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DA FILOSOFO A MAESTRO: NOTE ICONOGRAFICHE SULLA VIRGA VIRTUTIS TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO Penelope Filacchione Sappiamo che l’educazione del mondo antico includeva, tra l’altro, anche l’apprendimento di un sistema comportamentale e gestuale. Nelle immagini il si- stema si cristallizza assumendo un valore simbolico che serve, di volta in volta, ad individuare ruoli e funzioni dei personaggi rappresentati. A distanza di secoli il linguaggio visivo può apparire criptico, ma è possibile comunque cercare di deci- frarlo mettendolo a confronto con la letteratura e le fonti storiche. Dobbiamo co- munque tenere presente come sia possibile trovare delle discrasie: un po’ perché i testi non sempre descrivono tutti gli atteggiamenti gestuali, un po’ per le necessità specifiche alla narrazione per immagini e per via di una evoluzione interna dei sistemi iconografici, che con il tempo diventano “autoreferenziali”, può accadere che la rappresentazione figurata di alcuni soggetti prenda una via divergente da quella letteraria, per seguire un percorso concettuale indipendente. Tra i tanti soggetti che hanno seguito questa sorte è l’immagine del magister e, in particolare, dell’oggetto che dovrebbe rappresentarne l’autorità, la virga o ferula. La virga e il maestro non si pongono tra i soggetti iconografici di studio più originali: tanto è stato scritto in merito e da tempo esistono degli studi pressoché esaustivi sull’argomento; 1 ciononostante è forse possibile cogliere qualche detta- glio ulteriore ponendoci in una prospettiva diversa, che – oltre l’aspetto simboli- co – tenga conto degli aspetti attitudinali, nonché delle necessità di rappresenta- zione e di auto rappresentazione facenti parte della società romana al momento del passaggio al pensiero cristiano. Iniziamo tralasciando volutamente tutti gli aspetti magico-iniziatici della virga, per concentrarci invece sul potere verso gli uomini simbolicamente insito nel soggetto che la possiede. 1 U. Utro, Virga, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 300-301: con completissima bibliografia precedente.
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Da filosofo a maestro: note iconografiche sulla virga virtutis tra paganesimo e cristianesimo

Jan 17, 2023

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Peter Gonsalves
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DA FILOSOFO A MAESTRO:NOTE ICONOGRAFICHE SULLA vIRga vIRTUTIS

TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMo

Penelope Filacchione

Sappiamo che l’educazione del mondo antico includeva, tra l’altro, anche l’apprendimento di un sistema comportamentale e gestuale. Nelle immagini il si-stema si cristallizza assumendo un valore simbolico che serve, di volta in volta, ad individuare ruoli e funzioni dei personaggi rappresentati. A distanza di secoli il linguaggio visivo può apparire criptico, ma è possibile comunque cercare di deci-frarlo mettendolo a confronto con la letteratura e le fonti storiche. Dobbiamo co-munque tenere presente come sia possibile trovare delle discrasie: un po’ perché i testi non sempre descrivono tutti gli atteggiamenti gestuali, un po’ per le necessità specifiche alla narrazione per immagini e per via di una evoluzione interna dei sistemi iconografici, che con il tempo diventano “autoreferenziali”, può accadere che la rappresentazione figurata di alcuni soggetti prenda una via divergente da quella letteraria, per seguire un percorso concettuale indipendente.

Tra i tanti soggetti che hanno seguito questa sorte è l’immagine del magister e, in particolare, dell’oggetto che dovrebbe rappresentarne l’autorità, la virga o ferula.

La virga e il maestro non si pongono tra i soggetti iconografici di studio più originali: tanto è stato scritto in merito e da tempo esistono degli studi pressoché esaustivi sull’argomento;1 ciononostante è forse possibile cogliere qualche detta-glio ulteriore ponendoci in una prospettiva diversa, che – oltre l’aspetto simboli-co – tenga conto degli aspetti attitudinali, nonché delle necessità di rappresenta-zione e di auto rappresentazione facenti parte della società romana al momento del passaggio al pensiero cristiano.

Iniziamo tralasciando volutamente tutti gli aspetti magico-iniziatici della virga, per concentrarci invece sul potere verso gli uomini simbolicamente insito nel soggetto che la possiede.

1 U. Utro, Virga, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 300-301: con completissima bibliografia precedente.

