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Delli Zotti 1995 Vicinanze e distanze in una regione di frontiera

Mar 27, 2023

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Antonio Russo
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SOMMARIO

AL DI LÀ DEI NUOVI MURI. L'EUROPA COLLABORATIVA

CHE VIENE DALLE CITTÀ DI CONFINE

a cura di Alberto Gasparini e Moreno Zago Editoriale, di Alberto Gasparini 7

Le città di confine europee. I modelli e le collaborazioni

Le città di confine europee: caratteri culturali e socio-economici, "città comuni", relazioni internazionali, di Alberto Gasparini 9

Tavola rotonda: "La concretezza del ruolo europeo delle città di confine". Alle domande di Futuribili rispondono i sindaci delle città di confine di: Budel (Olanda), Chernitvtsi (Ucraina), Encs (Ungheria), Gorizia (Italia), Hulst (Olanda), Komárom (Un-gheria), Maastricht (Olanda), Mulhouse (Francia), Nova Gorica (Slovenia), Strasburgo (Francia), Trebon (Repubblica Ceca), Trieste (Italia). 57 La Carta di Gorizia (1994) per il riconoscimento alle città di confine europee di uno status particolare 87 Il futuro delle città gemelle di Gorizia-Nova Gorica: un esempio di simulazione giocata, a cura dell'Isig-Stratema 89

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Differenti modi di essere città di confine La cooperazione transconfinaria tra le città europee lungo il con-fine Est-Ovest, di Moreno Zago 111 L'impatto dei confini nella Mitteleuropa. Riflessioni e sintesi tratte da un recente studio comparativo, di Josef Langer 131 Komárom-Komárno: un esempio di città tagliata dal confine, di István Pasztor e Gyula Krajczár 142 Le nuove realtà socio-politiche ed etniche del confine bielorusso, di Vladimir Kokljuchin 153 I processi di ruralizzazione nelle città di confine polacche, di Andrzej Sadowski 170 Vicinanze e distanze in una regione di frontiera, di Giovanni Delli Zotti 184 I confini del mare negli accordi transfrontalieri mediterranei, di Alberto Merler 212 Il regionalismo transfrontaliero dal pragmatismo dal basso alla strumentalizzazione politica. Il caso della Regione europea del Tirolo, di Bruno Luverà 218 Esiste oggi un'identità etnica Sud-tirolese di tipo non etnico?, di Luca Fazzi 236 Una città doppia. Percezione della città e appartenenza linguistica a Bolzano-Bozen, di Francesca Gloria 248

Dal particolare al generale. Dall'europeo al mondiale Il ruolo delle città di confine nelle relazioni internazionali, di Chadwick F. Alger 274 Città e confini, di Riccardo Scartezzini e Piero Zanini 288

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A che servono le frontiere?, di Franco La Cecla 298 Il ruolo delle città di confine nella formazione della nuova Europa, di Tadeusz Poplawski 307 Coabitazione e multiculturalismo nelle aree di confine, di Marino Predonzani 313 Cambiamenti nelle relazioni tra le città europee. Potenziali di livellamento delle gerarchie tra le città, di Marjan Hocevar 319

Le rubriche e le informazioni Il Forum delle città di confine europee 329 Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo (Isprom) 338 Isonzo-Soca: giornale di frontiera 341

English summaries 343

Gli autori 351

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VICINANZE E DISTANZE IN UNA REGIONE DI FRONTIERA

di Giovanni Delli Zotti

Abstract: Utilizzando i dati di una ricerca dell'Isig su: "Il peso delle etnie nella progettazione dell'integrazione nella Nuova Europa", l'autore vuole verificare l'indagine svolta vent'anni prima da Boileau e Sussi sulla natura dei rapporti esistenti tra le diverse componenti etniche e culturali dell'area confinaria del Friuli-Venezia Giulia. Allora, si rilevò che le differenze etniche non costituivano elemento di conflittualità. In questi vent'anni, la regione è stata investita da un flusso di immigrazioni e nella fascia confinaria esiste una consistente presenza di lavoratori transfrontalieri. Per misurare quanto i tre gruppi studiati (italiano, friulano e sloveno) si accettino/rifiutino reciprocamente o accettino/rifiutino altri gruppi meno presenti nella realtà regionale, si è proposta una batteria di domande riguardanti ventotto nazionalità o etnie utilizzando la scala di "distanza sociale". Ne emerge che i gruppi etnici rivelano atteggiamenti interni più diversificati, in ordine a variabili di sesso, età, professione, istruzione, ideologia politica, relativamente alla problematica dei rapporti inter-etnici.

* * * * * 1. Una complessa situazione etno-culturale

La situazione etno-culturale del Friuli-Venezia Giulia è piuttosto com-

plessa e per questo motivo la regione costituisce un ideale case study per una verifica dello stato dei rapporti inter-etnici e della potenzialità, o dei pericoli, che possono derivare al processo di integrazione europea dal sem-pre più evidente fenomeno del "revival etnico" (Smith 1984).

Diversi studi hanno messo in luce le numerose componenti etno-culturali presenti nella regione ed alcuni di essi hanno anche cercato di quantificare la loro consistenza. Oltre ai lavori di taglio giornalistico di Salvi (1975 e 1978), deve essere citata almeno la ricerca del Gruppo di studio "Alpina" (1974), che concentra la sua analisi sui gruppi italiano, friulano, sloveno e tedesco.

Molto meno numerosi sono invece gli studi che hanno cercato di ana-lizzare la natura dei rapporti esistenti tra le diverse componenti etniche e culturali. È opportuno citare almeno quello realizzato nel 1973 da Boileau e

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Sussi che, a nostro avviso, si segnala per il particolare impegno e comple-tezza con cui gli autori sono riusciti a delineare le immagini reciproche (compresi eventuali stereotipi e pregiudizi) ed i rapporti inter-etnici, pren-dendo in considerazione i gruppi presenti nell'area confinaria orientale della regione (1).

I risultati di quello studio sono stati riassunti in maniera efficace nella presentazione del volume Dominanza e minoranze, da Demarchi, il quale afferma che nella regione, pur in presenza di una "latenza conflittuale" tra le due componenti italiana e slovena e di aperti "conflitti settoriali", si è sempre cercato di «circostanziarli e risolverli evitando degenerazioni socio-patologiche gravi» (1981: 9-10).

«Se l'etnicità sempre più avvertita non trascende in conflittualità mor-bosa dipende dal fatto che il pregiudizio etnico non diventa stigmatizzazione etica (...). In secondo luogo lo stereotipo degli appartenenti al proprio gruppo o ai gruppi diversi, pur presentando tendenze preferenziali, non trascende in enfatizzazioni positive o negative reali (...). In terzo luogo, l'immagine degli altri gruppi non raggiunge connotati di simmetrica con-trapposizione che può portare allo scontro frontale (...)» (ibidem: 10).

La situazione però, rispetto a quella "fotografata" nel lavoro di Boileau e Sussi, è notevolmente mutata, in un periodo di tempo tutto sommato non molto ampio, e perciò si è ritenuto potesse essere interessante sottoporla ad una nuova verifica empirica. I principali mutamenti sono dovuti a fenomeni di immigrazione simili a quelli verificatisi nel resto dell'Italia, cui si aggiunge la specifica posizione confinaria della regione, che ha portato all'inserimento di quote di immigrati provenienti dall'Est-europeo maggiori che da altre parti.

La migrazione dai paesi dell'Est-europeo non si è finora verificata in dimensioni "bibliche", ma è pur vero che il Friuli-Venezia Giulia ha subito più di altre regioni italiane l'impatto dei profughi dai paesi sorti dalla dis-soluzione della Jugoslavia. Inoltre, in una regione di confine, più che altro-ve, è avvertibile un'attenzione particolare per ciò che, più volte annunciato, si può temere che prima o poi possa accadere.

Riassumendo, si può parlare dunque di una complessa situazione etno-culturale autoctona, cui si aggiungono le recenti immigrazioni da due diret-trici principali (l'area del Magreb e i paesi dell'Est) e, inoltre, le immi-grazioni potenziali, più o meno temute. In aggiunta, andrebbe anche ricor-dato che esiste una consistente presenza di lavoratori transfrontalieri, in particolare nella fascia confinaria orientale (Censis 1991).

1. Per una rassegna degli studi condotti dall'Istituto di sociologia internazionale di Gorizia (Isig) su problemi etnici, prevalentemente con riferimento all'àmbito della regione Friuli-Venezia Giulia, si veda Sussi e Meyr (1993).

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2. Un'indagine empirica sul ruolo delle etnie L'occasione per una verifica dell'indagine realizzata da Boileau e Sussi è

costituita da una rilevazione effettuata nel 1993 (e dunque a venti anni di distanza) che si proponeva in generale di indagare "Il peso delle etnie nella progettazione dell'integrazione nella Nuova Europa" (2).

