Correva l’anno... Massimiliano Monteforte Nulla è meglio di quell’essere euforici dopo una lunga galoppata a perdifiato Correva l’anno... PROVINCIA DI ROMA Assessorato alle Politiche dello Sport e del Tempo Libero COMUNE DI ROMA Commissione Consiliare Sport del Comune di Roma
Il tempo, lo spazio, la memoria ed il sogno percepiti grazie a momenti diversi, in una rapida successione di immagini fotografiche distanti e differenti tra loro. Queste emozioni, viste non soltanto con gli ochi ma anche con il cuore, sono vissute nel libro con una formula insolita, quella del diario, che richiama i momenti più esaltanti e fotograficamente più significativi dell'atletica amatoriale e non. Le foto sono il veicolo portante del lavoro di raccolta letteraria che ha coinvolto autori come Proust, Pound, Rodari, Hesse, Wilde, Flaubert, Bach, Shakespeare, Goethe, Neruda, D'Annunzio, Leopardi e Napoleone, che mai avrebbero immaginato che le loro riflessioni potessero essere associate alla semplice azione di mettere in rapida successione un piede dopo l'altro.
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Correva l’anno...Massimiliano Monteforte
Nulla è meglio di quell’essere euforicidopo una lunga galoppata a perdifiato
Correva l’anno...
PROVINCIA DI ROMA
Assessorato alle Politiche
dello Sport e del Tempo Libero COMUNE DI ROMA
Commissione Consiliare
Sport del Comune di Roma
Massimiliano Monteforte nasce il 24marzo 1972,a sei anni indossa la sua primadivisa da podista, quella dell’Atletica LaRustica di Roma.Fino ad ora ha percorso 64.186 chilometri,tutti rigorosamente segnati nella sua agendadegli allenamenti.Vanta personali di buon livello:800mt 1.52.61500mt 3.50.06 - 3000mt 8.16.4 - 3000siepi 9.02.32 - 5000mt 14.25.9. Durante lasua attività agonistica è stato sponsorizzatoda Mizuno,Reebok e attualmente è uno deiportacolori della New Balance.Massimiliano ha vestito per 7 anni la presti-giosa maglia del Centro Sportivo dellaForestale di Cittaducale (Rieti),ed a tutt’og-gi è Agente Scelto del Corpo Forestale delloStato presso il Ministero delle PoliticheAgricole e Forestali.Atleta ancora in attivitàè inoltre impegnato sia come Responsabiledei Top Atleti della Maratona Internazionaledella Città di Roma,che come organizzato-re di eventi sportivi che vedono sempre lacorsa come protagonista principale.In passato ha lavorato sia come fotorepor-ter free lance che come giornalista, espe-rienze divenute fondamentali nell’ideare,nel1995,e dirigere fino al 1999 la rivista sporti-va di Atletica Leggera “Tartan”.
Correva l’anno...Massimiliano Monteforte
Nulla è meglio di quell’essere euforici
dopo una lunga galoppata a perdifiato
Dedico questo libro alla mia famiglia, per
avermi dato il modo ed il tempo di coltivare
questa mia passione per la corsa ed a tutte
quelle persone con le quali ogni giorno ho per-
corso un tratto di strada, uno spazio, che a
causa del destino o del momento sbagliato
sono stato costretto ad abbandonare ai lati di
un selciato chiamato vita.
Il tempo che ho utilizzato per scrivere questo
libro e quello che ho trascorso correndo appar-
teneva a loro.
“La parte migliore della nostra memoria è fuori di
noi , in un soffio piovoso, nell’odore di richiuso di una
camera o nell’odore di una prima fiammata, dovun-
que ritroviamo di noi stessi quel che la nostra intel-
ligenza , non sapendo come impiegarlo, aveva
disprezzato, l’ultima riserva del passato, la miglio-
re, quella che, quando tutte le nostre lacrime sem-
brano disseccate, sa farci piangere ancora. Fuori di
noi? In noi , per meglio dire, ma sottratta ai nostri
stessi sguardi, in un oblio più o meno prolungato.
Solo grazie a quest’oblio possiamo di tanto in tanto
ritrovare l’essere che fummo”.
