERIENZE PSICOCORPOREE:
“DALLA LUCE ALL’OMBRA DALL’OMBRA ALLA LUCE” Conducono: Dott.ssa LAURA ZANARDO e Dott.ssa ANNA VILLA
MERCOLEDÌ 21 MARZO LABORATORIO CREATIVO FOTOGRAFICO:
“DALLA LUCE ALL’OMBRA DALL’OMBRA ALLA LUCE”
Conduce: FRANCESCA DELLA TOFFOLA Fotografa
www.francescadellatoffola.it
Orario 20.30 – 23.00 presso la palestra della scuola elementare di S. Elena di Silea (TV); Costo: € 15,00 a serata + € 15,00 (Tessera Associativa)
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L’Associazione Culturale Demetra opera nel territorio trevigiano dal 1998.
Le sue proposte mirano a sensibilizzare, formare e informare quanti manifestino interesse nella ricerca personale, individuale e sociale in ordine all’integrazione corpo-mente secondo una visione olistica della persona inserita in un suo contesto ambientale, in relazione con il mondo esterno circostante. L’Associazione ritiene che l’integrazione corpo-mente possa rispondere alla necessità esistenziale di benessere e di unità personale di cui ogni essere umano ha diritto e che questa si raggiunga attraverso la graduale acquisizione di consapevolezza, la maturazione della Coscienza. Negli anni sono state attivate esperienze corporee come Psicomotricità, Danze Rituali, Yoga, Teatro-Danza, Bioenergetica, Psicodramma Corporeo, e sono stati proposti Seminari di approfondimento e Convegni divulgativi su tematiche Psicosomatiche e Psicologiche di interesse generale e specifico per favorire la riflessione e una maggior conoscenza delle più recenti acquisizioni scientifiche inerenti a queste materie. Il Direttivo dell’Associazione è formato da Anna Villa e Laura Zanardo, psicologhe-psicoterapeute e da Enrico Marignani, avvocato. Le attività dell’Associazione sono sempre seguite con interesse; i suoi soci raggiungono il numero di 450 e nel corso degli anni la partecipazione, soprattutto ai Convegni, ha visto mobilitarsi tutto il territorio del Triveneto. Fin dall’inizio Demetra collabora con l’ANEB, Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia che ha sede a Milano.
www.convegnodemetra.it
IL LABIRINTO nasce nel 1997 a Sacile (PN) con lo scopo di diffondere
la cultura e la ricerca nell’ambito della medicina psicosomatica. Le attività
didattico culturali dell’Associazione toccano punti fondamentali come: i disturbi psicosomatici, l'identità, la personalità, l'incidenza del mondo degli affetti sulla
salute psicofisica. Per affrontare nella loro globalità la salute e la malattia, è conveniente
ampliare la prospettiva d’intervento, cogliendo l'importanza dell'integrazione di
tutte le parti della persona: psichica, corporea, relazionale ecc. Un'altra caratteristica peculiare dell’Associazione è lo studio e l'utilizzo
di tecniche a mediazione corporea e l'ipnosi clinica. Nel corso degli anni si sono organizzati numerosi corsi di formazione in tecniche ipnotiche rivolte a medici e
psicologi, anche in collaborazione con l’Istituto di Ipnosi Clinica Bernheim di Verona.
L’Associazione Il Labirinto ha sede a: Sacile (PN) in via Meneghini, 3