La ricerca è stata realizzata utilizzando un questionario strutturato con domande concernenti, oltre ai consueti aspetti socio-demografici, i valori e gli atteggiamenti politico-sociali degli intervistati. Una parte era dedicata ai valori di fondo, alla fiducia nelle istituzioni, alla distanza percepita con i diversi gruppi etnici e popoli d'Europa e del Mondo. Una parte più specifica era rivolta all'analisi degli atteggiamenti verso l'etnia, delle diverse concezioni di Europa e del ruolo che potrebbero/dovrebbero assumere le etnie nel processo di costruzione dell'Europa Unita.

Una delle finalità specifiche della ricerca consisteva nella verifica dell'ipotesi che la diversa appartenenza etnica potesse indurre atteggiamenti diversi rispetto alle tematiche oggetto dell'indagine. Il primo problema affrontato è stato dunque quello dell'individuazione dei gruppi etnici che avrebbero costituito l'oggetto della rilevazione. Tra i gruppi presenti nella regione Friuli-Venezia Giulia si è deciso di intervistare italiani, friulani e sloveni. Ciò per concentrare l'attenzione su quelli numericamente più consistenti.

La decisione di intervistare un uguale numero di appartenenti a ciascun gruppo, e di rinunciare quindi ad un campionamento casuale rappresentativo dell'intera popolazione regionale, dipende dal fatto che la componente slovena è pari (secondo le diverse stime) a circa il 3-5% della popolazione della regione. Un campionamento casuale avrebbe portato ad intervistare non più, nell'ipotesi "alta", di una trentina di sloveni: troppo pochi per co-stituire un campione rappresentativo di questo gruppo etnico. Inoltre, si è rinunciato ad un campionamento casuale all'interno dei tre gruppi selezio-nati perché non esiste una "urna" dalla quale estrarre gli sloveni o i friulani.

Si è dunque scelto di effettuare un campionamento per quote (fissate in base a dati censuari), indicando agli intervistatori il numero di persone da intervistare con determinate caratteristiche di sesso ed età. Gli intervistatori dovevano scegliere gli appartenenti ai diversi gruppi etnici in base alla loro conoscenza a priori (conoscenza diretta o indicazione, ad esempio, da parte di persone intervistate in precedenza). In un certo numero di casi però si è

2. L'indagine è stata finanziata dal Cnr (CN 92.01742.10) e realizzata,

nell'àmbito dell'Isig, da chi scrive con la direzione di Alberto Gasparini e la colla-borazione di Moreno Zago e Luca Bregantini.

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verificata la circostanza che una persona, segnalata come presumibilmente appartenente ad un certo gruppo, abbia poi, alla domanda diretta, indicato un'appartenenza diversa.

La circostanza si è verificata per un numero piuttosto elevato di intervi-stati indicati come friulani, ma che hanno dichiarato di appartenere al gruppo italiano, nonostante questa dichiarazione entrasse a volte in conflitto con informazioni "oggettive", come quelle relative all'uso della lingua friulana. Si è comunque deciso di rispettare l'indicazione dell'intervistato e di accettare perciò l'auto-identificazione come elemento caratterizzante l'appartenenza al gruppo.

Per interpretare correttamente i dati esposti nel seguito è opportuno fornire sinteticamente alcune ulteriori informazioni riguardanti le caratte-ristiche socio-demografiche degli appartenenti ai tre gruppi.

La ripartizione per classi di età mostra che tra i friulani vi è una sotto-rappresentazione di giovani ed il fatto è facilmente spiegabile: le quote di persone da intervistare erano le stesse per ognuno dei tre gruppi etnici, però, come già rilevato in precedenza, numerose persone, assegnate a priori al gruppo friulano, si sono identificate come italiane. Evidentemente questo fenomeno ha interessato prevalentemente i più giovani, mentre le persone anziane hanno confermato in misura maggiore la loro appartenenza friulana.

Il 15% del campione ha raggiunto solo il livello di scolarizzazione ele-mentare, a cui si aggiunge un 26% che ha completato l'attuale obbligo sco-lastico e un altro 8% che è in possesso di una licenza professionale; il 40% è diplomato e, infine, si riscontra una piuttosto consistente (11%) presenza di laureati. Il campione è perciò più scolarizzato di quello che ci si sarebbe potuti attendere da un campionamento casuale della popolazione. Lo scor-poro delle percentuali evidenzia un livello di istruzione leggermente infe-riore tra i friulani (salgono al 20% gli intervistati in possesso della sola li-cenza elementare), che, come abbiamo visto, possiedono un età media più elevata.

3. Alcuni atteggiamenti di base degli intervistati Alcune domande del questionario riguardanti atteggiamenti verso la po-

litica, la religione, l'Europa, ecc. rivestono un interesse di per sé, ma po-tranno anche essere impiegate per studiarne il ruolo nell'influenzare i livelli di distanza sociale espressi dagli intervistati.

Innanzitutto, al 20% del campione la vita politica non interessa, mentre la grande maggioranza (quasi i due terzi) dichiara un certo interesse, anche se personalmente non ne prende parte. Una partecipazione saltuaria viene dichiarata dal 12%, e sono solo il 5% coloro che affermano di partecipare

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attivamente. Pur senza grosse differenze, si nota una minore partecipazione attiva tra coloro che si sono definiti come italiani.

Se richiesti di collocarsi lungo il consueto continuum politico sinistra-destra, poco meno della metà indica le posizioni di centro. Si nota comun-que una netta prevalenza della sinistra che, tra centro-sinistra e sinistra, raccoglie complessivamente oltre il 40% delle adesioni, mentre sull'altro versante non si arriva al 15%.

L'articolazione per etnia di questo atteggiamento verso la politica si evidenzia proprio in queste code della distribuzione. Solo il 5% degli slo-veni indica posizioni di centro-destra (nessuno indica l'estrema destra), mentre nelle diverse posizioni di sinistra troviamo complessivamente quasi metà degli intervistati appartenenti a questo gruppo. I friulani sono allineati su una posizione intermedia e gli italiani invece indicano più degli altri posizioni di destra (il 5% si riconosce nella posizione di estrema destra). Questo risultato conferma un dato conosciuto a livello di studi elettorali: il gruppo sloveno appoggia più degli altri i partiti della sinistra, mentre tra gli italiani, in particolare di Trieste, vi è una forte componente di destra (3).

Un altro elemento rilevato riguarda l'intensità della fede religiosa. Il 14% afferma di non averne alcuna, il 23% "poca", poco meno della metà "abbastanza", e poco più del 15% "molta". La percentuale di coloro che si professano atei è più elevata tra gli sloveni (19%) e più bassa tra i friulani (14.5%) e gli italiani (11%). Anche questa caratteristica si può ritenere sia collegata all'atteggiamento prevalentemente di sinistra indicato dagli slo-veni.

Si è poi chiesto agli intervistati di esprimere la propria fiducia verso dodici diverse istituzioni politiche ed economiche e, ai fini delle analisi che verranno sviluppate in questa sede, le risposte sono state sintetizzate in un "indice di fiducia" in tre categorie di ampiezza approssimativamente uguale. Visti i livelli di fiducia registrati, le categorie sono state etichettate come "molto bassa", "bassa" e "media". Nella ripartizione per gruppi etnici, si nota un livello di fiducia globalmente inferiore per gli sloveni, ed una leggera divaricazione di opinione per i friulani, che sono meno presenti nella posizione intermedia.

Tra le altre domande del questionario che possono rivelarsi utili alla comprensione dell'atteggiamento di accettazione/rifiuto verso i gruppi etnici e nazionali possiamo qui considerare quella riguardante la frequenza di viaggi in Europa, ad esclusione delle brevi visite oltre i confini della regione per acquisti o visite a parenti. Il 20% degli intervistati non ha mai effettuato viaggi in Europa ed un altro 30% ha affermato di uscire dai confini italiani

3. Si veda, ad esempio, Diamanti e Parisi (1991).

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molto raramente (meno di una volta all'anno). Poco meno del 30%, invece, viaggia in media una volta all'anno e un altro 20% è costituito da globe trotters che effettuano viaggi più di una volta all'anno.

Gli sloveni risultano più mobili della media, ma si può ritenere che ciò sia dovuto in parte al fatto che molti passano periodi anche prolungati in Slovenia per vacanze, visite a parenti, lavoro in appezzamenti agricoli di loro proprietà, ecc. ed hanno perciò tenuto conto anche di questi viaggi, nonostante nel questionario si fosse chiesto di escluderli.

Citiamo, infine, due domande che indicano l'atteggiamento "europeista" degli intervistati. Con la prima si chiedeva quanto l'interessato fosse favo-revole agli sforzi di unificazione dell'Europa occidentale. Sono molto favo-revoli poco più di un terzo degli intervistati e "abbastanza" quasi la metà; più tiepido appare l'atteggiamento degli sloveni, che sono molto favorevoli solo in un quarto dei casi.

L'altra domanda era invece formulata in questi termini: "Ha mai pensato di essere non solo un cittadino del suo paese, ma anche un europeo?" Il 45% afferma di averci pensato "spesso", il 39% "qualche volta" e il 16% "mai". Anche se le differenze non sono molto elevate, gli sloveni pensano più degli altri a se stessi come europei, anche se, come abbiamo appena visto, sono un po' meno propensi ad appoggiare il processo di unificazione europea, così come si sta realizzando: si tratta, in effetti, di cose diverse.