Marcel Proust
di Roberto L. Quercetani
L’autore di questo originale lavoro ha amato e ama l’atletica ingenerale e la corsa in particolare con tutto il cuore. E’ un amore sbocciato in lui “a tenerisunguiculis” ed è tutt’ora ben vivo e ardente. Come agonista Massimiliano Monteforte haottenuto nel mezzofondo e nel fondo tempi al di sopra della norma, fra i quali un 3.50.06sui 1500 metri che – se potessimo portare indietro l’orologio della storia di una settantinadi anni, gioco affascinante, ahimè proibito – farebbe di lui il primatista mondiale di quel-lo che oltre Manica chiamano il “miglio inglese”. Fra gare e allenamenti il nostro ha coper-to finora più di 64.000 chilometri – oltre un giro e mezzo della terra all’altezzadell’Equatore e quindi di strada ne ha fatta parecchia...Al di là delle cifre, questo giovane uomo dice di considerare l’atletica uno stile di vita.Queste pagine, pensate e scritte sullo scorrere ideale di un calendario, riportano le sue rifles-sioni, scaturite correndo e vedendo correre, oltre che rivivendo attraverso le letture gli“exploits” di tanti campioni. Qui si parla ad esempio dei grandi miti italiani di questosport: dal magnifico Livio Berruti , un velocista che nell’Olimpiade romana del 1960 regalòa tanti di noi 20 secondi e mezzo di grande euforia, fino ad Abdon Pamich, sublime mar-ciatore del quale si ama dire che abbia percorso più chilometri di qualsiasi altro italianopresente e passato. E di innumerevoli amatori , ciascuno dei quali ha onorato a suo modo l’ar-te di correre. Gli ambienti in cui Monteforte ha avuto la ventura di correre, a Roma e in tanti altri luo-ghi, gli hanno suggerito una miriade di considerazioni su quel mondo in cui ci troviamo edel quale “il tempo è una fluttuazione e un’azione percepibile proprio attraverso il movi-mento”, una citazione che l’autore ha tratto da Aristotele, un Grande del pensiero che videlo sport come una forma di cultura.
Roberto Luigi Quercetani, nato a Firenze nel 1922, è da molti anniuno dei giornalisti più noti nel mondo dell’atletica. Per quasi mezzo seco-lo ha seguito le vicende di questo sport, assistendo in svariati angoli delglobo a manifestazioni di ogni calibro. Particolarmente interessato all’a-spetto storico/statistico, nel 1950 a Bruxelles fu, insieme ad HaroldAbrahams (medaglia d’oro nei 100 m alle Olimpiadi di Parigi del 1924,velocista reso celebre dal film “Momenti di gloria”), fra i soci fondatoridella ATFS (Association of Track and Field Statisticians), di cui è stato pre-
sidente dal 1950 al 1968. Collabora da molti anni con numerosi giornali e riviste, fra cui “LaGazzetta dello Sport”, e fin dalla sua origine con “Track and Field News”, rivista americanadefinita la Bibbia della atletica leggera. Ha scritto numerosi libri, fra i quali ricordiamo: “AWorld History of Track and Field Athletics”, pubblicata nel 1964 dalla Oxford University Pressdi Londra; “Runners and Races: 1500 m/Mile”; “Mezzofondo: la magica storia degli 800 metri
Con tutto il cuore
Come potrei dimenticare la mia
prima corsa podistica, una gara
di 2000 m ai Giochi della
Gioventù, nella quale arrivai
terzo in 6’49”. In quell’occasione
vinsi anche la mia prima medaglia, di bron-
zo ovviamente, correndo con un paio di Tepasport che mi sembravano scarpe
supersoniche per quei tempi. Dopo ogni allenamento, in realtà quei pochi che
ho fatto per preparare quella gara corsa sulla pista in terra rossa di Schio, le
pulivo prima di riporle nella scatola allo scopo di farle durare più a lungo.
