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Estratto COSTANTINO I ENCICLOPEDIA COSTANTINIANA SULLA FIGURA E L’IMMAGINE DELL’IMPERATORE DEL COSIDDETTO EDITTO DI MILANO 313-2013 volume secondo isbn 978-88-12-00171-2 ISTITVTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI ROMA 2013 costantiniana III copertina estratto.qxp:Impaginato 2a prova.qxp 18-06-2013 16:51 Pagina 1
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Costantino nelle fonti arabe

Jan 11, 2023

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Page 1: Costantino nelle fonti arabe

Estratto

COSTANTINO IENCICLOPEDIA COSTANTINIANA

SULLA FIGURA E L’IMMAGINEDELL’IMPERATORE

DEL COSIDDETTO EDITTO DI MILANO313-2013

volume secondo

isbn 978-88-12-00171-2

ISTITVTO DELLA

ENCICLOPEDIA ITALIANAFONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

ROMA 2013

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Sommario: Visioni arabe della nascita dell’Imperocristiano ▭ «Lo stratagemma di Costantino»: unaconversione politica? ▭ Un modello positivo:Costantino nel Kitāb Hurūšiyūš ▭ Costantino ‘inno-vatore’ nella controversia islamocristiana: il casodella Lettera cipriota di Ibn Taymiyya ▭ Costan-tino il Santo sepolcro nell’opera di Ibn Ḫaldūn ▭Una Costantinopoli romana, una Roma costanti-nopolitana: la prima e la seconda Roma nelle descri-zioni dei geografi arabi

Gli storici arabi medievali condividono con i loro colleghi bizantini il punto di vista secondo cui, nella secolare vicenda dell’Impero romano, il regno di Costantino segna il passaggio dalla storia antica a una storia nuova: dall’epoca dei mulūk al-Rūm ‒ «gli imperatori romani» ‒ si passa a quella dei mulūk al-Rūm al-mutanaṣṣir ah ‒ «gli imperatori romani convertiti al cristianesimo», con i quali gli arabi avranno a che fare fino alle soglie dell’e-poca moderna. È dunque comprensibile che la figura di Costantino, primo sovrano cristiano e fondatore di quella Costantinopoli che fu per secoli l’obiettivo principale delle campagne militari musulmane contro l’impero bizantino, assuma nelle fonti arabe un notevole rilievo, divenendo in qualche modo il simbolo del grande Impero nemico dell’islam e il perno della riflessione musulmana sulla storia, sulla politica, sulla religione e sulla cultura dei Rūm (così sono chiamati romani e bizantini nelle fonti islamiche)1. Nelle opere storiche musulmane il confronto con cristianesimo e giudaismo è un tema ricorrente della narrazione sugli imperatori romani; si può anzi affermare che per molti autori arabi la storia dell’antica Roma acquisti senso solo quando essa entra in contatto con le due grandi religioni mono-teiste. Appare, infatti, evidente come la grande mag-gioranza di costoro si soffermi quasi esclusivamente

sugli imperatori la cui attività abbia influito sullequestioni religiose, mentre degli altri si limita a for-nire nome e anno di regno: così sono ad esempioricordate la nascita di Cristo sotto Augusto, la presadi Gerusalemme da parte dei Flavi, la rivolta giu-daica sotto Adriano, e poco altro. Ovviamente, intale scelta gli storici arabi sono in parte condizionatidalle loro fonti – soprattutto cronache siriache –, cheriportano principalmente proprio questo tipo dinotizie, ma è chiaro che essi aderiscono profonda-mente all’organizzazione selettiva del sapere sto-rico operata dai testi ai quali attingono: in effetti,per gli storici islamici la dialettica fra potere romano,giudaismo e cristianesimo non è altro che una tappaverso quel cammino di salvezza che troverà il suoculmine nell’affermazione dell’islam. Di conse-guenza, la vicenda dell’Impero cristiano tende aidentificarsi con quella della Chiesa e dei suoi con-cili ecumenici, e la storia di Roma e di Bisanzioviene ad assumere le fattezze di un’impalcatura sucui si dispongono gli eventi-chiave della storia dellasalvezza (ascensione di Cristo, persecuzione dei cri-stiani, martirio degli apostoli, etc.). In quest’otticariveste appunto particolare importanza la figura diCostantino, l’imperatore che abbandonò ufficial-mente la ‘religione dei sabei’2, cioè i culti pagani,per aderire al cristianesimo; si vedrà però che nontutti gli storici musulmani accetteranno senza di -scutere la vulgata sulla sua conversione.

Visioni arabe della nascita dell’Imperocristiano

Il primo storico arabo a tracciare un profilo bio-grafico di Costantino è Ya‘qūbī (morto prima del905 d.C.), autore della più antica storia universaleislamica pervenutaci, nella quale è dato ampio spa-zio agli aspetti culturali che caratterizzano le civiltà

Marco Di Branco

L’immagine di Costantino nelle fonti arabe Il primo imperatore cristiano nello specchio dell’islam

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preislamiche3. Ya‘qūbī ricorda come Costantino siallontanasse dalle dottrine greche per quelle cri-stiane, muovendo per questo guerra ai suoi consan-guinei, e dà ampli ragguagli ‒ i primi di tutta la let-teratura araba ‒ sul sogno dell’imperatore alla vigiliadella battaglia di ponte Milvio e sulla convocazionedel concilio di Nicea:

Il primo che regnò tra i re dei Rūm e si allon-tanò dalle dottrine greche per quelle cristiane fuCostantino; e fu per questo che egli mosse guerracontro dei consanguinei e vide in sogno come sedei giavellotti scendessero dal cielo con su di essidelle croci, e quando si svegliò portò sulla sualancia le croci, e guerreggiò e vinse, e questa fula causa della sua conversione; e sostenne la reli-gione della cristianità e edificò le chiese e riunìi vescovi da tutti i paesi per organizzare la reli-gione della cristianità. E ci fu la loro prima adu-nanza, e si riunirono a Nicea trecentodiciottovescovi e quattro patriarchi: il patriarca di Ales-sandria, il patriarca di Roma, il patriarca di Antio-chia e il patriarca di Costantinopoli; e il motivoper cui Costantino li convocò fu che, quandoegli si convertì e il cristianesimo prese stanza nelsuo cuore, volle fare ricerche e conoscere e com-prendere le dottrine dei suoi adepti; e reperì tre-dici articoli, e fra questi una sentenza che dicevache il Messia e sua madre erano due dei; e un’al-tra che diceva che egli deriva dal Padre come lafiamma di un fuoco si separa dalla fiamma di unfuoco e che la prima non subisce diminuzioneper il distacco dalla seconda; e un’altra sentenzadiceva che egli era diventato Dio; e un’altra dicevache egli era il suo servo; e un’altra diceva che ilsuo corpo umano era una visione, come Matteoe i suoi compagni; un’altra diceva che egli era laParola; un’altra che egli era il Figlio, e un’altrache era Spirito eterno; un’altra diceva che era ilfiglio di Giuseppe, e un’altra che era profeta trai profeti, e un’altra diceva che era di natura divinae di natura umana. Costantino riunì trecentodi-ciotto vescovi e quattro patriarchi, e non ce n’e-rano altri in quell’epoca. E il patriarca di Ales-sandria diceva che il Messia era divino e creato;e quando si riunirono rifletterono su ciò e fu sta-bilita tutta la dottrina della nazione: afferma-rono che il Messia è figlio del Padre prima dellaCreazione, ed egli è della natura del Padre e nonmenzionarono lo Spirito Santo e non attestaronoche esso fosse creatore e non creato; e tuttaviarichiamarono l’attenzione sul fatto che il Padreè Dio e che il figlio è Dio da lui, e andarono viada Nicea. Costantino regnò cinquantacinqueanni4.

L’interesse di Ya‘qūbī per la figura di Costan-tino è tutto connesso alla sua attività religiosa e aiproblemi legati al concilio (d’altra parte, quelle sullevicende conciliari saranno le uniche informazionifornite dall’autore a proposito degli imperatori cri-stiani fino a Eraclio), al punto che egli ‘dimentica’persino di accennare alla fondazione di Costantino-poli. Al contrario, Ṭabarī, l’‘imām’ della storiogra-fia universale musulmana5, assai diffidente verso leculture non islamiche, dedica a Costantino solo pocherighe della sua cronaca, ma la creazione della nuovacapitale imperiale è la prima notizia a essere consi-derata degna di menzione6, seguita da quelle dellasua conversione al cristianesimo, della cacciata degliisraeliti dalla Palestina e dell’inventio crucis:

Costantinopoli […] fu fondata dall’imperatoreCostantino, il primo ad abbracciare la Cristia-nità. Egli bandì gli israeliti che restavano dallaPalestina e dalla Giordania, perché – comediceva – costoro avevano ucciso Gesù. Costan-tino trovò la croce lignea sulla quale essi crede-vano che Cristo fosse stato crocifisso, e di con-seguenza i Romani la venerarono e la collocaronofra i loro tesori, dove rimane fino a oggi7.

Uno dei racconti più estesi sulle imprese diCostantino conservato dalla tradizione arabo-isla-mica è quello di Mas‘ūdī, l’‘Erodoto degli Arabi’, ilprincipale rappresentante della nuova storiografiadell’età abbaside, secolarizzata e aperta alle altre cul-ture, autore dei Murūǧ al-ḏahab wa ma‘ādin al-ǧawhar (I prati d’oro e le miniere di gemme), vera epropria ‘enciclopedia’ storico-geografica dedicataalla storia dei popoli conosciuti. Scrive dunqueMas‘ūdī:

Dopo la morte di Diocleziano, Roma ebbe persovrano Costantino, che adorava gli idoli. Costan-tino fu il primo dei re romani a trasportare la suaresidenza da Roma a Bisanzio, cioè a Costanti-nopoli. Egli costruì questa città e le diede il suoproprio nome, fino a oggi. Mentre fondavaCostantinopoli, temendo l’attacco di un re per-siano della razza di Sāsān, entrò in relazioni conalcuni capi dei Burǧān, relazioni delle qualisarebbe interessante parlare. Era sul trono da unanno, quando abbandonò la città di Roma eabbracciò il cristianesimo. Nel settimo anno delsuo regno, Elena, sua madre, visitò la Siria, vifondò molte chiese, poi si recò a Gerusalemme,e cercò la trave sulla quale, secondo la credenzadei cristiani, sarebbe stato crocifisso il Messia.Quando la ebbe in suo possesso, ella la coprì diornamenti d’oro e d’argento e consacrò questascoperta con una festa chiamata festa della

