CUPIO DISSOL VI CREATIVITÀ ISTITUZIONALE E STRUMENTI DI GOVERNO CASI DI PRATICHE DI AGGREGAZIONE IN EMILIA-ROMAGNA ALESSANDRO PIRANI UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA | CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICA- ZIONE TERRITORIALE E POLITICHE PUBBLICHE DEL TERRITORIO | COORDINATO- RE PROF. PIER LUIGI CROSTA | XXI CICLO
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CUPIO DISSOLVICREATIVITÀ ISTITUZIONALE E STRUMENTI DI GOVERNOCASI DI PRATICHE DI AGGREGAZIONE IN EMILIA-ROMAGNA
ALESSANDRO PIRANIUNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA | CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICA-ZIONE TERRITORIALE E POLITICHE PUBBLICHE DEL TERRITORIO | COORDINATO-RE PROF. PIER LUIGI CROSTA | XXI CICLO
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A Elena, Pietro e Bianca, la mia famiglia.
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Ringraziamenti
A lungo, ho pensato che non avrei mai finito. Scelte di vita radicali mi avevano portato lontano dalla
possibilità di dedicarmi allo studio necessario per condurre in porto, con una tesi, il corso di dottora-
to. So per esperienza che non si sta all’interno di un processo di indagine in modo periferico, a tem-
po perso: l’innesco della conoscenza nasce da una frequentazione sistematica, quotidiana, discipli-
nata, ‘a tu per tu’ con il campo e con la letteratura. Si può scrivere solo di ciò e con ciò che si è let-
to: nulla s’inventa oltre il testo che si scrive all’interno di una comunità di pratica, quella della ricerca.
Mi sbagliavo. In realtà, ciò che mi mancava non era il tempo, ma l’occasione. L’occasione che mi
mancava era una pratica professionale su cui concentrare le mie attenzioni speculative, da ‘mettere
alla prova’ e da cui provare a trarre lezioni. Quell’occasione è arrivata quando nei due ambiti in cui
presto la mia opera d’ingegno (non mi arrischierei a definirla ‘lavoro’) si è andato cristallizzando un
campo di pratiche con qualche margine di omogeneità e ripetitività: i comuni, l’organizzazione, il mu-
tamento istituzionale. Di quest’occasione devo ringraziare prima di tutto Giovanni Xilo, mio maestro
di consulenza organizzativa: a lui devo di aver potuto indebitamente frequentare ambiti di frontiera
nell’innovazione della Pubblica Amministrazione, a lui devo la fiducia e l’infinita pazienza verso la mia
ingestibile capacità di mettermi nei guai. A lui questo lavoro non piacerà, ed è giusto che sia così.
Devo poi ringraziare per la fiducia l’Amministrazione Comunale di ο, di cui mi onoro di far parte, in
particolare il Sindaco Sergio Maccagnani. A lui devo l’opportunità di poter provare a servire una co-
munità e di capire cosa può determinarne il ‘bene’; gli devo anche di poter frequentare la ‘macchina’
dall’interno: pur comportando su di me un’ennesima scissione di personalità, amministrare mi aiuta
ad acquisire competenze tecniche e politiche fondamentali nel mio percorso professionale. Ringrazio
infine in ordine sparso tutti coloro con i quali è capitato di interagire più o meno intensamente e di
condividere parti del mio percorso professionale e di ricerca sul campo. Fabrizio Tosi per le citazioni
e l’ascolto attivo; la Giunta tutta per la solidarietà e l’accogliente spirito di squadra; la squadra di
C.O. Gruppo e AROC dell’Università di Bologna, in particolare Simone Rossi, il cui investimento su
di me in termini di tempo, trasferimento di competenze, pazienza ancora oggi resta un mistero e Ful-
vio, per la vicinanza e il cameratismo. Ringrazio infine il professor Crosta, grande maestro di ironia,
capace di comprendere le persone da pochi tratti e di indirizzare i percorsi di ricerca con lucidità ra-
ra: la sua frequentazione seppur intermittente di questi anni ha rappresentato per me un arricchi-
mento inestimabile. Senza la sua disponibilità sempre viva nonostante tutto adesso non consegnerei
nulla.
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Così nessuna scienza ci permetterà di dire: il tale fatto acca-
drà, andrà così e così, perché ciò è conseguenza di tale leg-
ge, e tale legge è una verità assoluta, ma tanto meno ci con-
durrà a concludere scetticamente: la verità assoluta non esi-
ste, e quindi tale fatto può accadere e può non accadere, può
andare così e può andare in tutt'altro modo, nulla io ne so.
Quel che si potrà dire è questo: io prevedo che il tale fatto
avverrà, e avverrà nel tal modo, perché l'esperienza del pas-
sato e l'elaborazione scientifica cui il pensiero dell'uomo l'ha
sottoposta mi fanno sembrare ragionevole questa previsione.
La differenza essenziale da rilevare è nell'attribuzione del “per-
ché”: non cerco perché IL FATTO che io prevedo accadrà, ma
perché IO prevedo che il fatto accadrà. Non sono più i fatti
che hanno bisogno di una causa per prodursi: è il nostro pen-
siero che trova comodo di immaginare dei rapporti di causalità
per spiegarli, coordinarli, e renderne possibile la previsione.
Soltanto così la scienza può sentirsi perfettamente in regola di
fronte alla lapalissiana obiezione che il nostro spirito non può
pensare nulla che non sia un suo pensiero, non può concepire
nulla che non sia una sua concezione, non può ragionare di
nulla che non sia un suo ragionamento, nulla può contenere
che sia esterno a lui.
Bruno de Finetti, La logica dell’incerto, 1989
Sei condannato ad essere te stesso. Questo, dice, ci lascia
liberi di raffigurare ciò che vogliamo, dal momento che raffigu-
riamo sempre noi stessi. La calligrafia. Il modo di camminare.
Il motivo decorativo delle porcellane che scegli. Sei sempre tu
che ti tradisci. Ogni cosa che fai rivela la tua mano. Ogni cosa
è un autoritratto. Ogni cosa è un diario.
Chuck Pahlaniuk, Diary, 2004
Il n'y a pas de solution parce qu'il n'y a pas de probleme.
Marcel Duchamp, Door, 11 rue Larrey, 1927
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IndiceTracce introduttive! 13Conoscenza e azione 13
Una storia pratica 15
Sguardi autobiografici 18
Prolegomeni (domande)! 21Il comune è uno spazio autonomo? La crisi del confine amministrativo, tra pratiche e politica 21
A cosa serve superare i confini? Problematizzare l’adeguatezza tra distinzione e scalarità 25
Di cos’è fatta la capacità di un territorio? Tra mezze riforme, governance e intercomunalità 30
Crisi della politica (del) locale. Da Sisifo allo spettro dell’autodistruzione 37
Dissolversi conviene? Occasioni (professionali) per la creazione di un sapere istituzionale 41
Un caso di casi! 53Cooperare non basta (più). Una politica pubblica messa a nudo dai propri strumenti, anche. Il caso del-
l’Emilia-Romagna 55
Un anno di fusione in Emilia-Romagna ! 6503/12 Prologo: identità, standardizzazione, competenze. Di cosa stiamo parlando? 65
26/11 Che fine avrebbe fatto lo studio di fattibilità? Un attore, al condizionale 67
14/1 Lo studio per la fusione del Fiume Giallo: competenze, pratiche. Come si conosce un territorio?
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4/2 Esordio sul Fiume Giallo: retoriche e antiretoriche dell’innovazione amministrativa. Tattiche e bias. 75
5/2 Fiume Giallo, perché la fusione: policy windows e argomentazioni. Prima che sia troppo tardi 85
22/2 In Regione: strumenti in cerca di politiche pubbliche. Un policy network in erba 89
15/3 Un incarico sul Fiume Verde: che cos’è ‘davvero’ una fusione? Si estende la rete d’azione 92
25/3 Associazioni sul Fiume Giallo: frammentazione, assenza di governo. 95
7/4 Post: sogni sineconomici 98
7/5 La (buona?) pratica di Ledro: il fascino discreto del ‘punto di non ritorno’. Cercasi replicabilità. 99
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10/5 La fusione del Fiume Giallo si deve fare: pratiche, numeri, politica. Argomenti e promesse. 104
18/5 Attivazioni sul Fiume Giallo: proiezioni, aspettative. Il peso dell’autobiografia organizzativa. 106
25/5 Altro giro di chiarimenti in Regione: no, no, no, sì? Affiorano ipotesi (di) politiche 108
4/6 Tra i Sindaci della “Città del Fiume Verde”: casello, scarpe, Storia. Insoddisfazione come leva? 111
21/6 Prima consegna sul Fiume Giallo: teoremi perturbanti del cambiamento. 115
1/7 Presentazione sul Fiume Verde: proiezioni, processi, scenari. Simulare il mutamento. 121
9/7 Seminario sul Fiume Giallo: dimostrazioni, linee guida, defezione. L’arrocco sembra irreversibile. 124
27/7 Blitz sul Fiume Blu: politica creativa e ipotesi di governance. L’unione non basta: per chi? 128
19/8 Indagine di mercato: lo sciame della fusione. Vantaggio competitivo su un prodotto difficile. 133
20/8 Post: fusioni, bollettino dal fronte 135
6/9 Preliminari sul Fiume Rosso: rappresentanza, geometrie variabili. 136
9/9 Una delibera non basta: un (mezzo) passo falso sul Fiume Blu. 138
17/9 Tra i Sindaci del Fiume Verde: abbattere i campanili? La difficile proiezione dell’identità 140
21/9 Confronto nonostante sul Fiume Blu: dove sta il problema? L’importanza della gradualità 143
21/10 Fiume Giallo che resiste: dalla Linea Gotica alla linea eolica. Pale, autonomia, resistenza. 146
3/11 Sul Fiume Verde: rappresentanze, interessi, sfiducia nella politica. Quali ‘condizioni’ di fattibilità?
152
26/10 Sul Fiume Rosso: politica, capacità, attori. Strutturare una volontà per il consenso 154
28/10 Ritorno a Ledro: soldi e deroghe non bastano. Tramonta l’idea della ‘best practice’ 157
29/10 Interpellanze (e un blog) sul Fiume Blu: retorica, programmazione, azzardi strategici. 159
22/11 La consegna al Fiume Giallo: proroghe e revisioni. La (mancata) costruzione dell’usabilità 161
La tenuta dell’argomento economico: governing by the numbers. 164
Dimostrare l’insostenibilità: simulazioni su filo dell’aleatorietà 166
L’argomento più ghiotto: la competitività sul mercato dei finanziamenti 169
Benchmarking e proiezioni sulla riqualificazione del personale 171
Modello “hub and spoke” per l’unificazione 176
Linee guida per nuove geometrie di rappresentanza nei territori 177
30/11 In Casentino, in cerca di imprenditori di confini. Inutili passaggi intermedi 178
10/12 Nei centri anziani del Fiume Verde: affidarsi la politica, oltre lo Studio. Partire dalla gente 181
18/12 Sul Fiume Rosso vogliono partire: la checklist dei documenti. Si circoscrive una prassi. 184
7/1/11 Alle sorgenti del Fiume Blu: organizzazione del territorio e soluzioni locali. 188
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14/1/11 Epilogo sul Fiume Giallo: autonomia e federalismo. Reframing necessari. 194
Alcune risposte! 200Dissoluzione istituzionale. Preferenze, soluzioni, derive 200
Il problema delle identità. Cambiamento, scenari, argomentazioni. 203
Progettare le istituzioni. Attori e sottoprodotti dell’azione. 206
Imprenditori di confini e sensemaking. Ruolo delle comunità epistemiche 210
Politiche, pratiche. Tradurre le pratiche in riforme. Tra detournement e apprendimento istituzionale. 213
A margine ! 218
Bibliografia! 222
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Tracce introduttive
Conoscenza e azione
Questo studio descrive un processo di apprendimento nel corso dell’azione. Un processo in
cui la definizione di uno schema tecnico di intervento determina da un lato la ridefinizione
delle identità coinvolte e dall’altro la produzione di politiche come ipotesi istituzionalizzate
d’azione orientata al cambiamento. Un processo, infine, che determina l’emergenza di un
‘desiderio di dissoluzione’ (da cui il titolo: cupio dissolvi) che accomuna, a partire da ragioni
e presupposti diversi, attori sociali coinvolti in un processo di policy.
Nelle pagine che seguono si tenterà di fornire una rappresentazione (tra quelle possibili) di
un processo di costruzione di ‘conoscenza professionale’, letta come l’esito dell’applicazio-
ne di metodologie ‘scientifiche’ che attribuiscono a determinati attori - all’interno di una
comunità di pratica determinata, definita in base all’oggetto di cui ci si occupa - una ricono-
sciuta autorevolezza (Lindblom e Cohen, 1979). Un processo di costruzione di conoscenza
professionale cui corrisponde, in termini di processo, la creazione di una politica pubblica
esito dell’interazione con gli attori oggetto d’indagine. L’attività professionale di ricerca, co-
noscenza e intervento sulle politiche e per la costruzione di politiche pubbliche, intese come
“azioni intenzionali di trasformazione (o che producono effetti di trasformazione) dell’orga-
nizzazione (Crosta, 1998) coinvolge la sfera dell’apprendimento di chi la agisce e di tutti gli
attori che a vario titolo ne sono coinvolti: tra questi le Amministrazioni, i politici locali, le co-
munità locali, soggetti associativi e di rappresentanza di interessi e così via. Nel processo di
apprendimento in cui si dà la produzione conoscenza territoriale ognuno produce ‘interatti-
vamente’ riformulazioni della propria identità, partecipa delle pratiche di comunità sociali e
della costruzione d’identità in relazione a queste comunità (Wenger, 2006): sono allora io
che scrivo che, partecipando a una pratica, rileggo la mia stessa identità.
In questo studio viene ripercorso un tratto del processo (in fieri) di ridelimitazione di un
campo di pratiche (e) politiche che vede coinvolti alcuni territori accomunati dalla volontà di
focalizzare un obiettivo di riconfigurazione istituzionale che, sulla carta, appare identico: la
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fusione dei comuni in cui sono amministrativamente divisi. All’interno di questo processo di
costruzione di una ‘comunità di pratica’ istituzionale appare centrale il ruolo di quei soggetti
‘terzi’ (i consulenti) che, in forza di una riconosciuta autorevolezza su quella particolare is-
sue, creano i nessi logici e si fanno vettori delle informazioni che innescano processi imitativi
e di traslazione delle pratiche. La ‘creatività istituzionale’ cui si fa riferimento nel titolo allude
a questo processo di creazione, in cui l’esito trasformativo prefigurato viene negoziato inter-
attivamente tra gli attori, secondo processi logico-causali che, ben lungi dal darsi come li-
neari, si determinano e si plasmano sulla base delle storie personali che li innervano.
Lo sfondo è quello del Programma di Riordino Territoriale (PRT) della Regione Emilia-Roma-
gna e di alcuni casi locali che sembrano riscriverne i contenuti secondo una propria decli-
nazione locale degli obiettivi e degli strumenti a disposizione. Nel caso studio qui descritto
interagiscono almeno quattro macro-tipologie di attori, nella cui interazione sembra darsi la
produzione di una politica pubblica come effetto emergente, come sottoprodotto (non in-
tenzionale) di una politica. Riportiamo di seguito una sintesi dei personaggi della storia, se-
condo il ruolo che in questa storia effettivamente hanno. Circoscrivere entro un numero pre-
stabilito di personaggi la complessità degli attori campo risulta utile, in una prospettiva nar-
rativa, per renderli operativi entro il quadro di policy: i personaggi incorporano infatti sistemi
di connotazione e personalità che alludono ai ruoli con cui, nella narrazione, li si fanno abita-
re legittimamente all’interno di un processo.
1) Le Amministrazioni locali. Intese qui come ‘clienti’ nel processo di conoscenza innescato
dall’affidamento di un incarico di consulenza, rappresentano i detentori della principale
fonte di volontà che alimenta l’innesco della politica pubblica. Non esprimono una visione
chiara e preordinata della trasformazione che intendono imprimere al territorio e si affida-
no alla ‘tecnica’ per ‘avere un’idea’ e orientare la propria decisione rispetto a un’ipotesi
che si dà inizialmente come risposta a un’offerta pubblica.
2) La Regione. Intesa qui come ‘principale policy maker’, legislatore, produttore e detentore
del filone di politiche entro cui si inscrivono le pratiche locali che descriviamo. La Regione
è l’attore cui compete la definizione del frame politico di metodi e risultati, dentro il quale
gli attori locali (i destinatari: le Amministrazioni) si muovono attivandosi volontariamente in
risposta agli strumenti di incentivazione messi in campo.
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3) Gli stakeholder. Intesi come qui come ‘portatori di sistemi di preferenze’ rispetto alla tra-
sformazione istituzionale, che si assume possano essere trattate come date, circoscrivi-
bili in quanto afferenti a una categoria. La lettura della comunità degli attori locali come
‘portatori di interesse’ opera una riduzione di complessità che la rende funzionale all’ar-
gomentazione.
4) I consulenti. Intesi qui come ‘fornitori di conoscenza’, enzimi del cambiamento e (con-
temporaneamente) produttori e traduttori di pratiche trans-locali. I consulenti abitano il
campo di pratiche in cui e su cui sono coinvolti in quanto tali (consulenti), e nel farlo ne
definiscono i confini che sono a monte sfumati e inconoscibili per gli stessi clienti.
I personaggi stanno sulla scena definendo la propria identità ricorsivamente, all’interno di
una dinamica interattiva in cui l’acquisizione di competenze è centrale: nella storia ampio
spazio viene dedicato all’apprendimento insito nella ‘partecipazione periferica legittimata’
(Lave e Wenger, 2006), l’apprendistato. Nell’apprendistato, termine col quale non designo
una categoria contrattuale ma uno stato permanente descrittivo delle relazioni interattive
professionali, la materia prima che viene creata e costantemente ridefinita è la competenza,
la capacità di esibire comportamenti funzionalmente adeguati un vasto spettro di situazioni
d’azione facendo leva su un repertorio di abilità fisiche, pratiche, o intellettuali che hanno
una base cognitiva (Lanzara, 1993).
Due livelli di lettura: mentre a un primo livello la storia descrive la costruzione di competenze
pratiche nell’affrontare un campo vergine, in cui non vi sono (o non si possiedono) sufficienti
skill tecnici per produrre conoscenza utile, a un secondo livello arriva a rappresentare la pa-
rabola del processo di costruzione di una policy ridefinita da questo stesso processo di ac-
quisizione di competenze. Imparare a trattare un problema sociale equivale a crearlo.
Una storia pratica
Il processo di policy si fonda sull’apprendimento interattivo tra pratica professionale (come
ripetizione di pratiche mediante la ricerca di soluzioni e il progressivo adattamento attorno al
problema) e il problema stesso. Il processo di apprendimento ha a che fare con l‘instaurarsi
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di pratiche intese come programmi d’azione acquisiti selezionando o generalizzando rispo-
ste a problemi che si sono dimostrate efficaci in passato e scartando gli errori precedente-
mente commessi (Lanzara, 1993). Pratiche, routine, intese quindi come costrutti di prove
ed errori il cui esito è la produzione di una qualche conoscenza pratica, usabile, utile e
spendibile e che rimanda a un qualsiasi avanzamento, miglioramento, adeguamento am-
bientale dell’identità al contesto. Conoscenza pratica: che procede e si costruisce necessa-
riamente su un’alternanza di prove ed errori. In questo senso, l’apprendimento va inteso
come esito dell’adattamento e riformulazione costante dell’identità attorno a un oggetto, in
un processo nel quale l’errore, il fallimento, riveste un ruolo centrale. La sua natura com-
plessa, versatile, o scaltra, ne fa un oggetto difficile da circoscrivere: il fallimento rappresen-
ta un problema, ed è per questo che ci interessa (Chéroux, 2009). Nel suo “La formazione
dello spirito scientifico”, Bachelard dimostra che è “in forma di ostacoli che bisogna porre il
problema della conoscenza scientifica”. Di solito, con un ostacolo ci si scontra, è ciò che
intralcia l’avanzamento della comprensione [...] esso può dimostrarsi un prezioso indicatore
dei processi in atto nell’esperienza cognitiva. La conoscenza è una luce che proietta sem-
pre ombre da qualche parte, ed è percepibile soprattutto grazie a queste (ibidem).
Luci, ombre, artefatti cognitivi e materiali popolano la storia che raccontiamo: gli avanza-
menti progettuali sono scanditi dall’entrata in scena di attori umani, relazioni, ma anche ipo-
tesi, leggi, determine, delibere, programmi, piani, articoli, interviste artefatti la cui visibilità è
al contempo causa e conseguenza dell’attivazione degli attori nel campo organizzativo. Al-
l’interno della scansione ‘sincronica’ della storia gli oggetti fanno la loro comparsa reificando
ciò che viene raccontato verbalmente: passaggi chiave, apprendimenti, errori, contratti,
programmi d’azione. Sono ‘oggetti liminali’ in fieri, raccontati nell’atto di acquisire quelle ca-
ratteristiche di modularità, astrazione, adattamento e standardizzazione che ne faranno
strumenti di coordinamento: artefatti come prodotti dell’azione consulenziale, la cui efficacia
è sottoposta a continui stress test di tenuta, oggetti che costruiamo come risposta ai biso-
gni locali e situati del caso concreto sul quale lavoriamo e che immaginiamo possano diven-
tare spendibili anche altrove, diventando routine e definendo quindi quei locali secondo lo-
giche descrittive e metriche analoghe. Le offerte, i rapporti di cui lo studio è punteggiato
sono gli oggetti intorno ai quali tanto l’interazione biunivoca consulente-cliente quanto quel-
la reticolare con la comunità che si addensa attorno alla pratica specifica di progetto (in
questo caso: le fusioni di comuni) si organizzano le interconnessioni e coordinano le pro-
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spettive per il raggiungimento di una determinata finalità (Wenger, 2006). Gli ‘oggetti di con-
fine’ reificano sistemi di aspettative dei vari attori in gioco: il processo che porta alla defini-
zione degli oggetti risulta utile a comprendere le logiche di costruzione delle pratiche e delle
comunità - delle reti d’azione, nel gergo dell’actor-network theory, attorno a esse.
Il caso particolare raccontato nello studio di caso racconta di schemi d’attivazione ritmati
dalla relazione tra clienti e fornitori, osservati e osservatori entro il frame del project mana-
gement: il caso nasce infatti non dall’osservazione esterna di un processo, ma dall’autoos-
servazione partecipante dall’interno dello stesso processo. Tralasciando l’esteso dibattito
sulla possibilità o meno di produrre auto-osservazioni dotate di un qualche significato, su
cui gli interpreti delle scuole cibernetiche si sono soffermati, mi limito ad assumere come
percorribile una ricostruzione a posteriori dell’evoluzione narrativa della storia che mi vede
personaggio e interprete. Una ricostruzione in cui viene resa irrilevante la pretesa razionali-
sta di produrre osservazioni oggettive, superata com’è dalla strumentalità con cui la storia
viene osservata: la storia interessa solo in quanto utile a qualche scopo. Chiarita la virtuale
impossibilità dell’oggettività, diventa irrilevante l’effettiva veridicità dei fatti raccontati.
Ciò che per convenzione definiamo ‘gestione dei progetti’ (project management) costituisce
un insieme di pratiche riconducibile (per convenzione) alla comunità di quanti, in chiave pro-
fessionale e/o imprenditoriale, lavorano nei processi per esercitarvi un qualche ruolo di atti-
vatori (nel senso che Weick attribuisce al verbo to enact, come costitutivo del processo di
conferimento di senso nelle organizzazioni). Un tratto che conferisce un’autonomia discipli-
nare propria a questo campo di pratiche (qualunque ne sia il campo di applicazione concre-
ta) lo si può rinvenire nello schema convenzionale della consegna di prodotti immateriali
(generalmente indicati come deliverable: rapporti, verbali, resoconti, brief, ecc.) che rappre-
sentano la conclusione di compiti di complessità variabile, generalmente previsto dalla rap-
presentazione analitica del progetto (diagramma di gantt o altre metriche di progetto).
L’azione di consegna (o rilascio, secondo il gergo in uso nella comunità ICT) di un prodotto
(output) istituisce una relazione complessa tra le parti contraenti (definibile in questo caso
come outcome: effetto, esito); il prodotto-artefatto oggetto di questa azione assume un
ruolo nel processo, ruolo che può essere, al contempo, di:
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1. Vettore contrattuale. Il rilascio assolve a clausole contrattuali, dà corso a voci specifiche
dei capitolati, determina l’avanzamento del progetto (secondo le metriche in uso: per-
centuali economiche erose dal budget, numero di azioni svolte sul totale di quelle previ-
ste, obiettivi raggiunti rispetto al piano, eccetera); in generale, gli elementi quali-quantita-
tivi dell’azione di rilascio costituiscono un terreno di negoziazione sulle condizioni di
scambio tra le parti, in cui le tattiche (De Certeau, 2001) delle parti mettono in scena
anche simbolicamente i rapporti di forza (si “rilascia” qualcosa o qualcuno che è tratte-
nuto, rinchiuso).
2. Driver di avanzamento concreto. Mediante il rilascio di un prodotto previsto dal progetto,
il rilascio può sancire l’avanzamento operativo del progetto, ove sia dotato di (o implichi
l’attivazione di) elementi dispositivi specifici (è il caso di verbali nei quali si individuano i
responsabili di azioni necessarie, o si selezionano i destinatari di successive comunica-
zioni, eccetera).
Tutti questi connotati implicati dall’azione di rilascio del prodotto di consulenza possiedono
un carattere specificamente relazionale, strumentale rispetto ad uno scopo “interno”. In altre
parole, producono outcome apprezzabili specificamente nella relazione tra contraenti. Il rila-
scio di un prodotto di consulenza - l’ingresso di un oggetto entro un campo organizzativo -
può innescare processi di apprendimento: un documento di analisi organizzativa o econo-
mica, un verbale, una checklist di documenti da produrre, irrompono - innescando reazioni
cognitive di adesione, di presa di distanza, di adattamento - nel campo organizzativo de-
scritto e negli attori che lo abitano. Possono ottenere esiti di attivazione e di sensemaking,
in misure diverse come diversi sono i gradi di resistenza al cambiamento dei campi organiz-
zativi in cui si trovano ad interagire.
Sguardi autobiografici
Non dico mai quello che penso, ma solo quello che serve.
(Giovanni Xilo, 2011)
“Sforzatevi di non vedere la soluzione”, suggerirà a un certo punto uno dei personaggi della
storia. La battuta è felice. È come se il cliente dicesse: vi pago perché siate capaci di ogget-
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tivare al massimo - immunizzandola da qualsiasi bias ideologico, politico o di altra natura -
una lettura diagnostica del problema che vi sottopongo, attenti a non aderire a priori all’op-
zione di cui stiamo valutando la percorribilità. Problematizzando la nostra capacità di di-
stacco valutativo, implicitamente ne sta mettendo in luce la paradossalità: nella relazione di
consulenza non c’è problema e non c’è soluzione al di fuori di ciò su cui tutti gli attori con-
vengono. Il consulente, per definizione, non “dice mai quello che pensa ma solo quello che
serve” a co-costruire nella relazione con il cliente un senso attorno a ipotesi e domande di
aiuto che per definizione, al di fuori di questa relazione, non sono mai riconoscibili. Tutto
questo ha a che fare con lo sguardo e con lo statuto dell’osservatore, la cui possibilità di
descrivere le identità altre è strettamente legata alla capacità di definire la propria.
Useremo nella costruzione del caso studio un approccio narrativo, in cui vi è una ricompo-
sizione tra individuo (l’io narrante) e organizzazione (l’ambiente in cui si svolge la storia nar-
rata). Assumiamo con Czarniawska (2004) che vi sia un’analogia e una connessione tra
identità personale e identità organizzativa: la connessione è data dal fatto che “entrambe
sono sottonarrazioni interne alla narrazione moderna, che ingloba e richiede individui, mer-
cati e stati”, mentre l’analogia sta nel fatto che le identità individuali e organizzative hanno
logiche costituive molto simili (ibidem). La stessa studiosa propone di trattare l’identità co-
me una narrazione, o “per meglio dire, un processo continuo di narrazione dove sia il narra-
tore sia il pubbloco sono coinvolti nel formulare, rivedere, applaudire e rifiutare vari elementi
della narrazione perennemente messa in scena”. In una lettura di questo tipo, a diventare
problematica è la possibilità di stabilire nessi di plausibilità in quanto narrato in forma auto-
biografica da un ‘io narrante’ rispetto a un’organizzazione (magari un’organizzazione cui l’io
narrante appartiene).
La stesura del caso studio è strutturata secondo un modello di ‘genere’, il diario, scritto ex
post a una distanza dagli eventi tale da averli già (al momento della scrittura) oggettivati
come ‘snodi narrativi’, valutati cioè non come fatti in se ma come fatti dotati di una qualche
significatività ai fini dell’esposizione. Il prodotto narrativo è l’esito di tre stesure:
1. La ricostruzione dei ‘fatti’ sulla base della ricerca (‘autoricerca’) di materiali documentali
atti a ricostruirne la salienza (documenti come comunicazioni, e-mail, appuntamenti,
verbali, ecc.). La prima fase ha richiesto un’intensa catalogazione dei materiali, una loro
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allocazione temporale entro intervalli temporali precisi su cui si è impostata la prima ste-
sura narrativa.
2. La semplice scansione temporale dei fatti salienti è stata riletta e parzialmente riscritta
alla luce degli apparati teorici costruiti parallelamente, che ne hanno reindirizzato le chia-
vi interpretative dominanti. Questa prima ‘risciacquatura’ è stata limitata ai singoli ele-
menti della storia.
3. La terza rilettura, oltre a soffermarsi su questioni di carattere stilistico e di complessiva
leggibilità, ha inteso conferire omogeneità e maggiore linearità alla scansione degli eventi
in funzione della tesi di cui gli stessi sembrano fornire una rappresentazione concreta.
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Prolegomeni (domande)
Una dinamica di progressiva riscrittura come quella descritta nel paragrafo precedente è
toccata anche a questi ‘prolegomeni’, paragrafi introduttivi in forma di quesiti che hanno lo
scopo di circoscrivere lo sfondo su cui si svolge il caso narrato. Anche in questo caso, infat-
ti, a una prima stesura libera che aveva lo scopo di esplorare, partendo molto ‘alla lontana’,
il campo teorico della fusione di comuni, è seguita una seconda che da un lato ne ha raffor-
zato gli ancoraggi argomentativi e dall’altro ha tentato di circoscrivere l’ambito professionale
e di ricerca. Alle domande poste in questi paragrafi lo studio fornirà solo alcune risposte la
cui validità e coerenza va ricercata come tentativa, affatto definitiva e funzionale all’apertura
di un fronte di ricerca.
Il comune è uno spazio autonomo? La crisi del confine amministrati-vo, tra pratiche e politica
Il comune rappresenta per lo stato italiano la fondamentale cellula del sistema di governo.
Attraverso il comune viene esercitato il controllo, la manutenzione e la difesa del territorio. Il
Testo Unico degli Enti Locali (L. 267/2000), all’Articolo 13 del Capo I individua le funzioni
che sono attribuite al governo municipale: “tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla per-
sona e alla comunità, dell'assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico,
salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regiona-
le, secondo le rispettive competenze”. Ai compiti che la Legge attribuisce direttamente ai
comuni, lo stato aggiunge una serie di altre funzioni delegate, elettorali, di stato civile, di
anagrafe, di leva militare e di statistica per le quali il sindaco che le esercita viene designato
ufficiale del Governo. Non è poco, considerato che questa previsione si applica a tutti i co-
muni, senza distinzione.
A tutti i comuni Italiani sono attribuite le medesime competenze: dal più grande (circa 3 mi-
lioni di abitanti) al più piccolo (circa 30) i comuni sono di fatto esattamente equivalenti in
21
termini di poteri locali: questo nonostante risulti evidente che imporre lo stesso vestito a
grassi e magri, alti e bassi, non produce maggiore uguaglianza, produce semplicemente
una rigida e ottusa inadeguatezza rispetto alle esigenze sostanziali di soggetti diversi (Van-
delli, 2008). Dai grandi ai piccoli, tutti fanno tutto. Naturalmente, questo è vero solo in teo-
ria. Qui interessa capire se i comuni, in particolare quelli medio-piccoli, sono in pratica in
grado di esercitare una propria concreta autonomia e, se no, come articolano progetti di
riforma per conquistarne altra.
L’attuale configurazione dell’autonomia locale è l’esito di un processo che, in tre fasi (Spalla,
2000) ha trasformato in sequenza il comune da ente periferico dello stato, con attribuzioni
obbligatorie amministrative e di controllo (Testo Unico della legge comunale del 1934) a ge-
store di materie delegate più ampie e infine (con la L. 142/90) a soggetto pienamente auto-
nomo dotato di una rafforzata potestà statutaria e regolamentare. Il comune, la cui organiz-
Nord, Fiume Verde, Valle del Fiume Giallo, Terre del Po; Friuli-Venezia Giulia, Carso; Liguria, Val di Magra:
Piemonte, Val Vigezzo, Mortigliengo; Trentino Alto Adige, Primiero, Rovereto; Toscana, Versilia, Val di Bi-
senzio, Isola d’Elba, Valdarno, Casentino; Veneto, Città del Piave, Valbrenta, Cadore, Alpago; Campania,
Isola d’Ischia; Marche, Valle del Cesano; Lombardia, Lago di Como. Per il dettaglio vedi la sezione ‘Alle-
gati’
scussione, pagine Facebook16, manifesti, strumenti ognuno con qualche potenzialità
espressiva di argomentare il cambiamento e innescare processi ciclici di descrizione/crea-
zione.
Nascono comitati, gruppi informali, gruppi di discussione; ed ecco interi territori che lavora-
no su base volontaria di fatto per una propria concreta ed effettiva dissoluzione istituzionale.
In tutti i casi, si tratta di tracce di arene pubbliche che si coagulano attorno all’elaborazione
collettiva di progetti territoriali incentrati sulla dissoluzione del micro nel macro, sul rigonfia-
mento del locale letto in chiave quasi religiosa come prospettiva soteriologica (salvifica):
progetti di territorio (narrazioni) che prevedono la creazione di una qualche forma di disposi-
tivo istituzionale (solitamente definito con la locuzione ‘comune unico’, termine sul cui natu-
ra ridondante è però performativa, perché proietta l’unicità non come processo - come fu-
sione - ma come prodotto, potrebbe essere dedicata un’intera trattazione) che, modifican-
do la scala alla quale viene azionata la leva del governo locale, possano (ipoteticamente)
ridurre lo iato esistente tra pratiche sociali e ambiti di politiche (issues sul trattamento dei
quali l’Ordinamento conferisce ai livelli amministrativi competenze, ora esclusive, ora con-
correnti), tra politica locale e popolazioni amministrate.
