Università degli Studi di Genova Scuola di Scienze Umanistiche Laurea triennale in filosofia Creatività e immaginazione Laureanda: Caterina Piserà Relatore: Prof. Luisa Montecucco Correlatore: Prof. Carlo Penco Anno accademico 2012/2013
Università degli Studi di Genova
Scuola di Scienze Umanistiche
Laurea triennale in filosofia
Creatività e immaginazione
Laureanda: Caterina Piserà
Relatore: Prof. Luisa Montecucco
Correlatore: Prof. Carlo Penco
Anno accademico 2012/2013
2
Indice
Introduzione
Parte I: Creatività 1. Introduzione
1.1 Definizioni base
1.2 La visione “standard” dell'associazionismo
2. Il punto di vista di Margaret Boden
2.1 La creatività psicologica e la creatività storica
2.2 La teoria della creatività e lo spazio concettuale
2.3 Dal metaforico al sistematico: la psicologia computazionale.
3. Il punto di vista di David Novitz
3.1 Umani, Computer e spazi concettuali
3.2 La creatività della “ricombinazione”
3.3 Aggiornamento e critiche a Novitz
Parte II: Immaginazione
1. Introduzione
1.1 Immaginazione: definizioni di base
1.2 Creatività ed immaginazione: definizioni di Berys Gaut
2. La visione di Gaut
2.1 Il modello visualizzazione e il modello ricerca
2.2 l'immaginazione come veicolo della creatività attiva
2.3 Creatività e metafora
3. La teoria di Michael Beaney
3.1 il modello connessione
Conclusioni generali
Bibliografia
Ringraziamenti
3
Introduzione
Il primo scopo di questa tesi è quello di approfondire e analizzare le
tematiche della creatività e dell'immaginazione all'interno del contesto della
filosofia della mente, presentando diverse teorie che hanno provato a
spiegare l'atto creativo e prima di tutto cercando di far chiarezza concettuale
intorno a questi due termini, impresa già di per se non semplice.
Il secondo obiettivo è quello di analizzare la relazione che, almeno in
una concezione comune (se non altro determinata da un diffuso e
confusionario affiancamento terminologico), si presuppone esista tra
immaginazione e creatività.
Ma creatività e immaginazione hanno necessariamente un legame? Perchè?
E se questo legame esiste, di che tipo è?
Questo lavoro si articola in due parti: nella prima saranno presentate,
dopo un breve excursus dedicato all'associazionismo empirista due delle
principali teorie contemporanee sulla creatività, quelle di Margaret Boden,
la quale si serve del riferimento alla psicologia computazionale, e quella di
David Novitz che, dopo aver avanzato le sue critiche alla Boden, presenta la
sua teoria.
Nella seconda parte invece affronterò il tema dell'immaginazione e
della sua relazione con la creatività. Verrà qua principalmente preso in
considerazione Berys Gaut, con necessari riferimenti a Kant, il quale ci ha
consegnato una delle più raffinate e ampie spiegazioni della creatività in
ambito filosofico a partire dalla sua distinzione tra immaginazione
produttiva e riproduttiva.
Una prima difficoltà metodologica nell'accostarmi a tali argomenti è
stata quella di riuscire a districarmi nella notevole quantità di materiale
esistente e poi quella di scegliere che cosa potesse essere rilevante per il
contesto all'interno del quale la mia tesi voleva muoversi ovvero quello della
filosofia della mente. La scelta del contesto filosofico è stata dettata dal mio
interesse nei confronti dell'approccio multidisciplinare con il quale la
4
filosofia della mente indaga le tematiche che rientrano nel suo campo di
studi.
Per quanto riguarda più specificamente l'argomento, tra alcuni dei
problemi filosofici che vengono sollevati, uno dei principali è che
l'immaginazione e la creatività, nonostante non siano temi assenti nella
storia della filosofia (l'immaginazione è stata trattata in quasi tutta la storia
della filosofia a partire da Aristotele) continuano ad avere uno status poco
chiaro ed è difficile mettersi d'accordo sul loro significato. Essendo poi
tematiche strettamente collegate alla mente umana, è anche in base alle
teorie della mente esistenti che esse prendono una forma concettuale
piuttosto che un'altra; un primo limite è dunque derivato dalla mancanza di
un accordo terminologico.
Ripercorrendo rapidamente alcune delle tappe della storia della
filosofia sul tema dell'immaginazione, seguendo le tracce dell'autore che in
questo lavoro mi è stato fondamentale ovvero Michael Beaney, possiamo
ricordare che dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo si è ritenuto che
l'immaginazione avesse un ruolo centrale nell’attività cognitiva umana al
fianco della percezione e del pensiero. La corrente filosofica che l’ha
principalmente affrontata è stata quella del romanticismo , che le ha
attribuito enormi poteri, ritenendola implicita ad ogni forma di creatività. Da
quel momento in poi fino al ventesimo secolo l’immaginazione è stata
notevolmente trascurata dalla filosofia, probabilmente a causa della
mistificazione con la quale era stata affrontata in quel periodo. Tuttavia vi
sono eccezioni: il tema dell’immagine mentale è stato costante nella
filosofia della mente, al pari della creatività artistica nell’estetica; entrambe
poi (immagine mentale e creatività artistica) sono state dibattute
ampiamente nella psicologia e nelle scienze cognitive.
La fonte di cui ho beneficiato maggiormente per affrontare questa
ricerca è stato il manuale di Michael Beaney, pubblicato nel 2005 ed
intitolato "Imagination and Creativity". Gli altri testi principali utilizzati
sono i lavori di Margaret Boden, e alcuni articoli di David Novitz, Berys
Gaut, oltre ad altri testi citati in bibliografica.
5
Quanto al mio interesse riguardo l’atto creativo, esso ha molteplici
motivazioni. Primo tra tutti un grande interrogativo che mi ero posta e di cui
darò conto nelle conclusioni di questo lavoro; in secondo luogo la mia
passione per l'arte e per la filosofia che mi ha portato a cercare un connubio
tra queste, identificato nell'atto creativo. Ancora, il voler porre questa ricerca
come un tentativo di rivalutare l’importanza dell'arte nella nostra società,
facendo un lavoro approfondito su quello che è alla base di tutte le opere
artistiche e non solo di queste: la creatività. Ho pensato che questa
rivalutazione potesse avvenire attraverso l’analisi accurata della stessa e
tentando di dimostrare quanta rilevanza abbia nella vita di un essere umano,
sia esso artista, filosofo, scienziato o semplicemente un uomo comune.
Benchè questi fossero gli obiettivi e le speranze iniziali della mia ricerca,
quello che più realisticamente sono riuscita a fare - e sicuramente ancora
solo in minima parte - è un'introduzione alle tematiche da me prescelte e ad
alcune delle sue teorie contemporanee.
Concludo infine con la speranza di suscitare nel lettore l’interesse
per questo argomento, che ritengo avere un profondo fascino e infinte
implicazioni.
7
Capitolo 1
1. Introduzione
Creare-creazione-immaginazione-immaginare-immagine.
In quale relazione sono questi termini? E prima ancora, che cosa
sappiamo del significato di queste parole? Può una teoria filosofica
spiegarle e definirle in modo adeguato all’interno di un contesto analitico,
psicologico e filosofico?
Comincerò presentando ed analizzando la definizione di creatività,
attraverso le accezioni del termine che sono state date nel tempo, attraverso
definizioni comunemente usate e quelle che possiamo trovare aprendo
un’enciclopedia filosofica, per giungere a definizioni contemporanee della
creatività proposte da studiosi che ben possiamo collocare all’interno della
filosofia e più particolarmente della filosofia della mente.
1.1 Definizioni intuitive di creatività
Iniziamo con alcune definizioni “base” di creatività, riportate in
dizionari ed enciclopedie di diverso livello. La creatività, secondo
l’Enciclopedia filosofica Bompiani1 è la “capacità di produrre il nuovo, di
formare nuove combinazioni di idee, di affrontare i problemi in modi
efficacemente diversi da quelli usuali, cambiando eventualmente il contesto
dal quale essi emergono.”
Un'altra definizione è la seguente: “la creatività è la capacità individuale,
potenzialmente presente nei campi più diversi (dalla produzione artistica e
scientifica alla vita quotidiana), che consiste nel cogliere i rapporti fra le
cose o le idee in modo nuovo o nel formulare intuizioni non previste dagli
schemi di pensiero abituali o tradizionali. “ 2
1 Enciclopedia filosofica Bompiani (2006).
2 Le Garzantine filosofia (2004) a cura di G. Vattimo.
8
Ancora, scegliendo la definizione che ne viene data da uno dei punti di
riferimento enciclopedico on Online, Wikipedia ci dice: “Creatività è un
termine che indica genericamente l'arte o la capacità cognitiva della mente
di creare e inventare il verbo italiano creare al quale il sostantivo creatività
rimanda, deriva dal creare latino, che condivide con crescere la radice KAR.
In sanscrito, KAR-TR è colui che fa (dal niente), il creatore”.
Una delle più famose “citazioni” sulla creatività, ripresa anche da
Wikipedia, è quella di Henri Poincaré nel 1908: "Creatività è unire elementi
esistenti con connessioni nuove, che siano utili".
“Le categorie di nuovo e utile radicano l'attività creativa nella società e
nella storia. Il nuovo è relativo al periodo storico in cui viene concepito;
l'utile è connesso con la comprensione e il riconoscimento sociale. Nuovo e
utile illustrano adeguatamente l'essenza dell'atto creativo: un superamento
delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca una ulteriore regola condivisa
(perché rivelatasi utile)”3.
Passiamo poi a quello che ci offre il Concise Oxford Dictionary (6 th
edn): “Creatività” indica la capacità di creare, laddove creare, secondo il
Concise Oxford Dictionary (sesta edizione), significa "mettere in esistenza,
causare, originare". "Creazione" a volte è intesa come produrre qualcosa dal
nulla, come quando i teologi parlano della creazione ad opera di Dio. Ma nel
suo utilizzo comune indica semplicemente la produzione di qualcosa di
nuovo od originale partendo da materiale esistente”4.
Tutte le definizioni che finora ho riportato sostengono che la creatività
comporti la produzione di qualcosa di nuovo (laddove tuttavia non è ben
chiaro cosa si intenda per “nuovo”), attraverso connessioni insolite su
materiale già esistente. È stato utilizzato anche il termine “dal nulla” (che
non è approfondito così come il concetto di nuovo). Tralasciando queste
carenze di approfondimento terminologico, che tuttavia influiscono sul
modo di intendere la creatività, sarebbe opportuno chiedersi se quindi
qualsiasi cosa venga in qualche modo prodotta, dalla semplice ricetta
3 Wikipedia, “creatività”.
4 Concise Oxford Dictionary (6 th), citato in Beaney (2005), pag. 171, traduzione mia.
9
originale in cucina o dall’accostamento inusuale di due oggetti/elementi, sia
creativo o se una produzione, in qualsiasi campo essa si situi, debba
richiedere qualcosa di più per essere definita creativa. Non vi è una risposta
unidirezionale, in conseguenza della difficoltà di trovare una definizione
univoca di creatività.
In base a punti di vista diversi seguono teorie differenti sulla modalità in
cui la creatività si verifica. Eppure, nonostante la varietà d'approcci siamo
tuttavia concordi nell’osservare che nella storia dell’umanità vi sono state
determinate “creazioni” che hanno portato rivoluzioni all'interno di
determinati ambiti: in quello medico, scientifico, fisico, artistico, filosofico
solo per citarne alcuni. Di conseguenza non casualmente alcune personalità
sono state definite con l’appellativo di “genio”. Di questo modo di
concepire la creatività parlerò più avanti. Nel prossimo paragrafo presento
in breve la visione standard della creatività, che sembra essere alla base
delle definizioni sopra riportate.
1.2 La visione “standard” dell'associazionismo empirico:
la creatività come nuova combinazione
Sulla base delle definizioni di creatività sopra riportate, il modello che
spiega come la creatività possa avvenire, è quello dell’associazionismo
empirico: “nuove idee sarebbero semplicemente il risultato della
riorganizzazione e della combinazione di idee esistenti”5.
L’associazionismo empirico6 propone una teoria per la quale la
combinazione di due elementi (idee), anche apparentemente distanti e con
nessuna correlazione a prima vista, possa portare ad una nuova idea.
Un esempio classico riportato anche da Beaney, è quello dell’idea di un
cavallo alato. “Immaginare un cavallo alato è creativo perché combino
l’idea di un cavallo con l’idea delle ali”. Se l'unione di questi due elementi
non esisteva prima, allora viene definita un'idea creativa.
5 Beaney (2005), pag. 171.
6 Ad esempio Hume, Locke, D.Hartley, e J.S.Mill.
10
Sorge subito una prima questione: è sufficiente la
combinazione/associazione in modo insolito di due o più idee per dare
origine a qualcosa di creativo, o è richiesto anche qualcos’altro? Qualcuno
sostiene che siano rilevanti per il concetto di creatività (come peraltro già
visto nella definizione di Poincarè) il ruolo che un’idea nuova ha nel
contesto in cui viene prodotta e il valore ed il significato che essa assume in
questo contesto.
Se le cose stanno così, allora è necessario fare una prima distinzione tra
combinazioni che possono avere un valore ed un significato e quelle che, al
contrario, sono arbitrarie e senza significato. Considerando l’idea del
cavallo alato dopo questa distinzione, si può dire che tale idea ha valore se
ha significato in un contesto più ampio.
Sorge poi un altra questione: tutti i casi di creatività coinvolgono
sempre la combinazione?