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Croce, che cade il quattordici di settembre. Èin questo giorno che in Egitto ha luogo l’aper-tura delle chiuse e dei canali, cosa di cui parle-remo più oltre, nel capitolo dedicato alla descri-zione dell’Egitto. La stessa regina costruì a Emesa la chiesa suquattro pilastri che è una delle più meravigliosecostruzioni del mondo; essa esumò le ricchezzee i tesori nascosti in Egitto e in Siria per fon-dare chiese e consolidare la religione cristiana.Così, tutte le chiese di Siria, d’Egitto e del paesedi Rūm devono la loro origine a questa reginaElena, madre di Costantino, e si trova il suonome tracciato sulla croce in ogni chiesa da leicostruita. La lettera hā non esiste nell’alfabetogreco, e il nome di Hilānī [Elena] è compostoda cinque lettere: la prima è inflessa, e il suovalore numerico è cinque; la seconda lettera èun lām, e vale trenta; la terza, essendo un’altraā inflessa, vale cinque; la quarta, che è un nūn,vale cinquanta, e la quinta, che è un yā, valedieci, e la somma di tutto ciò fa cento. Ecco laforma della parola che, nell’alfabeto greco, rap-presenta il numero cento. Il diciannovesimo anno del regno di Costan-tino, figlio di Elena, fu illustrato da un’assem-blea di trecentodiciotto vescovi che si riunironoa Nicea nel paese dei Rūm, per deliberarvi sulledottrine cristiane. Si trattò della prima delle seigrandi assemblee delle quali i Rūm fanno men-zione nelle loro preghiere, e che chiamanocanoni; la parola che, in greco, designa questeassemblee è ‘sinodo’. La prima, quella di Nicea,formata dal numero di vescovi che abbiamoindicato, fu diretta contro Ario; le sue decisionisono unanimemente accettate dai cristiani, siamelkiti sia orientali […], che […] il popolochiama nestoriani; i giacobiti ammettono ugual-mente questo primo sinodo. Il secondo, in cuifu condannato Macedonio, ebbe luogo a Costan-tinopoli, e cinquecento vescovi vi assistettero.Il terzo, composto da duecento persone, futenuto a Efeso; il quarto, composto da seicen-tosessanta persone, a Calcedonia. Il quintosinodo, con centosessanta partecipanti, ebbeluogo a Costantinopoli, e il sesto, con duecen-tottantanove partecipanti, nella medesima città.Più oltre, fornendo la successione dei re di Rūm,torneremo su questi sinodi e segnaleremo lecause che assicurarono il trionfo del cristiane-simo sul culto degli idoli e delle immagini. Ecco in quali circostanze Costantino decise diadottare la fede cristiana. Egli faceva la guerraai Burǧān o ad altri popoli, e la fortuna dellearmi, indecisa per un anno, aveva finito per

dichiararsi contro di lui. Una gran parte dellasua armata era perita, ed egli temeva una di sfattacompleta, quando vide in sogno discendere dalcielo delle lance ornate di pezzi di stoffa e didrappi e sormontate da croci, le une in oro, lealtre in argento, in ferro, in rame e ornate di ognisorta di pietre preziose. Nello stesso tempo, unavoce gli gridava: «Prendi queste lance e attaccai tuoi nemici: sarai vincitore». Nel suo sogno eglidirigeva queste armi contro il nemico e, grazieall’aiuto che gli era dato, lo metteva in rotta e locostringeva a fuggire. Al suo risveglio, Costan-tino ordinò di porre in cima a molte lance il segnoche aveva visto in sogno, e le fece portare in testaalla sua armata; poi egli attaccò l’armata nemica,la mise in rotta e la massacrò. Ritornò allora aNicea e si informò presso persone assai istruitese simili croci esistessero in una qualsiasi reli-gione o setta. Fu reso edotto del fatto che la settache aveva adottato questo segno si riuniva aGerusalemme in Siria, e lo si mise al correntedelle persecuzioni di cui i cristiani erano stativittime sotto i re suoi predecessori. Immedia-tamente egli inviò ambasciatori in Siria e a Geru-salemme; convocò trecentodiciotto vescovi chelo raggiunsero a Nicea, dove si trovava: raccontòloro ciò che gli era accaduto e fu iniziato da quellialla conoscenza della religione cristiana. Questofu lo scopo del primo sinodo, o, come abbiamoappena spiegato, della prima assemblea. Altricredono che Elena, sua madre, avesse già abbrac-ciato il cristianesimo, ma che lei nascondesse lasua fede al figlio fino all’epoca in cui egli ebbequesto sogno. Costantino morì dopo un regno di trentun anni,o, secondo un’altra versione, di venticinque annisoltanto8.

Da questa lunga e dettagliata narrazione diMas‘ūdī, non esente da errori e imprecisioni (adesempio, secondo l’autore, il sogno di Costantinosarebbe avvenuto nel corso della sua campagna con-tro i «Burǧān», cioè – probabilmente – i franchi o igoti9, mentre, come si è visto, già Ya‘qūbī sa cheesso si verificò al tempo in cui Costantino muovevaguerra a «consanguinei», cioè a Massenzio, anch’e-gli appartenente alla stirpe dei Rūm), emerge un’im-magine di Costantino piuttosto positiva. Neppurel’impulso dato dall’imperatore e da sua madre alculto della croce (vero e proprio obbrobrio per unmusulmano ortodosso) suscita il minimo accennopolemico10; e tuttavia è proprio alla fine del profilocostantiniano che l’autore colloca una durissimarequisitoria contro la religione cristiana, responsa-bile della distruzione dell’antica scienza dei greci:

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Dal tempo degli antichi greci e durante i primianni dell’impero bizantino la scienza non cessòdi svilupparsi e di ingrandirsi. I saggi e i filo-sofi, colmati di testimonianze di rispetto e diconsiderazione, applicarono le loro ricerche allescienze fisiche, allo studio dei corpi, della ragione,dell’anima, come anche al quadrivium, compren-dente l’aritmetica, che è la scienza dei numeri;la geometria, che è la scienza delle superfici, cioèla handasa; l’astronomia, o scienza dei corpi cele-sti, e la musica, che è l’arte di strutturare i suoni.Le scienze erano in onore e godevano di un cre-dito universale; assise su delle basi solide e gran-diose, esse si elevavano ogni giorno di più,quando la religione cristiana fece la sua appari-zione presso i Rūm; ci fu allora un colpo fataleper l’edificio scientifico: le sue vestigia dispar-vero e le sue vie si cancellarono. Tutto ciò chegli antichi greci avevano messo in luce svanì ele scoperte dovute al genio antico si alterarono11.

Lo stesso concetto, sia pure con sfumature leg-germente diverse, è presente in un brano del poli-grafo Ǧāḥīẓ, dove si afferma la falsità dell’identi-ficazione dei bizantini con gli antichi greci, escogitatadai bizantini per servire ai loro scopi:

Se soltanto la gente comune avesse saputo chei cristiani e i bizantini non possiedono né saperené chiarezza, né profondità di pensiero, ma sonosemplicemente abili con le mani nel tornire illegno, nei lavori di carpenteria, nelle arti pla-stiche, nella tessitura del broccato di seta, allorali avrebbe radiati dalle file dei letterati ed estro-messi dalla lista dei filosofi e dei saggi, perchéopere come l’Organon, il De generatione et cor-ruptione, la Meteorologia sono state scritte daAristotele, ed egli non era né bizantino né cri-stiano; l’Almagesto è stato scritto da Tolomeo,ed egli non era né bizantino né cristiano; gli Ele-menti sono stati scritti da Euclide, ed egli nonera né bizantino né cristiano; i testi medici sonostati scritti da Galeno, che non era né bizantinoné cristiano; lo stesso vale per le opere di Demo-crito, di Ippocrate, di Platone e così via. Tuttiquesti sono uomini di un’unica nazione; essisono morti, ma le tracce delle loro menti vivonoancora: essi sono i greci. La loro religione eradifferente da quella dei bizantini e la loro cul-tura era differente da quella dei bizantini. Essierano scienziati, mentre questi sono artigianiche si sono appropriati delle opere dei greci acausa della vicinanza geografica. Essi si attri-buiscono alcuni di questi libri, mentre altri lihanno adattati alla loro religione, a eccezione

di quei libri greci che erano troppo famosi e deitesti filosofici che erano troppo ben conosciuti.Incapaci, poi, di cambiare i nomi di questi testi,essi affermarono che i greci non erano che unadelle tribù bizantine. Essi utilizzarono le lorocredenze religiose per vantare superiorità neiconfronti degli ebrei, per mostrare arroganzaverso gli arabi e spocchia verso gli indiani, alpunto che essi in realtà dichiararono che i nostrisaggi erano seguaci dei loro, e che i nostri filo-sofi hanno seguito il loro esempio. E questo èquanto12.

Come ha scritto Dimitri Gutas, «la retorica anti-bizantina e filellenica si propagò rapidamente tragli intellettuali [...], si intensificò, divenne più spe-cifica e raggiunse una maggiore sottigliezza»13. Ciòsembra indicare che i promotori del ‘movimento ditraduzione’, coordinato dai califfi abbasidi al finedi rendere disponibile in arabo quasi tutta la lette-ratura scientifica e filosofica greca, la trovaronoestremamente vantaggiosa per la loro causa; a unlivello più generale, si può senz’altro affermare cheil topos della decadenza della scienza greca provo-cato dall’avvento del cristianesimo fu largamenteaccettato come un fatto storico nella cultura abba-side, venendo a integrare la celebre tradizione arabasul trasferimento del pensiero scientifico e filoso-fico da Alessandria a Baghdad (riportata per esem-pio da al-Fārābī), che mirava a presentare la soprav-vivenza della cultura greca sotto il patrociniodell’islam come l’effetto dell’abbandono di Ales-sandria, decaduta e dominata dal cristianesimo, pre-sentato come barbaro e oscurantista14.