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Una rapida disamina delle ricorrenze letterarie latine2 pone la virga nelle mani del pastore (come bastone pastorale, appunto), del cavaliere alla guida della sua cavalcatura, e poi, come immagine di potere, si ritrova nella forma dello scet-tro imperiale, dell’insegna del magistrato ricordata anche da Agostino e in quella - fondamentale per la società romana - di strumento rituale del patrono all’atto della manumissio dello schiavo. Oggetto simbolico di autorità, la virga - o radius - è sia l’attributo del filosofo sia lo strumento utilizzato materialmente nell’atto di insegnare, tanto dal filosofo che dal maestro di scuola ricordato da Marziale: “ferulaeque tristes sceptras paedagogorum”.3 Triste, dunque, ma pur sempre scettro, simbolo del potere del maestro sui suoi discepoli: un potere utilizzato a volte in maniera discutibile e violenta, come viene discusso infatti da Quintiliano.4

D’altra parte, ponendoci come obiettivo quello di seguire l’evoluzione ico-nologica della virga nella tarda antichità fino a penetrare nel linguaggio figurativo cristiano, non possiamo tralasciare le ricorrenze nella Bibbia, ad iniziare dall’An-tico Testamento, dove il “bastone” fa la sua comparsa fin dall’Esodo, quando Mosé riceve da Dio quella virga prodigiosa, la virga virtutis, che sarà distintiva dell’incarico ricevuto sull’Oreb.5 Mosé compirà quindi i suoi prodigi per mezzo della virga, retta – come spiega – dalla mano di Dio: per mezzo della mano di-vina, rappresentata materialmente dal suo bastone, Mosè apre le acque del Mar Rosso e fa scaturire dalla roccia l’acqua per dissetare il suo popolo nel deserto.6 Il ruolo del bastone è talmente centrale nella storia di Mosé che l’iconografia predi-lige precocemente le scene in cui è rappresentato con la sua virga, che lo distingue e visualizza la volontà di Dio che si realizza attraverso di lui.7

2 Thesaurus Linguae Latinae, s.v. Ferula; Oxford Latin Dictionary, s.v. Virga.3 Marziale, Epigrammi, X,62,10.4 Quintiliano, Institutio Oratoria I 2,14-16. Il concetto di violenza fisica “necessaria”

all’insegnamento e alla formazione dei figli era diffuso e ammesso in tutta l’antichità: Pr 13,24; 19,18, 22,15; 23,13; Platone, Protagora, 325; Platone, Leggi, Libro VII.

L’argomento sarà molto discusso proprio dagli scrittori cristiani che si sono occupati ed hanno subito questo tipo di educazione: Agostino, Confessioni, I 9,14-15.

5 Es 4,1-17.6 Es 14,15-31; 15,22-25; 17,1-7; Nm 20,2-11.7 Il cosiddetto “Miracolo della fonte”, sintesi visiva delle diverse occasioni in cui Mosè fa

scaturire acqua dalla roccia, appare assai presto nell’iconografia cristiana: lo troviamo ad esempio nella pittura cimiteriale del III secolo sia nella Cappella Greca del Cimitero di Priscilla che nei cubicoli dei sacramenti nella catacomba di San Callisto. Per la bibliografia su questo soggetto cf. A.M. Nieddu, Miracolo della fonte, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, o.c., 216-219, Tav. XLVIII; queste pitture sono state riprodotte in J. Wilpert, Le pitture delle catacombe romane, Roma 1903, Tav. 13 e Tav. 46,1. Il soggetto, che non subisce variazioni di rilievo nel corso del tempo, è presente anche nel cubicolo A della catacomba romana di via Dino Compagni: F. Bisconti, Il restauro dell’ipogeo di via Dino Compagni. Nuove idee per la lettura del programma decorativo del cubicolo “A”. Scavi e restauri pubblicati a cura della Commissione Pontificia di Archeologia Sacra, vol. 4, Città del Vaticano 2003, 62, figg. 45, 47. La scena del

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Ed arriviamo così al Nuovo Testamento: dal momento che, come vedremo, sono proprio le immagini neotestamentarie – e nello specifico quelle che riferi-scono una certa categoria di miracoli di Cristo – quelle che più frequentemente ci propongono la virga, ci aspetteremmo di trovare un’abbondanza di dettagli lette-rari in merito laddove, invece, con la spoglia semplicità narrativa dei Vangeli, anche il più eclatante dei miracoli si esaurisce in poche righe e non appare nessun accen-no all’oggetto. Al contrario, i miracoli di moltiplicazione dei pani avvengono per imposizione delle mani8 e quello delle nozze di Cana senza alcuna manifestazione visibile,9 mentre la resurrezione di Lazzaro si realizza solo attraverso la parola.10

