UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO BICOCCA Facoltà di Psicologia Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione ASPETTI NEUROFISI OLOGICI DELL’ ESPERIENZA MUSICALE Relatore: Chiar. ma Prof. ssa Luisa Girelli Tesi Di Laurea di: David Edoardo Carollo Matr. 043723 Anno Accademico 2006/2007 Numero caratteri: 83669
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D.Carollo - Aspetti Neurofisiologici Dell' Esperienza Musicale ()
Se guardiamo con attenzione al continuo fiorire di interesse che avviene nello studio del rapporto uomo-suono, ci accorgiamo di quanti settori disciplinari si vadano sempre più, e con maggiore impegno, affacciandosi all’analisi dei problemi che solleva la comunicazione sonora, ritmica, musicale (e tutta l’area dei linguaggi e della comunicazione non verbale). E se dovessimo ricordare alcuni di questi settori noteremo come questi interessi abbraccino uno spazio amplissimo della conoscenza umana e della ricerca più moderna: la fetologia, la neonatologia, la neurofisiologia, la neuropsichiatria infantile, la pediatria, la psicologia dell’età evolutiva, quella dinamica e sociale, la musicoterapia, la pedagogia e la didattica, l’etologia e la psicologia comparata, la psicoanalisi, l’antropologia culturale e l’etnologia, l’elettronica e la computeristica applicata al suono, la semiologia, la fonologia e molte altre. E non deve sorprenderci tale fatto, perché lo studio del rapporto uomo-suono racchiude, esprime e dà luogo a un pensiero complesso e a una visione transdisciplinare e multidisciplinare.
Musica, materiali musicali, oggetti, eventi sonori… la materia su cui si esercita la nostra percezione uditiva è di varia composizione e quindi anche di difficile delimitazione, sia perché dicendo musica ci si riferisce ad una miriade di prodotti musicali, sia perché la nostra percezione uditiva non si esercita solo su prodotti culturali finiti, ma anche su quel sottofondo sonoro (suoni della natura, del linguaggio verbale, ecc.) che è un vero e proprio “milieu sonore” in cui la nostra vita scorre. La complessa organizzazione dell’esperienza musicale a livello del SNC (percezione, memoria, attenzione, emozione), la sua specifica segregazione, la centralità della musica nel processo di sviluppo dell’individuo e della specie, così come i risultati ottenuti dai più recenti studi sulle capacità di percezione musicale dei primati non umani, possono aiutarci a comprendere la natura delle abilità musicali, il loro carattere innato o acquisito e la loro funzione. Nel presente elaborato verrà effettuata una panoramica di analisi sugli aspetti neurofisiologici e psicologici della percezione e delle abilità musicali, sulla loro natura e su come si sviluppano, su come possano essere ostacolate o modificate da eventuali disturbi cognitivi e su come esse agiscano nell’ intersezione e nella divergenza risultanti dal confronto con un’ altra grande abilità di carattere universale, quella linguistica. (www.davidcarollo.it)
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Se guardiamo con attenzione al continuo fiorire di interesse che avviene nello studio
del rapporto uomo-suono, ci accorgiamo di quanti settori disciplinari si vadano sempre più,
e con maggiore impegno, affacciandosi all’analisi dei problemi che solleva la
comunicazione sonora, ritmica, musicale (e tutta l’area dei linguaggi e della
comunicazione non verbale).
E se dovessimo ricordare alcuni di questi settori noteremo come questi interessi
abbraccino uno spazio amplissimo della conoscenza umana e della ricerca più moderna:
la fetologia, la neonatologia, la neurofisiologia, la neuropsichiatria infantile, la pediatria, la
psicologia dell’età evolutiva, quella dinamica e sociale, la musicoterapia, la pedagogia e ladidattica, l’etologia e la psicologia comparata, la psicoanalisi, l’antropologia culturale e
l’etnologia, l’elettronica e la computeristica applicata al suono, la semiologia, la fonologia e
molte altre. E non deve sorprenderci tale fatto, perché lo studio del rapporto uomo-suono
racchiude, esprime e dà luogo a un pensiero complesso e a una visione transdisciplinare e
multidisciplinare.
