Top Banner
federalismi.it n. 13/2014 CRONACHE DI UN CONFLITTO TRA PARLAMENTO E MAGISTRATURA NELL'ITALIA LIBERALE: LINTERPRETAZIONE DELL'ART. 45 DELLO STATUTO SULL'IMMUNITÀ DEI DEPUTATI * di Fernando Venturini (Consigliere parlamentare della Camera dei Deputati) 25 giugno 2014 Sommario: 1. Introduzione. 2. La Camera “oltremodo cauta e gelosa custode” delle sue prerogative rivendica il diritto di interpretare l'art. 45 dello Statuto. 3. La Camera (tenta di) interpreta(re): l'autorizzazione a procedere è necessaria anche fuori dal tempo della sessione. 4. La giurisprudenza degli anni '80: l'incidente Nicotera-Lovito. 5. La Camera cerca un'interpretazione sull'arresto esecutivo. Il Governo difende i procuratori di fronte alla “magistratura delle urne”. 6. La giurisprudenza negli anni '90: scandali, sovversivi e stati d'assedio: “L'arresto di un deputato è già per se stesso un'ottima cosa”. 7. La Camera interpreta: l'art. 45 copre anche i deputati militari in tempo di guerra. 8. La scienza del diritto: i privilegi dei parlamentari sono “ruderi storici” o “necessarissimi, salutari, altamente liberali”? 9. La Camera finalmente si esprime sul conflitto con la magistratura: il giurista “ripiega la sua bandiera”. 10. Ancora sull'arresto esecutivo: la Camera non si pronuncia sul caso Ferri. 11. Le autorizzazioni a procedere nel dopoguerra: dal conflitto silenzioso alla questione morale. 12. Nel regime fascista: “l'autorità di un Parlamento può essere […] or assai grande or assai scarsa; e può anche annullarsi del tutto”. Appendice: dati statistici sulle autorizzazioni a procedere, 1848-1929. * Articolo sottoposto a referaggio. L’Autore ringrazia Marco Cerase, Paolo Evangelisti, Enrico Gustapane, Guido Melis, Francesco Soddu per aver letto una prima stesura di questo studio. Alcuni aspetti del testo, con particolare riferimento al dibattito giuridico, sono stati anticipati in un articolo in corso di pubblicazione nella rivista “Le carte e la storia” con il titolo: L'art. 45 dello Statuto albertino nella letteratura giuridica: appunti su di uno scritto di Vittorio Emanuele Orlando.
47

Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

Apr 04, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

federalismi.it n. 13/2014

CRONACHE DI UN CONFLITTO TRA PARLAMENTO E MAGISTRATURA

NELL'ITALIA LIBERALE: L’INTERPRETAZIONE DELL'ART. 45 DELLO STATUTO

SULL'IMMUNITÀ DEI DEPUTATI*

di

Fernando Venturini

(Consigliere parlamentare della Camera dei Deputati)

25 giugno 2014

Sommario: 1. Introduzione. 2. La Camera “oltremodo cauta e gelosa custode” delle sue

prerogative rivendica il diritto di interpretare l'art. 45 dello Statuto. 3. La Camera (tenta di)

interpreta(re): l'autorizzazione a procedere è necessaria anche fuori dal tempo della sessione.

4. La giurisprudenza degli anni '80: l'incidente Nicotera-Lovito. 5. La Camera cerca

un'interpretazione sull'arresto esecutivo. Il Governo difende i procuratori di fronte alla

“magistratura delle urne”. 6. La giurisprudenza negli anni '90: scandali, sovversivi e stati

d'assedio: “L'arresto di un deputato è già per se stesso un'ottima cosa”. 7. La Camera

interpreta: l'art. 45 copre anche i deputati militari in tempo di guerra. 8. La scienza del diritto:

i privilegi dei parlamentari sono “ruderi storici” o “necessarissimi, salutari, altamente

liberali”? 9. La Camera finalmente si esprime sul conflitto con la magistratura: il giurista

“ripiega la sua bandiera”. 10. Ancora sull'arresto esecutivo: la Camera non si pronuncia sul

caso Ferri. 11. Le autorizzazioni a procedere nel dopoguerra: dal conflitto silenzioso alla

questione morale. 12. Nel regime fascista: “l'autorità di un Parlamento può essere […] or assai

grande or assai scarsa; e può anche annullarsi del tutto”. Appendice: dati statistici sulle

autorizzazioni a procedere, 1848-1929.

* Articolo sottoposto a referaggio. L’Autore ringrazia Marco Cerase, Paolo Evangelisti, Enrico Gustapane, Guido

Melis, Francesco Soddu per aver letto una prima stesura di questo studio. Alcuni aspetti del testo, con particolare

riferimento al dibattito giuridico, sono stati anticipati in un articolo in corso di pubblicazione nella rivista “Le

carte e la storia” con il titolo: L'art. 45 dello Statuto albertino nella letteratura giuridica: appunti su di uno

scritto di Vittorio Emanuele Orlando.

Page 2: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 2

1. Introduzione

Si è scritto, con riferimento all’Italia della cosiddetta “prima repubblica”, che l’istituto

dell’autorizzazione a procedere, costituisce “un indicatore empirico a più volti” sulla

legittimazione della classe politica e sulla sensibilità istituzionale che alimenta l’azione della

magistratura1. Questo contributo nasce dall'ipotesi che considerazioni simili possano essere

fatte anche per l'Italia liberale. Non essendovi studi storiografici in grado di dare una risposta

soddisfacente2 in primo luogo si è cercato, nell'appendice statistica, di raccogliere dati precisi

sulle domande di autorizzazione ad arrestare o a tradurre in giudizio presentate alla Camera

dei deputati nel periodo 1848-1929, sulle procedure seguite e sui reati contestati. Per il resto,

ci si propone di individuare i passaggi più importanti di una giurisprudenza parlamentare

molto incerta, almeno fino alla prima guerra mondiale, dove trapelano forti divisioni

nell'atteggiamento verso la magistratura e dove ricorre già pochi anni dopo l'approvazione

dello Statuto albertino una questione centrale: la titolarità dell'interpretazione dell'art. 45 dello

Statuto.

Ricordiamone il testo: “Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante

delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo

consenso della Camera”3.

Pochi articoli dello Statuto, scrisse V. Emanuele Orlando, furono “fertili di questioni” come

l'art. 45 “in parte per l'equivoca formulazione dell'articolo stesso, in parte perché la Camera

1 F. Cazzola, M. Morisi, La mutua diffidenza: il reciproco controllo tra magistrati e politici nella prima

Repubblica, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 20.

2 L'unico saggio storico è M. Dogliani, Immunità e prerogative parlamentari, in Storia d'Italia. Annali

17. Il Parlamento, a cura di L. Violante, Torino, Einaudi, 2001, p. 1009 sgg. Si vedano anche le pagine di

introduzione storica in G. Zagrebelsky, Le immunità parlamentari: natura e limiti di una garanzia

costituzionale, Torino, Einaudi, 1979 e il recente F. Compagna, Alle radici delle immunità parlamentari, in

“L'acropoli”, 2009 <http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=205>. Per quanto riguarda la letteratura coeva,

oltre a M. Mancini e U. Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma, Tip. Della Camera dei deputati,

1887, p. 515 sgg., utili le analisi dell'istituto e le rassegne della giurisprudenza di G. Crisafulli, La guarentigia

dei deputati nei procedimenti penali, in “Archivio di diritto pubblico”, 4 (1894), p. 10-36, 249-278, 401-412, e

I. Brunelli, F. Racioppi, Commento allo Statuto del Regno, Torino, Utet, 1909, vol. 2, p. 543 sgg.

3 L'art. 46 proteggeva inoltre i deputati dall'arresto per debiti durante la sessione e nelle tre settimane

precedenti o seguenti ma tale guarentigia divenne inutile dopo l'abolizione dell'arresto per debiti nel 1877. Per i

senatori la situazione era diversa poiché l'art 37 li sottraeva alla magistratura ordinaria sia per procedere

all'arresto (salvo il caso di flagranza) sia per il giudizio penale, in quanto la competenza era affidata al Senato

stesso costituito in alta corte di giustizia. Peraltro questa immunità non aveva un grande valore pratico per il

numero limitato di casi e per la consuetudine dei senatori accusati di dimettersi. Come ricordano in piena età

giolittiana Racioppi e Brunelli: “Nella massima parte dei casi le processure ebbero termine nel periodo

istruttorio, che per essere segreto sfugge alla cognizione precisa del pubblico. Il più delle volte si finì con

dichiarazione di non luogo a procedere: altre volte i Senatori imputati troncarono il procedimento dimettendosi e

affidandosi al magistrato ordinario: due sole volte il processo ebbe pieno svolgimento fino alla sentenza di

condanna, cioè per il Persano nel 1866 e per il Pissavini nel 1888”, cfr. I. Brunelli, F. Racioppi, Commento allo

Statuto del Regno cit., vol. 2, p. 368.

Page 3: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 3

non fu sempre giudice spassionato”4. Tra queste, la questione più importante era preliminare

a tutte le altre: a chi spettava interpretare l'estensione ed i limiti della guarentigia statutaria, in

una situazione nella quale non vi era un organismo terzo in grado di dirimere un conflitto di

natura costituzionale? Tale domanda diede vita, come si vedrà, ad una vivace dialettica tra

l'autorità giudiziaria e la Camera dei deputati. Nello stesso tempo, a partire dagli anni '70,

sulle immunità cominciarono a scaricarsi le tensioni politiche esterne e gli umori

antiparlamentari di un'opinione pubblica a cui dava manforte una parte consistente della

scienza giuridica. Attraverso lo specchio dell'immunità, il Parlamento italiano rivelava così la

sua posizione, incerta e mutevole, nell'arena politica e istituzionale e si confrontava con una

magistratura nient'affatto compatta ma “tutt'altro che arrendevole alle ragioni della

rappresentanza”5.

Quando in età giolittiana la Camera fece finalmente un'esplicita affermazione della propria

titolarità, la magistratura sembrò abbandonare la contesa o, almeno, porsi in un atteggiamento

di conflittualità silenziosa. L'interpretazione dell'immunità parlamentare lentamente assunse,

dopo il primo conflitto mondiale e fino all'affermazione del fascismo, connotati simili a quelli

delle prime legislature repubblicane6.

2. La Camera “oltremodo cauta e gelosa custode” delle sue prerogative rivendica il

diritto di interpretare l'art. 45 dello Statuto

I primi decenni della giurisprudenza parlamentare sulle immunità possono essere seguiti sulle

pagine del repertorio di Mario Mancini ed Ugo Galeotti7 che parlano di “lodevole

temperanza” nell'applicazione dell'art. 45. Per la verità, le legislature del Parlamento

subalpino e le prime legislature del Regno vedono la Camera dei deputati rivendicare con

forza e senza soggezioni l'inviolabilità dei parlamentari. La Camera impone la propria

interpretazione oppure chiede direttamente la modifica di interventi lesivi dell'immunità,

facendo leva sul rapporto fiduciario con il Governo, di fronte ad una magistratura ritenuta

inaffidabile perché legata all'ancien régime.

Già nel dicembre 1848, la Camera chiese ed ottenne, in sede di verifica dei poteri, con voto

unanime e con il consenso di tutti i ministri del Governo Perrone, l'immediata scarcerazione

4 V. E. Orlando, Principii di diritto costituzionale, 4. ed. riv., Firenze, Barbera, 1905, p. 190-191.

5 G. Zagrebelsky, Le immunità parlamentari cit., p. 21.

6 Solo nel 1988 e cioè in occasione di una famosa sentenza della Corte costituzionale, la n. 1150,

l'autonomia parlamentare sul terreno delle prerogative sarebbe tornata sub judice e, nello specifico, sub judice

constitutionis, visto che la Corte dichiarò che le pronunce di insindacabilità potevano essere sottoposte al

controllo della Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione da parte del giudice ordinario.

7 Norme ed usi del Parlamento italiano, cit. p. 556.

Page 4: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 4

dell'avvocato mazziniano Didaco Pellegrini, eletto a Genova quando era già sotto accusa per

essere stato coinvolto nell'insurrezione del capoluogo ligure8. Nel 1862, durante lo stato

d'assedio per l'impresa di Aspromonte, la Camera intervenne nel famoso caso degli arresti dei

deputati Antonio Mordini, Nicola Fabrizi e Salvatore Calvino: di fronte ad un ordine del

giorno molto duro di Agostino Bertani, il Governo Rattazzi preferì dimettersi9.

In effetti, in un primo periodo le richieste di autorizzazione furono poche ma non furono mai

accordate: la Camera subalpina, scrivono Mancini e Galeotti “ora col considerarla immatura,

ora col sospenderla, ed ora col non riferirne, non accordò mai la chiesta autorizzazione”10.

Inoltre, ciò che è ancora più significativo, fino agli anni '60, la Camera (o per meglio dire la

commissione di volta in volta incaricata dagli Uffici di presentare una relazione all'aula) non

si limitò quasi mai a verificare la presenza di ciò che viene comunemente definito fumus

persecutionis ma più volte individuò interessi politici e ragioni di opportunità che

consigliavano di rifiutare o di sospendere la richiesta di autorizzazione, secondo un approccio

che mirava a far prevalere l'autonomia del potere legislativo e la libertà nell'esercizio del

mandato. Il sistematico rifiuto di autorizzare procedimenti per il reato di duello ne è la

principale dimostrazione. Come scrisse il relatore del primo caso giunto alla Camera, quello

del duello tra Cavour ed Enrico Avigdor, il 18 maggio 1850: “un deputato, nel tempo della

Sessione, non appartiene intieramente a se stesso; e dove sia fatto in qualsivoglia modo

impedimento all'esercizio delle sue funzioni legislative, ne risulterà un danno non lieve; ne

risulterà il discapito di un interesse, che non può dirsi privato, imperocché i suoi elettori

verranno con ciò, senza alcuna lor colpa, direttamente spogliati del prezioso benefizio di

essere rappresentati nel Parlamento”11. Inoltre, scriveva Pasquale Stanislao Mancini in una

relazione del 1865, la Camera non poteva legarsi le mani nella valutazione delle richieste di

autorizzazione in quanto “non è vincolata, né soggiace a restrizione circa la scelta degli

elementi che possano determinare il suo apprezzamento morale e politico” e può desumerli

anche da fattori esterni alla vicenda processuale e cioè “dall'indole e gravità dell'imputazione,

dalle circostanze del paese o delle persone, o dallo stato dell'opinione pubblica, onde inferirne

se appaia miglior consiglio consentire eccezionalmente il procedimento penale durante la

8 Da allora si stabilì una prassi costituzionale che la magistratura italiana rispettò sempre, liberando i

deputati che al momento della loro elezione si trovavano in carcere in attesa di giudizio. Per il caso dei deputati

eletti mentre erano detenuti in carcere a seguito di sentenza definitiva, si veda infra.

9 Il testo dell'ordine del giorno di Bertani era il seguente: “La Camera, avendo riconosciuto non solo la

non flagranza, ma l'incolpabilità dei deputati arrestati ne lo scorso agosto in Napoli, riprova ne l'atto arbitrario

commesso l'offesa arrecata a la prerogativa sovrana de la rappresentanza nazionale e passa all'ordine del giorno”

A.P. Camera dei deputati, Disc., 17 dicembre 1862, p. 4773.

10 Norme ed usi del Parlamento italiano cit., p. 545.

11 A.P. Camera dei deputati, Disc., 18 maggio 1850, p. 2076-2077.

Page 5: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 5

Sessione, ovvero far attendere la chiusura di essa perché la giustizia possa spiegare

liberamente la sua azione”12 .

In questo contesto, la rivendicazione del diritto ad interpretare l'art. 45 fu affermata con

comprensibile energia di fronte alla magistratura. Nel novembre 1853 l’avvocato Giovanni

Bonaventura Buttini fu condannato in appello per reato di stampa e fece ricorso in

Cassazione. Nelle more del ricorso, poiché l’8 dicembre 1853 fu eletto deputato, invocò

l’applicazione dell’art. 45 dello Statuto e chiese che fosse richiesta l’autorizzazione della

camera di appartenenza per poter proseguire nel giudizio.

La Cassazione da un lato affermò la propria competenza a giudicare i limiti dell’art. 45 poiché

ogni tribunale è giudice della propria competenza “ed essa si estende, tranne i casi eccettuati,

a conoscere sì dell’azione che dell’eccezione”, dall’altro sostenne che il ricorso in Cassazione

istituisce un giudizio “che è nuovo e tutto speciale, e in cui non vi è più esercizio di azione

penale”, che non cade sulla persona o sui fatti, già stabiliti dal giudicato13. Per questi motivi,

il giudizio di Cassazione non poteva essere accomunato ai giudizi in materia criminale a cui

faceva riferimento l’art. 45 dello Statuto. Poi, esaminato il merito, respingeva il ricorso e

confermava la condanna del Buttini.

Su richiesta dello stesso Buttini, la Camera dei deputati affrontò la questione istituendo una

commissione che, con una relazione del 1° maggio 1855, firmata da Carlo Cadorna,

affermava che anche quello in Cassazione aveva i caratteri di un giudizio penale, rivendicava

il sovrano diritto della Camera a decidere qualunque controversia sull’art. 45 e invitava,

infine, il potere esecutivo a non dare esecuzione alla sentenza della Cassazione14. Cosa che

avvenne spontaneamente senza che fosse necessaria una delibera da parte dell’assemblea

plenaria. La questione era molto delicata e l'esito sarebbe stato definito, anni più tardi, “un

colossale e stranissimo arbitrio che solo il dispotismo di un'Assemblea poteva arrogarsi”15

poiché la Camera si trovava di fronte ad una sentenza passata in giudicato, ma ciò non impedì

una presa di posizione netta, mossa dalla preoccupazione di non avallare un'interpretazione

che avrebbe potuto minare alla radice l'istituto dell'immunità. In margine si può notare che

12 A.P. Camera dei deputati, Sess. 1863-64, Doc., n. 336-A, p. 4. Ivi Mancini ricordò che la camera

subalpina si era sempre mostrata “oltremodo cauta e gelosa custode di questa sua prerogativa”.

13 Quest'ultimo argomento fu ripetuto successivamente dalla Cassazione di Firenze con sentenza 6

dicembre 1873 su ricorso Simonelli. Cfr. I. Brunelli – F. Racioppi, Commento allo Statuto del Regno cit., vol. 2,

p. 555.

14 A.P. Camera dei deputati, Sess. 1853-54, Doc., n. 167-A. La relazione Cadorna è un documento di

notevole spessore, orgogliosamente incentrato nella difesa della libertà ed indipendenza della rappresentanza

politica: “noi facciamo un atto politico, e non un atto giuridico. E la Camera ha indubbiamente, come qual si

voglia altro Potere dello Stato, il diritto di tutelare con atti politici le proprie prerogative nei termini dello

Statuto”, p. 3.

15 A. Dell'Abate, L'articolo 45 dello Statuto costituzionale italiano, Bologna, Zanichelli, 1886, p. 20.

Page 6: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 6

attraverso questa sentenza, la Cassazione, istituita nel 1847, aveva cercato di affermare una

posizione di separatezza dalle tradizionali giurisdizioni del Piemonte sabaudo e che la

Camera, rifiutando questa pretesa e assimilando implicitamente gli altri tribunali alla Corte di

Cassazione, legittimava di fronte a se stessa l'intero ordine giudiziario come potere

costituzionale, pur rivendicando il diritto di avere l'ultima parola16.

3. La Camera (tenta di) interpreta(re): l'autorizzazione a procedere è necessaria anche

fuori dal tempo della sessione

La seconda rivendicazione di competenza circa l'interpretazione dell'art. 45 si ebbe intorno ad

un tema molto importante, quello dei limiti temporali dell'inviolabilità e si legò al primo

grande scandalo dell’Italia unita, quello della Regia cointeressata dei tabacchi. Con sentenza

15 novembre 1869, il Tribunale di Firenze condannò ad un anno di carcere militare il deputato

- e militare con il grado di maggiore - Cristiano Lobbia per simulazione di reato. Era questa la

strana conclusione del procedimento penale (inizialmente contro ignoti) per l’attentato allo

stesso Lobbia avvenuto a Firenze nella notte tra il 15 e il 16 giugno, dopo che il Lobbia aveva

dichiarato in aula di essere in possesso di prove della corruzione che aveva accompagnato

l’approvazione della convenzione istitutiva della privativa di fabbricazione dei tabacchi ed

una Regìa cointeressata costituita da investitori italiani e stranieri. Lobbia poté essere

processato nonostante fosse deputato in carica poiché la sessione era stata prorogata il 15

giugno 1869 e chiusa il 14 agosto. Il Tribunale di Firenze aveva ritenuto di poter procedere

interpretando alla lettera l’art. 45 dello Statuto che imponeva il consenso della Camera “nel

tempo della sessione”, nonostante gli argomenti di Pasquale Stanislao Mancini, difensore del

Lobbia. Come è noto, i pochi mesi del processo videro pesanti interventi del Governo, tramite

il Ministro Pironti, e il procuratore generale di Firenze, Augusto Avet, sulla magistratura

requirente e sulla giudicante con trasferimenti, dimissioni del procuratore Giuseppe Borgnini,

ecc. di cui si ha traccia anche nella Storia costituzionale di Arangio Ruiz17.