In discussione c’è la ridefinizione del locale, da cui siamo partiti. La domanda è sempre:
quale locale? Un ‘locale’ variabile e perimetrato dalle cui definizioni che scaturiscono di volta
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16 Alcuni gruppi attivi sulla piattaforma (campo di ricerca: ‘comune unico’). casalotto cambareri comune
unico; castiglione cosentino - castrolibero - cosenza - rende in un unico comune!; cittadini per il comune
unico del valdarno; comitato del "forse" sul comune unico; comitato del si al comune unico dell'isola
d'ischia; comitato promotore per il comune unico musile-san donà; comune unico alpago; comune unico
del casentino; comune unico della media valle del cesano; comune unico di arcidosso e castel del piano;
comune unico isola d'ischia; comune unico sinistra piave; distretto bellinzonese comune unico!; elba:
comune unico?; gli amici del referendum per ischia comune unico; gruppo di via leonardo mazzella per il
si al referendum comune unico a sei; insieme per un unico comune.
in volta dal discorso pubblico, intese come ‘costrutti strategici’ mediante i quali le arene
pubbliche narrano (dicono) la propria appartenenza a un contesto spaziale descrivendone i
margini, i connotati e i potenziali. Quello che sottostà alle ipotesi progettuali locali (prodotte
dai e nei territori) di espansione è un racconto che genera il locale prefigurandone17 la mor-
fogenesi, lo descrive per sottrazione, in negativo. Un racconto-scenario che dice ciò che
non si è (ancora) argomentando (spesso, non sempre) ciò che non si è più. Un racconto,
infine, la cui trama è impastata in proporzioni variabili di teorie inerenti il rispetto del principio
di adeguatezza sancito dall’art. 118 della Costituzione, che stabilisce che “l'entità organiz-
zativa che è potenzialmente titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizza-
zione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà” e/o l’acquisizione di una forza po-
litica rispetto ai livelli sovra-ordinati di governo e ai territori contermini mediante l’accresci-
mento della massa critica di popolazione amministrata.
Aumento dimensionale=adeguatezza + potere. Qui può tornare utile Foucault (1974), che
ricordava come “basta leggere i testi dei cronisti, storici, viaggiatori per capire che nelle loro
descrizioni la popolazione figura sempre come uno dei fattori della potenza del sovrano. Af-
finché un sovrano fosse potente, inoltre, doveva regnare su un territorio esteso. E infine si
misurava o, almeno, si stimava la l’importanza dei suoi tesori. Estensione del territorio, im-
portanza dei tesori e popolazione, dunque. Una popolazione numerosa, degna di figurare
nel blasone della potenza di un sovrano, si manifestava sotto tre aspetti: un elevato numero
di truppe, città popolose e scambi molto intensi”. Nella composizione dei due obiettivi di
efficienza della macchina amministrativa e aumento della massa critica è possibile rintrac-
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17 A titolo di esempio: “IL COMUNE UNICO OGGI E' NECESSARIO”. IL PRESIDENTE DEGLI ALBERGA-
TORI: E' UN PROGETTO CHE VA PORTATO AVANTI CON GRANDISSIMA FORZA, CON I CITTADINI.
DOBBIAMO TROVARE UNITA'. "Abbiamo spaziato a 360 gradi - così Massimo De Ferrari sull'incontro
delle Picchiaie - due sono i messaggi piu importanti. Sono stati fatti indubbiamente degli errori da parte di
chi amministra e dalle categorie economiche che non hanno colto alcuni segnali su la crisi. [...] Creare il
consenso per lo sviluppo futuro, anche con i cittadini. Per fare questo è necessario trovare unicità del
territorio, il famoso comune unico di cui tanto si parla, questo progetto va portato avanti con grande
grandissima forza e impeto". (Fonte: TirFiume Blu Elba News, 10/7/10).
ciare il dispiegarsi di traiettorie su cui si dipanano le tracce e gli episodi di costruzione politi-
ca di progetti di riforma; dall’osservazione empirica del discorso pubblico (in larga parte
monitorato mediante osservazione della Rete) si intravede la formazione di un insieme di
pratiche che vede nell’espansione del territorio amministrato una risposta almeno duplice:
miglioramento/sopravvivenza dei servizi e aumento della forza contrattuale di un territorio
nella competizione tra territori.
Affiorano qua e là - senza concentrazioni geografiche apprezzabili - accenni di pratiche lo-
cali che, pur se concepite in contesti diversi, sembrano descrivere una fenomenologia che
in quanto tale merita attenzione. Una fenomenologia che si potrebbe dire in prima appros-
simazione, usando un lessico a-scientifico (prendendolo in prestito da Jung) ‘sincronica’,
che descrive cioè il darsi contestuale di più eventi che si richiamano pur senza aver alcun
rapporto o nesso causale tra loro. Qualcosa di comune, invece, queste pratiche sembrano
averlo: parlano di territori che ‘respirano’, desiderano e riescono a cristallizzare sistemi di
preferenze multi-attoriali che danno vita a ipotesi di morfogenesi istituzionale. Territori che si
pensano, e nel pensarsi esistono, differenziandosi ricorsivamente rispetto a ciò che non so-
no, e in questo mettendo alla prova la tenuta dei propri confini identitari come generatori di
conflitto. Il confine definisce un’identità. Per chi abita al di qua del confine, la propria diversi-
tà e singolarità è evidente. Il “noi” che è possibile esprimere riguarda uno spazio le cui mura
o i cui limiti circoscrivono una densità che è impossibile trovare altrove (La Cecla, 1988). Un
interessante di come le ipotesi di ri-definizione dei confini siano in grado di attivare conflitti:
Le potenti lobby economiche dell’isola d’Ischia, e in modo particolare gli albergatori e i ter-malisti sostenuti vergognosamente e in maniera trasversale dalla quasi totalità dei partiti di
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centrodestra e di centrosinistra, da alcuni anni stanno cercando di sopprimere gli attuali sei Comuni per costituire il Comune unico dell’isola d’Ischia. Nella secolare storia isolana la re-azionaria operazione di unificare le sei municipalità era riuscita soltanto a Benito Mussolini nel corso dello sciagurato ventennio fascista. Per la cronaca, così come abbiamo già avuto modo di ripetere spesso, ricordiamo che storicamente la pretesa del Comune Unico è nata e si è alimentata dalla volontà della classe politica e amministrativa del Comune di Ischia di accentrare tutto il potere politico e amministrativo dell’Isola in quel Comune condannando i rimanenti attuali cinque Comuni a diventare semplici Circoscrizioni senza poteri comunali autonomi e semplici periferie della città di Ischia, con tutte le immaginabili gravi conseguenze di sudditanza, di dipendenza, di arretratezza e di emarginazione sociale, che sempre grava-no sulle zone periferiche dei grossi centri urbani, ciò vale particolarmente per la nostra Isola, dove i centri abitati non sono contigui ma molto distanti tra loro18.
Il territorio segnato dalle istituzioni diventa il terreno di confronto per la ridefinizione delle
identità locali, a colpi di interpretazioni divergenti e convergenti sull’immagine che questo
dovrebbe, potrebbe avere. Cos’è d‘altronde il territorio, se non la sedimentazione di volizioni
(Lindblom, 2000), interazioni sociali e pratiche d’uso dello spazio abitato? I territori della dis-
soluzione emergono come possibile categoria sociologica, interpretativa della crisi, una crisi
che è economica ma prima di tutto identitaria e rimanda all’allargarsi delle maglie che ‘ten-
gono’ il sociale ancorato al mix di ‘essere e fare’, mediato dalla politica e dalle istituzioni.
Quindi, in ipotesi: le istituzioni sono in crisi d’identità perché in crisi d’identità sono gli attori
sociali che le fanno esistere, e viceversa in un loop ricorsivo in cui l’unica possibile interfe-
renza può venire dalle politiche pubbliche. I territori della dissoluzione esistono in una di-
mensione proiettata ‘in avanti’ capace di generare immagini, quelle stesse immagini che
nella cultura del progetto servono ad abbozzare “una possibilità futura, come, appunto,
immagine-guida, modello, esempio, rappresentazione di una evenienza desiderata, rappre-
sentante - non copia - a cui far tendere l’originale-fattuale (Vettoretto, 2007), immagini di
dissoluzione istituzionale come equivalenza della dissoluzione dell’identità di quell’istituzio-
ne, ‘fatta’ a sua volta dalle identità degli attori che ne traggono (dall’identità) i confini della
propria. Sono territori che abbozzano rotte esplorative di riorganizzazione e ridefinizione isti-
tuzionale che, superando i propri confini amministrativi “dati”, si plasmino (al congiuntivo),
attorno a idee progettuali.
Un fenomeno. Sembra delinearsi una fenomenologia puntiforme, locale, di cui non si trova
riscontro in alcun dibattito politico nazionale, ma che in qualche misura di quel dibattito la-
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18Stralcio da http://www.ischiablog.it, 5/7/2010 di Gennario Savio, Direttore di PCIML-TV –
tente sembra anticipare gli ingredienti e le parole d’ordine: semplificazione, riduzione della
spesa, adeguatezza, riordino. Le stesse parole d’ordine di cui sono disseminate le ultime
manovre finanziarie dello Stato, che pur senza imporre formalmente per via autoritativa al-
cuna riduzione del numero degli Enti, di fatto ne stanno mettendo in discussione la stessa
sopravvivenza prevedendo, ad esempio, l’obbligatorietà19 della gestione associata di quasi
tutte le funzioni per i piccoli comuni.
“Citizens who pursue boundary reforms face a collective action problem. If a group is intere-sted in creating or redrawing government boundaries for collective gains, such as provision of new services or achievement of administrative or production efficiencies, each individual in the group would be better-off if someone else took on the burden of forming the new go-vernmental system. These individuals would still receive the benefits of the new institutional arrangements even if they themselves did not act to promote reform. Thus, among citizens supporting boundary change, the incentives to free ride on the actions of others are high” (Feiock e Carr, 2000).
La prima ipotesi è che ci troviamo di fronte a un campo di pratiche-spia da cui rinvenire
tracce di politiche pubbliche. Pratiche: che se da un lato non sono riconducibili a una politi-
ca - nazionale, regionale, europea, ecc. - sembrano tradurre in pratica (Gherardi e Lippi,
2000) un ‘disegno riformatore latente’. Scorgere una politica pubblica dietro una serie di
pratiche laddove di questa politica non vi è alcune reale evidenza può significare tre cose.
La prima: l’osservatore sta lavorando di fantasia. La seconda: l’osservatore sta più o meno
consciamente organizzando un ragionamento con ampi margini di aleatorietà. La terza:
l’osservatore è parte della ‘scena‘ che osserva e, in quanto tale, vuole vedere connessioni
oltre ciò che si può vedere a ‘occhio nudo’. Diamo per scontato di non trovarci nella prima
situazione, ma di essere a pieno nella terza: l’osservatore è parte integrante dell’oggetto
osservato e in quanto tale tende a descriverlo come vuole che sia. Ora, dicevamo: ‘spie di
un disegno latente’. Traduzione: i casi di pratiche di dibattito locale raccolti e quelli di cui
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19 Cito en passant il fatto che il ricorso alle gestioni associate è destinato a diffondersi enormemente,
anche se non è ancora chiaro come, se quanto previsto nel DL 78/10 all’art. 28 troverà applicazione: “le
funzioni fondamentali dei comuni, previste dall'articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009
(funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; polizia locale; istruzione pubblica, ivi com-
presi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica; via-
bilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente; funzioni del settore socia-
le) sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei
comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regio-
nale e comunque inferiore a 3.000 abitanti.
abbiamo diretta conoscenza narrano, presi insieme, di una ‘politica pubblica’ che su quelle
pratiche si sta plasmando.
Quelle pratiche sono politiche (Crosta, 2006). Politiche che sono negate dai policy maker
nazionali e regionali: raramente, in Italia, si sono prodotte esplicite politiche ‘serie’ a soste-
gno delle fusioni di comuni, come argomentato. Politiche che sembrano surrettiziamente
indotte non solo e non tanto con le previsioni di aggregazione autoritative di cui sopra (la cui
implementabilità è tutta da dimostrare), ma dal più impalpabile effetto inatteso e inintenzio-
nale di un grumo di dinamiche sociali e politiche: il cambiamento delle istituzioni non avvie-
ne solo perchè qualcuno ‘l’ha deciso’, ma anche soprattutto come mutazione storicizzata e
isomorfica delle sue componenti sociali.
Ora, per provare a capire e a chiarire: qui non interessa (o meglio: interessa, diciamo che
non è il ‘punto’) capire le condizioni in cui si dà l’emergere di queste pratiche di visioning
rispetto al futuro di territori; interessa piuttosto capire se queste pratiche producono un
qualche ‘effetto di politiche’, se cioè, nel darsi, riescono a dare forma (shape) a un oggetto
di policy che su base aggregata (non limitata cioè a un caso, ma a un insieme di casi legati
da una qualche coerenza) sia osservabile come la base per la codifica da parte del policy
maker di un sistema di strumenti di supporto.
Si intravedono due flussi (Kingdon, 1984) paralleli, entrambi esiti di quella power deflation
(Rosembaum e Kammerer, 1974) insita nella contrazione dei margini di autonomia che met-
te in tensione la tenuta del “locale” a partire dal vincolo di rappresentanza che lo regge. Due
flussi sui quali s’intravede il farsi di due distinte fattispecie di imprenditori di confini (Feiock,
2000) nelle cui argomentazioni affiora un desiderio di dissoluzione del piccolo nel grande:
da una parte Amministratori locali che formulano proposte che prevedono il proprio “suici-
dio amministrativo”, dall’altra attori civici che - organizzati in modi per lo più informali - intra-
prendono campagne di supporto alle ipotesi di aggregazione amministrativa.
Due flussi indipendenti di policy discourse, è questa la tesi che s’intende sostenere, che a
partire da premesse diverse e da incentivi selettivi complementari stanno convergendo sullo
sdoganamento dell’issue “fusione di comuni” nello scenario delle politiche pubbliche nazio-
nali definendolo come “ultimo vero margine di autonomia rimasto” non solo e non tanto (in
termini di organizzazione) per funzionare meglio quanto (in termini di competizione) per ac-
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quisire una visibilità e un peso maggiore, sfidando Legislatori nazionali e regionali ad elabo-
rare risposte organiche. La sfida delle competitività su cui i territori sempre di più si conten-
dono i propri margini di crescita passa tout court per lo sfondamento stesso dei margini po-
litici che li contengono.
51
52
Un caso di casi
Questo caso studio è un intreccio di casi. Da quali ‘fili’ sono accomunati i casi:
1. Hanno come attori protagonisti amministrazioni locali (comuni)
2. Sono ambientati nella stessa regione
3. Provengono da esperienze consolidate di aggregazione funzionale e vanno verso ipoteti-
che riforme istituzionali di superamento di quelle esperienze
4. I casi sono l’esito di attivazioni delle stesse amministrazioni
Cosa ne fa un ‘intreccio’? Senza voler anticipare le conclusioni, limitiamoci ad affermare che
a tenere insieme i casi è la comune fonte di attivazione: il finanziamento di uno studio di fat-
tibilità che ha come oggetto un progetto di innovazione istituzionale.
Ora, quale sia la metodologia più corretta nella selezione dei casi difficile stabilirlo: un modo
possibile tende a leggere il processo di selezione dei casi come (non) scoperta, come in-
ciampo ossimoricamente ‘accidentale/pilotato’ su un oggetto ‘neutro’ su cui e da cui scri-
vere inferenze. È una logica simille a quella utilizzata e teorizzata da Duchamp rispetto ai
cosiddetti ‘ready-made’ che non devono essere oggetti belli, gradevoli, ripugnanti oppure
interessanti (Paz, 1990): devono essere. Secondo questa chiave di lettura il caso sarebbe in
grado di produrre senso proprio in quanto ‘unico, non scelto e non ripetibile’ come ‘esem-
pio’, infatti “niente di più difficile che trovare un oggetto davvero neutro: qualsiasi cosa può
trasformarsi in qualcosa di molto bello se il gesto si ripete con frequenza” (Paz, 1990). I casi
di questo studio semplicemente ‘accadono nella pratica’ - in un contesto limitato e ‘obbli-
gato’ di pratiche - e traggono la prima ragione d’essere da questa genesi autobiografica in
un contesto organizzativo, assumendo i due termini - individuo e organizzazione - come
coestensivi. I casi accadono e traggono la propria efficacia dalla duplice capacità di rappre-
sentare nella narrazione processi.
53
I casi non sono stati ‘scelti’ secondo un presunto protocollo di scientificità che ne determi-
nasse la cogenza rispetto alla capacità di rafforzare teorie (obiettivo che in parte sembra
guidare lo stesso Robert Yin nella teorizzazione dello strumento ‘case study’); l’incontro tra
il ricercatore e i casi si è dato come ‘incontro interessato’, il cui ‘uso’ ha prodotto alcune
indicazioni. Sulla reale generalizzabilità delle conclusioni, del tutto esplorative, non ho rispo-
ste definitive.
Dei casi non sarà restituita una ricostruzione sinottica tesa a evidenziare elementi significativi
sul piano della comparabilità e della astrazione rispetto a presupposti teorici. Seguendo
Lanzara (1997) scopo dei casi non è “l’individuazione di condizioni o fattori espliciti che de-
terminano o facilitano la costruzione ‘non problematica di istituzioni ‘buone’, ‘efficienti’, o
‘legittime’, o che al contrario ne ostacolano la formazione. Ogni elenco finito di condizioni
fondamentali o strutturali sembra destinato ad essere smentito dal verificarsi di contingenze
inattese”. La strategia di ricerca ricostruirà il caso secondo un modello narrativo diaristico
deliberatamente non-fiction e intriso di registri diversi che alle digressioni analitiche alterna-
no descrizione ambientali, tratti di analisi organizzativa, report di analisi etnografiche.
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Cooperare non basta (più). Una politica pubblica messa a nudo dai propri strumenti, anche. Il caso dell’Emilia-Romagna
Un caso particolare, di ‘territorio della dissoluzione’ ci viene dall’Emilia-Romagna, la regione
che forse più di ogni altra in Italia ha fatto propri gli strumenti di cooperazione inter-istituzio-
nale. La ‘gestione associata’ è la norma: i comuni non interessati da questi strumenti (asso-
ciazione, unione in particolare) si contano20. La Regione ha ‘fatto propri’ gli strumenti origi-
nariamente previsti dalla normativa nazionale (vedi infra) montandovi un’impalcatura norma-
tiva e regolamentare originale, capace di produrre negli anni una certa attrattività per gli
strumenti di gestione associata dei servizi, mediante la previsione di forme di contributo e
incentivazione tanto certe quanto generalmente consistenti21. I vari piani di riordino territo-
riali (PRT) che via via si sono avvicendati nel corso degli anni (a partire dell’originaria previ-
sione normativa, oggi coordinata nella LR 10/08) hanno previsto forme d’incentivazione di-
verse: contributi una tantum erogati all’atto della costituzione delle esperienze, contributi
finalizzati per ogni specifica linea di servizio e, tra gli strumenti di accompagnamento in una
fase ex ante, contributi per la realizzazione di ‘studi di fattibilità’. Quest’ultima misura intende
consentire agli Enti interessati di disporre di una “simulazione della situazione emergente
dalla forma di gestione associata prefigurata” (Xilo, 2008). Il ricorso a questi studi, intesi
come ‘veicoli del sistema incentivante’, ha coinciso con una strategia di ancoraggio dell’av-
vio delle esperienze associative alla realizzazione di approfondimenti, che assumono il ruolo
55
20 L’ultimo rapporto disponibile sullo stato di attuazione del PRT descrive uno scenario interprovinciale
diversificato: 31 su 48 a Piacenza (35% della popolazione); 43 su 47 a Parma; 45 su 45 comuni delle
provincia di Reggio-Emilia; 43 su 47 a Modena (66% della popolazione); 56 su 60 a Bologna (49% della
popolazione); 26 su 26 a Ferrara; 12 su 18 a Ravenna (30% della popolazione); 29 su 30 a Forlì-Cesena;
15 su 20 a Rimini. In totale, alla data del 2009 (che non tiene conto dell’attuazione della trasformazione di
molte comunità montane in unione di comuni, erano 41 su 341 (poco più del 10%) i comuni non inseriti in
alcuna forma associativa.
21 La Regione prevede finanziamenti sia di parte corrente che in conto capitale per la gestione associata
di servizi. I contributi variano secondo il numero e la tipologia dei servizi gestiti e l’ampiezza demografica e
territoriale dei territori serviti. È prevista l’erogazione di contributi ordinari per la costituzione e il manteni-
mento delle forme istituzionali relative (unioni e comunità montane). Nel 2008 la regione ha stanziato per
l’esercizio finanziario 2009 risorse pari a € 8.000.000,00 a favore delle forme stabili di gestione associata
e sul cap. 03215 risorse pari a € 2.000.000,00 per spese di funzionamento delle stesse forme associative
(DGR N. 226/2009.
di veri e propri check-up organizzativi della forma associativa finalizzati a evidenziare so-
prattutto le economie e i vantaggi di gestione derivanti dall’ipotetica associazione, scen-
dendo spesso nell’indicazione dei servizi da associare in virtù di criteri di efficienza, efficacia,
impatto (ibidem).
Con il contributo finalizzato alla realizzazione di studi di di fattibilità la regione veicola la pro-
pria azione di governo e design istituzionale. La regione richiede che la volontà di effettuare
lo studio sia formalizzata da tutti gli enti coinvolti mediante convenzione, con la quale ci si
vincola a dichiarare la volontà di dotarsi di uno strumento di questo tipo e di affidarne la rea-
lizzazione a un qualche soggetto titolato. Lo studio di fattibilità può essere letto come stru-
mento di governo, un dispositivo giuridico-economico-organizzativo che dietro l’apparente
connotazione ‘tecnica’ e “assiologicamente neutra” (Lascoumes e Le Galès, 2009) incorpo-
ra e veicola in una logica dissimulata valori portatori di una certa interpretazione del sociale
e di precise concezioni del mondo di regolazione che viene di volta in volta considerato. Gli
strumenti in generale, e gli ‘studi di fattibilità’ in particolare, forniscono un “quadro stabile di
anticipazione” che riduce le incertezze e struttura l’azione collettiva (ibidem), immunizzando
la politica dall’onere della decisione autoritativa (forzosa) rispetto a una particolare issue.
Con l’obiettivo dell’immunizzazione politica mediante la tecnicalizzazione nella fase imple-
mentativa della policy, il governo regionale assume (implicitamente) che il programma di ri-
ordino territoriale in se altro non sia che un “collezione di parole vuote” (Pressman e Wil-
davsky, 1984), in se cioè non pensata in funzione delle reti d’azione che la possono tradurre
in pratica e destinata a non ottenere l’obiettivo che si prefigura.
Intendendo sollecitare l’emersione di spinte locali volontarie anche attraverso la produzione
di conoscenza contenuta negli artefatti ‘studi di fattibilità’ come possibile innesco del pro-
cesso di traduzione in pratica (Gherardi e Lippi, 2000) del proprio disegno riformatore, la
policy regionale presuppone (ipotizza, postula) come condizione necessaria il darsi, nei con-
testi in cui viene ‘usato’, di reti d’azione (Czarniawska, 2004) esito dell’interazione di attori
umani e artefatti immateriali (‘attanti’, secondo la terminologia di Callon e Latour, citata dalla
stessa Czarniawska) capaci di produrre l’effetto di mutazione istituzionale voluto. In questo
scenario immaginato, lo ‘studio di fattibiltà’ assume appieno il ruolo di attore che interagen-
do con il contesto lo modifica e ne è a sua volta modificato.
56
Le politiche sono fatte di ipotesi. Le politiche sono ipotesi (Dewey, 1938; Pressman e Wil-
davsky, 1987). Se assumiamo che le politiche sono (ontologicamente) ipotesi, possiamo
osservare come nel caso della politica di riordino territoriale la formulazione della stessa as-
suma come condizione necessaria l’esistenza di una rete d’azione come veicolo della sua
implementazione. La regione affida al crearsi di reti - mediante processi di assunzione di
ruolo, delimitazioni e perimetrazioni dei confini dei diversi nodi in capo a diversi attori sociali
e alla costruzione di artefatti dotati di una propria agency autonoma - la possibilità del dif-
fondersi degli effetti contenuti nella formulazione della policy. Una lettura di questo tipo, che
qui assumiamo come ipotesi di partenza, descrive questo processo di policy (etichettato
come ‘riordino territoriale’) come
Un ruolo centrale nel processo viene svolto dalle cosiddette ‘comunità epistemiche’ costi-
tuite da quanti si occupano di questo tema dall’interno delle università, dei think tanks, delle
società di consulenza, associazioni professionali. Infatti è da questa comunità che proven-
gono le idee, gli avalli, le critiche (Regonini, 2004) e le stesse traduzioni locali del disegno
riformatore. È nel rapporto di consulenza-fornitura di conoscenza-relazione d’aiuto (Schein,
2000) che l’oggetto (lo studio) presuppone, che si formano competenze ‘tecniche’ come
risultanza (sedimentazione) dei rapporti interattivi-osmotici tra ricercatore e cliente. Si tratta
di competenze che vanno intese come capacità processuali (esito del rapporto di consu-
lenza) di rappresentare le ‘volizioni’ degli attori e la lettura condivisa dell’oggetto organizzati-
vo: secondo Lindblom (1990), il ruolo dello scienziato sociale sta non già nello ‘scoprire’ si-
stemi di preferenza “illuminando bisogni o volontà” quanto nel creare, attraverso l’attività di
probing (investigazione), gli orientamenti di volontà degli attori con i quali si trova a interagi-
re. Una tale prospettiva aiuta a capire che gli esseri umani sono capaci di “scrivere piuttosto
che leggere lo scenario umano [...] e che le loro individualità vanno soggettivate nel ruolo di
designer o creatori di loro stessi e della società”. Sotto questa luce, l’attività di inquiry previ-
sta dallo strumento ‘studio di fattibilità’ va intesa come creatrice dell’oggetto su cui si appli-
ca, e gli attori che sull’esercizio di quella attività riversano il proprio interesse professionale
vanno intesi come parte integrante del processo. In altre parole: chi materialmente usa e
costruisce lo strumento definendo ciò (gli argomenti, i dati, le informazioni) che è utile ai fini
dell’oggetto di studio possiede un ruolo primario nella definizione e nella scrittura della po-
licy, irriducibile all’apparente contributo ‘solo’ tecnico che viene attribuito al rapporto profes-
sionale.
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Il risultato è un grumo di materiali spuri, tenuti insieme dall’uso che si fa di tecnicalità strate-
giche che sedimentandosi e raffinandosi secondo le necessità dei casi cui sono applicate
tornano nella politica ridefinendone i confini. Assumendo quindi che le rappresentazioni
contenute negli ‘studi di fattibilità’ siano il risultato di una relazione e che quindi l’apparenza
tecnica vada interpretata per il processo di condivisione dei significati che presuppone, di-
venta possibile chiudere il cerchio e immaginare che quella che appare una ‘non-politica di
incentivo al mutamento istituzionale’ funzioni come politica costruita direttamente dalla peri-
feria, dagli utilizzatori dello strumento.
Gli ‘studi di fattibilità’ sarebbero quindi dispositivi al tempo stesso tecnici e sociali, che or-
ganizzano rapporti sociali specifici tra il potere pubblico e i suoi destinatari, in funzione delle
rappresentazioni e dei significati di cui sono portatori. Gli ‘studi di fattibilità’ previsti dalla
normativa dell’Emilia-Romagna sarebbero quindi strumenti che veicolano una politica di ge-
nerazione partecipata di una politica di riordino territoriale e mutamento organizzativo. Un
esempio concreto del funzionamento di questa retro/interazione degli strumenti sulle politi-
che viene dall’attualità. Gli strumenti ‘tecnici’ cui viene demandata l’implementazione della
generale policy di riordino territoriale hanno sempre costituito un elemento di interesse per i
comuni che attraverso questo molto prudente meccanismo di supporto regionale hanno
potuto giungere informati alla produzione delle decisioni. Decisioni che nella totalità dei casi
hanno riguardato la riorganizzazione delle gestioni di servizi attraverso la creazione di nuovi
livelli di governo, le unioni di comuni. Il ciclo di policy che ha portato alla ‘unionizzazione’
giunge quindi a uno stadio maturo, nel quale il quadro degli stessi fabbisogni informativi ne-
cessari per dare corpo alla fattibilità di quelle soluzioni organizzative può dirsi consolidato.
Secondo la normativa22, tuttavia, lo ‘studio di fattibilità’ è rivolto a sostenere dal punto di
vista informativo non solo iniziative di unioni ma anche ipotesi progettuali di consolidamento
municipale per mezzo di fusione di comuni. Nei primi quindici anni di vita della normativa,
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22 Delibera di giunta regionale n. 354/2003 modifiche ai criteri e modalità per l'erogazione dei contributi
previsti dall'art. 17 della l.r. 11/01, adottati con delibera della giunta regionale n. 2922/01. Il testo prevede
che “siano ammessi a contributo i progetti volti all'analisi specifica delle forme possibili di gestione asso-
ciata di servizi e funzioni, indirizzati: alla costituzione di una Unione di Comuni, Comunità Montana, Asso-
ciazione Intercomunale o alla fusione di Comuni; all’ampliamento o al miglioramento di servizi e/o funzioni
già gestiti in forma associata da Unioni di Comuni, Comunità Montane o Associazioni intercomunali; alla
trasformazione di una Associazione in Unione di Comuni”.
tuttavia, le seconde hanno costituito un’opzione assolutamente minoritaria rispetto alle pri-
me, che al contrario fanno registrare a ogni riapertura dei bandi crescenti domande di finan-
ziamento.
Ed è qui, sul frontiera inesplorata delle fusioni, che succede qualcosa che determina l’inne-
sco del processo di ‘policy by the instruments’ di cui questo lavoro prova a dare conto.
Tra il 2009 e il 2010 assistiamo a una virata netta delle istanze verso esiti istituzionali e non
(solo e non tanto) organizzativi: vengono presentate alcune domande di finanziamento per
studi di fattibilità per fusioni, tutte da comuni già inseriti in unioni e, quasi sempre, di dimen-
sioni tutt’altro che esigue. Si tratta di esperienze ampiamente strutturate (per anni di vita,
numero di servizi in convenzione, numero di addetti) che giungono a generare l’idea secon-
do cui al ‘fidanzamento’ debba (in qualche modo) seguire il ‘matrimonio’.
Almeno tre23 sono i casi - tra quelli già che già hanno ottenuto dalla regione un contributo
per la realizzazione di studi di fattibilità e che hanno affidato a una società esterna la sua
realizzazione - di cui è possibile effettuare analisi approfondite alla ricerca delle condizioni
che hanno reso possibile o stanno per rendere possibile l’innesco di un dibattito locale at-
torno all’ipotesi di consolidamento municipale: il primo caso è costituito dai comuni rac-
chiusi nel territorio dell’ex comunità montana della vallata del Fiume Giallo, comuni le cui
gestioni associate sono confluite nel circondario Imolese; il secondo caso è costituito dal-
l’unione dei comuni del Fiume Verde, in Romagna, peculiare per dimensione demografica e
integrazione territoriale dei tre comuni che la compongono; il terzo caso è infine quello del-
l’unione dei comuni della valle del Fiume Rosso, cinque comuni della ‘seconda cintura’ bo-
lognese alle prese con un’esperienza di unione consolidata e con gli esiti della soppressione
della comunità montana. In tutti e tre e tre i casi è stato richiesto e ottenuto un finanziamen-
to per la realizzazione di uno studio sulla fattibilità della fusione dei comuni.
Fiume Giallo Fiume Verde Fiume Rosso
Numero Comuni 4 3 5
Abitanti medi 2.493 12.369 5.752
Abitanti totali 9.972 37.108 28.762
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23 Per i dettagli si rimanda al caso di studio nella parte centrale del lavoro.
Fiume Giallo Fiume Verde Fiume Rosso
Superficie totale 200 54,5 175
Densità media (ab/kmq) 57,13 637 207
Ente aggregato Nuovo Circondario Imolese
Unione dei Comuni del Fiume Verde
Unione dei Comuni della Valle del Fiume Rosso
Anno costituzione 2008 2006 2009
Numero principali convenzioni attive 7 5 6
Sono territori che ‘sentono il bisogno di andare oltre’, in cui cioè si dà l’emergenza di idee
più o meno strutturate di modifica istituzionale, idee (domande) che si strutturano, nascono
attorno alla disponibilità (offerta) di uno strumento. Giunto il termine di un primo ciclo di po-
licy regionale, sembra aprirsene un altro che tende al superamento del risultato di riordino
ottenuto con il primo; poi, per il darsi di condizioni inattese dalla stessa Regione (un mix va-
riabile delle congiunture già ricordate: drastico calo dell’autonomia finanziaria dei comuni,
calo delle entrate, aumento delle spese, calo dell’autonomia in genere), incomincia a essere
esplorato un terreno sconosciuto (la fusione) alla cui reale attuabilità il ‘meso-governo’ ha
apparentemente sempre guardato come a poco più di un’ipotesi di scuola. A ‘esplorare’
sono contesti peculiari in cui, a differenza dei casi mappati in precedenza (vedi ‘Prolegome-
ni’), la proposta riformatrice non sale ‘dal basso’, via comitati o petizioni, ma cala ‘dall’alto’
(dalle Amministrazioni), seguendo uno schema peculiare in buona parte ‘interno’ alla stru-
mentazione amministrativa.
Si pensa alla fusione come upgrade dell’unione: una possibilità che varie ragioni (per il suo
portato identitario, per la già ricordata storica irriducibilità del micro-governo a subire razio-
nalizzazioni, ecc.) e per la complessità giuridico-tecnica richiesta non è mai stata opzionata
ma che oggi - improvvisamente? - appare possibile e addirittura desiderabile da ammini-
stratori e territori. I territori sdoganano il dibattito (solo quello, per il momento) sul tema e la
regione coglie il segnale ritarando la propria lettura politica del fenomeno.
Cosa accade? Accade che ‘fino a ieri’ la fusione veniva citata silenziosamente nelle norma-
tive regionali mentre oggi, dopo un periodo di ‘prova’, diventa (sta per diventare) un’ipotesi
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prevista dal programma di riordino, al punto che un riferimento esplicito al sostegno di
questo schema giuridico istituzionale di riforma si trova inserito nel programma di governo
della Giunta insediata nel maggio del 2010: “sulla base delle esigenze espresse dal territorio
e sulla base dell’evoluzione legislativa nazionale sulle autonomie locali, proporremo un ag-
giornamento della legge regionale 10/2008, che definisce gli indirizzi in materia di riordino
territoriale e di auto-riforma dell’amministrazione regionale e locale. L’obiettivo è superare i
localismi attraverso le unioni dei comuni, garantendo i servizi e contenendo i costi e facendo
emergere le eccellenze territoriali. Anche la disciplina dell’incentivazione, dev’essere gra-
dualmente reimpostata, per costituire uno stimolo costante allo sviluppo di sempre nuove
competenze, introducendo specifici indicatori di efficacia, d’efficienza e di risparmio nelle
gestioni associate. È necessario inoltre accogliere e sostenere la fusione di comuni con una
semplificazione normativa delle procedure”.
“Semplificare la procedura di fusione”. In quest’ultima frase peraltro sbrigativa si rintraccia la
volontà da parte del governo regionale di assumere politiche coerenti con le sollecitazioni
provenienti dai territori, sollecitazioni che però deviano radicalmente rispetto alla mera ipo-
tesi di ri-progettazione organizzativa concentrando l’attenzione verso la dimensione istitu-
zionale. Sembra tracciarsi un processo di policy a feedback positivo tra livello locale e livello
regionale, in cui alla messa a disposizione di strumenti seguono politiche strutturate sugli
esiti applicativi inattesi (sulle pratiche) degli stessi dai destinatari (i comuni). Esiti che poco
hanno a che fare con i temi dello sfoltimento del numero dei comuni, ma che sembrano at-
tecchire su contesti locali relativamente consolidati, come risposta a un problema avvertito
dai territori di aumento della competitività territoriale.
