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CUPIO DISSOL VI CREATIVITÀ ISTITUZIONALE E STRUMENTI DI GOVERNO CASI DI PRATICHE DI AGGREGAZIONE IN EMILIA-ROMAGNA ALESSANDRO PIRANI UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA | CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICA- ZIONE TERRITORIALE E POLITICHE PUBBLICHE DEL TERRITORIO | COORDINATO- RE PROF. PIER LUIGI CROSTA | XXI CICLO
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cupio dissolvi.

Mar 13, 2023

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CUPIO DISSOLVICREATIVITÀ ISTITUZIONALE E STRUMENTI DI GOVERNOCASI DI PRATICHE DI AGGREGAZIONE IN EMILIA-ROMAGNA

ALESSANDRO PIRANIUNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA | CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICA-ZIONE TERRITORIALE E POLITICHE PUBBLICHE DEL TERRITORIO | COORDINATO-RE PROF. PIER LUIGI CROSTA | XXI CICLO

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A Elena, Pietro e Bianca, la mia famiglia.

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Ringraziamenti

A lungo, ho pensato che non avrei mai finito. Scelte di vita radicali mi avevano portato lontano dalla

possibilità di dedicarmi allo studio necessario per condurre in porto, con una tesi, il corso di dottora-

to. So per esperienza che non si sta all’interno di un processo di indagine in modo periferico, a tem-

po perso: l’innesco della conoscenza nasce da una frequentazione sistematica, quotidiana, discipli-

nata, ‘a tu per tu’ con il campo e con la letteratura. Si può scrivere solo di ciò e con ciò che si è let-

to: nulla s’inventa oltre il testo che si scrive all’interno di una comunità di pratica, quella della ricerca.

Mi sbagliavo. In realtà, ciò che mi mancava non era il tempo, ma l’occasione. L’occasione che mi

mancava era una pratica professionale su cui concentrare le mie attenzioni speculative, da ‘mettere

alla prova’ e da cui provare a trarre lezioni. Quell’occasione è arrivata quando nei due ambiti in cui

presto la mia opera d’ingegno (non mi arrischierei a definirla ‘lavoro’) si è andato cristallizzando un

campo di pratiche con qualche margine di omogeneità e ripetitività: i comuni, l’organizzazione, il mu-

tamento istituzionale. Di quest’occasione devo ringraziare prima di tutto Giovanni Xilo, mio maestro

di consulenza organizzativa: a lui devo di aver potuto indebitamente frequentare ambiti di frontiera

nell’innovazione della Pubblica Amministrazione, a lui devo la fiducia e l’infinita pazienza verso la mia

ingestibile capacità di mettermi nei guai. A lui questo lavoro non piacerà, ed è giusto che sia così.

Devo poi ringraziare per la fiducia l’Amministrazione Comunale di ο, di cui mi onoro di far parte, in

particolare il Sindaco Sergio Maccagnani. A lui devo l’opportunità di poter provare a servire una co-

munità e di capire cosa può determinarne il ‘bene’; gli devo anche di poter frequentare la ‘macchina’

dall’interno: pur comportando su di me un’ennesima scissione di personalità, amministrare mi aiuta

ad acquisire competenze tecniche e politiche fondamentali nel mio percorso professionale. Ringrazio

infine in ordine sparso tutti coloro con i quali è capitato di interagire più o meno intensamente e di

condividere parti del mio percorso professionale e di ricerca sul campo. Fabrizio Tosi per le citazioni

e l’ascolto attivo; la Giunta tutta per la solidarietà e l’accogliente spirito di squadra; la squadra di

C.O. Gruppo e AROC dell’Università di Bologna, in particolare Simone Rossi, il cui investimento su

di me in termini di tempo, trasferimento di competenze, pazienza ancora oggi resta un mistero e Ful-

vio, per la vicinanza e il cameratismo. Ringrazio infine il professor Crosta, grande maestro di ironia,

capace di comprendere le persone da pochi tratti e di indirizzare i percorsi di ricerca con lucidità ra-

ra: la sua frequentazione seppur intermittente di questi anni ha rappresentato per me un arricchi-

mento inestimabile. Senza la sua disponibilità sempre viva nonostante tutto adesso non consegnerei

nulla.

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Così nessuna scienza ci permetterà di dire: il tale fatto acca-

drà, andrà così e così, perché ciò è conseguenza di tale leg-

ge, e tale legge è una verità assoluta, ma tanto meno ci con-

durrà a concludere scetticamente: la verità assoluta non esi-

ste, e quindi tale fatto può accadere e può non accadere, può

andare così e può andare in tutt'altro modo, nulla io ne so.

Quel che si potrà dire è questo: io prevedo che il tale fatto

avverrà, e avverrà nel tal modo, perché l'esperienza del pas-

sato e l'elaborazione scientifica cui il pensiero dell'uomo l'ha

sottoposta mi fanno sembrare ragionevole questa previsione.

La differenza essenziale da rilevare è nell'attribuzione del “per-

ché”: non cerco perché IL FATTO che io prevedo accadrà, ma

perché IO prevedo che il fatto accadrà. Non sono più i fatti

che hanno bisogno di una causa per prodursi: è il nostro pen-

siero che trova comodo di immaginare dei rapporti di causalità

per spiegarli, coordinarli, e renderne possibile la previsione.

Soltanto così la scienza può sentirsi perfettamente in regola di

fronte alla lapalissiana obiezione che il nostro spirito non può

pensare nulla che non sia un suo pensiero, non può concepire

nulla che non sia una sua concezione, non può ragionare di

nulla che non sia un suo ragionamento, nulla può contenere

che sia esterno a lui.

Bruno de Finetti, La logica dell’incerto, 1989

Sei condannato ad essere te stesso. Questo, dice, ci lascia

liberi di raffigurare ciò che vogliamo, dal momento che raffigu-

riamo sempre noi stessi. La calligrafia. Il modo di camminare.

Il motivo decorativo delle porcellane che scegli. Sei sempre tu

che ti tradisci. Ogni cosa che fai rivela la tua mano. Ogni cosa

è un autoritratto. Ogni cosa è un diario.

Chuck Pahlaniuk, Diary, 2004

Il n'y a pas de solution parce qu'il n'y a pas de probleme.

Marcel Duchamp, Door, 11 rue Larrey, 1927

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IndiceTracce introduttive! 13Conoscenza e azione 13

Una storia pratica 15

Sguardi autobiografici 18

Prolegomeni (domande)! 21Il comune è uno spazio autonomo? La crisi del confine amministrativo, tra pratiche e politica 21

A cosa serve superare i confini? Problematizzare l’adeguatezza tra distinzione e scalarità 25

Di cos’è fatta la capacità di un territorio? Tra mezze riforme, governance e intercomunalità 30

Crisi della politica (del) locale. Da Sisifo allo spettro dell’autodistruzione 37

Dissolversi conviene? Occasioni (professionali) per la creazione di un sapere istituzionale 41

Un caso di casi! 53Cooperare non basta (più). Una politica pubblica messa a nudo dai propri strumenti, anche. Il caso del-

l’Emilia-Romagna 55

Un anno di fusione in Emilia-Romagna ! 6503/12 Prologo: identità, standardizzazione, competenze. Di cosa stiamo parlando? 65

26/11 Che fine avrebbe fatto lo studio di fattibilità? Un attore, al condizionale 67

14/1 Lo studio per la fusione del Fiume Giallo: competenze, pratiche. Come si conosce un territorio?

70

4/2 Esordio sul Fiume Giallo: retoriche e antiretoriche dell’innovazione amministrativa. Tattiche e bias. 75

5/2 Fiume Giallo, perché la fusione: policy windows e argomentazioni. Prima che sia troppo tardi 85

22/2 In Regione: strumenti in cerca di politiche pubbliche. Un policy network in erba 89

15/3 Un incarico sul Fiume Verde: che cos’è ‘davvero’ una fusione? Si estende la rete d’azione 92

25/3 Associazioni sul Fiume Giallo: frammentazione, assenza di governo. 95

7/4 Post: sogni sineconomici 98

7/5 La (buona?) pratica di Ledro: il fascino discreto del ‘punto di non ritorno’. Cercasi replicabilità. 99

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10/5 La fusione del Fiume Giallo si deve fare: pratiche, numeri, politica. Argomenti e promesse. 104

18/5 Attivazioni sul Fiume Giallo: proiezioni, aspettative. Il peso dell’autobiografia organizzativa. 106

25/5 Altro giro di chiarimenti in Regione: no, no, no, sì? Affiorano ipotesi (di) politiche 108

4/6 Tra i Sindaci della “Città del Fiume Verde”: casello, scarpe, Storia. Insoddisfazione come leva? 111

21/6 Prima consegna sul Fiume Giallo: teoremi perturbanti del cambiamento. 115

1/7 Presentazione sul Fiume Verde: proiezioni, processi, scenari. Simulare il mutamento. 121

9/7 Seminario sul Fiume Giallo: dimostrazioni, linee guida, defezione. L’arrocco sembra irreversibile. 124

27/7 Blitz sul Fiume Blu: politica creativa e ipotesi di governance. L’unione non basta: per chi? 128

19/8 Indagine di mercato: lo sciame della fusione. Vantaggio competitivo su un prodotto difficile. 133

20/8 Post: fusioni, bollettino dal fronte 135

6/9 Preliminari sul Fiume Rosso: rappresentanza, geometrie variabili. 136

9/9 Una delibera non basta: un (mezzo) passo falso sul Fiume Blu. 138

17/9 Tra i Sindaci del Fiume Verde: abbattere i campanili? La difficile proiezione dell’identità 140

21/9 Confronto nonostante sul Fiume Blu: dove sta il problema? L’importanza della gradualità 143

21/10 Fiume Giallo che resiste: dalla Linea Gotica alla linea eolica. Pale, autonomia, resistenza. 146

3/11 Sul Fiume Verde: rappresentanze, interessi, sfiducia nella politica. Quali ‘condizioni’ di fattibilità?

152

26/10 Sul Fiume Rosso: politica, capacità, attori. Strutturare una volontà per il consenso 154

28/10 Ritorno a Ledro: soldi e deroghe non bastano. Tramonta l’idea della ‘best practice’ 157

29/10 Interpellanze (e un blog) sul Fiume Blu: retorica, programmazione, azzardi strategici. 159

22/11 La consegna al Fiume Giallo: proroghe e revisioni. La (mancata) costruzione dell’usabilità 161

La tenuta dell’argomento economico: governing by the numbers. 164

Dimostrare l’insostenibilità: simulazioni su filo dell’aleatorietà 166

L’argomento più ghiotto: la competitività sul mercato dei finanziamenti 169

Benchmarking e proiezioni sulla riqualificazione del personale 171

Modello “hub and spoke” per l’unificazione 176

Linee guida per nuove geometrie di rappresentanza nei territori 177

30/11 In Casentino, in cerca di imprenditori di confini. Inutili passaggi intermedi 178

10/12 Nei centri anziani del Fiume Verde: affidarsi la politica, oltre lo Studio. Partire dalla gente 181

18/12 Sul Fiume Rosso vogliono partire: la checklist dei documenti. Si circoscrive una prassi. 184

7/1/11 Alle sorgenti del Fiume Blu: organizzazione del territorio e soluzioni locali. 188

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14/1/11 Epilogo sul Fiume Giallo: autonomia e federalismo. Reframing necessari. 194

Alcune risposte! 200Dissoluzione istituzionale. Preferenze, soluzioni, derive 200

Il problema delle identità. Cambiamento, scenari, argomentazioni. 203

Progettare le istituzioni. Attori e sottoprodotti dell’azione. 206

Imprenditori di confini e sensemaking. Ruolo delle comunità epistemiche 210

Politiche, pratiche. Tradurre le pratiche in riforme. Tra detournement e apprendimento istituzionale. 213

A margine ! 218

Bibliografia! 222

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Tracce introduttive

Conoscenza e azione

Questo studio descrive un processo di apprendimento nel corso dell’azione. Un processo in

cui la definizione di uno schema tecnico di intervento determina da un lato la ridefinizione

delle identità coinvolte e dall’altro la produzione di politiche come ipotesi istituzionalizzate

d’azione orientata al cambiamento. Un processo, infine, che determina l’emergenza di un

‘desiderio di dissoluzione’ (da cui il titolo: cupio dissolvi) che accomuna, a partire da ragioni

e presupposti diversi, attori sociali coinvolti in un processo di policy.

Nelle pagine che seguono si tenterà di fornire una rappresentazione (tra quelle possibili) di

un processo di costruzione di ‘conoscenza professionale’, letta come l’esito dell’applicazio-

ne di metodologie ‘scientifiche’ che attribuiscono a determinati attori - all’interno di una

comunità di pratica determinata, definita in base all’oggetto di cui ci si occupa - una ricono-

sciuta autorevolezza (Lindblom e Cohen, 1979). Un processo di costruzione di conoscenza

professionale cui corrisponde, in termini di processo, la creazione di una politica pubblica

esito dell’interazione con gli attori oggetto d’indagine. L’attività professionale di ricerca, co-

noscenza e intervento sulle politiche e per la costruzione di politiche pubbliche, intese come

“azioni intenzionali di trasformazione (o che producono effetti di trasformazione) dell’orga-

nizzazione (Crosta, 1998) coinvolge la sfera dell’apprendimento di chi la agisce e di tutti gli

attori che a vario titolo ne sono coinvolti: tra questi le Amministrazioni, i politici locali, le co-

munità locali, soggetti associativi e di rappresentanza di interessi e così via. Nel processo di

apprendimento in cui si dà la produzione conoscenza territoriale ognuno produce ‘interatti-

vamente’ riformulazioni della propria identità, partecipa delle pratiche di comunità sociali e

della costruzione d’identità in relazione a queste comunità (Wenger, 2006): sono allora io

che scrivo che, partecipando a una pratica, rileggo la mia stessa identità.

In questo studio viene ripercorso un tratto del processo (in fieri) di ridelimitazione di un

campo di pratiche (e) politiche che vede coinvolti alcuni territori accomunati dalla volontà di

focalizzare un obiettivo di riconfigurazione istituzionale che, sulla carta, appare identico: la

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fusione dei comuni in cui sono amministrativamente divisi. All’interno di questo processo di

costruzione di una ‘comunità di pratica’ istituzionale appare centrale il ruolo di quei soggetti

‘terzi’ (i consulenti) che, in forza di una riconosciuta autorevolezza su quella particolare is-

sue, creano i nessi logici e si fanno vettori delle informazioni che innescano processi imitativi

e di traslazione delle pratiche. La ‘creatività istituzionale’ cui si fa riferimento nel titolo allude

a questo processo di creazione, in cui l’esito trasformativo prefigurato viene negoziato inter-

attivamente tra gli attori, secondo processi logico-causali che, ben lungi dal darsi come li-

neari, si determinano e si plasmano sulla base delle storie personali che li innervano.

Lo sfondo è quello del Programma di Riordino Territoriale (PRT) della Regione Emilia-Roma-

gna e di alcuni casi locali che sembrano riscriverne i contenuti secondo una propria decli-

nazione locale degli obiettivi e degli strumenti a disposizione. Nel caso studio qui descritto

interagiscono almeno quattro macro-tipologie di attori, nella cui interazione sembra darsi la

produzione di una politica pubblica come effetto emergente, come sottoprodotto (non in-

tenzionale) di una politica. Riportiamo di seguito una sintesi dei personaggi della storia, se-

condo il ruolo che in questa storia effettivamente hanno. Circoscrivere entro un numero pre-

stabilito di personaggi la complessità degli attori campo risulta utile, in una prospettiva nar-

rativa, per renderli operativi entro il quadro di policy: i personaggi incorporano infatti sistemi

di connotazione e personalità che alludono ai ruoli con cui, nella narrazione, li si fanno abita-

re legittimamente all’interno di un processo.

1) Le Amministrazioni locali. Intese qui come ‘clienti’ nel processo di conoscenza innescato

dall’affidamento di un incarico di consulenza, rappresentano i detentori della principale

fonte di volontà che alimenta l’innesco della politica pubblica. Non esprimono una visione

chiara e preordinata della trasformazione che intendono imprimere al territorio e si affida-

no alla ‘tecnica’ per ‘avere un’idea’ e orientare la propria decisione rispetto a un’ipotesi

che si dà inizialmente come risposta a un’offerta pubblica.

2) La Regione. Intesa qui come ‘principale policy maker’, legislatore, produttore e detentore

del filone di politiche entro cui si inscrivono le pratiche locali che descriviamo. La Regione

è l’attore cui compete la definizione del frame politico di metodi e risultati, dentro il quale

gli attori locali (i destinatari: le Amministrazioni) si muovono attivandosi volontariamente in

risposta agli strumenti di incentivazione messi in campo.

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3) Gli stakeholder. Intesi come qui come ‘portatori di sistemi di preferenze’ rispetto alla tra-

sformazione istituzionale, che si assume possano essere trattate come date, circoscrivi-

bili in quanto afferenti a una categoria. La lettura della comunità degli attori locali come

‘portatori di interesse’ opera una riduzione di complessità che la rende funzionale all’ar-

gomentazione.

4) I consulenti. Intesi qui come ‘fornitori di conoscenza’, enzimi del cambiamento e (con-

temporaneamente) produttori e traduttori di pratiche trans-locali. I consulenti abitano il

campo di pratiche in cui e su cui sono coinvolti in quanto tali (consulenti), e nel farlo ne

definiscono i confini che sono a monte sfumati e inconoscibili per gli stessi clienti.

I personaggi stanno sulla scena definendo la propria identità ricorsivamente, all’interno di

una dinamica interattiva in cui l’acquisizione di competenze è centrale: nella storia ampio

spazio viene dedicato all’apprendimento insito nella ‘partecipazione periferica legittimata’

(Lave e Wenger, 2006), l’apprendistato. Nell’apprendistato, termine col quale non designo

una categoria contrattuale ma uno stato permanente descrittivo delle relazioni interattive

professionali, la materia prima che viene creata e costantemente ridefinita è la competenza,

la capacità di esibire comportamenti funzionalmente adeguati un vasto spettro di situazioni

d’azione facendo leva su un repertorio di abilità fisiche, pratiche, o intellettuali che hanno

una base cognitiva (Lanzara, 1993).

Due livelli di lettura: mentre a un primo livello la storia descrive la costruzione di competenze

pratiche nell’affrontare un campo vergine, in cui non vi sono (o non si possiedono) sufficienti

skill tecnici per produrre conoscenza utile, a un secondo livello arriva a rappresentare la pa-

rabola del processo di costruzione di una policy ridefinita da questo stesso processo di ac-

quisizione di competenze. Imparare a trattare un problema sociale equivale a crearlo.

Una storia pratica

Il processo di policy si fonda sull’apprendimento interattivo tra pratica professionale (come

ripetizione di pratiche mediante la ricerca di soluzioni e il progressivo adattamento attorno al

problema) e il problema stesso. Il processo di apprendimento ha a che fare con l‘instaurarsi

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di pratiche intese come programmi d’azione acquisiti selezionando o generalizzando rispo-

ste a problemi che si sono dimostrate efficaci in passato e scartando gli errori precedente-

mente commessi (Lanzara, 1993). Pratiche, routine, intese quindi come costrutti di prove

ed errori il cui esito è la produzione di una qualche conoscenza pratica, usabile, utile e

spendibile e che rimanda a un qualsiasi avanzamento, miglioramento, adeguamento am-

bientale dell’identità al contesto. Conoscenza pratica: che procede e si costruisce necessa-

riamente su un’alternanza di prove ed errori. In questo senso, l’apprendimento va inteso

come esito dell’adattamento e riformulazione costante dell’identità attorno a un oggetto, in

un processo nel quale l’errore, il fallimento, riveste un ruolo centrale. La sua natura com-

plessa, versatile, o scaltra, ne fa un oggetto difficile da circoscrivere: il fallimento rappresen-

ta un problema, ed è per questo che ci interessa (Chéroux, 2009). Nel suo “La formazione

dello spirito scientifico”, Bachelard dimostra che è “in forma di ostacoli che bisogna porre il

problema della conoscenza scientifica”. Di solito, con un ostacolo ci si scontra, è ciò che

intralcia l’avanzamento della comprensione [...] esso può dimostrarsi un prezioso indicatore

dei processi in atto nell’esperienza cognitiva. La conoscenza è una luce che proietta sem-

pre ombre da qualche parte, ed è percepibile soprattutto grazie a queste (ibidem).

Luci, ombre, artefatti cognitivi e materiali popolano la storia che raccontiamo: gli avanza-

menti progettuali sono scanditi dall’entrata in scena di attori umani, relazioni, ma anche ipo-

tesi, leggi, determine, delibere, programmi, piani, articoli, interviste artefatti la cui visibilità è

al contempo causa e conseguenza dell’attivazione degli attori nel campo organizzativo. Al-

l’interno della scansione ‘sincronica’ della storia gli oggetti fanno la loro comparsa reificando

ciò che viene raccontato verbalmente: passaggi chiave, apprendimenti, errori, contratti,

programmi d’azione. Sono ‘oggetti liminali’ in fieri, raccontati nell’atto di acquisire quelle ca-

ratteristiche di modularità, astrazione, adattamento e standardizzazione che ne faranno

strumenti di coordinamento: artefatti come prodotti dell’azione consulenziale, la cui efficacia

è sottoposta a continui stress test di tenuta, oggetti che costruiamo come risposta ai biso-

gni locali e situati del caso concreto sul quale lavoriamo e che immaginiamo possano diven-

tare spendibili anche altrove, diventando routine e definendo quindi quei locali secondo lo-

giche descrittive e metriche analoghe. Le offerte, i rapporti di cui lo studio è punteggiato

sono gli oggetti intorno ai quali tanto l’interazione biunivoca consulente-cliente quanto quel-

la reticolare con la comunità che si addensa attorno alla pratica specifica di progetto (in

questo caso: le fusioni di comuni) si organizzano le interconnessioni e coordinano le pro-

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spettive per il raggiungimento di una determinata finalità (Wenger, 2006). Gli ‘oggetti di con-

fine’ reificano sistemi di aspettative dei vari attori in gioco: il processo che porta alla defini-

zione degli oggetti risulta utile a comprendere le logiche di costruzione delle pratiche e delle

comunità - delle reti d’azione, nel gergo dell’actor-network theory, attorno a esse.

Il caso particolare raccontato nello studio di caso racconta di schemi d’attivazione ritmati

dalla relazione tra clienti e fornitori, osservati e osservatori entro il frame del project mana-

gement: il caso nasce infatti non dall’osservazione esterna di un processo, ma dall’autoos-

servazione partecipante dall’interno dello stesso processo. Tralasciando l’esteso dibattito

sulla possibilità o meno di produrre auto-osservazioni dotate di un qualche significato, su

cui gli interpreti delle scuole cibernetiche si sono soffermati, mi limito ad assumere come

percorribile una ricostruzione a posteriori dell’evoluzione narrativa della storia che mi vede

personaggio e interprete. Una ricostruzione in cui viene resa irrilevante la pretesa razionali-

sta di produrre osservazioni oggettive, superata com’è dalla strumentalità con cui la storia

viene osservata: la storia interessa solo in quanto utile a qualche scopo. Chiarita la virtuale

impossibilità dell’oggettività, diventa irrilevante l’effettiva veridicità dei fatti raccontati.

Ciò che per convenzione definiamo ‘gestione dei progetti’ (project management) costituisce

un insieme di pratiche riconducibile (per convenzione) alla comunità di quanti, in chiave pro-

fessionale e/o imprenditoriale, lavorano nei processi per esercitarvi un qualche ruolo di atti-

vatori (nel senso che Weick attribuisce al verbo to enact, come costitutivo del processo di

conferimento di senso nelle organizzazioni). Un tratto che conferisce un’autonomia discipli-

nare propria a questo campo di pratiche (qualunque ne sia il campo di applicazione concre-

ta) lo si può rinvenire nello schema convenzionale della consegna di prodotti immateriali

(generalmente indicati come deliverable: rapporti, verbali, resoconti, brief, ecc.) che rappre-

sentano la conclusione di compiti di complessità variabile, generalmente previsto dalla rap-

presentazione analitica del progetto (diagramma di gantt o altre metriche di progetto).

L’azione di consegna (o rilascio, secondo il gergo in uso nella comunità ICT) di un prodotto

(output) istituisce una relazione complessa tra le parti contraenti (definibile in questo caso

come outcome: effetto, esito); il prodotto-artefatto oggetto di questa azione assume un

ruolo nel processo, ruolo che può essere, al contempo, di:

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1. Vettore contrattuale. Il rilascio assolve a clausole contrattuali, dà corso a voci specifiche

dei capitolati, determina l’avanzamento del progetto (secondo le metriche in uso: per-

centuali economiche erose dal budget, numero di azioni svolte sul totale di quelle previ-

ste, obiettivi raggiunti rispetto al piano, eccetera); in generale, gli elementi quali-quantita-

tivi dell’azione di rilascio costituiscono un terreno di negoziazione sulle condizioni di

scambio tra le parti, in cui le tattiche (De Certeau, 2001) delle parti mettono in scena

anche simbolicamente i rapporti di forza (si “rilascia” qualcosa o qualcuno che è tratte-

nuto, rinchiuso).

2. Driver di avanzamento concreto. Mediante il rilascio di un prodotto previsto dal progetto,

il rilascio può sancire l’avanzamento operativo del progetto, ove sia dotato di (o implichi

l’attivazione di) elementi dispositivi specifici (è il caso di verbali nei quali si individuano i

responsabili di azioni necessarie, o si selezionano i destinatari di successive comunica-

zioni, eccetera).

Tutti questi connotati implicati dall’azione di rilascio del prodotto di consulenza possiedono

un carattere specificamente relazionale, strumentale rispetto ad uno scopo “interno”. In altre

parole, producono outcome apprezzabili specificamente nella relazione tra contraenti. Il rila-

scio di un prodotto di consulenza - l’ingresso di un oggetto entro un campo organizzativo -

può innescare processi di apprendimento: un documento di analisi organizzativa o econo-

mica, un verbale, una checklist di documenti da produrre, irrompono - innescando reazioni

cognitive di adesione, di presa di distanza, di adattamento - nel campo organizzativo de-

scritto e negli attori che lo abitano. Possono ottenere esiti di attivazione e di sensemaking,

in misure diverse come diversi sono i gradi di resistenza al cambiamento dei campi organiz-

zativi in cui si trovano ad interagire.

Sguardi autobiografici

Non dico mai quello che penso, ma solo quello che serve.

(Giovanni Xilo, 2011)

“Sforzatevi di non vedere la soluzione”, suggerirà a un certo punto uno dei personaggi della

storia. La battuta è felice. È come se il cliente dicesse: vi pago perché siate capaci di ogget-

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tivare al massimo - immunizzandola da qualsiasi bias ideologico, politico o di altra natura -

una lettura diagnostica del problema che vi sottopongo, attenti a non aderire a priori all’op-

zione di cui stiamo valutando la percorribilità. Problematizzando la nostra capacità di di-

stacco valutativo, implicitamente ne sta mettendo in luce la paradossalità: nella relazione di

consulenza non c’è problema e non c’è soluzione al di fuori di ciò su cui tutti gli attori con-

vengono. Il consulente, per definizione, non “dice mai quello che pensa ma solo quello che

serve” a co-costruire nella relazione con il cliente un senso attorno a ipotesi e domande di

aiuto che per definizione, al di fuori di questa relazione, non sono mai riconoscibili. Tutto

questo ha a che fare con lo sguardo e con lo statuto dell’osservatore, la cui possibilità di

descrivere le identità altre è strettamente legata alla capacità di definire la propria.

Useremo nella costruzione del caso studio un approccio narrativo, in cui vi è una ricompo-

sizione tra individuo (l’io narrante) e organizzazione (l’ambiente in cui si svolge la storia nar-

rata). Assumiamo con Czarniawska (2004) che vi sia un’analogia e una connessione tra

identità personale e identità organizzativa: la connessione è data dal fatto che “entrambe

sono sottonarrazioni interne alla narrazione moderna, che ingloba e richiede individui, mer-

cati e stati”, mentre l’analogia sta nel fatto che le identità individuali e organizzative hanno

logiche costituive molto simili (ibidem). La stessa studiosa propone di trattare l’identità co-

me una narrazione, o “per meglio dire, un processo continuo di narrazione dove sia il narra-

tore sia il pubbloco sono coinvolti nel formulare, rivedere, applaudire e rifiutare vari elementi

della narrazione perennemente messa in scena”. In una lettura di questo tipo, a diventare

problematica è la possibilità di stabilire nessi di plausibilità in quanto narrato in forma auto-

biografica da un ‘io narrante’ rispetto a un’organizzazione (magari un’organizzazione cui l’io

narrante appartiene).

La stesura del caso studio è strutturata secondo un modello di ‘genere’, il diario, scritto ex

post a una distanza dagli eventi tale da averli già (al momento della scrittura) oggettivati

come ‘snodi narrativi’, valutati cioè non come fatti in se ma come fatti dotati di una qualche

significatività ai fini dell’esposizione. Il prodotto narrativo è l’esito di tre stesure:

1. La ricostruzione dei ‘fatti’ sulla base della ricerca (‘autoricerca’) di materiali documentali

atti a ricostruirne la salienza (documenti come comunicazioni, e-mail, appuntamenti,

verbali, ecc.). La prima fase ha richiesto un’intensa catalogazione dei materiali, una loro

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allocazione temporale entro intervalli temporali precisi su cui si è impostata la prima ste-

sura narrativa.

2. La semplice scansione temporale dei fatti salienti è stata riletta e parzialmente riscritta

alla luce degli apparati teorici costruiti parallelamente, che ne hanno reindirizzato le chia-

vi interpretative dominanti. Questa prima ‘risciacquatura’ è stata limitata ai singoli ele-

menti della storia.

3. La terza rilettura, oltre a soffermarsi su questioni di carattere stilistico e di complessiva

leggibilità, ha inteso conferire omogeneità e maggiore linearità alla scansione degli eventi

in funzione della tesi di cui gli stessi sembrano fornire una rappresentazione concreta.

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Page 21: cupio dissolvi.

Prolegomeni (domande)

Una dinamica di progressiva riscrittura come quella descritta nel paragrafo precedente è

toccata anche a questi ‘prolegomeni’, paragrafi introduttivi in forma di quesiti che hanno lo

scopo di circoscrivere lo sfondo su cui si svolge il caso narrato. Anche in questo caso, infat-

ti, a una prima stesura libera che aveva lo scopo di esplorare, partendo molto ‘alla lontana’,

il campo teorico della fusione di comuni, è seguita una seconda che da un lato ne ha raffor-

zato gli ancoraggi argomentativi e dall’altro ha tentato di circoscrivere l’ambito professionale

e di ricerca. Alle domande poste in questi paragrafi lo studio fornirà solo alcune risposte la

cui validità e coerenza va ricercata come tentativa, affatto definitiva e funzionale all’apertura

di un fronte di ricerca.

Il comune è uno spazio autonomo? La crisi del confine amministrati-vo, tra pratiche e politica

Il comune rappresenta per lo stato italiano la fondamentale cellula del sistema di governo.

Attraverso il comune viene esercitato il controllo, la manutenzione e la difesa del territorio. Il

Testo Unico degli Enti Locali (L. 267/2000), all’Articolo 13 del Capo I individua le funzioni

che sono attribuite al governo municipale: “tutte le funzioni amministrative che riguardano la

popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla per-

sona e alla comunità, dell'assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico,

salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regiona-

le, secondo le rispettive competenze”. Ai compiti che la Legge attribuisce direttamente ai

comuni, lo stato aggiunge una serie di altre funzioni delegate, elettorali, di stato civile, di

anagrafe, di leva militare e di statistica per le quali il sindaco che le esercita viene designato

ufficiale del Governo. Non è poco, considerato che questa previsione si applica a tutti i co-

muni, senza distinzione.

A tutti i comuni Italiani sono attribuite le medesime competenze: dal più grande (circa 3 mi-

lioni di abitanti) al più piccolo (circa 30) i comuni sono di fatto esattamente equivalenti in

21

Page 22: cupio dissolvi.

termini di poteri locali: questo nonostante risulti evidente che imporre lo stesso vestito a

grassi e magri, alti e bassi, non produce maggiore uguaglianza, produce semplicemente

una rigida e ottusa inadeguatezza rispetto alle esigenze sostanziali di soggetti diversi (Van-

delli, 2008). Dai grandi ai piccoli, tutti fanno tutto. Naturalmente, questo è vero solo in teo-

ria. Qui interessa capire se i comuni, in particolare quelli medio-piccoli, sono in pratica in

grado di esercitare una propria concreta autonomia e, se no, come articolano progetti di

riforma per conquistarne altra.

L’attuale configurazione dell’autonomia locale è l’esito di un processo che, in tre fasi (Spalla,

2000) ha trasformato in sequenza il comune da ente periferico dello stato, con attribuzioni

obbligatorie amministrative e di controllo (Testo Unico della legge comunale del 1934) a ge-

store di materie delegate più ampie e infine (con la L. 142/90) a soggetto pienamente auto-

nomo dotato di una rafforzata potestà statutaria e regolamentare. Il comune, la cui organiz-

zazione spaziale ricalca ancora - sostanzialmente - quegli stessi ambiti amministrativi me-

dievali che avevano nel Castello o nella Pieve il fulcro da cui si irradiava sui territori rurali

l’azione politica del signore locale, deve quindi amministrare ogni aspetto della vita di chi vi

risiede, dell’intera comunità che lo abita. La comunità viene normalmente pesata in funzione

delle numerosità dei suoi membri, i residenti. In Italia, quasi la metà del totale dei comuni di

residenti ne ha meno di 5.000: sono i piccoli comuni, una vasta popolazione di quasi 4.000

micro-enti cui corrisponde appena il 2% della popolazione totale. Fin qui i numeri. Ma la

comunità che abita i comuni non viene invece mai pesata in funzione di cosa fanno e chi

sono i suoi membri.

Oggi porsi la domanda “chi abita il comune?” significa mettere in tensione lo scollamento

tra modello organizzativo istituzionale locale, omogeneo per tutti e dovunque, e le pratiche

di vita delle popolazioni. Chiedersi ‘quale comunità’ abita il locale comporta parallelamente,

di ‘quale locale’ stiamo parlando (Crosta, 2003). In risposta al primo quesito viene in aiuto

Martinotti (1993), che scompone le popolazioni urbane in quattro tipi di “popolazioni utenti”:

gli abitanti, i pendolari, i consumatori metropolitani (city users) e gli uomini d’affari. Adattan-

do la tipologia all’intera gamma di comuni, Spalla (2000) osserva che nei piccoli comuni so-

no presenti sostanzialmente abitanti e pendolari, che insieme risiedono, lavorano e consu-

mano. Questa semplice constatazione rende evidente la necessità per le politiche di adotta-

re di una morfologia sociale nuova (Pirani, 2007), in grado di dare una risposta al paradosso

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Page 23: cupio dissolvi.

per cui, secondo le statistiche, le grandi città si spopolano ma appaiono sempre più conge-

stionate e invivibili, le piccole città si popolano ma appaiono sempre più come dormitori; ma

rende evidente anche come i comuni hanno sempre meno a che fare con popolazioni pro-

prie, stanziali e facilmente confinabili e che, infine, le politiche pubbliche che tentano di far

combaciare i due elementi del problema siano destinate a non funzionare. La mobilità fisica

e sociale determina l’insorgenza di popolazioni ‘itineranti’, caratterizzate da un rapporto

d’uso intermittente nei confronti del/i territorio/i, popolazioni per le quali il ‘territorio dell'abi-

tare’ è costituito da reti di luoghi dove ‘fanno qualcosa’ (Crosta, 2006) che nei fatti sovver-

tono il patto (fiscale, elettorale) alla base della democrazia, interrogando insistentemente le

politiche pubbliche. L’autonomia dei territori (l’autonomia locale) va ripensata.

Lo scollamento tra entità amministrative interroga le politiche. E quali domande pone? In

primo luogo, di ripensare le istituzioni e il ruolo che gli attori sociali vi giocano. Secondo Do-

nolo (1997) si pensa alle istituzioni quando qualcosa “non sta funzionando”: la percezione

dello scollamento è un sintomo che qualcosa non va. I comuni: formati in un contesto ca-

ratterizzato da forte stanzialità delle popolazioni, si sono andati sedimentando e strutturan-

do (istituzionalizzando) fino ad oggi come entità di governo locale di base, adattato isomor-

ficamente sulle caratteristiche geografiche di territori definiti ora da precisi limiti fisici ora dal-

le capacità di rappresentarlo su basi cartografiche. Quel che del mondo si può rappresenta-

re sulla carta, ciò che è topograficamente rilevante, non è ciò che può spiegarne il funzio-

namento (Farinelli, 2003). Il funzionamento del territorio eccede quindi la capacità dell’am-

ministrazione di circoscriverne il contenuto. Dice Foucault: “il problema della sovranità si ri-

assumeva in definitiva nella questione seguente: come fare affinché niente si muova, o co-

me posso procedere senza che si muova? Come delimitare il territorio, come fissarlo, come

proteggerlo o ingrandirlo?” (Foucault, 2005). L’amministrazione dello spazio, ben prima che

questo spazio fosse definibile come “pubblico”, consisteva principalmente nella delimitazio-

ne di confini entro cui esercitare un’azione di controllo, una qualche forma di coercizione

sulla circolazione, intesa con Foucalut (ibidem) in senso lato come “spostamento, scambio,

contatto, forma di dispersione, di distribuzione”. Era ed è, questo, il territorio della politica,

lo spazio sancito da confini amministrativi, che aveva e ha una propria condizione fondativa

nella stanzialità delle popolazioni ma che, instaurando una tensione irriducibile tra lo spazio

delle politiche e spazio dell’amministrazione , di fatto ne prefigura in nuce un superamento.

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Page 24: cupio dissolvi.

La tenuta dei confini delle amministrazioni entra in crisi al disvelarsi del mancato isomorfi-

smo con i confini delle pratiche sociali: quando cioè diventa chiaro che non esiste una bensì

molteplici popolazioni, e che le logiche con cui queste abitano lo spazio sono irriducibili ad

una qualsiasi definizione amministrativa dello stesso. Questa crisi interroga quelle che oggi

definiamo ‘politiche pubbliche’, secondo la definizione “ogni tentativo messo in atto per

fronteggiare un problema collettivo, mobilitando risorse pubbliche per avviarne la soluzione”

(Regonini, 2001). La crisi dei confini mette in tensione le politiche pubbliche, con particolare

riguardo ai bacini di utenza cui queste pretendono di rivolgersi, mostrando come l’indivi-

duazione a priori di confini di applicazione (siano essi dati dalle settorialità e specificità di

intervento o dalla natura dei pubblici cui si rivolgono) diventi progressivamente meno perti-

nente (Fedeli, 2009).

Il legislatore ha colto negli anni il potenziale critico della tenuta dei confini municipali, preve-

dendo (comma 2), nel Testo Unico degli Enti locali, definite le funzioni di cui è competente,

che “per l'esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati” il comune possa attuare for-

me sia di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia. Ecco, il

comune può cooperare con altri per far fronte a quest’enorme mole di attività che gli com-

petono. La parcellizzazione estrema dell’amministrazione locale italiana, cui corrisponde una

diffusa inadeguatezza degli enti locali a far fronte autonomamente alle funzioni di cui è titola-

re, viene combattuta dal legislatore con strumenti morbidi, rinunciando a priori alla via auto-

ritaria. I comuni possono cooperare, almeno in teoria, fino a quando la chiusura del bilancio

glielo consente. L’attuale dibattito sul cosiddetto federalismo fiscale sembrerebbe dimostra-

re da parte dello stato un atteggiamento riassumibile nello slogan: “tutta l’autonomia che

vuoi, finché ce la fai”. Secondo un’evocativa definizione (Spalla, 2000) il governo locale e il

governo centrale sono impegnati in una costante gara di “tiro alla fune”: nel momento in cui

ha riconosciuto una maggiore autonomia ai sistemi locali (1970) ha accentrato le modalità di

assunzione del gettito fiscale (1972), recuperando potere proprio laddove lo aveva appena

concesso. Vent’anni dopo jl tema si è riproposto in toni meno acuti, nel momento in cui la

legge di riforma delle autonomie locali (1990) ha ampliato in misura cospicua l’autonomia

degli enti, che tuttavia è stata frenata da politiche in tema di personale, e in parte di finanza,

tendenti al mantenimento del controllo statale sulle risorse (ibidem).

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Page 25: cupio dissolvi.

A cosa serve superare i confini? Problematizzare l’adeguatezza tra di-stinzione e scalarità

A entrare in crisi è quindi lo spazio istituzionale, nella forma e nella sostanza, sancito da un

confine. Che cosa è un confine? Secondo Bourdieu1, lo spazio (sociale) è definito dalla mu-

tua esclusione, o dalla distinzione, delle posizioni che lo costituiscono, vale a dire come

struttura di giustapposizione di posizioni sociali; ed è lo stesso spazio sociale che tende a

ritradursi nello spazio istituzionale lo plasma in “maniera più o meno deformata” (ibidem).

Seguendo la ricostruzione proposta da Cella (Cella, 2006), ammettiamo che il confine rap-

presenti il dispositivo mediante il quale l’unità dello spazio viene scomposta e resa intelligibi-

le e abitabile dall’azione sociale. Il confine sarebbe il frame che consente di delimitare un

gruppo sociale entro una cornice rispetto al mondo che lo circonda, definendone l’unità au-

tosufficiente, ciò che fa dire a Simmel che l’unità dell’azione reciproca, la relazione funziona-

le di ogni elemento con ogni altro, acquista la sua espressione spaziale nel confine che in-

cornicia.

Ma questo cosa c’entra con i confini amministrativi? Che coerenza esiste tra le popolazioni

che abitano uno spazio e la forma dello spazio stesso? La traduzione “più o meno deforma-

ta” di cui parla Bourdieu (riferendosi allo spazio fisico, argomentando in pratica che ciò che

vediamo altro non è che la trasposizione delle relazioni sociali che precedono quella morfo-

logia) in che modo si riscontra nella forma che tendono ad assumere le istituzioni? La do-

manda di riforma del confine istituzionale affiora quando il frame amministrativo non riesce

più a contenere le pratiche sociali che vi si consumano all’interno. Lo sviluppo di discorso

attorno all’adeguamento dei confini è qua.

Cosa sono i confini istituzionali, in senso generale: operatori logici di distinzione delle posi-

zioni che definiscono e rendono leggibile il territorio come spazio-del-governo dell’ammini-

strazione. La loro scansione disegna una partitura ritmata di segni e simboli che reificano le

relazioni di potere e i bacini entro cui le azioni di governo - dalla difesa all’erogazione di ser-

vizi alla produzione di politiche pubbliche in genere - sono legittimamente (senza che qui ci

s’intenda addentrare nell’origine di questa “legittimità”) esercitate. I confini politici degli Sta-

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1 La citazione è contenuta in Cella G. P. (cit.) e si riferisce a Bourdieu P. (1997) Mediations pascaliennes,

Paris, Seuil

Page 26: cupio dissolvi.

ti-Nazione nascono con e dalla difesa di confini: nella regolazione degli accessi mediante

dispositivi di controllo (di inclusione/esclusione) sta la prima fondamentale azione di governo

che li fa esistere, trasformando lo spazio geografico da superficie liscia a superficie striata

(secondo la nota dicotomia di Deleuze).

┐Se il confine amministrativo sancisce staticamente l’esistenza di uno spazio, l’attraversa-

mento del confine descrive analiticamente la dinamica dell’azione produttiva del territorio, in

termini di riapertura esplorativa all’Altro (sia esso uno spazio sconosciuto-non mappato-non

abitato). L’attraversamento (crossing) distingue lo spazio indistinto creando (facendo esiste-

re) i territori (territori fisici, territori delle pratiche, territori delle politiche): è l’operazione di at-

traversamento che unisce ciò che è separato, che genera il territorio come “rete transloca-

le” (Crosta, 2003). Può essere utile seguire per un attimo l’approccio terminologico della

logica formale di George Spencer Brown, nell’uso che le teorie cibernetiche dell’autopoiesi

ne hanno fatto (Maturana e Varela, ). Secondo lo studioso, “the skin of a living organism

cuts off an outside from an inside. So does the circumference of a circle in a plane” (Spen-

cer Brown, 1972): l’organismo cellulare si distingue dal mondo mediante un diaframma, la

pelle (skin), e quando ricostruiamo il modo con cui rappresentiamo questa separazione

creatrice cominciamo a ricostruire, con una accuratezza che appare inquietante, le forme

basilari che sottostanno le scienze linguistiche, matematiche, fisiche, biologiche, e possia-

mo cominciare a osservare quanto le leggi familiari della nostra esperienza originano ineso-

rabilmente da quella separazione (ibidem).

Ogni volta che ci riferiamo a un’unità nella nostra descrizione, stiamo implicando un’opera-

zione di distinzione (rappresentata nella simbologia della logica formale con il simbolo sopra

riportato) che la definisce e rende possibile, in quanto diversa dall’ambiente che la circonda:

anche ciò che come osservatori chiamiamo “territorio” può essere letto come l’esito di una

originaria operazione di distinzione tra unità autonome e lo spazio indistinto che le circonda.

I territori, altro non sono che spazi segnati (marked space) da un’operazione di distinzione

che li rende intelligibili – in termini geometrici topologici. Se il territorio è lo spazio segnato

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dalla distinzione, allora l’attraversamento di quella distinzione rappresenta l’atto relazionale

che in quanto tale possiede una propria generatività (Donati, 2000) distinguendo e succes-

sivamente col-legando due sottosistemi e dando vita ad una terzietà autonoma.

Il superamento (nel senso di cancellazione, indebolimento) del confine politico-amministrati-

vo determina quindi come conseguenza il riemergere di spazi non segnati (unmarked spa-

ce) spesso di scala superiore entro cui molte delle prerogative dei soggetti (in)titolati sono

rimesse in gioco: l’attraversamento del confine mediante le pratiche sociali (non locali, ma

mobili, “translocali”) unisce ciò che è separato (Crosta, 2003), e nell’unire più “locali” ne ri-

definisce le reciproche comunità.

Ad essere rimesse in gioco sono quelle attività caratteristiche dell’Entità amministrativa (ge-

nericamente intesa) per le quali viene problematizzata la pertinenza del proprio confine poli-

tico rispetto alle pratiche sociali e/o con i bisogni che queste esprimono. In altri termini, a

essere rimessi in gioco sono gli ambiti definiti nel gergo delle scienze geografiche come

“trans-scalari” (Dematteis, 1985), la cui estensione è rappresentabile secondo scale diverse

e sovrapposte. Secondo questa prospettiva, la nozione di spazio è maneggiabile sulla base

di metriche alternative a quella euclidea (che lo misura in metri), di volta in volta rese neces-

sarie dall’uso che di quella definizione deve esse fatta. La scala e la metrica costituiscono

gli attributi che definiscono lo spazio, e l’adozione di una determinata coppia scala-metrica

fra le tante possibili dipende dal tipo di fenomeno considerato nell’analizzare un determinato

oggetto sociale, ovvero dalla sostanza, che rappresenta la componente non spaziale di

quest’ultimo (Levy, 1999).

La sostanza dei fenomeni sociali è l’oggetto di cui si occupano le politiche, il problema sor-

ge quando non risulta più coerente limitarne gli ambiti di applicazione al limes amministrati-

vo: ambiti la cui determinazione è (anche) esito della presa d’atto dell’avvenuta mutazione

antropologica che rende le popolazioni progressivamente irriducibili alla stanzialità e che

consente di ridefinire il territorio come trama relazionale in cui si indeboliscono progressiva-

mente i vincoli univoci a territori, se si eccettua quello che lega gli individui alla residenza

(con il corollario della rappresentanza politica). Un esempio tra i tanti viene fornito dalla di-

namica che attraversano gli schemi di gestione dei servizi pubblici locali: i beni pubblici (gas,

acqua, ma anche in molti casi e con diverse strumentazioni giuridiche gli stessi servizi so-

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Page 28: cupio dissolvi.

ciali) si sono progressivamente allontanati dalla gestione ‘sovrana’ dei comuni sui rispettivi

territori. Nel nome di una ottimizzazione (in termini di efficienza-efficacia) del servizio queste

ormai ex prerogative dei comuni si sono via via distaccate (deterritorializzate), superando i

confini e descrivendo territori fluidi in cui la partecipazione delle comunità non risponde (più)

a un vincolo politico di appartenenza-rappresentanza, ma ad un mero rapporto di azionaria-

to. La deterritorializzazione delle funzioni territoriale è conseguente a una riduzione a com-

modity dello spazio amministrato: con commodification intendiamo il “processo con cui i

fenomeni sociali si dotano di proprietà reificate nel calcolo economico" (Knorr-Cetina, 1997).

Nella prospettiva delle relazioni umane, la commodification comporta individualizzazione; si

riferisce a una situazione nella quale il self è messo a nudo del desiderio di prendere parte

all'altro, per il quale sostituisce il calcolo del proprio valore e la neutralità impersonale delle

relazioni economiche. Seguendo Bonomi (Bonomi, 2008) in questa prospettiva, a definire le

nuove logiche di organizzazione dello spazio sociale non sarebbero più schemi voluti dalle

comunità locali, quanto piuttosto ‘geocomunità’ territoriali, attori socio-econonomici e politi-

ci in grado di volere, perseguire e imporre una lettura consapevole del territorio come com-

modity strettissimamente leggibile secondo le categorie del “capitalismo delle reti”. L’emer-

gere della dimensione geocomunitaria sposta la scala spaziale di collocazione del sistema

di governance territoriale e delle istituzioni politico-rappresentative da uno spazio di posizio-

ne centrato sul locale a uno spazio di rappresentazione esteso a una dimensione di ‘piatta-

forma produttiva’ (ibidem).

L’organizzazione istituzionale del territorio è implicitamente contraddittoria: "fa problema". Il

principio che si è elettori nel solo luogo di residenza, è inadeguato (Crosta, 2003). Le logi-

che amministrative e politiche collidono con l’uso che del territorio fanno le popolazioni che

lo abitano/vivono/fanno, uso cui molte pratiche di governance hanno da tempo già risposto

con profondi adeguamenti che, se non sempre ne sono coerente e diretta conseguenza, di

certo rendono patente l’allargarsi di questo scollamento: la scala alla quale sono prodotte

molte scelte determinanti ha da tempo cessato di coincidere con il ‘locale’. Risulta però ar-

duo stabilire un nesso di causa-effetto tra il salto di scala delle politiche e quello delle prati-

che sociali: in gioco sembra esserci secondo alcuni (ancora Bonomi, 2008) la stessa idea di

democrazia, in cui il rapporto fondativo basato sul vincolo di rappresentanza sembra per-

dersi nella ridefinizione di identità territoriali sempre più reticolari e sempre meno controllabi-

li. Di certo c’è che gli Enti Locali (i comuni) su molti fronti hanno cessato di essere titolari

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Page 29: cupio dissolvi.

esclusivi di competenze di governo (nel senso “puro” di esercizio del potere: government)

per trasformarsi in uno degli attori che partecipano al governo (nel senso più esteso di ge-

stione: governance) dei Beni Pubblici.

Con il termine ‘governance’ ci riferiamo (Gelli, 2007, Le Galès, 2006, Pasqui, 2005 tra gli

altri) ad una configurazione politica esito di relazioni di governo territoriale tra attori che in

parte superano, in parte affiancano, i ‘tradizionali’ policy makers. Sotto la prospettiva della

governance territoriale è sempre meno utile attribuire alle popolazioni un’appartenenza uni-

voca a uno e un solo territorio: i territori vanno intesi non tanto come ‘contenitori’, quanto

come ‘spazi di attraversamento’ in cui si fondono interessi diversi non sempre complemen-

tari; in cui il permanere di aree di giurisdizione via via più vaste convive con la progressiva

scomparsa di qualsivoglia tipo di confine per larghi strati della popolazione, che si percepi-

sce e vive il e nel globale. Esempi dello scollamento: la fruizione dei servizi pubblici e privati,

così come la tensione tra casa e lavoro, spostano progressivamente il raggio d’azione delle

grandi polarità urbane verso un “esterno” di scala regionale che - lo si vede nel caso delle

grandi utilities italiane, dispositivi della governance territoriale dei servizi pubblici locali - arri-

va a ricomprendere interi quadranti (macroregioni) del Paese. La risposta normativa all’im-

plicita incongruenza tra territori amministrativi e territori delle pratiche sociali sollecita la poli-

tica a incessanti tentavi e ipotesi di adeguamento scalare, che in quanto tali difficilmente

costituiscono risposte credibili e/o durature.

Emerge il frame della scalarità delle politiche come risposta standardizzata, seppure vaga,

come problematizzazione del concetto di bacino (di utenza di servizi, di rappresentanza po-

litica, ecc.). Il frame dell’adeguamento scalare (Crosta, 2003) è in larga parte debitore della

deriva disciplinare che incrocia soprattutto economia e demografia, principali scienze del

governo cui Foucault attribuisce la nascita stessa dell’idea di popolazione: è nel dimensio-

namento quantitativo, nell’individuazione di metriche e nell’uso strategico che di queste fa la

politica che risiedono le ipotesi di studio di individuazione di bacini, ad esempio quelli di

scala metropolitana. Nella definizione di “ambito ottimale”: in un caso - la gestione dei servi-

zi pubblici - la retorica politica ragiona, in definitiva, su quanto e su come il perimetro del-

l’azione amministrativa può adeguarsi alla popolazione (al singolare) che lo abita mediante

l’ottimizzazione economica del costo che l’Amministrazione (qualunque sia) deve sostenere

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Page 30: cupio dissolvi.

per garantire servizi quali-quantitativamente adeguati. In un altro caso2, quello delle città e

aree “metropolitane”, ci s’interroga su quali (altri, rispetto a quelli già esistenti) dispositivi

strutturali di governo (nuovi enti) possano coordinare e “tenere insieme” territori urbani con-

vergenti su una polarità, che da questa polarità traggono linfa vitale: trasporti, utilities in ge-

nere, conoscenza, e così via. È utile, concludendo, ricorrere al noto “dilemma democratico”

di Dahl, citato a proposito di città metropolitana da Paola Bonora (in Marson, 2006, a cura

di): “più un’unità politica è piccola, dice Dahl, e quindi direttamente controllabile da parte dei

suoi cittadini, maggiori sono i campi su cui non ha sovranità. La sua capacità di decisione e

di azione non si esercita infatti su questioni che travalicano l’ambito territoriale di sua com-

petenza, che tuttavia subisce l'influenza delle dinamiche extraterritoriali. Un ragionamento

che possiamo applicare ai cicli vitali dell’acqua, dell’energia come alle reti economiche,

commerciali, finanziarie [...] ma che, calandoci nel tema delle aree metropolitane, implica

una maglia del governo locale che spezza i recinti comunali - sia verso l'esterno che verso

l'interno”. La ‘dimensione’ del locale, allora, fa problema?

Di cos’è fatta la capacità di un territorio? Tra mezze riforme, gover-nance e intercomunalità

Nel documento Cities for Citizens: improving metropolitan governance, l’Organizzazione per

la cooperazione e lo sviluppo ecomomico ricorda come il termine ‘government’ non sia più

adeguato a descrivere il modo con cui le popolazioni e i territori sono organizzati e ammini-

strati: ‘governance’, piuttosto, “definisce più correttamente il processo con il quale i cittadini

risolvono collettivamente i propri problemi e incontrano i bisogni della società, usando il ‘go-

verno’ come strumento” (OCSE, 2001). Una delle variabili chiave per misurare quelli che

vengono successivamente definiti contesti urbani ‘imprenditoriali’, cioè proattivi e in grado

di mobilitare risorse sociali, politiche ed economiche all’interno di un framework coerente

30

2 In entrambi i casi la discussione è tutta interna ai “locali”, in questo sì realmente autonomi. I progetti di

autonomia dei territori stentano a decollare. Manca ancora una visione unitaria di Paese, un progetto-di-

autonomia e federalismo (non solo fiscale), un quadro strategico in assenza del quale ogni riorganizzazio-

ne, oltre a non decollare davvero, rischia nella migliore delle ipotesi di risultare irrilevante.

Page 31: cupio dissolvi.

per sviluppare una strategia di sviluppo coerente è rappresentata dal grado di ‘capacità isti-

tuzionale’ (institutional capacity) che questi sono in grado di acquisire.

In quest’ottica, l’istituzione come strumento a servizio della governance territoriale ha biso-

gno di radicali processi di riforma, a partire dai meccanismi di ridistribuzione delle risorse,

della fiscalità locale. Nel documento, viene promossa una proposta politica che intende

mettere i governi locali nella condizione di migliorare il livello e la qualità dei servizi erogati,

sostituire le strutture gerarchiche con modelli di governance orizzontali, permettere alle au-

torità locali di prendere iniziativa nel campo dello sviluppo economico e lavorare in partners-

hip con la comunità degli operatori economici e dei lavoratori, introdurre maggiore traspa-

renza e accountability nel processo decisionale, sviluppare migliori schemi di pianificazione

strategica a lungo termine, aumentare l’accesso all’informazione e ai servizi, infine rafforzare

la democrazia locale attraverso riforme dei sistemi elettorali e aumentare il livello di identifi-

cazione dei cittadini con le aree urbane.

La capacità dei territori passa per la capacità delle amministrazioni di farsi strumento, infra-

struttura politica utile per lo sviluppo. Donolo (2008) descrive la capacità dei territori come

“dispiegamento di libertà positive per gli attori e di qualità sociali ed ecosistemiche per il loro

ambiente come prodotto dell’interazione di due variabili: le dotazioni, l‘insieme delle risorse

del territorio, il suo patrimonio di ecosistemi anche sociali, di beni ambientali e culturali, il

suo capitale sociale e umano [...] e i titoli, le pretese legittime pertinenti al territorio e tutta la

normativa inerente, a partire dagli assetti istituzionali, dalle regolazioni, dai regimi di gover-

nance [...] ma anche le domande della popolazione, le sue esigenze, le sue vocazioni e tutta

la componente normativa dei saperi in uso”. Nella sostenibilità della relazione tra dotazioni e

titoli risiede la capacità di un territorio, secondo una relazione biunivoca: quanto più il territo-

rio è capace, quanto più diventa osservabile non tanto per le funzioni che vi sono esercitate

quanto per i suoi funzionamenti intesi come aspetti performativi dei modi sostenibili con cui

lo si governa.

Assumendo allora che gli strumenti di governo rigidamente confinati entro i limiti ammini-

strativi non riescano a favorire l’acquisizione di livelli adeguati di capacità territoriale neces-

saria per contenere la complessità che le popolazioni e le pratiche sociali prodotte esprimo-

no, arriviamo al nodo della riforma istituzionale: è necessaria, e se sì, come dev’essere con-

31

Page 32: cupio dissolvi.

dotta? Abbiamo visto come la rigidità del “confine amministrativo” lo condanni a un’incom-

pletezza ontologica, che ne fa un dispositivo giuridico inadeguato al contenimento delle pra-

tiche sociali. Oggi, sono gli stessi stati nazionali a vedersi ridimensionare nei propri confini

amministrativi. La costituzione delle euroregioni3, ad esempio, rappresenta un caso recente

di riorganizzazione di territori in “territori di progetto”: alternativi a quelli ufficiali, tarati su pro-

spettive di funzionamento complessivo che tendono a superare l’inadeguatezza dei confini

nazionali promuovendo l’omogeneizzazione a mezzo di accordi tra aree trans-nazionali sulla

base di requisiti di continuità identitaria, economica, sociale.

La stessa domanda di politiche in grado di fornire risposte all’inadeguatezza si riscontra an-

che alla scala comunale. I territori comunali, che come detto nel caso italiano sono ammini-

strati da Enti che l’ordinamento prevede come identici ed equivalenti a tutte le latitudini e

per tutte le dimensioni, senza che siano previste significative variabilità nelle geometrie con

cui sono strutturati, costituiscono un fronte di riassetto privilegiato per le politiche pubbliche.

La domanda allora è se i comuni sono o non sono attori politici superati, e se una politica di

capacitazione nei confronti di questi livelli istituzionali utile per aumentarne la competitività

deve prevederne il superamento. I comuni sono strumenti efficaci per produrre capacità ter-

ritoriale, intesa come esito di processi di dimensionamento e apprendimento dei territori, nel

duplice significato di essere in grado di “contenere” e di “fare”? Dove si danno e perché le

evidenze di omogeneità tra i soggetti giuridici e le popolazioni? Qual è la scala preferibile alla

quale progettare politiche di governance territoriale? Quale pratica organizzativa ha prodot-

to effetti di aumento di capacità nei territori coinvolti? Esiste, infine, una soglia critica oltre la

quale l’incidenza del numero dei comuni sulla popolazione totale amministrata dev’essere

ritenuto patologico?

Sono, queste, domande cui tenta di dare risposte quel campo di policy design definito del

“riordino territoriale”, campo alla cui vivacizzazione - per così dire - contribuiscono oggi i

ridimensionamenti (downsizing) indotti coattivamente dalla generale contrazione delle spesa

32

3 Con il termine “euroregione” si individua una forma di cooperazione transfrontaliera prevista dal regola-

mento CE 1082/2006, che istituisce i Gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT), cioè aggregati di

territori transfrontalieri.

Page 33: cupio dissolvi.

pubblica4, e che tendono a incidere in modo molto consistente (e inedito nella storia dell’Ita-

lia repubblicana) sul “tenore di vita”5 degli Enti Locali. Temi connessi al riordino territoriale si

fanno largo nell’arena pubblica, spesso a un livello poco più che rumore di fondo mediatico,

raramente in grado di sforare nella produzione vero e proprio discorso pubblico, sempre in

forma di slogan (“aboliamo le Province”, ad esempio) che, in quanto tali, non sono stati fino-

ra sufficienti a produrre politiche pubbliche che vadano realmente nella direzione di un au-

mento della capacità dei territori. È piuttosto vero il contrario: il caso del recente DL 2/10

(“Calderoli”) dimostra come, a fronte di una serie di interventi di riduzione di spesa - ottenuti

con la previsione di un corposo ridimensionamento degli organici politici6 di comuni e pro-

vince, della soppressione della figura dei direttori generali e altro, il Legislatore non abbia

33

4 Il DL 78/10, poi convertito nella L. 122/10, contiene la manovra finanziaria per il trienno 2011-1012, che

ha previsto la correzione dei saldi necessaria per assicurare il rispetto degli obiettivi programmatici stabiliti

in sede europea (l'ECOFIN ha sollecitato l'Italia a mettere in atto entro il 2 giugno 2010 dei provvedimenti

atti a correggere i saldi di finanza pubblica). La manovra prevede per il triennio 2011-2013 un corposo

contributo dei comuni al risanamento della spesa pubblica, quantificato in un saldo di oltre 4 miliardi di

euro di minori spese.

5 Vale a titolo di esempio il caso del comune di Bologna. Secondo i dati ANCI-IFEL, il taglio ai trasferi-

menti sarà di 20 milioni di euro per il 2011 e di 36 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013. Ciò

significa, per il 2011, una riduzione del 15% delle principali spese variabili del comune. Ulteiriore voce de-

stinata ad incidere pesantemente sul comune, che eroga una gran quantità di servizi in gestione diretta è

rappresentato dal limite del 20% della spesa corrispondente ai pensionamenti dell’anno precedente, per

quanto riguarda la sostituzione del turn-over del personale. Le leve di autonomia impositiva locale (aliquo-

te ICI, addizionale IRPEF) sono bloccate, in base alla legislazione vigente, fino al 2011. Nè va dimenticata

la mancata restituzione integrale relativa all’abolizione dell’ICI sull’abitazione principale, che vale 3 milioni

di euro per il 2008. A ciò si aggiunge l’inasprimento dei vincoli del Patto di stabilità interno per 6 milioni di

euro nel 2011 e per 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012, che determina effetti restrittivi

sui pagamenti del comune e sulla sua capacità di investimento.

6 Il comma 184 dispone una riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri comunali e provinciali

che opera a partire dal 2011 per gli enti che vanno al rinnovo. Viene stabilito inoltre che ai fini della ridu-

zione del numero dei consiglieri comunali e provinciali non sono computati il sindaco e il presidente della

provincia. Il comma 185 fissa il numero massimo degli assessori comunali e provinciali, in misura pari,

rispettivamente ad un quarto dei consiglieri comunali e ad un quarto dei consiglieri provinciali. Tale nuova

previsione opera già dal 2010 per gli enti che vanno al rinnovo e per il 2010 sulla base del numero dei

consiglieri che rimane immutato. Ai fini del computo del numero massimo degli assessori comunali e degli

assessori provinciali nel numero dei consiglieri comunali e provinciali sono computati il sindaco e il presi-

dente della provincia (fonte: ANCI)

Page 34: cupio dissolvi.

inteso mettere mano a nessun reale ridisegno del quadro istituzionale. Rimandando una

riforma sostanziale (realisticamente) alla ‘carta delle autonomie locali’, il cui testo giace in

commissione al Senato da mesi ma senza il quale ha poco senso ogni ragionamento sul

federalismo7, nel Decreto ci si accanisce paradossalmente proprio su quegli Enti sovralocali

che nelle originarie previsioni avrebbero dovuto e/o potuto svolgere un ruolo di coordina-

mento e governo di area vasta: dai consorzi intercomunali, ai circondari alle autorità d’ambi-

to ottimale (ATO), tutti soppressi, vittime di una retorica dominante che li vuole acriticamente

e per definizione “inutili”.

Il riordino territoriale resta confinato a un grumo di pratiche locali, episodiche e prettamente

volontaristiche. Pratiche, e non (ancora) politiche di respiro nazionale, la scala alla quale un

riassetto istituzionale vero risulterebbe maggiormente incisivo. Con la riforma del titolo V

della Costituzione e il trasferimento delle competenze alle Regioni, resta in capo a queste la

facoltà di promuovere politiche di riordino territoriale, condannando ipotetiche misure statali

al rischio concreto di sostanziale inefficacia. Ad oggi, peraltro, i tentativi di costruire politiche

nazionali compatte (compatte nei presupposti, non certo negli esiti) non hanno dato vita a

schemi d’azione coerenti, nè in termini di ipotesi iniziali nè tanto meno in termini di risultato.