Quando Lobbia fece appello, la sessione parlamentare era aperta e così fu necessario chiedere

l’autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati. La commissione incaricata di

esaminare tale domanda (relatore Pier Ambrogio Curti) decise per la concessione sia perché lo

16 “essendoché […] l'Ordine giudiziario, sebbene sia una emanazione, e per così dire, un ramo del Potere

esecutivo per ciò che riguarda la nomina dei di lui membri, costituisca ciò non pertanto di per sé un Potere

costituzionale per l'attribuzione di podestà, che ha direttamente dallo Statuto, e per la inamovibilità che lo rende

indipendente dal Potere esecutivo nell'esercizio delle proprie attribuzioni”, A.P. Camera dei deputati, Sess. 1853-

54, Doc., n. 167-A, p.2.

17 G. Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del Regno d'Italia, 1848-1898, Firenze, Civelli, 1898, p. 232-

233. Su questi episodi si veda la ricostruzione di T. Iermano, Uno scandalo nell'età della Destra Storica: la

Regia dei tabacchi, “Prospettive Settanta”, n.s., 7 (1985), n. 3-4, p. 477-497.

Page 7: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 7

stesso Lobbia aveva rivolto alla Camera “le più vive sollecitazioni” in questo senso, sia

perché si riteneva che vi fossero stati “enormi abusi di autorità” ed un’azione funesta

sull’ordine giudiziario da parte del passato Governo quali non si erano mai avuti dal 1848 e

che quindi fosse necessario “contrapporre a codeste mancanze di rispetto del passato

Ministero verso l’ordine giudiziario una solenne e pubblica testimonianza di nobile fiducia

della Camera dei deputati ne’ sentimenti di giustizia, di libertà e di indipendente fermezza che

possono fare l’orgoglio della magistratura italiana”18.

La commissione deliberò solo nel merito e non si occupò dell’interpretazione dell’art. 45, in

particolare della perseguibilità di un deputato nell’intervallo tra due sessioni, poiché questo

tema fu affidato ad una commissione ad hoc, incaricata di dirimere le questioni più

controverse circa la durata e l'estensione delle prerogative parlamentari.

La commissione presentò, a firma proprio di Pasquale Stanislao Mancini, una relazione il 30

luglio 187019. Si tratta di un documento importante e più volte richiamato che cercò,

riuscendovi solo in parte, di porre su basi solide la giurisprudenza parlamentare in tutte le

questioni che si erano fino ad allora presentate: in primo luogo l'estensione dell'immunità

all'intera legislatura e, poi, l’elezione successiva all’arresto, la quasi flagranza, l’eventuale

distinzione della materia criminale in delitti e contravvenzioni, gli atti istruttori consentiti alla

magistratura prima dell’eventuale accusa, ecc. La risposta era data ponendo le guarentigie

parlamentari tra le radici più profonde del regime rappresentativo. Quasi sempre – scriveva

Mancini - tra “gli esagerati fautori della preponderanza del potere esecutivo confidato al

monarca ed ai suoi ministri”, vi erano i “sistematici oppugnatori” delle immunità

parlamentari. Queste erano tanto più necessarie in un paese dove le istituzioni rappresentative

erano giovanissime e l’opinione pubblica priva di quella influenza morale in grado di

contrastare gli eventuali abusi del Governo in carica. E dove erano deboli le garanzie di

indipendenza del potere giudiziario, giacché allo stesso potere esecutivo apparteneva “la

nomina dei magistrati, ogni loro promozione nella carriera, il premiarli con onori e vantaggi

di ogni specie, e finanche il punirli con traslocamenti che possono talora nel fatto equivalere a

degradamento o ad espulsione dall’ufficio”. Insomma: “Sopprimete, o per poco indebolite,

questo ordigno della macchina costituzionale, e potrete senza accorgervene sconcertare e

colpire di impotenza l'intiero delicato meccanismo del sistema”.

18 A.P. Camera dei deputati, Sess. 1869-70, Doc. n. 2-A, p. 32. In effetti, come è noto, Lobbia fui poi

assolto in appello.

19 A.P. Camera dei deputati, Sess. 1869-70, Doc. n. 2 ter, a cui appartengono le citazioni seguenti.

Page 8: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 8

Su queste basi, Mancini poteva affermare che l'obbligo di ottenere il consenso alla traduzione

in giudizio doveva considerarsi esteso all’intera legislatura per due ordini di motivi. Prima di

tutto perché una diversa interpretazione sarebbe stata inconciliabile con lo scopo dell’istituto e

con i principi stessi del regime costituzionale visto che l’azione penale era affidata al pubblico

Ministero “sventuratamente presso di noi costituito organo e dipendenza del potere

esecutivo”20 . In secondo luogo perché l’art. 45 poteva essere distinto in due differenti

proposizioni: la prima “nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante

delitto, nel tempo della Sessione”, e la seconda: “nessun Deputato può essere tradotto in

giudizio in materia criminale senza il previo consenso della Camera”. Si trattava di

un’interpretazione che forzava la lettera della norma e giungeva al risultato paradossale di

consentire – fuori dalla sessione – di arrestare ma non di “tradurre in giudizio” un deputato,

come osservò la gran parte dei commentatori21. Nello stesso tempo, era un'interpretazione

che cercava di difendere la prerogativa ancorandola al testo dello Statuto e “sterilizzandola”

politicamente, attraverso argomenti che intendevano rispondere in punta di diritto alle

obiezioni della magistratura22.

Infine, la relazione Mancini risolveva la controversia riguardo l'interpretazione dell'art. 45

dello Statuto adottando pienamente le conclusioni della Relazione Cadorna del 1855: nelle

monarchie costituzionali, dove non vi era una Corte suprema per il controllo di

costituzionalità degli atti di tutti i poteri dello Stato, era necessario considerare ciascuna delle

due camere “custode e legittima difenditrice delle prerogative proprie e dei suoi componenti

dalle invasioni di qualunque altro potere, e conseguentemente giudice competente e

supremo”.

La relazione Mancini avrebbe avuto notevole influenza sulla giurisprudenza parlamentare

successiva alimentando il dialogo con la magistratura ma togliendo qualche argomento alle

ragioni del Parlamento poiché aveva un carattere fortemente “difensivo”. Infatti l'immunità

parlamentare era giustificata con riferimento al pericolo di ingerenze dell'esecutivo e alla

20 Si chiedeva infatti Mancini: “basterà [che il Governo] pubblichi un Decreto di chiusura della Sessione

per avere immediatamente la mano libera, e spogliare i membri della Camera stessa di qualsiasi guarentigia?”,

ivi, p. 8.

21 Successivamente fu notato che il testo in francese dello Statuto, pubblicato contemporaneamente a

quello in italiano, aveva una formulazione molto più chiara che escludeva la possibilità di individuare due

disposizioni distinte: “Pendant le cours de la session, aucun député ne peut être arrêté, hors le cas de flagrant

délit, ni traduit en jugement à raison de matière criminelle, sans le consentiment préalable de la Chambre”, cfr. F.

Racioppi, Sull'interpretazione dell'articolo 45 dello Statuto, “Giurisprudenza italiana”, 1903, p. 5.

22 Nello stesso anno della relazione Mancini furono pubblicate le lezioni di G. E. Garelli, Il diritto

costituzionale italiano, Torino, Tip. Baglione, 1870, dove si giungeva alle stesse conclusioni affermando, più

semplicemente, che lo Statuto utilizzava il termine “sessione” in due accezioni diverse e nell'art. 45 come

coincidente con l'intera durata della legislatura, p. 250.

Page 9: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 9

presunzione di insufficienza di garanzie dell'ordine giudiziario. Non si prevedeva l'ipotesi che

il diniego di autorizzazione potesse basarsi sulla tutela di altri valori o su di una

discrezionalità di cui - in determinate circostanze - l'assemblea poteva avere il diritto e la

forza di assumersi la responsabilità politica, come pure la Camera aveva fatto negli anni

precedenti. Prevaleva la necessità di affrontare il problema dal punto di vista giuridico e

pesava la vicenda processuale e politica da cui era nata la relazione stessa, cioè uno dei più

clamorosi episodi di ingerenza della politica sulla magistratura dell'Italia liberale.

Coerentemente, si formulavano giudizi sulla magistratura che miravano a creare quella

“costituzionale solidarietà” che avrebbe consentito all'ordine giudiziario e alla Camera dei

deputati di legittimarsi reciprocamente nei confronti del potere esecutivo. Mancini poteva

affermare infatti che se “i magistrati si sentissero protetti e tutelati dalle Assemblee politiche

contro le pressioni o le ingiustizie ministeriali; una costituzionale solidarietà non

mancherebbe di stabilirsi, e per reciprocanza di ufficii le franchigie parlamentari troverebbero

efficace e sufficiente protezione nello stesso ordine giudiziario”.

Sembra di poter dire che questa interpretazione fu accolta da molti magistrati di merito ma fu

sempre respinta dalla Corte di Cassazione, come dimostra la giurisprudenza successiva sui

limiti di tempo dell'immunità. Prima di tutto la relazione Mancini non arrivò mai in aula e non

ottenne la sanzione di un voto politico, il che ne ridusse certamente la forza. Inoltre, accettare

di dare alla Camera il potere di interpretare l'art. 45 avrebbe voluto dire avallare la supposta

dipendenza, debolezza e potenziale parzialità del potere giudiziario che era alla radice della

norma statutaria, come era stato ribadito dallo stesso Mancini. Infine, successivamente, negli

anni delle leggi repressive crispine, la residua competenza della magistratura e della Corte di

cassazione in particolare, avrebbe consentito di ricondurre al “diritto comune” gli uomini

politici più esposti, radicali o socialisti.

Su questa linea di contrapposizione con la Camera si ebbero diversi episodi. Nel 1891 la

Cassazione penale ribadì la propria competenza ad interpretare l’estensione dell’immunità

penale, escludendo le contravvenzioni dalla “materia criminale” prevista dall‘art. 45 dello

Statuto23. Nel 1895, nei casi dei deputati socialisti Camillo Prampolini e Gregorio Agnini, la

Cassazione riaffermò che la prerogativa dell'art. 45 non poteva sopravvivere alla chiusura

della sessione24 mentre la Camera cercò di affermare una sorta di interpretazione autentica

23 Cfr. “Il monitore dei tribunali”, vol. 32 (1891), p. 644 su cui l'articolo di V. E. Orlando, Competenza del

potere giudiziario sull'interpretazione dell'art. 45 dello Statuto: se la prerogativa si estenda al giudizio per

contravvenzioni, in “Archivio di diritto pubblico”, 1(1891), p. 387-392.

24 Nell'ottobre 1894, Camillo Prampolini fu condannato al confino, a sessione parlamentare chiusa, dal

pretore di Reggio Emilia sulla base dei provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza emanati da Crispi, per

Page 10: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 10

basata sui precedenti e sulle relazioni Cadorna, Mancini e Sacchi: “Tali precedenti appunto

hanno affermato il diritto dei deputati di non essere sottoposti ad accusa o a giudizio senza la

preventiva autorizzazione della Camera, e ciò senza distinzione e limitazione di tempo,

ritenendo tale prerogativa come essenzialmente inerente al mandato e alla qualità di

rappresentante della Nazione”25.

Insomma, su questo punto vi furono oscillazioni interpretative fino all'inizio del nuovo secolo

e soprattutto vi fu una costante contrapposizione tra Camera e Corte di Cassazione nel

rivendicare la titolarità del potere interpretativo. Una sorta di conflitto costituzionale latente

che fece dire all'avvocato generale presso la Corte di Cassazione di Roma nel discorso

inaugurale dell'anno giudiziario 1896 che “Tutto questo è un disordine che offende del pari le

attribuzioni del Parlamento e quelle dell'ordine giudiziario”26.

Da notare che la giurisprudenza di Cassazione fu, in quegli stessi anni, molto più benevola nei

confronti delle garanzie previste dallo Statuto per i membri del Governo. Infatti la Cassazione

penale nel 189527 e nel 189728 diede ragione ai ricorrenti, rispettivamente Giolitti e Crispi,

riguardo alla competenza in materia di reati ministeriali, affidandola in ogni caso alla messa in

stato d'accusa da parte della Camera dei deputati e al Senato in Alta corte di giustizia come

previsto dall'art. 47 dello Statuto. La sezione d'accusa della Corte d'Appello di Roma aveva

aver fatto parte della cosiddetta “Lega socialistica”, nonostante Prampolini si appellasse all'art. 45 dello Statuto.

In appello, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarò che non era possibile procedere al giudizio contro un deputato

senza l'autorizzazione della Camera sebbene il procedimento fosse iniziato e proseguito durante la chiusura della

sessione parlamentare. In caso contrario, avevano scritto i giudici di Reggio Emilia, cioè se la protezione dei

deputati dovesse considerarsi sospesa o interrotta durante la chiusura della sessione “potrebbe mancare la

ragione stessa della sua esistenza, e chi trovasi investito del mandato legislativo […] vedersi esposto ad

esorbitanze od atti men che legittimi d'altri poteri”: “La giustizia penale”, 1895, n. 1, col. 75. Ma la Corte di

Cassazione di Roma, con sentenza 1° febbraio 1895, riformava la sentenza e affermava invece che la prerogativa

dell'art. 45 non poteva sopravvivere alla chiusura della sessione poiché diversamente “una prerogativa diretta a

garantire l'uffizio del deputato durante la sessione, verrebbe mutata in un privilegio alla persona durante l'intiera

legislatura con offesa del principio di uguaglianza dei cittadini, col turbare il corso della giustizia e dei diritti dei

privati”: “Giurisprudenza italiana”, 1895, pt. 2, col. 117. Un anonimo commentatore - con tutta probabilità

Lodovico Mortara - criticava aspramente tale sentenza scrivendo che con essa la magistratura italiana si era

assunta la responsabilità di affermazioni contrarie “ai più corretti principii del diritto pubblico nazionale quali

erano stati fino ad ora intesi; e se la è assunta in circostanze ed in momento in cui per una fatalità accidentale,

eppur molto spiacevole, queste affermazioni sembrano più gradite agli organi supremi del potere esecutivo”,

“Giurisprudenza italiana” 47 (1895), pt. 2, col. 83. Pochi mesi dopo, il 20 giugno 1895, il procuratore generale

della Cassazione di Roma, Francesco Auriti, chiedeva al Presidente della Camera di concedere l'autorizzazione

per l'ulteriore corso del procedimento penale a carico del deputato Gregorio Agnini condannato durante la

chiusura della sessione dal Tribunale di Modena a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per aver preso parte ad

un'associazione socialista diretta a commettere delitti ed incitamento all'odio di classe. La sentenza, confermata

in appello con riduzione della pena, era stata portata in Cassazione per vari motivi tra cui la “Violazione del

principio del diritto costituzionale che ogni Potere dello Stato è giudice delle proprie prerogative”.

25 Così la Commissione della Camera, presieduta dall'on. Salaris, sulla richiesta di autorizzazione a

procedere contro il deputato Agnini: A.P. Camera dei deputati, Leg. XIX, Doc., n. 90-A.

26 Discorso pronunziato dal senatore Emilio Pascale, avvocato generale presso la Corte di Cassazione di

Roma nella assemblea generale del 2 gennaio 1896, Roma, Forzani, 1896, p. 23.

27 Sentenza 24 aprile 1895, in “Rivista penale”, 1895, vol. 41, p. 455 sgg.

28 Sentenza 8 novembre 1897, in “Rivista penale”, vol. 47, p. 26 sgg.

Page 11: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 11

invece affermato che la locuzione dell'art. 47 dello Statuto “non esclude che l'azione penale si

possa esercitare anche dall'Autorità giudiziaria, imperocché, se la Camera dei deputati ha il

diritto di accusare e non ne usa, nessun divieto è sancito dallo Statuto per arrestare il corso

della giustizia”29. In questo modo la Cassazione precludeva al giudice ordinario la possibilità

di interpretare l'art. 47 e di valutare i caratteri del reato ministeriale. In sostanza, se la

Cassazione difendeva la possibilità del giudice di interpretare l'art. 45 che riguardava le

guarentigie dei parlamentari, non faceva altrettanto per i membri del Governo il cui

comportamento doveva essere in ogni caso deciso dagli organi della giustizia politica30. Che

l'autorità giudiziaria fosse sempre incompetente sia a giudicare che a istruire i reati di un

ministro commessi nella sua qualità di ministro fu poi ribadito dalle sezioni penali unite della

Corte di cassazione il 10 giugno 1907 sul caso Nasi che fu quindi rinviato alla Camera per la

messa in stato di accusa31.

4. La giurisprudenza degli anni '80: l'incidente Nicotera-Lovito

Negli anni '70, dopo la Comune di Parigi, l'atteggiamento repressivo dei pubblici poteri si

fece più aspro e le richieste di autorizzazione a procedere aumentarono, soprattutto in

relazione ai reati di stampa. Contemporaneamente, nei giornali, i riferimenti alle richieste di

autorizzazione e alle relative discussioni parlamentari si fecero più numerosi diventando

materia di polemica e di lotta politica32. In alcuni casi, attraverso le querele e le conseguenti

richieste di autorizzazione per diffamazione o ingiurie, gli avversari di collegio dei

parlamentari eletti cercavano di continuare la lotta politica nonostante la convalida delle

29 “Rivista penale”, 1895, vol. 41, p. 461.

30 Anche perché “si verrebbe a deferire, come rilevano i più illustri pubblicisti, ad altro potere, all'infuori

della Camera, la possibilità di provocare crisi ministeriali. D'altronde, se non si può procedere

senz'autorizzazione del re, sentito il Consiglio di Stato, contro un prefetto od un sindaco per gli atti dipendenti

dall'esercizio delle loro funzioni, non può esser dato di procedere contro un ministro, che, potendo essere né

deputato né senatore, resterebbe spoglio di ogni garanzia”, in “Rivista penale”, 1895, vol. 41, p. 464.

31 Cfr. R. Ferrari Zumbini, L'«incidente» Nasi: cronaca di una vicenda dell'Italia politica d'altri tempi

(1903-1908), Padova, Cedam, 1993, p. 130-131.

32 Nella relazione ad una richiesta della procura di Milano di incriminare Felice Cavallotti per reati di

opinione, il relatore si preoccupò di ricordare la “frequenza con la quale negli ultimi tempi si sono ripetute

domande per autorizzazione a procedere contro deputati, [...] per la facilità con la quale i procuratori del Re, e i

giudici istruttori a loro richiesta, si valgono della facoltà di spiccare mandato d'arresto anche contro accusati di

reati, come quelli di stampa”. La diffusione di tali notizie nei giornali rischiava di ledere la dignità dei

parlamentari ed era “artificiosamente sfruttata in argomento di malevoli insinuazioni a carico del decoro dovuto

al Consesso dei rappresentanti della nazione” A.P. Camera dei deputati, Leg. XI, sess. 1873-74, n. 43-A, p. [2]-

[3]. Nel dicembre dell'anno precedente Nicotera aveva confessato di assistere da qualche tempo ad un

“fenomeno abbastanza strano. Si spargono delle voci contro taluni deputati; i giornali di un partito si studiano di

aggravare queste voci, a diffonderne la notizia, e ciò per produrre un'impressione nel pubblico. Poi la Camera di

Consiglio delibera di non esservi luogo a procedere contro l'individuo accusato; ma l'effetto si è prodotto;

almeno per qualche tempo l'opinione pubblica è rimasta in sospeso sul conto di quel deputato, un discredito si è

ottenuto”. A.P. Camera dei deputati, Disc., Sess. 1871-72, p. 3963.

Page 12: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 12

elezioni da parte della Camera. Dopo l'allargamento del suffragio e le elezioni del 1882

questa tendenza si accentuò: mai come nella sessione unica della XV legislatura si ebbero

richieste di autorizzazione e casi controversi33 e non solo perché, scriveva Attilio Brunialti,

l'allargamento del suffragio aveva favorito l'elezione “di uomini che non sono troppo abituati

a rispettare le leggi, e si fanno anzi merito e gloria di violarne alcune” ma anche perché l'art.