Riassumendo:
1. Offerta strumentale. La Regione mette a disposizione degli enti locali una toolbox pen-
sata come innesco (veicolo) per l’implementazione di una policy finalizzata a raggiungere
un obiettivo di ‘riordino territoriale’ mediante l’aumento delle gestioni associate tra gli
enti locali;
2. Prima definizione degli strumenti e della reti d’azione. La toolbox prevede, tra le varie
misure, anche un finanziamento specifico per l’effettuazione di approfondimenti (‘studi di
fattibilità’) che hanno come finalità prima l’accompagnamento di un percorso politico
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sulla cui opportunità si è già raggiunta una qualche quadratura; si tratta di uno strumen-
to di secondo livello, volto cioè a stimolare nelle amministrazioni l’insorgenza di una au-
tonoma volontà di avvio di un processo di innovazione istituzionale; ha una natura di
strumento molto soft, ‘non è vincolante’, non costituisce un impegno formale a proce-
dere nella direzione indicata.
2.1. Parallelamente, l’offerta di questo strumento contribuisce alla progressiva defini-
zione di una ‘comunità epistemica’ che contribuisce, nella pratica, a creare cono-
scenza circa il perimetro del fabbisogno informativo di supporto, varie tecnicalità
necessarie, ecc.
2.2. Nell’interazione tra le comunità professionali e in contesti oggetto di intervento si
vanno concentrando le competenze che, trovando applicazione in realizzazioni
concrete, traducendo in pratica cioè le ipotesi della policy, ristrutturano la policy
stessa.
3. La possibilità di dotarsi di questo strumento viene sfruttata diffusamente, l’uso contri-
buisce a - o è comunque parte integrante del - la diffusione della politica di sostegno
alla cooperazione inter-istituzionale, molto strutturata sia in termini regolamentari che di
impegno economico; il successo del pacchetto (studio + finanziamenti alle gestioni as-
sociate) determina un aumento esponenziale del numero delle unioni di comuni;
4. Al termine del ciclo di policy, terminata la ‘unionizzazione’ dell’intero territorio, da questo
scaturisce una domanda di superamento di quel primo esito, domanda le cui cause so-
no in prima approssimazione attribuibili alle mutate condizioni socioeconomiche delle
istituzioni, che sono portate a valutare come preferibile una propria dissoluzione rispetto
a un’ottimizzazione della propria configurazione;
5. Questo scarto determina uno spiazzamento nello stesso policy maker che modifica
l’agenda, dando avvio a un nuovo ciclo di policy.
Il quesito di fondo interroga in definitiva il processo di produzione di politiche pubbliche. Se,
seguendo Pressman e Wildawsky (1984) sarebbe la stessa fase di ‘traduzione in pratica’
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(termine che peraltro loro stessi rifiutano) di una policy a plasmarla retroattivamente e in cor-
so d’opera, bisogna chiedersi:
1. se è possibile analizzare il processo di costituzione di una ‘rete d’azione’ attorno alla
ri-definizione di uno tool tecnico e gli effetti di ristrutturazione che questo tool è in grado
di determinare su un campo organizzativo già dato;
2. se si diano - se siano osservabili - ‘reti d’azione’ considerabili come condizione neces-
saria per l’implementazione di una policy. Reti d’azione: ipotizzate e perciò stesso crea-
te dalla e nella formulazione della policy, reti che mediante l’uso degli strumenti tecnici
che questa stessa policy ha definito la ri-de-scrivono facendola esistere.
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Un anno di fusione in Emilia-Romagna
03/12 Prologo: identità, standardizzazione, competenze. Di cosa stia-mo parlando?
Non è lo stesso fottuto campo da gioco, non è lo stesso campionato, e non è nemmeno lo
stesso sport. (Jules Winnfield in Pulp Fiction, 1994)
Si chiama Cono Manzolillo24, ed è il responsabile del servizio associato di gestione del per-
sonale dell’unione dei comuni del Fiume Verde. L’ufficio del servizio, in convenzione dal
2008, è ospitato nei locali del comune di ζ, che dei tre comuni che compongono l’unione è
il minore per popolazione, ma non per rilevanza economica e ‘peso specifico’. Peso che in
buona parte è dato dalla componente-costa: la parte di mare di ζ è la più rilevante dell’esi-
guo tratto di costa su cui insistono i tre comuni, al punto che l’appellativo “mare” (“ζ Mare”)
è quasi inscindibile dal nome del comune. Ma a ζ non c’è solo il mare: la zona industriale,
slabbrata e solo abbozzata a scavalco dell’autostrada, mette insieme alcune medie imprese
- una del ramo dei profilati metallici, dello scatolame - con la specializzazione produttiva del
territorio: le calzature. A ζ, Pollini ha insediato qualche anno fa il suo grande stabilimento
produttivo, migrando dal territorio del comune di θ per “problemi di autorizzazione”; si è
spostato di qualche chilometro, ma è un altro mondo. Questa storia me la raccontavano
qualche settimana fa, nelle prime interviste ai ‘testimoni qualificati’.
Che ci faccio qui? Arrivo a ζ intorno all’ora di pranzo. Nelle strade, nessuno. Il mio è un
blitz: non ho l’appuntamento e potrebbe essere un giro a vuoto. Avevo provato senza suc-
cesso a mettermi in contatto con Manzolillo al telefono, il numero me l’aveva dato il giorno
prima il segretario dell’unione, quando lo incontro nel corridoio glielo dico, lui mi risponde di
essere stato sempre “in giro per delegazioni trattanti” nei tre comuni. Pur avendo un servizio
personale gestito in forma associata, infatti, i tre comuni (più l’Ente unione) continuano ad
avere contratti decentrati e regolamenti organizzativi autonomi, con tutte le ridondanze, le
ripetizioni e le evidenti diseconomie del caso. Anche se non ho l’appuntamento mi acco-
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24 Nel testo i nomi dei personaggi sono coperti da ‘omissis’.
modo nell’ufficio, e parto con la consueta presentazione del perché sono lì dove sono, qual
è l’obiettivo, eccetera.
In corso lo studio di fattibilità. Comune UNICO IN PROGRESSIl Presidente Battistini: “Stiamo procedendo secondo l'agenda fissata”
Stanno procedendo secondo la tempistica prevista gli studi preliminari sulla fattibilità del comune Unico. Al lavoro CO Gruppo di Bologna, una équipe di ricercatori esperti di organiz-zazione degli enti locali che sta raccogliendo ed elaborando tutta una serie di informazioni per 'misurare' il gradimento della gente e del territorio rispetto al progetto della fusione tra i comuni di η sul Fiume Verde, θ e ζ attualmente facenti parte dell'unione dei comuni del Fiume Verde. Da unione a comune unico, un passaggio determinante per le realtà del Fiume Verde rispetto al quale gli amministratori hanno commissionato uno studio approfondito che consenta di cogliere non solo il gradimento ma anche gli oggettivi pro e contro dell'opera-zione. Oggetto di studio saranno l'aspetto socio demografico e territoriale, con interviste a operatori commerciali, dell'industria, del credito, associazioni di categoria, amministratori ma anche ai cittadini e alla gente comune. Lo studio prenderà inoltre in esame i servizi già pre-senti sul territorio e il quadro generale del territorio. Al termine della raccolta e analisi dei dati inizierà la parte della progettazione, con una analisi sull'impatto economico e organizzativo della fusione e la redazione di un vero e proprio progetto di comune unico, che sarà presen-tato pubblicamente nella primavera del 2011. Si tratta di un articolato percorso preliminare che consenta agli amministratori e ai cittadini di valutare con cognizione di causa e poter giudicare meglio sulle decisioni future. Il primo obiettivo per gli Amministratori, fondamentale, sarà del arrivare all’indizione di un referendum attraverso il quale i cittadini dovranno espri-mere il proprio parere sull’ipotesi.
Per prima cosa chiarisco il frame entro cui ci stiamo muovendo: stiamo lavorando allo stu-
dio di fattibilità per la fusione dei comuni del Fiume Verde, gli chiedo se sa di cosa sto par-
lando. L’interlocutore reagisce immediatamente, si mette subito sulla difensiva dicendo che
da tempo sta invocando un’omogeneizzazione dei regolamenti e dei contratti, ma che con
la prospettiva della fusione “il tutto si è un po’ arenato”. In sostanza, interpreto ciò che vuole
dirmi, è inutile faticare per omogeneizzare se poi diventeremo una cosa sola. L’argomenta-
zione mi pare interessante, significativa delle aspettative nei confronti di un’innovazione isti-
tuzionale.
Mi diverte percepire nell’interlocutore un senso di perturbazione determinato dal mio ingres-
so in campo e dal mutamento che rappresento, il tutto dissimulato da ‘fiducia nel ruolo ‘sal-
vifico della fusione’. Percepisco la fatica dello stare in condizione d’incertezza e contribuire
al governo di una situazione cooperativa che, preservando le individualità al proprio interno,
comporta elevatissimi costi economici, organizzativi, sociali, psicologici. Capisco che alla
prospettiva delle fusione è bastato ‘essere annunciata’ per iniziare da subito a generare im-
patti sull’organizzazione. La fusione sembra evocare negli attori organizzativi la prospettiva
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dell’eliminazione dei costi dello stare insieme: ‘partire da zero’ con una nuova entità istitu-
zionale determina in se effetti di omogeneizzazione tra territori con storie, culture e identità
peculiari e perciò diverse. Confluire in un’unica entità istituzionale sgraverebbe i singoli ele-
menti della responsabilità di montare soluzioni condivise ed efficaci a problemi di governabi-
lità del locale, eliminando o riducendo quelli che nel lessico dell’economia neo-istituzionali-
sta sono definiti i ‘costi di transazione’ (Williamson, 1985) connessi alla costruzione e al ri-
spetto di accordi negoziali e al funzionamento dei livelli di intermediazione che le strutture
organizzative implicano.
Da tempo lavoriamo nel mercato delle ‘gestioni associate’, affiancando amministrazioni lo-
cali nell’avvio di singole linee di servizio entro più generali ri-disegni istituzionali (costituzioni
di unioni e associazioni). Ora si apre il fronte delle fusioni. Ma le fusioni che cosa c’entrano?
Stiamo parlando dello stesso campo o, in pratica, le due cose non hanno nulla a che fare.?
La sensazione è che siamo qui perché la rete istituzionale di questo territorio è già in una
situazione di crisi d’identità. Capisco anche che aiutare questo cliente a ristrutturare la pro-
pria identità sta già ristrutturando la mia.
26/11 Che fine avrebbe fatto lo studio di fattibilità? Un attore, al condi-zionale
Per ‘studio di fattibilità’ la Regione Emilia-Romagna intende “uno strumento conoscitivo utile
a supportare le valutazioni relative all´opportunità di adottare scelte di tipo associativo o di
ampliare l´ambito di operatività”25. La stessa Regione specifica che “sulla base dei contenuti
dello studio dovrebbe (corsivo mio) essere possibile fare una prima verifica tecnica di realiz-
zabilità dal punto di vista organizzativo-gestionale”. La Regione promuove una politica di
riordino che passa per uno oggetto di conoscenza, esito dell’applicazione a un contesto
organizzativo di un’osservazione ‘tecnico’. Poi, conferisce all’oggetto caratteristiche di
strumento-per-le-politiche, attribuendo al suo utilizzo poteri (eventuali: nella definizione si
ricorre al condizionale ‘dovrebbe’) di attivazione e informazione circa il grado di realizzabilità
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25 Definizione tratta dal sito tematico della Regione sulle Gestioni Associate dei comuni.
di un disegno di innovazione organizzativa e istituzionale. La Regione in definitiva delega a
un artefatto l’onere di prefigurare la correttezza e l’opportunità di ipotesi di riforma.
In questo quadro, la gestione di questo genere di artefatti - la capacità di questi ‘oggetti so-
ciali’ (Ferraris, 2009) di farsi attori cruciali all’interno della rete d’azione che osserviamo di-
panarsi nel campo organizzativo diventa elemento centrale nella valutazione di come questi
oggetti e gli altri attori ‘umani’ presenti interagiscono determinando lo sviluppo di processi
di innovazione.
La storia comincia quindi (quasi) dalla fine: che fine ha fatto lo ‘studio di fattibilità’? Sull’edi-
zione on-line del periodico locale “Il Nuovo Diario Messaggero” di Imola appare un articolo a
firma di Matteo Pirazzoli che, dal titolo, si chiede ‘dov'è lo studio di fattibilità’? Sono passati
quasi dieci mesi da quando, all’inizio di febbraio del 2010 la nostra società (C.O. Gruppo
SRL) ha avviato formalmente i lavori previsti dalla proposta operativa di attuazione dell’inca-
rico conferito - nell’autunno del 2009 - dal Nuovo circondario Imolese per la redazione di
uno “studio di fattibilità per la fusione dei comuni di β, γ, δ, α”. Da allora, nonostante le va-
rie consegne che hanno sancito l’avanzamento per stralci di quanto previsto dal contratto
di consulenza, da parte della committenza non è ancora stato divulgato alcun risultato. Il
committente dello studio è il Nuovo circondario Imolese, Ente che attraversa mesi di grande
delicatezza prima per un ventilato e poi schivato “colpo di spugna” che avrebbe potuto de-
terminarne la cessazione26, poi per la necessaria revisione dello Statuto in coerenza (in anti-
cipo) con quanto previsto dal Decreto “Calderoli”27, la cui ratio di razionalizzazione delle
spese indugia nella prima parte in ridimensionamento sostanziale degli organici politici degli
Enti locali.
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26 Eliminazione dei Circondari Provinciali.
27 Con il Decreto Legge 2/2010 si prevede che (art. 185 bis) "I circondari provinciali esistenti alla data di
entrata in vigore della presente disposizione sono soppressi”. Il circondario Imolese, in quanto “circonda-
rio regionale” istituito con apposita Legge, è salvo. Ricorda l’allora Presidente Franco Lorenzi che “per
quanto concerne la ventilata scomparsa del circondario è bene puntualizzare che il recente decreto Cal-
deroli si occupa della soppressione dei Circondari Provinciali. E questo non è il nostro caso, consideran-
do che il Nuovo circondario Imolese è stato istituito con la Legge Regionale N. 6 del 2004 e di conse-
guenza non rientra nell’elenco degli Enti da sopprimere del decreto in questione” (Il Resto del Carlino Imo-
la, 27/3/2010.
Di discorso pubblico - nel merito - da quando stiamo lavorando allo studio non ne è stato
prodotto. D’altronde, il clima politico non sembra favorevole all’idea cui lo studio di fattibilità
vuole fornire elementi conoscitivi e argomentativi: la fusione dei comuni della Vallata del
Fiume Giallo.
In un periodo dove il dibattito su scala circondariale sta spaziando sull’entrata o meno del-l’Imolese nella Città metropolitana di Bologna, anche in vallata ci si interroga sul proprio futu-ro. In particolare a tener banco è ancora una volta la costituzione di un comune unico, ipo-tesi che sarà valutata dagli amministratori locali non appena vedranno lo studio di fatti-bilità finanziato anche con contributi regionali. Ma che fine ha fatto questo famoso studio? Oltre a questo quesito va tenuto conto poi delle recenti dichiarazioni fatte dal presi-dente del circondario imolese Daniele Manca che in più occasioni ha ribadito che "non ha senso unire delle debolezze" e che "l’attacco non è alla democrazia, ma alla burocrazia", riferendosi a un ruolo più forte del circondario capace di gestire in forma associata i servizi dei 10 comuni. Da Palazzo Alidosi a α (nella foto), municipalità che si è sempre detta contra-ria ad entrare in un comune unico, l’assessore al Bilancio AB commenta le dichiarazioni di Manca come «un riconoscimento nei confronti delle potestà dei territori». «Bene conservare la sovranità amministrativa, così com’è altrettanto un bene gestire i servizi in forma sovra-comunale. Da parte nostra c’è un’alta aspettativa sull’unione dei servizi - rivela l’assessore -. Ci teniamo comunque una finestra per valutare questo percorso in corso d’opera». Scendendo più a valle il sindaco di δ Vanna Verzelli ammette per prima cosa che lo studio «è ancora in elaborazione ed è atteso entro l’anno». Per il primo cittadino fontanese valutazioni più approfondite dunque si potranno fare di fronte al risultato del documento. «Condivido le parole di Manca quando parla di sistema ampio e di sinergia tra i territori. E’ doveroso ragionare insieme, anche alla luce della riforma Calderoli. Sulla possibilità di fare un comune unico e avere un circondario forte, l’una non esclude l’altra. L’importante è che il punto decisionale resti sul territorio».Anche Roberto Poli, il sindaco di Casalfiuamanese si è sempre detto favorevole al superco-mune del Fiume Giallo, non c’è contrapposizione. «Ora il tema che deve esser sviluppato è la gestione associata dei servizi. Per il resto aspettiamo lo studio, che dovrebbe arrivare a giorni. Poi si aprirà un ragionamento che si concluderà sempre e solo con la parola ai citta-dini».Sul fronte dell’opposizione invece è semplicemente scandaloso che ancora oggi non si sappia nulla dello studio di fattibilità. «Non ci informano e in più ho la sensazione che non appena lo studio arrivi siano ostici a darcelo - prevede Manuel Caiconti (consigliere di Vallata Libera a β) -. Manca con le sue dichiarazioni ha aggiustato il tiro ma a questo punto non so più a chi credere: o al presidente del circondario che punta sul potenziamento del-l’ente o a Poli che difende il comune unico di vallata». «Più che un comune unico a cui abbiamo sempre detto no - aggiunge Alessio Bertuzzi di Vallata Libera a α -, meglio chiudere il circondario che è un ente inutile e che ancora tarda a darci un Psc e avviare una vera unione dei comuni, ovviamente non troppo "imolacentrica". Lì sì che saremo favorevoli a una forma associata dei servizi».
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Lo studio di fattibilità è il grande assente: evocato, negato, differito. La committenza - il cir-
condario, l’unione28 di dieci comuni della provincia di Bologna e i quattro comuni interessati
dallo studio - è spaccata sul tema della fusione: il Sindaco di uno dei comuni, entusiasta e
sponsor della prima ora; il circondario, originario sostenitore del progetto (tanto da richiede-
re un finanziamento) ma oggi, con il cambio della presidenza, moderatamente contrario; poi
l’Amministrazione di un altro dei quattro comuni - politicamente affine agli altri - da subito
risolutamente contrario al progetto e l’opposizione, pronta ad usare ogni mezzo per far va-
lere il proprio diritto all’‘autodeterminazione’. Questa spaccatura sta determinando un im-
passe in cui lo studio diventa il feticcio sul quale ogni posizione tende a far convergere la
propria attenzione. Ma lo studio non c’è. Lo studio va sempre più declinato al condizionale:
potrebbe dire qualcosa, se qualcuno lo rendesse pubblico. Noi abbiamo prodotto lo studio,
tentando di fornire al cliente una conoscenza usabile, una usable knowledge (Cohen e
Lindblom, 1979). Ma se anche dipende da noi valutare quel che è knowledge, i politici han-
no sempre l’ultima parola in fatto di ciò che è usable (Regonini, 2004).
14/1 Lo studio per la fusione del Fiume Giallo: competenze, pratiche. Come si conosce un territorio?
Tutto era partito più di dodici mesi prima. Nell’estate del 2009 dal circondario Imolese arriva
la richiesta di formulare un’offerta per un intervento di consulenza che consiste nella reda-
zione di uno studio di fattibilità per la fusione dei quattro comuni della Vallata del Fiume Gial-
lo, nell’Appennino a sud di Imola. Il curriculum della nostra società è molto specifico: pur se
in netto calo negli ultimi tempi, il mercato dei “servizi di consulenza di processo a supporto
di percorsi istitutivi di nuovi livelli di governo” - associazioni di comuni, unioni di comuni, ge-
stioni associate di servizi - è stato storicamente piuttosto fiorente. Nei suoi circa vent’anni di
vita, C.O. Gruppo ha collezionato non meno di quindici nuove esperienze, quasi tutte con-
dotte in porto. Il successo concreto - oltre la mera consegna di “carta” - ha negli anni con-
tribuito a far crescere le referenze della società presso i clienti, e con queste la legittimazio-
70
28 Il circondario è di fatto un’unione di comuni: la Regione identifica infatti come beneficiari dei finanzia-
menti a supporto delle gestioni associate “le unioni di comuni e il Nuovo circondario Imolese ad esse
equiparato ai sensi dell’art. 15, comma 4, l.r. 10/2008”
ne a operare come ‘attore del cambiamento’ in un policy network non tropo affollato ma pur
sempre molto competitivo e con soglie di accesso molto elevate. Dopo un progetto di
unioni di comuni (estate 2009) nel piacentino sfumato all’ultimo momento per diatribe politi-
che che le prospettive di finanziamenti cospicui non sono riuscite a sanare, tornano a bus-
sare alla porta con un progetto di riforma inedito in Emilia-Romagna e molto poco diffuso
anche nel resto del Paese: la fusione di comuni.
Da una primissima presa di contatto in agosto, il rapporto incomincia a prendere forma ver-
so la fine dell’anno, in dicembre, con un prima riunione operativa con i sindaci dei comuni
interessati. All’inizio dell’anno, dopo alcune revisioni incrociate e a pochi giorni da un primo
lancio giornalistico29 , il 14 di gennaio viene inviato il progetto operativo dello studio.
Da: xilogiovanni <[email protected]>Data: 14 gennaio 2010 13:02:49 GMT+01:00A: [email protected], sindaco@δ.provincia.bologna.it, Claudia Dal Monte <[email protected]>Oggetto: progetto operativo analisi di fattibilità di fusione comuni Valle del Fiume Giallo
Buongiorno,Come promesso al primo incontro che abbiamo effettuato a dicembre, vi allego il piano operativo del progetto "analisi di fattibilità per la fusione dei comuni della Valle del Fiume Giallo", comprensivo delle domande da voi poste in termini di obiettivi, metodologia e ambiti di indagine. Ho aspettato fino ad ora per inviarvi il progetto, per far si che coincidesse con lo start up dell'indagine. Se nulla osta relativamente al piano operativo allegato, inten-diamo attivare la ricerca con un intervista singola ai sindaci presso il loro comune nelle giornate del 4 e 5 di feb-braio. Salvo diversa indicazione, il dott. Pirani (mio collaboratore e consulente nel gruppo di ricerca) vi contatterà direttamente per fissare gli appuntamenti. Chiedo per cortesia alla dott.ssa Dal Monte di inviare il progetto opera-tivo e copia di questa mail al sindaco di β, dott. Roberto Poli e al sindaco di α dott. Bernabei in quanto non ho la loro mail. Resto a vs. disposizione per qualsiasi chiarimento, modifica o altro in merito al progetto.Cordiali Salutigiovanni xilo
La proposta si chiude con la descrizione del gruppo di lavoro, che “sarà composto da Gio-
vanni Xilo in qualità di capo progetto, il Dott. Alessandro Pirani ricercatore esperto di inter-
venti di sviluppo organizzativo e unificazione dei servizi comunali e il dott. Paolo Neri, giuri-
sta. Il dott. Pirani, se nulla osta, oltre a svolgere l’attività di ricerca indicata in questo piano
operativo realizzerà la sua tesi di dottorato di ricerca Pianificazione territoriale e politiche
pubbliche del territorio, Università IUAV di Venezia, sull’analisi di fattibilità della fusione”.
Faccio il mio ingresso in campo con la duplice veste di consulente e ricercatore, istituziona-
lizzando (formalizzando) il mio essere un professionista riflessivo (Schön, 1993) ma di ‘se-
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29 Vallata, parte lo studio per il comune unico. comune unico della Vallata, via allo studio di fattibilità per
fondere le quattro amministrazioni di γ, β, α e δ (Il Resto del Carlino Edizione Imola, 11/1/10).
vuole, chi la osteggia sventolando la bandiera localistica dell’alidosianità (Alidosi è l’antico
casato da cui il comune e i suoi abitanti - detti ‘alidosiani’ - traggono la rappresentazione
simbolica del proprio lignaggio e della propria nobiltà). Il partito del ‘no al comune unico’
acquista consenso, anche in forza di una candidatura di bandiera che si rivela non credibile,
e perde. Alle elezioni si presenta quindi un homo novus, politicamente ‘vergine’, che vince
con percentuali elevate (circa il 75% dei consensi) e pone l’opposizione all’adesione del
comune al comune unico come condizione irrinunciabile33- fin dalle linee programmatiche -
per il proprio mandato.
L’opposizione al progetto riformatore nasce da qua, da una spaccatura interna al partito
che in questo comune - da cui proviene anche il deputato locale34 - governa da sempre, e
che risulta strettamente interrelata con il dibattito sul destino che il territorio imolese può/
deve avere nell’ambito della città metropolitana bolognese. La Vallata del Fiume Giallo e i
comuni che la attraversano costituiscono parte integrante del circondario Imolese, parte
della Provincia di Bologna che costituisce il naturale ponte di passaggio verso la Romagna,
regione storica di cui sul piano culturale, linguistico e storico fa parte. La caratteristica di
‘zona ibrida’ del milieu imolese, da cui dipende la ricchezza culturale, sociale ed economica,
spiega in parte sia l’autonomia35 sia la storica tendenza del territorio ad ipotesi di ridisegno
istituzionale, ipotesi rispetto alle quali Imola e il suo territorio hanno sempre ribadito e conti-
nuano a ribadire la propria contrarietà.
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33 “Comanda Bernabei, straniero anche lui perché abruzzese,Sindaco Pd eletto con la percentuale bul-
gara del 75%, e con un unico obiettivo: «Non farci perdere lo status di comune. Perché sa — raccontano
in piazza — ci volevano accorpare ad altri centri, ma noi siamo figli degli Alidosi e stiamo qui da secoli”.
(Corriere di Bologna, 9/11/10).
34 Massimo Marchignoli, ex sindaco di Imola, deputato PD dal 2008. Il primo progetto di legge firmato
(54/2008) recava “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a
5.000 abitanti nonche´ dei comuni compresi nelle aree naturali protette”.
35 Sin dalla fine del 1800 i comuni del territorio imolese hanno avuto l'attitudine a creare forme ammini-
strative intercomunali alla ricerca di una propria autonomia programmatoria. Nel 1925 si parla chiaramen-
te di Imola e il suo circondario, intendendo la serie di nove comuni che ancora oggi fanno parte del cir-
condario imolese. La prima forma strutturata di ente pubblico di secondo grado arriva nel 1976, con l'isti-
tuzione, da parte della Regione Emilia-Romagna, del Comprensorio di Imola (Una lunga storia di autono-
mia, Nuovo circondario Imolese).
Ci hanno dato appuntamento verso le sette di sera. Il sindaco ha voluto che alla riunione
partecipasse l’intera giunta, voleva che tutti potessero essere testimoni della sua fedeltà alla
linea decisa. La posizione ci è già molto chiara: è di pochi giorni prima del nostro arrivo una
battuta dell’assessore Lelli (altro candidato delle primarie): “Vogliamo vedere i risultati dello
studio perché siamo perplessi su due aspetti. Se si accentrano i servizi, allora per i nostri
cittadini diventa disagevole. Ma se si lasciano degli uffici territoriali, dove sta l’economia del-
la fusione? In ogni caso credo che ci sia un allontanamento degli amministratori dagli am-
ministrati e questo non è mai un bene36”.
La sede del comune è Palazzo Alidosi, una fortezza cinquecentesca che accoglie il visitato-
re all’ingresso del centro del paese. Per salire agli uffici occorre passare per una porta late-
rale e superare una scala ripida e stretta. L’ingresso principale sul lato nobile del palazzo è
inutilizzabile: corrisponde alla sala dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, che da qualche me-
se ospita tre aule della scuola elementare di cui a seguito di un sisma nel 2008 è stata de-
cretata l’inagibilità. Il comune sta cercando i fondi per fare i lavori, nel frattempo ci si arran-
gia così. Entrando negli uffici colpisce la sobria eleganza di una riqualificazione recente, la
sala giunta è sistemata provvisoriamente in uno spazio di passaggio a ridosso dell’entrata.
Appeso al muro, uno stemma araldico ricorda il nobile casato degli Alidosi.
Ci accoglie Baldazzi, assessore alla cultura37 a tempo pieno, cittadino trapiantato in monta-
gna. In breve, quando manca solo un assessore (l’unica donna), cominciamo la riunione.
Spieghiamo il senso della nostra visita, in cosa consiste il progetto al quale stiamo comin-
ciando a lavorare. All’unisono - ma è il vicesindaco Franceschi a parlare - la Giunta chiarisce
che non vi è opposizione allo svolgimento del progetto perché “ci stavano quelli di prima”, e
non s’intende impedire ma anzi dare una mano e per quanto possibile “stare vicino al per-
corso”, dare un contributo. In ogni caso, sono “convinti che non ne salterà fuori niente”.
Non si vuole creare imbarazzo nel gruppo dei comuni e meglio sarebbe, dicono, che oltre
alle simulazioni “a quattro” ne fosse prevista anche una “a tre”.
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36 Vallata, parte lo studio per il comune unico. comune unico della Vallata, via allo studio di fattibilità per
fondere le quattro amministrazioni di γ, β, α e δ (Il Resto del Carlino Edizione Imola, 11/1/10).
37 L’elenco delle deleghe: Sanità, Sociale ed Assistenza, Cultura e Turismo, Politiche Giovanili, Bilancio
Come prima cosa ci viene consegnato il testo di una delibera di Giunta38 contenente un
documento di indirizzo nel quale l’amministrazione ribadisce e formalizza la propria distanza
dal progetto, spiegandone le ragioni, “viste le linee metodologiche inviate dallo studio pro-
fessionale incaricato di condurre le indagini finalizzate ad uno studio di fattibilità del progetto
di fusione tra i quattro comuni della Vallata del Fiume Giallo e ritenuto opportuno ribadire la
posizione politica del comune di α riguardo a tale questione e approntare un documento di
indirizzo che si allega alla presente”. Il documento segna la volontà di prendere le distanze
dagli obiettivi di cui lo studio intende valutare la realizzabilità, stando però “alla finestra”. Lo
analizzeremo in seguito. Qui interessa notare come l’impostazione difensiva di questo co-
mune determinerà uno slittamento cognitivo e di metodo nella conduzione dello studio che,
come si vedrà, assumerà questo comune come fronte più caldo su cui concentrare la pro-
pria potenza di fuoco determinando in generale lo slittamento dell’approccio della consu-
lenza, da supporto al processo a strumento tattico per la dimostrazione di un’idea alternati-
va, secondo un modello argomentativo ‘a tesi’. L’impostazione resistente presuppone
un’aggressione e in generale ridisegna la cornice del problema, da ipotesi strategica a a pu-
ra ‘tattica’. Con ‘tattica’ De Certeau (2005) definisce un’azione “calcolata che determina
l’assenza di un luogo proprio”, al contrario della strategia, che invece “postula un luogo su-
scettibile di essere circoscritto come spazio proprio e di essere la base da cui gestire i rap-
porti con obiettivi o minacce esteriori (i clienti o in concorrenti, i nemici, la campagna intor-
no alla città, gli obiettivi e gli oggetti di ricerca)”. La tattica deve quindi “giocare sul terreno
che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea” (ibidem).
È difficile non cadere nella trappola della tattica: lo spettro del ragionamento razionale-mec-
canicista (Jullien, 1998) rispetto alla risoluzione dei problemi è troppo alla portata, in più la
ragione che circoscrive il nostro essere qui è che dobbiamo onorare un incarico e l’incarico
definisce banalmente un obiettivo. L’errore sta nel perdere quel distacco necessario rispetto
all’obiettivo: essere pagati per fare uno studio ma risemantizzarsi come ‘change manager’.
Non è differenza da poco. Ma il fatto è che a α si chiamano fuori perché credono che “pic-
colo è bello”, e tutte le retoriche innovativiste di cui noi stessi siamo impregnati si ribellano.
In campo ci sono visioni eccessivamente biased. In una comunità così piccola “l’assessore
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38 Deliberazione Giunta Comunale nr. 6 del 28/01/2010 avente per oggetto: Documento di indirizzo sullo
studio di fattibilita' commissionato per la fusione dei quattro comuni della vallata del Fiume Giallo in un
comune unico
è anche tecnico, non ci sono sprechi, altro che Brunetta”. Poi c’è la diversità su un piano
urbanistico: è vero che la Vallata è omogenea, ma “β e γ sono di fatto conurbazioni imolesi,
ed è evidente che le loro necessità non possono sposarsi con le nostre”.
Descrivono un territorio non così in difficoltà come si potrebbe pensare: di fatto (anche se
non lo dicono apertamente) è l’immigrazione a tenerlo in vita dal punto di vista demografico.
La popolazione straniera è una componente rilevante della struttura demografica di tutta la
Vallata del Fiume Giallo. La percentuale di stranieri si attesti su livelli simili a quelli provinciali,
anche se con differenze fra i diversi comuni. Il comune di α è quello con il maggior numero
di stranieri rispetto alla popolazione, con un’incidenza inferiore a β dove sono presenti i
maggiori insediamenti produttivi. Sul piano economico, oltre il marrone IGP, c’è poco. Le
imprese che ci sono, chiudono: il comune fa evidenziare la maggior flessione dal 2000 ad
oggi con ben 40 imprese in meno (un calo di circa il 20%).
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Poi c’è l’esperienza dei servizi associati, giudicata non sempre positiva. È la Polizia Munici-
pale a fornire ben più di un appiglio all’argomentazione contro la fusione: da quando il servi-
zio viene gestito in forma associata dal circondario Imolese, che l’ha rilevato dall’ex comuni-
tà Montana insieme ad altri servizi, “qui non si vedono vigili”. Viene sostenuta la tesi secon-
do cui sarebbe preferibile disporre di un solo addetto di polizia municipale presente sette
giorni su sette (e ventiquattro ore su ventiquattro) piuttosto che un servizio in cui con dieci
addetti viene presidiato un bacino di meno di 10.000 abitanti.
Si dà una lettura dell’amministrazione locale come di un governo del territorio radicalmente
prossimale, diffuso e soprattutto disintermediato rispetto a ingerenze tanto di livello regiona-
le quanto subprovinciale-circondariale, un’amministrazione dove il vigile “dalla finestra face-
va più di una telecamera di videosorveglianza”, dove ci si chiama tutti per nome e dove se
c’è bisogno - che si sia dipendenti o amministratori - “basta darsi da fare”. Alla domanda
“quale servizio funziona bene?” la risposta è, coerentemente, “l’associazionismo”: non è
tanto rilevante, sembra di cogliere, se e come il comune inteso come macchina amministra-
tiva funziona, quanto se e come si è in grado politicamente di mantenere attiva la cittadi-
nanza fornendo un’infrastruttura adeguata al funzionamento delle realtà associative che del
territorio sono il motore. Le associazioni sono il classico ‘fiore all’occhiello’ di α, tutto sem-
bra ruotare attorno a questo capitale sociale: con quindici associazioni per meno di 1.200
abitanti il rapporto è il più alto di tutta la Vallata. Ma al di là delle associazioni e del ruolo che
queste riescono a giocare, si intravede la fatica a far girare il comune, in particolare sul fron-
te delle spese per investimenti: l’attività di raccolta fondi è vitale, tutto dipende dalla capaci-
tà di ottenere finanziamenti. Il caso del recupero della scuola è un caso emblematico di
questa dipendenza, ma ancor più grave è il finanziamento della manutenzione della rete
stradale, complessa e onerosissima in un territorio montano. La spesa corrente va “più o
meno bene”, anche “grazie alle condizioni economiche favorevoli determinate dalle gestioni
associate”. Ma se il problema è nei finanziamenti, la fusione potrebbe migliorare la situazio-
ne?
Di fusione fusione la gente parla per strada, nei bar. È un tema, ci assicurano, presente nel
discorso pubblico. Ci anticipano che le posizioni sono largamente contrarie, ma che in ogni
caso non ci sarà nessuna preclusione rispetto a un incontro pubblico se lo dovessimo or-
ganizzare.