I Governi dell’Italia repubblicana hanno riproposto in modo spesso inconcludente il tema

della riorganizzazione dei livelli di governo: la L. 142/90 e il Testo Unico degli Enti locali (De-

creto Legislativo 276 del 2000) sono, come ricordato, due dei pochi momenti realmente

salienti del processo riformatore intrapreso dal Legislatore. Il processo di definizione di una

‘Carta’ cui spetta il compito di ridefinire i rapporti tra Stato centrale e autonomie locali è in-

cappato in varie occasioni in blocchi esiziali, dati ora dallo slittamento nella scala delle priori-

tà, ora dall’irruzione nell’agenda di sempre nuove emergenze o ancora dall’affievolimento

della pressione da parte degli attori coinvolti.

Qualcosa in passato è stato fatto. Nel tentativo di ricomporre l’incompletezza che sta alla

base dell’idea amministrativa di territorio il Legislatore (nazionale e regionale) ha prodotto nel

tempo ipotesi di riordino territoriale che, conformandosi a un criterio generale di cautela,

34

7 “Tremonti ha indubbiamente ragione: il costo del federalismo fiscale così come è configurato nella leg-

ge-delega che è un manifesto ideologico più che una legge vera e propria, non è prevedibile. In realtà la

legge-delega è uno scatolone vuoto, un indirizzo politico, non ci sono misure attuative, non esiste una

carta delle autonomie locali che indichi chi fa che cosa” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 25/1/09)

Page 35: cupio dissolvi.

hanno trovato nell’adeguamento scalare un fine e un mezzo per il perseguimento dei tre

principi dell’amministrazione previsti dal dettato costituzionale (adeguatezza, sussidiarietà,

differenziazione). Le previsioni contenute originariamente nella L. 142/09 e di qui nel Testo

Unico degli Enti Locali (L. 267/00) dell’istituto delle ‘unione di comuni’ e delle “città metro-

politane” vanno nel senso di un adeguamento del quadro delle autonomie locali da perse-

guire a mezzo di aggregazioni funzionali di Enti. Nuovi Enti che prefigurano modelli di co-

operazione intercomunale distinti da forme più informali di collaborazione (Fedele e Moini,

2006) Se nel secondo caso - le città “metropolitane” - l’istituto esiste ancora solo sulla carta

(pur essendo dieci8 le aree metropolitane/città indicate dalla Legge con questo appellativo),

il primo è attualmente presente in oltre 300 casi, arrivando a unire oltre 1.500 comuni sugli

8.100 presenti in Italia e quasi il 10% della popolazione nazionale9.

In entrambi i casi, il nodo politico sta nella dicotomia irrisolta tra proliferazione vs. razionaliz-

zazione degli Enti, cui l’introduzione di nuovi livelli di governance/coordinamento può dare

risposte apparentemente incoerenti. Due effetti divergenti, questi, a fronte dei quali s’inge-

nera l’aporia intrinseca alle citate ipotesi di riorganizzazione. Infatti: pur intendendo rispon-

dere all’inadeguatezza del comune come livello amministrativo di base (vedi supra), pur teo-

rizzando regimi differenziali (geometrie variabili) per i comuni-regione (città metropolitane),

pur valutando preferibile la gestione associata delle funzioni, il Legislatore non ha previsto

che all’adozione di questi strumenti segua un contestuale sfoltimento degli Enti preesistenti.

Di fatto, oggi è possibile dare vita a nuovi corpi intermedi (oggi l’Ordinamento italiano ne

può prevedere fino a sei teorici) senza che questo determini il superamento di altri, con l’ov-

via conseguenza della ridondanza e difficile attribuzione delle competenze. Addirittura, nel

caso delle unioni di comuni, il Legislatore ha nel tempo eliminato l’originaria previsione di

Legge che voleva questi istituti come “stadi prodromici” (De Angelis, 2008) all’aggregazione

strutturale degli Enti aderenti: se prima era previsto un periodo di rodaggio al quale avrebbe

dovuto seguire obbligatoriamente o il definitivo matrimonio o la rottura: l’articolo 26 della L.

142/90 stabiliva che “in previsione di una loro fusione, due o più comuni contermini appar-

tenenti alla stessa provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, pos-

35

8 Alle originarie nove se ne è aggiunta una decima (Reggio Calabria) con la conversione in Legge sul Fe-

deralismo Fiscale (Calderoli)

9 Lo Stato delle unioni, Cittalia ANCI

Page 36: cupio dissolvi.

sono costituire una unione per l’esercizio di una pluralità di funzioni e servizi”, prevedendo

poi che “entro dieci anni dalla costituzione dell’unione deve procedersi alla fusione. Qualora

non si pervenga alla fusione l’unione è sciolta”. Meno di dieci anni dopo la previsione viene

cassata dalla L. 265/99, consentendo di fatto una fase di ‘rodaggio’ ad libitum che se da un

lato ha incentivato l’adozione dello strumento in un numero elevato di contesti per lo più

virtuosi 10, dall’altro non ha prodotto effetti di snellimento reale e visibile da parte dei cittadini

che al contrario - nella migliore delle ipotesi - vi leggono solo l’ennesima scatola vuota par-

torita dalla politica. Secondo una ricerca svolta recentemente per conto di Cittalia-ANCI,

osservando il campione di unioni intercettato secondo il periodo di costituzione, abbiamo

rilevato come la fascia più numerosa risultasse costituita proprio in concomitanza con il

cambiamento del quadro normativo che svincolato la costituzione di un’unione dall’obbligo

di dar vita ad una fusione di comuni.

Nell’analizzare la fenomenologia dei modelli di intercomunalità, Fedele e Moini (2006) intro-

ducono una prima distinzione tra modelli di cooperazione e modelli di collaborazione. Pur

designando pratiche di condivisione tra Enti di risorse organizzative o economiche per l’ef-

fettuazione di attività e servizi, da un lato la cooperazione matura attraverso modalità asso-

ciative stabili di esercizio delle funzioni, la collaborazione presenta invece degli aspetti sia

più informali perché non dà vita a istituzioni comuni, sia più occasionali perché viene eserci-

tata all’interno di programmi di azione limitati. Nel primo caso, cui va riferita l’unione di co-

muni, abbiamo una nuova struttura giuridico istituzionale dotata di una propria autonomia

decisionale. Nel secondo caso viene perseguita invece un’azione pubblica in maniera fles-

sibile. Le due modalità di azione si differenziano soprattutto per il livello di istituzionalizzazio-

ne: minore per le strategie collaborative, maggiore per quello cooperative.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione il ricorso a pratiche di intercomunalità diventa

essenziale non solo per i piccoli comuni, ma anche per le grandi aree urbane allorché que-

ste promuovono forme di pianificazione strategica che spesso si proiettano oltre lo stesso

ambito regionale e nazionale (Perulli 2004).

36

10 Emblematico il caso dell’Emilia-Romagna, in cui la quasi totalità del territorio risulta ‘coperto’ da ge-

stioni associate: associazioni intercomunali (che il PRT Programma di Riordino Territoriale ex LR 10/08

tende a superare) e unioni di comuni, oltre alle comunità Montante (delle quali il numero è stato anch’esso

ridimensionato dalla mano pubblica.

Page 37: cupio dissolvi.

Al di là di ogni valutazione circa l’efficacia ed efficienza economica degli strumenti di coope-

razione inter-istituzionale come le unioni (tema che per inciso è ancora poco dibattuto),

emerge come queste pratiche risentano di un problema originario di legittimazione politica

che ne rende la sopravvivenza irta di difficoltà: se da un lato il cittadino fatica (ha sempre

faticato) a comprendere l’utilità di un livello sovraordinato sul cui assetto di governo non può

incidere direttamente con il voto, dall’altro è ormai la stessa politica a interrogarsi sulla reale

utilità di uno strumento che pur essendo dotato di personalità giuridica, pur prevedendo

una guida politica, viene percepito in molti casi come ulteriore complicazione e fonte di au-

mento dei costi di transazione del processo decisionale. Pur consentendo ai piccoli comuni

di erogare ai propri cittadini servizi che altrimenti risulterebbero impossibili da sostenere,

l’unione sconta il suo essere Ente di secondo livello, che la rende spesso distante dai citta-

dini e quindi poco efficace in termini di costruzione del consenso ed esercizio del governo

sul territorio.

Cooperare costa e la politica, nei casi che proveremo a raccontare, fatica a sostenere l’one-

re di giochi cooperativi il cui equilibrio risulta spesso difficile da mantenere. Ma risulta altret-

tanto difficile dare una risposta non parziale, perché sempre e solo locale, a quale sia una

forma preferibile di governo del territorio. I processi decisionali si incagliano su teoremi inde-

cidibili tra impossibilità del governo del micro e bisogno di dotarsi di contenitori macro in

grado di contenerlo. Se è vero, con Crosta (2007), che “la strategia dell’adeguamento sca-

lare - la ricerca, cioè, dell’area più ampia che risulti capace di contenere al proprio interno

classi omogenee di movimenti (com’è nel caso delle “aree metropolitane” rispetto ai movi-

menti pendolari) - oltre che vana, risulta malposta, se non irrilevante”, resta da raccontare

non tanto di quali ricadute (di) politiche continuano a generare queste esperienze, ma come

e perché i sistemi locali generino domande di riforma istituzionale, e cosa contribuisce a

orientare queste la selezione di queste preferenze (Donolo, 1997).

Crisi della politica (del) locale. Da Sisifo allo spettro dell’autodistruzio-ne

In primo luogo - primo solo nel senso di facilmente intuibile - le istituzioni nascono dall’azio-

ne e dalla scelta deliberata [...] in realtà molti di questi [progetti] nascono in risposta a situa-

37

Page 38: cupio dissolvi.

zioni istituzionali critiche, cioè a situazioni in cui qualcosa sembra essere andato fuori con-

trollo. Ovvero il modo d’essere delle istituzioni correnti non piace, anzi dispiace, non è sod-

disfacente o è dannoso. Ora, le ragioni di questa perdita di controllo non sono mai molto

evidente (Donolo, 1997). Questa lunga citazione mi serve per introdurre l’oggetto (gli ogget-

ti) di cui mi occuperò all’interno del caso (dell’intreccio di casi) nella seconda parte: quali

configurazioni - in altri termini, molto generici: quali policy network - determinano l’insorgen-

za di preferenze istituzionali? Finora abbiamo provato ad affermare che la ricerca tecnica

dell’ottimizzazione mediante adeguamento scalare del rendimento istituzionale e della sua

cogenza con l’oggetto cui intende corrispondere, le popolazioni e le pratiche sociali, costi-

tuisce una pratica sostanzialmente vana: l’ipotesi secondo cui sia possibile definire disposi-

tivi amministrativi e istituzionali che si sovrappongano alle strutture di governance descrive

nei fatti una fatica di Sisifo, uno sforzo di dubbia efficacia che rende scarsamente sensato

ogni sforzo politico teso a sostenerla.

Abbiamo visto come i confini sono un s-oggetto politico: una crisi dei confini entro cui viene

esercitata una giurisdizione origina da una crisi di legittimità della politica. Se il vincolo di

rappresentanza tende progressivamente a sfarinarsi, la stessa cittadinanza si frammenta

prismaticamente (Mezzadra, 2006) in una molteplicità di appartenenze e di modi d’uso del

territorio svincolandosi dalla territorialità come condizione definitoria. Secondo un modello

interpretativo che riprenderemo più avanti (Rosenbaum e Kammerer, 1974) questa duplice

dinamica (sfarinamento della rappresentanza, esplosione della cittadinanza), interagendo

con la riduzione dell’autonomia (economica) produce una deflazione di potere diffusa al

punto tale da costituire l’innesco per l’insorgenza delle proposte di riforma11.

Lo scollamento tra popolazioni e ambiti amministrativi, l’esplosione della cittadinanza, con la

conseguente ridefinizione operativa di che cos’è ‘locale’, sono ingredienti della stessa di-

namica di morfogenesi sociale che interroga le politiche del territorio (e la politica locale)

mettendole in tensione: la sopravvivenza di quella struttura amministrativa polverizzata che

poggia su una rete di migliaia di cellule ‘comune’ non appare più così scontata. La ridefini-

38

11 Rosembaum e Kammerer (1974) hanno individuato alcuni eventi chiave che disturbano le relazioni di

governo e nel farlo sollecitano proposte di riforma. Tra queste ci sono crescita della popolazione, cam-

biamenti sostanziali nella composizione razziale e socioeconomica, o cambiamenti nella tenuta dei conte-

sti socioeconomici e/o delle economie locali.

Page 39: cupio dissolvi.

zione del ‘locale’ impatta con l’articolazione del quadro delle Autonomie, con il loro numero

e la loro ridondanza. Ogni ipotesi di riassetto del governo a mezzo di strumenti normativi di

adeguamento di scala, infatti, nel determinare una progressiva e possibile (se il processo di

cooperazione non è solo formale: certa) riduzione della sovranità degli Enti esistenti, di fatto

allude a un consolidamento istituzionale. Come argomentato, tuttavia, nell’esperienza italia-

na all’infittirsi del ventaglio di strumenti di governo e di cooperazione tra Istituzioni non è mai

corrisposto uno sfoltimento dei livelli amministrativi: unioni di comuni, associazioni di comu-

ni, convenzioni, e altri strumenti di governo di area vasta hanno sempre preservato l’Ente

comune, limitandosi ad affiancarlo o surrogarlo funzionalmente sul solo versante dell’eroga-

zione dei servizi. Una politica di consolidamento (e riduzione del numero) degli Enti comunali

di piccola dimensione non è mai stata iscritta (realmente, finora) nell’agenda politica.

I comuni hanno sempre goduto di un implicito status di ‘intoccabili’. Raramente si è pensa-

to alle ‘fusioni di comuni’ nell’Italia Repubblicana: mentre in Danimarca, ad esempio, nel

1967 i comuni vengono ridotti da 1.378 a 277, in Gran Bretagna, nei primi anni Settanta, i

distretti passano da 1.549 a 522; mentre in Belgio si passa da 2.353 a 596 comuni e in

Germania occidentale questi vengono ridotti da 14.338 a 8.414, l’Italia non ha mai seguito

alcuna politica di consolidamento delle Amministrazioni locali (Cortese, 2009). L’orientamen-

to che ha semmai caratterizzato il sistema delle autonomie locali italiane in merito alla razio-

nalizzazione del numero delle entità amministrative locali ha espresso il rifiuto di complessive

operazioni di accorpamento in forma autoritativa, privilegiando l’incentivazione (peraltro mol-

to cauta e ben poco promossa) di graduali processi di fusione volontaria che tuttavia si con-

tano sulle dita di meno di due mani.

La fusione di comuni, oggi, è contemplata nel solito Testo Unico (TUEL), che la prevede

laddove afferma che “a norma degli articoli 117 e 133 della Costituzione, le regioni possono

modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate, nelle for-

me previste dalla legge regionale. La legge regionale che istituisce nuovi comuni, mediante

fusione di due o più comuni contigui, prevede che alle comunità di origine o ad alcune di

esse siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi”. Il

testo continua descrivendo la politica di incentivazione delle fusioni, prevedendo che “al fine

di favorire la fusione dei comuni, oltre ai contributi della Regione, lo Stato eroga, per i dieci

anni successivi alla fusione stessa, appositi contributi straordinari commisurati ad una quota

39

Page 40: cupio dissolvi.

dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono”. Come descritto nel paragrafo

precedente, il fallimento della strategia di riassetto fondata sulla leva “unione” come rodag-

gio per la fusione ha evidentemente costretto il Legislatore a ridurre l’ originaria autoritativa

dell’approccio, determinando però in cambio un sostanziale stallo del processo di raziona-

lizzazione: il numero dei comuni non si è modificato in alcun modo significativo negli anni.

Dall’epoca fascista (in cui si procedeva senza complimenti a soppressioni per via autoritaria)

ad oggi il numero di comuni italiani non solo non è diminuito, ma è addirittura aumentato

(7.314 nel 1931, 7.810 nel 1951, 8.035 nel 1961, 8.100 oggi).

Qualcuno però ci ha creduto. Negli ultimi 15 anni sono nati da processi di consolidamento

municipale 8 nuovi comuni (vedi tabella seguente) frutto dell’accorpamento di 21 precedenti

enti: troppo pochi e troppo frammentati per rappresentare una casistica, ma sufficienti per

fornire alcune indicazioni di prospettiva. Si tratta di comuni costituiti in media dall’accorpa-

mento di 2,6 comuni (6 su 8 da 2 comuni, i restanti due rispettivamente da 3 e da 6), quasi

sempre inferiori ai 5.000 abitanti, la soglia al di sotto della quale si applica la definizione di

“piccolo comune”. Due di questi tre comuni “non piccoli” si sono fusi insieme, creando così

enti di dimensioni medie. La fusione ha riguardato fino a oggi soprattutto quei piccoli o pic-

colissimi comuni (fino a 3.000 abitanti) che rappresentano poco meno del 69% degli 8.094

comuni Italiani, quasi la metà dei quali in Regioni come la Lombardia o il Piemonte (Cortese,

2009). Quei comuni, cioè, la cui tenuta sul piano della capacità operativa di far fronte alle

competenze è talmente critica da rendere inadeguati, senza l’acquisizione di una massa

critica minima, gli stessi strumenti di cooperazione interistituzionale.

comune Prov. Abit./kmq Abit. Ex comuni Pop. ex. Anno

Due Carrare PD 325 8.656Carrara San Giorgio  5044

1995Due Carrare PD 325 8.656Carrara Santo Stefano 1978

1995

Porto viro RO 109 14.609Donada 5912

1995Porto viro RO 109 14.609Contarina 8250

1995

Mosso BI 100 1.692Mosso Santa Maria 1683

1998Mosso BI 100 1.692Pistolesa 155

1998

Montiglio Monferrato AT 65 1.745

Colcavagno 128

1998Montiglio Monferrato AT 65 1.745 Montiglio 1404 1998Montiglio Monferrato AT 65 1.745

Scandeluzza 241

1998

San Siro CO 103 1.865Sant'Abbondio 795

1999San Siro CO 103 1.865Santa Maria Rezzonico 1085

1999

Campolongo Tapogliano UD 126 1.209Campolongo al Torre 716

2009

40

Page 41: cupio dissolvi.

comune Prov. Abit./kmq Abit. Ex comuni Pop. ex. AnnoCampolongo Tapogliano UD 126 1.209

Tapogliano 4562009

Ledro TN 154 5.494

Pieve di Ledro 646

2009Ledro TN 154 5.494

Bezzecca 603

2009Ledro TN 154 5.494Concei 856

2009Ledro TN 154 5.494Molina di Ledro 1566

2009Ledro TN 154 5.494

Tiarno di Sopra 1073

2009Ledro TN 154 5.494

Tiarno di sotto 750

2009

Comano Terme TN 40Bleggio Inferiore 1230

2009Comano Terme TN 40Lomaso 1605

2009

Dissolversi conviene? Occasioni (professionali) per la creazione di un sapere istituzionale

Coartor autem e duobus desiderium habens dissolvi et cum

Christo esse multo magis melius permanere autem in carne

magis necessarium est propter vos12. 

San Paolo nella lettera ai Filippesi 1, 23-24

Se si escludono alcuni contributi interessanti provenienti dal filone essenzialmente politilogi-

co-amministrativo (in particolare: Spalla, 1999; Cortese, 2009), il dibattito accademico e

specialistico italiano del versante delle politiche del territorio non ha prestato attenzione al

tema delle modifiche dei confini amministrativi come fenomeno rilevante sotto il profilo delle

implicazioni (per le) politiche del territorio. A circoscriverlo come oggetto dotato di una qual-

che problematicità non giova l’esiguità, di cui si è detto, dei casi in cui questa strada di ri-

forma istituzionale è stata intrapresa. Se i ‘casi chiusi’ sono effettivamente pochi, non così i

dibattiti locali che guardano a questa possibilità con interesse. Oggi tuttavia non esiste, a

quanto mi consta, alcuna trattazione sistematica del tema: nessun monitoraggio scientifico

dei dibattiti attorno a ipotesi progettuali - più o meno ‘campate in aria’, più o meno informa-

te - di consolidamento municipale. Non esiste, nè sarà possibile fornirla qua. Ci si limiterà in

questa breve introduzione a tratteggiare i principali tratti delle segnalazioni raccolte, salvo

poi approfondire il caso particolare dell’Emilia-Romagna e dei dibattiti locali che hanno dato

41

12 “Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal cor-

po per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io riman-

ga nella carne”.

Page 42: cupio dissolvi.

vita in questi mesi a percorsi progettuali di studio per la fusione. Il tutto allo scopo di inaugu-

rare un filone di approfondimento possibile sui modi con cui si strutturano le reti d’azione

(Czarniawska, 2004) osservabili nell’implementazione delle politiche a supporto dell’emer-

genza di istanze di cambiamento istituzionale.

Per deformazione professionale, tendo a frequentare spesso i comuni. Questa frequenta-

zione, da consulente e amministratore, mi rende parte di una comunità di pratiche che co-

struisce giorno per giorno soluzioni tecniche e strategiche per dare continuità a questi enti.

Ora, sarà che i comuni rappresentano il fronte più avanzato dell’amministrazione rispetto ai

cittadini, sarà che volenti o nolenti i sindaci devono affrontare dal più misero al più alto dei

problemi, fatto sta che oggi si avverte un certo riemergere di interesse rispetto al destino dei

comuni, e che nei comuni tanto gli amministratori quanto i cittadini guardino all’oggetto-en-

te come a un possibile campo di pratiche su cui esercitarsi nel cambiamento. Questo clima

di ‘spinta all’innovazione’, qualunque cosa voglia dire, è in parte esito del dispiegarsi di un

mix di fattori congiunturali e strutturali che hanno sostanzialmente a che fare con il progres-

sivo venire meno dei margini di autonomia degli stessi Enti rispetto allo Stato centrale.

Due sono le dinamiche per l’interazione delle quali si torna parlare di comuni: riduzione pro-

gressiva dei margini di autonomia (tributaria, finanziaria) da un lato e, dall’altro, aumento del-

l’urgenza di rendere le istituzioni competitive sul ‘mercato’ dei finanziamenti per rendere i

territori capaci. L’interazione di questi due fattori sollecita gli amministratori locali a immagi-

nare forme pionieristiche (e drammatiche) di dissoluzione come extrema ratio e, dall’altro,

incubano embrioni di arene di discussione ‘dal basso’ che argomentando i pro e i contra

del dissolvimento identitario sollecitando la politica a farsi carico della responsabilità di sce-

gliere se e come andare in quella direzione radicale.

In gioco sembrano esserci l’efficacia delle politiche di governo locale e l’efficienza dell’Am-

ministrazione, argomenti retorici dietro i quali crescono spesso informalmente, progetti la-

tenti di riconfigurazione degli assetti di governance territoriale dai patrimoni genetici difformi.

In principio c’è l’occasione. L’occasione: “non va intesa come opportunità che si offre di

passaggio, per un fortunato concorso di circostanze, che incita all’azione e ne favorisce il

successo [...] ma come il momento in cui culmina la potenzialità progressivamente acquisita

e che permette di sviluppare il massimo di efficacia (Jullien, 1998). L’occasione per l’avvio

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dell’attività di osservazione sul fenomeno ‘fusioni di comuni’ non si presenta infatti per caso,

ma come esito di una storia di acquisizione di forza e della contingente (ma strettamente

relazionata a quella storia, a quel curriculum) formalizzazione prima di uno poi di vari incari-

chi professionali13 di consulenza organizzativa e supporto al cambiamento da parte di alcu-

ne Amministrazioni locali. Da subito la sfida emerge in tutta la sua rilevanza: dopo anni in cui

la domanda di innovazione amministrativa espressa dagli Enti Locali ha coinciso essenzial-

mente con l’intero ventaglio di opportunità possibili nel segno dell’organizzazione di stru-

menti di cooperazione tra Enti, ora non si tratta (più) di immaginare come organizzare servizi

comuni o tutt’al più Enti (unioni) che li gestiscano, ma di pensare da zero - in assenza di re-

pertori di pratiche ed esperienze pregresse - modelli di intervento e supporto a progetti isti-

tuzionali. Il primo scoglio allora è cognitivo: passare da anni di progettazione strettamente

organizzativa alla progettazione istituzionale comporta l’abbandono (o il ridimensionamento)

di parte dei presupposti di “progettabiltà, calcolabilità, attendibilità” che Donolo (1997) attri-

buisce alla prospettiva organizzativa, imputando alla sua estensione a tutto lo scibile (tra-

sformazione delle organizzazione in istituzioni) l’attuale necessità di “ricollocare le organizza-

zioni nell'universo delle istituzioni, affinché sia possibile riprendere un discorso razionale sul-

la stessa dinamica organizzativa” (ibidem). Se l’unione di comuni, territorio di politiche fre-

quentato e tutto sommato conosciuto, rappresenta uno strumento di cooperazione funzio-

nale già impegnativo perché dotato di una seppur minimale dotazione istituzionale, la fusio-

ne eccede questa stessa tipologia proponendo una soluzione radicale - istituzionale, ap-

punto - al problema dell’adeguatezza dei governi locali, la cui componente organizzativa è

evidentemente solo una e forse nemmeno la principale tra quelle che la fanno ‘essere’. Se,

ancora, gli strumenti di cooperazione tra istituzioni possono essere categorizzati in base a

un diagramma interpretativo le cui coordinate sono rappresentate dal grado d’integrazione

e d’istituzionalizzazione che generano, questo stesso schema non funziona per la fusione,

che in quanto tale trascende i propri elementi costitutivi per creare strutturalmente qualcosa

di nuovo. Ne consegue che se nel caso degli strumenti di cooperazione i modelli di inter-

vento potevano ‘limitarsi’ al disegno di schemi organizzativi puntuali finalizzati a prefigurare i

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13 Incarichi conferiti mediante affidamento diretto e gara ad evidenza pubblica alla società C.O. Gruppo

SRL (società afferente al gruppo di ricerca del Prof. Stefano Zan incardinato attorno all’Associazione Ri-

cerca sulle Organizzazioni Complesse della Facoltà di Scienze Politiche dell’Univesità di Bologna) da par-

te del Nuovo circondario Imolese (fusione dei comuni della Vallata del Fiume Giallo) e dell’unione comuni

del Fiume Verde (comuni afferenti alla stessa unione.

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margini di recupero di efficacia/efficienza nell’unificazione dei servizi, il fabbisogno analitico

per l’accorpamento degli Enti si spinge molto oltre, richiedendo un ribaltamento delle priori-

tà di analisi che mette al primo posto proprio quegli aspetti prima trascurati: quadro cono-

scitivo approfondito dei territori, apparato politico dei comuni, fino alla progettazione di

modi della rappresentanza territoriale alternativi.

L’elaborazione della strategia di ricerca-azione che conduce alla consegna del/i rapporto/i

di consulenza e delle proposte operative per la costituzione dei Nuovi comuni (di cui si darà

conto in questo lavoro) ha richiesto lo studio di alcune delle altre poche esperienze di fusio-

ne di cui sopra condotte con successo. La frequentazione del terreno delle fusioni ha porta-

to poi alla creazione ex novo di un database aggiornato in “tempo reale”, che mediante

l’osservazione e raccolta delle tracce di dibattiti locali sul tema (un monitoraggio14 sistema-

tico delle occorrenze in rete) è arrivato in poco tempo a individuare poco meno di trenta

tracce - più o meno profonde - su base nazionale. 27 potenziali nuovi “comuni unici” com-

posti mediamente da una media d 4,5 comuni, per un totale di 125 comuni potenzialmente

coinvolti, poco meno di un milione di abitanti15. Si tratta di ‘movimenti tellurici’ di bassa o

irrilevante intensità, apparentemente scollegati tra loro ma accomunati dall’esito che prefi-

gurano: il consolidamento municipale a mezzo di fusione, inteso come cambiamento rivolu-

zionario (Rosenbaum e Kammerer, 1974). Movimenti tellurici, la cui frequenza e localizzazio-

ne non riconduce ad alcun epicentro apprezzabile. Non (ancora) un terremoto di assesta-

mento, quanto piuttosto uno sciame conativo di atti linguistici (Habermas): proposte, con-

vegni, lettere aperte, interrogazioni, boutade, progetti, appelli, petizioni, blog, gruppi di di-

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14 Google Alert

15 Questo l’elenco provvisorio (al momento in cui è stata chiusa la prima rilevazione - settembre 2010):

Abruzzo, Teramano, Teramano, Marrucina, Subequana; Emilia-Romagna, Alto Fiume Blu, Valtaro, Modena

Nord, Fiume Verde, Valle del Fiume Giallo, Terre del Po; Friuli-Venezia Giulia, Carso; Liguria, Val di Magra:

Piemonte, Val Vigezzo, Mortigliengo; Trentino Alto Adige, Primiero, Rovereto; Toscana, Versilia, Val di Bi-

senzio, Isola d’Elba, Valdarno, Casentino; Veneto, Città del Piave, Valbrenta, Cadore, Alpago; Campania,

Isola d’Ischia; Marche, Valle del Cesano; Lombardia, Lago di Como. Per il dettaglio vedi la sezione ‘Alle-

gati’

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scussione, pagine Facebook16, manifesti, strumenti ognuno con qualche potenzialità

espressiva di argomentare il cambiamento e innescare processi ciclici di descrizione/crea-

zione.

Nascono comitati, gruppi informali, gruppi di discussione; ed ecco interi territori che lavora-

no su base volontaria di fatto per una propria concreta ed effettiva dissoluzione istituzionale.

In tutti i casi, si tratta di tracce di arene pubbliche che si coagulano attorno all’elaborazione

collettiva di progetti territoriali incentrati sulla dissoluzione del micro nel macro, sul rigonfia-

mento del locale letto in chiave quasi religiosa come prospettiva soteriologica (salvifica):

progetti di territorio (narrazioni) che prevedono la creazione di una qualche forma di disposi-

tivo istituzionale (solitamente definito con la locuzione ‘comune unico’, termine sul cui natu-

ra ridondante è però performativa, perché proietta l’unicità non come processo - come fu-

sione - ma come prodotto, potrebbe essere dedicata un’intera trattazione) che, modifican-

do la scala alla quale viene azionata la leva del governo locale, possano (ipoteticamente)

ridurre lo iato esistente tra pratiche sociali e ambiti di politiche (issues sul trattamento dei

quali l’Ordinamento conferisce ai livelli amministrativi competenze, ora esclusive, ora con-

correnti), tra politica locale e popolazioni amministrate.

In discussione c’è la ridefinizione del locale, da cui siamo partiti. La domanda è sempre:

quale locale? Un ‘locale’ variabile e perimetrato dalle cui definizioni che scaturiscono di volta

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16 Alcuni gruppi attivi sulla piattaforma (campo di ricerca: ‘comune unico’). casalotto cambareri comune

unico; castiglione cosentino - castrolibero - cosenza - rende in un unico comune!; cittadini per il comune

unico del valdarno; comitato del "forse" sul comune unico; comitato del si al comune unico dell'isola

d'ischia; comitato promotore per il comune unico musile-san donà; comune unico alpago; comune unico

del casentino; comune unico della media valle del cesano; comune unico di arcidosso e castel del piano;

comune unico isola d'ischia; comune unico sinistra piave; distretto bellinzonese comune unico!; elba:

comune unico?; gli amici del referendum per ischia comune unico; gruppo di via leonardo mazzella per il

si al referendum comune unico a sei; insieme per un unico comune.

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in volta dal discorso pubblico, intese come ‘costrutti strategici’ mediante i quali le arene

pubbliche narrano (dicono) la propria appartenenza a un contesto spaziale descrivendone i

margini, i connotati e i potenziali. Quello che sottostà alle ipotesi progettuali locali (prodotte

dai e nei territori) di espansione è un racconto che genera il locale prefigurandone17 la mor-

fogenesi, lo descrive per sottrazione, in negativo. Un racconto-scenario che dice ciò che

non si è (ancora) argomentando (spesso, non sempre) ciò che non si è più. Un racconto,

infine, la cui trama è impastata in proporzioni variabili di teorie inerenti il rispetto del principio

di adeguatezza sancito dall’art. 118 della Costituzione, che stabilisce che “l'entità organiz-

zativa che è potenzialmente titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizza-

zione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà” e/o l’acquisizione di una forza po-

litica rispetto ai livelli sovra-ordinati di governo e ai territori contermini mediante l’accresci-

mento della massa critica di popolazione amministrata.

Aumento dimensionale=adeguatezza + potere. Qui può tornare utile Foucault (1974), che

ricordava come “basta leggere i testi dei cronisti, storici, viaggiatori per capire che nelle loro

descrizioni la popolazione figura sempre come uno dei fattori della potenza del sovrano. Af-

finché un sovrano fosse potente, inoltre, doveva regnare su un territorio esteso. E infine si

misurava o, almeno, si stimava la l’importanza dei suoi tesori. Estensione del territorio, im-

portanza dei tesori e popolazione, dunque. Una popolazione numerosa, degna di figurare

nel blasone della potenza di un sovrano, si manifestava sotto tre aspetti: un elevato numero

di truppe, città popolose e scambi molto intensi”. Nella composizione dei due obiettivi di

efficienza della macchina amministrativa e aumento della massa critica è possibile rintrac-

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17 A titolo di esempio: “IL COMUNE UNICO OGGI E' NECESSARIO”. IL PRESIDENTE DEGLI ALBERGA-

TORI: E' UN PROGETTO CHE VA PORTATO AVANTI CON GRANDISSIMA FORZA, CON I CITTADINI.

DOBBIAMO TROVARE UNITA'. "Abbiamo spaziato a 360 gradi - così Massimo De Ferrari sull'incontro

delle Picchiaie - due sono i messaggi piu importanti. Sono stati fatti indubbiamente degli errori da parte di

chi amministra e dalle categorie economiche che non hanno colto alcuni segnali su la crisi. [...] Creare il

consenso per lo sviluppo futuro, anche con i cittadini. Per fare questo è necessario trovare unicità del

territorio, il famoso comune unico di cui tanto si parla, questo progetto va portato avanti con grande

grandissima forza e impeto". (Fonte: TirFiume Blu Elba News, 10/7/10).

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ciare il dispiegarsi di traiettorie su cui si dipanano le tracce e gli episodi di costruzione politi-

ca di progetti di riforma; dall’osservazione empirica del discorso pubblico (in larga parte

monitorato mediante osservazione della Rete) si intravede la formazione di un insieme di

pratiche che vede nell’espansione del territorio amministrato una risposta almeno duplice:

miglioramento/sopravvivenza dei servizi e aumento della forza contrattuale di un territorio

nella competizione tra territori.

Affiorano qua e là - senza concentrazioni geografiche apprezzabili - accenni di pratiche lo-

cali che, pur se concepite in contesti diversi, sembrano descrivere una fenomenologia che

in quanto tale merita attenzione. Una fenomenologia che si potrebbe dire in prima appros-

simazione, usando un lessico a-scientifico (prendendolo in prestito da Jung) ‘sincronica’,

che descrive cioè il darsi contestuale di più eventi che si richiamano pur senza aver alcun

rapporto o nesso causale tra loro. Qualcosa di comune, invece, queste pratiche sembrano

averlo: parlano di territori che ‘respirano’, desiderano e riescono a cristallizzare sistemi di

preferenze multi-attoriali che danno vita a ipotesi di morfogenesi istituzionale. Territori che si

pensano, e nel pensarsi esistono, differenziandosi ricorsivamente rispetto a ciò che non so-

no, e in questo mettendo alla prova la tenuta dei propri confini identitari come generatori di

conflitto. Il confine definisce un’identità. Per chi abita al di qua del confine, la propria diversi-

tà e singolarità è evidente. Il “noi” che è possibile esprimere riguarda uno spazio le cui mura

o i cui limiti circoscrivono una densità che è impossibile trovare altrove (La Cecla, 1988). Un

interessante di come le ipotesi di ri-definizione dei confini siano in grado di attivare conflitti:

Le potenti lobby economiche dell’isola d’Ischia, e in modo particolare gli albergatori e i ter-malisti sostenuti vergognosamente e in maniera trasversale dalla quasi totalità dei partiti di

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centrodestra e di centrosinistra, da alcuni anni stanno cercando di sopprimere gli attuali sei Comuni per costituire il Comune unico dell’isola d’Ischia. Nella secolare storia isolana la re-azionaria operazione di unificare le sei municipalità era riuscita soltanto a Benito Mussolini nel corso dello sciagurato ventennio fascista. Per la cronaca, così come abbiamo già avuto modo di ripetere spesso, ricordiamo che storicamente la pretesa del Comune Unico è nata e si è alimentata dalla volontà della classe politica e amministrativa del Comune di Ischia di accentrare tutto il potere politico e amministrativo dell’Isola in quel Comune condannando i rimanenti attuali cinque Comuni a diventare semplici Circoscrizioni senza poteri comunali autonomi e semplici periferie della città di Ischia, con tutte le immaginabili gravi conseguenze di sudditanza, di dipendenza, di arretratezza e di emarginazione sociale, che sempre grava-no sulle zone periferiche dei grossi centri urbani, ciò vale particolarmente per la nostra Isola, dove i centri abitati non sono contigui ma molto distanti tra loro18.

Il territorio segnato dalle istituzioni diventa il terreno di confronto per la ridefinizione delle

identità locali, a colpi di interpretazioni divergenti e convergenti sull’immagine che questo

dovrebbe, potrebbe avere. Cos’è d‘altronde il territorio, se non la sedimentazione di volizioni

(Lindblom, 2000), interazioni sociali e pratiche d’uso dello spazio abitato? I territori della dis-

soluzione emergono come possibile categoria sociologica, interpretativa della crisi, una crisi

che è economica ma prima di tutto identitaria e rimanda all’allargarsi delle maglie che ‘ten-

gono’ il sociale ancorato al mix di ‘essere e fare’, mediato dalla politica e dalle istituzioni.

Quindi, in ipotesi: le istituzioni sono in crisi d’identità perché in crisi d’identità sono gli attori

sociali che le fanno esistere, e viceversa in un loop ricorsivo in cui l’unica possibile interfe-

renza può venire dalle politiche pubbliche. I territori della dissoluzione esistono in una di-

mensione proiettata ‘in avanti’ capace di generare immagini, quelle stesse immagini che

nella cultura del progetto servono ad abbozzare “una possibilità futura, come, appunto,

immagine-guida, modello, esempio, rappresentazione di una evenienza desiderata, rappre-

sentante - non copia - a cui far tendere l’originale-fattuale (Vettoretto, 2007), immagini di

dissoluzione istituzionale come equivalenza della dissoluzione dell’identità di quell’istituzio-

ne, ‘fatta’ a sua volta dalle identità degli attori che ne traggono (dall’identità) i confini della

propria. Sono territori che abbozzano rotte esplorative di riorganizzazione e ridefinizione isti-

tuzionale che, superando i propri confini amministrativi “dati”, si plasmino (al congiuntivo),

attorno a idee progettuali.

Un fenomeno. Sembra delinearsi una fenomenologia puntiforme, locale, di cui non si trova

riscontro in alcun dibattito politico nazionale, ma che in qualche misura di quel dibattito la-

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18Stralcio da http://www.ischiablog.it, 5/7/2010 di Gennario Savio, Direttore di PCIML-TV –

www.pcimltv.blogspot.com

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tente sembra anticipare gli ingredienti e le parole d’ordine: semplificazione, riduzione della

spesa, adeguatezza, riordino. Le stesse parole d’ordine di cui sono disseminate le ultime

manovre finanziarie dello Stato, che pur senza imporre formalmente per via autoritativa al-

cuna riduzione del numero degli Enti, di fatto ne stanno mettendo in discussione la stessa

sopravvivenza prevedendo, ad esempio, l’obbligatorietà19 della gestione associata di quasi

tutte le funzioni per i piccoli comuni.

“Citizens who pursue boundary reforms face a collective action problem. If a group is intere-sted in creating or redrawing government boundaries for collective gains, such as provision of new services or achievement of administrative or production efficiencies, each individual in the group would be better-off if someone else took on the burden of forming the new go-vernmental system. These individuals would still receive the benefits of the new institutional arrangements even if they themselves did not act to promote reform. Thus, among citizens supporting boundary change, the incentives to free ride on the actions of others are high” (Feiock e Carr, 2000).

La prima ipotesi è che ci troviamo di fronte a un campo di pratiche-spia da cui rinvenire

tracce di politiche pubbliche. Pratiche: che se da un lato non sono riconducibili a una politi-

ca - nazionale, regionale, europea, ecc. - sembrano tradurre in pratica (Gherardi e Lippi,

2000) un ‘disegno riformatore latente’. Scorgere una politica pubblica dietro una serie di

pratiche laddove di questa politica non vi è alcune reale evidenza può significare tre cose.

La prima: l’osservatore sta lavorando di fantasia. La seconda: l’osservatore sta più o meno

consciamente organizzando un ragionamento con ampi margini di aleatorietà. La terza:

l’osservatore è parte della ‘scena‘ che osserva e, in quanto tale, vuole vedere connessioni

oltre ciò che si può vedere a ‘occhio nudo’. Diamo per scontato di non trovarci nella prima

situazione, ma di essere a pieno nella terza: l’osservatore è parte integrante dell’oggetto

osservato e in quanto tale tende a descriverlo come vuole che sia. Ora, dicevamo: ‘spie di

un disegno latente’. Traduzione: i casi di pratiche di dibattito locale raccolti e quelli di cui

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19 Cito en passant il fatto che il ricorso alle gestioni associate è destinato a diffondersi enormemente,

anche se non è ancora chiaro come, se quanto previsto nel DL 78/10 all’art. 28 troverà applicazione: “le

funzioni fondamentali dei comuni, previste dall'articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009

(funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; polizia locale; istruzione pubblica, ivi com-

presi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica; via-

bilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente; funzioni del settore socia-

le) sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei

comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regio-

nale e comunque inferiore a 3.000 abitanti.

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abbiamo diretta conoscenza narrano, presi insieme, di una ‘politica pubblica’ che su quelle

pratiche si sta plasmando.

Quelle pratiche sono politiche (Crosta, 2006). Politiche che sono negate dai policy maker

nazionali e regionali: raramente, in Italia, si sono prodotte esplicite politiche ‘serie’ a soste-

gno delle fusioni di comuni, come argomentato. Politiche che sembrano surrettiziamente

indotte non solo e non tanto con le previsioni di aggregazione autoritative di cui sopra (la cui

implementabilità è tutta da dimostrare), ma dal più impalpabile effetto inatteso e inintenzio-

nale di un grumo di dinamiche sociali e politiche: il cambiamento delle istituzioni non avvie-

ne solo perchè qualcuno ‘l’ha deciso’, ma anche soprattutto come mutazione storicizzata e

isomorfica delle sue componenti sociali.

Ora, per provare a capire e a chiarire: qui non interessa (o meglio: interessa, diciamo che

non è il ‘punto’) capire le condizioni in cui si dà l’emergere di queste pratiche di visioning

rispetto al futuro di territori; interessa piuttosto capire se queste pratiche producono un

qualche ‘effetto di politiche’, se cioè, nel darsi, riescono a dare forma (shape) a un oggetto

di policy che su base aggregata (non limitata cioè a un caso, ma a un insieme di casi legati

da una qualche coerenza) sia osservabile come la base per la codifica da parte del policy

maker di un sistema di strumenti di supporto.

Si intravedono due flussi (Kingdon, 1984) paralleli, entrambi esiti di quella power deflation

(Rosembaum e Kammerer, 1974) insita nella contrazione dei margini di autonomia che met-

te in tensione la tenuta del “locale” a partire dal vincolo di rappresentanza che lo regge. Due

flussi sui quali s’intravede il farsi di due distinte fattispecie di imprenditori di confini (Feiock,

2000) nelle cui argomentazioni affiora un desiderio di dissoluzione del piccolo nel grande:

da una parte Amministratori locali che formulano proposte che prevedono il proprio “suici-

dio amministrativo”, dall’altra attori civici che - organizzati in modi per lo più informali - intra-

prendono campagne di supporto alle ipotesi di aggregazione amministrativa.

Due flussi indipendenti di policy discourse, è questa la tesi che s’intende sostenere, che a

partire da premesse diverse e da incentivi selettivi complementari stanno convergendo sullo

sdoganamento dell’issue “fusione di comuni” nello scenario delle politiche pubbliche nazio-

nali definendolo come “ultimo vero margine di autonomia rimasto” non solo e non tanto (in

termini di organizzazione) per funzionare meglio quanto (in termini di competizione) per ac-

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quisire una visibilità e un peso maggiore, sfidando Legislatori nazionali e regionali ad elabo-

rare risposte organiche. La sfida delle competitività su cui i territori sempre di più si conten-

dono i propri margini di crescita passa tout court per lo sfondamento stesso dei margini po-

litici che li contengono.

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Page 53: cupio dissolvi.

Un caso di casi

Questo caso studio è un intreccio di casi. Da quali ‘fili’ sono accomunati i casi:

1. Hanno come attori protagonisti amministrazioni locali (comuni)

2. Sono ambientati nella stessa regione

3. Provengono da esperienze consolidate di aggregazione funzionale e vanno verso ipoteti-

che riforme istituzionali di superamento di quelle esperienze

4. I casi sono l’esito di attivazioni delle stesse amministrazioni

Cosa ne fa un ‘intreccio’? Senza voler anticipare le conclusioni, limitiamoci ad affermare che

a tenere insieme i casi è la comune fonte di attivazione: il finanziamento di uno studio di fat-

tibilità che ha come oggetto un progetto di innovazione istituzionale.

Ora, quale sia la metodologia più corretta nella selezione dei casi difficile stabilirlo: un modo

possibile tende a leggere il processo di selezione dei casi come (non) scoperta, come in-

ciampo ossimoricamente ‘accidentale/pilotato’ su un oggetto ‘neutro’ su cui e da cui scri-

vere inferenze. È una logica simille a quella utilizzata e teorizzata da Duchamp rispetto ai

cosiddetti ‘ready-made’ che non devono essere oggetti belli, gradevoli, ripugnanti oppure

interessanti (Paz, 1990): devono essere. Secondo questa chiave di lettura il caso sarebbe in

grado di produrre senso proprio in quanto ‘unico, non scelto e non ripetibile’ come ‘esem-

pio’, infatti “niente di più difficile che trovare un oggetto davvero neutro: qualsiasi cosa può

trasformarsi in qualcosa di molto bello se il gesto si ripete con frequenza” (Paz, 1990). I casi

di questo studio semplicemente ‘accadono nella pratica’ - in un contesto limitato e ‘obbli-

gato’ di pratiche - e traggono la prima ragione d’essere da questa genesi autobiografica in

un contesto organizzativo, assumendo i due termini - individuo e organizzazione - come

coestensivi. I casi accadono e traggono la propria efficacia dalla duplice capacità di rappre-

sentare nella narrazione processi.

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Page 54: cupio dissolvi.

I casi non sono stati ‘scelti’ secondo un presunto protocollo di scientificità che ne determi-

nasse la cogenza rispetto alla capacità di rafforzare teorie (obiettivo che in parte sembra

guidare lo stesso Robert Yin nella teorizzazione dello strumento ‘case study’); l’incontro tra

il ricercatore e i casi si è dato come ‘incontro interessato’, il cui ‘uso’ ha prodotto alcune

indicazioni. Sulla reale generalizzabilità delle conclusioni, del tutto esplorative, non ho rispo-

ste definitive.

Dei casi non sarà restituita una ricostruzione sinottica tesa a evidenziare elementi significativi

sul piano della comparabilità e della astrazione rispetto a presupposti teorici. Seguendo

Lanzara (1997) scopo dei casi non è “l’individuazione di condizioni o fattori espliciti che de-

terminano o facilitano la costruzione ‘non problematica di istituzioni ‘buone’, ‘efficienti’, o

‘legittime’, o che al contrario ne ostacolano la formazione. Ogni elenco finito di condizioni

fondamentali o strutturali sembra destinato ad essere smentito dal verificarsi di contingenze

inattese”. La strategia di ricerca ricostruirà il caso secondo un modello narrativo diaristico

deliberatamente non-fiction e intriso di registri diversi che alle digressioni analitiche alterna-

no descrizione ambientali, tratti di analisi organizzativa, report di analisi etnografiche.

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Cooperare non basta (più). Una politica pubblica messa a nudo dai propri strumenti, anche. Il caso dell’Emilia-Romagna

Un caso particolare, di ‘territorio della dissoluzione’ ci viene dall’Emilia-Romagna, la regione

che forse più di ogni altra in Italia ha fatto propri gli strumenti di cooperazione inter-istituzio-

nale. La ‘gestione associata’ è la norma: i comuni non interessati da questi strumenti (asso-

ciazione, unione in particolare) si contano20. La Regione ha ‘fatto propri’ gli strumenti origi-

nariamente previsti dalla normativa nazionale (vedi infra) montandovi un’impalcatura norma-

tiva e regolamentare originale, capace di produrre negli anni una certa attrattività per gli

strumenti di gestione associata dei servizi, mediante la previsione di forme di contributo e

incentivazione tanto certe quanto generalmente consistenti21. I vari piani di riordino territo-

riali (PRT) che via via si sono avvicendati nel corso degli anni (a partire dell’originaria previ-

sione normativa, oggi coordinata nella LR 10/08) hanno previsto forme d’incentivazione di-

verse: contributi una tantum erogati all’atto della costituzione delle esperienze, contributi

finalizzati per ogni specifica linea di servizio e, tra gli strumenti di accompagnamento in una

fase ex ante, contributi per la realizzazione di ‘studi di fattibilità’. Quest’ultima misura intende

consentire agli Enti interessati di disporre di una “simulazione della situazione emergente

dalla forma di gestione associata prefigurata” (Xilo, 2008). Il ricorso a questi studi, intesi

come ‘veicoli del sistema incentivante’, ha coinciso con una strategia di ancoraggio dell’av-

vio delle esperienze associative alla realizzazione di approfondimenti, che assumono il ruolo

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20 L’ultimo rapporto disponibile sullo stato di attuazione del PRT descrive uno scenario interprovinciale

diversificato: 31 su 48 a Piacenza (35% della popolazione); 43 su 47 a Parma; 45 su 45 comuni delle

provincia di Reggio-Emilia; 43 su 47 a Modena (66% della popolazione); 56 su 60 a Bologna (49% della

popolazione); 26 su 26 a Ferrara; 12 su 18 a Ravenna (30% della popolazione); 29 su 30 a Forlì-Cesena;

15 su 20 a Rimini. In totale, alla data del 2009 (che non tiene conto dell’attuazione della trasformazione di

molte comunità montane in unione di comuni, erano 41 su 341 (poco più del 10%) i comuni non inseriti in

alcuna forma associativa.

21 La Regione prevede finanziamenti sia di parte corrente che in conto capitale per la gestione associata

di servizi. I contributi variano secondo il numero e la tipologia dei servizi gestiti e l’ampiezza demografica e

territoriale dei territori serviti. È prevista l’erogazione di contributi ordinari per la costituzione e il manteni-

mento delle forme istituzionali relative (unioni e comunità montane). Nel 2008 la regione ha stanziato per

l’esercizio finanziario 2009 risorse pari a € 8.000.000,00 a favore delle forme stabili di gestione associata

e sul cap. 03215 risorse pari a € 2.000.000,00 per spese di funzionamento delle stesse forme associative

(DGR N. 226/2009.

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di veri e propri check-up organizzativi della forma associativa finalizzati a evidenziare so-

prattutto le economie e i vantaggi di gestione derivanti dall’ipotetica associazione, scen-

dendo spesso nell’indicazione dei servizi da associare in virtù di criteri di efficienza, efficacia,

impatto (ibidem).

Con il contributo finalizzato alla realizzazione di studi di di fattibilità la regione veicola la pro-

pria azione di governo e design istituzionale. La regione richiede che la volontà di effettuare

lo studio sia formalizzata da tutti gli enti coinvolti mediante convenzione, con la quale ci si

vincola a dichiarare la volontà di dotarsi di uno strumento di questo tipo e di affidarne la rea-

lizzazione a un qualche soggetto titolato. Lo studio di fattibilità può essere letto come stru-

mento di governo, un dispositivo giuridico-economico-organizzativo che dietro l’apparente

connotazione ‘tecnica’ e “assiologicamente neutra” (Lascoumes e Le Galès, 2009) incorpo-

ra e veicola in una logica dissimulata valori portatori di una certa interpretazione del sociale

e di precise concezioni del mondo di regolazione che viene di volta in volta considerato. Gli

strumenti in generale, e gli ‘studi di fattibilità’ in particolare, forniscono un “quadro stabile di

anticipazione” che riduce le incertezze e struttura l’azione collettiva (ibidem), immunizzando

la politica dall’onere della decisione autoritativa (forzosa) rispetto a una particolare issue.

Con l’obiettivo dell’immunizzazione politica mediante la tecnicalizzazione nella fase imple-

mentativa della policy, il governo regionale assume (implicitamente) che il programma di ri-

ordino territoriale in se altro non sia che un “collezione di parole vuote” (Pressman e Wil-

davsky, 1984), in se cioè non pensata in funzione delle reti d’azione che la possono tradurre

in pratica e destinata a non ottenere l’obiettivo che si prefigura.

Intendendo sollecitare l’emersione di spinte locali volontarie anche attraverso la produzione

di conoscenza contenuta negli artefatti ‘studi di fattibilità’ come possibile innesco del pro-

cesso di traduzione in pratica (Gherardi e Lippi, 2000) del proprio disegno riformatore, la

policy regionale presuppone (ipotizza, postula) come condizione necessaria il darsi, nei con-

testi in cui viene ‘usato’, di reti d’azione (Czarniawska, 2004) esito dell’interazione di attori

umani e artefatti immateriali (‘attanti’, secondo la terminologia di Callon e Latour, citata dalla

stessa Czarniawska) capaci di produrre l’effetto di mutazione istituzionale voluto. In questo

scenario immaginato, lo ‘studio di fattibiltà’ assume appieno il ruolo di attore che interagen-

do con il contesto lo modifica e ne è a sua volta modificato.

56

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Le politiche sono fatte di ipotesi. Le politiche sono ipotesi (Dewey, 1938; Pressman e Wil-

davsky, 1987). Se assumiamo che le politiche sono (ontologicamente) ipotesi, possiamo

osservare come nel caso della politica di riordino territoriale la formulazione della stessa as-

suma come condizione necessaria l’esistenza di una rete d’azione come veicolo della sua

implementazione. La regione affida al crearsi di reti - mediante processi di assunzione di

ruolo, delimitazioni e perimetrazioni dei confini dei diversi nodi in capo a diversi attori sociali

e alla costruzione di artefatti dotati di una propria agency autonoma - la possibilità del dif-

fondersi degli effetti contenuti nella formulazione della policy. Una lettura di questo tipo, che

qui assumiamo come ipotesi di partenza, descrive questo processo di policy (etichettato

come ‘riordino territoriale’) come

Un ruolo centrale nel processo viene svolto dalle cosiddette ‘comunità epistemiche’ costi-

tuite da quanti si occupano di questo tema dall’interno delle università, dei think tanks, delle

società di consulenza, associazioni professionali. Infatti è da questa comunità che proven-

gono le idee, gli avalli, le critiche (Regonini, 2004) e le stesse traduzioni locali del disegno

riformatore. È nel rapporto di consulenza-fornitura di conoscenza-relazione d’aiuto (Schein,

2000) che l’oggetto (lo studio) presuppone, che si formano competenze ‘tecniche’ come

risultanza (sedimentazione) dei rapporti interattivi-osmotici tra ricercatore e cliente. Si tratta

di competenze che vanno intese come capacità processuali (esito del rapporto di consu-

lenza) di rappresentare le ‘volizioni’ degli attori e la lettura condivisa dell’oggetto organizzati-

vo: secondo Lindblom (1990), il ruolo dello scienziato sociale sta non già nello ‘scoprire’ si-

stemi di preferenza “illuminando bisogni o volontà” quanto nel creare, attraverso l’attività di

probing (investigazione), gli orientamenti di volontà degli attori con i quali si trova a interagi-

re. Una tale prospettiva aiuta a capire che gli esseri umani sono capaci di “scrivere piuttosto

che leggere lo scenario umano [...] e che le loro individualità vanno soggettivate nel ruolo di

designer o creatori di loro stessi e della società”. Sotto questa luce, l’attività di inquiry previ-

sta dallo strumento ‘studio di fattibilità’ va intesa come creatrice dell’oggetto su cui si appli-

ca, e gli attori che sull’esercizio di quella attività riversano il proprio interesse professionale

vanno intesi come parte integrante del processo. In altre parole: chi materialmente usa e

costruisce lo strumento definendo ciò (gli argomenti, i dati, le informazioni) che è utile ai fini

dell’oggetto di studio possiede un ruolo primario nella definizione e nella scrittura della po-

licy, irriducibile all’apparente contributo ‘solo’ tecnico che viene attribuito al rapporto profes-

sionale.

57

Page 58: cupio dissolvi.

Il risultato è un grumo di materiali spuri, tenuti insieme dall’uso che si fa di tecnicalità strate-

giche che sedimentandosi e raffinandosi secondo le necessità dei casi cui sono applicate

tornano nella politica ridefinendone i confini. Assumendo quindi che le rappresentazioni

contenute negli ‘studi di fattibilità’ siano il risultato di una relazione e che quindi l’apparenza

tecnica vada interpretata per il processo di condivisione dei significati che presuppone, di-

venta possibile chiudere il cerchio e immaginare che quella che appare una ‘non-politica di

incentivo al mutamento istituzionale’ funzioni come politica costruita direttamente dalla peri-

feria, dagli utilizzatori dello strumento.

Gli ‘studi di fattibilità’ sarebbero quindi dispositivi al tempo stesso tecnici e sociali, che or-

ganizzano rapporti sociali specifici tra il potere pubblico e i suoi destinatari, in funzione delle

rappresentazioni e dei significati di cui sono portatori. Gli ‘studi di fattibilità’ previsti dalla

normativa dell’Emilia-Romagna sarebbero quindi strumenti che veicolano una politica di ge-

nerazione partecipata di una politica di riordino territoriale e mutamento organizzativo. Un

esempio concreto del funzionamento di questa retro/interazione degli strumenti sulle politi-

che viene dall’attualità. Gli strumenti ‘tecnici’ cui viene demandata l’implementazione della

generale policy di riordino territoriale hanno sempre costituito un elemento di interesse per i

comuni che attraverso questo molto prudente meccanismo di supporto regionale hanno

potuto giungere informati alla produzione delle decisioni. Decisioni che nella totalità dei casi

hanno riguardato la riorganizzazione delle gestioni di servizi attraverso la creazione di nuovi

livelli di governo, le unioni di comuni. Il ciclo di policy che ha portato alla ‘unionizzazione’

giunge quindi a uno stadio maturo, nel quale il quadro degli stessi fabbisogni informativi ne-

cessari per dare corpo alla fattibilità di quelle soluzioni organizzative può dirsi consolidato.

Secondo la normativa22, tuttavia, lo ‘studio di fattibilità’ è rivolto a sostenere dal punto di

vista informativo non solo iniziative di unioni ma anche ipotesi progettuali di consolidamento

municipale per mezzo di fusione di comuni. Nei primi quindici anni di vita della normativa,

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22 Delibera di giunta regionale n. 354/2003 modifiche ai criteri e modalità per l'erogazione dei contributi

previsti dall'art. 17 della l.r. 11/01, adottati con delibera della giunta regionale n. 2922/01. Il testo prevede

che “siano ammessi a contributo i progetti volti all'analisi specifica delle forme possibili di gestione asso-

ciata di servizi e funzioni, indirizzati: alla costituzione di una Unione di Comuni, Comunità Montana, Asso-

ciazione Intercomunale o alla fusione di Comuni; all’ampliamento o al miglioramento di servizi e/o funzioni

già gestiti in forma associata da Unioni di Comuni, Comunità Montane o Associazioni intercomunali; alla

trasformazione di una Associazione in Unione di Comuni”.

Page 59: cupio dissolvi.

tuttavia, le seconde hanno costituito un’opzione assolutamente minoritaria rispetto alle pri-

me, che al contrario fanno registrare a ogni riapertura dei bandi crescenti domande di finan-

ziamento.

Ed è qui, sul frontiera inesplorata delle fusioni, che succede qualcosa che determina l’inne-

sco del processo di ‘policy by the instruments’ di cui questo lavoro prova a dare conto.

Tra il 2009 e il 2010 assistiamo a una virata netta delle istanze verso esiti istituzionali e non

(solo e non tanto) organizzativi: vengono presentate alcune domande di finanziamento per

studi di fattibilità per fusioni, tutte da comuni già inseriti in unioni e, quasi sempre, di dimen-

sioni tutt’altro che esigue. Si tratta di esperienze ampiamente strutturate (per anni di vita,

numero di servizi in convenzione, numero di addetti) che giungono a generare l’idea secon-

do cui al ‘fidanzamento’ debba (in qualche modo) seguire il ‘matrimonio’.

Almeno tre23 sono i casi - tra quelli già che già hanno ottenuto dalla regione un contributo

per la realizzazione di studi di fattibilità e che hanno affidato a una società esterna la sua

realizzazione - di cui è possibile effettuare analisi approfondite alla ricerca delle condizioni

che hanno reso possibile o stanno per rendere possibile l’innesco di un dibattito locale at-

torno all’ipotesi di consolidamento municipale: il primo caso è costituito dai comuni rac-

chiusi nel territorio dell’ex comunità montana della vallata del Fiume Giallo, comuni le cui

gestioni associate sono confluite nel circondario Imolese; il secondo caso è costituito dal-

l’unione dei comuni del Fiume Verde, in Romagna, peculiare per dimensione demografica e

integrazione territoriale dei tre comuni che la compongono; il terzo caso è infine quello del-

l’unione dei comuni della valle del Fiume Rosso, cinque comuni della ‘seconda cintura’ bo-

lognese alle prese con un’esperienza di unione consolidata e con gli esiti della soppressione

della comunità montana. In tutti e tre e tre i casi è stato richiesto e ottenuto un finanziamen-

to per la realizzazione di uno studio sulla fattibilità della fusione dei comuni.

Fiume Giallo Fiume Verde Fiume Rosso

Numero Comuni 4 3 5

Abitanti medi 2.493 12.369 5.752

Abitanti totali 9.972 37.108 28.762

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23 Per i dettagli si rimanda al caso di studio nella parte centrale del lavoro.

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Fiume Giallo Fiume Verde Fiume Rosso

Superficie totale 200 54,5 175

Densità media (ab/kmq) 57,13 637 207

Ente aggregato Nuovo Circondario Imolese

Unione dei Comuni del Fiume Verde

Unione dei Comuni della Valle del Fiume Rosso

Anno costituzione 2008 2006 2009

Numero principali convenzioni attive 7 5 6

Sono territori che ‘sentono il bisogno di andare oltre’, in cui cioè si dà l’emergenza di idee

più o meno strutturate di modifica istituzionale, idee (domande) che si strutturano, nascono

attorno alla disponibilità (offerta) di uno strumento. Giunto il termine di un primo ciclo di po-

licy regionale, sembra aprirsene un altro che tende al superamento del risultato di riordino

ottenuto con il primo; poi, per il darsi di condizioni inattese dalla stessa Regione (un mix va-

riabile delle congiunture già ricordate: drastico calo dell’autonomia finanziaria dei comuni,

calo delle entrate, aumento delle spese, calo dell’autonomia in genere), incomincia a essere

esplorato un terreno sconosciuto (la fusione) alla cui reale attuabilità il ‘meso-governo’ ha

apparentemente sempre guardato come a poco più di un’ipotesi di scuola. A ‘esplorare’

sono contesti peculiari in cui, a differenza dei casi mappati in precedenza (vedi ‘Prolegome-

ni’), la proposta riformatrice non sale ‘dal basso’, via comitati o petizioni, ma cala ‘dall’alto’

(dalle Amministrazioni), seguendo uno schema peculiare in buona parte ‘interno’ alla stru-

mentazione amministrativa.

Si pensa alla fusione come upgrade dell’unione: una possibilità che varie ragioni (per il suo

portato identitario, per la già ricordata storica irriducibilità del micro-governo a subire razio-

nalizzazioni, ecc.) e per la complessità giuridico-tecnica richiesta non è mai stata opzionata

ma che oggi - improvvisamente? - appare possibile e addirittura desiderabile da ammini-

stratori e territori. I territori sdoganano il dibattito (solo quello, per il momento) sul tema e la

regione coglie il segnale ritarando la propria lettura politica del fenomeno.

Cosa accade? Accade che ‘fino a ieri’ la fusione veniva citata silenziosamente nelle norma-

tive regionali mentre oggi, dopo un periodo di ‘prova’, diventa (sta per diventare) un’ipotesi

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prevista dal programma di riordino, al punto che un riferimento esplicito al sostegno di

questo schema giuridico istituzionale di riforma si trova inserito nel programma di governo

della Giunta insediata nel maggio del 2010: “sulla base delle esigenze espresse dal territorio

e sulla base dell’evoluzione legislativa nazionale sulle autonomie locali, proporremo un ag-

giornamento della legge regionale 10/2008, che definisce gli indirizzi in materia di riordino

territoriale e di auto-riforma dell’amministrazione regionale e locale. L’obiettivo è superare i

localismi attraverso le unioni dei comuni, garantendo i servizi e contenendo i costi e facendo

emergere le eccellenze territoriali. Anche la disciplina dell’incentivazione, dev’essere gra-

dualmente reimpostata, per costituire uno stimolo costante allo sviluppo di sempre nuove

competenze, introducendo specifici indicatori di efficacia, d’efficienza e di risparmio nelle

gestioni associate. È necessario inoltre accogliere e sostenere la fusione di comuni con una

semplificazione normativa delle procedure”.

“Semplificare la procedura di fusione”. In quest’ultima frase peraltro sbrigativa si rintraccia la

volontà da parte del governo regionale di assumere politiche coerenti con le sollecitazioni

provenienti dai territori, sollecitazioni che però deviano radicalmente rispetto alla mera ipo-

tesi di ri-progettazione organizzativa concentrando l’attenzione verso la dimensione istitu-

zionale. Sembra tracciarsi un processo di policy a feedback positivo tra livello locale e livello

regionale, in cui alla messa a disposizione di strumenti seguono politiche strutturate sugli

esiti applicativi inattesi (sulle pratiche) degli stessi dai destinatari (i comuni). Esiti che poco

hanno a che fare con i temi dello sfoltimento del numero dei comuni, ma che sembrano at-

tecchire su contesti locali relativamente consolidati, come risposta a un problema avvertito

dai territori di aumento della competitività territoriale.