45 sembrava applicato dalle procure con eccessiva larghezza, tale da trasformarsi in una

gogna che può essere del tutto immeritata34. In questi anni, la giurisprudenza della Camera

subisce una sorta di corto circuito che porta a decisioni incerte e contraddittorie: si denuncia il

ricorso quasi automatico da parte della magistratura requirente a richieste di autorizzazione

per contravvenzioni o motivi futili tanto che si auspica la creazione di un organismo

permanente, una sorta di giunta per le autorizzazioni a procedere che, “colla garanzia della

rappresentanza delle minoranze, compirebbe il suo mandato senza pubblicità nei casi lievi e di

nessuna importanza”35. Nello stesso tempo, l'aula concede l'autorizzazione a procedere con

maggiore facilità, sovente in contraddizione rispetto alle conclusioni della commissione e del

suo relatore36 e a ciò si aggiunge la superficialità dell'esame quando la richiesta colpisce

Andrea Costa o esponenti della sinistra repubblicana e radicale37 creando precedenti che

smentiscono gli orientamenti della giurisprudenza parlamentare e i faticosi tentativi di

individuare criteri uniformi e condivisi.

In questo nuovo contesto, l'incidente Nicotera-Lovito rappresentò un momento significativo

anche in relazione all'atteggiamento dell'opinione pubblica e della dottrina. Il 6 dicembre

1883, all'interno di Montecitorio, l'on. Nicotera ebbe un alterco con il deputato Lovito,

segretario generale del Ministero dell'interno e gli sputò in faccia. Il 7 dicembre Nicotera e

Lovito si sfidarono sanguinosamente a duello a prati di Castello. L'11 dicembre, il procuratore

33 S. Barzilai, L'articolo 45 dello Statuto: la guarentigia dei deputati nei procedimenti penali, Roma,

Fratelli Bocca, 1887, p. 9.

34 A. Brunialti, Di alcune prerogative dei deputati al Parlamento, in “Rassegna di scienze sociali e

politiche”, 1883, vol. 1, p. 30. Il riferimento era certamente a deputati come Andrea Costa, Antonio Oliva,

Francesco Coccapieller, tutti accusati di reati a mezzo stampa.

35 A.P. Camera dei deputati, Leg. XV, Sess. 1882-1883, Doc., n. 67-A, Relazione Guala, 22 gennaio

1883, p. 8. Proposta ripresa anche dal ministro Giannuzzi Savelli in aula: “non potrebbe la Camera per

avventura, nella formazione del suo regolamento, per mezzo di una Giunta, od altrimenti, trovare tale un metodo

di procedura per il quale questa pubblicità delle domande di autorizzazione a procedere non avvenisse se non

quando questa Giunta da lei nominata credesse di dover concedere l'autorizzazione?”, A.P. Camera dei deputati,

Disc., 14 giugno 1883, p. 3865.

36 Lo scarto nella giurisprudenza a partire dalla XV legislatura è notato anche da S. Barzilai, L'articolo 45

dello Statuto cit., Roma,Bocca, 1887, p. 55 ss. con numerosi esempi.

37 Incredibile la richiesta di concessione dell'autorizzazione a procedere nei confronti di Andrea Costa

fatta dalla commissione il 27 giugno 1884 per avere il Costa inviato una lettera sul giuramento politico al

giornale “Lega della democrazia” preannunciando “d'accordo con altri deputati un progetto di legge, che ponga

fine una volta all'indegna commedia del giuramento politico”, A.P. Camera dei deputati, Leg. XV, Sess. 1882-

83-84, Doc. n. 50-A, p. 1.

Page 13: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 13

del Re di Roma scrisse al Presidente della Camera per informarlo che in base alle notizie

apparse su tutti i giornali aveva ritenuto di avviare delle indagini preliminari per reato di

oltraggio ad una pubblica autorità (art. 258-259 e 266 del Codice penale) ma che trattandosi di

un fatto avvenuto nei locali della Camera “ragioni di alta convenienza e di rispetto verso

codesta onorevole rappresentanza, consigliassero di non proseguire nella preliminare

informazione, prima di averne domandato il consenso alla Camera medesima”38. Con

successiva istanza, lo stesso procuratore, questa volta – come da prassi - tramite il Ministro di

grazia e giustizia, chiedeva l'autorizzazione a procedere per il reato di duello.

Nonostante il parere favorevole della commissione, il 9 febbraio 1884, la Camera, su proposta

di Francesco Crispi, decise di negare l'autorizzazione a procedere per il duello, poiché mai era

stata data per tale reato, e per l'oltraggio, poiché in quanto Lovito era alla Camera in veste di

deputato ed era un semplice impiegato superiore che non esercita “giurisdizione od impero”.

Si trattò di un dibattito e di una decisione importante sotto diversi profili. In primo luogo è

alle origini dell'immunità della sede del Parlamento39. In effetti la richiesta proveniente dalla

procura di Roma fu criticata da Crispi e da altri deputati sia perché pervenne direttamente alla

Presidenza della Camera senza la consueta trasmissione del Ministro di grazia e giustizia sia,

soprattutto, perché non era stata preceduta da una denuncia del Presidente della Camera. Ma

vale la pena notare che proprio la condotta della magistratura requirente confermava e

riconosceva l'esistenza di una inviolabilità della sede della Camera. Questo riconoscimento fu

anzi rimproverato al pubblico ministero come dimostrazione di debolezza e di soggezione

politica40. Inoltre, l'episodio sembrava fatto apposta per mettere in evidenza le contraddizioni

della giurisprudenza parlamentare sul reato di duello che ora acquistava una nuova luce di

privilegio tanto più clamoroso perché riferito ad un eminente notabile politico.

Così i deputati italiani si trovarono improvvisamente di fronte ad una vasta eco nei giornali e

nella pubblicistica giuridico-politica. Luigi Palma non esitò a definire il voto del 9 febbraio

1884 un abuso di potere e “un giorno di gran regresso del diritto pubblico italiano” insistendo

38 A.P. Camera dei deputati, Leg. XV, Sess. 1882-83, Doc., n. 164 bis, p. 2.

39 Sull'immunità della sede si veda I. Brunelli, F. Racioppi, Commento allo Statuto del Regno cit., vol. 3,

p. 246-249 dove si ricorda l'incidente Nicotera-Lovito ed il caso del deputato socialista Giuseppe Pescetti che,

nel 1898, colpito mentre si trovava a Roma da mandato di cattura per lo stato d'assedio in Toscana, si rifugiò per

una decina di giorni all'interno di Montecitorio “finché il governo, auspice officiosa la Presidenza della Camera,

non ebbe promesso di desistere dall'arresto, salvo a richiedere all'assemblea la regolare autorizzazione secondo

l'articolo 45”, p. 249. Sul caso Pescetti scrisse anche Orlando, L'immunité des locaux parlementaires: a propos

de l'incident du député Pescetti, en Italie, in “Revue du droit public et de la science politique en France et a

l'étranger”, 5 (1898), vol. 10, p. 62-72.

40 “il torto è […] tutto della istituzione di cui egli fa parte, e per la quale egli è un funzionario mezzo

giudiziario e mezzo amministrativo, mezzo indipendente e mezzo schiavo; il movimento dell'organo è incerto

come tutto l'organismo è oscillante”, G. S. Tempia, Una pagina di patologia politica, in “Rassegna di scienze

sociali e politiche”, 2 (1884), p. 28

Page 14: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 14

soprattutto sull'infondatezza dell'immunità della sede della Camera dall'ingerenza dell'autorità

giudiziaria “opera puramente di fantasia […] assolutamente ignota al nostro diritto”,

concludendo che la questione era sorta solo in virtù del peso politico del suo protagonista “un

uomo che amici e nemici non possono non riconoscere, colle sue qualità e coi suoi difetti,

come uno dei più cospicui deputati, di un Pentarca che ha nella Camera molti amici devoti e

clienti” e per il quale “Il battesimo dell'elezione pubblica, la fiducia di certi gruppi

parlamentari si vorrebbe che rendesse superiore ai codici, alle leggi, ai giudici, a tutto. Ma il

Governo costituzionale può riuscire a creare 508 irresponsabili e inviolabili, e a creare un

altro Vaticano nel palazzo di Montecitorio?”41. E ancora più duramente, Giovanni Stefano

Trompia rimproverava la Camera di voler “salvare le persone e abbuiare le cose […] formula

della condotta di tutte le caste”42 . Ma il giudizio più attonito e sferzante fu quello di

Alessandro Guiccioli che nel suo diario scriveva il 10 febbraio 1883: “La Camera ha

compiuto un altro di quegli atti scandalosi che ne compromettono sempre più la fama presso

l'opinione pubblica. Ha deciso di passare agli atti l'incidente Lovito-Nicotera. Rimane così

stabilito che nella reggia della nuova oligarchia rivivono gli antichi privilegi: che ci si può

sputare in faccia, battersi a duello, assassinare, senza che la giustizia abbia diritto di

intervenire. E' mostruoso!43”.

5. La Camera cerca un'interpretazione sull'arresto esecutivo. Il Governo difende i

procuratori di fronte alla “magistratura delle urne”.

A metà degli anni '80, il tema delle sentenze passate in giudicato divenne un nuovo terreno di

potenziale conflitto con la magistratura: in questi casi, era coperto dall'immunità parlamentare

il deputato colpito da ordine di cattura o eletto mentre era detenuto? Si trattava di una

fattispecie diversa da quella del detenuto in attesa di giudizio che, dopo la proclamazione

dell'avvenuta elezione, aveva trovato fin dal 1848, come si è visto, una soluzione nella

liberazione immediata, prassi sempre rispettata dalla magistratura italiana. I tempi erano

cambiati: ora si assisteva alla candidatura elettorale come forma di protesta di fronte alla

41 L. Palma, Una nuova questione sui privilegi parlamentari, in “Rassegna di scienze sociali e politiche”,

1 (1883-84), vol. 2, p. 535.

42 G. S. Tempia, Una pagina di patologia politica cit., p. 33, dove si aggiunge: “il popolo guarda stupito

questo nuovo taumaturgo che viaggia gratis in prima classe, che ha tutti i ministri sotto le mani, che fa fare i

sindaci e i cavalieri, le strade e le ferrovie, che fa dare impieghi e promozioni, che professore, si dispensa dal far

lezione, che avvocato, dà suggezione ai magistrati […] il popolo nota quest'essere, che, prepotente con

gl'impiegati, prepotente coi magistrati, prepotente coi privati, prepotente con tutti, riceve di tratto in tratto inni di

lode per il suo sacrificio in pro del pubblico bene!”. Si veda anche: L. Palma, Ancora sul voto del 9 febbraio sui

privilegi parlamentari, in “Rassegna di scienze sociali e politiche”, 2 (1884), vol. 1, p. 64-72.

43 A. Guiccioli, Diario di un conservatore, Milano, Ed. del Borghese, 1983, p. 118.

Page 15: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 15

condanna per reati politici. Il primo caso ricordato nella letteratura dell'epoca fu quello del

repubblicano Giovanni Falleroni condannato con sentenza passata in giudicato per aver

distribuito e affisso stampati antimonarchici ed eletto a Macerata nel 1882: tuttavia la

domanda di autorizzazione all'arresto non fu mai presentata perché Falleroni si rifiutò di

prestare giuramento44. Il caso più clamoroso fu quello del garibaldino, poi anarchico,

Amilcare Cipriani che, condannato a 25 anni di lavori forzati per omicidio, fu più volte

candidato e poi risultò eletto nel maggio 1886 e per altre tre volte fino al febbraio 1887 nel

collegio di Forlì. La sua elezione fu sempre annullata poiché il reato che stava scontando

prevedeva l'interdizione perpetua dai pubblici uffici45. Furono invece almeno quattro i

deputati la cui elezione fu convalidata nonostante fossero condannati con sentenza definitiva.

Si tratta di Alcibiade Moneta e Andrea Costa, socialisti, e Francesco Coccapieller e Pietro

Sbarbaro, i due “tribuni”, protagonisti dimenticati, negli anni successivi alla caduta della

Destra, di una stagione di moralismo e di indignazione contro la finanza corrotta e l'intrigo

politico che fu all'origine di clamorosi processi per diffamazione ed ingiurie46. La Camera

cercò, in qualche modo, di stringere le maglie a difesa dell'immunità dei suoi membri ma,

alla fine, la soluzione fu contraria all'applicazione dell'art. 45 dello Statuto e quindi alla

liberazione o alla sospensione della detenzione esecutiva. Sul punto si ebbero forti contrasti e

la Camera subì il peso sia dell'opinione pubblica che del Governo come dimostrano gli

interventi del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente del consiglio per compattare la

maggioranza di fronte alle vicende giudiziarie dei deputati coinvolti.

44 Su Falleroni, cfr. la voce di A. M. Isastia, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 44, 1994.

45 Sulla figura di Cipriani, cfr. la voce del Dizionario biografico degli italiani, vol. 25, 1981, a cura di Pier

Carlo Masini. Sulla sua elezione si veda l'articolo allarmato di E. Cabib, A proposito dell'elezione di un

ineleggibile, in “Rassegna di scienze sociali e politiche”, 4 (1886), vol. 1, p. 534-549. La mobilitazione a favore

di Cipriani portò infine alla concessione della grazia nel 1888.

46 Su Sbarbaro si veda: L. Lacchè, Pietro Sbarbaro e il “Risorgimento” di Alberico Gentili, in Alberico

Gentili: atti dei convegni nel quarto centenario della morte, vol. 2, Milano, Giuffrè, 2010; Pietro Sbarbaro

(1838-1893): atti della Giornata di studio, Savona, 7 dicembre 1993, a cura di Silvia Bottaro ed Emilio Costa,

Savona, Sabatelli, 1994; P. De Sanctis Ricciardone, Il mattoide e l'antropologo, in Id., Nemici immaginari:

esercizi di etnografia, Roma, Meltemi, 1996. Su Coccapieller, si veda la voce del Dizionario biografico degli

italiani, vol. 26 (1982), a firma di Lauro Rossi. Occorre tener conto del fatto che fino al codice Zanardelli, la

diffamazione e l'ingiuria a mezzo stampa, il cosiddetto “libello famoso” era regolato dall'editto sulla stampa del

1848 con pene molto miti (il carcere fino a 6 o tre mesi ed una multa non superiore a L. 1000). Dal 1890 l'art.

393 del codice Zanardelli stabilì pene molto severe per la diffamazione aggravata dalla pubblicità prevedendo la

reclusione fino a 5 anni e abolì il regime favorevole per la diffusione a stampa. Questa modifica anche la

reazione politica al giornalismo scandalistico romano degli anni '80 che ebbe in Coccapieller e Pietro Sbarbaro i

suoi rappresentanti più noti. Come scrisse Manzini nel suo Trattato di diritto penale l' ”esorbitanza” della pena

in materia di diffamazione era dovuta all' “ansia di taluni nostri uomini politici, allora dominanti, di sottrarsi

coll'intimidazione penale agli attacchi velenosi di certa stampa diffamatoria, che in quei tempi ebbe un'effimera

fortuna in Italia” dovuta a “due mattoidi libellisti, che la follia propria e collettiva portò per breve ora persino ai

fastigi del parlamento, Francesco Coccapieller e Pietro Sbarbaro”, V. Manzini, Trattato di diritto penale

italiano, vol. 7, Torino, Bocca, 1918, p. 504-505.

Page 16: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 16

I primi casi, sia pure molto diversi tra loro, si presentarono tra la fine della XV legislatura e

l'inizio della legislatura XVI, cioè tra il dicembre 1885 e l'agosto 1886.

Pietro Sbarbaro, il famoso professore e pubblicista savonese, fu accusato di numerosi reati di

diffamazione e minacce da Guido Baccelli, da Agostino Depretis e da altri politici del tempo

per i violenti articoli pubblicati su “Le forche caudine” e su altri giornali. Finì con l'essere

condannato dalla corte d'appello di Roma e divenne una sorta di simbolo della lotta alle

degenerazioni del parlamentarismo, tanto che gli elettori di Pavia lo elessero deputato nel

dicembre 1885. Poiché pendeva un ricorso in Cassazione, fu immediatamente scarcerato per

iniziativa della procura e “accompagnato al Parlamento da una turba di popolo entusiasta sin

quasi al delirio”47. Dietro richiesta del procuratore generale presso la Cassazione di Roma, il

14 aprile 1886 la Camera autorizzò l'ulteriore corso del procedimento penale ma, nello stesso

tempo, affermò che per arrestare di nuovo lo Sbarbaro sarebbe stato necessaria una specifica

richiesta di autorizzazione. Sbarbaro, comunque, fuggì all'estero rifugiandosi a Lugano.

Intanto, nel maggio 1886, era stato eletto a Mantova il deputato socialista Alcibiade

Moneta48 fuggito in Spagna dopo la condanna in contumacia passata in giudicato per alcuni

articoli pubblicati sul giornale “La Favilla” e soprattutto per il reato di ribellione (art. 247 del

codice penale) in occasione degli scontri con la polizia avvenuti a Mantova, l'8 giugno 1882

durante la commemorazione della morte di Garibaldi. Dopo l'elezione, Moneta tornò in Italia

e fu quindi chiesta alla Camera l'autorizzazione all'esecuzione della sentenza.

Qualche settimana dopo, il 1° agosto 1886, Francesco Coccapieller, lo stravagante giornalista

romano famoso per i suoi articoli diffamatori, fu eletto al ballottaggio nel primo collegio di

Roma, mentre si trovava in carcere con sentenza passata in giudicato per calunnie e

diffamazione. Nell'occasione la questione dell'applicabilità dell'art. 45 dello Statuto fu

affrontata in Consiglio dei ministri ed esclusa dal Ministro di grazia e giustizia Diego Tajani,

proprio perché la sentenza era definitiva e il condannato era già in stato di arresto. Ma il

Presidente della Camera Biancheri, dopo la proclamazione di Coccapieller, ritenne comunque

di difendere le prerogative della Camera dei deputati e ne nacque un vivace scambio

epistolare con Tajani di cui abbiamo notizie indirette ma abbastanza dettagliate. Biancheri

ricordò i precedenti di Sbarbaro e Moneta ma Tajani poté rispondere che Sbarbaro non era

condannato con sentenza passata in giudicato e Moneta era sì condannato definitivamente ma

non era in stato di arresto e perciò il procuratore generale “per omaggio alla lettera dell'art. 45

47 S. Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia: da Novara a Vittorio Veneto, Napoli,

Treves, 1939-1952, vol. 2, p. 281.

48 Su Alcibiade Moneta, si veda la voce firmata da E. Cecchinato in Dizionario biografico degli italiani,

vol. 75 (2011).

Page 17: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 17

e per abbondare in rispetto alle garanzie dei deputati” non aveva fatto catturare Moneta al suo

ritorno in Italia e aveva chiesto alla Camera la relativa autorizzazione. Diversa era la

situazione di Coccapieller poiché non era possibile scarcerarlo “senza violare l'art. 68 dello

Statuto e senza dare all'art. 45 un'interpretazione nuovissima ed arbitraria”49.

La questione di Sbarbaro si risolse momentaneamente con la fine della legislatura mentre il

caso Coccapieller trovò una soluzione attraverso uno specifico provvedimento di grazia

concesso nell'ottobre 1886 dopo la richiesta di clemenza proveniente da più di 10.000

cittadini.

Più interessante il caso di Alcibiade Moneta, quando la richiesta di dare esecuzione alle

sentenze a suo carico fu esaminata prima dagli Uffici e poi dalla Commissione parlamentare

presieduta da Gennaro Di San Donato, nel giugno 1887. Il relatore, Ettore Sacchi, dichiarò

che non era né opportuno né necessario entrare nel merito delle sentenze di condanna: il fine

dell'art. 45 dello Statuto non era principalmente quello di tutelare i membri della Camera dagli

abusi del potere esecutivo e giudiziario, abusi che peraltro, in questo caso, sarebbe stato

difficile ipotizzare, poiché le sentenze erano precedenti l'elezione del Moneta. Il fine dell'art.

45 era quello di garantire l'esercizio della sovranità nel corpo elettorale e la continuità della

funzione legislativa: “Ogni deputato rappresenta la intera nazione: così solennemente

proclama lo Statuto, e quando la nazione ha fissato per mezzo de' suoi poteri legislativi quanti

e quali la debbano rappresentare, noi crediamo che nessuno può per qualsiasi ragionamento

interporsi tra la nazione e il suo rappresentante e confiscarle sia pure in una cinquecentesima

parte l'esercizio della sovranità”50. Perciò, partendo dalla divisione dell'art. 45 in due distinte

disposizioni normative, come già proposto da Pasquale Stanislao Mancini, Sacchi poteva

affermare che il divieto di arresto di un deputato nel tempo della sessione dovesse

considerarsi assoluto e incondizionato, salvo il caso di flagranza, “e come la Camera stessa

non solo non possa autorizzarlo, ma non dovrebbe neppure essere chiamata ad occuparsi di

una siffatta domanda”51.