Che gli atteggiamenti verso l'Europa siano correlati positivamente con il grado di accettazione per i diversi gruppi etnici è ipotizzabile e priori ed è stato confermato empiricamente dai dati raccolti. Trattandosi però di un risultato piuttosto scontato, queste due variabili non verranno utilizzate nell'analisi successiva e sono state qui presentate come una prima anticipa-zione del livello di apertura/chiusura dei tre gruppi.

4. La misurazione della distanza sociale Una situazione variegata sul piano etno-culturale può essere vista come

una minaccia, ma anche come una potenzialità e dunque, per misurare quanto i tre gruppi studiati si accettino (o rifiutino) reciprocamente e quanto accettino (o rifiutino) altri gruppi meno presenti (o del tutto assenti) nella realtà regionale, si è proposta una batteria di domande riguardanti ventotto nazionalità o etnie utilizzando la scala di "distanza sociale" (4).

4. La scala è stata proposta originariamente da Bogardus (1925) e, tra le numerose varianti, con quella utilizzata nell'indagine si chiedeva all'intervistato di indicare il proprio grado di accettazione, da un minimo assoluto costituito dalla modalità di risposta "non li vorrei" al massimo costituito dalla "disponibilità ad

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Ci si può attendere che gli atteggiamenti possano essere diversi se riferiti a gruppi la cui presenza è solo potenziale, rispetto al caso in cui i gruppi siano già presenti in regione, in misura più o meno consistente. È necessario poi operare una distinzione tra gruppi "storicamente" presenti, per i quali si può pensare ad un assestamento della situazione, e cioè ad un rico-noscimento ormai acquisito del diritto di cittadinanza e reciproca tolleranza; più critico, invece, può essere il rapporto con i gruppi di recente immigrazione.

La distanza verso i gruppi meno "minacciosi" può essere considerata un termine di confronto, un "livello di fondo" di tolleranza/intolleranza che può servire a "tarare" i giudizi espressi nei confronti degli altri gruppi. Per questo motivo nella scala di distanza sociale si sono inseriti, oltre ad altri popoli dell'Europa occidentale, e cioè appartenenti alla stessa area socio-culturale degli intervistati, gruppi di ogni genere, anche alcuni per i quali non è possibile prevedere una consistente presenza nel prossimo futuro, ma classificabili come "esotici" per lingua, cultura o religione.

Vi sono diverse strategie utilizzabili sul piano tecnico-statistico per con-frontare l'opinione dei tre gruppi "sondati" nei confronti dei ventotto sottoposti a giudizio. Un modo sintetico consiste nell'individuare nella scala di distanza sociale il "gradino" che identifica con chiarezza l'espressione della vera e propria chiusura e contare quanti siano i gruppi che ricevono questo "ostracismo".

Pare ragionevole ritenere che questo "valore soglia" corrisponda al pri-mo gradino della scala (modalità di risposta "non accetta"), perché tutti gli altri sono, in realtà, l'espressione di diversi gradi di accettazione. Un'ac-cettazione che può richiedere il mantenimento di una certa distanza, ma che non preclude la possibilità di un riconoscimento dell'alterità, anche se potenzialmente conflittuale e, del resto, il conflitto è pur sempre uno dei li-velli di mutuo riconoscimento e di associazione tra gli attori sociali (Coser 1967; Simmel 1989).

Se si ammette la presenza di un gruppo nella propria città, non si può escludere che in seguito, rimossi i pregiudizi, non si possa giungere ad una maggiore accettazione, anche se può accadere, al contrario, che la timida apertura, seguita da esperienze negative, porti ad una successiva chiusura ancor più irremovibile.

accogliere nella propria famiglia" un membro del gruppo di volta in volta identificato. Costituiscono i livelli intermedi la crescente accettazione degli appartenenti al gruppo come residenti della propria regione, della propria città, come colleghi di lavoro, vicini di casa o amici. Sul concetto di pregiudizio e la sua misurazione con lo strumento della scala di distanza sociale si veda l'efficace contributo di Boileau (1986).

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Complementare al quadro che può essere fornito dal conteggio dei gruppi rifiutati è quello ricavabile calcolando il numero dei gruppi di cui invece viene accettata la presenza in famiglia. Si tratta di una dato che va valutato con cautela in quanto su di esso non si possono certamente fondare giudizi drastici.

Se si accetta in linea di principio la presenza di un gruppo, non è detto che si debba di conseguenza giungere fino alla massima intimità. Se si "pretende" ciò, si rischia di classificare come "razzisti" comportamenti, at-teggiamenti e opinioni che, invece, non risultano tali se guardati da altri punti di vista (Cotesta 1992: 3). Ad esempio, non pare ragionevole consi-derare razzista colui che dichiara che non accetterebbe come marito della propria figlia uno zingaro, se sappiamo che gli appartenenti a questa etnia dichiarano apertamente la loro insofferenza per alcuni modi di vita stabil-mente consolidati nella nostra cultura ed essi stessi non accettano di buon grado che gli appartenenti alla propria etnia si sposino con coloro che, con qualche venatura di disprezzo, qualificano come gagè (uomini attaccati alla terra), mentre essi stessi si definiscono rom (uomini liberi). Il rifiuto del matrimonio esogamico potrebbe in questo caso essere considerato, spe-cialmente se sono accettati altri livelli di minore "intimità", invece che una manifestazione di razzismo, una consapevole, razionale e rispettosa accet-tazione di una diversa impostazione di vita.

Anche nel caso di diversi altri gruppi un ipotizzabile matrimonio po-trebbe suscitare remore per la consapevolezza delle difficoltà di inserimento nella società della nuova famiglia ed in particolare dei figli, che si troverebbero a dover decidere la propria incerta collocazione tra religioni, lingue e culture diverse.

Infine, se un alto numero di gruppi viene rifiutato da una certa categoria di intervistati, la valutazione di questa informazione può cambiare se, ad esempio, l'alto livello di rifiuti si accoppia all'accettazione per un numero simile di altri gruppi, perché ciò sarebbe indice di selettività, e non di arroccamento nell'in-group. Per questo motivo in alcune tabelle è indicato anche il saldo tra gruppi accettati e rifiutati (5).

5. L'accettazione dei gruppi in generale

Si può perciò effettuare una prima ricognizione generale dei dati raccolti procedendo al semplice conteggio del numero di rifiuti osservando, in primo luogo, che quasi il 40% degli intervistati non ha espresso il suo totale rifiuto

5. Per motivi di spazio l'apprezzamento di questo ultimo elemento conoscitivo viene comunque lasciato alla valutazione del lettore.

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nei confronti di alcuno dei ventotto gruppi proposti (6). Il grado di ac-cettazione potrà poi variare secondo la gamma che abbiamo esposto, ma preclusioni assolute, per questa consistente maggioranza relativa di intervi-stati, non ci sono nei confronti di nessuno. Il 10% si dimostra in generale piuttosto tollerante, ma esprime una posizione di netto rifiuto per almeno uno dei gruppi proposti; un altro 6% si dimostra ostile a due gruppi.

All'estremo opposto troviamo coloro che invece manifestano un'assoluta intolleranza. Tre intervistati rifiutano tutti in blocco: per una sorta di "ci-vetteria" vogliono evidentemente esibire la loro a-socialità rifiutando anche gli stessi appartenenti al proprio gruppo. Altre tre persone sono invece in-dulgenti nei confronti del proprio gruppo, ma rifiutano tutti gli altri, ed un insieme di intervistati appena un po' più numeroso accetta un altro gruppo, oltre al proprio, ma rifiuta gli altri.

Dalla tabella si può notare che gli sloveni, che registrano la più alta percentuale di intervistati che non rifiutano alcun gruppo, sono proporzio-nalmente più presenti anche nella parte alta della distribuzione. O accettano tutti o, se "decidono" di discriminare, accettano molto poco gli altri gruppi e diventano molto selettivi.

Tab. 1 - Numero di gruppi rifiutati ("non li accetterei") per gruppo etnico

di appartenenza

italiani friulani sloveni in complesso ___________________________________________________ nessuno 33.5 35.7 48.4 38.6 1 gruppo 12.6 10.0 7.1 10.3 2 gruppi 8.6 5.7 2.2 5.9 da 3 a 5 12.7 14.3 4.8 10.7 da 6 a 10 12.9 12.0 8.7 11.5 da 11 a 15 7.9 12.2 6.4 8.5 da 16 a 20 6.7 6.3 6.5 6.6 da 21 a 25 2.2 2.8 9.1 4.5 26 gruppi 1.9 0.7 4.4 2.4 27 gruppi 1.1 - - 0.5 tutti i gruppi - - 1.6 0.5 ___________________________________________________ base di riferimento 269 140 182 591 45.5 23.7 30.8 100.0 ___________________________________________________ media 5.3 5.2 6.8 5.7 deviazione standard 7.1 6.5 9.2 7.7

6. Da tutte le tabelle sono esclusi nove casi di intervistati che non hanno risposto

alla domanda sulla distanza sociale.