Fig.1: Schema dello studio del suono nella sua caratterizzante interdisciplinarietà (fonte dell’ immagine:
Movimento ordinato dei suoni, la cui variazione è generata da variazione di durate e accenti musicali.2
Termine che si riferisce ad una successione di intervalli tra suoni di differente altezza, la cui strutturagenera una figura musicale di senso compiuto.3
Aspetto della musica che riguarda l’ emissione simultanea di più suoni insieme e la loro relazione.4
Qualità musicale che permette di distinguere quale strumento o corpo ha prodotto il suono.
Gli assoni dei neuroni olivari proiettano attraverso il lemnisco laterale ai collicoli
inferiori , dove formano sinapsi con i neuroni che proiettano ai nuclei genicolati del talamo ,
che a loro volta proiettano alla corteccia uditiva; i segnali provenienti da ciascun orecchio
sono trasmessi sia alla corteccia uditiva ipsilaterale sia a quella controlaterale.
Fig. 4: Trasmissione dell’informazione alla corteccia uditiva ( da http://web.bvu.edu ).
Nell’ uomo la corteccia uditiva primaria (A1, corrispondente all’area 41 di Brodmann) è
localizzata all’ interno della scissura laterale di Silvio , ed è in gran parte circondata dalla
corteccia uditiva secondaria. Due importanti principi su cui essa è basata. In primo luogo,come altre aree della corteccia cerebrale, anche la corteccia uditiva primaria è organizzata
in colonne funzionali; tutti i neuroni che si incontrano penetrando verticalmente la corteccia
con un microelettrodo rispondono efficacemente ai suoni appartenenti al medesimo
intervallo di frequenze. In secondo luogo , come la coclea, anche la corteccia uditiva
primaria è organizzata tonotopicamente: le regioni più anteriori della corteccia uditiva
rispondono alle alte frequenze , mentre le regioni più posteriori rispondono a quelle basse.
2. Origini, natura e sviluppo della competenza musicale
Come per quanto riguarda ogni altra abilità (ad esempio l’ acquisizione delle abilità
linguistiche), anche sul modo in cui viene a svilupparsi la competenza musicale possonoesservi sono opinioni diverse. Da sempre gli studi della Genetica Comportamentale si
sono interessati allo studio dell’ influenza e dell’ interazione tra i fattori ereditari da una
parte, e quelli dell’ ambiente dall’ altra, e sulla relativa incidenza degli stessi sulla valenza
di una determinata capacità o competenza, trovando la probabile risposta proprio a metà
del continuum intercorrente tra ambedue i fattori.
Le persone ascoltano, memorizzano, eseguono, creano e reagiscono alla musica e,
poiché si tratta di attività che possono essere apprese, esse vengono viste come “abilità”.
Anche se la composizione e l’esecuzione vengono universalmente riconosciute come
abilità particolarmente complesse, si deve anche ricordare che attività come fischiettare
una melodia familiare o rilevare una nota 5stonata in una melodia mai sentita prima sono
anch’esse abilità complesse, capaci di gettare luce sulla natura stessa della musica stessa
e su come essa agisce con e sull’essere umano.
2.1. Esperienza prenatale
La vita del bambino, fin dai primissimi tempi, ancora nella vita intrauterina, è immersa
nei suoni, in un habitat acustico e sonoro incredibilmente intenso. Il bambino è immerso
nel liquido amniotico , e questo implica suoni, rumori, fruscii e ritmi, come ad esempio il
battito cardiaco materno, i suoi movimenti respiratori, le sue vibrazioni.
Lo studio dello sviluppo delle capacità di elaborazione musicale nei bambini richiedeparadigmi sperimentali particolari che permettono di rilevare la presenza di percezione e di
elaborazione musicale, senza l’utilizzo di una mediazione verbale. Essi consentono non
solo la dimostrazione del sistema percettivo e cognitivo ben prima della nascita, ma anche
come la stimolazione uditiva prenatale possa avere degli effetti sul comportamento del
neonato.