Riassumendo:

1. Offerta strumentale. La Regione mette a disposizione degli enti locali una toolbox pen-

sata come innesco (veicolo) per l’implementazione di una policy finalizzata a raggiungere

un obiettivo di ‘riordino territoriale’ mediante l’aumento delle gestioni associate tra gli

enti locali;

2. Prima definizione degli strumenti e della reti d’azione. La toolbox prevede, tra le varie

misure, anche un finanziamento specifico per l’effettuazione di approfondimenti (‘studi di

fattibilità’) che hanno come finalità prima l’accompagnamento di un percorso politico

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sulla cui opportunità si è già raggiunta una qualche quadratura; si tratta di uno strumen-

to di secondo livello, volto cioè a stimolare nelle amministrazioni l’insorgenza di una au-

tonoma volontà di avvio di un processo di innovazione istituzionale; ha una natura di

strumento molto soft, ‘non è vincolante’, non costituisce un impegno formale a proce-

dere nella direzione indicata.

2.1. Parallelamente, l’offerta di questo strumento contribuisce alla progressiva defini-

zione di una ‘comunità epistemica’ che contribuisce, nella pratica, a creare cono-

scenza circa il perimetro del fabbisogno informativo di supporto, varie tecnicalità

necessarie, ecc.

2.2. Nell’interazione tra le comunità professionali e in contesti oggetto di intervento si

vanno concentrando le competenze che, trovando applicazione in realizzazioni

concrete, traducendo in pratica cioè le ipotesi della policy, ristrutturano la policy

stessa.

3. La possibilità di dotarsi di questo strumento viene sfruttata diffusamente, l’uso contri-

buisce a - o è comunque parte integrante del - la diffusione della politica di sostegno

alla cooperazione inter-istituzionale, molto strutturata sia in termini regolamentari che di

impegno economico; il successo del pacchetto (studio + finanziamenti alle gestioni as-

sociate) determina un aumento esponenziale del numero delle unioni di comuni;

4. Al termine del ciclo di policy, terminata la ‘unionizzazione’ dell’intero territorio, da questo

scaturisce una domanda di superamento di quel primo esito, domanda le cui cause so-

no in prima approssimazione attribuibili alle mutate condizioni socioeconomiche delle

istituzioni, che sono portate a valutare come preferibile una propria dissoluzione rispetto

a un’ottimizzazione della propria configurazione;

5. Questo scarto determina uno spiazzamento nello stesso policy maker che modifica

l’agenda, dando avvio a un nuovo ciclo di policy.

Il quesito di fondo interroga in definitiva il processo di produzione di politiche pubbliche. Se,

seguendo Pressman e Wildawsky (1984) sarebbe la stessa fase di ‘traduzione in pratica’

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(termine che peraltro loro stessi rifiutano) di una policy a plasmarla retroattivamente e in cor-

so d’opera, bisogna chiedersi:

1. se è possibile analizzare il processo di costituzione di una ‘rete d’azione’ attorno alla

ri-definizione di uno tool tecnico e gli effetti di ristrutturazione che questo tool è in grado

di determinare su un campo organizzativo già dato;

2. se si diano - se siano osservabili - ‘reti d’azione’ considerabili come condizione neces-

saria per l’implementazione di una policy. Reti d’azione: ipotizzate e perciò stesso crea-

te dalla e nella formulazione della policy, reti che mediante l’uso degli strumenti tecnici

che questa stessa policy ha definito la ri-de-scrivono facendola esistere.

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Un anno di fusione in Emilia-Romagna

03/12 Prologo: identità, standardizzazione, competenze. Di cosa stia-mo parlando?

Non è lo stesso fottuto campo da gioco, non è lo stesso campionato, e non è nemmeno lo

stesso sport. (Jules Winnfield in Pulp Fiction, 1994)

Si chiama Cono Manzolillo24, ed è il responsabile del servizio associato di gestione del per-

sonale dell’unione dei comuni del Fiume Verde. L’ufficio del servizio, in convenzione dal

2008, è ospitato nei locali del comune di ζ, che dei tre comuni che compongono l’unione è

il minore per popolazione, ma non per rilevanza economica e ‘peso specifico’. Peso che in

buona parte è dato dalla componente-costa: la parte di mare di ζ è la più rilevante dell’esi-

guo tratto di costa su cui insistono i tre comuni, al punto che l’appellativo “mare” (“ζ Mare”)

è quasi inscindibile dal nome del comune. Ma a ζ non c’è solo il mare: la zona industriale,

slabbrata e solo abbozzata a scavalco dell’autostrada, mette insieme alcune medie imprese

- una del ramo dei profilati metallici, dello scatolame - con la specializzazione produttiva del

territorio: le calzature. A ζ, Pollini ha insediato qualche anno fa il suo grande stabilimento

produttivo, migrando dal territorio del comune di θ per “problemi di autorizzazione”; si è

spostato di qualche chilometro, ma è un altro mondo. Questa storia me la raccontavano

qualche settimana fa, nelle prime interviste ai ‘testimoni qualificati’.

Che ci faccio qui? Arrivo a ζ intorno all’ora di pranzo. Nelle strade, nessuno. Il mio è un

blitz: non ho l’appuntamento e potrebbe essere un giro a vuoto. Avevo provato senza suc-

cesso a mettermi in contatto con Manzolillo al telefono, il numero me l’aveva dato il giorno

prima il segretario dell’unione, quando lo incontro nel corridoio glielo dico, lui mi risponde di

essere stato sempre “in giro per delegazioni trattanti” nei tre comuni. Pur avendo un servizio

personale gestito in forma associata, infatti, i tre comuni (più l’Ente unione) continuano ad

avere contratti decentrati e regolamenti organizzativi autonomi, con tutte le ridondanze, le

ripetizioni e le evidenti diseconomie del caso. Anche se non ho l’appuntamento mi acco-

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24 Nel testo i nomi dei personaggi sono coperti da ‘omissis’.

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modo nell’ufficio, e parto con la consueta presentazione del perché sono lì dove sono, qual

è l’obiettivo, eccetera.

In corso lo studio di fattibilità. Comune UNICO IN PROGRESSIl Presidente Battistini: “Stiamo procedendo secondo l'agenda fissata”

Stanno procedendo secondo la tempistica prevista gli studi preliminari sulla fattibilità del comune Unico. Al lavoro CO Gruppo di Bologna, una équipe di ricercatori esperti di organiz-zazione degli enti locali che sta raccogliendo ed elaborando tutta una serie di informazioni per 'misurare' il gradimento della gente e del territorio rispetto al progetto della fusione tra i comuni di η sul Fiume Verde, θ e ζ attualmente facenti parte dell'unione dei comuni del Fiume Verde. Da unione a comune unico, un passaggio determinante per le realtà del Fiume Verde rispetto al quale gli amministratori hanno commissionato uno studio approfondito che consenta di cogliere non solo il gradimento ma anche gli oggettivi pro e contro dell'opera-zione. Oggetto di studio saranno l'aspetto socio demografico e territoriale, con interviste a operatori commerciali, dell'industria, del credito, associazioni di categoria, amministratori ma anche ai cittadini e alla gente comune. Lo studio prenderà inoltre in esame i servizi già pre-senti sul territorio e il quadro generale del territorio. Al termine della raccolta e analisi dei dati inizierà la parte della progettazione, con una analisi sull'impatto economico e organizzativo della fusione e la redazione di un vero e proprio progetto di comune unico, che sarà presen-tato pubblicamente nella primavera del 2011. Si tratta di un articolato percorso preliminare che consenta agli amministratori e ai cittadini di valutare con cognizione di causa e poter giudicare meglio sulle decisioni future. Il primo obiettivo per gli Amministratori, fondamentale, sarà del arrivare all’indizione di un referendum attraverso il quale i cittadini dovranno espri-mere il proprio parere sull’ipotesi.

Per prima cosa chiarisco il frame entro cui ci stiamo muovendo: stiamo lavorando allo stu-

dio di fattibilità per la fusione dei comuni del Fiume Verde, gli chiedo se sa di cosa sto par-

lando. L’interlocutore reagisce immediatamente, si mette subito sulla difensiva dicendo che

da tempo sta invocando un’omogeneizzazione dei regolamenti e dei contratti, ma che con

la prospettiva della fusione “il tutto si è un po’ arenato”. In sostanza, interpreto ciò che vuole

dirmi, è inutile faticare per omogeneizzare se poi diventeremo una cosa sola. L’argomenta-

zione mi pare interessante, significativa delle aspettative nei confronti di un’innovazione isti-

tuzionale.

Mi diverte percepire nell’interlocutore un senso di perturbazione determinato dal mio ingres-

so in campo e dal mutamento che rappresento, il tutto dissimulato da ‘fiducia nel ruolo ‘sal-

vifico della fusione’. Percepisco la fatica dello stare in condizione d’incertezza e contribuire

al governo di una situazione cooperativa che, preservando le individualità al proprio interno,

comporta elevatissimi costi economici, organizzativi, sociali, psicologici. Capisco che alla

prospettiva delle fusione è bastato ‘essere annunciata’ per iniziare da subito a generare im-

patti sull’organizzazione. La fusione sembra evocare negli attori organizzativi la prospettiva

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dell’eliminazione dei costi dello stare insieme: ‘partire da zero’ con una nuova entità istitu-

zionale determina in se effetti di omogeneizzazione tra territori con storie, culture e identità

peculiari e perciò diverse. Confluire in un’unica entità istituzionale sgraverebbe i singoli ele-

menti della responsabilità di montare soluzioni condivise ed efficaci a problemi di governabi-

lità del locale, eliminando o riducendo quelli che nel lessico dell’economia neo-istituzionali-

sta sono definiti i ‘costi di transazione’ (Williamson, 1985) connessi alla costruzione e al ri-

spetto di accordi negoziali e al funzionamento dei livelli di intermediazione che le strutture

organizzative implicano.

Da tempo lavoriamo nel mercato delle ‘gestioni associate’, affiancando amministrazioni lo-

cali nell’avvio di singole linee di servizio entro più generali ri-disegni istituzionali (costituzioni

di unioni e associazioni). Ora si apre il fronte delle fusioni. Ma le fusioni che cosa c’entrano?

Stiamo parlando dello stesso campo o, in pratica, le due cose non hanno nulla a che fare.?

La sensazione è che siamo qui perché la rete istituzionale di questo territorio è già in una

situazione di crisi d’identità. Capisco anche che aiutare questo cliente a ristrutturare la pro-

pria identità sta già ristrutturando la mia.

26/11 Che fine avrebbe fatto lo studio di fattibilità? Un attore, al condi-zionale

Per ‘studio di fattibilità’ la Regione Emilia-Romagna intende “uno strumento conoscitivo utile

a supportare le valutazioni relative all´opportunità di adottare scelte di tipo associativo o di

ampliare l´ambito di operatività”25. La stessa Regione specifica che “sulla base dei contenuti

dello studio dovrebbe (corsivo mio) essere possibile fare una prima verifica tecnica di realiz-

zabilità dal punto di vista organizzativo-gestionale”. La Regione promuove una politica di

riordino che passa per uno oggetto di conoscenza, esito dell’applicazione a un contesto

organizzativo di un’osservazione ‘tecnico’. Poi, conferisce all’oggetto caratteristiche di

strumento-per-le-politiche, attribuendo al suo utilizzo poteri (eventuali: nella definizione si

ricorre al condizionale ‘dovrebbe’) di attivazione e informazione circa il grado di realizzabilità

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25 Definizione tratta dal sito tematico della Regione sulle Gestioni Associate dei comuni.

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di un disegno di innovazione organizzativa e istituzionale. La Regione in definitiva delega a

un artefatto l’onere di prefigurare la correttezza e l’opportunità di ipotesi di riforma.

In questo quadro, la gestione di questo genere di artefatti - la capacità di questi ‘oggetti so-

ciali’ (Ferraris, 2009) di farsi attori cruciali all’interno della rete d’azione che osserviamo di-

panarsi nel campo organizzativo diventa elemento centrale nella valutazione di come questi

oggetti e gli altri attori ‘umani’ presenti interagiscono determinando lo sviluppo di processi

di innovazione.

La storia comincia quindi (quasi) dalla fine: che fine ha fatto lo ‘studio di fattibilità’? Sull’edi-

zione on-line del periodico locale “Il Nuovo Diario Messaggero” di Imola appare un articolo a

firma di Matteo Pirazzoli che, dal titolo, si chiede ‘dov'è lo studio di fattibilità’? Sono passati

quasi dieci mesi da quando, all’inizio di febbraio del 2010 la nostra società (C.O. Gruppo

SRL) ha avviato formalmente i lavori previsti dalla proposta operativa di attuazione dell’inca-

rico conferito - nell’autunno del 2009 - dal Nuovo circondario Imolese per la redazione di

uno “studio di fattibilità per la fusione dei comuni di β, γ, δ, α”. Da allora, nonostante le va-

rie consegne che hanno sancito l’avanzamento per stralci di quanto previsto dal contratto

di consulenza, da parte della committenza non è ancora stato divulgato alcun risultato. Il

committente dello studio è il Nuovo circondario Imolese, Ente che attraversa mesi di grande

delicatezza prima per un ventilato e poi schivato “colpo di spugna” che avrebbe potuto de-

terminarne la cessazione26, poi per la necessaria revisione dello Statuto in coerenza (in anti-

cipo) con quanto previsto dal Decreto “Calderoli”27, la cui ratio di razionalizzazione delle

spese indugia nella prima parte in ridimensionamento sostanziale degli organici politici degli

Enti locali.

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26 Eliminazione dei Circondari Provinciali.

27 Con il Decreto Legge 2/2010 si prevede che (art. 185 bis) "I circondari provinciali esistenti alla data di

entrata in vigore della presente disposizione sono soppressi”. Il circondario Imolese, in quanto “circonda-

rio regionale” istituito con apposita Legge, è salvo. Ricorda l’allora Presidente Franco Lorenzi che “per

quanto concerne la ventilata scomparsa del circondario è bene puntualizzare che il recente decreto Cal-

deroli si occupa della soppressione dei Circondari Provinciali. E questo non è il nostro caso, consideran-

do che il Nuovo circondario Imolese è stato istituito con la Legge Regionale N. 6 del 2004 e di conse-

guenza non rientra nell’elenco degli Enti da sopprimere del decreto in questione” (Il Resto del Carlino Imo-

la, 27/3/2010.

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Di discorso pubblico - nel merito - da quando stiamo lavorando allo studio non ne è stato

prodotto. D’altronde, il clima politico non sembra favorevole all’idea cui lo studio di fattibilità

vuole fornire elementi conoscitivi e argomentativi: la fusione dei comuni della Vallata del

Fiume Giallo.

In un periodo dove il dibattito su scala circondariale sta spaziando sull’entrata o meno del-l’Imolese nella Città metropolitana di Bologna, anche in vallata ci si interroga sul proprio futu-ro. In particolare a tener banco è ancora una volta la costituzione di un comune unico, ipo-tesi che sarà valutata dagli amministratori locali non appena vedranno lo studio di fatti-bilità finanziato anche con contributi regionali. Ma che fine ha fatto questo famoso studio? Oltre a questo quesito va tenuto conto poi delle recenti dichiarazioni fatte dal presi-dente del circondario imolese Daniele Manca che in più occasioni ha ribadito che "non ha senso unire delle debolezze" e che "l’attacco non è alla democrazia, ma alla burocrazia", riferendosi a un ruolo più forte del circondario capace di gestire in forma associata i servizi dei 10 comuni. Da Palazzo Alidosi a α (nella foto), municipalità che si è sempre detta contra-ria ad entrare in un comune unico, l’assessore al Bilancio AB commenta le dichiarazioni di Manca come «un riconoscimento nei confronti delle potestà dei territori». «Bene conservare la sovranità amministrativa, così com’è altrettanto un bene gestire i servizi in forma sovra-comunale. Da parte nostra c’è un’alta aspettativa sull’unione dei servizi - rivela l’assessore -. Ci teniamo comunque una finestra per valutare questo percorso in corso d’opera». Scendendo più a valle il sindaco di δ Vanna Verzelli ammette per prima cosa che lo studio «è ancora in elaborazione ed è atteso entro l’anno». Per il primo cittadino fontanese valutazioni più approfondite dunque si potranno fare di fronte al risultato del documento. «Condivido le parole di Manca quando parla di sistema ampio e di sinergia tra i territori. E’ doveroso ragionare insieme, anche alla luce della riforma Calderoli. Sulla possibilità di fare un comune unico e avere un circondario forte, l’una non esclude l’altra. L’importante è che il punto decisionale resti sul territorio».Anche Roberto Poli, il sindaco di Casalfiuamanese si è sempre detto favorevole al superco-mune del Fiume Giallo, non c’è contrapposizione. «Ora il tema che deve esser sviluppato è la gestione associata dei servizi. Per il resto aspettiamo lo studio, che dovrebbe arrivare a giorni. Poi si aprirà un ragionamento che si concluderà sempre e solo con la parola ai citta-dini».Sul fronte dell’opposizione invece è semplicemente scandaloso che ancora oggi non si sappia nulla dello studio di fattibilità. «Non ci informano e in più ho la sensazione che non appena lo studio arrivi siano ostici a darcelo - prevede Manuel Caiconti (consigliere di Vallata Libera a β) -. Manca con le sue dichiarazioni ha aggiustato il tiro ma a questo punto non so più a chi credere: o al presidente del circondario che punta sul potenziamento del-l’ente o a Poli che difende il comune unico di vallata». «Più che un comune unico a cui abbiamo sempre detto no - aggiunge Alessio Bertuzzi di Vallata Libera a α -, meglio chiudere il circondario che è un ente inutile e che ancora tarda a darci un Psc e avviare una vera unione dei comuni, ovviamente non troppo "imolacentrica". Lì sì che saremo favorevoli a una forma associata dei servizi».

69

Page 70: cupio dissolvi.

Lo studio di fattibilità è il grande assente: evocato, negato, differito. La committenza - il cir-

condario, l’unione28 di dieci comuni della provincia di Bologna e i quattro comuni interessati

dallo studio - è spaccata sul tema della fusione: il Sindaco di uno dei comuni, entusiasta e

sponsor della prima ora; il circondario, originario sostenitore del progetto (tanto da richiede-

re un finanziamento) ma oggi, con il cambio della presidenza, moderatamente contrario; poi

l’Amministrazione di un altro dei quattro comuni - politicamente affine agli altri - da subito

risolutamente contrario al progetto e l’opposizione, pronta ad usare ogni mezzo per far va-

lere il proprio diritto all’‘autodeterminazione’. Questa spaccatura sta determinando un im-

passe in cui lo studio diventa il feticcio sul quale ogni posizione tende a far convergere la

propria attenzione. Ma lo studio non c’è. Lo studio va sempre più declinato al condizionale:

potrebbe dire qualcosa, se qualcuno lo rendesse pubblico. Noi abbiamo prodotto lo studio,

tentando di fornire al cliente una conoscenza usabile, una usable knowledge (Cohen e

Lindblom, 1979). Ma se anche dipende da noi valutare quel che è knowledge, i politici han-

no sempre l’ultima parola in fatto di ciò che è usable (Regonini, 2004).

14/1 Lo studio per la fusione del Fiume Giallo: competenze, pratiche. Come si conosce un territorio?

Tutto era partito più di dodici mesi prima. Nell’estate del 2009 dal circondario Imolese arriva

la richiesta di formulare un’offerta per un intervento di consulenza che consiste nella reda-

zione di uno studio di fattibilità per la fusione dei quattro comuni della Vallata del Fiume Gial-

lo, nell’Appennino a sud di Imola. Il curriculum della nostra società è molto specifico: pur se

in netto calo negli ultimi tempi, il mercato dei “servizi di consulenza di processo a supporto

di percorsi istitutivi di nuovi livelli di governo” - associazioni di comuni, unioni di comuni, ge-

stioni associate di servizi - è stato storicamente piuttosto fiorente. Nei suoi circa vent’anni di

vita, C.O. Gruppo ha collezionato non meno di quindici nuove esperienze, quasi tutte con-

dotte in porto. Il successo concreto - oltre la mera consegna di “carta” - ha negli anni con-

tribuito a far crescere le referenze della società presso i clienti, e con queste la legittimazio-

70

28 Il circondario è di fatto un’unione di comuni: la Regione identifica infatti come beneficiari dei finanzia-

menti a supporto delle gestioni associate “le unioni di comuni e il Nuovo circondario Imolese ad esse

equiparato ai sensi dell’art. 15, comma 4, l.r. 10/2008”

Page 71: cupio dissolvi.

ne a operare come ‘attore del cambiamento’ in un policy network non tropo affollato ma pur

sempre molto competitivo e con soglie di accesso molto elevate. Dopo un progetto di

unioni di comuni (estate 2009) nel piacentino sfumato all’ultimo momento per diatribe politi-

che che le prospettive di finanziamenti cospicui non sono riuscite a sanare, tornano a bus-

sare alla porta con un progetto di riforma inedito in Emilia-Romagna e molto poco diffuso

anche nel resto del Paese: la fusione di comuni.

Da una primissima presa di contatto in agosto, il rapporto incomincia a prendere forma ver-

so la fine dell’anno, in dicembre, con un prima riunione operativa con i sindaci dei comuni

interessati. All’inizio dell’anno, dopo alcune revisioni incrociate e a pochi giorni da un primo

lancio giornalistico29 , il 14 di gennaio viene inviato il progetto operativo dello studio.

Da: xilogiovanni <[email protected]>Data: 14 gennaio 2010 13:02:49 GMT+01:00A: [email protected], sindaco@δ.provincia.bologna.it, Claudia Dal Monte <[email protected]>Oggetto: progetto operativo analisi di fattibilità di fusione comuni Valle del Fiume Giallo

Buongiorno,Come promesso al primo incontro che abbiamo effettuato a dicembre, vi allego il piano operativo del progetto "analisi di fattibilità per la fusione dei comuni della Valle del Fiume Giallo", comprensivo delle domande da voi poste in termini di obiettivi, metodologia e ambiti di indagine. Ho aspettato fino ad ora per inviarvi il progetto, per far si che coincidesse con lo start up dell'indagine. Se nulla osta relativamente al piano operativo allegato, inten-diamo attivare la ricerca con un intervista singola ai sindaci presso il loro comune nelle giornate del 4 e 5 di feb-braio. Salvo diversa indicazione, il dott. Pirani (mio collaboratore e consulente nel gruppo di ricerca) vi contatterà direttamente per fissare gli appuntamenti. Chiedo per cortesia alla dott.ssa Dal Monte di inviare il progetto opera-tivo e copia di questa mail al sindaco di β, dott. Roberto Poli e al sindaco di α dott. Bernabei in quanto non ho la loro mail. Resto a vs. disposizione per qualsiasi chiarimento, modifica o altro in merito al progetto.Cordiali Salutigiovanni xilo

La proposta si chiude con la descrizione del gruppo di lavoro, che “sarà composto da Gio-

vanni Xilo in qualità di capo progetto, il Dott. Alessandro Pirani ricercatore esperto di inter-

venti di sviluppo organizzativo e unificazione dei servizi comunali e il dott. Paolo Neri, giuri-

sta. Il dott. Pirani, se nulla osta, oltre a svolgere l’attività di ricerca indicata in questo piano

operativo realizzerà la sua tesi di dottorato di ricerca Pianificazione territoriale e politiche

pubbliche del territorio, Università IUAV di Venezia, sull’analisi di fattibilità della fusione”.

Faccio il mio ingresso in campo con la duplice veste di consulente e ricercatore, istituziona-

lizzando (formalizzando) il mio essere un professionista riflessivo (Schön, 1993) ma di ‘se-

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29 Vallata, parte lo studio per il comune unico. comune unico della Vallata, via allo studio di fattibilità per

fondere le quattro amministrazioni di γ, β, α e δ (Il Resto del Carlino Edizione Imola, 11/1/10).

Page 72: cupio dissolvi.

condo grado’, un osservatore che osserva se stesso nell’atto di osservare. all’interno della

rete d’azione che si andrà definendo. “Il dilemma tra rigore e pertinenza potrà essere rimos-

so se saremo in grado di sviluppare un'epistemologia della pratica che collochi la soluzione

tecnica dei problemi all'interno di un più ampio contesto di indagine riflessiva (corsivo mio),

che mostra che la riflessione nel corso dell'azione può essere rigorosa per propri meriti, e

che leghi l’arte dell'esercizio della pratica in condizioni di incertezza e unicità all'arte della

ricerca propria dello scienziato” (Schön, 1993). Fin da subito l’idea è di tentare di osservarmi

nel processo di costruzione di un expertise anche tecnico, a partire dal tentativo di framing

di una richiesta che si presenta come problematica, in cui viene talmente esplicitato un

obiettivo da non risultare realistico. Il dilemma che si pone e si porrà per l’intera durata del

processo osservato è tra l’uso di razionalità tecniche per la risposta contrattuale alla do-

manda del cliente e la rilettura del ‘problema’ secondo un atteggiamento capace di stare

nell’incertezza che il problema (in quanto tale non esistente ‘in natura’) esprime. Si tratta di

progettare (insieme a una) istituzioni, inserendosi in un reticolo relazionale e introducendo

elementi di innesco di un processo di cambiamento nel quale a ridefinire la propria identità

saranno tutti (noi compresi) gli attori in campo.

Nella proposta che inviamo viene chiarito da subito l’obiettivo dell’indagine, che sarà quello

“di mettere nelle condizioni i decisori dei comuni interessati (sindaci in primis) di poter valu-

tare punti di forza, punti di debolezza, opportunità e rischi di un eventuale processo di fu-

sione fra gli enti”. Un’asserzione cauta rispetto al “cosa” siamo lì a fare: deontologicamente

corretta, descrive il ruolo dei consulenti come soggetti terzi cui delegare l’informazione di un

processo. Infatti: il rapporto non sarà finalizzato a definire “come” raggiungere un obiettivo

la cui opportunità politica è già assodata, ma a fornire un “supporto informativo e di studio

ad una decisione da prendere”.

1. Il primo livello di analisi appartiene a un’ipotesi: se è l’identità locale a essere messa in

gioco, allora è all’identità che dobbiamo dare il peso maggiore. Il primo livello è quello

del contesto storico, culturale ed economico del territorio: si tratta di individuare oppor-

tunità, rischi, cesure o strappi fra queste dimensioni e il processo di aggregazione ipo-

tizzato.

72

Page 73: cupio dissolvi.

2. Il secondo livello attiene alle conseguenze che sul territorio si possono prefigurare nei

comportamenti delle pubbliche amministrazioni locali e nazionali che si interfacciano re-

golarmente con gli attuali comuni.

L’assenza di un benchmark, di un sistema di metriche consolidato o di comparazione (“non

esistono analisi e valutazioni sugli esiti positivi e negativi dei processi di fusione realizzati in

Italia e in modo particolare non sono ancora stati realizzati fra i comuni della regione Emilia

Romagna processi di accorpamento istituzionale di questo tipo”) rappresenta un argomento

a supporto dell’approccio marcatamente prudente ad un’idea progettuale rispetto alla quale

si dà per scontato un “oggettivo interesse a valutare questa scelta e di conseguenza a per-

seguire la strada delle fusione se l’indagine metterà in evidenza vantaggi coerenti con gli

obiettivi politico istituzionali dei vertici delle amministrazioni coinvolte”. Nessuno sa come si

Studio di fattibilità per la fusione dei comuni diCasalfiumanese, Borgo Tossignano, Fontanelice, Castel del Rio

Proposta di piano operativo

gennaio 2010

Premessa

Questo documento risponde alle domande poste dai sindaci nel primo incontro di

dicembre 2009 per avviare lo studio di fattibilità sull’ipotesi di fusione dei comuni di

Casalfiumanese, Borgo Tossignano, Fontanelice, Castel del Rio. In particolar modo,

nelle note che seguono si definiscono:

- le premesse del progetto e l’obiettivo operativo dello studio di fattibilità;

- gli ambiti di indagine dello studio di fattibilità;

- le modalità di indagine;

- i tempi ed i report previsti.

Le premesse del progetto e l’obiettivo operativo dello studio di fattibilità

Obiettivo ultimo dell’indagine sarà quello di mettere nelle condizioni i decisori dei

comuni interessati (sindaci in primis) di poter valutare punti di forza, punti di

debolezza, opportunità e rischi di un eventuale processo di fusione fra gli enti.

L’indagine non sarà effettuata partendo da una premessa favorevole ad una

soluzione di fusione rispetto ad una soluzione di non fusione, per tre motivi:

- non è stato richiesto l’accompagnamento ad un processo già deliberato ma il

supporto informativo e di studio ad una decisione da prendere;

- non esistono analisi e valutazioni sugli esiti (positivi e negativi) dei processi di

fusione realizzati in Italia ed in particolar modo non sono ancora stati realizzati

fra i comuni della regione Emilia Romagna processi di accorpamento

istituzionale di questo tipo, tali da poter fungere da esempio;

!

73

Page 74: cupio dissolvi.

fa, non lo sanno loro ma non lo sappiamo nemmeno noi. La base di competenza specifica

su questo terreno è tutta da costruire.

La strada comunque è in salita: nella prima riunione è già emerso che l’adesione al progetto

è tutt’altro che unanime, il rischio è che non se ne faccia nulla e la proposta di questo da

conto, affermando che “l’indagine prevederà anche l’ipotesi alternativa di un processo di

fusione che non interessi necessariamente e immediatamente tutti i comuni interessati ma

solo una parte di essi”. Siamo di fronte ad un aggregato compatto (compatto in primo luo-

go in termini politici) all’interno del quale la tensione riformatrice dominante incappa nella

resistenza di un attore: uno dei comuni (α, quello più a monte e con la popolazione più esi-

gua) non ci sta e bisogna quindi prevedere che, se si farà, la fusione possa riguardare an-

che solo tre dei comuni sui quattro che compongono la Vallata.

Gli output previsti (con una scadenza finale inizialmente indicata nel 1 maggio 2010) dallo

studio a) un vademecum dei passaggi istituzionali e giuridici necessari per attivare il proces-

so di fusione dei comuni e b) l’individuazione ed elencazione dei nodi organizzativi e di servi-

zio che dovranno essere affrontati per fondere le strutture dei servizi comunali c) il risultato

dell’indagine complessiva su punti di forza, debolezza, rischi e opportunità del processo di

fusione dei comuni o di parte di essi d) il materiale documentale e di informazione necessa-

rio per coinvolgere le comunità locali dei comuni e gli stakeholder nel processo di scelta e di

sviluppo dei comuni.

L’indagine intende in primo luogo attingere a un repertorio di pratiche nazionali ed estere di

fusione municipale, avendo sullo sfondo una ricognizione sul grado di efficacia degli stru-

menti di pianificazione (territoriale, sociale, economica) già consolidati sull’ambito dell’ag-

gregazione. L’idea è di fornire un quadro dello stato dell’arte e alcune prime indicazioni ope-

rative su ‘come si fa’, prese qua e là da chi già l’ha fatto. Studiare il pregresso è utile in pri-

mo luogo a noi, che su quella base informativa stiamo costruendo la nostra competenza in

materia. Il ‘caso’ funziona come contesto di reciproca attivazione osservatore e osservat. Si

intende fornire una simulazione (un quadro declinato al futuro) dell’abitabilità generale del

territorio (impatto sugli indicatori sintetici di attrattività sociale ed economica) derivanti dal

nuovo assetto dei servizi: quale potrà essere l’assetto istituzionale e di rappresentanza poli-

tica dei comuni nei confronti della/e comunità dei cittadini? Come si ridefiniranno i rapporti

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con gli altri enti pubblici locali e nazionali che erogano direttamente o indirettamente servizi

al territorio, i rapporti con altri stakeholder? Quanto aumenteranno i trasferimenti economici

ordinari e straordinari provenienti da altre Amministrazioni?

Grande enfasi viene data alla “ricognizione sulle pratiche locali (sociali, politiche, culturali,

sportive, ecc.) di scala territoriale in grado di costituire l’intelaiatura pregressa di un’eventua-

le processo di design istituzionale”: si intende capire - e rappresentare - se esista qualche

spia di ‘fusione di fatto’ come esito osservabile delle interazioni sociali informali o nelle strut-

ture formalizzate (associazioni, reti imprenditoriali, servizi erogati da Enti terzi su area vasta,

ecc.), che possa fornire un’impalcatura ad un analogo processo per la Pubblica Ammini-

strazione locale. L’ipotesi: se l’identità locale si sta già - o si è già - definita in chiave aggre-

gata, modellandosi sulle pratiche sociali, è più facile che vi si possa applicare un quadro isti-

tuzionale nuovo che però ripropone i medesimi schemi. cioè: l’istituzione come strumento a

servizio delle pratiche. Il quadro circa il livello di consenso dovrà essere ricostruito mediante

interviste agli attori politici e amministrativi dei comuni interessati e ad altre figure di sta-

keholders locali, dai quali ci si aspetta che possano “avere un ruolo e una strategia a sup-

porto (o meno) del processo di aggregazione degli enti della valle”. L’analisi della documen-

tazione organizzativa (per misurare “l’efficienza ed efficacia dell’organizzazione dei servizi

comunali e di servizio delle strutture comunali”), con la mappatura delle interdipendenze

funzionali e delle eventuali integrazioni organizzative tra gli Enti è l’ultimo degli strumenti per

rispondere alla domanda “quali vantaggi e quali svantaggi è possibile individuare nel caso si

attivi e realizzi un processo di fusione fra i quattro (o meno) comuni indicati”. Non che non

sia importante sapere come funzioneranno gli uffici, ma ci convinciamo di come sia sempre

più evidente la strumentalità dell’approfondimento rispetto all’obiettivo più generale, il cam-

biamento istituzionale.

4/2 Esordio sul Fiume Giallo: retoriche e antiretoriche dell’innovazione amministrativa. Tattiche e bias.

Da subito ci mettiamo a studiare. Conosciamo bene l’ambiente delle gestioni associate, ma

qui l’aspetto puramente funzionale (“come fare insieme”) assume contorni peculiari che si

intrecciano con la presenza del circondario, ente di secondo livello oggi in cerca di identità.

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Il quadro istituzionale è articolato. Fino a ieri la Vallata vedeva la presenza di una comunità

Montana, oggi soppressa: con il riordino del numero delle comunità Montane in base a

quanto previsto dalla LR 10/2008 recante “Misure per il riordino territoriale, l’autoriforma e la

razionalizzazione delle funzioni” si sono aperte sui vari territori30 interessati da scioglimento

diverse ipotesi di riallocazione dei servizi gestiti in forma associata dagli Enti. La comunità

Montana presente fino al 2009 nella Vallata del Fiume Giallo da tempo aveva assunto, oltre

ai propri compiti statutari, la gestione di alcuni servizi31 dei quattro comuni. All’atto dello

scioglimento della comunità, non si era proceduto alla costituzione di una unione di comuni

che ricalcasse le funzioni associate entro un quadro di governo non più ‘sovraordinato’ ma

di cooperazione interistituzionale, a differenza di quanto avvenuto negli altri ambiti32. La Val-

lata fa già di fatto parte di un Ente di secondo livello, il circondario, e nelle previsioni del

Programma di Riordino Territoriale regionale l’ipotesi della compresenza di due entità di go-

verno di secondo livello entro il medesimo ambito territoriale viene esplicitamente esclusa.

Dalla comunità Montana le funzioni vengono quindi trasferite al circondario. In forza di

questo trasferimento, sebbene non sufficiente a renderlo equivalente, il circondario acquisi-

sce progressivamente le prerogative dell’Ente unione di comuni: da Ente di programmazio-

ne (“sub-Provincia”) si va trasformando in soggetto che è anche gestore di servizi. Questa

trasformazione viene innescata dalla scelta dei comuni della Vallata di far confluire nel cir-

condario le materie convenzionate con la comunità Montana, determinando un silenzioso

ma inesorabile cambiamento di “pelle”.

Ed è su uno sfondo di questo dinamismo istituzionale, in cui il circondario va ripensando la

propria identità istituzionale e organizzativa, che si colloca il progetto strategico (l’abbozzo

di ragionamento strategico) che conduce gli Amministratori a immaginare forme di innova-

76

30 I decreti di soppressione riguardano nove comunità montane: comunità montana Cinque Valli Bolo-

gnesi, comunità montana Valle del Fiume Rosso, comunità montana Valle del Fiume Giallo, comunità

montana Modena Est, comunità montana Modena Ovest, comunità montana della Valle del Tidone, co-

munità montana Acquacheta, comunità montana Appennino Faentino, comunità montana Valle del Ma-

recchia.

31 Servizio Personale, Tributi, Polizia Municipale, Trasporto Scolastico.

32 È il caso ad esempio della disciolta e contermine comunità Montana dell’Appennino Faentino, in cui è

andata strutturandosi una nuova forma di gestione associata e coordinamento delle politiche territoriali,

l’unione

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zione più “spinte” in due direzioni, sul crinale dell’exploration e exploitation (March, 1991)i

soluzioni istituzionali in parte da immaginare ex novo, in parte da sfruttare:

1. Innovazione istituzionale. La costituzione di un grande comune di vallata per mezzo di

fusione dei comuni, un esito strutturale in grado di costituire una best practice su base

nazionale in chiave di razionalizzazione della spesa e l’aumento dell’efficacia dell’azione

amministrativa; l’obiettivo, sul piano della retorica amministrativa, è complesso, intende

ribadire la propria identità ‘innovativa’ e rispondere a una domanda stratificata di a) ra-

zionalizzazione e b) aumento di competitività del territorio.

2. Sopravvivenza. La gestione associata dei servizi, in cui la Vallata diventa così il banco di

prova di una nuova ‘super-unione di comuni’ capace di produrre servizi su base asso-

ciata per un bacino più ampio, sulla scorta anche di esperienze analoghe per dimensio-

ne e portata. È la stessa legittimazione dell’Ente a essere messa in gioco nel progetto: la

Legge Regionale istitutiva lo equipara a un’Unione, istituzione di cui oggi non ha (anco-

ra, o ancora in minima parte) le caratteristiche fondanti: le gestioni associate.

A fine gennaio siamo pronti per partire con una prima ricognizione sui sindaci: interviste in-

dividuali, in profondità, per cogliere i contorni delle fondamenta strategiche su cui montare

l’impalcatura dello studio: quali sono le aspettative, come argomentano l’adesione (o l’av-

versione) al progetto. La prima fase di framing richiede quindi che l’oggetto dell’incarico tro-

vi una definizione condivisa nell’ambito della relazione d'aiuto tra la consulenza e il cliente.

Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 21 gennaio 2010 12:02:15 GMT+01:00A: Claudia Dal Monte <[email protected]>Oggetto: progetto fusione

gentilssima,come da accordi le invio programma interviste per quanto in oggetto.cordialmenteAlessandro Pirani

Inizieremo dal comune di α: riceveremo qui il nostro battesimo del fuoco. Sappiamo che in

quel comune non vogliono la fusione. La questione è complicata. La precedente ammini-

strazione aveva sempre appoggiato il progetto, l’ex sindaco ne era anzi uno dei principali

sostenitori. Succede però che nella contesa elettorale per le elezioni primarie del Partito

Democratico, il tema della creazione del comune unico diventa terreno di scontro: chi la

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vuole, chi la osteggia sventolando la bandiera localistica dell’alidosianità (Alidosi è l’antico

casato da cui il comune e i suoi abitanti - detti ‘alidosiani’ - traggono la rappresentazione

simbolica del proprio lignaggio e della propria nobiltà). Il partito del ‘no al comune unico’

acquista consenso, anche in forza di una candidatura di bandiera che si rivela non credibile,

e perde. Alle elezioni si presenta quindi un homo novus, politicamente ‘vergine’, che vince

con percentuali elevate (circa il 75% dei consensi) e pone l’opposizione all’adesione del

comune al comune unico come condizione irrinunciabile33- fin dalle linee programmatiche -

per il proprio mandato.

L’opposizione al progetto riformatore nasce da qua, da una spaccatura interna al partito

che in questo comune - da cui proviene anche il deputato locale34 - governa da sempre, e

che risulta strettamente interrelata con il dibattito sul destino che il territorio imolese può/

deve avere nell’ambito della città metropolitana bolognese. La Vallata del Fiume Giallo e i

comuni che la attraversano costituiscono parte integrante del circondario Imolese, parte

della Provincia di Bologna che costituisce il naturale ponte di passaggio verso la Romagna,

regione storica di cui sul piano culturale, linguistico e storico fa parte. La caratteristica di

‘zona ibrida’ del milieu imolese, da cui dipende la ricchezza culturale, sociale ed economica,

spiega in parte sia l’autonomia35 sia la storica tendenza del territorio ad ipotesi di ridisegno

istituzionale, ipotesi rispetto alle quali Imola e il suo territorio hanno sempre ribadito e conti-

nuano a ribadire la propria contrarietà.

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33 “Comanda Bernabei, straniero anche lui perché abruzzese,Sindaco Pd eletto con la percentuale bul-

gara del 75%, e con un unico obiettivo: «Non farci perdere lo status di comune. Perché sa — raccontano

in piazza — ci volevano accorpare ad altri centri, ma noi siamo figli degli Alidosi e stiamo qui da secoli”.

(Corriere di Bologna, 9/11/10).

34 Massimo Marchignoli, ex sindaco di Imola, deputato PD dal 2008. Il primo progetto di legge firmato

(54/2008) recava “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a

5.000 abitanti nonche´ dei comuni compresi nelle aree naturali protette”.

35 Sin dalla fine del 1800 i comuni del territorio imolese hanno avuto l'attitudine a creare forme ammini-

strative intercomunali alla ricerca di una propria autonomia programmatoria. Nel 1925 si parla chiaramen-

te di Imola e il suo circondario, intendendo la serie di nove comuni che ancora oggi fanno parte del cir-

condario imolese. La prima forma strutturata di ente pubblico di secondo grado arriva nel 1976, con l'isti-

tuzione, da parte della Regione Emilia-Romagna, del Comprensorio di Imola (Una lunga storia di autono-

mia, Nuovo circondario Imolese).

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Ci hanno dato appuntamento verso le sette di sera. Il sindaco ha voluto che alla riunione

partecipasse l’intera giunta, voleva che tutti potessero essere testimoni della sua fedeltà alla

linea decisa. La posizione ci è già molto chiara: è di pochi giorni prima del nostro arrivo una

battuta dell’assessore Lelli (altro candidato delle primarie): “Vogliamo vedere i risultati dello

studio perché siamo perplessi su due aspetti. Se si accentrano i servizi, allora per i nostri

cittadini diventa disagevole. Ma se si lasciano degli uffici territoriali, dove sta l’economia del-

la fusione? In ogni caso credo che ci sia un allontanamento degli amministratori dagli am-

ministrati e questo non è mai un bene36”.

La sede del comune è Palazzo Alidosi, una fortezza cinquecentesca che accoglie il visitato-

re all’ingresso del centro del paese. Per salire agli uffici occorre passare per una porta late-

rale e superare una scala ripida e stretta. L’ingresso principale sul lato nobile del palazzo è

inutilizzabile: corrisponde alla sala dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, che da qualche me-

se ospita tre aule della scuola elementare di cui a seguito di un sisma nel 2008 è stata de-

cretata l’inagibilità. Il comune sta cercando i fondi per fare i lavori, nel frattempo ci si arran-

gia così. Entrando negli uffici colpisce la sobria eleganza di una riqualificazione recente, la

sala giunta è sistemata provvisoriamente in uno spazio di passaggio a ridosso dell’entrata.

Appeso al muro, uno stemma araldico ricorda il nobile casato degli Alidosi.

Ci accoglie Baldazzi, assessore alla cultura37 a tempo pieno, cittadino trapiantato in monta-

gna. In breve, quando manca solo un assessore (l’unica donna), cominciamo la riunione.

Spieghiamo il senso della nostra visita, in cosa consiste il progetto al quale stiamo comin-

ciando a lavorare. All’unisono - ma è il vicesindaco Franceschi a parlare - la Giunta chiarisce

che non vi è opposizione allo svolgimento del progetto perché “ci stavano quelli di prima”, e

non s’intende impedire ma anzi dare una mano e per quanto possibile “stare vicino al per-

corso”, dare un contributo. In ogni caso, sono “convinti che non ne salterà fuori niente”.

Non si vuole creare imbarazzo nel gruppo dei comuni e meglio sarebbe, dicono, che oltre

alle simulazioni “a quattro” ne fosse prevista anche una “a tre”.

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36 Vallata, parte lo studio per il comune unico. comune unico della Vallata, via allo studio di fattibilità per

fondere le quattro amministrazioni di γ, β, α e δ (Il Resto del Carlino Edizione Imola, 11/1/10).

37 L’elenco delle deleghe: Sanità, Sociale ed Assistenza, Cultura e Turismo, Politiche Giovanili, Bilancio

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Come prima cosa ci viene consegnato il testo di una delibera di Giunta38 contenente un

documento di indirizzo nel quale l’amministrazione ribadisce e formalizza la propria distanza

dal progetto, spiegandone le ragioni, “viste le linee metodologiche inviate dallo studio pro-

fessionale incaricato di condurre le indagini finalizzate ad uno studio di fattibilità del progetto

di fusione tra i quattro comuni della Vallata del Fiume Giallo e ritenuto opportuno ribadire la

posizione politica del comune di α riguardo a tale questione e approntare un documento di

indirizzo che si allega alla presente”. Il documento segna la volontà di prendere le distanze

dagli obiettivi di cui lo studio intende valutare la realizzabilità, stando però “alla finestra”. Lo

analizzeremo in seguito. Qui interessa notare come l’impostazione difensiva di questo co-

mune determinerà uno slittamento cognitivo e di metodo nella conduzione dello studio che,

come si vedrà, assumerà questo comune come fronte più caldo su cui concentrare la pro-

pria potenza di fuoco determinando in generale lo slittamento dell’approccio della consu-

lenza, da supporto al processo a strumento tattico per la dimostrazione di un’idea alternati-

va, secondo un modello argomentativo ‘a tesi’. L’impostazione resistente presuppone

un’aggressione e in generale ridisegna la cornice del problema, da ipotesi strategica a a pu-

ra ‘tattica’. Con ‘tattica’ De Certeau (2005) definisce un’azione “calcolata che determina

l’assenza di un luogo proprio”, al contrario della strategia, che invece “postula un luogo su-

scettibile di essere circoscritto come spazio proprio e di essere la base da cui gestire i rap-

porti con obiettivi o minacce esteriori (i clienti o in concorrenti, i nemici, la campagna intor-

no alla città, gli obiettivi e gli oggetti di ricerca)”. La tattica deve quindi “giocare sul terreno

che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea” (ibidem).

È difficile non cadere nella trappola della tattica: lo spettro del ragionamento razionale-mec-

canicista (Jullien, 1998) rispetto alla risoluzione dei problemi è troppo alla portata, in più la

ragione che circoscrive il nostro essere qui è che dobbiamo onorare un incarico e l’incarico

definisce banalmente un obiettivo. L’errore sta nel perdere quel distacco necessario rispetto

all’obiettivo: essere pagati per fare uno studio ma risemantizzarsi come ‘change manager’.

Non è differenza da poco. Ma il fatto è che a α si chiamano fuori perché credono che “pic-

colo è bello”, e tutte le retoriche innovativiste di cui noi stessi siamo impregnati si ribellano.

In campo ci sono visioni eccessivamente biased. In una comunità così piccola “l’assessore

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38 Deliberazione Giunta Comunale nr. 6 del 28/01/2010 avente per oggetto: Documento di indirizzo sullo

studio di fattibilita' commissionato per la fusione dei quattro comuni della vallata del Fiume Giallo in un

comune unico

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è anche tecnico, non ci sono sprechi, altro che Brunetta”. Poi c’è la diversità su un piano

urbanistico: è vero che la Vallata è omogenea, ma “β e γ sono di fatto conurbazioni imolesi,

ed è evidente che le loro necessità non possono sposarsi con le nostre”.

Descrivono un territorio non così in difficoltà come si potrebbe pensare: di fatto (anche se

non lo dicono apertamente) è l’immigrazione a tenerlo in vita dal punto di vista demografico.

La popolazione straniera è una componente rilevante della struttura demografica di tutta la

Vallata del Fiume Giallo. La percentuale di stranieri si attesti su livelli simili a quelli provinciali,

anche se con differenze fra i diversi comuni. Il comune di α è quello con il maggior numero

di stranieri rispetto alla popolazione, con un’incidenza inferiore a β dove sono presenti i

maggiori insediamenti produttivi. Sul piano economico, oltre il marrone IGP, c’è poco. Le

imprese che ci sono, chiudono: il comune fa evidenziare la maggior flessione dal 2000 ad

oggi con ben 40 imprese in meno (un calo di circa il 20%).

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Poi c’è l’esperienza dei servizi associati, giudicata non sempre positiva. È la Polizia Munici-

pale a fornire ben più di un appiglio all’argomentazione contro la fusione: da quando il servi-

zio viene gestito in forma associata dal circondario Imolese, che l’ha rilevato dall’ex comuni-

tà Montana insieme ad altri servizi, “qui non si vedono vigili”. Viene sostenuta la tesi secon-

do cui sarebbe preferibile disporre di un solo addetto di polizia municipale presente sette

giorni su sette (e ventiquattro ore su ventiquattro) piuttosto che un servizio in cui con dieci

addetti viene presidiato un bacino di meno di 10.000 abitanti.

Si dà una lettura dell’amministrazione locale come di un governo del territorio radicalmente

prossimale, diffuso e soprattutto disintermediato rispetto a ingerenze tanto di livello regiona-

le quanto subprovinciale-circondariale, un’amministrazione dove il vigile “dalla finestra face-

va più di una telecamera di videosorveglianza”, dove ci si chiama tutti per nome e dove se

c’è bisogno - che si sia dipendenti o amministratori - “basta darsi da fare”. Alla domanda

“quale servizio funziona bene?” la risposta è, coerentemente, “l’associazionismo”: non è

tanto rilevante, sembra di cogliere, se e come il comune inteso come macchina amministra-

tiva funziona, quanto se e come si è in grado politicamente di mantenere attiva la cittadi-

nanza fornendo un’infrastruttura adeguata al funzionamento delle realtà associative che del

territorio sono il motore. Le associazioni sono il classico ‘fiore all’occhiello’ di α, tutto sem-

bra ruotare attorno a questo capitale sociale: con quindici associazioni per meno di 1.200

abitanti il rapporto è il più alto di tutta la Vallata. Ma al di là delle associazioni e del ruolo che

queste riescono a giocare, si intravede la fatica a far girare il comune, in particolare sul fron-

te delle spese per investimenti: l’attività di raccolta fondi è vitale, tutto dipende dalla capaci-

tà di ottenere finanziamenti. Il caso del recupero della scuola è un caso emblematico di

questa dipendenza, ma ancor più grave è il finanziamento della manutenzione della rete

stradale, complessa e onerosissima in un territorio montano. La spesa corrente va “più o

meno bene”, anche “grazie alle condizioni economiche favorevoli determinate dalle gestioni

associate”. Ma se il problema è nei finanziamenti, la fusione potrebbe migliorare la situazio-

ne?

Di fusione fusione la gente parla per strada, nei bar. È un tema, ci assicurano, presente nel

discorso pubblico. Ci anticipano che le posizioni sono largamente contrarie, ma che in ogni

caso non ci sarà nessuna preclusione rispetto a un incontro pubblico se lo dovessimo or-

ganizzare.

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Non funzionerà, in ogni caso: “sono troppe le cose che ci dividono rispetto a quelle che ci

uniscono”, dicono. Le sagre, ad esempio. Ogni comune ha le proprie, in un caso (γ) nello

stesso giorno si tengono due sagre concorrenti. Con la comunità Montana ci si è tentati di

dotare di un coordinamento con l’istituzione di “Tipica”, una sorta di sagra delle sagre itine-

rante pensata per una promozione unitaria del territorio e dei suoi prodotti, appunto, tipici.

Poi c’è la questione della polisportiva: per un breve periodo anche α ha aderito alla Poli-

sportiva Fiume Giallo, l’esempio più concreto di politica aggregata sul territorio, salvo poi -

rivendicano con orgoglio - uscirne recentemente per ridar vita alla propria piccola realtà.

Quello che segue è il testo del documento d’indirizzo allegato alla delibera che ci viene con-

segnata. Come si vede, l’approccio di tutto il documento ribadisce un setting della questio-

ne su un piano “militare”, in cui all’attacco del comune si oppone la resistenza della classe

politica locale. Ne propongo i passaggi in forma dialogica.

Testo del documento Annotazioni

In riferimento allo studio di fattibilità sull'opportunità di fondere i quattro comuni di Vallata in un unico Ente, si comunica: come già comunicato, in forma scritta e orale, presso le sedi istituzioni di riferimen-to, il programma 2009-2014 di questa Giunta è stato impostato in maniera elettiva sul tema del mantenimento della municipalità;

- Si parla di “mantenimento” e non di opposi-zione al nuovo comune: la posizione fa perno sul vincolo elettorale di mandato è quindi di-fensiva e conservatrice.

- Viene richiamata ad abundantiam una serie di precedenti prese di posizione.

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Testo del documento Annotazioni

Tale obiettivo, condiviso e anzi sollecitato dalla po-polazione nella fase esplorativa del mandato e delle candidature, non può essere messo in discussione, pena il decadimento del vincolo sostanziale per il quale il candidato Sindaco e i consiglieri sono stati eletti;

- Avendo impostato il mandato su questa promessa, sulla base della quale è stato ot-tenuto il consenso, non è oggi possibile met-terla in discussione.

Riguardo il merito dello decisione sulla scelta di mantenere la municipalità, Sindaco e Giunta hanno sempre ritenuto indispensabile, per la valorizzazione della comunità, la presenza del municipio in tutte le sue articolazioni; ritenevamo ieri e riteniamo oggi che lo sviluppo della comunità alidosiana non posso fatto a prescindere dal mantenimento dello Municipalità;

- Il municipio “in tutte le sue articolazioni” non esiste in realtà più da molto tempo. I servizi associati sono la maggioranza, le banche dati risiedono altrove;

- in sostanza il documento ribadisce che lo sviluppo della comunità ha a che fare con la presenza tout court di un entità chiamata “comune”, ancorchè svuotata di senso e ca-pacità.

Tra l'altro, la residualità esiziale, o livello nazionale e lo totale assenza di esperienze di fusione o livello regionale oggettivamente non incoraggia: riteniamo che un istituto d'innovazione amministrativa "vin-cente" avrebbe avuto maggior fortuna (ci permet-tiamo di ricordare o questo proposito I’esperienza francese, dove lo gran parte dei comuni fusi d'auto-rità ho richiesto a gran voce, entro i primi anni, il ripristino della propria autonomia);

- L’assenza di termini di paragone rappresenta un forte disincentivo a procedere: posizione contraria a chi interpreta questo “pionieri-smo” come plus;

- Viene fatta coincidere la quantità (in quanti l’hanno voluto fare) dell’opzione amministrati-va con la qualità della stessa (in quanti casi ha effettivamente funzionato).

- L’argomentazione circa la “fortuna” va al cuo-re del problema: perché uno strumento “pia-ce” in un dato momento storico? Quanto ha a che fare questo con il suo successo effetti-vo (la propria traduzione in pratica)?

L'adesione allo studio in questione, votata da que-sta Giunta appena insediato, va motivata con l'esi-genza di non interrompere in via pregiudiziale il percorso così come già intrapreso dalla Giunta pre-cedente e dagli altri tre comuni valligiani: nel caso il comune di α avesse manifestato parere contrario prima dell'incarico al Gruppo bolognese che si oc-cupa dello studio, avrebbe determinato un’interru-zione del processo a scapito degli altri comuni, di-versamente orientati sui tema;

- Viene ribadita la necessità di affermare una continuità con il passato (politicamente affine) in chiave di giustificazione rispetto a quanti dovessero sospettare ripensamenti nel meri-to;

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Testo del documento Annotazioni

stanti queste premesse si ritiene che lo studio dovrà tenere conto di quanto sopra e quindi pur non volendo interrompere in via pregiudiziale il gruppo di lavoro che sta lavorando al progetto di cui all'oggetto non si vuole essere di intralcio o di imbarazzo a un percorso che per i co-muni potrebbe essere più semplice o probabile, pur volendo mantenere il massimo grado di collabo-razione istituzionale e gestionale assieme agli altri comuni della Vallata del Fiume Giallo e più in gene-rale del circondario Imolese.

- Pur senza fornire argomentazioni particolari, il documento funziona: sancisce una posizione della quale d’ora in avanti non si potrà non tenere conto

- Le falle evidenziate sul piano argomentativo lasciano intravedere margini di insinuazione per quanto lo studio saprà dimostrare, anche se la sensazione è che - con il richiamare il vincolo elettorale - si sia intrapresa una stra-da senza uscita.

5/2 Fiume Giallo, perché la fusione: policy windows e argomentazioni. Prima che sia troppo tardi

Nel resto della Vallata non troviamo traccia della resistenza incontrata nel primo comune. Il

giorno successivo incontriamo gli altri tre sindaci, e i toni sono molto diversi. Tutti ci spiega-

no che “in vallata” è un’espressione molto diffusa per indicare genericamente lo spazio

amministrato dai quattro comuni. Si dice, anche se “è più facile dire che fare”, ammesso

che dire non equivalga a fare. Se si ‘dice’ “in Vallata”, è ciò che vorremo capire, si ‘è’ anche

i un ambiente unitario che sul quel livello territoriale esprime la propria identità anche istitu-

zionale?

Secondo il sindaco di β, sì. Non si può “non vedere che siamo una cosa sola”, la posizione

di chiusura di α è ingiustificata, se non “per il cul de sac politico in cui si sono volontaria-

mente infilati”. Rispetto al progetto, riferisce che di “fusione se ne parla da decine di anni”,

ma che ora, con il superamento delle comunità montane e la presenza di incentivi questa

prospettiva torna ad avere una propria appetibilità. La reiscrizione in agenda del tema della

fusione si sarebbe dato in pratica con l’apertura di una policy window (Kingdon, 1984) cor-

rispondente, tra l’altro, con l’attuazione del PRT che ha previsto la soppressione delle co-

munità montane.

Persa quella identità comune, confluire nel circondario non basta, significa anzi perdersi in

un tutto indistinto senza rappresentanze ‘di vallata’. Meglio quindi cercare di ‘farsi’ la propria

istituzione tailor made.

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In generale, dice, “siamo messi male” e abbiamo già servizi in forma associata: comuni co-

me quello che lui amministra, 82 kmq di frane attive (sotto i 5000 ab uno dei comuni più

grandi d’italia), hanno livelli di complessità tali da non poter essere governati con gli stru-

menti esigui che la scarsa popolazione residente consente di avere. Ci racconta dei servizi

associati e di come questi contribuiscano a tenere in vita i comuni. Fare la fusione signifi-

cherebbe poter dare al territorio una capacità di pianificazione e programmazione realmente

condivisa, superando da un lato i costi della frammentazione politica, dall’altro riconqui-

stando un’identità istituzionale unitaria e in grado di darsi mete e obiettivi strategici coerenti.

Per fare insieme davvero, l’unica strada a questa scala è “essere insieme”: le ridondanze

organizzative sarebbero “impressionanti”, “ogni ufficio è inutilmente moltiplicato per quat-

tro”. Vanno ridotti gli sprechi e ridestinate risorse a un aumento della specializzazione degli

uffici, da subito.

L’incontro con gli altri due sindaci è di tenore diverso dal primo. Entrambe donne, ammini-

strano i comuni riuscendo a mantenere il proprio lavoro originario. La prima delle due ci col-

pisce per la vivacità con cui tratteggia la complessità del suo ruolo di ‘madre’: madre dei

suoi figli e del paese intero. Ci colpisce la determinazione con cui descrive la situazione di

difficoltà in cui versa il suo comune, con un piglio che lascia trapelare qua e là l’idea che in

ogni caso, nonostante tutto, ce la si possa fare anche da soli. Da parte di entrambe, la po-

sizione di favore verso l’ipotesi è chiara, con il richiamo a “fare attenzione” a possibili defe-

zioni determinate dall’imporsi delle posizioni di α che, se legittimate, possono inficiare l’in-

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tero processo: “se i miei cittadini vedono che loro non ci stanno, non ci vorranno stare

neanche loro”.

La posizione del sindaco di γ assomiglia inizialmente a una resa: con un’immigrazione at-

torno all’11% della popolazione, per i tre quarti proveniente dal nord africa, più un’altra

componente predominante di immigrazione meridionale, oggi “i borghigiani doc sono una

minoranza”, immaginare che debba essere mantenuta in vita chissà quale identità è un non

senso. In più, il comune è già esito della fusione di due centri. Oggi i comuni collaborano

poco: anche sul versante della programmazione culturale, quello storicamente più frequen-

tato, non esiste più un calendario condiviso e integrato. Il venire meno della comunità mon-

tana ha determinato un netto allentarsi del coordinamento di vallata: oggi, il grande patri-

monio associativo di vallata non produce secondo le sue potenzialità.

I comuni sono “con l’acqua alla gola”. È questa la prima ragione che deve spingere gli am-

ministratori a dissolvere i comuni entro entità più ampie: “non contiamo niente, neanche al-

l’interno del circondario, dove invece con la fusione saremmo quarti per importanza”. Il len-

to sviluppo del territorio sarebbe da imputare in buona parte a scelte sbagliate del passato.

Anche oggi si fatica a pensare in modo unitario: nella redazione del PSC i comuni della val-

lata “si sono battuti per il mantenimento del carattere produttivo di tre micro-aree sui rispet-

tivi territorio comunali, con unici progetti realmente degni di nota la cosiddetta “asta fluviale”

e la messa in sicurezza della strada montanara”.

Lo studio deve servire per spiegare bene ai cittadini “cosa si guadagna e soprattutto cosa

non si perde”. “Cosa non si perde”: nel processo di mutamento gli equilibri consolidati vacil-

lano, i ruoli sperimentati vengono posti in dubbio, le antiche forme di conoscenza vengono

sostituite alle nuove (Battistelli, 1998): da parte del sindaco è già evidente che i ‘cittadini’

andranno convinti e ri-strutturati rispetto a una “avversione alla perdita” (Kahneman,

Knetsch, Thaler, 1991) che pare inscritta nel processo di transizione che si propone loro.

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BT CDR CF FO

Perché sì e perché no

- I comuni sono “con l’acqua alla gola”.

- La destinazione di entrate straordi-narie alla parte corrente e il ricor-so all’avanzo ne sono un chiaro segnale.

- Il comune perde-rebbe la propria unicità, diventan-do una frazione marginale.

- L’accesso ai ser-vizi di base sa-rebbe messo in discussione.

- Necessità di pro-durre una pianifi-cazione e pro-grammazione condivisa.

- Riduzione degli sprechi

- Peso specifico della Vallata del Fiume Giallo,

- Capacità di leg-gersi come unici e decidere di conseguenza.

- Ritiene che l’ere-dità della comuni-tà Montana non debba andare persa, anche se oggi il fatto che questa non esista più è letto come un punto debole.

Pos iz ione rispetto al progetto, e valutazione sulla fattibi-lità.

- Favorevole senza riserve e senza enfasi particolari.

- Non favorevole all’ipotesi in esa-me.

- Collaborativi ri-spetto all’effet-tuazione dello studio di fattibilità .

- Favorevole senza riserve. Ritiene l’eventuale suc-cesso dell’iniziati-va un “evento storico”.

- Favorevole con alcune riserve.

Consenso popolare al progetto

- Consenso da valutare, in gene-rale consapevo-lezza della neces-sità di ottimizza-zione, ma timore di perdita di fun-zioni fondamenta-li.

- Il tema è presente nel discorso pub-blico. Il tema ha tenuto banco nelle cronache locali per tutta la durata del prece-dente mandato e della tornata elet-torale.

- Consenso popo-lare molto deciso.

- Grande supporto della politica.

- Consenso diffuso. Ritiene che la defezione di uno dei comuni possa determinare un affievolirsi dell’en-tusiasmo negli altri territori.

Genesi del-l’idea d’in-novazione istituziona-le.

- L’ipotesi di fusio-ne comincia a circolare nel 2008, con il Pro-gramma di riordi-no territoriale della Regione.

- Se ne parla dal-l’inizio degli anni 2000.

- Se ne parla da vent’anni.

- Tornato in auge con l’ultima tor-nata elettorale.

Leva prin-cipale

- Investimento in telematica per gestione istanze provenienti da front office (URP avanzati) nei sin-goli Municipi.

- /

- Mossa strategica sarebbe l’accor-pamento dei ser-vizi supporto amministrativo (ragioneria, tributi, segretario)

- Telematica, inve-stimento median-te strumento Le-pida.

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22/2 In Regione: strumenti in cerca di politiche pubbliche. Un policy network in erba

Da subito sentiamo il bisogno di confrontarci con chi ne sa più di noi. Il tema non è stretta-

mente - almeno: non solo - organizzativo, non rientra nelle competenze che ci legittimano

come attore professionale. Il tema della fusione s’intreccia piuttosto con un piano istituzio-

nale e giuridico molto netto, piani su cui solo il soggetto politico titolato - la Regione - può

rispondere. Da un primo confronto con referenti ANCI era emersa la necessità di rivolgersi

anche a referenti ministeriali, pista abbandonata quasi subito. Ci concentriamo sulla Regio-

ne che, in quanto livello di governo cui viene riconosciuta la titolarità della materia, ha l’effet-

tiva possibilità di ristrutturare il proprio quadro normativo e di policy modellandolo sulle pra-

tiche locali che si vanno definendo. Questo è almeno ciò che immaginiamo e, in quanto at-

tori coinvolti direttamente nel processo, speriamo. L’idea di partecipare da protagonisti alla

creazione di un ‘mercato’, quello delle fusioni, ci spinge a cercare alleanze con chi le leve le

muove. In Regione conosciamo la responsabile del Servizio Affari Istituzionali e Autonomie

Locali, Rita Filippini, cui chiediamo un appuntamento per un’intervista sugli aspetti salienti

inerenti le fusioni: forse si sta aprendo un mercato, ed è bene che si parta dai fondamentali.

Cosa vogliamo sapere? Stiliamo un elenco di quesiti, alcuni dei quali - quelli “tecnici” - rice-

veranno risposta esaustiva, altri quelli strettamente “politici” - tecnicamente inconoscibili.

1. Politiche di riordino istituzionale. Quadro degli orientamenti regionali e nazionali: cosa è

davvero in agenda? Delle esperienze di unificazione (associazioni e e unioni di comuni)

quanto dall'osservatorio della regione può essere valutato come maturo (verso forme

più strutturate)?