La polemica di Mas‘ūdī, non certo casuale, nonè però diretta esplicitamente contro la persona diCostantino: sembra quasi che l’autore ‒ come anchegli altri storici universali prima e dopo di lui ‒ mostriun certo ritegno nel criticare apertamente l’impe-ratore che guidò i Rūm fuori dalle secche del paga-nesimo, facendoli approdare al culto dell’unico Dio.E tuttavia alcuni indizi mostrano chiaramente cheil mondo islamico medievale ha conosciuto ancheuna tradizione esplicitamente anticostantiniana: lostesso Mas‘ūdī, nel Kitāb al-tanbīh wa ’l-išrāf (Librodell’avviso e della revisione), oltre a contestare lacommunis opinio di una conversione di Costantinosin dal momento della sua conquista del potere, ead affermare che essa avvenne invece molto piùtardi15, riporta in proposito due versioni alternativerispetto al classico racconto del sogno, tutte incen-trate sul tema della lebbra. Secondo l’autore, infatti,«molti pagani» avrebbero spiegato l’abbandono deiculti pagani e l’adesione al cristianesimo da partedell’imperatore con il fatto che quest’ultimo sarebbe

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stato colpito da una grave forma di lebbra: poichéi suoi correligionari volevano deporlo, con il pre-testo che i princìpi della loro religione e della lorolegge negavano a un lebbroso la possibilità diregnare, Costantino si sarebbe allora rivolto ai cri-stiani, chiedendone l’aiuto e il sostegno, e ne avrebbeabbracciato la fede, dalla quale i lebbrosi non veni-vano discriminati; per «altri pagani», invece, l’im-peratore avrebbe tenuta nascosta la sua malattia,rivelandola solo a un suo ministro criptocristiano:costui, dopo averlo aiutato contro i nemici che vole-vano deporlo e avergli dimostrato l’inutilità dei cultie delle divinità pagane, lo avrebbe infine convintoa convertirsi alla fede cristiana16.

Le due versioni riferite da Mas‘ûdî sono evi-dentemente una variante del celebre racconto dellavicenda di Costantino lebbroso guarito da papa Sil-vestro attraverso il battesimo che si ritrova nei cosid-detti Actus Sylvestri, un’opera di probabile originesiro-palestinese nota in più versioni (siriaca, greca,armena, latina), che hanno conosciuto nell’età tar-doantica e in quella medievale un’ampia diffusione– testimoniata da oltre quattrocento codici – e unastraordinaria fortuna come testo di riferimento peri compilatori medievali e umanistici17. Il periodoin cui gli Actus Sylvestri prendono forma (intornoalla metà del V secolo d.C.) vede crescere l’oppo-sizione alla politica religiosa inaugurata da Costan-tino: l’esempio più eclatante di tale ostilità (che pro-babilmente emergeva già nella perduta opera storicadi Eunapio) è rappresentato dalla Storia nuova diZosimo18, nella quale si sostiene apertamente unnesso consequenziale tra l’abbandono dei culti tra-dizionali a favore della religione cristiana e il saccoalariciano di Roma, e si accusa Costantino di averassassinato il figlio Crispo e la moglie Fausta, cer-cando poi la purificazione dalle sue colpe nei riticristiani19. Contro le rinnovate argomentazionipagane polemizzano gli Actus Sylvestri, che neannullano l’elemento più negativo – l’uccisione delfiglio e della moglie dell’imperatore come causadeterminante della conversione – e, facendo ricorsoa un tema narrativo forse già noto, presentanoCostantino afflitto dalla lebbra, dalla quale egli tentadi guarire attraverso il lavacro battesimale. Le dueversioni di Mas‘ūdī tuttavia non collimano conquella degli Actus Sylvestri (che pure, come provaun’omelia di Giacomo di Sarūǧ, era diffusa inambito siriaco sin dagli ultimi anni del V secolo d.C.e che ritroviamo nel Chronicon Pseudo-Dionysianume nell’opera di Agapio), e anzi, insistendo sul carat-tere utilitaristico della conversione dell’imperatore,ne sembrano davvero – come d’altra parte sostienelo stesso autore – delle varianti ‘pagane’: non è daescludere che Mas‘ūdī, che aveva una notevole

dimestichezza con i ‘sabei’ di Ḥarrān, possa in qual-che modo aver recuperato elementi di tradizionianticostantiniane circolanti in tali ambienti20.

«Lo stratagemma di Costantino»: una conversione politica?

Ma la prova definitiva dell’esistenza di una cor-rente storiografica islamica ostile a Costantino,probabilmente connessa al periodico riacutizzarsidi tensioni politiche, religiose e militari con Bisan-zio, è costituita da un passo notevolissimo del filo-sofo e storiografo Miskawayh, che sembra quasianticipare il ‘revisionismo’ umanistico di JohannLöwenklau:

Costantino era ormai vecchio ed era divenutomalvagio; i Rūm volevano destituirlo e gli chie-sero di abbandonare il potere. Egli allora con-vocò i consiglieri, ed essi gli dissero di usarel’astuzia. In quel tempo era comparso il cristia-nesimo, che tuttavia era ancora clandestino. Iconsiglieri lo esortarono a farsi cristiano, inmodo da ottenere il consenso dei cristiani. Lagente, quando combatte per una religione, vincesempre. Costantino fece ciò, ed ebbe la megliosui Rūm: costruì chiese e spinse il popolo adabbracciare il cristianesimo; spostò la capitaleda Roma a Costantinopoli e il suo regno fu pro-tetto dal cristianesimo. Così, conquistò anchela Siria, finché non apparve l’islam21.

In questo brano riecheggiano vistosamentemotivi zosimiani, quali l’insistenza sull’impopola-rità di Costantino, la sua rappresentazione qualetiranno, l’idea della conversione dell’imperatorecome astuto stratagemma politico e la considera-zione della religione cristiana come mero instru-mentum regni, ma tali motivi sono probabilmenterecuperati per altre vie rispetto al testo di Zosimo,cioè appunto per un tramite ‘sabeo’ e – se si tienepresente la spiccata connotazione filopersiana diMiskawayh – forse anche attraverso la tradizionesasanide, che del primo imperatore cristiano nondoveva certo conservare un’immagine migliore diquella ‒ estremamente negativa ‒ di AlessandroMagno22.

Infine, il tema della conversione ‘utilitaristica’di Costantino è ben presente nei testi degli esegeticoranici (mufassirūn), che lo utilizzano per sostenerela classica teoria islamica dell’alterazione dell’au-tentico messaggio di Gesù da parte dei cristiani: adesempio, autori come ‘Abd al-Ǧabbār o Ibn Kaṯīrindividuano proprio Costantino e i padri del conci-lio di Nicea come i responsabili dello «spregevole

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tradimento in base al quale la religione di Cristo fucambiata»23, con l’aggiunta di tutti quegli elementi(culto della croce, abolizione dei tabù alimentari,istituzione di nuovi giorni festivi, corruzione delleSacre Scritture) che costituivano motivo di scan-dalo per i musulmani.

Un modello positivo: Costantino nel Kitāb Hurūšiyūš

Una delle più importanti opere storiche arabededicate alla storia greco-romana è senza dubbio ilcosiddetto Kitāb Hurūšiyūš (Libro di Orosio), tra-duzione araba delle Historiae adversus paganos diPaolo Orosio eseguita a Cordoba nel X secolo d.C.La sua esistenza era già nota agli studiosi occiden-tali fin dal XIX secolo soprattutto grazie alle infor-mazioni in merito offerte dalle fonti arabe24, ma lascoperta del testo avvenne solo all’inizio degli anniTrenta del secolo successivo. A far conoscere ilKitāb Hurūšiyūš agli studiosi di tutto il mondo fuGiorgio Levi Della Vida, che pubblicò un lungosaggio (ancora oggi fondamentale sia dal punto divista dei contenuti sia da quello metodologico) con-sacrato appunto alla versione araba delle storie diOrosio25.

In generale, il Kitāb Hurūšiyūš segue la narra-zione orosiana, integrandola con aggiunte tratte daaltre fonti, che tuttavia non alterano in manierasignificativa la struttura del racconto dello storicolatino. Una delle principali eccezioni a tale ‘regola’è costituita dal capitolo dedicato a Costantino:

Costantino, figlio di Costanzo, era pagano edera duro verso i cristiani. Egli esiliò il patriarcadi Roma, che fece un’invocazione contro di lui,ed egli fu colto dalla lebbra. Per la sua guari-gione, gli prescrissero di immergersi nel san-gue di fanciulli. Egli ne riunì un gran numero,ma, colto da pietà, li rilasciò. Fece poi un sogno,nel quale era invitato a seguire l’esempio delpatriarca; così, lo fece tornare a Roma, e guarìdalla lebbra. Da allora, si avvicinò alla fede cri-stiana. Temendo l’opposizione dei suoi, partìper Costantinopoli, vi si stabilì, vi costruì variedifici e professò pubblicamente la religione delMessia. Dovette allora affrontare l’opposizionedegli abitanti di Roma. Rientrò in questa città,sottomise i suoi abitanti e professò pubblica-mente la fede cristiana. In seguito, combattécontro i persiani e sottrasse loro molte province.Nel ventesimo anno del suo regno, una bandadi goti invase il suo paese, devastandolo e pren-dendo molti prigionieri. Egli marciò contro di

loro e li cacciò fuori dal paese. Poi vide in sognodei carri e degli stendardi su dei crocifissi. Unavoce diceva: «Questo è il segno della tua vitto-ria». Sua madre Elena andò a Gerusalemme,alla ricerca delle vestigia del Messia. Poi se neritornò, dopo aver costruito delle chiese indiversi paesi. Costantino morì trentun anni dopol’inizio del suo regno26.

Come Mas‘ūdī, anche i compilatori del KitābHurūšiyūš utilizzano la tradizione degli Actus Sylve-stri; tuttavia, mentre Mas‘ūdī decontestualizza glielementi tratti dagli Actus per creare un’immaginenegativa del primo imperatore cristiano, al contra-rio nel Kitāb Hurūšiyūš la leggenda di Silvestrotorna a essere funzionale a fare di Costantino unpersonaggio sostanzialmente positivo. Emerge quiil diverso atteggiamento nei confronti del mondobizantino degli intellettuali andalusi del X secolod.C. rispetto ai loro colleghi della pars orientaledell’impero islamico: i primi, che considerano l’Im-pero di Bisanzio come un possibile alleato e unimportante interlocutore culturale, sembrano volerevitare polemiche non strettamente necessarie conla tradizione cristiana; i secondi, per i quali Costan-tinopoli è anche e soprattutto la capitale di unoStato nemico, enfatizzano i contrasti e non rifug-gono da un approccio fortemente critico nei con-fronti della religione, della storia e della culturadei loro avversari. D’altra parte, la vicenda dellatraduzione delle Historiae adversus paganos, allaquale, come ci dicono le fonti, lavorarono fianco afianco il giudice dei cristiani di Cordoba e duemusulmani che traducevano per i califfi dell’islam,non sarebbe stata concepibile in un luogo diversodall’Andalusia umayyade: solo un simile contestopoteva infatti permettere una ricostruzione del pas-sato condivisa dalle due principali comunità reli-giose della Spagna, una storia vista in una prospet-tiva islamocristiana. La perdita dell’ultima partedel Kitāb Hurūšiyūš, che narrava gli eventi dellaconquista islamica, è tanto più dolorosa in quantoci priva della possibilità di verificare come que-st’ultima venisse a inquadrarsi nell’ambito di taleprospettiva.