L'impianto interpretativo proposto da Mancini nella relazione del 1870, portato alle estreme

conseguenze, divenne quindi lo strumento principale, in anni di crescenti conflitti sociali, per

difendere anche i deputati dell'estrema sinistra ed i primi deputati socialisti, cercando di

tutelare l'integrità del Parlamento e la sua funzione rappresentativa, evitando che il voto

49 Cfr. Quel che pensa l'on. Biancheri, in “Il Friuli: giornale del popolo”, 28 settembre 1889, n. 232, p. 1,

disponibile anche in rete: <http://periodicifriulani.sbhu.it/>. L'articolo descrive in dettaglio i contenuti della

corrispondenza intercorsa tra Biancheri e Tajani.

50 A.P. Camera dei deputati, Leg. XVI, Sess. 1886-87, Doc., n. 49-A, p. 12.

51 Ivi, p. 7.

Page 18: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 18

ricalcasse la divisione tra maggioranza e opposizione o tra moderati ed “estrema”. In questo

caso, gli argomenti di Mancini erano utilizzati non tanto per risolvere il conflitto con la

magistratura ma per evitarlo in situazioni limite come la detenzione o l'arresto, e scongiurare

così un voto politico che avrebbe potuto emarginare i rappresentanti dell'estrema sinistra.

L'intento era quello di togliere la prerogativa parlamentare dall'arbitrio della maggioranza e

assoggettarla unicamente alla legge, “isolando” e “proteggendo” la Camera anche a costo di

portarla in un vicolo cieco interpretativo. Comunque, sull'interpretazione di Sacchi, non si

ottenne la delibera della Camera poiché intervenne un'amnistia che pose fine alla questione.

Nel 1887, intanto, Pietro Sbarbaro, arrestato in Italia e ormai non più protetto dall'immunità

parlamentare, fu incarcerato in esecuzione della sentenza del novembre 1885. Mentre stava

espiando la pena fu di nuovo eletto nel primo collegio di Pavia nel 1889 e nella seduta del 5

dicembre 1889 la sua elezione fu convalidata. A questo punto Sbarbaro scrisse al Presidente

Biancheri, chiedendo alla Camera di dichiarare la sua libertà “in omaggio alla magistratura

delle urne”.

Il Presidente della Camera deferì agli Uffici la questione attraverso la nomina di apposita

commissione che presentò la sua relazione il 4 marzo 1890 - a firma di Tommaso Cambray

Digny – affermando che l'art. 45 dello statuto non poteva essere applicato al caso del cittadino

eletto deputato mentre sta espiando una pena a seguito di sentenza passata in giudicato52. Il

22 marzo 1890 la questione arrivò in aula, proprio il giorno successivo al dibattito sull'arresto

esecutivo di Andrea Costa che era stato condannato a tre anni di reclusione per il reato di

ribellione53. L'autorizzazione all'arresto di Costa diede luogo, nei giorni 19, 20 e 21 marzo

1890, ad una discussione molto accesa nella quale intervenne anche il Governo. La

Commissione incaricata di riferire all'aula presentò una relazione di maggioranza a firma di

Antonio Salandra che limitava la possibilità di impedire l'applicazione di un giudicato alla

presenza di indebite ingerenze del potere esecutivo e quindi proponeva di concedere gli

arresti. La relazione di minoranza proponeva invece di negare l'arresto poiché la Camera

doveva ritenersi pienamente arbitra della decisione. Accanto a queste due soluzioni Sacchi,

con l'appoggio di Galimberti, Cavallotti, Villanova e Marcora, illustrò nuovamente l'opinione

che invece mirava ad impedire una pronuncia discrezionale dell'assemblea precludendo ad

52 A.P. Camera dei deputati, Leg. XVI, sess. 1889-1890, Doc., n. 101-A dove è riprodotto anche il testo

della lettera di Sbarbaro.

53 Cfr. A.P. Camera dei deputati, Leg XVI, ses. 1889-1890, Doc., n. 89A.

Page 19: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 19

essa la decisione poiché la prerogativa parlamentare doveva considerarsi assoluta durante la

sessione. Per alzata di mano fu approvata la proposta della maggioranza54.

Come ricordano Mancini e Galeotti, la novità dei dibattiti del marzo 1890 sui casi Sbarbaro e

Costa fu che il Governo abbandonò il tradizionale atteggiamento di neutralità per intervenire

risolutamente a tutela delle sentenze e del potere giudiziario. Soprattutto Crispi pose la

questione in termini perentori e ultimativi: “Un condannato per reato comune, il quale è

nominato deputato, può esso godere dei benefizi dell’articolo 45? Non potete che rispondere:

no. L'articolo 86 della legge elettorale politica, dando agli elettori il diritto di eleggere

individui, i quali furono condannati per certi reati che non tolgono loro l'eleggibilità, gli eletti,

dovranno essere scarcerati appunto perché sono stati nominati deputati? Non potete dire che

no. Ove diverso fosse il vostro verdetto, voi non solo portereste il disordine nel

funzionamento dei poteri pubblici, ma rechereste una vera offesa alla magistratura, le cui

sentenze devono essere rispettate ed eseguite”55.

L'interpretazione di Sacchi sarebbe riemersa e si sarebbe affermata nell'aprile 1903 quando

giunse in discussione la richiesta di autorizzazione all'arresto dell'on. Filippo Mario

Todeschini condannato dalla corte d'assise di Verona con sentenza passata in giudicato a tre

mesi e dieci giorni di detenzione per reato di offesa alle istituzioni costituzionali dello stato

mediante stampa (art. 126 del codice penale). La commissione propose all'aula di negare

l'autorizzazione “per non essere consentito dall'articolo 45 dello statuto di dare esecuzione alla

relativa sentenza durante la sessione”56. Alla relazione era allegata la ripubblicazione della

relazione Sacchi del 1887 i cui argomenti erano ripresi integralmente dal relatore Umberto

Caratti nel ribadire che l'applicazione delle prerogative parlamentari “non possa essere

esposta ad arbitrii ed a capricciose, e magari contraddittorie deliberazioni, ma debba restare

determinata per tutti e sempre dalla legge”57. Il 28 aprile 1903 la Camera accettò senza

discussione, la proposta della commissione. La decisione fu adottata quasi a sorpresa, in

un'aula decimata dalle assenze, senza discussione, in una seduta mattutina, come notò qualche

54 “La Camera, convinta che dalla sentenza del tribunale correzionale di Roma del 5 aprile 1889, relativa

al deputato Andrea Costa, è esclusa ogni ingerenza del potere politico, delibera che l'art. 45 dello statuto del

regno non è applicabile al caso in esame”.

55 Intervento del 22 marzo 1890 sulla scarcerazione di Pietro Sbarbaro, cit. in M. Mancini – U. Galeotti,

Norme ed usi del parlamento italiano. Prima appendice, Roma, Tip. Della Camera dei deputati, 1891, p. 77-78.

Nella tornata precedente, il ministro Zanardelli in relazione alla domanda di arrestare il Andrea Costa aveva

affermato: “Di fronte a questa franchigia voi invocate l'altra franchigia dell'immunità parlamentare, che essa pure

è certamente in sé stessa una rispettabile, una utile e provvida difesa. Ma quando volete, non dirò sovrapporla,

ma contrapporla, alla giustizia, allora lasciate che io vi dica che la giustizia non ammette rivali, né nell'intelletto,

né nella coscienza; che la giustizia è il solo sentimento a cui gli uomini s'inchinano senza alcuna riserva; che la

giustizia non è ancella di nessuna potenza, nemmeno della libertà”.

56 “Giurisprudenza italiana”, 55 (1903), col. 174.

57 Ivi, col. 179.

Page 20: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 20

anno dopo Sidney Sonnino58. Il voto restò isolato e contribuì ad approfondire il solco tra la

giurisprudenza parlamentare e la dottrina giuridica, anche quella più attenta alle ragioni del

Parlamento. Domenico Zanichelli denunciò che “in nessun Parlamento europeo la tesi degli

onor. Sacchi e Caratti avrebbe avuta probabilità di trionfare. Non è questo un primato di cui

l'Italia possa sentirsi onorata, perché è un indizio della debolezza del nostro senso giuridico e

politico e della degenerazione dei nostri istituti rappresentativi”59. E Arangio-Ruiz definì la

deliberazione della Camera una delle ultime manifestazioni dello spirito rivoluzionario “che,

detronizzati o limitati i re, chiamati responsabili i Governi, tende a innalzare sul trono

l'assemblea elettiva e per ripercussione i propri membri”60. Resta significativa questa

reiterata volontà, espressa prevalentemente da deputati radicali, di evitare alla Camera

l'esercizio della discrezionalità ed impedire il prevalere della logica di maggioranza, tutelando

l'integrità dell'assemblea e portando alle estreme conseguenze l'interpretazione di Pasquale

Stanislao Mancini dell'art. 4561. Sul fronte opposto, nel suo articolo del 1905, Sonnino

raccomandava alla Camera di non fare da potere costituente e di non tentare di sfuggire alla

inevitabile “decisione sulla sufficienza o sulla natura dei motivi sia per accordare sia per

negare le autorizzazioni chieste”62.

6. La giurisprudenza negli anni '90: scandali, sovversivi e stati d'assedio: “L'arresto di

un deputato è già per se stesso un'ottima cosa”

Le incertezze che abbiamo visto derivano soprattutto dai riflessi che gli scandali finanziari e

la questione sociale hanno sulle immunità parlamentari a partire dalla metà degli anni '80.

L'inviolabilità del deputato, di alcuni deputati simbolo (ad esempio Pietro Sbarbaro, Andrea

Costa, Giuseppe De Felice Giuffrida, Camillo Prampolini) diventa il crocevia dove si

scontrano le tradizioni garantiste della Camera dei deputati, il rapporto con la piazza e il peso

del Governo. In questo quadro, il dialogo costituzionale con la magistratura si fa più fitto e

58 S. Sonnino, L'arresto esecutivo e il privilegio della Camera, in “Il Giornale d'Italia”, 4 dicembre 1905,

ora in Id., Scritti e discorsi extraparlamentari, 1903-1920, Bari, Laterza, 1972, vol. 2, p. 1311.

59 D. Zanichelli, Intorno all'art. 45 dello Statuto, in “Studi senesi”, 20 (1903), p. 319.

60 G. Arangio-Ruiz, Intorno all'art. 45 dello Statuto, in “Archivio di diritto pubblico e

dell'amministrazione italiana”, 2 (1902), p. 161. E aggiungeva che il limite politico all'azione giudiziaria non

può esercitarsi “verso un atto di natura giuridica, verso una sentenza che deve esigere obbedienza assoluta ed

incondizionata da tutti e da ciascuno, a cui nessun potere (salvo la grazia, la amnistia e l'indulto) può recare

qualsiasi menomazione”, p. 150.

61 Roberto Mirabelli scriveva nel 1895 che “Oggi […] noi siamo ridotti a tal punto in Italia, che i radicali,

per ragioni superiori di civiltà politica, devono difendere quelle libertà, consacrate nello statuto più retrivo, che

tra gli statuti italici sia apparso nella prima metà del nostro secolo”, cfr. R. Mirabelli, L'articolo 45 dello Statuto:

scorribande costituzionali, Napoli, Uffici del giornale “Rinaldo”, 1895, p. 8 (l'opuscolo è la raccolta degli

articoli pubblicati sul giornale napoletano “Rinaldo” tra il 26 marzo e il 21 aprile 1895).

62 S. Sonnino, L'arresto esecutivo e il privilegio della Camera, cit. p. 1306-1317.

Page 21: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 21

controverso: non si tratta più soltanto di difendere le prerogative della rappresentanza. Con le

richieste di autorizzazione a procedere o ad arrestare entrano nelle aule di Montecitorio i

conflitti sociali ed i conflitti tra i centri di potere. I difensori delle ragioni della

rappresentanza diventano i repubblicani, i radicali, i primi socialisti. Dalle discussioni

parlamentari di quegli anni sulle immunità, sarebbe difficile capire lo stato della giustizia

italiana. La magistratura talvolta è invocata come potere sacro e intangibile. In altre occasioni,

i meccanismi che la rendono soggetta al potere politico sono svelati con spietato realismo. Vi

sono memorabili interventi come quello di Cavallotti sull’autorizzazione all’arresto di

Andrea Costa, che disegnano il quadro di condizionamento sociale, di debolezza intellettuale

e di pregiudizio politico della magistratura italiana63. Tale approccio cambia completamente

l'interpretazione sulla quale era fondata la relazione Mancini: la Camera, attraverso lo

strumento dell'immunità, non deve difendersi da una magistratura potenzialmente asservita al

Governo bensì da una magistratura conservatrice che esprime valori di classe e che la

minoranza dell'estrema sinistra non può riconoscere come potere terzo. In questa situazione la

Camera molte volte concede l'autorizzazione, talvolta la rifiuta, spesso preferisce non

decidere. Le regole della procedura e la prassi parlamentare subiscono torsioni che ne

indeboliscono l'autorità anche di fronte ad una dottrina giuridica sempre più critica verso

prerogative che pure furono usate, fino all'età giolittiana con relativa parsimonia e

moderazione. Ne è prova il susseguirsi di soluzioni incerte, con delibere che si contraddicono

nel tempo o che mirano ad evitare affermazioni troppo impegnative.

In sostanza, si può dire che l'emergere, in sede parlamentare, di posizioni politiche

rappresentative di formazioni che si opponevano radicalmente all'assetto costituzionale

dominante, mise in crisi l'istituto dell'autorizzazione a procedere. Poiché autorizzare

procedimenti per fatti illeciti legati all'attività politica extraparlamentare dei rappresentanti di

tali forze “sovversive” voleva dire espellere dalla rappresentanza prospettive politiche

63 “quando all’infuori di ogni ingerenza di libero Governo, per antiche contratte abitudini magistrati

adulatori o impazienti di carriera credono indovinare e prevenire i segreti risentimenti, le segrete antipatie, i

segreti rancori di chi siede in alto, e che magari a loro di tali servigi non chiede; quando un malinteso spirito

conservatore li aizzi contro le nuove teorie del diritto popolare; o quando per memoria di altri servigi e di altri

tempi, un segreto mal represso astio li animi contro la età nuova, e i bersaglieri delle sue teorie; contro i nomi

sacri alla patria contro le memorie sante ne’ suoi fasti; quando alle volte li spaventi, li irriti, li scandalizzi,

l’ardita affermazione di nuove dottrine, di nuovi problemi sociali, che, nel chiuso dei loro gabinetti, non hanno

mai avuto tempo di studiare, e che alla loro spaventata fantasia faccian temere che il mondo ne crolli; quando un

malinteso spirito di corpo li rende istintivamente intolleranti e malevoli verso i membri di un altro corpo emulo

dello Stato; quando la tempesta politica fattasi più fitta, più vicina, più rabbiosa intorno a loro, investe le Aule di

Temi e vi porta il soffio di antipatie o di simpatie tanto più vive, tanto più intense, quanto più mischiato nella

battaglia è l’uomo che sono chiamati a giudicare, crede egli, l’onorevole relatore, che il giudizio e la sentenza

non se ne risentano? […] E credete che, nel compier l’opera sua, a tutto questo non abbia pensato il legislatore

quando ha istituito la garanzia dell’art. 45?” A.P. Camera, Leg. XVI, 20 marzo 1890, p. 1957-1958.

Page 22: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 22

alternative a quelle dominanti, isolarle ed accentuarne la pericolosità, radicalizzando lo

scontro, alcuni parlamentari di orientamento radicale cercarono di affermare una fisionomia

della Camera dei deputati come luogo di compensazione, il che presupponeva che le

minoranze politiche non fossero perseguibili per fatti politici e che a determinati reati fosse

assegnata una valenza politica, un carattere “politico-rappresentativo” che creava uno scudo a

difesa di chi lo aveva commesso64.

Questo tentativo era molto difficile in quel momento storico e divenne del tutto impossibile

nel clima della crisi di fine secolo, quando alcuni parlamentari (prevalentemente socialisti)

furono portati di fronte ai tribunali militari chiamati ad amministrare la giustizia penale a

seguito della proclamazione dello stato d'assedio. Si tratta di un clima emergenziale dove i

dibattiti sulle autorizzazioni a procedere e il luogo stesso di Montecitorio diventarono il

bersaglio delle pulsioni della piazza e della classe dirigente più conservatrice. Non è un caso

che durante la discussione per l'autorizzazione a procedere contro De Felice Giuffrida, l'8

marzo 1894, una bomba scoppiasse nelle vicinanze di Montecitorio ferendo gravemente 4

persone e che Alessandro Guiccioli, nel suo diario, accogliesse con soddisfazione e con

espressioni paradossali (“L'arresto di un deputato è già per se stesso un'ottima cosa”) l'arresto

di De Felice. Non tanto come il giusto provvedimento nei confronti di un sovversivo, quanto

come un colpo ben assestato agli odiosi privilegi di una casta65.

Entrando più nel merito, le relazioni sulle autorizzazioni a procedere a carico di De Felice

Giuffrida nel 1894 e di ben sette deputati nel 1898 (Turati, Bertesi, Rondani, Costa, Bissolati,

De Andreis e Morgari) per i reati di cospirazione contro la sicurezza dello stato e di

eccitamento alla guerra civile, pur nella diversità delle situazioni giudiziarie e politiche,

presentano alcuni tratti comuni: la legittimazione dello stato d'assedio e dei tribunali militari;

l'assenza di una reale delibazione e cioè l'accettazione superficiale degli elementi di fatto posti

all'attenzione della Camera; la timida volontà, in ogni caso, di marcare una qualche differenza

rispetto alle richieste delle procure militari; l'intervento deciso del Governo nella discussione.

La discussione del 1894 fu più articolata e aperta, anche perché precedente le sentenze della

Corte di Cassazione di Roma del 189466 , che respingevano il ricorso di De Felice Giuffrida e

64 Andava emergendo, in un momento di radicale scontro politico, un'impostazione che ritroveremo più

chiaramente nel primo dopoguerra.

65 A. Guiccioli, Diario di un conservatore cit., p. 187: “L'odioso privilegio che consente a 500 individui di

essere al di sopra della legge e di godere sempre di una totale impunità per qualsiasi delitto è cosa enorme e tanto

più abominevole adesso, mentre i brutali e ignari strumenti di costoro pagano col sangue l'inganno in cui sono

stati tratti”.

66 Cassazione 9 maggio 1894, “Foro italiano”, 19 (1894), pt. 2, col. 317; Cassazione 11 luglio 1894 (ric.

De Felice Giuffrida), col. 330. Su quest'ultima vedi: G. B. Impallomeni, I metodi della Corte di cassazione,

1894, p. 224-251.

Page 23: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 23

legittimavano lo stato di guerra, i tribunali militari e la loro competenza a conoscere anche di

fatti commessi anteriormente alla proclamazione dello stato d'assedio. Il relatore Romualdo

Palberti affermò che nessun dubbio poteva esservi sull'autorizzazione a procedere nei

confronti di De Felice Giuffrida e che l'arresto doveva considerarsi legittimo aggiungendo che

“se anche, ferma sempre la necessità della scrupolosa osservanza di queste leggi [di

procedura], dovesse farsi ricorso anche a considerazioni di convenienza politica, anche queste

concorrerebbero a giustificare quell'atto, perché col medesimo si riuscì ad impedire disordini

ed eccidi che si prevedevano imminenti”67. La maggioranza della commissione comunque

volle precisare che l'autorizzazione era concessa “per fatti che accerta e dichiara non

posteriori alla instaurazione dello stato d'assedio” ed incaricò il relatore di esprimere il

convincimento che il processo a De Felice Giuffrida dovesse essere sottratto ai tribunali

militari, senza tuttavia proporre una risoluzione formale. La discussione in aula fu molto

accesa, con interventi di Barzilai, Imbriani, Cavallotti, Napoleone Colajanni, Sacchi. E fu

quest'ultimo, componente della commissione, a formalizzare la richiesta di rispettare “le

norme della competenza ordinaria” a cui si aggiunsero altri emendamenti dello stesso tenore.

La Camera in sostanza non ebbe la forza di difendere le prerogative di un proprio membro

anche di fronte all'opinione pubblica68 e cercò di spostare l'attenzione sul tema della

competenza della magistratura militare, provocando la reazione irritata del Presidente del

consiglio. Crispi disse che approvare un simile emendamento “farebbe la massima delle

offese alla legge fondamentale del Regno”, in quanto sarebbe un attentato al potere

giudiziario, solo legittimato a dirimere una questione di competenza: “La Costituzione

sarebbe lacerata, noi saremmo in piena rivoluzione, e voi non potete permetterlo” e

concludendo metteva sul tavolo tutto il peso del Governo: “Resta a provare all'Europa se

siamo, realmente, degni di vivere con le istituzioni parlamentari, di vivere con la libertà; e voi

questa prova la darete col voto che noi vi chiediamo”69.