2. Quadro politico-istituzionale. Il circondario Imolese da ‘sub-provincia’ (svolge funzioni

tendenzialmente di sola programmazione) si va trasformando in "super-unione" (tenden-

zialmente solo gestione). Quanto c'è di transitorio e quanto di definitivo in questo assor-

bimento di funzioni dalla disciolta comunità Montana?

3. Incentivazione. LR 10/2008 prevede premialità specifiche per unioni con pop. inferiore a

30.000 abitanti. Oggi il programma di riordino che orientamento ha? Per quale durata

sono previsti i trasferimenti? Sul caso specifico. Cosa mette in campo la Regione per

sostenere il processo di aggregazione, oltre al finanziamento dello studio?

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4. Consultazione/partecipazione. Referendum obbligatorio, ma lo devono chiedere i citta-

dini o è sempre previsto in caso di variazione istituzionale? Esempi di altri casi: cosa e

come l'hanno fatto?

Rita Filippini ci accoglie nel suo ufficio, a un piano alto della torre in cui ha sede l’Assemblea

e la Presidenza. Dalle finestre si vede la città che cambia: subito a ridosso del distretto di

edifici che accolgono gli uffici della Regione un grande cantiere (privato) di ricucitura della

cesura determinata dalla Via Stalingrado è il tentativo di messa in scena di un’improbabile

grandeur bolognese. Poco lontano, finiscono i lavori della quarta torre di uffici regionali.

Dopo i convenevoli, iniziamo l’intervista. Il primo riferimento sul tema delle modifiche dei

confini istituzionali è alla LR 24/96 “Norme in materia di riordino territoriale e di sostegno alle

unioni e alle fusioni di comuni”, che stabilisce l’iter necessario per poter modificare circo-

scrizioni o la denominazione di un comune, o procedere alla fusione di due o più comuni.

Secondo l’articolo 2 della norma l’istituzione di un nuovo comune, anche mediante fusione

di comuni preesistenti è disposta con legge regionale.

Il riferimento normativo ci consentirà nei giorni successivi di produrre graficamente un dia-

gramma di flusso (che poi sarà speso in molte occasioni) del processo giuridico che separa

la volontà di arrivare a un esito e la sua realizzazione effettiva ai sensi di Legge.

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Page 91: cupio dissolvi.

Il secondo riferimento in tema di riordino territoriale è la LR 10/08 “Misure per il riordino terri-

toriale, l'autoriforma dell'amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni”, in forza della

quale viene definito il Programma di Riordino Territoriale39, il documento nel quale la Regio-

ne definisce regole, importi, modalità di rendicontazione nell’attività di supporto alle forme di

cooperazione interistituzionale tra comuni. Il PRT vigente 2009-2011 (Delibera della Giunta

regionale n. 629 del 11 maggio 2009) al punto 6 precisa che ai sensi dell’art.16 della LR 10/

2008 “il programma definisce i criteri di erogazione degli incentivi finanziari prevedendo

specifiche premialità per il comune istituito per fusione o derivante da incorporazione di uno

o più comuni”. È previsto un contributo decennale (vedi tabella) di importo tendenzialmente

pari al quadruplo previsto per una unione di uguali dimensioni. Il testo, spiega, resta voluta-

mente “sul vago”, per non correre il rischio di generare una domanda eccessiva; il vero van-

taggio è che la legge prevede una priorità per le fusioni nelle graduatorie per finanziamenti

sia regionali sia provinciali, almeno “fino a quando di fusioni ce ne saranno poche”.

La Legge istitutiva del

nuovo comune de-

termina il contributo.

È previsto un contributo straordinario una tantum, quantificato dalla

legge regionale di istituzione del nuovo comune a seguito di fusione o

incorporazione, verrà erogato entro 90 giorni dalla sua istituzione, a titolo di

compartecipazione alle spese del procedimento amministrativo e organizzati-

vo della fusione di comuni e al fine di contribuire alle spese di investimento

necessarie per l’apertura di sportelli decentrati o per l’acquisto di mezzi e

strumentazioni utili per assicurare l’erogazione dei servizi sull’intero territorio

del comune neo istituito;

è previsto un contributo ordinario annuale, di durata non inferiore ai 15

anni, quantificato dalla legge regionale di istituzione del nuovo comune che

dovrà tener conto del criterio della popolazione e del numero dei comuni sog-

getti di fusione.

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39 Quello vigente per il 2011 è stato approvato con DGR progr. 2145/2010 del 27/12/2010 avente come

oggetto “Aggiornamento del programma di riordino territoriale per il 2011. Disciplina dei contributi in con-

to corrente e dei contributi in conto capitale a favore delle gestioni associate. Ricognizione delle forme

associative e dei loro ambiti ottimali (l.r. n. 10/2008)”.

Page 92: cupio dissolvi.

Più 20% se la fusione

è l’esito di un’unione.

La Legge Regionale di fusione disporrà altresì che il contributo ordinario an-

nuale risultante dall’applicazione dei criteri di cui sopra potrà essere mag-

giorato del 20% qualora il comune neo istituito derivi dalla fusione di

comuni precedentemente aderenti alla medesima unione.

Priorità assoluta nei

finanziamenti

Nell’ambito di programmi e provvedimenti regionali di settore che prevedono

contributi a favore degli Enti Locali viene garantita priorità assoluta ai co-

muni derivanti da fusione nei 10 anni successivi alla loro costituzione;

parimenti la stessa priorità viene applicata anche nell’ambito dei provvedimen-

ti provinciali adottati su delega regionale.

Il terzo riferimento riguarda le forme consultive e gli istituti di democrazia e referendari, la LR

34/99 “Testo unico in materia di iniziativa popolare, referendum e istruttoria pubblica”, mo-

dificata dalla lr 8/08 “Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 novembre 1999, n. 34

"Testo unico in materia di iniziativa popolare e referendum". L’iniziativa per la legge istitutiva

del nuovo comune può essere popolare o provenire dal Consiglio Comunale, con una Deli-

bera con cui si richiede l’indizione di un referendum consultivo sul tema.

Dopo i tecnicismi è sulla politica che proviamo a sondare il terreno: come viene visto oggi il

tema della fusione, in Regione? Non esiste, all’epoca in cui registriamo queste prime note,

“una convinzione unanime che la fusione sia sempre la soluzione giusta”. Alcuni temono

che la proliferazione di fusioni possa “non determinare una riduzione sostanziale delle cari-

che politiche”, ma al contrario una loro modificazione solo formale, qualora nei comuni ‘fusi’

vengano istituiti livelli sotto-ordinati di rappresentanza come le municipalità, ognuno con le

proprie cariche elettive e di governo.

15/3 Un incarico sul Fiume Verde: che cos’è ‘davvero’ una fusione? Si estende la rete d’azione

Durante la riunione in Regione se n’era già parlato. Sulle fusioni c’è fermento, in Regione lo

sanno e stanno cominciando a progettare adeguamenti normativi e regolamentari per inter-

pretarlo. In questo fermento risalta anche un caso che sulla carta appare straordinario per la

dimensione dei comuni coinvolti: pare che l’unione dei comuni del Fiume Verde (provincia di

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Page 93: cupio dissolvi.

Forlì-Cesena) intenda presentare una domanda di finanziamento per uno studio sulla possi-

bile fusione dei tre comuni che ne fanno parte: ζ, θ, η sul Fiume Verde. Si tratta di tre co-

muni costieri poco distanti da Rimini e pienamente immersi in quel “distretto del piacere”

raccontato da Bonomi (1999) in cui convivono la più alta concentrazione di discoteche

d’Italia e un sostrato manifatturiero capace di esprimere eccellenze e specializzazioni.

Ne avevano parlato, poi succede. All’inizio di marzo veniamo contattati direttamente dall’uf-

ficio segreteria del comune di η, che dell’unione è attualmente ‘capofila’ (la presidenza del-

l’unione viene retta a turno dei tre sindaci, e questo è il turno del sindaco di questo comu-

ne, il più grande dei tre): ci vogliono informare dell’imminente pubblicazione di un bando per

“manifestazione di interesse” verso un possibile “bando di gara a evidenza pubblica” per

l’affidamento di un incarico di consulenza inerente la redazione di uno studio di fattibilità per

la fusione dei comuni dell’unione.

La scadenza per l’invio della documentazione richiesta è il 15 di aprile, a un mese dalla

scadenza per l’invio da parte dei soggetti interessati delle domande di finanziamento per gli

studio di fattibilità. Iniziamo quindi a interessarci alla cosa, produco un breve dossier sul ca-

so, raccolgo i primi documenti richiesti e partecipiamo al bando. Tra questi spicca il curricu-

lum aziendale, che sulla carta non dovrebbe avere rivali: al momento della partecipazione al

bando C.O. Gruppo sta lavorando all’indagine nazionale40 sulle performance delle unioni di

comuni italiane per CITTALIA-ANCI. Nel recente passato è stata svolta sempre per ANCI

una ricerca nazionale sull’evoluzione delle normative regionali a supporto dei processi di

unificazione dei comuni italiani e, tra l’altro, l'assistenza alla realizzazione dell’unione di co-

muni “Fiume Blu Galliera”, l'assistenza alla realizzazione dell’unione di comuni “Bassa Ro-

magna” (con supporto alla realizzazione del piano strategico dell’unione di comuni per gli

anni 2010 – 2014), supporto alla realizzazione di quindici progetti di unione comunale (con

oltre 60 comuni coinvolti); assistenza alla realizzazione dell’unione di comuni “Modena

Nord”.

93

40 La ricerca, presentata nel corso del Congresso Nazionale delle Unioni di Comuni a Riccione nel 2010,

rappresenta il primo tentativo sistematico di raccontare e dimensionare il fenomeno delle unioni di comuni

http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/Unioni_comuni_102.pdf

Page 94: cupio dissolvi.

Nella nostra “manifestazione di interesse” dichiariamo che l’attività che intenderemmo offrire

(qualora venisse pubblicato un bando) consiste in “assistenza al processo di scelta politico

e di conseguenza, supporto sia alla dimensione tecnica, e giuridica delle problematiche di

fusione delle attività e dei servizi ma anche alla sua dimensione politico istituzionale (proces-

so decisionale, risultato atteso per i rappresentanti istituzionali dei comuni e per le comunità

di cittadini coinvolte, eventi di coinvolgimento delle comunità locali e interventi di comunica-

zione pubblica)”; “coinvolgimento del personale direzionale, nella misura stabilita dai vertici

dell’unione e delle singole amministrazioni interessate al progetto di fusione nella fase di in-

dagine e potenziale realizzazione della nuova istituzione”.

In chiusura dell’elenco standard degli strumenti aggiungiamo un distinguo molto netto che

intende correggere nel merito e nel metodo il contenuto della richiesta. “Si segnala - si dice

UNIONE DEI COMUNI DEL RUBICONE PROVINCIA di FORLÌ-CESENA

Piazza Borghesi, 9 47039 SAVIGNANO SUL RUBICONE

C.F. 90051070408 • P.Iva 03584850402 • tel. centralino (0541) 809611 • Fax URP (0541) 807120

UNIONE COMUNI DEL RUBICONE

RICHIESTA DI MANIFESTAZIONE DI INTERESSE

AVVISO

Richiamata la deliberazione della Giunta dell'Unione Comuni del Rubicone N. 14 del 03.03.2010 recante ad oggetto: “Determinazioni in merito all'attuazione di uno studio di fattibilità' sulla fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone.”; Dato atto che con il summenzionato provvedimento si è deliberato di “avviare il procedimento teso all'elaborazione di uno studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa, organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione “Comuni del Rubicone””; Accertato che l'organico dell'Unione Comuni del Rubicone non dispone della professionalità, né della struttura organizzativa dotate della capacità e dei requisiti richiesti per la redazione del progetto di cui si necessita; Richiamata, altresì, la propria determinazione N. 16 del 13/03/2010 concernente: “Avviso per la ricerca di manifestazione di interesse all'affidamento dell'incarico per la redazione dello studio di fattibilità per la fusione dei Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone”; Rilevata l'opportunità di procedere alla diffusione di un avviso per la ricerca di manifestazioni di interesse all'affidamento dell'incarico professionale consistente nella redazione dello studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa, organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione “Comuni del Rubicone”;

RENDE NOTO

! che l'Unione Comuni del Rubicone intende procedere all'affidamento dell'incarico

professionale per la elaborazione dello studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa , organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione;

INVITA

i soggetti interessati singoli o associati, aventi titolo, a presentare istanza per l'affidamento dell'incarico per la redazione dello studio di fattibilità quale strumento conoscitivo utile a

94

Page 95: cupio dissolvi.

- che la richiesta indicata nell’avviso in merito ai requisiti minimi della prestazione (punto 3

dell’avviso), relativa “all’individuazione delle funzioni e dei servizi pubblici locali che, sulla

scorta di un'analisi economica di gestione, possono più vantaggiosamente essere esercitati

dal comune unificato, con puntuale indicazione degli effetti (vantaggi/svantaggi) derivanti

dalla gestione unificata” non potrà essere eseguita in questi termini, in quanto l’eventuale

processo di fusione dei comuni comporterà inevitabilmente la contestuale fusione di tutti i

servizi pubblici locali gestiti dai comuni, sia in forma associata che singolarmente”. È un

modo come un altro per ribadire la profonda differenza tra l’unione e la fusione di comuni:

all’unione i comuni scelgono quali servizi fare gestire, mediante la convenzione, e in questo

senso è corretto domandarsi su quale bacino (su quale ‘ambito ottimale’) è vantaggioso

gestire questo o quel servizio; nella fusione, i comuni come li conoscevamo prima che que-

sta avesse luogo non esistono più, quindi non possono farsi domande rispetto all’opportu-

nità di conferire servizi in convenzione.

Nell’unione i comuni restano l’unico soggetto titolato a organizzare il proprio territorio; nella

fusione si ha una trasformazione strutturale dello status quo. A essere messa in discussio-

ne, pensiamo, è integrità del ‘locale’ racchiuso dal confine amministrativo, un’identità che

se nel primo caso (nelle unioni) risulta solamente scissa e sfaccettata dalla necessità di co-

operare con altri enti, nel caso della fusione va intesa come superata tout court. C’impe-

gniamo di conseguenza a realizzare un’analisi e proposta complessiva dei servizi, preve-

dendo anche eventuali processi incrementali di progressiva omogeneizzazione e integrazio-

ne delle strutture.

25/3 Associazioni sul Fiume Giallo: frammentazione, assenza di go-verno.

Nel frattempo, sul Fiume Giallo abbiamo programmato un focus group con le associazioni

di uno dei comuni come primo momento di ascolto delle posizioni. Risucchiati dal lavoro,

riusciamo a organizzare solo un momento di confronto in uno dei comuni, δ. Il focus group

viene condotto a partire da una traccia tendente a fare emergere indicazioni sull’associazio-

nismo, sul comune e i servizi, su come la popolazione vive lo spazio e infine sulle valutazioni

circa l’ipotesi di progetto di fusione.

95

Page 96: cupio dissolvi.

Livello Quesiti

1. Le associa-

zioni

Quante hanno un “bacino” di vallata? Esistono forme di coordinamento? Come le

valutate? Di cosa ci sarebbe bisogno? Essere divisi in 4 comuni incide?

2. Il comuneQuando/perché si va in comune oggi? E i servizi associati? Cosa dovrebbe fare

meglio il comune? Essere divisi in 4 comuni incide?

3. La genteDove va la gente per lavoro? E per il resto: dove si va? Come ci si sposta? Di cosa

sente di più la mancanza? C’è interesse verso l’amministrazione e la politica locale?

4. BlocchiCosa può favorire il processo? Cosa può bloccarlo? Quali opportunità dal comune

unico? Qual rischi? E in alternativa?

Il territorio, denso di realtà associative e di volontariato, fa registrare alti livelli di adesione41.

Un punto debole del tessuto associativo locale viene visto nell’assenza della Pro Loco,

struttura di promozione che al contrario, negli altri comuni, risulta presente e radicata42. Le

associazioni intercettano persone provenienti in massima parte dal territorio del comune di

δ, con alcune significative eccezioni: l’associazione Ciclistica raccoglie qualche socio dal

comune di γ, ma nessuno da α, dove esiste un’altra società. È condivisa la diagnosi di

scarso coordinamento tra le associazioni, anche tra quelle insediate e organizzate su base

comunale, come l’Avis. Si ravvisa al contrario una certa rivalità tra le strutture, percepita in

modo un po’ acritico come dato di fatto. Quando c’era la comunità Montana, si dice, il co-

ordinamento al contrario esisteva ed era efficace: ai tempi, ad esempio, l’Avis organizzava

una Festa di circondario, oggi sospesa. Dove o a chi debba passare il testimone di que-

st’attività , con il venire meno dell’Ente, non è chiaro (“Sarà il circondario ad occuparse-

ne?”). Retrospettivamente, il dibattito si sofferma nel ricordare lo status quo ante l’elimina-

zione della comunità montana come entità ordinatrice e di coordinamento delle politiche

della vallata. La comunità non era ‘solo’ una struttura di servizio di ‘secondo livello’ (in capo

alla quale si avevano alcuni servizi comunali) ma anche e soprattutto ente di ‘primo livello’

con funzioni proprie ancorché priva di rappresentanza diretta dei cittadini. Una struttura di

96

41 Avis, ad esempio, dispone di un numero molto elevato di iscritti sul proprio territorio (oltre il 13%, a

fronte di un dato nazionale del 7,8% nel rapporto donatori/abitanti) frutto di un’intensa e capillare attività

di promozione. Anche il locale circolo del PD, con 126 iscritti (quasi il 7% del totale), dà la misura dell’atti-

vità/attivismo della società civile locale

42 Nel comune di γ ne sono presenti due.

Page 97: cupio dissolvi.

coordinamento tra le tante possibili, per così dire, con limiti evidenti ma capace di fare ciò

che i comuni da soli non sono (più) stati capaci fare: darsi schemi di governance sovraco-

munali.

Uno degli spauracchi della fusione consiste nell'eliminazione o nella riduzione o nell’allonta-

namento delle sedi comunali di erogazione dei servizi. La domanda è: chi ci va ‘davvero’ in

comune, e a fare cosa? Nella percezione dei partecipanti, oggi a frequentare il comune so-

no soprattutto i cittadini stranieri: sono loro ad avere “più bisogno” di accedere agli uffici,

spesso per questioni inerenti i servizi sociali o la casa. Altra categoria molto presente sono i

professionisti, utenti principali dello sportello dell’Ufficio Tecnico. Si potrebbe dire che en-

trambe sono categorie ‘professionali’: i primi rispetto alle logiche assistenziali dei servizi di

welfare, i secondi in quanto coinvolti in processi per i quali l’attività autorizzatoria dei comuni

è dirimente. Sui servizi associati viene data una valutazione positiva dell’Ufficio Tributi la cui

frequentazione dell’Ufficio è limitata al pagamento della Tassa sull’occupazione del suolo.

Meno positiva è la valutazione del servizio di Polizia Municipale, gestito oggi senza il sup-

porto di adeguato management specializzato. Del servizio di Trasporto Scolastico non viene

data una valutazione positiva: determinerebbe squilibri di copertura nei territori, privilegiando

alcuni e sottostimando la domanda di altri.

In generale, a mancare è il coordinamento delle politiche. Per riattivarlo, bisognerebbe al-

meno “creare un tavolo tra gli assessori dei comuni”: viene lamentata la scarsa circolazione

delle informazioni, al punto che non di rado vengono gestite e pianificate iniziative in conflit-

to tra loro. La comunità Montana offriva una sponda efficace, oggi la Vallata ne è orfana, e

si vede.

La vita di Vallata viene descritta come tendenzialmente “Imola-centrica”: si scende in pianu-

ra per le funzioni commerciali (grande distribuzione), ma anche per ottenere prestazioni

specialistiche nei servizi sanitari, di supporto all’attività lavorativa. Quanto alla produzione di

lavoro, va detto che il contesto locale continua a “tenere”, con i poli attrattori dei comuni più

a valle a farla da padrone. Per tutti il problema principale riguarda la viabilità: l’unico asse

rilevante, la c.d. Montanara (SP 610), è utilizzata come strada a scorrimento veloce pur non

avendone le caratteristiche: questa situazione, con la prossima apertura del casello auto-

stradale di Firenzuola è destinata a peggiorare.

97

Page 98: cupio dissolvi.

Cosa può facilitare il processo di fusione? La prospettiva di migliori servizi, l’idea che si ac-

quisisca una maggiore velocità decisionale e un netto impulso all’innovazione costituiscono

le principali opportunità ottenibili dal processo di fusione. Verso il progetto il gruppo esprime

una valutazione positiva, anche se “la probabile defezione di α viene letta come letale per il

successo del progetto di fusione”. Quanto alla vox populi, i partecipanti al focus group de-

scrivono un generale atteggiamento favorevole all’ipotesi di aggregazione: la sensazione è

che, nel nome di migliori servizi, la maggioranza degli abitanti di δ sarebbe disponibile alla

creazione di un Nuovo comune Unico di Vallata. La tendenza favorevole sarebbe meno dif-

fusa tra i più giovani, che a differenza di quanto si potrebbe pensare vivono una deriva ‘neo

localista’ non sempre facile da decifrare.

7/4 Post: sogni sineconomici43

Si dice sinecismo e si pronuncia fusione. Non conoscevo il termine, e l’ho imparato ieri

sera per radio. Dice wiki che nell’antica Grecia veniva chiamato così il fenomeno degli

accorpamenti tra entità politiche, aggregazioni di più polis nel nome del rafforzamento,

dell’empowerment a scopo principalmente bellico: più grandi siamo più contiamo, si dice-

va. Nell’Italia dei comuni questo fenomeno è pressoché sconosciuto: più facile dividersi

che fondersi, e i pochi casi positivi registrati nell’ultimo secolo (uno è questo) raccontano

proprio di questo atavico attaccamento alla dimensione microamministrativa, oggi quasi

sempre insostenibile. Il Piccolo comune44 rappresenta, probabilmente, un potenziale labo-

ratorio su cui montare – in una prospettiva di medio-lungo periodo – un’ipotesi di fusione:

non è in senso stretto un “piccolo comune” (secondo la definizione statistica, che pre-

vede una soglia sotto i 5.000 abitanti), ma ha un piccolissimo territorio (penultimo per

estensione di tutta la provincia), è posto ai margini del territorio provinciale, è sostanzial-

mente contiguo almeno a un altro comune di dimensioni paragonabili, fa già parte di

un’aggregazione di comuni cui nel corso del tempo ha trasferito un buon numero di fun-

zioni, tendenzialmente crescenti. Il progetto di Città Metropolitana Bolognese (che Bolo-

98

43 http://strumentopoli.wordpress.com/2010/04/07/sogni-sineconomici/

44Con la locuzione ‘piccolo comune’ mi riferisco al comune del quale sono amministratore, ο, di circa

7.000 abitanti, rispetto al quale da tempo - i primi risalgono agli anni 70 - esistono ‘appetiti fusionisti’ rife-

riti in particolare al comune confinante ρ, di poco meno esteso. Qui lanciavo l’ipotesi di trasformarlo in

“laboratorio” di innovazione istituzionale, alla luce della difficile situazione economica che ci trovavamo e ci

troviamo ad affrontare.

Page 99: cupio dissolvi.

gna continua a chiamare, vediamo se prima o poi nascerà…) potrebbe agganciare

un’iniziativa tendente alla riduzione piuttosto che alla proliferazione di Enti Locali: inutile

dire che, nella prospettiva provinciale in cui si calerebbe, un nuovo comune (che stando ai

dati attuali assommerebbe qualcosa come 13.158 abitanti, da 30° comune della Provincia

a 15°) avrebbe qualcosa di più da dire.

7/5 La (buona?) pratica di Ledro: il fascino discreto del ‘punto di non ritorno’. Cercasi replicabilità.

Durante il processo di studio del fenomeno delle fusioni di comuni ci eravamo imbattuti da

subito nel caso del comune di Ledro. Tra i pochissimi casi di fusione andati in porto negli

ultimi anni, questo caso era da subito risultato interessante per il fatto di essere ancora “in

corso d’opera”: una cavia, che avrebbe potuto dare alcune indicazioni interessanti. È appe-

na nato: il 1 gennaio 2010, dalla fusione dei sei comuni45 della Valle di Ledro, in provincia di

Trento, e per il fatto stesso di esistere rappresenta una possibile best practice cui rivolgere

la nostra attenzione. Raccogliendo materiale, cominciamo a ingolosirci all’idea che possa

anche fungere da benchmark per le valutazioni che faremo sul Fiume Giallo. Infatti, pur con

le differenze del caso (una delle quali macroscopica: qui siamo in una Regione a statuto

speciale), il caso di fusione presenta interessanti analogie con l’esperienza in corso tra i

quattro comuni del Fiume Giallo (sintesi in tabella):

1. È l’esito della fusione di più di due Enti: il numero degli enti interessati supera di molto la

soglia dei due comuni, la media degli Enti che negli ultimi anni hanno deciso di aggre-

garsi. Negli ultimi 15 anni sono nati da processi di questo tipo 8 nuovi comuni frutto del-

l’accorpamento di 21 precedenti enti: l’aggregazione avviene fra 2,6 comuni in media,

anche se la tabella evidenzia come in realtà 6 delle 8 fusioni siano state attuate da due

soli comuni, le restanti due rispettivamente da 3 e da 6 comuni.

2. È una Valle compatta: al pari della Vallata del Fiume Giallo, anche qui i comuni appar-

tengono tutti a un’unica valle sorta attorno a un bacino idrico. Allo stesso modo, en-

99

45 Bezzecca (603 abitanti), Pieve di Ledro (646 abitanti), Tiarno di sopra (1073 ab.), Tiarno di sotto (750

ab.), Molina di Ledro (1566 ab.), Concei (856 ab.) Con una superficie complessiva di 154,6 Km2.

Page 100: cupio dissolvi.

trambe le vallate sono attraversate da un’unica arteria principale di collegamento inter-

regionale.

3. Appartiene a un Comprensorio che attraversa una fase di profonda trasformazione: ulte-

riore analogia tra i due casi è l’appartenenza a un Ente di Secondo al Comprensorio C9

“Alto Garda e Ledro”, ente di governo di area vasta, istituito dalla provincia autonoma di

Trento. Questo Ente nasce come gestore di attività delegate dalla Provincia: servizi so-

cio-assistenziali e raccolta dei rifiuti. Recentemente, data la difficoltà dei piccoli comuni

ricompresi nel territorio in cui esso opera, sta progressivamente trasformandosi in ge-

store di servizi comunali finora non gestite, come il Corpo Unico di Polizia Municipale46.

Indicatori Ledro Fiume Giallo

Territorio

Abitanti 5515 9259

TerritorioAltitudine (m.s.l.m.) 660 170

Territorio Kmq (dato aggregato) 154,6 200,2TerritorioDensità (dato medio 35 46

Territorio

Numero di comuni 6 4

Contesto isti-tuzionale

Area vasta Comprensorio C9 circondario ImoleseContesto isti-tuzionale Regione

A Statuto Speciale; Provincia Autonoma A Statuto Ordinario

Troppe somiglianze, decidiamo di partire. Mi metto in contatto con la segretaria generale del

comune, prospettandole una visita con intervista in profondità. Oggetto: “come avete fatto

a fare la fusione?”. Siamo in piena deriva ‘scenarista’: cerchiamo in pratiche date la possibi-

lità del nostro caso di funzionare in quello stesso modo. L’interrogativo non esclude (auspi-

ca) la possibilità di replicabilità di un modello, il cui ‘successo’ finale è in realtà dipendente

da tante e tali variabili da risultare virtualmente, in se, non riproducibile. L’intento è stretta-

mente strumentale: intendiamo raccogliere indicazioni operative, caveat, indicazioni strate-

giche, l’idea sarebbe di arrivare a redigere una sorta di manuale della fusione che ci consen-

ta di affrontare i cantieri in corso con cognizione di causa. Cerchiamo una ‘ricetta della fon-

dibilità’ sapendo che non la troveremo. Immaginiamo che sia possibile determinare l’esi-

100

46 All’epoca in cui conduciamo la ricerca in provincia di Trento è in corso il processo di riforma istituziona-

le arriverà a trasformare i comprensori in “comunità di Valle”, Enti di secondo livello che secondo quanto

previsto dagli orientamenti legislativi della Regione TAA gestiranno servizi e funzioni del livello comunale,

oltre ad concertare politiche di programmazione e pianificazione sull’area vasta.

Page 101: cupio dissolvi.

stenza non di un paradigma scientifico (non cerchiamo la codifica di un sistema di cono-

scenza condiviso da una comunità, in senso kuhniano), quanto piuttosto la definizione di

una toolbox efficace sul piano dell’intervento consulenziale. Non c’interessa capire perché si

fa una fusione, ma come.

La segretaria accetta con entusiasmo: proviene da un percorso professionale giuridico tutto

interno alla pubblica amministrazione che oggi le fa vestire anche i panni di assessore nel

vicino comune di Riva del Garda, per questo trova stimolante potersi confrontare sull’espe-

rienza di frontiera del comune. Per l’occasione, ci organizza un incontro con gli amministra-

tori pro-tempore, che all’epoca stanno conducendo il comune neo istituito alle prime ele-

zioni, che si terranno il 16 di maggio. Ricostruiamo il percorso che ha condotto al referen-

dum e di qui alla Legge Regionale che ha istituito il comune. Questi, in sintesi, i passaggi:

Anno Evento Annotazioni

1999

Quattro dei sei comuni scel-

gono di creare un’unione per

la gestione associata di ser-

vizi

2001

Nel 2001 questa diventa atti-

va su tutta la Vallata con il

coinvolgimento dei due co-

muni rimanenti.

La legislazione della Regione TAA prevede cospicui finan-

ziamenti per le gestioni associate, legati in particolare al

trasferimento di determinati servizi particolarmente difficili

da gestire in cooperazione, quali la ragioneria, l’anagrafe,

la segreteria, gestione dei beni demaniali. Inoltre il finan-

ziamento cala progressivamente dopo il quinto anno dalla

creazione dell’unione fino a cessare al decimo.

2001-2007

Negli anni aumentano pro-

gressivamente le funzioni

trasferite all’unione tanto che

in capo ai comuni restano,

dopo sette anni solo il settore

turismo e i piani regolatori.

Complessivamente, l’unione ha goduto di trasferimenti

regionali aggiuntivi mediamente di poco meno di 1 mio €/

anno per dieci anni (1 milione/anno per i primi 5 anni poi

decurtati del 15% per quelli seguenti).

101

Page 102: cupio dissolvi.

Anno Evento Annotazioni

2008

Aperto un tavolo di confronto

con la Regione per la reda-

zione della legge regionale

per l’istituzione del comune

unico che sarebbe dovuta

essere approvata dai cittadini

dei sei comuni attraverso un

referendum.

Per la vittoria del SI al comune unico al referendum era

necessario che si esprimessero per il SI il 50%+1 dei vo-

tanti di tutta la vallata, ma anche che tale soglia si supe-

rasse in ciascun comune, per evitare un esito non voluto

dai cittadini di uno dei due enti.

2009

Definire l’organizzazione in-

terna del nuovo ente e a ren-

dere possibile il suo funzio-

namento dal 1 gennaio del-

l’anno successivo

Gli uffici del nuovo comune sono ora collocati negli edifici

degli ex-comuni di Bezzecca e Pieve di Ledro, mentre

negli altri municipi sono rimasti degli URP con funzione di

front-office. E’ stata prevista la presenza di comitati elettivi

retti da prosindaci per la valorizzazione dell’identità delle

comunità degli ex-comuni e per la gestione degli usi civici

del territorio (forma di proprietà indivisa di godimento dei

beni pubblici).

2010

Il nuovo comune di Ledro è

divenuto operativo dal 1

gennaio 2010 e il 16 maggio

dello stesso anno sono stati

eletti primo sindaco e il primo

consiglio comunale,

Gli organi elettivi nei cinque mesi precedenti erano stati

sostituti da quelli della disciolta unione di comuni. Il Presi-

dente dell’unione ed ex- Sindaco di Pieve di Ledro è di-

ventato Sindaco del nuovo comune e ufficiale di governo

nominato dalla regione, fino al 16 maggio. Il Consiglio

Comunale è stato provvisoriamente sostituito da quello

della disciolta unione, grazie ad apposite previsioni conte-

nute nella legge regionale di istituzione del nuovo comune.

Usciamo dagli incontri con alcune indicazioni, da cui ricaviamo alcune possibili traiettorie di

lavoro per il caso su cui stiamo lavorando.

1. Il ruolo delle politiche di incentivazione regionali: l’azione di supporto e forte incentivazio-

ne attuata dalla Regione è sicuramente determinante nell’esito del processo. Sia la legi-

slazione regionale in materia di unioni di comuni che il sistema degli incentivi economici

hanno guidato questi comuni attraverso un processo di integrazione graduale ma co-

stante che li ha fatti giungere fino al punto in cui la fusione diventava una conseguenza

logica di un processo iniziato dieci anni prima attraverso l’unione di comuni.

102

Page 103: cupio dissolvi.

2. Determinante la gradualità del percorso: il transito per uno stadio intermedio, l’unione, è

un secondo fattore che ha favorito il successo della fusione. Attraverso questo strumen-

to, infatti, da una parte gli enti hanno avuto il tempo per integrare con progressività le

loro politiche sul territorio, dall’altro si è potuta creare un diffuso consenso rispetto agli

alti costi organizzativi dell’unione e alla fusione come possibile via d’uscita per ottimizza-

re il processo decisionale.

Far naufragare l’unione una volta arrivati al ‘punto di non ritorno’, e introdurre la soluzione

della fusione come unica igiene possibile, è l’idea omeopatica con la quale ce ne torniamo a

casa. Iniziamo a maturare l’idea secondo cui condizione chiave perché all’interno di una

comunità si inizino a produrre ipotesi di riconfigurazione istituzionale, tendenti a escludere lo

sfruttamento dell’esistente (secondo la dicotomia exploration e exploitation, vedi March

1991) è rappresentata dal malfunzionamento (dalla percezione di) delle soluzioni in essere.

Lavorando attorno a questa linea guida, in autostrada, ricaviamo alcune ipotesi operative

per il Fiume Giallo.

1. Tutto in unione. In primo luogo è necessario che i comuni costituiscano un’unione in

grado di gestire i servizi di base oggi ancora non in capo al circondario: ufficio tecnico,

affari generali, anagrafe, ragioneria. L’unione consente una fase di allenamento permetta

di iniziare a entrare nella logica del comune unico. Dopo un numero dato di anni si po-

trebbe procedere con la fusione. Dubbi: va inserito o no, nello statuto, l’obbligo della

fusione nello statuto? Se da un lato prevederlo da subito chiarisce la natura transitoria

dell’Ente, dall’altro c’è il rischio che alcuni soggetti rinuncino da subito di farvi parte.

2. Trasferimenti a tappeto. In Anagrafe una persona per comune rimane come personale

interno del comune. Decidere se trasferire/comandare il personale all’unione. Il trasferi-

mento totale permetterebbe di svuotare i comuni e quindi spingere ancora di più verso il

punto di non ritorno oltre il quale l’unione sfocia naturalmente in un comune unico, inol-

tre potrebbe essere un modo per togliere potenzialmente il personale dal controllo diret-

to del sindaco.

3. Parallelo rafforzamento dell’Ente di secondo livello. Il processo di fusione deve andare di

pari passo con la riforma del circondario. Se l’Ente è di fatto parificato ad una unione di

comuni, questa non ne può contenere un’altra, e d’altronde non può rimanere gestore

103

Page 104: cupio dissolvi.

di servizi solo per la vallata. Il circondario dovrebbe gestire in forma associata per tutti i

comuni che ne fanno parte servizi di area vasta come le risorse idriche, il welfare, la poli-

zia municipale, la pianificazione territoriale, lasciando ai comuni la gestione di servizi

strettamente locali.

Le ipotesi presentano due incognite fondamentali:

1) è possibile, anche solo in via transitoria ,costituire un’unione all’interno di un altra forma

associativa? La regione può derogare sul principio contenuto all’interno del PTR?

2) più in generale, il circondario che fine farà? Se per le prime domande può bastarci un

parere tecnico, per l’ultima solo la politica potrà dare una risposta.

10/5 La fusione del Fiume Giallo si deve fare: pratiche, numeri, politi-ca. Argomenti e promesse.

Intanto il dibattito prosegue sulle testate giornalistiche locali. Imola ne può vantare un nume-

ro considerevole, tra pagine locali di quotidiani e settimanali. Uno di questi, il più diffuso, è

Sabato Sera, uno degli spazi più frequentati per l’approfondimento delle vicende locali. Da

mesi il “comune unico della vallata” tiene banco con cadenza quasi settimanale. Il 10 di

maggio è la volta del sindaco di β, che da subito è stato accusato a mezzo stampa di non

aver “mai nascosto le sue ambizioni alla poltrona del super comune”47, che prova a spinge-

re nella direzione dell’aggregazione. Racconta dell’opportunità di procedere verso la fusione

per “non subire un onorevole declino dei servizi”. Quali sono gli argomenti di RP a sostegno

della tesi pro-fusione?

La fusione è una “condizione decisiva per costruire un futuro più forte per le nostre comuni-

tà”. Va accettata una sfida di portata “storica” essenziale non tanto per la sopravvivenza,

quanto per il rilancio del territorio.

104

47 Vallata, parte lo studio per il comune unico. Comune unico della Vallata, via allo studio di fattibilità per

fondere le quattro amministrazioni di γ, β, α e δ (Il Resto del Carlino Edizione Imola, 11/1/10), cit. Il con-

sigliere di opposizione intervista conclude annunciando che “chiederemo che venga reso pubblico il con-

tenuto di tutti gli incontri legati allo studio”.

Page 105: cupio dissolvi.

Eccessiva dipendenza. I comuni hanno sempre meno risorse proprie, dipendono da trasfe-

rimenti che tendono a calare sistematicamente. Gli stessi servizi associati si reggono sulla

disponibilità del co-finanziamento regionale, in assenza del quale non funzionerebbero. Ne

consegue che l’attuale configurazione non basta più.

Altre risorse (virtuali) dalla Regione. I cittadini avrebbero molto da guadagnare, la legislazio-

ne regionale in materia garantisce un trasferimento stimabile in “un milione all’anno per dieci

anni”48, come pure la precedenza sull’assegnazione dei finanziamenti nei bandi. Un’analisi

dei bilanci dei comuni chiarisce bene quanto l’impatto di un finanziamento di questo tipo

potrebbe essere rilevante: il calo drastico delle entrate da oneri di urbanizzazione, la riduzio-

ne costante della capacità di investimento, problemi di tenuta della spesa corrente sono

tutti fattori che concorrono a determinare quel declino al quale secondo RP non si può ri-

spondere “chiudendosi in difesa”.

Garantire i localismi, ma a un’altra scala. Le municipalità saranno preservate e anzi, grazie

alle “nuove tecnologie” di fatto non peggioreranno le condizioni di prossimità dei servizi ai

cittadini, che saranno resi più snelli, efficaci e meno costosi. Pensare in grande non signifi-

cherebbe quindi contrastare i localismi, ma proporne versione aggiornate su scale più vaste

degli attuali confini comunali. Promuovere una nuova identità di vallata non significa affatto

abbattere i campanili, ma costruirne piuttosto di più grandi (e visibili da lontano).

105

48 La già citata LR 10/08 prevede - senza specificarne l’importo - un contributo ordinario annuale, di du-

rata non inferiore ai 15 anni, quantificato dalla legge regionale di istituzione del nuovo comune che dovrà

tener conto del criterio della popolazione e del numero dei comuni soggetti di fusione.

Page 106: cupio dissolvi.

Fusione di fatto e partecipazione. Le pratiche sociali fanno esistere ‘di fatto’ il comune uni-

co:, che non sarebbe quindi altro che “lo sbocco di un processo”. Il sindaco ricorre alla va-

riabile-associazionismo per descrivere come la Vallata si sia integrata progressivamente ne-

gli anni: esiste ormai un’unica squadra di calcio tra i tre (e non quattro, come abbiamo visto)

comuni, “l’AUSER si estende addirittura fino alla Toscana”. È la gente che fa il territorio: ed è

quindi a partire da un processo di apertura totale e di “partecipazione che coinvolga tutte le

forze sociali” che sarà possibile completare il processo. Nessuna forzatura o imposizione, in

un senso ma neanche nell’altro: non sono accettabili chiusure preconcette verso l’ipotesi in

discussione. Infatti secondo RP i comuni sono in sintonia, se c’è qualche spigolo “tocca alla

politica arrotondarlo”.

E infine lo studio, il convitato di pietra, fa la sua comparsa. Secondo il sindaco “presto

avremo lo studio di fattibilità commissionato dal circondario, e allora dovrà cominciare il più

largo dibattito possibile”.

18/5 Attivazioni sul Fiume Giallo: proiezioni, aspettative. Il peso del-l’autobiografia organizzativa.

Alla prima intervista si era stabilita da subito una certa empatia. Per varie ragioni ci eravamo

trovati a parlare più o meno ‘la stessa lingua’ e a condividere alcune valutazioni sia di meto-

do sia di merito sul progetto. Da subito capisco che l’architetto del comune di β ha voglia di

fare e che la collocazione in quell’ufficio in cui gli tocca di essere onniscente e onnicompe-

tente gli sta stretta oltre misura. Certo, dice, “è una bella palestra”, ma arriva il momento in

cui l’allenamento ti basta e arriva il momento di cominciare a gareggiare sul serio. Mi rac-

conta di come tra gli uffici si sia tentato da tempo di consolidare alcune pratiche di lavoro

condiviso, che vanno dalla creazione di un’unica commissione per la qualità architettonica e

di un tavolo permanente di confronto tra i responsabili di servizio. Mi racconta anche di co-

me i ritmi di lavoro siano insostenibili: dovere fare tutto (sotto la sua diretta responsabilità c’è

un numero di servizi che virtualmente supera la ventina: in un comune medio ci lavorereb-

bero in 30, qui lui è da solo) significa fare tutto male, inevitabilmente.

106

Page 107: cupio dissolvi.

Ma l’architetto è giovane e ha sufficiente esperienza per aspirare a molto di più: da quando

ha sentito che si sta ragionando di fusione ha ritrovato una speranza. Da tempo, in modo

del tutto volontario, ha cominciato a redigere uno studio di fattibilità per un settore tecnico

unificato tra i quattro comuni della vallata e ora l’ipotesi della fusione rende questi ragiona-

menti attuali e (forse) realizzabili. La realizzazione di un progetto di questo tipo significhe-

rebbe, nel suo disegno, la sua realizzazione professionale: nel progetto, che mi mostra, si

spinge ad abbozzare una pianta organica dell’ufficio, nella quale la sua figura assume una

piena centralità. In premessa, segnala come “l’ipotesi di unificare i settori tecnici deve esse-

re ovviamente considerata come azione complementare di un generale progetto di unifica-

zione di tutte e quattro le Amministrazioni, per fonderle insieme in un’unica Entità pubblica

di riferimento. Le due riforme, tecnica e amministrativa, attuate singolarmente, in assenza di

dialogo e in tempi diversi, difficilmente garantirebbero i benefici previsti”.

107

Page 108: cupio dissolvi.

Colgo da subito che il nostro ruolo viene letto dagli attori organizzativi come strumentale per

il raggiungimento di un obiettivo: siamo strumenti nelle mani di quanti hanno interesse a che

il progetto di cui siamo chiamati a descrivere la fattibilità vada in porto, e ognuno ci vuole

usare pro domo sua. Niente in contrario, anzi, siamo qua apposta: la nostra sola presenza

(in quanto soggetti che la incarnano) è funzionale all’attivazione di progettualità identitarie

degli attori rispetto al progetto. La riconfigurazione dell’identità istituzionale porta con se

aspettative e ricadute dirette sulle identità degli attori che da quell’identità dipendono diret-

tamente.

Nei mesi successivi alla prima chiacchierata capiterà di incontrare a più riprese l’architetto, e

ogni volta ci aggiorneremo sullo stato di avanzamento del progetto e sul livello della sua

presunta realizzabilità. Mi invierà il progetto in un file formato pdf, scansionato e timbrato,

secondo un protocollo di formalizzazione molto elevato e utile per circoscrivere il livello di

investimento personale nel progetto.

25/5 Altro giro di chiarimenti in Regione: no, no, no, sì? Affiorano ipo-tesi (di) politiche

Le voci girano. Ogni attore in campo sta giocando la propria partita, chi in difesa e chi (al-

meno così pare) in attacco. Il 25 di maggio è in programma un secondo passaggio in Re-

gione per una serie di chiarimenti e reciproci aggiornamenti, dopo quello di fine febbraio.

La frequentazione del campo sta generando interrogativi, cui dobbiamo saper rispondere

per fornire al clinente quel ‘valore aggiunto’ che la relazione di aiuto consulenziale (Schein,

1990) dovrebbe produrre.

Verso le due di mattina scrivo al capo progetto, prospettandogli il mio probabile forfait alla

riunione: mia moglie è al nono mese compiuto di gravidanza, è stata ricoverata poco dopo

mezzanotte dopo la rottura delle acque.

Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 25 maggio 2010 1:37:15 GMT+02:00A: Giovanni Xilo <[email protected]>Oggetto: filippini

ciao,

108

Page 109: cupio dissolvi.

siccome non sono (ancora) sicuro di poter essere presente alla riunione in regione riassumo alcuni degli interro-gativi che avrei posto alla nostra.spero comunque di poter essere presente. ti chiamo.a

Alessandro [email protected]: alepirani

Nella mail provo a enucleare alcuni quesiti annotati nella prima fase di studio, lunga ormai

più di tre mesi: incognite tecniche e politiche che sono sorte dopo aver letto le varie uscite

sull’ordine di grandezza dei finanziamenti e dopo aver visitato e approfondito l’esperienza di

Ledro, che vorrei porre direttamente alla nostra interlocutrice: riguardano nodi di natura

economica e di “ingegneria istituzionale”, che dobbiamo dominare non fosse altro che per

saperli confutare, e che quindi dovrebbero essere girati alla Regione - solo la Regione pos-

siede le leve per scioglierli.

1. Il primo quesito riguarda la possibilità di determinare definitivamente - agganciandosi a

qualche traccia normativa, qualche delibera che lo possa suffragare - quante risorse la

Regione è pronta a trasferire per una fusione. Dato che tanti - tra tutti gli amministratori

di α, che in un loro documento parlano di “risorse destinabili alla sola parte corrente",

ma anche lo stesso Sindaco di β (si veda il paragrafo precedente) che parla di “un milio-

ne per dieci anni”, oltre al recente caso del comitato pro-fusione dell'Alto Fiume Blu (ω).

La domanda è: che tipo di evidenza c'è di queste cifre?

2. Il secondo quesito riguarda l’esenzione: in alcune49 Leggi Regionali italiane sono state

individuate misure d’incentivazione mediante esenzione. In Emilia-Romagna, nel Pro-

gramma di Riordino Territoriale si parla di priorità nei finanziamenti: in concreto, che co-

s’è previsto?

3. L’ultimo quesito riguarda invece la possibilità di creare unioni all’interno del circondario:

nell'ipotesi in cui per avvicinarsi alla fusione si dicesse a chiare lettere (nello studio di fat-

tibilità) che l'unione di comuni rappresenta uno stadio intermedio imprescindibile, sareb-

109

49 In particolare, nelle LR istitutive dei comuni di Montiglio Monferrato e Mosso (Regione Piemonte), sono

stati previsti oltre contributo iniziale una tantum di circa 100.000 euro, al finanziamento di durata decen-

nale di 15 milioni di euro per ex comune, anche una riduzione di durata decennale pari al 50% delle im-

poste, delle tariffe e delle addizionali regionali per 10 anni.

Page 110: cupio dissolvi.

be possibile derogare dalla norma50 secondo cui si da aggregazione di secondo grado

entro i confini di un'altra aggregazione?

Alle nove di mattina capisco che non potrò partecipare alla riunione, e lo comunico a GX.

Bianca nascerà a mezzogiorno. Il giorno successivo, laconicamente, mi racconta dell’incon-

tro e delle risposte alle mie domande: no, no, no.

Non è possibile sapere l’importo dei contributi che il comune esito di processo di fusione

potrà ricevere; non esiste alcun dettaglio circa i modi con cui i comuni fusi saranno privile-

giati nei bandi per finanziamenti; non si può, tassativamente, creare due aggregazioni coin-

volgenti parte degli stessi comuni. A normativa invariata non si può fare quasi nulla, ma se

dovesse cambiare qualcosa?

Perchè inizi a farsi intravedere qualche ipotesi di cambiamento negli orientamenti dobbiamo

aspettare poco. Nel frattempo, infatti, si è insediata la nuova Giunta Regionale e qualcosa

sembra cambiare nelle posizioni velate di appoggio a una vera ‘policy di razionalizzazione

delle forme istituzionali’ della Regione, che affianchi, riformuli o dettagli il già esistente stru-

mentario. Sollecitata dal basso - dal rinnovato interesse per lo strumento - la fusione fa la

sua comparsa nel discorso politico regionale. Nella versione aggiornata della delibera, ema-

nata a fine 2010, il testo del Programma di Riordino rimane invariato, nonostante il 51 ma c’è

un pronunciamento ufficiale da parte del nuovo Governo insediato in primavera nella dire-

zione dell’incentivazione a questo strumento. All’interno della scheda programmatica tema-

tica “governance” allegata alla Relazione del Presidente Vasco Errani52, si legge infatti che

110

50 Al punto 1.3 dell’allegato A della DGR recante l’aggiornamento del PTR per il 2011 viene confermata

la previsione già presente secondo cui “i comuni dell’unione o della comunità montana o del Nuovo cir-

condario imolese non possono aderire per le stesse funzioni o servizi a più di un ente associativo, salva

l'adesione a consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi nazionali o regionali e salvo quanto previsto dall’art.

21 della l.r. 10/2008 come modificato dalla l.r. 22/2008”

51 “Se vuoi fare il consulente togli il nonostante!”. Ogni particella grammaticale deve potersi giustificare.

Riporto questo caso come caso di correzione nell’ambito della “partecipazione periferica legittimata” (La-

ve e Wenger, 2000) al contesto di pratica.

52 Il programma di governo 2010-2015 del presidente Vasco Errani è stato presentato all'Assemblea

legislativa della Regione Emilia-Romagna il 3 giugno 2010. Il documento raccoglie gli indirizzi, i propositi e

gli obiettivi sui quali si sviluppa nel corso della IX  legislatura l'azione di governo del presidente Errani e

della Giunta regionale.

Page 111: cupio dissolvi.

“la Regione è impegnata in una strategia di governance certamente non orientata ad affer-

mare forme più o meno esplicite di “preminenza della Regione” sul territorio [...] ma a discu-

tere con gli interlocutori e definire soluzioni condivise ai problemi che si vogliono affrontare.

[...] Da qui passa l’impegno per una governance sostenibile, attenta al rispetto delle compe-

tenze delle diverse Istituzioni, volta alla decodifica dei messaggi che provengono da una

società che sta cambiando, pronta ad adottare le contromisure necessarie, proseguendo

nell’azione già da tempo avviata per semplificare l’architettura del sistema Istituzionale loca-

le, contenendone quindi i costi. Coerentemente a questi principi, la Giunta annuncia l’immi-

nente proposta di “aggiornamento della legge regionale 10/2008”, la legge che definisce gli

indirizzi in materia di riordino territoriale e di autoriforma dell’amministrazione regionale e lo-

cale, con l’obiettivo di superare i localismi attraverso le unioni dei comuni, garantendo i ser-

vizi e contenendo i costi e facendo emergere le eccellenze territoriali. Anche la disciplina

dell’incentivazione dovrà essere gradualmente reimpostata, “per costituire uno stimolo co-

stante allo sviluppo di sempre nuove competenze, introducendo specifici indicatori di effi-

cacia, d’efficienza e di risparmio nelle gestioni associate”, accogliendo e sostenendo la

fusione di comuni con una semplificazione normativa delle procedure.

4/6 Tra i Sindaci della “Città del Fiume Verde”: casello, scarpe, Storia. Insoddisfazione come leva?

Così, la grande transizione è rimasta una grande incompiuta.

E la Città Adriatica si è ritrovata a camminare in equilibrio pre-

cario sull’esile filo che separa il “non più” e il “non ancora”.

(Aldo Bonomi, 2010)

C’è aria di vacanze, mentre guadagniamo la riviera romagnola da Bologna. È il primo ve-

nerdì di giugno, andiamo a η sul Fiume Verde per incontrare i sindaci di quest’unione con la

quale a quanto pare cominceremo a lavorare. Ci hanno comunicato che abbiamo vinto la

gara per l’affidamento dell’incarico di consulenza, ancora non abbiamo firmato la lettera

d’incarico ma ci hanno richiesto di partecipare a un incontro di contatto con i sindaci. Sco-

po dell’incontro è conoscersi e scambiarsi alcune prime indicazioni operative.

111

Page 112: cupio dissolvi.

Come tutte le prime volte, sbagliamo strada. Il navigatore ci fa uscire a Cesena, noi saltiamo

anche l’uscita della tangenziale, e impieghiamo un’ora in più. Con la pratica scopriremo che

il casello autostradale giusto per il territorio del Fiume Verde è in realtà quello di Rimini Nord,

e che anche da lì la strada da prendere non è la Via Emilia, ma una strada stretta e tortuosa

che in meno di dieci chilometri di campi coltivati a ortaggi conduce prima in mezzo alle fab-

briche del distretto calzaturiero e, di lì, ai tre territori comunali. Scopriamo subito a nostre

spese che sul casello (che non c’è) si cristallizzano molti dei significati e del senso dell’ag-

gregazione “unione dei comuni del Fiume Verde”. Anche prima che esistesse questo Ente, il

casello autostradale è stato oggetto delle rivendicazioni circa il riconoscimento necessario

dell’autonomia e del peso del territorio. Nel momento in cui ne parliamo, è stata da posta

da un mese53 la prima pietra che porterà in due anni al varo, da parte della Società Auto-

strade.

L’unione del Fiume Verde tiene insieme tre territori amministrativamente separati che forma-

no un’unica grande conurbazione in cui le specializzazioni produttive si integrano e accaval-

Provincia

di Forlì-Cesena

Nuovo Casello

autostradale del Rubicone

GATTEO

MARTEDÌ

4 MAGGIO 2010

Conferenza

di presentazione

e posa della

prima pietra

del

elaborazione grafi ca e stampa a cura dell’Uffi cio Centro Stampa

della Provincia di Forlì-Cesena - maggio 2010

112

53 “Casello Autostradale Fiume Verde. Dopo 20 anni di attesa, posata prima pietra”. È stata posata que-

sta mattina a ζ la prima pietra del nuovo casello autostradale del Fiume Verde. Un'opera attesa da 20

anni che dovrebbe essere completata per il 2013 (Newsrimini.it, 4/5/10)

Page 113: cupio dissolvi.

lano su confini quasi mai netti e visibili. “Noi stessi fatichiamo a capire dove finiscono i nostri

comuni”, ci dicono tra le prime battute i sindaci, nell’introdurre il leit motiv che sorregge la

decisione di presentare domanda di finanziamento dello studio: l’estrema integrazione del

territorio, che da tempo ha reso familiare la definizione di “città del Fiume Verde”. La confi-

gurazione dei confini sarebbe l’esito di lotte tra i tre comuni, ciascuno dei quali voleva avere

lo sbocco sul mare. Il rimando storico è facilmente riscontrabile con un giro sulla costa, che

dista meno di dieci chilometri dai capoluoghi: lo sbocco sul mare complessivo è una linea di

costa di poco più di due chilometri, con un comune - η - il cui waterfront si percorre in circa

un minuto a passo moderato: sono circa duecento metri di spiaggia, quella del grande

campeggio Fiume Verde (“uno dei più belli d’Europa”, dicono).

La piazza di η è ampia e confortevole, ai due lati - una di fronte all’altro - ci sono la chiesa e

il comune. Sul lato del comune, in un immobile storico con cui forma un unico corpo di fab-

brica, ha la sua sede storica la ‘Rubiconia Accademia dei Filopatridi’, storica istituzione de-

dita alla difesa della tradizione e alla promozione, tra l’altro, della lingua latina. Salendo le

scale del palazzo comunale mi colpisce il senso di ordine degli spazi, che accoglie il visita-

tore con un grande ufficio relazioni con il pubblico. L’ufficio del sindaco è all’ultimo piano, lì

ci attende il segretario comunale e due dei tre sindaci dell’unione: due sono al secondo

mandato con scadenza nel 2014, il terzo - sempre al secondo mandato - scadrà nel 2011.

Il sindaco-presidente dell’unione ci descrive le peculiarità del comparto-Fiume Verde. Il set-

tore economico trainante è storicamente il tessile-abbigliamento-calzature (TAC), con un’in-

cidenza particolarmente spiccata della manifattura calzaturiera per l’alta moda, da cui sca-

press L.If1E14/05/2010 Com'ere

di Forlì e Cesen a

Aperte le buste delle quattro offerte per capire cosa comporterà il Comune unico del Rubicon e

Studio fattibilità a gruppo bolognes eCi sono 240 giorni per presentare il piano, il referendum .forse nel 2011RUBICONE. Va avant i

la marcia verso l'orizzon-te del Comune Unico de lRubicone. Ieri mattinasono state aperte le bustedegli studi candidati a e-seguire lo studio di fatti-bilità della città del Ru-bicone: ad aggiudicarsi i lbando è la Co Gruppo Sr lBologna per un importodi 19mila euro (più Iva) . I lpresidente della commis-sione per il Comune Uni-co del consiglio dell'Unio-ne dei Comuni GianlucaMonti spiega : «hann opartecipato in 4 al bando ,

studi di Bologna e di Mo-dena», e ora che è stato de-ciso chi si occuperà di e-laborare uno studio di fat-

tibilità, non si perde tem-po, anche perché la sca-denza per il finanziamen-

to regionale è previst aper domani: «questa mat-tina parte la richiesta all a

Regione per avere il con-tributo insieme a tutto i lmateriale relativo alla

ditta che si è aggiudicatail bando» racconta Gia-

nluca Monti . Il contribu-to regionale per lo studi odi fattibilità sarà di 10 .400euro: «la cifra esatta do-vrebbe essere questa ma ,se tutto va bene, noi spe-

riamo di ottenere qualco-sa di più» .

Pagina 1 7

La

\

digaranzia al-i~~~I1 o

Per quanto riguarda in- scissero a fornirci il lavo- naie dell'Unione dei Co-vece i tempi, la Co Grup- ro entro agosto, già a set- muni del Rubicone avve-po Srl ha a disposizione tembre e ottobre si po- nuto lo scorso marzo, per -

240 giorni per elaborare trebbero raccogliere le ché, come aveva spiegat otutto il materiale sulla firme per il referendum e lo stesso Monti, «affidars ifattibilità del Comune u- quindi metterlo in piedi a un esterno è anche i l

nico - la "famosa" Città entro l'anno, in caso con- consiglio venuto dalla Re -del Rubicone dovrebbe trario si andrebbe a finire gione, per poter "svisce-comprendere Savignano, al 2011» . La decisione di rare" al massimo un pas -

San Mauro e Gatteo - ma affidare a un soggetto e- so così complesso e nuov onon è escluso che il lavoro sterno lo studio di fattibi- come l'unione di tre am-venga finito prima, o al- lità per il Comune unico ministrazioni comuna-

meno così auspica il con- era stata votata nel corso li» .sigliere Monti: «se riu- del consiglio intercomu-

Miriam Fusconi

113

Page 114: cupio dissolvi.

turisce un infinito indotto di sub-fornitura che parte dal tacco per arrivare alle tomaie e ai

prodotti finiti, con marchi di prima grandezza a livello mondiale. Si narra della presenza di

una “forte cultura manifatturiera” storicamente innervata sul territorio grazie a un processo

di mimesi e progressiva creazione di ricchezza, che ha fatto di questo territorio un piccolo

ma molto fiorente distretto industriale. A questa vocazione si aggiunge il turismo, che nono-

stante l’estensione ridottissima della costa è molto significativa: la stessa η, con una sola

struttura ricettiva, fa registrare un numero consistente di presenze, al punto che - grazie al

connubio con i tratti storici dell’entroterra e la presenza di una grande superficie commer-

ciale sul territorio, il Romagna Center - ha recentemente richiesto e ottenuto di essere quali-

ficato come “comune a prevalente vocazione turistica”.

Che si parla di fusione tra i tre comuni saranno “non meno di vent’anni”, assicurano. Il co-

mune unico è “l’unica cosa che possiamo fare”: i margini di manovra dei comuni si sono

limitati a tal punto che “non ci resta che passare alla Storia”, completando un processo di

riforma istituzionale radicale e, per una volta, davvero rilevante per il nostro territorio. Una

riforma istituzionale che formalizzerebbe ciò che nella pratica esiste già, anche grazie alla

politica che nel 2005 volle l’unione con l’idea già molto chiara di dar vita a un comune uni-

co. Ma alla lunga, l’unione smette di essere utile: se non serve a fare la fusione “meglio tor-

nare ognuno a casa propria”.

I costi insiti nello stare e fare insieme sono elevati: l’ottenimento di un buon equilibrio tra ef-

ficacia ed efficienza nella gestione associata dei servizi non è automatico, richiede un inve-

stimento molto oneroso che va ben oltre le maggiori entrate che si ottengono dai trasferi-

menti regionali a supporto delle gestioni associate. Qui, è la polizia municipale associata a

offrire dell’unione, dicono gli stessi amministratori, la faccia “meno edificante”: la convenzio-

ne esiste da ormai tre anni, ma la percezione della popolazione è di un peggioramento radi-

cale del servizio. Comincio a riconoscere i contorni della lezione imparata a Ledro: anche

qui le cose non vanno bene, la gente “non ne può più dell’unione”. Anche qui, come là,

immaginare una soluzione radicale di fusione nasce (anche) dalla constatazione della sub-

ottimalità della configurazione cooperativa. O non sarà piuttosto che l’investimento in quella

configurazione è stato ed è poco convinto fin dall’inizio?

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Page 115: cupio dissolvi.

Sulla necessità di farla, la fusione, secondo i sindaci si registra un “consenso diffuso da par-

te della classe dirigente”. L’élite economica e politica non ha dubbi. Molto meno diffuso è il

consenso da parte della gente, nella percezione degli amministratori. Obiettivo del nostro

lavoro deve quindi essere lavorare per “la crescita di consapevolezza nella popolazione”:

bisognerà far capire cosa vuol dire essere ‘unici’, spiegare con chiarezza cosa ci si guada-

gna e cosa ci si perde. La stessa argomentazione l’avevamo già registrata sul Fiume Giallo:

per arrivare a una decisione informata, i cittadini dovranno avere chiari benefici e costi della

fusione. C’è fretta di iniziare e anche di finire, da parte del cliente c’è la necessità di con-

temperare i tempi di consegna dello studio e quelli politici delle scadenze elettorali. Tutti si

aspettano il referendum, ci dicono, referendum che la stampa54 ipotizza si potrebbe tenere

già nel 2011. Noi sappiamo che si tratta di una previsione del tutto priva di fondamento: an-

che solo i tempi giuridici che vanno dal deposito del progetto di legge da parte di un sog-

getto proponente fino al parere che il Consiglio Regionale deve produrre ci porterebbero

oltre il nuovo anno. Ma il dado ormai è tratto, e anche un lancio di agenzia ha il suo peso

nell’innescare un processo di progettazione di istituzioni in cerca di identità.

21/6 Prima consegna sul Fiume Giallo: teoremi perturbanti del cam-biamento.

Per rispettare formalmente il termine indicato a suo tempo nella proposta operativa (14/1), a

notte fonda tra il 31 di maggio e il 1 di giugno avevo inviato al solo circondario (non ai sin-

daci interessati) il rapporto di analisi. Il documento allegato veniva definito “propedeutico”

rispetto alle ipotesi progettuali tecniche. In generale, il rapporto allegato era in realtà poco

più di una bozza, con intere parti ancora da scrivere o da completare. Per la solita ansia da

prestazione arrivo all’ultimo, il giorno prima, e ottengo dal capoprogetto (messo di fronte al

fatto compiuto) di poter mandare senza che lui abbia potuto leggere alcunché.

Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 01 giugno 2010 1:21:19 GMT+02:00

115

54”Studio di fattibilità a gruppo bolognese”. Ci sono 240 giorni per presentare il piano, il referendum forse

già nel 2011”, il Corriere di Romagna, 14/5/10. Nell’intervista a Gianluca Monti, consigliere di maggioran-

za e presidente della Commissione sulla fusione istituita in seno all’unione, considera il termine del 2011

come realistico e anzi auspicabile.

Page 116: cupio dissolvi.

A: Claudia Dal Monte <[email protected]>Cc: Giovanni Xilo <[email protected]>Oggetto: fusione comuni Fiume Giallo

Gentile dott.ssa Dal Monte,

come da accordi Le invio bozza del documento di analisi propedeutico all'elaborazione delle ipotesi operative di strutturazione del comune unico. Come vedrà, nel documento sono presenti alcuni spazi incompleti che stiamo terminando in queste ore: a brevissimo saremo in grado di inviarle versione completa. In particolare risultano in-completi: a) il paragrafo di analisi territoriale ed economica, b) la parte narrativa del capitolo in cui si descrive l'or-ganizzazione dei comuni, c) il paragrafo contenente una schematica analisi dei bilanci. In merito a quest'ultima specifico che la scheda di raccolta dati da noi predisposta e sottoposta di persona ai quattro referenti, in due casi (α e δ) non ci è ancora pervenuta compilata, nonostante i numerosi solleciti.

Resta inteso che ogni informazione contenuta nel rapporto è suscettibile di revisione, qualora se ne dovesse ri-scontrare l'inattendibilità ovvero la non opportunità di divulgazione. Di eventuali sviste ci scusiamo in anticipo.

Dell'intera terza parte, il progetto di fusione, sono presenti solo i titoli, che andranno riempiti nella fase finale del lavoro, a seguito di condivisione dell'analisi con le Amministrazioni.

con l'occasione Le invio i miei più cordiali salutia presto

Alessandro [email protected]: alepirani

In pratica, è tutto da rifare. Gli ultimi venti giorni di primavera vengono impiegati quasi a

tempo pieno nella complessiva riscrittura, completamento e varie revisioni del rapporto, che

invio in via ufficiale a tutti gli interlocutori il 21 di giugno. Anche in questa consegna resta la

suspense rispetto a un invio ulteriore e ‘definitivo’ che viene differito ulteriormente, secondo

quanto previsto a suo tempo nel progetto operativo. Con questo distillare le consegne vor-

remmo riuscire ad accompagnare diverse fasi del processo di discussione: partire da uno

sfondo che possa essere dato in pasto al dibattito per produrre posizionamenti da parte dei

vari attori, per poi procedere con un affondo tecnico e operativo costruito sulle indicazioni

degli stessi attori (cosa è davvero importante sapere per discutere di fusione? Quali sono gli

indicatori realmente dirimenti?). La strategia si rivela sbagliata: le progressive consegne non

segneranno alcun avanzamento del processo.