A partire da questa domanda, Beaney trova il modo di discutere alcune
posizioni contemporanee che non si possono ridurre alla visione
dell'associazionismo. Ovviamente anche altre teorie si sono storicamente
distaccate dall'associazionismo per spiegare la creatività, prima tra tutte la
teoria kantiana dell'immaginazione. Vedremo nel seguito come anche Kant
verrà preso in considerazione, in particolare nel lavoro di Berys Gaut The
Creation of Art (2003) . In questo capitolo mi limiterò però a presentare un
confronto tra le posizioni di due autori contemporanei: Margaret Boden e
David Novitz.
2. Il punto di vista di Margaret Boden
La prima autrice su cui si basa il presente lavoro è Margaret Boden, che
nel 1990 nel suo libro The creative mind7 ha tentato di rispondere a due
domande principali sull’argomento – che cos’è la creatività e come può
essere spiegata – ricorrendo ad un'indagine in ambito psicologico. Più
7 Boden (1990).
11
precisamente nel suo articolo successivo “What is creativity?”8 espone il
suo punto di vista, presentando inizialmente l’argomento con queste parole:
“la creatività è un enigma, un paradosso, in un certo senso un mistero. Gli
inventori, gli scienziati e gli artisti, raramente sanno come le loro idee
originali sorgono”9. Se vi è una prima difficoltà nella spiegazione della
creatività, dettata dal fatto che gli stessi soggetti creativi non riescono a
spiegare che cosa accada in loro quando quest’ultima sopraggiunge, una
seconda difficoltà sorge dal fatto che sarebbe impossibile formulare una
teoria scientifica di un fenomeno che ha come sua essenza la novità e
l’imprevedibilità. A tal proposito Michael Beaney richiama una definizione
originale di Carl Rogers: “la vera essenza della creatività è la sua novità, e
quindi non abbiamo norme con cui giudicarla”10
.
Il fatto di non aver “norme” per giudicare la creatività la rende
“elusiva” e misteriosa. Perché la creatività sembra essere così misteriosa?
Ciò che la rende così misteriosa è il fatto che le idee sorgono nella mente di
chi le ha con poca o nessuna consapevolezza e per di più inaspettatamente.
Ci fa notare tuttavia la stessa Margaret Boden che anche per altri processi
quali il linguaggio, la visione ed il ragionamento di senso comune, accade
qualcosa di simile. La psicologia, nel tentativo di spiegare tali fenomeni, fa
ricorso alle teorie dei processi inconsci, “ma la creatività è misteriosa anche
per un'altra ragione: il concetto stesso di creatività è apparentemente
paradossale”11
. Tra le definizioni riportate precedentemente, vi è quella che
definisce la creatività come “portare in essere o formare dal nulla”. Se le
cose stanno così, allora una teoria scientifica non potrebbe spiegare il
fenomeno e per di più, sempre a detta della Boden, non dovrebbe
sorprendere se in passato la spiegazione della creatività fece ricorso
all’ispirazione divina o all’intuizione romantica. Ma una teoria della
creatività non deve limitarsi ad evidenziare come l’intuitività/intuizione
8 Boden (1994).
9 Beaney (2005).
10 Rogers (1961), cit. in Beaney (2005) pag. 170.
11 Boden (1994), citata in Beaney (2005) pag.242.
12
possa essere elemento fondamentale della creatività. Deve spingersi ancora
più in la, chiedendosi: come lavora l’intuizione nella mente?
Come abbiamo visto all’inizio, alcuni studiosi quali anche gli
associazionisti, o più in generale i teorici della combinazione, spiegano la
creatività nei termini di nuove combinazioni di idee già esistenti. Quello che
non spiegano, tuttavia, è il modo in cui avverrebbe questa associazione di
idee simili ed il riconoscimento di analogie più distanti, nonché la
formazione della nuova combinazione. Definendo “pensiero analogico”12
quello che ci permette di arrivare al risultato creativo, la Boden avanza
l’idea che una teoria psicologica della creatività debba spiegare come il
pensiero analogico funzioni. Inoltre ci fa notare, come quella branca della
psicologia che misura la creatività attraverso test psicometrici ometta il
valore dal termine “creativo”, come se tutte le nuove combinazioni
dovessero essere interessanti per la sola ragione di essere nuove
combinazioni.
Le due principali osservazioni critiche della Boden alla teoria
associazionista possono così riassumersi: da una parte ella osserva che
manca una spiegazione sul modo in cui avverrebbero le nuove
combinazioni; dall'altra osserva che manca un criterio per giudicare il valore
di una nuova combinazione creativa. A queste due critiche ne aggiunge però
anche una terza, che passiamo ora a vedere. Vi sono idee creative che sono
sorprendenti in un modo più profondo di una combinazione di idee e che
sono tali che “non solo non si sono mai verificate prima, ma che non
sarebbero potute accadere prima”13
.
È qui che la Boden introduce una distinzione importante di due sensi di
creatività, uno psicologico ed uno storico, che ella chiamerà rispettivamente
“P-creativity” e “H-creativity” , e che sarà il punto di partenza della sua
teoria.
12
Boden (1994), cit. in Beaney (2005) pag. 243. 13
Ibidem
13
2.2 La creatività psicologica e la creatività storica
La distinzione tra creatività psicologia (P-creatività) e creatività storica
(H-Creatività) può essere così precisata: un’idea che ha valore è P-creativa,
se la persona nella cui mente nasce tale non avrebbe potuta averla prima;
non importa quante volte altre persone hanno già avuto la stessa idea.
Un’idea è H-creativa (e contiene la P-creatività) se nessun altro in tutta la
storia umana l’ha mai avuta fino a quel momento. La nostra conoscenza
delle idee H-creative, come ci è stato dimostrato da storici di vari ambiti, è
alquanto accidentale, in quanto la sopravvivenza di un idea, la sua perdita ed
il suo riemergere ad esempio, dipendono largamente da quanto gli storici
specializzati si accorgano e ad un certo punto abbiano evidenza di essa.
Interviene anche una grande varietà di fattori contestuali, quali moda,
modelli commerciali, economici, politici e tutto ciò che fa parte della
costituzione di un contesto sociale.
In base a quanto scritto, quindi, non vi può essere sistematica
spiegazione della H-creatività, ma si può avere una spiegazione delle idee P-
creative, che sono contenute in quelle H-creative. Boden discute anche
l’elemento dell’utilità come strettamente collegato alla P-creatività; infatti i
giudizi sul valore di un prodotto creativo sono relativi alla cultura di
riferimento, dal momento che a dare questi giudizi di valutazione sono
persone o gruppi sociali appartenenti al contesto storico all’interno del quale
il prodotto nasce. Tuttavia la Boden sottolinea come ciò che è importante e
ciò a cui noi dobbiamo essere interessati è l’origine delle idee creative e non
la loro valutazione; di conseguenza è il contesto della scoperta piuttosto che
quello della giustificazione quello su cui dobbiamo soffermarci e che
dobbiamo approfondire.
Prima però di addentrarci nella teoria della creatività della Boden, è
importante introdurre la distinzione che ella fa tra idea “originale” ed idea
“radicalmente creativa”. La Boden parte dalla terminologia standard in
14
linguistica sul concetto di “creatività linguistica” come definito da Noam
Chomsky. Chomsky ha sottolineato come la capacità dei parlanti sia quella
di poter generare nuove frasi all’infinito ed ha definito per questa ragione il
linguaggio dei parlanti “creativo”. La teoria di Chomsky sostiene che la
creatività linguistica dei parlanti consistente nella produzione continua di
nuove frasi (potenzialmente infinita) sia governata da un insieme di regole
(grammatica generativa) che generano determinano e specificano le formule
linguistiche correttamente formate. Quindi alla base della creatività
linguistica ci sono delle regole specifiche.
Secondo Margaret Boden invece, elaborare una nuova frase non è in
generale, fare qualcosa di P-creativo. Perché?
L'elaborazione di nuove frasi può essere descritta e/o prodotta dallo
stesso insieme di regole generative o spazio concettuale (concetto che verrà
chiarito nel prossimo capitolo) che in questo caso sarebbero l'insieme delle
regole di una determinata lingua; frasi differenti (e potenzialmente infinite
ed indefinite) hanno uno stesso spazio concettuale che le genera; questo
fattore allora, pur determinando la differenza tra una frase e l'altra, non
renderebbe la produzione di una frase (per quanto comunque originale), un
atto creativo. Quello che invece la Boden sostiene essere determinante
perché un prodotto possa essere radicalmente creativo, è l'unicità dello
spazio concettuale per quel prodotto/idea radicalmente creativo. Un idea
radicalmente creativa quindi, non è generabile da uno stesso sistema
generativo che contribuisce alla generazione anche di altre idee.
Da questo segue inoltre che il sorgere della creatività coinvolge sempre
tacito o esplicito riferimento a specifici sistemi generativi e che i vincoli
delle regole generative, lungi dall’essere un ostacolo della creatività, sono
coloro che la rendono possibile.
2.2 La teoria della creatività e lo “spazio concettuale”
15
Gli associazionisti empirici, con la loro teoria della combinazione, non
hanno spiegato fino in fondo come funzionasse l’associazione di idee.
Un'alternativa potrebbe essere un'analisi dell'intuizione, ripresa
recentemente da Berys Gaut14
, di cui parleremo discutendo il tema
dell'immaginazione. Secondo la Boden, benché Gaut abbia visto giusto nel
considerare l'intuizione come centrale per la creatività ella trova che ciò che
manca è una teoria psicologica della creatività che spieghi come avvenga
l'intuizione.
Ciononostante, ella stessa non si sofferma sul modo in cui l’intuizione
avviene, ma ci propone la sua teoria della creatività, che dovrebbe alla fine
aiutare a cogliere un concetto chiaro di intuizione.
Il concetto centrale di tale teoria è il concetto di spazio concettuale, che
Inizialmente viene spiegato solo in termini metaforici, ma con
l’approfondimento della teoria viene analizzato in termini sempre più
specifici e rigorosi.
La definizione generale di spazio concettuale è data nel modo seguente:
DEF: “uno spazio concettuale è il sistema generativo che sottostà a un
dato dominio di pensiero e definisce una certa gamma di possibilità: le mosse
degli scacchi, o le strutture molecolari, o le melodie jazz. Uno spazio
concettuale in altre parole, è un sistema governato da regole le cui regole e
principi determinano cosa può e cosa non può essere fatto al suo interno”15
.
Tale definizione viene analizzata con le categorie chomskyane, parlando di
principi del “sistema generativo” connesso ad un dominio concettuale che
definisce una gamma di possibilità, cioè le azioni possibili di quel dominio,
siano esse le mosse degli scacchi, le strutture molecolari o le melodie jazz.
Per la Boden le strutture di uno spazio concettuale possono corrispondere
anche a una serie di rappresentazioni mentali, o “mappe mentali”. A questo
punto la Boden vede nelle mappe mentali o nell'insieme di rappresentazioni
mentali legate a un dominio, degli strumenti sia per esplorare sia per
14
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005). 15
Boden (1994), cit. in Beaney (2005), traduzione mia.
16
cambiare tali domini o spazi concettuali: “Tali mappe mentali possono
essere usate (non necessariamente in modo conscio) per esplorare e per
cambiare gli spazi interessati. Gli spazi concettuali possono essere esplorati
in vari modi. Alcune esplorazioni semplicemente ci mostrano qualcosa circa
la natura dello spazio concettuale rilevante che non abbiamo esplicitamente
notato prima”16
.
Un esempio di esplorazione di uno spazio concettuale può essere
trovato in Charles Dickens, che in un capitolo del suo “Canto di Natale”,
descrive il protagonista del suo romanzo ( Scrooge ) , utilizzando numerosi
aggettivi prima del sostantivo, “..a sqeezeng, wrenching, grasping, scraping,
clutching, covetous old sinner,.. ”17
. Qui la Boden ci fa notare come Dickens
ci stesse facendo vedere come le regole della grammatica ci permettono di
usare numerosi aggettivi prima del sostantivo, sebbene ne usiamo
solitamente solo due o tre, e nessuno ne avesse mai utilizzati di più.
2.4 Creatività come esplorazione-modificazione e trasformazione di
uno spazio concettuale
Dopo la definizione di cosa intende per spazio concettuale, la Boden
inizia a ragionare su diversi tipi di esplorazione degli spazi concettuali che
aiutano a capire dove sono i punti in cui si possono effettuare modifiche:
"Per superare una limitazione all'interno di uno spazio concettuale, è
necessario modificarlo in qualche modo. Certo, lo si potrebbe anche
modificare senza essersi ancora scontrati con i suoi limiti. Un piccolo
cambiamento (un "aggiustamento") in una dimensione abbastanza
superficiale di uno spazio concettuale è come aprire la porta di una stanza
mai visitata in una casa esistente. Un grande cambiamento (una
16
Ibidem. 17
“Ah! Ma con che pugno di ferro Scrooge teneva il timone, e come sapeva spremere,
torcere, afferrare, grattare, ammassare strappare, da quel vecchio e avido peccatore che era.
“Canto di Natale”, Charles Dickens, Traduzione di Maria Luisa Fehr.
17
"trasformazione"), in particolare in una dimensione discretamente
fondamentale, è piuttosto come l'immediata costruzione di una nuova casa,
di un tipo fondamentalmente differente dalla prima (sebbene ad essa
collegata)”18
.