Costantino ‘innovatore’ nella controversiaislamocristiana: il caso della Lettera cipriotadi Ibn Taymiyya

Le controversie religiose costituiscono, sin dal-l’VIII secolo d.C., un genere letterario assai dif-fuso sia in ambito cristiano sia in campo islamico.L’impianto dialogico di tali testi, dal chiaro intento

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propagandistico e apologetico, lungi dal costituireuna prova di tolleranza e apertura si rivela imman-cabilmente funzionale all’affermazione della veritàdella propria religione e della falsità della fede altrui.Non sfugge a questo stereotipo la Lettera cipriota(Al-risāla al-qubruṣiyya) di Taqī al-Dīn AḥmadIbn Taymiyya, uno dei più grandi pensatori del-l’islam sunnita, composta intorno al 1304 d.C. L’e-pistola, indirizzata a un sovrano dell’isola (forse ilgran maestro dell’Ordine degli Ospitalieri Guil-laume Villaret), chiedeva con estrema fermezza untrattamento umano per i detenuti, e possibilmentela loro liberazione – giungendo a minacciare la ven-detta contro i colpevoli di abusi nei confronti deimusulmani –, ma soprattutto impartiva una dottalezione di religioni comparate tesa a dimostrare lasuperiorità dell’islam sul cristianesimo27. In talelezione, un posto importante era occupato dall’at-tacco ai luoghi santi e alla figura di Costantino:

I monaci hanno inventato per la massa varieastuzie e sotterfugi, cosa che è evidente a ogniindividuo dotato di intelligenza: è per questoche autori importanti hanno composto dei librisui sotterfugi dei monaci. Ad esempio, il fuocoche era fabbricato ad arte alla Qumāma28: essispalmavano un filo sottile di resina e gli davanovelocemente fuoco; il filo scendeva e gli igno-ranti credevano che scendesse dal cielo, e lo por-tavano verso il mare; si trattava in realtà deltrucco di un monaco: la gente lo vedeva con ipropri occhi, e lui stesso e altri hanno ammessoche producevano il fuoco con un trucco. Coloroche – fra le varie nazioni – seguono la verità,sono d’accordo nel dire che non è permessoingannare i servi di Dio, l’Altissimo, per mezzodi qualcosa di irreale, mentre gli ipocriti cre-dono che i miracoli che sono attribuiti al Mes-sia e ad altri profeti sono del genere di questofuoco fabbricato ad arte. Lo stesso dicasi per iloro inganni relativi alla sospensione della croce,al pianto di statue che essi modellano con lesembianze del Messia, di sua madre e di altri,etc. Ogni persona intelligente lo sa: tutto ciò èun’impostura fabbricata ad arte, e tutti i pro-feti di Dio e dei Suoi servitori virtuosi condan-nano tutto ciò che è falso, vano e frutto di impo-stura, come hanno condannato la magia deimaghi del Faraone. Inoltre costoro sono a favoredella Legge, secondo la quale adorano Dio e sioppongono agli antichi – gli ebrei – dal momentoche è stato loro ordinato di attenersi alla Torahtranne per ciò che il Messia ha abrogato. Que-sti sono venuti meno al loro dovere riguardo aiprofeti al punto che li hanno uccisi, mentre

quelli hanno esagerato su di essi al punto che lihanno venerati e ne hanno adorato le statue.«Non si addice a Dio cambiare ciò che ha sta-bilito e abrogarlo», dicono gli ebrei, «né in unaltro momento né tramite la lingua di un altroprofeta», mentre i cristiani dicono: «I dottori ei sacerdoti, al contrario, cambieranno, viete-ranno e permetteranno ciò che vogliono; a chicommette un errore saranno imposti degli attidi adorazione e gli si perdonerà». V’è tra loroanche chi sostiene che nella donna si introdussecome un soffio lo Spirito Santo e la deprava-zione divenne un’offerta. «Molte cose ci sonostate proibite», dicono gli ebrei, mentre i cri-stiani dicono: «tutto ciò che è fra la cimice e l’e-lefante è lecito; mangia ciò che vuoi e lascia ciòche vuoi». Gli ebrei dicono: «le vostre macchiefanno sì che vi si tratti con fermezza, cosicchénon ci si segga con una donna che ha le mestrua-zioni e non si mangi con lei», mentre i cristianidicono: «Nulla può macchiarvi», e non prescri-vono né circoncisione né lavaggio dell’impuritàmaggiore né eliminazione della macchia, men-tre il Messia e gli apostoli seguivano la Leggedella Torah. Per giunta, né il Messia né gli apo-stoli hanno ordinato di pregare verso Oriente:si tratta soltanto di un’innovazione di Costan-tino o di qualcun altro. Anche la croce è soloun’innovazione introdotta di sua iniziativa daCostantino, in virtù di un sogno che affermavadi aver fatto. Il Messia e gli apostoli non hannoordinato nulla di tutto ciò.

In questo passo, l’obiettivo polemico dell’au-tore è duplice: da un lato, i luoghi della Terrasantache proprio Costantino aveva ‘archeologicamente’ricollegato alla vita e alla morte di Cristo, renden-doli meta di pellegrinaggio e di tutti i riti a essoconnessi; dall’altro la stessa figura del primo impe-ratore cristiano, che ancora una volta viene a incar-nare l’essenza negativa del cristianesimo.

Ibn Taymiyya critica duramente, infatti, l’im-postura del ‘fuoco santo’ (già denunciata da un pel-legrino cristiano dell’XI secolo), parte integrantedel rito del Sabato santo, in cui i pellegrini accen-devano una candela al fuoco che ardeva presso ilSanto sepolcro e la portavano nelle loro case; esprimeil suo sdegno nei confronti degli altri ‘miracoli’,dietro i quali si celano pure e semplici frodi, masoprattutto rivolge una gravissima accusa a Costan-tino, quella di aver innovato rispetto all’insegna-mento del Messia e degli apostoli, introducendo tral’altro il culto della croce. In tal modo, l’impera-tore è implicitamente paragonato all’‘innovatore’per eccellenza: san Paolo, che la tradizione islamica

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condanna come falsificatore delle Scritture e cor-ruttore dell’autentico messaggio di Cristo.

Costantino il Santo sepolcro nell’opera di Ibn Ḫaldūn

Nella celeberrima Muqaddimah di Walī ’d-Dīn‛Abd al-Raḥmān b. Ḫaldūn trova spazio un breveprofilo storico relativo alle origini del cristianesimo:

Più tardi, Alessandro e i greci vinsero i persiani.Gli ebrei passarono allora sotto l’autorità deigreci. Poi il potere dei greci si indebolì. Ani-mati dal naturale spirito di corpo, gli ebrei siliberarono del loro dominio. Il potere fu eser-citato dai sacerdoti della famiglia degli Asmo-nei, che combatterono i greci finché il potere dicostoro fu distrutto ed essi furono vinti dairomani […]. Poi venne il Messia: portò agli ebreila religione di cui era il messaggero e abolì alcuneleggi della Torah. Fece degli straordinari mira-coli, come la guarigione dei folli e la resurre-zione dei morti. Molti lo seguirono e credetteroin lui. I principali furono gli apostoli, i suoicompagni, che erano dodici. Egli inviò una partedi loro in tutte le direzioni, come messaggeriche diffondessero la sua dottrina. Questo eraaccaduto sotto il regno di Augusto, il primoimperatore romano […]. Gli ebrei furono gelosidi Gesù e lo trattarono da impostore. Erode, illoro re, scrisse ad Augusto, imperatore romano,e lo mise contro Gesù. Augusto diede agli ebreiil permesso di metterlo a morte. E questa è lastoria di Gesù, così come essa è raccontata nelCorano. Gli apostoli si divisero in vari gruppi. La mag-gior parte di loro si recò nel paese dei romani eli invitò a convertirsi alla fede cristiana. Pietro,che fu il più grande di tutti gli apostoli, si sta-bilì a Roma, capitale degli imperatori romani.Allora essi scrissero il Vangelo rivelato a Gesùin quattro versioni, corrispondenti alle lorodiverse tradizioni. Matteo scrisse il suo Van-gelo a Gerusalemme in ebraico. Esso fu tradottoin latino da Giovanni, figlio di Zebedeo, unodegli apostoli. L’apostolo Luca scrisse il suoVangelo in latino per un grande dignitarioromano. L’apostolo Giovanni, figlio di Zebe-deo, scrisse il suo Vangelo a Roma. Pietro scrisseil suo Vangelo in latino e l’attribuì al suo disce-polo Marco […]. In quel tempo, gli apostoli si riunirono a Roma edefinirono le regole della comunità cristiana. Essile posero sotto l’autorità di Clemente, discepolo

di Pietro, e notificarono la lista dei libri che sidovevano accettare e che dovevano guidare l’a-zione dei cristiani. L’attitudine degli imperatori romani nei con-fronti del cristianesimo fu variabile: quanto loadottarono e lo onorarono i suoi adepti, tantoessi lo respinsero e perseguitarono i cristiani.Le cose andarono così fino alla conversione diCostantino: da allora in poi furono cristiani […]. Colui che è incaricato di custodire la religionecristiana e di vegliare sull’applicazione delle sueregole è chiamato ‘patriarca’. Egli è il capo dellacomunità cristiana e il rappresentante del Mes-sia nel suo seno. Egli invia i suoi delegati e i suoirappresentanti alle nazioni cristiane che si tro-vano nelle regioni più lontane: si tratta deivescovi, cioè dei delegati del patriarca. Coluiche dirige la preghiera ed è consultato in mate-ria di fede è chiamato ‘sacerdote’. Colui che siritira per consacrarsi, in solitudine, all’adora-zione di Dio è chiamato ‘monaco’. Il luogo incui si ritira è generalmente un convento. L’apostolo Pietro, capo degli apostoli e decanodei discepoli, si stabilì a Roma, dove diresse lacomunità cristiana fino al momento in cui fuucciso da Nerone, quinto imperatore romano.Il suo successore sul seggio di Roma fu Ario. Marco l’evangelista pregò sette anni in Ales-sandria, in Egitto e nel Maġrib. Dopo di luivenne Aniano, che assunse il nome di patriarca[…]. Più tardi, ci furono dei dissensi tra i cri-stiani riguardanti i principi di base della lororeligione e gli articoli della loro fede. Si riuni-rono a Nicea, sotto il regno di Costantino, perfissare per iscritto ciò che nel cristianesimodovesse essere considerato vero. Così, trecen-todiciotto vescovi si misero d’accordo su unastessa dottrina del cristianesimo, che consegna-rono per iscritto e chiamarono ‘Credo’, facen-done un punto di riferimento fondamentale pertutti. Concordarono tra l’altro sul fatto che ladesignazione del patriarca, capo della Cristia-nità, non dovesse essere demandata all’apprez-zamento personale dei sacerdoti, contrariamentealla decisione di Aniano, il discepolo di Marco.Questo punto di vista fu dunque abbandonato.Si decise che il patriarca dovesse derivare daun’assemblea, essendo eletto dalle autorità e daicapi dei fedeli. E, da allora, le cose andaronocosì29.

