-
PROLOGO
cultura
DEL POPOLODEL POPOLO
Cultura e (è) identità Siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia.
E siamo privi di fabbri-
che che producono, di aziende che vendono, di agenzie che
piaz-zano. Siamo privi insomma, dei più importanti strumenti che
nella realtà odierna connotano i gruppi sociali. Ci troviamo dunque
a na-vigare senza vela né remi nelle acque mosse di questo mondo
con-temporaneo che ha spostato le proprie fondamenta dal terreno
or-mai sgretolato dei valori ideali per cementarle nelle gabbie del
mer-cato. Eppure, pur non disponendo dei basilari elementi identifi
catori delle società attuali, pur non avendo le risorse per
raccogliere ogget-ti destinati a raccogliere a loro volta la
polvere, siamo ancora vivi, siamo ancora un gruppo umano ben
connotabile: siamo gli Italiani di Croazia e Slovenia. E se come
tali veniamo percepiti e riconosciu-ti, lo dobbiamo al fatto di
aver solcato nonostante tutto la rotta giu-sta, al fatto cioè di
aver fondato la nostra “immagine coordinata” sulla cultura. Per
noi, cultura e identità non danno vita unicamen-te ad un rapporto
di correlazione poiché il loro mettersi in relazione determina la
loro coincidenza. Nel nostro caso cultura è identità, nel nostro
caso, i valori estetici propri dei nostri artisti (e, come tali,
pro-
di Silvio Forza
“La Voce” organizza sul tema una tavola rotonda
Tra memoriae multiculturalismo
Per parlare della situazione e delle prospettive di sviluppo
della produzione culturale della nostra comunità, per poter
analiz-zare le tendenze attuali, gli indirizzi e soprattutto
ipotizzare le strategie di crescita culturale dobbiamo capire qual
è lo stato di salute della cultura dei “rimasti”
Scotti: Se consideriamo che la nostra “Piccola Italia” conta
circa 30-35 mila abitanti, è come se avessimo a che fare con una
Monfalcone o un qualsiasi piccolo comune italiano che certamente
non ha una televi-sione, stazioni radio, un giornale quotidiano
come il nostro, riviste come 'la Battana ' o 'Panorama', una
compagnia teatrale e un’attività editoria-le come la nostra. Siamo
in pochi ma ci siamo moltiplicati in noi stessi; infatti una nostra
poetessa fa la direttrice del Dramma, non c’è un mem-bro del coro
che non fa anche l'insegnante, un giornalista il promotore
culturale. Siamo cresciuti culturalmente perché ci troviamo da
sempre in trincea e da questa condizione abbiamo tratto la nostra
forza. Quindi una piccola Italia abbastanza combattiva. Dopo
l'esodo abbiamo dovuto creare una cultura, un popolo, questa
piccola Italia, quindi abbiamo una cultura prodotta ex novo più che
riprodotta tanto che nei nostri manuali scolastici trovano spazio i
nostri poeti ed i nostri scrittori. Credo che que-sto sia un fatto
importantissimo per il nostro futuro.
La nostra appare per molti versi una cultura che si alimenta con
il recupero della memoria. Non si corre il rischio di essere
provinciali, di riproporre sempre gli stessi temi, di accumulare
ritardi?
Marchig: Io ritengo che a partire degli anni Ottanta sia
presente una costante voglia di cambiamento. Il distacco dalle
tematiche della nostra tradizione classica per approdare nelle aree
fi no allora inesplorate dei moti interiori, delle crisi, del
rapporto con la contemporaneità si deve in primo luogo ai poeti e
agli artisti fi gurativi, mentre nella prosa non ab-biamo ancora
superato completamente il ritardo. Con le debite eccezio-ni,
ovviamente, perché secondo me dal punto di vista del valore
lettera-rio (oltre che di quello della conservazione della
memoria), autori come Scotti, Schiavato, Damiani, Nelida Milani
hanno certamente prodotto delle opere che potrebbero stare in
qualsiasi biblioteca del mondo.
LibriFoiba in autunnodi Ezio Mestrovich
MostreCollettiva degli artisti di Fiume
Carnet culturaAgendae classifi che
ww
w.ed
it.hr/lavoce Anno I • n. 1 • Sabato, 26 marzo 2005
Pagina 2
Pagina 6 Pagina 8
Carlo Carrà, La musa metafi sica, 1917
pri della nosta cultura) sono in realtà valori etici, i valori
di una mo-rale della sopravvivenza e, perchè no, dello
sviluppo.
Proprio in ragione del fatto che la cultura, per parafrasare
Nelida Milani Kruljac, consente di “ritrovare il fondamento nei
momenti di confusione”, “La Voce del Popolo” propone ai lettori
questo speciale “In Più Cultura” che vuole diventare sede di
dibattito, luogo in cui potrà venire a galla la coscienza critica
della cultura della CNI, “rea-gente” utile a catalizzare la
complessa dialettica che dovrà sviluppar-si, oggi, subito, proprio
in questo delicato momento in cui la vecchia ennesima sfi da della
conservazione si vede affi ancata con prepotenza dalle stimolanti
(e rischiose?) occasioni del multiculturalismo.
Pensate per avanzare ed ospitare domande, volute per osa-re e
per poter dar voce a possibili risposte, le pagine di “In più
Cultura” sono aperte a chiunque senta proprio il bisogno di sposare
questa “tensione”.
Un omaggioRicordandoAntonioPellizzer
Pagina 3
Segue a pagine 4 e 5
Con il preciso scopo di sti-molare rifl essioni e commenti sulla
realtà culturale della no-stra Comunità, “La Voce” ha promosso un
dibattito al qua-le sono intervenuti alcuni tra i più
rappresentativi operatori culturali e intellettuali della CNI ai
quali, per strappargli un “visti da vicino”, abbia-mo affi ancato
il Direttore del-l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria Flavio
Andreis. Erano presenti il Presidente dell’Assemblea dell’UI e
poe-ta Maurizio Tremul, la diret-trice del Dramma Italiano, nonché
poetessa Laura Mar-ghig, il letterato Giacomo Scotti e tre
giornalisti di TV Capodistria: Franco Juri, in-tellettuale di
spicco ed ex Am-basciatore sloveno a Madrid, Ezio Giuricin, già
segretario dell’Unione, caporedattore de “La Battana” e
coordina-tore dello storico “Panorama giovani” e la giovane
Marti-na Gamboz, che a Capodi-stria guida il gruppo teatrale
“Skysma”.
IL DIBATTITO
-
2 cultura
Per la mitologia greco-romana il Lete è il fi ume dell’oblio,
Mne-mosyne è la dea della memoria. Sono fi gure inseparabili e,
ancor prima che antitetiche, quasi com-plementari. Noi tutti
tendiamo a ricordare e insieme a dimentica-re. Ed è soprattutto
auspicabile dimenticare infelicità, disgrazie, fallimenti, sconfi
tte. L’oblio rap-presenta la condizione per risor-gere dal dolore
ad una nuova vita. Quindi memoria e oblio paiono ambiti
inscindibili, funzioni en-trambe necessarie sia al singolo che alla
società. Se esiste perciò un’arte della memoria – e ogni cultura,
ogni trasmissione di va-lori, tradizioni o saperi si fonda su di
essa – c’è anche un’arte del-l’oblio, intesa a cancellare dalla
mente inessenzialità, traumi, er-rori ed orrori.
oblio sulle foibe come allegorico attentatoalla memoria
storica
Ci sono però casi in cui la di-menticanza non solo è dannosa, ma
immorale. È un dovere etico, ad esempio, non scordare le foibe che
allegoricamente possono es-sere viste come un attentato alla
memoria stessa dell’umanità. Qui non si fanno sconti, la strada
del-l’oblio è preclusa: la congiura del silenzio sarebbe allora da
intende-re come un sanguinoso tratto di spugna inteso a cancellare
le vit-time dalla storia e dal suolo istro-quarnerino.
Tanto più che la rifl essione moderna, quella novecentesca, è
molto intrigante sul binomio ricordo/dimenticanza. La psicoa-nalisi
spiega che l’inconscio rap-presenta il rimosso, il dimenticato, ciò
che non scompare dalla psiche ma permane latente, pronto però a
riaffi orare e ripresentarsi come nevrosi. Nel libro di Ezio
Mestro-vich Foiba in autunno (EDIT, Fiume 2005) la nevrosi assume
la forma di lucida pazzia omicida.
Può infatti succedere che dopo il cambiamento radicale di un
si-stema, qualcosa si spezzi dentro gli uomini, quando si accorgono
che, autoproclamatisi democrati-ci, i nuovi governi promettono di
cambiare il mondo e poi non ne fanno nulla, soprattutto non fanno i
conti con il passato e continuano a conservare gli scheletri
nell’ar-madio. In genere i popoli dell’est sono omissivi sul
passato e pro-vano grande disagio nel presente. Semplicemente non
vogliono fare i conti con quello che hanno alle spalle. O non
possono ancora far-lo? Non sono pronti, anche perché la verità ha
tempi lunghi...
Ma le aspettative deluse a cau-sa della cultura del silenzio
pro-ducono insoddisfazione e vuoto rispetto ai quali gli individui
si sentono frustrati, e allora succe-de che qualcuno si crei da
solo gli strumenti necessari ad elimi-nare il proprio malessere ed
ap-pagare la sete di giustizia pareg-giando i conti del passato. Le
pa-tologie personali si sovrappongo-no ai confl itti politici,
culturali, si sommano, si complicano, esplo-dono! Ed ecco che si fa
strada un giustiziere della notte ad attirare l’attenzione del
pubblico sul tabù della foiba, simbolo della memo-ria negata. La
parola ‘foiba’ ap-pare anche nel titolo del romanzo.
Un motivo pur ci sarà, no? C’è, perché il seme centrale del
libro, è proprio quello: la foiba con la sua ombra lunga e
profonda, con la sua storia sospesa tra gli orrori del passato e le
ambiguità dei no-stri giorni, con tutti gli echi, riso-nanze e
collegamenti che vanno dagli anni dopo la seconda guerra mondiale
ai giorni nostri.
un thriller storicoad alta tensione
Il libro di Mestrovich si può leggere anche come un semplice
giallo: tensione e interesse sono garantiti. Ma è una valigia a
dop-pio fondo. Ed è il secondo fondo che regge l’impalcatura del
thril-ler. Non l’avrebbe se no scritto Mestrovich, solo così, tanto
per baloccarsi facendo l’investigato-re, quando sappiamo quale
intel-ligenza vivida e seducente, quale testimone del suo e nostro
tempo lui è stato. Ora, parlare del giallo, si rischia di far
sparire d’un colpo l'alto voltaggio emotivo cui il letto-re viene
sottoposto nel corso della lettura. Basti sapere, per adesso, poche
cose, quelle indispensabili, e cercare piuttosto la chiave di
let-tura del secondo livello.