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Non funzionerà, in ogni caso: “sono troppe le cose che ci dividono rispetto a quelle che ci
uniscono”, dicono. Le sagre, ad esempio. Ogni comune ha le proprie, in un caso (γ) nello
stesso giorno si tengono due sagre concorrenti. Con la comunità Montana ci si è tentati di
dotare di un coordinamento con l’istituzione di “Tipica”, una sorta di sagra delle sagre itine-
rante pensata per una promozione unitaria del territorio e dei suoi prodotti, appunto, tipici.
Poi c’è la questione della polisportiva: per un breve periodo anche α ha aderito alla Poli-
sportiva Fiume Giallo, l’esempio più concreto di politica aggregata sul territorio, salvo poi -
rivendicano con orgoglio - uscirne recentemente per ridar vita alla propria piccola realtà.
Quello che segue è il testo del documento d’indirizzo allegato alla delibera che ci viene con-
segnata. Come si vede, l’approccio di tutto il documento ribadisce un setting della questio-
ne su un piano “militare”, in cui all’attacco del comune si oppone la resistenza della classe
politica locale. Ne propongo i passaggi in forma dialogica.
Testo del documento Annotazioni
In riferimento allo studio di fattibilità sull'opportunità di fondere i quattro comuni di Vallata in un unico Ente, si comunica: come già comunicato, in forma scritta e orale, presso le sedi istituzioni di riferimen-to, il programma 2009-2014 di questa Giunta è stato impostato in maniera elettiva sul tema del mantenimento della municipalità;
- Si parla di “mantenimento” e non di opposi-zione al nuovo comune: la posizione fa perno sul vincolo elettorale di mandato è quindi di-fensiva e conservatrice.
- Viene richiamata ad abundantiam una serie di precedenti prese di posizione.
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Testo del documento Annotazioni
Tale obiettivo, condiviso e anzi sollecitato dalla po-polazione nella fase esplorativa del mandato e delle candidature, non può essere messo in discussione, pena il decadimento del vincolo sostanziale per il quale il candidato Sindaco e i consiglieri sono stati eletti;
- Avendo impostato il mandato su questa promessa, sulla base della quale è stato ot-tenuto il consenso, non è oggi possibile met-terla in discussione.
Riguardo il merito dello decisione sulla scelta di mantenere la municipalità, Sindaco e Giunta hanno sempre ritenuto indispensabile, per la valorizzazione della comunità, la presenza del municipio in tutte le sue articolazioni; ritenevamo ieri e riteniamo oggi che lo sviluppo della comunità alidosiana non posso fatto a prescindere dal mantenimento dello Municipalità;
- Il municipio “in tutte le sue articolazioni” non esiste in realtà più da molto tempo. I servizi associati sono la maggioranza, le banche dati risiedono altrove;
- in sostanza il documento ribadisce che lo sviluppo della comunità ha a che fare con la presenza tout court di un entità chiamata “comune”, ancorchè svuotata di senso e ca-pacità.
Tra l'altro, la residualità esiziale, o livello nazionale e lo totale assenza di esperienze di fusione o livello regionale oggettivamente non incoraggia: riteniamo che un istituto d'innovazione amministrativa "vin-cente" avrebbe avuto maggior fortuna (ci permet-tiamo di ricordare o questo proposito I’esperienza francese, dove lo gran parte dei comuni fusi d'auto-rità ho richiesto a gran voce, entro i primi anni, il ripristino della propria autonomia);
- L’assenza di termini di paragone rappresenta un forte disincentivo a procedere: posizione contraria a chi interpreta questo “pionieri-smo” come plus;
- Viene fatta coincidere la quantità (in quanti l’hanno voluto fare) dell’opzione amministrati-va con la qualità della stessa (in quanti casi ha effettivamente funzionato).
- L’argomentazione circa la “fortuna” va al cuo-re del problema: perché uno strumento “pia-ce” in un dato momento storico? Quanto ha a che fare questo con il suo successo effetti-vo (la propria traduzione in pratica)?
L'adesione allo studio in questione, votata da que-sta Giunta appena insediato, va motivata con l'esi-genza di non interrompere in via pregiudiziale il percorso così come già intrapreso dalla Giunta pre-cedente e dagli altri tre comuni valligiani: nel caso il comune di α avesse manifestato parere contrario prima dell'incarico al Gruppo bolognese che si oc-cupa dello studio, avrebbe determinato un’interru-zione del processo a scapito degli altri comuni, di-versamente orientati sui tema;
- Viene ribadita la necessità di affermare una continuità con il passato (politicamente affine) in chiave di giustificazione rispetto a quanti dovessero sospettare ripensamenti nel meri-to;
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Testo del documento Annotazioni
stanti queste premesse si ritiene che lo studio dovrà tenere conto di quanto sopra e quindi pur non volendo interrompere in via pregiudiziale il gruppo di lavoro che sta lavorando al progetto di cui all'oggetto non si vuole essere di intralcio o di imbarazzo a un percorso che per i co-muni potrebbe essere più semplice o probabile, pur volendo mantenere il massimo grado di collabo-razione istituzionale e gestionale assieme agli altri comuni della Vallata del Fiume Giallo e più in gene-rale del circondario Imolese.
- Pur senza fornire argomentazioni particolari, il documento funziona: sancisce una posizione della quale d’ora in avanti non si potrà non tenere conto
- Le falle evidenziate sul piano argomentativo lasciano intravedere margini di insinuazione per quanto lo studio saprà dimostrare, anche se la sensazione è che - con il richiamare il vincolo elettorale - si sia intrapresa una stra-da senza uscita.
5/2 Fiume Giallo, perché la fusione: policy windows e argomentazioni. Prima che sia troppo tardi
Nel resto della Vallata non troviamo traccia della resistenza incontrata nel primo comune. Il
giorno successivo incontriamo gli altri tre sindaci, e i toni sono molto diversi. Tutti ci spiega-
no che “in vallata” è un’espressione molto diffusa per indicare genericamente lo spazio
amministrato dai quattro comuni. Si dice, anche se “è più facile dire che fare”, ammesso
che dire non equivalga a fare. Se si ‘dice’ “in Vallata”, è ciò che vorremo capire, si ‘è’ anche
i un ambiente unitario che sul quel livello territoriale esprime la propria identità anche istitu-
zionale?
Secondo il sindaco di β, sì. Non si può “non vedere che siamo una cosa sola”, la posizione
di chiusura di α è ingiustificata, se non “per il cul de sac politico in cui si sono volontaria-
mente infilati”. Rispetto al progetto, riferisce che di “fusione se ne parla da decine di anni”,
ma che ora, con il superamento delle comunità montane e la presenza di incentivi questa
prospettiva torna ad avere una propria appetibilità. La reiscrizione in agenda del tema della
fusione si sarebbe dato in pratica con l’apertura di una policy window (Kingdon, 1984) cor-
rispondente, tra l’altro, con l’attuazione del PRT che ha previsto la soppressione delle co-
munità montane.
Persa quella identità comune, confluire nel circondario non basta, significa anzi perdersi in
un tutto indistinto senza rappresentanze ‘di vallata’. Meglio quindi cercare di ‘farsi’ la propria
istituzione tailor made.
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In generale, dice, “siamo messi male” e abbiamo già servizi in forma associata: comuni co-
me quello che lui amministra, 82 kmq di frane attive (sotto i 5000 ab uno dei comuni più
grandi d’italia), hanno livelli di complessità tali da non poter essere governati con gli stru-
menti esigui che la scarsa popolazione residente consente di avere. Ci racconta dei servizi
associati e di come questi contribuiscano a tenere in vita i comuni. Fare la fusione signifi-
cherebbe poter dare al territorio una capacità di pianificazione e programmazione realmente
condivisa, superando da un lato i costi della frammentazione politica, dall’altro riconqui-
stando un’identità istituzionale unitaria e in grado di darsi mete e obiettivi strategici coerenti.
Per fare insieme davvero, l’unica strada a questa scala è “essere insieme”: le ridondanze
organizzative sarebbero “impressionanti”, “ogni ufficio è inutilmente moltiplicato per quat-
tro”. Vanno ridotti gli sprechi e ridestinate risorse a un aumento della specializzazione degli
uffici, da subito.
L’incontro con gli altri due sindaci è di tenore diverso dal primo. Entrambe donne, ammini-
strano i comuni riuscendo a mantenere il proprio lavoro originario. La prima delle due ci col-
pisce per la vivacità con cui tratteggia la complessità del suo ruolo di ‘madre’: madre dei
suoi figli e del paese intero. Ci colpisce la determinazione con cui descrive la situazione di
difficoltà in cui versa il suo comune, con un piglio che lascia trapelare qua e là l’idea che in
ogni caso, nonostante tutto, ce la si possa fare anche da soli. Da parte di entrambe, la po-
sizione di favore verso l’ipotesi è chiara, con il richiamo a “fare attenzione” a possibili defe-
zioni determinate dall’imporsi delle posizioni di α che, se legittimate, possono inficiare l’in-
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tero processo: “se i miei cittadini vedono che loro non ci stanno, non ci vorranno stare
neanche loro”.
La posizione del sindaco di γ assomiglia inizialmente a una resa: con un’immigrazione at-
torno all’11% della popolazione, per i tre quarti proveniente dal nord africa, più un’altra
componente predominante di immigrazione meridionale, oggi “i borghigiani doc sono una
minoranza”, immaginare che debba essere mantenuta in vita chissà quale identità è un non
senso. In più, il comune è già esito della fusione di due centri. Oggi i comuni collaborano
poco: anche sul versante della programmazione culturale, quello storicamente più frequen-
tato, non esiste più un calendario condiviso e integrato. Il venire meno della comunità mon-
tana ha determinato un netto allentarsi del coordinamento di vallata: oggi, il grande patri-
monio associativo di vallata non produce secondo le sue potenzialità.
I comuni sono “con l’acqua alla gola”. È questa la prima ragione che deve spingere gli am-
ministratori a dissolvere i comuni entro entità più ampie: “non contiamo niente, neanche al-
l’interno del circondario, dove invece con la fusione saremmo quarti per importanza”. Il len-
to sviluppo del territorio sarebbe da imputare in buona parte a scelte sbagliate del passato.
Anche oggi si fatica a pensare in modo unitario: nella redazione del PSC i comuni della val-
lata “si sono battuti per il mantenimento del carattere produttivo di tre micro-aree sui rispet-
tivi territorio comunali, con unici progetti realmente degni di nota la cosiddetta “asta fluviale”
e la messa in sicurezza della strada montanara”.
Lo studio deve servire per spiegare bene ai cittadini “cosa si guadagna e soprattutto cosa
non si perde”. “Cosa non si perde”: nel processo di mutamento gli equilibri consolidati vacil-
lano, i ruoli sperimentati vengono posti in dubbio, le antiche forme di conoscenza vengono
sostituite alle nuove (Battistelli, 1998): da parte del sindaco è già evidente che i ‘cittadini’
andranno convinti e ri-strutturati rispetto a una “avversione alla perdita” (Kahneman,
Knetsch, Thaler, 1991) che pare inscritta nel processo di transizione che si propone loro.
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BT CDR CF FO
Perché sì e perché no
- I comuni sono “con l’acqua alla gola”.
- La destinazione di entrate straordi-narie alla parte corrente e il ricor-so all’avanzo ne sono un chiaro segnale.
- Il comune perde-rebbe la propria unicità, diventan-do una frazione marginale.
- L’accesso ai ser-vizi di base sa-rebbe messo in discussione.
- Necessità di pro-durre una pianifi-cazione e pro-grammazione condivisa.
- Riduzione degli sprechi
- Peso specifico della Vallata del Fiume Giallo,
- Capacità di leg-gersi come unici e decidere di conseguenza.
- Ritiene che l’ere-dità della comuni-tà Montana non debba andare persa, anche se oggi il fatto che questa non esista più è letto come un punto debole.
Pos iz ione rispetto al progetto, e valutazione sulla fattibi-lità.
- Favorevole senza riserve e senza enfasi particolari.
- Non favorevole all’ipotesi in esa-me.
- Collaborativi ri-spetto all’effet-tuazione dello studio di fattibilità .
- Favorevole senza riserve. Ritiene l’eventuale suc-cesso dell’iniziati-va un “evento storico”.
- Favorevole con alcune riserve.
Consenso popolare al progetto
- Consenso da valutare, in gene-rale consapevo-lezza della neces-sità di ottimizza-zione, ma timore di perdita di fun-zioni fondamenta-li.
- Il tema è presente nel discorso pub-blico. Il tema ha tenuto banco nelle cronache locali per tutta la durata del prece-dente mandato e della tornata elet-torale.
- Consenso popo-lare molto deciso.
- Grande supporto della politica.
- Consenso diffuso. Ritiene che la defezione di uno dei comuni possa determinare un affievolirsi dell’en-tusiasmo negli altri territori.
Genesi del-l’idea d’in-novazione istituziona-le.
- L’ipotesi di fusio-ne comincia a circolare nel 2008, con il Pro-gramma di riordi-no territoriale della Regione.
- Se ne parla dal-l’inizio degli anni 2000.
- Se ne parla da vent’anni.
- Tornato in auge con l’ultima tor-nata elettorale.
Leva prin-cipale
- Investimento in telematica per gestione istanze provenienti da front office (URP avanzati) nei sin-goli Municipi.
- /
- Mossa strategica sarebbe l’accor-pamento dei ser-vizi supporto amministrativo (ragioneria, tributi, segretario)
Richiamata la deliberazione della Giunta dell'Unione Comuni del Rubicone N. 14 del 03.03.2010 recante ad oggetto: “Determinazioni in merito all'attuazione di uno studio di fattibilità' sulla fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone.”; Dato atto che con il summenzionato provvedimento si è deliberato di “avviare il procedimento teso all'elaborazione di uno studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa, organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione “Comuni del Rubicone””; Accertato che l'organico dell'Unione Comuni del Rubicone non dispone della professionalità, né della struttura organizzativa dotate della capacità e dei requisiti richiesti per la redazione del progetto di cui si necessita; Richiamata, altresì, la propria determinazione N. 16 del 13/03/2010 concernente: “Avviso per la ricerca di manifestazione di interesse all'affidamento dell'incarico per la redazione dello studio di fattibilità per la fusione dei Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone”; Rilevata l'opportunità di procedere alla diffusione di un avviso per la ricerca di manifestazioni di interesse all'affidamento dell'incarico professionale consistente nella redazione dello studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa, organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione “Comuni del Rubicone”;
RENDE NOTO
! che l'Unione Comuni del Rubicone intende procedere all'affidamento dell'incarico
professionale per la elaborazione dello studio di fattibilità per pervenire alla valutazione circa la sostenibilità amministrativa , organizzativa e funzionale di un possibile progetto di fusione tra i Comuni di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, Comuni facenti parte dell'Unione;
INVITA
i soggetti interessati singoli o associati, aventi titolo, a presentare istanza per l'affidamento dell'incarico per la redazione dello studio di fattibilità quale strumento conoscitivo utile a
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- che la richiesta indicata nell’avviso in merito ai requisiti minimi della prestazione (punto 3
dell’avviso), relativa “all’individuazione delle funzioni e dei servizi pubblici locali che, sulla
scorta di un'analisi economica di gestione, possono più vantaggiosamente essere esercitati
dal comune unificato, con puntuale indicazione degli effetti (vantaggi/svantaggi) derivanti
dalla gestione unificata” non potrà essere eseguita in questi termini, in quanto l’eventuale
processo di fusione dei comuni comporterà inevitabilmente la contestuale fusione di tutti i
servizi pubblici locali gestiti dai comuni, sia in forma associata che singolarmente”. È un
modo come un altro per ribadire la profonda differenza tra l’unione e la fusione di comuni:
all’unione i comuni scelgono quali servizi fare gestire, mediante la convenzione, e in questo
senso è corretto domandarsi su quale bacino (su quale ‘ambito ottimale’) è vantaggioso
gestire questo o quel servizio; nella fusione, i comuni come li conoscevamo prima che que-
sta avesse luogo non esistono più, quindi non possono farsi domande rispetto all’opportu-
nità di conferire servizi in convenzione.
Nell’unione i comuni restano l’unico soggetto titolato a organizzare il proprio territorio; nella
fusione si ha una trasformazione strutturale dello status quo. A essere messa in discussio-
ne, pensiamo, è integrità del ‘locale’ racchiuso dal confine amministrativo, un’identità che
se nel primo caso (nelle unioni) risulta solamente scissa e sfaccettata dalla necessità di co-
operare con altri enti, nel caso della fusione va intesa come superata tout court. C’impe-
gniamo di conseguenza a realizzare un’analisi e proposta complessiva dei servizi, preve-
dendo anche eventuali processi incrementali di progressiva omogeneizzazione e integrazio-
ne delle strutture.
25/3 Associazioni sul Fiume Giallo: frammentazione, assenza di go-verno.
Nel frattempo, sul Fiume Giallo abbiamo programmato un focus group con le associazioni
di uno dei comuni come primo momento di ascolto delle posizioni. Risucchiati dal lavoro,
riusciamo a organizzare solo un momento di confronto in uno dei comuni, δ. Il focus group
viene condotto a partire da una traccia tendente a fare emergere indicazioni sull’associazio-
nismo, sul comune e i servizi, su come la popolazione vive lo spazio e infine sulle valutazioni
circa l’ipotesi di progetto di fusione.
95
Livello Quesiti
1. Le associa-
zioni
Quante hanno un “bacino” di vallata? Esistono forme di coordinamento? Come le
valutate? Di cosa ci sarebbe bisogno? Essere divisi in 4 comuni incide?
2. Il comuneQuando/perché si va in comune oggi? E i servizi associati? Cosa dovrebbe fare
meglio il comune? Essere divisi in 4 comuni incide?
3. La genteDove va la gente per lavoro? E per il resto: dove si va? Come ci si sposta? Di cosa
sente di più la mancanza? C’è interesse verso l’amministrazione e la politica locale?
4. BlocchiCosa può favorire il processo? Cosa può bloccarlo? Quali opportunità dal comune
unico? Qual rischi? E in alternativa?
Il territorio, denso di realtà associative e di volontariato, fa registrare alti livelli di adesione41.
Un punto debole del tessuto associativo locale viene visto nell’assenza della Pro Loco,
struttura di promozione che al contrario, negli altri comuni, risulta presente e radicata42. Le
associazioni intercettano persone provenienti in massima parte dal territorio del comune di
δ, con alcune significative eccezioni: l’associazione Ciclistica raccoglie qualche socio dal
comune di γ, ma nessuno da α, dove esiste un’altra società. È condivisa la diagnosi di
scarso coordinamento tra le associazioni, anche tra quelle insediate e organizzate su base
comunale, come l’Avis. Si ravvisa al contrario una certa rivalità tra le strutture, percepita in
modo un po’ acritico come dato di fatto. Quando c’era la comunità Montana, si dice, il co-
ordinamento al contrario esisteva ed era efficace: ai tempi, ad esempio, l’Avis organizzava
una Festa di circondario, oggi sospesa. Dove o a chi debba passare il testimone di que-
st’attività , con il venire meno dell’Ente, non è chiaro (“Sarà il circondario ad occuparse-
ne?”). Retrospettivamente, il dibattito si sofferma nel ricordare lo status quo ante l’elimina-
zione della comunità montana come entità ordinatrice e di coordinamento delle politiche
della vallata. La comunità non era ‘solo’ una struttura di servizio di ‘secondo livello’ (in capo
alla quale si avevano alcuni servizi comunali) ma anche e soprattutto ente di ‘primo livello’
con funzioni proprie ancorché priva di rappresentanza diretta dei cittadini. Una struttura di
96
41 Avis, ad esempio, dispone di un numero molto elevato di iscritti sul proprio territorio (oltre il 13%, a
fronte di un dato nazionale del 7,8% nel rapporto donatori/abitanti) frutto di un’intensa e capillare attività
di promozione. Anche il locale circolo del PD, con 126 iscritti (quasi il 7% del totale), dà la misura dell’atti-
vità/attivismo della società civile locale
42 Nel comune di γ ne sono presenti due.
coordinamento tra le tante possibili, per così dire, con limiti evidenti ma capace di fare ciò
che i comuni da soli non sono (più) stati capaci fare: darsi schemi di governance sovraco-
munali.
Uno degli spauracchi della fusione consiste nell'eliminazione o nella riduzione o nell’allonta-
namento delle sedi comunali di erogazione dei servizi. La domanda è: chi ci va ‘davvero’ in
comune, e a fare cosa? Nella percezione dei partecipanti, oggi a frequentare il comune so-
no soprattutto i cittadini stranieri: sono loro ad avere “più bisogno” di accedere agli uffici,
spesso per questioni inerenti i servizi sociali o la casa. Altra categoria molto presente sono i
professionisti, utenti principali dello sportello dell’Ufficio Tecnico. Si potrebbe dire che en-
trambe sono categorie ‘professionali’: i primi rispetto alle logiche assistenziali dei servizi di
welfare, i secondi in quanto coinvolti in processi per i quali l’attività autorizzatoria dei comuni
è dirimente. Sui servizi associati viene data una valutazione positiva dell’Ufficio Tributi la cui
frequentazione dell’Ufficio è limitata al pagamento della Tassa sull’occupazione del suolo.
Meno positiva è la valutazione del servizio di Polizia Municipale, gestito oggi senza il sup-
porto di adeguato management specializzato. Del servizio di Trasporto Scolastico non viene
data una valutazione positiva: determinerebbe squilibri di copertura nei territori, privilegiando
alcuni e sottostimando la domanda di altri.
In generale, a mancare è il coordinamento delle politiche. Per riattivarlo, bisognerebbe al-
meno “creare un tavolo tra gli assessori dei comuni”: viene lamentata la scarsa circolazione
delle informazioni, al punto che non di rado vengono gestite e pianificate iniziative in conflit-
to tra loro. La comunità Montana offriva una sponda efficace, oggi la Vallata ne è orfana, e
si vede.
La vita di Vallata viene descritta come tendenzialmente “Imola-centrica”: si scende in pianu-
ra per le funzioni commerciali (grande distribuzione), ma anche per ottenere prestazioni
specialistiche nei servizi sanitari, di supporto all’attività lavorativa. Quanto alla produzione di
lavoro, va detto che il contesto locale continua a “tenere”, con i poli attrattori dei comuni più
a valle a farla da padrone. Per tutti il problema principale riguarda la viabilità: l’unico asse
rilevante, la c.d. Montanara (SP 610), è utilizzata come strada a scorrimento veloce pur non
avendone le caratteristiche: questa situazione, con la prossima apertura del casello auto-
stradale di Firenzuola è destinata a peggiorare.
97
Cosa può facilitare il processo di fusione? La prospettiva di migliori servizi, l’idea che si ac-
quisisca una maggiore velocità decisionale e un netto impulso all’innovazione costituiscono
le principali opportunità ottenibili dal processo di fusione. Verso il progetto il gruppo esprime
una valutazione positiva, anche se “la probabile defezione di α viene letta come letale per il
successo del progetto di fusione”. Quanto alla vox populi, i partecipanti al focus group de-
scrivono un generale atteggiamento favorevole all’ipotesi di aggregazione: la sensazione è
che, nel nome di migliori servizi, la maggioranza degli abitanti di δ sarebbe disponibile alla
creazione di un Nuovo comune Unico di Vallata. La tendenza favorevole sarebbe meno dif-
fusa tra i più giovani, che a differenza di quanto si potrebbe pensare vivono una deriva ‘neo
localista’ non sempre facile da decifrare.
7/4 Post: sogni sineconomici43
Si dice sinecismo e si pronuncia fusione. Non conoscevo il termine, e l’ho imparato ieri
sera per radio. Dice wiki che nell’antica Grecia veniva chiamato così il fenomeno degli
accorpamenti tra entità politiche, aggregazioni di più polis nel nome del rafforzamento,
dell’empowerment a scopo principalmente bellico: più grandi siamo più contiamo, si dice-
va. Nell’Italia dei comuni questo fenomeno è pressoché sconosciuto: più facile dividersi
che fondersi, e i pochi casi positivi registrati nell’ultimo secolo (uno è questo) raccontano
proprio di questo atavico attaccamento alla dimensione microamministrativa, oggi quasi
sempre insostenibile. Il Piccolo comune44 rappresenta, probabilmente, un potenziale labo-
ratorio su cui montare – in una prospettiva di medio-lungo periodo – un’ipotesi di fusione:
non è in senso stretto un “piccolo comune” (secondo la definizione statistica, che pre-
vede una soglia sotto i 5.000 abitanti), ma ha un piccolissimo territorio (penultimo per
estensione di tutta la provincia), è posto ai margini del territorio provinciale, è sostanzial-
mente contiguo almeno a un altro comune di dimensioni paragonabili, fa già parte di
un’aggregazione di comuni cui nel corso del tempo ha trasferito un buon numero di fun-
zioni, tendenzialmente crescenti. Il progetto di Città Metropolitana Bolognese (che Bolo-
siccome non sono (ancora) sicuro di poter essere presente alla riunione in regione riassumo alcuni degli interro-gativi che avrei posto alla nostra.spero comunque di poter essere presente. ti chiamo.a
be possibile derogare dalla norma50 secondo cui si da aggregazione di secondo grado
entro i confini di un'altra aggregazione?
Alle nove di mattina capisco che non potrò partecipare alla riunione, e lo comunico a GX.
Bianca nascerà a mezzogiorno. Il giorno successivo, laconicamente, mi racconta dell’incon-
tro e delle risposte alle mie domande: no, no, no.
Non è possibile sapere l’importo dei contributi che il comune esito di processo di fusione
potrà ricevere; non esiste alcun dettaglio circa i modi con cui i comuni fusi saranno privile-
giati nei bandi per finanziamenti; non si può, tassativamente, creare due aggregazioni coin-
volgenti parte degli stessi comuni. A normativa invariata non si può fare quasi nulla, ma se
dovesse cambiare qualcosa?
Perchè inizi a farsi intravedere qualche ipotesi di cambiamento negli orientamenti dobbiamo
aspettare poco. Nel frattempo, infatti, si è insediata la nuova Giunta Regionale e qualcosa
sembra cambiare nelle posizioni velate di appoggio a una vera ‘policy di razionalizzazione
delle forme istituzionali’ della Regione, che affianchi, riformuli o dettagli il già esistente stru-
mentario. Sollecitata dal basso - dal rinnovato interesse per lo strumento - la fusione fa la
sua comparsa nel discorso politico regionale. Nella versione aggiornata della delibera, ema-
nata a fine 2010, il testo del Programma di Riordino rimane invariato, nonostante il 51 ma c’è
un pronunciamento ufficiale da parte del nuovo Governo insediato in primavera nella dire-
zione dell’incentivazione a questo strumento. All’interno della scheda programmatica tema-
tica “governance” allegata alla Relazione del Presidente Vasco Errani52, si legge infatti che
110
50 Al punto 1.3 dell’allegato A della DGR recante l’aggiornamento del PTR per il 2011 viene confermata
la previsione già presente secondo cui “i comuni dell’unione o della comunità montana o del Nuovo cir-
condario imolese non possono aderire per le stesse funzioni o servizi a più di un ente associativo, salva
l'adesione a consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi nazionali o regionali e salvo quanto previsto dall’art.
21 della l.r. 10/2008 come modificato dalla l.r. 22/2008”
51 “Se vuoi fare il consulente togli il nonostante!”. Ogni particella grammaticale deve potersi giustificare.
Riporto questo caso come caso di correzione nell’ambito della “partecipazione periferica legittimata” (La-
ve e Wenger, 2000) al contesto di pratica.
52 Il programma di governo 2010-2015 del presidente Vasco Errani è stato presentato all'Assemblea
legislativa della Regione Emilia-Romagna il 3 giugno 2010. Il documento raccoglie gli indirizzi, i propositi e
gli obiettivi sui quali si sviluppa nel corso della IX legislatura l'azione di governo del presidente Errani e
della Giunta regionale.
“la Regione è impegnata in una strategia di governance certamente non orientata ad affer-
mare forme più o meno esplicite di “preminenza della Regione” sul territorio [...] ma a discu-
tere con gli interlocutori e definire soluzioni condivise ai problemi che si vogliono affrontare.
[...] Da qui passa l’impegno per una governance sostenibile, attenta al rispetto delle compe-
tenze delle diverse Istituzioni, volta alla decodifica dei messaggi che provengono da una
società che sta cambiando, pronta ad adottare le contromisure necessarie, proseguendo
nell’azione già da tempo avviata per semplificare l’architettura del sistema Istituzionale loca-
le, contenendone quindi i costi. Coerentemente a questi principi, la Giunta annuncia l’immi-
nente proposta di “aggiornamento della legge regionale 10/2008”, la legge che definisce gli
indirizzi in materia di riordino territoriale e di autoriforma dell’amministrazione regionale e lo-
cale, con l’obiettivo di superare i localismi attraverso le unioni dei comuni, garantendo i ser-
vizi e contenendo i costi e facendo emergere le eccellenze territoriali. Anche la disciplina
dell’incentivazione dovrà essere gradualmente reimpostata, “per costituire uno stimolo co-
stante allo sviluppo di sempre nuove competenze, introducendo specifici indicatori di effi-
cacia, d’efficienza e di risparmio nelle gestioni associate”, accogliendo e sostenendo la
fusione di comuni con una semplificazione normativa delle procedure.
4/6 Tra i Sindaci della “Città del Fiume Verde”: casello, scarpe, Storia. Insoddisfazione come leva?
Così, la grande transizione è rimasta una grande incompiuta.
E la Città Adriatica si è ritrovata a camminare in equilibrio pre-
cario sull’esile filo che separa il “non più” e il “non ancora”.
(Aldo Bonomi, 2010)
C’è aria di vacanze, mentre guadagniamo la riviera romagnola da Bologna. È il primo ve-
nerdì di giugno, andiamo a η sul Fiume Verde per incontrare i sindaci di quest’unione con la
quale a quanto pare cominceremo a lavorare. Ci hanno comunicato che abbiamo vinto la
gara per l’affidamento dell’incarico di consulenza, ancora non abbiamo firmato la lettera
d’incarico ma ci hanno richiesto di partecipare a un incontro di contatto con i sindaci. Sco-
po dell’incontro è conoscersi e scambiarsi alcune prime indicazioni operative.
111
Come tutte le prime volte, sbagliamo strada. Il navigatore ci fa uscire a Cesena, noi saltiamo
anche l’uscita della tangenziale, e impieghiamo un’ora in più. Con la pratica scopriremo che
il casello autostradale giusto per il territorio del Fiume Verde è in realtà quello di Rimini Nord,
e che anche da lì la strada da prendere non è la Via Emilia, ma una strada stretta e tortuosa
che in meno di dieci chilometri di campi coltivati a ortaggi conduce prima in mezzo alle fab-
briche del distretto calzaturiero e, di lì, ai tre territori comunali. Scopriamo subito a nostre
spese che sul casello (che non c’è) si cristallizzano molti dei significati e del senso dell’ag-
gregazione “unione dei comuni del Fiume Verde”. Anche prima che esistesse questo Ente, il
casello autostradale è stato oggetto delle rivendicazioni circa il riconoscimento necessario
dell’autonomia e del peso del territorio. Nel momento in cui ne parliamo, è stata da posta
da un mese53 la prima pietra che porterà in due anni al varo, da parte della Società Auto-
strade.
L’unione del Fiume Verde tiene insieme tre territori amministrativamente separati che forma-
no un’unica grande conurbazione in cui le specializzazioni produttive si integrano e accaval-
Provincia
di Forlì-Cesena
Nuovo Casello
autostradale del Rubicone
GATTEO
MARTEDÌ
4 MAGGIO 2010
Conferenza
di presentazione
e posa della
prima pietra
del
elaborazione grafi ca e stampa a cura dell’Uffi cio Centro Stampa
della Provincia di Forlì-Cesena - maggio 2010
112
53 “Casello Autostradale Fiume Verde. Dopo 20 anni di attesa, posata prima pietra”. È stata posata que-
sta mattina a ζ la prima pietra del nuovo casello autostradale del Fiume Verde. Un'opera attesa da 20
anni che dovrebbe essere completata per il 2013 (Newsrimini.it, 4/5/10)
lano su confini quasi mai netti e visibili. “Noi stessi fatichiamo a capire dove finiscono i nostri
comuni”, ci dicono tra le prime battute i sindaci, nell’introdurre il leit motiv che sorregge la
decisione di presentare domanda di finanziamento dello studio: l’estrema integrazione del
territorio, che da tempo ha reso familiare la definizione di “città del Fiume Verde”. La confi-
gurazione dei confini sarebbe l’esito di lotte tra i tre comuni, ciascuno dei quali voleva avere
lo sbocco sul mare. Il rimando storico è facilmente riscontrabile con un giro sulla costa, che
dista meno di dieci chilometri dai capoluoghi: lo sbocco sul mare complessivo è una linea di
costa di poco più di due chilometri, con un comune - η - il cui waterfront si percorre in circa
un minuto a passo moderato: sono circa duecento metri di spiaggia, quella del grande
campeggio Fiume Verde (“uno dei più belli d’Europa”, dicono).
La piazza di η è ampia e confortevole, ai due lati - una di fronte all’altro - ci sono la chiesa e
il comune. Sul lato del comune, in un immobile storico con cui forma un unico corpo di fab-
brica, ha la sua sede storica la ‘Rubiconia Accademia dei Filopatridi’, storica istituzione de-
dita alla difesa della tradizione e alla promozione, tra l’altro, della lingua latina. Salendo le
scale del palazzo comunale mi colpisce il senso di ordine degli spazi, che accoglie il visita-
tore con un grande ufficio relazioni con il pubblico. L’ufficio del sindaco è all’ultimo piano, lì
ci attende il segretario comunale e due dei tre sindaci dell’unione: due sono al secondo
mandato con scadenza nel 2014, il terzo - sempre al secondo mandato - scadrà nel 2011.
Il sindaco-presidente dell’unione ci descrive le peculiarità del comparto-Fiume Verde. Il set-
tore economico trainante è storicamente il tessile-abbigliamento-calzature (TAC), con un’in-
cidenza particolarmente spiccata della manifattura calzaturiera per l’alta moda, da cui sca-
press L.If1E14/05/2010 Com'ere
di Forlì e Cesen a
Aperte le buste delle quattro offerte per capire cosa comporterà il Comune unico del Rubicon e
Studio fattibilità a gruppo bolognes eCi sono 240 giorni per presentare il piano, il referendum .forse nel 2011RUBICONE. Va avant i
la marcia verso l'orizzon-te del Comune Unico de lRubicone. Ieri mattinasono state aperte le bustedegli studi candidati a e-seguire lo studio di fatti-bilità della città del Ru-bicone: ad aggiudicarsi i lbando è la Co Gruppo Sr lBologna per un importodi 19mila euro (più Iva) . I lpresidente della commis-sione per il Comune Uni-co del consiglio dell'Unio-ne dei Comuni GianlucaMonti spiega : «hann opartecipato in 4 al bando ,
studi di Bologna e di Mo-dena», e ora che è stato de-ciso chi si occuperà di e-laborare uno studio di fat-
tibilità, non si perde tem-po, anche perché la sca-denza per il finanziamen-
to regionale è previst aper domani: «questa mat-tina parte la richiesta all a
Regione per avere il con-tributo insieme a tutto i lmateriale relativo alla
ditta che si è aggiudicatail bando» racconta Gia-
nluca Monti . Il contribu-to regionale per lo studi odi fattibilità sarà di 10 .400euro: «la cifra esatta do-vrebbe essere questa ma ,se tutto va bene, noi spe-
riamo di ottenere qualco-sa di più» .