Di nuovo Camera dei deputati e magistratura suprema si trovavano a contendere, in questo

caso non tanto sull'interpretazione dell'art. 45 quanto sul peso della giurisprudenza nella

valutazione degli elementi di diritto sostanziale e procedurale sottesi alla decisione in tema di

autorizzazione a procedere.

67 A.P. Camera dei deputati, Leg. XVIII, Doc. 296-A, p. 4.

68 Il relatore Palberti accennò all'impressione che nel paese si sarebbe avuta se solo De Felice, in quanto

deputato, fosse stato sottratto agli arresti, lasciando in carcere tutti i numerosi coimputati, cfr. A.P. Camera dei

deputati, Leg. XVIII, 9 marzo 1894, p. 7065.

69 Ivi, p. 7070-7071.

Page 24: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 24

La discussione del luglio 1898 tornò, tra l'altro, su questo punto giacché il relatore Tommaso

Villa richiamò le sentenze della Corte di Cassazione di Roma del 1894 sulla competenza dei

tribunali militari, per affermare che l'autorità giudiziaria non poteva essere contraddetta70.

Per il resto, anche nel 1898 le prerogative parlamentari furono abbandonate con molta retorica

ed altrettanta leggerezza di fronte ad un impianto accusatorio quasi inesistente. Tuttavia, Villa

propose di respingere la richiesta di autorizzazione per Bissolati, Costa e Bertesi poiché,

contrariamente a quanto affermato, arrivarono a Milano quando ormai i moti erano stati

repressi e il Presidente del consiglio, Pelloux dichiarò che il Governo si sarebbe astenuto nella

votazione finale, nella fiducia “che la bufera passata sia stata davvero una lezione; una dura

lezione, la quale ha ricordato, a tutti, grandi doveri, anche se talvolta molto dolorosi”71. La

Camera si piegava ancora una volta alla sindrome dello stato d’assedio e accettava di far

entrare nell’aula di Montecitorio la repressione della protesta sociale senza tutelare, di fronte a

reati palesemente politici, i propri membri di minoranza, criminalizzandone di conseguenza le

opinioni. Così si può comprendere che Turati manifestasse dal carcere, in una lettera del 15

luglio 1898 ad Anna Kulishoff, il suo sdegno dopo aver letto in sunto sulla Gazzetta Ufficiale

il resoconto della discussione alla Camera sull'autorizzazione a procedere nei suoi

confronti72.

7. La Camera interpreta: l'art. 45 copre anche i deputati militari in tempo di guerra

Tra il caso De Felice e i moti del 1898, cioè nel periodo in cui le prerogative dei deputati

furono per molti versi considerate un ostacolo al dispiegarsi delle misure repressive stabilite

con gli stati d'assedio, la Camera dei deputati trovò la forza di difendere l'immunità

parlamentare e la propria autonomia nel caso del Generale Baratieri che, deputato eletto fin

dal 1876, comandante in capo e governatore della colonia Eritrea, dopo la sconfitta di Adua

fu accusato dinanzi al Tribunale militare di Asmara di “omissioni, negligenze e abbandono di

comando in guerra”. In occasione di un'interrogazione presentata da Matteo Imbriani nel

maggio 1896, il ministro di grazia e giustizia Giacomo Costa affermò che la garanzia stabilita

dall'articolo 45 dello statuto non era compatibile con l'esercizio della giurisdizione dei

70 A.P. Camera dei deputati, Leg. XX, Sess. 1897-98, Doc. n. 293-A 294-A, p. 7. Suscitando le reazioni

del deputato Berenini: “che cosa sarà mai dell'autorità della Camera e della divisione dei poteri se la Corte di

Cassazione detterà legge alla Camera e se alla giurisprudenza sua vorrà condizionato l'esercizio sovrano delle

nostre funzioni. Potrà essere che la Camera decida in un senso e la cassazione in un altro. Ma intanto non è

lecito, come non lo sarebbe dinanzi al più modesto pretore, di opporre ai sovrani criteri della Camera la

regiudicata, per quanto dottissima, della Corte Suprema”, A.P. Camera dei deputati, Leg. XX, Disc., 9 luglio

1898, p. 6676.

71 Ivi, p. 6689.

72 Vedi F. Turati, A. Kuliscioff, Carteggio, Vol. 1 (1898-1899), Torino, Einaudi, 1977, p. 41.

Page 25: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 25

tribunali militari in tempo di guerra poiché in tali frangenti il militare svolgeva una funzione

superiore a difesa della patria e della bandiera che superava qualunque altro incarico pubblico:

“quando il deputato è sul campo di battaglia, prevale in lui la qualità militare, che assorbe

quella di deputato”73 . L'argomento era presentato come una opinione personale del ministro

ma non si poteva fare a meno di interpretarla come un sostegno all'inerzia del procuratore

militare – peraltro dipendente dal Ministro della guerra - che fino a quel momento non aveva

trasmesso alla Camera dei deputati la domanda di autorizzazione a procedere. Ne nacque una

mozione che invitava il Governo alla stretta osservanza dell'art. 45 dello Statuto e che fu

discussa nel maggio 1896 . Fu alla fine approvato un ordine del giorno presentato da Cocco-

Ortu che non faceva riferimento al caso specifico e nella quale “la Camera, convinta che il

Governo provvederà perché sia mantenuta integra ed inviolata la guarentigia costituzionale

dell'articolo 45 dello Statuto, passa all'ordine del giorno”. Il Presidente del consiglio, Di

Rudinì, accettò tale ordine del giorno e dichiarò di interpretarlo nel senso di darne piena

attuazione: “io mi rivolgerò all'autorità giudiziaria militare, facendo nota la volontà della

Camera ed invitandola quindi, a presentare la domanda di autorizzazione a procedere”74 che

fu poi rapidamente concessa il 1° giugno 1896.

8. La scienza del diritto: i privilegi dei parlamentari sono “ruderi storici” o

“necessarissimi, salutari, altamente liberali”?

La situazione di compressione delle immunità parlamentari che si creò negli anni novanta

ebbe poche voci dissenzienti.

Una di queste fu Attilio Brunialti che nel 1896, in un articolo appassionato, abbandonò gli

argomenti legati alle tradizioni parlamentari e scese sul terreno impervio della legalità e delle

istituzioni nell'Italia di fine secolo. Tutti, amici della libertà e dell'eguaglianza, scriveva

Brunialti, si esprimono contro i privilegi dei senatori e dei deputati, eppure, “Cotesta quasi

unanimità di voci […] mi seduce a spezzare una lancia in favore d'alcuni privilegi, perché mi

sembrano necessarissimi, salutari, altamente liberali”. Se fossimo in Inghilterra, dove le

libertà di ogni cittadino sono grandi e garantite da una magistratura assolutamente

indipendente, si potrebbe “dare in cambio” tutti i privilegi garantiti dallo Statuto, ma la realtà

dell'Italia è ben diversa. In Italia “abbiamo la guarentigia amministrativa, che copre il peggior

dei prefetti e il più disonesto e prepotente dei sindaci; e quando piace al potere esecutivo e ad

73 A.P. Camera dei deputati, Leg. XIX, Sess. 1, Disc., 14 maggio 1896, p. 4188.

74 Ivi, 25 maggio 1896, p. 4734. Di Rudinì aggiunse che la proclamazione della necessità di presentare in

ogni caso la domanda di autorizzazione a procedere contro qualsiasi deputato militare portava con sé la necessità

di revisione della legge sulle incompatibilità dei parlamentari militari.

Page 26: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 26

una complice maggioranza, che in Inghilterra si ha, ma in Italia si può anche fabbricare,

abbiamo anche i tribunali militari per i civili,e le indimenticabili dolcezze dello stato di

assedio. In Italia un cittadino può essere arrestato, detenuto, dimenticato; si può 'preparare

l'ambiente' per giudicarlo; si possono fare perquisizioni, usare violenze nelle famiglie, nelle

camere di sicurezza, nelle carceri, fare, in una parola, della libertà il peggiore strazio […] Così

stando le cose, e stanno forse peggio assai di quello che si può immaginare, chi non vede

come sia necessario che alcuni cittadini, almeno, possano parlar franco e schietto al Governo,

senza timore di destituzione o di trasferimenti, senza paura che si inventino reati da attribuir

loro o si costituisca un tribunale per condannarli?”75.

Che l'immunità fosse un privilegio lesivo dell'uguaglianza tra i cittadini e che la

giurisprudenza della Camera ne desse un'interpretazione estensiva inaccettabile era

convinzione ribadita da una parte della dottrina giuridica già dagli anni '80. Le posizioni più

esplicite furono quelle di Luigi Palma76, Domenico Zanichelli e Vincenzo Miceli. Zanichelli

nel primo numero della Rivista di diritto pubblico, nel 1890, scrisse un breve articolo

intitolato I privilegi parlamentari dove l'immunità parlamentare era definita una rudere

storico a cui l'opinione pubblica, la magistratura ed il Governo dovevano porre un argine77.

Miceli nella voce Immunità parlamentari dell'Enciclopedia giuridica italiana78 la qualificava

“un’eccezione odiosa al diritto comune” che, tra l'altro aveva il difetto di dover essere

abbandonata all'interpretazione di coloro a favore dei quali è istituita79 e finiva con

l'esprimersi a favore della sospensione delle immunità durante lo stato d'assedio80.

Contemporaneamente, la questione delle immunità parlamentari diventava un topos della

polemica giornalistica antiparlamentare a cui si uniformavano anche coloro che cercavano di

75 A. Brunialti, Privilegi o prave leggi?, in “Rivista di politica e scienze sociali”, 1 (1896), n. 14, p. 212-

213

76 Già nella prima edizione del Corso di diritto costituzionale, Firenze, Pellas, 1877-1880, scriveva che

“tali privilegi ripugnano all'eguaglianza civile e alla divisione dei poteri dei nostri tempi. Sono armi del passato

che non bisogna dismettere del tutto, ma debbono riservarsi per grandi e straordinarie occasioni” vol. 2, p. 372.

77 “Rivista di diritto pubblico”, 1 (1890), p. 84.

78 Enciclopedia giuridica italiana, Milano, Società Editrice Libraria, vol. 8, pt. 1 (1902), p. 109-138

79 “Se l’ordinario potere giudiziario si suppone non atto a giudicare i senatori o i deputati senza

l’autorizzazione della Camera, per esser logici bisognerà anche ritenerlo non atto a determinare a tal riguardo i

limiti della propria competenza”, ivi, p. 136.

80 “In uno stato libero le libertà dei cittadini non sono meno preziose delle immunità parlamentari e se

necessità di ordine pubblico inducono a una restrizione delle prime, non si capisce perché non possano indurre a

una restrizione delle seconde”, p. 138. Anche nella voce Autorizzazione a procedere, su “Il Digesto italiano”,

vol. 4, pt. 2, Torino, Utet, 1893-1899, scritta da Amerigo Namias, si ribadiva la necessità che l'autorità

giudiziaria rispettasse la giurisprudenza che la Camera era andata via via formando nella materia delle sue

prerogative. Nello stesso tempo si raccomandava un uso moderato delle immunità poiché “se nei primi anni della

monarchia costituzionale (come già era accaduto in Inghilterra) sentì il bisogno di dare alle sue prerogative la più

ampia estensione, ora che l'unità della patria è compiuta e che le libertà statutarie hanno posto indistruttibile

radice nella coscienza della nazione, l'immunità parlamentare deve essere ricondotta al suo vero ufficio ed ai

suoi limiti naturali”, p. 448.

Page 27: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 27

difendere le ragioni del parlamento. Esemplare il caso del giornalista e deputato Francesco

Ambrosoli che nel famoso opuscolo Salviamo il Parlamento! In risposta all'opuscolo di

Scipio Sighele "Contro il parlamentarismo”81 definiva l'articolo 45 “funesto” e meritevole di

scomparire alla prima buona occasione poiché alla base della pessima reputazione goduta dai

deputati italiani82. In effetti, la crescente insofferenza dell'opinione pubblica nei confronti

dell'inviolabilità dei parlamentari accompagnò il dibattito politico parlamentare rischiando,

nei momenti più critici, di travolgere le instabili costruzioni dei costituzionalisti 83.

Contemporaneamente a queste posizioni emergevano in dottrina posizioni più mature che in

qualche modo tornavano, in una prospettiva più moderna, a radicare l' inviolabilità dei

parlamentari nel tessuto costituzionale, cercando di superare le concezioni puramente

difensive della rappresentanza politica. Già nel suo manuale di diritto costituzionale del 1889,

Vittorio Emanuele Orlando, riteneva che basare l’immunità parlamentare sulla mutua

diffidenza tra il potere esecutivo e il potere legislativo e sulla presunzione che il primo

intendesse eccedere dalla propria sfera giuridica fosse un vecchio pregiudizio da cui

occorresse liberare la scienza del diritto costituzionale84. In seguito, nel già citato articolo del

189185, citando Erskine May, egli poneva le ragioni della prerogativa dell’art. 45, nel “diritto

superiore che il Parlamento ha alla presenza ed al servizio dei suoi membri” ampliando così

gli spazi di discrezionalità del Parlamento ma contemporaneamente trovando ad essi un argine

poiché, nello stesso testo, Orlando propendeva per la competenza della magistratura

nell’interpretazione dell’art. 45 dovendo prevalere “le poderose autorità delle nostre Corti

(certo non sospettabili di velleità d'ingerenza politica)”86, in una prospettiva che mirava a

contemperare principi giuridici che facevano capo ad espressioni diverse della sovranità e del

potere dello Stato87.

81 Milano, Treves, 1895.

82 “la persuasione, diffusa a poco a poco nel pubblico, che i deputati non siano cittadini come gli altri, ma

esseri privilegiati cui la giustizia umana non arriva a colpire, ha inferto maggior danno alle istituzioni

parlamentari che non tutti i casi più flagranti di deputati dimentichi delle leggi dell'onestà e del decoro”. Per una

idea “media” di immunità parlamentare nell'Italia di fine secolo, si può consultare la voce Privilegi parlamentari

di L. Eusebio, in Supplemento alla sesta edizione della Nuova enciclopedia italiana, Vol. 4, Torino, Utet, 1895,

p. 1211-1226.

83 Lo notò Orlando nel 1898 scrivendo che le prerogative parlamentari lasciano in Italia, al contrario della

Gran Bretagna, l'opinione pubblica indifferente o addirittura “sourdement hostile” poiché l'interesse del popolo

per le istituzioni era “languissant, bien hésitant et bien faible. Cette indifférence, en ce qui concerne les

prérogatives parlementaires, n'est qu'un symptôme de la décadence générale de nos institutions

constitutionnelles. Il est vrai aussi que ce symptôme peut devenir une cause. Et, ainsi, la question cesse d'être

juridique pour devenir politique”, V. E. Orlando, L'immunité des locaux parlementaires cit: p. 72.

84 Principii di diritto costituzionale, Firenze, Barbera, 1889, p. 158.

85 Competenza del potere giudiziario sull'interpretazione dell'art. 45 dello Statuto cit.

86 Ivi, p. 388.

87 Orlando tornò sul tema in due successivi articoli, per affermare, in ogni caso, che l'inviolabilità dei

deputati derivava dalla natura sovrana della Camera: Della responsabilità penale dei membri del Parlamento pel

Page 28: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 28

Qualche anno dopo, Luigi Rossi qualificava l'inviolabilità dei deputati come “una garanzia

dell' integrità dei corpi costituzionali e del loro mutuo rispetto nell'esercizio delle loro

funzioni”88 legandola così non solo all'esercizio della funzione legislativa ma anche alla

tutela della natura rappresentativa dell'organo parlamentare, incarnata dai propri componenti

anche fuori delle aule parlamentari, secondo una visione molto moderna89. Venivano in

questo modo razionalizzati e legittimati i criteri largamente discrezionali e non di rado

contraddittori che la giurisprudenza della Camera aveva utilizzato fin dal 184890.

Coerentemente con tale impostazione, Rossi considerava la Camera dei deputati “giudice

assoluto dei suoi privilegi”91 proprio perché la norma dell'art. 45 poneva “un primo stadio di

giudizio” finalizzato a proteggere l'autonomia dell'organo parlamentare rispetto agli altri

organi costituzionali, anch'essi dotati di specifiche garanzie di autonomia92. Gaetano Arangio

Ruiz, in un lungo articolo del 1903, chiedeva alla Camera di abbandonare la pretesa di

svolgere una funzione “normativa” in questo campo e di “battere la via larga, lealmente,

francamente [avendo il coraggio di] negare l'autorizzazione a procedere o ad arrestare

esecutivamente, fondandosi sull'opportunità politica”93. Su questa linea, Manfredi Siotto

Pintor, in una serie di articoli dedicati a diversi aspetti delle immunità parlamentari pubblicati

titolo di corruzione: nota, in “Archivio di diritto pubblico, 3 (1893), p. 134-139 e il già citato L'immunité des

locaux parlementaires... Ciò aveva conseguenze dirette nelle fattispecie che esponevano i parlamentari ad un

potere esterno: ad esempio rendeva non punibile il deputato accusato di corruzione per fatti relativi ad un voto

parlamentare; oppure rendeva inviolabile anche la sede dell'attività parlamentare poiché gli organi sovrani

“jouissent d'une liberté et d'une autonomie parfaites et entières, avec exclusion de toute ingérence de tout autre

autorité étrangère quelconque”, L'immunité des locaux parlementaires, cit. p. 69.

88 L. Rossi, L'immunità dei deputati in sé e nella sua applicazione ai militari in tempo di guerra, in

“Archivio giuridico Filippo Serafini”, 58 (1897), p. 236.

89 “La funzione del deputato non è rinchiusa soltanto nella parlamentare; c'è una sua azione extra-

parlamentare, specificamente meno rilevabile, ma genericamente importantissima. Il deputato è, perché tale,

spesso chiamato a prestare l'opera sua in lavori che fortemente interessano la vita dello Stato; può far valere sul

governo la sua autorità anche in sede non parlamentare; e sopratutto è a considerarsi tutto quel complesso di

rapporti tra elettore e deputato, dai quali in un paese libero, la vita pubblica trae il suo maggiore alimento”, ivi, p.

234.

90 “Si supponga, per esempio, che il procedimento sia giustissimo: ma che si tratti d'un reato di pochissima

entità, o di una persona di grande onestà e di grande autorità accusata d'un reato in cui si prevede certa

l'assoluzione e di cui questa persona è già assolta dalla coscienza unanime del paese, o di un reato d'indole

politica, o di altri casi in cui il processo sarebbe più un danno che non un vantaggio sociale. - in tutte queste

ipotesi, perché la Camera non potrà negare l'autorizzazione? E notisi che la Camera italiana ha già

implicitamente accettato qualcuna di queste ipotesi, negando, per esempio, (non vogliamo dire qui se bene o

male) l'autorizzazione a procedere per duello ”, ivi, p. 254.

91 Ivi, p. 250.

92 Questa costruzione che poggiava l'inviolabilità dei parlamentari sull'equilibrio e sulla dialettica tra

organi costituzionali in posizione di parità fu ripresa successivamente anche da Francesco Racioppi nel

Commento allo statuto del Regno, laddove riconduceva le prerogative della Camera e del Senato alla più

generale categoria delle prerogative degli organi costituzionali perché “fossero posti in condizione di mantenere

e difendere la propria indipendenza”, F. Racioppi, I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno cit., vol. 1, p.

214, con riferimento all'art. 4 sulle prerogative del Re. Come è noto, a Racioppi si deve il commento dei dei

primi 38 articoli. Dopo la sua morte, nel 1905, grande parte del commentario è dovuto a I. Brunelli che scrisse

anche il commento all'art. 45.

93 G. Arangio Ruiz, Intorno all'art. 45 dello Statuto cit., p. 158.

Page 29: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 29

tra il 1903 e il 190994, portava alle estreme conseguenze la visione realista del rapporto tra

giurisprudenza parlamentare e giurisprudenza dei giudici: il conflitto, nonostante i numerosi e

vani tentativi di stabilire confini netti tra criteri politici e criteri giuridici, “non trova nel

sistema del nostro diritto pubblico una via giuridica di definizione” e “per altra via, culmina

pur sempre nell'effettivo trionfo della volontà della Camera”95 che può arrivare, come

avvenne nel caso Buttini del 1853, a chiedere all'esecutivo di non applicare una sentenza. Per

questo motivo l'interpretazione dell'art. 45 “non può non essere affidata in ultima analisi, caso

per caso, alla Camera, altrimenti si ammetterebbe un'altra autorità ad intralciare, e, in ipotesi,

anche ad eliminare l'esercizio del potere alla Camera stessa conferito”96. E questo era vero a

tal punto che l'eventuale autorizzazione della Camera doveva considerarsi strettamente legata

alla specifica situazione politica e parlamentare che l'aveva prodotta: in altre parole, in caso di

condanna successiva all'autorizzazione il giudice era tenuto a chiedere una nuova

autorizzazione per l'esecuzione della pena97. Nella sostanza la prerogativa dei deputati non

poteva essere circoscritta da limiti giuridici: “La sostanza delle disposizioni statutarie in

proposito, deve ritenersi compresa in quella zona grigia del sistema costituzionale, che

ammette esclusivamente l'esplicazione di criterii politici”98. In altre parole, la Camera svolge

in tale ambito un'attività “metagiuridica” e non può che suscitare meraviglia la “fanciullesca

ingenuità” con la quale ci si adopera per tracciare limiti “di una facoltà che la Camera stessa

volle sempre e sempre potrà esercitare in modo affatto arbitrario”99.