Il racconto è articolato attorno ad una famiglia di
villeggianti, i signori Anna e Renato Dobrilla ed il loro fi glio
Giorgio. Il signor Re-nato era fuggito da Fiume e ora, da
pensionato, passa alcuni mesi all’anno in un albergo di Laura-na. I
tre stanno godendosi le va-canze quando subentra la rottura
dell’equilibrio. Un inspiegabile omicidio funesta le loro placide
giornate, la serenità delle serate trascorse insieme ad alcuni
amici
del posto attorno a una tavola im-bandita alla “konoba”, i
discorsi semplici ed i cibi “domaći”, le pa-role d'intesa. Il
delitto, apparente-mente inspiegabile, è inspiegabil-mente feroce:
una testa sepolta e dissotterrata dal cane Moro e se-parata dal
corpo rinvenuto là vi-cino, sul ciglio di una foiba. Di fronte
all’efferatezza dell’omici-dio il lettore è indotto a scivolare su
varie piste, perché l’autore fa gravare l’ombra del sospetto su
parecchi personaggi onde coglie-re le posizioni e le parzialità
diffe-renti di chi – italiano e croato – è
vissuto come noi in questo nostro intricato crocevia obbedendo a
vi-sioni del mondo fra loro incompa-tibili. A breve distanza di
tempo, un secondo omicidio: certi sub di Mestre, che fanno dei
corsi di ad-destramento a Laurana, trovano in mare un cadavere
legato con pesanti catene. Si tratta di coinci-denze o c'è sotto
qualcosa di molto più pericoloso, qualcosa che col-lega i due
cadaveri?
...e la giustizia me la faccio da solo... Tra giochi di
complicità, di si-
lenzi e opportunismi, il mistero ri-sulta del tutto
impenetrabile a una razionalità logica.
Ma è la logica dell’assassino-giustiziere. Non si vuol riparlare
delle foibe? Non si vuol far giu-stizia? Vi costringo io a
parlarne. E la giustizia me la faccio da solo. Con la legge del
contrappasso, la legge del taglione, mi tolgo una bella
soddisfazione ex post facto con due vittime sacrifi cali
sostitu-tive. Ma sì, certo, come presso i popoli primitivi:
identità del male e del rimedio, rapporto diretto tra colpevolezza
e punizione. Gesto criminale e solitario.
Soprattutto inutile, perché in-spiegabile. Perché non
rapportabi-le al tabù delle foibe né a qualsiasi catarsi con
conseguente perdono - cui si può arrivare in un ambiente sociale,
in cui la giustizia fa sì che ci sia assunzione di responsabilità,
pentimento, espiazione e richiesta di perdono da parte dei
colpevoli, e che ci sia elaborazione della sof-ferenza e del lutto
nella gratuità di un gesto d’amore da parte dei fa-miliari e dei
discendenti delle vit-time. Gesto reso autentico dalla condivisone
solidale della società, come risultato di un cammino fati-coso e
doloroso di costruzione di una realtà umana più evoluta, cui
contribuiscono le vittime e i col-pevoli. Elaborazioni diffi cili,
mai avvenute sotto questi cieli dove si è piuttosto propensi a
omissioni e selezioni. Utopia? Illusione? Un giorno, chissà...
Per troppo tempo la foiba è sta-ta volta in diniego, rifi uto,
vendet-ta, alibi, giustifi cazione, accusa, colpevolizzazione,
decolpevolizza-zione, giustizia. Sempre in silenzio, sempre in
sordina, sempre e solo per gli addetti ai lavori, i panni sporchi
si nascondono sotto il tap-peto e si tabuizzano. Nel frattem-po
l’oblio l’ha fatta da padrone, s’è instaurato socialmente ed è
di-ventato parte integrante della tra-smissione uffi ciale...
Foiba in autunno era un libro da pubblicare, perché aiuta a
ra-gionare e a discutere, rompe i luo-ghi comuni di una storia
ideologi-ca e propagandistica, costruita tut-ta di «buoni» e di
«cattivi» e perciò secondo quegli schemi manichei utili sempre a
tutte le caste di po-tere e a tutti gli equilibri di
conser-vazione. E poi, un romanzo tinto di giallo non passa mai di
moda. Se ne potrebbe benissimo ricavare la sceneggiatura di un fi
lm.
Sabato, 26 marzo 2005
UN LIBROEZIO MESTROVICH, Foiba in autunno
di Nelida Milani Kruljac
Fuggire dall’idolatriae «uccidere Berlusconi»
Nonostante le nuove tecnologie, i new media, internet e i volumi
on-line, il libro scritto continua a mantenere un fascino - anche
tattile - che lo ren-de un prodotto sempre richiesto. In Italia
attualmen-te sta andando bene il libro di Mark Sanborn Il fattore
Fred ovvero Come fare in modo speciale anche la cosa più semplice
(editore Corbaccio). Il volume, di taglio psi-cologico self help,
propone una ricetta sui semplici passi da fare per tra-sformare la
vita quotidiana in un'esperienza straordinaria. Torna il lucido e
sferzante Moni Ovadia con il titolo Contro l'idolatria (Einaudi
tascabili - Stile libero big) in cui l'autore stesso si autodefi
nisce "estremista assen-nato". Un libro gremito di incontri, di
provocazioni, di storie umoristiche e no, di pensieri appunto
estremi con la tesi fi nale che il monoteismo è la possibilità di
essere tutti eguali e liberi di fronte a un unico Dio. Per gli
amanti del giallo e del noir l'ultima fatica di Tom Clancy si
intitola OP Center. Linea di controllo (Rizzoli. Scala stranieri)
in cui, in una freneti-ca serie di colpi di scena, la mitica OP
Center vuole evitare una guerra nu-cleare tra India e Pakistan.
È dedicato specialmente ai ragazzi il titolo Cinquanta cose da
fare per aiutare la terra. Manuale per proteggere il nostro pianeta
e i suoi abi-tanti (Salani editore). Questa guida di Andreas
Schumberger insegna che, le tante cose buone che si devono fare per
salvare il nostro pianeta, possono essere anche divertenti.
Controverso e criticato (anche al Parla-mento italiano) è Chi ha
ucciso Silvio Berlusconi (Ponte alle Grazie), di Giuseppe Caruso:
si tratta di un giallo "italiano" che è allo stesso tempo uno
spaccato - con tanto di lettura critica - della realtà
italiana.
Tra le recenti novità in Croazia da segnalare senz'altro
l'ultimo libro di saggistica di Dubravka Ugrešić Zabranjeno čitanje
(Vietato leggere) edito da Dvadeset stupnjeva che comprende una
trentina di testi in cui l'au-trice, con il vivido acume che le è
solito, analizza il diffi cile rapporto tra gli scrittori e il
mercato dell'editoria nell'Europa orientale. Viviana Car
Poesia è nobile rallentamento,è recupero del gusto per la
parola,è ritrovare i signifi cati del pensiero
Ci sono molti modi per considerare una poesia,
e uno di questi è di non considerarla
affatto. E questo può sembrare innocenza,
buon senso mescolato ad innocenza,
l’acquiescenza dell’età avanzata, quando ci si guarda
allo specchio e ci si vede invecchiati.
Allora uno pensa che forse è troppo tardi
per considerare, o volere,
o giudicare, ma i confi ni non sono ben chiari;
come quando il sole tramonta, e la gita
sta per concludersi, e il ritorno dalla campagna in città,
nel crepuscolo, diventa più facile,
più lusinghiero nella penombra del crepuscolo.
Ma è forse una giornata interrotta
quella che più ci consola, la cena in famiglia,
la lettura intorno al fuoco, nello
schioppettio del fuoco l’avvampare della conversazione,
prima di andare a dormire, nella stanza
degli specchi. E a questo punto, a quest’età,
considerare o non considerare rimane
sempre un fatto personale, una scelta, o il desiderio
di una scelta, o al massimo una lite tra
marito e moglie insonni dentro al letto.
Certo, è possibile anche dire queste cose
molto diversamente, e allora
la considerazione cambia, o si adegua,
adegua la sua voce come le nostre voci
si adeguano alle ore del giorno,
alle persone, alle cose...
E quando si tace, anche la considerazione tace,
o a volte indaga, pettegola intorno
al silenzio come una donna da mercato, e trova
delle soluzioni, degli indizi
salutari anche nel silenzio, ma non sono
certo soluzioni adeguate.
Un po’ più avanti, un po’ più a fondo,
uno scopre sempre un disagio, che non è
il solito disagio, ma come qualcosa
del giorno innanzi, o qualcosa che non parla
e non comunica, e non intralcia
il passo come una pietra sul sentiero,
così che non sembra il solito
disagio, ma neanche sembra molto diverso.
Quando il giorno muore e l’autunno scrolla
dai rami le ultime foglie, e l’aria
è pulita e fresca, poco prima di andare a dormire.
Ugo Vesselizza
NOVITÀ IN LIBRERIA
VERSI
Lo scrittore italiano di Fiume Ezio Mestrovich
Un testamento moraleche va oltre i luoghi comuni
-
cultura 3
"Antonio Pellizzer? L’ho conosciuto mol-to bene", ci dice
Luciano Rossit, per lunghi anni dirigente di spicco e Presidente
dell'Uni-versità Popolare di Trieste." Siamo stati dei grandi amici
e ho provato un immenso dolore per la sua dipartita. La nostra
amicizia risaliva sin dai tempi in cui l’Università Popolare di
Trieste iniziava ad occuparsi, come mediatrice del MAE, di questa
nostra minoranza italiana autoctona. Dunque, dai tempi di Antonio
Bor-me, Corrrado Illiasich, Luigi Ferri, Giovanni Radossi.
Pellizzer è stato un grande organiz-zatore, promotore di iniziative
tese al mante-nimento della cultura istro-fi umana.
fu lui ad «inventare»Istria Nobilissima
Annio ha dato impulso ad iniziative indi-menticabili. Metto al
primo posto uno dei fi ori all’occhiello della collaborazione
UI-UPT, rife-rendomi in particolare al premio d’arte “Istria
Nobilissima” che, uscito proprio dalla sua men-te, vive tutt’ora di
vita intensa, anche nel suo ri-cordo. Non bisogna poi dimenticare
che fu tra i promotori e sostenitori della magnifi ca ex tem-pore
di Grisignana cui ha dato l’anima. È stato onnipresente in tutte le
iniziative culturali della CNI. Non posso scordare il ruolo avuto
da Anto-nio Pellizzer in occasione della visita del Presi-dente del
consiglio, Andreotti e del Ministro agli Esteri, De Michelis, in
occasione della visita a Buie e a Pirano per l’inaugurazione di
casa Tar-tini nell’89: l'organizzazione si rivelò perfetta, il
ricevimento impeccabile, gli onori di casa cura-ti nei minimi
particolari. Era spinto dall’entusia-smo, metteva l’anima in tutto
quello che faceva. Parte determinante della sua attività era tesa
al progresso della scuola italiana ma si impegnava in tutte le
direzioni al punto che non si può rac-contare la storia della CNI
senza ricordare Anto-nio Pellizzer.”
Anita Forlani, insegnante, già dirigente e at-tivista in seno
all'Unione Italiana e alla Comuni-tà degli Italiani di Dignano,
ricorda ”l’amicizia consolidata che ci legava tanto che si
rivolgeva a me con il confi denziale, in quanto dialettale,
ap-pellativo di “sorora”. Mi chiamò anche tre giorni prima di
andarsene per chiedermi la ricetta delle olive in salamoia che gli
piacevano tanto. Parla-vamo di tutto, ultimamente per lo più al
telefono, ma quando ci si vedeva era una festa. Avevamo vissuto per
decenni le stesse delusioni – molte
e le medesime vittorie – nell’affrontare le bat-taglie per
l’affermazione della nostra Comunità nazionale.
un fi ne conoscitore della lingua e del dialetto, un grande uomo
di scuola
Annio era sempre pronto a prodigarsi per ri-solvere i problemi
della cultura e della scuola, della lingua che conosceva e usava
come pochi di noi e del dialetto romanzo che accomunava Rovigno a
Dignano. Era un grande lavoratore, ricco di slanci organizzativi e
di ardui proget-ti che portava a termine modestamente, senza
mettersi in mostra. Una persona semplice e buo-na, dedita alla
famiglia ed alla sua Rovigno per la quale nutriva un amore
esasperato. Lo ricordo affettuosamente con molto rispetto.”