Pagina 1 7
La
\
digaranzia al-i~~~I1 o
Per quanto riguarda in- scissero a fornirci il lavo- naie dell'Unione dei Co-vece i tempi, la Co Grup- ro entro agosto, già a set- muni del Rubicone avve-po Srl ha a disposizione tembre e ottobre si po- nuto lo scorso marzo, per -
240 giorni per elaborare trebbero raccogliere le ché, come aveva spiegat otutto il materiale sulla firme per il referendum e lo stesso Monti, «affidars ifattibilità del Comune u- quindi metterlo in piedi a un esterno è anche i l
nico - la "famosa" Città entro l'anno, in caso con- consiglio venuto dalla Re -del Rubicone dovrebbe trario si andrebbe a finire gione, per poter "svisce-comprendere Savignano, al 2011» . La decisione di rare" al massimo un pas -
San Mauro e Gatteo - ma affidare a un soggetto e- so così complesso e nuov onon è escluso che il lavoro sterno lo studio di fattibi- come l'unione di tre am-venga finito prima, o al- lità per il Comune unico ministrazioni comuna-
meno così auspica il con- era stata votata nel corso li» .sigliere Monti: «se riu- del consiglio intercomu-
Miriam Fusconi
113
turisce un infinito indotto di sub-fornitura che parte dal tacco per arrivare alle tomaie e ai
prodotti finiti, con marchi di prima grandezza a livello mondiale. Si narra della presenza di
una “forte cultura manifatturiera” storicamente innervata sul territorio grazie a un processo
di mimesi e progressiva creazione di ricchezza, che ha fatto di questo territorio un piccolo
ma molto fiorente distretto industriale. A questa vocazione si aggiunge il turismo, che nono-
stante l’estensione ridottissima della costa è molto significativa: la stessa η, con una sola
struttura ricettiva, fa registrare un numero consistente di presenze, al punto che - grazie al
connubio con i tratti storici dell’entroterra e la presenza di una grande superficie commer-
ciale sul territorio, il Romagna Center - ha recentemente richiesto e ottenuto di essere quali-
ficato come “comune a prevalente vocazione turistica”.
Che si parla di fusione tra i tre comuni saranno “non meno di vent’anni”, assicurano. Il co-
mune unico è “l’unica cosa che possiamo fare”: i margini di manovra dei comuni si sono
limitati a tal punto che “non ci resta che passare alla Storia”, completando un processo di
riforma istituzionale radicale e, per una volta, davvero rilevante per il nostro territorio. Una
riforma istituzionale che formalizzerebbe ciò che nella pratica esiste già, anche grazie alla
politica che nel 2005 volle l’unione con l’idea già molto chiara di dar vita a un comune uni-
co. Ma alla lunga, l’unione smette di essere utile: se non serve a fare la fusione “meglio tor-
nare ognuno a casa propria”.
I costi insiti nello stare e fare insieme sono elevati: l’ottenimento di un buon equilibrio tra ef-
ficacia ed efficienza nella gestione associata dei servizi non è automatico, richiede un inve-
stimento molto oneroso che va ben oltre le maggiori entrate che si ottengono dai trasferi-
menti regionali a supporto delle gestioni associate. Qui, è la polizia municipale associata a
offrire dell’unione, dicono gli stessi amministratori, la faccia “meno edificante”: la convenzio-
ne esiste da ormai tre anni, ma la percezione della popolazione è di un peggioramento radi-
cale del servizio. Comincio a riconoscere i contorni della lezione imparata a Ledro: anche
qui le cose non vanno bene, la gente “non ne può più dell’unione”. Anche qui, come là,
immaginare una soluzione radicale di fusione nasce (anche) dalla constatazione della sub-
ottimalità della configurazione cooperativa. O non sarà piuttosto che l’investimento in quella
configurazione è stato ed è poco convinto fin dall’inizio?
114
Sulla necessità di farla, la fusione, secondo i sindaci si registra un “consenso diffuso da par-
te della classe dirigente”. L’élite economica e politica non ha dubbi. Molto meno diffuso è il
consenso da parte della gente, nella percezione degli amministratori. Obiettivo del nostro
lavoro deve quindi essere lavorare per “la crescita di consapevolezza nella popolazione”:
bisognerà far capire cosa vuol dire essere ‘unici’, spiegare con chiarezza cosa ci si guada-
gna e cosa ci si perde. La stessa argomentazione l’avevamo già registrata sul Fiume Giallo:
per arrivare a una decisione informata, i cittadini dovranno avere chiari benefici e costi della
fusione. C’è fretta di iniziare e anche di finire, da parte del cliente c’è la necessità di con-
temperare i tempi di consegna dello studio e quelli politici delle scadenze elettorali. Tutti si
aspettano il referendum, ci dicono, referendum che la stampa54 ipotizza si potrebbe tenere
già nel 2011. Noi sappiamo che si tratta di una previsione del tutto priva di fondamento: an-
che solo i tempi giuridici che vanno dal deposito del progetto di legge da parte di un sog-
getto proponente fino al parere che il Consiglio Regionale deve produrre ci porterebbero
oltre il nuovo anno. Ma il dado ormai è tratto, e anche un lancio di agenzia ha il suo peso
nell’innescare un processo di progettazione di istituzioni in cerca di identità.
21/6 Prima consegna sul Fiume Giallo: teoremi perturbanti del cam-biamento.
Per rispettare formalmente il termine indicato a suo tempo nella proposta operativa (14/1), a
notte fonda tra il 31 di maggio e il 1 di giugno avevo inviato al solo circondario (non ai sin-
daci interessati) il rapporto di analisi. Il documento allegato veniva definito “propedeutico”
rispetto alle ipotesi progettuali tecniche. In generale, il rapporto allegato era in realtà poco
più di una bozza, con intere parti ancora da scrivere o da completare. Per la solita ansia da
prestazione arrivo all’ultimo, il giorno prima, e ottengo dal capoprogetto (messo di fronte al
fatto compiuto) di poter mandare senza che lui abbia potuto leggere alcunché.
Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 01 giugno 2010 1:21:19 GMT+02:00
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54”Studio di fattibilità a gruppo bolognese”. Ci sono 240 giorni per presentare il piano, il referendum forse
già nel 2011”, il Corriere di Romagna, 14/5/10. Nell’intervista a Gianluca Monti, consigliere di maggioran-
za e presidente della Commissione sulla fusione istituita in seno all’unione, considera il termine del 2011
come da accordi Le invio bozza del documento di analisi propedeutico all'elaborazione delle ipotesi operative di strutturazione del comune unico. Come vedrà, nel documento sono presenti alcuni spazi incompleti che stiamo terminando in queste ore: a brevissimo saremo in grado di inviarle versione completa. In particolare risultano in-completi: a) il paragrafo di analisi territoriale ed economica, b) la parte narrativa del capitolo in cui si descrive l'or-ganizzazione dei comuni, c) il paragrafo contenente una schematica analisi dei bilanci. In merito a quest'ultima specifico che la scheda di raccolta dati da noi predisposta e sottoposta di persona ai quattro referenti, in due casi (α e δ) non ci è ancora pervenuta compilata, nonostante i numerosi solleciti.
Resta inteso che ogni informazione contenuta nel rapporto è suscettibile di revisione, qualora se ne dovesse ri-scontrare l'inattendibilità ovvero la non opportunità di divulgazione. Di eventuali sviste ci scusiamo in anticipo.
Dell'intera terza parte, il progetto di fusione, sono presenti solo i titoli, che andranno riempiti nella fase finale del lavoro, a seguito di condivisione dell'analisi con le Amministrazioni.
con l'occasione Le invio i miei più cordiali salutia presto
Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 21 giugno 2010 12:10:24 GMT+02:00A: Giovanni Bernabei <[email protected]>, Stefania Dazzani <[email protected]>, Roberto Poli <sindaco@β.provincia.bologna.it>, Vanna Verzelli <sindaco@δ.provincia.bologna.it>Cc: Claudia Dal Monte <[email protected]>, Giovanni Xilo <[email protected]>Oggetto: studio di fattibilità comune unico Vallata del Fiume Giallo_RAPPORTO ANALISI
Gentilissime e gentilissimi, allego alla presente rapporto in oggetto, che come avrete modo di osservare ricomprende:
a) ricostruzione aspetti giuridico-normativi sul tema della fusioneb) analisi delle componenti essenziali del territorioc) analisi economico-organizzativa sulle singole Amministrazioni Comunali
La proposta operativa di strutturazione del comune Unico sarà oggetto di un documento a sè stante, i cui conte-nuti terranno conto in modo sostanziale di quanto emergerà dalla condivisione con Voi del presente documento.
A tale scopo chiediamo fin da ora la Vs. disponibilità per un incontro ristretto di presentazione e discussione delle evidenze raccolte, da tenersi nella data proposta del 5 luglio all'ora e luogo che Voi indicherete.
Resto a Vs. disposizione per qualsiasi chiarimento,
1. I comuni, specie se piccoli, sono al collasso, ed è indispensabile che crescano. Il primo
teorema è una prima variazione sul tema della ‘massa critica’ e guarda alla fusione co-
me risposta (grazie all’eliminazione degli sprechi, alla creazione di economie di scala,
ecc.) alle difficoltà di bilancio dei comuni.
SI No
- A malapena si riesce a coprire la spesa per i servizi e solo con l’applicazione di buo-na parte delle entrate straordinarie (in parti-colare oneri di urbanizzazione), in calo drammatico.
- I trasferimenti erariali sono in costante di-minuzione.
- Esistono fonti di reddito ancora non sfrut-tate a fondo, tutte da indagare.
- L’eventuale finanziamento regionale a sup-porto della creazione di un nuovo comune andrebbe a finanziare solo la parte corren-te, non gli investimenti.
2. Una Vallata ha bisogno di avere un unico centro decisionale che la governi. Se sul piano
dell’organizzazione strategica dei servizi - sportelli prossimali di erogazione e back office
di produzione - il policentrismo è un modello assodato, in termini politici la fusione è utile
alla riduzione dei costi decisionali e all’aumento del rendimento istituzionale in un conte-
sto in cui l’omogeneità della conformazione territoriale lo possono consentire.
SI No
- Al venire meno della comunità Montana è diventato evidente come il coordinamento delle politiche sia essenziale.
- Oggi tutte le politiche che come comuni siamo in grado di produrre hanno rilevan-za sovracomunale (di Vallata).
- Per avere maggiore “peso” (per contare di più, sia nel circondario sia in Provincia e Regione) è indispensabile crescere di di-mensione.
- L’andamento del settore turismo denuncia la difficoltà di programmare politiche di promozione unitarie.
- La riduzione dei comuni al rango di frazioni (e delle frazioni a “frazioni di frazioni”) di un Ente più grande determinerebbe la margina-lizzazione dei territori.
- La scala di Vallata è eccessiva per una programmazione efficace.
- Le singole specificità (le sagre, le manifesta-zioni, la cultura, ecc.) sarebbero inevitabil-mente sacrificate alla nuova identità collet-tiva di Vallata.
3. Per ottimizzare i servizi è bene condividerne la gestione. Una seconda variazione sul te-
ma della “massa critica” è insito nel terzo teorema: l’associazione della gestione tra più
118
enti è posta come opzione strategica giusta in se, in quanto consente il soddisfacimento
dei criteri di maggior efficienza, efficacia ed economicità.
SI No
- I servizi associati già oggi consentono di ottenere economie altrimenti impossibili.
- Il mantenimento di presidi sui singoli comuni (uffici URP) consentirebbe, grazie alle nuove tecnologie, di preservare l’ac-cesso per i cittadini dei territori ai servizi.
- Il controllo diretto da parte delle singole Amministrazioni è vitale per una risposta efficace alle esigenze dei cittadini.
- I servizi associati non sempre determina-no economie gestionali.
- L’accesso già oggi è reso più difficile, e in molti casi l’assenza di personale dislocato stabilmente in loco vanifica, di fatto, il servi-zio stesso.
4. Non è più possibile né necessario avere tutti i servizi sotto casa. Il quarto teorema sfata
provocatoriamente il tabù della prossimità dei servizi: emendando l’amministrazione dai
contenuti politici resta solo il “comune-sportello”, che grazie a nuove tecnologie e mutati
stili di vita dei cittadini-utenti può in quanto “servizio puro” essere sottoposto a raziona-
lizzazioni e ottimizzazioni.
SI No
- Già oggi buona parte dei servizi non sono erogati direttamente dai singoli comuni.
- L’utenza degli uffici si è nel tempo ridotta alle due categorie di anziani e immigrati: la maggioranza dei cittadini si reca solo in via residuale agli Uffici.
- La tecnologia può abbattere qualsiasi barriera spaziale per la condivisione di informazioni ed effettuazione di servizi (co-me già avviene per i demografici).
- I comuni non possono essere svuotati di tutte le funzioni, pena la perdita di control-lo sulla qualità delle prestazioni.
- Esiste una buona fetta di cittadini-utenti per i quali il comune rappresenta un presidio insostituibile del territorio.
- La telematica non potrà mai sostituire del tutto l’interazione tra persone.
Tentando di mediare, informandole, le posizioni tra favorevoli e contrari, lo studio evidenzia
una situazione caratterizzata da ampi margini di miglioramento sotto i diversi profili dell’or-
ganizzazione, la tenuta dei bilanci, e soprattutto la capacità di governare il territorio.
A quali conclusioni arriviamo? Di seguito le sintesi delle ‘dimostrazioni’ dei teoremi.
119
1. L’integrazione è un processo lento ma inesorabile. La crescita dimensionale produrreb-
be sull’amministrazione ricadute dirette sui bilanci comunali oggi in situazione di cre-
scente sofferenza. In particolare per quanto attiene la condivisione di personale risulta
evidente come la fusione rappresenti il punto di arrivo di un percorso che nei fatti è già
cominciato, con il trasferimento di funzioni prima alla comunità Montana e poi al circon-
dario, nella prospettiva di un’ulteriore estensione della quota di questi servizi ad ambiti
ritenuti finora rigidamente “interni”. Vero è che, fino a quando non ne dovesse subentra-
re l’obbligatorietà sovra-ordinata, è il “processo informale” di integrazione tra i territori a
determinare la necessità di un esito istituzionale di aggregazione (esteso alle Ammini-
strazioni).
2. Il capitale sociale aumenta se lo si con-divide. In quest’ottica, è significativa la presenza
di alcune ‘pratiche di fusione’ sul territorio, che – a partire da istanze della società civile
– descrivono quello che già può essere letto come territorio unico; sono esperienze co-
me quelle della Polisportiva di Vallata, o del Gruppo Scout che, insieme ai modelli diffusi
di movimento della popolazione su base sovracomunale fanno della Vallata uno spazio
compatto senza particolari sbavature. La dotazione di capitale sociale, con punte di par-
ticolare rilevanza nei territori più distanti dalla città capoluogo, rappresenta un elemento
di grande interesse le cui potenzialità, tuttavia, possono essere tanto più sfruttate se
messe al lavoro in un contesto più ampio in grado di fornire maggiore visibilità. Il capitale
sociale espresso dalle reti informali e dalle associazioni può produrre tanta più ricchezza
se condiviso.
3. Prove amministrative di affiatamento istituzionale. Si riscontra la presenza di interdipen-
denze anche molto marcate tra i comuni della Vallata del Fiume Giallo e gli Enti so-
vra-ordinati: la crescente quota di servizi associati, unitamente alla condivisione di per-
sonale pur se con modalità talvolta episodiche, descrive un contesto che è già integrato
pur se formalmente ancora intercluso nei rispettivi confini amministrativi. Il crescente ri-
corso a pratiche di cooperazione strutturata tra gli uffici dei vari comuni, sia in seno al-
l’Ente circondario sia mediante altre forme locali, dà la misura di come l’urgenza di una
visione d’insieme sia sentita non solo dai politici ma anche e forse prima di tutto da
quanti nei comuni lavorano ogni giorno, cercando con fatica di farli funzionare. La con-
formazione degli stessi uffici ancora non associati, poi, sostanzialmente identici per
120
struttura ma ben assortiti quanto a competenze e qualifiche contrattuali, rende la pro-
spettiva di una definitiva aggregazione ampiamente realistica.
4. Bisogna tornare a fare politica per il territorio. Oltre l’organizzazione, è l’impatto sulla po-
litica cui spetta l’elemento realmente peculiare e caratteristico – rispetto agli altri esiti
possibili della cooperazione inter-istituzionale, come l’unione – della fusione. L’impatto,
oltre a sostanziarsi in un contenimento delle risorse economiche e umane coinvolte,
elemento pure non trascurabile, va apprezzato in termini di maggiore qualificazione del
personale politico56. È evidente infatti come la possibilità di reclutare personale politico
sia inversamente proporzionale alla dimensione dei territori: crescere significa ridurre la
distanza dai centri decisionali (Circondariali, Provinciali, Regionali) rendendo più appeti-
bile un impegno politico con maggiori possibilità di incidere sul futuro del territorio.
L’impatto della fusione sulla politica declinata secondo i due argomenti della crescita quali-
tativa del personale (gli amministratori) e del contenimento dei costi vedrà - sul secondo -
una sollevazione compatta da parte dei diretti interessati. Nel documento avevo prodotto
una stima del costo complessivo della classe politica dei quattro comuni sulla base di stime
(dimostratesi completamente sbagliate) dei costi delle varie categorie (sindaci, assessori,
consiglieri). Giudicandola controproducente, i sindaci chiederanno - e sarà l’unico vero ap-
punto rispetto ai contenuti - di ‘pulire’ il testo da riferimenti economici.
1/7 Presentazione sul Fiume Verde: proiezioni, processi, scenari. Si-mulare il mutamento.
La politica - e i modi della rappresentanza politica - sono i nodi fondamentali attorno ai quali
le politiche di riordino territoriale provano a dire/fare qualcosa? Forse. Diamo per acquisito
che l’impatto più caratteristico le politiche di organizzazione istituzionale l’abbiano sulla poli-
tica (politics), dalla quale sono agite e sulla quale (retro)agiscono. Questo impatto va spesso
sotto il nome di ‘semplificazione’, termine che prefigura un esito che se su un piano termi-
nologico evoca un’interpretazione retorica che postula uno status quo ante di complessità,
121
56 Questa valutazione sarà ritenuta inopportuna e cassata in un secondo momento dal rapporto.
su un piano sostantivo richiama scenari di contrazione dei ‘costi della politica’ intesi nel du-
plice senso di costi organizzativi ed economici.
In quest’ultima connotazione (‘costo della politica’ come costi economici che è la collettività
a dove sopportare), la scivolosità del tema è ben nota: il lemma ‘costi della politica’ ha vis-
suto a metà del primo decennio del secolo una grande fortuna editoriale che, pur essendo
oggi in buona parte ridimensionata, continua ad allignare ai margini del discorso pubblico.
Se richiamato all’interno della prospettiva di un’argomentazione sui pro e contra della fusio-
ne di comuni, l’oggetto ‘costi della politica’ svela un corto circuito tra la politica che pro-
pende verso la propria dissoluzione e la politica che rivendica il proprio status di forza non
onerosa e non gravante sul territorio: la riduzione dei costi della politica, in breve, potrebbe
essere usato - strumentalmente - per perorare la causa della fusione.
Ma questo approccio non passa neanche il Fiume Verde.
La sera della presentazione a η arriva a poco meno di un mese dal primo incontro informale
tra noi e i sindaci. Scendiamo con i primi vacanzieri lungo l’A14, arriviamo in anticipo e, par-
lando d’altro, riusciamo a berci un aperitivo in piazza. La presentazione l’ho preparata il
giorno prima, nella grafica di copertina punto su un’idea di fusione che da tre elementi sim-
bolici dei tre comuni coinvolti (Pascoli, il ponte romano, il castello) riscopra un’identità stori-
ca (virtuale: rappresentata da una mappa) di aggregazione e omogeneità pre-amministrati-
va, pre-comunale. “Una nuova (id)entità” mette al lavoro (proiettandolo) il nesso ipotetico tra
UNA NUOVA (ID)ENTITÀDALL’UNIONE DI COMUNI ALLA FUSIONE. VERSO LO STUDIO DI FATTIBILITÀ. INCONTRO CON IL CONSIGLIO DELL’UNIONE - 1/7/2010 SAVIGNANO SUL RUBICONE
122
la nascita di una nuova entità (amministrativa) e la crescita di una nuova (id)entità che da
questo processo sia sancita, determinata.
La fusione di comuni viene in primo luogo definita in termini strettamente tecnico-giuridici
come “un processo volontario di revisione dei confini amministrativi che prevede, previa le-
giferazione regionale, l’aggregazione in un unico soggetto giuridico di una pluralità di Enti”.
Successivamente, la presentazione si sofferma sull’esiguità del gruppo dei “pionieri” che
hanno intrapreso (con successo) questa strada, cercando di vellicare l’orgoglio del pubblico
- costituito da consiglieri dell’unione e membri della commissione - facendo notare che la
scelta è “politicamente molto forte”; molto forte, tanto più se pensata da e per un territorio
diviso in comuni “grandi”.
L’elemento argomentativo centrale della presentazione è sintetizzato nella tabella che se-
gue, nella quale sono messi in relazione gli effetti della fusione certi o eventuali, in altre paro-
le ciò che la fusione comporta automaticamente una volta divenuta esecutiva e ciò che in-
vece può eventualmente determinarsi “se si lavora bene” e se in generale si compie il pro-
cesso di traduzione in pratica del dispositivo giuridico.
Di certo (esiti automatici)
Forse (se si lavora bene)
Semplificazione delle relazioni interorganiz-zative (rapporti tra Amministrazioni, Enti, ecc.)
Riduzione dei costi della struttura;
Riduzione dei costi della politicaMaggiore specializzazione della struttura e minore ricorso a consulenze esterne;
Aumento del “peso specifico” del territorio ovvero del suo peso politico
Razionalizzazione delle spese correnti a bi-lancio
Capacità di influire nella produzione di poli-tiche pubbliche
Come si vede, la “riduzione dei costi della politica” fa parte degli esiti rappresentati come (e
di fatto) certi ma politicamente non spendibili: ce lo conferma un intervento dal pubblico,
che reagisce alla presentazione lamentando il ricorso a questa argomentazione, giudican-
dola implicitamente qualunquista. Non sarebbe infatti il peso economico della classe politica
sulla collettività a essere al centro dell’attenzione e ad avere rilevanza politica e strategica,
123
quanto piuttosto gli esiti eventuali del processo: lo studio di fattibilità dovrà verificarne i mar-
gini di realizzabilità, ricorrendo ora all’analisi dell’esistente ora ricorrendo a casi benchmark
in grado di fare da sponda alle simulazioni.
9/7 Seminario sul Fiume Giallo: dimostrazioni, linee guida, defezione. L’arrocco sembra irreversibile.
Pochi giorni dopo è il turno della Val Fiume Giallo. Per venerdì pomeriggio è in programma
un seminario di presentazione ristretto ai sindaci sui risultati del rapporto consegnato a ini-
zio estate. Fa caldo anche ai piedi dell’Appennino, la riunione è stata fissata per le tre di
pomeriggio, in una δ deserta. Appena arrivati incontriamo Baldazzi, l’assessore di α che
invitiamo a un caffè al bar, nei pressi del comune. Già mentre aspettiamo al bancone, ci
chiarisce che oggi sarà il giorno della verità, il giorno in cui cioè α ribadirà - casomai ce ne
fosse ancora bisogno - la propria mancata adesione al progetto, qualunque sia l’esito della
discussione attorno ai contenuti dell’analisi. Il punto non è l’analisi, ma l’uso che se ne vuole
fare, e il comune ha chiaro che non intende aderire.
Le slide le ho messe in fila il giorno prima, lasciando da parte le sintesi analitiche più dia-
gnostiche rispetto a quanto rilevato. Quelle le abbiamo fatte prima di partire, in ufficio a Bo-
logna. Il titolo della presentazione esplicita fin da subito la natura problematica del processo
1
LO STUDIO DI FATTIBILITÀ PER LA FUSIONE DEI COMUNI DELLA VALLATA
DEL SANTERNO. INCONTRO DI PRESENTAZIONE E DISCUSSIONE
SULL’ANALISI - 9/7/2010 FONTANELICE
Verso la fusione?
C.O. GRUPPO SRL
124
di cui si discute, rappresentando, con sullo sfondo un diagramma simbolico della fusione, la
formula dubitativa.
La presentazione corre liscia. Tra i presenti figura anche il responsabile di tutti i servizi asso-
ciati dei quattro comuni, ex dipendente della disciolta comunità montana oggi in carico al
circondario. I sindaci sono interessati, pongono domande puntuali, sembrano interessati ma
nulla sembra turbarli o stimolare una qualche reazione. Sui costi della politica, di cui non c’è
traccia nelle diapositive, c’è un sussulto unanime. È uno dei pochi sussulti. “Meglio non
metterli”, una stima è fuorviante e genera inutili polemiche. Le rappresentazioni sintetiche
riescono a rievocare alla memoria degli interlocutori una serie di imprecisioni riguardanti al-
l’analisi di bilancio contenuta, rispetto alle quali - garantiscono - sarà loro cura attivare gli
uffici affinché producano un resoconto puntuale a breve: solo allora potremo procedere a
confezionare una versione revisionata del testo.
La scansione logica dell’argomentazione riprende i teoremi favorevoli alla fusione enunciati
nel rapporto57 provando a restituire alcune ‘dimostrazioni’ possibili, quadri diagnostici e in-
terpretativi a partire dai quali tentare una mediazione.
Crescere significa poter sopravvivere? I comuni non rischiano situazioni di collasso perché
adatteranno qualità e quantità dei servizi alle risorse disponibili, come già fanno. Vero è che
non hanno spazio autonomo per sviluppare nei loro territori nuove livelli, nuove risposte e
nuovi standard di servizi, anche per limiti normativi nazionali alla possibilità di espandere au-
tonomamente la spesa.
Chi governa oggi la Vallata? Nessuno governa la Vallata, e anche le poche politiche e leve
che si possono utilizzare per provare a promuovere e sviluppare economicamente il territo-
rio sono inibite o poco efficaci a livello di singolo comune. Una pianificazione congiunta, una
significativa riduzione dei costi burocratici per l’impresa e una partnership con altre Istituzio-
ni territoriali e regionali può aumentare la probabilità di un efficace governo di Vallata.
125
57 Cfr. Par. 21/6: 1) I comuni, specie se piccoli, sono al collasso, ed è indispensabile che crescano, 2)
Una Vallata ha bisogno di avere un unico centro decisionale che la governi, 3) Per ottimizzare i servizi è
bene condividerne la gestione, 4) Non è più possibile né necessario avere tutti i servizi sotto casa.
Gestioni separate? In assoluto è sempre vero che l’unione fa la forza, e che le economie di
scala, se gestite, riducono i costi dei servizi a parità di prestazione. Ciò è vero anche per
l’acquisizione di servizi esterni, per gli acquisti, gli appalti e la capacità di accedere a finan-
ziamenti straordinari. Le differenti situazioni di partenza sia in termini di costo dei servizi, sia
in termini di strutturazione, qualificazione, caratteristiche, suggeriscono una logica di nuova
strutturazione incrementale e progressiva, dando per scontato che il possibile nuovo comu-
ne garantirà la presenza su ogni territorio dei servizi di prossimità.
Razionalizzazioni. Nel medio-lungo periodo si assisterà sicuramente ad una ridefinizione dei
sistemi di erogazione dei servizi che renderà soprattutto per le attività di certificazione meno
rilevante la presenza di servizi sotto casa. Al contrario, numerosi servizi legati alla persona e
difesa/tutela manutenzione avranno sempre necessità di stare sul territorio. Nel breve pe-
riodo tutti i servizi a staff e non direttamente in contatto con i cittadini non hanno già ora
nessuna necessità di considerare il territorio
L’analisi organizzativa condotta è stata sintetizzata in 4 indicatori quali-quantitativi, utili per
rendere comparabili le dotazioni dei singoli Enti.
Qualificazione: descrive il livello di specializza-
zione professionale dell’organico, come sintesi tra
categorie contrattuali presenti, titoli di studio dei
responsabili e anzianità;
Economicità: descrive il peso economico della
macchina amministrativa, come sintesi tra inci-
denza per abitanti (vedi Figura 38) delle spese per
personale e spesa complessiva per i servizi consi-
derati;
Strutturazione: descrive il livello di solidità del-
l’organico, come sintesi tra copertura delle posi-
zioni previste in pianta organica e ricorso a figure
di supporto (a tempo determinato, part time, ecc.)
Interdipendenza: descrive la presenza di rappor-
ti organizzativi formali e informali tra l’Ente consi-
derato, gli altri comuni e i livelli sovra-ordinati, per
l’espletamento di funzioni o lo scambio di infor-
mazioni.
Sulla base dell’analisi di queste quattro variabili, rappresentate sinteticamente con grafici
polari, risulta possibile tracciare alcune linee diagnostiche: nessun comune da solo sarà in
grado di aumentare il livello di qualificazione del personale, a meno di aumenti significativi
dei trasferimenti o tassazione locale. Il livello di interdipendenza fra le strutture è già buono,
e potrà aumentare, ma non sarà risolutivo per la riduzione significativa dei costi di gestione
126
o degli investimenti necessari alla qualificazione del personale; i costi delle singole macchine
comunali, con un’eccezione, sono sicuramente ancora più comprimibili, prevedendo però
una ridefinizione verso il basso della qualità e quantità dei servizi erogati; le strutturazioni
complessive delle singole macchine comunali riflettono la loro progressiva perdita di auto-
nomia.
Cosa farà il comune unico? Di certo permetterà nuovi livelli di specializzazione e di conse-
guenza di qualificazione. Anche se in maniera graduale e incrementale la nuova struttura
sarà in grado di raggiungere a parità di prodotto migliori livelli di efficienza operativa e mag-
giore autonomia rispetto a fornitori esterni; le dimensioni del nuovo comune e le risorse già
presenti non permetteranno comunque una totale autonomia e qualità della macchina am-
ministrativa, raggiungibile solo mantenendo la logica di associazione con il circondario; qua-
lità del servizio e approccio alla costruzione del nuovo comune graduale significa dover pre-
vedere investimenti in formazione e tecnologie che garantiscano poli di erogazione dei ser-
vizi di prossimità in ogni ex comune.
Conclusa la presentazione, arriva il momento dei giro di tavolo. I primi scambi evidenziano
un generale apprezzamento per il lavoro svolto. Ci sono “alcuni passaggi da correggere”,
ma in generale, come primo quadro di sfondo, il risultato è chiaro: ciò che si rileva - dicono i
presenti - è che la fusione è giusto farla. Per ultimo, prende la parola il vicesindaco di α.
Apprezza nel metodo e come possibile approfondimento il lavoro svolto, ma ribadisce la
netta contrarietà del comune che amministra ad aderire all’ipotesi di fusione. Non esistono
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127
“nè i presupposti politici per farlo nè tanto meno reali necessità che rendano il passo un
passo obbligato”. L’intervento intende “porre fine a questi mesi di ambiguità”, in cui hanno
convissuto una formale (e tutto sommato collaborativa) adesione al percorso con la formale
e reiterata dichiarazioni di mancanza di volontà politica di seguire la direzione prefigurata.
Niente di nuovo, in realtà, ma di fatto quella posizione di chiusura fino a quel momento mai
presa sul serio, “tanto poi ci ripensano”, acquista qui e ora e con più nettezza una propria
definitività. Tanto basta per scatenare una reazione molto accesa in uno dei sindaci e la rea-
zione degli ‘autonomisti’, sempre più arroccati e sempre meno disposti a scendere a patti.
In un clima rovente, la discussione vira verso toni minacciosi: “quando avremo fatto io co-
mune unico ‘a tre’, quando voi sarete soli, vedremo se le condizioni con cui oggi potete
avere servizi dalle gestioni associate saranno confermate”. La defezione rispetto all’ipotesi
prefigurata di fatto determina l’impraticabilità di tutto il progetto, nonostante le reiterate batt-
tute rispetto alla possibilità di “farla a tre”. A tre non può fare, lo sanno tutti in sala, e si fa
strada la sensazione che la posizione di arrocco di α stia irreversibile.
27/7 Blitz sul Fiume Blu: politica creativa e ipotesi di governance. L’unione non basta: per chi?
Ce lo ripetiamo come un mantra dall’inizio: fondersi non è solo mettersi insieme. In ogni
passaggio in cui andiamo costruendo il know how con cui affrontiamo i casi e li infrastruttu-
riamo con nuove impalcature metodo-tecnologiche ci diciamo che la fusione è un percorso
(quasi) senza ritorno e che ci vuole tempo, che è ‘tutto politico’ e ben poco tecnico. Anche
perché, proprio qui sta uno degli elementi caratteristici della fusione: la relativa ‘ultimità’ (ul-
timateness) dell’atto in se e il suo carattere creativo.
L’idea di fondere istituzioni per crearne di nuove affascina: in chi ha responsabilità di gover-
no della cosa pubblica questa prospettiva di auto-distruzione creatrice - combinata con
l’urgenza e la voglia di poter essere artefici di una riprogettazione dalla base, e cioè dalle
istituzioni, del proprio territorio - sembra piacere sempre di più.
128
In un pomeriggio di fine luglio, con le valigie pronte per la montagna, mi trovo a fare punto
con il sindaco sull’andamento dei progetti che sta seguendo il mio assessorato. La giunta in
cui siedo governa un comune di circa 7.000 abitanti della provincia di Bologna, che dal
2008 fa parte dell’unione di comuni Fiume Blu, otto comuni per circa 70.000 abitanti. L’at-
tuale esperienza dell’unione è frutto della trasformazione dell’omonima Associazione, me-
diante un processo di cambiamento accompagnato dalla società per cui lavoro. Tra i vari
punti tutti di ordinaria amministrazione di cui discutiamo, c’è anche un progetto sperimenta-
le di riqualificazione dell’offerta commerciale del comune, progetto che vogliamo presentare
alla Provincia sperando che ce lo possa co-finanziare.
En passant, il sindaco mi chiede se mi risulta ciò che gli è stato detto da un comune amico:
i termini per il finanziamento degli studi di fattibilità sono stati riaperti, la scadenza è il 15 di
settembre. Dall’inizio dell’anno ci scambiamo battute su quanto sarebbe opportuno andare
verso la fusione, almeno tra i comuni più deboli del comparto, per dare un senso al nostro
mandato amministrativo e provare a fare qualcosa di utile per la comunità. Un’occasione
come questa sembra di quelle da cogliere al volo: un finanziamento per uno studio è un’oc-
casione, non è ovviamente vincolante rispetto all’esecuzione di quanto eventualmente do-
vesse emergere. Un’occasione per ragionare anche sull’unione: negli ultimi mesi la Direzio-
ne dell’Ente ha promosso prima una presentazione ai neo-amministratori sullo stato dell’ar-
te dei servizi associati e su possibili prospettive di crescita, avviando poi internamente la
realizzazione di mini-studi tematici, finalizzati a valutare la possibilità (e il gradimento da par-
te degli stessi amministratori) dell’estensione delle gestioni associate ad aree di servizi an-
cora saldamente in capo ai comuni.
Il sindaco mi rivela di aver già più volte accennato ai colleghi sindaci dell’unione della possi-
bilità di fondersi: con alcuni di questi il messaggio sembra aver attecchito, con altri meno.