Fermandoci a riflettere un momento è chiaro che l’intromissione dell’ogget-to virga nelle mani di Cristo ha una valenza simbolica speciale, creando una sim-metria tra Mosé e Cristo,11 simmetria ben spiegata dai Padri della Chiesa e che si fa tangibile proprio nei cicli decorativi affrescati nelle catacombe12 o scolpiti sulla

Passaggio del Mar Rosso appare tardi nella pittura cristiana, mentre in ambito ebraico è molto precoce, dato che la troviamo nella sinagoga di Dura Europos durante la prima metà del III sec. d.C.: C.H. Kraeling, The Excavation at Dura Europos. Final report, vol. 1. The Synagogue, New Haven 1956, 74-86. Nei cimiteri cristiani la ritroviamo solo durante la seconda metà del IV secolo d.C. nel Cimitero di via Dino Compagni, in ambienti architettonicamente complessi: dipinta in tono megalografico è abbinata alla Resurrezione di Lazzaro, con la folla dei fedeli da un lato e del popolo ebraico dall’altro. Il soggetto è qui da mettere probabilmente in relazione con una nutrita serie di sarcofagi a fregio continuo: C. Sanmorì, Passaggio del Mar Rosso, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 245-247, Tav. XXV,a.

8 Moltiplicazione dei pani: Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,32-44; 8,1-9; Lc 9,12-17; Gv 6,1-13. Per l’iconografia, che riunisce in una scena unica due miracoli distinti, cf. B. Mazzei, Moltiplicazione dei pani, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 220-221, Tav. XXI, a, e relativa bibliografia completa.

9 Nozze di Cana: Gv 2,1-11. M.P. Del Moro, Nozze di Cana, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, o.c., 232-234, Tav. VV,b.

10 Resurrezione di Lazzaro, Gv 11,39-44; M. Guj, Lazzaro, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, o.c., 201-203, Tav. XLVI, b.

11 M. Dulaey, Le symbole de la baguette dans l’art paléochrétien, in “Revue des Études Augustiniennes”, XIX, 1973, 3-38: per la simmetria Mosé/Cristo secondo l’interpretazione dei Padri della Chiesa, cf. in particolare pagine 16-19. Più specifico su questo argomento, l’altro articolo dello stesso autore: M. Dulaey, Virga virtutis tuae, virga oris tuae. Le bâton du Christ dans le christianisme ancien, in “Quaeritur inventus colitur”. Miscellanea in onore di U.M. Fasola, Città del Vaticano 1989, 235-245.

12 L’abbinamento dei miracoli con la virga operati da Mosè e da Cristo è piuttosto ripetuto nelle decorazioni cimiteriali romane: statisticamente il soggetto di Mosè che batte la rupe (che compare 71 volte) è ricorrente quasi quanto quello della Risurrezione di Lazzaro (63 volte); per quasi la metà dei casi (29 volte) i due temi appaiono appaiati nel programma decorativo dello stesso ambiente. Anche la scena della Moltiplicazione dei pani è molto amata e, sembra, preferita a quella delle nozze di Cana: ben 32 volte per la scena dei pani, contro sole 4 scene sicure in pittura con la scena delle anfore, che sono invece più ricorrenti nella scultura dei sarcofagi. Solo in un caso, nella catacomba dei santi Marcellino e Pietro, le due scene appaiono insieme: in pittura si preferisce abbinare la Moltiplicazione dei pani al Miracolo della Rupe (7 casi), alla Risurrezione di

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fronte dei sarcofagi.13 D’altra parte, quando gli artisti traducono un soggetto let-terario in immagini, tengono conto della necessaria interazione tra immagini ed osservatore, ovvero della comprensione immediata che sottintende al funziona-mento di un sistema semantico; in caso contrario, anche la più sottile costruzione iconica è destinata a cadere nel giro di breve tempo.

La fortuna della virga nel mondo figurativo si deve anche alla forte capacità evocativa della vita reale insita nell’oggetto, ragion per cui essa diventa un espe-diente narrativo che, discostandosi dal tema letterario, rende immediatamente riconoscibile all’osservatore il sottinteso concetto testuale.

Ma torniamo alle origini, ovvero alle immagini in cui compare la virga: an-che in questo caso tralasciamo le più ermetiche – come quelle iniziatiche dei culti misterici, di dubbia interpretazione – per concentrarci invece sulle scene che pos-siamo con più facilità definire “di insegnamento”.