Anche Ambretta Medelin, Presidente della Giunta esecutiva dell
CI di Rovigno e operatrice scolastica, ricorda l'attività e
l'attivismo prorom-pente di Pellizzer. "Sprizzava energie da tutti
i pori, è stato una persona che trascinava con sé, nelle sue
iniziative, giovani e meno giovani ed era capace di realizzare
entro sera quanto di nuo-vo gli era venuto in mente la mattina
stessa.
pensato, detto e fattoPellizzer era fatto così Ho sempre stimato
molto il professor Pel-
lizzer perché riusciva a portare a termine le cose che si
ideava, anche a costo di non chiudere oc-chio e di svegliare di
notte mezza Rovigno… Non dimenticherò mai la messa in scena della
“Fiaba di Rovigno” quando sollevò in piedi tutta la “mularia” di
asili e scuole e convinse di perso-na ogni bottega d’artigiano a
lavorare sodo pur di curare scene e costumi fi no alla perfezione…
Ecco, Pellizzer era fatto così. Pensato, detto e
fatto. In ogni campo, su tutti i fronti: scuola, Co-munità degli
Italiani di Rovigno, Comunità Na-zionale Italiana. Per non dire
delle qualità uma-ne, del saper capire le persone, di scherzare
in-staurando rapporti di affettuoso rispetto.”
Nelida Milani Kruljac non ha diffi coltà ad ammettere che “mi ci
sono voluti decenni per superare il disagio che la sua vasta
cultura mi creava. Non la sua persona, no. Ci sono gli asettici e
gli affettivi. Annio appartenenva di pre-potente diritto agli
affettivi. Doveva abbracciar-ti fraternamente, aveva questa voglia
di gente con cui parlare, di idee da esternare, un vulcano in
ebollizione. Capace di comunicare con paro-le veraci e di donarsi,
capace di instaurare con le persone un dialogo che andava al di là
dell’ef-fi mero, seminava pensieri ed emozioni che non cadevano in
mare ma su un suolo che li accoglie-va e li faceva germinare.
un fondamentalecompagno di strada
Annio è stato un grande, fondamentale com-pagno di strada. E
molto più di questo. Annio è un pezzo della storia e della
coscienza critica del-la minoranza. Uno specchio e un traino della
sua cultura. «Istria Nobilissima» è Annio Pellizzer, il «Circolo
letterati poeti e artisti» è Annio Pel-lizzer, la CI di Rovigno è
Annio Pellizzer. Con lui prematuramente scomparso riposa la nostra
origine, il nostro principio, il nostro ricomincia-mento. Perché il
cambiamento, prima che dalle leggi, viene dalla consapevolezza dei
singoli che nelle ore della confusione sanno ritrovare il
fon-damento. Dalla consapevolezza e dalla volontà di nuotare come i
salmoni, controcorrente, oppo-nendosi a tutto ciò che degrada,
umilia e offen-de. Lui è stato uno di quei singoli. Annio, oltre le
dissipazioni, le catastrofi e le fratture del tem-po, ha saputo
disegnare il Progetto. Ha saputo
cogliere la sanguigna poesia della vita che già bisbigliava
nell’oscurità e farla tornare al sapore dell’aria nostrana, al
calore del sole nostrano, al colore del mare nostrano. Ha saputo
restituire la parola ai sentimenti per far venire allo scoperto
nuove curiosità e speranze collettive.
un intellettuale che seminava pensieri
Dalla distruttività è riuscito a far decollare il suo Progetto,
in quel crocevia che tra scuola e cultura aveva radici profonde,
conteneva in sé l’idea del percorso e dello sviluppo. Il Progetto
era salvare il salvabile, arricchirlo di nuovo senso vitale, osare
recuperare. Annio era un progettista: ha progettato la
resurrezione. L’appuntamento con il destino ha interrotto la sua
azione. Uomo di straordinaria umanità, intensità, profondità,
generosità intellettuale, la CNI stenterà a colma-re il vuoto. E
dove lo troviamo un altro Annio? Uomini così ci mancano. La memoria
di Annio Pellizzer va tenuta sempre desta.”
Elis Deghenghi Olujić, docente presso la Facoltà di lettere e fi
losofi a di Pola vede in Pel-lizzer "l'ideatore e il promotore di
molteplici at-tività e innumerevoli iniziative culturali. È sta-to
anche l’autore di “Voci nostre”, fondamenta-le opera per la cultura
italiana istro-quarnerina. L’antologia conferma la vocazione più
vera di Pellizzer, quella di professore d’italiano. In que-sta
veste è stato uno di quegli studiosi insegnanti che ha costituito
per lunghi anni la spina dorsa-le della cultura italiana
dell’Istro-quarnerino, un intellettuale di fi nissima preparazione
umani-stica, storico-fi lologica e insieme robustamente concreto,
una di quelle fi gure che fanno capire cosa signifi ca, cosa può e
deve essere la scuola, quale sia il rapporto fra cultura e
insegnamento e come la cultura sia passata, tante volte,
attra-verso il liceo. L’Antologia di Pellizzer si avvale del
sostegno di un ricco e indispensabile appa-rato storico-critico,
biografi co e bibliografi co, di note e di rimandi che suggeriscono
ragionamen-ti di maggiore respiro. Con la scelta personale e libera
degli autori e delle opere, ha offerto un quadro completo della
tradizione letteraria del-l’Istro-quarnerino, in cui ogni singola
voce tro-va se stessa e la propria peculiarità ed ha confer-mato,
nella concezione della letteratura, il senso ampio e forte della
storia e della critica letteraria. Nonostante gli aggiornamenti che
il tempo che passa rende necessari, “Voci nostre” di Antonio
Pellizzer, la sua antologia, sarà anche in futuro un punto fermo
cui riferirsi, resterà sempre la nostra antologia.”
“Siamo cresciuti assieme a scuola e la nostra è rimasta
un’amicizia anche dopo gli studi. Ci ha
legato la comune attività portata avanti in seno alla CI
rovignese e a livello di Unione". Questi i primi ricordi di Maria
Velan, insegnante ed ex dirigente dell'UI e della CI di Rovigno.
"Abbia-mo condiviso problemi, gioie, dolori sia perso-nali sia
collettivi, di tutta la CI e la CNI. Molte volte non ci siamo
trovati d’accordo, dando vita, come tanti ricorderanno, ad accese
discussioni, che poi fi nivano bene, come quelle polemiche tipiche
che contrassegnano i rapporti di amici-zia. Abbiamo investito
energie assieme, pensan-do allo sviluppo della scuola, operando per
il mantenimento della sua italianità, collaborato in campo
artistico-culturale. Pellizzer era un vulca-no di idee, a volte
talmente progressiste da risul-tare irrealizzabili perché troppo
avanti rispetto al contesto in cui nascevano.
GENTE NOSTRA, GENTE DI CULTURA
Sabato, 26 marzo 2005
Omaggio ad Antonio Pellizzer l'ideatoree il promotore
dellacrescita culturale della CNI
Metteva l’animaMetteva l’animain tutto ciò che facevain tutto
ciò che faceva
Ha fatto tesoro del tempo che gli è stato concesso. Ha creato il
suo bagaglio di ricchezza intellettuale e lo ha messo al servizio
della Comunità Nazionale Ita-liana. È verso il generoso lascito di
Antonio Pellizzer, l’uomo, l’intellettuale, lo scrittore, il
professore che la CNI rimarrà perennemente in debito. Non potrà
estin-guerlo fi no a quando non cesserà ogni sua forma
d’espressione. Pellizzer, scomparso il 17 novembre 2004, fu tra i
fondatori e presidente del Circolo dei Poeti Letterati ed Artisti,
esponente dell’UIIF poi UI, responsabile della cultura all’interno
della Giunta esecutiva, presidente della CI di Rovigno, preside del
ginnasio della stessa città, ani-matore di “Istria Nobilissima”,
saggista, autore dell’antologia “Voci Nostre”… Quello che
pubblichiamo è un modesto tentativo di raccontare e ricordare Annio
Pellizzer at-traverso le testimonianze di persone che hanno avuto
la fortuna di conoscerlo, di lavo-rargli a fi anco e, in molti
casi, di imparare attingendo dalla sua considerevole opera.
di Arletta Fonio
L’Antologia di Pellizzer è una pietra miliare per la letteratura
della CNI
-
cultura4 Sabato, 26 marzo 2005 Sabato, 26 marzo 2005
d’ora, dovremo ripensare il ruolo delle nostre istituzioni e
rivedere il nostro modo di rapportarsi e di fare cultura perché
altrimenti rischiamo di essere fuori di alcune dinamiche
importanti.
Giuricin: Sprovincializzare la nostra cultura, elevarla
qualitativa-mente, signifi ca affrontare un per-corso che dal
particolare condu-ce all’universale passando per lo scambio
interculturale. In questo modo l’artista della minoranza di-venta
anche artista del territorio, ap-partiene al mondo. La nostra
realtà culturale, tra inevitabili alti e bassi, è sempre stata –
date le nostre pro-porzioni – ragguardevole. Se doves-simo
confrontarla con la produzione culturale complessiva di una
Nazio-ne o di uno Stato, la nostra ha avuto
sempre un “peso specifi co” ben su-periore a quello di qualsiasi
“mag-gioranza”.
ci vuole sinergiatra le istituzioni
Il punto è un altro e consiste nel-la reale capacità, oggi,
delle nostre istituzioni culturali di fare sistema, di costruire
un’effi ciente rete in gra-do di realizzare degli obiettivi e
del-le strategie culturali della minoranza. In un mondo sempre più
complesso e globalizzato, in una realtà che si va via via
confrontando con sfi de sem-pre più articolate, potranno
soprav-vivere e riprodursi socialmente solo quei soggetti e quelle
comunità che sapranno fare “sistema” meglio de-gli altri. E per
fare sistema si intende
la capacità di interazione e sinergia, di coordinamento e
cooperazione tra le singole istituzioni, per disegnare ed attuare
un comune percorso pro-gettuale.
In questo campo purtroppo ac-cusiamo dei ritardi e delle lacune
molto forti. Non tanto o non solo a causa della mancanza di risorse
o di strumenti, che ci sono, quanto per la gracilità di quella che
potremmo defi nire la nostra “classe pesante”, la nostra “classe
dirigente cultura-le”. Siamo incapaci di riprodurre in modo suffi
cientemente veloce e nella quantità necessaria dei quadri dirigenti
di alto livello per le nostre istituzioni, un adeguato numero di
manager, specialisti ed operatori cul-turali. Al nostro sviluppo
culturale, che certamente sussiste, manca cioè
Ad ogni modo non possiamo stare fermi e sviluppare unicamente la
let-teratura della memoria, sviluppare in-somma la cultura dei
morti.