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La distribuzione può essere sintetizzata per mezzo delle medie e delle deviazioni standard, che ci permettono un comodo confronto degli atteg-giamenti dei tre gruppi sotto osservazione. In generale gli intervistati hanno affermato di rifiutare la presenza di 5.7 gruppi; tale valore è più basso per i friulani (5.2) e per gli italiani (5.3), mentre è più alto per gli sloveni (6.8), che però sono piuttosto divaricati in questo giudizio (registrano la più alta deviazione standard).

Una immagine complementare rispetto a quella descritta si può avere contando il numero di scelte che indicano completa accettazione dei gruppi (li accetterei come membri della mia famiglia). In questo caso troviamo che il 20% degli intervistati non vorrebbe nessuno in famiglia, nemmeno appartenenti al proprio gruppo: si può ritenere che, nella maggior parte dei casi si tratti di persone che non hanno ritenuto la domanda pertinente alla loro situazione familiare. Bisogna tenere conto che, diversamente dal dato commentato in precedenza, questo non può essere interpretato come pre-clusione assoluta, perché non significa che non accetterebbero elementi di altri gruppi come amici, o vicini di casa, ecc. Un altro insieme di poco meno di un quarto di intervistati accetterebbe comunque in famiglia gli appartenenti ad un solo gruppo (presumibilmente il proprio) e un altro quarto circa arriva ad accettare in famiglia al massimo due gruppi tra quelli elencati.

Tab. 2 - Numero di gruppi accettati in famiglia per gruppo etnico di

appartenenza

italiani friulani sloveni in complesso ___________________________________________________ nessuno 20.4 13.6 24.2 20.0 1 gruppo 21.9 22.1 25.3 23.0 2 gruppi 19.0 35.0 20.3 23.2 da 3 a 5 14.1 15.0 10.4 13.3 da 6 a 10 4.5 3.5 4.8 4.3 da 11 a 15 3.4 1.4 1.0 2.2 da 16 a 20 1.5 - 2.1 1.3 da 21 a 25 1.2 1.4 1.5 1.3 26 gruppi 1.5 - - 0.7 27 gruppi 1.9 - 1.1 1.2 tutti i gruppi 10.8 7.9 8.8 9.5 ___________________________________________________ base di riferimento 269 140 182 591 45.5 23.7 30.8 100.0 ___________________________________________________ media 6.3 4.4 5.0 5.5 deviazione standard 9.5 7.6 8.7 8.9

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È però forse più interessante osservare l'altro estremo di questa distri-buzione, dove risulta che il 9.5% degli intervistati rifiuta ogni discrimina-zione, affermando che accoglierebbe come nuovi elementi nella propria famiglia individui di qualsiasi provenienza etnica o nazionale. Si tratta di un insieme piuttosto numeroso di "illuminati universalisti", che è però isolato. Infatti, uno scalino più sotto troviamo solo sette individui che accetterebbero in famiglia appartenenti a tutti i gruppi meno uno e, sotto questi, si osservano presenze sempre più sparute. In realtà, come abbiamo visto, due terzi degli intervistati accetterebbero in famiglia appartenenti a nessuno, uno, o al massimo due gruppi tra quelli elencati.

Mediamente, gli intervistati accetterebbero come membri della propria famiglia appartenenti a solo 5.5 gruppi e dunque, pur non dimostrando, come già visto, preclusioni assolute per molti gruppi, poi non è detto che per questo accettino i massimi livelli di familiarità. In questo caso gli italiani dimostrano i più alti livelli di apertura, con 6.3 gruppi accettati mediamente in famiglia; seguono gli sloveni con 5.0 e i friulani con 4.4.

Sintetizzando ciò che è ricavabile dall'informazione complementare of-ferta dalle due tabelle, si può affermare che sono molto numerosi coloro che non dimostrano preclusioni assolute per gli altri gruppi, o che, al massimo, coltivano una o due "antipatie"; ma da questo ad arrivare a riconoscere piena "cittadinanza" all'interno della propria sfera privata a rappresentanti di etnie a volte molto esotiche o percepite comunque come lontane per cultura, lingua, costumi, religione, ecc..., corre veramente un intero mondo di distinguo e cautele varie.

6. Le distanze verso i singoli gruppi I dati finora commentati si riferivano in maniera indifferenziata ai diversi

gruppi di cui si voleva rilevare il grado di accettazione da parte degli intervistati. È necessario ora esaminarli da vicino per individuare quelli che suscitano negli intervistati maggiori reazioni di repulsione e quelli che invece non presentano problemi di questo genere. In questa sezione valute-remo la situazione complessiva, per poi concentrare la nostra attenzione sulla distanza sociale tra i tre principali gruppi autoctoni.

Nella tabella seguente sono riportate le percentuali (ordinate per cre-scente livello di rifiuto) di coloro che hanno dichiarato di non accettare, nemmeno come semplici abitanti della regione, i diversi gruppi proposti.

Il gruppo maggiormente rifiutato è quello degli zingari (affermano di non accettarli oltre il 50% degli intervistati in generale, con una punta del 58% tra gli italiani e il minimo del 43% tra gli sloveni). Al secondo posto si collocano i serbi, che non sono accettati in generale dal 42%, con una

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percentuale di poco inferiore (39%) espressa dagli sloveni e un po' superiore (46%) dai friulani.

Entrambi questi risultati non destano molta sorpresa. Gli zingari sono presenti in regione, per quanto marginalmente dal punto di vista numerico, e la loro presenza non è ben accetta dai residenti a causa della loro mendicità e del fatto che sono spesso protagonisti di reati contro il patrimonio. Inoltre, viene considerato particolarmente provocatorio il loro rifiuto "ostinato" ad accettare quelle che vengono generalmente considerate regole essenziali del vivere civile: la pulizia, la rinuncia al nomadismo, ecc. Per quanto riguarda i serbi, nocciono certamente alla loro immagine le vicende di cui sono stati protagonisti, in particolare in Bosnia.

Il giudizio però non è tenero nemmeno nei confronti dei croati con una percentuale di rifiuti che arriva al 26%. È interessante osservare che gli sloveni rifiutano in misura minore della media i serbi e, al contrario, in misura superiore i croati. È il caso perciò di ricordare che nel conflitto che ha interessato la ex-Jugoslavia la contesa tra Slovenia e Serbia si è risolta abbastanza rapidamente e non rimangono molti motivi di contenzioso aperti. Nel caso della Croazia invece pesano dispute territoriali e i rapporti non si possono certamente ancora definire di buon vicinato anche per le tensioni causate dall'accusa di "tradimento" della causa comune che la Croazia rivolge alla Slovenia, avendo quest'ultima concordato la pace separata con la Serbia, lasciando la Croazia da sola ad affrontare un così potente avversario.

Gli istriani sono rifiutati dal 17.6% degli intervistati e in particolare dal 25% degli sloveni, che in parte percepiscono forse gli istriani come croati; ma quando rispondono probabilmente pensano anche ai profughi istriani, che sono molto spesso di opposta collocazione politica in quanto, al contra-rio di molti sloveni residenti in Italia, fieri oppositori del regime vigente nella ex-Jugoslavia. Tra gli altri appartenenti a paesi dell'Est, riscontriamo un livello di rifiuto decrescente per albanesi (32%), ucraini (21%), russi e ungheresi (entrambi sul 18%). Per tutti questi gruppi (esclusi gli albanesi), lungi dal constatarsi una qualche forma di solidarietà pan-slava, si nota un maggiore grado di rifiuto da parte degli sloveni.

Se osserviamo il resto dei gruppi italiani vediamo che i meridionali vengono rifiutati dal 20% degli intervistati, percentuale che sale al 25% tra gli sloveni. Gli ebrei invece si attestano sul 17% di rifiuti, e anche in questo caso è più elevata la percentuale tra gli sloveni (22%).

Per tutti gli altri popoli europei inseriti nella domanda, la percentuale di rifiuto non varia molto e si colloca tra il 10 e il 20%. Qualche punta di maggiore rifiuto si registra invece per alcuni dei popoli "esotici": in parti-colare, si può notare un 35% che rifiuta gli arabi e i turchi (che forse ven-

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gono in qualche misura accomunati); sopra al 20% si collocano poi i cinesi, i negri d'America e d'Africa, e gli indiani d'Asia.