Dobbiamo subito premettere che le scene di insegnamento scolastico per-venuteci dall’antichità sono piuttosto rare: non è strano perché nel mondo greco l’educazione “bassa” non era un evento particolarmente degno di essere ricor-dato, mentre nel mondo romano – dove a partire dalla primissima età imperiale è molto più diffusa – è uno di quegli aspetti della quotidianità che rientra nel linguaggio figurativo soprattutto come fatto aneddotico, di cui la virga fa parte con naturalezza.

Pochissime sono le immagini dove compaiono un paedagogus o un gram-maticus e i suoi giovani allievi: una delle più note viene da Treviri e risale al II-III

Lazzaro (3 volte) o a tutte e due insieme (altre 7 volte). In sintesi, come è logico per più della metà dei casi il significato eucaristico neotestamentario si abbina con quello della salvezza/provvidenza del Vecchio Testamento e con quello della risurrezione. Significativa in questo senso la decorazione di un cubicolo della catacomba dei santi Marcellino e Pietro la cui volta riunisce – unico caso – i quattro miracoli “della virga”, ovvero quello della Rupe, le Nozze di Cana, la Moltiplicazione dei pani e Lazzaro. Come abbiamo visto, in pittura la scena del passaggio del Mar Rosso è invece molto più rara, dato che appare solo in due scene, essendo invece preferita per la plastica funeraria (cf. nota 7). Troppo complesso riportare qui l’intera bibliografia per ciascun dipinto, si rimanda quindi al catalogo dei soggetti in A. Nestori, Repertorio topografico delle pitture delle catacombe romane, Città del Vaticano 1993, s.v. Cana, 195, Lazzaro, 205, Moltiplicazione dei pani, 207, Passaggio del Mar Rosso, 211, Rupe, 214.

13 Sulla fronte dei sarcofagi gli stessi temi vengono abbinati con un criterio più funzionale al tipo di superficie e di inquadramento compositivo, oltre che concettuale: ad esempio sul cosiddetto sarcofago Dogmatico appaiono sia il miracolo delle Nozze di Cana (realizzato per mezzo della virga) che la Moltiplicazione dei pani. In un angolo una figura fa sgorgare acqua da una roccia, ma potrebbe trattarsi più di san Pietro che di Mosè. F.W. Deichmann, Repertorium der christlich-antiken Sarkophage. Rom und Ostia, vol. 1, Wiesbaden 1967, n. 43. Della “intromissione” di un nuovo soggetto riparleremo più avanti, ma intanto notiamo che già sant’Agostino indicava un rapporto tra Mosè e san Pietro per via del miracolo della rupe: Agostino, Sermone 351; PL 39,1535 ss.

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secolo d.C.14 Ad essa aggiungiamo due frammenti di sarcofago rinvenuti nella catacomba romana di Vibia: casualmente due porzioni di coperchio di due di-versi sarcofagi romani sono state rinvenute nella medesima catacomba, entrambe reimpiegate in epoca tardo antica. Di queste, la prima rappresenta il maestro con i suoi allievi, la seconda sembra lo spaccato di un edificio adibito all’insegnamento per i bambini.15 Si tratta di immagini semplici, riferite al mondo quotidiano e forse attinenti ad episodi della vita del defunto, destinatario del sarcofago stesso; ciò che colpisce i nostri occhi di educatori moderni è la crudezza delle scene, vi-sto che in ambedue i casi il maestro usa effettivamente la virga come strumento punitivo. Dato che normalmente queste scenette di genere sono concepite come “vignette”, che riassumono una situazione in pochissimi luoghi comuni, verrebbe da pensare che le discussioni degli antichi in merito ai metodi didattici avessero un valido fondamento! Comunque sia, il maestro usa la propria ferula-virga come strumento di un potere indotto attraverso la superiorità fisica, quindi tutt’altro che simbolica.16

Esiste inoltre un rilievo funerario trovato presso il tempio di Ercole ad Ostia, in cui un personaggio (filosofo?) in piedi su una sorta di podio tiene lezione ai suoi allievi, diligentemente seduti ai banchi con le loro tavolette.17 Se escludiamo la cosiddetta “scena di scuola” della Basilica Neopitagorica di Porta Maggiore,18 che, visto l’ambiente, potrebbe riferirsi ad un tipo di insegnamento diverso, il nostro repertorio è praticamente completo.