Personalmente, per tornare ai gior-ni nostri, quale
caporedattrice de “La Battana”, credo di aver dato un con-tributo
all’espansione tematica an-che con l’ultimo numero della rivista
completamente incentrato sull’amore. A mio modo di vedere si tratta
di una novità assoluta a livello culturale non solo nell’ambito
della minoranza ma anche più in generale per quel che ri-guarda le
attuali riviste culturali. Con un numero tematico dedicato
intera-mente all’amore si voleva tra l’altro stimolare gli uomini
di cultura della minoranza, obbligarli al confronto. Tuttavia si è
registrata l’assenza pro-prio di quelli che avrebbero dovuto
ac-cettare questa provocazione per darsi agli altri verso
l’esterno, per superare questa solita chiusura, questa
proble-matizzazione centripeta volta a guar-darsi sempre
dentro.
Stando alle dichiarazioni dell’ex direttore del Dramma Italiano
San-dro Damiani, dichiarazioni consulta-bili su Internet, la scarsa
presenza di pubblico agli spettacoli del Dramma Italiano e l’esiguo
numero di lettori del quotidiano “La Voce del Popo-lo” sarebbero
dei dati che consento-no di parlare di fallimento del pro-getto
“Cultura italiana in Croazia e Slovenia”.
Juri: Da un punto di vista così come focalizzato da Damiani,
po-tremmo dargli pienamente ragione se fermiamo tutto su un’analisi
stati-stica. D’altra parte, come diceva giu-stamente Scotti, una
popolazione che è pari a quella di Monfalcone, ha una grossa
concentrazione di attività cul-turale. Ma qui si deve dire che si
trat-ta di un’attività culturale frenetica e in quanto tale
piuttosto anomala. Ciò che cosa signifi ca? Innanzitutto può
signi-fi care che siamo una comunità nazio-nale mal strutturata,
cioè siamo tutti puntati al terziario avanzato, al terzia-rio più
sublime cioè alla cultura.
un’iperproduzioneannacquata
e senza veicolazione Gli esponenti della minoranza
sono per professione o insegnanti, o giornalisti, o attori e
registi o funzio-nari e in virtù di questa strutturazione la CNI
riesce in qualche modo a resi-stere culturalmente, linguisticamente
ed anche fi nanziariamente perché que-sta struttura viene come tale
fi nanzia-ta. Non esistono altre occasioni eco-nomico-sociali per
questa minoranza, c’è soltanto la cultura. Una volta col-ta questa
cornice, è chiaro che una va-lutazione sulla fortuna o meno di un
prodotto culturale deve essere analiz-zata in questo contesto, in
questa real-tà. Questa concentrazione di elementi di produttività
artistica nella minoran-za produce naturalmente dei benefi ci, ma
si presta anche a qualche rischio. Il rischio è quello della maxi
produzio-ne, che poi viene sigillata, e suggellata dalle Istrie
Nobilissime, dai vari spet-tacoli e così via. In realtà si corre il
ri-schio di un annacquamento qualitati-vo nel discorso culturale.
Mi sembra, e questo è un discorso che faccio da anni, che la
minoranza non abbia an-cora colto quelle grandi occasioni che, in
quanto minoranza presente in una realtà interculturale, si trova di
fronte. A mio parere si è portato avanti il di-scorso della cultura
del gruppo nazio-nale italiano a due livelli: uno è quello della
culturale locale, e mi sembra che pensando a questo primo livello
dei
In un momento in cui la sfi da del multiculturale, dell’altro e
del diver-so è decisamente trandy e dunque di forte seduzione, come
fare per produrre una cultura attuale e valida di fronte alla
necessità di conservare l’identità che fi nora si è fondata su
opere che sostanzialmente propone-vano il recupero della memoria?
Si può davvero essere glocal ovve-ro, si possono raggiungere
traguar-di globali proponendo tematiche lo-cali?
Gamboz: Ogni proposta cul-turale è originariamente locale. I
sentimenti, le tensioni e moti d’ani-mo dell’uomo sono
essenzialmen-te “locali”: si diventa globali quan-do ci si unisce
in un panorama più ampio con altre sensibilità locali. Si può avere
lo stesso sentire a Capodi-stria, come a Roma, come a Berlino. Io
ho una doppia identità, italiana e slovena, il gruppo teatrale con
il qua-le lavoro è un melting pot che anche in quanto tale diventa
interessante al mercato. Anche chi non è bilingue è affascinato
dalla diversità. Quindi personalmente, in quanto a ragioni
familiari, appartengo alla minoran-za, ma gli argomenti che tratto
sono quelli universali e quindi il teatro per me ha senso di
esistere se diventa in-contro e confronto tra le culture che vivono
su un territorio e come tale allarga il mercato. Non ci sono poi
tante alternative, i ministeri non sono retti dalle minoranze ma
operano pri-mariamente in funzione delle culture nazionali. Quindi
possiamo sperare di tenere vivi i nostri prodotti cultu-rali se
proponiamo un discorso che sia interessante non soltanto alla
mi-noranza, bensì ad un pubblico e dun-que ad un mercato più
vasto.
Juri: Il nostro discorso cultura-le non si può ridurre
unicamente alla cultura autoctona che vogliamo tra-mandare di
generazione in genera-zione con il recupero e lo scavo nella
memoria, con lo scavo nelle tradizio-ni che in qualche modo
rappresenta-no la continuità di questa comunità. Andare oltre
signifi ca affrontare il grande dilemma dei nostri operato-ri
culturali: quale cultura mediare al proprio pubblico. Sempre che
pub-blico ci sia. A mio modo di vedere dobbiamo e possiamo
spingerci al di là della produzione culturale pro-pria nazionale e
folcloristica per di-ventare mediatori di cultura. Penso che ciò
rappresenti una grande op-portunità per gli italiani che vivono in
Istria e nel Quarnero e forse anche
in Dalmazia. I giovani non vogliono più sentirne di archeologia
culturale, chiedono una cultura che sia capace di mediare i valori
del presente. La crisi esistenziale che in questo mo-mento è
presente in tutto il mondo, i dubbi e le incertezze di fronte alle
guerre, alle domande sul bene e il male, sulla violenza, sono
argomen-ti universali e che vanno incanalati anche attraverso le
nostre istituzio-ni. L’Unione Italiana è certamente in grado di
farlo, tenendo conto che non ci si può rivolgere unicamente alla
minoranza perché questa mino-ranza non c’è più. In Slovenia siamo
un club di tifosi di una squadra pro-vinciale”.
Come fare affi nché le aperture multi e interculturali non
vadano a diluire la dimensione culturale iden-titaria e a favorire
l’assimilazione?
Tremul: Dobbiamo operare su più livelli. Il primo è quello di
soste-nere e sviluppare quella che è la pro-duzione legata alla
nostra identità di minoranza. Un altro è sicuramente quello di
cercare di essere veicolo della cultura italiana qui, di essere
veicolo della cultura slovena e croa-ta verso l’Italia e verso noi
stessi, un altro ancora può essere quello di di-ventare il luogo
d’incontro e collabo-razione tra le componenti che vivono in questo
territorio più vasto, dun-que l’Istroquarnerino, il Friuli Vene-zia
Giulia ed il Veneto. Lo possiamo fare in primo luogo appoggiandoci
ai
progetti Europei che sono importan-ti perché ci costringono a
pensare in maniera diversa. Detto in altri termi-ni, con le risorse
dell’Italia sviluppia-mo progetti atti a mantenere l’identi-tà
culturale della CNI, con l’Europa facciamo una cosa che non è
riferita solo alla minoranza ma anche ad un pubblico più ampio in
un cui la mi-noranza è un soggetto portatore di una ricaduta sul
territorio nel quale gli utenti non sono soltanto gli ap-partenenti
CNI. Credo inoltre che si debba impegnare di più per favorire la
veicolazione della nostra produ-zione nei media culturali dei paesi
domiciliari e in Italia. Dobbiamo far-lo anche perché la nostra
produzione letteraria o artistica deve entrare nel-la storia della
letteratura e nella storia di all’arte dell’Italia, della Croazia e
Della Slovenia. Pur trattandosi di cultura italiana è parte di un
patrimo-nio culturale di tre paesi.
La nostra minoranza in campo culturale sta operando con la piena
convinzione che ci si debba aprire, che ci si debba confrontare e
colla-borare con gli altri. Tuttavia si deve ricordare che questo
tipo di proiezio-ne verso lo scambio e l’osmosi inter-culturale non
è propriamente diffusa nel panorama croato e sloveno che sono molto
più chiusi e molto meno permeabili al multiculturale e al
con-fronto di identità e di culture. Sono mondi spesso refrattari
proprio verso la cultura italiana. Noi siamo dunque
chiamati ad agire nella società affi n-ché questa capacità di
interlocuzione e di dialogo culturale e di sana conta-minazione ci
sia da tutte le parti per-ché altrimenti sì che si corre il rischio
dell’estinzione della componente mi-noritaria.
Gamboz: Non si tratta assolu-tamente di cedere la propria
identi-tà culturale ad un altro. Qui si vuo-le spezzare una lancia
in favore della capacità di confrontarsi. Noi siamo ciò che siamo
unicamente se siamo forti dal punto di vista individuale,
identitario e della qualità. Può ce-dere il passo alle paure
dell’assimi-lazione soltanto chi è debole dentro. Io non ho timori
di alcun genere. Di che cosa dovrei avere paura? Ho la certezza che
aprirsi al confronto è spargere il seme di una nostra nuo-
va crescita, è il fi orire della nostra ricchezza.
Scotti: Non dobbiamo avere paura dell’assimilazione. Abbiamo
un’identità culturale molto forte e la nostra forza deve spingerci
ad uscire dal ghetto, come del resto abbiamo sempre fatto. Non
dobbiamo cade-re nella falsa convinzione che chiu-dendoci ci si
possa conservare me-glio. Noi l’incontro l’abbiamo favo-rito
sempre, basti pensare alla nostra rivista letteraria La Battana
nelle cui pagine si incontrano tanti mondi culturali, tante
poetiche che fanno di essa una rivista diversa, stimolante,
mediatrice.
Giuricin: A mio modo di vede-re siamo nel mezzo di un equivoco
per il quale il provincialismo viene scambiato per chiusura. Se la
nostra
minoranza da un punto di vista cultu-rale ha una pecca, non è
quella della chiusura, perché la nostra minoranza è storicamente,
sin dai tempi di Se-qui e di Turconi, una delle minoran-ze più
aperte dal punto di vista socia-le, politico, culturale. Basti
pensare alla composizione nazionale degli alunni delle nostre
scuole, campo in cui certamente deteniamo un pri-mato d’apertura.
Interscambiare non signifi ca annacquarci oppure assimi-larci
perché nei modi e nella qualità dell’interscambio culturale
rimania-mo consapevoli della nostra identi-tà. Casomai dobbiamo
rafforzare ul-teriormente la nostra presenza. Dun-que il problema
non sta nella chiusu-ra che assolutamente non c’è, ma nel
provincialismo, nel fatto che per una serie di motivi anche
storici, spesso
non riusciamo, a parte lodevoli ecce-zioni, a produrre cultura
di alta qua-lità. Se noi vogliamo andare a fare quel discorso di
soggetto e fattore attivo nell’interscambio multicultu-rale
dobbiamo portare delle propo-ste culturali alte. Come lo stiamo
fa-cendo nel caso degli artisti fi gurativi che, tanto per fare un
esempio, costi-tuiscono l’ossatura del panorama ar-tistico della
città di Fiume.