Alla scala-unione (otto comuni) il tema non esiste: fantascienza. A scale intermedie - con
aggregazioni di 2-3 comuni - le fusioni appaiono possibili. È tutto da costruire: se si esclude
una fase storica nella quale tra due dei comuni58 (uno dei quali, il nostro) il tema della fusio-
ne era più o meno all’agenda politica, ora è impossibile rintracciarlo nel dibattito locale. Il
sindaco chiama il Direttore, anticipando il tema di cui poi parleranno più compiutamente in
giunta. Lei a sua volta, con noi in viva voce, chiama il mio capo, chiedendogli di proporre
129
58 ο e ρ.
una data a brevissimo per incontrare i sindaci e capire quali possono essere i margini per
costruire un progetto. L’incontro sarà il 6 di agosto.
La riunione vedrà la partecipazione di tutti i sindaci. In un giro di tavolo ciascuno avanza i
propri dubbi e le proprie aspettative sull’ipotesi in discussione: secondo alcuni è preferibile
la fusione dei comuni a gruppi di 2-3, secondo altri sono due i comuni che dovrebbero na-
scere da fusione. Durante la riunione inizia a farsi largo anche l’ipotesi della trasformazione
dell’unione in comune unico. A sorpresa, quest’ultima opzione risulta la preferita. Gli accordi
prevedono che venga prodotto un progetto di massima sulla base del quale sarà poi pre-
sentata la domanda alla Regione. Dalla montagna, dove mi trovo, seguo l’evolversi della
vicenda. Il progetto che sarà poi inviato all’unione si apre rilevando l’insoddisfazione dei
comuni rispetto alla soluzione-unione, vista come parziale: “l’esperienza di unione da una
parte è giudicata dai comuni come molto positiva sia in termini di maggiore capacità di effi-
cienza sia in termini di maggiore efficacia, ma dall’altra è vista come una soluzione parziale
ai problemi e alle opportunità che oggi devono affrontare gli enti locali”.
130
Per quanto performante, si argomenta, “l’unione di comuni non riesce a risolvere integral-
mente le problematiche di dispersione delle risorse, delle competenze e lo scarso potere di
tutela e promozione del territorio che ogni comune dell’unione subisce”. L’elemento portan-
te dell’argomentazione è la forza dell’unione e la quantità dei servizi che le sono delegati,
qui viene rovesciata in elemento di potenziale criticità: la progressiva unificazione dei servizi
“avvicina progressivamente i comuni aderenti alla Fiume Blu-Galliera alla paradossale situa-
zione di essere ente autonomo sottoposto a tutte le leggi dello Stato anche se sempre più
privo di funzioni gestite direttamente”.
Nella tabella che segue, l’articolazione dei prodotti proposti nell’offerta.
Studio di fattibilità per la realizzazione
di un progetto di fusione fra i comuni di
Argelato
Bentivoglio
Castel Maggiore
Castello D’Argile
Galliera
Pieve di Cento
San Giorgio di Piano
San Pietro in Casale
Agosto 2010
C.O. Gruppo S.r.l.
!
131
Ambito di analisi e progettazione
Output previsti
Dimensione po-litica – istituzio-nale
- Mappatura delle “opinioni”, delle resistenze, delle criticità e opportunità perce-pite dagli stakeolders che operano nell’ambito dell’unione e dei singoli comuni.
- Taratura dell’analisi e del progetto in funzione delle criticità e opportunità indi-cate.
- Taratura del processo di informazione e comunicazione per garantire informa-zioni sul processo di scelta e conoscenze delle poste in gioco.
- Ipotesi di costruzione di un sistema di rappresentanza e tutela “diffuso” su tutti i territori e comunità fondatori.
Dimensione normativa e procedurale
- Percorso procedurale di fusione e tempi possibili;
- Report sull’impatto della fusione su trasferimenti e incentivi economici
- Supporto alla definizione di una road map regolamentare per il nuovo comune.
Dimensione or-ganizzativa e di servizio
- Report di analisi comparativa dei servizi gestiti dai comuni e indicazione per ogni linea di servizio delle azioni necessarie, dei punti di attenzione del livello di priorità.
- Analisi e simulazione nel medio – lungo periodo dei possibili risparmi economici per la gestione dei servizi nel “grande comune” e dei possibili recuperi di effi-cacia delle prestazioni di servizio.
- Macro progetto e descrizione delle caratteristiche che dovrà avere la struttura del “grande comune”.
Supporto agli apparati politici e istituzionali dell’unione e dei comuni
- comunicazione delle finalità del progetto e i risultati dello studio di fattibilità
- Predisposizione di materiali documentali inerenti i contenuti e le finalità dello studio
- Predisposizione di materiali documentali relativi alle conclusioni e ai contenuti
- Attività di presentazione dei risultati presso stakeolder, amministrazioni e citta-dini.
In ragione dell’entità del bacino territoriale da studiare, i costi di produzione dell’offerta sal-
gono. Quelli indicati all’interno dell’offerta che andrà allegata alla domanda di finanziamento
saranno la metà di quelli reali: d’accordo con i sindaci, infatti, sarà necessario un coinvolgi-
mento molto forte dei privati (in particolare associazioni di categoria), i primi ad essere inte-
ressati a un quadro come quello che prospettato. In chiusura dell’offerta si propone infatti di
costituire un “comitato di garanti aperto alle forze sociali ed economiche del territorio” che
garantisca un approccio trasparente all’indagine, un presidio non solo di natura politica, il
coinvolgimento di tutte le forze vive e attive della comunità del territorio. Il Comitato di Ga-
132
ranti sarà chiamato ad analizzare i risultati dello studio a dare una valutazione sul processo
di scelta, a suggerire le azioni volte a coinvolgere la popolazione dei comuni.
Affiora l’idea secondo cui il processo di revisione del confine non possa generarsi se non
all’interno di una rete d’azione locale, nella quale le Istituzioni colgono le istanze di riforma
espresse dagli attori politici privati; un’idea secondo cui, quindi, lo sforzo anche economico
per dare il via al dibattito (mediante il dispositivo studio di fattibilità) deve necessariamente
godere di un ‘sostegno reticolare’ da ricercare tra gli attori rilevanti del territorio. Potrebbe in
altre parole risultare efficace, questa è l’idea, tentare di costituire una ‘santa alleanza’ tra
amministrazione e stakeholder dotati di una qualche rilevanza e capacità di investire risorse
per far passare l’idea della fusione. Se bastino questi attori (chi sono gli ‘attori’?) a fare un
progetto di design istituzionale, cercheremo di capirlo.
19/8 Indagine di mercato: lo sciame della fusione. Vantaggio competi-tivo su un prodotto difficile.
Subito dopo Ferragosto comincia una fase riflessiva sul lavoro che stiamo conducendo. La
frequentazione del terreno delle fusioni ha portato alla creazione ex novo di un database
aggiornato in “tempo reale”59, che mediante l’osservazione e raccolta delle tracce di dibattiti
locali sul tema (mediante un monitoraggio sistematico delle occorrenze in rete) è arrivato in
poco tempo ad individuare 27 tracce - più o meno profonde - su base nazionale. Questo
monitoraggio nasce con l’obiettivo di conoscere e dominare, circoscrivendolo, quello che
sulla base della nostra esperienza si sta configurando come ‘nuovo mercato’. Arrivare prima
degli altri, avendo costruito un know-how specialistico: è con questo obiettivo che arrivo
27 potenziali nuovi “comuni unici” composti mediamente da 4,5 comuni, per un totale di
125 comuni potenzialmente coinvolti, poco meno di un milione di abitanti.
133
59 Si è ricorso allo strumento “alert” messo a disposizione da Google: è possibile attivare il servizio di
segnalazione automatica dell’occorrenza di lemmi all’interno della rete. Il servizio consente la ricezione di
mail di segnalazioen contenenti i link agli articoli all’interno dei quali compare il termine ricercato.
Di quali esperienze si tratta? Dall’osservazione del database, caso dopo caso, segnalazione
dopo segnalazione, scossa dopo scossa, s’iniziano a intravedere alcuni primi possibili rag-
gruppamenti. Un primo gruppo, cui appartengono 8 casi (di cui 5 in Emilia-Romagna), è
composta da piccole-medie esperienze in essere di “unioni di comuni” (in media composte
da quattro comuni), in cui è maturata la consapevolezza della necessità di un ‘salto di quali-
tà’ verso l’integrazione istituzionale che, pur non essendo più obbligatorio, arriva a porsi
come indispensabile una volta raggiunto il punto di non ritorno, quando cioè l’aver condivi-
so molte delle pratiche amministrative dei comuni aderenti conduce a uno svuotamento so-
stanziale del comune. In alcuni casi l’esito aggregativo si rintraccia come riferimento esplici-
to nei documenti costituenti (Statuto) delle unioni.
Un secondo gruppo di 4 casi riguarda alcune “regioni storiche” (che raggruppano in media
9 comuni) che vedono crescere dibattiti “dal basso” nel segno di aggregazioni tra comuni in
grado di dar vita a Entità amministrative che se per popolazione eguaglierebbero molti e
supererebbero alcuni capoluoghi di Provincia, per vastità territoriale si porrebbero come
inedite “Province Comunali”: è il caso della Toscana, con il Casentino o il Valdarno60, ma
anche del Veneto, con il Cadore).
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Caso Tipologia Area RegioneUnione/
CM
N.
Comuni
Abitanti
teorici (ca.)Dim. media Comuni Note
Presenza
online
Abruzzo
Teramano
Teramano
Marrucina
Geografica Centro Abruzzo NO 3 40.000 Atri, Pineto,
Silvi
Storicamente Comune unico
(Atri), poi diviso in periodo
fascista. Oggi viene costituito
un comitato per riattivare il
dibattito pubblico attorno
all’idea di riunificazione.
Geografica Centro Abruzzo NO 2 22.000 Tortoreto,
Alba Adriatica
NO
Unione Centro Abruzzo SI 2 2.000 Arielli e
Poggiofiorito
NO
Fusioni di Comuni in Italia. Schema riepilogativo dei dibattiti e delle progettualità in corso (aggiornamento al 2/9/2010).
134
60 Il “comune Unico del Casentino”, progetto promosso a partire dall’estate del 2010 dalla locale sezione
della Lega Nord prefigura la nascita di un comune sparso di 13 Enti per circa 45.000 abitanti. Il “comune
Unico della Valdarno”, ambizioso progetto promosso nel 2007-2008 da un gruppo d’imprenditori e forze
locali per la costituzione di un comune sparso di enorme estensione di 10 Enti per circa 90.000 abitanti.
Un terzo gruppo di 14 casi definiti ‘geografici’, la metà del totale, composto da territori ver-
gini quanto a pratiche di cooperazione inter-istituzionale pregresse, ma che vedono al pro-
prio interno crescere il germe della fusione in modo strisciante, prima con la costituzione di
un Comitato, poi con la creazione di un gruppo di discussione su Facebook, poi con la rac-
colta delle firme, e così via.
Tipologia comuni unici Media di Abitanti teorici (ca.)
fusione, b) i contenuti minimi dello studio, c) i criteri di ripartizione delle spese tra i comuni
convenzionati.
A Bologna è ancora piena estate. Alla riunione partecipano il Direttore dell’unione Rumpia-
nesi e il Sindaco del comune di κ, Ruscigno,che avrà trentacinque anni, un grande entusia-
smo anni e una delega da parte dei colleghi della Giunta dell’unione a occuparsi di riforme
istituzionali. Ci spiegano che già nel programma di mandato si parla del rafforzamento del-
l’esperienza dell’unione con l’esplorazione di ipotesi di aggregazione strutturale e istituzio-
nale, cioè di fusione. Il tema è presente nel dibattito politico da almeno dieci anni, quando
ancora l’unione era una comunità Montana, prima che ne venisse proposto lo scioglimento
con il Piano di Riordino Territoriale Regionale62. Di dibattito pubblico, neanche a parlarne.
Oggi l’unione appare un’esperienza solida e consolidata, con servizi associati di Sportello
unico attività produttive, Polizia municipale, Protezione civile, Trasporto scolastico, Gestione
del Personale, Ufficio di Piano PSC,Sistemi informativi associati, Servizio informativo stati-
stico, Progettazione e direzione lavori, URP sovracomunale. Quindi, cosa vogliono da noi?
Vogliono che montiamo uno strumento in grado di dimostrare se quest’opzione di riforma
istituzionale (la fusione) ha senso o no, se tiene o no. Da quello che raccontano si capisce
che, nel discorso locale, è attualmente possibile circoscrivere due flussi (streams, nella ter-
minologia usata da Kingdon, 1984) che descrivono il territorio di progetto come un motore
a geometrie variabili: uno che vede come unica ipotesi possibile la fusione ‘a cinque’ (tra
tutti i comuni oggi aderenti all’unione), l’altra che invece immagina si possa andare verso
un’unione ‘a quattro’ che sia composta da due degli attuali comuni più altri due esito di al-
trettante fusioni. Esiste quindi una scuola di pensiero secondo cui la fusione non deve san-
137
62 Ai sensi della LR 10/08, “Misure per il riordino territoriale, l'autoriforma dell'amministrazione e la razio-
nalizzazione delle funzioni”. il formale insediamento dell’unione di comuni Valle del Fiume Rosso a decor-
rere dal 23 settembre 2009.L’unione di comuni subentra a titolo universale a tutti i rapporti attivi e passivi
della comunità Montana Valle del Fiume Rosso che ha cessato l’esistenza contestualmente all’insedia-
mento dell’unione. L’istituzione dell’unione mediante la trasformazione della comunità Montana è discipli-
nata dalla L.R. 10/08 e dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 45 del 27.02.2009.Il presente
sito è in corso di revisione.
cire il superamento delle gestioni associate, che anzi sarebbero rinforzate. Il dibattito non
esiste, non è mai partito. Una cosa chiara, racconta il Sindaco, è che “nessuno vuole rinun-
ciare all’unione”, anzi c’è chi arriva a immaginarsi una scala di Distretto per il ridisegno isti-
tuzionale.
È la rappresentanza il tema che preoccupa di più questo cliente: esistono forme intermedie
in grado di mitigare gli effetti di una semplificazione del quadro politico di questa portata?
Quali strumenti giuridici sono possibili (che non siano un Quartiere, una Circoscrizione),
qualcosa di più o di diverso: nell’ambito delle proprie competenze la Regione può o no isti-
tuire forme alternative di rappresentanza?
Nei due giorni seguenti l’incontro produciamo un’offerta per la realizzazione dello studio. Gli
output previsti sono gli stessi contenuti nella proposta per la Fiume Blu. Sono articolati se-
condo tre ambiti principali di analisi e progettazione, da quella politica-istituzionale in cui ri-
vestono pesi centrali la mappatura delle opinioni (degli stakeholder) e l’individuazione di
modelli di rappresentanza “diffusa”, a quella organizzativa, in cui trova spazio un approfon-
dimento sulle economie derivanti dalla fusione in termini di contrazione della spesa e ridu-
zione degli sprechi, su cui stiamo lavorando per la consegna finale del Fiume Giallo.
9/9 Una delibera non basta: un (mezzo) passo falso sul Fiume Blu.
Il progetto per la fusione degli otto comuni della Fiume Bludiventa oggetto di una delibera di
giunta dell’unione del 9 di settembre, in cui si dà atto (richiamando quanto riportato nell’offerta
tecnica) che “nell’esperienza dell’unione sussistono dei limiti fisici e strutturali alla capacità dei
piccoli comuni e medio piccoli di ridurre i costi, migliorare la capacità di risposta, potere effet-
tuare investimenti e nel contempo garantire la migliore e più efficace capacità di rappresentanza,
tutela e promozione del proprio territorio e che “l’aumentare la capacità degli Enti Locali di otti-
mizzare le funzioni di rappresentanza e l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici locali è tanto
più urgente in una situazione di progressiva riduzione delle risorse pubbliche, di generale difficol-
tà, se non vera stagnazione dell’economia, e di aumento della competitività fra territori a livello
nazionale e internazionale”. Il testo si lancia poi in una pericolosa affermazione secondo cui l’at-
tività dell’unione “ha contribuito a creare aspettative di un complessivo miglioramento del siste-
138
ma formato dall’unione e dai comuni e ha determinato un proficuo confronto tra i soggetti politi-
ci e istituzionali dell’ambito territoriale” di riferimento dell’unione e che tale miglioramento “è
possibile solo se si procede a una revisione dell’assetto istituzionale nella direzione di una sem-
plificazione del quadro politico e organizzativo. Una visione molto tranchant, questa, che di fatto
mette in discussione l’esperienza unione in modo inequivocabile: procedere a una “revisione
dell’assetto istituzionale” equivale ad affermare che la scelta di costituirsi in quel modello, l’unio-
ne di comuni, ormai è superata. Ormai, si argomenta, lo sfruttamento ed ‘efficientamento’ (co-
me si dice con brutto gergo ‘amministrativese’) delle gestioni associate e di ciò che l’unione do-
vrebbe essere in grado di dare - un assetto di governance al territorio - non è più possibile.
Questa diagnosi è condivisa, o meno, ma l’abbiamo dettata noi.
Ma una delibera di giunta dell’unione ovviamente non basta. La giunta dei sindaci decide di
forzare la mano, conscia del rischio politico che corre: la domanda ha buone probabilità di esse-
re rigettata. Mi confermeranno63 anche esponenti autorevoli della Regione che, dopo una prima
fase nella quale nelle istruttorie non era stato richiesto un tale livello di formalizzazione dell’impe-
gno da parte dei comuni, oggi l’orientamento preso dal Settore Affari Istituzionali è di considera-
re imprescindibile la presenza di pronunciamenti ufficiali - atti formali che formalizzino una forma
DELIBERA GIUNTA DELL'UNIONE
N. 25 del 09/09/2010
OGGETTO: STUDIO DI FATTIBILITA’ PER LA RIORGANIZZAZIONE E
SEMPLIFICAZIONE ISTITUZIONALE DEL TERRITORIO DELL’UNIONE RENO
GALLIERA, COMPRENDENTE LE IPOTESI DI TRASFERIMENTO DI NUOVE
COMPETENZE ALL’UNIONE, FUSIONE TRA COMUNI, FUSIONE IN UN UNICO
COMUNE.
Nella Sede dell’Unione alle ore 15:00 del seguente giorno mese ed anno:
09 Settembre 2010
In seguito a convocazione del Presidente ai sensi dell’art. 50 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e’ riunita la Giunta dell’Unione nelle persone dei Signori: MONESI MARCO P TOLOMELLI ANDREA P LONGHI VLADIMIRO P GIOVANNINI MICHELE P
GUALANDI VALERIO P VERGNANA ANNA P MACCAGNANI SERGIO P BRUNELLI ROBERTO P
Partecipa la Dott.ssa BERTI NARA Direttore. Il Presidente, MONESI MARCO riconosciuta legale l’adunanza ai sensi dell’articolo 47 del D.Lgs. 267/2000 e dell’articolo 20 del vigente Statuto dell’Unione, invita la Giunta a prendere in esame l’oggetto sopra indicato.
139
63 Vedi par. “14/1/11”
di convenzionamento64 tra ciascun ente e gli altri che fanno parte della “cordata” - da parte dei
Consigli. Il ragionamento della Regione è semplice: è vero che uno studio di fattibilità non impe-
gna gli Ente che lo promuovono a procedere, ma è altrettanto vero che trattandosi di risorse
pubbliche è giusto che a monte vi sia almeno l’adesione dell’unico organo democraticamente
(perché composto di eletti) rilevante dell’Ente Locale: il Consiglio Comunale.
La domanda viene quindi inviata corredata da delibera, con la speranza che in caso di resi-
dui questi possano essere eventualmente destinati a domande ‘incomplete’: sappiamo che
a presentare domande per il finanziamento di studi di fattibilità ci sarà anche, come minimo,
la Val Fiume Rosso, dove però i Consigli Comunali dei vari comuni le delibere di convenzio-
namento le stanno votando a ritmo serrato in questi giorni. Cerchiamo rassicurazioni, ma
tutti sappiamo che le possibilità di ottenere il finanziamento sono pochissime.
17/9 Tra i Sindaci del Fiume Verde: abbattere i campanili? La difficile proiezione dell’identità
Alla ripresa di settembre si torna sul Fiume Verde. La domanda di finanziamento è stata nel
frattempo accolta positivamente: a questo progetto sono destinati 10.400 euro di finanzia-
menti regionali, stessa cifra prevista per un altro studio commissionato all’Università di Par-
ma da una piccola unione di comuni del parmense.
Oggi sono in programma incontri con due dei tre sindaci: come per il Fiume Giallo, anche
qui partiamo dalle aspettative della committenza per l’inquadramento del problema. Arri-
viamo separati all’appuntamento a η. In ipotesi, per me, c’è un passaggio per la Val Fiume
Giallo al ritorno - sono in attesa di dati dall’Ufficio Personale -, mentre il capo proseguirà per
Rimini nel pomeriggio. Il tempo è brutto, lungo l’autostrada lanciato ai 140 km/h penso alle
cose da fare. Nei giorni precedenti ho predisposto una bozza di indice del rapporto: avevo
140
64 Per la ratifica delle convenzioni tra Enti pubblici è competente il Consiglio Comunale. Nell’individuare le
caratteristiche dei beneficiari dei finanziamenti, la Regione afferma esplicitamente che (art. 1 DGR 354/03)
che Possono accedere ai contributi previsti dall'art. 17 della L.R. n. 11/2001, nei limiti delle risorse dispo-
nibili, i comuni che abbiano stipulato una convenzione per l'affidamento congiunto di un incarico profes-
sionale esterno per la predisposizione di un progetto di riorganizzazione sovracomunale delle strutture,
servizi e funzioni, in vista della costituzione di una unione, Associazione intercomunale o fusione”.
iniziato a lavorarci in tFiume Blu la settimana prima, il risultato è un tentativo di aggiustare il
tiro rispetto al rapporto Val Fiume Giallo che - stiamo cominciando a esserne sicuri - non
coglie nel segno. Qua oso di più, scendo da subito nell’operativo e articolo i paragrafi par-
tendo da un’introduzione di sfondo sul ruolo delle città “Il mondo è cambiato: globalizzazio-
ne e nuovo ruolo per le Città: la realtà è cambiata, tra confini comunali e nuove strutture ter-
ritoriali”. Proseguo con un capitolo centrale (in ‘negativo’) sui costi della mancata aggrega-
zione tra i comuni: adeguatezza, sussidiarietà, differenziazione65 come possibile schema di
analisi. Processi decisionali, processi produttivi, capacità progettuale diventano le variabili
descrittive di come l’attuale configurazione dis-aggregata impatta sull’azione di governo del
territorio: la tesi sostenuta è che i costi eventuali della disaggregazione si paghino in termini
di minore capacità di governo. Concludo con la descrizione della ‘nuova identità’, con l’arti-
colazione dei passaggi tecnici e la descrizione dello studio di fattibilità per la fusione. Oltre
all’indice, funzionale all’incontro con i sindaci è un GANTT di progetto, preparato in base a
quanto contenuto nell’offerta tecnica.
Secondo i Sindaci la volontà di procedere nella direzione di un consolidamento tra i municipi
dell’area è diffusa tra tutti gli strati della società locale. In particolare, si registra un diffuso
favore verso l’ipotesi tra le forze sociali organizzate e gli attori economici66, fautori da tempo
della necessità di una semplificazione. Ribadiscono, come nel primo incontro, che nella
‘nomenclatura’ l’accordo è sostanzialmente unanime, non così nella cittadinanza (‘la pan-
cia’, secondo l’espressione di uno dei sindaci), tra le cui fila si registra un diffuso scettici-
smo. Viene descritto un ambiente nel quale è ancora viva nei cittadini la percezione affettiva
del ‘campanile’, che al contrario si dà per superato nelle pratiche concrete di vita e di lavo-
ro: si vive un’unica città, salvo poi ricordarsi della “propria” come adesione romantica ad
un’idea. Evocando il ruolo di guida dell’élite amministrativa sulle grande scelte istituzionali, i
141
65 Ci riferiamo ai tre principi fondativi dell’Amministrazione pubblica indicati dalla Carta Costituzionale
all’art. 118.
66 Pochi mesi prima dell’incontro, mentre era in corso la procedura per l’affidamento dell’incarico, si or-
ganizzava a η un convegno “Fiume Verde, una città possibile”, che metteva a tema “l’annosa questione
della Città del Fiume Verde”, organizzato dalla Confartigianato locale alla presenza di numerose autorità.
In quella sede da parte degli imprenditori giungeva forte la richiesta di "creare sino in fondo questa Città e
fare il salto di qualità passando dalla semplice gestione comune dei servizi alla promozione di politiche di
sviluppo comuni e integrate per le imprese del Fiume Verde".
sindaci concordano sul fatto che va evitato il rischio di una frattura tra ‘testa’ (amministrato-
ri) e ‘pancia’ (cittadini).
Però l’identità dopo un po’ affiora, nell’argomentazione. Alcuni primi contrasti si riscontrano
sul piano terminologico-simbolico: quale nome sarà in grado di rappresentare sinteticamen-
te i tre territori? Sarà possibile trovare un nome singolare, in grado di tenere dentro tutta la
complessità plurale di tre entità che scelgono di diventare una? Ogni riferimento diretto a
ciascuna degli elementi costitutivi dei tre ex-comuni squilibrerebbe l’appartenenza: per
questo “meglio pensarci bene”. Già oggi il dibattito circa l’intitolazione del casello autostra-
dale ha reso evidente quanto la questione abbia notevoli riflessi operativi: da San Mauro il
Sindaco fa sapere la propria contrarietà all’idea di attribuire al comune che eventualmente
dovesse nascere dal processo di fusione il nome di “Città del Fiume Verde”. A “città” an-
drebbe senz’altro preferito il termine “comune”, con l’appellativo “Fiume Verde-Pascoli” per
non disperdere una parte rilevante dell’identità locale.
Cosa vogliono i sindaci dallo studio? Lo studio deve offrire, prima di tutto ai cittadini, rispo-
ste circa i cambiamenti che l’ipotesi in esame comporterebbe: deve chiarire cosa si perde,
15 settembre 2010 22:37
Fase
MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11MESI 10/11Note di lavoro
sulla fusione in qualità di campione degli oppositori, è morto da appena qualche settimana.
Iniziamo la chiacchierata parlando dei nostri rispettivi percorsi, che scopriamo essersi incro-
ciati nella comune frequentazione universitaria.
Questa è una sintesi delle principali linee argomentative sviluppate.
1. Autodeterminazione. “Ne ho parlato con vari amministrativisti: l’autonomia dei territori è
un bene che non può essere messo in discussione. La negoziabilità rispetto al valore
intrinseco dell’autonomia si dà solo a fronte di ragioni molto forti: sarebbe ragionevole
parlare di fusione solo qualora l’idea scaturisse dal territorio e da chi lo abita. L’autono-
mia potrebbe messa in discussione nel momento in cui dovessimo alzare bandiera
bianca e non farcela più”. L’autonomia è sacra, in quanto tale un valore inalienabile e
che può essere persa - salvo previsioni diverse del legislatore, che appaiono molto im-
probabili - solo qualora vi sia un’autodeterminazione in questa direzione. Perdere l’auto-
nomia significa smettere di avere amministratori meno presenti, meno “sul pezzo”, inca-
paci di leggere il territorio in modo davvero originale. Si dice: se non ci sei immerso, non
puoi davvero capire quali sono i bisogni di un territorio, il che in un certo senso rende
inefficaci gli strumenti consolidati di conoscenza a supporto del governo. Il locale divie-
ne quindi un bene inaccessibile e indisponibile se non all’interno di un microscopio auto-
referenziale.
2. Solidarietà politica. Ma poi qual è la scala giusta per un comune? Chi decide la dimen-
sione? Il problema è tutto politico. Così come solo politica è la soluzione. Oggi il nodo
attorno al quale si stanno giocando gli equilibri del circondario Imolese è quella dell’ado-
zione del nuovo Statuto dell’Ente. La Segretaria Generale me ne aveva parlato nel no-
stro primo incontro: già dall’inizio dell’anno, a seguito dell’emanazione del Decreto “Cal-
deroli”68 si era reso necessario un ripensamento del sistema governo dell’Ente: durante
l’anno si è aperta la fase di modifica dello Statuto, chiamato a riscrivere la rappresen-
tanza dei singoli comuni all’interno degli organismi (Consiglio, Giunta, Ufficio di Presi-
denza). “La vera partita è quella dello statuto”, mi conferma: verso fine estate emergono
alcuni nodi che portano molti dei comuni a rifiutarsi di firmare il documento: tra questi
148
68 Il riferimento è al DL 2/10 recante “Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni” (G.U. n. 20 del
26/01/2010, convertito in Legge il 23/3/10
figura anche α, che non vede di buon occhio molte delle previsioni contenute nella boz-
za di riforma la cui adozione si dovrebbe deliberare in consiglio comunale: ad esempio,
non è previsto il recesso dall’ente di secondo grado. Non sarebbe quindi più l’ente di
primo a governare il secondo, ma il contrario. Imola è il capoluogo. La sua classe politi-
ca rivendica da sempre un’autonomia crescente nei confronti di Bologna e oggi la parti-
ta del comune unico appare strettamente connessa alle sorti che può avere il circonda-
rio, l’Ente di secondo livello che da “sub-provincia” si sta trasformando in “super-unio-
ne”: il prezzo da pagare per poter fare quadrato attorno a Imola è la non belligeranza del
centro nei confronti dei comuni più periferici. La compattezza del quadro politico locale
è alla base di buona parte di tutti gli schemi strategici che fanno perno sul destino del
circondario e sull’opportunità di costituire un comune unico. Perdere l’omogeneità poli-
tica dell’imolese è il primo rischio che la fusione potrebbe aiutare a non correre: “i piccoli
comuni non sono più certi, un comune unico fai più fatica a perderlo”.
3. Fiducia e autonomia. I comuni della vallata hanno smesso da tempo di essere autonomi
l’uno dall’altro. La comunità Montana prima, le gestioni associate poi hanno di fatto de-
terminato una diminuzione sostanziale degli spazi di “solitudine amministrativa”, aumen-
tando l’integrazione e consentendo il mantenimento di livelli minimi di servizio che con
scelte diverse non avrebbero potuto essere garantite. I risultati non sono per tutti inco-
raggianti: se si escludono alcuni servizi, in generale “non si può dire che insieme si sia
lavorato bene”. C’è sfiducia anche da parte della gente rispetto a “come potrebbe fun-
zionare un comune unico, se non siamo stati capaci di lavorare insieme essendo sepa-
rati”. È un problema di competitività tra territori: nella gara per i finanziamenti ormai i
comuni sono l’uno contro l’altro. Quindi è giusto fare insieme, ma “fino a un certo pun-
to”. La scelta di cooperare tiene fino a quando tiene la valutazione condivisa degli equili-
bri su cui si fonda. In questo senso, non gioca a favore l’esperienza di convivenza all’in-
terno del circondario, responsabile del mancato raggiungimento di alcuni obiettivi stra-
tegici fondamentali come - su tutti - il Piano Strutturale Comunale associato, documen-
to fondamentale rispetto alle previsioni di governo del territorio vasto in gestazione da
anni e ancora lontano dall’essere adottato.
4. Tattiche. “Rinegozieremo i mutui, ma non faremo alienazioni”. Si tira ovunque sia possi-
bile, costruendo giorno per giorno la rotta, definendola non in base a un disegno preor-
149
dinato ma aggiustandola secondo le modificazioni del contesto; ad esempio, il comune
difende con le unghie e con i denti la permanenza della scuola sul territorio - anche nelle
frazioni più remote - e di fronte al rischio di perdere il servizio di doposcuola per la man-
canza di fondi fa fund raising sulle banche e le associazioni di categoria, e ci riesce. Ma
non basta. È nel territorio e sulle sue peculiarità morfologiche che bisogna andare a cer-
care il vero deus ex machina che consentirebbe a α di sopravvivere anche senza la fu-
sione: le pale eoliche.
I conti del comune sono a posto: in un quadro pur molto precario in cui dovessero essere
confermate le attuali regole di compartecipazione alla spesa per i servizi associati e non bi-
sognasse fare i conti con i pensionamenti, in questo quadro tutto si tiene, tutto meno la ca-
pacità d’investimento, sostanzialmente annientata dall’indisponibilità di risorse proprie per la
spesa in conto capitale aggravata dalla crisi del mercato immobiliare, che quassù si fa senti-
re in modo particolarmente aspro. E allora dove trovare le risorse per finanziare le opere, la
manutenzione ordinaria e straordinaria? Sul crinale, dove ci sono “due nuove miniere di ven-
to da sfruttare”. Da qui a tre anni non ci sono problemi, la tenuta è assicurata. Nel 2007,
con delibera 98/07 il consiglio provinciale approvava la procedura di Valutazione di Impatto
Ambientale del progetto di “Realizzazione di un impianto eolico nei comuni di Monterenzio e
α, località Casoni di Romagna” e il contestuale rilascio dell’Autorizzazione Unica ai sensi
della L.R. n. 9/1999, del D. Lgs. n. 387/2003 e della L.R. n. 26/2004 alla società proponen-
te, l’azienda ex municipalizzata AGSM Verona S.p.A. Oggi, i 16 impianti che sono stati poi
realizzati (di cui solo due in territorio di α), contribuiscono a pagare la bolletta energetica del
comune. La disponibilità del crinale diventa elemento determinante nel dare corpo alla Linea
Eolica, sulla quale l’amministrazione tenta di fermare l’avanzata delle “truppe fusioniste”.
Vamos bien, mi dice scherzando l’assessore citando Fidel Castro. Andiamo bene, fino a
quando tirerà vento e ci sarà spazio sul crinale. Lo spazio c’è, su un’altra montagna, su cui
già si sta progettando un altro intervento. Solo pochi giorni prima, in comune, alla presenta-
zione del nuovo progetto il sindaco dichiara che “molti cittadini di Giugnola si sono detti
d’accordo - spiega il sindaco. Nella convenzione con l’azienda infatti potrebbe essere inse-
rito il rifacimento della strada panoramica Monte La Fine e sconti in bolletta per i residenti,
com’è successo per il parco eolico di Casoni di Romagna”69. Tra “applausi e qualche la-
150
69 “Critiche e applausi per il parco eolico”, Il Resto del Carlino Imola 1/10/10
mentela di un’associazione ambientalista” si presenta il “parco eolico ‘Il Sasso’ che sorgerà
a α che sarà realizzato a Monte La Fine dalla modenese Tencom, con un investimento di
25-30 milioni di euro per otto pale alte decine di metri”.
L’“associazione ambientalista” è in realtà una rete di comitati, la “Rete di resistenza sui cri-
nali”, nata qualche mese fa per mettere a sistema le decine di comitati sorti lungo tutto
l’Appennino per contrastare l’installazione di impianti eolici. Mi metto in contatto con il refe-
rente della Rete, chiedendogli di fare due chiacchiere per capire. Com’è questa storia del-
l’eolico? È economicamente sostenibile? Lui accetta di buon grado e ci incontriamo a Bo-
logna. Mi racconta del sistema di incentivazione degli investimenti in “energie rinnovabili”,
con il sistema dei certificati verdi che fissa una quota di produzione di energie pulite sul to-
tale delle energie sporche, assegnate all’eolico e al fotovoltaico, fino ad arrivare al 7,5% per
12 anni di durata, che diventano 15 con il Governo Prodi. Il versamento di royalties ai co-
muni su cui sorgono i parchi non è più consentito. Privilegi di natura feudale sarebbero alla
base dello stile di gestione che certi sindaci hanno verso il territorio amministrano, lo si vede
bene laddove come in questo caso gli interessi in gioco sono enormi, in un sistema com-
plessivo non esente da ombre70. È l’idea che sul territorio si possa fare ciò che si vuole a
non funzionare, quando si ritiene di poterne disporre anche a patto di stringere accordi con
società e dal curriculum non sempre cristallino e che si rivelano poi ben poco affidabili: la
municipalizzata partecipata dal comune di Verona è stata sanzionata dall’Antitrust per aver
operato su un mercato esterno esercitando un monopolio in casa propria. “Oggi l’affare de-
151
70 Oreste Vigorito, presidente del Calcio Benevento, e presidente dell'Anev, Associazione Nazionale
Energia del Vento è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Avellino, nell’ambito di un’operazione sui
parchi eolici, denominata «Via col vento», che ha portato al sequestro di sette parchi eolici riconducibili a
9 società di Avellino.Presentavano false certificazioni per avere accesso a contributi erogati in favore dei
produttori di energia eolica le quattro persone arrestate dalla Guardia di Finanza di Avellino, nell’ambito
dell’operazione ’Viacolventò che ha portato anhe alla denuncia di altre 11 persone (Il Corriere della Sera
10 novembre 2009)
gli affari è l’eolico71” l’ha detto il Ministro Tremonti stigmatizzando la politica di eccessiva
incentivazione di questa fonte di energia. Secondo il mio interlocutore, alla base di tutto c’è
il Partito. Il governo provinciale e regionale sono sempre stati favorevoli, “con uno zelo che
riteniamo eccessivo”.