Uno spazio concettuale dunque, può essere esplorato, modificato o
trasformato. La Boden riporta alcuni esempi che possono aiutarci a capire
tali differenze. Prendiamo l’esplorazione di uno spazio concettuale relativo a
“Dmitri Mendeleyev e la tavola periodica”:
“Un altro esempio di esplorazione estesa, questa volta con una mappa
esplicita a guidarla, fu l'attività scientifica generata dalla tavola periodica di
Mendeleyev. Questa tavola, prodotta nel 1860 per un libro introduttivo di
chimica, organizzava gli elementi in righe e in colonne secondo le loro
proprietà osservabili e il loro comportamento. Tutti gli elementi all'interno
di una data colonna erano in questo senso simili. Tuttavia Mendeleyev lasciò
spazi vuoti nella tabella prevedendo che elementi sconosciuti potessero
essere eventualmente trovati con le proprietà appropriate per questi spazi
(nessun elemento conosciuto era appropriato). E infatti, nel 1879 fu scoperto
un nuovo elemento (lo Scandio), le cui proprietà erano quelle predette da
Mendeleyev. Successivamente, furono scoperti ulteriori elementi collocabili
in altri spazi nella tabella. E più tardi ancora, la tabella fu collegata alla
classificazione in termini di numero atomico, che chiarì perché gli elementi
classificati hanno le proprietà osservate da Mendeleyev”19
.
L' esplorazione delle diverse possibilità dello spazio concettuale
esemplificato dalla tavola periodica degli elementi è – per la Boden – una
forma di creatività perché sollecita a nuove ricerche e scoperte. Ella è
tuttavia interessata a una forma di creatività più profonda e ci tiene a
rimarcare la distinzione tra esplorazione e trasformazione di uno spazio
18
Boden (1990), cit. in Beaney (2005), pag. 248.
Carl Gustav Jung per spiegare cosa accadeva nel momento del sorgere di un idea, utilizzava
una metafora simile a quella utilizzata da Margaret Boden: “esplorare una stanza della
casa che si sentiva che c'era ma che non avevamo mai visto” (fonte Edoardo Boncinelli,
Festival della mente, Sarzana edizione 2004). 19
Boden (1994), cit. in Beaney (2005), pag. 249.
18
concettuale: un tipo di creatività più profonda è generata non solo
dall'esplorazione di uno spazio concettuale, ma principalmente dalla sua
trasformazione.
La trasformazione di uno spazio concettuale, può avvenire in due modi
differenti: attraverso la “caduta” di un vincolo o attraverso la “negazione”
di un vincolo di uno spazio concettuale.
“La caduta di un vincolo è un euristico generale, o metodo, per
trasformare gli spazi concettuali. Più profondo è il ruolo generativo del
vincolo nel sistema in questione, maggiore è la trasformazione dello spazio”
20. Un buon esempio di trasformazione attraverso la caduta di un vincolo è
la geometria non Euclidea generata dalla caduta del quinto assioma di
Euclide; uno dei matematici responsabili fu Lobachevsky.
La trasformazione avvenne in modo “giocoso”, come preludio per
esplorare uno spazio geometrico diverso da quello di Euclide. Solo più tardi
venne rilevata la sua importanza per la fisica.
Un altro modo di trasformare uno spazio concettuale, è “considerare il
negativo”21
ossia negare un vincolo, operazione diversa dal farlo cadere.
L’esempio riportato dalla Boden per renderci chiara la distinzione è questo :
“supponiamo che qualcuno sia stanco di mangiare solo caramelle rosse:
scegliere una caramella che non sia rossa è differente dallo scegliere una
caramella qualunque sia il suo colore”22
.
Una scoperta creativa, che ci mostra come funzioni la trasformazione di
uno spazio concettuale attraverso la negazione di un vincolo, è quella di
Kekulè riguardo l’anello di benzene.
20
Boden (1994), Beaney (2005), pag. 250. 21
Ibidem. 22
Ibidem.
19
Friedrich August Kekulé, chimico tedesco, fu responsabile della
scoperta dell'anello di benzene ( le molecole prima di tale scoperta erano
concepite come stringhe di atomi di carbonio, benché la molecola di
Benzene non riuscisse a rientrare in tali parametri) ; tale scoperta, raccontò
lui stesso, fu ispirata da un immagine avuta in sogno, immagine di un
serpente che si mordeva la coda.
Secondo la Boden, tre fasi ci mostrerebbero come fu possibile per
Kekulè tale scoperta: “Per prima cosa, i serpenti e le molecole erano già
associati nel suo pensiero. Secondo, la distinzione topologica tra curve
aperte e chiuse era presente nella sua mente. E terzo, (che) l'euristico
considerare il negativo era anch'esso presente”23
. La Boden ipotizza
situazioni nelle quali Kekulè si sarebbe potuto trovare e lo fa per sostenere
le fasi da lei proposte. Dopo gli esempi riportati al fine di ottimizzare la
nostra comprensione, la Boden ammette che fino a questo momento la sua
teoria degli spazi concettuali è stata solo spiegata a livello metaforico.
Occorre che ad essa venga dato un supporto più scientifico e questo viene
trovato nella teoria computazionale della mente.
2.3 Dal metaforico al sistematico: la psicologia computazionale
Margaret Boden trova nella psicologia computazionale lo strumento che
può dare una spiegazione scientifica del funzionamento degli spazi
concettuali. La psicologia computazionale è una disciplina che trae molti
dei suoi concetti teorici dall’intelligenza artificiale; quest’ultima ha come
23
Ibidem
20
oggetto di ricerca la natura dell’intelligenza in generale con intenti
applicativi, “ed il suo metodo è tentare di rendere i computer in grado di fare
cose che le menti possono fare: vedere, parlare, raccontare storie ed il
pensiero logico ed analogico”24
.
Ne segue la domanda: possono i computer avere a che fare con la
creatività umana, e se si, in che modo?
A partire dalla prima denuncia di tale impossibilità, espressa da Ada
lady Lovelace, quando Charles Babbage nel 1837 ideò un progetto (The
Analytical Engine) che prevedeva la possibilità per un computer digitale di
“comporre pezzi elaborati e scientifici di musica di qualsiasi grado di
complessità o estensione”25
, Margaret Boden ci conduce nelle “quattro
questioni Lovelace”26
, per affrontare le critiche sollevate ed i possibili
collegamenti interessanti tra computer e creatività.
Le quattro questioni Lovelace sono le seguenti:
1) Possono i concetti computazionali aiutarci nel comprendere come la
creatività avviene?
2) Ora o in un futuro, potranno mai i computer produrre cose che
almeno apparentemente possano sembrare creative?
3) Potrebbe mai un computer riconoscere la creatività di un prodotto
umano, quale un poema, un teorema matematico o una teoria scientifica per
esempio?
4) Potranno mai i computer essere davvero creativi, e non solo esserlo
apparentemente come conseguenza della programmazione di un essere
umano?
A queste quattro questioni, Margaret Boden dà risposte articolate che
qui mi limito a riassumere: alla prima domanda risponde che senza dubbio è
possibile che i concetti computazionali possano aiutarci nella comprensione
dell’emergere della creatività. Alla seconda questione risponde che sarà
possibile fino ad un certo punto, e alla terza, che sì, potrà essere in grado di
farlo. La quarta domanda viene ignorata perché ritenuta non essere una
24
Boden(1994), citata in Beaney (2005), pag. 252. 25
Ibidem. 26
Ibidem.
21
questione scientifica, “ma in parte una preoccupazione filosofica riguardo il
significato ed in parte una richiesta dissimulata per una decisione politica-
morale”27
.
In sintesi Margaret Boden trova nell'IA una fonte fondamentale per la
comprensione della creatività.
La tesi della Boden è che per definire “creativa” un'idea occorre sempre
specificare l'insieme dei principi generativi del campo concettuale in cui si
situa, per vedere se tali principi sono negati o cambiati o altro; in questo
senso allora i computer possono aiutarci nella specificazione di questi
principi, in quanto possono simulare il relativo sistema generativo ed
evidenziare solo ciò che può e non può essere fatto.
3. David Novitz: critica alla teoria di Margaret Boden.
Nel 1999 David Novitz nel suo articolo dedicato alla creatività
“Creativity and constraint” analizza la teoria degli spazi concettuali di
Margaret Boden, sollevando alcune critiche al suo resoconto e proponendo
una sua teoria della creatività: la teoria della ricombinazione. Il punto di
partenza di David Novitz, nell’analisi della teoria degli spazi concettuali, è
l’osservazione della differenza sostanziale che intercorre tra un essere
umano ed un computer: tale differenza renderebbe poco applicabile la teoria
degli spazi concettuali agli esseri umani, rimanendo invece molto adeguata
per un computer. Perché? Vediamo prima di tutto questo aspetto della critica
di Novitz alla Boden, prima di addentraci nella sua teoria della
ricombinazione.
3.1 Umani, computer, e spazi concettuali
27
Boden, cit. in Beaney (2005), pag. 253.
22
Novitz scrive: “Appropriatamente programmati i computer son ben
piazzati per esplorare spazi concettuali, scoprire i loro limiti relativi a certi
obiettivi e compiti, e trasformare i principi generativi prevalenti nei modi
che consentirà loro di raggiungere specifici obiettivi ed eseguire i compiti
richiesti”28
. Questa teoria può ben applicarsi anche ad un essere umano?
Continua Novitz: “Le persone sono meno capaci dei computer di rispettare
il vincolo della Boden, non ultimo a causa della difficoltà che sentono
nell'assorbire ed integrare flussi infiniti di informazioni, ma anche perché il
talento ed il genio che associamo alla creatività umana sembra essere
svuotato dal requisito della Boden che gli umani hanno bisogno di venire a
conoscenza di tutte le possibilità e le limitazioni nell'ambito del pensiero
relativamente al quale sono creativi. Questo farebbe della creatività umana
la meticolosa, faticosa ed enormemente tediosa questione che evidentemente
non è”29
.
Secondo Novitz occorre considerare che un essere umano è un animale
sociale e questo comporta una notevole differenza nel modo di esplorare
spazi concettuali rispetto ad un computer. Spesso il confronto con uno
spazio concettuale, per un essere umano, comporta anche l'implicazione con
uno spazio sociale associato e di conseguenza i vincoli per la creatività
umana sono vincoli speciali, vincoli che non sussistono per un programma
computazionale: “Gli esseri umani dipendono da altri esseri umani per il
loro benessere ed hanno un forte interesse a mantenere le loro reti di
supporto”30
.
La componente sociale, dunque, sarebbe uno dei principali motivi di
una serie di difficoltà in cui si troverebbe un essere umano P-creativo.
Proprio la necessità di mantenere le reti sociali, ed il fatto di appartenere ad
una comunità nella quale esistono anche una serie di doveri/obblighi, specie
magari nel caso di collaboratori ed insegnanti, costituirebbe un disincentivo
alla creatività umana secondo Novitz.
28
Novitz (1999) , cit. in Beaney (2005), pag. 255. 29
Ibidem. 30
Ibidem.
23
Un altro elemento che contrasta lo sviluppo della creatività è dato dal
fatto che le persone sono molto attaccate alle conoscenze che hanno
acquisito, magari con fatica; queste conoscenze permettono loro
l'appartenenza a una determinata comunità/società, e, a causa di ciò, le
persone tendono a essere riluttanti ad abbandonare tali conoscenze o a
palesare quanto siano insufficienti.
A mio parere questa osservazione, se per molti aspetti corretta, non è
del tutto generalizzabile: se, da una parte, ci sono casi in cui la creatività
può essere motivo di crisi per una comunità e minare l’equilibrio di un
determinato sistema, d'altra parte mi sembra esagerato ed immotivato
considerare la creatività qualcosa che mette a repentaglio la buona socialità
di un individuo; ne deriverebbe che l’essere un animale sociale
costituirebbe per gli esseri umani un disincentivo alla creatività. Se questa è
la tesi dell'autore, vi sono certamente controesempi ove aspetti di creatività
aiutano addirittura la coesione sociale, specialmente in momenti di crisi o
difficoltà. La tesi dell'autore va dunque vista principalmente nell'ambito del
confronto umani/computer.
Dopo questo primo punto, basato sulla differenza sostanziale tra un
essere umano ed un programma computazionale, Novitz passa a criticare
un'altra parte della tesi della Boden. Quest’ultima sostiene che un essere
umano radicalmente creativo, per essere giunto ad un idea radicalmente
creativa, deve aver esplorato interamente uno spazio concettuale, in un dato
dominio di conoscenza. Novitz è in disaccordo con questa affermazione e ci
fa notare come in realtà basti spesso semplicemente un “cambiamento di
osservazione, un'immagine, una forma, un sogno” per incoraggiare un
nuovo modo di fare o di concepire, dapprima sconosciuti. Inoltre nuovi
modi di pensare sono talvolta ostacolati proprio dal peso dell’ortodossia,
ossia dalla padronanza completa dei domini stessi di quel campo di
conoscenze; contro la Boden si può sostenere dunque che “una stretta
conoscenza di uno spazio concettuale può effettivamente inibire la P-
creatività”31
.
31
Novitz (1999), cit. in Beaney (2005), pag. 256.
24
Novitz sviluppa un terzo punto critico della teoria della Boden
ponendoci davanti ad alcuni atti profondamente creativi nella storia
dell’umanità, i cui protagonisti radicalmente creativi non sono stati mossi
dall’intenzione di trasformare spazi concettuali.
Un primo esempio proposto è quello di Henri Matisse, il quale
rivoluzionò il modo di utilizzare il colore nella pittura: manifesto di questo
fu la sua opera Woman with the hat:
Tuttavia Matisse stesso, nel suo saggio Note di un pittore (1908)
racconta che cosa guidò il suo nuovo modo di utilizzare la pittura e dalle sue
parole non risulta che sia stato quello di trasformare un certo stile prevalente
del tempo. Ciò che invece lo guidò nel suo nuovo modo di dipingere furono
le sue inclinazioni personali e gli stati d’animo presenti in quel determinato
momento. Benché considerato profondamente creativo, la sua creatività si è
manifestata in qualche cosa che è più vicina al gioco, che non alla
risoluzione di un problema.