Juri Uno dei nostri compiti è quello di penetrare nel circuito
cul-turale della maggioranza, specie di quella maggioranza presente
sul no-stro territorio: si tratta di un pubblico che tramite la
cultura della minoran-za ritrova anche un aspetto della pro-pria
peculiarità rispetto al resto della società. La voglia di
interferenza cul-turale c’é anche nel tessuto maggio-ritario,
quindi bisogna cogliere que-sti momenti e approfi ttare per esse-re
mediatori di questa nuova sintesi culturale.
Tremul La CNI ha saputo esse-re in questi anni protagonista di
de-terminati rinnovamenti e ha sapu-to fare da apripista non
soltanto in campo culturale, ma anche in quel-lo sociale e
politico. Basti pensare ai nostri sforzi pionieristici per
ricom-porre il dialogo con gli esuli, oppu-re ricordare
l’esperienza di Gruppo ’88 che è stato il luogo di rinnova-mento
civile e democratico che ha investito non solo degli Italiani, ma
gran parte della società. Ora dobbia-mo fare un nuovo salto di
qualità. Dobbiamo elevare il nostro tasso di produzione culturale
evitando i giri provinciali, semplicemente perché il mondo cambia.
Dobbiamo metter-ci in discussione, capire dove e come dobbiamo
andare, senza per questo rinnegare quello che abbiamo fatto e senza
rinnegare la nostra cultura e la nostra identità.
Gradito ospite del dibatti-to è stato anche il Direttore
dell’Istituto Italiano di Cultu-ra a Zagabria Favio Andreis al
quale abbiamo chiesto un giudizio sulla nostra cultura. Siamo
“vecchi” e provinciali oppure, seppur dalle “bran-chie”, respiriamo
ancora?
Andreis: Mi sembra che, considerando anche la sua grandezza
numerica, la Co-munità italiana, nonostante le diffi cili vicende
storiche at-traverso le quali è passata ne-gli ultimi decenni, sia
riuscita notevolmente a consolidare il proprio tessuto culturale.
Poi c’è tutta la struttura politica-amministrativa che mi sembra
piuttosto ben congegnata. For-se questa sorta di collegamen-to e
collaborazione, ma anche di dipendenza dall’Università Popolare di
Trieste, questa cer-niera nei confronti del nostro Ministero degli
Affari esteri a Roma, crea qualche inceppa-mento. Nell’insieme la
mia è un’impressione positiva. Tutto sommato mi pare che è quasi
soprendente come nonostan-te tutto e nonostante anche l’abbastanza
recente spaccatu-ra derivata dalla divisione tra due Paesi la
cultura della mi-noranza italiana dell’Istria e del Quarnero, della
Dalmazia molto meno, sia riuscita a con-solidarsi ad un livello
piuttosto notevole”.
Nel momento in cui in Ita-lia, ma anche in Europa, i valori
nazionali sono torna-ti alla ribalta, c’è o non c’è, da parte del
Governo italiano, un preciso indirizzo culturale strategico nei
confronti della nostra comunità?
Andreis: La riscoperta del-l’identità, della bandiera, della
Patria che si notano in questi tempi precede questo gover-no e si
può far risalire all’epo-ca della nascita della Lega Nord. Alcune
di quelle idee oggi hanno raggiunto anche la sinistra. Nella
promozione culturale, la politica italiana è molto meno mirata
rispetto a quella della Francia, della Gran Bretagna o della
Spagna. Gli Istituti Italiani di Cultura hanno delle direttive
abbastan-za generali che sono uniformi per tutti. Io devo dire che
non ricevo delle direttive specifi -che organiche in riferimento
alla CNI, solo qualche sugge-rimento, comunque niente che si possa
tradurre in programmi operativi con priorità ben deli-neate né
tantomeno in voci di bilancio.
Dalla prima pagina
IL TEMA
La sfi da dell’interculturalità
A cura di Silvio Forza, foto di Graziella Tatalović
Alla minoranza serve una “regia” per sventare i pericoli di
nazionalpopolarizzazione e i rischi di assimilazione
Un «new deal» per ripensare la cultura CNI L’Italia e
noisuccessi e dei passi avanti si siano fat-ti. Girando per
l’Istria ho visto come mai prima una presenza culturale lo-cale
dovuta anche a questo sviluppo delle Comunità degli Italiani, una
pre-senza fi sica di vani, di spazi restaura-ti, che ha dato
impulso anche nei posti più reconditi dell’Istria dove si pensa-va
non ci fosse più anima viva.
Il secondo livello è quello della cultura nazionale, quindi del
mediare, o dell’essere appendice del discorso culturale della
nazione madre e quindi di riproporre in questo ambito valori che si
affi anchino a quello nazionale. Qui il problema non riguarda solo
la minoranza ma anche l’Italia. C’è una crisi culturale in Italia,
ma anche più universale, soprattutto laddove il mito
nazionalpopolare sta diventando do-minante. In questa situazione,
lo spa-zio per la cultura vera, che è sempre critica, si fa
angusto, per cui abbiamo
il paradosso per il quale la minoranza, seguendo la Nazione
Madre, può in-correre nel pericolo di una nazionalpo-polarizzazione
della propria cultura il che coinciderebbe con un suicidio per una
minoranza come la nostra.
l’arte qualemediatrice di valori
etici ed esteticiIl terzo livello è quello della cul-
tura con la “C” maiuscola, la cultura come mediatrice di
elementi etici ed estetici. E qui insorge il problema. Riusciamo
noi, come minoranza, a raccogliere le sfi de della vera cultu-ra?
Una domanda a cui io non so ri-spondere anche perché entriamo in un
ambito che esige meno sudditan-za sia dal mercato, sia dalle
istitu-zioni che aiutano la cultura sempre in funzione dei propri
interessi.
Tremul: In realtà scontiamo una cultura della comunità
nazio-nale che tutti quanti erroneamente defi niamo molto chiusa,
autorefe-renziale, spesso poco aperta, mar-ginale. Noi ci troviamo
ad essere gli eredi di una situazione in cui la presenza della
nostra storia è fatta di una ghettizzazione che è durata per
decenni. Per troppo tempo la comu-nità italiana, ciò che ne è
rimasto, è stata ghettizzata da altri, compressa, costretta a fare
le proprie rassegne, le proprie cose. Per strada abbiamo perso
molte generazioni, per motivi anagrafi ci siamo rimasti senza
mol-ti dei padri fondatori. Ora davan-ti a noi abbiamo un incarico
molto diffi cile che è quello di innovare e ringiovanire il nostro
modo di pen-sare, il nostro modo di essere. Con l’ingresso
nell’Unione Europea (la Croazia), ma dovremmo farlo sin
una “regia”, un quadro progettuale e strategico complessivo. E
soprat-tutto, manca una politica dei quadri in grado di garantirci
uno “staff in-tellettuale”. Uno staff che sia dotato delle
competenze e, soprattutto, della consapevolezza e della tensione
etica indispensabili a cogliere le sfi de del nostro futuro. Da
anni stentiamo a ri-dare slancio e a far ripartire il Circo-lo dei
poeti letterati ed artisti, avver-tiamo l’esigenza di un
rinnovamento
di “Istria Nobilissima”, che però non riusciamo a rilanciare in
modo nuo-vo ed originale. Si parla da tempo della necessità di
rendere fi nalmen-te autonomo il Dramma Italiano, e di affi dargli
anche il ruolo di agente e di organizzatore delle migliori presenze
teatrali italiane nei cartelloni ed i re-pertori teatrali in
Slovenia e Croazia. Manchiamo anche di gallerie perma-nenti, di
nostra proprietà, per valo-rizzare adeguatamente i nostri artisti,
In defi nitiva dobbiamo essere capaci di offrire gli strumenti
opportuni, al-trimenti chi produce cultura e crea-tività se ne
andrà altrove. Dobbiamo fare politica culturale.
Gamboz: Visto che noi abbia-mo queste istituzioni, questa
presen-za storica, possiamo dare ai giovani l’opportunità di
crescere e rimanere qui? Per questa mancanza di rispo-sta, ahimé,
molti giovani se ne sono andati altrove. La mia generazione, fatta
di persone estramemente va-lide, praticamente è scomparsa dal
territorio.
Marchig: Il problema sta in chi guida le istituzioni, in chi
guida que-sto sistema, quali idee propone, quali sono le sue
capacità di apertura ver-so i nuovi progetti. L’unica cosa che si
riesce ad esportare realmente è il progetto. Il fatto di
presentarci come minoranza, se non c’è il progetto, in Europa è
insignifi cante.
Tremul: Abbiamo fatto delle cose importanti e rilevanti. Siamo
giunti ad un punto di criticità, e la crisi è il momento in cui si
diventa qualcosa di diverso. Dobbiamo ridi-ventare propositivi,
saper riproporci come ruolo e come funzione. Credo che noi abbiamo
la forza di farlo e lo faremo meglio se sapremo confron-tarci anche
con idee diverse.
Quali dunque le prospettive di sviluppo della cultura della
nostra minoranza?
Giuricin: Esse non potranno che dipendere dalla vitalità, l’effi
-cienza e la capacità progettuale com-plessiva del “sistema
culturale” che la CNI riuscirà a mettere in campo. La nostra
minoranza ha sempre avu-to e continuerà ad avere una cultura fatta
da soggetti ed autori isolati. Sia-mo sempre stati – parafrasando –
un piccolo popolo di artisti, poeti e let-terati. Ma questo non
basta: questo “piccolo popolo”, se non farà siste-ma, rischia di
scomparire. Sulla car-ta abbiamo milioni di euro messi a
disposizione dallo Stato italiano per le nostre necessità sociali e
cultura-li. Perché non concentrare gli sforzi e le risorse per
sviluppare un nuo-vo, grande quadro di sviluppo del-la cultura
della minoranza? Perché non mobilitare tutti i nostri miglio-ri
intellettuali attorno al progetto di un “new deal” culturale della
comu-nità nazionale? Si tratta di una gran-de sfi da da cui può
dipendere il futu-ro stesso dei “rimasti”. Perché se sa-premo
riprodurre cultura riusciremo anche a mantenere la nostra presenza
sul territorio, a contare socialmente e politicamente e a
fronteggiare ade-guatamente le ricorrenti insidie dei censimenti.
Non dobbiamo avere paura di essere in pochi, ma di non essere
all’altezza delle sfi de che ci aspettano.