Attraverso questo rilascio viene richiesto un confronto che ci si attende possa essere signi-

ficativo in termini di attivazione sui e a partire dai contenuti, da tenersi in una presentazione

al gruppo ristretto, che proponiamo di fare in Vallata. Nel rapporto inviato è contenuta

un’esauriente trattazione circa gli aspetti normativi inerenti i processi fusione e le peculiarità

di questo strumento, e una ‘fotografia’ statica dell’organizzazione e dei conti dei comuni.

Da quest’ultimo capitolo ci si attendono reazioni di qualche tipo.

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Page 117: cupio dissolvi.

Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 21 giugno 2010 12:10:24 GMT+02:00A: Giovanni Bernabei <[email protected]>, Stefania Dazzani <[email protected]>, Roberto Poli <sindaco@β.provincia.bologna.it>, Vanna Verzelli <sindaco@δ.provincia.bologna.it>Cc: Claudia Dal Monte <[email protected]>, Giovanni Xilo <[email protected]>Oggetto: studio di fattibilità comune unico Vallata del Fiume Giallo_RAPPORTO ANALISI

Gentilissime e gentilissimi, allego alla presente rapporto in oggetto, che come avrete modo di osservare ricomprende:

a) ricostruzione aspetti giuridico-normativi sul tema della fusioneb) analisi delle componenti essenziali del territorioc) analisi economico-organizzativa sulle singole Amministrazioni Comunali

La proposta operativa di strutturazione del comune Unico sarà oggetto di un documento a sè stante, i cui conte-nuti terranno conto in modo sostanziale di quanto emergerà dalla condivisione con Voi del presente documento. 

A tale scopo chiediamo fin da ora la Vs. disponibilità per un incontro ristretto di presentazione e discussione delle evidenze raccolte, da tenersi nella data proposta del 5 luglio all'ora e luogo che Voi indicherete. 

Resto a Vs. disposizione per qualsiasi chiarimento,

Cordiali saluti

Alessandro Pirani

[email protected]: alepirani

Il rapporto si apre con una rappresentazione sintetica delle argomentazioni favorevoli e con-

trarie all’ipotesi in gioco all’interno dell’arena politica. La proiezione della fusione evoca sce-

nari su cui le posizioni non sono unanimemente favorevoli. Il consenso attorno a una pro-

spettiva popolata da contenuti di profondo cambiamento (una semplificazione55 cambia-

mento del quadro amministrativo, e anche inevitabilmente un cambiamento di habitus) non

può che essere informato con risposte credibili rispetto alle aspettative dei favorevoli e ai

timori dei contrari. Di seguito, in sintesi, riporto le ragioni dei favorevoli e quelle dei contrari

(sia interni sia esterni alle Amministrazioni), elaborati come posizionamenti degli attori nei

confronti dei teoremi a sostegno dell’ipotesi di fusione:

117

55 L’espressione è tratta dal cappello introduttivo usato in apertura del rapporto. “Semplificazione” è un

esempio di “lapsus argomentativo” del discorso consulenziale nel quale a un necessario approccio neutro

si sostituisce un incidente valutativo da solo in grado di mettere in crisi il processo dialogico con il “cliente.

Se in ‘semplificazione’ (si pensi al ‘Ministero della Semplificazione’) è presente una forte connotazione

politica (si indica uno status in chiave prescrittiva, come dovrebbe essere) in ‘cambiamento‘ la neutralità si

connota come descrizione tecnica di un processo.

Page 118: cupio dissolvi.

1. I comuni, specie se piccoli, sono al collasso, ed è indispensabile che crescano. Il primo

teorema è una prima variazione sul tema della ‘massa critica’ e guarda alla fusione co-

me risposta (grazie all’eliminazione degli sprechi, alla creazione di economie di scala,

ecc.) alle difficoltà di bilancio dei comuni.

SI No

- A malapena si riesce a coprire la spesa per i servizi e solo con l’applicazione di buo-na parte delle entrate straordinarie (in parti-colare oneri di urbanizzazione), in calo drammatico.

- I trasferimenti erariali sono in costante di-minuzione.

- Esistono fonti di reddito ancora non sfrut-tate a fondo, tutte da indagare.

- L’eventuale finanziamento regionale a sup-porto della creazione di un nuovo comune andrebbe a finanziare solo la parte corren-te, non gli investimenti.

2. Una Vallata ha bisogno di avere un unico centro decisionale che la governi. Se sul piano

dell’organizzazione strategica dei servizi - sportelli prossimali di erogazione e back office

di produzione - il policentrismo è un modello assodato, in termini politici la fusione è utile

alla riduzione dei costi decisionali e all’aumento del rendimento istituzionale in un conte-

sto in cui l’omogeneità della conformazione territoriale lo possono consentire.

SI No

- Al venire meno della comunità Montana è diventato evidente come il coordinamento delle politiche sia essenziale.

- Oggi tutte le politiche che come comuni siamo in grado di produrre hanno rilevan-za sovracomunale (di Vallata).

- Per avere maggiore “peso” (per contare di più, sia nel circondario sia in Provincia e Regione) è indispensabile crescere di di-mensione.

- L’andamento del settore turismo denuncia la difficoltà di programmare politiche di promozione unitarie.

- La riduzione dei comuni al rango di frazioni (e delle frazioni a “frazioni di frazioni”) di un Ente più grande determinerebbe la margina-lizzazione dei territori.

- La scala di Vallata è eccessiva per una programmazione efficace.

- Le singole specificità (le sagre, le manifesta-zioni, la cultura, ecc.) sarebbero inevitabil-mente sacrificate alla nuova identità collet-tiva di Vallata.

3. Per ottimizzare i servizi è bene condividerne la gestione. Una seconda variazione sul te-

ma della “massa critica” è insito nel terzo teorema: l’associazione della gestione tra più

118

Page 119: cupio dissolvi.

enti è posta come opzione strategica giusta in se, in quanto consente il soddisfacimento

dei criteri di maggior efficienza, efficacia ed economicità.

SI No

- I servizi associati già oggi consentono di ottenere economie altrimenti impossibili.

- Il mantenimento di presidi sui singoli comuni (uffici URP) consentirebbe, grazie alle nuove tecnologie, di preservare l’ac-cesso per i cittadini dei territori ai servizi.

- Il controllo diretto da parte delle singole Amministrazioni è vitale per una risposta efficace alle esigenze dei cittadini.

- I servizi associati non sempre determina-no economie gestionali.

- L’accesso già oggi è reso più difficile, e in molti casi l’assenza di personale dislocato stabilmente in loco vanifica, di fatto, il servi-zio stesso.

4. Non è più possibile né necessario avere tutti i servizi sotto casa. Il quarto teorema sfata

provocatoriamente il tabù della prossimità dei servizi: emendando l’amministrazione dai

contenuti politici resta solo il “comune-sportello”, che grazie a nuove tecnologie e mutati

stili di vita dei cittadini-utenti può in quanto “servizio puro” essere sottoposto a raziona-

lizzazioni e ottimizzazioni.

SI No

- Già oggi buona parte dei servizi non sono erogati direttamente dai singoli comuni.

- L’utenza degli uffici si è nel tempo ridotta alle due categorie di anziani e immigrati: la maggioranza dei cittadini si reca solo in via residuale agli Uffici.

- La tecnologia può abbattere qualsiasi barriera spaziale per la condivisione di informazioni ed effettuazione di servizi (co-me già avviene per i demografici).

- I comuni non possono essere svuotati di tutte le funzioni, pena la perdita di control-lo sulla qualità delle prestazioni.

- Esiste una buona fetta di cittadini-utenti per i quali il comune rappresenta un presidio insostituibile del territorio.

- La telematica non potrà mai sostituire del tutto l’interazione tra persone.

Tentando di mediare, informandole, le posizioni tra favorevoli e contrari, lo studio evidenzia

una situazione caratterizzata da ampi margini di miglioramento sotto i diversi profili dell’or-

ganizzazione, la tenuta dei bilanci, e soprattutto la capacità di governare il territorio.

A quali conclusioni arriviamo? Di seguito le sintesi delle ‘dimostrazioni’ dei teoremi.

119

Page 120: cupio dissolvi.

1. L’integrazione è un processo lento ma inesorabile. La crescita dimensionale produrreb-

be sull’amministrazione ricadute dirette sui bilanci comunali oggi in situazione di cre-

scente sofferenza. In particolare per quanto attiene la condivisione di personale risulta

evidente come la fusione rappresenti il punto di arrivo di un percorso che nei fatti è già

cominciato, con il trasferimento di funzioni prima alla comunità Montana e poi al circon-

dario, nella prospettiva di un’ulteriore estensione della quota di questi servizi ad ambiti

ritenuti finora rigidamente “interni”. Vero è che, fino a quando non ne dovesse subentra-

re l’obbligatorietà sovra-ordinata, è il “processo informale” di integrazione tra i territori a

determinare la necessità di un esito istituzionale di aggregazione (esteso alle Ammini-

strazioni).

2. Il capitale sociale aumenta se lo si con-divide. In quest’ottica, è significativa la presenza

di alcune ‘pratiche di fusione’ sul territorio, che – a partire da istanze della società civile

– descrivono quello che già può essere letto come territorio unico; sono esperienze co-

me quelle della Polisportiva di Vallata, o del Gruppo Scout che, insieme ai modelli diffusi

di movimento della popolazione su base sovracomunale fanno della Vallata uno spazio

compatto senza particolari sbavature. La dotazione di capitale sociale, con punte di par-

ticolare rilevanza nei territori più distanti dalla città capoluogo, rappresenta un elemento

di grande interesse le cui potenzialità, tuttavia, possono essere tanto più sfruttate se

messe al lavoro in un contesto più ampio in grado di fornire maggiore visibilità. Il capitale

sociale espresso dalle reti informali e dalle associazioni può produrre tanta più ricchezza

se condiviso.

3. Prove amministrative di affiatamento istituzionale. Si riscontra la presenza di interdipen-

denze anche molto marcate tra i comuni della Vallata del Fiume Giallo e gli Enti so-

vra-ordinati: la crescente quota di servizi associati, unitamente alla condivisione di per-

sonale pur se con modalità talvolta episodiche, descrive un contesto che è già integrato

pur se formalmente ancora intercluso nei rispettivi confini amministrativi. Il crescente ri-

corso a pratiche di cooperazione strutturata tra gli uffici dei vari comuni, sia in seno al-

l’Ente circondario sia mediante altre forme locali, dà la misura di come l’urgenza di una

visione d’insieme sia sentita non solo dai politici ma anche e forse prima di tutto da

quanti nei comuni lavorano ogni giorno, cercando con fatica di farli funzionare. La con-

formazione degli stessi uffici ancora non associati, poi, sostanzialmente identici per

120

Page 121: cupio dissolvi.

struttura ma ben assortiti quanto a competenze e qualifiche contrattuali, rende la pro-

spettiva di una definitiva aggregazione ampiamente realistica.

4. Bisogna tornare a fare politica per il territorio. Oltre l’organizzazione, è l’impatto sulla po-

litica cui spetta l’elemento realmente peculiare e caratteristico – rispetto agli altri esiti

possibili della cooperazione inter-istituzionale, come l’unione – della fusione. L’impatto,

oltre a sostanziarsi in un contenimento delle risorse economiche e umane coinvolte,

elemento pure non trascurabile, va apprezzato in termini di maggiore qualificazione del

personale politico56. È evidente infatti come la possibilità di reclutare personale politico

sia inversamente proporzionale alla dimensione dei territori: crescere significa ridurre la

distanza dai centri decisionali (Circondariali, Provinciali, Regionali) rendendo più appeti-

bile un impegno politico con maggiori possibilità di incidere sul futuro del territorio.

L’impatto della fusione sulla politica declinata secondo i due argomenti della crescita quali-

tativa del personale (gli amministratori) e del contenimento dei costi vedrà - sul secondo -

una sollevazione compatta da parte dei diretti interessati. Nel documento avevo prodotto

una stima del costo complessivo della classe politica dei quattro comuni sulla base di stime

(dimostratesi completamente sbagliate) dei costi delle varie categorie (sindaci, assessori,

consiglieri). Giudicandola controproducente, i sindaci chiederanno - e sarà l’unico vero ap-

punto rispetto ai contenuti - di ‘pulire’ il testo da riferimenti economici.

1/7 Presentazione sul Fiume Verde: proiezioni, processi, scenari. Si-mulare il mutamento.

La politica - e i modi della rappresentanza politica - sono i nodi fondamentali attorno ai quali

le politiche di riordino territoriale provano a dire/fare qualcosa? Forse. Diamo per acquisito

che l’impatto più caratteristico le politiche di organizzazione istituzionale l’abbiano sulla poli-

tica (politics), dalla quale sono agite e sulla quale (retro)agiscono. Questo impatto va spesso

sotto il nome di ‘semplificazione’, termine che prefigura un esito che se su un piano termi-

nologico evoca un’interpretazione retorica che postula uno status quo ante di complessità,

121

56 Questa valutazione sarà ritenuta inopportuna e cassata in un secondo momento dal rapporto.

Page 122: cupio dissolvi.

su un piano sostantivo richiama scenari di contrazione dei ‘costi della politica’ intesi nel du-

plice senso di costi organizzativi ed economici.

In quest’ultima connotazione (‘costo della politica’ come costi economici che è la collettività

a dove sopportare), la scivolosità del tema è ben nota: il lemma ‘costi della politica’ ha vis-

suto a metà del primo decennio del secolo una grande fortuna editoriale che, pur essendo

oggi in buona parte ridimensionata, continua ad allignare ai margini del discorso pubblico.

Se richiamato all’interno della prospettiva di un’argomentazione sui pro e contra della fusio-

ne di comuni, l’oggetto ‘costi della politica’ svela un corto circuito tra la politica che pro-

pende verso la propria dissoluzione e la politica che rivendica il proprio status di forza non

onerosa e non gravante sul territorio: la riduzione dei costi della politica, in breve, potrebbe

essere usato - strumentalmente - per perorare la causa della fusione.

Ma questo approccio non passa neanche il Fiume Verde.

La sera della presentazione a η arriva a poco meno di un mese dal primo incontro informale

tra noi e i sindaci. Scendiamo con i primi vacanzieri lungo l’A14, arriviamo in anticipo e, par-

lando d’altro, riusciamo a berci un aperitivo in piazza. La presentazione l’ho preparata il

giorno prima, nella grafica di copertina punto su un’idea di fusione che da tre elementi sim-

bolici dei tre comuni coinvolti (Pascoli, il ponte romano, il castello) riscopra un’identità stori-

ca (virtuale: rappresentata da una mappa) di aggregazione e omogeneità pre-amministrati-

va, pre-comunale. “Una nuova (id)entità” mette al lavoro (proiettandolo) il nesso ipotetico tra

UNA NUOVA (ID)ENTITÀDALL’UNIONE DI COMUNI ALLA FUSIONE. VERSO LO STUDIO DI FATTIBILITÀ. INCONTRO CON IL CONSIGLIO DELL’UNIONE - 1/7/2010 SAVIGNANO SUL RUBICONE

122

Page 123: cupio dissolvi.

la nascita di una nuova entità (amministrativa) e la crescita di una nuova (id)entità che da

questo processo sia sancita, determinata.

La fusione di comuni viene in primo luogo definita in termini strettamente tecnico-giuridici

come “un processo volontario di revisione dei confini amministrativi che prevede, previa le-

giferazione regionale, l’aggregazione in un unico soggetto giuridico di una pluralità di Enti”.

Successivamente, la presentazione si sofferma sull’esiguità del gruppo dei “pionieri” che

hanno intrapreso (con successo) questa strada, cercando di vellicare l’orgoglio del pubblico

- costituito da consiglieri dell’unione e membri della commissione - facendo notare che la

scelta è “politicamente molto forte”; molto forte, tanto più se pensata da e per un territorio

diviso in comuni “grandi”.

L’elemento argomentativo centrale della presentazione è sintetizzato nella tabella che se-

gue, nella quale sono messi in relazione gli effetti della fusione certi o eventuali, in altre paro-

le ciò che la fusione comporta automaticamente una volta divenuta esecutiva e ciò che in-

vece può eventualmente determinarsi “se si lavora bene” e se in generale si compie il pro-

cesso di traduzione in pratica del dispositivo giuridico.

Di certo (esiti automatici)

Forse (se si lavora bene)

Semplificazione delle relazioni interorganiz-zative (rapporti tra Amministrazioni, Enti, ecc.)

Riduzione dei costi della struttura;

Riduzione dei costi della politicaMaggiore specializzazione della struttura e minore ricorso a consulenze esterne;

Aumento del “peso specifico” del territorio ovvero del suo peso politico

Razionalizzazione delle spese correnti a bi-lancio

Capacità di influire nella produzione di poli-tiche pubbliche

Come si vede, la “riduzione dei costi della politica” fa parte degli esiti rappresentati come (e

di fatto) certi ma politicamente non spendibili: ce lo conferma un intervento dal pubblico,

che reagisce alla presentazione lamentando il ricorso a questa argomentazione, giudican-

dola implicitamente qualunquista. Non sarebbe infatti il peso economico della classe politica

sulla collettività a essere al centro dell’attenzione e ad avere rilevanza politica e strategica,

123

Page 124: cupio dissolvi.

quanto piuttosto gli esiti eventuali del processo: lo studio di fattibilità dovrà verificarne i mar-

gini di realizzabilità, ricorrendo ora all’analisi dell’esistente ora ricorrendo a casi benchmark

in grado di fare da sponda alle simulazioni.

9/7 Seminario sul Fiume Giallo: dimostrazioni, linee guida, defezione. L’arrocco sembra irreversibile.

Pochi giorni dopo è il turno della Val Fiume Giallo. Per venerdì pomeriggio è in programma

un seminario di presentazione ristretto ai sindaci sui risultati del rapporto consegnato a ini-

zio estate. Fa caldo anche ai piedi dell’Appennino, la riunione è stata fissata per le tre di

pomeriggio, in una δ deserta. Appena arrivati incontriamo Baldazzi, l’assessore di α che

invitiamo a un caffè al bar, nei pressi del comune. Già mentre aspettiamo al bancone, ci

chiarisce che oggi sarà il giorno della verità, il giorno in cui cioè α ribadirà - casomai ce ne

fosse ancora bisogno - la propria mancata adesione al progetto, qualunque sia l’esito della

discussione attorno ai contenuti dell’analisi. Il punto non è l’analisi, ma l’uso che se ne vuole

fare, e il comune ha chiaro che non intende aderire.

Le slide le ho messe in fila il giorno prima, lasciando da parte le sintesi analitiche più dia-

gnostiche rispetto a quanto rilevato. Quelle le abbiamo fatte prima di partire, in ufficio a Bo-

logna. Il titolo della presentazione esplicita fin da subito la natura problematica del processo

1

LO STUDIO DI FATTIBILITÀ PER LA FUSIONE DEI COMUNI DELLA VALLATA

DEL SANTERNO. INCONTRO DI PRESENTAZIONE E DISCUSSIONE

SULL’ANALISI - 9/7/2010 FONTANELICE

Verso la fusione?

C.O. GRUPPO SRL

124

Page 125: cupio dissolvi.

di cui si discute, rappresentando, con sullo sfondo un diagramma simbolico della fusione, la

formula dubitativa.

La presentazione corre liscia. Tra i presenti figura anche il responsabile di tutti i servizi asso-

ciati dei quattro comuni, ex dipendente della disciolta comunità montana oggi in carico al

circondario. I sindaci sono interessati, pongono domande puntuali, sembrano interessati ma

nulla sembra turbarli o stimolare una qualche reazione. Sui costi della politica, di cui non c’è

traccia nelle diapositive, c’è un sussulto unanime. È uno dei pochi sussulti. “Meglio non

metterli”, una stima è fuorviante e genera inutili polemiche. Le rappresentazioni sintetiche

riescono a rievocare alla memoria degli interlocutori una serie di imprecisioni riguardanti al-

l’analisi di bilancio contenuta, rispetto alle quali - garantiscono - sarà loro cura attivare gli

uffici affinché producano un resoconto puntuale a breve: solo allora potremo procedere a

confezionare una versione revisionata del testo.

La scansione logica dell’argomentazione riprende i teoremi favorevoli alla fusione enunciati

nel rapporto57 provando a restituire alcune ‘dimostrazioni’ possibili, quadri diagnostici e in-

terpretativi a partire dai quali tentare una mediazione.

Crescere significa poter sopravvivere? I comuni non rischiano situazioni di collasso perché

adatteranno qualità e quantità dei servizi alle risorse disponibili, come già fanno. Vero è che

non hanno spazio autonomo per sviluppare nei loro territori nuove livelli, nuove risposte e

nuovi standard di servizi, anche per limiti normativi nazionali alla possibilità di espandere au-

tonomamente la spesa.

Chi governa oggi la Vallata? Nessuno governa la Vallata, e anche le poche politiche e leve

che si possono utilizzare per provare a promuovere e sviluppare economicamente il territo-

rio sono inibite o poco efficaci a livello di singolo comune. Una pianificazione congiunta, una

significativa riduzione dei costi burocratici per l’impresa e una partnership con altre Istituzio-

ni territoriali e regionali può aumentare la probabilità di un efficace governo di Vallata.

125

57 Cfr. Par. 21/6: 1) I comuni, specie se piccoli, sono al collasso, ed è indispensabile che crescano, 2)

Una Vallata ha bisogno di avere un unico centro decisionale che la governi, 3) Per ottimizzare i servizi è

bene condividerne la gestione, 4) Non è più possibile né necessario avere tutti i servizi sotto casa.

Page 126: cupio dissolvi.

Gestioni separate? In assoluto è sempre vero che l’unione fa la forza, e che le economie di

scala, se gestite, riducono i costi dei servizi a parità di prestazione. Ciò è vero anche per

l’acquisizione di servizi esterni, per gli acquisti, gli appalti e la capacità di accedere a finan-

ziamenti straordinari. Le differenti situazioni di partenza sia in termini di costo dei servizi, sia

in termini di strutturazione, qualificazione, caratteristiche, suggeriscono una logica di nuova

strutturazione incrementale e progressiva, dando per scontato che il possibile nuovo comu-

ne garantirà la presenza su ogni territorio dei servizi di prossimità.

Razionalizzazioni. Nel medio-lungo periodo si assisterà sicuramente ad una ridefinizione dei

sistemi di erogazione dei servizi che renderà soprattutto per le attività di certificazione meno

rilevante la presenza di servizi sotto casa. Al contrario, numerosi servizi legati alla persona e

difesa/tutela manutenzione avranno sempre necessità di stare sul territorio. Nel breve pe-

riodo tutti i servizi a staff e non direttamente in contatto con i cittadini non hanno già ora

nessuna necessità di considerare il territorio

L’analisi organizzativa condotta è stata sintetizzata in 4 indicatori quali-quantitativi, utili per

rendere comparabili le dotazioni dei singoli Enti.

Qualificazione: descrive il livello di specializza-

zione professionale dell’organico, come sintesi tra

categorie contrattuali presenti, titoli di studio dei

responsabili e anzianità;

Economicità: descrive il peso economico della

macchina amministrativa, come sintesi tra inci-

denza per abitanti (vedi Figura 38) delle spese per

personale e spesa complessiva per i servizi consi-

derati;

Strutturazione: descrive il livello di solidità del-

l’organico, come sintesi tra copertura delle posi-

zioni previste in pianta organica e ricorso a figure

di supporto (a tempo determinato, part time, ecc.)

Interdipendenza: descrive la presenza di rappor-

ti organizzativi formali e informali tra l’Ente consi-

derato, gli altri comuni e i livelli sovra-ordinati, per

l’espletamento di funzioni o lo scambio di infor-

mazioni.

Sulla base dell’analisi di queste quattro variabili, rappresentate sinteticamente con grafici

polari, risulta possibile tracciare alcune linee diagnostiche: nessun comune da solo sarà in

grado di aumentare il livello di qualificazione del personale, a meno di aumenti significativi

dei trasferimenti o tassazione locale. Il livello di interdipendenza fra le strutture è già buono,

e potrà aumentare, ma non sarà risolutivo per la riduzione significativa dei costi di gestione

126

Page 127: cupio dissolvi.

o degli investimenti necessari alla qualificazione del personale; i costi delle singole macchine

comunali, con un’eccezione, sono sicuramente ancora più comprimibili, prevedendo però

una ridefinizione verso il basso della qualità e quantità dei servizi erogati; le strutturazioni

complessive delle singole macchine comunali riflettono la loro progressiva perdita di auto-

nomia.

Cosa farà il comune unico? Di certo permetterà nuovi livelli di specializzazione e di conse-

guenza di qualificazione. Anche se in maniera graduale e incrementale la nuova struttura

sarà in grado di raggiungere a parità di prodotto migliori livelli di efficienza operativa e mag-

giore autonomia rispetto a fornitori esterni; le dimensioni del nuovo comune e le risorse già

presenti non permetteranno comunque una totale autonomia e qualità della macchina am-

ministrativa, raggiungibile solo mantenendo la logica di associazione con il circondario; qua-

lità del servizio e approccio alla costruzione del nuovo comune graduale significa dover pre-

vedere investimenti in formazione e tecnologie che garantiscano poli di erogazione dei ser-

vizi di prossimità in ogni ex comune.

Conclusa la presentazione, arriva il momento dei giro di tavolo. I primi scambi evidenziano

un generale apprezzamento per il lavoro svolto. Ci sono “alcuni passaggi da correggere”,

ma in generale, come primo quadro di sfondo, il risultato è chiaro: ciò che si rileva - dicono i

presenti - è che la fusione è giusto farla. Per ultimo, prende la parola il vicesindaco di α.

Apprezza nel metodo e come possibile approfondimento il lavoro svolto, ma ribadisce la

netta contrarietà del comune che amministra ad aderire all’ipotesi di fusione. Non esistono

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Page 128: cupio dissolvi.

“nè i presupposti politici per farlo nè tanto meno reali necessità che rendano il passo un

passo obbligato”. L’intervento intende “porre fine a questi mesi di ambiguità”, in cui hanno

convissuto una formale (e tutto sommato collaborativa) adesione al percorso con la formale

e reiterata dichiarazioni di mancanza di volontà politica di seguire la direzione prefigurata.

Niente di nuovo, in realtà, ma di fatto quella posizione di chiusura fino a quel momento mai

presa sul serio, “tanto poi ci ripensano”, acquista qui e ora e con più nettezza una propria

definitività. Tanto basta per scatenare una reazione molto accesa in uno dei sindaci e la rea-

zione degli ‘autonomisti’, sempre più arroccati e sempre meno disposti a scendere a patti.

In un clima rovente, la discussione vira verso toni minacciosi: “quando avremo fatto io co-

mune unico ‘a tre’, quando voi sarete soli, vedremo se le condizioni con cui oggi potete

avere servizi dalle gestioni associate saranno confermate”. La defezione rispetto all’ipotesi

prefigurata di fatto determina l’impraticabilità di tutto il progetto, nonostante le reiterate batt-

tute rispetto alla possibilità di “farla a tre”. A tre non può fare, lo sanno tutti in sala, e si fa

strada la sensazione che la posizione di arrocco di α stia irreversibile.

27/7 Blitz sul Fiume Blu: politica creativa e ipotesi di governance. L’unione non basta: per chi?

Ce lo ripetiamo come un mantra dall’inizio: fondersi non è solo mettersi insieme. In ogni

passaggio in cui andiamo costruendo il know how con cui affrontiamo i casi e li infrastruttu-

riamo con nuove impalcature metodo-tecnologiche ci diciamo che la fusione è un percorso

(quasi) senza ritorno e che ci vuole tempo, che è ‘tutto politico’ e ben poco tecnico. Anche

perché, proprio qui sta uno degli elementi caratteristici della fusione: la relativa ‘ultimità’ (ul-

timateness) dell’atto in se e il suo carattere creativo.

L’idea di fondere istituzioni per crearne di nuove affascina: in chi ha responsabilità di gover-

no della cosa pubblica questa prospettiva di auto-distruzione creatrice - combinata con

l’urgenza e la voglia di poter essere artefici di una riprogettazione dalla base, e cioè dalle

istituzioni, del proprio territorio - sembra piacere sempre di più.

128

Page 129: cupio dissolvi.

In un pomeriggio di fine luglio, con le valigie pronte per la montagna, mi trovo a fare punto

con il sindaco sull’andamento dei progetti che sta seguendo il mio assessorato. La giunta in

cui siedo governa un comune di circa 7.000 abitanti della provincia di Bologna, che dal

2008 fa parte dell’unione di comuni Fiume Blu, otto comuni per circa 70.000 abitanti. L’at-

tuale esperienza dell’unione è frutto della trasformazione dell’omonima Associazione, me-

diante un processo di cambiamento accompagnato dalla società per cui lavoro. Tra i vari

punti tutti di ordinaria amministrazione di cui discutiamo, c’è anche un progetto sperimenta-

le di riqualificazione dell’offerta commerciale del comune, progetto che vogliamo presentare

alla Provincia sperando che ce lo possa co-finanziare.

En passant, il sindaco mi chiede se mi risulta ciò che gli è stato detto da un comune amico:

i termini per il finanziamento degli studi di fattibilità sono stati riaperti, la scadenza è il 15 di

settembre. Dall’inizio dell’anno ci scambiamo battute su quanto sarebbe opportuno andare

verso la fusione, almeno tra i comuni più deboli del comparto, per dare un senso al nostro

mandato amministrativo e provare a fare qualcosa di utile per la comunità. Un’occasione

come questa sembra di quelle da cogliere al volo: un finanziamento per uno studio è un’oc-

casione, non è ovviamente vincolante rispetto all’esecuzione di quanto eventualmente do-

vesse emergere. Un’occasione per ragionare anche sull’unione: negli ultimi mesi la Direzio-

ne dell’Ente ha promosso prima una presentazione ai neo-amministratori sullo stato dell’ar-

te dei servizi associati e su possibili prospettive di crescita, avviando poi internamente la

realizzazione di mini-studi tematici, finalizzati a valutare la possibilità (e il gradimento da par-

te degli stessi amministratori) dell’estensione delle gestioni associate ad aree di servizi an-

cora saldamente in capo ai comuni.

Il sindaco mi rivela di aver già più volte accennato ai colleghi sindaci dell’unione della possi-

bilità di fondersi: con alcuni di questi il messaggio sembra aver attecchito, con altri meno.

Alla scala-unione (otto comuni) il tema non esiste: fantascienza. A scale intermedie - con

aggregazioni di 2-3 comuni - le fusioni appaiono possibili. È tutto da costruire: se si esclude

una fase storica nella quale tra due dei comuni58 (uno dei quali, il nostro) il tema della fusio-

ne era più o meno all’agenda politica, ora è impossibile rintracciarlo nel dibattito locale. Il

sindaco chiama il Direttore, anticipando il tema di cui poi parleranno più compiutamente in

giunta. Lei a sua volta, con noi in viva voce, chiama il mio capo, chiedendogli di proporre

129

58 ο e ρ.

Page 130: cupio dissolvi.

una data a brevissimo per incontrare i sindaci e capire quali possono essere i margini per

costruire un progetto. L’incontro sarà il 6 di agosto.

La riunione vedrà la partecipazione di tutti i sindaci. In un giro di tavolo ciascuno avanza i

propri dubbi e le proprie aspettative sull’ipotesi in discussione: secondo alcuni è preferibile

la fusione dei comuni a gruppi di 2-3, secondo altri sono due i comuni che dovrebbero na-

scere da fusione. Durante la riunione inizia a farsi largo anche l’ipotesi della trasformazione

dell’unione in comune unico. A sorpresa, quest’ultima opzione risulta la preferita. Gli accordi

prevedono che venga prodotto un progetto di massima sulla base del quale sarà poi pre-

sentata la domanda alla Regione. Dalla montagna, dove mi trovo, seguo l’evolversi della

vicenda. Il progetto che sarà poi inviato all’unione si apre rilevando l’insoddisfazione dei

comuni rispetto alla soluzione-unione, vista come parziale: “l’esperienza di unione da una

parte è giudicata dai comuni come molto positiva sia in termini di maggiore capacità di effi-

cienza sia in termini di maggiore efficacia, ma dall’altra è vista come una soluzione parziale

ai problemi e alle opportunità che oggi devono affrontare gli enti locali”.

130

Page 131: cupio dissolvi.

Per quanto performante, si argomenta, “l’unione di comuni non riesce a risolvere integral-

mente le problematiche di dispersione delle risorse, delle competenze e lo scarso potere di

tutela e promozione del territorio che ogni comune dell’unione subisce”. L’elemento portan-

te dell’argomentazione è la forza dell’unione e la quantità dei servizi che le sono delegati,

qui viene rovesciata in elemento di potenziale criticità: la progressiva unificazione dei servizi

“avvicina progressivamente i comuni aderenti alla Fiume Blu-Galliera alla paradossale situa-

zione di essere ente autonomo sottoposto a tutte le leggi dello Stato anche se sempre più

privo di funzioni gestite direttamente”.

Nella tabella che segue, l’articolazione dei prodotti proposti nell’offerta.

Studio di fattibilità per la realizzazione

di un progetto di fusione fra i comuni di

Argelato

Bentivoglio

Castel Maggiore

Castello D’Argile

Galliera

Pieve di Cento

San Giorgio di Piano

San Pietro in Casale

Agosto 2010

C.O. Gruppo S.r.l.

!

131

Page 132: cupio dissolvi.

Ambito di analisi e progettazione

Output previsti

Dimensione po-litica – istituzio-nale

- Mappatura delle “opinioni”, delle resistenze, delle criticità e opportunità perce-pite dagli stakeolders che operano nell’ambito dell’unione e dei singoli comuni.

- Taratura dell’analisi e del progetto in funzione delle criticità e opportunità indi-cate.

- Taratura del processo di informazione e comunicazione per garantire informa-zioni sul processo di scelta e conoscenze delle poste in gioco.

- Ipotesi di costruzione di un sistema di rappresentanza e tutela “diffuso” su tutti i territori e comunità fondatori.

Dimensione normativa e procedurale

- Percorso procedurale di fusione e tempi possibili;

- Report sull’impatto della fusione su trasferimenti e incentivi economici

- Supporto alla definizione di una road map regolamentare per il nuovo comune.

Dimensione or-ganizzativa e di servizio

- Report di analisi comparativa dei servizi gestiti dai comuni e indicazione per ogni linea di servizio delle azioni necessarie, dei punti di attenzione del livello di priorità.

- Analisi e simulazione nel medio – lungo periodo dei possibili risparmi economici per la gestione dei servizi nel “grande comune” e dei possibili recuperi di effi-cacia delle prestazioni di servizio.

- Macro progetto e descrizione delle caratteristiche che dovrà avere la struttura del “grande comune”.

Supporto agli apparati politici e istituzionali dell’unione e dei comuni

- comunicazione delle finalità del progetto e i risultati dello studio di fattibilità

- Predisposizione di materiali documentali inerenti i contenuti e le finalità dello studio

- Predisposizione di materiali documentali relativi alle conclusioni e ai contenuti

- Attività di presentazione dei risultati presso stakeolder, amministrazioni e citta-dini.

In ragione dell’entità del bacino territoriale da studiare, i costi di produzione dell’offerta sal-

gono. Quelli indicati all’interno dell’offerta che andrà allegata alla domanda di finanziamento

saranno la metà di quelli reali: d’accordo con i sindaci, infatti, sarà necessario un coinvolgi-

mento molto forte dei privati (in particolare associazioni di categoria), i primi ad essere inte-

ressati a un quadro come quello che prospettato. In chiusura dell’offerta si propone infatti di

costituire un “comitato di garanti aperto alle forze sociali ed economiche del territorio” che

garantisca un approccio trasparente all’indagine, un presidio non solo di natura politica, il

coinvolgimento di tutte le forze vive e attive della comunità del territorio. Il Comitato di Ga-

132

Page 133: cupio dissolvi.

ranti sarà chiamato ad analizzare i risultati dello studio a dare una valutazione sul processo

di scelta, a suggerire le azioni volte a coinvolgere la popolazione dei comuni.

Affiora l’idea secondo cui il processo di revisione del confine non possa generarsi se non

all’interno di una rete d’azione locale, nella quale le Istituzioni colgono le istanze di riforma

espresse dagli attori politici privati; un’idea secondo cui, quindi, lo sforzo anche economico

per dare il via al dibattito (mediante il dispositivo studio di fattibilità) deve necessariamente

godere di un ‘sostegno reticolare’ da ricercare tra gli attori rilevanti del territorio. Potrebbe in

altre parole risultare efficace, questa è l’idea, tentare di costituire una ‘santa alleanza’ tra

amministrazione e stakeholder dotati di una qualche rilevanza e capacità di investire risorse

per far passare l’idea della fusione. Se bastino questi attori (chi sono gli ‘attori’?) a fare un

progetto di design istituzionale, cercheremo di capirlo.

19/8 Indagine di mercato: lo sciame della fusione. Vantaggio competi-tivo su un prodotto difficile.

Subito dopo Ferragosto comincia una fase riflessiva sul lavoro che stiamo conducendo. La

frequentazione del terreno delle fusioni ha portato alla creazione ex novo di un database

aggiornato in “tempo reale”59, che mediante l’osservazione e raccolta delle tracce di dibattiti

locali sul tema (mediante un monitoraggio sistematico delle occorrenze in rete) è arrivato in

poco tempo ad individuare 27 tracce - più o meno profonde - su base nazionale. Questo

monitoraggio nasce con l’obiettivo di conoscere e dominare, circoscrivendolo, quello che

sulla base della nostra esperienza si sta configurando come ‘nuovo mercato’. Arrivare prima

degli altri, avendo costruito un know-how specialistico: è con questo obiettivo che arrivo

27 potenziali nuovi “comuni unici” composti mediamente da 4,5 comuni, per un totale di

125 comuni potenzialmente coinvolti, poco meno di un milione di abitanti.

133

59 Si è ricorso allo strumento “alert” messo a disposizione da Google: è possibile attivare il servizio di

segnalazione automatica dell’occorrenza di lemmi all’interno della rete. Il servizio consente la ricezione di

mail di segnalazioen contenenti i link agli articoli all’interno dei quali compare il termine ricercato.

Page 134: cupio dissolvi.

Di quali esperienze si tratta? Dall’osservazione del database, caso dopo caso, segnalazione

dopo segnalazione, scossa dopo scossa, s’iniziano a intravedere alcuni primi possibili rag-

gruppamenti. Un primo gruppo, cui appartengono 8 casi (di cui 5 in Emilia-Romagna), è

composta da piccole-medie esperienze in essere di “unioni di comuni” (in media composte

da quattro comuni), in cui è maturata la consapevolezza della necessità di un ‘salto di quali-

tà’ verso l’integrazione istituzionale che, pur non essendo più obbligatorio, arriva a porsi

come indispensabile una volta raggiunto il punto di non ritorno, quando cioè l’aver condivi-

so molte delle pratiche amministrative dei comuni aderenti conduce a uno svuotamento so-

stanziale del comune. In alcuni casi l’esito aggregativo si rintraccia come riferimento esplici-

to nei documenti costituenti (Statuto) delle unioni.

Un secondo gruppo di 4 casi riguarda alcune “regioni storiche” (che raggruppano in media

9 comuni) che vedono crescere dibattiti “dal basso” nel segno di aggregazioni tra comuni in

grado di dar vita a Entità amministrative che se per popolazione eguaglierebbero molti e

supererebbero alcuni capoluoghi di Provincia, per vastità territoriale si porrebbero come

inedite “Province Comunali”: è il caso della Toscana, con il Casentino o il Valdarno60, ma

anche del Veneto, con il Cadore).

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Caso Tipologia Area RegioneUnione/

CM

N.

Comuni

Abitanti

teorici (ca.)Dim. media Comuni Note

Presenza

online

Abruzzo

Teramano

Teramano

Marrucina

Geografica Centro Abruzzo NO 3 40.000 Atri, Pineto,

Silvi

Storicamente Comune unico

(Atri), poi diviso in periodo

fascista. Oggi viene costituito

un comitato per riattivare il

dibattito pubblico attorno

all’idea di riunificazione.

Geografica Centro Abruzzo NO 2 22.000 Tortoreto,

Alba Adriatica

NO

Unione Centro Abruzzo SI 2 2.000 Arielli e

Poggiofiorito

NO

Fusioni di Comuni in Italia. Schema riepilogativo dei dibattiti e delle progettualità in corso (aggiornamento al 2/9/2010).

134

60 Il “comune Unico del Casentino”, progetto promosso a partire dall’estate del 2010 dalla locale sezione

della Lega Nord prefigura la nascita di un comune sparso di 13 Enti per circa 45.000 abitanti. Il “comune

Unico della Valdarno”, ambizioso progetto promosso nel 2007-2008 da un gruppo d’imprenditori e forze

locali per la costituzione di un comune sparso di enorme estensione di 10 Enti per circa 90.000 abitanti.

Page 135: cupio dissolvi.

Un terzo gruppo di 14 casi definiti ‘geografici’, la metà del totale, composto da territori ver-

gini quanto a pratiche di cooperazione inter-istituzionale pregresse, ma che vedono al pro-

prio interno crescere il germe della fusione in modo strisciante, prima con la costituzione di

un Comitato, poi con la creazione di un gruppo di discussione su Facebook, poi con la rac-

colta delle firme, e così via.

Tipologia comuni unici Media di Abitanti teorici (ca.)

Num. medio co-muni

comuni attuali

Geografica 14 17.371 3,4 48Isola 2 48.500 7,0 14Regione storica 4 44.125 9,3 28unione 8 19.000 4,0 28Totale/media 27 23.900 4,5 125

20/8 Post: fusioni, bollettino dal fronte61

Si continua a parlare di fusioni di comuni, uno strumento ancora senza progetto, un’ipote-

si sempre più insistente in cerca di politiche. Politiche: che ne definiscano i confini di ap-

plicabilità, che ne riescano a prefigurare un impatto su base nazionale. Una ventina i casi

di dibattiti locali per l’istituzione di cosiddetti “comuni unici”, nuove entità amministrative

esito dell’aggregazione di comuni, piccoli o medio grandi. Raramente piccolissimi, ed è

già una notizia. Dall’osservazione del database che andiamo popolando, caso dopo

caso, segnalazione dopo segnalazione, scossa dopo scossa, si iniziano infatti a intravede-

re alcuni gruppi di territori sui quali stanno prendendo corpo – in modi e con stili molto

diversi – ipotesi di quella che (forse) è un’innovazione amministrativa. Ci sono le piccole-

medie esperienze di unioni mature per quel “salto di qualità” non più obbligatorio, ma che

arriva a porsi come punto di non ritorno una volta messi in comune molte delle pratiche

amministrative dei comuni aderenti;  ci sono intere “regioni storiche” (è il caso della Tosca-

na, con il Casentino o il Valdarno, ma anche del Veneto, con l’Alpago o il Cadore) che ve-

dono crescere dibattiti dal basso nel segno di aggregazioni tra comuni in grado di dar vita

a Entità amministrative che se per popolazione eguaglierebbero molti e supererebbero

alcuni capoluoghi di Provincia, per vastità territoriale si porrebbero come inedite “Provincie

Comunali”; ci sono infine casi di territori vergini quanto a pratiche di cooperazione interisti-

tuzionale pregresse, ma che vedono al proprio interno crescere il germe della fusione in

modo strisciante, prima con la costituzione di un Comitato, poi con la costituzione di un

135

61 http://strumentopoli.wordpress.com/2010/08/20/fusioni-bollettino-dal-fronte/

Page 136: cupio dissolvi.

gruppo Facebook, poi con la raccolta delle firme, e così via. Il Sud è escluso da questa

dinamica, se si eccettua il caso dell’Isola d’Ischia, che pure rappresenta un caso molto

significativo: con ben 6 comuni per 65.000 abitanti per 46 kmq (il “comune unico” di Na-

poli, su una superficie di poco doppia, ha poco meno di un milione di abitanti), infatti, re-

stituisce l’idea di un territorio frammentato fino alla polverizzazione, dove la sedimentazio-

ne storica continua a riprodurre logiche difficilmente coerenti con l’urgenza di un governo

del territorio in grado di darsi una strategia d’insieme. Gli argomenti spaziano: latente,

un’idea di territorio che si deve raccontare per poter essere, o cambiare. Illuminante, in

questo senso, il caso del comune del Carso: qui la documentatissima presentazione per il

referendum.

6/9 Preliminari sul Fiume Rosso: rappresentanza, geometrie variabili.

È uno sciame. Da un po’ ho in mente la metafora sismica per descrivere il fenomeno dila-

gante delle scosse ‘fusioniste’ lungo tutta l’Italia. Ora che li sto tenendo monitorati so quanti

sono, ma il ritmo con cui se ne fanno sentire di nuovi è tumultuoso. Stanno diventando

troppi anche per noi. Coerentemente con il ‘filone fluviale’ inaugurato, è la volta del Fiume

Rosso. I primi contatti risalivano all’estate scorsa. Il Direttore Generale dell’unione comuni

della Fiume Rosso, cercando di dimensionare l’entità della richiesta di finanziamento per

uno studio, si era rivolto a noi chiedendo una cifra di massima per l’intervento. Alla riapertu-

ra dei termini per la presentazione delle domande deliberata dalla Regione l’unione decide

di presentarne una per il finanziamento di uno studio di fattibilità sulla fusione dei comuni. Il

6 di settembre si tiene la prima riunione operativa, nella sede di C.O. Gruppo, per introdurre

il tema e farsi un’idea reciproca del come metterla in atto. Siamo agli sgoccioli: il 15 del me-

se scadono i termini, c’è appena il tempo per fare il necessario passaggio in Consiglio Co-

munale e approvare la convenzione tra i comuni in cui viene ufficializzata la volontà di anda-

re in questa direzione. La delibera regionale 354/03, in forza della quale vengono erogati i

finanziamenti agli Enti che intendono dotarsi dello strumento prevede infatti tra i documenti

da allegare alle domande “copia, conforme all’originale, della convenzione sottoscritta da

tutti i comuni ai sensi della lettera a) del punto 2, nella quale viene formalizzata a) la volontà

di conferire un incarico avente per oggetto la realizzazione di uno studio di fattibilità per la

136

Page 137: cupio dissolvi.

fusione, b) i contenuti minimi dello studio, c) i criteri di ripartizione delle spese tra i comuni

convenzionati.

A Bologna è ancora piena estate. Alla riunione partecipano il Direttore dell’unione Rumpia-

nesi e il Sindaco del comune di κ, Ruscigno,che avrà trentacinque anni, un grande entusia-

smo anni e una delega da parte dei colleghi della Giunta dell’unione a occuparsi di riforme

istituzionali. Ci spiegano che già nel programma di mandato si parla del rafforzamento del-

l’esperienza dell’unione con l’esplorazione di ipotesi di aggregazione strutturale e istituzio-

nale, cioè di fusione. Il tema è presente nel dibattito politico da almeno dieci anni, quando

ancora l’unione era una comunità Montana, prima che ne venisse proposto lo scioglimento

con il Piano di Riordino Territoriale Regionale62. Di dibattito pubblico, neanche a parlarne.

Oggi l’unione appare un’esperienza solida e consolidata, con servizi associati di Sportello

unico attività produttive, Polizia municipale, Protezione civile, Trasporto scolastico, Gestione

del Personale, Ufficio di Piano PSC,Sistemi informativi associati, Servizio informativo stati-

stico, Progettazione e direzione lavori, URP sovracomunale. Quindi, cosa vogliono da noi?

Vogliono che montiamo uno strumento in grado di dimostrare se quest’opzione di riforma

istituzionale (la fusione) ha senso o no, se tiene o no. Da quello che raccontano si capisce

che, nel discorso locale, è attualmente possibile circoscrivere due flussi (streams, nella ter-

minologia usata da Kingdon, 1984) che descrivono il territorio di progetto come un motore

a geometrie variabili: uno che vede come unica ipotesi possibile la fusione ‘a cinque’ (tra

tutti i comuni oggi aderenti all’unione), l’altra che invece immagina si possa andare verso

un’unione ‘a quattro’ che sia composta da due degli attuali comuni più altri due esito di al-

trettante fusioni. Esiste quindi una scuola di pensiero secondo cui la fusione non deve san-

137

62 Ai sensi della LR 10/08, “Misure per il riordino territoriale, l'autoriforma dell'amministrazione e la razio-

nalizzazione delle funzioni”. il formale insediamento dell’unione di comuni Valle del Fiume Rosso a decor-

rere dal 23 settembre 2009.L’unione di comuni subentra a titolo universale a tutti i rapporti attivi e passivi

della comunità Montana Valle del Fiume Rosso che ha cessato l’esistenza contestualmente all’insedia-

mento dell’unione. L’istituzione dell’unione mediante la trasformazione della comunità Montana è discipli-

nata dalla L.R. 10/08 e dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 45 del 27.02.2009.Il presente

sito è in corso di revisione.

Page 138: cupio dissolvi.

cire il superamento delle gestioni associate, che anzi sarebbero rinforzate. Il dibattito non

esiste, non è mai partito. Una cosa chiara, racconta il Sindaco, è che “nessuno vuole rinun-

ciare all’unione”, anzi c’è chi arriva a immaginarsi una scala di Distretto per il ridisegno isti-

tuzionale.

È la rappresentanza il tema che preoccupa di più questo cliente: esistono forme intermedie

in grado di mitigare gli effetti di una semplificazione del quadro politico di questa portata?

Quali strumenti giuridici sono possibili (che non siano un Quartiere, una Circoscrizione),

qualcosa di più o di diverso: nell’ambito delle proprie competenze la Regione può o no isti-

tuire forme alternative di rappresentanza?

Nei due giorni seguenti l’incontro produciamo un’offerta per la realizzazione dello studio. Gli

output previsti sono gli stessi contenuti nella proposta per la Fiume Blu. Sono articolati se-

condo tre ambiti principali di analisi e progettazione, da quella politica-istituzionale in cui ri-

vestono pesi centrali la mappatura delle opinioni (degli stakeholder) e l’individuazione di

modelli di rappresentanza “diffusa”, a quella organizzativa, in cui trova spazio un approfon-

dimento sulle economie derivanti dalla fusione in termini di contrazione della spesa e ridu-

zione degli sprechi, su cui stiamo lavorando per la consegna finale del Fiume Giallo.

9/9 Una delibera non basta: un (mezzo) passo falso sul Fiume Blu.

Il progetto per la fusione degli otto comuni della Fiume Bludiventa oggetto di una delibera di

giunta dell’unione del 9 di settembre, in cui si dà atto (richiamando quanto riportato nell’offerta

tecnica) che “nell’esperienza dell’unione sussistono dei limiti fisici e strutturali alla capacità dei

piccoli comuni e medio piccoli di ridurre i costi, migliorare la capacità di risposta, potere effet-

tuare investimenti e nel contempo garantire la migliore e più efficace capacità di rappresentanza,

tutela e promozione del proprio territorio e che “l’aumentare la capacità degli Enti Locali di otti-

mizzare le funzioni di rappresentanza e l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici locali è tanto

più urgente in una situazione di progressiva riduzione delle risorse pubbliche, di generale difficol-

tà, se non vera stagnazione dell’economia, e di aumento della competitività fra territori a livello

nazionale e internazionale”. Il testo si lancia poi in una pericolosa affermazione secondo cui l’at-

tività dell’unione “ha contribuito a creare aspettative di un complessivo miglioramento del siste-

138

Page 139: cupio dissolvi.

ma formato dall’unione e dai comuni e ha determinato un proficuo confronto tra i soggetti politi-

ci e istituzionali dell’ambito territoriale” di riferimento dell’unione e che tale miglioramento “è

possibile solo se si procede a una revisione dell’assetto istituzionale nella direzione di una sem-

plificazione del quadro politico e organizzativo. Una visione molto tranchant, questa, che di fatto

mette in discussione l’esperienza unione in modo inequivocabile: procedere a una “revisione

dell’assetto istituzionale” equivale ad affermare che la scelta di costituirsi in quel modello, l’unio-

ne di comuni, ormai è superata. Ormai, si argomenta, lo sfruttamento ed ‘efficientamento’ (co-

me si dice con brutto gergo ‘amministrativese’) delle gestioni associate e di ciò che l’unione do-

vrebbe essere in grado di dare - un assetto di governance al territorio - non è più possibile.

Questa diagnosi è condivisa, o meno, ma l’abbiamo dettata noi.

Ma una delibera di giunta dell’unione ovviamente non basta. La giunta dei sindaci decide di

forzare la mano, conscia del rischio politico che corre: la domanda ha buone probabilità di esse-

re rigettata. Mi confermeranno63 anche esponenti autorevoli della Regione che, dopo una prima

fase nella quale nelle istruttorie non era stato richiesto un tale livello di formalizzazione dell’impe-

gno da parte dei comuni, oggi l’orientamento preso dal Settore Affari Istituzionali è di considera-

re imprescindibile la presenza di pronunciamenti ufficiali - atti formali che formalizzino una forma

DELIBERA GIUNTA DELL'UNIONE

N. 25 del 09/09/2010

OGGETTO: STUDIO DI FATTIBILITA’ PER LA RIORGANIZZAZIONE E

SEMPLIFICAZIONE ISTITUZIONALE DEL TERRITORIO DELL’UNIONE RENO

GALLIERA, COMPRENDENTE LE IPOTESI DI TRASFERIMENTO DI NUOVE

COMPETENZE ALL’UNIONE, FUSIONE TRA COMUNI, FUSIONE IN UN UNICO

COMUNE.

Nella Sede dell’Unione alle ore 15:00 del seguente giorno mese ed anno:

09 Settembre 2010

In seguito a convocazione del Presidente ai sensi dell’art. 50 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e’ riunita la Giunta dell’Unione nelle persone dei Signori: MONESI MARCO P TOLOMELLI ANDREA P LONGHI VLADIMIRO P GIOVANNINI MICHELE P

GUALANDI VALERIO P VERGNANA ANNA P MACCAGNANI SERGIO P BRUNELLI ROBERTO P

Partecipa la Dott.ssa BERTI NARA Direttore. Il Presidente, MONESI MARCO riconosciuta legale l’adunanza ai sensi dell’articolo 47 del D.Lgs. 267/2000 e dell’articolo 20 del vigente Statuto dell’Unione, invita la Giunta a prendere in esame l’oggetto sopra indicato.

139

63 Vedi par. “14/1/11”

Page 140: cupio dissolvi.

di convenzionamento64 tra ciascun ente e gli altri che fanno parte della “cordata” - da parte dei

Consigli. Il ragionamento della Regione è semplice: è vero che uno studio di fattibilità non impe-

gna gli Ente che lo promuovono a procedere, ma è altrettanto vero che trattandosi di risorse

pubbliche è giusto che a monte vi sia almeno l’adesione dell’unico organo democraticamente

(perché composto di eletti) rilevante dell’Ente Locale: il Consiglio Comunale.

La domanda viene quindi inviata corredata da delibera, con la speranza che in caso di resi-

dui questi possano essere eventualmente destinati a domande ‘incomplete’: sappiamo che

a presentare domande per il finanziamento di studi di fattibilità ci sarà anche, come minimo,

la Val Fiume Rosso, dove però i Consigli Comunali dei vari comuni le delibere di convenzio-

namento le stanno votando a ritmo serrato in questi giorni. Cerchiamo rassicurazioni, ma

tutti sappiamo che le possibilità di ottenere il finanziamento sono pochissime.

17/9 Tra i Sindaci del Fiume Verde: abbattere i campanili? La difficile proiezione dell’identità

Alla ripresa di settembre si torna sul Fiume Verde. La domanda di finanziamento è stata nel

frattempo accolta positivamente: a questo progetto sono destinati 10.400 euro di finanzia-

menti regionali, stessa cifra prevista per un altro studio commissionato all’Università di Par-

ma da una piccola unione di comuni del parmense.

Oggi sono in programma incontri con due dei tre sindaci: come per il Fiume Giallo, anche

qui partiamo dalle aspettative della committenza per l’inquadramento del problema. Arri-

viamo separati all’appuntamento a η. In ipotesi, per me, c’è un passaggio per la Val Fiume

Giallo al ritorno - sono in attesa di dati dall’Ufficio Personale -, mentre il capo proseguirà per

Rimini nel pomeriggio. Il tempo è brutto, lungo l’autostrada lanciato ai 140 km/h penso alle

cose da fare. Nei giorni precedenti ho predisposto una bozza di indice del rapporto: avevo

140

64 Per la ratifica delle convenzioni tra Enti pubblici è competente il Consiglio Comunale. Nell’individuare le

caratteristiche dei beneficiari dei finanziamenti, la Regione afferma esplicitamente che (art. 1 DGR 354/03)

che Possono accedere ai contributi previsti dall'art. 17 della L.R. n. 11/2001, nei limiti delle risorse dispo-

nibili, i comuni che abbiano stipulato una convenzione per l'affidamento congiunto di un incarico profes-

sionale esterno per la predisposizione di un progetto di riorganizzazione sovracomunale delle strutture,

servizi e funzioni, in vista della costituzione di una unione, Associazione intercomunale o fusione”.

Page 141: cupio dissolvi.

iniziato a lavorarci in tFiume Blu la settimana prima, il risultato è un tentativo di aggiustare il

tiro rispetto al rapporto Val Fiume Giallo che - stiamo cominciando a esserne sicuri - non

coglie nel segno. Qua oso di più, scendo da subito nell’operativo e articolo i paragrafi par-

tendo da un’introduzione di sfondo sul ruolo delle città “Il mondo è cambiato: globalizzazio-

ne e nuovo ruolo per le Città: la realtà è cambiata, tra confini comunali e nuove strutture ter-

ritoriali”. Proseguo con un capitolo centrale (in ‘negativo’) sui costi della mancata aggrega-

zione tra i comuni: adeguatezza, sussidiarietà, differenziazione65 come possibile schema di

analisi. Processi decisionali, processi produttivi, capacità progettuale diventano le variabili

descrittive di come l’attuale configurazione dis-aggregata impatta sull’azione di governo del

territorio: la tesi sostenuta è che i costi eventuali della disaggregazione si paghino in termini

di minore capacità di governo. Concludo con la descrizione della ‘nuova identità’, con l’arti-

colazione dei passaggi tecnici e la descrizione dello studio di fattibilità per la fusione. Oltre

all’indice, funzionale all’incontro con i sindaci è un GANTT di progetto, preparato in base a

quanto contenuto nell’offerta tecnica.

Secondo i Sindaci la volontà di procedere nella direzione di un consolidamento tra i municipi

dell’area è diffusa tra tutti gli strati della società locale. In particolare, si registra un diffuso

favore verso l’ipotesi tra le forze sociali organizzate e gli attori economici66, fautori da tempo

della necessità di una semplificazione. Ribadiscono, come nel primo incontro, che nella

‘nomenclatura’ l’accordo è sostanzialmente unanime, non così nella cittadinanza (‘la pan-

cia’, secondo l’espressione di uno dei sindaci), tra le cui fila si registra un diffuso scettici-

smo. Viene descritto un ambiente nel quale è ancora viva nei cittadini la percezione affettiva

del ‘campanile’, che al contrario si dà per superato nelle pratiche concrete di vita e di lavo-

ro: si vive un’unica città, salvo poi ricordarsi della “propria” come adesione romantica ad

un’idea. Evocando il ruolo di guida dell’élite amministrativa sulle grande scelte istituzionali, i

141

65 Ci riferiamo ai tre principi fondativi dell’Amministrazione pubblica indicati dalla Carta Costituzionale

all’art. 118.

66 Pochi mesi prima dell’incontro, mentre era in corso la procedura per l’affidamento dell’incarico, si or-

ganizzava a η un convegno “Fiume Verde, una città possibile”, che metteva a tema “l’annosa questione

della Città del Fiume Verde”, organizzato dalla Confartigianato locale alla presenza di numerose autorità.

In quella sede da parte degli imprenditori giungeva forte la richiesta di "creare sino in fondo questa Città e

fare il salto di qualità passando dalla semplice gestione comune dei servizi alla promozione di politiche di

sviluppo comuni e integrate per le imprese del Fiume Verde".

Page 142: cupio dissolvi.

sindaci concordano sul fatto che va evitato il rischio di una frattura tra ‘testa’ (amministrato-

ri) e ‘pancia’ (cittadini).

Però l’identità dopo un po’ affiora, nell’argomentazione. Alcuni primi contrasti si riscontrano

sul piano terminologico-simbolico: quale nome sarà in grado di rappresentare sinteticamen-

te i tre territori? Sarà possibile trovare un nome singolare, in grado di tenere dentro tutta la

complessità plurale di tre entità che scelgono di diventare una? Ogni riferimento diretto a

ciascuna degli elementi costitutivi dei tre ex-comuni squilibrerebbe l’appartenenza: per

questo “meglio pensarci bene”. Già oggi il dibattito circa l’intitolazione del casello autostra-

dale ha reso evidente quanto la questione abbia notevoli riflessi operativi: da San Mauro il

Sindaco fa sapere la propria contrarietà all’idea di attribuire al comune che eventualmente

dovesse nascere dal processo di fusione il nome di “Città del Fiume Verde”. A “città” an-

drebbe senz’altro preferito il termine “comune”, con l’appellativo “Fiume Verde-Pascoli” per

non disperdere una parte rilevante dell’identità locale.

Cosa vogliono i sindaci dallo studio? Lo studio deve offrire, prima di tutto ai cittadini, rispo-

ste circa i cambiamenti che l’ipotesi in esame comporterebbe: deve chiarire cosa si perde,

15 settembre 2010 22:37

Fase

MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11Note di lavoro

Attività 77 99 1010 1111 12 1 2 3Note di lavoro

PreparazionePreparazionePreparazione

Definizione sfondo strategico

Definizione sfondo strategico

Definizione sfondo strategico

Definizione sfondo strategico

Quadro conoscitivoQuadro conoscitivoQuadro conoscitivo

Analisi organizzativaAnalisi organizzativaAnalisi organizzativa

ProgettazioneProgettazioneProgettazioneProgettazione

Rassegna di esperienze nazionali ed estere di

fusione municipale (selezione benchmark)AP GX

Attività già conclusa (recupero progetto

precedente)

Riunione introduttiva al tema AP GX Presentazione effettuata il 1/7

Raccolta materiali AP AP AP Al 31/12 raccolta buona parte dei materiale

secondo elenco prodotto a inizio luglio (da

verificare)Rassegna documentaz. prodotta sul territorio

FCFCTutto quello che può servire per inquadrare il

contesto

Interviste ad amministratori e portatori d’interesse

dei territori.GX

Output necessario sintesi del quadro strategico

degli interessi in campo (FC)Interviste a portatori d’interesse dei territori. FC

Output necessario sintesi del quadro strategico

degli interessi in campo (FC)

Ricognizione delle esperienze/attività presenti su

scala territoriale.FCFC

Attenzione particolare ad esperienze di

integrazione intercomunale

Raccolta materiali c/o banche dati FC FC Individuazione e misurazione principali indicatori e

linee di tendenza socio-economiche in atto

Interviste a rappresentanti enti sovraord.

(Provincia, Regione)GX

Interviste a rappresentanti associativi GX FCGX FCGX FCGX FC Da individuare con Errico (AP)

Interviste ai capi settore/dirigente dei Comuni APAPAP Da individuare con Errico (AP)

Interviste ai responsabili servizi associati APAPAP Da individuare con Errico (AP)

Raccolta dati quali quantitativi APAPAPAPAP

Analisi su impatto economico/organizzativo della

fusione APAP

Studio indicatori di bilancio (in parte da sviluppare

per Santerno)

Redazione vademecum normativo Da sviluppare già per Santerno

Presentazioni pubbliche del progetto sui territori

Sintesi dei materiali prodotti; redazione report

finaleAPAP

Studio di fattibilità per la fusione dei Comuni del Rubicone. Gantt di progetto.

142

Page 143: cupio dissolvi.

cosa si guadagna, cosa cambia e cosa no. Lo studio non deve prefigurare scenari prescrit-

tivi, quanto piuttosto individuare un percorso possibile di progressiva integrazione tra appa-

rati amministrativi e comunità locali. In particolare, un punto centrale nell’argomentazione

dovrà riguardare la riorganizzazione del personale: nella direzione della razionalizzazione do-

vrà essere predisposto un modello di rilevazione dei fabbisogni in grado di simulare lo sce-

nario attuale e quello derivante da eventuale consolidamento. Pur non ritenendolo politica-

mente rilevante, inoltre, viene comunque ritenuto necessario un approfondimento sui “costi

della politica” (minori spese ottenibili dal consolidamento delle Amministrazioni), tema che in

termini argomentativi tende a mantenere un proprio appeal.

Insieme conveniamo sul carattere pionieristico dell’esperienza che si avvia su impulso di

questo territorio: da qui scaturiranno domande (sull’adeguatezza dei livelli di governo, sui

modi di incentivazione dei processi di riforma, ecc.) cui gli Enti sovraordinati saranno chia-

mati necessariamente a dare risposte.

21/9 Confronto nonostante sul Fiume Blu: dove sta il problema? L’im-portanza della gradualità

Me l’aveva accennato pochi giorni prima il sindaco: martedì sera hanno convocato a San

Giorgio una riunione ristretta delle giunte per discutere della questione-fusione. Si vuole

condividere ex post la decisione che ha condotto la giunta dell’unione a presentare la do-

manda di finanziamento per lo studio di fattibilità, quando ancora non si sa se sarà accetta-

ta, o no.