Questo breve racconto è basato sull’opera diǦirǧis al-Makīn b. al-‘Amīd, autore copto spessocitato da Ibn Ḫaldūn a proposito di eventi e temicristiani30. Il fatto che la prima parte della cronaca

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di al-Makīn sia ancora inedita rende per il momentoimpossibile stabilire se si debbano a lui o allo stessoIbn Ḫaldūn il malinteso che fa di Ario un succes-sore di Pietro31 e il fraintendimento che porta adattribuire tout court al Principe degli apostoli la ste-sura del Vangelo di Marco – il quale, nella tradi-zione canonica, sarebbe stato l’‘interprete’ di Pie-tro e avrebbe composto il proprio Vangelo basandosisulla testimonianza petrina. In ogni caso, il ruolodi Costantino risulta qui indiscutibile: la sua con-versione segna il passaggio dall’Impero paganoall’Impero cristiano.

Nel capitolo della Muqaddimah dedicato a Geru-salemme32, Ibn Ḫaldūn si sofferma poi sulla mis-sione ‘archeologica’ di sant’Elena finalizzata all’in-venzione della croce:

In seguito, i romani abbracciarono la religionedel Messia, che si misero a venerare. Poi, i loroimperatori oscillarono tra l’adozione e il rifiutodel cristianesimo, fino al regno di Costantino.La madre di quest’ultimo, Elena, dopo essersiconvertita, si recò a Gerusalemme per cercarvila tavola di legno sulla quale, secondo i cristiani,il Messia sarebbe stato crocifisso. I sacerdoti lainformarono che questa tavola era stata gettataper terra e che era sepolta sotto la spazzatura egli escrementi. Elena la riesumò e costruì lachiesa di al-qumāmah (‘degli escrementi’), sulluogo in cui erano gli escrementi. I cristiani cre-devano che questa chiesa fosse costruita sullatomba del Messia. Elena distrusse ciò che rima-neva del Tempio e ordinò che si spandessero illetame e gli escrementi sulla Roccia, in modoche ne fosse interamente ricoperta e non se nedistinguesse più la posizione. Questa fu la suarisposta a ciò che gli ebrei avevano fatto allatomba del Messia. Di fronte alla chiesa di al-qumāmah si costruì più tardi Betlemme, la casanatale di Gesù.

Com’è evidente, il tema dell’inventio crucis èqui venato da un forte afflato antigiudaico, che siesplicita nella vera e propria rappresaglia messa inatto da Elena nei confronti del Tempio ebraico. Maciò che più stupisce è la grossolana sovrapposizionedi Betlemme a Gerusalemme, a prima vista inspie-gabile in un autore che altrove mostra di conoscerebenissimo la prima delle due località, anche peraverla direttamente visitata. Scrive infatti Ibn Ḫal-dūn nella sua ‘autobiografia’, riferendo di una sostaa Betlemme:

Mi fermai a Betlemme, vasta costruzione sulluogo di nascita del Messia. Gli imperatori vihanno elevato un edificio sostenuto da due file

di colonne tagliate nella roccia, ben allineate,sormontate da rappresentazioni dei loro re e daiscrizioni storiche relative ai loro stati, facil-mente accessibili a colui che volesse farle tra-durre con esattezza da un intenditore. Si trattadi un monumento che testimonia della gran-dezza dei Cesari e dell’estensione del loroimpero33.

La descrizione ḫaldūniana della basilica dellaNatività, al di là dei suoi aspetti in parte fantasiosi,insiste acutamente sulla connessione fra ‘luogo santo’e autorappresentazione del potere imperiale, cheutilizza la sacralità del luogo di nascita di Gesù perpromuovere se stesso e le proprie conquiste. E tut-tavia, nella Muqaddimah, Ibn Ḫaldūn ripropone,senza neppure discuterla, la visione tradizionaleislamica, che collocava gli eventi relativi alla nascitadi Cristo (nella versione che ne dà la Sura coranicaĀl ‘Imrān, 35-38) a Gerusalemme: qui molti com-mentatori e geografi arabi identificavano fra l’altroil sito della ‘culla di Gesù’ (mahd ‘Īsā) nell’angolosud-est del Ḥaram aš-Šarīf34.

Se è plausibile ritenere che anche in questo casola fonte degli ‘errori’ di Ibn Ḫaldūn sia stata l’o-pera di al-Makīn, resta tuttavia il problema dellemotivazioni che hanno indotto lo storico a non cor-reggere le evidenti inesattezze della sua fonte. Inprimo luogo, va qui evidenziata la grande forza dellatradizione musulmana, che tende a concentrare sulḤaram di Gerusalemme il maggior numero possi-bile di elementi connessi alle vicende profeticheprecedenti l’avvento di Muḥammad: come scriveOleg Grabar, «Jerusalem itself was transformed intoa fantasy, and its reality disappeared from view»35.Tale tradizione esercita su Ibn Ḫaldūn un’influenzastraordinaria, ed egli vi resta a tal punto vincolatoda ignorare volutamente la propria esperienza per-sonale. E qui l’atteggiamento dello storico tunisinonon diverge sostanzialmente da quello dei pelle-grini cristiani che, nei loro racconti di viaggio inTerrasanta, si attenevano scrupolosamente a quantoriferito dalle guide locali o dai resoconti di chi liaveva preceduti – al di là e al di fuori di quanto essiavevano potuto verificare per diretta autopsia36.

Una Costantinopoli romana, una Romacostantinopolitana: la prima e la secondaRoma nelle descrizioni dei geografi arabi

Non è possibile concludere questo breve pro-filo dedicato a Costantino nelle fonti arabe senzaaccennare all’immagine islamica di Costantinopoli,la città che di Costantino porta il nome. D’altra

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parte, il primo imperatore cristiano, nel proiettareverso Oriente le istituzioni di Roma, si colloca per-fettamente nel solco dell’eterna dialettica fra Orientee Occidente. In effetti, come ha notato finementeGilbert Dagron nel suo splendido studio sulla fon-dazione di Costantinopoli37, la città non è stata edi-ficata per sostituire Roma, ma per esserne il pro-lungamento, e questo dato di fatto non è privo diriflessi nella tradizione islamica, nella quale si regi-stra una certa confusione fra le due metropoli. Ciòha provocato l’innesto all’interno delle descrizionidi Roma di elementi originariamente pertinenti allatopografia della capitale dell’impero bizantino.

Per cercare di comprendere le motivazioni diun simile equivoco, è necessario esaminare in primoluogo le principali descrizioni di Roma prodottedagli autori arabi medievali, e in particolare il piùantico di tali testi, cioè quello contenuto nel Kitābal-masālik wa ’l-mamālik di Abū ’l-Qāsim ‘UbaydAllāh b. ‘Abd Allāh b. Ḫurradādbih (820-885 o826-912 d.C.):

Descrizione di Rūmiya e delle sue meraviglie.

Essa possiede tre lati sul mare: l’orientale, ilmeridionale e l’occidentale; il lato settentrio-nale è collegato alla terraferma. La sua lun-ghezza dalla Porta orientale a quella occiden-tale è di ventotto miglia. Due cerchie di murain pietra, separate da uno spazio di sessantabraccia, la circondano; il muro interno è largododici braccia e alto settantadue, quello esternoè largo otto braccia e alto quarantadue. Vi scorrein mezzo un canale, coperto da lastre di rame,lunghe ciascuna quarantasei braccia. Questocanale è chiamato ‘di Costantino’. Tra la portad’oro e la porta del re sono dodici miglia. Ilmercato degli uccelli che vi si trova è lungo unaparasanga. Un grande mercato si estende dallaPorta orientale alla Porta occidentale, con trefile di colonne e due arcate; la fila centrale pre-senta colonne di oricalco rūmī: il fusto, la basee il capitello di ciascuna colonna sono fusi inquesto metallo. Vi si trovano le botteghe deicommercianti; le colonne sono alte trenta brac-cia. Davanti a queste colonne e alle botteghe c’èun canale di oricalco in cui, da Oriente a Occi-dente, scorre un braccio di mare dove naviganole imbarcazioni con i loro carichi, in modo cheil battello trasporti le merci fino a fermarsi incorrispondenza del negozio dell’acquirente […].All’interno della città c’è una chiesa dedicataagli apostoli Pietro e Paolo, che si trovano inun’urna. Questa chiesa è lunga trecento brac-cia, larga duecento e alta ottanta; è costruita conarcate di oricalco e pilastri di ottone fuso, il tetto

e i muri sono di oricalco rūmī. A Rūmiya si tro-vano milleduecento chiese e tutti i mercati sonopavimentati con marmo bianco. Vi sono inol-tre quarantamila bagni. Si trova nella città unachiesa paragonata al Sion di Gerusalemme, lacui lunghezza è di un miglio. Al suo interno èun altare di smeraldo verde, su cui si celebral’Eucaristia, lungo venti braccia e largo sei; losostengono dodici statue d’oro puro, alte, cia-scuna, due braccia e mezzo. Ogni statua pos-siede due occhi di rubino di cui la chiesa riluce.Questa chiesa ha ventotto grandi porte d’oropuro e mille di ottone fuso, senza contare leporte di ebano, di bosso e di altri tipi di ottimolegno scolpito, di inestimabile valore. Attornoalle mura di Rūmiya sono milleduecentoventicolonne in cui stanno i monaci38.

Questo passo è stato unanimemente conside-rato dagli studiosi come la prima descrizione diRoma della letteratura araba, e tuttavia, come èsubito evidente al lettore, a Roma sembra qui rin-viare soltanto il nome di Rūmiya: i tre lati sul maree il quarto collegato alla terraferma, la doppia cintadi mura, la menzione della porta d’oro e della portadel re, il ‘canale’ che bagna la città, la chiesa degliApostoli (la menzione delle reliquie di Pietro e Paoloè qui evidentemente soltanto un’interpolazione suc-cessiva, figlia dell’equivoco fra le due città), quella«paragonata al Sion di Gerusalemme» – che altronon è se non Santa Sofia39 – e persino le colonnedegli stiliti (sia pure nell’esagerazione sempre con-nessa a questo tipo di letteratura, che ha molto incomune con il genere dei Mirabilia) sono inveceelementi inconfondibili del paesaggio costantino-politano. Ma v’è di più: la stessa collocazione delladescrizione di Rūmiya nell’opera di Ibn Ḫurradād-bih dimostra inequivocabilmente che il testo in que-stione è in realtà una descrizione di Costantinopoli.Essa infatti si trova al culmine di un itinerario chedall’Anatolia raggiunge l’Asia Minore: immedia-tamente prima di Rūmiya sono infatti menzionateNicea, Nicomedia, Hieria e alcuni centri della Cili-cia. Una descrizione di Roma a questo punto del-l’opera, anche tenendo presenti tutte le incongruenzedovute alle sue avventurose vicende testuali, nonavrebbe alcun senso.