Tab. 3 - Percentuale di intervistati che non accetta i gruppi per gruppo di

appartenenza

italiani friulani sloveni in complesso ___________________________________________________

italiani 1.9 0.7 3.8 2.2 friulani 5.2 - 11.0 5.8 austriaci 8.6 5.7 14.8 9.8 francesi 8.9 6.4 14.8 10.2 spagnoli 6.3 6.4 20.9 10.8 scandinavi 7.8 7.1 22.0 12.0 nordamericani 10.4 7.1 20.9 12.9 sloveni 17.8 20.7 2.2 13.7 inglesi 11.9 11.4 20.3 14.4 sudamericani 14.1 12.1 23.1 16.4 ebrei 15.6 14.3 22.0 17.3 tedeschi 15.2 15.7 22.0 17.4 istriani 13.8 15.0 25.3 17.6 russi 16.0 12.9 25.3 18.1 ungheresi 16.7 16.4 22.0 18.3 indiani America 17.5 10.0 28.0 19.0 meridionali 15.6 22.9 25.3 20.3 negri America 18.2 17.1 26.9 20.6 ucraini 19.3 17.1 26.4 21.0 indiani Asia 20.4 19.3 28.0 22.5 negri Africa 20.4 22.9 28.0 23.4 cinesi 24.5 22.1 30.8 25.9 croati 22.7 27.1 30.2 26.1 albanesi 32.3 32.9 30.8 32.0 turchi 35.7 37.1 33.5 35.4 arabi 35.7 36.4 35.2 35.7 serbi 41.6 46.4 39.0 42.0 zingari 58.4 55.0 43.4 53.0 rifiuta nessuno o non risposto 33.5 35.7 48.4 38.6

A parte quelli verso i quali si manifestano dinamiche locali, in virtù

magari della loro marginale presenza sul territorio, tutti i popoli collocati su bassi livelli di accettazione sono più o meno esotici o lontani da noi su una dimensione geografica e/o culturale. Nelle posizioni "alte" troviamo invece i

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popoli europei e gli stessi tre gruppi investigati, con alcune particolarità: i tedeschi, ad esempio, non sono apprezzati in quanto si trovano nelle posizioni mediane della classifica, alla pari con gli indiani d'America, ben distinti dagli austriaci che, pure parlando la stessa lingua ed avendo costumi simili, vengono invece collocati al primo posto, se escludiamo i gruppi che hanno risposto al questionario.

Tab. 4 - Percentuale di intervistati che accetta in famiglia rappresentanti degli altri gruppi per gruppo di appartenenza

italiani friulani sloveni in complesso ___________________________________________________ zingari 12.3 7.9 9.9 10.5 turchi 14.1 9.3 11.5 12.2 arabi 15.2 9.3 11.5 12.7 serbi 14.5 7.9 14.3 12.9 albanesi 16.0 10.0 11.5 13.2 cinesi 16.7 10.7 11.0 13.5 negri Africa 16.7 10.7 13.2 14.2 negri America 16.7 11.4 13.7 14.6 indiani Asia 17.5 10.7 13.2 14.6 croati 16.7 8.6 16.5 14.7 sudamericani 19.3 10.7 12.1 15.1 ebrei 17.8 10.7 14.8 15.2 ungheresi 17.8 10.7 15.4 15.4 ucraini 18.2 10.7 15.4 15.6 indiani America 20.8 10.0 14.3 16.2 russi 19.3 10.7 17.6 16.8 tedeschi 20.1 13.6 16.5 17.4 inglesi 23.8 12.1 15.4 18.4 meridionali 24.9 14.3 15.9 19.6 ppagnoli 25.3 12.9 17.6 20.0 istriani 24.5 12.9 19.2 20.1 scandinavi 24.2 13.6 19.2 20.1 austriaci 24.4 15.7 18.1 20.5 nordamericani 26.0 15.0 16.5 20.5 francesi 26.4 16.4 17.0 21.2 sloveni 22.7 10.7 68.1 33.8 friulani 47.6 82.1 22.0 47.9 italiani 70.6 60.0 48.9 61.4 accetta nessuno in fa- miglia o non risposto 20.4 13.6 24.2 20.0

Ci possiamo poi porre all'altro estremo della scala di distanza sociale per

osservare le quote percentuali di coloro che invece accetterebbero i rap-

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presentanti delle diverse etnie come membri della propria famiglia, dove si nota un fenomeno piuttosto interessante. Se gli intervistati sono piuttosto discriminanti nel decidere a chi rivolgere il proprio ostracismo sociale - e comunque una larga quota non oppone un netto rifiuto ad alcun gruppo -, quando si tratta di accogliere nella propria famiglia un rappresentante esterno, la situazione cambia. In qualche misura il giudizio diventa molto più uniforme: vengono accettati solo pochi gruppi percepiti come sufficien-temente vicini quanto a lingua, valori, costumi e per tutti gli altri, quasi indifferentemente, c'è la chiusura. In pratica, solo i tre gruppi presenti in regione riscuotono livelli rilevanti di accettazione: gli italiani sono accettati in famiglia dal 61% degli intervistati, i friulani dal 48% e gli sloveni, infine, dal 34%.

Quanto al resto dei gruppi citati nel questionario la situazione è descri-vibile piuttosto facilmente. La fascia in cui si collocano le quote di coloro che accetterebbero in famiglia i rappresentanti dell'una o dell'altra naziona-lità è piuttosto stretta: tutte le percentuali cadono tra il 10 e il 21%. Le na-zionalità "occidentali" si collocano più verso l'alto nella fascia, quelle più esotiche più verso il basso, ma le differenze non sono sostanziali. Osser-vando la tabella 4 per colonna possiamo anche notare che gli italiani in ge-nerale sono più aperti, perché per quasi tutte le etnie rivelano percentuali di accettazione in famiglia superiori alla media. Friulani e sloveni sono invece meno inclini ad ammettere "estranei" nell'intimità familiare e i friulani in maniera ancor più accentuata degli sloveni.

7. Le distanze tra i gruppi autoctoni In generale le distanze "interne" (tra i gruppi autoctoni) non sembre-

rebbero essere molto elevate perché, come abbiamo visto, i tre gruppi si trovano ai primi posti come grado di accettazione. Se guardiamo alla tabella 3, che mostra la percentuale di intervistati che rifiuta ognuno dei gruppi, dobbiamo però rilevare che, mentre gli italiani e friulani occupano i primi due posti che corrispondono alle posizioni di minimo rifiuto, gli sloveni occupano solo l'ottavo a livello dell'intero campione. Ma si tratta di una valutazione complessiva che, tenendo conto anche della distanza espressa da una componente verso se stessa, ne migliora la posizione. Mentre la posizione dei friulani e italiani non muta nelle singole valutazioni dei gruppi, gli sloveni scendono di una decina di posizioni nel grado di accet-tazione espresso dalle altre due componenti nei loro confronti.

Si può notare comunque che gli italiani rifiutano i friulani (5.2%) più di quanto i friulani rifiutino gli italiani (0.7); gli sloveni rifiutano gli italiani (3.8) di gran lunga meno di quanto gli italiani rifiutino gli sloveni (17.8); gli

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sloveni, infine, rifiutano i friulani (11.1) molto meno di quanto i friulani rifiutino gli sloveni (20.7) e si tratta comunque di valori che esprimono un atteggiamento di chiusura piuttosto elevato in entrambi i casi. In sintesi, si notano alcune asimmetrie che dimostrano l'esistenza di una, sia pure limitata, tensione tra le componenti interne alla regione. È ben curioso, ad esempio, che mediamente i friulani accettino gli ucraini, i sudamericani, i russi o gli indiani d'America e d'Asia in misura maggiore degli sloveni.

In sintesi, si può affermare che vi è una certa tendenza al rifiuto reci-proco tra friulani e sloveni; questo atteggiamento è invece molto meno intenso nei confronti degli italiani. È possibile avanzare l'ipotesi che lo sloveno, ma anche il friulano, non vedano un "avversario" nell'italiano, che viene vissuto ed accettato come rappresentante della maggioranza domi-nante con la quale i rapporti in fondo sono chiari. La maggioranza deve riconoscere certi diritti alla minoranza e, se questo patto sociale viene ri-spettato, i problemi sono largamente rimossi. Invece, nei confronti di un altro gruppo che si propone come minoranza all'interno dello stesso spazio politico-sociale, si possono sviluppare atteggiamenti di rifiuto, perché sono entrambi concorrenti per il riconoscimento di una condizione di unicità, o almeno particolarità, che viene annacquata se altri si vogliono mettere sullo stesso piano. Il riconoscimento ai friulani del diritto alla tutela come minoranza culturale potrebbe, ad esempio, distrarre l'attenzione della classe politica dalla tutela della minoranza slovena.

L'italiano invece, forte della sua consapevolezza di essere maggioranza, sente meno l'esigenza di erigere barriere, di rinchiudersi nell'in-group: «Più forte è la coscienza etnica di una minoranza, più forte è la sua chiusura per meglio garantirsi la sopravvivenza. Una minoranza che si strutturi come sistema sociale aperto rischia l'assimilazione. Non così è invece per la maggioranza: la sua persistenza è garantita da meccanismi più o meno istituzionalizzati che la minoranza, proprio perché tale, non possiede» (Gubert 1976: 140).