Giacomo Scotti Laura Marchig
Maurizio Tremul Ezio Giuricin Franco Juri Martina Gamboz
Flavio Andreis
5
Un momento del dibattito promosso dal nostro quotidiano
-
6 cultura
Eterogeneità formale e tematica unita a qualità. Temi che vanno
da motivi di guerra a mondi racchiu-si in una scatoletta, da
emotività a razionalità ed esperimento. La mostra "Ek-sistere" è
una selezio-ne riuscita di opere di artisti riu-niti nell’HDLU fi
umano (Società croata degli artisti fi gurativi) fi r-mata dallo
storico d’arte Branko Cerovac, nella quale hanno trovato posto i
temperamenti più disparati che insieme hanno dato vita ad una bella
avventura artistica nella gal-leria fi umana “Kortil”. Ma, vedia-mo
un po’ di che si tratta… La mo-stra si apre con due dipinti
astrat-ti di Dražen Pilipović Pegla che sembrano esplorare, da una
parte, l’assenza del colore e, dall’altra, l’effetto di un gioco di
tratti cir-colari colorati. Da segnalare, a questo punto, la
mancanza, al-quanto inspiegabile, di legende recanti i titoli delle
opere espo-ste, il che rende in certi casi diffi cile la
comprensione di un buon numero di lavori, ma allo stesso tempo
offre allo spettatore la libertà d’inter-pretazione. Siamo così
libe-ri di interpretare il quadro-scultura di Sanja Švrljuga Milić,
realizzato in me-tallo, come una fi nestra inquietante attraverso
la quale è pericoloso sporgersi. Lungo la su-perfi cie metallica
del quadro si individua-no frammenti di teste umane che rendono
ancora più sconcer-tante questo assem-blaggio suggesti-vo, quasi
una “fi -nestra dell’orro-re”. Tomo Gerić si presenta con una
“decompo-sizione” del-la sfera in toni
di nero e grigio che sembra “aprirsi”
in sezioni regolari, dando
in questo modo un tocco di dina-mismo al dipinto di natura
essen-zialmente razionale. Lo stesso non si può constatare per il
trittico di stampo espressionista eseguito in
tecnica mista di Boris Kačić, che ci invita ad entrare nel suo
mon-do un po' malinconico. Spiccano nei suoi tre dipinti tre fi
gure umane stilizzate e un po' infantili, immer-se in una ricca
gamma di tonalità bluastre e verdastre con accenti di porpora
brillante e circondati da fi ori e uccelli. È questo un mondo ricco
di sfumature, ingenuità ed innocenza. mentre i suoi tre uomi-ni
dalle grandi teste e dagli occhi tristi e sognanti sembrano
parlar-ci dell'anima sensibile e dolce del-l'artista. E di libertà
d'espressione. Molto simile, ma eseguito in una tecnica diversa, è
il grande qua-dro di Marina Banić, diviso in se-zioni e realizzato
con rose di carta colorate. Ne è venuta fuori un'ope-ra allegra e
divertente che asso-miglia molto ai dipinti divisionisti dell'epoca
impressionista. Infatti, appena allontanandoci dall'opera vediamo
emergere dalla miriade di colori una lucertola rosa e un viso che
sembra quello di una donna. Un mondo a sé è l'opera di Jasna
Šikanja, che ci commuove con la sua delicatezza. Il fotografo Istog
Žorž ha, invece, ideato un'intera costruzione di metallo per
mostrar-ci una piccola foglia di vite che si rifl ette in uno
specchietto, mentre Zdravko Milić crea una serie di variazioni sul
tema della montagna realizzate in una tecnica particola-re e tutta
sua. Ma quest'esposizione non si esaurisce in opere emotive e
poetiche. Alcuni autori si presenta-no molto critici nei confronti
della
realtà in cui viviamo, esplorandone gli aspetti più
problematici. Così, Izabela Stančić Peculić critica la cultura del
consumismo sia nel-la società che nella chiesa e lo fa nel dipinto
in cui è raffi gurata una scatola di cioccolatini "marchiati" con
dei crocifi ssi di plastica. Nep-pure i simboli sacri hanno un
va-lore ideale nella società in cui vi-viamo e, tristemente, ogni
cosa ha un prezzo. Un messaggio simile lo recano anche i tre vasi
“cine-si” di Lara Badurina, acquistati a buon prezzo. I tre vasi,
identici tra di loro, sono stati rotti e ricom-posti in tre modi
diversi e ciascuno è stato poi inserito in una custodia di vetro. È
questa una trovata spi-ritosa che gioca con il “valore” dei vasi.
Infatti, esposti in questo modo sembrano acquisire più im-portanza
– la confezione li rende più preziosi. Il quadro di Bogumil
Karlavaris, composto da simboli araldici combinati a riproduzioni
di dipinti classici raffi guranti una battaglia, è una critica
della guer-ra realizzata con un tocco d'ironia, mentre Zlatko
Kutnjak si sbizzarri-sce giocando con simboli di diversi regimi che
opprimevano milioni di persone nel corso della storia,
in-cludendovi anche il simbolo della croce in tono polemico. La
scultura è rappresentata da opere di Mirko Zrinšćak, che dimostra
sensibilità nel lavoro con il legno, da Zvoni-mir Kamenar, il quale
gioca con la scena politica attuale, da Goran Nemarnik Gus e Eugen
Vodopivec Borkovsky, i quali si esprimono con il metallo. Alla
mostra si pos-sono ammirare pure opere di Ma-rijan Blažina, il
quale crea una rappresentazione piuttosto realista delle onde
marine osservate dal-l'alto e Melita Sorola Staničić che gioca con
i cerchi rossi. Un distac-co verso l'esperimento lo dimostra Bruno
Paladin nel proprio trittico astratto, mentre Celestina Vičević
crea delicati “disegni d'acqua” su vetro. Karlo Došen infi ne si
pre-senta con un trittico di fotografi e inquietanti e misteriose
realizzate in una chiesa e in un convento.
Sabato, 26 marzo 2005
MOSTRE LOCALI
ARTE: GRANDI EVENTI
Mondrian a passo di Boogie WoogieRoma, Vittoriano Munch
1863-1944Una personalità curiosa e tormentata,
una vita vissuta con angoscia e tristezza. Un temperamento
ardente nato tra la neve e il gelo della Norvegia. Stiamo parlando
di Edvard Munch, uno dei più grandi ar-tisti di tutti i tempi, che
con la sua opera pittorica ha infl uenzato le generazioni a venire
ed ha lasciato capolavori indimen-ticabili. Tra questi è
impossibile non no-
minare il famosissimo “Grido” – un vero e proprio ritratto
dell’angoscia che con la propria forza colpisce a fondo lo
spettato-re. C'é una curiosità legata a Munch: tene-va i suoi
dipinti all’aperto, esposte alle in-temperie e agli escrementi di
insetti perché riteneva che dopo tale trattamento le com-binazioni
dei colori risultassero migliori. La mostra di oltre 100 opere tra
oli e gra-
fi che, provenienti dalla "Galleria naziona-le" e dal "Museo
Munch "di Oslo, è aper-ta fi no al 19 giugno presso il Complesso
del Vittoriano a Roma. Tra i capolavori in mostra pure "Natale al
bordello", "Model-la zingara", "Ragazze sul ponte", "Chiaro di
luna"...
Vienna, Galleria Albertina 90 Capo-lavori di Mondrian
I suoi quadri, se ne vendeva alcuno, ve-nivano acquistati sempre
a prezzi bassissi-mi. Ora valgono milioni e rappresentano le vette
massime dell’astrazione nella pittura. Un'assurdità: la prima e
unica mostra per-sonale l'ha avuta a settant'anni. Piet Mon-drian
ha iniziato il suo percorso pittorico di-pingendo paesaggi e quadri
carichi di sim-bolismo, avvicinandosi anche al cubismo e
all’espressionismo. Con il tempo, i suoi paesaggi e alberi sono
diventati sempre più stilizzati e geometrizzati. Mondrian ha
abolito dai suoi dipinti, organizzati in modo asimmetrico e allo
stesso tempo armoniosi ed equilibrati, la diagonale e il colore
verde, che non sopportava. Sono nati così i suoi quadri più famosi,
tra cui il “Broadway Boogie Woogie” nel quale l’artista ha volu-to
rappresentare una notte sulle strade della mondana New York. Perché
Boogie Woo-gie? Perché Mondrian era una ballerino ap-passionato. La
mostra è aperta fi no al 19 giugno presso l’Albertina di
Vienna.
Roma, Scuderie del Quirinale Capo-lavori del Guggenheim – Il
grande colle-zionismo da Renoir a Warhol
All'eccezionale mostra allestita presso le Scuderie del
Quirinale a Roma, sono state esposte 83 opere di una cinquanti-na
di grandi nomi dell'arte di tutti i tempi, tra i quali Monet, Klee,
Pollock, Picasso, Matisse, Chagall, Rauschenberg... È que-sta
un'ottima occasione per conoscere la storia di un importante museo,
nato dal-l'entusiasmo e amore per l'arte di Solomon e arricchito
ulteriormente da Peggy Gug-genheim. I capolavori esposti a Roma
pro-vengono dal museo Guggenheim di New York - il cui noto edifi
cio circolare, proget-tato dal famoso Frank Lloyd Wright, è di per
sé un'opera d'arte - da quello di Bilbao e dalla collezione di
Peggy Guggenheim del palazzo Venier dei Leoni a Venezia. Un tesoro
artistico inestimabile. (hl)
3 marzo, Trieste: presentato il volume “TRIESTE-EUROPEAN
POETRY”. La pubblicazione, cu-rata da Gerald Parks, Aleksij
Pregarc, e Marina Moretti per l’Associazione Iniziativa Europea –
InEuropa, raccoglie i lavori di POETI TRIESTI-NI DI DIVERSA
MADRELINGUA (slovena e friulana) che mettono in risalto l’anima
com-plessa di una città simbolo, oggi punto d’incon-tro di una
nuova Europa.
4 marzo, Fiume: promosso presso la Comunità degli Italiani il
LIBRO “EL BALON FIUMAN QUANDO SU LA TORE ERA L’AQUILA” dello
scrittore milanese Luca Dibenedetto. Il li-bro è dedicato al calcio
fi umano nel trentennio che va dal 1918 al 1948.
4 marzo, Lubiana: inaugurata all’Istituto Italiano di cultura
una personale dell’ARTISTA LIGU-RE MARCO CASENTINI.
9 marzo, Lago di Garda: la scrittrice, poetes-sa e traduttrice
CROATA LJERKA CAR MATUTINOVIĆ è stata insignita del premio “CITTÀ
DI SALÒ” al concorso Internazionale per la poesia e la prosa.
Premiata pure ISABEL-LA FLEGO di Capodistria.
11 marzo, Parenzo: presentata la raccolta di poe-sie di MILAN
RAKOVAC dal titolo “CHA FOR KIDS” pubblicata da “Školska knjiga” di
Zagabria.
11 marzo, Capodistria: a Palazzo Manzioli pre-sentate le
interessanti pubblicazioni i “COGNO-MI TRIESTINI” di Marino
Bonifacio e “LE PERLE DEL NOSTRO DIALETTO” di Ondi-na Lusa.
15 marzo, Pirano: la giunta municipale ripristina il PREMIO “SAN
GIORGIO”.
15 - 20 marzo: GITA CULTURALE per i soci del-le CI di Umago e S.
Lorenzo-Babici che visita-no Napoli, il Vesuvio, Capri e
Pompei.
16 marzo, Lipsia: la scrittrice croata SLAVENKA DRAKULIĆ è stata
premiata con il “CITTÀ DI LIPSIA (LEIPZIG) ”, premio per la
promozio-ne delle integrazioni europee.
16 marzo, Zagabria: all’Istituto Italiano di Cul-tura presentata
LA “GRAMMATICA DELLA LINGUA CROATO-MOLISANA” di Antonio
Sammartino.