Diverse ricerche (Spence, De Casper, 1986) hanno mostrato come il feto comincia a
rispondere a suoni e rumori a partire dal terzo mese di gravidanza; al momento della
5Segno con cui si rappresentano i suoni usati in musica, e fondamento base su cui essa si articola; le note
Se negli studi comportamentali si avanza l’ipotesi che le modificazioni del
comportamento siano il risultato della plasticità cerebrale, l’avvento delle tecniche di
neuroimmagine (EEG7, MEG8, PET9, fMRI10) ha permesso negli ultimi decenni di studiare
anche la plasticità cerebrale effettiva. Ad esempio per tanti anni si è saputo che le persone
cieche possiedono meccanismi compensatori che migliorano la loro abilità uditiva, ma solo
recentemente è stato possibile dimostrare che ciò è collegato ad una maggiore densità
della corteccia uditiva (Weeks et al., 2000)
Questo potrebbe forse spiegare la superiorità comportamentale dei non vedenti nei
compiti di identificazione spaziale delle fonti sonore (Lessare et al. 1998), superiorità che è
stata riscontrata anche nei direttori d’orchestra (Munte et al., 2001). Tale plasticità
neuronale si riscontra a livello della corteccia uditiva, ma anche di quella somatosensoriale
(che, come nel caso di quella uditiva che è tonotopica, ha un’organizzazione topografica
dei neuroni).
Elbert e colleghi. (1995) hanno messo a confronto la rappresentazione corticale della
corteccia somatosensoriale di due gruppi di soggetti: un gruppo di musicisti che
suonavano strumenti ad arco con esperienza musicale media di dodici anni e un gruppo di
controllo senza alcune formazione musicale. Utilizzando una breve stimolazione che
consisteva in una lieve pressione delle dita (pollice e mignoli) di entrambe le mani, è stato
osservato un aumento della rappresentazione corticale delle dita della mano sinistra nel
gruppo dei musicisti. Bisogna ricordare che le dita della mano sinistra, in questi musicisti,
sono utilizzate in modo intensivo e preciso per cambiare l’altezza delle note, mentre le dita
della mano destra sostengono l’arco. Non a caso, le rappresentazioni corticali ottenute
dalla stimolazione della mano destra non differivano tra il gruppo di musicisti e quello di
controllo. Inoltre, l’aumento della rappresentazione corticale della mano sinistra, nei
musicisti, correlava con l’età d’inizio degli studi musicali; era infatti maggiore nei soggetti
che avevano cominciato a suonare lo strumento da giovanissimi.
Il fatto che il cervello mantenga la capacità di modificare la propria struttura nell’arco di
tutta la vita può talvolta avere effetti collaterali poco adattativi. Esistono disturbi dovuti
all’eccessiva stimolazione celebrale come ad esempio, nel caso di musicisti, la distonia
7Elettroencefalogramma, tecnica che consente la registrazione dell’ attività elettrica del cervello.
8Magnetoencefalografia, tecnica che consente lo studio della funzionalità cerebrale tramite la misura del
campo magnetico generato dalla sua attività.9
Tomografia ad emissione di positroni, tecnica di medicina nucleare che fornisce informazioni sull’ attivitàmetabolica del cervello, evidenziando le aree cerebrali attive in cui si accumula una maggiore quantità diradioattività.10
Risonanza magnetica funzionale, tecnica di imaging biomedica che consente di evidenziare le areecerebrali attive in cui vi è un aumento di flusso ematico, e di conseguenza di ossigeno, volta a fornireinformazioni sia funzionali che morfologiche.
focale, che comporta una incapacità di coordinare le mani, che spesso viene
erroneamente diagnosticata come problemi muscolari o tendinei. In realtà, l’utilizzo intenso
e continuativo delle dita e la plasticità celebrale può portare ad una disorganizzazione
delle rappresentazioni corticali a livello della corteccia somatosensoriale (Elbert et al.,
1998) e al seguito di essa, si perde il controllo fine delle dita, in quanto si assiste ad un
accavallamento delle rappresentazioni di queste ultime. Ad esempio, quando il musicista
vuole muovere il dito indice, se la rappresentazione di tale dito si accavalla con quella del
medio, si metteranno in azione in modo automatico. Questo lo costringerà probabilmente
ad interrompere temporaneamente l’attività e a seguire una adeguata riabilitazione
comportamentale atta a ricreare la corretta riorganizzazione funzionale della corteccia
somatosensoriale. Infatti il cervello rimane plastico e nulla impedisce di “ rimodellarlo” e
ricreare un’organizzazione della corteccia senza accavallamenti delle rappresentazioni
delle dita (Candia et al., 1999).
Nell’insieme gli studi effettuati ci mostrano come il cervello dei musicisti (e non solo )
sia plastico. Se da un lato potrebbe esserci con l’aumento dell’età una diminuzione di
plasticità nelle strutture della corteccia uditiva per la percezione e discriminazione uditiva
(Kuhl et al., 1997), la plasticità in ogni caso persiste anche in età avanzata poiché è
visibile anche in musicisti che hanno cominciato tardi lo studio dello strumento. Infine, per
quanti fattori genetici giochino di certo la loro parte, il cervello può essere plasmato
dall’esperienza nella sua organizzazione strutturale e funzionale.