Stessa osservazione, vale per Pablo Picasso, che con il suo “Les
Demoiselles d’Avignon” (1907) trasformò “un insieme di pittoriche
convenzioni”32
e si può ben dire che trasformò uno spazio concettuale dando
poi origine al Cubismo.
32
Ibidem.
25
Tuttavia, anche in questo caso, ciò che fu guida espressiva del pittore
non fu l’intenzione di trasformare uno spazio concettuale, bensì “il suo
essere affascinato dalle sculture tribali, specialmente quelle di origine
africana”33
.
Ancor più a discapito della teoria della Boden, sono per Novitz i casi
che non richiedono nemmeno l’esistenza di uno spazio concettuale, ancor
meno dunque l’esplorazione e la trasformazione. Uno di questi casi, è la
scoperta della vaccinazione contro il Vaiolo, effettuata da Edward Jenner34
.
Per Novitz non c’era nessun “corpo di conoscenze o credenze ben strutturate
ed unificate”35
riguardanti le vaccinazioni e l’immunità, prima che Jenner
facesse tale scoperta; vi erano si, medici che stavano tentando una
risoluzione alla malattia del vaiolo, si sapeva che il vaiolo poteva essere
preso una sola volta, e vi erano persone che stavano provando ad iniettarsi
forme lievi della malattia al fine di proteggere il corpo da quest’ultima. Era
inoltre accaduto che Jenner avesse sentito da una giovane ragazza di
campagna che ella stessa non poteva prendere il Vaiolo poiché già una volta
aveva avuto il vaiolo bovino. Fu questo l’insieme di sapere che Jenner aveva
a disposizione e dalla cui sperimentazione e riflessione risultarono idee e
procedure mediche sorprendentemente innovative, di iniziazione ed
incoraggiamento per coloro i quali si appassionarono alla ricerca intorno
all’immunità e all’infezione. Così, indirettamente Robert Koch arrivò a
capire che la malattia era causata da microbi e Louis Pasteur a sua volta
sviluppò vaccini per altre malattie.
Quello che abbiamo di fronte, nel caso di Jenner, è l’esempio di
qualcuno “che è riuscito a sviluppare uno spazio concettuale dalle
fondamenta, piuttosto che qualcuno che ha trasformato uno spazio
concettuale esistente”36
.
33
Novitz (1999), citato in Beaney (2005), pag. 257 34
Edward Anthony Jenner, nato a Berkeley nel 1749, fu medico pioniere
dell'immunizzazione grazie alla sua scoperta di un vaccino contro il Vaiolo. Il caso di
Jenner è qui utilizzato da Novitz come esempio di idea creativa che si discosta dai
parametri che la Boden aveva definito perchè un'idea potesse essere definita creativa. 35
Ibidem. 36
David Novitz (1999), cit. in Beaney (2005), pag. 258.
26
Poste poi queste critiche, Novitz stesso ipotizza una risposta della
Boden in difesa della sua teoria a questa sua ultima osservazione. Secondo
Novitz la Boden potrebbe difendersi dicendo che le conoscenze sulle quali
Jenner si basò possono essere considerate spazi concettuali, a Jenner noti.
Questa però non sarebbe una difesa valida in quanto Novitz non nega, nelle
sue osservazioni alla teoria della Boden, che la sua scoperta non fu basata su
precedenti idee, ma queste non possono essere considerate spazi concettuali;
perché? Perché secondo la Boden uno spazio concettuale richiede “principi
organizzativi che unificano e danno struttura ad un dato dominio di
pensiero”37
per “definire una certa gamma di possibilità.” Novitz però
critica duramente la Boden su questa sua visione generale, sostenendo che
di fatto quello che sostiene la porta ad una specie di contraddizione: “Ella
non ci dice quanto unificati tali principi ed idee debbano essere per
costituire uno spazio concettuale, ma anche così è chiaro che se ella lascia
che ammassi di idee disorganizzati e vagamente connessi contino come
spazi concettuali, scoprirà che tali spazi non possono essere trasformati
sistematicamente in un modo che permetta alle idee computazionali di
illuminare la creatività-P umana. Se d’altra parte , gli spazi concettuali sono
sempre insiemi strutturati di idee che si verificano e dipendono da certi
principi di base o regole generali, allora Jenner non stava operando
all'interno di, e non ha trasformato, uno spazio concettuale, anche se la sua
scoperta fu radicalmente creativa”38
.
A questo punto la Boden potrebbe sostenere che quella di Jenner non fu
una scoperta radicalmente creativa (p-creativa) poiché non coinvolse
l’esplorazione e la trasformazione di uno spazio concettuale. In tal caso a
parere di Novitz, la sua teoria sarebbe troppo esclusiva perché “Jenner fu
responsabile dello sviluppo di uno spazio concettuale relativo ai sistemi
immunitari che prima non esisteva”39
e appare altamente contro-intuitivo
sostenere che non fu un esempio di pensiero radicalmente creativo. Lo
37
Boden (1994), cit. in Beaney (2005), pag. 243. 38
Novitz (1999), citato in Beaney (2005), pag. 258. 39
Ibidem.
27
stesso discorso può essere fatto per Edison, inventore del fonografo nel
1876.
Un ultimo controesempio proposto da Novitz per confutare la teoria
della Boden è il caso della scoperta della vulcanizzazione della gomma da
parte di Charles Goodyear. Tale scoperta fu del tutto accidentale, sorta dal
tentativo di Goodyear di rendere la gomma tale da non essere né del tutto
friabile (con temperature basse) né del tutto viscosa (con temperature alte).
Goodyear tentò inizialmente di mescolare la gomma con amamelide, crema
di formaggio ed inchiostro nero, ma fu solo quando, mescolando la gomma
allo zolfo, il miscuglio gli cadde accidentalmente su una superficie calda,
che fu scoperto il processo di vulcanizzazione della gomma, nel 1839.
In questo caso, le conoscenze di base riguardanti alcune delle
caratteristiche della gomma, ossia le sue reazioni al caldo, al freddo, unite
ad altre, costituiscono uno spazio concettuale, e dunque Goodyear poteva
ben aver trasformato uno spazio concettuale secondo la teoria della Boden.
Novitz nota la paradossale differenza tra considerare questo caso come
un caso paradigmatico di creatività, come deriverebbe dalla teoria della
creatività della Boden, e quello che intuitivamente crediamo sia una vera
“creazione”: “Tuttavia questo è bizzarro. L’invenzione di Goodyear, se
invenzione fu, fu piuttosto fiacca, e richiese molto poco nei termini di
immaginazione, intelligenza, o sforzo”40
. Sicuramente paragonare la
scoperta di Goodyear alla scoperta della fisica newtoniana, attribuendo lo
stesso marchio di creatività radicale, o magari sostenere che fu più creativa
della scoperta del vaccino contro il vaiolo di Jenner, è “troppo generoso per
Goodyear”41
.
Con questo, Novitz ci ha esposto attraverso esempi tutti i punti deboli
della teoria della creatività della Boden, che in ultimo sarebbe al contempo,
troppo esclusiva come ci mostra il caso di Jenner, o troppo inclusiva come
ci mostra quello di Goodyear.
40
Novitz (1999), cit. in Beaney (2005), pag. 260. 41
Ibidem.
28
A questo punto, dopo aver passato in rassegna le critiche alla teoria
della Boden mostrandone la limitatezza, passiamo ad analizzare la teoria di
David Novitz, vale a dire “la teoria della ricombinazione della creatività”.
3.2 La creatività della “ricombinazione”
Il punto di partenza della teoria della ricombinazione di David Novitz, è
la tesi che la base della creatività umana sia sempre “un gruppo/grappolo
esistente di idee o tecniche”; Novitz però insiste nel sostenere che tali
gruppi non costituiscano né formino “parte di spazi concettuali”.
Secondo la teoria di Novitz tutti gli atti creativi richiedono:
“(1) la ricombinazione intenzionale o casuale di tali idee, tecniche, o
oggetti - laddove questa ricombinazione sia in seguito usata o dispiegata
ponderatamente.
(2) In modalità che risultano in qualcosa che sia (o avrebbe potuto
essere) sorprendente per –e quindi non prevista da – una certa comunità, e
(3) in modalità che sono destinate ad essere, e sono potenzialmente,
di reale valore per alcune persone.
(il termine oggetto è qui utilizzato con un ampia accezione che va dalle
sensazioni e dalle qualità agli oggetti fisici)”42
.
Queste tre condizioni sono “congiuntamente necessarie e sufficienti per
la creatività”43
. L’obiettivo di Novitz è anzitutto scoprire il contesto intorno
a cui questa ricerca debba essere condotta, anche, non meno importante,
cercare di escludere l’idea della Boden che ritiene che il processo di
trasformazione di uno spazio concettuale possa spiegare in modo esauriente
il concetto di creatività radicale.
La caratteristica della teoria della ricombinazione è che essa concede ad
un ampio numero di atti creativi di essere considerati tali e allo stesso tempo
42
Novitz (1999), cit. in Beaney (2005) pag. 261. 43
Ibidem.
29
valuta il grado di creatività in base al grado di soddisfazione di ciascuna
delle tre condizioni (in misura maggiore o in misura minore) in modo da
caratterizzare con maggiore precisione che cosa si possa intendere per atto
radicalmente creativo. Un atto creativo non è assicurato dal solo fatto di
soddisfare congiuntamente queste tre condizioni, ma avviene dal momento
in cui determinate ricombinazioni “trasformano le regole di base che
definiscono gli spazi concettuali”44
. Di conseguenza, rientrano nel concetto
di atto creativo, non soltanto gli atti radicalmente creativi, ma una ampia
gamma di atti che non sono tali, ma non per questo devono essere esclusi
dagli atti creativi, tra questi “la ricombinazione di parole o frasi secondo le
regole grammaticali e semantiche esistenti, in modo che tuttavia si rivelano
preziose e sorprendentemente penetranti”45
. Lo stesso può avvenire con frasi
musicali, oppure il risultato di serendipità può essere un atto creativo, e non
di esplorazione dettagliata, o ancora il risultato di un semplice gioco.
La ricombinazione espressa nella teoria di Novitz non sempre coinvolge
frasi, parole, frasi musicali ed oggetti fisici, ma può anche essere solo
“ideativa”. Un esempio di mera ricombinazione ideativa è ben mostrata
nella percezione di aspetti o punti di vista (“Aspect Perception”), tema
ampiamente e brillantemente trattato da L. Wittgenstein, nella sua ormai
celeberrima analisi delle figure con doppia interpretazione, come la famosa
figura anatra/coniglio in cui la figura di un’anatra viene inter-scambiata, nel
modo di percepirla, con quella di un coniglio. Qui il becco dell’anatra può
essere visto a tratti come le orecchie del coniglio e per questo scambio di
visione tutto il resto della testa dell’anatra viene visto come la testa del
coniglio (e si può pensare che anche il corpo che non è disegnato si adatti
all'immaginazione).
44
Ibidem. 45
Novitz (1999) , cit. in Beaney (2005), pag. 261.
30
Novitz scrive “tutto il resto si adatta”46
, per spiegare cosa sussegue ad
un cambiamento di visione. Questo affascinante fenomeno avviene poiché si
può guardare la figura sotto diverse descrizioni o con diverse credenze, ed in
un senso più ampio coinvolge il guardare in modo differente. Novitz
sostiene inoltre che questo tipo di cambiamento di “visione” possa essere il
tipo di cambiamento sotteso alle teorie di Copernico con la sua rivoluzione
copernicana.
Nella seconda condizione della sua teoria Novitz mette in luce
l’importanza della sorpresa che viene destata per una data popolazione, a
conoscenza di precedenti idee, ma tali da rendere questa nuova
ricombinazione nuova e difficilmente prevedibile.
La terza condizione richiede invece che un atto creativo sia di “reale
valore” per le persone. Per “reale valore” si intende qui, il portare un
potenziale beneficio, qualsiasi esso sia, nella vita dell’essere umano.
Al contrario, tutto ciò che arreca danno, non può essere considerato un
atto creativo, nemmeno se apparentemente lo sembra. Quest'affermazione di
Novitz rimane ingiustificata e poco approfondita e verrà infatti criticata e
ripresa da Michael Beaney.
3.3 Aggiornamento e critiche a Novitz
Quattro anni dopo, nel 2003, in un articolo intitolato “Explanations of
creativity”, Novitz apporta alcune modifiche alla sua teoria, poiché si
46
Ibidem.
31
accorge che, così scritta, non escludeva abbastanza il caso Goodyear dal
marchio di atto creativo, e quindi aggiunge alcuni dettagli all’atto stesso
della ricombinazione: “è la capacità intrinseca, la genialità, la piacevolezza,
o la bellezza, che è il valore intrinseco dell’atto, che è mancante in un caso
del genere e che ci induce a pensare alla ricombinazione come ordinaria o
banale, quindi come meno creativa”47
.
La teoria viene modificata e così viene modificata la definizione di atto
creativo usata precedentemente, con alcune precisazioni:
“Un atto è creativo se e solo se comporta:
1. La ricombinazione intenzionale o casuale, ma in ogni caso
intrinsecamente preziosa di gruppi di idee, tecniche o oggetti,
laddove questa ricombinazione sia in seguito usata o dispiegata
ponderatamente.
2. In modalità che risultano in qualcosa che sia (o avrebbe potuto
essere) sorprendente per – e quindi non prevista da – una certa
comunità; ed inoltre
3. in modalità che sono destinate ad essere, ed effettivamente o
potenzialmente sono, di valore strumentale per alcuni”48
.