E' da notare che Siotto Pintor non rinunciava, in questa analisi, a liberarsi di tale “fanciullesca

ingenuità” anche in relazione alla concreta situazione della forma di governo dell'Italia

liberale e si affrettava, sulla scia del Brunialti, a ricordare che la sfera di arbitrio riconosciuta

alla Camera era poca cosa di fronte a quella esercitata dal Governo “che può, quando gli

piaccia, chiudere le sessioni e troncare le legislature” e concludeva che, ciò posto,

“spaventarsi per la possibilità di qualche eccesso in materia di estensione delle guarentigie

94 Intorno ai limiti delle immunità dei deputati, “Annali della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di

Perugia”, S. 3, 1 (1903), p. 219-235; Nella zona grigia del regime costituzionale: ancora in tema d'immunità dei

deputati, in “Annali della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Perugia”, S. 3, 2 (1904), p. 109-135; Nuovi

dibattiti in tema d'immunità: il consentito arresto dell'onorevole Nasi e il non consentito arresto dell'onorevole

Ferri, in “Annali della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Perugia”, S. 3, 6 (1908), n. 3, p. 157-209; n.

4, p. 221-240; 7 (1909), n. 1, p. 1-33; Di una nuova interpretazione dell'art. 45 dello Statuto, in “Rivista di

diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia” 1 (1909), pt. 1, p. 322-344.

95 M. Siotto Pintor, Intorno ai limiti delle immunità cit., p. 226.

96 Ivi, p. 232.

97 Infatti “Da un momento all'altro possono sorgere circostanze politiche tali da far considerare come

essenzialissima l'opera di un deputato che, in altre circostanze, potrebbe apprezzarsi in modo affatto diverso”,

ivi, p. 231

98 Ivi, p. 235.

99 M. Siotto Pintor, Nella zona grigia del regime costituzionale cit., p. 126.

Page 30: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 30

parsimoniosamente concesse alla Camera […] giudichi ognuno che sappia valutare meglio la

sostanza che l'apparenza”100.

9. La Camera finalmente si esprime sul conflitto con la magistratura: il giurista “ripiega

la sua bandiera”

Nel 1904 furono trasmesse alla Camera dei deputati alcune richieste di autorizzazione a

procedere contro quattro deputati per semplici contravvenzioni. La presidenza della Camera le

restituì al Ministro guardasigilli ritenendo, sulla base anche di precedenti delibere, che la

prerogativa parlamentare non dovesse estendersi alle contravvenzioni. Ma il ministro non poté

che inviarle di nuovo, ricordando la sentenza della Corte di Cassazione del 18 ottobre 1902,

ricorrente il deputato Annibale Vigna, nella quale si ribadiva, per l'ennesima volta, che solo

l'autorità giudiziaria era competente a giudicare la necessità dell'autorizzazione a procedere

prevista dall'art. 45 dello Statuto e, nel merito, si stabiliva che era comunque necessaria

l'autorizzazione in materia contravvenzionale.

L'esame di questa richiesta segna un momento importante del conflitto tra magistratura e

Camera dei deputati sull'interpretazione dell'art. 45 dello Statuto. Alla relazione della

Commissione parlamentare firmata dallo stesso presidente Romualdo Palberti e comunicata

all'aula il 26 febbraio 1904 101 si può ricondurre la decisione della Camera di dirimere

finalmente il contrasto decennale con la magistratura e di rivendicare la piena e completa

competenza nell'applicazione dell'art. 45 dello Statuto, decisione “destinata a chiudere l'adito,

per un pezzo, ad ogni seria discussione in materia di limiti dell'immunità dei deputati”102.

Questo delle contravvenzioni era un tema su cui l'orientamento della Camera dei deputati

aveva subito oscillazioni, complicate dall'approvazione del codice Zanardelli che aveva

superato la ripartizione di origine napoleonica tra crimini, delitti e contravvenzioni e aveva

distinto i reati in delitti e contravvenzioni. Una relazione del 1894 (relatore Luigi Lucchini)

aveva proposto di escludere dall'obbligo di autorizzazione i procedimenti per contravvenzione

che non prevedessero “anche alternativamente” provvedimenti limitativi della libertà

personale ma unicamente pene pecuniarie. Ma la Camera non ebbe modo di pronunciarsi.

Ora, la Commissione presieduta da Romualdo Palberti, volle tornare all'interpretazione

originaria, rifacendosi alla lettera dell'art. 45 ed estendendo ad ogni tipo di contravvenzione

l'obbligo di richiedere l'autorizzazione a procedere. Ma, soprattutto, la Commissione rispose

100 M. Siotto Pintor, Intorno ai limiti delle immunità cit., p. 235.

101 A.P. Camera dei deputati, Leg. XXI, 1902-1904, Doc., n. 482/486-A.

102 Così M. Siotto Pintor, Nella zona grigia del regime costituzionale cit. p. 128.

Page 31: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 31

con fermezza alla sentenza della Cassazione nella parte in cui si affermava la competenza

dell'autorità giudiziaria ad interpretare l'art. 45. La magistratura “custode energica, se non

forse anche ombrosa delle proprie prerogative”103 da troppo tempo sosteneva questa tesi. Ora

la Camera aveva “l'esclusiva autorità di decidere sopra quanto la riguarda”104 e aveva il

dovere di vigilare scrupolosamente su tali prerogative “cui non potrebbe per nessun pretesto

rinunziare, e che per nessuna ragione, neanche per il rispetto dovuto agli altri poteri dello

Stato, può lasciare neanche indirettamente infirmare”105. Lo strumento per risolvere tale

conflitto era non già la creazione di una forma speciale di reato per punire questa particolare

usurpazione di potere come era avvenuto in Francia, bensì la richiesta al Governo - legato al

Parlamento dal rapporto di fiducia - di non dare esecuzione ad eventuali provvedimenti

giudiziari illegittimi così come era già avvenuto nel 1855 per il caso Buttini. Perciò si

proponeva la seguente deliberazione che fu approvata dall'assemblea il 17 marzo 1904, senza

discussione e con l'astensione del Presidente del consiglio, Giolitti: “La Camera è la sola

competente a decidere su tutte le questioni toccanti l'applicabilità e la estensione della

garanzia proclamata dall'art. 45 dello Statuto. Essa intende mantenere intatte ed illese le

proprie prerogative, usando dei mezzi che le spettano a termini dello Statuto. In

interpretazione ed applicazione di tale prerogativa, devesi ritenere che qualsiasi atto o

procedimento delle autorità giudiziarie contro le persone dei deputati, senza preventiva

autorizzazione della Camera, deve ritenersi abusivo e senza giuridico effetto. Intanto invita il

Governo a provvedere per quanto a lui spetta, e coi mezzi che sono a sua disposizione, in

conformità a tali risoluzioni”106.

Su questa linea, la Camera seguiva le posizioni più autorevoli della dottrina, anche di quella

più severa verso l'uso delle immunità parlamentari107. Nello stesso tempo, confermava la

natura pienamente discrezionale dell’autorizzazione a procedere: “La Camera” commentava

Siotto Pintor “può fare dei precetti contenuti nell’articolo 45 dello Statuto quel governo che

crede. L’attività sua in questa direzione è metagiuridica”108 e così, di fronte a questo stato di

fatto, “alla esplicita e circostanziata consacrazione dell’arbitrio […] il giurista non può

103 Ivi, p. 2.

104 Ivi, p. 4.

105 Ibidem.

106 Ivi, p. 5.

107 Cfr. come si è visto, Ignazio Brunelli – Francesco Racioppi, Commento allo Statuto del Regno cit., vol.

3, p. 253-254 e p. 482 e ancora più chiaramente Vincenzo Miceli nella voce Immunità parlamentari dell'

“Enciclopedia giuridica italiana” cit.

108 M. Siotto Pintor, Nella zona grigia del regime costituzionale cit. p. 126.

Page 32: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 32

provvedere alla propria dignità, che in un modo solo: ripiegando bandiera, e rinunciando ad

occuparsi d’una facoltà che si svolge affatto fuori dei limiti del diritto”109.

10. Ancora sull'arresto esecutivo: la Camera non si pronuncia sul caso Ferri

Gran parte dei temi fin qui trattati appaiono ingigantiti e distorti nel caso Ferri dove si

ritrovano le incertezze della giurisprudenza, le pressioni dell'opinione pubblica, le

implicazioni politiche delle delibere parlamentari. Tra il 1903 e il 1908 la Camera si trovò ad

affrontare uno dei casi più controversi di applicazione dell'art. 45, quello relativo al processo

per diffamazione ed ingiurie a mezzo stampa nei confronti di Enrico Ferri e alla condanna

che ne seguì. Come è noto, Enrico Ferri, allora direttore dell'Avanti! lanciò tra il maggio ed il

giugno 1903 una violenta campagna contro il ministro della marina Giovanni Bettolo accusato

di affarismo, corruzione e aggiotaggio in relazione alle commesse navali affidate alla società

Terni. Dopo le dimissioni, Bettolo querelò Ferri: la Camera concesse, senza discussione,

l'autorizzazione a procedere. Il processo, che ebbe vastissima risonanza, si concluse il 10

febbraio 1904 con la condanna del deputato socialista a 14 mesi di reclusione per

diffamazione continuata a mezzo stampa poi confermati in appello e in Cassazione.

Per comprendere il caso Ferri è necessario anche capire i caratteri della campagna di

moralizzazione portata avanti dal giornale socialista e la figura del suo direttore, un

personaggio, è stato scritto, che sembrava uscito da un romanzo di Zola, avvocato, scienziato

del positivismo, demagogo, in grado di portare la tiratura dell'Avanti! a livelli mai raggiunti e

di riscuotere simpatie anche tra la piccola borghesia e nel mondo dell'accademia e della

cultura110. Del resto, la campagna contro Bettolo deve essere collocata tra i grandi casi

giudiziari del periodo giolittiano, insieme al processo Murri, al processo Modugno, al caso

Nasi che attrassero l'interesse popolare sulle aule di tribunale.

Quando la Camera fu chiamata a deliberare sulla domanda di autorizzazione ad eseguire la

sentenza di condanna, si ripropose il contrasto tra la maggioranza della Commissione

incaricata di esaminare la domanda (relatore Edoardo Daneo) per la quale non era necessaria

un'ulteriore delibera di fronte ad una sentenza pronunciata a seguito di una precedente

autorizzazione a procedere; e la minoranza (relatore Dario Cassuto) che riprendendo gli

argomenti di Sacchi e di Caratti riteneva che l'esecuzione della pena per un reato che non

109 Ivi, p. 135.

110 “Nel 1906, quando ancora egli esercitava l'attività di tribuno nelle file socialiste, ricorrendo il

venticinquesimo anniversario del suo insegnamento universitario, una manifestazione in suo onore verrà indetta

con largo concorso di pubblico eletto e numerose adesioni dal mondo accademico e politico italiano e straniero,

e Giovanni Pascoli gli dedicherà una malinconica poesia”, G. Arfè, Storia dell'Avanti!, Roma, Ed. Avanti!, 1977,

p. 40.

Page 33: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 33

prevede la decadenza dal mandato legislativo dovesse considerarsi sospesa per tutto il tempo

della sessione. Il fine ultimo di questa protezione era quello di “non turbare la funzione

dell'assemblea nella potenzialità numerica e di non privare il collegio della sua

rappresentanza, scelta in condizioni legittime di liceità”. Dopo alterne vicende successive alle

dimissioni di Ferri e alla sua rielezione la domanda fu esaminata da una nuova commissione,

relatore Luigi Lucchini, che confermò l'orientamento della relazione Daneo ma quando la

questione arrivò in aula nell'aprile 1908 l'on. Roberto Mirabelli ripropose l'argomento della

protezione dell'indipendenza legislativa nell'esecuzione delle sentenze durante le sessioni e

chiese una sospensiva e la costituzione di una Commissione per dirimere l'interpretazione

dell'art. 45 dello Statuto. Mirabelli affermava, nel suo discorso del 2 aprile 1908, che il

rispetto delle prerogative della magistratura era assicurato proprio dalla sospensione ex lege

delle sentenze esecutive nel periodo della sessione e non dall'interpretazione opposta che

invece costringeva la Camera a decidere volta per volta se vi era o no ingerenza del potere

esecutivo e quindi in questo caso realmente sindacare ogni volta la sentenza.

Siotto Pintor ne trasse la conclusione, già espressa da Barzilai durante la discussione, che

un’assemblea politica non era in grado di affrontare e dirimere una questione di diritto.

Questa dimostrazione di impotenza non rispondeva alle legittime esigenze dell’opinione

pubblica “ed ha inopportunamente acuito le antipatie che, non solo nelle cerchie sociali

inferiori e incolte, ma anche nell’ambiente stesso dei ceti dirigenti e illuminati, si addensano

contro istituti che, per il modo come vengono tradotti in pratica, assumono un odioso colorito

d’ingiustificabile privilegio”111. Sarebbe stato necessario - e possibile nel caso specifico -

prendere atto dei deliberati della magistratura come dati di fatto “incensurabili” e metterli a

confronto “con motivi d’ordine politico che possono controbilanciarne la portata” e

consigliare l’esplicita sospensione degli effetti della condanna inflitta ad Enrico Ferri.

Occorreva però enunciare in modo aperto ed esplicito le ragioni di ordine superiore che

suggerivano alla Camera di assumere una posizione in contrasto con la sentenza della

magistratura. Tali ragioni, nel caso Ferri, risiedevano nello stretto legame tra gli atti per i

quali Ferri era stato riconosciuto colpevole e la “correlativa azione parlamentare esercitata col

più solenne consenso generale per la miglior tutela di eminenti interessi pubblici“ al punto che

si poteva ritenere “implicata nel procedimento la dignità e indipendenza dell’intiera

Assemblea”112.

111 M. Siotto Pintor, Di una nuova interpretazione dell’art. 45 dello Statuto, “Rivista di diritto pubblico e

della pubblica amministrazione in Italia“ 1 (1909), pt. 1, p. 342.

112 Ivi, p. 343.

Page 34: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 34

11. Le autorizzazioni a procedere nel dopoguerra: dal conflitto silenzioso alla questione

morale.

Quella sul caso Ferri è l'ultima richiesta di autorizzazione a procedere intorno alla quale si

genera un vero dibattito politico e giuridico. Successivamente, le questioni trovano la loro

soluzione parlamentare attraverso una giurisprudenza che resta incerta ma senza eco

nell'opinione pubblica e nella dottrina. Si consideri del resto che con il nuovo secolo uno degli

aspetti che più avevano alimentato le controversie sull'immunità parlamentare perde

d'interesse poiché non si hanno più periodi di interruzione dell'attività parlamentare per

chiusura della sessione. Nel corso della legislatura XXIV, tra il 1913 e il 1919, il numero

delle richieste di autorizzazione a procedere resta sostenuto ma le relazioni si fanno più brevi,

i dibattiti sulla richiesta delle commissioni referenti più rari. Più della metà delle richieste

riguarda reati di ingiurie, diffamazione e diffamazione a mezzo stampa. A ciò si aggiungono

contravvenzioni e reati legati alla legislazione restrittiva delle libertà personali successiva

all'inizio della prima guerra mondiale nei quali la Camera tende a proteggere le funzioni dei

deputati. In questo contesto, sono numerosi i casi nei quali la Camera mette in rilievo nelle

richieste della magistratura i caratteri della persecuzione politica113 anche se, dopo

Caporetto, in un clima diverso, le poche richieste di autorizzazione per disfattismo, in base al

d. lgt. 4 ottobre 1917 n. 1561, sono sempre accolte114. Si notano situazioni di conflitto diretto

con la magistratura non su questioni interpretative dell'art. 45 ma per dichiarazioni che alcuni

magistrati ritengono diffamatorie. Questo è il caso, per esempio, della richiesta di

autorizzazione a procedere nei confronti di Alceste De Ambris per un articolo sul giornale

L'internazionale nel quale si ravvisavano, con una singolare interpretazione, gli estremi del

reato previsto dall'art. 247 del Codice penale (incitazione all'odio di classe) in quanto diretto

contro la magistratura “non potendosi dubitare che i magistrati costituiscono una classe

sociale, adempiendo ad una funzione sociale e contraddistinguendosi da altre categorie di

cittadini con fini differenziati da quelli di amministrare la giustizia”115.

113 Ad es. A.P. Camera dei deputati, Leg. XXIV, Doc. n. 653 e 791 (contro il deputato De Giovanni), n.

654 (contro il deputato Cagnoni) n. 923 (contro il deputato Vigna), n. 203 (contro il deputato V. Bianchi), n. 461

(contro il deputato Basile), n. 459 (contro il deputato Tasca).

114 Sulla legislazione speciale si veda: G. Procacci, La limitazione dei diritti di libertà durante la prima

guerra mondiale: il piano di difesa (1904-1935), l'internamento dei cittadini nemici e la lotta ai 'nemici interni'

(1915-1918) in “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 28 (2009), p. 601-652.

115 Così il cav. Brezzi, procuratore di Parma, il 1° dicembre 1913, in A.P. Camera dei deputati, Leg.

XXIV, Doc. n. 90, p. 2. L'articolo incriminato, pubblicato il 21 giugno 1913 con il titolo Giudici, affermava che i

giudici violentavano la legge per farne un'arma agli scopi di classe, che la giustizia era solo una funzione di

classe compiuta per lo più da individui di bassissimo livello morale nei quali il servilismo diventava odio.

Naturalmente la commissione (relatore Amedeo Sandrini) propose di negare l'autorizzazione poiché per classi

sociali si devono intendere “soltanto quelle che materialmente esistono o si formano nell'organismo sociale e non

Page 35: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 35

Negli anni burrascosi del primo dopoguerra, tra il 1919 e il 1921, il dialogo tra la Camera dei

deputati e la magistratura si interrompe anche se si può intuire un conflitto risentito e

silenzioso. Le richieste di autorizzazione a procedere si infrangono nell'indifferenza o nella

necessità di evitare conflitti laceranti tra le forze politiche. Di 149 richieste, solo tre arrivano

in aula e si tratta in tutti i casi di reati particolarmente odiosi in quel momento perché legati

alla guerra e alle sue conseguenze (diserzione, presunta truffa su merci calmierate, ecc.).

L'unico vero dibattito parlamentare è quello sull'autorizzazione a procedere contro Francesco

Misiano, il deputato socialista accusato di diserzione per aver abbandonato nel 1916 il proprio

reparto rifugiandosi in Svizzera116. Anche a causa dei provvedimenti di amnistia e indulto

che si succedono nel dopoguerra117, una gran parte delle richieste non fu neanche esaminata

dalla apposita commissione referente che a partire dalle riforme regolamentari del 1920

coincideva con una sottocommissione della commissione permanente Legislazione di diritto

privato, affari di giustizia e culti, autorizzazioni a procedere. Quando le autorizzazioni a

procedere sono esaminate, l'istruttoria è assai sbrigativa e si profila, con chiarezza, una

situazione che è possibile assimilare a quella che si ebbe nelle prime legislature repubblicane

in base alla quale “le camere accordano protezione ai propri membri per tutte le attività da

questi compiute che abbiano una qualche valenza politica”118. La proposta di non accordare

l'autorizzazione diventa prassi – senza discussioni - in presenza di fattispecie legate alla

violazione delle leggi di pubblica sicurezza, al vilipendio delle istituzioni, all'incitamento alla

rivoluzione e ad altri reati di impronta politica che riflettono la lotta di classe nelle campagne,

nelle fabbriche e nelle piazze. L'art. 45 è di nuovo interpretato con piena discrezionalità: si

propone di negare l'autorizzazione rilevando caratteri di persecuzione poliziesca119, per

già gli organismi creati dall'uomo o dallo Stato, quali gli istituti politici, giuridici, amministrativi, scientifici,

commerciali, ecc.”, ivi, Doc. 90-A, p. 2 e così decise l'aula il 2 giugno del 1914. Nella relazione si precisava che

nello Statuto la magistratura è chiamata Ordine e nell'art. 197 del Codice penale (Codice Zanardelli) è chiamata

Corpo. In altra occasione, i giudici conciliatori e vice conciliatori dei sette mandamenti di Torino, querelarono

Oddino Morgari per diffamazione ed ingiuria a mezzo stampa in quanto gerente responsabile del giornale “Il

grido del popolo” per un articolo pubblicato il 9 ottobre 1915 sull'applicazione del d. lgt. n. 788 del 1915. Cfr.