2.4. Valutazione dell’ abilità musicale
Uno dei principali contributi degli psicologi in campo musicale ha riguardato lavalutazione del talento musicale. L’approccio di questo tema è stato di due tipi: gli studiosi
si sono interessati a quantificare i vari elementi che contribuiscono al talento musicale e
hanno cercato – mediante l’uso di test non musicali – di delineare le capacità sensoriali,
cognitive ed esecutive associate col talento musicale.
La misurazione dell’abilità musicale (campo che ha attirato la maggiore attenzione) è
stata ostacolata dalla mancanza di accordo sulla natura del talento musicale stesso,
problema che comunque non ha impedito agli psicologi di escogitare test per la suaquantificazione. Lehmann (1968) sottolineò il fatto che “l’intelligenza potrebbe essere
misurata prima che definita e lo stesso vale per l’attitudine alla musica”. Ne è risultata la
esaminati, gran parte dei quali autistici13, dimostrarono di possedere AP, con tendenza all’
ecolalia14 e quasi tutti erano di sesso maschile, predominanza di genere che si ritrova nei
casi di bambini autistici, tra i quali si ritrova anche un’ elevata incidenza di AP. Questa
tendenza potrebbe essere il riflesso di una generica differenza cognitiva tra maschi e
femmine, in virtù della quale i primi risulterebbero particolarmente suscettibili a deficit
relativi al linguaggio e alle capacità di interiorizzare i sentimenti altrui (Baron, Cohen,
2003).
Secondo Sloboda (2005) vi sono alcuni fattori che possono essere associati
all’acquisizione delle competenze eccezionali nei soggetti savants. Il primo fattore comune
sembra essere un alto livello di motivazione interna che permette all’individuo di
impegnarsi in una singola attività per molti anni. Il secondo fattore è relativo all’ambiente in
cui il soggetto si viene a trovare: dal momento della scoperta di queste abilità eccezionali, i
bambini che hanno gravi deficit negli altri ambiti intellettivi vengono spesso messi nelle
condizioni di esercitarsi in modo regolare nell’attività per la quale sono portati. Il terzo
fattore è il tempo a disposizione, che spesso permette l’esercizio continuo che li porta a
raggiungere risultati eccezionali.
Questo sembrerebbe dimostrare che anche nel caso dei savants, il loro talento sembra
svilupparsi grazie ad una serie di circostanze che esulano dal loro patrimonio genetico, o
che comunque non dipenda in modo intrinseco da esso. I fattori biologici rivestono un
ruolo molto importante, ma non hanno la prevedibilità e la specificità associate alla
nozione di talento, nozione che, perdendo quindi l’aspetto discriminatorio e selettivo che
poteva caratterizzarlo, viene usato in modo decisamente più sereno.
13 Affetti da autismo, condizione psichica caratterizzata da distacco/isolamento dalla realtà e prevalenza delmondo interiore, con probabili ripercussioni sulle capacità di socializzazione ed apprendimento.14
Disturbo del linguaggio che consiste nel ripetere involontariamente, come un’ eco, parole o frasipronunciate da altre persone, presente fino al 75% nelle diagnosi di autismo.
aree uditive secondarie, poste nella porzione più anteriore del giro temporale superiore ,
area connessa alle regioni frontali a loro volta implicate nella memoria di lavoro potrebbero
essere coinvolte nell’immagazzinamento (Warrier, Zatorre, 2004).
Diverse tecniche di neuroimmagine hanno dimostrato che la dissonanza, elemento
critico nella percezione musicale, comporta l’attivazione bilaterale del giro temporale
superiore e che il giro di Heschl è coinvolto nell’elaborazione delle dissonanze ma non
delle consonanze. Deviazioni dalle aspettative armoniche comporterebbero invece
l’attivazione, sempre bilaterale, dell’ opercolo frontale (area frontale inferiore) che
corrisponde all’ area di Broca nell’emisfero sinistro (Peretz, Zatorre, 2005). Il ritmo,
seconda caratteristica fondamentale della percezione musicale, oltre al coinvolgimento
della corteccia uditiva di destra (metrica) e di sinistra (durata), sembra interessare anche
altre aree cerebrali come cervelletto ed area frontale (Janata, Grafton, 2003).