È questa riformulazione sufficiente a rendere la teoria di Novitz esente
da critiche? Forse si può evidenziare un problema che Novitz sembra non
essere in grado di affrontare, e cioè l'aspetto morale. Un punto critico della
teoria di Novitz, che è stato evidenziato da Michael Beaney, è il giudizio
morale legato all’atto creativo. Novitz infatti sostiene che “Ci sono robusti
vincoli morali che pendono sulla creatività, perché un atto immorale
intenzionale – uno che sia pensato per ferire e nuocere – non può esser
anche un atto creativo”49
.
In questo modo tuttavia, scrive Michael Beaney “la sua teoria implica
che i giudizi sulla creatività siano dipendenti dalle valutazioni morali.
Tuttavia questa sembra una posizione troppo forte da adottare, dal momento
47
Novitz (2003), Beaney (2005), pag 190. 48
Ibidem. 49
Novitz (2003), cit. in Beaney (2005), pag 191.
32
che due di noi possono sicuramente essere d’accordo sulla creatività di un
atto, mentre essere in disaccordo sulle sue implicazioni morali”50
.
Possiamo esser d’accordo sulla richiesta che un atto creativo abbia
valore strumentale similmente a quanto Kant sosteneva parlando di
“esemplarità”, ma i giudizi sulla creatività devono rimanere scevri da quelli
morali.
Vi possono essere esempi di creatività che hanno aspetti immorali, ma
ai quali non si può negare l'originalità e la rottura di schemi tradizionali. Se
si accetta dunque la critica di Beaney, e a me pare ragionevole, la teoria di
Novitz, per quanto capace di mostrare alcuni limiti della teoria di Margaret
Boden, non riesce a presentarsi come teoria sufficientemente robusta da
comprendere tutti i tipi di creatività. Un aspetto particolare (che dovrebbe
essere maggiormente approfondito) è forse quello del ruolo
dell'immaginazione, che dovrebbe essere considerata indipendentemente da
aspetti morali. A questo tema dedichiamo la seconda parte del lavoro.
50
Beaney (2005), pag. 191.
34
Capitolo 2
1 Introduzione
Il primo capitolo è stato dedicato alla creatività, in particolare a sue
possibili definizioni e alle teorie degli autori che hanno provato a spiegarla.
Resterebbe incompleto il discorso se non si affrontasse anche un altra
tematica strettamente collegata alla creatività e a volte - a livello di senso
comune- erroneamente scambiata per questa, ossia l'immaginazione.
La questione centrale di questo secondo capitolo riguarderà il rapporto tra
immaginazione e creatività: di quale tipo di rapporto si può parlare? In che
modo l'immaginazione gioca un ruolo nella creatività?
Per poter cominciare ad accostarci a tale analisi, occorre prima di tutto
definire i campi concettuali qui interessati, in particolare quello
dell'immaginazione e successivamente andare ad approfondire i resoconti di
due autori che hanno tentato di rispondere alle domande prima poste e
hanno avanzato le loro tesi: Berys Gaut e Michael Beaney.
1.1 Immaginazione: definizioni di base
Come nel capitolo per la creatività, introdurrò l'argomento tramite alcune
definizioni tratte da diverse fonti, che esprimono il concetto di
immaginazione in questi termini: “Facoltà di immaginare, di elaborare
liberamente e con fantasia i dati dell'esperienza sensibile e i pensieri”51
.
“In generale, la possibilità di evocare o produrre immagini
indipendentemente dalla presenza dell'oggetto cui si riferiscono”52
.
“… si tende a distinguere l'immaginazione, prerogativa tipicamente umana,
51
Lo Zingarelli 2013. Vocabolario della lingua italiana. 52
Dizionario di filosofia a cura di N. Abbagnano, 2° edizione, 2006.
35
in imitativa e creativa, anche se spesso le due manifestazioni si
sovrappongono. L'immaginazione imitativa elabora i dati sensoriali che
coordina, servendosi dei meccanismi associativi e dissociativi per
trasformarli in complessi che vengono poi ulteriormente perfezionati
dall'immaginazione creativa. Questa, considerata dalla gran parte degli
studiosi dell'intelligenza come una sua importante componente, consente al
soggetto di elaborare i dati rappresentativi sino a realizzare strutturazioni
nuove, come ad esempio un'invenzione, una scoperta, un opera d'arte”53
.
“La facoltà di rappresentarsi cose non date attualmente alla sensazione.
La filosofia si è posta fin dalla sua origine il problema dell'immaginazione o
fantasia ( i due termini sono per lo più sinonimi, e si usano in modo distinto
solo nei secoli recenti), oscillando in genere tra un atteggiamento che la
vede come momento positivamente legato all'attività conoscitiva, e un
atteggiamento che la considera inutile o addirittura dannosa alla conoscenza
del vero”54
.
“Termine costantemente associato, nella storia del pensiero, a quello di
fantasia nel significato di facoltà o attività mentale che produce, conserva,
riproduce, combina e crea immagini, anche in assenza degli oggetti
percepiti”55
.
Queste definizioni iniziali mettono in risalto alcuni aspetti comunemente
attribuiti all'immaginazione, principalmente quello di produrre mentalmente
rappresentazioni di cose non direttamente date alla sensazione o non
presenti al momento dell'atto immaginativo. Altro aspetto messo in luce, è
legato all'uso di quest'ultima come contributiva alla conoscenza umana o in
alternativa come facoltà pressoché inutile.
53
Dizionario di filosofia Bur- 1999, pag. 216. 54
Le Garzantine Filosofia, Enciclopedia filosofica, edizione 2004. 55
Enciclopedia filosofica Bompiani, volume sesto, nuova edizione 2006.
36
Passiamo ora ad un'indagine più approfondita, che nasce all'interno
dell'ambito filosofico contemporaneo con tentativi di teorizzazioni più
accurate e sistematiche.
Volgiamo quindi lo sguardo ad uno degli autori che prenderemo in
considerazione, avendo egli analizzato il rapporto tra immaginazione e
creatività accuratamente, non senza prima presentare le definizioni
concettuali che ha dato di entrambi i termini in gioco.
1.2 Creatività ed immaginazione: definizioni di Berys Gaut
Berys Gaut nel suo The Creation of Art56
, offre gran parte delle
riflessioni da cui trarremo diversi spunti nella discussione che intendiamo
affrontare.
"La creatività potrebbe essere vista come un tipo o modo di fare qualcosa"
scrive Gaut, tuttavia, Joseph Shumpeter57
ad esempio mette in luce come
anche la distruzione possa essere creativa.
Benché effettivamente possiamo riconoscere una verità nella frase di
Shumpeter, la direzione in cui Gaut ci porta arriva a focalizzare la creatività
come"un tipo particolare di fare"58
, precisamente un tipo di fare che sia
"produzione di cose che siano originali, ovvero, in modo saliente nuove"59
.
Addentrandosi nell'argomento, ci porta poi verso una definizione più
dettagliata, domandandosi se l'originalità e la novità possano bastare a
rendere giustizia alla creatività che il genere umano attribuisce a personalità
che hanno fatto qualche cosa di più che la semplice produzione di qualcosa
di originale.
56
Gaut (2003). 57
Joseph Shumpeter (1883-1950) fu un economista austriaco tra i più importanti del
ventesimo secolo che si soffermò particolarmente sulla concezione di sviluppo in ambito
economico. 58
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag. 268. 59
Ibidem.
37
Kant, nella sua trattazione sul Genio, mette in luce come anche il non
senso possa essere originale, e di conseguenza se l'originalità è un prodotto
del non senso, essa non ha alcun valore; per riprendere le parole di Kant : "i
prodotti del genio devono anche essere modelli, ovvero, devono essere
esemplari"60
.
Alla luce di ciò che finora si è detto, "si potrebbe ritenere che la
creatività è il tipo di fare che produce qualcosa di originale e che ha un
valore considerevole. L'oggetto ha questo valore, in parte a causa della sua
originalità, ma principalmente a causa delle sue altre caratteristiche di
valore."61
Gaut ci propone come esempi due artisti noti: Picasso e Georges
Braque. Questi sono stati riconosciuti ovviamente per la loro originalità, ma
qualcos'altro ha fatto si che passassero alla storia: il valore intrinseco62
delle
loro opere, che considerato separatamente dalla loro originalità, rimane.
Fino a questo punto, le caratteristiche evidenziate da Gaut, sono
dunque l'originalità ed il valore. Tuttavia egli non si ferma a queste due.
Una terza caratteristica essenziale va ricercata nella modalità con la
quale si produce qualcosa.
Gaut esclude i prodotti dettati da casualità e ci motiva la scelta in una
serie di argomenti che vedremo rappresentati nell'esempio che segue.
Consideriamo un soggetto bendato, a cui vengono legate le mani, il cui
corpo è stato intinto di vernice dalla testa ai piedi e che viene segregato in
una stanza buia. Egli, muovendosi a caso nel tentativo ipotetico di trovare
una via d'uscita, si scontrerebbe con le pareti, che sono state appositamente
ricoperte da tele per dipinti, e lascerebbe su queste delle tracce di colore qua
e là, determinate dal suo movimento assolutamente casuale. Questo è un
buon esempio di un prodotto che può anche risultare di un' originalità senza
precedenti nella storia dell'arte, ma che non può essere considerato creativo.
Il soggetto che produce, infatti è totalmente inconsapevole di ciò che
casualmente sta facendo.
60
Ibidem. 61
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag. 270. 62
Gaut utilizzando il termine “valore” si riferisce al significato in cui lo intende Kant.
38
Oltre alla casualità, Gaut esclude anche la modalità meccanica di
produzione, giungendo a sostenere che la terza caratteristica essenziale della
creatività è l'intuizione (flair) che un soggetto creativo ha nel lavoro di
produzione. In conclusione, l’autore afferma che “l'originalità, il valore e
l'intuizione, sono gli ingredienti vitali del fare creativo”63
.
Lasciamo momentaneamente da parte il concetto di creatività già
approfondito nel cap. 1, e passiamo ora al concetto di immaginazione
delineato in modo assai interessante nelle riflessioni di Gaut.
Il concetto di immaginazione è generalmente più confuso e occorre
districarsi dalla matassa delle accezioni che solitamente vengono attribuite,
al fine di far luce sul suo senso centrale.
Tale concetto, egli spiega, ha una vasta varietà di usi. Un primo uso è
quello che vede l'immaginazione come la percezione errata di qualcosa: un
esempio è quello di un oggetto percepito come qualcos'altro rispetto a quello
che realmente è. Se io nel buio della mia stanza, scambiassi un cappotto
appeso al muro per una persona, io starei interpretando il cappotto come una
persona, percependo quindi in maniera errata l'oggetto che vedo.
Se invece qualcuno mi domandasse di immaginare che il tronco di un
albero fosse di colore blu anziché marrone, io potrei impegnarmi in questo
compito, e il senso di “immaginazione” sarebbe differente dal primo.
In questo caso infatti non è necessario il coinvolgimento della credenza:
mentre nel primo caso credevo che il cappotto fosse una persona, nel
secondo caso io mi impegno nell'immaginazione e, pur sapendo che il
tronco di un albero è in realtà di colore marrone , posso immaginarlo come
blu senza crederlo realmente.
Un altro senso ancora è quello secondo il quale l'immaginazione è un
sinonimo di pensiero creativo, benché se fosse così scontato e chiaro non vi
sarebbe necessità di portare avanti questa trattazione. E' alquanto evidente
che così non è, e dunque, questo senso rimane un sinonimo tra altri.
63
Gaut (2003) cit. in Beaney (2005), pag. 271.
39
Vi è poi un senso in cui immaginare significa formare un immagine. A
questo caso è necessario dedicare una maggiore attenzione. Berys Gaut ci fa
notare come si possano avere delle immagini senza che si stia immaginando:
pensiamo ad esempio ad un immagine richiamata alla mente dalla nostra
memoria, o alle immagini che ci appaiono in sogno, o ancora a quelle che
derivano dalla nostra percezione; in tutti questi casi noi stiamo avendo delle
immagini, ma non stiamo “immaginando”.
È possibile poi immaginare uno stato di cose senza che se ne abbia una
immagine, oppure ancora ci sono determinate cose che sono impossibili da
immaginare: una sequenza di elementi di un insieme infinito, ad esempio.
Sebbene alcune immagini possano essere casi di immaginazione, non si può
tuttavia, come dimostrano gli esempi appena elencati, identificare
l'immaginazione con la produzione di immagini.
Ma se l'immaginazione non è tutto quello che abbiamo appena escluso,
allora che cos'è?
"Una proposta avanzata da diversi filosofi e che io ritengo sia
fondamentalmente corretto" scrive Gaut, "è che immaginare la situazione tal
dei tali, immaginare che P sia una questione di intrattenere la proposizione
che P. Intrattenere una proposizione è questione di averla in mente, laddove
averla in mente è questione di pensarla in una maniera tale che non si è
vincolati alla verità della proposizione o addirittura sulla sua falsità. Al
contrario, l'attitudine proposizionale del credere che P implica il pensare
alla proposizione che P in modo da essere impegnati nei confronti della
verità della proposizione"64
.
Si può anche mettere la questione nei termini di pensare allo stato di
cose che P, senza impegno sull'esistenza reale di tale stato di cose, oppure si
può parlare di "pensiero non asserito"65
ovvero pensare a P senza
"affermare" che P.
"dal momento che l'asserzione è in senso stretto un atto linguistico, non
un atteggiamento proposizionale, asserzione, penso, dovrebbe essere qui
64
Gaut (2003),Beaney 2005,pag. 272. 65
Ibidem.