Ciò che ha senz’altro contribuito a confonderele acque è il fatto che, nell’ambito di tale itinera-rio, troviamo un altro breve profilo di Costantino-poli40, che questa volta è chiamata con il suo nome(Qusṭantyniyya), ma tali reduplicazioni sono all’or-dine del giorno nella letteratura geografica araba,e tanto meno devono stupire nel Kitāb al-masālikwa ’l-mamālik di Ibn Ḫurradādbih, tutto pervaso

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da aggiunte successive, citazioni e sovrapposizionidi fonti spesso contraddittorie41. Resta la questionedel nome Rūmiya. Secondo il celebre geografo al-Yaqūt, che si basava sulla dottrina dei filologi appar-tenenti alla grande scuola di Bassora (IX secolo d.C.),la giusta grafia della parola era ��(Rūmiya), sulmodello di nomi come Antiochia (Antākiya), Nicea(Nīqiya) e Apamea (Afāmiya), che «si trovano spessonei paesi e nella lingua dei Rūm»42; tale precisa-zione, che rivela un caso interessante di paradigmarifatto su un esempio non pertinente (una finale-ia greca vs. -a), ci mostra però come sul nomeRūmiya esistesse un dibattito, e come alcuni autoripreferissero utilizzare la forma (Rūmiyya),una forma aggettivale coniata sul corrispondentesostantivo � (Rūm) che negli storici e nei geografiislamici medievali indicava gli antichi romani, masoprattutto i bizantini, loro successori ed eredi.Quest’ultima dizione, considerata errata da al-Yaqūt, è invece, assai probabilmente, quella origi-naria: Rūmiyya è infatti la città dei Rūm, la capi-tale del nuovo Impero romano che procede sulleorme dell’antico: cioè, appunto, Costantinopoli43.Tale ambiguità terminologica, che ha le sue radicinella strenua volontà dei bizantini di autorappre-sentarsi – sia pure fra tormenti e ambiguità – come«romani»44, è la causa principale della sovrapposi-zione fra Roma e Costantinopoli, vero e proprioLeitmotiv delle fonti arabe medievali, la cui bennota tendenza a ritrasmettersi l’un l’altra materialiprecedenti senza sostanziali variazioni ha contri-buito al perpetuarsi dell’equivoco. E tuttavia varibadito che il fenomeno in questione si origina inuna fase successiva: la prima descrizione diRūmiyya, erroneamente considerata come unadescrizione di Roma con elementi costantinopoli-tani, è – inequivocabilmente – un puro e sempliceprofilo di Costantinopoli. Nello stesso tempo, iltesto di Ibn Ḫurradādbih, che verrà costantementeriutilizzato e trasmesso nel corso dei secoli, costi-tuisce comunque uno snodo decisivo nella forma-zione di quella confusa immagine di una ‘Romacostantinopolitana’ o di una ‘Costantinopoli romana’che troveremo operante nelle fonti successive, giàa partire dall’opera geografica di Ibn Rustah, com-posta fra il 903 e il 913 d.C.45: qui infatti le notiziesu Costantinopoli, riprese da Ibn Ḫurradādbih, sifondono effettivamente per la prima volta con ele-menti autenticamente romani (il papa, la lontananzadal mare, il fiume, le scorrerie dei saraceni), forsedovuti all’apporto di un cristiano (o forse un ebreo)di Siria, Hārūn Ibn Yaḥyā, che si sarebbe recato aRoma fra la fine del IX e l’inizio del X secolo d.C.46

La medesima situazione si ritrova nella voce dedi-cata a ‘Rūmiya’ nel grande dizionario geografico di

Al-Yāqūt47: in questo caso, alcune brevi notizieriguardano Roma a tutti gli effetti, mentre la mag-gior parte delle descrizioni riportate (tra cui quellafornita dall’anonimo ‘monaco’ che costituisce pro-babilmente la fonte del profilo costantinopolitanodi Ibn Ḫurradādbih) è con tutta evidenza da rife-rirsi esclusivamente a Costantinopoli; lo stesso puòdirsi per i brani relativi a Rūmiya della Cronaca diSe‘ert (IX secolo d.C.) e di Isḥāq Ibn al-Ḥusayn(se si eccettua, in quest’ultimo caso, la menzionedella tomba dell’apostolo Simone), autore magh-rebino vissuto a cavaliere fra il X e l’XI secolo d.C.48

Saranno i grandi geografi arabi d’Occidente, da al-Bakrī ad al-Ḥimyarī ad al-Idrīsī (quest’ultimo peròsolo nelle note riportate dal grande emiro e storicosiriano Abū ’l-Fidā’), a offrire descrizioni di Romafinalmente accettabili e perspicue ‒ sia pur nei limitidi una letteratura che sconfina spesso nella sferadel fantastico e del meraviglioso49. E tuttavia, ina-spettatamente, la confusione con Costantinopolitenderà a riemergere anche in autori ‘insospetta-bili’50. In questa ambigua persistenza dell’equi-voco vi è certamente – come ha ben notato Giu-seppe Mandalà – un elemento ideologico, ma lasua radice è da ricercarsi soprattutto nella diffi-coltà (che ha creato problemi anche agli studiosicontemporanei) costituita dall’esistenza di duegrandi capitali per le quali si usava lo stesso nome:la Rūmiya/Rūmiyya (Costantinopoli) e la Rūmiyache negli autori arabi occidentali diventerà, piùsemplicemente e correttamente, Rūma (Roma).Talvolta l’ideologia può nascere da un sempliceerrore ‘filologico’.

1 Per quanto riguarda le fonti si vedano Abū ’l-Fidā’,Al-muḫtaṣar fī aḫbār al-bašar, hrsg. von H.o. Fleischer,Lipsiae 1831; Agapius, Historia universalis, éd. par L.cheikho, Louvain 1962 (CSCO 65, Scriptores Arabici10); Al-Bīrūnī, Kitāb al-āṯār al-bāqiyah ‘an al-qurūnal-ḫāliya, hrsg. von E.C. Sachau, Leipzig 19232;Eutychius, Annales, éd. par L. cheikho, I, Beryti-Parisiis-Lipsiae 1906 (CSCO 50-51, Scriptores Arabici6-7); Eutychius, Das Annalenwerk des Eutychios vonAlexandrien: Ausgewählte Geschichten und Legendenkompiliert von Sa‘īd ibn Baṭrīq um 935 A.D., hrsg. vonM. Breydy, 2 voll., Louvain 1985 (CSCO 471-472,Scriptores Arabici 44-45); Al-Ǧāḥīẓ, Al-Radd ‘alā ’l-naṣārā, in Rasā’il al-Ǧāḥīẓ, ed. ‘a.M. Hārūn, III, al-Qāhirah 1979; Ibn Ḫaldūn, Kitāb al-‘Ibar, ed. n. al-Hūrīnī, 7 voll., Būlāq 1283-1284/1867-1868; LesProlegomenes d’Ibn Khaldoun, trad. fr. par. W. MacGuckin De Slane, 3 voll., Paris 1934-1938; TheMuqaddimah, trad. ingl. by F. rosenthal, 3 voll.,Princeton 19672; Peuples et nations du monde. Extraitsdes ‘Ibar, éd. par A. cheddadi, 2 voll., Paris 19952; Lelivre des Exemples, I, Autobiographie. Muqaddima,trad. fr. par A. cheddadi, Paris 2002; Ḥamzah al-Iṣfahānī, Ta’rīḫ sinī mulūk al-arḍ wa-’l-anbiyā’, hrsg.von i.M.E. Gottwald, I, Petropoli 1844; Kitāb

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Hurūšiyūš. (Traducción árabe de las Historiae adver-sus paganos de Orosio), ed. por M. Penelas, Madrid2001; Al-Mas‘ūdī, Murūǧ al-ḏahab wa ma�ādin al-ğawhar, éd. par ch. Barbier de Meynard, a. Pavetde courteille (éd. rev. par ch. Pellat), II, Beyrouth1966; Al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-išrāf, ed. M.J.de Goeje, Lugduni Batavorum 1894; Al-Maqrīzī,Kitāb al-mawā‘iẓ wa ’l-i‘tibār fī dikr al ḫiṭâṭ wa ’l-atâr,2 voll., Būlāq 1270/1854; Al-Ṭabarī, Ta’rīḫ al-rusul wa’l-mulūk, ed. M.J. de Goeje, I, Lugduni Batavorum1879; Al-Ta‘ālibī, Histoire des rois des Perses, éd. par H.Zotenberg, Paris 1900; Al-Ya‘qūbī, Historiae, M.Th.Houtsma, 2 voll., Leiden 19692. Per quanto concernela bibliografia secondaria si veda: M. Guidi, Roma e ilmondo islamico, in Atti del IV Convegno Internazionaledi Studi Romani (Roma 19-25 ottobre 1935), a cura diC. Galassi Palazzi, II, Roma 1938, pp. 372-376; M.Guidi, Roma e gli Arabi, in Roma, 20 (1942), pp. 10-21;G. Levi Della Vida, Costantinopoli nella tradizioneislamica, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 5(1953), Classe di Scienze morali, storiche e filologiche.Rendiconti, pp. 363-373; id., La traduzione araba dellestorie di Orosio, in Al-Andalus, 19 (1954), pp. 257-293;id., Un texte mozarabe d’histoire universelle, in Étudesd’orientalisme dédiées à la mémoire de Lévi-Provençal, I,Paris 1962, pp. 175-183; B. Spuler, Islamische undabendländische Geschichtsschreibung, in Saeculum, 6(1955), pp. 125-137; W.J. Fischel, Ibn Khaldūn andal-Mas‘ūdī, in Al-Mas‘ūdī Millenary CommemorationVolume, ed. by S. Maqbul ahmad, A. rahman,Aligarh 1960, pp. 51-59; id., Ibn Khaldūn’s Use ofHistorical Sources, in Studia Islamica, 15 (1961), pp.109-119; id., Ibn Khaldūn in Egypt. His PublicFunctions and His Historical Research (1382-1406). AStudy in Islamic Historiography, Berkeley-Los Angeles1967; M. Mahdi, Ibn Khaldūn’s Philosophy of History,Chicago-London 1964; T. Khalidi, Islamic Historio -graphy: The Histories of Mas‘udi, Albany (NY) 1975;id., Arabic Historical Thought in the Classical Period,Cambridge 1994; A. Fischer, A.J. Wensinck, A.Schaade, R. Paret, I. Shahīd, s.v. Ḳayṣar, inEncyclopaedia of Islam, IV, 19782, pp. 871-873; E.M.Jeffreys, The Attitudes of Byzantine Chroniclerstowards Ancient History, in Byzantion, 49 (1979), pp.199-238; A.M.H. Shboul, Al-Mas‘ūdī and His World:A Muslim Humanist and His Interest in Non-muslims,London 1979; A. azmeh, Ibn Khaldūn in ModernScholarship. A Study in Orientalism, London 1981; id.,Ibn Khaldūn. An Essay in Reinterpretation, London1982; id., L’annalistique entre l’histoire et le pouvoir:une conception de l’histoire sous-jacente aux chroniques,biographies et gestes dans l’aire culturelle arabo-islami-que, in Histoire et diversité de cultures. Études préparéespour l’Unesco, Paris 1984, pp. 95-116; id., Barbariansin Arab Eyes, in Past & Present, 134 (1992), pp. 3-18;id., Muslim Kingship: Power and the Sacred in Muslim,Christian and Pagan Politics, London-New York 2001;C. Mango, Discontinuity with the Classical Past inByzantium, in Byzantium and Its Image. History andCulture of the Byzantine Empire and Its Heritage,London 1984, pp. 48-57; S. Kh. Samir, Quelques notessur les termes Rūm et Rūmī dans la tradition arabe, inLa nozione di “Romano” tra cittadinanza e universalità,Atti del II seminario internazionale di studi storici DaRoma alla Terza Roma (Roma 21-23 aprile 1982), acura di P. catalano, P. Siniscalco, Napoli 1984, pp.461-478; B. radtke, Das Wirklichkeitsverständnis isla-mischer Universalhistoriker, in Der Islam, 62 (1985), pp.