Parson e collaboratori (2003) effettuarono una serie di test su musicisti professionisti
impegnati a suonare il pianoforte, mentre una scansione PET creava un’ immagine della
loro attività cerebrale, e scoprirono che ognuno di essi provocava attività neurali in
numerosi parti del cervello, variamente distribuite. Tali risultati si confermarono
particolarmente interessanti anche per quanto riguarda l’attivazione del cervelletto, che
quindi svolge funzioni non strettamente circoscritte al controllo motorio. Conclusero quindi
che le reti neurali preposte all’elaborazione della musica sono ampiamente distribuite
all’interno del cervello e che, confrontando i dati con quelli di un gruppo di controllo
sperimentale, localizzazione ed attività delle reti neurali adibite alla musica sono differenti
nei cervelli di musicisti e non musicisti.
La stessa Peretz, in un suo articolo (2003) scrisse :
“ La dimostrazione dell’esistenza di una siffatta organizzazione cerebrale per la musica in tutti gli
esseri umani rimane elusiva . A mio parere, l’unico punto di accordo che si è raggiunto oggi circa l’organizzazione cerebrale soggiacente alla musica riguarda l’elaborazione del contorno melodico.
La grande maggioranza degli studi indica la circonvoluzione temporale superiore e le regioni
frontali della parte destra del cervello come le aree preposte all’elaborazione delle informazioni
relative al contorno melodico. Tuttavia, resta ancora da stabilire se tale meccanismo sia specifico
per la musica, dal momento che gli schemi di intonazione della lingua parlata sembrano chiamare
in causa circuiti cerebrali collocati in aree simili, se non identiche. ”
La sua affermazione finale circa l’apparente sovrapposizione delle reti neurali
impiegate per talune attività linguistiche e musicali è uno dei punti più importanti, sebbene
Patel (2003) confrontando dati lesionali e dati di neuroimmagine ha notato che
sebbene gli studi sulle lesioni abbiano dimostrato che le capacità musicali e linguistiche
possono essere parzialmente o completamente dissociate, quelli di brain imaging
suggeriscono che i due domini in realtà condividano le stesse reti neurali. Questa
apparente contraddizione rimane da risolvere.
3.2. L’ elaborazione dell’ informazione musicale
Ogni giorno, a casa o per la strada o al lavoro ci capita di sentire della musica, così
per caso. Nel giro di una frazione di secondo siamo in grado di dire se conosciamo quel
determinato brano oppure no; inoltre siamo capaci di canticchiare il brano e talvolta
recuperare informazioni ad esso legate. Se poi il brano è una canzone, non solo riusciamo
a cantare la melodia, ma anche a cantarla con le parole del testo stesso. Nonostante tutto
questo avvenga spesso con un’ estrema facilità e in parte automaticità, i meccanismi
cerebrali alla base di tutte queste operazioni sono tutt’ altro che evidenti.
Un modello per il riconoscimento e l’ elaborazione della musica è descritto da Peretz e
Coltheart (2003). In questo modello l’input viene analizzato da due sistemi paralleli chevengono considerati indipendenti; essi elaborano in maniera separata le informazioni
necessarie ad effettuare un’ analisi melodica (variazione dell’altezza dei suoni) ed una
temporale (variazione della durata dei suoni).
Il sistema di analisi melodica ha tre sottocomponenti: analisi del contorno, degli
intervalli e della tonalità. Il sistema di analisi temporale ha due sottocomponenti, una per
l’analisi degli aspetti metrici e una per gli aspetti ritmici. In modo semplificato, la via della
melodia potrebbe rappresentare il “cosa”, mentre la via temporale il “quando” occorrono gli
eventi nell’ input musicale. Entrambi i moduli filtrano i propri output attraverso i moduli del
lessico musicale (concepito come un sistema di rappresentazioni di informazioni musicali
specifiche ai quali l’individuo è stato esposto nel corso della sua vita) e dall’ analisi
I casi clinici documentati di persone che hanno sofferto di afasia19 offrono un’ ottima
opportunità per esaminare le relazioni neurali tra musica e linguaggio. Se, ad esempio, la
musica fosse un sottoprodotto del linguaggio, o viceversa, allora la perdita dell’ abilità
musicale dovrebbe essere una conseguenza automatica della perdita del linguaggio; per
contro, se musica e linguaggio poggiassero su reti neurali totalmente indipendenti, allora
la perdita di una delle due facoltà non dovrebbe incidere sull’altra.