40
inteso nei termini di impegno alla verità o falsità di una proposizione
(impegno aletico) nel modo appena descritto"66
.
La definizione appena riportata si riferisce all'immaginare
proposizionale come per esempio “immaginare che ci sia il sole”; tuttavia
l'immaginare non è solo proposizionale e può essere anche di altri due tipi:
oggettuale ed esperienziale.
L'immaginare oggettuale, come richiama la definizione stessa, riguarda
l'immaginazione di un oggetto, e la stessa definizione di immaginare
proposizionale può essere estesa anche a questo tipo, nel seguente modo:
"Immaginare un oggetto x è una questione di intrattenere il concetto di x,
laddove intrattenere il concetto di x è una questione di pensare ad x senza
impegno all'esistenza (o alla non esistenza) di x"67
. Un esempio fatto da
Gaut può essere immaginare un gatto bagnato.
L'immaginare esperienziale invece, è "il tipo di caso dove l'immaginare
ha un aspetto esperienziale distintivo"68
; questo tipo di immaginare
comprende al suo interno due ulteriori tipologie: l'immaginare sensoriale e
quello fenomenale.
Il primo si ha quando immagino visivamente il gatto bagnato, mentre il
secondo, quando si immagina cosa si può provare a sentirsi bagnato.
"Ciò che rende l'immaginare sensoriale o fenomenale, è il modo di
presentazione del pensiero. Il pensiero del gatto può essere asserito o non
asserito, nel senso indicato prima: nel primo caso l'immagine può essere una
memoria, un sogno, o un'immagine percettiva; nel secondo caso, l'immagine
è un tipo di immaginare. Quindi l'immaginare esperienziale è una questione
di modi fenomenale o sensoriali di presentazione di pensieri non asseriti"69
.
Vi è poi un ultimo tipo di immaginare, ovvero quello drammatico:
immaginare cosa si prova ad essere una persona o cosa si prova ad essere
nella posizione di una persona. Quest'ultimo è un composto strutturato di
altri tipi di immaginare; per potermi impegnare in tale tipo di immaginare
66
Ibidem. 67
Gaut (2003) , cit. in Beaney (2005), pag. 273. 68
Ibidem. 69
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag. 273.
41
devo intrattenere varie proposizioni circa la situazione nella quale si trova la
persona e intrattenere concetti di vari oggetti, quindi sia l'immaginare
sensoriale che fenomenale. Tale compito è spesso particolarmente
complesso e richiede notevoli capacità; si può riscontrare nella capacità di
un romanziere ad esempio.
Dato l'approfondimento dei concetti di creatività ed immaginazione da
parte di Gaut, possiamo ora, sempre seguendo il suo filo conduttore,
cominciare ad analizzare le relazioni tra di essi.
2 La visione di Gaut
2.1 Modello visualizzazione (Display Model) e Modello ricerca
(Search Model)
Che collegamento esiste tra l'immaginazione e la creatività? Ma prima
ancora, esiste necessariamente una relazione tra loro? Un atto creativo
necessita sempre di un atto immaginativo?
Consideriamo due menti creative quali possono essere state quelle di
Bertrand Russell e di Friedrich Von Kekulè, i quali rispettivamente diedero
alla luce il primo l'opera Principia Mathematica ed il secondo la scoperta
della struttura ad anello della molecola di benzene.
Bertrand Russell raccontò che spesso la sera andava a letto senza esser
giunto alla soluzione di un problema difficile sul quale stava lavorando, ma
poi si svegliava la mattina con la soluzione del problema tra le mani. Lo
stesso accadde a Kekulè, il quale come è già stato descritto nel capitolo
precedente, ebbe un'immagine in sogno che ispirò la sua nuova scoperta:
l'immagine di un serpente che si mordeva la coda avrebbe dato origine
all'idea che la molecola di benzene poteva avere (differentemente dalle altre
molecole studiate in precedenza) una forma circolare. Questi esempi
coinvolgono l'immagine; trattandosi tuttavia di immagini apparse in sogno,
potrebbero non aver coinvolto l'immaginazione. Quindi, la risposta a questa
42
prima domanda è negativa: non sempre un atto creativo coinvolge
l'immaginazione.
Ribaltiamo la domanda precedente: un atto immaginativo coinvolge
sempre un atto creativo?
Ogni volta che si immagina si va al di là delle proprie esperienze e
credenze, ma nonostante ciò non sempre si giunge ad un atto creativo.
Questo perché la definizione (data da Gaut) di atto creativo richiede tra i
suoi requisiti la novità ed il valore e non sempre quest'ultimi ci sono quando
immagino (anche perché le stesse immaginazioni possono essere fatte da un
numero elevato di persone e quindi essere molto comuni). La risposta alla
domanda sopra posta allora è negativa poiché è molto raro che immaginare
sia anche creativo.
A livello più generale, non sembrano sussistere necessariamente
relazioni tra le due, ma vi sono anche casi differenti da questi appena
riportati; esaminando più nel dettaglio la relazione ipotetica, possiamo
appellarci a due modelli ideati da Berys Gaut per entrare nei sottili meandri
della modalità con cui l'immaginazione potrebbe lavorare all'interno della
creatività.
2.1.1 Il modello visualizzazione (Display Model)
Secondo tale modello, la creatività stessa avviene in un dominio
mentale quale (forse) potrebbe essere l'inconscio e l'immaginazione
opererebbe come un modo di visualizzare i risultati da esso prodotto. Questo
modello è in linea con la visione tradizionale della creatività, che ritiene che
colui che crea sia alquanto inconsapevole di ciò che sta facendo e riceve il
risultato creativo come una rivelazione, qualcosa che non è in grado di
spiegare: Platone nel dialogo dello Ione esprime bene questa visione della
creatività.
Tale modello, tuttavia lascia l'immaginazione fuori dall'atto creativo,
dandole un ruolo abbastanza periferico, poiché il processo avverrebbe
43
principalmente in qualche altra facoltà mentale. Il suo ruolo sarebbe
piuttosto quello di "scrivano" o quello di "registratore" del materiale non da
essa prodotto. Lo stesso ruolo, peraltro, può anche essere svolto da
immagini che- come gli esempi di Kekulè e Russell ci mostrano-possono
appartenere al processo del sogno e non a quello dell'immaginazione.
Quello che a noi premeva inizialmente ricercare era una connessione
rilevante tra immaginazione e creatività, ma questo modello non rende
abbastanza giustizia al ruolo dell'immaginazione. Poeti e scrittori in passato,
come Shakespeare in Sogno di una notte di mezza estate hanno ritenuto che
l'immaginazione avesse un ruolo essenziale nel dare corpo a cose
sconosciute. Fu un’attribuzione erronea?
Alla luce di pensieri differenti su che cosa l'immaginazione sia e
prendendo in considerazione coloro che, oltre a Shakespeare hanno
attribuito un ruolo estremamente importante ad essa, è necessario non
fermarsi a ciò che il “modello visualizzazione” delinea e continuare a
ricercare con Gaut alternative al modello visualizzazione.
Egli ritiene necessario allora distinguere tra due tipi (o aspetti) della
creatività : quella passiva e quella attiva.
Nel caso della creatività passiva il soggetto sarebbe incosciente del
processo creativo: la soluzione di un problema, o un'idea, sorgerebbe nella
mente di una persona improvvisamente e inaspettatamente.
Nel caso della creatività attiva, invece, il soggetto creativo ricerca
attivamente le soluzioni ad un problema e lo fa in modo conscio, provando
differenti approcci; nel corso di questo processo poi può imbattersi in una
soluzione.
Questo tipo di creatività è più comune nelle arti, ad esempio è molto
probabile che un pittore consideri nella sua mente varie immagini per
decidere come fare un dipinto. L'immaginazione, non sarebbe qui un mero
"registratore" di qualcosa che non dipende consciamente dal soggetto che
crea, ma sarebbe parte importante del suo processo creativo. Quest'ultimo
sarà spiegato da Gaut attraverso il modello ricerca (The Search Model).
44
2.1.2 Il modello ricerca (Search Model)
Come ho già premesso, questo modello si propone di dare
all'immaginazione un ruolo di maggiore importanza nel processo creativo.
Scrive Gaut: "Secondo tale modello, quando uno se ne viene fuori con una
nuova idea, o inventa un nuovo oggetto, si può pensare abbia lavorato
attraverso varie possibilità ordinate in uno spazio logico"70
.
Il ruolo dell'immaginazione sarebbe quello di "cogliere una serie di
possibilità rilevanti e di selezionare da esse quella più adatta alle
circostanze. Quindi, il processo del provare vari approcci, che abbiamo visto
essere il marchio di garanzia della creatività attiva, si deve intendere nei
termini di considerare o misurare la porzione rilevante di spazio logico, ed il
processo di invenzione è quello di scegliere una delle possibilità
esaminate"71
.
Si potrebbe esser tentati di pensare che un'ampia immaginazione si
manifesti quindi in una quanto più vasta possibile capacità di indagare varie
possibilità in uno spazio logico.
E' necessario allora ricorrere ad un esempio che può aiutarci a capire
perché l'immaginazione non consisterebbe in questo.
Prendiamo l'esempio del campione di scacchi Garri Kimovič Kasparov,
la cui creatività espressa nel suo modo di giocare a scacchi si pensava fosse
dovuta al fatto che egli, a differenza di chiunque altro, fosse capace di
esaminare una più ampia gamma possibile di mosse da fare.
Prendiamo poi Deep Blue, computer programmato dall'IBM per giocare
a scacchi, che sconfisse nel 1977 Kasparov; Deep Blue, aveva davvero (in
questo senso) una capacità di immaginazione più potente di chiunque altro,
e fu capace di analizzare una gamma di gran lunga maggiore di mosse
possibili da fare e di selezionare poi la mossa vincente.
Tuttavia Deep Blue, in quanto ricerca meccanicamente le mosse
possibili, è espressione e sintesi di un modo non creativo di giocare a
70
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag. 277. 71
Ibidem.
45
scacchi (abbiamo precedentemente visto che un atto creativo per essere
considerato tale non può essere il risultato di un processo meccanico).
Al contrario, il modo di giocare a scacchi di Kasparov è creativo,
benché egli non abbia a livello quantitativo le stesse capacità di Deep Blue;
scrive infatti Gaut: "la creatività non è propriamente una questione di
potente immaginazione, nel senso di una capacità di ricerca attraverso
grandi numeri di possibilità"72
.
Si potrebbe sostenere che Deep Blue non possieda un'immaginazione,
perché l'immaginazione richiede a sua volta il possesso di coscienza e
capacità di ragionare, e Deep Blue non possiede nessuna delle due cose.
Allora qui Gaut pone l'esempio del tutto inventato di Shallow Pink,un
autistico, che potenzialmente ha capacità di indagare a livello quantitativo le
stesse mosse di scacchi di Deep Blue.
Shallow Pink, in quanto essere umano, possiede coscienza e capacità di
ragionamento, ma anch'egli gioca a scacchi in modo meccanico e non
creativo (Gaut non ci dice che cosa intenda con il termine “meccanico” e
perché un autistico giocherebbe in maniera meccanica rispetto a Kasparov.
Potremo forse supporre che la modalità meccanica consista nel seguire delle
regole in modo rigoroso passo dopo passo senza deviare da queste. Per
quanto riguarda Kasparov invece possiamo supporre che la sua modalità di
gioco faccia ricorso ad euristiche, ovvero modalità di risoluzione ai
problemi che non è guidata da un percorso specifico e delineato ma che si
serve dell'intuito derivante da un ampio numero di fattori per giungere alla
soluzione di un problema).
Tornando a Kasparov, egli sicuramente sa ricercare poche mosse
rispetto a Deep Blue e Shallow Pink; tuttavia, la sua immaginazione viene
spesa nella selezione della porzione di spazio per lui rilevante dalla quale
poi potrà trarre una mossa che potrà essere decisiva (o no) per la sua partita.
La differenza tra Shallow Pink e Kasparov non sta nel fatto che uno non
utilizzi l'immaginazione e l'altro si: entrambi la utilizzano, ma la vera
72
Ibidem.
46
differenza sta nella modalità con la quale la utilizzano poichè Kasparov la
usa creativamente, mentre Shallow Pink no.
Perché Kasparov la usa creativamente? Perché le basi della sua
immaginazione, sono fattori quali "la sua vasta esperienza, la sua
considerevole conoscenza della storia degli scacchi, la tecnica praticata, ed
il suo talento nativo puro". 73
Sarebbe interessante, benché in questa
trattazione Gaut non ci si soffermi, capire quali sono le caratteristiche
decisive a livello creativo che distinguono un essere umano da Shallow
Pink. Sarebbe allora necessaria anche una teoria della mente di un autistico
per avere un'idea più chiara riguardo ciò che rende l'immaginazione
definibile come creativa, dal momento che si avrebbe più evidenza a
disposizione.
Proseguendo Gaut distingue tra due tipi di immaginazione: l'immaginazione
come una fonte della creatività e l'immaginazione come un veicolo della
creatività.
Kasparov utilizza la sua immaginazione come un veicolo, ovvero come
uno strumento per giungere all'atto creativo della mossa.
Dal momento che l'immaginazione può essere anche usata in modo
meccanico, non può essere considerata la fonte della creatività, come sia
Shelley che i poeti romantici avevano sostenuto, mitizzandola, forse proprio
per averla considerata una fonte.
2.2 L'immaginazione come veicolo della creatività attiva
Abbiamo appena distinto tra immaginazione come fonte ed
immaginazione come veicolo della creatività attiva, e fatto luce
sull'impossibilità di considerare l'immaginazione come una fonte per i
motivi specificati in precedenza. Il ruolo dell'immaginazione sarebbe allora
quello di veicolo nel processo creativo attivo.