59-70; id., Weltgeschichte und Weltbeschreibung im mit-telalterlichen Islam, Beirut-Stuttgart 1992; A.Kazhdan, ‘Constantin imaginaire’, Byzantine Legendsof the Ninth Century about Constantine the Great, inByzantion, 57 (1987), pp. 196-250; A. cheddadi, Àl’aube de l’historiographie arabo-musulmane: la mémoireislamique, in Studia Islamica, 74 (1991), pp. 29-41; id.,La pensée de l’universel dans l’historiographie islamiqueet son arrière-plan judéo-chrétien, in Studia Islamica, 87(1998), pp. 141-150; id., Les Arabes et l’appropriationde l’histoire, Paris 2004; id., Ibn Khaldūn. L’homme etle théoricien de la civilisation, Paris 2006; G. Fowden,Empire to Commonwealth: Consequences of Monotheismin Late Antiquity, Princeton 1993; C.E. Bosworth,s.v. Rūm, in Encyclopaedia of Islam, VIII, 19952, pp.620-625; N.M. El cheikh, Arab Christian Contribu -tion to Muslim Historiography on Byzantium, inBulletin of the Royal Institute for Inter-Faith Studies, 1(1999), pp. 45-60; id., Byzantium viewed by the Arabs,Harvard 2004; id., Byzantine Leaders in Arabic MuslimTexts, in The Byzantine and Early Islamic Near East,VI, Elites Old and New in the Byzantine and EarlyIslamic Near East, Papers of the Sixth Workshop onLate Antiquity and Early Islam, ed. by J. Haldon,L.I. conrad, Princeton 2004, pp. 109-131; G.Scarcia, Roma vista dagli Arabi: appunti su Abū‘Ubayd al-Bakrī (sec. XI), in Roma fra Oriente eOccidente, Settimane di studio del Centro Italiano diStudi sull’Alto Medioevo (19-24 aprile 2001), I,Spoleto 2002, pp. 129-171; A. De Simone, G.Mandalà, L’immagine araba di Roma. I geografi delMedioevo (secolo IX-XV), Bologna 2002; A.M.Piemontese, Roma nella cosmografia persiana medieva-le, in Studi sulle società e le culture del Medioevo perGirolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto, P. SupinoMarotti, Firenze 2002, pp. 499-518; J.-ch. Ducène,Une deuxième version de la relation d’Hārūn Ibn Yaḥyāsur Constantinople, in Der Islam, 82 (2005), pp. 241-255; I. nilsson, To Narrate the Events of the Past: onByzantine Historians, and Historians on Byzantium, inByzantine Narrative. Papers in Honour of Roger Scott,ed. by J. Burke, Melbourne 2006, pp. 47-58; M. DiBranco, Storie arabe di Greci e di Romani, Pisa 2009.

2 I culti politeistici greco-romani sono identificaticon quelli dei sabei da molti autori islamici, che utiliz-zano il termine ṣābi’ūn nell’accezione più generale di‘pagani’. In realtà questa parola ha una lunga storia,che chiama in causa il Corano e i celebri quanto discus-si sabei di Ḥarrān.

3 Su Ya‘qūbī si veda soprattutto F. rosenthal, AHistory of Muslim Historiography, Leiden 19682, pp.133 segg., e di recente ch.F. robinson, IslamicHistoriography, Cambridge 2003, pp. 136-139. Per l’e-dizione di riferimento si veda Ibn-Wadhih qui diciturAl-Ja’qubi, Historiae, ed. M.Th. Houtsma, 2 voll.,Leiden 19692.

4 Ibn-Wadhih qui dicitur Al-Ja’qubi, Historiae,cit., pp. 177 segg.

5 Sulla visione della storia propria di Ṭabarī, si veda-no soprattutto F. rosenthal, General Introduc tion, inThe History of Al-Ṭabarī. An Anno tated Translation, I,General Introduction and From the Creation to the Flood,Albany (NY) 1989, pp. 5-154; T. Khalidi, Arabic Histori -cal Thought, cit., pp. 73-82; B. radtke, Weltgeschichteund Welt beschreibung, cit., pp. 16-27; ch.F robinson,Islamic Historiography, cit., pp. 32-36; e B. Shoshan,Poetics of Islamic Historio graphy. Deconstructing Ṭabarī’sHistory, Leiden-Boston 2004, in partic. pp. 85-107.

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6 Al-Mas‘ūdī, Murūǧ al-ḏahab, cit., § 734, e Al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-išrāf, cit., p. 138. Cfr.anche Ḥamzah al-Iṣfahānī, Ta’rīḫ sinī mulūk al-arḍwa-’l-anbiyā’, cit., p. 76, e Abū ’l-Fidā’, Al-muḫtaṣar fīaḫbār al-bašar, cit., p. 110. Notizie più dettagliate suBisanzio/Costantinopoli sono contenute nell’Historiauniversalis di Agapio e nel Kitāb al-‘aǧā’ib al-kabīrattribuito a Ibrahīm b. Wāṣifāh (X-XI secolo d.C.), edovevano probabilmente trovarsi anche nell’opera sto-rica perduta di Mas‘ūdī: cfr. S. Yerasimos, La fonda-tion de Constantinople et de Sainte-Sophie dans les tra-ditions turques, Paris 1990, pp. 62 segg.

7 Al-Ṭabarî, Ta’rīḫ al-rusul wa ’l-mulūk, cit., pp.705 segg. Sulla politica antigiudaica di Costantino e suisuoi provvedimenti restrittivi che limitavano rigorosa-mente l’accesso degli ebrei a Gerusalemme si veda ilrecente ch.M. odahl, Constantine and the ChristianEmpire, London-New York 2004, pp. 250 segg. e 363nota 11, con bibliografia.

8 Al-Mas‘ūdī, Murūǧ al-ḏahab, cit., §§. 734-738.Cfr. anche Al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-išrāf, cit.,pp. 137-145. Su Mas‘ūdī, oltre alla bibliografia sopra-citata, si veda anche A. Miquel, La géographie humai-ne du monde musulman jusqu’au milieu du 11e siècle, I,Paris 1967, pp. 202-212.

9 Al-Mas‘ūdī, Murūǧ al-ḏahab, cit., § 737. 10 Lo stesso atteggiamento si ritrova in Ḥamzah al-

Iṣfahānī, Ta’rīḫ sinī mulūk al-arḍ wa-’l-anbiyā’, cit., p.76, e Abū ’l-Fidā’, Al-muḫtaṣar fī aḫbār al-bašar, cit.,p. 110. Da notare il curioso fraintendimento genealogi-co di Ḥamzah (dovuto probabilmente a un equivoconella tradizione manoscritta), che, unendo il più terri-bile persecutore dei cristiani al grande promotore delcristianesimo nel mondo romano, fa di Costantino ilfiglio di Nerone: «I Rūm fondarono una città munitis-sima e vi trasferirono da Roma la sede imperiale e tuttele loro truppe, perché fossero più vicine all’impero per-siano. Scelta una parte della terra costantinopolitana, vicostruirono case e vi trasferirono il regno: nel tempo incui edificarono la città regnava Costantino, figlio diNerone, e dal suo nome derivò il nome della città.Costui, primo fra gli imperatori romani, aderì alla reli-gione cristiana e chiamò i sudditi ad abbracciarla. Inseguito, promosse l’espulsione degli israeliti daGerusalemme, città santissima, cosicché essa, fino adoggi, non è più il loro certo domicilio».

11 Al-Mas‘ūdī, Murūǧ al-ḏahab, cit., § 741. 12 Ǧāḥīẓ, Al-Radd ‘alā ’l-naṣārā, in Rasā’il al-

Ǧāḥīẓ, ed. ‘A.M. Hārūn, III, al-Qāhirah 1979, pp. 314segg. Sul brano in questione non è convincente ch.Pellat, Al-Ǧāḥīẓ, les nations civilisées et les croyan cesreligieuses, in Journal Asiatique, 255 (1967), pp. 65-90,in partic. 71 segg., che ritiene che sul piano intellettua-le Ǧāḥīẓ «confond Grecs anciens et Byzantins». Peraltri passi di questo genere si veda A. Miquel, La géo-graphie humaine du monde musulman, cit., II/2, Paris1975, pp. 369 e 466 segg., e il recente L. capezzone,La politica ecumenica califfale: pluriconfessionalismo,dispute interreligiose e trasmissione del patrimonio greconei secoli VIII-IX, in Oriente Moderno, n.s., 17 (1998),pp. 1-62, in partic. 38-45.

13 D. Gutas, Greek Thought, Arabic Culture. TheGraeco-Arabic Translation Movement in Baghdad andEarly ’Abbasaid Society (2nd-4th/5th-10th C.), NewYork 1998, p. 104.