Diverso è il contesto dell’insegnamento filosofico.Anche in questo caso le immagini delle scuole filosofiche non sono moltis-

sime: il mondo greco classico non amava la descrizione visiva della quotidianità, ragion per cui anche la ritrattistica – sia pure tipologica – entra a pieno titolo nell’arte greca piuttosto tardi. Troviamo comunque un certo numero di ritratti di filosofi, perlopiù rinvenuti in ambito romano o nelle grandi città asiatiche, che sembrerebbero copie o adattamenti di precedenti ritratti di epoca tardo classica od ellenistica: in questi casi la fisionomia, l’atteggiamento e l’abito erano indi-spensabili al riconoscimento del personaggio, benché oggi non del tutto sufficien-ti a fugare il dubbio sull’identità dei filosofi rappresentati.19

14 L. Schwinden - H. Nortmann - P. Seewaldt, Das Rheinische Landesmuseum Trier: Einführung in die Sammlungen, Trier 1991, Relief mit Unterrichtsszene von einem römischen Grabmal.

15 A. Ferrua, La catacomba di Vibia, II, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 49 (1973), 133-135, figg. 2, 3.

16 J.B. Poynton, Roman education, in “Greece & Rome”, 4,10 (1934), 1-12.17 R. Calza - M. Floriani SQuarciapino, Museo Ostiense, Roma 1962, 82-83, n. 13.

inv. 130. Tardo IV secolo d.C. 18 J. Carcopino, La basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, Paris 1926.19 W. Amelung, Notes on Representations of Socrates and of Diogenes and Other Cynics, in

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In età ellenistica dovevano però esistere dei quadri – probabilmente ad ope-ra di qualche pittore celebre – che rappresentavano le scuole filosofiche: di quei dipinti non ci è arrivato nulla, ma dovevano essere bene in voga, se ne ritroviamo una versione musiva a Pompei, risalente probabilmente al I secolo a.C.; all’in-terno del recinto di una scuola filosofica (l’Accademia di Platone?) un gruppo di sette personaggi è intento a meditare in solitudine oppure a discutere con un collega: l’atteggiamento pensoso della mano al mento, i volumina e una virga con la quale viene indicata la sfera armillare sono gli attributi di questi sette filosofi, forse riferibili ai Sette Sapienti della tradizione greca.20

Un altro mosaico con un bel gruppo filosofico è stato ritrovato ad Apamea di Siria e risale alla seconda metà del IV secolo d.C.: siamo nel pieno della produ-zione artistica tardo antica ma, nonostante l’evidente trasformazione del registro narrativo, i sette uomini sono rappresentati ancora secondo la varietà del mondo greco. A distanza di secoli il contesto rimane invariato: si tratti dei Sette Sapienti o di altri filosofi, troviamo sempre un gruppo di persone in atteggiamento colto e pensoso, ritratte con una certa varietà di volti e capigliature. Gli abiti ne identi-ficano eventualmente la scuola di appartenenza: il cosiddetto “pallio alla cinica”, che lascia il torace scoperto, era indossato tradizionalmente dai filosofi cinici che ne attribuivano a Socrate il primo uso.21

Ad Apamea la didascalia CωKPATHC (Socrates) identifica il personaggio centrale, per cui si pensa che il mosaico dovrebbe rappresentare sei dei sette sa-pienti, con l’aggiunta del maestro della paideia, ciascuno dei quali tiene una virga stretta nella mano destra ed un volumen nella sinistra.

Insomma, non abbiamo moltissimo, ma quel tanto che basta a confermare una tradizione letteraria che vuole la virga come attributo distintivo del filosofo, al contempo scettro della sua sapienza e strumento per l’insegnamento pratico condotto attraverso l’osservazione dei fenomeni, indicati appunto mediante il lungo bastone.

“American Journal of Archaeology” 31 (1927), 281-296; P. Zanker, La maschera di Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica, Torino 2009.

20 Emblema musivo raffigurante sette filosofi, cosiddetta Accademia di Platone, I sec. a.C. (Museo Archeolgico Nazionale di Napoli, Inv. 124545): P. Zanker, La maschera di Socrate, o.c. nota 19, figura 193, nota 44; G.M.A. Richter, The Portraits of the Greeks, vol. 1, London 1965, 82, figg. 316, 319.

21 P. Zanker, La maschera di Socrate, o.c., nota 19, fig. 201; G.M.A. Richter, The Portraits of the Greeks, o.c. 82, fig. 315; J.C. Balty, Nouvelles mosaïques du IVe siècle sous la “cathédrale de l’est”, in J. e J.C. Balty (a cura di), Apamee de Syrie. Bilan des recherché archéologiques 1969-1971, Bruxelles 1972, 163-185, Tav. 53, fig. 1. Per la relazione tra questo mosaico, il precedente e la cosiddetta “Lezione di medicina” della catacomba di Via Dino Compagni a Roma: P. Boyancé, Aristote sur une peinture de la Via Latina, in Mélanges Eugène Tisserant (= Studi e Testi 234), vol. IV, Città del Vaticano 1964, 111-112.