18 marzo, Pola: presentata presso la CI di Pola la MONOGRAFIA “I
BOMBARDAMENTI AL-LEATI SU POLA” del ricercatore Raoul Maršetić del
Centro di Ricerche storiche di Rovigno
18 marzo, Castelnuovo (Rakalj): allestimento in via permanente
del lascito etnografi co, lettera-rio e scientifi co del
pubblicista ed economista istriano Mijo Mirković - MATE BALOTA
pres-so la sua casa natale di Castelnuovo, recente-mente restaurata
all’uopo
20 marzo, Pola: alla Biblioteca cittadina di Pola il sindaco
Luciano Delbianco inaugura la mostra “LIBRI, BIBLIOTECHE E
BIBLIOTECARI NELLA LETTERATURA ITALIANA” che met-te in esposizione
libri di Alvaro, Bassani, Eco, Pi-randello, Bevilacqua, Calvino ed
altri.
20 marzo, Zagabria: parte il festival internaziona-le del FILM
AMATORIALE.
21 marzo, Pirano: alla Comunità’ degli Italiani “Giu-seppe
Tartini” presentata la raccolta di poesie “Una voce sommessa” di
ADELIA BIASIOL. Il volume della scrittrice prematuramente scomparsa
quattro anni fa, che ripercorrere il suo cammino letterario
attraverso liriche legate al territorio istriano e alla sua gente,
è stato curato da Anita Forlani.
21 marzo, Zagabria: in collaborazione con il Ga-binetto della
Grafi ca dell’Accademia Croata delle Scienze e delle Arti
all’Istituto Italiano di Cultura è stata inaugurata la MOSTRA
“GRA-FICA ITALIANA DEI VECCHI MAESTRI DAL XVI AL XIX SEC”.
22 marzo, Lubiana: all’Istituto Italiano di Cultura incontro con
EDOARDO ERBA. Lo scrittore, formatosi alla scuola del Piccolo
Teatro di Mila-no, è autore di testi teatrali, tra i quali
«Marato-na di New York» tradotta in otto lingue e rappre-sentata in
13 paesi. È stata messa in scena anche dal Dramma italiano di
Fiume
23 marzo, Pirano: alla Comunità degli Italiani è stato
presentato il libro “Sindrome da frontie-ra – I ricordi di uno
sconosciuto” di ALJOŠA CURAVIČ.
Ondina Lusa di Pirano,
autrice dell’interessante
volume “Le perle del nostro
dialetto”
BRICIOLE DI CULTURA
Sguardo a ritroso
Piet Mondrian: Broadway Boogie Woogie
Edvard Munch: La danza della vita
«Ek-sistere» tra razionalità ed emozionidi Helena Labus
Scultura di Mirko Zrinšćak
I cioccolatini “anticonsumistici”di Izabela Stančić Peculić
FOTO
GRA
ZIE
LLA
TAT
ALO
VIĆ
-
cultura 7
Regia di R. Marshall Thurber. Con Vice Vaughn, Ben Stiller,
Christine Taylor.
Sabato, 26 marzo 2005
IL FILM DEL MESE
CINEMA VIDEO E DVD
Film bellissimo, diretto e re-citato alla grande. Merita tutto
quello che ha vinto. È la storia di Frankie Dunn, interpretato da
un bravissimo Clint Eastwood, un al-lenatore di box di vecchio
stampo. Il suo mondo è un “buco” di pale-stra, dove passa tutto il
suo tempo ad allenare pugili e a polemizzare con l'amico nonché
aiutante Scrap (Morgan Freeman, premiato con l'Oscar). La palestra
viene fre-quentata da Maggie, una ragazza che ad ogni costo vuol
essere alle-nata da Frankie per poter combat-tere. Il fi lm ci
narra, dunque, del rapporto di Frankie, proprietario della
palestra, e Maggie, che so-gna di fare il pugile. Tra i due
na-scerà un rapporto che sfi ora il le-game padre-fi glia.
La protagonista principale, Hi-lary Swank, grazie a questo fi
lm, ha vinto il suo secondo Oscar come miglior attrice. La prima
volta ha avuto la statuetta del-l'Academy per “Boys Don't Cry”
(1998) in cu la Swank interpreta-va un ragazzo! Questo secondo
Oscar dimostra due cose: primo, che si tratta di una straordinaria
attrice e, secondo, che il primo
Oscar non fu casuale, come soste-nevano molti critici e presunti
tali.
Grandissima prova di Clint Ea-stwood, il quale invecchiando
mi-gliora. Esattamente come il buon vino. Il suo è un cinema già
visto, ossia non propone grosse novità stilistiche o di linguaggio,
tuttavia sa ancora regalarci emozioni for-ti. È un cinema classico,
soprat-tutto nel raccontare le cose, os-sia la storia è tra le più
classiche, vale a dire una ragazza rincorre il suo sogno, che
riuscirà a realizza-re anche se poi questo sogno ver-rà comunque
infranto. Eastwood, nella regia, ha messo parecchio di suo, in
primo luogo usando con maestria le ombre. Sono molte le
scene “all’oscuro”, tante inqua-drature poco o mal illuminate;
si potrebbe defi nire la pellicola un “dark movie” (fi lm scuro) in
senso propriamente letterale.
Venticinquesima regia per Clint Eastwood (ed ennesima pro-va da
protagonista). Dopo il gran-de successo di “Mystic River”, l'ex
pupillo di Sergio Leone torna dietro alla macchina da presa per
dirigere questo fi lm sul pugilato. Il fi lm non è la solita
pellicola che ci racconta dello sport (e qui chi an-cora non ha
visto il fi lm smetta la lettura), ma va oltre per arrivare
ad un argomento ben più scottan-te. Clint parla della box
solamen-te per poter parlare (negli ultimi quindici minuti del fi
lm) dell’eu-tanasia. Una svolta clamorosa: Eastwood, senza peli
sulla lingua, affronta il diffi cile problema del-la morte
assistita (in questo pe-riodo, tristemente molto discussa per il
caso di Terry Schiavo). E senza mezzi termini ci fa capire che
approva l'atto estremo. Anche se, morso dal dubbio, si consiglia
con il parroco della chiesa che fre-quenta ogni giorno. I dubbi,
ovvia-mente, rimangono. (gm)
Million Dollar Baby
Oscar: per Scorsese è notte davvero I più gettonati del
momento...Sembrava la volta buona per
Martin Scorsese; era quasi sicu-ro di poter portare a casa
l’ambi-ta statuetta dorata per la miglior regia. Invece, quasi per
una male-dizione innata, il regista italoame-ricano è rimasto
ancora una volta a mani vuote! Pochi s'immaginano che Scorsese
nella sua lunga car-riera (45 anni a fare il regista) non è mai
stato premiato dai signori del-l'Academy. Cosa molto strana se si
pensa al curriculum di Scorsese. La rincorsa alla statuetta più
ambita,
quella per la regia, era iniziata con “Toro Scatenato” (1980),
un ma-gistrale fi lm sull’ascesa, trionfo e declino del pugile
italo-americano Jack La Motta. Il fi lm in realtà vin-se due Oscar:
miglior attore prota-gonista (Robert De Niro) e montag-gio (Thelma
Schoonmaker). Ma per la regia niente. Stessa identica sor-te per
“L’ultima tentazione di Cri-sto” (1998), fi lm scandalo tratto dal
omonimo romanzo di Nikos Kazant-zakis. Due anni dopo stesso fato
con “Quei bravi ragazzi” (1990), anco-ra una volta
(scandalosamente) niente per la regia, solamente due
premi Oscar a Joe Pesci e Lorraine Bracco, rispettivamente come
mi-glior attore e attrice non protagoni-sti. Il destino da perdente
continua con “L’età dell’innocenza” (1993), che promosse all'Oscar
unicamen-te Gabriella Pescucci per i miglio-ri costumi. Nel 1995
Scorsese vinse il Leone d’oro alla carriera ma già l’anno dopo, il
suo fi lm “Casinò” (1995) venne inspiegabilmente di-menticato dagli
Oscar e il pubblico confuse il fi lm come un remake o se-quel de
“Quei bravi ragazzi”. Nuo-ve speranze di Oscar con il fi lm che è
stato defi nito "la nascita della na-zione secondo Scorsese", vale
a dire “Gangs of New York” (2002): ma in questo caso si può
concordare con la scelta (di non premiare) dei giu-rati
dell’Academy.
Dunque, sei fi lm nominati al-l’Oscar per miglior regia, si sono
rivelati sei delusioni per Scorsese! Quest'anno, alla 77esima
edizione degli Oscar, nuovamente un fi lm di Scorsese, “The
aviator” è tra i su-perfavoriti; sono undici le "nomina-tion",
inclusa quella per la miglior regia e il miglior fi lm. L’altro fi
lm superfavorito è “One million dol-lar baby” di Clint Eastwood,
con sette nominations. Ancora una vol-ta niente di nuovo per
Scorsese: a vincere sarà il fi lm sulla box (e an-che
sull’eutanasia) di Eastwood; la pellicola ha vinto quattro
statuette (pesanti), ossia miglior fi lm, miglior regia (Clint
Eastwood), miglior at-trice protagonista (Hilary Swank) e miglior
attore non protagonista (Morgan Freeman). A perdere, è il fi lm di
Scorsese, anche se vince cinque statuette, ma sono tutti pre-mi di
consolazione (o di tipo tecnico come montaggio, scenografi a,
co-stumi e fotografi a), eccetto quello per miglior attrice non
protagonista vinta da Cate Blanchett.
by-passato anche di Caprio
Dunque per la settima volta Scorsese mastica amaro dopo la notte
degli Oscar. E pensare che
questa volta aveva anche cambiato registro. La pellicola è
infatti mol-to atipica rispetto alla poetica scor-sesiana. Atipica
perché il prodotto confezionato fuoriesce dagli schemi che hanno
caratterizzato le sue pre-cedenti pellicole; temi come
l'inte-grazione degli italiani in America, la mafi a
italo-americana e anche il tema dell'alienazione. Però il fi lm ha
quella grandezza (che è venuta a mancare in “Gangs of New York”)
che solo questo maestro del cinema sa comunicare, vale a dire
maesto-sità nelle scene, grande senso per il particolare, regia
ingegnosa.
Ovviamente quello di Scorse non è l'unico caso di snobbamen-to
da parte dei giurati dell'Aca-demy. La compagnia degli esclusi non
è assolutamente da buttare: in-discutibili maestri come Alfred
Hi-tchcock, Robert Altman, King Vi-dor, tutti e tre, cinque volte
nomi-nati e mai vincenti, o ancora Brian De Palma, Ernst Lubitsch e
Orson Welles, tutti incomprensibilmente mai premiati.
Fortemente discutibile anche la scelta di premiare, con l'Oscar
per il miglior attore, Jamie Foxx per la sua interpretazione in
“Ray” a scapito di Leonardo di Caprio che ha incarnato
magistralmen-te la megalomania, l'ipocondria, la germofobia e altre
follie di Howard Hughes.
1. Man Of Fire (Il fuoco della vendetta)
di Gianfranco Miksa
Un pugno che vale l’Oscar
I due protagonisti principali, Clint Eastwood e Hilary Swank
Scorsese e Di Caprio, due italoamericani mattatori a
Hollywood.Tuttavia, quest’anno niente statuetta dell’Academy
Oscar, stavolta toccava a me
Regia di Tony Scott. Con Denzel Washington, Dakota Fanning, Marc
Anthony.
Ex agente della CIA, alcolizzato e con inclinazioni suicide, si
mette a disposizione come guardia del corpo a una famiglia nel sud
America. Passabile fi lm(ino), sicuramente vale il prezzo del
noleggio. Il fi lm gioca molto sulla presenza “magnetica” di Denzel
Washington. Per il resto già visto e stravisto.