A.P. Camera dei deputati, Leg. XXIV, Doc. n. 602, 6 aprile 1916.

116 Il dibattito è del 10 luglio 1920 con interventi dello stesso Misiano, di Morgari, Paolo Lombardo,

Bentini, Salvemini, Tovini. L'autorizzazione fu concessa con 137 voti contro 70. Come è noto Francesco

Misiano, rieletto nel 1921, fu oggetto nella seduta inaugurale della legislatura, di una violenta aggressione da

parte dei deputati fascisti e costretto ad abbandonare Montecitorio. Su Misiano si veda N. Marzano, F. Nocera,

Francesco Misiano. Il pacifista che portava in valigia la corazzata Potëmkin, Reggio Calabria, Città del Sole,

2009.

117 Cfr. A. Santosuosso, F. Colao, Politici e amnistia. Tecniche di rinuncia della pena per i reati politici

dall'Unità ad oggi, Verona, Bertani, 1986. Sulle amnistie nei primi anni del fascismo, a cominciare dal R.D. 22

dicembre 1922, n. 1641, si veda G. Neppi Modona, M. Pelissero, La politica criminale durante il fascismo, in

Storia d'Italia. Annali, 12: La criminalità, a cura di L. Violante, Torino, Einaudi, 1997.

118 G. Zagrebelsky, Le immunità parlamentari cit., p. 45.

119 A.P. Camera dei deputati, leg. XXVI, Doc. n. 1373 (contro il deputato Romita), n. 1409 (contro il

deputato Di Vittorio), n. 2027 (contro il deputato Picelli).

Page 36: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 36

esigenze di pubblica pacificazione120, poiché non è possibile “comprimere la manifestazione

di tendenze e di correnti politiche che rispondono a sentimenti e ad aspirazioni diffusi fra il

popolo”121, poiché vi è una “indissolubile continuità” tra l'azione del deputato all'interno e

all'esterno delle aule parlamentari122 ecc.

Nella legislatura successiva, tra il 1921 e il 1924, si ha il numero più alto di richieste di

autorizzazione a procedere di tutto il periodo liberale, ben 273, delle quali 93 riguardano i

reati di incitamento alla disobbedienza delle leggi, vilipendio delle istituzioni, istigazione a

commettere reati e 32 sono riferite a reati di sangue o violenze123

. Anche in questo caso ben

211 richieste non furono esaminate o decaddero anche a causa dei decreti di amnistia 22

novembre 1922 n. 1641 e 31 ottobre 1923 n. 2278. Per il resto la giurisprudenza parlamentare

si conferma, almeno fino all'avvento del fascismo, molto tollerante sui reati di opinione legati

in qualche modo alla matrice politica. Come ebbe a dire il socialista Lollini nel maggio del

1922: “la Commissione ha ormai adottato criteri di larghezza in materia di reati politici e fa

sempre una specie di delibazione, negando, il più delle volte […] l'autorizzazione a

procedere124”.

Le elezioni del 1921 portarono alla Camera anche un gruppo di esponenti socialisti che erano

detenuti in attesa di giudizio - anche per reati di sangue - con conseguente scarcerazione: si

tratta di Ersilio Ambrogi, Filippo Amedeo, Edoardo Temistocle Bogianckino, Giulio Cavina,

Carlo De Angelis, Andrea Ercolani, Luigi Fabbri, Gaetano Zirardini. Alcuni protagonisti del

biennio rosso venivano così portati sotto lo scudo dell'immunità parlamentare con conseguenti

polemiche che si possono immaginare. Nel nuovo contesto politico, l'art. 45 dello Statuto

svolgeva un ruolo che, per alcuni aspetti, abbiamo già visto ma che ora assumeva caratteri più

netti e radicali: strumento di protezione per gli uomini di un partito politico alternativo

all'ordine costituito. Questi uomini, entrando attraverso l'elezione nell'arena della Camera dei

deputati, acquistavano uno status di immunità funzionale non tanto alla rappresentanza e

all'autonomia dell'organo parlamentare quanto piuttosto alla possibilità del partito stesso di

lottare per un assetto dell'economia e della società del tutto alternativo a quello esistente.

L'immunità diventava garanzia delle opzioni politiche più radicali ed era chiamata a tutelare

120 Ivi, Doc. n. 701 e 703 (contro il deputato Pagella), n. 1728 (contro il deputato Garosi).

121 A.P. Leg. XXV, Doc. n. 206-A (contro il deputato Luigi Salvatori), p. 2.

122 Ivi, Doc. n. 210 e 210-A (contro il deputato Zanardi).

123 Le 273 richieste di autorizzazione riguardavano 289 nominativi di deputati che in molti casi si

ripetevano anche in relazione al ruolo di gerenti o direttori di giornali. Di questi 133 erano socialisti (23

riguardavano Oddino Morgari e 16 Vincenzo Pagella), 77 comunisti (19 riguardavano Pietro Rabezzana e 14

Luigi Repossi) e 37 fascisti.

124 A.P. Camera dei deputati, Leg. XXVI, Disc., 24 maggio 1922, p. 5088.

Page 37: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 37

anche comportamenti di varia natura, sanzionati dal codice penale, legati all'attività politica in

un periodo di mobilitazione popolare e di tumultuosa agitazione sociale125.

In questo contesto, la magistratura non era considerata un potere terzo, bensì lo strumento di

protezione dell'ordinamento giuridico esistente, in quanto espressione di classe, secondo il

giudizio dei socialisti dell'epoca. Del resto la giurisprudenza nel primo dopoguerra, davanti

alle manifestazioni di lotta sociale antagonista, anche quando chiamata all'applicazione dei

diversi provvedimenti di amnistia che si succedono in quegli anni, sembra orientata su di una

linea di difesa dell'assetto sociale esistente e di “decisa repressione delle illegalità originate

dalle nuove dinamiche sociali, anche oltre le direttive di politica criminale perseguita

dall'esecutivo” abbandonando il ruolo di mediazione del conflitto126. L'insofferenza di una

parte della magistratura la si può ben percepire nell'unico contributo originale sull'immunità

parlamentare pubblicato nei primi anni del dopoguerra, a firma di Piero Pagani, sostituto

procuratore generale della Corte d'Appello di Firenze127. In questo articolo, Pagani sosteneva

la tesi che il candidato eletto in stato di detenzione non poteva essere scarcerato se l'arresto

era avvenuto in flagranza di reato, altrimenti, in base all'art. 45, avrebbe goduto di una

situazione di privilegio. La questione arrivò in qualche modo fino alla Cassazione poiché, nel

caso dell'elezione di Ersilio Ambrogi, la sezione di accusa della Corte d'appello di Lucca

aveva in un primo momento respinto l'istanza di scarcerazione in quanto l'arresto sarebbe

avvenuto in flagranza di reato. La Cassazione fu dell'avviso che nel caso specifico, per essere

avvenuto l'arresto dopo 12 ore dal reato, si poteva parlare solo di quasi flagranza e quindi

Ambrogi doveva essere posto sotto la piena tutela dell'art. 45 dello Statuto e, di conseguenza,

scarcerato128. Da notare che sia nell'articolo di Pagani, sia nel ricorso in Cassazione di

Giuseppe Modigliani che, in veste di avvocato, difendeva Ambrogi, si riproponeva la

questione della titolarità dell'interpretazione dell'art. 45. Pagani affermava che “la

magistratura, non altri […] ha veste a decidere le questioni attinenti all'applicazione dell'art.

45 dello Statuto”129 e Modigliani, ricordando che la Camera aveva sempre rivendicato la sua

125 Con riferimento al secondo dopoguerra, questa è l'interpretazione efficacemente descritta da Dogliani,

Immunità e prerogative parlamentari cit., p. 1047, che scrive di immunità che “svolgono una funzione protettiva

che è strumentale a garantire quella che potremmo chiamare la funzione 'proiettiva' del rappresentanza”. In altre

parole “le immunità sono lo strumento con cui i portatori del nuovo assetto costituzionale garantiscono la

possibilità di loro comportamenti politici conflittuali rispetto alla legislazione vigente”, ivi, p. 1046.

126 F. Colao, Il delitto politico tra ottocento e novecento: da “delitto fittizio” a “nemico dello Stato”,

Milano, Giuffrè, 1986, p. 190-191.

127 P. Pagani, Imputato in istato di detenzione eletto deputato: articolo 45 dello Statuto, “Rivista di diritto

pubblico e della pubblica amministrazione in Italia”, 13 (1921), pt. 1, p. 497-509.

128 Cfr. Cassazione penale, Sez. I, 24 giugno 1921, in “La giustizia penale”, 27 (1921), col. 490-496.

129 P. Pagani, Imputato in istato di detenzione cit, p. 501.

Page 38: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 38

piena competenza, non nascondeva la possibilità di imporre la soluzione tramite un voto

parlamentare130.

Tra le richieste di autorizzazione legate al clima di violenza e di guerra civile di quegli anni

che, in alcuni casi, reiteravano richieste già presentate tra il 1919 e il 1921, spicca la richiesta

di autorizzazione a procedere nei confronti di Mussolini per costituzione di banda armata “al

fine di mutare violentemente la costituzione dello Stato e la forma di Governo” trasmessa il

30 settembre 1921 dal procuratore generale di Milano, Antonio Raimondi, e comunicata alla

Camera il 21 dicembre 1921. Nella lettera di accompagnamento dell'incarto processuale si

faceva notare che i fatti risalivano al periodo precedente e successivo alle elezioni del

novembre 1919 e che l'istruttoria era già chiusa quando le elezioni del maggio 1921

impedirono alla sezione d'accusa della corte d'appello di pronunciarsi131. La richiesta non

ebbe alcun seguito ma il documento, ignorato dalla storiografia sul fascismo132, meriterebbe

un approfondimento che è impossibile fare in questa sede. Si possono comunque notare

alcune cose. In primo luogo il riferimento a fatti avvenuti dopo le elezioni del 1919 appare

veramente molto lontano e del tutto fuori contesto rispetto alla situazione del dicembre 1921

tanto da togliere qualunque credibilità all'iniziativa della magistratura milanese. Questo spiega

perché il fascismo considerò tale richiesta di autorizzazione a procedere l'estrema esibizione

di velleitaria impotenza di una classe politica sconfitta nonché un ridicolo affronto a

Mussolini da non dimenticare, tanto che la copia originale autografa del procuratore generale

di Milano fu tolta, nel 1932, dal fascicolo presente negli archivi della Camera dei deputati per

essere esposta nella mostra della rivoluzione fascista che si inaugurò nel Palazzo delle

esposizioni di Roma133. In secondo luogo, l'episodio potrebbe essere ricondotto all'estremo

130 “In conformità di questa teorica e di tutti i precedenti che la confortano – rispettosamente, ma

esplicitamente – noi vogliamo dichiarare che, se attendiamo con sicura fiducia dalla Suprema Cassazione il

riconoscimento del diritto dell'on. Ambrogi, non rinunciamo per questo all'ultima istanza che, in dannata ipotesi,

ci resterebbe in materia: quella parlamentare”, Cassazione penale, Sez. I, 21 giugno 1921 cit, col. 495.

Modigliani aveva citato poco prima il caso Buttini del 1855 e la relazione di Carlo Cadorna.

131 A.P. Camera dei deputati, Leg. XXVI, Doc., n. 1275. Nel marzo 1920, un deputato socialista, Vittorio

Lollini, aveva presentato un'interrogazione al ministro di grazia e giustizia “per sapere se e quali procedure siano

in corso contro Benito Mussolini e cooperatori e complici per i delitti da essi perpetrati con l'assoldamento di

bande armate”, A.P. Camera dei deputati, Leg. XXV, Disc., 22 marzo 1920, p. 1056.

132 Della richiesta di autorizzazione non si ha traccia nella biografia di Mussolini del De Felice. Un cenno

è solo nella Storia d'Italia nel periodo fascista, di L. Salvatorelli e G. Mira dove si ricorda che una istruttoria fu

avviata contro Mussolini e contro gli Arditi del popolo successivamente all'arresto del Mussolini nel novembre

1919: “Il procedimento andò avanti con grande lentezza […] e solo nel gennaio 1922 [in realtà nel dicembre del

1921] pervenne alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere contro Mussolini, divenuto nel frattempo

deputato e s'incagliò. Eppure codesta impostazione giudiziaria, rimasta platonica, sarebbe stata la più appropriata

nei rispetti dell'ulteriore sviluppo fascista, quello delle 'spedizioni punitive' “, Milano, Einaudi, 1956, p. 115.

133 Cfr. Archivio storico della Camera dei deputati, Disegni e proposte di legge e incarti delle

commissioni, Leg. XXVI, vol. 1060, n. 1275. L’originale è riprodotto in A.C.S., Mostra della rivoluzione

fascista, Archivio fotografico, Album 66, negativo 10256. http://www.acs.beniculturali.it/index.php?it/273/foto-

e-documenti-della-storia-dellitalia-post-unitaria/it-acs-f107003727-08-06043. Insieme all'autografo della

Page 39: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 39

tentativo del Governo Bonomi di ristabilire l'ordine pubblico. Come è noto, intorno alla metà

di dicembre si diffusero voci che Bonomi era pronto a sciogliere le squadre fasciste e sul

“Popolo d'Italia” apparve un comunicato dove si affermava che a far data dal 15 dicembre

1921, tutti gli iscritti alle sezioni dovevano considerarsi parte delle squadre di combattimento

e tenersi pronti a reagire134. Il 21 dicembre, la stessa data della comunicazione alla Camera

della richiesta di autorizzazione (che peraltro era firmata 30 settembre), Bonomi emanava la

nota circolare che autorizzava i prefetti a sciogliere i corpi armati organizzati militarmente.

Infine, non può passare inosservata la firma in calce alla richiesta di autorizzazione. Si tratta

di Antonio Raimondi, personalità insigne ed autore forse del libro di memorie più interessante

di cui disponiamo per la magistratura del Regno135, dove il rapporto con il fascismo e con il

suo capo presenta contorni ambigui e reticenti già segnalati dalla storiografia. Qui ci

limitiamo a riprendere un passo dove Raimondi si riferisce ad un colloquio con Mussolini

risalente al 1923 proprio sulle autorizzazioni a procedere. Il tema del colloquio era quello di

un possibile procedimento contro il gerente dell' “Avanti!”, Giacinto Menotti Serrati, per

alcuni articoli ritenuti sovversivi. Raimondi era in dubbio se provocare un dibattito

parlamentare “per una così meschina questione; una questione puramente politica sulla quale

io, capo del pubblico ministero, rappresentante del potere esecutivo presso l'autorità

giudiziaria, dovevo conoscere l'opinione del governo, per uniformare ad essa l'opera mia”.

Attraverso Oviglio, Raimondi arrivò a parlarne con Mussolini che gli disse di fare come

riteneva meglio: “quel che fa lei è sempre ben fatto”136. Diversamente, scrive Raimondi, era

stato il caso del deputato fascista e vicepresidente della Camera, Francesco Giunta, per il

quale la procura generale di Milano, tenuta allora da Enrico Tunesi, successore di Raimondi,

aveva chiesto, nel dicembre 1924, l'autorizzazione a procedere come mandante

dell'aggressione al dissidente fascista Cesare Forni. Infatti quello doveva essere considerato

un caso di delinquenza comune nel quale la politica entrava non per la natura del reato ma per

la qualità dell'accusato e la procura “doveva agire secondo il suo criterio e i dettami della sua

richiesta della procura generale di Milano fu esposto anche l'articolo del Popolo d'Italia del 3 gennaio con il

quale si dava la notizia. L'episodio, nel suo piccolo, entrò a far parte della mitologia fascista. Come scrisse A.

Marpicati in Il partito fascista: origine, sviluppo, funzioni, Milano, Mondadori, 1938: “in certe sfere governative

ancora si credeva che, per distruggere il Fascismo, fosse bastevole un processo contro il suo Capo”, p. 36-37.

134 Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista. 1. La conquista del potere, Torino, Einaudi, 1966, p. 207.

135 A. Raimondi, Mezzo secolo di magistratura. Trent'anni di vita giudiziaria milanese, Bergamo,

S.E.S.A., 1951.

136 Ivi, p. 316-317. In un passaggio precedente, per la verità, Raimondi aveva individuato criteri diversi:

l'autorità giudiziaria inquirente di fronte a fatti di natura politica, “in tempi agitati da passioni politiche, doveva

cercare piuttosto di non vedere che di vedere il reato, ed astenersi dal perseguirlo penalmente ogni volta che,

attraverso allo sfondo politico, se ne poteva scorgere uno morale od ispirato ad un senso di patriottismo o di una

umana giustizia”, p. 225.

Page 40: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 40

coscienza, e assumendo intera la responsabilità della propria azione e delle possibili

conseguenze”137. Su questo punto Raimondi rivela i criteri certamente utilizzati dalle procure

in tanti procedimenti penali portati all'attenzione della Camera dei deputati fin dai primi anni

dopo l'unità, mentre la citazione del caso Giunta ci porta nel nuovo clima venutosi a creare

dopo il delitto Matteotti.

Quando la richiesta di autorizzazione arrivò alla Camera, il 16 dicembre 1924, Francesco

Giunta, allora vicepresidente della Camera, si dimise ma l'assemblea, il 17 dicembre, respinse

le dimissioni. Paolo Orano nell'occasione dichiarò, con un'espressione che sarebbe stata

ripresa da Mussolini il 3 gennaio 1925, che i fascisti non potevano accettare di essere

considerati una organizzazione di malfattori e si assumevano “la responsabilità in solido” di

tutti gli avvenimenti più recenti. Un paio di giorni dopo Mussolini impose l'accettazione delle

dimissioni (come ricordò nel discorso del 3 gennaio 1925 138) nonostante le resistenze di

Farinacci e di Michele Bianchi. La richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di

Francesco Giunta destò grande impressione come dimostrano le lettere di Filippo Turati139.

Il Comitato delle opposizioni approvò nell'occasione un ordine del giorno nel quale si

dichiarava che la richiesta della procura di Milano “consocia responsabilità giuridiche e

costituzionali di Governo, le quali dimostrano la incompatibilità del Governo attuale con la

continuazione delle sue funzioni politiche”140.

Per capire il nuovo contesto in cui si colloca questo episodio, bisogna ricordare che dopo il

delitto Matteotti e la secessione dell'Aventino, la questione morale e la denuncia di ogni

forma di illegalità era divenuta una delle leve che, agli occhi degli oppositori del nascente

regime, poteva scardinare il blocco di potere fascista. La giustizia penale, attraverso le varie

inchieste intorno al delitto Matteotti, divenne un terreno di mobilitazione e di lotta politica. Si

voleva e si chiedeva una giustizia penale libera da condizionamenti, in grado di arrivare fino

alle responsabilità ultime di un delitto di tale gravità e ciò entrava in contrasto con al giustizia

politica in tutte le sue forme, in particolare l'art. 47 dello Statuto sull'accusa ai ministri e l'art.

37 che sottraeva i senatori alla giustizia ordinaria. Si pensi all'incriminazione presso l'alta

corte di giustizia del senatore ed ex capo della polizia Emilio De Bono, poi assolto, e al

discorso del 3 gennaio 1925 nel quale Mussolini chiese provocatoriamente “se in questa

137 Ivi, p. 317.

138 “La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta; pure, dopo 48 ore, io piego ancora una

volta, giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente, piego questa Assemblea riottosa e riluttante; dico: siano

accettate le dimissioni. Si accettano.”, A.P. Camera dei deputati, Leg. XXVII, 3 gennaio 1925, p. 2030.

139 Il 17 dicembre Turati scriveva ad Anna Kuliscioff che il rifiuto delle dimissioni di Giunta “è

l'associazione a delinquere che si denuda completamente e trascina nel gorgo il governo”: F. Turati, A.

Kuliscioff, Carteggio. VI. Il delitto Matteotti e l'Aventino (1923-25), Torino, Einaudi, 1959, p. 316.

140 La ricostruzione fascista (novembre 1924-gennaio 1925), Milano, Corbaccio, 1925, p. 164.

Page 41: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 41

Camera o fuori di qui vi sia qualcuno che si voglia valere dell'art. 47”. Per quanto riguarda

l'art. 45, l'opposizione aventiniana, che non partecipava ai lavori parlamentari, lo interpretava

come l'estremo ostacolo al dispiegarsi della giustizia penale nei confronti di uomini della

maggioranza implicati nelle più diverse forme di delinquenza.