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A questo gruppetto esiguo, ma sicuro, di filosofi, si aggiunge una schiera di “filosofi dilettanti”, che punteggia la storia dell’arte romana fino alla tarda anti-chità.

La pittura pompeiana propone una carrellata di personaggi con stilo, tavo-letta e volumen: si potrebbe trattare degli strumenti di qualcuno che si dedica alle attività imprenditoriali, ma gli oggetti e l’atteggiamento delle persone ritratte rimandano volutamente all’ambiente intellettuale.22 Ancora nel pieno del IV se-colo, a Roma la famiglia di Trebio Giusto detto Asellus (!), esibisce il figlio “stu-dente modello” intento alla sua occupazione: benché non i tratti di un filosofo, si direbbe che la formazione scolastica abbia occupato una porzione significativa della breve carriera terrena del giovane defunto.23

Dal II secolo si diffonde, attraverso gli imperatori filosofi, l’immagine del romano colto, per il quale la cura dello spirito è il giusto completamento del ruolo sociale: i sarcofagi delle muse della tradizione pagana collocano i defunti nell’ha-bitat filosofico – che diventerà habitat paradisiaco per i cristiani – simbolico di quella diffusa philantropia tipica della cultura romana ellenizzante.24

In questa temperie culturale collochiamo le immagini filosofiche nelle sepol-ture collettive pagane e cristiane: è il caso della teoria di “filosofi” che ci guardano dalle pareti dell’Ipogeo degli Aureli in viale Manzoni. Assistiamo ad una sfilata di ritratti idealizzati della famiglia degli Aureli, o forse solo immagini simboliche di un clima colto ed iniziatico, dove la ripetizione ossessiva dei simboli filosofici – pallium, volumen, virga – diventa indispensabile alla creazione di un clima di sospensione dalla vita vissuta per porre i defunti nel contesto dell’elevazione spiri-tuale, che passa anche attraverso le religioni misteriche, cristianesimo compreso.25

22 Cf. ad esempio il ritratto di Terentius Neo e la moglie (cosiddetto Paquio Proculo) del Museo archeologico di Napoli: nonostante lui fosse il proprietario pompeiano di un laboratorio di panetteria, il ritratto che si era fatto fare nel tablino – stanza principale e di rappresentanza della casa – lo rappresenta come un intellettuale, assieme alla moglie che tiene tra le mani tavoletta e stilo: E. La Rocca - S. Ensoli - S. Tortorella - M. Papini, Roma. La pittura di un impero, Milano 2009, 244, scheda VI.2.

23 F. Bisconti, Il programma decorativo dell’Ipogeo di Trebio Giusto tra attitudine e auto rappresentazione, in R. Rea (a cura di), L’ipogeo di Trebio Giusto sulla via Latina: scavi e restauri, Città del Vaticano 2004, 133-147, figg. 73, 80, 85.

24 H.I. Marrou, Mousikos anēr, étude sur les scènes de la vie intellectuelle figurant sur les monuments funéraires romains, Paris 1938. Per il passaggio dell’atmosfera colta di questi sarcofagi in quelli cristiani detti “del paradiso”: F. Bisconti, I sarcofagi del paradiso, in F. Bisconti - H. Brandenburg (a cura di), Sarcofagi tardoantichi, paleocristiani e altomedievali, Atti della gior-nata tematica dei Seminari di Archeologia cristiana, École Française de Rome - 8 maggio 2002, Città del Vaticano 2004, 51-59.

25 F. Bisconti, L’ipogeo degli Aureli in viale Manzoni: un esempio di sincresi privata, in “Au-gustinianum” 25 (1985), 261-269; F. Bisconti, Ipogeo degli Aureli: alcune riflessioni e qualche piccola scoperta, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 80 (2004), 13-38.