2. The Bourne Supremacy
Regia di Paul Greengrass. Con Matt Damon, Franka Potente.
Le disavventure dell’ex agente segreto Jason Bourne, rimasto
senza memoria e senza passato. Il classico bidone. Non fatevi
ingannare, il fi lm è da evitare. Tratto, malamente, da un romanzo
del grande Robert Ludlum.
3. The Village
Regia di M. Night Shyamalan. Con Joaquin Phoenix, Bryce Dallas,
William Hurt.
Un piccola comunità vive isolata dal resto del mondo. Il loro
villaggio è visitato da terribili mostri. Ecco qui un’interessante
pellicola che vi procurerà la pelle d’oca. Agghiacciante.
4. Hellboy
Regia di Guillermo del Toro. Con Ron Perlma, Selma Blair,
Jeffrey Tambor.
I nazisti riescono ad evocare una creatura demoniaca, la quale
poi combatterà dalla parte del bene. No comment!
5. Dodgeball (Palle al balzo)
Una commedia demenziale che viene salvata dal buon ritmo e dalla
presenza di Ben Stiller.
-
8 cultura
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol
SuperinaIN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto
editoriale di Silvio Forzaedizione: CULTURARedattore esecutivo:
Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Collaboratori:
Nelida Milani Kruljac, Arletta Fonio, Patrizia Venucci
Merdžo,Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus, Gianfranco Miksa La
redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr,
www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.comwww.svetknjige.si,
www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista
“Arte” (Giorgio Mondadori Editore)
Foto: Graziella Tatalović
Anno 1 / n. 1 26 marzo 2005
CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI CULTURALICULTURA ITALIANA ISTRIA E
QUARNERO GRANDI AVVENIMENTI
Sabato, 26 marzo 2005
LA CNI…Rupingrande (Repen), Casa carsica – Kraška hiša Il 12
apri-
le Inaugurazione della mostra fotografi ca dell'artista
conna-zionale Luciano Kleva (1954-2003) la cui opera creativa era
stata ricordata in occasione del primo anniversario della sua
tragica morte (23/12/2004) con la mostra nella Galleria Log-gia e
presso la sede della CI di Capodistria.
Pola, Chiesa della Madonna delle Grazie in Siana, il 28 mar-zo
le corali delle CI di Parenzo (Mosaico), Gallesano e Di-gnano si
esibiranno in un CONCERTO PASQUALE.
Pirano, Casa Tartini fi no a giovedì 31 marzo, nella sala delle
esposizioni rimarrà aperta al pubblico, tutti i giorni dalle 11
alle 12 e dalle 17 alle 18, la MOSTRA MITI E LEGGENDE del gruppo di
ceramica guidato da Apolonija Krejačič.
Fiume, Comunità degli Italiani il 7 aprile presentazione di
FOIBA IN AUTUNNO di EZIO MESTROVICH, secondo volume della collana
«Altre lettere italiane» dell'EDIT.
… GLI ALTRIZagabria, Istituto Italiano di Cultura – mostre il
13
aprile si inaugura la mostra COME IN UN GIOCO PA-ZIENTE E
OSTINATO (DIPINTI 2004 – 1998) di D. Gambarin Vassallo
Lubiana, Istituto Italiano di Cultura – mostre fi no al 1 aprile
aperta la mostra FIGURE DI WALTER D’AVANZO men-tre il 4 aprile sarà
inaugurata quella dell’artista italiano GIU-SEPPE MIGNECO, il
maestro messinese che nel 1937 fu tra i primi promotori del
movimento artistico di Corrente diven-tando nel dopoguerra uno dei
maggiori rappresentanti del movimento neorealista. La mostra
rimarrà aperta fi no alla fi ne di aprile. Appuntamento con l’arte
anche mercoledì 13 aprile: a mezzogiorno PAOLA BRISTOL E IGOR
PRAS-SEL PRESENTERANNO IL LAVORO "OSMOSI BREZ MEJA", ANTOLOGIA DI
FUMETTI, coproduzione di Vi-vacomix di Pordenone e Stripburger di
Lubiana. Le tavole originali saranno esposte fi no alla fi ne di
aprile.
Zagabria, Istituto Italiano di Cultura – cinema Cineforum
didattico: “Viaggio nel nuovo cinema italiano – La stagio-ne
2003-2004”. Il 1.mo aprile proiezione di CANTANDO DIETRO I
PARAVENTI di E. Olmi, l’ 8 aprile DOPO MEZZANOTTE di D. Ferrario,
il 15 aprile IL FUGGIA-SCO di A. Manni
Lubiana, Istituto Italiano di Cultura – cinema il 30 marzo alle
ore 18 verrà proiettato "DOPO MEZZANOTTE (2004) di Davide Ferrario.
Il 14 aprile sarà la volta di "FATE COME NOI" per la regia di
Francesco Apolloni, fi lm del 2004 .
Pola, MMC Galleria Luka dal 25 marzo al 1.mo aprile vie-ne
allestita la mostra intitolata “H2O – 2005” del fotografo Duško
Marušić – Čiči.
Pola, Casa dei difensori croati il 13 e 14 aprile in programma
la FIERA DEL FOLKLORE.
Rovigno, Piccola Galleria dal 30 marzo al 30 aprile sarà in
vi-sione la mostra personale della pittrice LADA LUKETIĆ
Parenzo, Centro multimediale “Atelier I” mostra della pit-trice
MIRANDA LEGOVIĆ dal titolo “Elegie marittime”.
Cittanova, Galleria Rigo, dal 31 marzo 14.esima edizione della
mostra dedicata a ANDY WARHOL
Capodistria, Galleria Loggia In esposizione 8 tele del ciclo
"Mare", di dimensioni monumentali, del pittore IGOR M.
BRAVNIČAR
Capodistria, Galleria Medusa fi no al 31 marzo in allestimen-to
la mostra del gruppo BridA dal titolo "Do it yourself" -
INSTALLAZIONE VIDEO E PITTURA MURALE.
Capodistria, Galleria Zapor fi no all'8 aprile mostra della
giovane pittrice ANJA JERČIČ
Pinguente sarà sede, il 1.mo e il 2 aprile, del FESTIVAL DEI
GRUPPI CANORI ISTRIANI.
Albona, Teatro comunaleil 18 aprile in scena il TEATRO DEI
BURATTINI DI FIUME con lo spettacolo per bam-bini “Plesna haljina
žutog maslaćka” (IL VESTITO DA BALLO DEL SOFFIONE GIALLO).
Fiume, Museo di arte moderna e contemporanea, fi no al 7 aprile
si può visitare la mostra “Dinamica e funzionalità: Visioni di un
architetto cosmopolita” dedicata ad ERICH MENDELSOHN.
Fiume, Museo Civico, aperta fi no al 30 maggio la mostra
“Adamićevo doba” (L’EPOCA DI ADAMIĆ).
Fiume, Archivio storico, dal 19 marzo si può visitare la mo-stra
dedicata al compositore e musicista L. DE MATAČIĆ.
Madrid, Albrecht Dürer al Prado. Capolavori dell’ALBERTI-NA in
visione fi no al 29 maggio.
Pisa, “Cimabue – La pittura pisana del Duecento da Giunta a
Giotto” al MUSEO NAZIONALE DI SAN MATTEO. Fino al 25 giugno.
Milano, “Annicinquanta – La nascita della creatività italiana”
in visione fi no a 3 luglio presso il PALAZZO REALE.
Gran Bretagna, Festival del cinema italiano con appun-tamenti a
LONDRA, MANCHESTER, GLASGOW, EDINBURGO, ABERDEEN e DUNDEE dall’8 al
28 aprile.
Amsterdam, Retrospettiva di EGON SCHIELE al VAN GOGH MUSEUM. In
visione fi no al 19 giugno.
Monaco di Baviera, Grafi che di HENRI TOULOUSE-LAUTREC alla
KUNSTHALLE DER HYPO-KULTUR-STIFTUNG. Fino al 1.mo maggio.
Torino, Rassegna “Il male, esercizi di pittura crudele” alla
PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI. In contem-poranea anche fi lm,
foto e fumetti sul tema fi no al 26 giu-gno.
Napoli, Mostra di trenta dipinti “Omaggio a Velásquez” pres-so
CAPODIMONTE. In visione fi no al 19 giugno.
Parigi, Esposizione “Neoimpressionismo – da Seurat a Paul Klee”
al MUSèE D'ORSAY fi no al 10 luglio.
Rotterdam, In mostra quattrocento opere di SALVADOR DALì al
MUSEUM BOIJMANS VAN BEUNINGEN. In visione fi no al 12 giugno.
Londra, La pittrice messicana FRIDA KAHLO viene ricor-data in 50
ritratti di fotografi suoi contemporanei. Alla NA-TIONAL PORTRAIT
GALLERY fi no al 26 giugno.
Zagabria, "Il tesoro nascosto MUSEO DELL'ARTE E
DEL-L'ARTIGIANATO” presso l'omonimo museo per celebra-re i 125 anni
dalla fondazione.
CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič,
Helena Labus, Patrizia Venucci Merdžo
IN ITALIA IN CROAZIA IN SLOVENIAI LIBRI PIÙ VENDUTI
NA
RR
AT
IV
A
NA
RR
AT
IV
A
NA
RR
AT
IV
AP
UB
BL
IC
IS
TI
CA
PU
BB
LI
CI
ST
IC
A
PU
BB
LI
CI
ST
IC
A
Wilbur Smith Il trionfo del soleLonganesi
Patricia D. Cornwell La tracciaMondadori
Dan Brown Angeli e demoniMondadori
Dan Brown Il codice Da VinciMondadori
Gabriel G. MarquezMemorie delle mie puttane tristiMondadori
Giovanni Paolo IIMemoria e identità
Rizzoli
Alessandro PipernoCon le peggiori
intenzioniMondadori
Maurizio MaggianiIl viaggiatore notturno
Feltrinelli
Matilde AsensiL’ultimo Catone
Sonzogno
Federico MocciaTre metri sopra il cielo
Feltrinelli
Dan BrownDa Vincijev kodVBZ
Lauren WeisbergerVrag nosi PraduAlgoritam
Dan Brown Anđeli i demoniVBZ
Patricia D. CornwellMuha zunzaraAlgoritam
Renato BaretićOsmi povjerenikAGM
D. Lerotić I. Vinković Vršek
Što se krijeiza E-brojeva?
Udruga za demokratsko društvo
Amy WelbornDecodiran
Da Vincijev codVerbum
John ColemanHijerarhija
zavjerenikaDetecta
Zdravko TomacPredsjednik
Slovo M
Arthur AgatstonSouth Beach dijetaProfi l international
Dan BrownAngeli in demoniMK Založba
Dan BrownDa Vincijeva šifraMK Založba
Ernest HemingwayKomu zvoniMK Založba
Judith HermanPoletna hiša, poznejeCankarijeva Založba
Jane AustenPrevrzetnostin pristranostCankarijeva Založba
Več Management – nova
znanja za uspehDidakta
Edvard KocbekDnevnik.
Izbor 1954-1977Cankarijeva Založba
Courtois, Werth, Panne, Paczkowski
Črna knjiga komunizmaMK Založba
Janez DrnovšekMoja resnicaMK Založba
L. Stuard, C. MichaelKako uspešno vodimo
ljudiMK Založba