3/11 Sul Fiume Verde: rappresentanze, interessi, sfiducia nella politica. Quali ‘condizioni’ di fattibilità?
All’inizio di novembre sto già per concludere il mio giro d’interviste. Ce le siamo divise, da
ieri abbiamo messo in pista anche una giovane ricercatrice che sta concludendo la laurea
specialistica e cominciando una fase di apprendistato, che se ne accollerà alcune. Oggi in-
contrerò tre associazioni di categoria, un attore chiave del processo che si sta avviando se-
condo quanto gli stessi sindaci ci hanno anticipato. L’avevamo visto: era compreso anche
nei materiali che ci hanno prodotto le segreterie dei vari comuni, il rapporto “Città del Fiume
Verde” commissionato dalla Confartigianato di η e alla base di un convegno tenutosi di re-
cente. Lo studio descrive il perché sia corretto andare nella direzione di un “comune unico”;
le associazioni (quella, in particolare) il tema l’hanno eletto a propria bandiera politica. Non
da oggi, da almeno vent’anni. Me lo conferma il direttore, che rivendica una primogenitura
dell’idea del ‘comune unico’. Loro s’interpretano come agenti d’integrazione territoriale, per
vocazione: mi racconta di quando, all’insediamento delle nuove giunte municipali, lui porta i
sindaci a “fare un giro per il territorio” per raccontare sul campo le eccellenze, i problemi, i
nodi critici, in generale per situare il rapporto di rappresentanza entro una lettura comune
dello spazio.
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71“Ma quella morale è una questione generale. [...] Troppo spesso i fondi pubblici sono una pipeline ver-
so gli affari. Oggi l’affare degli affari è quello dell’eolico, almeno questo non inventato da noi. Vastissime
aree del Paese sono deturpate da pale eoliche sorte all’improvviso, in un territorio che nei secoli passati
non ha mai avuto i mulini a vento. E forse ci sarà una ragione. È in tutto questo che vedo la grande que-
stione morale, questo è l’albero storto che va raddrizzato. E per farlo non vedo alternative al federalismo
fiscale. L’unica, l’ultima forma per riportare nella trasparenza e nell’efficienza la cosa comune” (La Repub-
blica, 10/7/10)
È un problema di tempo: la variabile “tempo” ricorre come centrale nelle tre chiacchierate:
se ne parla da sempre, “da troppo tempo perché sia una cosa seria”.
Perché sì deve fare? In primo luogo, per una motivazione strategica: un territorio coeso an-
che sul piano istituzionale ha più possibilità di contare. Oggi, infatti, questo “comune unico”
non avrebbe nulla da invidiare agli altri territori, per peso economico. Il distretto industriale
unito alla vocazione turistica creano un binomio capace anche di sinergie importanti (si veda
in questo senso la funzione di de-stagionalizzazione del factory outlet), la “potenza di fuoco”
è molto rilevante sia in relazione al contesto provinciale-regionale sia, su scala più ampia,
alla scala della “città adriatica” di cui questo territorio costituisce un lembo assai significati-
vo. In secondo luogo, per raggiungere risultati di aumento di efficacia-efficienza delle mac-
chine amministrative: è importante fondersi perché aumenta il bacino di utenza dei servizi
che porta a un sicuro miglioramento della qualità e contrazione dei costi degli stessi.
Un comune più grande, si dice, raggiungerà una maggiore specializzazione dei propri orga-
nici, che oggi per forza di cose dovendo garantire su più fronti le stesse competenze teori-
che di fatto non le garantiscono a nessuno.
Ci sono possibilità che si faccia? In generale, non c’è molta fiducia che si possa fare. I terri-
tori sono già caratterizzati da un’integrazione molto forte, sono le stesse caratteristiche
morfologiche a favorirne il processo. Ma è proprio verso l’efficacia di quest’integrazione in
termini di raggiungimento degli obiettivi di governo che sembra esserci poca fiducia da par-
te delle associazioni: “è chiaro che con il solo coordinamento - restando separati - non ce la
possiamo fare”. Il mantenimento dei centri di decisione e degli apparati politici disarticolati
su un territorio integrato funzionalmente lo inibisce dal funzionare bene complessivamente:
impedirebbe al territorio di dotarsi di visioni strategiche unitarie. Un rischio congiunturale
esiste, ed è rappresentato dall’esito delle elezioni nel comune di ζ nel 2011. L’interruzione
di un ciclo di governo che è monocolore dall’inizio della storia repubblicana rappresente-
rebbe un blocco esiziale per il processo: in quel comune, lo verificheremo, il dibattito sull’is-
sue-fusione si sta radicalizzando, e sarà con ogni probabilità tema chiave della contesa
pre-elettorale. Se c’è qualche ostacolo alla fusione, questo potrà venire solo dalla politica.
Come vanno le cose oggi? L’esperienza dell’unione è nata e cresciuta senza un investimen-
to reale in integrazione da parte dei comuni: l’unione non ha favorito l'integrazione perché
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non la si è fatta a partire dall’omogeneizzazione di quei dispositivi davvero fondamentali che
sono i regolamenti, che da soli sono in grado di costruire l’ossatura per una produzione
compatta di policy da parte di soggetti diversi. La persistente difformità dei regolamenti
rappresenta la ragione fondamentale per cui i le associazioni di rappresentanza invocano
scenari di semplificazione: ridurne il numero significa ridurre i costi di produzione e mante-
nimento dei relativi strumenti di studio, aggiornamento e policy associativa. Sui servizi, il
tema ricorrente, confermato, guarda poi alla Polizia Municipale associata come a un “dis-
servizio drammatico”, che ha lasciato un comune come η senza presidio fisso sul territorio.
Quando dev’essere fatta la fusione? La fusione si dovrebbe fare da tempo. Se finora il pro-
cesso è rimasto bloccato è per il mancato accordo politico sul progetto. Oggi i politici sem-
brano tornati a ragionare all’unisono. Dieci anni fa i comuni vollero dotarsi di uno strumento
urbanistico volontario (cosiddetto “masterplan”) che funzionasse da base per una pianifica-
zione strategica, salvo poi non adottarlo. Dopo anni in cui si è voluto produrre tentativi di
lettura del territorio rimasti chiusi in un cassetto, e una fase - quella attuale - nella quale la
chiave associativa sta faticando a produrre strumenti di lettura comune del territorio, oggi
sembra si diano le condizioni per partire.
26/10 Sul Fiume Rosso: politica, capacità, attori. Strutturare una vo-lontà per il consenso
Dopo pochi giorni è tempo di cominciare sul Fiume Rosso. Il primo accesso al campo è in
programma per il primo pomeriggio. Sbagliamo strada, arriviamo con venti minuti di ritardo:
il comune di ξ, sede dell’unione, è nella frazione Castelletto, e il navigatore ci porta fuori
strada. Intanto la riunione di Giunta nel cui ordine del giorno siamo inseriti è ancora in corso,
facciamo anticamera in un corridoio stretto, in piedi, tra le porte dei vari uffici. La sede del-
l’unione è nel palazzo comunale di questo comune sparso di meno di 5.000 abitanti e quasi
40 kmq, nella prima collina ai confini con la provincia di Modena. In questo pomeriggio di
ottobre, fuori ci sono alcuni crocchi di anziani e immigrati che giocano a carte al bar. Dap-
pertutto, manifesti pubblicizzano la sagra del gnocco fritto che si tiene nei fine settimana di
ottobre.
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I sindaci ci accolgono in una piccola sala riunioni con i banchi a ferro di cavallo, il soffitto è
basso e opprimente, dalle finestre si vedono i campi arati di fresco. I nostri posti sono al
centro. La scena è quella di una corte: noi saremo interrogati. È lo stesso Sindaco che ave-
vamo incontrato quasi due mesi prima a fare gli onori di casa. Il Direttore dice di aver avuto
rassicurazioni da parte della Regione rispetto al fatto che lo studio di fattibilità sarà finanzia-
to (sono pervenute due domande, ma solo una sarà finanziata), ora restano da fare alcuni
passaggi amministrativi per la formalizzazione del contratto. Nel frattempo, dice, è necessa-
rio fare partire la discussione: è in sede politica che il progetto, su cui già i Consigli Comu-
nali si sono espressi, dovrà essere condiviso. La ‘politica’ è il medium con cui l’Amministra-
zione conosce il territorio, e così sarà per la consulenza chiamata a gestire il delicato tema
della fusione.
Raccontiamo di come ormai il campo delle fusioni e il nostro know-how si sta consolidando
e di come saranno utilizzati indicatori specificamente “tagliati sulla fusione”, io di rincalzo
aggiungo come stiamo predisponendo uno strumentario sempre più “raffinato” per aggredi-
re il problema: un elenco informativo di start up che ci consente di avere tutta la documen-
tazione per impiantare lo studio. Poi, per buona parte della prima parte della discussione ci
attardiamo a descrivere il processo giuridico che porta al referendum e di lì alla Legge istitu-
tiva del nuovo comune. Per sostenere l’argomentazione estraggo dal portatile il diagramma
di flusso ricostruito per il rapporto del Fiume Giallo sulla base delle indicazioni ottenute in
Regione, in cui viene sintetizzate le varie fasi. Poi intervengono i sindaci.
Secondo il sindaco di λ e Presidente dell’unione “alcuni stanno alla finestra”; da parte sua
l’adesione è totale, già nel corso del precedente mandato aveva avuto modo di dichiarare
“occorre dialogare e collaborare, andando oltre i particolarismi dei singoli comuni e verso
una vera unione di servizi che, in futuro, potrebbe anche portare a fusioni tra comuni”72. Af-
ferma che il vero interesse verso un progetto come questo riguarda la possibilità ridare ca-
pacità ai territori. Se tutto è politica, pensare in grande - progettando riforme di grande re-
spiro - può restituire una maggiore capacità di fare politica ai e nei territori.
Per il sindaco di κ di fusione si parla ormai da quindici anni: ogniqualvolta emergono pro-
blemi di particolare difficoltà rientra in agenda il tema delle riforme istituzionali, ma oggi la
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72 Documento per una verifica di metà mandato, 2007.
fusione torna ad andare di moda come panacea per risolvere i problemi economici. “Non
può essere così, il processo è più complesso e in quanto tale ha bisogno di più tempo”,
dice: lo studio deve servire come base per l’argomentazione, ma certamente non esaurisce
il lavoro necessario per arrivare all’obiettivo. Per il Sindaco dobbiamo fare lo sforzo di “non
vedere” la soluzione: ci vuole uno sguardo laico.
Per il Sindaco di ι la politica ha di certo un ruolo centrale, quindi: è vero che vanno costruite
le condizioni del consenso attorno all’idea, poi però “ammesso che si voglia fare, bisogna
capire come poterlo fare”. La fattibilità - la “sostenibilità” - del nuovo comune dev’essere
dimostrata con dati e argomentazioni scientificamente strutturate. Ed è su questo valore
aggiunto auspicato che acquista significato l’incarico al soggetto terzo “società specializza-
ta”. Ci si accorda sull’individuazione di un referente per comune per la raccolta e trasmis-
sione dei dati. Al Direttore stanno molto a cuore gli equilibri istituzionali: in chiave di politica
inter-istituzionale è consapevole di come un progetto innovativo e quasi (per ora) senza pre-
cedenti in Emilia-Romagna possa determinare per l’Ente e per i comuni una possibile inter-
locuzione diretta con il livello legislativo, e per questo farà richiesta alla regione affinché af-
fianchi la SPISA con il nucleo tecnico istituito all’interno del settore Affari Istituzionali. Il mo-
mento è storico per l’unione: il convenzionamento con l’unione da parte dei comuni è ormai
ai massimi, anche grazie ad una progressivo consolidamento del personale che attraverso
lo strumento giuridico del trasferimento è passato in tre anni dai 10, ai 34 e infine 56 addet-
ti.
Le ultime battute si spostano sugli attori da coinvolgere nel processo di analisi del clima po-
litico e informazione: chi sono gli attori? Quale elemento determina la rilevanza di un corpo
sociale come attore? Salutiamo tutti con una stretta di mano, fissandoci un appuntamento
a breve. Prima di ripartire decidiamo di andare in cerca di un gnocco fritto per completare
con una merenda sostanziosa questa prima presa di contatto con il nuovo oggetto di stu-
dio. La ricerca ci porta in un bar illuminato da una luce fioca e frequentato da una varia
umanità di disoccupati e pensionati. Vestiti in giacca e cravatta, diamo nell’occhio. L’anzia-
no barista, incuriosito da due avventori certamente eccentrici rispetto alla media, ci serve
gnocco fritto e salame.
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28/10 Ritorno a Ledro: soldi e deroghe non bastano. Tramonta l’idea della ‘best practice’
Un punto chiave sul quale ancora non ci eravamo chiariti le idee riguardava il processo di
transizione che conduce il comune dalla legge regionale istitutiva alla piena operatività: non
basta “chiamarlo” per farne esistere le strutture amministrative ed economiche, così come
non basta istituirlo per soddisfare i criteri burocratici più spicci dei quali ignoriamo la stessa
esistenza. Che fine fanno le carte di identità? I codici fiscali? Gli indirizzi? Dove abiteranno
per l’anagrafe i cittadini dei nuovi comuni, ‘orfani’ di quelli d’origine? Come si gestisce la
transizione di più bilanci entro un unico documento? Propongo di tornare a Ledro, chieden-
do alla Segretaria di partecipare sul posto a un seminario di approfondimento sul “consoli-
damento istituzionale”, sulla pratica di fusione di Enti e sulle principali avvertenze di cui tene-
re conto. Il mio obiettivo, oltre le intenzioni dichiarate, è di creare una connessione tra GX e
la Segretaria, la creazione del campo di pratiche su cui stiamo lavorando passa anche da
qui. La chiamo, lei accetta di buon grado di dedicarci ancora altro tempo dopo l’incontro di
maggio.
FUSIONI DI COMUNI. I NODI AMMINISTRA-
TIVI NEL PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO
ISTITUZIONALE.
Seminario interno di approfondimento e sintesi dello studio di ca-
so “Comune di Ledro”.
Comune di Ledro, 28 ottobre 2010
Premessa
L’occasione per l’avvio dell’attività di osservazione sul fenomeno “fusioni di Comuni” si presenta a se-
guito della formalizzazione di una serie di incarichi professionali1 di consulenza organizzativa e suppor-
to al cambiamento da parte di alcune Amministrazioni locali. Da subito la sfida emerge in tutta la sua
rilevanza: dopo anni in cui la domanda di innovazione amministrativa espressa dagli Enti Locali ha co-
inciso essenzialmente con l’intero ventaglio di opportunità possibili nel segno della cooperazione tra
istituzioni, ora non si tratta (più) di immaginare come organizzare servizi comuni o tutt’al più Enti
(Unioni) che li gestiscano, ma di pensare da zero - in assenza di repertori di pratiche ed esperienze
pregresse - modelli di intervento e supporto a progetti di dissoluzione verso scale più ampie.
1 Incarichi conferiti mediante affidamento diretto e gara ad evidenza pubblica alla società C.O. Gruppo SRL (so-
cietà del gruppo di ricerca dell’Associazione Ricerca sulle Organizzazioni Complesse della Facoltà di Scienze
Politiche dell’Univesità di Bologna).
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Arriviamo verso mezzogiorno in una vallata deserta. Entrando in comune, si ha la sensazio-
ne che quello sia l’unico luogo frequentato nel raggio di chilometri. Fuori, tutto chiuso, solo
molti operai sono intenti a fare manutenzione alle aiuole, perfette. Nell’ufficio della Segretaria
c’è un tavolo da riunioni di cristallo, ci accomodiamo lì e incominciamo. Avevamo anticipato
in un documento preparatorio il senso della richiesta: “nel tentativo di isolare alcuni grandi
indicatori in grado di rendere comprensibile e comunicabile la fattibilità (ed eventuale conve-
nienza) dei processi di fusione, il nostro gruppo di ricerca sta affinando tecniche di rilevazio-
ne e strumenti conoscitivi tanto delle istanze popolari (propensione verso l’ipotesi di conso-
lidamento) quanto della simulazione economica e organizzativa nel medio-lungo periodo”.
Ora spieghiamo dove vogliamo arrivare: predisporre un vademecum di “come si fa la fusio-
ne di comuni”, pur sapendo che sarà impossibile dipanare in modo esaustivo ogni singola
variabile del processo. Possiamo però partire da qua, da questa pratica, per ricavare alcune
linee guida che, messe al lavoro, possano orientare altri processi: non tenteremo di isolare
una one best way verso la fusione, che di trarre alcune lezioni guida a partire dalle quali af-
frontare altri casi analoghi.
Ciò che intendiamo conoscere è sintetizzato nella seguente tabella, che costituirà l’intelaia-
tura del seminario.
Nodo Dettaglio
Elezione organi Forme di gestione transitoria; Rappresentanza (circoscrizioni, prosindaci)
Gestione economica Confluenza di più contabilità in unico documento; gestione transizione
Aspetti istituzionali Percorso approvazione Statuto; denominazione comune; gonfalone, ecc.
Integrazione servizi Trasferimento progressivo delle funzioni; tempi e modi del decentramento
Integrazione del territorio Interazione con Enti sovra-ordinati
Percorso per priorità Individuazione passi-chiave e scansione (sintesi)
Come si è organizzata la transizione politica? Il comune non è stato commissariato, ma ne
è stata affidata la reggenza al presidente dell’unione, che ha assunto l’incarico pro tempore
di sindaco del comune fuso in attesa di elezioni. Ce l’avevano già spiegato nel corso del
primo incontro, ciò che non ci avevano detto è che il fatto era stato oggetto di un’interroga-
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zione parlamentare a seguito di un ricorso dello stesso prefetto di Trento, che ne ravvisava
l’illegittimità.
La Regione, qua, ha competenze dirette in materia di Enti Locali. I margini di negoziazione
sono elevati.
La chiave di volta del processo: il trasferimento di tutte le funzioni in gestione associata al-
l’unione di comuni. Ma la difficoltà cruciale sembra essere un’altra, di natura prettamente
organizzativa: la gestione del personale. Tutto il lavoro svolto dalla segreteria nei mesi tra la
fine e l’inizio dell’anno 2010 si rivolgono nella direzione della ridefinizione delle piante orga-
niche del personale dipendente: viene predisposto un progetto che simula l’andamento del-
la dotazione in prospettiva di fusione, in base al quale viene ottenuta una “deroga generale
ai vincoli in materia di assunzione di personale previsti dalla legge provinciale”.
Saltiamo di argomento in argomento, senza approfondirne nessuno. Il tempo è poco, ma
sempre troppo quello che stiamo prendendo, gratis, alla nostra consulente-di-pratica. De-
cidiamo quindi di tagliare corto, rilanciando con un ipotetico convegno sul tema delle fusioni
di comuni, che organizzeremo a Bologna.
29/10 Interpellanze (e un blog) sul Fiume Blu: retorica, programmazio-ne, azzardi strategici.
A fine settembre era arrivata la conferma dalla Regione: la domanda di finanziamento per lo
studio sulla fattibilità della fusione della Fiume Blu-Galliera non era stata accettata. Dopo
alcune settimane, la questione affiora grazie a due interpellanze con cui i gruppi consiliari
del nostro comune chiedono spiegazione della delibera “balneare” votata dalla giunta del-
l’unione. Si tratta di due ‘atti dovuti’, che a conti fatti si rivelano poco utili ai fini dell’amplifi-
cazione del dibattito anche fuori del palazzo.
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Nella prima interpellanza il gruppo considera che l’ipotesi fusione “non era contenuta nelle
Linee Programmatiche di mandato”, e che tale tema “non è mai stato oggetto di discussio-
ne o comunicazione a nessun organo”: se mai si volesse procedere in questa direzione, la
si sottoponga all’iter necessario e si torni in consiglio anche per aggiornare le Linee Pro-
grammatiche, anche se tardivamente. Il gruppo esprime dissenso sul metodo utilizzato, bol-
landolo come “scarsamente trasparente e irrispettoso rispetto alla natura strategica del te-
ma”, che in quanto tale è (evidentemente) di stretta competenza del consiglio comunale.
Nel merito, il gruppo ritiene che la fusione non costituisca una risposta realistica alle esigen-
ze di un territorio che viceversa ha sempre argomentato la “necessità di un governo poli-
centrico”, quando si volle prima dotarlo dello strumento “associazione” poi trasformato in
“unione”; chiede, soprattutto, che non vengano “assunti impegni di spesa” in modo avven-
tato, su un tema non centrale rispetto alle priorità dell’azione amministrativa.
La seconda interpellanza si concentra sul metodo, chiedendosi se l'amministrazione “inten-
da procedere comunque - anche in assenza di contributo regionale - all’effettuazione dello
studio”, lamentando in ogni caso il mancato coinvolgimento delle forze politiche nella fase di
gestazione della domanda.
In vista della seduta di novembre del consiglio, il sindaco scrive una risposta cumulativa alle
due interpellanze in cui precisa che “la scelta di una deliberazione di tal fatta (riferimento alla
tempistica adottata) è stata pensata e voluta dalla Giunta dell’unione nella prima seduta do-
po le ferie estive, in particolare nel momento in cui siamo, come Sindaci, venuti a cono-
scenza di un una bando con [...] scadenza del bando era prevista per il 15/9/2010.
La risposta prosegue spiegando che “all’amministrazione è mancato il tempo necessario
per informare preventivamente i consigli comunali prima dell’adozione della delibera, pena
l’impossibilità a partecipare al bando”. Tutto il castello argomentativo poggia sull’obbligo
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etico degli amministratori di non lasciarsi sfuggire opportunità di fare il bene della comunità,
anche a costo di adottare atti d’urgenza per “non disperdere l’opportunità di accedere a
finanziamenti regionali volti ad approfondire una tematica così importante come quella della
riorganizzazione istituzionale, in particolare in un momento così critico e delicato per le fi-
nanze pubbliche”. Se si escludono un numero del periodico comunale di ρ in cui viene dato
ampio spazio ad un botta e risposta73 tra minoranze e amministrazione sul tema, in cui il
sindaco smorza in tutti i modi la polemica con un’argomentazione sulla stessa falsariga del-
la precedente e un post74 all’interno di un blog politico locale che si spinge ad accusare il
sottoscritto di trovarsi in palese conflitto di interessi, il dibattito sulla fusione in Fiume Blu-
Galliera finisce qua.
22/11 La consegna al Fiume Giallo: proroghe e revisioni. La (mancata) costruzione dell’usabilità
Di ritorno dall’incontro con l’assessore del 21 di ottobre, con l’obiettivo di rendere proficua
la mattinata di trasferta, avevo fatto rotta sugli uffici del circondario a Imola, facendomi anti-
cipare da una telefonata dell’ultimo minuto alla Segretaria Generale dell’Ente: la mia avrebbe
voluto essere una visita di cortesia, un modo “per far sentire che ci siamo”, ma la concomi-
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73 Nell’articolo “FUSIONE DI comuni: E’ QUESTO DUNQUE IL “PUNTO DI SVOLTA”?” a firma della ca-
pogruppo di minoranza viene proposta tra l’altro un’argomentazione dubitativa relativa alla presunta eco-
nomicità dello strumento fusione in relazione agli altri strumenti di cooperazione inter-istituzionale: “Qual-
cuno glielo ha chiesto? Crediamo forse che la fusione sia uno strumento per ottenere maggiore efficienza
ed economie di scala? Eppure l’esperienza, prima in Associazione poi in unione, ci dimostra che la ge-
stione comune di funzioni e servizi non è priva di difficoltà e quasi mai ha garantito migliori risultati e ri-
sparmi”?
74 A settembre di quest'anno la Giunta dell'unione Fiume Blu Galliera, formata dai sindaci degli otto co-
muni, ha fatto una pensata alla grande … o forse è meglio dire, IN grande: un grande comune, con un
grande territorio, formato da quelli che oggi sono 8 piccoli comuni” [...] anziché chiedere ai cittadini cosa
ne pensavano, l'hanno chiesto ad una società esterna, guarda caso quella che ha curato il passaggio da
“Associazione” a “unione”. Un commento al post si chiede “chissà perché Regione non ha dato i soldi??
forse è meglio così, anche perché il finanziamento sarebbe andato ad una società, la C.O. Gruppo, di cui
è consulente l'assessore Pirani di ο. In pratica il comune dà i soldi ad un proprio Assessore per chiedere
cosa la sua stessa Giunta deve fare.....bello eh???”.
tante riunione della Giunta del circondario, di cui vengo informato, può trasformarla in qual-
cosa di più.
Non sono all’Ordine del Giorno, ma - introdotto all’inizio della riunione - saluto i Sindaci e
chiedo di condividere tempi di chiusura del lavoro. La prima consegna risale ormai all’inizio
dell’estate (21 giugno), da allora i contenuti del rapporto sono stati presentati ai sindaci ma
nessun particolare passo avanti è stato fatto: i sindaci si sono presi l’impegno di fornire ri-
torni sui contenuti, ma di fatto - a parte uno - nessuno l’ha fatto. Rinnovo quindi ai Sindaci
l’invito a fornire indicazioni, correzioni, integrazioni su quanto prodotto e annuncio l’immi-
nente consegna di un prodotto integrativo della prima consegna: un rapporto operativo -
così lo abbiamo chiamato - che a differenza del primo, che aveva un taglio molto esplorati-
vo ma non molto concreto (di fatto: non argomentava la fattibilità quanto piuttosto l’oppor-
tunità piuttosto scontata della scelta) fornirà argomenti d’immediata comprensione e usabili-
tà.
Conveniamo su una consegna definitiva di tutto il ‘pacchetto’ entro tre settimane, e sull’op-
portunità per la committenza di richiedere una proroga al 31/12 ai termini di consegna indi-
cati nella delibera di finanziamento della Regione: primo motivo di questa proroga è di natu-
ra cautelativa rispetto a possibili accessi agli atti da parte delle opposizioni che potrebbero
voler vedere le carte, carte che i Sindaci non sono pronti a giocare.
Da: Alessandro Pirani <[email protected]>Data: 22 novembre 2010 12:06:20 GMT+01:00A: Claudia Dal Monte <[email protected]>Oggetto: studio di fattibilità comune unico Vallata del Fiume Giallo_RAPPORTI DEFINITIVI
Gentilissima, come da accordi inviamo versioni definitive dei 2 rapporti di analisi prodotti. Il primo (VS1) è la versione riveduta e corretta del rapporto inviato a giugno, secondo le indicazioni avute dai Sindaci. Il secondo (VS2) rappresenta un vademecum operativo in cui sono argomentate alcune tesi/simulazioni rispetto all'impatto della fusione e piste di lavoro possibili.
nella definizione di progetto discussa nel 2007/2008 arrivava a comprendere dieci comuni
per 90.000 abitanti totali circa. In quel caso, una Fondazione costituita ad hoc (Fondazione
Valdarno) aveva lavorato sul progetto, arrivando a commissionare uno studio di fattibilità
presentato nel convegno tenutosi nel 2008. Del Casentino inizio a sentir parlare verso
l’estate, quando un comitato costituito dalla Lega Nord, che su questo territorio esprime un
parlamentare, avvia una fase di raccolta di firme a tappeto con cui chiedere alla Regione di
mettere mano ad un disegno di riforma, che preveda la nascita di un unico comune per l’in-
tera vallata. Il Casentino è diviso amministrativamente in tredici comuni, per circa 45.000
abitanti: il “comune unico” mettere un’intera “regione storica” sotto un unico cappello am-
ministrativo.
Già il 3 di luglio, durante una conferenza stampa, il comitato della Lega Nord aveva presen-
tato il progetto e lanciato la raccolta di firme per il referendum di iniziativa popolare, affer-
mando in una nota che “qualora il referendum andasse in porto dal 31/12/2011 secondo la
legge i 13 singoli comuni e la comunità Montana saranno estinti, mentre dal 1 gennaio 2012
nascerebbe il comune unico”91. Viene prefigurato uno scenario in cui la regione recepisce
un’istanza popolare, secondo Morganti (europarlamentare della Lega) “il consiglio regionale
non andrà contro la volontà di 5.000 persone”. "Le ragioni per cui chiedere la costituzione
del comune unico sono molteplici - ha spiegato il segretario Claudio Morganti - perché un
comune unico rende più forti sia a livello europeo, e quindi per chiedere fondi all'unione Eu-
ropea, sia a livello regionale. Fra l'altro, con l'istituzione del comune unico si vanno a tagliare
i costi della politica”.
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91 Lega Nord, avviata la raccolta firme per il referendum sul comune unico, 7/7/2010 (Fonte: ANSA)
La proposta appare difficilmente praticabile, intanto però la raccolta di firme arriva presto al
numero dichiarato di 6.000, e il dibattito - su siti, blog, sulla stampa locale - appare molto
vivace. Le associazioni di categoria se ne accorgono da subito: con alcune dichiarazioni la
CNA appoggia l’idea, ma è degli Industriali aretini lo slancio che porta all'organizzazione di
un convegno a fine novembre, a Poppi, per discutere di “Semplificazione amministrativa”.
Decido di andare. Arrivo con un leggere anticipo Al Parc Hotel di Ponte a Poppi, ho inca-
strato una serie di appuntamenti in Romagna per farci stare anche questa scampagnata
non prevista (e non retribuita). I partecipanti alla Tavola rotonda sono il Presidente Gruppo
Imprenditori Confindustria Casentino, i Sindaci di Poppi, Bibbiena, Montemignaio, Ortigna-
no-Raggiolo, il Presidente della comunità Montana e un giornalista di Sole 24 Ore. Invitato
speciale Giuliano Pellegrini, l’ex sindaco del comune di Ledro di nostra conoscenza. Il pub-
blico è fatto di imprenditori, giornalisti, sindacalisti, gente comune.
In apertura, il giornalista sciorina dati da cui si evince che un nella fusione si generano eco-
nomiche notevoli rispetto ad un gruppo di comuni di pari abitanti. Il caso di Ledro è chiama-
to a raccontare il proprio percorso, durato vent’anni e incentrato sul passaggio per la ge-
stione dei servizi associati tramite l’unione dei comuni. L’assessore fa anche presente che
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un comune grande e forte è, naturalmente, più rappresentativo e più ascoltato in Provincia
e in Regione.
Un sindaco si dice propenso ad arrivare al comune unico passando per un’unione di co-
muni “leggera e molto temporanea”. Immagina un “comune unico distribuito”, con gli uffici
ripartiti equamente nei vari ex comuni. Ogni ex comune deve poter mantenere la sua identi-
tà e avere sempre un riferimento “comunale”, senza che vi sia un comune “capoluogo”. An-
che altri sindaci immaginano che la costituzione di un’unione di comuni sia un’attività ne-
cessariamente preliminare alla fusione. Dal pubblico qualcuno rileva che l’esercizio prelimi-
nare di unione “è già stato fatto per decenni con la comunità Montana”: quindi o è stato un
esercizio inutile, e allora si rincominci daccapo con l’unione dei comuni per 10 o 20 anni
ancora e più, ma se l’esercizio è stato svolto bene, come si crede, allora si è pronti a passa-
re al comune Unico, così come hanno fatto a Ledro! Sarebbe bene che prima di prendere
una decisione vengano interpellate e sentite anche tutte le parti sociali: occorre non dimen-
ticare che 6.000 cittadini stanno chiedendo un referendum di vallata, affinché tutti i Casenti-
nesi dicano SI al comune Unico per cercare di cambiare, oppure dicano No per mantenere
tutte le cose così come sono state fino ad oggi. Dal pubblico si fa ancora rilevare anche che
l’importante è fare finalmente le cose, questo comune Unico si doveva fare 50 anni fa, con
l’inizio dell’industrializzazione in Casentino così oggi avremmo un piano regolatore omoge-
neo di vallata; avremmo procedure amministrative omogenee di vallata; non avremmo da
scalare ancora i “Passi” della Consuma, della Calla e dei Mandrioli; non ci metteremmo 90
minuti per andare sull’A1; avremmo una metropolitana Arezzo-Casentino-Firenze… E inve-
ce oggi stiamo ancora qui a discutere se tutto questo conviene oppure no!
10/12 Nei centri anziani del Fiume Verde: affidarsi la politica, oltre lo Studio. Partire dalla gente
Da subito, parlandone con i sindaci, era emersa l’idea di andare a “sentire come la pensa la
gente”, immaginando i luoghi in cui fosse possibile reperire larghe fasce di questa categoria
indistinta. Dove la trovi la gente? Al mercato, per strada? Nel confronto dialogico con il
cliente emerge l’idea di ascoltare “la pancia” entrando nei luoghi in cui questa si concentra
con le proprie vesti più radicate, ipoteticamente più tradizionaliste: i centri sociali anziani.
181
Con i sindaci valutiamo in quali dei tanti centri presenti sui territori sottoporre i frequentatori
alla somministrazione di questionari strutturati, ne incontriamo i presidenti chiedendo loro
alcune prime indicazioni nel merito. Con loro concordiamo anche il metodo: accederemo al
campo nei momenti di massima frequentazione - mentre si gioca a carte - facendo compi-
lare un questionario breve sulla conoscenza del dibattito e sulle posizioni circa l’ipotesi in
discussione.
Lo strumento ha una gestazione più lunga: da una prima versione si passa secondo pro-
gressivi aggiustamenti a una molto più asciutta, in cui restano solo questi quesiti: 1. Cono-
sce il tema della fusione dei comuni? 2. Cosa ne pensa? 3. Cosa la spaventa di più? 4.
Crede che questo sia il momento giusto per farla? Cosa si aspetta da uno studio di fattibili-
tà? Vogliamo capire quindi in primo luogo se il progetto cade su un terreno minimamente
fertilizzato da dibattiti anche informali precedenti o se viceversa è tutto da costruire, da zero.
Ci interessa poi capire il clima attorno all’ipotesi, se cioè esiste una chiusura preconcetta,
una disponibilità di massima o, se il caso, quali temi determinano scetticismi circa la fattibili-
tà del progetto.