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A distanza di generazioni, ma ancora secondo le stesse modalità, i filosofi si dispiegano sulla volta di un cubicolo delle catacombe di San Gennaro a Napoli,26 su quella della Cripta di Milziade a Roma27 e così via: isolati all’interno di un sistema decorativo parietale di eredità pompeiana o composti ritmicamente a raggiera sulla volta di un ambiente, sono la ripetizione di un modello visto chissà dove – forse le volte e gli arredi delle biblioteche? – che assume un ruolo simbo-lico, facendo della speculazione cristiana uno strumento indispensabile alla com-pletezza dello spirito.28

La conoscenza filosofica e la fede cristiana sono così messe a confronto e, potremmo dire, rese complementari l’una all’altra, in quello scorcio di antichità del IV secolo, in cui gli intellettuali cristiani sono portati a rivedere tutta la dot-trina antica in relazione e nella prospettiva della propria fede: a prescindere dal soggetto specifico della cosiddetta Lezione di Medicina della catacomba di via Dino Compagni, è questa l’atmosfera che si respira nel cubicolo I.29 L’ultimo, at-tardato filosofo dell’antichità e i suoi allievi discutono attorno la natura del corpo o dell’anima – in questo momento per noi non fa grande differenza – indicando con una lunghissima virga un corpo steso ai loro piedi: la grande pittura di sa-pore megalografico si colloca proprio di fronte ad una analoga rappresentazione di Cristo in trono tra Pietro e Paolo, in cui la verità ultima è senza dubbio quella cristiana. Insegnamento socratico – questo ci suggerisce almeno l’atteggiamento generale dei personaggi e il pallio alla cinica di quello centrale – e paideia trovano un momento di confronto e realizzazione nel nuovo insegnamento della fede.

E torniamo finalmente ai miracoli di Cristo, dove la virga assume un ruolo fondamentale nell’economia narrativa. Siano essi dipinti o scolpiti sulla fronte di un sarcofago, le nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani, la risurrezione di Lazzaro sono i soggetti prediletti: niente di strano, considerato l’evidente risvolto soteriologico, l’allusione trasparente alle specie eucaristiche del pane e del vino e all’annuncio della resurrezione finale, implicito nella scena di Lazzaro. Soprat-tutto, niente di strano considerando l’ambito cimiteriale, dove la salvezza – in-

26 F. Bisconti, Il restauro della cripta dei vescovi nelle catacombe napoletane di San Gennaro, in I. Bragantini - F. Guidobaldi (a cura di), Atti del II Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Roma 5-7 dicembre 1994), Bordighera 1995, 311-320.

27 C. Carletti, Gli affreschi della cripta di Milziade nel cimitero di san Callisto. Interventi di restauro, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 68 (1992), 141-168, fig. 3.

28 P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, nuova edizione ampliata a cura di A.I. Davidson, Torino 2005, 67-86.

29 A. Ferrua, Catacombe sconosciute. Una pinacoteca del IV secolo sotto la via Latina, Firen-ze 1990, 101, fig. 111; A. Ferrua, Le pitture della nuova catacomba di via Latina (= Monumenti di antichità cristiana 8), Città del Vaticano 1960, 70, tav. 107; P. Boyancé, Aristote sur une pein-ture de la via Latina, o.c., nota 21, 109-113; F. Bisconti, Ipogeo degli Aureli: alcune riflessioni, o.c., nota 25, 22; F. Bisconti, Il restauro dell’ipogeo di via Dino Compagni, o.c., nota 7, 11.

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dividuale e collettiva – promessa e raccontata per immagini gioca una funzione consolatoria nei confronti dei parenti-committenti.

Ciò che è singolare è, come annunciato all’inizio, l’introduzione della virga in queste scene, considerando che il resto della costruzione iconografica è, seppur sinteticamente, sempre piuttosto fedele al testo evangelico. È un argomento che fa discutere e che merita senz’altro un’attenzione particolare, ma non prima di annotare che anche Pietro è in possesso della virga sia nella scena del ter negabis, che in quella del suo arresto e, infine, nel momento in cui converte i propri carce-rieri facendo sgorgare l’acqua dalla roccia del carcere.

Le tre scene fanno parte di quel ciclo iconografico tutto romano detto “tri-logia petrina”: si aggiungono quasi per ultime al repertorio “narrativo” cristiano, formandosi a partire dalla Pace della Chiesa e giungendo a cristallizzarsi nel mo-mento della definizione del primato apostolico di Roma, avvenuta durante la se-conda metà del IV secolo.30 Last but not least, la trilogia petrina compare preferi-bilmente sulla fronte di sarcofagi con una certa pretesa monumentale, inserendo-si nel panorama iconografico cristiano nel momento in cui il repertorio pittorico delle catacombe era già formato e già comprendeva le scene dei miracoli di Cristo.