Luria e colleghi (1965) hanno mostrato come l’amusia non accompagna
necessariamente l’afasia. Essi hanno descritto il caso del compositore russo Shebalin,
che fu vittima di un’ emorragia nell’ emisfero sinistro, portandolo ad una paralisi
temporanea del lato destro del corpo e ad un disturbo linguistico grave (afasia) che gli
impedì di parlare e di capire fino alla fine dei suoi giorni. Nonostante le gravi condizioni egli
continuò a lavorare come insegnante di musica e come compositore, concludendo opere
già iniziate e scrivendone diverse altre. L’autopsia post mortem di Shebalin rilevò un
danno rilevante nel lobo temporale e in quello parietale dell’ emisfero sinistro, lesione che
genera il più delle volte un disturbo afasico. Il caso di Shebalin è quindi un caso di afasia
senza amusia, ossia di disturbo linguistico senza disturbo musicale.
Un altro caso famoso è quello della paziente I.R. descritto da Peretz, Belleville e
Fontane (1997). All’ età di 28 anni I.R. dovette subire degli interventi chirurgici a causa
della rottura di un aneurisma dell’ arteria cerebrale media dell’emisfero destro. In seguito
all’intervento, la paziente rimase con due lesioni cerebrali estese, comprendenti la
corteccia uditiva bilateralmente e le aree frontali dell’ emisfero destro. Nonostante queste
lesioni, I.R. mostrò un funzionamento intellettivo, linguistico e di memoria indenne, ma
emerse la sua incapacità a riconoscere musica che le era stata familiare prima della
lesione, con impossibilità di cantare in modo intonato e di apprendere nuovi brani.
I.R. è un caso esemplare di amusia senza afasia, l’ esatto opposto del caso Shebalin.
Ci troviamo di fronte a quella che viene chiamata in gergo “doppia dissociazione”, di cui
i casi sopra citati sembrerebbero indicare che esista una specializzazione cerebrale e
funzionale per la musica (e per il linguaggio), anche se in realtà le cose non sono così
semplici (Schon, Akiva-Kabiri, Vecchi, 2007).
19
Disturbo che porta ad alterazione o perdita della facoltà del linguaggio, generalmente in seguito allalesione di aree del cervello deputate all’ elaborazione dello stesso (aree di Broca e Wernicke).
Fin dai primi studi sulla dominanza cerebrale (Morel, 1947) era apparso evidente che
ascolto musicale e ascolto verbale fossero da considerare delle funzioni giustapposte ma
non coincidenti; afasia ed amusia rivelavano situazioni interessanti in quanto se
apparivano in alcuni casi come disturbi indipendenti – ad esempio un paziente sapeva
cantare l’aria e le parole di una canzone, ma non sapeva ripetere quelle stesse parole in
assenza della melodia – spesso però potevano presentarsi associati, facendo pensare che
essi implicassero almeno in parte lo stesso sistema neuroanatomico.
Sono stati soprattutto gli studi di Kimura (1973) e di Bever e Chiarello (1974), basati
peculiarmente sulla tecnica dicotica , mediante la quale si faceva ascoltare
simultaneamente linguaggio in un orecchio e melodie in un altro, a mettere in evidenza la
dominanza dell’emisfero destro per il riconoscimento delle melodie; il risultato delle
osservazioni compiute veniva confortato sia dall’osservazione mediante PET, riportando la
cognizione musicale alla dominanza preferenziale dell’emisfero destro, sia da dati
neurochirugici in quanto a seguito di una lesione, anche estesa, dell’emisfero sinistro il
canto rimaneva ancora possibile per il paziente, mentre i deficit musicali si presentano
quando la lesione interessava l’emisfero destro.