73
Gaut (2003), cit. in Beaney 2005, pag. 278.
47
Perché l'immaginazione si presterebbe bene ad essere un veicolo della
creatività attiva?
Scrive Gaut: "L'immaginazione è particolarmente adatta per essere il
veicolo della creatività attiva. Cioè, è adatta per sua natura a servire come
tale veicolo, per il suo tipo di stato che è intenzionale. In questo differisce da
altri stati mentali come le credenze e le intenzioni, che non sono adatte per
loro natura ad essere tali veicoli"74
. Quello che distingue l'immaginazione da
altri stati mentali, è il fine intrinseco interno all'immaginazione. La credenza
è un'attitudine proposizionale, cui fine intrinseco è la verità; credere dunque
ha come scopo intrinseco la verità della proposizione a cui si crede ed
impegna il soggetto alla verità o non verità della proposizione. É infatti
considerato irrazionale, come ci mostra il paradosso di Moore, sostenere
questo tipo di proposizione: "Credo che stia piovendo, ma non sta
piovendo"75
.
Stesso tipo di discorso si può fare per lo stato mentale dell'intenzione,
che ha come fine ultimo l'azione: lo scopo intrinseco dell'intenzione è
l'azione, ossia essa contiene come fine ultimo l'impegno ad agire. Appare
altrettanto irrazionale e paradossale sostenere di avere intenzione di fare
qualcosa, ma allo stesso tempo affermare che non la si farà quando si potrà.
Come abbiamo già visto nella parte dedicata alla chiarificazione
concettuale, l'immaginazione è scevra da impegni alla verità, falsità, azione
o non azione.
"L'immaginazione, è slegata da impegni qualunque sia la questione e
rispetto a qualunque azione specifica. In realtà l'immaginazione sembra
manchi di qualsivoglia fine intrinseco- cioè qualunque fine che gli
attribuisca lo stato che ha. Perciò essa presenta un tipo di libertà a tale
riguardo. Come tale, è particolarmente adatta- per sua natura- ad essere il
veicolo della creatività attiva, dal momento che si possono provare differenti
approcci e visioni immaginandoli, senza essere né legati alla verità delle
affermazioni né vincolati ad agire sulla base delle proprie immaginazioni".
74
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005) , pag. 279. 75
Ibidem.
48
Inoltre, "dal momento che l'immaginazione manca di un fine intrinseco,
i fini dell'immaginazione sono estrinseci ad essa: quindi si può usare
l'immaginazione per molti scopi diparati, senza essere irrazionali"76
.
Nonostante Gaut abbia dimostrato che l'immaginazione sia adatta per
sua natura ad essere un veicolo della creatività attiva, può non essere essa
l'unico veicolo.
Anche la credenza può talvolta esser tale; consideriamo questa
proposizione: "supponiamo che invece di credere che l'opzione successiva
cercata sarà la posizione corretta, la persona creativa crede che sia possibile
che l'opzione successiva cercata sarà la soluzione corretta"77
.
Il contenuto della credenza qui, non comporta un impegno alla verità o
alla falsità, bensì lascia uno spazio alla possibilità che possa essere o meno
vero che l'opzione successiva cercata sarà corretta.
Cosa accade in questa situazione? Quello che accade è che il contenuto
della credenza imita la modalità essenziale dell'immaginazione, la quale
(ripetiamo ancora una volta) è scevra da impegni alla verità o alla falsità. La
natura della credenza infatti è un'altra, come abbiamo già visto.
Concludiamo con una frase riassuntiva di Gaut: "correttamente inteso
come un punto circa la natura dell'immaginazione come opposta ad altri stati
intenzionali, la pretesa che l'immaginazione sia peculiarmente adatta ad
essere il veicolo della creatività attiva è corretta. Essa stabilisce una
connessione costitutiva tra l'immaginazione e la creatività, che è il nocciolo
di verità nel tradizionale collegamento dei due domini"78
.
76
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag. 280. 77
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005) pag. 281. 78
Ibidem.
49
2.3 Creatività e metafora
È d'obbligo nel parlare di immaginazione dedicare uno spazio ( benché
limitato rispetto alla sua vasta produzione) ad uno dei maggiori filosofi
moderni che si è interessato enormemente al tema dell'immaginazione:
Kant.
Kant verrà preso qui in considerazione all'interno di un'ultima parte del
lavoro di Berys Gaut, quello dedicato alla metafora come paradigma
dell'immaginazione creativa.
Facendo un breve punto della situazione, abbiamo trovato, in risposta
alla domanda posta all'inizio di questo secondo capitolo, due modi in cui
l'immaginazione può lavorare all'interno della creatività. Il primo vede nel
ruolo dell'immaginazione quello di rendere noto al suo creatore il prodotto
creativo, il secondo invece vede l'immaginazione un veicolo della creatività
attiva. Tuttavia quest'ultima a differenza della prima è un'affermazione a
priori che presuppone che vi sia un collegamento basilare tra
immaginazione e creatività attiva. Gaut a questo punto si chiede se sia
possibile parlare del modo in cui funziona l'immaginazione creativa e dopo
aver confermato tale possibilità, comincia l'argomento introducendo Kant e
la sua trattazione sul genio, oramai celebre nella storia della filosofia.
Scrive Gaut: “Nelle sezioni 46-50 della Critica del Giudizio Kant indaga la
relazione dell'arte al genio, e del genio all'immaginazione. Le belle arti, egli
dice, sono le arti del genio, la prima proprietà del genio deve essere
l'originalità (175), ed anche i prodotti del genio devono risultare esemplari.
Caratteristico del genio è lo spirito, “il principio vitalizzante della mente”,
che non è altro che la capacità di manifestare idee estetiche; per “idea
estetica” intendo una rappresentazione dell'immaginazione che induce una
profonda riflessione ma alla quale nessun determinato pensiero, ovvero
nessun concetto (determinato), può conformarsi tanto che nessun linguaggio
può esprimerla completamente e ci permette di afferrarla. (313-14). In
generale l'immaginazione, dice, è “un potere che si avverte anche quando
50
non è presente l'oggetto”79
. L'immaginazione riproduttiva sembra questione
di avere una memoria figurativa; l'immaginazione produttiva, di avere
un'immaginazione sensoriale. Ed è l'immaginazione produttiva quella che
Kant ha in mente nel passaggio sulle idee estetiche. Ma non tutti gli esercizi
di immaginazione produttiva sono creativi; infatti, Kant nota che utilizziamo
questo genere di immaginazione anche per fantasticare quando “la vita ci
colpisce come eccessiva routine”. Ma laddove le idee estetiche, una sorta di
rappresentazione dell'immaginazione, sono coinvolte, allora c'è creatività
(315)”80
. Gaut sostiene che sebbene buona parte di questi passaggi sia
oscuro, sia chiaro tuttavia che Kant colleghi l'originalità esemplare ad un
tipo di immaginazione, senza per questo ritenere che tutti gli utilizzi
dell'immaginazione produttiva (immaginazione esperienziale nella
terminologia finora utilizzata) siano creativi. Ci sono quindi alcuni punti di
accordo tra la spiegazione di Kant e la posizione fin qui sviluppata. Ma c'è
anche qualcosa di nuovo: Kant esamina in quali circostanze
l'immaginazione è creativa e la sua risposta è in termini di quando essa
manifesta idee estetiche. Che cosa sono queste cose che inducono una
profonda riflessione ma alla quale nessun determinato concetto può
conformarsi?
Una risposta secondo Gaut può essere dedotta da alcuni degli esempi che
Kant utilizza per spiegare le idee estetiche e che suggeriscono che ciò che
Kant intende per idea estetica è la metafora. Le metafore (quelle efficaci)
inducono una profonda riflessione ma allo stesso tempo quello che dicono
non può essere completamente parafrasato da nessun linguaggio preciso e
determinato; esse coinvolgono l'utilizzo dell'immaginazione e l'originalità è
un merito della metafora nello stesso modo in cui è una virtù del genio.
Inoltre Kant ritiene che è nell'arte della poesia che il potere delle idee
estetiche può manifestarsi nel modo più pieno possibile (314) e certamente le
metafore sono presenti più esplicitamente nella poesia sebbene esistano
anche metafore visive e sensoriali.
79
Kant (1987), cit. in Gaut (2003). 80
Gaut (2003), cit. in Beaney (2005), pag 282.
51
Il collegamento kantiano tra creatività ed immaginazione nel suo
impiego nella creazione delle metafore, oltre ad essere estremamente
affascinante, fissa un'intuizione importante ovvero che la costruzione della
metafora è un paradigma dell'immaginazione creativa. Per paradigma Gaut
qui intende “qualcosa al quale possiamo fare appello per capire un
fenomeno preso in esame o un aspetto di tale fenomeno. Un paradigma in
questo senso è una nozione di tipo euristico dal momento che la sua
applicazione ci aiuta a capire meglio il fenomeno pertinente; anche la
costruzione delle metafore è un caso di immaginazione creativa"81
.
“Una metafora è un'espressione dell'immaginazione dal momento che,
quando dico metaforicamente che x è y, invito chi mi ascolta a pensare e ad
immaginare x come y. Se dico che gli uomini sono lupi invito chi mi sta a
sentire a pensare agli uomini come lupi ed il pensare a in questo caso non è
una questione di credere che gli uomini siano lupi quanto piuttosto di
immaginare gli uomini come lupi. Per porre la stessa questione in maniera
leggermente diversa, impiegando la metafora, invito il mio uditorio ad
accogliere una prospettiva lupesca sugli uomini”82
.
Oltre ad essere un esercizio di immaginazione, inventare una buona
metafora manifesta creatività poiché da origine ad un nuovo modo di
guardare o pensare. Tuttavia non sempre le metafore risultano efficaci; una
buona metafora per essere tale deve essere appropriata cioè deve sembrare
adatta al suo oggetto. Riguardo a ciò il contenuto cognitivo della metafora è
importante: se ci sono proprietà veramente possedute in comune fra due
oggetti collegati da una metafora allora la metafora si rivelerà appropriata.
La costruzione di una buona metafora dunque è segno di creatività poiché
mostra stile ed originalità e manifesta il valore dell'adeguatezza, che a sua
volta spesso si poggia su un'intuizione cognitiva. “Inoltre la prospettiva che
siamo invitati ad accogliere – dobbiamo immaginare gli uomini come lupi –
e la generazione di questa prospettiva è un caso di creatività. Poiché in una
buona metafora concetti e domini del pensiero altrimenti lontani fra loro
81
Gaut (2003), cit. il Beaney (2005), pag. 284. 82
Ibidem.
52
sono portati in intimo contatto reimpostando il familiare terreno concettuale
in un luogo apparentemente strano eppure curiosamente adeguato”83
.
La costruzione delle metafore, nell'analisi di Gaut, può essere allora
considerata un paradigma dell'immaginazione creativa poiché nelle buone
metafore un atto immaginativo accosta due domini (altrimenti diversi e
distanti) e così facendo ci invita a guardare ad un certo oggetto in una
maniera originale eppure appropriata. Come tale esso mostra in maniera
molto chiara un modo fondamentale nel quale opera la creatività attiva.
È importante sottolineare che questa asserzione è avanzata da Gaut non
come un'affermazione istitutiva che pone le basi di un collegamento
universale a priori tra la creazione di metafore e l'immaginazione creativa,
piuttosto come un'affermazione euristica su come l'immaginazione creativa-
in uno dei suoi utilizzi- possa essere fruttuosamente compresa, illuminando
così il modo in cui funziona.
Oltre ad essere un paradigma di creatività attiva, le metafore sono anche
sorprendentemente comuni in molti ambiti del pensiero creativo; è evidente
nel caso della letteratura e specialmente della poesia per esempio, tuttavia
anche in molti altri campi dell'arte. Utilizzare metafore è anche una
caratteristica significativa del nostro parlare a proposito delle opere d'arte. Il
linguaggio della critica dell'arte è fortemente metaforico; in realtà anche i
termini basilari della critica musicale, come per esempio quando si parla di
tensione e risoluzione, note alte e note basse, spazio musicale e così via,
sono metaforici. Infine le metafore sono anche di considerevole importanza
nella scienza. Molte teorie filosofiche e scientifiche sono sviluppi pratici di
metafore. La mente umana è stata concepita in modo vario nella storia:
come una specie di meccanismo idraulico (da cui alcune delle teorie
psicologiche ricavate da Cartesio e Hume), come un centralino telefonico e
più recentemente come un sistema computazionale. Talvolta questi modelli
sono stati presi alla lettera, ma spesso son stati trattati come metafore che
aiutavano a mettere a fuoco intuizioni e dal quale poteva emergere una più
83
Ibidem.
53
precisa comprensione dei fenomeni. Infine anche la scienza spesso tesse le
sue teorie da una fonte metaforica.
Sebbene Gaut ci abbia fatto notare la sorprendente frequenza delle
metafore nelle nostre pratiche creative, quello che a lui interessa dire è che
l'arte della metafora è un paradigma dell'uso creativo dell'immaginazione e
che questo non si basa sul palesarci la notevole quantità del loro utilizzo.
L'affermazione che avanza pretende di essere solo una risposta parziale alla
domanda sul modo in cui opera l'immaginazione creativa.
Gaut sostiene infine che valga la pena tornare un momento alla
discussione iniziale di Kant, che fa ricorso alle metafore quando parla delle
idee estetiche. Egli trova infatti che la sua caratterizzazione dell'idea estetica
come “una rappresentazione dell'immaginazione che induce una profonda
riflessione ma alla quale nessun determinato pensiero, sarebbe a dire, nessun
concetto (determinato), può conformarsi...”84
abbia un difetto rilevante: Il
parlare causale di Kant di induzione qui è inadeguato per caratterizzare una
buona metafora( o anzi una buona idea in generale), dal momento che anche
le cattive idee e le brutte metafore possono indurre una gran riflessione.