La simmetria visiva e concettuale della terna Mosé/Cristo/Pietro è eviden-te e facilmente comprensibile anche a distanza di secoli: il miracolo si compie, sempre e comunque, per la volontà di Dio, che opera attraverso la virga con la sua stessa mano.31 La ritrosia di Gesù nel compiere miracoli, efficacemente espressa dalla narrazione evangelica, sta proprio nel fatto che il miracolo non è destinato a raccogliere nuovi adepti: l’antichità tramanda numerose biografie di filosofi e sapienti che compivano miracoli, ma Cristo, che i suoi stessi discepoli chiamano Rabbi-Magister, letteralmente “il più grande”, ha la missione di distinguersi per un insegnamento diverso.32

E qui, di nuovo, nell’iconografia ci viene in soccorso l’atteggiamento gestua-le, che ha la capacità di sintetizzare nelle immagini i concetti più profondi della dottrina cristiana.

Nel Pedagogo, Clemente Alessandrino spiega il ruolo e il fine dell’insegna-mento di Cristo: “Come coloro che sono malati nel corpo hanno bisogno di un me-dico, così gli infermi nell’anima hanno bisogno di un Pedagogo, il quale guarisca le nostre passioni e poi ci guidi verso il Maestro, predisponendo la nostra anima ad

30 F. Bisconti, Alle origini dell’immagine di san Pietro: la memoria, la devozione, l’icono-grafia, in Aa.Vv., Pietro. La storia, l’immagine, la memoria, Milano, 1999, 129-148; F. Bisconti (a cura di), Temi di Iconografia Paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 258-259; F. Bisconti, Variazioni sul tema della Traditio legis. Vecchie e nuove acquisizioni, in “Vetera Christianorum” 40 (2003), 251-270.

31 Supra, nota 7. 32 O. Pianigiani, Il vocabolario etimologico della lingua italiana, Roma-Milano 1907, s.v.

maestro.

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essere pura e quindi capace di conoscenza, e ad essere in grado di accogliere in sé la rivelazione del Logos”.33

Quando, nel pieno delle polemiche eretiche, si definisce il ruolo di Gesù Maestro e della Sapienza, si definisce anche la funzione del Cristo-Medico dello spirito: la guarigione dello spirito deve avvenire prima dell’insegnamento ulti-mo.34 Essa non avviene per mezzo di un miracolo, ma per mezzo della fede. La virga ci libera dal peccato come lo schiavo è liberato dalle sue catene, ma l’in-segnamento è Verbo e si esplicita per mezzo della parola: così il Cristo Maestro rinuncia alla virga in favore del volumen, dove la parola è scritta e diventa Legge di Dio.35 Il Cristo-Logos si traduce in un Maestro che convince con la parola, ri-assunta visivamente da quel gesto del benedicere così noto a chiunque, nel mondo antico, frequentasse il foro.36

Il ter negabis è un ultimo piccolo capolavoro di gestualità:37 Cristo imparti-sce serenamente l’ultima lezione, sorride e, forte della Verità rappresentata dal vo-lumen, con il gesto delle tre dita stese annuncia a noi e a Pietro l’ultimo tradimen-to della debolezza umana, sintetizzato dal gallo tra i loro piedi. Pietro, aggrappato alla sua virga, è sconcertato: corruccia la fronte e si tocca il mento, come gli allievi delle antiche scuole filosofiche, ma poi apprende. E finalmente è pronto per la sua missione, che inizia attraverso un battesimo miracoloso operato attraverso la virga che ha ricevuto da Cristo: l’eredità è completa, l’insegnamento continua.

33 Clemente Alessandrino, Pedagogo 1,3,3, a cura di D. Tessore, Roma 2005.34 G. Dumeige, s.j., Le Christ médecin dans la littérature chrétienne des premiers siècles, in

“Rivista di Archeologia Cristiana” 48 (1972), 115-141.35 P. Testini, Osservazioni sull’iconografia del Cristo in trono fra gli apostoli. A proposito di

un distrutto oratorio cristiano presso l’Aggere Serviano a Roma, in “Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte” 11-12 (1963), 230-300; F. Bisconti, Cristo, in F. Bisconti (a cura di), Temi di Iconografia Paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 156-158.

36 R. Brilliant, Gesture and Rank in Roman Art. The Use of Gestures to Denote Status in Roman Sculpture and Coinage, in “Memoires of the Connecticut Academy of Arts & Sciences”, 14 (1973), 9-11, 213, 216.

37 Figg. 1-2; cf. ad esempio F.W. Deichmann, Repertorium der christlich-antiken Sarkopha-ge, o.c., nota 13, nn. 43 (qui riprodotto), 44, 241, 771.

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Fig. 1. Il cosiddetto Sarcofago Dogmatico. Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani).

Fig. 2. La “Trilogia petrina”. Dettaglio del sarcofago precedente.