Ciò può spiegare perché gli italiani sono di gran lunga meno chiusi nei confronti degli sloveni, a parte la maggiore vicinanza linguistica e culturale con i friulani. Le rivendicazioni dei friulani si sono in genere collocate proprio sul meno "minaccioso" piano linguistico e culturale (a parte i più recenti fermenti autonomistici condivisi del resto da molti italiani); quelle degli sloveni, invece, hanno sempre riguardato anche i livelli politici ed istituzionali e dunque quei "meccanismi più o meno istituzionalizzati" che dovrebbero salvaguardare la primazia della maggioranza.

Guardando le percentuali che mostrano il grado di accettazione all'in-terno della propria famiglia (cfr. tab. 4), notiamo differenze nelle valutazioni reciproche ancora più rilevanti. Abbiamo visto che gli italiani sono accettati in famiglia dal 60% degli intervistati, ma si passa dal 70% tra gli italiani

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stessi al 60% tra i friulani, a meno del 50% tra gli sloveni. I friulani sono accettati dal 47% degli intervistati, percentuale che sale all'82% tra i friulani stessi, ma scende al 48% tra gli italiani e al 22% tra gli sloveni. Gli sloveni, infine, sono accettati mediamente in famiglia dal 33% degli intervistati e, se la percentuale tra gli sloveni stessi sale al 68%, scende al 23 e 11% rispettivamente tra gli italiani e i friulani.

Da questi dati emerge, ad una superficiale lettura, in maniera ancora più clamorosa lo scarso livello di accettazione reciproca tra i gruppi friulano e sloveno. Se si può considerare bassa in assoluto la percentuale (21%) di sloveni che accetterebbe in famiglia un rappresentante del gruppo friulano, non si può non sottolineare che i friulani sono pur sempre l'altro gruppo più "gradito" in famiglia tra tutti quelli elencati, con la sola eccezione di quello italiano. Non dissimile è la situazione con riferimento alle valutazioni degli italiani e dei friulani nei confronti degli sloveni: una percentuale di accettazione in famiglia non molto elevata, ma in fondo non diversa da quella riservata a molti altri gruppi. Ci si potrebbe forse attendere una situazione migliore, ma non si può certo parlare di un netto rifiuto reciproco, forse solamente di una forma di difesa dell'identità.

Tutto ciò va considerato anche alla luce di un'altra circostanza che è opportuno sottolineare: non si registra, infatti, il massimo di accettazione nemmeno all'interno dello stesso gruppo di appartenenza degli intervistati. Non tutte le quote percentuali mancanti per raggiungere il livello di piena accettazione del proprio gruppo debbono essere interpretate come "aposta-sia etnica" (Gubert 1976: 79-84), ovvero rifiuto del proprio gruppo, perché si può presumere che diversi intervistati non abbiano scelto questo livello di accettazione, ritenendolo non pertinente alla propria situazione familiare, ma poi abbiano accordato ai gruppi l'accettazione a livello di amicizia, vicinanza residenziale, o altro. Ciò è però valido per tutti i gruppi e non spiega dunque le differenze riscontrabili tra di essi.

Quelli che si accettano di più sono i friulani (oltre l'80%), mentre regi-strano valori un po' inferiori gli italiani e gli sloveni (70 e 66% rispettiva-mente). Si può ritenere che ciò possa dipendere dal fatto che la comunità friulana si sente ed è obiettivamente più omogenea, mentre gli italiani e gli sloveni, nell'esprimere il loro grado di distanza dagli appartenenti alla loro stessa nazionalità possono avere pensato, per lo meno in alcuni casi, che non tutti gli italiani (e gli sloveni) sono uguali e perciò vicini al punto da affidare loro senza remore i destini della propria figlia (o del proprio figlio).

Per gli italiani può aver contato il fatto che, specialmente al tempo della rilevazione, era presente un notevole atteggiamento autocritico dovuto alle vicende di "Tangentopoli" e, inoltre, anche se vi era una domanda specifica che riguardava l'accettazione dei meridionali, si può ritenere che alcuni degli intervistati abbiano voluto esprimere una sia pur debole remora per alcuni

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sottogruppi di italiani diversi dal proprio. Nel caso degli sloveni, alcuni degli intervistati potrebbero aver voluto esprimere una distinzione tra il proprio gruppo di sloveni residenti in Italia e quello degli sloveni cittadini della Slovenia.

Si potrebbe anche ritenere che in alcuni casi la non completa accetta-zione del proprio gruppo possa dipendere dal fatto che alcuni, pur essendosi dichiarati appartenenti ad uno specifico gruppo etno-culturale, non si sentano perfettamente tali e dunque abbiano per questo motivo espresso la non totale accettazione per il "loro" gruppo. Ciò spiega perché i friulani si accettino in misura maggiore, in quanto, come avevamo notato presentando i problemi di campionamento della ricerca, coloro che non si sentivano sufficientemente friulani, hanno rifiutato l'appartenenza loro attribuita a priori e questa auto-selezione ha reso più omogeneo tale gruppo.

8. L'articolazione territoriale della chiusura/apertura Il conteggio delle accettazioni e dei rifiuti ha mostrato che le medie per

etnia non si discostano comunque di molto, per cui, in generale, non si può affermare che questa variabile sia veramente determinante nello spiegare i livelli di apertura/chiusura o tolleranza/intolleranza. Dalle ultime tabelle abbiamo semmai visto emergere alcune differenziazioni più marcate nella valutazione di singoli gruppi etnici, dunque si riscontra un diverso grado di apertura o tolleranza "locale", il cui livello può dipendere dalla maggio-re/minore sicurezza riguardo al proprio status sul continuum dominan-za/minoranza.

Ma, se l'appartenenza etnica non si rivela poi così essenziale come va-riabile esplicativa, nonostante le ipotesi di partenza della ricerca, vi sono altre variabili che possono spiegare in maniera più convincente le differenze di atteggiamento espresse? Come già anticipato, diverse domande presenti nel questionario si possono prestare per la loro ipotetica capacità esplicativa, ma è opportuno iniziare con una considerazione particolare per la variabile "residenza", in quanto numerosi intervistati vivono in città di confine, o nella fascia confinaria, ed è perciò interessante cercare di verifi-care il ruolo che questo elemento contestuale può svolgere.

Si nota allora che i valori medi registrati dai tre gruppi "nascondono" al loro interno alcune notevoli differenziazioni a seconda del contesto in cui vivono gli individui intervistati. Il caso più particolare è quello della città di Gorizia: in questa piccola città di confine si registra una situazione di chiusura e diffidenza (sia da parte degli italiani che degli sloveni) che si distacca notevolmente da quella registrata in tutte le altre zone. Ciò a di-

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spetto dell'immagine un po' abusata che vuole descrivere questa città come un modello di apertura, in particolare a causa della sua collocazione geo-grafica sul confine italo-sloveno che è stato appunto definito, con qualche forzatura retorica, il "più aperto d'Europa".

Gli sloveni a Gorizia (oltre che, sia pure ad un livello leggermente infe-riore, nei piccoli comuni della fascia confinaria) dimostrano un atteggia-mento di chiusura che non si registra invece nella più cosmopolita Trieste, dove sono invece gli italiani coloro che assumono un atteggiamento di relativa difesa.

Per quanto concerne le altre due zone, notiamo che i friulani non paiono particolarmente chiusi nei comuni più piccoli delle provincie di Udine e Pordenone, dove si sentono e sono maggioranza, mentre assumono un at-teggiamento di difesa nella città di Udine.

Il fatto che l'atteggiamento di relativa chiusura si registri più nelle città che nei piccoli centri presumibilmente dipende non solo e non tanto da diffidenza nei confronti degli altri gruppi autoctoni, quanto degli immigrati in genere, che proprio nelle città sono più presenti e visibili.

Tab. 5. - Numero medio di gruppi rifiutati, accettati in famiglia e saldo per

zona di residenza e gruppo di appartenenza accettati non ac- saldo gruppi in famiglia cettati (accettati-non acc.) casi _____________________________________________________ Udine 4.50 5.08 -0.58 100 italiani 5.93 3.78 2.15 60 friulani 2.35 7.02 -4.67 40 resto Pordenone e Udine 7.18 4.46 2.72 197 italiani 9.15 4.45 4.70 98 friulani 5.23 4.47 0.76 100 Gorizia 2.88 7.40 -4.53 99 italiani 2.17 6.48 -4.31 52 sloveni 3.67 8.57 -4.89 46 fascia confinaria 5.01 7.45 -2.44 95 italiani 4.67 4.33 -0.33 6 sloveni 5.03 7.66 -2.63 89 Trieste 6.14 5.61 0.53 100 italiani 5.70 7.68 -1.98 53 sloveni 6.64 3.27 3.36 47 _____________________________________________________ in complesso 5.48 5.73 -0.25 591

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Dal momento che i gruppi autoctoni sono una piccola minoranza rispetto al totale, non si può presumere infatti che gli atteggiamenti rilevati possano dipendere da "veti incrociati" tra queste componenti. Se vi fosse un dubbio, può essere immediatamente fugato notando dalla tabella 6 che Gorizia, per quanto riguarda le percentuali di rifiuto relative ai rapporti tra le componenti autoctone, si colloca sui livelli più bassi. Perciò si può affermare che l'atteggiamento di chiusura più sopra rilevato è forse segno di un certo provincialismo e non un'indicazione di rapporti tesi tra le due componenti più presenti all'interno della città.