Arriviamo in comune verso le nove di sera, capisco subito che (com’era prevedibile) saremo

in pochi. Alla spicciolata arriva qualcuno, dentro ci sono già il presidente in carica dell’unio-

ne, il segretario generale, il mio sindaco e il vicesindaco. Da soli, noi amministratori di Pieve

rappresentiamo quasi un 30% dei presenti: c’è poca gente e, cosa ancora più grave, alcuni

comuni risultano completamente non rappresentati. Inizia il presidente dell’unione, con una

lunga ed entusiastica introduzione sul perché si sia giunti a concepire un’ipotesi di percorso

verso la fusione: spiega di come l’esperienza dell’unione sia ormai matura, di come si deb-

ba andare verso una soluzione istituzionale diversa, un salto di qualità. L’entusiasmo verso

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Page 144: cupio dissolvi.

l’ipotesi di dissoluzione rende evidente ai presenti che quella prospettiva ingolosisce: attrae

l’idea di poter diventare amministratori di un comune che gioca ad armi pari con il capoluo-

go - e all’interno del quale i rapporti di forza si configurerebbero inevitabilmente secondo i

pesi dei comuni storici. Il presidente, sindaco al secondo mandato, comincia a crederci.

In risposta arriva un assessore di San Giorgio membro del direttivo di zona del Partito De-

mocratico, che rileva la “sostanziale irrilevanza e poca democraticità” dell'incontro: manca-

no quattro comuni, nessuno ha mai parlato nè in consiglio comunale nè formalmente altro-

ve. Non ha senso. Nel merito, l’assessore avanza un suggerimento: procedere a un alli-

neamento dei servizi (tariffe, aliquote, regolamenti) è un prerequisito fondamentale per poter

cominciare a introdurre l'ipotesi della fusione. L’integrazione funzionale (per servizi) e le sue

logiche non sono altro rispetto a ipotesi definitive di consolidamento istituzionale: far cresce-

re la consapevolezza rispetto al senso dello stare insieme - e di essere, insieme, un territorio

compatto che esprime idee compatte circa il proprio futuro - passa necessariamente per un

investimento in termini di visibilità e crescita anche culturale sulle logiche che sorreggono

sull’unione, oggi “punto debole, in quanto sconosciuta dai cittadini”.

Prendo la parola e capovolgendo il ragionamento spiego che sì, l’incontro è senz’altro irri-

tuale, ma che l'irritualità è giustificata proprio dall'assenza di una consapevolezza diffusa

popolare sul tema: sarebbe suicida voler andare direttamente in consiglio comunale senza

aver avuto il tempo di diffondere il messaggio “tra la gente”. Lo ‘strumento studio di fattibili-

tà’, rilevo, va intesto come occasione da non perdere per innescare un dibattito - a maggior

ragione laddove questo dibattito non esiste - non tanto su “come si fa una fusione” quanto

su “quanto siamo davvero un territorio unico”. Non solo il consenso, ma lo stesso dibattito

deve essere creato artificialmente: a richiederlo è la natura ‘governativa’ (top-down) delle

ipotesi di fusioni in Emilia-Romagna, a differenza della natura popolare in altri contesti in Ita-

lia: se qui è di fatto un ciclo di policy strettamente interno al governo (government) impernia-

to sull’uso di uno strumento di incentivazione da parte di amministrazioni locali a innescare

processi che negli anni hanno portato alla costituzione delle unioni, altrove paradossalmente

l’assenza di policy ‘spinte’ sta determinando l’insorgenza di istanze private di aggregazione

degli Enti.

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Page 145: cupio dissolvi.

Il presidente risponde rivendicando per i sindaci un ruolo di responsabilità sulle scelte che

riguardano i territori, e anche nel caso del processo in questione “dev’essere chiaro che alla

fine sono i sindaci che si assumono la responsabilità di provarci”. È la politica che decide di

metterci la faccia, ora si tratta di capire se ce la metterà fino in fondo, oltre gli incontri a por-

te chiuse.

Sull’onda dell’argomentazione sul superamento dello stadio-unione il sindaco di San Gior-

gio prende la parola per sparare a zero sull’esperienza, che “ha fatto il suo tempo”: se alcu-

ni servizi vanno bene, altri non funzionano, con ad aggravare il quadro il tema dei costi, “un

buco nero di cui non sappiamo nulla”. Ma per il sindaco rafforzare l’unione “non ha senso:

oggi non è altro che l'ennesimo Ente che agisce su delega”, rappresenta un passaggio e un

costo - economico e organizzativo - in più che si somma al resto (“una pletora senza fi-

ne...”). Nel merito, il sindaco si esprime per una soluzione di aggregazione hard, a otto co-

muni, giudicando le altre a due o quattro come addirittura peggiorative dell’attuale stato di

crisi i cui versano i comuni: non ha senso “unire delle debolezze”.

Un consigliere del comune di χ la mette sul piano della coerenza procedurale: “se lo studio

di fattibilità fatto per l'unione avallava l’opportunità di perseguire un'idea che oggi secondo

voi è già superata, allora bisognerebbe studiare di più e/o meglio”. Chi oggi vuole andare

nella direzione della fusione - continua - deve assumersene la responsabilità fino in fondo:

non vale affermare che lo studio può sempre tornare utile anche se non si farà la fusione,

quasi a giustificarsi in anticipo per aver voluto usare denaro pubblico sapendo in partenza

della improbabile percorribilità del percorso oggetto di studio. Viene stigmatizzata l’eccessi-

va prudenza con cui si sta procedendo, che se da un lato sarebbe utile a smorzare i toni

delle polemiche derivanti dal mancato coinvolgimento democratico, dall’atra instillano il

dubbio che gli stessi proponenti ci credano, ma fino a un certo punto. Poi un richiamo alla

politicità dell’oggetto e alla necessaria assunzione di responsabilità: “non possiamo deman-

dare ai consulenti le motivazioni del progetto, a loro vanno chieste la direzione e una valuta-

zione sullo stato dell'arte dell'unione. Il mio sindaco perora la causa del “consenso informa-

to”: per decidere qualsiasi cosa occorre disporre di un base informativa minima, in questo

caso è particolarmente fondamentale.

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Page 146: cupio dissolvi.

La chiusura del dibattito spetta al presidente. L’unione non è un’esperienza da buttare, è

stata al contrario un “momento organizzativo di progressiva integrazione che dall’associa-

zione di comuni porta all’esistenza, oggi, di una crescente idea comune di territorio”. Il qua-

dro strutturale degli Enti Locali è però a tal punto cambiato che quella risposta dev’essere

sottoposta a revisione: non se ne può più dare per scontata l’adeguatezza. Occorre corag-

gio: passa l’idea secondo cui i territori non possono subire processi governati dall’alto e

dettati da necessità collettive che tendono a far impattare sul locale i sacrifici necessari.

Quei processi - che stanno portando ad una progressiva perdita di autonomia dei territori in

uno scenario di garanzia sempre più solo formale di mantenimento delle prerogative di go-

verno - vanno dominati e anticipati. “Non possiamo giocare in retroguardia. Dobbiamo lan-

ciare il cuore oltre l'ostacolo”.

A fine mese arriva la notizia che aspettavamo: la domanda non ha passato la fase istrutto-

ria. Ci diciamo che “è meglio così, che avremo più tempo per preparare il terreno”: la pros-

sima scadenza è quella del 15 di maggio, in teoria il tempo per costruire i presupposti su

cui far poggiare lo studio ci sarebbe. Poi c’è la questione del co-finanziamento: i privati nel

disegno proposto hanno un ruolo centrale, se ci si crede è tempo di cominciare a fare fund

raising. È un percorso punteggiato di ipotesi. L’effettiva possibilità di procedere dipende dal-

lo scioglimento di una serie di nodi tecnici e di un solo grande nodo politico: quale qualità

vogliamo per la democrazia locale.

21/10 Fiume Giallo che resiste: dalla Linea Gotica alla linea eolica. Pa-le, autonomia, resistenza.

Che cosa si perde, che cosa si guadagna: è il ritornello con cui ci consegnano l’obiettivo

degli studi di fattibilità. Sarebbe un banale calcolo costi-benefici, se non fosse che parliamo

di ricostruire l’identità istituzionale. Allora vorrei provare a capire come risponde al ‘cosa si

perde’ un attore istituzionale che resiste all’ipotesi di fusione. Questa domanda in testa che

decido di tornare a Caste del Rio per capire meglio il sistema argomentativo che gli attori di

questo milieu mettono al lavoro: per confutare la diagnosi che tende a dare per certamente

preferibile l’opzione aggregativa.

146

Page 147: cupio dissolvi.

Il giorno prima telefono all’assessore con cui fin da subito si è stabilita una relazione cordia-

le, prospettandogli un incontro e promettendogli che andrò con la sola veste del ricercatore:

non verrò per convincere nessuno, sotterro l’ascia di guerra. In questi ultimi giorni per con-

fezionare la consegna finale sto facendo gli ultimi passaggi nei comuni. Verso fine settembre

tornavo in vallata per un’incursione sul tema delle spese per personale: con la responsabile

dell’Ufficio Personale Associato avevo verificato se nell’attuale configurazione delle piante

organiche si potesse intravedere qualche margine di recupero nel medio periodo, simulan-

do l’interazione tra l’impatto dei pensionamenti e i vincoli alle nuove assunzioni, sempre più

stringenti67. Nella stessa mattinata ero riuscito a raccogliere dati sulla destinazione degli

oneri alla spesa corrente e un po’ d’informazioni sulla capacità d’investimento. Avevo quello

che mi serviva per mettere insieme il rapporto operativo. Oggi, invece, voglio capire come

viene spiegata l’opposizione al progetto, possibilmente dati alla mano. Finora abbiamo rac-

colto molte voci contrarie all’ipotesi di istituzione del comune unico, ma è necessario circo-

scrivere gli schemi argomentativi sui cui si fonda la resistenza. Arrivo in anticipo, in tempo

per fare due passi nella piazza del paese: tra due giorni ci sarà il secondo finesettimana del-

la Sagra del Marrone di α, è l’evento dell’anno, incentrato sul prodotto - il marrone tutelato

dall’IGP - su cui gravita buona parte dell’economia locale, dalla coltivazione alla trasforma-

zione. L’assessore lo incontro in strada di fronte al comune, arriverà un po’ in ritardo all’ap-

puntamento, deve andare alla scuola elementare per le fotografie del calendario.

Finalmente mi riceve nel suo ufficio: da un po’ di tempo oltre che assessore a tempo pieno

è anche direttore del Museo della Guerra dedicato alla Linea Gotica, il fronte che passava

sui crinali che segnano il confine tra il il territorio del comune e la Toscana. La Linea Gotica:

perfetta metafora del “¡no pasarán!” che oggi sintetizza la posizione di comune più a monte

della vallata. Lo storico direttore del Museo, Ivano Rossi, che abbiamo intervistato a marzo

147

67 La previsione circa l‘impossibilità di coprire ogni cessazione in misura non superiore al 20% è contenu-

ta all’interno del DLGS 78/10 convertito in L. 122/10. Sulla inapplicabiità della misura almeno ai comuni

con meno di 10 dipendenti si veda il documento approvato nel corso dell’ultimo Congresso ANCI Piccoli

comuni del 24-25/9: “Chiediamo, inoltre, che sia confermata formalmente e definitivamente l’interpreta-

zione che ANCI ha formulato riguardo alla non applicabilità del limite del 20% delle cessazioni dell’anno

precedente al turn over degli Enti fuori patto di stabilità. Impossibile da applicare ad Enti con 5, 10, 15, 20

dipendenti”. http://www.piccolicomuni.anci.it/x_conf/documento_approvato.pdf

Page 148: cupio dissolvi.

sulla fusione in qualità di campione degli oppositori, è morto da appena qualche settimana.

Iniziamo la chiacchierata parlando dei nostri rispettivi percorsi, che scopriamo essersi incro-

ciati nella comune frequentazione universitaria.

Questa è una sintesi delle principali linee argomentative sviluppate.

1. Autodeterminazione. “Ne ho parlato con vari amministrativisti: l’autonomia dei territori è

un bene che non può essere messo in discussione. La negoziabilità rispetto al valore

intrinseco dell’autonomia si dà solo a fronte di ragioni molto forti: sarebbe ragionevole

parlare di fusione solo qualora l’idea scaturisse dal territorio e da chi lo abita. L’autono-

mia potrebbe messa in discussione nel momento in cui dovessimo alzare bandiera

bianca e non farcela più”. L’autonomia è sacra, in quanto tale un valore inalienabile e

che può essere persa - salvo previsioni diverse del legislatore, che appaiono molto im-

probabili - solo qualora vi sia un’autodeterminazione in questa direzione. Perdere l’auto-

nomia significa smettere di avere amministratori meno presenti, meno “sul pezzo”, inca-

paci di leggere il territorio in modo davvero originale. Si dice: se non ci sei immerso, non

puoi davvero capire quali sono i bisogni di un territorio, il che in un certo senso rende

inefficaci gli strumenti consolidati di conoscenza a supporto del governo. Il locale divie-

ne quindi un bene inaccessibile e indisponibile se non all’interno di un microscopio auto-

referenziale.

2. Solidarietà politica. Ma poi qual è la scala giusta per un comune? Chi decide la dimen-

sione? Il problema è tutto politico. Così come solo politica è la soluzione. Oggi il nodo

attorno al quale si stanno giocando gli equilibri del circondario Imolese è quella dell’ado-

zione del nuovo Statuto dell’Ente. La Segretaria Generale me ne aveva parlato nel no-

stro primo incontro: già dall’inizio dell’anno, a seguito dell’emanazione del Decreto “Cal-

deroli”68 si era reso necessario un ripensamento del sistema governo dell’Ente: durante

l’anno si è aperta la fase di modifica dello Statuto, chiamato a riscrivere la rappresen-

tanza dei singoli comuni all’interno degli organismi (Consiglio, Giunta, Ufficio di Presi-

denza). “La vera partita è quella dello statuto”, mi conferma: verso fine estate emergono

alcuni nodi che portano molti dei comuni a rifiutarsi di firmare il documento: tra questi

148

68 Il riferimento è al DL 2/10 recante “Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni” (G.U. n. 20 del

26/01/2010, convertito in Legge il 23/3/10

Page 149: cupio dissolvi.

figura anche α, che non vede di buon occhio molte delle previsioni contenute nella boz-

za di riforma la cui adozione si dovrebbe deliberare in consiglio comunale: ad esempio,

non è previsto il recesso dall’ente di secondo grado. Non sarebbe quindi più l’ente di

primo a governare il secondo, ma il contrario. Imola è il capoluogo. La sua classe politi-

ca rivendica da sempre un’autonomia crescente nei confronti di Bologna e oggi la parti-

ta del comune unico appare strettamente connessa alle sorti che può avere il circonda-

rio, l’Ente di secondo livello che da “sub-provincia” si sta trasformando in “super-unio-

ne”: il prezzo da pagare per poter fare quadrato attorno a Imola è la non belligeranza del

centro nei confronti dei comuni più periferici. La compattezza del quadro politico locale

è alla base di buona parte di tutti gli schemi strategici che fanno perno sul destino del

circondario e sull’opportunità di costituire un comune unico. Perdere l’omogeneità poli-

tica dell’imolese è il primo rischio che la fusione potrebbe aiutare a non correre: “i piccoli

comuni non sono più certi, un comune unico fai più fatica a perderlo”.

3. Fiducia e autonomia. I comuni della vallata hanno smesso da tempo di essere autonomi

l’uno dall’altro. La comunità Montana prima, le gestioni associate poi hanno di fatto de-

terminato una diminuzione sostanziale degli spazi di “solitudine amministrativa”, aumen-

tando l’integrazione e consentendo il mantenimento di livelli minimi di servizio che con

scelte diverse non avrebbero potuto essere garantite. I risultati non sono per tutti inco-

raggianti: se si escludono alcuni servizi, in generale “non si può dire che insieme si sia

lavorato bene”. C’è sfiducia anche da parte della gente rispetto a “come potrebbe fun-

zionare un comune unico, se non siamo stati capaci di lavorare insieme essendo sepa-

rati”. È un problema di competitività tra territori: nella gara per i finanziamenti ormai i

comuni sono l’uno contro l’altro. Quindi è giusto fare insieme, ma “fino a un certo pun-

to”. La scelta di cooperare tiene fino a quando tiene la valutazione condivisa degli equili-

bri su cui si fonda. In questo senso, non gioca a favore l’esperienza di convivenza all’in-

terno del circondario, responsabile del mancato raggiungimento di alcuni obiettivi stra-

tegici fondamentali come - su tutti - il Piano Strutturale Comunale associato, documen-

to fondamentale rispetto alle previsioni di governo del territorio vasto in gestazione da

anni e ancora lontano dall’essere adottato.

4. Tattiche. “Rinegozieremo i mutui, ma non faremo alienazioni”. Si tira ovunque sia possi-

bile, costruendo giorno per giorno la rotta, definendola non in base a un disegno preor-

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Page 150: cupio dissolvi.

dinato ma aggiustandola secondo le modificazioni del contesto; ad esempio, il comune

difende con le unghie e con i denti la permanenza della scuola sul territorio - anche nelle

frazioni più remote - e di fronte al rischio di perdere il servizio di doposcuola per la man-

canza di fondi fa fund raising sulle banche e le associazioni di categoria, e ci riesce. Ma

non basta. È nel territorio e sulle sue peculiarità morfologiche che bisogna andare a cer-

care il vero deus ex machina che consentirebbe a α di sopravvivere anche senza la fu-

sione: le pale eoliche.

I conti del comune sono a posto: in un quadro pur molto precario in cui dovessero essere

confermate le attuali regole di compartecipazione alla spesa per i servizi associati e non bi-

sognasse fare i conti con i pensionamenti, in questo quadro tutto si tiene, tutto meno la ca-

pacità d’investimento, sostanzialmente annientata dall’indisponibilità di risorse proprie per la

spesa in conto capitale aggravata dalla crisi del mercato immobiliare, che quassù si fa senti-

re in modo particolarmente aspro. E allora dove trovare le risorse per finanziare le opere, la

manutenzione ordinaria e straordinaria? Sul crinale, dove ci sono “due nuove miniere di ven-

to da sfruttare”. Da qui a tre anni non ci sono problemi, la tenuta è assicurata. Nel 2007,

con delibera 98/07 il consiglio provinciale approvava la procedura di Valutazione di Impatto

Ambientale del progetto di “Realizzazione di un impianto eolico nei comuni di Monterenzio e

α, località Casoni di Romagna” e il contestuale rilascio dell’Autorizzazione Unica ai sensi

della L.R. n. 9/1999, del D. Lgs. n. 387/2003 e della L.R. n. 26/2004 alla società proponen-

te, l’azienda ex municipalizzata AGSM Verona S.p.A. Oggi, i 16 impianti che sono stati poi

realizzati (di cui solo due in territorio di α), contribuiscono a pagare la bolletta energetica del

comune. La disponibilità del crinale diventa elemento determinante nel dare corpo alla Linea

Eolica, sulla quale l’amministrazione tenta di fermare l’avanzata delle “truppe fusioniste”.

Vamos bien, mi dice scherzando l’assessore citando Fidel Castro. Andiamo bene, fino a

quando tirerà vento e ci sarà spazio sul crinale. Lo spazio c’è, su un’altra montagna, su cui

già si sta progettando un altro intervento. Solo pochi giorni prima, in comune, alla presenta-

zione del nuovo progetto il sindaco dichiara che “molti cittadini di Giugnola si sono detti

d’accordo - spiega il sindaco. Nella convenzione con l’azienda infatti potrebbe essere inse-

rito il rifacimento della strada panoramica Monte La Fine e sconti in bolletta per i residenti,

com’è successo per il parco eolico di Casoni di Romagna”69. Tra “applausi e qualche la-

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69 “Critiche e applausi per il parco eolico”, Il Resto del Carlino Imola 1/10/10

Page 151: cupio dissolvi.

mentela di un’associazione ambientalista” si presenta il “parco eolico ‘Il Sasso’ che sorgerà

a α che sarà realizzato a Monte La Fine dalla modenese Tencom, con un investimento di

25-30 milioni di euro per otto pale alte decine di metri”.

L’“associazione ambientalista” è in realtà una rete di comitati, la “Rete di resistenza sui cri-

nali”, nata qualche mese fa per mettere a sistema le decine di comitati sorti lungo tutto

l’Appennino per contrastare l’installazione di impianti eolici. Mi metto in contatto con il refe-

rente della Rete, chiedendogli di fare due chiacchiere per capire. Com’è questa storia del-

l’eolico? È economicamente sostenibile? Lui accetta di buon grado e ci incontriamo a Bo-

logna. Mi racconta del sistema di incentivazione degli investimenti in “energie rinnovabili”,

con il sistema dei certificati verdi che fissa una quota di produzione di energie pulite sul to-

tale delle energie sporche, assegnate all’eolico e al fotovoltaico, fino ad arrivare al 7,5% per

12 anni di durata, che diventano 15 con il Governo Prodi. Il versamento di royalties ai co-

muni su cui sorgono i parchi non è più consentito. Privilegi di natura feudale sarebbero alla

base dello stile di gestione che certi sindaci hanno verso il territorio amministrano, lo si vede

bene laddove come in questo caso gli interessi in gioco sono enormi, in un sistema com-

plessivo non esente da ombre70. È l’idea che sul territorio si possa fare ciò che si vuole a

non funzionare, quando si ritiene di poterne disporre anche a patto di stringere accordi con

società e dal curriculum non sempre cristallino e che si rivelano poi ben poco affidabili: la

municipalizzata partecipata dal comune di Verona è stata sanzionata dall’Antitrust per aver

operato su un mercato esterno esercitando un monopolio in casa propria. “Oggi l’affare de-

151

70 Oreste Vigorito, presidente del Calcio Benevento, e presidente dell'Anev, Associazione Nazionale

Energia del Vento è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Avellino, nell’ambito di un’operazione sui

parchi eolici, denominata «Via col vento», che ha portato al sequestro di sette parchi eolici riconducibili a

9 società di Avellino.Presentavano false certificazioni per avere accesso a contributi erogati in favore dei

produttori di energia eolica le quattro persone arrestate dalla Guardia di Finanza di Avellino, nell’ambito

dell’operazione ’Viacolventò che ha portato anhe alla denuncia di altre 11 persone (Il Corriere della Sera

10 novembre 2009)

Page 152: cupio dissolvi.

gli affari è l’eolico71” l’ha detto il Ministro Tremonti stigmatizzando la politica di eccessiva

incentivazione di questa fonte di energia. Secondo il mio interlocutore, alla base di tutto c’è

il Partito. Il governo provinciale e regionale sono sempre stati favorevoli, “con uno zelo che

riteniamo eccessivo”.

3/11 Sul Fiume Verde: rappresentanze, interessi, sfiducia nella politica. Quali ‘condizioni’ di fattibilità?

All’inizio di novembre sto già per concludere il mio giro d’interviste. Ce le siamo divise, da

ieri abbiamo messo in pista anche una giovane ricercatrice che sta concludendo la laurea

specialistica e cominciando una fase di apprendistato, che se ne accollerà alcune. Oggi in-

contrerò tre associazioni di categoria, un attore chiave del processo che si sta avviando se-

condo quanto gli stessi sindaci ci hanno anticipato. L’avevamo visto: era compreso anche

nei materiali che ci hanno prodotto le segreterie dei vari comuni, il rapporto “Città del Fiume

Verde” commissionato dalla Confartigianato di η e alla base di un convegno tenutosi di re-

cente. Lo studio descrive il perché sia corretto andare nella direzione di un “comune unico”;

le associazioni (quella, in particolare) il tema l’hanno eletto a propria bandiera politica. Non

da oggi, da almeno vent’anni. Me lo conferma il direttore, che rivendica una primogenitura

dell’idea del ‘comune unico’. Loro s’interpretano come agenti d’integrazione territoriale, per

vocazione: mi racconta di quando, all’insediamento delle nuove giunte municipali, lui porta i

sindaci a “fare un giro per il territorio” per raccontare sul campo le eccellenze, i problemi, i

nodi critici, in generale per situare il rapporto di rappresentanza entro una lettura comune

dello spazio.

152

71“Ma quella morale è una questione generale. [...] Troppo spesso i fondi pubblici sono una pipeline ver-

so gli affari. Oggi l’affare degli affari è quello dell’eolico, almeno questo non inventato da noi. Vastissime

aree del Paese sono deturpate da pale eoliche sorte all’improvviso, in un territorio che nei secoli passati

non ha mai avuto i mulini a vento. E forse ci sarà una ragione. È in tutto questo che vedo la grande que-

stione morale, questo è l’albero storto che va raddrizzato. E per farlo non vedo alternative al federalismo

fiscale. L’unica, l’ultima forma per riportare nella trasparenza e nell’efficienza la cosa comune” (La Repub-

blica, 10/7/10)

Page 153: cupio dissolvi.

È un problema di tempo: la variabile “tempo” ricorre come centrale nelle tre chiacchierate:

se ne parla da sempre, “da troppo tempo perché sia una cosa seria”.

Perché sì deve fare? In primo luogo, per una motivazione strategica: un territorio coeso an-

che sul piano istituzionale ha più possibilità di contare. Oggi, infatti, questo “comune unico”

non avrebbe nulla da invidiare agli altri territori, per peso economico. Il distretto industriale

unito alla vocazione turistica creano un binomio capace anche di sinergie importanti (si veda

in questo senso la funzione di de-stagionalizzazione del factory outlet), la “potenza di fuoco”

è molto rilevante sia in relazione al contesto provinciale-regionale sia, su scala più ampia,

alla scala della “città adriatica” di cui questo territorio costituisce un lembo assai significati-

vo. In secondo luogo, per raggiungere risultati di aumento di efficacia-efficienza delle mac-

chine amministrative: è importante fondersi perché aumenta il bacino di utenza dei servizi

che porta a un sicuro miglioramento della qualità e contrazione dei costi degli stessi.

Un comune più grande, si dice, raggiungerà una maggiore specializzazione dei propri orga-

nici, che oggi per forza di cose dovendo garantire su più fronti le stesse competenze teori-

che di fatto non le garantiscono a nessuno.

Ci sono possibilità che si faccia? In generale, non c’è molta fiducia che si possa fare. I terri-

tori sono già caratterizzati da un’integrazione molto forte, sono le stesse caratteristiche

morfologiche a favorirne il processo. Ma è proprio verso l’efficacia di quest’integrazione in

termini di raggiungimento degli obiettivi di governo che sembra esserci poca fiducia da par-

te delle associazioni: “è chiaro che con il solo coordinamento - restando separati - non ce la

possiamo fare”. Il mantenimento dei centri di decisione e degli apparati politici disarticolati

su un territorio integrato funzionalmente lo inibisce dal funzionare bene complessivamente:

impedirebbe al territorio di dotarsi di visioni strategiche unitarie. Un rischio congiunturale

esiste, ed è rappresentato dall’esito delle elezioni nel comune di ζ nel 2011. L’interruzione

di un ciclo di governo che è monocolore dall’inizio della storia repubblicana rappresente-

rebbe un blocco esiziale per il processo: in quel comune, lo verificheremo, il dibattito sull’is-

sue-fusione si sta radicalizzando, e sarà con ogni probabilità tema chiave della contesa

pre-elettorale. Se c’è qualche ostacolo alla fusione, questo potrà venire solo dalla politica.

Come vanno le cose oggi? L’esperienza dell’unione è nata e cresciuta senza un investimen-

to reale in integrazione da parte dei comuni: l’unione non ha favorito l'integrazione perché

153

Page 154: cupio dissolvi.

non la si è fatta a partire dall’omogeneizzazione di quei dispositivi davvero fondamentali che

sono i regolamenti, che da soli sono in grado di costruire l’ossatura per una produzione

compatta di policy da parte di soggetti diversi. La persistente difformità dei regolamenti

rappresenta la ragione fondamentale per cui i le associazioni di rappresentanza invocano

scenari di semplificazione: ridurne il numero significa ridurre i costi di produzione e mante-

nimento dei relativi strumenti di studio, aggiornamento e policy associativa. Sui servizi, il

tema ricorrente, confermato, guarda poi alla Polizia Municipale associata come a un “dis-

servizio drammatico”, che ha lasciato un comune come η senza presidio fisso sul territorio.

Quando dev’essere fatta la fusione? La fusione si dovrebbe fare da tempo. Se finora il pro-

cesso è rimasto bloccato è per il mancato accordo politico sul progetto. Oggi i politici sem-

brano tornati a ragionare all’unisono. Dieci anni fa i comuni vollero dotarsi di uno strumento

urbanistico volontario (cosiddetto “masterplan”) che funzionasse da base per una pianifica-

zione strategica, salvo poi non adottarlo. Dopo anni in cui si è voluto produrre tentativi di

lettura del territorio rimasti chiusi in un cassetto, e una fase - quella attuale - nella quale la

chiave associativa sta faticando a produrre strumenti di lettura comune del territorio, oggi

sembra si diano le condizioni per partire.

26/10 Sul Fiume Rosso: politica, capacità, attori. Strutturare una vo-lontà per il consenso

Dopo pochi giorni è tempo di cominciare sul Fiume Rosso. Il primo accesso al campo è in

programma per il primo pomeriggio. Sbagliamo strada, arriviamo con venti minuti di ritardo:

il comune di ξ, sede dell’unione, è nella frazione Castelletto, e il navigatore ci porta fuori

strada. Intanto la riunione di Giunta nel cui ordine del giorno siamo inseriti è ancora in corso,

facciamo anticamera in un corridoio stretto, in piedi, tra le porte dei vari uffici. La sede del-

l’unione è nel palazzo comunale di questo comune sparso di meno di 5.000 abitanti e quasi

40 kmq, nella prima collina ai confini con la provincia di Modena. In questo pomeriggio di

ottobre, fuori ci sono alcuni crocchi di anziani e immigrati che giocano a carte al bar. Dap-

pertutto, manifesti pubblicizzano la sagra del gnocco fritto che si tiene nei fine settimana di

ottobre.

154

Page 155: cupio dissolvi.

I sindaci ci accolgono in una piccola sala riunioni con i banchi a ferro di cavallo, il soffitto è

basso e opprimente, dalle finestre si vedono i campi arati di fresco. I nostri posti sono al

centro. La scena è quella di una corte: noi saremo interrogati. È lo stesso Sindaco che ave-

vamo incontrato quasi due mesi prima a fare gli onori di casa. Il Direttore dice di aver avuto

rassicurazioni da parte della Regione rispetto al fatto che lo studio di fattibilità sarà finanzia-

to (sono pervenute due domande, ma solo una sarà finanziata), ora restano da fare alcuni

passaggi amministrativi per la formalizzazione del contratto. Nel frattempo, dice, è necessa-

rio fare partire la discussione: è in sede politica che il progetto, su cui già i Consigli Comu-

nali si sono espressi, dovrà essere condiviso. La ‘politica’ è il medium con cui l’Amministra-

zione conosce il territorio, e così sarà per la consulenza chiamata a gestire il delicato tema

della fusione.

Raccontiamo di come ormai il campo delle fusioni e il nostro know-how si sta consolidando

e di come saranno utilizzati indicatori specificamente “tagliati sulla fusione”, io di rincalzo

aggiungo come stiamo predisponendo uno strumentario sempre più “raffinato” per aggredi-

re il problema: un elenco informativo di start up che ci consente di avere tutta la documen-

tazione per impiantare lo studio. Poi, per buona parte della prima parte della discussione ci

attardiamo a descrivere il processo giuridico che porta al referendum e di lì alla Legge istitu-

tiva del nuovo comune. Per sostenere l’argomentazione estraggo dal portatile il diagramma

di flusso ricostruito per il rapporto del Fiume Giallo sulla base delle indicazioni ottenute in

Regione, in cui viene sintetizzate le varie fasi. Poi intervengono i sindaci.

Secondo il sindaco di λ e Presidente dell’unione “alcuni stanno alla finestra”; da parte sua

l’adesione è totale, già nel corso del precedente mandato aveva avuto modo di dichiarare

“occorre dialogare e collaborare, andando oltre i particolarismi dei singoli comuni e verso

una vera unione di servizi che, in futuro, potrebbe anche portare a fusioni tra comuni”72. Af-

ferma che il vero interesse verso un progetto come questo riguarda la possibilità ridare ca-

pacità ai territori. Se tutto è politica, pensare in grande - progettando riforme di grande re-

spiro - può restituire una maggiore capacità di fare politica ai e nei territori.

Per il sindaco di κ di fusione si parla ormai da quindici anni: ogniqualvolta emergono pro-

blemi di particolare difficoltà rientra in agenda il tema delle riforme istituzionali, ma oggi la

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72 Documento per una verifica di metà mandato, 2007.

Page 156: cupio dissolvi.

fusione torna ad andare di moda come panacea per risolvere i problemi economici. “Non

può essere così, il processo è più complesso e in quanto tale ha bisogno di più tempo”,

dice: lo studio deve servire come base per l’argomentazione, ma certamente non esaurisce

il lavoro necessario per arrivare all’obiettivo. Per il Sindaco dobbiamo fare lo sforzo di “non

vedere” la soluzione: ci vuole uno sguardo laico.

Per il Sindaco di ι la politica ha di certo un ruolo centrale, quindi: è vero che vanno costruite

le condizioni del consenso attorno all’idea, poi però “ammesso che si voglia fare, bisogna

capire come poterlo fare”. La fattibilità - la “sostenibilità” - del nuovo comune dev’essere

dimostrata con dati e argomentazioni scientificamente strutturate. Ed è su questo valore

aggiunto auspicato che acquista significato l’incarico al soggetto terzo “società specializza-

ta”. Ci si accorda sull’individuazione di un referente per comune per la raccolta e trasmis-

sione dei dati. Al Direttore stanno molto a cuore gli equilibri istituzionali: in chiave di politica

inter-istituzionale è consapevole di come un progetto innovativo e quasi (per ora) senza pre-

cedenti in Emilia-Romagna possa determinare per l’Ente e per i comuni una possibile inter-

locuzione diretta con il livello legislativo, e per questo farà richiesta alla regione affinché af-

fianchi la SPISA con il nucleo tecnico istituito all’interno del settore Affari Istituzionali. Il mo-

mento è storico per l’unione: il convenzionamento con l’unione da parte dei comuni è ormai

ai massimi, anche grazie ad una progressivo consolidamento del personale che attraverso

lo strumento giuridico del trasferimento è passato in tre anni dai 10, ai 34 e infine 56 addet-

ti.

Le ultime battute si spostano sugli attori da coinvolgere nel processo di analisi del clima po-

litico e informazione: chi sono gli attori? Quale elemento determina la rilevanza di un corpo

sociale come attore? Salutiamo tutti con una stretta di mano, fissandoci un appuntamento

a breve. Prima di ripartire decidiamo di andare in cerca di un gnocco fritto per completare

con una merenda sostanziosa questa prima presa di contatto con il nuovo oggetto di stu-

dio. La ricerca ci porta in un bar illuminato da una luce fioca e frequentato da una varia

umanità di disoccupati e pensionati. Vestiti in giacca e cravatta, diamo nell’occhio. L’anzia-

no barista, incuriosito da due avventori certamente eccentrici rispetto alla media, ci serve

gnocco fritto e salame.

156

Page 157: cupio dissolvi.

28/10 Ritorno a Ledro: soldi e deroghe non bastano. Tramonta l’idea della ‘best practice’

Un punto chiave sul quale ancora non ci eravamo chiariti le idee riguardava il processo di

transizione che conduce il comune dalla legge regionale istitutiva alla piena operatività: non

basta “chiamarlo” per farne esistere le strutture amministrative ed economiche, così come

non basta istituirlo per soddisfare i criteri burocratici più spicci dei quali ignoriamo la stessa

esistenza. Che fine fanno le carte di identità? I codici fiscali? Gli indirizzi? Dove abiteranno

per l’anagrafe i cittadini dei nuovi comuni, ‘orfani’ di quelli d’origine? Come si gestisce la

transizione di più bilanci entro un unico documento? Propongo di tornare a Ledro, chieden-

do alla Segretaria di partecipare sul posto a un seminario di approfondimento sul “consoli-

damento istituzionale”, sulla pratica di fusione di Enti e sulle principali avvertenze di cui tene-

re conto. Il mio obiettivo, oltre le intenzioni dichiarate, è di creare una connessione tra GX e

la Segretaria, la creazione del campo di pratiche su cui stiamo lavorando passa anche da

qui. La chiamo, lei accetta di buon grado di dedicarci ancora altro tempo dopo l’incontro di

maggio.

FUSIONI DI COMUNI. I NODI AMMINISTRA-

TIVI NEL PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO

ISTITUZIONALE.

Seminario interno di approfondimento e sintesi dello studio di ca-

so “Comune di Ledro”.

Comune di Ledro, 28 ottobre 2010

Premessa

L’occasione per l’avvio dell’attività di osservazione sul fenomeno “fusioni di Comuni” si presenta a se-

guito della formalizzazione di una serie di incarichi professionali1 di consulenza organizzativa e suppor-

to al cambiamento da parte di alcune Amministrazioni locali. Da subito la sfida emerge in tutta la sua

rilevanza: dopo anni in cui la domanda di innovazione amministrativa espressa dagli Enti Locali ha co-

inciso essenzialmente con l’intero ventaglio di opportunità possibili nel segno della cooperazione tra

istituzioni, ora non si tratta (più) di immaginare come organizzare servizi comuni o tutt’al più Enti

(Unioni) che li gestiscano, ma di pensare da zero - in assenza di repertori di pratiche ed esperienze

pregresse - modelli di intervento e supporto a progetti di dissoluzione verso scale più ampie.

1 Incarichi conferiti mediante affidamento diretto e gara ad evidenza pubblica alla società C.O. Gruppo SRL (so-

cietà del gruppo di ricerca dell’Associazione Ricerca sulle Organizzazioni Complesse della Facoltà di Scienze

Politiche dell’Univesità di Bologna).

157

Page 158: cupio dissolvi.

Arriviamo verso mezzogiorno in una vallata deserta. Entrando in comune, si ha la sensazio-

ne che quello sia l’unico luogo frequentato nel raggio di chilometri. Fuori, tutto chiuso, solo

molti operai sono intenti a fare manutenzione alle aiuole, perfette. Nell’ufficio della Segretaria

c’è un tavolo da riunioni di cristallo, ci accomodiamo lì e incominciamo. Avevamo anticipato

in un documento preparatorio il senso della richiesta: “nel tentativo di isolare alcuni grandi

indicatori in grado di rendere comprensibile e comunicabile la fattibilità (ed eventuale conve-

nienza) dei processi di fusione, il nostro gruppo di ricerca sta affinando tecniche di rilevazio-

ne e strumenti conoscitivi tanto delle istanze popolari (propensione verso l’ipotesi di conso-

lidamento) quanto della simulazione economica e organizzativa nel medio-lungo periodo”.

Ora spieghiamo dove vogliamo arrivare: predisporre un vademecum di “come si fa la fusio-

ne di comuni”, pur sapendo che sarà impossibile dipanare in modo esaustivo ogni singola

variabile del processo. Possiamo però partire da qua, da questa pratica, per ricavare alcune

linee guida che, messe al lavoro, possano orientare altri processi: non tenteremo di isolare

una one best way verso la fusione, che di trarre alcune lezioni guida a partire dalle quali af-

frontare altri casi analoghi.

Ciò che intendiamo conoscere è sintetizzato nella seguente tabella, che costituirà l’intelaia-

tura del seminario.

Nodo Dettaglio

Elezione organi Forme di gestione transitoria; Rappresentanza (circoscrizioni, prosindaci)

Gestione economica Confluenza di più contabilità in unico documento; gestione transizione

Aspetti istituzionali Percorso approvazione Statuto; denominazione comune; gonfalone, ecc.

Integrazione servizi Trasferimento progressivo delle funzioni; tempi e modi del decentramento

Integrazione del territorio Interazione con Enti sovra-ordinati

Percorso per priorità Individuazione passi-chiave e scansione (sintesi)

Come si è organizzata la transizione politica? Il comune non è stato commissariato, ma ne

è stata affidata la reggenza al presidente dell’unione, che ha assunto l’incarico pro tempore

di sindaco del comune fuso in attesa di elezioni. Ce l’avevano già spiegato nel corso del

primo incontro, ciò che non ci avevano detto è che il fatto era stato oggetto di un’interroga-

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Page 159: cupio dissolvi.

zione parlamentare a seguito di un ricorso dello stesso prefetto di Trento, che ne ravvisava

l’illegittimità.

La Regione, qua, ha competenze dirette in materia di Enti Locali. I margini di negoziazione

sono elevati.

La chiave di volta del processo: il trasferimento di tutte le funzioni in gestione associata al-

l’unione di comuni. Ma la difficoltà cruciale sembra essere un’altra, di natura prettamente

organizzativa: la gestione del personale. Tutto il lavoro svolto dalla segreteria nei mesi tra la

fine e l’inizio dell’anno 2010 si rivolgono nella direzione della ridefinizione delle piante orga-

niche del personale dipendente: viene predisposto un progetto che simula l’andamento del-

la dotazione in prospettiva di fusione, in base al quale viene ottenuta una “deroga generale

ai vincoli in materia di assunzione di personale previsti dalla legge provinciale”.

Saltiamo di argomento in argomento, senza approfondirne nessuno. Il tempo è poco, ma

sempre troppo quello che stiamo prendendo, gratis, alla nostra consulente-di-pratica. De-

cidiamo quindi di tagliare corto, rilanciando con un ipotetico convegno sul tema delle fusioni

di comuni, che organizzeremo a Bologna.

29/10 Interpellanze (e un blog) sul Fiume Blu: retorica, programmazio-ne, azzardi strategici.

A fine settembre era arrivata la conferma dalla Regione: la domanda di finanziamento per lo

studio sulla fattibilità della fusione della Fiume Blu-Galliera non era stata accettata. Dopo

alcune settimane, la questione affiora grazie a due interpellanze con cui i gruppi consiliari

del nostro comune chiedono spiegazione della delibera “balneare” votata dalla giunta del-

l’unione. Si tratta di due ‘atti dovuti’, che a conti fatti si rivelano poco utili ai fini dell’amplifi-

cazione del dibattito anche fuori del palazzo.

159

Page 160: cupio dissolvi.

Nella prima interpellanza il gruppo considera che l’ipotesi fusione “non era contenuta nelle

Linee Programmatiche di mandato”, e che tale tema “non è mai stato oggetto di discussio-

ne o comunicazione a nessun organo”: se mai si volesse procedere in questa direzione, la

si sottoponga all’iter necessario e si torni in consiglio anche per aggiornare le Linee Pro-

grammatiche, anche se tardivamente. Il gruppo esprime dissenso sul metodo utilizzato, bol-

landolo come “scarsamente trasparente e irrispettoso rispetto alla natura strategica del te-

ma”, che in quanto tale è (evidentemente) di stretta competenza del consiglio comunale.

Nel merito, il gruppo ritiene che la fusione non costituisca una risposta realistica alle esigen-

ze di un territorio che viceversa ha sempre argomentato la “necessità di un governo poli-

centrico”, quando si volle prima dotarlo dello strumento “associazione” poi trasformato in

“unione”; chiede, soprattutto, che non vengano “assunti impegni di spesa” in modo avven-

tato, su un tema non centrale rispetto alle priorità dell’azione amministrativa.

La seconda interpellanza si concentra sul metodo, chiedendosi se l'amministrazione “inten-

da procedere comunque - anche in assenza di contributo regionale - all’effettuazione dello

studio”, lamentando in ogni caso il mancato coinvolgimento delle forze politiche nella fase di

gestazione della domanda.

In vista della seduta di novembre del consiglio, il sindaco scrive una risposta cumulativa alle

due interpellanze in cui precisa che “la scelta di una deliberazione di tal fatta (riferimento alla

tempistica adottata) è stata pensata e voluta dalla Giunta dell’unione nella prima seduta do-

po le ferie estive, in particolare nel momento in cui siamo, come Sindaci, venuti a cono-

scenza di un una bando con [...] scadenza del bando era prevista per il 15/9/2010.

La risposta prosegue spiegando che “all’amministrazione è mancato il tempo necessario

per informare preventivamente i consigli comunali prima dell’adozione della delibera, pena

l’impossibilità a partecipare al bando”. Tutto il castello argomentativo poggia sull’obbligo

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Page 161: cupio dissolvi.

etico degli amministratori di non lasciarsi sfuggire opportunità di fare il bene della comunità,

anche a costo di adottare atti d’urgenza per “non disperdere l’opportunità di accedere a

finanziamenti regionali volti ad approfondire una tematica così importante come quella della

riorganizzazione istituzionale, in particolare in un momento così critico e delicato per le fi-

nanze pubbliche”. Se si escludono un numero del periodico comunale di ρ in cui viene dato

ampio spazio ad un botta e risposta73 tra minoranze e amministrazione sul tema, in cui il

sindaco smorza in tutti i modi la polemica con un’argomentazione sulla stessa falsariga del-

la precedente e un post74 all’interno di un blog politico locale che si spinge ad accusare il

sottoscritto di trovarsi in palese conflitto di interessi, il dibattito sulla fusione in Fiume Blu-

Galliera finisce qua.

22/11 La consegna al Fiume Giallo: proroghe e revisioni. La (mancata) costruzione dell’usabilità

Di ritorno dall’incontro con l’assessore del 21 di ottobre, con l’obiettivo di rendere proficua

la mattinata di trasferta, avevo fatto rotta sugli uffici del circondario a Imola, facendomi anti-

cipare da una telefonata dell’ultimo minuto alla Segretaria Generale dell’Ente: la mia avrebbe

voluto essere una visita di cortesia, un modo “per far sentire che ci siamo”, ma la concomi-

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73 Nell’articolo “FUSIONE DI comuni: E’ QUESTO DUNQUE IL “PUNTO DI SVOLTA”?” a firma della ca-

pogruppo di minoranza viene proposta tra l’altro un’argomentazione dubitativa relativa alla presunta eco-

nomicità dello strumento fusione in relazione agli altri strumenti di cooperazione inter-istituzionale: “Qual-

cuno glielo ha chiesto? Crediamo forse che la fusione sia uno strumento per ottenere maggiore efficienza

ed economie di scala? Eppure l’esperienza, prima in Associazione poi in unione, ci dimostra che la ge-

stione comune di funzioni e servizi non è priva di difficoltà e quasi mai ha garantito migliori risultati e ri-

sparmi”?

74 A settembre di quest'anno la Giunta dell'unione Fiume Blu Galliera, formata dai sindaci degli otto co-

muni, ha fatto una pensata alla grande … o forse è meglio dire, IN grande: un grande comune, con un

grande territorio, formato da quelli che oggi sono 8 piccoli comuni” [...] anziché chiedere ai cittadini cosa

ne pensavano, l'hanno chiesto ad una società esterna, guarda caso quella che ha curato il passaggio da

“Associazione” a “unione”. Un commento al post si chiede “chissà perché Regione non ha dato i soldi??

forse è meglio così, anche perché il finanziamento sarebbe andato ad una società, la C.O. Gruppo, di cui

è consulente l'assessore Pirani di ο. In pratica il comune dà i soldi ad un proprio Assessore per chiedere

cosa la sua stessa Giunta deve fare.....bello eh???”.

Page 162: cupio dissolvi.

tante riunione della Giunta del circondario, di cui vengo informato, può trasformarla in qual-

cosa di più.

Non sono all’Ordine del Giorno, ma - introdotto all’inizio della riunione - saluto i Sindaci e

chiedo di condividere tempi di chiusura del lavoro. La prima consegna risale ormai all’inizio

dell’estate (21 giugno), da allora i contenuti del rapporto sono stati presentati ai sindaci ma

nessun particolare passo avanti è stato fatto: i sindaci si sono presi l’impegno di fornire ri-

torni sui contenuti, ma di fatto - a parte uno - nessuno l’ha fatto. Rinnovo quindi ai Sindaci

l’invito a fornire indicazioni, correzioni, integrazioni su quanto prodotto e annuncio l’immi-

nente consegna di un prodotto integrativo della prima consegna: un rapporto operativo -

così lo abbiamo chiamato - che a differenza del primo, che aveva un taglio molto esplorati-

vo ma non molto concreto (di fatto: non argomentava la fattibilità quanto piuttosto l’oppor-

tunità piuttosto scontata della scelta) fornirà argomenti d’immediata comprensione e usabili-

tà.

Conveniamo su una consegna definitiva di tutto il ‘pacchetto’ entro tre settimane, e sull’op-

portunità per la committenza di richiedere una proroga al 31/12 ai termini di consegna indi-

cati nella delibera di finanziamento della Regione: primo motivo di questa proroga è di natu-

ra cautelativa rispetto a possibili accessi agli atti da parte delle opposizioni che potrebbero

voler vedere le carte, carte che i Sindaci non sono pronti a giocare.

Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 22 novembre 2010 12:06:20 GMT+01:00A: Claudia Dal Monte <[email protected]>Oggetto: studio di fattibilità comune unico Vallata del Fiume Giallo_RAPPORTI DEFINITIVI

Gentilissima, come da accordi inviamo versioni definitive dei 2 rapporti di analisi prodotti. Il primo (VS1) è la versione riveduta e corretta del rapporto inviato a giugno, secondo le indicazioni avute dai Sindaci. Il secondo (VS2) rappresenta un vademecum operativo in cui sono argomentate alcune tesi/simulazioni rispetto all'impatto della fusione e piste di lavoro possibili.

A disposizione per ogni ulteriore chiarimento,

Cordiali saluti

Alessandro [email protected]

Dopo circa un mese, non avendo ottenuto alcun reale riscontro da parte dei singoli comuni

rispetto al primo rapporto consegnato, ma avendo terminato le molte revisioni interne del

documento integrativo, il 22 di novembre invio al Segretario Generale del circondario un

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Page 163: cupio dissolvi.

messaggio contenente oltre a quest’ultimo rapporto anche una versione aggiornata del

primo prodotto: questa differisce dalla prima versione principalmente per l’assenza di riferi-

menti diretti ai cosiddetti “costi della politica”, originariamente inseriti ma da subito giudicati

imprecisi e fuorvianti. Il nuovo rapporto viene definitivo vademecum operativo. In termini

contrattuali, quanto previsto dal contratto può dirsi integralmente consegnato.

Lo studio ora c’è.

L’integrazione del rapporto con il vademecum segna una netta virata tattica in chiave ope-

rativa: l’idea è di costruire uno strumento operativo da portare sul campo e da “sfoderare”

quando le argomentazioni portate a supporto dell’ipotesi fusione lo richiedano. Il vademe-

cum vuole rispondere a due diversi fabbisogni: il primo fabbisogno è legato alla necessità di

avviare una fase di diffusione e discussione del progetto sui territori coinvolti, il secondo fo-

calizza l’analisi già realizzata nel primo rapporto consegnato nel giugno 2010, con particola-

re riferimento ai costi - economici e organizzativi - connessi al mantenimento dell’attuale

status quo rispetto all’ipotesi di una soluzione istituzionale strutturale tramite fusione.

Il documento si articola secondo tre momenti argomentativi:

VERSO IL COMUNE UNICO DELLA VALLATA DEL SANTERNO

VADEMECUM A SUPPORTO DELL’INTEGRAZIONE

ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVA

Obiettivi e contenuti del documento! 2

Sintesi delle conclusioni dell’analisi condotta sul campo! 3

Gli argomenti a supporto della discussione! 4

Prima pista: meno costi, più autonomia! 4

Focus: la dipendenza da oneri di urbanizzazione! 6

Seconda pista: con che cosa si asfaltano le strade! 10

Focus: la capacità di finanziamento! 14

Terza pista: meno personale, ma più qualificato! 17

Verso una nuova organizzazione! 22

Modello per l’unificazione! 24

Verso una nuova rappresentanza?! 27

C.O. Gruppo SRL ! lunedì 22 novembre 2010

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Page 164: cupio dissolvi.

1. All’inizio descrive l’attuale capacità dei comuni di “sopravvivere” in termini economici,

con particolare attenzione agli attuali stili di spesa e alle economie ottenibili dall’eventua-

le processo di fusione;

2. Il rapporto prosegue descrivendo la dotazione di personale e, mediante il ricorso a co-

muni-benchmark, simulando i possibili snellimenti ottenibili nel medio periodo;

3. Le conclusioni contengono le linee guida per la progettazione del comune e l’indicazio-

ne del metodo con cui procedere all’integrazione dei servizi interni dei comuni.

La tenuta dell’argomento economico: governing by the numbers.

Il consolidamento di più unità organizzative comporta come risultato, nel medio-lungo pe-

riodo, una consistente contrazione dei costi di gestione: l’eliminazione delle ridondanze e

degli sprechi determinata dalla concentrazione su un unico soggetto amministrativo delle

funzioni oggi replicate allo stesso modo su quattro determinerà nel medio periodo una si-

gnificativa contrazione della spesa. L’evidenza di questa previsione, questa volta, la andia-

mo a riscontrare statisticamente: rifacendosi alla recente indagine IFEL75 sul quadro finan-

ziario dei comuni, infatti, risulta evidente (tabella seguente) come all’aumentare della popo-

lazione i comuni tendono a spendere meno per funzionare. La spesa pro-capite viene ab-

battuta di oltre 20 punti percentuali nel caso di un comune di poco meno di 10.000 abitanti

(666 euro di spesa per ogni abitante) contro il dato medio dei comuni con meno di 5.000

(841 euro di spesa per ogni abitante). Come stanno in comuni della Vallata? Oggi, in termini

di raffronto statistico, spendono singolarmente, per il finanziamento dei servizi, personale,

acquisto beni di consumo, pagamento degli interessi passivi, ecc. circa la metà della media

nazionale relativa alle rispettive fasce di popolazione. Il dato di riferimento conferisce alla

fascia di popolazione 0-1.999 una spesa corrente annua di 2,5 milioni di euro, e alla fascia

tra i 2.000 e i 4.999 un valore di 4,3 milioni, rispettivamente la metà esatta e meno della

metà nei quattro casi in esame. In pratica, singolarmente, i comuni della Vallata del Fiume

Giallo “costano poco” se paragonati ai dati medi nazionali e ottengono performance an-

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75 Fondazione IFEL, Il quadro finanziario dei comuni, 2010. L’indagine elabora dati del Ministero dell’In-

terno relativi agli impegni per l’anno 2008.

Page 165: cupio dissolvi.

cora migliori, in termini di oculatezza, degli stessi comuni della Regione Emilia-Roma-

gna.

Cosa succederebbe con il comune unico? Oggi i comuni da soli costano poco, se rappor-

tati agli altri comuni italiani della loro fascia di popolazione, ma comunque sempre molto di

più rispetto a quanto spenderebbero se costituissero un’unica entità amministrativa. Nel

caso di fusione, immaginando che nel medio periodo il costo pro capite tenda ad allinearsi

alla media regionale, il risparmio annuo per ogni cittadino sarebbe di 128 euro, pari a circa a

1.250.000 euro complessivi. In pratica, per fare le stesse cose, le sole economie di scala

permetterebbero al nuovo comune di ridurre la pressione fiscale e tariffaria per le cifre suin-

dicate o in alternativa disporre di oltre un milione e duecentocinquantamila euro in più al-

l’anno per realizzare interventi e servizi, lasciando inalterata la pressione fiscale e tariffaria

sui cittadini. Alla determinazione dei risparmi dovranno essere concorrere i finanziamenti

previsti da Stato e Regione per i processi di fusione: da una stima già proposta nel primo

rapporto di analisi risulta che i piccoli comuni, a fronte di un finanziamento statale decenna-

le76pari al 20% dei trasferimenti erariali su base aggregata (di tutti i comuni sommati tra loro)

ottenuti nella fase pre-fusione, si vedrebbero decurtare una quota equivalente (20% circa)

proprio per il venire meno dello status di “piccoli”, producendo di fatto un pareggio. L’entità

del finanziamento regionale, poi, non viene determinata a monte dalla Legge (LR 10/08) nel-

l’importo ma non nella durata, che non è inferiore a 15 anni a partire dalla data di costitu-

zione del nuovo Ente. Tale contributo ordinario andrà sommato ad un contributo iniziale una

tantum a sostegno dei costi di fusione e ad una eventuale maggiorazione del 20% qualora il

comune neo istituito derivi dalla fusione di comuni precedentemente aderenti alla medesima

unione.

165

76 Il DM 318 del 1 settembre 2000, successivamente modificato dal DM 289 del 1 ottobre 2004 e da

due intese in conferenza unificata stabilisce l’istituzione di un fondo di finanziamento per le procedure di

semplificazione istituzionale. La ripartizione del fondo (nel 2009 pari a 33 milioni di euro) prevede un 15%

alle procedure di fusione, il 60% alle unioni di comuni e il 25% alle comunità montane. A loro volta questi

fondi sono ripartiti fra i diversi enti a cui spettano secondo ulteriori criteri. Per quanto riguarda le fusioni di

comuni sono erogati finanziamenti per i dieci anni successivi alla fusione pari al 20% dei trasferimenti era-

riali complessivamente attribuiti ai precedenti comuni. L’importo del fondo viene determinato con la Legge

Finanziaria nazionale di ogni anno: mentre le quote destinate a unioni e comunità Montane sono gestite

dalle Regioni (si parla di contributi statali “regionalizzati”) la gestione della quota destinata alle fusioni di

comuni resta in capo al Ministero degli Interni.

Page 166: cupio dissolvi.

Dimostrare l’insostenibilità: simulazioni su filo dell’aleatorietà

L’analisi prosegue con un affondo sull’insostenibilità dei bilanci, tendenti a reggersi sempre

più su fonti improprie di finanziamento. L’attività ordinaria dell’Ente deve potersi reggere su

un mix di capacità impositiva, trasferimenti e risorse derivanti da oneri tariffari per servizi a

domanda e, dall’altro, quali-quantità dell’offerta di servizi prodotta. Questo mix è stato mes-

so in discussione negli anni, dalle varie previsioni che hanno introdotto nell’ordine il patto di

stabilità77, l’impossibilità di aggiustamenti alle aliquote delle leve impositive principali, l’elimi-

nazione dell’ICI sulla prima casa e così via. I comuni hanno così dovuto progressivamente

accedere ad una risorsa di norma destinata al solo finanziamento di opere pubbliche, gli

oneri derivanti da rilascio di titoli autorizzatori edilizi. Tale prassi ha assunto proporzioni im-

ponenti, di fatto snaturando la ratio dell’entrata e inducendo prassi programmatorie basate

su fonti finanziarie aleatorie e sottoposte a incertezze di importo e di flusso. Un flusso che si

è oggi (con la crisi dei mercati) contratto drammaticamente e in modo generalizzato, met-

tendo da un lato in seria difficoltà gli Enti che vi si sono affidati sempre di più, dall’altra ren-

dendone evidente l’insostenibilità. Questa analisi, di fatto, riguarda buona parte dei comuni

italiani.

Vale la pena pertanto osservare la tenuta dei comuni della Vallata sotto questo profilo: quale

quota di risorse derivanti da oneri di urbanizzazione viene applicata a copertura della spesa

di parte corrente del bilancio? Come si modificano nel tempo gli importi accertati dai comu-

ni? Può un Nuovo comune determinare un’inversione di tendenza? La Legge finanziaria

stabilisce ogni anno i limiti di questa percentuale: oggi è possibile destinare a parte cor-

rente circa i 2/3 di questa voce del bilancio (50% parte corrente in senso stretto + 25%

166

77 L'indebitamento netto della Pubblica Amministrazione (P.A.) costituisce il parametro principale da con-

trollare, ai fini del rispetto dei criteri di convergenza e la causa di formazione dello stock di debito. L'inde-

bitamento netto è definito come il saldo fra entrate e spese finali, al netto delle operazioni finanziarie (ri-

scossione e concessioni crediti, partecipazioni e conferimenti, anticipazioni), desunte dal conto economi-

co della P.A., preparato dall'ISTAT (Ragioneria dello Stato).

Page 167: cupio dissolvi.

per manutenzione ordinaria di patrimonio, secondo la L. 244/07)78. Per la raccolta delle

informazioni sono state analizzate le comunicazioni alla Corte dei Conti di ciascun co-

mune riferite all’ultimo triennio.

I comuni del Fiume Giallo, nel triennio considerato, hanno visto aumentare la quota di risor-

se di fonte non ordinaria destinate al finanziamento della parte corrente del bilancio (tutte le

spese di funzionamento dell’Ente, dai servizi erogati, al personale fino all’acquisto di beni)

così come buona parte dei comuni italiani. In parole povere, ciò che viene incamerato a bi-

lancio dal rilascio di DIA (Dichiarazioni di inizio Attività) e Permessi di Costruire, viene desti-

nato in misura sempre minore alla realizzazione delle opere pubbliche e in misura sempre

maggiore per la gestione corrente. In generale si evidenzia un’erosione marcata delle entra-

te necessarie per il finanziamento delle opere pubbliche, destinate al finanziamento della

gestione corrente dei comuni. Il tutto a fronte di importi accertati che, dati la finitezza delle

risorsa-suolo a disposizione dei comuni e l’attuale crisi del settore immobiliare fanno regi-

strare crolli generalizzati, se si esclude il pur significativo caso del comune di α.

In chiave prospettica, prevedendo la contrazione tendenziale della spesa ottenibile dalle

economie di scala connesse alla razionalizzazione dei servizi e degli apparati comunali ar-

gomentata nel paragrafo precedente, per una quota pari al 20% dell’attuale costo aggrega-

to dei comuni, unitamente ai maggiori trasferimenti ottenibili come incentivo alla fusione dei

167

78 Il Governo ha smentito durante i lavori dell’Assemblea annuale ANCI in corso a Padova alcune indi-

screzioni uscite l’8 novembre in un articolo apparso su IlSole24Ore (Maxibuco nei conti delle città), se-

condo le quali potrebbe cessare il regime di deroga in forza del quale è oggi possibile agli Enti Locali de-

stinare fino al 75% delle risorse derivanti da gettito extratributario per finanziare la spesa di parte corrente.

La possibilità continua pertanto a essere consentita almeno per il prossimo triennio.

Page 168: cupio dissolvi.

comuni79, è possibile prefigurare per il Nuovo comune un abbattimento del ricorso a questa

posta di bilancio per il finanziamento della spesa corrente stimabile - in termini prudenziali -

in non meno di 40 punti percentuali. L’attuale allocazione media del 62% delle entrate da

oneri di urbanizzazione a finanziamento della spesa corrente può essere ricondotta, quindi,

grazie alla combinazione delle maggiori entrate su base aggregata e minore incidenza dei

costi pro-capite (così come argomentate nel presente rapporto) per la gestione dei servizi

fino a una misura fisiologica del 25%, liberando risorse da destinare a finanziamento di inve-

stimenti e alleggerendo l’erosione dell’avanzo di gestione (oggi come vedremo fonte impor-

tante del finanziamento delle opere pubbliche). Si ricorda poi che ricondurre l’utilizzo degli

oneri di urbanizzazione alla sua quota fisiologica, riduce l’incertezza strutturale che vivono i

comuni della vallata, derivante dalle caratteristiche di queste possibili entrate, direttamente

connesse al mercato. Ridurre l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione, non solo riduce il ri-

schio di bilancio, ma soprattutto permette di recuperare almeno in parte l’autonomia ge-

stionale e la capacità di programmazione della vallata nel medio – lungo periodo. Questo

ridimensionamento dovrà interagire con una rinnovata capacità del comune di produrre effi-

caci politiche di pianificazione del territorio, che dovranno orientarsi al recupero e alla riqua-

lificazione del patrimonio esistente, in coerenza con l’attuale maggiore tenuta di questo sub-

comparto rispetto a quello del nuovo80, in crisi strutturale.

168

79 Si ricorda quanto già riportato nel primo rapporto del giugno 2010: “l’articolo 11 comma 4 della legge

142 dell’8 giugno 1990: “al fine di favorire la fusione di comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti

anche con comuni di popolazione superiore, oltre agli eventuali contributi della regione, lo Stato eroga,

per i dieci anni successivi alla fusione stessa, appositi contributi straordinari commisurati ad una quota dei

trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono”. Il DM 289/04 stabilisce che per le fusioni di co-

muni sono erogati finanziamenti per i dieci anni successivi alla fusione pari al 20% dei trasferimenti erariali

complessivamente attribuiti ai precedenti comuni. La Regione Emilia-Romagna prevede invece un contri-

buto ordinario annuale, di durata non inferiore ai 15 anni, quantificato dalla legge regionale di istituzione

del nuovo comune che dovrà tener conto del criterio della popolazione e del numero dei comuni soggetti

di fusione.

80 Nel 2009 il mercato delle ristrutturazioni ha fatto registrare un +16% di aumento rispetto all’anno pre-

cedente, anche grazie al permanere di misure di incentivo molto significative, tutto questo a fronte di un

crollo delle compravendite che secondo il Cresme (2010) sono calate quest’anno di 30 punti percentuali

rispetto al 2006.

Page 169: cupio dissolvi.

L’argomento più ghiotto: la competitività sul mercato dei finanziamenti

Per aumentare la capacità di accesso alle risorse esogene, in regime di riduzione strutturale

dei trasferimenti statali e a fronte di una forte incertezza sui futuri meccanismi di contribu-

zione dei servizi pubblici, occorrerà sempre di più disporre di due risorse chiave:

1. la capacità di rappresentare fasce ampie di popolazione ai tavoli di negoziazione dell’al-

locazione dei finanziamenti e di conseguenza di proporre soluzioni in grado di impattare

su comunità ampie;

2. la capacità di richiedere risorse supportati da analisi di fabbisogno e soluzioni tecniche

adeguate ovvero vincenti rispetto ad altre proposte in competizione per l’accesso a fi-

nanziamenti pubblici.

Per la struttura del bilancio comunale, come visto in precedenza, gli strumenti finanziari di-

retti con cui attivare e alimentare i cantieri sono in primo luogo: l’indebitamento (mutui),

l’alienazione di beni patrimoniali, gli oneri di urbanizzazione, l’avanzo di gestione. Il resto,

come vedremo, è costituito da interventi esogeni rispetto alla potestà diretta dell’Ente: con-

tributi in conto capitale derivante dal Contributo Ordinario Investimenti, da finanziamenti di-

retti della Regione, da contributi volontari di privati, eccetera. Crescere significa avere mag-

giore peso politico, avere maggiore peso politico significa avere più potere nell’ottenimento

dei finanziamenti. Questo è il teorema di cui proponiamo una dimostrazione: la capacità di

stare sul mercato dei finanziamenti risulta fondamentale, in assenza di fonti di sostentamen-

to autonomo credibili. Il finanziamento delle opere pubbliche in tempi di crisi costituisce un

nodo centrale per la vita delle amministrazioni. Se in una prospettiva di fusione possono es-

sere riequilibrate le fonti di finanziamento della spesa pubblica, vale la pena osservare con

che cosa si finanziano oggi i lavori pubblici: qual è la composizione delle fonti che consen-

tono ai comuni di “asfaltare le strade”?