Avevo preparato quella gara senza i consigli di un allenatore, ma seguendo le
indicazioni tecniche riportate in un testo per studenti dell’Istituto Superiore
di Educazione Fisica. Quella gara mi fece capire che la corsa era uno sport
meraviglioso, anche se non rinnegavo il ciclismo, il mio primo vero amore spor-
tivo. A quella corsa della fase comunale dei Giochi della Gioventù ne seguiro-
no tante altre, ma sentivo che le brevi distanze non facevano per me: non ero
per niente veloce e nonostante impostassi sempre ritmi di gara sostenuti , sul
rettilineo finale ero sempre battuto da qualcuno più veloce. La maratona era
quindi il mio sogno, anche se non avevo ancora l’età per affrontare un impegno
fisico così gravoso. A quei tempi avrei voluto crescere in fretta per correre presto
la mitica distanza della maratona, ma mi dovevo accontentare delle corse
domenicali , definite impropriamente non competitive. Le distanze di queste
manifestazioni podistiche difficilmente erano inferiori ai 15km, ed anche se
ero ancora un sedicenne poco allenato, notavo che nelle corse fuori pista il mio
Gocce di memoriadi Orlando Pizzolato
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rendimento era soddisfacente. Una volta passato nella categoria juniores ho
potuto allungare la distanza di gara e cimentarmi così sulla mezza marato-
na, ma le occasioni per tali esperienze erano in ogni caso poche, limitate ad un
paio di volte l’anno. E finalmente arrivò il passaggio alla categoria seniores, e
quando non ero ancora ventenne feci l’esordio in maratona. Da quella mia
prima gara dei Giochi della Gioventù ne erano passati di anni, e le mie pre-
stazioni erano anche certamente migliorate, grazie all’assidua costanza che
mettevo negli allenamenti. La mia guida tecnica per l’esordio in maratona fu
Antonio Ambu, il maratoneta italiano che ha vinto più titoli italiani di tutti ,
ed il suo carisma e la sua esperienza hanno certamente contribuito nella mia
determinazione a diventare maratoneta. Il sogno si stava avverando quando
il 1° maggio del 1978 ero allineato sulla pista delle Terme di Caracalla per par-
tecipare ad un campionato italiano. Che emozione in quel giorno: lo ricordo così
vivamente come mi capita per le altre più importanti maratone che ho corso
nella mia carriera. Mi sembrava di fare un viaggio verso un altro pianeta.
Stavo vivendo sensazioni contrastanti : ero molto emozionato perché finalmen-
te affrontavo la distanza di corsa che per me aveva un valore importante, ma
ero anche molto teso e preoccupato nonostante i consistenti allenamenti a cui
mi ero sottoposto. Per la paura di fallire, ma soprattutto per i consigli di Ambu,
impostai la gara con tanta prudenza. Temevo il “muro del maratoneta” e così
sono partito piano, transitando a metà gara in 1h14’, ma grazie a questa pru-
dente impostazione di gara il finale fu per me travolgente. Al 25° km quando
Ambu mi sollecitò ad aumentare il ritmo, iniziai una progressione che mi
portò a recuperare 20 posizioni ed entrare nello stadio della Stella Polare di
Ostia in 6^ posizione, 2h22’56” era il tempo che segnava il cronometro nel
momento in cui tagliai il traguardo. Ero maratoneta ed avevo vissuto un sogno,
il primo di tanti altri nel pianeta maratona, giacché con quella prima corsa
sui 42,195 m conquistai subito la maglia azzurra. La corsa e
la maratona mi avevano affascinato.
Orlando Pizzolato,vincitore nel 1984 e nel 1985 della Maratona di New York.
Ogni persona, con i propri
pensieri e le proprie azio-
ni , scrive un libro nella
vita e nel mio all’interno delle linee bianche tra una riga
e l’altra del testo scritto in nero, ho trovato il tempo ed il modo
di correre dentro quella intercapedine che spesso nella vita di tutti i giorni
resta sgombra o rivolta verso altre mete. Cosi ora nel “volume” dei miei ricordi
c’è traccia soprattutto del tempo che ho trascorso correndo per inseguire impro-
babili traguardi ed inverosimili intenti. Credo che nel romanzo della vita non
siamo altro che una virgola o un punto, Io… la parola corsa.