Osservando la tabella in maniera più organica per controllare se la variabile territoriale ha un effetto rilevante sui rapporti tra i gruppi autoc-toni, possiamo osservare alcune situazioni che si discostano in maniera no-tevole dalla norma, analizzando separatamente le distanze espresse nei confronti dei tre gruppi.

Per quanto riguarda gli italiani, abbiamo già notato che gli "ostracismi" nei loro confronti non sono molto rilevanti e lo scorporo per area territoriale mostra che si tratta di perplessità concentrate in aree molto circoscritte. Mentre i friulani, come abbiamo visto in precedenza, non dimostrano livelli apprezzabili di rifiuto per gli italiani, gli sloveni intervistati in tutte le aree dichiarano, sia pure marginalmente, qualche chiusura, che è comunque concentrata nei piccoli comuni dell'area confinaria e più bassa invece nelle due città di Gorizia e Trieste.

Interessante è il fatto che la non accettazione degli italiani da parte degli italiani stessi, diluita su tutto il territorio non appare per nulla rilevante, ma diventa più interessante se notiamo che è praticamente tutta concentrata nella città di Trieste. Si può ritenere che ci si trovi di fronte all'affermazione di una potenziale nuova differenziazione etnica: evidentemente alcuni italiani intervistati in questa città pensano a se stessi più come triestini che come italiani.

Anche la scarsa accettazione dei friulani da parte degli italiani è prati-camente tutta concentrata nella città di Trieste, dove si raggiunge un livello prossimo al 20%, e si può ritenere che i friulani siano per questi intervistati proprio uno di quei gruppi di "altri" italiani, ben distinti dai triestini. Anche gli sloveni hanno, come abbiamo visto in precedenza, qualche remora contro i friulani e questo atteggiamento è più presente anche in questo caso nei piccoli comuni della fascia confinaria delle provincie di Gorizia e Trieste.

Infine, per quanto riguarda gli sloveni, una quota piuttosto elevata di ri-fiuto degli italiani nei loro confronti è generalizzata, ma notevolmente più bassa a Gorizia e nel resto della fascia confinaria, con esclusione di Trieste. Questa città sconta ancora evidentemente tensioni e timori post-bellici, anche se va sottolineato che si tratta di un atteggiamento prevalentemente a senso unico, in quanto "ripagato" da una chiusura più bassa di un ordine di

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grandezza (solo il 2.1% degli sloveni di Trieste rifiuta gli italiani, contro il 24.5% di italiani che rifiuta gli sloveni).

Il livello più alto di rifiuto degli sloveni (la percentuale più alta in asso-luto tra tutte quelle presenti in tabella) è comunque quello dichiarato dai friulani della città di Udine (40%), mentre invece è molto più basso negli altri comuni delle provincie di Udine e Pordenone: si tratta di un dato piut-tosto anomalo e difficilmente spiegabile. Va comunque considerato che i friulani intervistati nella città di Udine sono solo quaranta e dunque la percentuale è soggetta ad un errore statistico piuttosto elevato, tenuto anche conto che il campionamento non è avvenuto con procedimento di estrazione casuale (7).

Tab. 6 - Percentuale di intervistati che non accetta i gruppi autoctoni per gruppo di appartenenza e zona di residenza

italiani friulani sloveni ________________________________________________ non accettano gli italiani Udine 1.7 0.0 np resto Udine e Pordenone 0.0 1.0 np Gorizia 0.0 np 2.2 fascia confinaria 0.0 np 5.6 Trieste 7.5 np 2.1 non accettano i friulani Udine 0.0 0.0 np resto Udine e Pordenone 3.1 0.0 np Gorizia 1.9 np 8.7 fascia confinaria 0.0 np 14.6 Trieste 18.9 np 6.4 non accettano gli sloveni Udine 21.7 40.0 np resto Udine e Pordenone 17.3 13.1 np Gorizia 9.6 np 4.3 fascia confinaria 0.0 np 1.1 Trieste 24.5 np 2.1

7. Si tratta di un'avvertenza che va tenuta presente anche per alcuni altri

sottogruppi di intervistati ed è proprio per permettere al lettore di valutare correttamente questa circostanza che nelle tabelle è stato inserito il numero di casi su cui le percentuali sono state calcolate.

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9. La capacità esplicativa delle altre variabili strutturali Se guardiamo ai valori medi relativi al numero di gruppi accettati o ri-

fiutati, calcolati all'interno di gruppi sociali individuati da specifiche carat-teristiche demografiche, comportamentali o d'atteggiamento, il quadro è ancor più facilmente interpretabile e fa spesso emergere differenziazioni piuttosto nette.

Notiamo innanzitutto che la variabile "sesso" non è discriminante in maniera apprezzabile, mentre la ripartizione per classi d'età mostra in ge-nerale un atteggiamento di chiusura che cresce con l'età e diventa piuttosto netto tra i più anziani. Sono però in contro-tendenza i più giovani e ciò pro-pone la questione dell'interpretazione di questo fatto. Ci si può chiedere se ci si trovi cioè di fronte ad un nuovo contingente di giovani portatori di questo atteggiamento, oppure se non si tratti, invece, di un tratto tipico della "spavalderia" ed egocentrismo di coloro che attraversano quella specifica fase della vita. Il fatto che le ricerche che si susseguono nel tempo, anche a prescindere dall'oggetto dell'indagine, mostrino che quasi sempre il contingente dei più giovani esprime atteggiamenti in contro-tendenza ri-spetto agli altri giovani degli scaglioni immediatamente successivi, può far ritenere che quest'ultima possa essere l'ipotesi più probabile.

Una variabile che inequivocabilmente dimostra una potente capacità esplicativa è quella relativa al livello d'istruzione. Coloro che hanno rag-giunto solo il livello della scuola dell'obbligo (che, a seconda dell'età, corri-sponde alle scuole elementari o alle scuole medie e professionali) hanno un atteggiamento di chiusura molto più marcato dei diplomati e, ancor più, dei laureati. Si può certamente affermare che questi dati confermino che la strada dell'apertura e della tolleranza si costruisce inequivocabilmente con gli strumenti della cultura e dell'istruzione.

Tra le variabili indipendenti di atteggiamento e comportamento la più discriminante è certamente il livello di interesse per la politica, in quanto mediamente accetterebbero in famiglia rappresentanti di quasi undici gruppi (sui ventotto proposti) coloro che partecipano attivamente alla vita politica (un insieme di intervistati peraltro non molto numeroso) e meno di quattro gruppi coloro che invece hanno dichiarato di essere disinteressati. Al contrario, rifiutano 9.5 gruppi coloro che sono disinteressati alla vita politica e solo 2.5 coloro che partecipano attivamente

Per quanto concerne la collocazione politica si notano differenziazioni di simile entità: l'atteggiamento di apertura cresce in generale dalle posizioni di destra a quelle di sinistra, coerentemente con le ideologie (o per lo meno con la retorica) e con le prese di posizione più volte espresse su specifiche situazioni, che vedono la destra schierata tradizionalmente su posizioni nazionaliste e la sinistra su posizioni internazionaliste.

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Tab. 7 - Numero medio di gruppi non accettati, accettati in famiglia e saldo per caratteristiche socio-demografiche e altri atteggiamenti e comportamenti

accettati non ac- saldo gruppi in famiglia cettati (accettati-non acc.) casi ___________________________________________________ sesso: maschio 5.89 5.63 0.26 299 femmina 5.06 5.84 -0.78 292 classi d'età: 15-19 4.55 4.94 -0.39 49 20-29 5.81 4.51 1.30 117 30-39 6.92 4.49 2.43 110 40-49 6.36 5.49 0.87 106 50-59 4.34 5.46 -1.12 93 60-90 4.29 8.92 -4.63 116 livello di istruzione elementare 4.45 9.47 -5.02 89 media inferiore 4.57 6.90 -2.33 156 diploma profess. 4.23 8.74 -4.51 47 media superiore 5.63 3.91 1.73 233 laurea 9.52 2.15 7.37 65 interesse per la vita politica disinteressato 3.55 9.53 -5.98 118 interessato. non partec. 5.32 5.31 0.01 371 partecipa saltuariam. 7.27 3.03 4.24 71 partecipa attivamente 10.68 2.52 8.16 31 collocazione politica sinistra 10.07 3.46 6.60 81 centro sinistra 6.18 4.21 1.97 143 centro 4.04 6.90 -2.86 245 centro destra 4.33 5.82 -1.50 52 destra 4.84 8.47 -3.63 19 intensità della fede religiosa nessuna fede 9.05 3.66 5.39 85 poca fede 5.34 5.62 -0.28 132 abbastanza fede 4.59 6.01 -1.42 274 molta fede 5.15 7.09 -1.94 97 fiducia nelle istituzioni molto bassa 5.47 7.28 -1.81 199 bassa 5.37 5.18 0.19 177 media 5.19 4.42 0.77 185 viaggi in Europa all'anno mai 3.96 8.90 -4.94 124 meno di una volta 5.79 4.59 1.19 177 una volta 5.93 4.68 1.25 168 6.02 5.66 0.36 121 più di una volta ___________________________________________________ in complesso 5.48 5.73 -0.25 591

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Se per quanto concerne la collocazione politica si può parlare di coe-renza degli intervistati con i princìpi ispiratori delle concezioni politiche che essi appoggiano, non è invece per nulla allineato con gli insegnamenti della Chiesa cattolica l'atteggiamento di coloro che si dichiarano fedeli. Mentre la Chiesa proclama princìpi di universalismo, rispetto per la persona umana, ed in particolare per l' "altro" comunque identificato, coloro che si dichiarano maggiormente dotati di fede religiosa si rivelano invece i più chiusi nei confronti delle altre etnie.