L'idea causale dell'induzione ed il test quantitativo della “profonda
riflessione” sono standard inadeguati al successo della creazione delle
metafore e delle buone idee in generale. Una buona metafora non tanto
induce una gran riflessione, quanto piuttosto la guida, chiedendoci di
pensare ad un oggetto in termini di qualcos'altro; ed il suo standard di
successo non è il volume di pensiero che scatena in noi, ma la qualità di
quella riflessione.”
84 Kant (1987), citato in Gaut (2003)
54
3 La teoria di Michael Beaney
3.1 Il modello connessione
Gaut giunge attraverso il suo lavoro ad alcune distinzioni fondamentali
attraverso i modelli che propone per il ruolo dell'immaginazione nella
creatività, che lo porta a sostenere, come abbiamo visto, che
l'immaginazione sia il veicolo della creatività attiva.
Tuttavia Beaney (ed io mi trovo in accordo con lui per quanto riguarda
tale osservazione), ci fa notare che in fin dei conti il ruolo che Gaut alla fine
attribuisce all'immaginazione, ossia quello di veicolo, assomiglia molto a
quello che lui ha sostenuto per l'immaginazione nella creatività passiva,
attraverso il modello visualizzazione. Il presupposto iniziale di trovare
all'immaginazione un ruolo più centrale nella creatività non verrebbe allora
raggiunto, ma anzi il ruolo di veicolo non renderebbe alla fine quella
giustizia che Gaut voleva rendere all'immaginazione. Se l'immaginazione
non è nemmeno in questo secondo modello una fonte per la creatività, allora
i due modelli si somiglierebbero molto per il ruolo che attribuiscono
all'immaginazione.
Traendo esempio dalla risoluzione dei problemi all'interno della
geometria Euclidea, Beaney ci presenta un terzo modello possibile, che si
prefiggerebbe di dare una rilevanza maggiore all'immaginazione rispetto a
quella che Gaut ha dato attraverso l'ideazione dei suoi due modelli. Ci
presenta allora un terzo modello: il modello connessione.
Scrive Beaney: "l'immaginazione potrebbe essere coinvolta nel
ricercare e nel visualizzare nuove idee, ma quello che è spesso decisivo è il
collegamento di un'idea ad un'altra"85
.
Per rendere chiaro ciò che intende sostenere, Beaney fa riferimento al
procedimento del teorema di Pitagora, nei cui passaggi nota che
85
Beaney (2005) pag. 201.
55
l'immaginazione avrebbe un ruolo nella connessione di alcuni dati,
connessione che permette di giungere ai “tre momenti d'ispirazione” che
portano alla buona riuscita del teorema di Pitagora.; “... è l'uso fatto dei
precedenti risultati che permette di trovare la soluzione”86
.
"In tutti i tre momenti d'ispirazione, ciò che è coinvolta è la
connessione. La ricerca e la visualizzazione svolgono un certo ruolo, ma la
vera creatività sembrerebbe risiedere nel fare connessioni produttive"87
.
Apparentemente potrebbe sembrare ancora un ruolo marginale quello
connettivo dell'immaginazione, tuttavia, forse proprio la connessione
potrebbe essere considerata una fonte della creatività: l'unione di determinati
elementi sarebbe ciò che conduce alla soluzione, e l'immaginazione avrebbe
qui il ruolo di unione. Questo esempio, sostiene Beaney, potrebbe mostrare
quella che era la visione di Kant, che distingueva tra due tipi di
immaginazioni: quella produttiva e quella riproduttiva.
"L'immaginazione può avere sia un ruolo riproduttivo nel richiamare e
mostrare precedenti idee o risultati, ed un ruolo produttivo o creativo, nel
selezionare e connettere alcune di queste idee o risultati"88
.
Sempre a detta di Beaney, proprio l'inadeguatezza del modello ricerca
proposto da Gaut metterebbe in luce la necessità del modello connessione.
Questo, perché l'immaginazione nel modello ricerca avrebbe il ruolo, ad
esempio nel gioco degli scacchi, di pre-selezionare un range di possibilità
dalla quale poi si può scegliere la migliore.
Questa pre-selezione, richiede allora connessione, tra tutto il bagaglio
esperienziale del giocatore (Kasparov) e la nuova situazione di gioco.
La memoria di partite e mosse passate, in tutto ciò contribuirebbe dando
l'ispirazione, ma non determinerebbe la scelta della mossa, che per essere
funzionale e creativa deve aver valore ed originalità (se fosse solo memoria,
non avrebbe l'originalità tra le sue caratteristiche).
Il modello connessione, comparato alle teorie della creatività viste nel
primo capitolo, sarebbe in linea con la teoria della ricombinazione di David
86
Ibidem. 87
Ibidem. 88
Ibidem.
56
Novitz che prevede necessariamente connessione, mentre lo sarebbe meno
con la visione di Margaret Boden che non parla di connessioni all'interno
della sua teoria degli spazi concettuali.
57
Conclusioni generali
Quando parliamo di creatività i concetti che ricorrono in quasi tutte le
definizioni riportate in questa tesi hanno a che fare con il "nuovo", "l'utile",
"le connessioni ed i rapporti tra le cose" e "le combinazioni o associazioni".
Le categorie di "nuovo" e di "utile" peraltro mettono in evidenza
soprattutto un aspetto che collega il concetto di creatività troppo
strettamente al giudizio di un determinato contesto sociale che decide cosa
sia da considerarsi creativo e cosa no.
Come abbiamo visto ad esempio nella teoria della ricombinazione di
David Novitz, a determinare ciò che viene riconosciuto come creativo è
soprattutto l'utilità o il beneficio che una determinata popolazione trae da
un'idea, da un'invenzione, o più generalmente da un prodotto creativo. Di
fronte a questa visione, che a me è sembrata appunto troppo riduttiva, si
dovrebbe provare a capire se al di là di questa dimensione connessa al
"nuovo" e all'"utile", fosse possibile trovare una base "filosofica-scientifica"
o ad ogni modo più sistematica per definire ciò che all'interno della mente
umana può essere definito atto creativo. Sono queste le motivazioni che mi
hanno spinta ad approfondire la teoria degli spazi concettuali di Margaret
Boden, della quale mi sono state particolarmente utili le distinzioni tra
creatività storica e creatività psicologica, e tra contesto della scoperta e
contesto della giustificazione, una distinzione quest'ultima che risale alla
tradizione filosofica e che da lei viene sfruttata per individuare con maggior
chiarezza lo scopo di una riflessione sulla creatività:
"ciò a cui noi dobbiamo essere interessati è l’origine delle idee creative e
non la loro valutazione; di conseguenza è il contesto della scoperta piuttosto
che quello della giustificazione quello su cui dobbiamo soffermarci e che
dobbiamo approfondire."1
1 Boden (1994), citata in Beaney (2005), pag. 243
58
Certamente una teoria filosofica oggi dovrebbe cercare di approfondire
in maniera dettagliata e specifica cosa avviene nella mente, piuttosto che
concentrarsi esclusivamente sul contesto della giustificazione e sul modo in
cui si decide a posteriori cosa giudicare come creativo e cosa no, come
appunto pare essere la strategia di Novitz. Ma, ovviamente, ci si trova di
fronte a un'enorme difficoltà tuttavia: riguardo al funzionamento della mente
umana non possediamo ancora conoscenze complete ed adeguate a trattare
un argomento di questa portata in modo dettagliato; e al contempo
l'interdipendenza tra la definizione del concetto e le teorie cui si fa
riferimento impedisce di giungere ad una definizione univoca di creatività.
Se da una parte Margaret Boden ha utilizzato il supporto della psicologia
computazionale per spiegarci la sua teoria degli spazi concettuali, dall'altro,
come Novitz ci fa notare nella parte dedicata alle sue critiche, la sua
teorizzazione è finita con l'essere, da una parte, troppo esclusiva e, dall'altra,
troppo inclusiva, al punto da non definire una visione della creatività "a
misura d'essere umano", quanto piuttosto soggetta alle ipotesi della visione
computazionale dei processi psicologici. La critica di Novitz trova riscontro
nella perplessità con cui Michael Beaney si domanda se in fin dei conti
l'interesse della Boden non fosse quello di sostenere la sua visione della
psicologia computazionale piuttosto che analizzare di per sé l'atto creativo.
Un altro limite che sembra comune ai diversi autori oggetto della mia
analisi riguarda la definizione del concetto di intuizione, a cui gli autori
trattati (Gaut, Margaret Boden e lo stesso Novitz) fanno appello nel definire
l'atto creativo. Gaut ad esempio esclude da un atto creativo tutto ciò che è
prodotto in modo meccanico e casuale, e trova nell'intuizione una delle tre
caratteristiche principali del fare creativo: ma cos'è l'intuizione? E come
viene spiegata all'interno di una teoria filosofica?
Quando poi parliamo di casualità nel contesto creativo, il discorso di fa
più complesso, perché vi sono casi che rispecchiano chiaramente l'aspetto
del tutto casuale della scoperta creativa e altri meno. Abbiamo visto ad
esempio che Charles Goodyear fece la sua scoperta in modo del tutto
59
casuale: la caduta accidentale di parte del composto con cui stava lavorando,
sopra una superficie calda, diede origine alla sua scoperta della
vulcanizzazione della gomma. Tuttavia vi sono anche casi più difficili da
definire come "casuali", e questo porta a un interrogativo più generale
rispetto ai processi mentali: all'interno dei processi della mente, cosa può
essere definito casuale e cosa invece intenzionale? E questo solleva un altro
dubbio, ovvero: la creatività è solo contenuta nel prodotto creato o può
essere interna alla mente di chi osserva il prodotto e ne riconosce
determinati significati (magari anche laddove non appartengano al prodotto
creato)?
Queste domande portano a ricollegarmi all'osservazione fatta sopra sui
limiti della nostra conoscenza del funzionamento della mente umana. E'
certamente questa scarsa conoscenza ciò da cui dipende la difficoltà di
trovare una visione filosofico-scientifica adeguata della creatività, con la
conseguenza di una certa soggettività e fugacità/labilità intorno al problema
stesso.
Quanto alla ricerca di una relazione tra immaginazione e creatività,
abbiamo visto con Gaut che benché non tutti i casi di creatività abbiano a
che fare con l'immaginazione, il loro collegamento tradizionale è corretto.
Il resoconto di Gaut è a mio parere esaustivo e non ritengo di aver
osservazioni a tale riguardo oltre a quelle espresse affiancandomi a Beaney
per quanto riguarda la somiglianza dei due modelli (Search Model e Display
model).Comunque la relazione è molto più complessa di quanto
inizialmente possa apparire e rimane ancora molto da approfondire ed
imparare.
Torno ora all'introduzione di questa tesi ricordando che avevo lasciato
in sospeso la ragione fondamentale che ha mosso questa mia ricerca.
Durante questi tre anni di studi filosofici sono sorte in me numerose
domande, in particolare ho cominciato a chiedermi se esistesse una facoltà
mentale specifica alla base del pensiero filosofico ed artistico.
60
Dopo una lunga riflessione sono giunta a pensare o meglio a supporre,
che questa potesse essere la facoltà creativa. Oltre alla necessità di trovare
conferma a questa mia supposizione, con la mia ricerca avrei voluto trovare
argomenti per dimostrare che la creatività può essere considerata elemento
fondante della mente umana, così come sostenuto ad esempio da Chomsky
che parla di "creatività" per riferirsi alla capacità della mente di produrre
infinte frasi diverse a partire da un numero finito di elementi. Questa visione
è peraltro limitata a una definizione di "creatività" molto restrittiva, e il mio
scopo era verificare se fosse possibile dare una definizione ben più ampia
del concetto di creatività. Come già premesso nell'introduzione, l'obiettivo
di questa tesi è stato poi ridimensionato.
Ma la domanda rimane aperta: potrà mai la creatività essere studiata in
quanto elemento fondante della mente umana?
Bibliografia
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Walton Hall, Milton Keynes.
Boden Margaret A., (1991), The creative Mind: Myths and Mechanism,
basic books, New York.
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durante il Festival della Mente di Sarzana (2004)
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avventure del più eccentrico tra gli scienziati moderni), Dalai Editore,
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della ragione pura (a cura di Anna Maria Marietti), Biblioteca universale
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cura di Pier Francesco Galli ), Piccola Biblioteca Einaudi, Torino.
Sitografia
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http://www.oxfordreference.com
http://plato.stanford.edu
https://it.wikipedia.org
Data dell’ultimo accesso alle URL citate: 20/06/2013
63
Ringraziamenti
Desidero ringraziare in primo luogo la professoressa Maria Luisa
Montecucco, relatrice di questa tesi, che mi ha sostenuto e seguito con
molta disponibilità nelle diverse difficoltà incontrate durante la
preparazione di questo piccolo lavoro. Un ringraziamento va poi al
professor Carlo Penco che si è reso estremamente disponibile ogni momento
in cui ho avuto perplessità ed ho richiesto il suo supporto. Mi ha inoltre
aiutato nell’orientamento alla scelta del materiale con il quale ho avviato
questa tesi.
Un ringraziamento particolare va inoltre ai miei genitori senza i quali
probabilmente non sarebbe stato possibile il mio percorso universitario.
Ringrazio infine tutti coloro che hanno contribuito con la loro preziosa
presenza alla stesura di questo lavoro e che mi sono stati vicini.