12. Nel regime fascista: “l'autorità di un Parlamento può essere […] or assai grande or

assai scarsa; e può anche annullarsi del tutto”

Si può dire che nei mesi dell'Aventino, in una situazione politica del tutto eccezionale, intorno

all'art. 45 dello Statuto si creò una situazione che ribaltava sia l'approccio in base al quale il

legame tra procure e Governo lasciava indifesi i parlamentari di minoranza ed inutile la tutela

dell'autorizzazione a procedere, sia quello che vedeva nell'autorizzazione a procedere la tutela

delle minoranze anche di quelle più estreme. Ora era la minoranza che, in sostanza, come si è

detto, riteneva che l'immunità fosse un ostacolo alle iniziative giudiziarie nei confronti dei

parlamentari di maggioranza. Si può ricordare che qualcosa di simile è avvenuto di recente,

nel Parlamento della Repubblica, dopo le inchieste cosiddette di “mani pulite”.

Ben presto tuttavia, dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, il fascismo si avviò ad

assumere i caratteri di un regime e nel novembre 1926, quando i deputati aventiniani furono

dichiarati decaduti141, le immunità persero qualsiasi funzione costituzionale pur restando

presenti nell'ordinamento come strumento di tutela dei singoli componenti gli organi supremi.

Infatti la legge del dicembre 1928 sull'ordinamento e le attribuzioni del Gran Consiglio del

fascismo prevedeva all'art. 9 che nessun membro potesse essere arrestato o sottoposto a

procedimento penale o a provvedimenti di polizia senza l'autorizzazione del Gran Consiglio

stesso e anche i consiglieri nazionali della Camera dei fasci godevano delle stesse prerogative

stabilite dallo Statuto per i deputati (art. 7 della L. 129 del 1939) cosicché i consiglieri

nazionali che erano anche componenti del Gran Consiglio godevano di una doppia immunità.

I giuristi fascisti interpretavano l'art. 45 come una forma di diritto speciale che non aveva più

alcun legame con la forma di governo parlamentare. Di fatto le immunità diventarono un vero

e proprio privilegio, assumendo la fisionomia a cui tante volte, negli anni dell'Italia liberale, la

dottrina e l'opinione pubblica si erano mostrate insofferenti anche se, durante il fascismo, le

richieste di autorizzazione furono ben poche, per lo più riferite a contravvenzioni, reati

141 Cfr. Dogliani, Immunità e prerogative parlamentari cit., p. 1031. La mozione di Augusto Turati legava

proprio alle immunità parlamentari l'ultimo pericolo dell'Aventino giacché affermava che i deputati aventiniani

“usando delle prerogative e delle immunità parlamentari” avevano continuato a svolgere “opera di eccitamento e

sovvertimento contro i poteri dello Stato”, cfr. A.P. Camera dei deputati, Leg. XXVII, Disc., 9 novembre 1926,

p. 6389.

Page 42: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 42

colposi legati alla circolazione automobilistica e, in qualche caso, a reati contro il

patrimonio142.

Eppure, l'interpretazione che vedeva nelle immunità uno dei caratteri costitutivi del

parlamentarismo restò latente nel pensiero giuridico. Nel 1933, in pieno regime, quando

ormai la Camera veniva eletta con un sistema plebiscitario, Vittorio Emanuele Orlando tornò

sul tema con un articolo che partiva da un caso limite (se il parlamentare fosse tutelato

dall'immunità in caso di giudizio d'interdizione) per chiedersi se le norme costituzionali

relative all'inviolabilità dei parlamentari fossero di diritto comune o di diritto “di

eccezione”143. Tema non nuovo che la dottrina italiana aveva già affrontato ma che

evidentemente ad Orlando premeva ribadire. Dopo una lunga esposizione, Orlando

concludeva con la necessità di “trasportare” negli organi parlamentari gli attributi, in

particolare l'inviolabilità, che, di solito, sono tipici della persona del Re: “Or, precisamente, in

siffatta corrispondenza delle prerogative parlamentari con quella regia, sta il sostanziale

contenuto della nostra dottrina”144: non si può avere un organo sovrano – sia esso il Re o il

Parlamento - senza una garanzia di inviolabilità nei confronti di ogni giurisdizione e quindi le

immunità parlamentari dovevano essere considerate parte del diritto comune. L'articolo

sembra richiedere una lettura in controluce anche perché ripresenta ed approfondisce - senza

motivo apparente se non il legame con i contenuti degli ultimi anni di corso all'Università di

Roma145 - argomenti messi a fuoco da Orlando in vari scritti precedenti che abbiamo già

citato. Si percepisce certamente la polemica con i giuristi fascisti che interpretavano le

immunità parlamentari come un privilegio. Ma anche l'implicita difesa delle immunità

parlamentari, in un momento storico nel quale la forma di governo liberale si poteva

considerare morta e sepolta e la Camera era formata da “deputati designati”. Infatti, ad un

certo punto, Orlando non poteva fare a meno di mettere in guardia il suo lettore dal cercare di

applicare le sue argomentazioni alla realtà italiana degli anni trenta. Quando si parla di

assemblee rappresentative, scriveva Orlando, bisogna presupporre “che esse sieno come è

conforme alla loro natura di essere” al di là degli ordinamenti formali. Infatti, “a parità di

ordinamenti formali, l'autorità effettiva di un Parlamento può essere da popolo a popolo e, a

parità di popolo, da epoca ad epoca, or assai grande or assai scarsa; e può anche annullarsi del

142 Tra il 1929 e il 1934 le richieste di autorizzazione a procedere furono 27 di cui 16 accordate e 4 negate.

Tra il 1934 e il 1939 furono solo 2.

143 V. E. Orlando, Immunità parlamentari ed organi sovrani: a proposito del caso di un giudizio

d'interdizione contro un membro del Parlamento, in “Rivista di diritto pubblico e della pubblica

amministrazione”, 25 (1933), pt. 1, p.6-37.

144 Ivi, p. 27.

145 “Mi limiterò a riassumere schematicamente un ordine di concetti, ai cui sviluppi ho dedicato alcune

parti dei corsi dati in questi anni nell'Università di Roma, sino all'ultimo, che fu nel 1930-31”, ivi, p. 27.

Page 43: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 43

tutto”146. Le immunità parlamentari si trovavano in una situazione di morte apparente ma

una diversa situazione istituzionale le avrebbe fatte tornare a nuova vitalità. Con questo

articolo, Orlando le lasciava in eredità ad un regime parlamentare risorto e futuro.

Appendice: dati statistici sulle autorizzazioni a procedere, 1848-1929

Fino alle riforme regolamentari del 1920, le richieste di autorizzazione a procedere seguirono

una procedura del tutto simile a quella dei disegni di legge, poiché erano assegnati agli Uffici

che, dopo una prima discussione più o meno ampia, procedevano all'elezione di una

commissione incaricata di riferire all'aula. Con le riforme Bonghi e quindi nel testo coordinato

del 1° giugno 1888, le autorizzazioni a procedere ebbero una prima regolamentazione

specifica che fissava un termine a riferire di 15 giorni per le commissioni elette dagli

Uffici147. Tali norme non subirono modifiche sostanziali fino al primo dopoguerra148.

Naturalmente, il sistema degli Uffici ostacolava lo sviluppo di una giurisprudenza coerente in

materia di immunità parlamentari e rendeva la composizione delle commissioni incaricate di

istruire la richiesta, molto sensibile alle contingenze politiche e istituzionali nonché, talvolta,

agli interessi dei deputati149. Il che aveva il vantaggio di non cristallizzare le posizioni

intorno ai precedenti ma indeboliva la Camera di fronte alle pressioni dell'opinione pubblica e

anche del Governo. Per questo, come si è visto, tanta importanza fu sempre data ad alcune

relazioni (relazione Cadorna, relazione Mancini, relazione Sacchi, ecc.) che avevano

146 Ivi, p. 15.

147 CAPO XI DOMANDE A PROCEDERE CONTRO DEPUTATI

Art. 69

1. Le domande a procedere contro i deputati, annunziate alla Camera stampate e distribuite sono

trasmesse agli Uffici.

Art. 70

1. Le Commissioni elette dagli Uffici per riferire sulle autorizzazioni a procedere contro deputati,

devono riferire nel termine di 15 giorni.

2. Quando ad esse occorrano documenti, che il Ministero si ricusi di dare, devono riferirne alla Camera,

perché questa risolva se è necessario comunicarli.

3. Se senza rifiuto il Ministero indugia a comunicare i documenti richiesti, la Commissione deve dar

notizia alla Camera dell’indugio; e il termine di quindici giorni comincia da quello, in cui la Commissione li avrà

ricevuti.

4. Quando, senza ragione di richiesta di documenti o d’indugio nel riceverli, la Commissione non abbia

riferito nel termine prescritto, il Presidente della Camera, iscriverà d’ufficio all’ordine del giorno la domanda di

autorizzazione, come è stata presentata dal Governo.

5. Nei termini non sono computate le ferie.

148 Nel regolamento del 1° luglio 1900, gli articoli sulle autorizzazioni a procedere erano il 74 e il 75,

identici a quelli del 1888, con l'aggiunta di un comma in base al quale “In ogni caso la Commissione dovrà

riferire alla Camera entro 60 giorni dalla data di costituzione della Commissione”.

149 “Avviene ora ogniqualvolta una domanda di autorizzazione a procedere viene portata agli Uffici, essa

vi è discussa per lo più con grande indifferenza, qualche volta con l'intervento e l'ingerenza di coloro che sono i

più interessati alla medesima. Noi vediamo così l'incarico di riferire su coteste domande fuggito spesso, quasi

con orrore, mentre, in taluni casi per fortuna assai rari, è ricercato con uno zelo, che neppure l'amicizia o la

passione politica bastano sempre a scusare”, A.P. Camera dei deputati, Leg. XXII, sess. 1904-1907, Documenti,

n. IX-A , Relazione della Commissione permanente per il regolamento della Camera, 27 marzo 1907, p. 2.

Page 44: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 44

affrontato il tema delle prerogative parlamentari da un punto di vista generale cercando di

fornire risposte ai principali dubbi interpretativi, ancorandole alle norme dello Statuto e ai

valori liberali. Occorre aggiungere che non mancarono proposte di istituire una commissione

o giunta permanente che, in età giolittiana, giunsero all'attenzione della Giunta del

regolamento ma furono sempre respinte. Si temeva che un organismo permanente avrebbe

avuto troppo potere, che potesse divenire una commissione di inquisitori: “Una Giunta

speciale […] parve a taluno quasi una nuova magistratura, un Consiglio dei dieci […]

giustizieri accarezzati o temuti dai colleghi, ufficio certamente ingrato e che dovrebbe essere

assegnato con grande cautela”150. Si noti che la trasmissione delle richieste di autorizzazione

a procedere alla Camera, per il tramite del ministro di grazia e giustizia, non era priva di

condizionamenti come notarono i protagonisti dell'epoca151.

Nel primo dopoguerra, dopo l'istituzione delle Commissioni permanenti, la materia fu

affidata alla Commissione giustizia e più precisamente ad una apposita sottocommissione. Un

organismo permanente per istruire le richieste di autorizzazione a procedere fu istituito

quando ormai la rappresentanza politica era stata subordinata al potere esecutivo. In occasione

del testo unico del Regolamento della Camera del 31 ottobre 1925, fu creata la Commissione

permanente per l'esame delle autorizzazioni a procedere, formata da 11 deputati nominati dal

Presidente della Camera (art. 12), “la quale sarebbe, per dir così, precostituita per tutte, e

quindi fra l'altro non mancherebbe di dare un indirizzo sistematico ai propri lavori e a formare

una propria giurisprudenza, con grande vantaggio per l'imparzialità, per l'uniformità e per la

sollecitudine”152.

I dati delle tabelle seguenti sono tratti dagli indici di legislatura della Camera dei deputati.

Sono state contate le richieste di autorizzazione a procedere intese come documenti

150 Ibidem. Nel 1903 una proposta in tal senso fu presentata dall'on. Tito Sinibaldi, Leg. XXI, sess. 2,

1902-1908, Doc. VII, n. 2 e nel 1907 dall'on. Francesco Montagna.

151 Il ritardo nella trasmissione alla presidenza della Camera non era infrequente. Per alcuni esempi cfr. M.

Siotto Pintor, Nuovi dibattiti in tema d'immunità: il consentito arresto dell'onorevole Nasi … cit. p. 222, n. 1,

dove si nota che si trattava quasi sempre di casi a favore di deputati ministeriali. Lo stesso Orlando ricordò, da

ministro di Grazia e giustizia, di aver trattenuto sul suo tavolo una richiesta di autorizzazione: “Chi scrive queste

righe assunse, da guardasigilli, la responsabilità di non trasmettere ad una delle due Camere la denunzia ricevuta

da un procuratore del Re, per una banale contravvenzione ferroviaria commessa da un membro del Parlamento.

Si trattava di persona rivestita di un'alta qualità, parlamentare anch'essa; il solo fatto della denunzia, degli echi

che essa avrebbe destati, della procedura parlamentare che sarebbe occorsa, sarebbe bastato per obbligare un

venerando uomo a dimettersi da quella sua carica, per la delicatezza della situazione che ne sarebbe derivata.

Non ne valeva la pena: e fu così che io stesso, lasciando indefinitamente sul tavolo la nota del procuratore del

Re, mi resi colpevole del reato (ministeriale!) di omessa denuncia”, V. E. Orlando, Immunità parlamentari ed

organi sovrani...cit. p. 23.

152 Camera dei deputati, La legislazione fascista 1922-1928, Roma, Tip. della Camera dei deputati, 1929,

vol. 1, p. 174. Il procedimento era regolato dagli art. 60 e 61.

Page 45: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 45

parlamentari, anche se riguardavano più di un deputato. Sono state escluse, naturalmente, le

richieste di autorizzazione a procedere nei confronti di privati per offese alla Camera dei

deputati. Per quanto riguarda i reati contestati, i raggruppamenti rispecchiano le formulazioni

presenti negli indici parlamentari. Nel caso, non frequente, di richieste relative a reati

appartenenti a più di un raggruppamento sono state classificate nel gruppo del reato più grave.

Le due tabelle si integrano a vicenda poiché in molti casi l'una fornisce risposte all'altra. Si

possono formulare tre osservazioni di carattere generale:

1. La crescita delle richieste di autorizzazione a procedere sembra legata da un lato

all'allargarsi del suffragio, dall'altra ai periodi di maggiore fermento sociale e di

repressione del dissenso politico. Occorre tuttavia fare attenzione poiché in alcuni casi

la tabella dei reati ci segnala situazioni contingenti che gonfiano le richieste di

autorizzazione: ad esempio tra la XXII (1904-1909) e la XXIII legislatura (1909-

1913) si passa da 41 a 116 richieste di autorizzazione ma ben 63 sono relative a

contravvenzioni in gran parte legate ai primi regolamenti sulla circolazione delle

automobili.

2. Sembra evidente che nelle prime due legislature del dopoguerra la Camera modifica

completamente le prassi e si rende impermeabile rispetto allo scontro politico e sociale

che sconvolgeva il paese. Un numero molto limitato di autorizzazioni a procedere

giunge in aula, inoltre l'esame a cura della sottocommissione della Commissione

giustizia appare molto più rapido e sommario che in passato e si attesta nella difesa

pressoché sistematica delle prerogative parlamentari.

3. Con riferimento alla tipologia di reato si nota la grande prevalenza dei reati di

opinione e dei reati politici, seguiti dal duello e dalle contravvenzioni. Da notare infine

che in tutto il periodo considerato hanno un peso del tutto trascurabile i reati comuni

contro il patrimonio e contro la pubblica amministrazione.

Page 46: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 46

Tabella 1: Le richieste di autorizzazione ex art. 45 dello Statuto albertino (1848-1929)

Perve

nute Accolte Accolte in

% Resp

inte

Ritirate,

sospese o

non

esaminate

I Legislatura 8 maggio 1848 - 30 dicembre 1848 -

II Legislatura 1º febbraio 1849 - 30 marzo 1849 1 1

III Legislatura 30 luglio 1849 - 20 novembre 1849 1 1

IV Legislatura 20 dicembre 1849 - 20 novembre 1853 1 1

V Legislatura 19 dicembre 1853 - 25 ottobre 1857 3 3

VI Legislatura 14 dicembre 1857 - 21 gennaio 1860 -

VII Legislatura 2 aprile 1860 - 17 dicembre 1860 -

VIII Legislatura 18 febbraio 1861 - 7 settembre 1865 7 1 14,30% 1 5

IX Legislatura 18 novembre 1865 - 13 febbraio 1867 4 4

X Legislatura 22 marzo 1867 - 2 novembre 1870 10 4 40,00% 1 5

XI Legislatura 5 dicembre 1870 - 20 settembre 1874 15 10 66,70% 5

XII Legislatura 23 novembre 1874 - 3 ottobre 1876 11 3 27,30% 8

XIII Legislatura 20 novembre 1876 - 2 maggio 1880 11 4 36,40% 2 5

XIV Legislatura 26 maggio 1880 - 2 ottobre 1882 8 2 25,00% 1 5

XV Legislatura 22 novembre 1882 - 27 aprile 1886 29 16 55,20% 2 11

XVI Legislatura 10 giugno 1886 - 22 ottobre 1890 21 6 28,60% 2 13

XVII Legislatura 10 dicembre 1890 - 27 settembre 1892 13 1 7,70% 12

XVIII Legislatura 23 novembre 1892 - 8 maggio 1895 22 10 45,50% 8 4

XIX Legislatura 10 giugno 1895 - 2 marzo 1897 22 8 36,40% 5 9

XX Legislatura 5 aprile 1897 - 17 maggio 1900 38 21 55,30% 9 8

XXI Legislatura 16 giugno 1900 - 18 ottobre 1904 86 36 41,90% 38 12

XXII Legislatura 30 novembre 1904 - 8 febbraio 1909 41 10 24,40% 12 19

XXIII Legislatura 24 marzo 1909 - 29 settembre 1913 116 53 45,70% 36 27

XXIV Legislatura 27 novembre 1913 - 29 settembre 1919 102 37 36,30% 41 24

XXV Legislatura 1º dicembre 1919 - 7 aprile 1921 149 3 2,00% 0 146

XXVI Legislatura 11 giugno 1921 - 25 gennaio 1924 273 21 7,70% 45 207

XXVII Legislatura 24 maggio 1924 - 21 gennaio 1929 164 63 38,40% 39 62

Tabella 2: Le richieste di autorizzazione ex art. 45 dello Statuto albertino (1848-1929)

per reato o gruppi di reati contestati

La colonna 1848-1896 riassume i dati relativi al primo cinquantennio dello Statuto ed è basata

sull'Indice generale degli atti parlamentari: 1848-97. Storia dei collegi elettorali, a cura di R.

Biffoli, C. Montalcini, L. Nuvoloni, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1898.

Page 47: Cronache di un conflitto tra Parlamento e magistratura nell'Italia liberale: l’interpretazione dell'art. 45 dello Statuto sull'immunità dei deputati, «Federalismi.it», 2014, n.

www.federalismi.it 47

1848

1896

1897

1900

1900

1904

1904

1909

1909

1913

1913

1919

1919

1921

1921

1924

1924

1929

Tot.

A Omicidio, tentato omicidio 3 1 1 1 4 2 12

B Ferimenti, percosse,

violenza

15 3 3 4 3 6 28 13 75

C Falsi, truffe, frodi,

peculato, millantato

credito, concussione,

appropriazione indebita

7 2 3 1 6 5 13 17 54

D Calunnia, ingiurie,

minaccia, diffamazioni,

libelli

57

14 41 21 20 56 26 71 36 342

E Oltraggi, rifiuto di

obbedienza all’autorità

12 1 2 6 3 12 13 8 60

F Reati elettorali 7 5 4 3 2 1 4 26

G Duello, omicidio in duello 38 5 7 1 12 4 11 23 101

H Simulazione di reato 2 2

I Istigazione a commettere

reati, incitamento alla

disobbedienza delle leggi,

all'odio tra le classi,

vilipendio delle istituzioni

24 10 17 2 3 6 57 93 16 233

L Abuso di potere 1 1 2

M Offese al pudore, adulterio 1 1 1 3

N Contravvenzioni 9 6 7 63 20 35 34 40 214

O Reati previsti dal codice di

commercio o da altre leggi

di economia e sanità

2 3 5 10 20

P Reati e contravvenzioni

della legislazione di guerra

(propalazione di notizie,

disfattismo, divieto di

riunione, ecc.)

1 8 2 1 12

176 38 87 41 116 102 149 273 166 1156