Un'ultima domanda di atteggiamento qui considerata riguarda la fiducia nelle istituzioni, che nel questionario si riferiva a dodici istituzioni diverse ed è stata riassunta in un unico indice (cfr. paragrafo 3). Questo indice non discrimina molto riguardo alla variabile che misura il numero di gruppi che vengono accettati in famiglia, ed è invece efficace con l'altra variabile: coloro che hanno meno fiducia nelle istituzioni sono abbastanza più chiusi di coloro che dichiarano una maggiore fiducia: si può ritenere che la mancanza di fiducia nelle istituzioni significhi anche un senso di maggiore vulnerabilità e perciò la necessità di sviluppare atteggiamenti di difesa individuali in sostituzione della difesa che, in condizioni normali, ci si potrebbe aspettare provenga proprio da istituzioni funzionanti o comunque verso le quali si possa coltivare fiducia.

L'ultima variabile considerata riguarda la frequenza dichiarata di viaggi in Europa ed anche in questo caso si nota una relazione positiva tra atteg-giamento di apertura e frequenza di questi viaggi. Evidentemente, in gene-rale, si può ritenere che il viaggiare aumenti la conoscenza degli altri popoli ed etnie e dunque serva ad abbattere gli stereotipi; ciò si rivela in particolare guardando all'aumento del numero medio di gruppi accettati in famiglia con il crescere della frequenza dei viaggi.

Abbattere gli stereotipi significa però assumere atteggiamenti più reali-stici (e perciò non idealistici) e dunque può anche significare un aumento della capacità di distinguere tra i vari gruppi proposti, accettandone alcuni e rifiutandone altri sulla base di una maggiore conoscenza diretta. Accanto alle felici, e a volte inaspettate, esperienze positive, si possono verificare disavventure di viaggio che possono provocare un aumento del numero di gruppi etno-nazionali per cui si può provare poca simpatia. Dai dati si vede in effetti che, a parte coloro che non viaggiano mai e che hanno un atteg-giamento di chiusura a livelli piuttosto elevati, all'aumentare della frequenza dei viaggi aumenta, sia pure di poco il numero medio di gruppi "osteggiati".

Da tutto quanto abbiamo visto emergerebbe un quadro di quasi imba-razzante iper-spiegazione degli atteggiamenti di apertura/chiusura. In realtà, molte delle variabili considerate sono anche correlate tra di loro e, ad esempio, dire che l'atteggiamento di apertura cresce all'aumento della sco-larizzazione e decresce con l'età è in parte dire la stessa cosa, in quanto la

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scolarizzazione è più elevata tra i giovani e meno tra le persone anziane. Anche l'interesse per la politica, che ha dimostrato una notevole capacità esplicativa, è in generale, per fare un solo altro esempio, correlato con la scolarità.

Conclusioni Le chiare relazioni con le variabili strutturali che si sono potute eviden-

ziare in quest'ultima parte inducono ad introdurre qualche correttivo rispetto alle valutazioni fin qui espresse. In primo luogo, si può osservare che i livelli di apertura che abbiamo potuto riscontrare, e che testimoniano di una situazione che sul piano generale non può certamente definirsi in termini molto negativi, avrebbero registrato valori probabilmente un po' più bassi se il campione fosse stato più aderente all'universo indagato. Avevamo notato infatti all'inizio che il campione è un po' più scolarizzato rispetto all'universo e perciò, siccome abbiamo potuto verificare che il livello di istruzione è una delle variabili esplicative dell'atteggiamento maggiormente correlata, un abbassamento del livello di scolarità, oltre a rendere il campione più rappresentativo, avrebbe anche abbassato i valori delle variabili che misurano il grado di apertura.

In secondo luogo, per lo stesso motivo si può ritenere che le differenze tra i tre gruppi sulle valutazioni generali, che non sono poi molto accentuate, dipendano, almeno in parte, dalle differenze di alcune caratteristiche strutturali dei tre campioni. La relativa chiusura dei friulani può infatti di-pendere anche dal fatto che gli intervistati appartenenti a questo gruppo sono, come avevamo notato all'inizio (cfr. paragrafo 2), un po' meno scola-rizzati degli altri.

Le valutazioni sulle distanze reciproche sono invece di tale entità che si manterrebbero notevoli anche qualora le differenze nella composizione dei tre campioni fossero tenute sotto controllo.

In conclusione, è comunque interessante concentrare l'attenzione su un fatto che emerge con chiarezza dai dati fin qui esposti e che è visualizzato nell'ultima tabella, dove i valori relativi al numero medio di rifiuti espressi dai diversi gruppi di intervistati sono tabulati in ordine crescente (8). Tra tutte le variabili esplicative dell'atteggiamento sottoposto ad osservazione emerge nettamente la scarsa capacità di differenziazione offerta da quelle

8. Per migliorare la leggibilità della tabella si sono inserite solo le categorie delle

variabili che mostrano i valori più estremi verso l'alto e il basso.

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che, in questi ultimi tempi sono state largamente enfatizzate da interi mo-vimenti sociali che ad esse si sono richiamati.

Si tratta, innanzitutto, della variabile "di genere". Il movimento femmi-nista ha certamente svolto un ruolo importante e utile per l'emancipazione della donna nella società, ma non trova riscontro nei dati la rivendicazione di una pretesa maggiore sensibilità delle donne rispetto ad atteggiamenti delicati come quello della maggiore apertura/chiusura verso gli altri gruppi in una società che diventa sempre più multietnica e multiculturale.

Tab. 8 - Numero medio di gruppi non accettati per alcune categorie di in-

tervistati gruppi non accettati casi ______________________________________ laurea 2.15 65 partecipa attivamente alla politica 2.52 31 coll. politica a sinistra 3.46 81 nessuna fede religiosa 3.66 85 residente nel resto PN e UD 4.33 172 media fiducia nelle istituzioni 4.42 185 30-39 anni 4.49 110 meno di una volta in Europa 4.59 177 friulano 5.19 140 italiano 5.33 269 maschio 5.63 299 femmina 5.84 292 sloveno 6.76 182 molta fede 7.09 97 molto bassa fiducia nelle istituzioni 7.28 199 residente a Gorizia 7.40 99 coll. politica a destra 8.47 19 mai viaggi in Europa 8.90 124 60-90 anni 8.92 116 licenza elementare 9.47 89 disinteressato alla politica 9.53 118

Anche l'appartenenza etnica, che pure dimostra una qualche capacità

discriminatoria, colloca peraltro tutti tre i gruppi esaminati nelle posizioni intermedie della graduatoria, mentre invece si collocano in posizioni molto

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distanti i gruppi caratterizzati dalle posizioni più estreme rispetto alle altre variabili considerate.

I movimenti a base etnica, che sono portatori di comprensibili preoccupazioni di salvaguardia di specifiche realtà linguistiche e culturali, ma in alcuni casi, sempre più frequenti, "agitano" il panorama europeo e mondiale con ventate di "integralismo" rivendicativo a volte violento, pro-pagandano spesso delle differenze che sono assai più sfumate nei fatti. Gli atteggiamenti della gente sono in realtà molto più simili tra di loro e le differenze si radicano più nelle specifiche caratteristiche personali e nelle contingenti situazioni di vita che in tratti profondi della personalità deriva-bili da non ben definite caratteristiche etno-nazionali.

Si conferma così in pieno quanto già notava Demarchi a commento della citata indagine di Boileau e Sussi rispetto all' "elasticità degli atteggiamenti interetnici" e al fatto che: «i gruppi etnici minoritari rivelano atteggiamenti interni più diversificati, in ordine a variabili di sesso, età, professione, istruzione, ideologia politica, relativamente alla problematica dei rapporti interetnici» (1981: 10).

Non rimane perciò che ribadire: se si assume che l'apertura sociale e la tolleranza siano dei valori da difendere e promuovere, la strategia più pro-mettente e allo stesso tempo più urgente, è certamente quella di intervenire a livello culturale. Si tratta anche della strada più "facile" da percorrere, perché il grado di cultura, a differenza dell'appartenenza etnica o religiosa, non è una caratteristica ascritta degli individui e dunque è modificabile, se c'è la volontà di operare in questo senso.

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