Le situazioni in Vallata sono differenziate. Da un’analisi dei dati su base triennale emergono

mix locali di culture gestionali divergenti e condizioni di mercato anch’esse differenziate, pur

nella comune criticità di questa congiuntura. I comuni della fascia tra i 3.000 e i 5.000 di-

spongono di una capacità d’investimento molto inferiore al dato medio regionale per comu-

ni di analoga entità. γ e β impegnano, negli ultimi tre anni, meno della metà delle risorse

169

Page 170: cupio dissolvi.

pro-capite impegnate in media in regione. Al contrario, i due comuni più piccoli (sotto i

2.000 abitanti) risultano in linea con il costo pro-capite per investimenti regionale. Su base

aggregata, considerando gli importi medi dei quattro comuni dell’ultimo triennio, si ottiene

un dato pari a poco meno di 2,5 milioni di euro impegni per investimenti, pari a circa 235

euro pro-capite. Questo dato risulta in linea con la media regionale (240 euro/abit) per co-

muni di dimensione compresi nella fascia tra i 5.000 e i 10.000 abitanti.

La dimensione pesa. Quella limitata degli attuali comuni rappresenterà sempre di più un li-

mite rispetto alla capacità di sostentare i costi di gestione. Nella tabella sono state compa-

rate le posizioni attualmente ricoperte dai comuni della Vallata nelle classifiche dimen-

sionali dei vari livelli amministrativi (Italia, Regione, Provincia, circondario).

comune Abitanti

Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:

comune AbitantiItalia Regione E-R

Provincia di Bo-logna

circondario

γ 3.313 3.310/8.094 248/348 53/60 8/10

β 3.440 3.222/8.094 241/348 52/60 7/10

α 1.268 5.669/8.094 319/348 60/60 9/10

δ 1.911 4.674/8.094 302/348 59/60 10/10

Sintesi dei risparmi ottenibili (Elaborazione su dati Ufficio Personale Associato)

Come si vede dalla tabella, oggi i comuni della Vallata sono tra i meno popolosi della Pro-

vincia di Bologna: tutti compresi negli ultimi dieci posti della classifica per popolazione resi-

dente. Su base regionale i comuni occupano posizioni relativamente meno arretrate, re-

stando in ogni caso compresi nel gruppo dei 100 comuni con popolazione residente più

scarsa: in Emilia-Romagna, come noto, la dimensione dei comuni è significativamente me-

no polverizzata rispetto al resto d’Italia81.

Un comune più grande e di conseguenza con maggiori capacità professionali mostra mag-

giori probabilità di tenuta sul mercato delle risorse pubbliche per investimenti, di quanto of-

frano in prospettiva i singoli comuni della Vallata: come si vede dalla simulazione riportata

170

81 In Emilia-Romagna i comuni con meno di 2.000 abitanti rappresentano il 15% del totale, a fronte del

dato nazionale che si attesta attorno al 42%.

Page 171: cupio dissolvi.

nella tabella seguente, i comuni della Vallata del Fiume Giallo darebbero vita al terzo comu-

ne del circondario Imolese (con un recupero di 6 posizioni rispetto alla media odierna), entro

i primi 20 in Provincia (con un recupero di 33 posizioni, pari all’82%), tra i primi 100 della

Regione, il comune Unico entrerebbe nel ristretto “club” (meno del 20% del totale) dei co-

muni italiani con più di 9.000 abitanti.

Abitanti

Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:Posizioni rispetto a:

AbitantiItalia Regione E-R

Provincia di Bo-logna

circondario

comune unico 9.932 1.214/8.091 97/345 21/57 3/7

Recupero posizioni (v.a. su media a 4)

3.005 180 33 6

Il comune Unico: simulazione del riposizionamento nella classifica per popolazione residente (Fonte: ela-borazione su dati ISTAT 2010)

Benchmarking e proiezioni sulla riqualificazione del personale

La voce di spesa per personale incide in modo rilevante sulla gestione di qualsiasi azienda.

L’indice finanziario che descrive sinteticamente il peso di questa voce di spesa sulla spesa

complessiva è denominato di “rigidità della spesa”82, il rapporto cioè tra spesa per il perso-

nale, gli interessi passivi e il rimborso di prestiti e il totale delle entrate correnti. Il quadro è

sostanzialmente compatto per i tre comuni più a valle mentre si discosta in modo significati-

vo per il comune di α: ciò è in parte determinato dall’incidenza degli interessi passivi (come

visto il ricorso all’indebitamento resta un’importante fonte di finanziamento per le opere

pubbliche), unita a un costo per personale pro capite che, nonostante le economie, tende

ad approssimarsi al massimo consentito dalla Legge (40% sulla spesa corrente). Chiarita la

rilevanza di questa voce di spesa, è perciò necessario interrogarsi su quali possono es-

sere le economie ottenibili dal versante personale, prefigurando un fabbisogno teorico di

un nuovo Ente esito del consolidamento degli attuali quattro comuni come risultanza

dell’intersezione prospettica delle seguenti dinamiche, che si danno per assodate:

171

82 L'indicatore spiega quanta parte della spesa corrente è destinata alle spese per il personale e per il

rimborso delle rate dei mutui, e cioè quale sia la percentuale di spesa destinata a finalità non modificabili:

quanto più la percentuale è elevata tanto maggiore è la quota di risorse che l'ente deve destinare a spese

obbligatorie

Page 172: cupio dissolvi.

1. Incremento del numero e rilevanza delle gestioni associate in capo al circondario

2. Consolidamento degli uffici non associati con conseguente riduzione degli attuali spre-

chi (cosiddetto slack inter-organizzativo, inteso come somma delle ridondanze);

3. Invarianza del sistema di offerta dei servizi ai dei cittadini delle comunità interessate

La spesa per personale dei quattro comuni è stata pari, nel 2009, a circa 2,1 milioni di euro.

Di questi, circa 1,5 milioni sono destinati al finanziamento dei servizi gestiti all’interno e

quindi non associati. La cifra totale rappresenta il 32% del totale della spesa corrente certi-

ficata dalle quattro manovre finanziarie (circa 6,5 milioni di euro). Questa percentuale tende

negli anni a crescere, lentamente ma inesorabilmente a un passo di circa 1,5 punti annui.

Considerando solo i dipendenti “diretti” delle Amministrazioni, vale la pena rilevare come il

rapporto tra numero di dipendenti e abitanti sia in media di 1 ogni 150 abitanti. Tale rappor-

to è ampiamente inferiore a quanto previsto in teoria da normativa (Dlgs 336/96) per comuni

di questa taglia, anche in virtù di mancate coperture delle piante organiche che su base ag-

gregata sono pari a non meno di 7-8 unità di personale. Lo stesso comune di α, con un

parametro di un addetto ogni 120 abitanti, si discosta sensibilmente dalla soglia di un ad-

detto ogni 100 abitanti, teoricamente prevista.

Fascia demografica Rapporto medio dipendenti/popopolazione

fino a 999 abitanti 1/95

da 1.000 a 2.999 abitanti 1/100

da 3.000 a 9.999 abitanti 1/105

da 10.000 a 59.999 abitanti 1/95

da 60.000 a 249.999 abitanti 1/80

oltre 249.999 abitanti 1/60

Rapporti dipendenti comunali/popolazione residente per fasce demografiche (DLGS 336/96)

172

Page 173: cupio dissolvi.

A partire dalle valutazioni83 proposte nel primo rapporto vengono proposte nel vademecum

le risultanze di una simulazione sui pensionamenti che nel prossimo quinquennio interesse-

ranno i comuni. Dopo una fase di dibattito e interpretazioni più o meno restrittive di una del-

le previsioni più controverse del DM 78/1084, quella secondo cui non sarà possibile com-

pensare ogni cessazione in misura non superiore al 20% (una nuova assunzione ogni 5

cessazioni), viene in corso d’opera definitivamente confermato che tale obbligo sarà esteso

- per un tempo imprecisato - anche ai piccoli comuni. È verosimile che, insieme, i quattro

comuni possano far fronte con maggiori capacità all’inevitabile processo di turn over, spe-

cializzando il personale esistente ed effettuando gli investimenti necessari per rendere più

produttiva la macchina comunale, ovvero avendo maggiori possibilità di far fronte a carenze

di personale senza dover ricorrere sempre alla soluzione dell’assunzione o dell’appalto al-

l’esterno dei servizi scoperti.

La stima sui pensionamenti la costruisco sulla base del lavoro svolto con la responsabile

dell’ufficio associato personale ed è ottenuta sulla base dell’analisi delle posizioni contributi-

ve che ha tenuto conto di criteri relativi agli anni di contribuzione e all’età dei lavoratori. La

simulazione che arriviamo a proporre evidenzia una diminuzione del numero di addetti per

pensionamento su base aggregata di sei unità di personale, pari ad un risparmio annuo che

a costi lordi medi correnti85 e senza ulteriori azioni di ridisegno organizzativo può essere

173

83 Il rapporto di analisi presentato nel luglio 2010 forniva le seguenti indicazioni sintetiche: nessun comu-

ne da solo sarà in grado di aumentare il livello di qualificazione del personale; Il livello di interdipendenza

fra le strutture comunali è già buono, e potrà aumentare, ma non sarà risolutivo per la riduzione significa-

tiva dei costi di gestione; i costi delle singole macchine comunali, con una sola eccezione, sono sicura-

mente ancora più comprimibili, a patto che si metta in conto un’inevitabile ridefinizione verso il basso della

qualità e quantità dei servizi erogati; le strutturazioni complessive delle singole macchine comunali, a fron-

te di una probabile quasi totale impossibilità di assunzione di personale, sono destinate ad una progressi-

va perdita di autonomia.

84 La previsione è contenuta all’interno del DLGS 78/10 convertito in L. 122/10. Sulla inapplicabilità della

misura almeno ai comuni con meno di 10 dipendenti si veda il documento approvato nel corso dell’ultimo

Congresso ANCI Piccoli comuni del 24-25/9: “Chiediamo, inoltre, che sia confermata formalmente e defi-

nitivamente l’interpretazione che ANCI ha formulato riguardo alla non applicabilità del limite del 20% delle

cessazioni dell’anno precedente al turn over degli Enti fuori patto di stabilità. Impossibile da applicare ad

Enti con 5, 10, 15, 20 dipendenti”. http://www.piccolicomuni.anci.it/x_conf/documento_approvato.pdf

85 Sono stati considerati costi lordi per l’Amministrazione: per il personale di fascia giuridica “C” 31.000

€/anno, per la fascia “B” 27.000 €/anno.

Page 174: cupio dissolvi.

stimato in circa 200.000 euro/anno (il 12% della spesa stimata dei quattro comuni per i ser-

vizi non associati), cui si aggiungono almeno altri 60.000 euro/anno per la riduzione della

spesa per segreteria generale (dagli attuali due a un solo segretario generale) e un importo

stimabile prudenzialmente in circa 70.000 euro/anno di minori spese per personale politi-

co86. In totale, l’importo arriva ad abbattere di un 5% la spesa corrente annuale. Il risparmio

ottenuto può essere destinato ad aumentare la copertura finanziaria dei servizi alla cittadi-

nanza e/o contenimento quota di compartecipazione dell’utenza per servizi a domanda in-

dividuale, al finanziamento di accordi decentrati per produttività e progressioni orizzontali e

a sostenere un minore ricorso agli oneri di urbanizzazione per parte corrente con conse-

guente minore erosione dell’avanzo di amministrazione e maggiore sostenibilità nel medio

periodo dell’investimento in opere pubbliche;

Voci di spesa Da subito Entro 5 anni Saldo atteso

Personale -60.000 -200.000 -260.000

Politica -70.000 / -70.000

Totale -130.000 -200.000 -330.000

Risparmio su spesa corrente (%) -2 -3 -5

Risparmio pro-capite (euro/anno) -13 -20 -33

Sintesi dei risparmi ottenibili (Elaborazione su dati Ufficio Personale Associato)

Tutto questo, a fronte di scelte rispetto a quali servizi devono essere comunque coperti

(perché già in sofferenza) o di necessità di dotarsi di competenze tecniche non recupe-

rabili all’interno del nuovo comune. Se infatti, nell’ambito delle competenze amministra-

tive e legate ai servizi demografici possiamo immaginare spazi di riqualificazione, non è

detto che tale possibilità sia percorribile, per carenze di professionalità tecniche.

È però vero che se il quadro prospettato di pensionamenti si realizzerà, sicuramente i

singoli comuni faranno molta più fatica sia dal punto di vista economico, sia dal punto di

174

86 Per la stima dei costi attuali del personale politico ci si è basati su dati dell’Ufficio Personale, secondo

cui è possibile determinare con un buon margine di approssimazione in circa 70.000 euro/anno la spesa

aggregata per i Sindaci, poco più di 50.000 euro/anno per gli assessori e circa 30.000 euro/anno per i

consiglieri (in buona parte per rimborsi delle giornate lavorative). Quest’ultimo dato non tiene conto della

recente decisione del comune di δ di indire le riunioni del Consiglio Comunale nelle giornate del sabato. Il

costo del persona politico del comune Unico avrà un abbattimento sul quello attuale aggregato stimabile

da un minimo di 40 a un massimo di 50 punti percentuali.

Page 175: cupio dissolvi.

vista regolamentare a coprire le carenze di organico e competenza, rispetto al comune

unico.

Ai risparmi diretti ottenibili dal recupero delle cessazioni sopra descritto dev’essere aggiunta

una necessaria rideterminazione della pianta organica tarata sul fabbisogno di personale di

ciascun nuovo settore/area/servizio. L’attuale necessità di mantenere in capo a ciascun

comune servizi con seppur limitati margini di autonomia operativa (con le interdipendenze

organizzative già descritte diffusamente nel primo rapporto di analisi) non troverà riscontro

in una configurazione organizzativa consolidata, in cui nei tempi consentiti dalle cessazioni

potranno essere progettati uffici più specializzati e caratterizzati da minori ridondanze.

Allo scopo di disporre di un termine di paragone omogeneo utile alla simulazione del

fabbisogno di personale teorico del nuovo comune, è stata assunta la dotazione orga-

nica di un comune87 paragonabile all’attuale aggregato dei comuni della Vallata. Tale

termine di paragone risulta utile per prefigurare quali ulteriori possibili margini di recupe-

ro (in termini di dimagrimento strutturale e abbattimento dei costi fissi di amministrazio-

ne) possono esistere in caso di fusione. Il benchmark non ha natura prescrittiva, ma

possiede caratteristiche strutturali e di contesto simili a quelle che si potranno configu-

rare nel caso di fusione.

Il comune della Vallata risulta disporre (T0) di una dotazione di personale superiore di 14

unità rispetto al comune benchmark, unità che si ridurranno (T1) a 8 una volta esaurito il ci-

clo delle cessazioni argomentato nel paragrafo precedente. Un tale maggior numero di ad-

detti è dovuto a un abbattimento drastico delle squadre di operai mediante l’esternalizza-

zione della quasi totalità dei servizi di manutenzione a tutto beneficio del mantenimento al-

l’interno di una maggiore specializzazione: dal confronto tra le due dotazioni organiche, in-

fatti, salta all’occhio la bassa specializzazione relativa dell’aggregato della Vallata rispetto al

benchmark: con 7 funzionari direttivi (D) in più e un peso di questa categoria sul totale

maggiore pari al 40% (il 25% in più rispetto ai comuni della Vallata) il comune benchmark

risulta caratterizzato da maggiore connotazione manageriale del proprio apparato burocra-

tico. Pur con le limitazioni imposte dall’attuale normativa, va previsto una progressiva sosti-

175

87 Si tratta di un comune della Regione Emilia-Romagna di circa 9.500 abitanti (comune della Vallata:

9.600 circa), inserito in un contesto di unione di comuni con un numero consistente di convenzioni attive.

Page 176: cupio dissolvi.

tuzione dei pensionamenti (in particolare delle figure con basse o anche intermedie livelli di

qualifica professionale) con figure di alta specializzazione in grado di determinare un aumen-

to significativo della capacità tecnica e amministrativa complessiva dell’Ente anche al fine di

governare servizi in house, in associazione e in appalto.

Modello “hub and spoke” per l’unificazione

Nel progettare un modello organizzativo tagliato sulle necessità di un comune esito di fusio-

ne la discriminante principale sarà posta necessariamente, in primo luogo, tra centro e terri-

torio. La scelta di quali servizi mantenere negli ex comuni, quali accentrare e quali invece

trasferire a un livello amministrativo sovra-ordinato (in questo caso: il circondario) risulta de-

terminante per garantire il livello ottimale di erogazione dei servizi del territorio e per consen-

tire ai diversi nuclei il mantenimento dei servizi di prossimità.

Il diagramma rende intuitivo il modello di comune

a “stella” che si propone di adottare nel ridisegno

del modello organizzativo del nuovo comune. Il

modello intende valorizzare l’autonomia dei sin-

goli territori (nodi) nella ricezione e primo tratta-

mento della domanda amministrativa, accen-

trando attorno a un polo centralizzato (hub) di

servizi amministrativi la gran parte delle attività

gestionali per le quali non si rende necessario

un’interazione diretta con il pubblico. In fase di

progettazione esecutiva dei nuovi servizi dovranno essere associate variabili micro-organiz-

zative quali i flussi informativi e documentali e le procedure e le prassi amministrative di cia-

scun servizio che si intenderà mantenere sotto il controllo diretto dei comuni.

Le linee guida per la progettazione avanzano una prima proposta di articolazione organizza-

tiva, secondo i diversi modelli distributivi che si propone di attribuire ai livelli denominati 1)

centro amministrativo, la polarità di centralizzazione delle attività di back office e gestione

diretta del servizio; 2) nodo locale, l’ufficio polifuzionale che garantisce la presenza sul terri-

torio, la ricezione delle istanze, l’attivazione delle procedure, il servizio di prima informazione

176

Page 177: cupio dissolvi.

o smistamento delle richieste; come si vede, secondo questo schema, le attività inserite

all’interno degli sportelli polifunzionali in capo a ciascun nodo locale sono 7, comprese il

presidio della PM e le biblioteche; 3) il circondario, l’Ente cioè cui già oggi sono delegate un

buon numero di funzioni, che domani potrebbero aumentare sia nel numero sia nel peso

economico.

Linee guida per nuove geometrie di rappresentanza nei territori

La percezione di una diminuzione di democrazia è un rischio possibile nel processo di fu-

sione: la lontananza fisica o il minor tempo dedicato dagli amministratori alle singole comu-

nità possono creare preoccupazioni sulla reale capacità di tutela di ogni singolo territorio del

nuovo comune. Se da un lato non è possibile intervenire sul sistema elettorale e di conse-

guenza garantire quote di rappresentanza per ogni territorio, è però possibile, nell’ambito

dell’autonomia statutaria del nuovo comune, prevedere in forma permanente o transitoria

organi e soluzioni a tutela delle comunità del territorio. Il consolidamento dello spazio ammi-

nistrativo determinerà una maggiore coerenza e semplificazione per gli stessi Partiti e/o

forme di rappresentanza politica, che quindi potranno riorganizzarsi sia in chiave elettorale

sia in chiave di radicamento forti di bacini più consistente. Sarà possibile inoltre prevedere

correttivi amministrativi e statutari in grado di preservare la capacità d’interazione diretta dei

territori con i vertici di governo del nuovo comune. Nell’ambito della propria autonomia sta-

tutaria il comune neoistituito disporrà di margini di manovra nel prevedere soluzioni di rap-

presentanza con poteri e capacità da definire. Fra questi un possibile modello, già in uso in

altre realtà, prevede l’istituzione del municipio88, che potrà sostituire in parte gli attuali co-

muni nel disegno istituzionale. Questo nuovo livello di rappresentanza potrà prevedere l’isti-

177

88 Il Testo Unico degli Enti Locali (TUEL) agli articoli 15 e 16, introduce l'istituto del municipio quale livello

di autonomia amministrativa spettante anche ai territori relativi ad alcuni o tutti gli ex comuni, o parti di

essi, all'interno di quei comuni nati per fusione o aggregazione di due o più comuni. Art. 16 1) Nei comuni

istituiti mediante fusione di due o più comuni contigui lo statuto comunale può prevedere l'istituzione di

municipi nei territori delle comunità di origine o di alcune di esse.

Page 178: cupio dissolvi.

tuzione della figura del prosindaco89 e di un comitato di municipio, eletto a suffragio univer-

sale. In alternativa si possono prevedere nell’ambito dello Statuto del nuovo comune la figu-

ra di un consigliere o assessore delegato ai rapporti con i territori degli ex comuni.

Le scelte politiche che porteranno all’eventuale previsione di forme di rappresentanza alter-

native o aggiuntive dovranno necessariamente valutarne costi e benefici. Il tema, come già

osservato nel corso degli incontri regionali, è controverso: se da un lato infatti l’istituzione di

forme alternative di rappresentanza può mitigare i timori che le singole comunità locali po-

tranno esprimere in merito al processo di fusione, dall’altro comportano una parziale ridu-

zione dei vantaggi derivanti dalla nascita di un comune nuovo, in termini di capacità di pro-

duzione di politiche pubbliche. Potrà in altri termini aumentare la complessità del processo

decisionale politico e amministrativo del nuovo comune, riducendo il suo potenziale in ter-

mini di aumento di efficacia ed efficienza rispetto alla situazione attuale. Per queste ragioni il

rapporto si conclude suggerendo che in sede di redazione dello statuto venga previsto il

ricorso eventuale e transitorio a tali soluzioni alternative di rappresentanza90.

30/11 In Casentino, in cerca di imprenditori di confini. Inutili passaggi intermedi

Seguivo le vicissitudini dei conati di fusione in Toscana da un anno. Nelle prime ricerche bi-

bliografiche e in rete, tra le notizie, arrivavo spesso a progetti spettacolari provenienti da

questa regione: il comune unico della Valdarno era stato il primo, un comune-monstre che

178

89 La legge 142/1990 prevedeva l'elezione di un prosindaco e di due consultori da parte dei cittadini re-

sidenti in un municipio, contestualmente all'elezione del consiglio del comune di appartenenza. Dopo la

riforma operata dalla Legge 265/99, ora confluita nel D.Lgs. 267/2000 (art. 16), la disciplina dell'organiz-

zazione e del funzionamento dei municipi è demandata agli statuti e regolamenti comunali.

90 Ruoli, poteri, spazi di manovra e modalità di elezione di queste figure dovranno essere eventualmente

definite in sede di elaborazione dello Statuto e dei regolamenti, che stando all’art. 16 comma 2 del TUEL

“disciplinano l'organizzazione e le funzioni dei municipi, potendo prevedere anche organi eletti a suffragio

universale diretto. Si applicano agli amministratori dei municipi le norme previste per gli amministratori dei

comuni con pari popolazione”: potranno in altri termini spaziare dal ruolo di proposta e parere a forme di

responsabilità e autonomia più ampie, compreso l’indirizzo in merito a specifiche politiche pubbliche, in-

terventi sul territorio e di conseguenza voci di bilancio.

Page 179: cupio dissolvi.

nella definizione di progetto discussa nel 2007/2008 arrivava a comprendere dieci comuni

per 90.000 abitanti totali circa. In quel caso, una Fondazione costituita ad hoc (Fondazione

Valdarno) aveva lavorato sul progetto, arrivando a commissionare uno studio di fattibilità

presentato nel convegno tenutosi nel 2008. Del Casentino inizio a sentir parlare verso

l’estate, quando un comitato costituito dalla Lega Nord, che su questo territorio esprime un

parlamentare, avvia una fase di raccolta di firme a tappeto con cui chiedere alla Regione di

mettere mano ad un disegno di riforma, che preveda la nascita di un unico comune per l’in-

tera vallata. Il Casentino è diviso amministrativamente in tredici comuni, per circa 45.000

abitanti: il “comune unico” mettere un’intera “regione storica” sotto un unico cappello am-

ministrativo.

Già il 3 di luglio, durante una conferenza stampa, il comitato della Lega Nord aveva presen-

tato il progetto e lanciato la raccolta di firme per il referendum di iniziativa popolare, affer-

mando in una nota che “qualora il referendum andasse in porto dal 31/12/2011 secondo la

legge i 13 singoli comuni e la comunità Montana saranno estinti, mentre dal 1 gennaio 2012

nascerebbe il comune unico”91. Viene prefigurato uno scenario in cui la regione recepisce

un’istanza popolare, secondo Morganti (europarlamentare della Lega) “il consiglio regionale

non andrà contro la volontà di 5.000 persone”. "Le ragioni per cui chiedere la costituzione

del comune unico sono molteplici - ha spiegato il segretario Claudio Morganti - perché un

comune unico rende più forti sia a livello europeo, e quindi per chiedere fondi all'unione Eu-

ropea, sia a livello regionale. Fra l'altro, con l'istituzione del comune unico si vanno a tagliare

i costi della politica”.

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91 Lega Nord, avviata la raccolta firme per il referendum sul comune unico, 7/7/2010 (Fonte: ANSA)

Page 180: cupio dissolvi.

La proposta appare difficilmente praticabile, intanto però la raccolta di firme arriva presto al

numero dichiarato di 6.000, e il dibattito - su siti, blog, sulla stampa locale - appare molto

vivace. Le associazioni di categoria se ne accorgono da subito: con alcune dichiarazioni la

CNA appoggia l’idea, ma è degli Industriali aretini lo slancio che porta all'organizzazione di

un convegno a fine novembre, a Poppi, per discutere di “Semplificazione amministrativa”.

Decido di andare. Arrivo con un leggere anticipo Al Parc Hotel di Ponte a Poppi, ho inca-

strato una serie di appuntamenti in Romagna per farci stare anche questa scampagnata

non prevista (e non retribuita). I partecipanti alla Tavola rotonda sono il Presidente Gruppo

Imprenditori Confindustria Casentino, i Sindaci di Poppi, Bibbiena, Montemignaio, Ortigna-

no-Raggiolo, il Presidente della comunità Montana e un giornalista di Sole 24 Ore. Invitato

speciale Giuliano Pellegrini, l’ex sindaco del comune di Ledro di nostra conoscenza. Il pub-

blico è fatto di imprenditori, giornalisti, sindacalisti, gente comune.

In apertura, il giornalista sciorina dati da cui si evince che un nella fusione si generano eco-

nomiche notevoli rispetto ad un gruppo di comuni di pari abitanti. Il caso di Ledro è chiama-

to a raccontare il proprio percorso, durato vent’anni e incentrato sul passaggio per la ge-

stione dei servizi associati tramite l’unione dei comuni. L’assessore fa anche presente che

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Page 181: cupio dissolvi.

un comune grande e forte è, naturalmente, più rappresentativo e più ascoltato in Provincia

e in Regione.

Un sindaco si dice propenso ad arrivare al comune unico passando per un’unione di co-

muni “leggera e molto temporanea”. Immagina un “comune unico distribuito”, con gli uffici

ripartiti equamente nei vari ex comuni. Ogni ex comune deve poter mantenere la sua identi-

tà e avere sempre un riferimento “comunale”, senza che vi sia un comune “capoluogo”. An-

che altri sindaci immaginano che la costituzione di un’unione di comuni sia un’attività ne-

cessariamente preliminare alla fusione. Dal pubblico qualcuno rileva che l’esercizio prelimi-

nare di unione “è già stato fatto per decenni con la comunità Montana”: quindi o è stato un

esercizio inutile, e allora si rincominci daccapo con l’unione dei comuni per 10 o 20 anni

ancora e più, ma se l’esercizio è stato svolto bene, come si crede, allora si è pronti a passa-

re al comune Unico, così come hanno fatto a Ledro! Sarebbe bene che prima di prendere

una decisione vengano interpellate e sentite anche tutte le parti sociali: occorre non dimen-

ticare che 6.000 cittadini stanno chiedendo un referendum di vallata, affinché tutti i Casenti-

nesi dicano SI al comune Unico per cercare di cambiare, oppure dicano No per mantenere

tutte le cose così come sono state fino ad oggi. Dal pubblico si fa ancora rilevare anche che

l’importante è fare finalmente le cose, questo comune Unico si doveva fare 50 anni fa, con

l’inizio dell’industrializzazione in Casentino così oggi avremmo un piano regolatore omoge-

neo di vallata; avremmo procedure amministrative omogenee di vallata; non avremmo da

scalare ancora i “Passi” della Consuma, della Calla e dei Mandrioli; non ci metteremmo 90

minuti per andare sull’A1; avremmo una metropolitana Arezzo-Casentino-Firenze… E inve-

ce oggi stiamo ancora qui a discutere se tutto questo conviene oppure no!

10/12 Nei centri anziani del Fiume Verde: affidarsi la politica, oltre lo Studio. Partire dalla gente

Da subito, parlandone con i sindaci, era emersa l’idea di andare a “sentire come la pensa la

gente”, immaginando i luoghi in cui fosse possibile reperire larghe fasce di questa categoria

indistinta. Dove la trovi la gente? Al mercato, per strada? Nel confronto dialogico con il

cliente emerge l’idea di ascoltare “la pancia” entrando nei luoghi in cui questa si concentra

con le proprie vesti più radicate, ipoteticamente più tradizionaliste: i centri sociali anziani.

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Page 182: cupio dissolvi.

Con i sindaci valutiamo in quali dei tanti centri presenti sui territori sottoporre i frequentatori

alla somministrazione di questionari strutturati, ne incontriamo i presidenti chiedendo loro

alcune prime indicazioni nel merito. Con loro concordiamo anche il metodo: accederemo al

campo nei momenti di massima frequentazione - mentre si gioca a carte - facendo compi-

lare un questionario breve sulla conoscenza del dibattito e sulle posizioni circa l’ipotesi in

discussione.

Lo strumento ha una gestazione più lunga: da una prima versione si passa secondo pro-

gressivi aggiustamenti a una molto più asciutta, in cui restano solo questi quesiti: 1. Cono-

sce il tema della fusione dei comuni? 2. Cosa ne pensa? 3. Cosa la spaventa di più? 4.

Crede che questo sia il momento giusto per farla? Cosa si aspetta da uno studio di fattibili-

tà? Vogliamo capire quindi in primo luogo se il progetto cade su un terreno minimamente

fertilizzato da dibattiti anche informali precedenti o se viceversa è tutto da costruire, da zero.

Ci interessa poi capire il clima attorno all’ipotesi, se cioè esiste una chiusura preconcetta,

una disponibilità di massima o, se il caso, quali temi determinano scetticismi circa la fattibili-

tà del progetto.

Organizziamo all’ultimo momento la giornata di visite ai centri anziani, confidando nell’aper-

tura degli spazi e sperando di poter raccogliere disponibilità all’ultimo. Il 10 di dicembre par-

to con Alessandra, nuova collaboratrice di C.O. Gruppo, cui abbiamo affidato fin da subito

alcune interviste di sfondo tanto ad associazioni di categoria quanto a imprenditori. Il pro-

gramma prevede di passare in almeno un centro per comune, partiamo tardi da Bologna e

siamo sul campo verso l’ora di pranzo. Il primo è a ζ. Il centro è al mare, in una via costella-

ta da alberghi sprangati per l’inverno. Entriamo in quello che di fatto è un bar, in cui non

meno di di una trentina di avventori sono intenti alla partita del dopo pranzo. Il secondo

centro è a San Mauro, riusciamo a farci annunciare dal presidente all’ultimo. Il centro in

questo caso è ospitato in locali del piano terra del palazzo comunale, in parte condivisi con

l’Informagiovani, giusto sotto la biblioteca. Il presidente del Sempra Zovan (così si chiama il

centro) lo raggiungiamo durante il pranzo, il numero di casa lo otteniamo dalla segretaria del

sindaco, che incontriamo per un saluto fugace. Qui le persone presenti sono meno nume-

rose, una decina in totale. Tutti giocatori, anche qui. Il terzo centro è a η. Il presidente era

stato il primissimo intervistato della nostra campagna, qui le sale sono piene di un pubblico

che stranamente non è solo maschile. In tutti e tre i casi, il nostro ingresso attira l’attenzione

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Page 183: cupio dissolvi.

dei più, altri sono infastiditi dall’interruzione indebita della partita, alla fine riusciamo a por-

tare a casa con le unghie e coi denti poco più di 40 questionari.

Che cosa sappiamo? Intanto la provenienza: dove abitano? La maggioranza degli intervi-

stati è prettamente stanziale e locale, risiede infatti in uno dei tre comuni dalla nascita o da

più di 40 anni. Altri invece hanno sempre vissuto in questa zona della Romagna spostando-

si da un comune all’altro per esigenze lavorative. Pochissimi non hanno mai sentito parlare

di fusione, ma non molti di più d’altronde sanno bene di cosa si tratta: chi ne ha letto o sen-

tito ne ha un’idea molto vaga. Più della metà degli intervistati si dice molto favorevole rispet-

to alla possibilità di fondere i tre comuni. Stanno sulle dita di una mano quelli che invece si

dicono fortemente contrari, perché ritengono che l’eventuale riforma non cambierebbe nulla

o, peggio, che si peggiorerebbe la situazione attuale. Prevale, diffuso, lo scetticismo: per un

quarto degli intervistati sarebbe giusto fare la fusione, ma “vedrai che non si farà”. Un terzo

di chi risponde non teme nulla, pensa cioè che la fusione non porterebbe altro che effetti

Associazione Data Num. prog.

TRE COMUNI PER UN TERRITORIO. QUESTIO-

NARIO PER LE ASSOCIAZIONI

PERCHÉ UN QUESTIONARIO?

Le Amministrazioni Comunali di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone hanno affidato alla

nostra società l’incarico di studiare la reale fattibilità di un percorso che possa portare, in caso di risultato

positivo, all’istituzione di un nuovo Comune che li accorpi. La fusione dei tre Comuni rappresenta una

prospettiva che, oltre a chiamare in causa le organizzazioni amministrative, riguarda le realtà sociali che

questo territorio lo vivono da protagoniste. Per rappresentare le posizioni rispetto a quest’ipotesi chie-

diamo cinque minuti del Suo tempo per alcune brevi domande.

Campo

analitico

ItemItem

PresentazioneAssociazione _____________________Comune di residenza _____________________Da quanti anni risiede qui _____________________

Aspettative

della Comu-

nità ammini-

strata

Cosa si aspetta dal suo Comune?(ordinare per importanza le risposte)

Che produca servizi di qualità a basso costoChe aiuti la società e gli individui a produrre ricchezzaChe tuteli i valori culturali e sociali della mia cittàAltro (specificare)_______________________

Identità

locale

Cosa significa essere di (____________________)?(ordinare per importanza le risposte)

Essere eredi della storia di una comunitàAvere un patrimonio sociale e culturale comune Vivere in un territorio vasto, ricco socialmente e culturalmenteVivere in una città ben ordinata e con buoni serviziAltro (specificare)_______________________

C.O. Gruppo srl !

S T U D I O D I FAT T I B I L I T À P E R L A F U S I O N E D E I C O M U N I D E L L’ U N I O N E D E L R U B I C O N E

" " " " " " " " " " " martedì 26 ottobre 2010

183

Page 184: cupio dissolvi.

positivi; altrettanti, invece, pensano che a subire i contraccolpi maggiori saranno i servizi:

più lontani da raggiungere, più costosi per la comunità o, ancora, meno dotati in termini di

personale con conseguente perdita di efficienza degli stessi. Quando bisogna farla questa

fusione? Il campione si spacca tra due posizioni antitetiche, tra chi pensa che “se n’è già

parlato abbastanza” e chi invece ritiene che sia necessario “approfondire ancora”.

C’è bisogno dello studio, ma bisogna fare in fretta: se si vuole fare, e ce lo deve dire la poli-

tica, che si proceda senza tante chiacchiere. Quindi, prima dello studio, viene la politica.

Tutti i favorevoli e i pochi contrari su questo concordano: che sia la politica a indicare una

strada, responsabilmente, valuti e solo allora ci chieda di starci.

18/12 Sul Fiume Rosso vogliono partire: la checklist dei documenti. Si circoscrive una prassi.

Verso Natale si fanno vivi dall’unione dei comuni della Fiume Rosso. Su quel territorio sta

per avviarsi un nuovo studio di fattibilità per la fusione dei comuni, su cui cominceremo a

lavorare nel 2011, il terzo e probabilmente non l’ultimo, data l’intensità con cui stanno na-

scendo questi ‘focolai’ un po’ dappertutto, in particolare in Emilia-Romagna. Quasi chiuso il

lavoro sulla Fiume Giallo, in pieno sviluppo il Fiume Verde, si torna al lavoro su un nuovo

progetto dal profilo - sulla carta - molto preciso: questi sono determinati a chiudere, in fret-

ta. E adesso sono pronti a partire con i lavori: hanno perfezionato (DG 96/14.12.2010) il

contratto di consulenza con SPISA92, la scuola di specializzazione in studi sull’amministra-

zione pubblica dell’Università di Bologna per la quale condurremo il lavoro.

Siamo in piena “città metropolitana” di Bologna. Più che altrove, in questi comuni - in parti-

colare quelli di pianura - sono visibili le funzioni metropolitane che allargano all’area vasta la

sfera d’influenza del capoluogo, fino alla seconda e terza cintura: qui passa una linea del

Sistema Ferroviario Metropolitano,

184

92 Nel 2000 la stessa SPISA ha già lavorato a uno studio per la trasformazione della comunità Montana

in unione di comuni. Il referente scientifico e politico dell’Unione è il prof. Luciano Vandelli, uno dei massi-

mi conoscitori del governo locale in Italia.

Page 185: cupio dissolvi.

Via Skype, il capo mi dice che entro Natale bisogna inviare una checklist dei materiali che il

cliente dovrà produrre per consentirci di lavorare alle prime elaborazioni: l’elenco è un arte-

fatto concepito come attivatore del cliente, che in chiave prosumerista diventa co-produtto-

re del rapporto di consulenza, assumendosi l’onere - in forza non tanto di quanto previsto

dal contratto quanto da accordi verbali - di mettere a disposizione dei professionisti una se-

rie di documenti. Il contenuto di questa lista si va definendo in modo incrementale, quoti-

dianamente, in misura direttamente proporzionale alla definizione della pratica di intervento.

Se nel primo cantiere di fusione la richiesta di documenti da parte dei consulenti è stata di

fatto a-sistematica e tentativa, oggi ci sentiamo in grado di definire, con buona approssima-

zione, quali sono gli ingredienti indispensabili per ‘cucinare’ uno studio di fattibilità. Sempre

di più, il nostro contributo fondamentale come scienziati sociali coinvolti in un processo

consiste nella capacità di scrivere una lista di domande da fare, temi che valga la pena rac-

cogliere (Lindblom, 1990).

L’esordio dell’elenco si colloca a luglio, alle battute iniziali del cantiere-Fiume Verde: lì ne era

stato prodotto uno, articolato secondo il livello di produzione dei documenti richiesti - il co-

mune o l’unione - con accordo rispetto alle modalità di raccolta, che avrebbero dovuto pre-

vedere un coordinamento per ciascun ente. Lo strumento, nella prima esperienza d’uso,

aveva funzionato bene in termini di attivazione: entro fine agosto, come concordato e come

indicato in termini perentori dal Segretario pro tempore dell’unione, sono giunti a mezzo po-

sta elettronica dei rispettivi responsabili amministrativi (segretari comunali)) tutti i documenti

richiesti.

Il primo elenco si componeva, come si vede dalla tabella seguente, di materiali articolati ol-

tre che per ciascun livello di governo anche per le tre fasi (Definizione dello sfondo strategi-

co, quadro conoscitivo socio demografico e territoriale, quadro conoscitivo dei comuni e

dei servizi) indicate nel progetto presentato in sede di partecipazione al bando di gara per

l’affidamento dell’incarico, vinto da C.O. Gruppo. L’elenco dice cosa cerchiamo e come se-

lezioniamo le informazioni tra tutte quelle disponibili: quale strategia di ricerca-azione viene

prima abbozzata e via via dettagliata, rispetto a quale obiettivo finale.

Si va standardizzando una prassi di intervento: la compartecipazione diretta del cliente è il

primo elemento, la definizione di un elenco condiviso è il secondo. Nell’elenco per la Fiume

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Page 186: cupio dissolvi.

Rosso viene sensibilmente arricchita la parte relativa agli aspetti organizzativi: se in un primo

momento l’assunto secondo cui “la fusione è altro rispetto all’unione, non è tanto rilevante

l’aspetto della gestione associata dei servizi quanto gli elementi politico-istituzionali” aveva

determinato un’attenzione meno marcata al tema, si fa largo l’idea secondo cui, in realtà, la

gestione associata dei servizi sia uno stadio necessario per un successivo “salto di qualità”.

Unione Comuni

Definizione

dello sfondo strategico

- Linee programmatiche di mandato- Rassegna della documentazione, degli studi

economico-sociali e ricerche prodotti - Atti di Giunta e di Consiglio di particolare si-

gnificatività (ipotesi evolutive di fusione o estensione delle materie convenzionate, stu-dio di fattibilità, piani strategici di crescita, ecc.)

- Lista referenti provinciali utili per l’effettuazione di interviste di sfondo

- Linee programmatiche di mandato- Materiali campagne elettorali- Elenco di opinion leader del territorio (di realtà

sociali, economiche, culturali) da contattare per interviste

Quadro co-noscitivo so-

cio demogra-fico e territo-riale

- Referenti sindacali e di associazioni di catego-ria

- Dati aggiornati su immigrazione, dipendenza strutturale

- Dati su occupazione e nati-mortalità aziendale- Studi/approfondimenti socioeconomici

- Raccolta materiali storico/culturali- Elenco (con referenti) delle associazioni- Quadro delle forze dell’ordine presenti

Quadro co-noscitivo dei comuni e dei

servizi

- Pianta organica- Report di funzionamento servizi associati- Quadro sistemi informativi (software in

uso, reti)- Ultimi tre bilanci consuntivi- RPP- Elenco convenzioni attive- Statuto

- Elenco e riferimenti responsabili di settore- Personale politico- Pianta organica- Contratto integrativo- Ultimi tre bilanci consuntivi (richiesta compilazio-

ne dati in scheda di riepilogo seguente) - Certificazioni CdC su utilizzo oneri di urba-

nizzazione- RPP- Patrimonio immobiliare- Partecipazioni societarie- Statuto- Convenzioni (extra servizi associati)

Sugli aspetti strettamente connessi al funzionamento dei servizi vengono richiesti (ove pre-

senti, e non è scontato) i report di funzionamento, non richiesti in prima battuta nelle altre

esperienze: soprattutto sul secondo cantiere (Fiume Verde) ci si è resi conto che buona par-

te delle voci contrarie all’ipotesi di fusione derivano da valutazioni negative circa le esperien-

ze di gestione associata dei servizi; sul funzionamento generale dei comuni, in particolare

sulla tenuta degli Enti in termini economico-finanziari, vengono richiesti ulteriori dettagli la

cui rilevanza in termini argomentativi è entrata nella toolbox nella seconda consegna del

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Page 187: cupio dissolvi.

Fiume Giallo del 22 di novembre nel rapporto operativo93: la quota di oneri di urbanizzazio-

ne destinati a coprire la spesa corrente, uno degli indicatori in grado di descrivere il grado di

dipendenza dei comuni da fonti di finanziamento non strutturali (e quindi non certe) per il

proprio funzionamento ordinario, viene documentata in un’apposita certificazione dei conti

consuntivi per la Corte dei Conti, che viene quindi richiesta.

Pochi giorni prima, il 9 di dicembre, il direttivo del circolo del Partito Democratico di κ, in

seguito ai primi incontri di zona intorno al tema della fusione dei comuni, sottopone all’at-

tenzione del Coordinatore il documento “Innovazione amministrativa per la Valle del Fiume

Rosso”. Nel documento si legge della “necessità di una strategia politica e amministrativa

innovativa, efficace, vicina ai bisogni della gente” in grado di dare una risposta al momento

attuale di crisi. Un’amministrazione innovativa richiama secondo il documento il futuro istitu-

zionale dell’unione dei comuni, terreno elettivo per un confronto prima di tutto politico, in

seno al Partito. Nell’appoggiare pienamente il progetto intrapreso dalle Amministrazioni

Comunali, il direttivo “valuta che lo sforzo e i costi necessari per costruire nuovi modelli/pro-

cessi amministrativi e un nuovo Ente sovracomunale siano gli stessi indipendentemente dal

DALL’UNIONE ALLA FUSIONE DI COMUNI

Materiali per la redazione dello studio di fattibilità per la fusione dei Comuni

dell’Unione dei Comuni Valle del Samoggia

a cura di C.O. Gruppo srl

IL CONTENUTO

Nel presente documento riportiamo schema analitico della documentazione minima necessaria alla fase di analisi organizzativa, economica

e territoriale propedeutica al progetto operativo di fusione dei Comuni. Si tratta con ogni evidenza di un primo elenco, cui potranno seguire,

se necessari e se richiesti, approfondimenti ulteriori. Resta inteso che ogni altro materiale documentale sul territorio, anche se non

recentissimo e realizzato dai comuni, è ben accetto. In considerazione della presenza di un momento organizzativo di coordinamento

(l’Unione) già consolidato, è auspicabile, anche se non indispensabile, che la raccolta sia centralizzata.!

martedì 28 dicembre 2010! ! ! ! ! ! ! 1

187

93 “I comuni hanno così dovuto progressivamente accedere ad una risorsa di norma destinata al solo

finanziamento di opere pubbliche, gli oneri derivanti da rilascio di titoli autorizzatori edilizi. Tale prassi ha

assunto proporzioni imponenti, di fatto snaturando la ratio dell’entrata e inducendo prassi programmato-

rie basate su fonti finanziarie aleatorie e sottoposte a incertezze di importo e di flusso. Un flusso che si è

oggi (con la crisi dei mercati) contratto drammaticamente e in modo generalizzato, mettendo da un lato in

seria difficoltà gli Enti che vi si sono affidati sempre di più, dall’altra rendendone evidente l’insostenibilità.

Questa analisi, di fatto, riguarda buona parte dei comuni italiani”.

Page 188: cupio dissolvi.

numero dei comuni da coinvolgere e ritiene quindi che l’approdo naturale e più logico di

questo percorso sia la fusione dei cinque comuni che costituiscono la Valle del Fiume Ros-

so”, affermando che “l’innovazione amministrativa, per la sua stessa natura, richiede un co-

involgimento pieno della cittadinanza, “mediante occasioni di confronto, approfondimento,

partecipazione e, soprattutto, elaborazione comune. 

Il direttivo chiede, “pur nell’attesa degli esiti dello studio di fattibilità in corso di svolgimento

su questo tema, una dichiarazione d’intenti dell’assemblea di tutta la valle, che consenta di

procedere in modo solidale e consapevole, e, così facendo, di perseguire strumenti e azioni

efficaci, che consolidino la comprensione e la fiducia delle comunità nei nuovi assetti che si

stanno delineando”. Lo studio di fattibilità compie il suo ingresso in campo: ma la politica si

attiva e invoca pronunciamenti ufficiali che avallino l’opportunità e l’ineluttabilità della scelta

aggregativa indipendentemente dagli esiti che dallo studio potranno essere generati.

7/1/11 Alle sorgenti del Fiume Blu: organizzazione del territorio e solu-zioni locali.

La fine dell’anno si chiude, tra l’altro, con alcuni (ennesimi) lanci di agenzia su ipotesi di fu-

sione in Emilia-Romagna. Il primo nel ferrarese, dove tre comuni di circa 10.000 abitanti in

tutto pensano di fondersi “per creare sviluppo e dare alle nostre comunità migliori servizi e

qualità della vita”94, la Provincia risponde appoggiando l’idea, dichiarando di voler “tenere a

battesimo il primo caso di fusione tra comuni”95. Il secondo nel cesenate, nei comuni della

valle del fiume Savio, in cui alcune forze economiche e politiche si starebbero attivando per

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94 “Tre comuni riuniti sotto un unico tetto”, la Nuova Ferrara 22/12/10. Nell’articolo, i sindaci dei tre co-

muni interessati dichiarano che “il primo passo primo passo sarà quello di affidare uno studio di fattibilità

per analizzare le ricadute che avrà sulle tre comunità il processo di fusione in un solo comune. E solo a

quel punto, se tutti gli indicatori saranno positivi - se, insomma, non ci sarà nessun tipo di controindica-

zione per i cittadini - comincerà un'analisi più approfondita, “con il coinvolgimento - evidenzia Sabina

Mucchi, sindaco di Migliarino - di tutti, dai consigli comunali alle associazioni, ai residenti. Ma è chiaro che

prima di cominciare il processo di fusione (che culminerà con il referendum, ndr) ci dovrà essere una as-

soluta certezza che tutto andrà a vantaggio dei cittadini”.

95 “Provincia, sì alle fusioni tra comuni”, la Nuova Ferrara 23/12/10. Per la presidente il nodo sta nei ser-

vizi: “si potranno fare fusioni se i servizi garantiti faranno un evidente salto di qualità”.

Page 189: cupio dissolvi.

ripensare l’assetto istituzionale del territorio che “sta pagando a caro prezzo il costo dell’ec-

cessiva frammentazione amministrativa che rende difficile l’azione di chi vuole investire,

programmare, operare”96. Prendo nota, cresce il database e aumentano i casi di dibattito

locale generato dalle associazioni. La fusione non la vogliono (solo) i politici, ma il territorio

della “società di mezzo”, degli interessi rappresentati, quegli interessi che intendono le isti-

tuzioni come mezzi, infrastrutture per sostenere la laboriosità.

Il tempo di registrare queste cose e arriva l’anno nuovo. Dopo l’Epifania è già tempo di

viaggiare lungo i fiumi della regione: questa volta andiamo nella Alta Valle del Fiume Blu, do-

ve ci attendono in sequenza un incontro con il Sindaco di Vergato, comune posto a metà

della vallata e polo ordinatore delle varie funzioni di area vasta (ospedale, distretto, comunità

Montana, eccetera) e una riunione del coordinamento del Partito Democratico di ω, centro

termale e ultimo comune della vallata. I temi all’ordine del giorno: nel primo incontro parle-

remo di unioni mentre nel secondo, ancora una volta, di fusione.

“Siamo ai confini dell’impero”, dico spingendo la porta a vetri del comune. Fuori, le vetrine

sono ancora illuminate a festa, siamo in pieno ponte di fine vacanze natalizie, è venerdì sera

e c’è poca gente in giro. La sindaco di Vergato ci accoglie in un palazzo comunale deserto,

raggiungiamo il suo studio illuminato in fondo a un salone buio, mentre fuori minaccia di ne-

vicare. Dopo i primi convenevoli sul tempo con due-tre battute si racconta: ha vissuto un

primo mandato turbolento, in cui ha aperto una serie d’indagini giudiziarie che hanno segui-

to la rimozione di alcune figure di dirigenti. Oggi a tenere alto il livello dello scontro ci pensa-

no “i grillini”, con una raffica di esposti su alcune vicende legate ad autorizzazioni su aree

pubbliche.

Sul nodo istituzionale c’è uno dei temi più caldi del momento: la Nuova comunità Montana

“Media e Alta Valle del Fiume Blu” è stata avviata nel 2009. Oggi l’Ente, la fusione di due

precedenti organismi, copre il territorio di 13 comuni omogenei quanto a Distretto Sociosa-

nitario e scolastico. Di fatto, però, oggi la comunità è un Ente in disarmo, le sue competen-

ze sono ridotte, e l’idea condivisa è di andare - seguendo quanto caldeggiato nel Pro-

189

96 Il progetto di unificazione, lanciato dalla locale CNA, si basa su un’indagine tra le imprese secondo cui

per l’87% dei titolari l’unificazione sarebbe auspicabile, per la “necessità di un’architettura amministrativa

originale e innovativa, che riduca al minimo gli aspetti burocratici ed esalti il sistema delle produzioni loca-

li” (Corriere Cesenate, dicembre 2010).

Page 190: cupio dissolvi.

gramma di Riordino Territoriale, verso la trasformazione di questo Ente di primo livello in uno

o più Enti di secondo livello (unioni di comuni) cui delegare parte dei servizi comunali. Oggi

la comunità si occupa principalmente di gestione del territorio (assetto idrogeologico, fore-

stazione) con l’aggiunta della sismica per tutti i esclusi ω e ς, i due comuni che stiamo per

incontrare, che stanno ragionando sulla fusione (e che da poco hanno ottenuto una deroga

per costituire una unione ‘endo-comunitaria’, all’interno di una comunità Montana, formal-

mente vietata dai programmi regionali).

Il tema è già dibattuto: a una settimana dal nostro incontro si terrà nel vicino comune di

Marzabotto un convegno97 sul tema, alla presenza dell’assessore regionale titolare della de-

lega; due giorni prima, un blog locale parlava senza mezzi termini di “inevitabile ‘de profun-

dis’ della comunità Montana, costretta a chiudere i battenti per mancanza di fondi”98. In ef-

fetti, il sindaco ci conferma che le risorse scarseggiano: finora “la Regione ha supplito com-

pletamente ai mancati trasferimenti dello Stato”, di qui in avanti “sarà difficile riuscire a man-

tenere le strutture, con organici costosi per i quali è difficile immaginarsi un ruolo”. Sono

stati creati due gruppi interni di lavoro tra segretari comunali e direttori operativi per cercare

di dirimere la questione in questa fase di transizione.

Il sindaco conferma di aver avuto rapporti con la regione, e di aver lavorato affinché l’attuale

versione del PTR venisse inserita una clausola99 che rende possibile la creazione di gestioni

associate in su zone di comunità montane insistenti tra più valli, fattispecie originariamente

non prevista dal programma.

190

97 “Riordino istituzionale: dalle comunità Montane alle unioni dei comuni”, Venerdì 14 Gennaio 2011 alle

ore 20.30 presso la Sala Consiliare.

98“Chiude la comunità Montana Media e Alta Valle del Fiume Blu. All'orizzonte due unioni di comuni”.

(http://notiziefabbriani.blogspot.com/)

99 All’art. 2.8 del PTR deliberato il 27/12/10 (descrizione dei criteri per la determinazione dei contributi) si

afferma “Per le specifiche ipotesi di gestione associata in zone di comunità montane o di gestione per

conto dei 4/5 dei comuni della forma associativa, il contributo è quantificato, con riferimento al valore sta-

bilito dalla Tabella A, applicando i seguenti criteri: − nel caso in cui le comunità montane costituite da al-

meno 8 comuni o insistenti su valli separate abbiano istituito, ai sensi dell’art. 13 della l.r. 11/2001 una o

più zone, il contributo alla comunità montana è commisurato al valore della percentuale dei comuni ap-

partenenti alla zona interessata alla gestione associata, sempre che ciascun comune sia computato in

una sola zona”

Page 191: cupio dissolvi.

Il tema che pone il sindaco è di stretta ingegneria istituzionale: cos’è meglio, qui e ora, per

ri-ordinare/ri-organizzare il territorio? Quali artefatti istituzionali possono essere costruiti per

rendere l’amministrazione più plastica rispetto alle dinamiche del mutamento socioecono-

mico che la interessa? Oggi, secondo il sindaco, il dibattito sulle fusioni - su quella dell’Alto

Fiume Blu, in particolare - ha “scompaginato ulteriormente le carte”, introducendo un salto

logico rispetto al dibattito, che rende attualmente “ingestibile lo scenario”. Con alcuni am-

ministratori della zona ha fatto un tour in giro “per le buone pratiche”, sono scesi fino alla Val

Fiume Rosso, “un po’ esagerata”. È importante ragionare in modo approfondito sul piano

istituzionale. “Dobbiamo essere affiancati soprattutto sul piano istituzionale”, e con questa

richiesta ci salutiamo, promettendo che sarà predisposta un’offerta di supporto al processo

di riforma che tenti di prefigurare quindi i vari scenari in gioco.

Ripartiamo, da una scissione a una fusione in pochi chilometri: da una comunità Montana

che vuole sciogliersi a due-tre comuni che si fondono. L’appuntamento alla sede del Partito

Democratico è per le otto e mezza, facciamo appena in tempo a consumare una pizza ve-

loce, di fronte a noi il nuovo palazzo della sede distaccata di ω del Tribunale di Bologna:

siamo lontani dal capoluogo e si capisce anche da questo. Ci hanno invitato a una riunione

del coordinamento, si discute di fusione e di riordino istituzionale, dell’unione di comuni co-

stituita in fretta con il vicino comune di ς, e dell’attuale posizione di netta contrarietà alla fu-

sione di ψ, altro comune confinante. Se ne parla da un po’, di fusione tra i comuni di queste

parti. E, qua, lo studio di fattibilità c’è già. Dopo averne sentito parlare in un articolo intercet-

tato a maggio, me l’ero fatto100 mandare dagli autori, un comitato costituito ad hoc. Un

comitato che, dopo mesi di dibattito arriva a ridosso della fine dell’anno ad avviare un’azio-

ne compatta di raccolta firme nelle piazze. Oggetto: la fusione di tre comuni: ω, ς, ψ. Suc-

cede però che il sindaco e di quest’ultimo, interpellato sul tema, non ne vuole sentire parla-

re. Politicamente, la strada “a tre” appare impraticabile. Siamo qui stasera per spiegare di

cosa si tratta e soprattutto per offrire un supporto al giovanissimo segretario del Partito, cui

spetta il compito di dimostrare che, tutto sommato, anche ‘a due’ può funzionare.

191

100 “Buongiorno Sig. Pirani, La ringrazio per l'interesse dimostrato. Allego alla presente copia dello Stu-

dio sulla Fusione. si tratta di un lavoro di ricerca di circa una trentina di pagine. Rappresenta solo la prima

parte di un progetto che vede in fase di elaborazione un sito internet e opuscoli informativi più facilmente

digeribili dal lettore. In attesa di riscontro saluto cordialmente”.

Page 192: cupio dissolvi.

Il segretario ci crede. Già in occasione di un primo incontro a maggio, organizzato dal co-

mitato pro-fusione, si era espresso con toni accorati sulla necessità di andare nella direzio-

ne di uno studio che potesse indagare l’opportunità di una riforma istituzionale nel senso

dell’aggregazione. Poi, in settembre, il gruppo di maggioranza aveva promosso un OdG di

indirizzo in consiglio in merito al “superamento dell’attuale assetto della comunità Montana

e del conseguente riordino territoriale”, in cui “considerato l’orientamento della Regione di

garantire i finanziamenti esclusivamente ai processi di fusione” invitava il sindaco e la giunta

ad attivarsi per “ipotizzare un ambito ottimale sul quale verificare le condizioni per realizzare,

seguendo tutti i passaggi previsti dalla legge a partire da referendum vincolante e obbligato-

rio sul tutto il territorio interessato, un processo di fusione tra i comuni”101. In ottobre, poi,

intervenendo a un incontro tra i i cinque circoli dell’Alto Fiume Blu sul tema del riordino isti-

LA FUSIONE DELL'ALTO RENO una proposta per il nostro futuro

studio informativo a cura del direttivo

del Comitato per la Fusione dell'Alto Reno

192

101 la parte narrativa dell’OdG si apre considerando “che la necessità del superamento dell’attuale as-

setto della comunità Montana deriva anche da una evidente mancanza di omogeneità territoriale tra i co-

muni membri”, “che da sempre considera l’Alto Fiume Blu come un comprensorio omogeneo purtroppo

suddiviso amministrativamente”, “strategica la nascita dell’unione dell’Alto Fiume Blu come soggetto in

grado di gestire servizi su un ambito realmente omogeneo e ottimale”

Page 193: cupio dissolvi.

tuzionale, prende posizione circa l’ipotesi di superamento della comunità montana, chie-

dendosi “che fine faranno tutti gli oneri legati alla vecchia istituzione?” e auspicando che

l’eventuale smembramento dia vita ad unioni di comuni costruite sulla base di criteri tecnici

che individuino “l’ambito ottimale dell’area relativa alla futura gestione associata plurima”. Si

spinge poi a valutare come potenzialmente inutile l’ipotesi di unione dei tre comuni più

prossimi, immaginando invece che la “vicinanza dei nuclei urbani di ψ, ω Terme e ς, sia una

grande opportunità [...] per ottenere, tramite un processo di fusione, un territorio unificato

sotto una gestione davvero omogenea, in cui risolvere i pericolosissimi squilibri strutturali tra

utenza e centri ordinatori di servizi, sulla spinta dei grandi finanziamenti statali e regionali

messi a disposizione per questo tipo di processi e con l’obiettivo di creare grandi economie

di scala, con il risultato di una riduzione dei costi per tutti i tre comuni”.

La riunione fila via liscia, il segretario introduce: sul piano di riordino della Valle ribadisce che

non c’è “nessuna intenzione di accollarsi i costi della dismissione della comunità montana”,

la posizione l’ha già chiarita anche all’assessore regionale. Sulla fusione, dice, siamo fermi

qua.

Prima introduciamo il tema, chiarendo come prima cosa che nessun progetto di fusione -

nè tra quelli su cui stiamo lavorando nè su altri, in Emilia-Romagna - è ancora arrivato

neanche a metà del guado. La situazione è in costante evoluzione, ma un dato certo c’è: la

costante diminuzione di risorse, oltre le regole (oggi inesistenti) sul federalismo fiscale (mu-

nicipale). Politicamente, la fusione di comuni pone un problema centrale e, per certi versi,

inedito: nessuno ha mai messo in discussione la titolarità dei comuni nella gestione del terri-

torio, le stesse unioni di comuni - dove si sono fatte - non l’hanno mai intaccata. Le fusioni

non sono solo un’innovazione istituzionale, sono un processo di trasformazione. Non inno-

vano lo status quo, lo superano. D’altronde: molti sindaci si stanno rendendo conto che

non ce la fanno, che di fatto giorno per giorno cedono le leve sostanziali del governo del

proprio territorio, pur mantenendone formalmente il controllo. In chiave di competitività tra i

territori, quindi, tornare a “contare” - se la fusione determina questo esito - diventa un obiet-

tivo di importanza vitale. Per contare bisogna avere un peso. La strada delle fusione, in

questo senso, può essere interessante.

193

Page 194: cupio dissolvi.

Io spiego il processo di fusione dal punto di vista normativo così come declinato in Emilia-

Romagna, poi parte il dibattito. Molti pongono domande tecniche sullo svolgimento del re-

ferendum, su chi o come lo può indire, su come la regione deve poi ratificare, su cosa suc-

cede se si perde, eccetera. Poi arriva il momento della domanda: e voi, che cosa fate? In

che cosa consiste lo studio di fattibilità? Chiariamo il punto: non ha senso parlare di studio

di fattibilità, qualunque studio può dimostrare qualsiasi cosa, se la politica vuole andare in

una direzione ci va e basta. Si chiama “studio di fattibilità”, si legge “supporto al processo di

costruzione dei presupposti sui quali fondare una consultazione popolare sul tema della re-

visione dei confini amministrativi”, che è tutta un’altra cosa.

Verso mezzanotte riprendiamo la strada di casa. Tornando, abbiamo la sensazione che se

gli altri fronti sono difficili da sfondare, questo dell’Alto Fiume Blu lo sia più degli altri. Nei

giorni successivi si susseguono vari contatti con il segretario, che ci pone quesiti giuridici

complicatissimi su cui ci dichiariamo apertamente incompetenti, e che non possiamo far

altro che girare alla nostra ‘rete di esperti’.

14/1/11 Epilogo sul Fiume Giallo: autonomia e federalismo. Reframing necessari.

“Andate a caccia di fantasmi!”. Mi accoglie così Cavini, storico ex sindaco di α oggi respon-

sabile delle relazioni sindacali della CNA di Imola. I ‘fantasmi’ sarebbero i progetti di fusione

su cui stiamo lavorando. Lo incontro un venerdì di metà gennaio a ridosso del pranzo, tra

una riunione e l’altra, l’appuntamento l’avevo per il giorno prima ma era saltato all’ultimo

momento. Cavini l’avevamo intervistato in marzo, nel primo giro di incontri con i vari rappre-

sentati del territorio (oltre ad esserne ex sindaco, di α è oggi presidente della locale pro lo-

co). Allora, ci aveva detto che la fusione era un sogno, ma che non si sarebbe mai fatta.

Oggi, mi ribadisce subito la stessa cosa: “scommetto qualsiasi cifra: non si farà mai”.

Il giorno prima ero stato al circondario. Arrivo verso ora di pranzo, senza appuntamento e

senza farmi precedere da telefonate. Salendo le scale incontro uno degli architetti respon-

sabili dell’Ufficio di Piano che sta continuando, dopo quattro anni, a lavorare alla redazione

del PSC associato. L’abbiamo intervistato la prima volta in febbraio, allora mi aveva dato

194

Page 195: cupio dissolvi.

poche informazioni utili salvo alcuni riferimenti alla “lunga storia di autonomia” dell’imolese.

Gli chiedo “come va”, lui sbuffando mi offre la sua faccia più ottimista dicendo che “siamo in

dirittura d’arrivo”. Conclusa la conferenza di pianificazione, si stanno rifacendo alcuni elabo-

rati grafici, rinegoziando le condizioni sui singoli comuni, ma la parte delle elaborazioni pro-

pedeutiche (quadro conoscitivo, concluso nel 2008) resterà invariata: “tanto, non serve a

niente”. Tento di strappare qualche informazione sull’eolico: si farà o no? Ricevo solo rispo-

ste evasive, lo saluto.

Subito dopo, incontro l’ingegnere responsabile di tutte le gestioni associate dei quattro co-

muni della vallata. Con lui il confronto in questi mesi è stato lungo e articolato, è una delle

“memorie storiche” della vicenda. “Qual buon vento?”, mi dice, e sembra che lo sappia che

sto indagando sull’eolico in Vallata. In piedi, in mezzo al corridoio, gli dico cosa so dei pro-

getti e delle polemiche in corso. Lui mi conferma che dopo l’impianto di Casoni di Romagna

già realizzato oggi si sta dibattendo sulla realizzazione di un nuovo “parco eolico”, la cui

ubicazione sarebbe individuata su un crinale che a differenza del primo (una zona impervia,

“in mezzo al nulla”) è visibile anche dal centro del paese di α, e che quindi avrebbe un im-

patto molto più pesante. Poi, tra l’altro, la concessione di aree per questo genere d’impianti

energetici rischia di non costituire più, in prospettiva, una fonte sicura di entrate. Gli uffici del

circondario non sono stati coinvolti nella vicenda, che si è svolta tutta tra comune e provin-

cia. Si sa poco: quello che è evidente è che le posizioni dell’amministrazione si stanno pro-

gressivamente ammorbidendo, e sono decisamente più prudenti102.