14 Sul tema della trasmissione del sapere daAlessandria a Baghdad si vedano soprattutto M.Meyerhof, Von Alexandrien nach Bagdad. Ein Beitrag

zur Geschichte des philosophischen und medizinischenUnterrichts bei den Arabern, in Sitzungsberichte derPreussischen Akademie der Wissenschaften, philologi-sche-historische Klasse, 23 (1930), pp. 389-429; G.Strohmaier, “Von Alexandrien nach Bagdad” – einefiktive Schultradition, in Aristoteles Werk und WirkungPaul Moraux gewidmet, II, Kommentierung, Überliefe-rung, Nachleben, hrsg. von V.J. Wiesner, Berlin-NewYork 1987, pp. 380-389; D. Gutas, The “Alexandria toBaghdad” Complex of Narratives. A Contribution to theStudy of Philosophical and Medical Historiographyamong the Arabs, in Documenti e Studi sulla TradizioneFilosofica Medievale, 10 (1999), pp. 155-193, conampia biliografia.

15 Al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-išrāf, cit., p. 144. 16 Ivi, p. 137. 17 Si vedano ad esempio A. Kazhdan, ‘Constantin

imaginaire’, cit., pp. 239 segg.; V. aiello, Costantino,la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino ilGrande. Dall’antichità all’Umanesimo, Atti del conve-gno internazionale (Macerata 18-20 dicembre 1990), acura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992,pp. 17-58; S. Lieu, From History to Legend and Legendto History. The Medieval and Byzantine Transfor -mation of Constantine’s Vita, in Constantine. History,Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D.Montserrat, London-New York 1998, pp. 136-176,in partic. 139; G. Bonamente, Sull’ortodossia diCostantino. Gli Actus Sylvestri dall’invenzione all’au-tenticazione, in Bizantinistica. Rivista di StudiBizantini e Slavi, 6 (2004), pp. 1-46, in partic. 30; e T.canella, Gli Actus Sylvestri. Genesi di una leggenda suCostantino imperatore, Spoleto 2006.

18 Zos., II 28-30. 19 Sulla tradizione ostile a Costantino in epoca tar-

doantica si veda T. canella, Gli Actus Sylvestri, cit.,pp. 23 segg.

20 Si veda in proposito A.H.M. Shboul, Al-Mas‘ūdī and His World, cit., pp. 246 segg.

21 Taǧārib al-umam, ed. L. caetani, I, LugduniBatavorum 1909, pp. 135 segg. Sulle tensioni traBisanzio e i Buyidi si veda soprattutto J.L. Kraemer,Humanism in the Renaissance of Islam. The CulturalRevival during the Buyid Age, Leiden-New York-Köln19922, pp. 86 segg.

22 Per l’atteggiamento nei confronti dei bizantini daparte dei letterati sasanidi si veda ad esempio C.G.cereti, La letteratura pahlavi. Introduzione ai testi conriferimenti alla storia degli studi e alla tradizione mano-scritta, Milano 2001, pp. 131 segg. Sulla rappresentazio-ne degli imperatori bizantini quali tiranni nella letteratu-ra arabo-islamica medievale si veda il recente N.M. Elcheikh, Byzantine Leaders, cit., pp. 114 segg.

23 Ibn Kaṯīr, Tafsīr al-Qur’ān al-aẓīm, VI, Bayrūt1386/1966, p. 417. Cfr. ‘Abd al-Ǧabbār, Tatbīt dalā’ilal-nubuwwa, ed. ‘abd al-Karim ‘Utmān, I, Bayrūt1386/1966, p. 162. Si veda anche n.M. El cheikh,Byzantium viewed by the Arabs, cit., pp. 116 segg.

24 Per una storia dettagliata degli studi concernen-ti il Kitāb Hurūšiyūš si veda ora l’edizione di MaytePenelas: Kitâb Hurûšiyûš, cit., pp. 17 segg. e 83-96.

25 G. Levi Della Vida, La traduzione araba dellestorie di Orosio, cit.

26 Ivi, pp. 368-372. 27 Sulla figura di Ibn Taymiyya e sul destinatario e

il contenuto della Risāla al-qubruṣiyya si veda da ultimoIbn Taymiyya, Lettera a un sovrano crociato, a cura diM. Di Branco, Milano 2011, con ampia bibliografia.

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28 Il polemico calembour per cui la chiesa ‘dellaResurrezione’ (al-qiyāmah) è invece detta ‘degli escre-menti’ (al-qumāmah) deriva a Ibn Taymiyya daMas‘ūdī, Murūǧ al-dahab wa ma�ādin al-ğawhar, cit.,§ 1452 segg., ma è un vero e proprio topos nella tradi-zione islamica su Gerusalemme.

29 Ibn Ḫaldūn, Kitāb al-‘Ibar, cit., pp. 193 segg. (=Ibn Ḫaldūn, Muqaddimah, cit., pp. 475-479).

30 Su Ǧirgis al-Makīn, autore di una cronaca uni-versale (al-Maǧmū‘ al-mubārak, ‘La collezione benedet-ta’) che conobbe anche una certa fortuna in Etiopia, edè ancora inedita nella prima sua parte, relativa fra l’altroalle vicende dei greci e dei romani fino all’età di Eraclio,si veda soprattutto G. Graf, Geschichte der christlichenarabischen Literatur, II, Città del Vaticano 1947, pp.348-351. Anche se nel passo in questione al-Makīn nonè menzionato, egli ne è certamente una delle fonti prin-cipali (se non l’unica): è infatti citato subito dopo a pro-posito del ruolo del papa; e nel libro II del Kitāb al-‘ibar Ibn Ḫaldūn ripete alcune delle notizie di questoexcursus, attribuendole esplicitamente ad al-Makīn.

31 Sembra comunque probabile che alla base di talenotizia aberrante vi sia un semplice errore di trascrizio-ne del nome di Lino, ‹lynws›, il secondo vescovo diRoma, che viene trasformato in quello di Ario,‹’ryws›. Il nome di Lino è invece correttamente tra-scritto negli annali di Eutichio d’Alessandria e nellacronaca universale di Agapio di Manbiǧ.

32 Ibn Ḫaldūn, Kitāb al-‘ibar, cit., pp. 296 segg. (=Ibn Ḫaldūn, Muqaddimah, cit., pp. 261 segg.).

33 Ibn Khaldun, Al-ta‘rīf bi Ibn Ḫaldūn wa riḥlatu-hu ġarban wa šarqan, ed. M. b. Tawit al-Ḥanǧī, al-Qāhirah 1370/1951, p. 350.

34 Si veda soprattutto a. Elad, Medieval Jerusalemand Islamic Worship. Holy Places, Ceremonies, Pilgri -mage, Leiden-New York-Köln 1995, pp. 93-97.

35 o. Grabar, The Dome of the Rock, Cambridge(MA)-London 2006, p. 203.

36 Si vedano le acute osservazioni di U. Monneretde Villard, Introduzione, in Liber Peregrinationis diJacopo da Verona, a cura di U. Monneret de Villard,Roma 1950, pp. XI-XXXI, in partic. XXII segg.

37 G. Dagron, Naissance d’une capitale. Costan -tinople et ses istitutions de 330 à 451, Paris 1974.

38 Ibn Ḫurradādbih, Kitāb al-masālik wa ’l-mamā-lik, ed. M.J. de Goeje, Leiden 19672, pp. 113 segg. Latraduzione italiana, con qualche variante, è quella di A.De Simone, G. Mandalà, L’immagine araba di Roma,cit., pp. 65 segg.

39 A Gerusalemme Sion era denominazione costan-te della parte sud-ovest della città, onde la chiesa degli

Apostoli che si trovava in quella zona ebbe il nome diecclesia Sion. A Costantinopoli «Nuova Sion» era inve-ce una delle denominazioni di Santa Sofia: cfr. G.Dagron, Constantinople imaginaire. Études sur lerecueil des Patria, Paris 1984, pp. 300-305.

40 Ibn Ḫurradādbih, Kitāb al-masālik wa ’l-mamā-lik, cit., p. 109.

41 Sulle caratteristiche dell’opera di IbnḪurradādbih è ancora fondamentale M.J. de Goeje,Préface, in Ibn Ḫurradādbih, Kitāb al-masālik wa ’l-mamālik, cit., pp. VII-XXIII.

42 Al-Yāqūt, Mu‘ğām al-buldān, hrsg. von F.Wüstenfeld, II, Leipzig 1866, s.v. Rūmiya, pp. 866-872.

43 Sul significato del termine «Rūm» si veda da ulti-mo la sintesi di S. Khalil Samir, Quelques notes sur lestermes Rūm, cit., pp. 461-478.

44 Si veda per tutti G. Dagron, Représentations del’ancienne et de la nouvelle Rome dans les sources byzan-tines des VIIe-XIIe siècle, in La nozione di “Romano”,cit., pp. 295-306.

45 Ibn Rustah, Kitāb al-a‘lāq an-nafīsa, ed. M.J. deGoeje, Lugduni Batavorum 1892, pp. 128-132.

46 Cfr. A. De Simone, G. Mandalà, L’immaginearaba di Roma, cit., pp. 67-71. Si veda, inoltre, J.ch.Ducène, Une deuxième version de la relation d’HārūnIbn Yaḥyā sur Constantinople, in Der Islam, 82 (2005),pp. 241-255.

47 Al-Yāqūt, Mu‘ǧām al-buldān, cit., s.v. Rūmiya,pp. 866-872.

48 Historia Nestoriana, ed. A. Scher, PO 4,3, pp.284 segg.; Isḥāq Ibn al-Ḥusayn, Kitāb ākām al-marǧānfī dikr al-madā’in al-mašūrah fī kull makān, ed. M.Sa’ad, Bayrūt 1988, pp. 112-115.

49 Al-Bakrī, Kitâb al-masâlik wa ’l-mamâlik, éd.par a.P. van Leeuwen, a. Ferré, II, Tunis 1993, pp.477-481; al-Ḥimyarī, Al-rawḍ al-mi‘ṭār fī ḫabar al-aqṭār, ed. a. ‘abbās, Bayrūt 1975, pp. 274 segg. Sulrapporto fra storia, geografia e mirabilia si veda soprat-tutto G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit.

50 Come notano giustamente a. De Simone, G.Mandalà, L’immagine araba di Roma, cit., pp. 90-93,anche negli autori di ambito occidentale, dai quali ci siaspetterebbe, almeno per la loro relativa prossimità geo-grafica all’Italia, una maggiore conoscenza di Roma, l’e-quivoco Roma/Costantinopoli persiste largamente. Vacomunque sottolineato che le fonti in questione sonoper lo più semplici raccolte di descrizioni precedenti,dove l’elemento ‘autoptico’ è del tutto assente, perlasciare ampio spazio al gusto, tutto letterario, del rac-conto accattivante (benché non verificabile).

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