Organizziamo all’ultimo momento la giornata di visite ai centri anziani, confidando nell’aper-
tura degli spazi e sperando di poter raccogliere disponibilità all’ultimo. Il 10 di dicembre par-
to con Alessandra, nuova collaboratrice di C.O. Gruppo, cui abbiamo affidato fin da subito
alcune interviste di sfondo tanto ad associazioni di categoria quanto a imprenditori. Il pro-
gramma prevede di passare in almeno un centro per comune, partiamo tardi da Bologna e
siamo sul campo verso l’ora di pranzo. Il primo è a ζ. Il centro è al mare, in una via costella-
ta da alberghi sprangati per l’inverno. Entriamo in quello che di fatto è un bar, in cui non
meno di di una trentina di avventori sono intenti alla partita del dopo pranzo. Il secondo
centro è a San Mauro, riusciamo a farci annunciare dal presidente all’ultimo. Il centro in
questo caso è ospitato in locali del piano terra del palazzo comunale, in parte condivisi con
l’Informagiovani, giusto sotto la biblioteca. Il presidente del Sempra Zovan (così si chiama il
centro) lo raggiungiamo durante il pranzo, il numero di casa lo otteniamo dalla segretaria del
sindaco, che incontriamo per un saluto fugace. Qui le persone presenti sono meno nume-
rose, una decina in totale. Tutti giocatori, anche qui. Il terzo centro è a η. Il presidente era
stato il primissimo intervistato della nostra campagna, qui le sale sono piene di un pubblico
che stranamente non è solo maschile. In tutti e tre i casi, il nostro ingresso attira l’attenzione
182
dei più, altri sono infastiditi dall’interruzione indebita della partita, alla fine riusciamo a por-
tare a casa con le unghie e coi denti poco più di 40 questionari.
Che cosa sappiamo? Intanto la provenienza: dove abitano? La maggioranza degli intervi-
stati è prettamente stanziale e locale, risiede infatti in uno dei tre comuni dalla nascita o da
più di 40 anni. Altri invece hanno sempre vissuto in questa zona della Romagna spostando-
si da un comune all’altro per esigenze lavorative. Pochissimi non hanno mai sentito parlare
di fusione, ma non molti di più d’altronde sanno bene di cosa si tratta: chi ne ha letto o sen-
tito ne ha un’idea molto vaga. Più della metà degli intervistati si dice molto favorevole rispet-
to alla possibilità di fondere i tre comuni. Stanno sulle dita di una mano quelli che invece si
dicono fortemente contrari, perché ritengono che l’eventuale riforma non cambierebbe nulla
o, peggio, che si peggiorerebbe la situazione attuale. Prevale, diffuso, lo scetticismo: per un
quarto degli intervistati sarebbe giusto fare la fusione, ma “vedrai che non si farà”. Un terzo
di chi risponde non teme nulla, pensa cioè che la fusione non porterebbe altro che effetti
Associazione Data Num. prog.
TRE COMUNI PER UN TERRITORIO. QUESTIO-
NARIO PER LE ASSOCIAZIONI
PERCHÉ UN QUESTIONARIO?
Le Amministrazioni Comunali di Gatteo, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone hanno affidato alla
nostra società l’incarico di studiare la reale fattibilità di un percorso che possa portare, in caso di risultato
positivo, all’istituzione di un nuovo Comune che li accorpi. La fusione dei tre Comuni rappresenta una
prospettiva che, oltre a chiamare in causa le organizzazioni amministrative, riguarda le realtà sociali che
questo territorio lo vivono da protagoniste. Per rappresentare le posizioni rispetto a quest’ipotesi chie-
diamo cinque minuti del Suo tempo per alcune brevi domande.
Campo
analitico
ItemItem
PresentazioneAssociazione _____________________Comune di residenza _____________________Da quanti anni risiede qui _____________________
Aspettative
della Comu-
nità ammini-
strata
Cosa si aspetta dal suo Comune?(ordinare per importanza le risposte)
Che produca servizi di qualità a basso costoChe aiuti la società e gli individui a produrre ricchezzaChe tuteli i valori culturali e sociali della mia cittàAltro (specificare)_______________________
Identità
locale
Cosa significa essere di (____________________)?(ordinare per importanza le risposte)
Essere eredi della storia di una comunitàAvere un patrimonio sociale e culturale comune Vivere in un territorio vasto, ricco socialmente e culturalmenteVivere in una città ben ordinata e con buoni serviziAltro (specificare)_______________________
C.O. Gruppo srl !
S T U D I O D I FAT T I B I L I T À P E R L A F U S I O N E D E I C O M U N I D E L L’ U N I O N E D E L R U B I C O N E
" " " " " " " " " " " martedì 26 ottobre 2010
183
positivi; altrettanti, invece, pensano che a subire i contraccolpi maggiori saranno i servizi:
più lontani da raggiungere, più costosi per la comunità o, ancora, meno dotati in termini di
personale con conseguente perdita di efficienza degli stessi. Quando bisogna farla questa
fusione? Il campione si spacca tra due posizioni antitetiche, tra chi pensa che “se n’è già
parlato abbastanza” e chi invece ritiene che sia necessario “approfondire ancora”.
C’è bisogno dello studio, ma bisogna fare in fretta: se si vuole fare, e ce lo deve dire la poli-
tica, che si proceda senza tante chiacchiere. Quindi, prima dello studio, viene la politica.
Tutti i favorevoli e i pochi contrari su questo concordano: che sia la politica a indicare una
strada, responsabilmente, valuti e solo allora ci chieda di starci.
18/12 Sul Fiume Rosso vogliono partire: la checklist dei documenti. Si circoscrive una prassi.
Verso Natale si fanno vivi dall’unione dei comuni della Fiume Rosso. Su quel territorio sta
per avviarsi un nuovo studio di fattibilità per la fusione dei comuni, su cui cominceremo a
lavorare nel 2011, il terzo e probabilmente non l’ultimo, data l’intensità con cui stanno na-
scendo questi ‘focolai’ un po’ dappertutto, in particolare in Emilia-Romagna. Quasi chiuso il
lavoro sulla Fiume Giallo, in pieno sviluppo il Fiume Verde, si torna al lavoro su un nuovo
progetto dal profilo - sulla carta - molto preciso: questi sono determinati a chiudere, in fret-
ta. E adesso sono pronti a partire con i lavori: hanno perfezionato (DG 96/14.12.2010) il
contratto di consulenza con SPISA92, la scuola di specializzazione in studi sull’amministra-
zione pubblica dell’Università di Bologna per la quale condurremo il lavoro.
Siamo in piena “città metropolitana” di Bologna. Più che altrove, in questi comuni - in parti-
colare quelli di pianura - sono visibili le funzioni metropolitane che allargano all’area vasta la
sfera d’influenza del capoluogo, fino alla seconda e terza cintura: qui passa una linea del
Sistema Ferroviario Metropolitano,
184
92 Nel 2000 la stessa SPISA ha già lavorato a uno studio per la trasformazione della comunità Montana
in unione di comuni. Il referente scientifico e politico dell’Unione è il prof. Luciano Vandelli, uno dei massi-
mi conoscitori del governo locale in Italia.
Via Skype, il capo mi dice che entro Natale bisogna inviare una checklist dei materiali che il
cliente dovrà produrre per consentirci di lavorare alle prime elaborazioni: l’elenco è un arte-
fatto concepito come attivatore del cliente, che in chiave prosumerista diventa co-produtto-
re del rapporto di consulenza, assumendosi l’onere - in forza non tanto di quanto previsto
dal contratto quanto da accordi verbali - di mettere a disposizione dei professionisti una se-
rie di documenti. Il contenuto di questa lista si va definendo in modo incrementale, quoti-
dianamente, in misura direttamente proporzionale alla definizione della pratica di intervento.
Se nel primo cantiere di fusione la richiesta di documenti da parte dei consulenti è stata di
fatto a-sistematica e tentativa, oggi ci sentiamo in grado di definire, con buona approssima-
zione, quali sono gli ingredienti indispensabili per ‘cucinare’ uno studio di fattibilità. Sempre
di più, il nostro contributo fondamentale come scienziati sociali coinvolti in un processo
consiste nella capacità di scrivere una lista di domande da fare, temi che valga la pena rac-
cogliere (Lindblom, 1990).
L’esordio dell’elenco si colloca a luglio, alle battute iniziali del cantiere-Fiume Verde: lì ne era
stato prodotto uno, articolato secondo il livello di produzione dei documenti richiesti - il co-
mune o l’unione - con accordo rispetto alle modalità di raccolta, che avrebbero dovuto pre-
vedere un coordinamento per ciascun ente. Lo strumento, nella prima esperienza d’uso,
aveva funzionato bene in termini di attivazione: entro fine agosto, come concordato e come
indicato in termini perentori dal Segretario pro tempore dell’unione, sono giunti a mezzo po-
sta elettronica dei rispettivi responsabili amministrativi (segretari comunali)) tutti i documenti
richiesti.
Il primo elenco si componeva, come si vede dalla tabella seguente, di materiali articolati ol-
tre che per ciascun livello di governo anche per le tre fasi (Definizione dello sfondo strategi-
co, quadro conoscitivo socio demografico e territoriale, quadro conoscitivo dei comuni e
dei servizi) indicate nel progetto presentato in sede di partecipazione al bando di gara per
l’affidamento dell’incarico, vinto da C.O. Gruppo. L’elenco dice cosa cerchiamo e come se-
lezioniamo le informazioni tra tutte quelle disponibili: quale strategia di ricerca-azione viene
prima abbozzata e via via dettagliata, rispetto a quale obiettivo finale.
Si va standardizzando una prassi di intervento: la compartecipazione diretta del cliente è il
primo elemento, la definizione di un elenco condiviso è il secondo. Nell’elenco per la Fiume
185
Rosso viene sensibilmente arricchita la parte relativa agli aspetti organizzativi: se in un primo
momento l’assunto secondo cui “la fusione è altro rispetto all’unione, non è tanto rilevante
l’aspetto della gestione associata dei servizi quanto gli elementi politico-istituzionali” aveva
determinato un’attenzione meno marcata al tema, si fa largo l’idea secondo cui, in realtà, la
gestione associata dei servizi sia uno stadio necessario per un successivo “salto di qualità”.
Unione Comuni
Definizione
dello sfondo strategico
- Linee programmatiche di mandato- Rassegna della documentazione, degli studi
economico-sociali e ricerche prodotti - Atti di Giunta e di Consiglio di particolare si-
gnificatività (ipotesi evolutive di fusione o estensione delle materie convenzionate, stu-dio di fattibilità, piani strategici di crescita, ecc.)
- Lista referenti provinciali utili per l’effettuazione di interviste di sfondo
- Linee programmatiche di mandato- Materiali campagne elettorali- Elenco di opinion leader del territorio (di realtà
sociali, economiche, culturali) da contattare per interviste
Quadro co-noscitivo so-
cio demogra-fico e territo-riale
- Referenti sindacali e di associazioni di catego-ria
- Dati aggiornati su immigrazione, dipendenza strutturale
- Dati su occupazione e nati-mortalità aziendale- Studi/approfondimenti socioeconomici
- Raccolta materiali storico/culturali- Elenco (con referenti) delle associazioni- Quadro delle forze dell’ordine presenti
Quadro co-noscitivo dei comuni e dei
servizi
- Pianta organica- Report di funzionamento servizi associati- Quadro sistemi informativi (software in
uso, reti)- Ultimi tre bilanci consuntivi- RPP- Elenco convenzioni attive- Statuto
- Elenco e riferimenti responsabili di settore- Personale politico- Pianta organica- Contratto integrativo- Ultimi tre bilanci consuntivi (richiesta compilazio-
ne dati in scheda di riepilogo seguente) - Certificazioni CdC su utilizzo oneri di urba-
Amministratori comunali Leadership della comunità Potere politico e rielezione
Amministratori pubblici
Amministratori provinciali Leadership della comunità Potere politico e rielezioneAmministratori pubblici
Dipendenti comunali Servizio pubblicoProtezione del lavoro e maggiore autonomia
A s s o c i a z i o n i economiche
CCIAA, Commercianti, media
Immagine nella comunità e status
Miglioramento fiscale
A s s o c i a z i o n i economiche
Industriali Sviluppo economico Miglioramento fiscaleA s s o c i a z i o n i economiche
Agenti di sviluppo, con-tractors
Sviluppo economico Miglioramento fiscale
Residenti/Comi-tati
Gruppi civici, comitati (Cit-tadinanzattiva)
Accountability e buongover-no
Status, prestigio, mem-bership
Residenti/Comi-tati
Accademici e ordini pro-fessionali
R i fo rma progress i va e buongoverno
Influenza e espansioneResidenti/Comi-tati
Immigrati, minoranze Rappresentanza Influenza e partecipazione
Residenti/Comi-tati
Proprietari di caseMinori tasse, maggiore ac-cesso ed efficienza
Minori tasse individuali, esclusione
Come si vede, si tratta di una tipologia non esaustiva, ma che possiamo in larga parte usare
sui casi che abbiamo analizzato. Con alcuni slittamenti non da poco nei casi che abbiamo
conosciuto: gli amministratori pubblici, nei nostri casi, non hanno certo velleità di ‘rielezio-
ne’, vogliono semmai acquisire prestigio e conquistare un risultato ‘storico’ da scrivere nel
proprio cursus honorum; i dipendenti comunali cercano prospettive di specializzazione, di
exit da contesti organizzativi deprivati che non consentono nè avanzamenti di carriera nè
livelli di qualità lavorativa decorosi; le associazioni economiche si aspettano la semplificazio-
ne dei rapporti istituzionali, che si traduce in risparmi economici diretti e indiretti (meno am-
ministratori da conoscere e ‘gestire’, meno regolamenti cui adattarsi, ecc.); i cittadini guar-
dano alle ipotesi di fusione come possibilità di ‘contare di più’, di acquisire una massa che
consenta di dialogare alla pari con gli altri livelli amministrativi quando ci sono da ‘portare a
casa’ risultati sulle materie importanti, la sanità, il lavoro, gli investimenti, la viabilità.
212
In questo quadro non viene contemplato un attore che, per come l’abbiamo analizzato,
riveste un ruolo determinante nel processo di concretizzazione delle pratiche di consolida-
mento municipale: le ‘comunità epistemiche’ costituite da quanti hanno un ruolo di produ-
zione di conoscenza sul tema delle riforme istituzionali e delle scienze dell’organizzazione.
Secondo Regonini (2004), che applica la categoria al mondo disciplinare della valutazione
istituzionale, la concreta definizione del prodotto (i rapporti) è condizionata solo marginal-
mente dai vincoli [...]. Al cuore della relazione tra istituzione politica e organo valutante sta la
produzione di una qualche usable knowledge (Cohen e Lindblom, 1979). E se i politici han-
no l’ultima parola in fatto di ciò che è usable altri sono gli attori dai quali dipende la certifica-
zione di quel che è knowledge. Detto in altri termini, se il valore della valutazione è la produ-
zione di conoscenza usabile, il giudizio circa ciò che è effettiva conoscenza è in larga misura
monopolio della comunità epistemica di riferimento, mentre il giudizio sull’utilizzabilità è mo-
nopolio dell’organo politico committente. Questa doppia autenticazione mette il professioni-
sta delle conoscenza “nella scomoda posizione di un Arlecchino servo di due padroni” (ibi-
dem), ma non scalfisce l’interesse diretto rispetto all’oggetto di studio: tanto più il tema sarà
strategico, situato in un momento storico che ne determina l’attualità, tanto più da l’acquisi-
zione di un know-how specifico costituirà l’acquisizione di vantaggio competitivo.
Politiche, pratiche. Tradurre le pratiche in riforme. Tra detournement e apprendimento istituzionale.
Il desiderio della dissoluzione (cupio dissolvi) viene avvertito da molti attori sociali, per i quali
l’investimento identitario in un processo di riconfigurazione istituzionale si rivela appetibile
per ridare una prospettiva: una prospettiva qualsiasi, tra le tante, quando per varie ragioni
non ce ne sono più. Una prospettiva che converge sul consolidamento e non (eventualmen-
te, in chiave iperlocalista) sulla scissione, per l’imporsi di un radicale cambiamento semanti-
co nella valutazione del ‘locale’: non importa (più) “preservare l’identità locale”, conta quan-
to e come quel locale riesce a essere valorizzato. Nei paragrafi introduttivi avevamo visto
come questo processo potesse essere interpretato come corollario di un più generale pro-
cesso di individualizzazione del mondo (Knorr-Cetina, 1997), in cui gli oggetti sociali subi-
scono processi di riduzione a commodities, il cui valore non ha più (quasi) nulla di simbolico
213
ma si riduce a un mero valore d’uso. ‘Competitività’, ‘infrastrutturazione’, ‘semplificazione’,
raccontano di questo processo.
Se queste, a grandi linee, possono essere le determinanti sociologiche dell’imporsi dell’ipo-
tesi fusione, di certo ci dicono poco in termini di processo di politiche. Il caso dell’Emilia-
Romagna, letto in questa prospettiva, ha evidenziato una particolare conformazione del
processo di costruzione di una policy a partire da pratiche locali. Abbiamo osservato come
in alcuni contesti locali emerga la volontà di usare uno strumento (lo studio di fattibilità) per
attivare un processo, o almeno per abbozzarlo. Il ricorso a questo strumento è consentito e
incentivato dalla normativa regionale, che lo prevede come forma di attivazione molto blan-
da, legata all’implementazione di un programma di riordino territoriale.
Nel programma si trova inscritto l’obiettivo politico di fondo: condensato nel testo della
Legge 10/08, in aderenza al principio di sussidiarietà, è di “perseguire la massima integra-
zione nelle strutture e nella prestazione dei servizi, realizzando economie di scala, miglio-
rando la funzionalità delle amministrazioni e valorizzando le potenzialità delle istituzioni pre-
senti sul territorio” (Ricciardelli, 2008). In sintesi, la Regione intende:
1. Aumentare il livello di qualità delle prestazioni;
2. Ridurre gli oneri organizzativi, procedimentali e finanziari;
3. Semplificare e rafforzare l’efficacia delle politiche pubbliche.
Le esigenze di razionalizzazione e semplificazione del sistema istituzionale fanno perno sul-
l’individuazione di un ambito plurifunzionale adeguato di livello intercomunale come principio
cardine; un ‘ambito’ che va inteso sia come livello di governo, sia come ambito di riferimen-
to per l’allocazione delle funzioni. L’ambito così concepito, potendo contare su un’adeguata
capacità organizzativa, può essere sede di svolgimento di funzioni anche molto complesse,
e al contempo strumento utile a evitare sovrapposizione di enti e competenze (ibidem). La
regione guarda all’unione come “modello organizzativo preferibile”, capace di ergersi come
ambito ottimale per l’erogazione dei servizi, non pensa al consolidamento dei comuni come
strumento per attuare una propria policy.
214
I casi che raccontiamo ci dicono che questi obiettivi non sono stati raggiunti o sono stati
raggiunti solo in parte:
1. Non sempre è aumentata la qualità delle prestazioni, che anzi in molti contesti è perce-
pita come peggiorata; ad essere senz’altro aumentata è la copertura: piccoli comuni
scoperti oggi godono di standard minimi di servizio impensabili al di fuori delle gestioni
associate;
2. Gli oneri organizzativi si sono tutt’altro che ridotti: l’unione costituisce un livello in più
della macchina amministrativa e non c’è ottimizzazione che possa ridurne l’impatto in
termini di complessificazione del processo decisionale e degli oneri (anche economici)
sulla popolazione;
3. Ridotte a meri livelli gestionali (anche in forza delle stesse logiche di incentivazione, cen-
trate in via quasi esclusiva sull’attivazione e sostentamento delle gestioni associate), le
unioni, che avrebbero ‘in teoria’ la capacità di essere livello di governo di area vasta, as-
sumono profili poco attinenti alla ‘produzione di politiche pubbliche’ in senso lato;
In generale: le previsioni della LR 10/08 hanno dato vita a configurazioni organizzative locali
che, in un modo o nell’altro, hanno determinato l’insorgere di incertezza istituzionale nei
contesti locali, con la contestuale apertura di ‘finestre di politiche’ come opportunità per
quanti ne hanno interesse a proporre, rilanciare, teorizzare la necessità di un superamento
radicale dello status quo. Lo abbiamo visto nel caso dei territori orfani delle rispetti comunità
montane, che cercano nella fusione un surrogato a quel vettore di identità aggregata; lo ab-
biamo visto in quei contesti virtuosi in cui la soluzione istituzionale intermedia - improntata
alla cooperazione - mostra velocemente i propri limiti quando per ragioni congiunturali mo-
stra la propria scarsa capacità nel determinare economie; lo abbiamo visto infine in quei
contesti in cui a una non meglio precisata idea secondo cui “c’è bisogno di andare oltre”
corrisponde un investimento nello strumento istituzionale dell’unione che fin da subito appa-
re inadeguato, al punto da farne invocare il superamento in chiave salvifica. Succede in tutti
i casi che l’emergenza di una domanda di consolidamento si dà come alternativa allo sfrut-
tamento dell’esistente e come netta deviazione di sostanza rispetto alla politica regionale.
Le pratiche locali che abbiamo descritto usano lo strumento dello studio di fattibilità detur-
nandone parzialmente il senso e l’uso verso opzioni che vi sono contenute solo marginal-
215
mente. Il detournement (prendendo a prestito il gergo debordiano) consiste nel puntare lo
strumento dello studio verso un’opzione - la fusione - che lo stesso prevede tra gli oggetti
teoricamente ‘studiabili’, senza però prevedere un quadro normativo di riferimento chiaro
che la possa rendere efficace.
Quali sono gli effetti di questa deviazione? In primo luogo, l’iscrizione in agenda del tema
del consolidamento istituzionale, tema che da originario tabù viene sdoganato al punto da
trovare spazio nelle poche pagine che compongono le linee programmatiche. Quest’iscri-
zione si traduce di lì a poco in un impegno più circostanziato, preso dalla Giunta in vari
momenti più o meno formali, di riscrittura radicale della normativa: ci si impegna in altre pa-
role a non affrontare la domanda di consolidamento con misure estemporanee e ad hoc,
ma a contenerle in un quadro organico e coerente. Gli effetti concreti sono ad oggi scono-
sciuti, ma non tarderanno realisticamente a palesarsi nei prossimi mesi. Al di là dei possibili
profili di concretizzazione nel prossimo futuro del processo che abbiamo delineato, sembra
chiara la dinamica riformista in corso in questo contesto regionale: promuovendo un model-
lo interpretativo della per la lettura dei processi di cambiamento amministrativo, Silvia Ghe-
rardi (2004) ricorre alla categoria di “apprendimento istituzionale”, inteso come “sapere che
circola entro i processi di cambiamento e che viene istituzionalizzato entro il processo di
traduzione in pratica di una qualsiasi ipotetica riforma”, come lettura radicalmente alternati-
va dei processi di ‘traduzione in pratica’ delle policies. Secondo questo schema, "tradurre
una riforma in pratica" costituisce una metafora basata sull'analogia fra la riforma (l’evidenza
normativa che vi sia una previsione riformatrice in una qualsiasi direzione) e le tracce (gli ar-
tefatti, le reti d’azione) che di questa di possono rinvenire sul campo come esito del duplice
e contemporaneo processo dell'interpretare e del contestualizzare un oggetto nel suo am-
biente d’uso (Gherardi, Lippi, 2000). La metafora consente uno studio ‘situato’ dei processi
di riforma in ambienti che svelino gli usi intenzionali della conoscenza applicata, e scardina
l’idea secondo cui esista (sia osservabile) una relazione causa effetto tra enunciati e realiz-
zazioni. Uno dei limiti dell’approccio (voluti, consci, orgogliosamente rivendicati) sta nel suo
essere prettamente descrittivo, nel non avere cioè alcuna velleità strutturalista e, quindi, nel
privilegiare il divenire, le forme precarie del sociale mentre si costruiscono. Qui mi rendo
conto che la tentazione di strutturare è forte: vorrei chiudere il quadro avendo dimostrato
che l’impalcatura teorica si traduce in qualcosa di misurabile.
216
Adottando uno schema ‘tradizionale’, che legga il processo di policy come flusso tempo-
ralmente e logicamente lineare, di cui l’‘implementazione’ è una fase centrale (prima della
valutazione), il nostro caso resta muto. Acquista senso se osservato nell’ottica di un pro-
cesso in cui si dà una la ‘traduzione di pratiche in riforme’. Sono le pratiche locali che scri-
vono l’agenda pubblica, che ne ridefiniscono i contorni e i contenuti a partire dalle stesse
logiche che l‘agenda contiene, dormienti. Pratiche: politiche (locali) che, azionate da e con
leve pubbliche grazie al darsi di reti d’azione in cui la disponibilità (alla rinfusa) di un oggetto
immateriale, preferenze plurali, tracce di incentivazione, tecnicalità assortite, determinano
l’emergenza di traiettorie di policy sovralocali, di sistema.
217
A margine
L’ultima settimana prima della consegna ci vede tornare contemporaneamente attivi su tutti
i fronti. Un primo progetto parte a tutti gli effetti, un altro entra nel vivo con una prima con-
segna sostanziale al cliente, un altro ancora si chiude definitivamente. Il 1 di febbraio viene
indetta una riunione al Circondario Imolese per discutere dello studio di fattibilità che da un
mese è formalmente pubblico (ma che non è ancora stato ‘reso pubblico’). Alla riunione
prendono parte i quattro sindaci della Vallata del Fiume Giallo, il presidente del Circondario,
la segretaria, noi. La riunione vuole sancire la chiusura del progetto e la definizione di una
strategia di pubblicizzazione degli esiti dello studio. Incontriamo il presidente quando ancora
siamo fuori dagli uffici, lui ci accoglie con belle parole sulla qualità dello studio, che “però
risulta politicamente impraticabile”. Noi questo lo sappiamo da tempo: gli raccontiamo di
come l’incarico si sia avviato a suo tempo sotto gli auspici di un’indisponibilità totale da par-
te di uno degli attori coinvolti. Avvertiamo che un obiettivo della riunione sarà far convergere
l’apparato conoscitivo prodotto dallo e nello studio verso obiettivi di rafforzamento dell’Ente
di secondo livello, obiettivo della cui centralità nel dibattito siamo ampiamente avveduti.
La riunione si apre con una lunga introduzione dello stesso presidente: si dà atto del per-
corso effettuato e di come sullo sfondo del (mancato) processo vi sia una più generale atti-
vazione di politiche regionali tendenti al riordino degli enti locali a partire dagli stessi primi
livelli. Oggi ragioniamo di rafforzamento delle unioni di comuni (o del circondario), sapendo
che non potremo non mettere mano alla struttura dei comuni e a loro possibili politiche di
aggregazione. In questa prospettiva, dice il presidente, usiamo lo studio per argomentare
quanto sia urgente procedere alle gestioni associate, lavoriamo per un accentramento in
capo al circondario delle funzioni di tutti i dieci comuni e poi si vedrà cosa la regione sarà in
grado di ‘tirare fuori dal cappello’. L’argomentazione non convince tutti. Per alcuni “mettere
in piedi gestioni associate per tutti sarà più difficile che fare la fusione”: se infatti, si dice, la
fusione consente di azzerare sostanzialmente i costi di transazione insiti nella cooperazione,
la creazione di una struttura di secondo livello di queste dimensioni rischia di appesantire
gravemente il processo decisionale e gestionale. Altri sostengono che l’impraticabilità politi-
ca data dalla chiusura di uno dei comuni è risultata immediatamente esiziale per il processo,
218
e che ancora si darà fintanto che quel blocco non verrà meno: con questo s’intende riba-
dire che ipotesi di fusione non compatte (che non prevedano l’adesione di tutti i comuni)
non hanno alcuna legittimità nè istituzionale nè tanto meno politica. Questa constatazione
tenta di stroncare un rumore di fondo alimentato dallo stesso comune dissidente che, con
un atteggiamento politicamente tra il serio e il faceto, rinfocola l’ipotesi di ‘appoggio ester-
no’: “fatevela la vostra fusione, non ci date fastidio”. Sotto i nostri occhi si compie la neutra-
lizzazione del conflitto attorno al progetto, prima che questo sia dato definitivamente in pa-
sto a stampa e minoranze e possa quindi generare dibattiti o discorso pubblico. Il sindaco
di β ricorda come l’ipotesi di fusione si era cominciata a concretizzare con la soppressione
della comunità montana: il disorientamento da perdita di un ultimo ancorché inefficace mo-
mento organizzativo di coordinamento territoriale aveva reso attuale l’ipotesi esplorativa del-
l’aggregazione. Oggi quest’ipotesi torna nel cassetto, mentre prende corpo l’idea conserva-
trice di dare forza, accentrando su di esso le funzioni decentrate, all’Ente la cui stessa so-
pravvivenza giuridica viene messa in discussione un giorno sì e l’altro pure.
Usciamo dalla riunione senza sapere che fine farà lo studio, che resta muto.
Intanto finiamo di scrivere un rapporto intermedio sul Fiume Verde, in cui ci concentriamo
soprattutto sulle indicazioni raccolte nelle interviste. Il rapporto è un po’ scarno e nell’inviarlo
ci rendiamo conto di quanto altro lavoro è necessario per chiuderlo: siamo in chiusura (se-
condo i tempi indicati nel contratto) ma in pratica dobbiamo ancora incominciare. La richie-
sta di proroga si sta già profilando all’orizzonte: per noi questo progetto è troppo importan-
te, un suo successo sarebbe un impagabile distintivo da cucirci alla divisa, ci darebbe quel-
la credibilità che oggi, in questo particolarissimo e inesistente mercato, ancora ci manca.
Brilliamo di luce riflessa: veniamo chiamati come “quelli bravi a fare le unioni”, il che non si-
gnifica nulla.
Poi, il 3 di febbraio, è la volta del Fiume Rosso. Alla riunione ‘informale’ organizzata in Unio-
ne partecipa il presidente e un noto politico locale, autoctono e profondo conoscitore del
territorio. Con loro discutiamo di cosa ci sarà nello strumento che consegneremo: l’ulteriore
dettaglio discende da un’ennesima taratura della checklist, approntata poche ore prima per
il Fiume Verde. Ma loro sono iper-pro-attivi, la loro competenza di clienti è molto più spinta
rispetto agli altri casi. Mi fanno paura. Vogliono coinvolgere alcuni esperti sui temi del bilan-
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cio, cui sottoporre numeri e previsioni sul futuro, vogliono ottenere da subito un’interlocu-
zione diretta con la politica regionale. Vogliono tutto e lo vogliono subito: “quanto tempo ci
vuole per finire tutto? Un mese?”, ma dobbiamo ancora cominciare. Ho la sensazione che
questi vogliano davvero andare in fondo. Il presidente chiarisce il concetto: o passa la fusio-
ne o m dimetto. Poi spunta l’idea del ‘fusion day’, il giorno del referendum da organizzare in
pompa magna e preparare nei mesi precedenti con banchetti e attività di piazza per cercare
il massimo. Ci viene infine consegnato un articolo, che il nostro interlocutore politico ha
scritto per non so quale periodico locale. Ne riporto ampi stralci.
Ad ovest della provincia, e anche un po’ a sud, là dove il crinale di dolci colline segna l’invi-sibile confine con il Modenese, stanno cinque comuni che fra piccoli e medio piccoli fanno giusto giusto 30.000 abitanti. I loro territori sono in organica e geografica continuità, contenuti come sono in uno dei bacini idrografici secondari del fiume Fiume Blu, quello del torrente Fiume Rosso, che bagna, quando può, e nomina la vallata fino all’incrocio con la via Aemilia che ne stabilisce il confine a nord, verso la piatta pianura. [...] Una grande ricchezza che sa accogliere, integrare facendosi così, via via, più solida. Non sto parlando del Paradi-so, ma, molto più semplicemente, di una parte della nostra provincia dai tratti molto precisi, che fa i conti con la crisi che attanaglia la nostra e le altre società, la nostra e le altre econo-mie, che cerca i modi per resistere e rispondere, per darsi un futuro e soprattutto per darlo a chi verrà dopo di noi. L’organizzazione periferica del Partito Democratico ha allora deciso di rompere gli indugi, sostenendo con forza l’operato delle amministrazioni locali, lungo la strada che vorremmo portasse dalla attuale fase di “Unione” per la gestione di uffici, servizi, attività di varia natura, alla vera e propria “fusione”: di cinque comuni farne uno solo [...] Un solo sindaco, una sola giunta, un solo consiglio comunale, un sistema di governo più semplice e unitario che renda anche per questa via più ricco e appetibile il territorio della vallata per viverci, per studiare, per avviare una propria attività economica sia essa pro-duttiva che commerciale, più in generale per lavorare. Un comune a rete, che usa tutte le nuove tecnologie per essere il più possibile a portata di mano, dove sperimentare forme nuove di partecipazione democratica, non tralasciando quelle consuete, e di fruizione dei servizi e delle opportunità. Un comune in cui le dinamiche di scala, tutte, economiche, sociali, di uso del territorio, e altre ancora, traggano vantaggio dall’organicità naturale deri-vante dal superamento della frantumazione dei bilanci, dei servizi, degli uffici, dei centri decisionali. Vantaggio che dovrà manifestarsi in scelte che facciano meglio i conti con le esi-genze di imprenditori e di imprese impegnati sul fronte di una competitività sempre più diffi-cile e, nel contempo, per fare meglio i conti con le esigenze delle famiglie, dei loro figli. Un solo comune per un territorio che scopra il piacere di valorizzare tutte le sue peculiarità [...] parlo del duro lavoro degli agricoltori, degli allevatori, delle varie forme in cui si esprime quell’attività che produce cibo e vino buono e sano per le nostre tavole, il cui reddito è du-ramente colpito dall’assenza di adeguate politiche di sviluppo e di tutela [...] Citati somma-riamente, sono questi alcuni degli aspetti di immediato interesse locale da aggiungere agli aspetti di rilievo più vasto: nei fatti questa è la strada per agevolare, finalmente, la costruzio-ne della città metropolitana, per risolvere il dilemma provincia, per stabilire una corretta relazione fra la città capoluogo e i futuri municipi del territorio metropolitano.Proponiamo che si lavori per arrivare alla soglia del comune unico nel corso di questa le-gislatura attraverso un largo coinvolgimento dei cittadini in modo diretto, con particolare attenzione verso coloro che saranno gli artefici del consolidamento futuro del nuovo sogget-
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to istituzionale. [...] Per questo nelle prossime settimane andremo sulle piazze degli attuali comuni per parlare con i cittadini, avanzando la nostra proposta e raccogliendo idee, sugge-rimenti, indicazioni, preoccupazioni. Vogliamo accompagnare e contribuire alla discus-sione che ci sarà sullo studio di fattibilità per la fusione, che i comuni dell’Unione han-no affidato all’Università di Bologna, consapevoli e convinti del ruolo che deve avere la politi-ca, una buona politica, in una avventura di questa natura. D’altra parte l’abbiamo scritto nei programmi elettorali assumendo un impegno concreto. Che la proposta sia complessa per tutto ciò che mette in gioco, è evidente e di tale complessità vi deve essere piena consape-volezza in tutti coloro che parteciperanno alla costruzione del progetto.Alta dovrà dovrà essere la dose di sensibilità nel ragionare dei mutamenti che si an-dranno a produrre negli usi e nelle consuetudini delle persone. Per capirne i timori, per aprire a prospettive positive le chiusure campanilistiche. Per evitare, ad esempio, che la scelta del luogo dove saranno ubicati gli uffici del sindaco e della macchina amministrativa, diventi mo-tivo di diverbi o vissuta come ipotetico declassamento degli altri territori.Insomma bisogna essere ben consci che in questo territorio, di tradizioni molto antiche, gli ultimi aggiustamenti al sistema istituzionale datano al 1810. Fu Napoleone.Da allora sono passati 200 anni. E nessuno di noi è Napoleone.
Per l’ennesima volta mi trovo a interrogarmi su quale sarà l’apporto che saremo in grado di
dare al processo: quale competenza dovremo acquisire perché la nostra presenza sia effet-
tivamente legittimata? Come faremo a non cadere nella trappola delle profezie che si au-
toavverano?
[continua]
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