Cavini mi conferma lo scenario. Nel 2008 lui era sindaco quando fu approvata la realizza-

zione del primo parco eolico. Nel 2005, con delibera di consiglio, era stata autorizzata la

società AGSM ad effettuare uno studio di fattibilità di un’infrastruttura. L’intero iter per quel-

l’impianto, tra ricorsi e controricorsi, durò poi circa 500 giorni, con una serie di riflessi politici

non tanto sul comune di α quanto sull’altro, Monterenzio. Qui, l’Amministrazione in un pri-

195

102 “L’eolico è un tema che va approcciato con grande serietà e attenzione — dichiara il sindaco Gio-

vannino Bernabei —, nel pieno rispetto dell’interesse di tutti, consapevoli che gli aspetti scientifici e nor-

mativi sono molteplici e in veloce evoluzione. Ogni passo che il comune di α intraprenderà, come peraltro

abbiamo sempre fatto finora, sarà nel pieno rispetto delle normative: non si tratta di imporre soluzioni dal-

l’alto, ma di attivare percorsi rigorosi e il più possibile partecipati” (“Eolico, rispettiamo le regole e pensia-

mo ai bisogni di tutti”, il Resto del Carlino Imola, 31/12/10)

Page 196: cupio dissolvi.

mo momento aveva tenuto un atteggiamento attendista, salvo ammorbidirsi nel tempo ri-

spetto alla possibilità di installare l’impianto. Il 14 di novembre del 2008 i sindaci apponeva-

no l’ultima firma necessaria. Oggi, la nascita del nuovo impianto dovrà superare un percor-

so più accidentato.

In ogni caso, per Cavini, il tema della fusione è “tutto politico”. A Imola si parla di autonomia

“da sempre: i primi documenti che attestano la volontà di rappresentarsi e governarsi come

un territorio compatto risalgono agli anni sessanta, quando da Imola partì la richiesta al mi-

nistro dei trasporti per fare un primo piano intercomunale”. Se questa è la lunga tradizione

autonomista, rileva come l’attualità sia quella di una fase nella quale, in quattro anni, la poli-

tica non è ancora stata capace di concludere il processo di piano per la realizzazione del

Piano Strutturale Comunale. Il problema è strettamente politico, ed è interno alla maggio-

ranza. La fase è caratterizzata da estrema fluidità politica, l’assenza di governo a Bologna

rende ogni altro ragionamento - a partire da come e quando e perché Imola dovrebbe de-

terminare il proprio statuto di autonomia - comporta un impasse nel processo. Tutti voglio-

no capire “cosa succederà a Bologna, come sarà fatta la città metropolitana”, per poi

schierarsi definitivamente. Il 2012 sarà l’anno della verità: se mai si porterà a casa un ac-

cordo che “perpetui l’autonomia imolese fino alla fine della storia, allora anche l’adesione

alla Città Metropolitana non sarà più un tabù”.

Di questi scenari istituzionali si doveva parlare il 10 di dicembre, a Castel san Pietro. Bruno

Solaroli (ex capo di gabinetto del Presidente della Regione) aveva organizzato una tavola

rotonda nella sede dell’ANUSCA (l’accademia nazionale degli ufficiali di stato civile, che ha

sede nella città termale) sul tema “Federalismo e codice delle autonomie. circondario, Area

Metropolitana, comune unico della Vallata del Fiume Giallo”. La tavola rotonda prevedeva in

parterre l’Assessore regionale competente in materia, il sindaco di Imola (e presidente del

circondario e dell’ANCI regionale), i sindaci del circondario, le opposizioni, tutti.

196

Page 197: cupio dissolvi.

L’occasione viene però disertata da tutto l’establishment del partito. Cavini invece parteci-

pa, per ribadire la propria posizione di dissenso rispetto al mainstream: nel discorso con cui

si rivolge ai presenti e a molti degli assenti, l’ex sindaco dichiara che la fusione è la strada

maestra per il territorio della Vallata e che la strada maestra per arrivarci dev’essere quella di

costruire le condizioni per fare crescere la coesione: lavorare insieme, prima di tutto. Ag-

giunge che non è vero che in molti la vorrebbero fare, “bisogna stare attenti a quelli che al-

zano il tiro, perché sono magari i primi a non voler fare le cose”103.

Di questo stesso avviso è Solaroli, il decano dei politici locali104: “non se ne farà niente”. Lo

incontro subito dopo, nella sede della cooperativa editrice di cui è presidente, che pubblica

il settimanale “Sabato Sera” in cui da mesi è ospitato un fitto dibattito sulle questioni istitu-

zionali del territorio. L’ultimo filone del dibattito istituzionale si concentra sull’alternativa tra

comune unico (che alcuni estenderebbero fantasiosamente all’intera scala di circondario) e

rafforzamento del circondario come unione di comuni che gestisce un numero sempre cre-

scente di servizi associati per tutto il territorio. Quest’ultima è la strada maestra sostenuta

da Manca (Sindaco di Imola e presidente del circondario e creazione) e da altri (Brunori di

Castel San Pietro, tra gli altri). Il dibattito s’incentra su “quale livello di democrazia” s’intende

garantire al territorio: il comune unico, con la soppressione di tre comuni, ridurrebbe secon-

do i detrattori questi margini in modo netto. Un rafforzamento che sarebbe quindi alternati-

vo ad altri scenari istituzionali. Solaroli era intervenuto nel dibattito, chiarendo che siccome

“si va verso una gestione associata di molti servizi (non tutti sono accorpabili nel circonda-

rio) un cittadino di α conterà meno nelle decisioni che là riguardano sui servizi se rimarrà

solo un cittadino di α e non di un comune unico della Vallata”. È questa “la verità” secondo

Solaroli, me lo ribadisce: unire i comuni della Vallata rappresenterebbe un recupero di valen-

za democratica e di capacità del ruolo programmabile e gestionale, “non vedo attentati alla

democrazia, ma un rafforzamento della democrazia in quella realtà”.

197

103 “Per non essere troppo criptico dico chiaramente che non si parla di comune Unico, o di servizi as-

sociati tra i comuni del circondario, se non si è altrettanto disponibili a portare avanti “tutte” le gestioni

associate (es. Uffici tecnici, Uff. ragioneria, ecc..) che sono il vero banco di prova della volontà di fare in-

sieme, senza cancellare le singole realtà, ma renderle davvero più coese e capaci di affrontare i problemi

che derivano dai tagli del Governo ai bilanci dei singoli comuni”.

104 Il politico ha un passato da deputato (legislature dalla X alla XIII) e sottosegretario (tesoro, bilancio e

programmazione economica Governi D’Alema 1 e 2 e Amato).

Page 198: cupio dissolvi.

Una posizione di questo tipo non si capisce, mi spiega, se non si guarda allo scenario

complessivo: con la L. 42 del 2009 il parlamento ha delegato il governo a dare attuazione al

cosiddetto “federalismo fiscale”. Il ministro Calderoli, che è stato il primo firmatario del dise-

gno di legge, ha però inteso dare l’avvio a un processo senza “aver messo mano all’auto-

nomia dei territorio”. Il testo del Codice delle Autonomie, che da oltre un anno langue fermo

in commissione e non avanza, è sostanzialmente vuoto e “privo di riforme sostanziali: non

viene intaccato minimamente lo status quo, restano le stesse Regioni, le stesse Province,

gli stessi comuni”. Dare attuazione al federalismo senza riforme istituzionali - nel cui quadro

la riduzione del numero dei comuni è un’azione centrale - comporterà secondo Solaroli

“come prima cosa un aumento delle tasse per tutti sarà l’aumento delle tasse”, senza un

significativo aumento della qualità dei servizi. L’abolizione delle province, di cui si è discusso

per mesi, è una parte della soluzione, cui dovrebbe corrispondere “l’aumento dei poteri

programmatori della regione e l’obbligo ai comuni di mettersi insieme”. L’introduzione del-

l’obbligatorietà delle gestioni associate delle “funzioni fondamentali” per i comuni con meno

di 5.000 abitanti ha senso solo se vi è un congruo adeguamento dell’autonomia sul piano

fiscale: non c’è federalismo senza riforma istituzionale, nè riforma istituzionale senza federa-

lismo. Il caso dell’Emilia-Romagna è paradossale: proprio qui dove da anni - dopo la Legge

10/08 - si trasferiscono risorse per le gestioni associate, la Regione è destinata a non poter

più garantire il supporto se tutti i comuni saranno obbligati (rimanendo quelli che sono) a

questo tipo di politiche. La stessa clausola che consente al circondario imolese di ottenere i

finanziamenti per la gestione associata di una parte dei comuni della forma associativa (infe-

riore alla misura dei 4/5, come previsto dalla norma), confermata per il 2011, difficilmente

potrà essere confermata.

198

Page 199: cupio dissolvi.

Non a caso, la linea dominante oggi parla di “rafforzamento del circondario”, mediante

l’aumento del numero e del peso dei servizi associati, da estendere a tutti i comuni. Il cir-

condario sarebbe un “modello per le unioni della regione”, secondo alcune dichiarazioni po-

litiche105, un modello che mantiene però la sua unicità di Ente che gestisce in delega servizi

non solo per i comuni ma anche per regione e provincia. Oggi, Imola sceglie di evitare il

conflitto. Conserva lo status quo, evita di aprire fronti interni di dissidio.

199

105 “In Regione unioni dei comuni sul modello di quello imolese”, intervista ad Anna Pariani, consigliera

regionale imolese del PD, 27/11/10.

Page 200: cupio dissolvi.

Alcune risposte

Dissoluzione istituzionale. Preferenze, soluzioni, derive

Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare

tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie

che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che con-

tinuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai

desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la

città o ne sono cancellati.

(Calvino, Città Invisibili)

Tutti i casi analizzati raccontano di contesti istituzionali che, provenendo da una configura-

zione consolidata, s’interrogano sulla possibilità di trasformarsi in altro. Da modelli più o

meno efficaci di cooperazione inter-istituzionale, che prevede come abbiamo visto (vedi in-

troduzione) un relativo grado di integrazione tra attori diversi e della relativa istituzionalizza-

zione di questa integrazione, viene prefigurato il dissolvimento dei singoli entro nuove entità

di scala superiore in grado di acquisire un peso maggiore, per gli scopi cui questo peso può

essere indirizzato: potere, capacità economica, economicità, efficacia ed efficienza delle

politiche pubbliche che si dovranno produrre. Seguendo la nota distinzione di March (1991)

come la mette al lavoro Lanzara (1995), ci troviamo di fronte ad attori istituzionali che dopo

aver esperito una fase di exploitation (sfruttamento) di uno strumento, intraprendono un

processo di exploration (esplorazione) di mondi sconosciuti. Si tratta in entrambi i casi di

processi che coinvolgono la sfera dell’apprendimento e del ridisegno dell’identità. Ma non è

possibile misurare con precisione i trade-off (ibidem) necessari per mantenere i due proces-

si in equilibrio: l’uno può avere ripercussioni sulla tenuta dell’altro, e viceversa. Si apre un

dilemma di difficile decidibilità.

Lo abbiamo visto nell’articolazione dei dibattiti, in particolare sul caso del Fiume Giallo, lad-

dove si è andata rafforzando nel discorso pubblico l’alternativa secca tra possibilità di pro-

cedere alla fusione e necessità di rafforzamento del circondario: i due termini, che vengono

posti come alternativi, sono in realtà come appreso in corso di analisi e dal confronto con

altre realtà (su tutte, Ledro) in buona parte coestensivi, complementari, almeno in una dire-

200

Page 201: cupio dissolvi.

zione l’una richiede l’altro per funzionare, per potersi dare sul piano processuale-operativo.

Si diceva: ci si interessa di istituzioni quando qualcosa non va. Ed è in effetti proprio in mo-

menti di crisi economica, quando niente sembra funzionare e quando tutti gli attori in gioco

- dalle istituzioni, appunto, agli imprenditori alla gente comune - percepiscono un potenziale

di aggressione alle proprie prerogative, ecco che il tema al centro del dibattito che ne scatu-

risce riguarda in primo luogo le istituzioni, intese come basi fondamentali da cui scaturisco-

no le norme, gli schemi di riferimento. Diventa dirimente il tema dell’allocazione delle risorse

e come il cambiamento istituzionale può modificarne i pattern: meglio investire sul ‘nuovo’ o

ristrutturare il ‘vecchio’? È preferibile esplorare nuove strade senza sapere esattamente do-

ve portano o proseguire sul sentiero già conosciuto? È lo stesso tipo di quesito che ci si

pone quando, di fronte a un incidente che ha danneggiato (in modo riparabile) l’auto, si de-

ve decidere tra il ricorso al carrozziere o l’acquisto di un nuovo mezzo. In quello come in

questo caso, a pesare non è solo il prezzo da pagare, ma anche - a volte soprattutto - una

serie di preferenze stratificate che intervengono solo quando si dà l’occasione: se da tempo

stavo pensando di cambiare, ad esempio, quello è il momento buono. Esplorare una nuova

soluzione espone a rischi: e se poi non funziona bene? Mentre sfruttare fino alla fine ciò che

già c’è tranquillizza, anche per il costo, percepito come minore, della scelta. Di (quasi) certo

c’è che la scelta dello sfruttamento rischia, in buona parte dei casi, e fuor di metafora, di

rinforzare assetti sub-ottimali, irrimediabilmente rovinati quando non addirittura disfunzionali.

La percezione e la valutazione di cosa sia ‘disfunzionale’ non ha evidentemente a che fare

con la mera contabilità, ed è irriducibile quindi a essere misurata secondo metriche specifi-

che, come possono essere quelle contenute in analisi di bilancio o organizzative. Si struttu-

rano preferenze in modi che come abbiamo visto sono l’esito del coordinamento di più at-

tori che interagiscono e producono significato, attribuendo ora all’una ora all’altra alternativa

pesi e interpretazioni che solo in parte non dipendono dalla contingenza. In larga parte, la

preferenza cade laddove la negoziazione politica valuta debba cadere. Le soluzioni di cui

tutti i casi analizzati prefigurano il superamento mantengono in se ampi margini di migliora-

mento in quanto sono prodotti sedimentati di storie nelle quali soluzioni si sono sommate a

soluzioni, strumenti hanno preso il posto di altri strumenti e così via. Ampi margini di miglio-

ramento: gli assetti istituzionali ‘dati’ tendono nel lungo periodo a incorporare quelli che

sempre Lanzara definisce i ‘costi immersi’ (costi di cui tutti ignorano l'origine, ma che tutti

pagano), che alla storia organizzativa - fatta di politica, di persone, di scelte - sono connatu-

201

Page 202: cupio dissolvi.

rati. È però anche vero che la consapevolezza della sub-ottimalità dell’esistente non basta a

rendere l’opzione di sfruttamento di quell’idea impraticabile, anzi, si potrebbe senz’altro ar-

gomentare che nessuna configurazione sociale è immune da costi, e che l’ipotesi di proget-

tare l’ottimizzazione è in quanto tale destinata al fallimento. È infatti vero anche che se nel-

l’esplorazione di ipotesi ‘nuove’ esistono margini ‘certi’ di miglioramento, di ottimizzazione,

di risparmio, questo non basta per renderle preferibili e quindi ‘fattibili’. Nell’argomentazione

proposta al Fiume Verde si parlava di esiti ottenibili per il solo fatto di procedere alla fusione

e di altri eventuali, in caso di ‘buon lavoro’: si tratta di ipotesi la cui verificabilità dipende dal

darsi di condizioni virtualmente indecifrabili e che eccedono completamente la scelta razio-

nale.

È necessario capire perché le istituzioni vivano cicli autodistruttivi che le portano a essere

messe costantemente in discussione. Le ragioni sono da ricercare in primo luogo nella cor-

rispondenza che questi assetti riescono a mantenere rispetto alle strutture politiche da cui

originano e da cui sono mediate nel rapporto con gli attori sociali: Seguendo ancora Lan-

zara: i cicli di fallimento di entrambe le strategie di cambiamento istituzionale prendono la

forma di “ricerche a tentoni, blocchi o brusche inversioni di tendenza”. In particolare interes-

sano qui le prime due, che originano in casi di eccessiva instabilità o, viceversa, di eccessi-

va stabilità.

In tutti i casi che abbiamo analizzato risulta rilevante il livello di assoluta omogeneità politica

delle amministrazioni: quest’omogeneità tende a perpetuare lo status quo con atteggiamen-

ti iper-conservatori che inibiscono ipotesi di innovazione, anzi a conservare modelli di ‘inno-

vazione’ ormai datati, ma sui quali è stata ridefinita una retorica fondativa del milieu politico

che li promuove. Un primo caso, quello del circondario Imolese, è emblematico di questo

atteggiamento: la retorica dell’autonomia, che nei decenni è riuscita a ritagliarsi uno spazio

anche grazie alla costruzione di un modello amministrativo talmente originale da essere

l’unico106, fatto su misura, consente alla politica di raccontare questa storia come storia di

successo che se da un lato consente la riproduzione sulla scala meso logiche di accentra-

mento, dall’altra intralcia il processo di costruzione di un’altra istituzione (la città metropoli-

tana) di cui non riconosce la legittimità. Un caso contrario, invece, ci viene dai progetti di

202

106 Il Nuovo circondario Imolese non è l’unico caso italiano di “circondario”, ma è l’unico caso di “circon-

dario regionale”, istituito (da qui la dicitura “nuovo”) con apposita Legge Regionale, la N. 6 del 2004

Page 203: cupio dissolvi.

fusione, almeno quelli originati in modo meno strutturato: è il caso ad esempio del tentativo

di avvio del dibattito sulla fusione dell’unione Fiume Blu-Galliera. Lì, a fronte di un situazione

di forte strutturazione dell’esperienza-unione, non si è dato (ancora) una relativa condivisio-

ne politica attorno allo strumento. Altre variabili, come la differenza anche umana tra gli

amministratori (in termini ad esempio anagrafici, ma anche di prospettiva politica: chi ha più

anni davanti evidentemente subisce di meno il bias della perdita, o loss adversion) e, ben

più cogente, i problemi economici che alcuni dei - non tutti i - comuni si trovano ad affronta-

re, fanno il resto, determinando una situazione di caos in cui l’esplorazione di nuove strade

può uscire dal cestino dei rifiuti come una delle opzioni possibili. Viene prodotto un ragio-

namento tendente al superamento della configurazione istituzionale presente che per alcuni

equivale a extrema ratio per sopravvivere, per altri per ‘passare alla storia’ e dare un senso

a una carriera politica. Come si è visto, mentre nel primo caso l’atteggiamento di chiusura e

di sfruttamento dell’esistente ha (per ora) funzionato, nel secondo caso l’idea di superare lo

status quo verso un‘altra configurazione non ha (per ora) prodotto alcun effetto apprezzabi-

le nè di dibattito nè tanto meno di cambiamento.

Il problema delle identità. Cambiamento, scenari, argomentazioni.

Progettare, comunque lo si faccia, comporta in se la prefigurazione di un cambiamento. Lo

stesso ‘restauro conservativo’ presuppone elementi di cambiamento, non fosse altro per-

ché ripristina uno stato perduto da tempo dall’oggetto e quindi di fatto adesso estraneo.

Volendo discriminare il mondo degli oggetti sociali tra quelli più o meno docili al cambia-

mento, l’organizzazione (anche l’organizzazione contenuta, prevista, normata dall’istituzio-

ne) ricade senz’altro nel secondo gruppo. Le organizzazioni sono in quanto tali resistenti al

cambiamento. Ma che cos’è un’organizzazione? Una possibile definizione la descrive come

l’esito processuale (Weick parla infatti solo di organizing, sottintendendone il carattere non

finito, continuo, iterativo) osservabile all’interno dell’interazione di pratiche, reiterate nel tem-

po e secondo schemi relativamente stabili. Come in una scatola cinese, se le pratiche sono

essenzialmente ciò che ognuno fa, “modi ripetitivi e collettivi, di agire” (Crosta, 2006), allora

le organizzazioni definiscono sistemi di ruoli (Zan e Ferrante, 1994) che descrivono “chi fa

cosa” e pongono le basi affinché quelle pratiche attivino processi di apprendimento e di co-

203

Page 204: cupio dissolvi.

struzione condivisa di mappe cognitive su “come si fa”. Le istituzioni, infine, possono essere

definite come “routine insieme cognitive e pratiche, che si traducono negli habitus degli

agenti sociali e che incanalano la loro azione lungo sentieri già segnati (tra questi: le orga-

nizzazioni), formati dal flusso di azioni già avvenute [...] le istituzioni sono campi di pratiche

date per scontate” (de Leonardis, 2001). Gli assetti relativamente stabili delle organizzazioni

resistono al cambiamento per difendere le prerogative acquisite sia dagli individui che le

compongono sia nel reticolo relazionale che questi individui unisce.

Nell’attività professionale di consulenza di processo di cui questo lavoro restituisce la narra-

zione autobiografica si sono innescate relazioni d’aiuto tra la consulenza e i clienti finalizzate

a sostenendoli nel cambiamento. Come ricorda Schein, (1992), ogni processo di aiuto o di

cambiamento ha sempre un obiettivo o un cliente ed è quindi con, su, per quel cliente che il

senso si ridefinisce, nella pratica. In tutti gli ‘accessi al campo’ descritti nel corso dell’anno

si dà conto di come all’avvio della relazione con il cliente si costituisca il momento focale a

partire dal quale si sviluppa la relazione d’aiuto; il primo contatto non è quasi mai il cliente

finale, ma un intermediario cui tocca l’onere di preparare il campo mediando (appunto) i si-

gnificati e fornendo le informazioni necessarie al vero e proprio accesso. Naturalmente, il

grado di legittimazione della presenza in un contesto organizzativo è variabile: la ‘presun-

zione di bisogno’ verso il cliente, l’idea cioè che questi sia in grado di esplicitare una do-

manda di aiuto precisa è, nei casi che abbiamo affrontato, inesatta. È inesatta almeno per il

cliente, che non sempre è consapevole del valore che la consulenza può produrre.

L’oggetto di lavoro specifico affrontato all’interno di queste relazioni ha messo in luce in vari

modi l’effetto perturbante (uncanny) generato dall’attività di proiezione dell’esito di cambia-

mento condotta dall’agente di cambiamento (i consulenti) sia entro contesti organizzativi

circoscritti sia nel più generale ambiente politico-territoriale. Nella letteratura più attenta a

ricostruire l’interazione tra azione strategica e istituzioni (si veda ad esempio Beckert, 1999)

si è imposta l’idea secondo cui condizione necessaria per l’attivazione di dibattiti e processi

di preferenza attorno a ipotesi di riconfigurazione istituzionale sia un’incertezza di fondo ri-

spetto agli assetti dati. Questa considerazione è senz’altro vera (ogni ipotesi di cambiamen-

to origina in qualche misura da un’insoddisfazione percepita da uno o più attori sociali), ma

coglie solo un aspetto del processo: l’incertezza non è infatti ‘data’, ma generata nel pro-

cesso dalla rete d’azione che ne mette a tema l’esistenza. Un’ipotesi, questa, che evoca

204

Page 205: cupio dissolvi.

l’idea che l’insorgenza dell’urgenza di riconfigurazione istituzionale altro non sia che l’esito

di una self fulfilling prophecy (profezia auto avverante, secondo la nota definizione di R. Mer-

ton) alla cui scrittura concorrono quanti hanno interesse più o meno diretto in quell’esito.

L’ingresso in campo dell’attore ‘terzo’ (il consulente) non è quindi incidentale e/o irrilevante,

ma al contrario è leggibile come intrinseco al processo di costruzione dell’idea di morfoge-

nesi istituzionale. Il ruolo del ricercatore/consulente risiede nella produzione di ‘conoscenza

usabile’ dal cliente, usabile per scopi e campi la cui perimetrazione è oggetto primario di

negoziazione tra le parti. Il medium attraverso il quale questo tertium procede nell’azione di

intermediazione e di sensemaking (costruzione di mondi, produzione di senso) è la defini-

zione dello scenario. Raccontare scenari è risultata attività centrale per negoziare progressi-

vamente i significati (reificati all’interno dei documenti-oggetti sociali di cui il processo è

punteggiato) su cosa e se si vuole diventare e perchè. Gli scenari sono “storie sul futuro,

come argomentazione su futuri possibili, come individuazione di un futuro dominante e delle

sue possibili deformazioni, come gioco coerente di ipotesi, come descrizione di una o più

situazioni che possono svilupparsi dal presente, come una forma rilevante dell'apprendi-

mento organizzativo, come una sequenza ipotetica di eventi che ha lo scopo di mobilitare

gli attori” (Vettoretto, 2003). Ancora: lo scenario non appartiene dunque al dominio della

previsione scientifica, o, in termini di forma del discorso, al discorso dimostrativo. Come

forma del discorso, lo scenario ha una natura essenzialmente argomentativa [...] e può es-

sere inteso come una forma dell'argomentazione giocata entro contesti strategici.

Il carattere di costrutto strategico dello strumento-scenario si rileva nella necessaria selettivi-

tà degli oggetti informativi necessari per costruirlo: cosa sia rilevante ai fini della prefigura-

zione di una situazione futura può essere solo l’esito di un processo di negoziazione tra at-

tori sull’identità. Come abbiamo visto, il confine definisce una identità: per chi abita al di qua

del confine, la propria diversità e singolarità è evidente (La Cecla, 2000). Ragionare di ridi-

segno istituzionale chiama in causa l’identità del locale e con questa tutte le identità indivi-

duali che vi si rispecchiano. Il processo proiezione del cambiamento è perturbante in senso

duplice: scatena i timori della perdita così come, al contrario, della ‘non perdita’, quando lo

status quo viene percepito come insoddisfacente ma nel contempo l’ipotesi progettuale di

superamento poco credibile. Un caso di questa seconda specie di perturbazione l’abbiamo

visto nel caso Fiume Giallo, allorquando la proiezione del cambiamento istituzionale genera-

205

Page 206: cupio dissolvi.

va la produzione di un ‘progetto organizzativo autobiografico’ da parte di un attore, che su

quella prospettiva di cambiamento riversa le proprie aspettative di realizzazione; il caso di

timore della perdita l’abbiamo visto invece sul Fiume Verde, quando l’idea della fusione evo-

cava negli stessi clienti necessari accorgimenti circa il rischio di perdita di identità. L’uso

strategico dello strumento determina la sintesi e l’assunzione di tutte le prospettive in cam-

po entro un’unica narrazione generativa di senso.

Progettare le istituzioni. Attori e sottoprodotti dell’azione.

Abbiamo visto come l’intervento professionale nell’azione di supporto al cambiamento ricor-

re a strumenti (a pratiche) in costante ridefinizione e ridelimitazione. Abbiamo visto come la

ridelimitazione dell’identità professionale sia contestuale all’azione su e con il cliente. Il

cambiamento dell’oggetto equivale (è parallelo) al cambiamento del soggetto osservatore:

narrando l’oggetto osservato si riscrive la propria storia. Il processo di costruzione dell’iden-

tità istituzionale evoca un interrogativo dal sapore funzionalista: è possibile progettare le isti-

tuzioni? Lungi dal poter dare una risposta alla domanda, possiamo però partire da un primo

tentativo di chiarimento: la sovrapposizione tra strumentazioni desunte dalla pratica orga-

nizzativa e obiettivi di riforma istituzionale descrive un’attività complessa, connessa con la

cultura progettuale della modernità, ancorata alla scienza e alla tecnica e ai loro poteri e no-

zioni di fattibilità, al voler tenere sotto controllo l’evoluzione istituzionale con lo specifico

strumento della progettazione. Conosciamo le istituzioni sempre solo in forma di organizza-

zioni, secondo un framework che le riduce a tecnologie gestionali. Il contributo senz’altro

più significativo su questo tema ci viene da Donolo (1997), che ci ricorda come le istituzioni

sono certamente generate da forme variabili di progetto, ma soprattutto “costrutti dell’intel-

ligenza sociale”. Il ricorso allo ‘studio’ di cui abbiamo raccontato genesi e sviluppo descrive

una dinamica sociale con la quale tanto la politica quanto “tanti attivismi della società civile

trovano in questo spazio di progettabilità tanta parte della loro legittimazione e anche della

loro produttività sociale” (ibidem), contribuendo ciascuno a modo suo all’incremento dell’in-

telligenza sociale. Ci si affida al sapere degli esperti delegando alla loro capacità di descrive-

re il futuro in parabole informate, il cui da un lato il contenuto ‘tecnico’ risulta invariabilmente

206

Page 207: cupio dissolvi.

- ontologicamente - incapace di cogliere l’intera complessità ma, dall’altro, risulta funzionale

all’attivazione di processi politici dai contorni non definibili a priori.

Il progetto è una riduzione delle complessità che tenta di descrivere, e la sua parzialità trova

senso solo nell’uso strategico che delle informazioni si intende fare. Se, come abbiamo vi-

sto all’inizio di questo lavoro, il sapere esperto (del planner, del consulente) dà luogo a co-

struzioni (costrutti) sociali il cui statuto - verso e nelle politiche pubbliche - è di ‘costrutto

strategico’ (Crosta, 2003), allora il contributo di merito dato dallo studio sul piano tecnico va

inteso come in se secondario, pur inscrivendosi per mezzo della ‘serietà’ e ‘credibilità’ che

è in grado di spendere verso i clienti nel flusso che complessivamente può (ipoteticamente)

condurre all’esito che tenta di descrivere a partire da brani completamente parziali di ‘quel

che sarà’. In altre parole: ciò che è scritto nel progetto sarà dimenticato all’atto pratico (nel-

l’eventuale fase di implementazione), ma i modi (le tecnicalità, i prodotti di cui si conformerà)

con cui sarà stato co-costruito ne determineranno il ruolo all’interno del processo ideale

che descrive.

La progettazione come attività sociale viene agita all’interno di un reticolo relazionale in cui

attori diversi interagiscono co-costruendo e ridefinendo ricorsivamente il campo organizza-

tivo (e istituzionale) al quale funzionalmente appartengono. La progettazione colonizza si-

stematicamente e riflessivamente il tempo e lo spazio al servizio di un’intrapresa, in una lo-

gica che include la produzione di artefatti, ma anche processi sociali come le organizzazioni

(Wenger, 2006). Il ‘chi’ dell’attore fa problema: in altre parole, gli ‘attori’ non esistono in na-

tura, non si danno secondo una scansione predefinita, ma solo nella pratica e nel ricorso

che a quella o quelle categorie (gli attori) si intende fare, in termini funzionali, d’uso. Del fatto

che faccia problema capire ‘chi sono gli attori’ abbiamo avuto varie riprove: al termine di

una riunione di presentazione107, ad esempio, la discussione si sposta “sugli attori da coin-

volgere nel processo di analisi del clima politico e informazione”, facendo trapelare la do-

manda “chi sono gli attori? Quale elemento determina la rilevanza di un corpo sociale come

attore?”. La domanda, posta dal lato della politica in cerca di costruzione del consenso, se-

leziona gli ‘attori’ in funzione di chi ha ‘ha qualcosa da dire’ nel merito, chi ‘esprime una po-

sizione’, chi ha ‘un interesse’. Tende in altre parole a operare una riduzione di complessità,

207

107 26/10 Sul Fiume Rosso: politica, capacità, attori

Page 208: cupio dissolvi.

restringendo il campo dell’ascolto a quanti possono portare contributi già pronti alla discus-

sione.

Ma ‘attore’ non è solo chi agisce in modo strutturato: qualunque essere vivente in grado di

produrre linguaggio contribuisce a produrre il mondo. Tutti gli attori in campo esercitano un

qualche ruolo di attivazione, tanto nel senso di enactment inteso da Weick (1995) quanto,

adottando una prospettiva costruttivista radicale, di osservatori inseriti all’interno di sistemi

che apprendono. Per Maturana (1988) gli oggetti sociali nascono nel linguaggio come co-

ordinazioni consensuali di interazioni all’interno di un dominio condiviso di descrizioni (di-

stinzioni). Senza linguaggio e al di fuori di lingua non ci sono oggetti, perché “gli oggetti na-

scono come coordinazioni consensuali esito dell’attività di produzione di linguaggio (lan-

guaging), ovvero l’insieme delle interazioni ricorsive di coordinamento tra sistemi che osser-

vano. Gli oggetti esistono solo se li possiamo chiamare: in questa prospettiva, con enaction

viene definita da un lato l'influenza di un attore nel determinare la traiettoria dei comporta-

menti, mediante la sua incarnazione (embodiment) in quel sistema, dall’altro l’esito (le tra-

sformazioni storicizzate) osservabili dall’accoppiamento di osservatore e oggetto osservato,

attivato. Secondo Varela (1991) questi due aspetti possono essere mappati su due diversi

usi del verbo ‘enact’: con il primo, ‘mettere in atto', ci si riferisce all’atto del portare avanti

qualcosa di già dato e determinante del presente, ciò che fa un attore quando recita un

ruolo. Con il secondo, ‘mettere in atto’, s’intende l’atto di specificare, legiferare, progettare,

portare alla luce qualcosa di nuovo e determinante del futuro, come nell’atto di costruire

un’istituzione. Se da un lato la prospettiva ‘oggettivista’ ha come focus il primo dei due si-

gnificati, in una prospettiva radicalmente ‘soggettivista’ nella quale diventa cruciale il ‘pas-

saggio all’attore’ (Crosta, 2003) è essenzialmente l’attore (enactor) a determinare il mondo,

a costruirlo con ciò che fa, ripetendolo e riproducendo il mondo entro cui abita. Quindi: at-

tore è chi con il suo fare/essere, in breve con il suo produrre atti linguistici di descrizione,

racconto, spiegazione scientifica, produce il mondo che lo circonda.

La rilevanza delle prospettiva ‘dal lato dell’attore’ si coglie bene nel processo di progettazio-

ne (istituzionale), processo nel quale (tornando a Donolo) i due canali principali prevedono

l’aggregazione di preferenze rispetto ad alternative (di rappresentanza, di ri-organizzazione,

di denominazione) e la negoziazione tra interessi in conflitto. Da questi due processi, spesso

consequenziali e quasi mai alternativi, si arriva alla produzione di rappresentazioni relativa-

208

Page 209: cupio dissolvi.

mente stabili a partire dalle quali, mediante un processo di correzione continua (anch’esso

esito di negoziazione). I casi che ho raccontato vedono intrecciarsi continuamente queste

due dinamiche: i dibattiti circa il numero dei comuni che dovrebbero aderire (stare nei) ai

progetti di fusione è un esempio lampante di come la negoziazione (politica) si trovi in una

relazione biunivoca con il la selezione delle preferenze. L’indicazione a progettare ‘a tre’ o ‘a

quattro’108 è l’esito di una negoziazione fallita e dell’esplicitazione di un atteggiamento di

exit da parte di uno degli attori in campo. Le correzioni reiterate ai rapporti di analisi109 sono

anche queste parte integrante dello stesso processo di coordinamento su significati condi-

visi tra gli attori in campo (clienti, consulenti).

L’esito del processo di progettazione istituzionale sarà quindi sempre e comunque (lo pos-

siamo anticipare, anche se non ne conosciamo la fine) un mix di progetto deliberato ed ef-

fetti non intenzionali dell’azione umana e dell’interazione (Lanzara, 1997). Sarà in altre paro-

le un ‘sottoprodotto dell’attività di progettazione’. Di più, secondo la tesi che stiamo deli-

neando: il processo di costruzione delle policies funziona come codifica (re-internalizzazio-

ne, ri-significazione, ri-orientamento) di pratiche-sottoprodotto dell’applicazione di un mix di

politiche e strumenti contenute in una black box inconoscibile per lo stesso policy maker.

Se in termini giuridici l’output del processo potrà esistere in quanto necessariamente binario

(on/off, si/no, bianco/nero) in termini di outcome sociale, economico, organizzativo potrà

prodursi solo nei termini di un’eccedenza le cui proporzioni possono solo essere ipotizzate.

La dicotomia tra output e outcome illumina l’aporia che sta alla base dell’attività di change

management, cui viene demandato ufficialmente il raggiungimento di un obiettivo preciso

(output) ma d cui ci si attende un contributo sostanziale per il raggiungimento dell’outcome.

Per Schön (1994) gli attori disegnano le politiche come architetti o ingegneri disegnano arte-

fatti materiali: ma quando gli oggetti di policy vengono riversati nell’ambiente, questi tendo-

no ad assumere significati inattesi dagli stessi attori che li hanno disegnati, quando altri atto-

ri li rileggono sotto la luce dei loro frame e, spesso, in un contesto completamente diverso.

Ciò che accade non è mai l’esito esatto che si era prefigurato: secondo la definizione di El-

ster, “i sottoprodotti sono quegli stati che non possono essere condotti intelligentemente o

intenzionalmente, ma che nascono esclusivamente come conseguenze di azioni originaria-

209

108 Fiume Giallo

109 Fiume Giallo

Page 210: cupio dissolvi.

mente pensate per altri fini”. Il cambiamento accade solo come sottoprodotto in larga parte

non intenzionale (non governabile) dell’attività di ricerca (governabile).

Imprenditori di confini e sensemaking. Ruolo delle comunità epistemi-che

Affrontare il problema del cambiamento istituzionale secondo il frame teorico dell’‘azione

collettiva’ è quanto propongono numerosi autori (tra questi in particolare e a più riprese

Feiock e Carr, 2000). Secondo questa prospettiva attraverso il disegno dei confini delle

amministrazioni locali si determinano costi e benefici per individui e gruppi sociali e le scelte

di cambiamento portano con se importanti implicazioni distributive e possono spiegare la

rilevanza delle preferenze di quegli attori nelle scelte collettive (ibidem). In altre parole, sulla

modifica dei contini istituzionali si giocherebbero importanti interessi di diverse categorie

sociali. Laddove i benefici del consolidamento, o di qualsiasi altra forma di cambiamento di

confini, sono superiori ai costi percepiti, è possibile l’emergenza di figure dette ‘imprenditori

istituzionali’ o ‘imprenditori di confini’ o ‘imprenditori di policy’ che su quella partita sono di-

sposte a investire in prima persona.

Le ipotesi di riforma istituzionale che scaturiscono sul/nel locale possono essere lette come

esito di un processo di elaborazione collettivo (sensemaking) su cui gli attori sociali fanno

confluire i propri interessi individuali in forma di interessi organizzati. Gli attori assumono sot-

to questo profilo una connotazione ‘imprenditoriale’: l’azione collettiva esprime sforzi orga-

nizzativi, economici, di attivazione politica finalizzati alla pressione sui policy maker affinché

producano policy a supporto dell’idea riformatrice. I gruppi che mettono insieme attori sono

motivati a partecipare e cooperare negli sforzi per cambiare i confini nella prospettiva di po-

ter ottenere un vantaggio distributivo (Feiock e Carr, 1999). I cambiamenti organizzativi non

necessariamente beneficiano tutti, al contrario possono piacere agli uni e non ad altri.

Ma chi è l’imprenditore di policy? In letteratura (soprattutto Kingdon, 1984), è un attore so-

ciale – sia esso un singolo politico in possesso di un buon margine di manovra, o un’asso-

ciazione di categoria, o un partito – capace di farsi trovare pronto (strategicamente posizio-

nato) allorché le condizioni per produrre innovazione, o semplicemente inscrivere una issue

210

Page 211: cupio dissolvi.

(tema, questione) politica nell’agenda, rendano possibile l’apertura di un finestra (policy

window), di uno spiraglio. L’opportunità rappresentata dall’apertura della finestra deve

crearsi: secondo la teoria dei ‘tre flussi’ (Kingdon, 1984), le questioni vengono inscritte nel-

l’agenda pubblica quando:

a) il problema viene effettivamente riconosciuto

b) esistono proposte operative per risolverlo

c) la politica si sintonizza sull’esistenza del tema.

Non c’è correlazione causale tra i flussi, che si sviluppano indipendentemente l’uno dall’al-

tro all’interno del ‘brodo primordiale’ della politica, in cui tutto si tiene: la loro convergenza,

tuttavia, può essere frutto dell’entrata in scena dell’attore imprenditoriale, che esercitando

un’opzione chiara su un esito, determina un’iscrizione in agenda di politiche atte a perse-

guirlo. L’imprenditore di policy sarebbe secondo Kingdon l’unico attore in grado di svolgere

un ruolo di pivot in questa fase del processo. Un imprenditore riconosce un problema, gli

aggancia la proposta appropriata , e incomincia a “spargere il verbo” nei forum e nei luoghi

in cui può porla all’attenzione dei politici, che hanno il vero potere di metterla in agenda. Un

imprenditore di policy astuto cerca le “finestre di opportunità” che creano il clima favorevole

affinché la policy possa essere proposta. Secondo Kingdon un issue ha la possibilità di fare

l’agenda quando i tre flussi convergono, e un imprenditore di policy ha una posizione che gli

consente di spingere la questione in agenda.

La ricostruzione di Kingdon è certamente datata e viziata da un determinismo di fondo che

la rende poco spendibile come modello, ma non priva di elementi utili sul piano euristico:

l’idea che si possa dare una particolare condizione ambientale per l’iscrizione in agenda ri-

chiama il concetto di ‘rete d’azione’ da cui siamo partiti. Calando il paradigma di Kingdon

sul tema delle ipotesi di riforma istituzionale senza assumerlo tout court come spiegazione,

assumiamo che si dia l’entrata in scena di un attore (collettivo) in grado di produrre ex novo

una sintesi strumentale tra numerosi e diversi stimoli focalizzandoli verso un obiettivo pun-

tando verso il quale sia possibile - in negativo - percepire ciò che non si è, uno status diver-

so (e per questo potenzialmente desiderabile) verso cui tendere. All’interno delle ‘reti

d’azione’ dei casi che abbiamo raccontato si sono alternati vari attori, di cui è stato descrit-

to il cui ruolo e le posizioni rispetto all’ipotesi della fusione. Feiock e Carr (2000) propongo-

211

Page 212: cupio dissolvi.

no una possibile tipologia degli incentivi che possono interessare gli attori coinvolti in un

processo di ridisegno dei confini.

Attore Definizione Obiettivi collettivi Obiettivi selettivi

Amministratori pubblici

Amministratori comunali Leadership della comunità Potere politico e rielezione

Amministratori pubblici

Amministratori provinciali Leadership della comunità Potere politico e rielezioneAmministratori pubblici

Dipendenti comunali Servizio pubblicoProtezione del lavoro e maggiore autonomia

A s s o c i a z i o n i economiche

CCIAA, Commercianti, media

Immagine nella comunità e status

Miglioramento fiscale

A s s o c i a z i o n i economiche

Industriali Sviluppo economico Miglioramento fiscaleA s s o c i a z i o n i economiche

Agenti di sviluppo, con-tractors

Sviluppo economico Miglioramento fiscale

Residenti/Comi-tati

Gruppi civici, comitati (Cit-tadinanzattiva)

Accountability e buongover-no

Status, prestigio, mem-bership

Residenti/Comi-tati

Accademici e ordini pro-fessionali

R i fo rma progress i va e buongoverno

Influenza e espansioneResidenti/Comi-tati

Immigrati, minoranze Rappresentanza Influenza e partecipazione

Residenti/Comi-tati

Proprietari di caseMinori tasse, maggiore ac-cesso ed efficienza

Minori tasse individuali, esclusione

Come si vede, si tratta di una tipologia non esaustiva, ma che possiamo in larga parte usare

sui casi che abbiamo analizzato. Con alcuni slittamenti non da poco nei casi che abbiamo

conosciuto: gli amministratori pubblici, nei nostri casi, non hanno certo velleità di ‘rielezio-

ne’, vogliono semmai acquisire prestigio e conquistare un risultato ‘storico’ da scrivere nel

proprio cursus honorum; i dipendenti comunali cercano prospettive di specializzazione, di

exit da contesti organizzativi deprivati che non consentono nè avanzamenti di carriera nè

livelli di qualità lavorativa decorosi; le associazioni economiche si aspettano la semplificazio-

ne dei rapporti istituzionali, che si traduce in risparmi economici diretti e indiretti (meno am-

ministratori da conoscere e ‘gestire’, meno regolamenti cui adattarsi, ecc.); i cittadini guar-

dano alle ipotesi di fusione come possibilità di ‘contare di più’, di acquisire una massa che

consenta di dialogare alla pari con gli altri livelli amministrativi quando ci sono da ‘portare a

casa’ risultati sulle materie importanti, la sanità, il lavoro, gli investimenti, la viabilità.

212

Page 213: cupio dissolvi.

In questo quadro non viene contemplato un attore che, per come l’abbiamo analizzato,

riveste un ruolo determinante nel processo di concretizzazione delle pratiche di consolida-

mento municipale: le ‘comunità epistemiche’ costituite da quanti hanno un ruolo di produ-

zione di conoscenza sul tema delle riforme istituzionali e delle scienze dell’organizzazione.

Secondo Regonini (2004), che applica la categoria al mondo disciplinare della valutazione

istituzionale, la concreta definizione del prodotto (i rapporti) è condizionata solo marginal-

mente dai vincoli [...]. Al cuore della relazione tra istituzione politica e organo valutante sta la

produzione di una qualche usable knowledge (Cohen e Lindblom, 1979). E se i politici han-

no l’ultima parola in fatto di ciò che è usable altri sono gli attori dai quali dipende la certifica-

zione di quel che è knowledge. Detto in altri termini, se il valore della valutazione è la produ-

zione di conoscenza usabile, il giudizio circa ciò che è effettiva conoscenza è in larga misura

monopolio della comunità epistemica di riferimento, mentre il giudizio sull’utilizzabilità è mo-

nopolio dell’organo politico committente. Questa doppia autenticazione mette il professioni-

sta delle conoscenza “nella scomoda posizione di un Arlecchino servo di due padroni” (ibi-

dem), ma non scalfisce l’interesse diretto rispetto all’oggetto di studio: tanto più il tema sarà

strategico, situato in un momento storico che ne determina l’attualità, tanto più da l’acquisi-

zione di un know-how specifico costituirà l’acquisizione di vantaggio competitivo.

Politiche, pratiche. Tradurre le pratiche in riforme. Tra detournement e apprendimento istituzionale.

Il desiderio della dissoluzione (cupio dissolvi) viene avvertito da molti attori sociali, per i quali

l’investimento identitario in un processo di riconfigurazione istituzionale si rivela appetibile

per ridare una prospettiva: una prospettiva qualsiasi, tra le tante, quando per varie ragioni

non ce ne sono più. Una prospettiva che converge sul consolidamento e non (eventualmen-

te, in chiave iperlocalista) sulla scissione, per l’imporsi di un radicale cambiamento semanti-

co nella valutazione del ‘locale’: non importa (più) “preservare l’identità locale”, conta quan-

to e come quel locale riesce a essere valorizzato. Nei paragrafi introduttivi avevamo visto

come questo processo potesse essere interpretato come corollario di un più generale pro-

cesso di individualizzazione del mondo (Knorr-Cetina, 1997), in cui gli oggetti sociali subi-

scono processi di riduzione a commodities, il cui valore non ha più (quasi) nulla di simbolico

213

Page 214: cupio dissolvi.

ma si riduce a un mero valore d’uso. ‘Competitività’, ‘infrastrutturazione’, ‘semplificazione’,

raccontano di questo processo.

Se queste, a grandi linee, possono essere le determinanti sociologiche dell’imporsi dell’ipo-

tesi fusione, di certo ci dicono poco in termini di processo di politiche. Il caso dell’Emilia-

Romagna, letto in questa prospettiva, ha evidenziato una particolare conformazione del

processo di costruzione di una policy a partire da pratiche locali. Abbiamo osservato come

in alcuni contesti locali emerga la volontà di usare uno strumento (lo studio di fattibilità) per

attivare un processo, o almeno per abbozzarlo. Il ricorso a questo strumento è consentito e

incentivato dalla normativa regionale, che lo prevede come forma di attivazione molto blan-

da, legata all’implementazione di un programma di riordino territoriale.

Nel programma si trova inscritto l’obiettivo politico di fondo: condensato nel testo della

Legge 10/08, in aderenza al principio di sussidiarietà, è di “perseguire la massima integra-

zione nelle strutture e nella prestazione dei servizi, realizzando economie di scala, miglio-

rando la funzionalità delle amministrazioni e valorizzando le potenzialità delle istituzioni pre-

senti sul territorio” (Ricciardelli, 2008). In sintesi, la Regione intende:

1. Aumentare il livello di qualità delle prestazioni;

2. Ridurre gli oneri organizzativi, procedimentali e finanziari;

3. Semplificare e rafforzare l’efficacia delle politiche pubbliche.

Le esigenze di razionalizzazione e semplificazione del sistema istituzionale fanno perno sul-

l’individuazione di un ambito plurifunzionale adeguato di livello intercomunale come principio

cardine; un ‘ambito’ che va inteso sia come livello di governo, sia come ambito di riferimen-

to per l’allocazione delle funzioni. L’ambito così concepito, potendo contare su un’adeguata

capacità organizzativa, può essere sede di svolgimento di funzioni anche molto complesse,

e al contempo strumento utile a evitare sovrapposizione di enti e competenze (ibidem). La

regione guarda all’unione come “modello organizzativo preferibile”, capace di ergersi come

ambito ottimale per l’erogazione dei servizi, non pensa al consolidamento dei comuni come

strumento per attuare una propria policy.

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Page 215: cupio dissolvi.

I casi che raccontiamo ci dicono che questi obiettivi non sono stati raggiunti o sono stati

raggiunti solo in parte:

1. Non sempre è aumentata la qualità delle prestazioni, che anzi in molti contesti è perce-

pita come peggiorata; ad essere senz’altro aumentata è la copertura: piccoli comuni

scoperti oggi godono di standard minimi di servizio impensabili al di fuori delle gestioni

associate;

2. Gli oneri organizzativi si sono tutt’altro che ridotti: l’unione costituisce un livello in più

della macchina amministrativa e non c’è ottimizzazione che possa ridurne l’impatto in

termini di complessificazione del processo decisionale e degli oneri (anche economici)

sulla popolazione;

3. Ridotte a meri livelli gestionali (anche in forza delle stesse logiche di incentivazione, cen-

trate in via quasi esclusiva sull’attivazione e sostentamento delle gestioni associate), le

unioni, che avrebbero ‘in teoria’ la capacità di essere livello di governo di area vasta, as-

sumono profili poco attinenti alla ‘produzione di politiche pubbliche’ in senso lato;

In generale: le previsioni della LR 10/08 hanno dato vita a configurazioni organizzative locali

che, in un modo o nell’altro, hanno determinato l’insorgere di incertezza istituzionale nei

contesti locali, con la contestuale apertura di ‘finestre di politiche’ come opportunità per

quanti ne hanno interesse a proporre, rilanciare, teorizzare la necessità di un superamento

radicale dello status quo. Lo abbiamo visto nel caso dei territori orfani delle rispetti comunità

montane, che cercano nella fusione un surrogato a quel vettore di identità aggregata; lo ab-

biamo visto in quei contesti virtuosi in cui la soluzione istituzionale intermedia - improntata

alla cooperazione - mostra velocemente i propri limiti quando per ragioni congiunturali mo-

stra la propria scarsa capacità nel determinare economie; lo abbiamo visto infine in quei

contesti in cui a una non meglio precisata idea secondo cui “c’è bisogno di andare oltre”

corrisponde un investimento nello strumento istituzionale dell’unione che fin da subito appa-

re inadeguato, al punto da farne invocare il superamento in chiave salvifica. Succede in tutti

i casi che l’emergenza di una domanda di consolidamento si dà come alternativa allo sfrut-

tamento dell’esistente e come netta deviazione di sostanza rispetto alla politica regionale.

Le pratiche locali che abbiamo descritto usano lo strumento dello studio di fattibilità detur-

nandone parzialmente il senso e l’uso verso opzioni che vi sono contenute solo marginal-

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mente. Il detournement (prendendo a prestito il gergo debordiano) consiste nel puntare lo

strumento dello studio verso un’opzione - la fusione - che lo stesso prevede tra gli oggetti

teoricamente ‘studiabili’, senza però prevedere un quadro normativo di riferimento chiaro

che la possa rendere efficace.

Quali sono gli effetti di questa deviazione? In primo luogo, l’iscrizione in agenda del tema

del consolidamento istituzionale, tema che da originario tabù viene sdoganato al punto da

trovare spazio nelle poche pagine che compongono le linee programmatiche. Quest’iscri-

zione si traduce di lì a poco in un impegno più circostanziato, preso dalla Giunta in vari

momenti più o meno formali, di riscrittura radicale della normativa: ci si impegna in altre pa-

role a non affrontare la domanda di consolidamento con misure estemporanee e ad hoc,

ma a contenerle in un quadro organico e coerente. Gli effetti concreti sono ad oggi scono-

sciuti, ma non tarderanno realisticamente a palesarsi nei prossimi mesi. Al di là dei possibili

profili di concretizzazione nel prossimo futuro del processo che abbiamo delineato, sembra

chiara la dinamica riformista in corso in questo contesto regionale: promuovendo un model-

lo interpretativo della per la lettura dei processi di cambiamento amministrativo, Silvia Ghe-

rardi (2004) ricorre alla categoria di “apprendimento istituzionale”, inteso come “sapere che

circola entro i processi di cambiamento e che viene istituzionalizzato entro il processo di

traduzione in pratica di una qualsiasi ipotetica riforma”, come lettura radicalmente alternati-

va dei processi di ‘traduzione in pratica’ delle policies. Secondo questo schema, "tradurre

una riforma in pratica" costituisce una metafora basata sull'analogia fra la riforma (l’evidenza

normativa che vi sia una previsione riformatrice in una qualsiasi direzione) e le tracce (gli ar-

tefatti, le reti d’azione) che di questa di possono rinvenire sul campo come esito del duplice

e contemporaneo processo dell'interpretare e del contestualizzare un oggetto nel suo am-

biente d’uso (Gherardi, Lippi, 2000). La metafora consente uno studio ‘situato’ dei processi

di riforma in ambienti che svelino gli usi intenzionali della conoscenza applicata, e scardina

l’idea secondo cui esista (sia osservabile) una relazione causa effetto tra enunciati e realiz-

zazioni. Uno dei limiti dell’approccio (voluti, consci, orgogliosamente rivendicati) sta nel suo

essere prettamente descrittivo, nel non avere cioè alcuna velleità strutturalista e, quindi, nel

privilegiare il divenire, le forme precarie del sociale mentre si costruiscono. Qui mi rendo

conto che la tentazione di strutturare è forte: vorrei chiudere il quadro avendo dimostrato

che l’impalcatura teorica si traduce in qualcosa di misurabile.

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Adottando uno schema ‘tradizionale’, che legga il processo di policy come flusso tempo-

ralmente e logicamente lineare, di cui l’‘implementazione’ è una fase centrale (prima della

valutazione), il nostro caso resta muto. Acquista senso se osservato nell’ottica di un pro-

cesso in cui si dà una la ‘traduzione di pratiche in riforme’. Sono le pratiche locali che scri-

vono l’agenda pubblica, che ne ridefiniscono i contorni e i contenuti a partire dalle stesse

logiche che l‘agenda contiene, dormienti. Pratiche: politiche (locali) che, azionate da e con

leve pubbliche grazie al darsi di reti d’azione in cui la disponibilità (alla rinfusa) di un oggetto

immateriale, preferenze plurali, tracce di incentivazione, tecnicalità assortite, determinano

l’emergenza di traiettorie di policy sovralocali, di sistema.

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A margine

L’ultima settimana prima della consegna ci vede tornare contemporaneamente attivi su tutti

i fronti. Un primo progetto parte a tutti gli effetti, un altro entra nel vivo con una prima con-

segna sostanziale al cliente, un altro ancora si chiude definitivamente. Il 1 di febbraio viene

indetta una riunione al Circondario Imolese per discutere dello studio di fattibilità che da un

mese è formalmente pubblico (ma che non è ancora stato ‘reso pubblico’). Alla riunione

prendono parte i quattro sindaci della Vallata del Fiume Giallo, il presidente del Circondario,

la segretaria, noi. La riunione vuole sancire la chiusura del progetto e la definizione di una

strategia di pubblicizzazione degli esiti dello studio. Incontriamo il presidente quando ancora

siamo fuori dagli uffici, lui ci accoglie con belle parole sulla qualità dello studio, che “però

risulta politicamente impraticabile”. Noi questo lo sappiamo da tempo: gli raccontiamo di

come l’incarico si sia avviato a suo tempo sotto gli auspici di un’indisponibilità totale da par-

te di uno degli attori coinvolti. Avvertiamo che un obiettivo della riunione sarà far convergere

l’apparato conoscitivo prodotto dallo e nello studio verso obiettivi di rafforzamento dell’Ente

di secondo livello, obiettivo della cui centralità nel dibattito siamo ampiamente avveduti.

La riunione si apre con una lunga introduzione dello stesso presidente: si dà atto del per-

corso effettuato e di come sullo sfondo del (mancato) processo vi sia una più generale atti-

vazione di politiche regionali tendenti al riordino degli enti locali a partire dagli stessi primi

livelli. Oggi ragioniamo di rafforzamento delle unioni di comuni (o del circondario), sapendo

che non potremo non mettere mano alla struttura dei comuni e a loro possibili politiche di

aggregazione. In questa prospettiva, dice il presidente, usiamo lo studio per argomentare

quanto sia urgente procedere alle gestioni associate, lavoriamo per un accentramento in

capo al circondario delle funzioni di tutti i dieci comuni e poi si vedrà cosa la regione sarà in

grado di ‘tirare fuori dal cappello’. L’argomentazione non convince tutti. Per alcuni “mettere

in piedi gestioni associate per tutti sarà più difficile che fare la fusione”: se infatti, si dice, la

fusione consente di azzerare sostanzialmente i costi di transazione insiti nella cooperazione,

la creazione di una struttura di secondo livello di queste dimensioni rischia di appesantire

gravemente il processo decisionale e gestionale. Altri sostengono che l’impraticabilità politi-

ca data dalla chiusura di uno dei comuni è risultata immediatamente esiziale per il processo,

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e che ancora si darà fintanto che quel blocco non verrà meno: con questo s’intende riba-

dire che ipotesi di fusione non compatte (che non prevedano l’adesione di tutti i comuni)

non hanno alcuna legittimità nè istituzionale nè tanto meno politica. Questa constatazione

tenta di stroncare un rumore di fondo alimentato dallo stesso comune dissidente che, con

un atteggiamento politicamente tra il serio e il faceto, rinfocola l’ipotesi di ‘appoggio ester-

no’: “fatevela la vostra fusione, non ci date fastidio”. Sotto i nostri occhi si compie la neutra-

lizzazione del conflitto attorno al progetto, prima che questo sia dato definitivamente in pa-

sto a stampa e minoranze e possa quindi generare dibattiti o discorso pubblico. Il sindaco

di β ricorda come l’ipotesi di fusione si era cominciata a concretizzare con la soppressione

della comunità montana: il disorientamento da perdita di un ultimo ancorché inefficace mo-

mento organizzativo di coordinamento territoriale aveva reso attuale l’ipotesi esplorativa del-

l’aggregazione. Oggi quest’ipotesi torna nel cassetto, mentre prende corpo l’idea conserva-

trice di dare forza, accentrando su di esso le funzioni decentrate, all’Ente la cui stessa so-

pravvivenza giuridica viene messa in discussione un giorno sì e l’altro pure.

Usciamo dalla riunione senza sapere che fine farà lo studio, che resta muto.

Intanto finiamo di scrivere un rapporto intermedio sul Fiume Verde, in cui ci concentriamo

soprattutto sulle indicazioni raccolte nelle interviste. Il rapporto è un po’ scarno e nell’inviarlo

ci rendiamo conto di quanto altro lavoro è necessario per chiuderlo: siamo in chiusura (se-

condo i tempi indicati nel contratto) ma in pratica dobbiamo ancora incominciare. La richie-

sta di proroga si sta già profilando all’orizzonte: per noi questo progetto è troppo importan-

te, un suo successo sarebbe un impagabile distintivo da cucirci alla divisa, ci darebbe quel-

la credibilità che oggi, in questo particolarissimo e inesistente mercato, ancora ci manca.

Brilliamo di luce riflessa: veniamo chiamati come “quelli bravi a fare le unioni”, il che non si-

gnifica nulla.

Poi, il 3 di febbraio, è la volta del Fiume Rosso. Alla riunione ‘informale’ organizzata in Unio-

ne partecipa il presidente e un noto politico locale, autoctono e profondo conoscitore del

territorio. Con loro discutiamo di cosa ci sarà nello strumento che consegneremo: l’ulteriore

dettaglio discende da un’ennesima taratura della checklist, approntata poche ore prima per

il Fiume Verde. Ma loro sono iper-pro-attivi, la loro competenza di clienti è molto più spinta

rispetto agli altri casi. Mi fanno paura. Vogliono coinvolgere alcuni esperti sui temi del bilan-

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Page 220: cupio dissolvi.

cio, cui sottoporre numeri e previsioni sul futuro, vogliono ottenere da subito un’interlocu-

zione diretta con la politica regionale. Vogliono tutto e lo vogliono subito: “quanto tempo ci

vuole per finire tutto? Un mese?”, ma dobbiamo ancora cominciare. Ho la sensazione che

questi vogliano davvero andare in fondo. Il presidente chiarisce il concetto: o passa la fusio-

ne o m dimetto. Poi spunta l’idea del ‘fusion day’, il giorno del referendum da organizzare in

pompa magna e preparare nei mesi precedenti con banchetti e attività di piazza per cercare

il massimo. Ci viene infine consegnato un articolo, che il nostro interlocutore politico ha

scritto per non so quale periodico locale. Ne riporto ampi stralci.

Ad ovest della provincia, e anche un po’ a sud, là dove il crinale di dolci colline segna l’invi-sibile confine con il Modenese, stanno cinque comuni che fra piccoli e medio piccoli fanno giusto giusto 30.000 abitanti. I loro territori sono in organica e geografica continuità, contenuti come sono in uno dei bacini idrografici secondari del fiume Fiume Blu, quello del torrente Fiume Rosso, che bagna, quando può, e nomina la vallata fino all’incrocio con la via Aemilia che ne stabilisce il confine a nord, verso la piatta pianura. [...] Una grande ricchezza che sa accogliere, integrare facendosi così, via via, più solida. Non sto parlando del Paradi-so, ma, molto più semplicemente, di una parte della nostra provincia dai tratti molto precisi, che fa i conti con la crisi che attanaglia la nostra e le altre società, la nostra e le altre econo-mie, che cerca i modi per resistere e rispondere, per darsi un futuro e soprattutto per darlo a chi verrà dopo di noi. L’organizzazione periferica del Partito Democratico ha allora deciso di rompere gli indugi, sostenendo con forza l’operato delle amministrazioni locali, lungo la strada che vorremmo portasse dalla attuale fase di “Unione” per la gestione di uffici, servizi, attività di varia natura, alla vera e propria “fusione”: di cinque comuni farne uno solo [...] Un solo sindaco, una sola giunta, un solo consiglio comunale, un sistema di governo più semplice e unitario che renda anche per questa via più ricco e appetibile il territorio della vallata per viverci, per studiare, per avviare una propria attività economica sia essa pro-duttiva che commerciale, più in generale per lavorare. Un comune a rete, che usa tutte le nuove tecnologie per essere il più possibile a portata di mano, dove sperimentare forme nuove di partecipazione democratica, non tralasciando quelle consuete, e di fruizione dei servizi e delle opportunità. Un comune in cui le dinamiche di scala, tutte, economiche, sociali, di uso del territorio, e altre ancora, traggano vantaggio dall’organicità naturale deri-vante dal superamento della frantumazione dei bilanci, dei servizi, degli uffici, dei centri decisionali. Vantaggio che dovrà manifestarsi in scelte che facciano meglio i conti con le esi-genze di imprenditori e di imprese impegnati sul fronte di una competitività sempre più diffi-cile e, nel contempo, per fare meglio i conti con le esigenze delle famiglie, dei loro figli. Un solo comune per un territorio che scopra il piacere di valorizzare tutte le sue peculiarità [...] parlo del duro lavoro degli agricoltori, degli allevatori, delle varie forme in cui si esprime quell’attività che produce cibo e vino buono e sano per le nostre tavole, il cui reddito è du-ramente colpito dall’assenza di adeguate politiche di sviluppo e di tutela [...] Citati somma-riamente, sono questi alcuni degli aspetti di immediato interesse locale da aggiungere agli aspetti di rilievo più vasto: nei fatti questa è la strada per agevolare, finalmente, la costruzio-ne della città metropolitana, per risolvere il dilemma provincia, per stabilire una corretta relazione fra la città capoluogo e i futuri municipi del territorio metropolitano.Proponiamo che si lavori per arrivare alla soglia del comune unico nel corso di questa le-gislatura attraverso un largo coinvolgimento dei cittadini in modo diretto, con particolare attenzione verso coloro che saranno gli artefici del consolidamento futuro del nuovo sogget-

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Page 221: cupio dissolvi.

to istituzionale. [...] Per questo nelle prossime settimane andremo sulle piazze degli attuali comuni per parlare con i cittadini, avanzando la nostra proposta e raccogliendo idee, sugge-rimenti, indicazioni, preoccupazioni. Vogliamo accompagnare e contribuire alla discus-sione che ci sarà sullo studio di fattibilità per la fusione, che i comuni dell’Unione han-no affidato all’Università di Bologna, consapevoli e convinti del ruolo che deve avere la politi-ca, una buona politica, in una avventura di questa natura. D’altra parte l’abbiamo scritto nei programmi elettorali assumendo un impegno concreto. Che la proposta sia complessa per tutto ciò che mette in gioco, è evidente e di tale complessità vi deve essere piena consape-volezza in tutti coloro che parteciperanno alla costruzione del progetto.Alta dovrà dovrà essere la dose di sensibilità nel ragionare dei mutamenti che si an-dranno a produrre negli usi e nelle consuetudini delle persone. Per capirne i timori, per aprire a prospettive positive le chiusure campanilistiche. Per evitare, ad esempio, che la scelta del luogo dove saranno ubicati gli uffici del sindaco e della macchina amministrativa, diventi mo-tivo di diverbi o vissuta come ipotetico declassamento degli altri territori.Insomma bisogna essere ben consci che in questo territorio, di tradizioni molto antiche, gli ultimi aggiustamenti al sistema istituzionale datano al 1810. Fu Napoleone.Da allora sono passati 200 anni. E nessuno di noi è Napoleone.

Per l’ennesima volta mi trovo a interrogarmi su quale sarà l’apporto che saremo in grado di

dare al processo: quale competenza dovremo acquisire perché la nostra presenza sia effet-

tivamente legittimata? Come faremo a non cadere nella trappola delle profezie che si au-

toavverano?

[continua]

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