In particolare pare che l’ascolto di una melodia attivi l’area temporale e l’area frontale
destre (Zatorre, Evans, Meyer 1994), ma l’essenziale è dato dal considerare che la
percezione di una melodia, almeno da parte di un ascoltatore non musicista esperto,
avviene rispetto al profilo generale, e dunque si tratta di una percezione olistica (al
contrario di quello che avverrebbe invece nel caso di un professionista, dove il tipo di
percezione avrebbe invece carattere prevalentemente analitico) : in altre parole questo
sembra voler indicare che l’attenzione riveste un ruolo determinante nei risultati di questi
studi. L’uso di una strategia o di un’altra si riduce alla focalizzazione dell’attenzione ad unaspetto piuttosto che ad un altro dello stimolo musicale, portando all’uso di una rete
Fig. 7: Immagine PET relativa all’ attivazione di aree cerebrali differenti, in musicisti e non, in risposta a
stimoli musicali: nei primi avviene in maniera analitica, e quindi con attivazione maggiore dell’ emisfero
cerebrale sinistro; nei non musicisti avviene invece in maniera olistica, interessando quindi prevalentemente
quello destro (fonte dell’ immagine: www.psicolab.net ).
Soggetti con lesioni cerebrali sono stati esaminati in rapporto alla presentazione di una
frase melodica e di sue versioni modificate, o a livello del profilo generale o riguardo a
intervalli tonali successivi, ma nel rispetto del profilo generale. Da questi esperimenti è
emerso che nei soggetti portatori di lesioni all’emisfero destro veniva ad essere colpita la
percezione del profilo generale della melodia, mentre se la lesione era a sinistra, era
colpita l’individuazione della struttura particolareggiata degli intervalli e l’organizzazione
temporale della melodia. Anche Falk (2000) sottolinea come melodia e ritmo sembrano
essere neurologicamente dissociati in quanto l’emisfero destro elabora gli aspetti melodici
della musica, mentre l’emisfero sinistro sembra maggiormente coinvolto nell’elaborazionedel ritmo (Peretz, 1993). L’emisfero destro, come sappiamo, interpreta anche gli aspetti
melodici del linguaggio, il tono della voce, e dunque le connotazioni emotive ed affettive
del parlato.
Anche nel test di Wada20 quando l’iniezione inibisce l’emisfero destro, l’abilità del canto
risulta assai disturbata, mentre la facoltà del parlato è compromessa solo nel senso che
l’articolazione delle parole è più lenta e monocorde, mentre l’intonazione, la pronuncia, e
l’abilità a partecipare ad una conversazione non ne risentono: la memoria tonale ed il
20Iniezione di amobarbitale nella arteria carotidea destra o sinistra, che produce una inibizione temporanea
La musica non solo è un’ attività umana estremamente diffusa, ma riveste anche una
grande importanza in diversi ambiti disciplinari, rendendola in sé un oggetto di ricercaparticolarmente interessante. Il fatto che la musica sia onnipresente nelle culture umane a
tutte le età e che richieda diverse capacità cognitive rende il suo studio particolarmente
utile, in quanto ci permette di valutare il funzionamento della mente da un punto di vista
nuovo e diverso.
Lo studio della musica in ambito psicologico e neuroscientifico, di sviluppo
relativamente recente, raramente è fine a sé stesso. Infatti è quasi sempre legato al
desiderio di comprendere meglio una funzione cognitiva di ordine più generale, e la
musica è utilizzata come modello alternativo, ruolo che le si presta assai bene poiché
richiede la messa in atto di molte funzioni cognitive, come attenzione, memoria, motricità e
percezione. Approfondire la conoscenza delle modalità mediante le quali il cervello elabori
l’informazione musicale, supportato in gran parte dall’ applicazione ad esso delle più
moderne tecniche di neuroimmagine, o di come la pratica musicale influenzi il
funzionamento cerebrale, diventa importante anche rispetto a possibili applicazioni in
ambito pedagogico e terapeutico.
In prospettiva futura, lo studio di neuroscienze e musica, la cui ricerca reperisce
continuamente nuovi filoni investigativi, sta diventando sempre più un punto di riferimento
per la ricerca neurologica, la cui attenzione è documentata dall’ istituzione di sempre più
frequenti convegni internazionali e dalla pubblicazione di numerose riviste specialistiche
che descrivono i progressi che discipline come la neuropsicologia, la psicologia
sperimentale e la psicofisiologia riescono ad ottenere in un settore in passato ritenuto
esclusivamente di pertinenza umanistica.
Emerge quindi la necessità di sottolineare l’ utile dialogo che si può instaurare tra arte
e scienza, dialogo tra due “mondi” dissimili che perseguono obiettivi dissimili con metodi
altrettanto dissimili di conoscenza. Pur tuttavia, esaminati sotto l’aspetto della pluralità dei
servizi che possono arrecare all’ uomo e al miglioramento della qualità della vita, due
“mondi” che possono trovare una felice quanto proficua convivenza.
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