Alcuni creano con le parole, altri con la musica, altri quando dipingono. A me
piace fare qualcosa di bello quando corro. Mi piace pensare che la gente possa
dire di non aver mai visto correre così prima. E’ più che una semplice corsa, è
uno stile di vita.
Già Cicerone aveva centrato il problema. In una epistola ai familiari scrisse:
“La lettera non si fa rossa”, intendendo dire che lo scrivere consente di esprimere
cose che la vergogna e il riguardo non permettono di dire a voce. Nel corso dei
secoli migliaia di uomini e donne hanno comunicato i propri sentimenti più
intimi, affidandoli al papiro, alla pergamena o alla carta. Libri , lettere d’a-
more, messaggi in bottiglia e ancora: denunce anonime, testi cifrati o diari epi-
stolari sono alcune tipologie della enorme varietà di questa forma di comuni-
cazione che è la scrittura. Una tradizione antichissima che ha avuto una
improvvisa caduta con l’avvento del telefono e di internet. Così, seppur in piena
era tecnologica, ho deciso di scrivere un libro, impegnandomi in un lavoro che
non è il mio, perché sono affascinato dal fatto che nello spazio di una sola pagi-
na l’animo di chi scrive e, spero anche di chi legge, si possa meravigliare e stu-
pire nello stesso tempo. Tutto questo perché credo che valga la pena di conser-
vare, per la memoria della nostra società quotidiana, la laconica suggestività
che provoca quella tranquilla emozione che ci lascia stupiti nel vedere in una
foto l’anziano di oggi , giovane di ieri. I soggetti di questa raccolta fotografica
non sono però solo le persone, ma l’ambiente in cui esse si muovono facendoci
intuire e ben sintetizzare il significato di ciò che è successo “in campo” quando
Io… la parola corsa
noi ancora non “giocavamo” e tutte quelle sensazioni legate al mondo della
corsa: la fatica, la vittoria, l’infortunio, la sconfitta, la preparazione fisica e
mentale alla gara, ecc.
La natura non crea immagini, e nemmeno le crea lo svolgersi degli avveni-
menti. Nessuna scena o avvenimento si può perciò considerare un’immagine
stabile e duratura, sino a quando non sia stata imposta una dimensione, tem-
porale e fisica, al naturale svolgimento della vita. Quando questo avviene, gra-
zie ad associazioni mentali e voli di pura fantasia possiamo, attraverso i sensi ,
guardare oltre i bordi e gli angoli dell’inquadratura per meglio “mettere a
fuoco” l’interesse personale e storico delle fotografie stesse. Queste appaiono più
vive e dinamiche, proprio per il loro valore aggiunto dal tempo ormai passato.
Cosi la relazione tra le linee e le masse e la loro collocazione all’interno del-
l’inquadratura, vicino a monumenti o luoghi di comune conoscenza storica,
traduce ed evidenzia l’eccitazione dell’avvenimento sintetizzato dalla ripresa
fotografica: sintesi visiva di una frazione di secondo che invece allunga e dila-
ta il tempo rendendolo in un certo senso elastico grazie alle nostre passioni.
Se pensiamo a quando eravamo bambini, un fiotto di ricordi emerge dalla
nostra mente, sensazioni che credevamo scomparse, voci , immagini, emozioni.
Questa non è una memoria schematica, qui non si tratta di ricordare quanto
fa sette per cinque, o il nome della persona o dell’aneddoto che ci hanno rac-
contato giorni fa , ma di andare a ritroso nel tempo attraverso una dimensione
completamente individuale, il nostro passato: questa è la memoria autobio-
grafica, quanto di più individuale appunto, tant’è che riteniamo che questi
ricordi personali siano stampati nella nostra mente come fotografie indelebili
“scattate” chi sa quando, che costituiscono l’album della nostra vita .
Immagini, atmosfere, sensazioni : da angoli nascosti della mente emergono
allora memorie insospettabili , figure e persone che sembravano scomparse per
sempre. Storie che grazie a reminescenze si ricordano e altre che stentiamo a
rammentare, oppure “riesumiamo” in modo diverso ma che man mano diven-
gono più nitide nella mente di chi ricorda.
Ma che cos’è un ricordo? Di ogni evento e di ogni esperienza della nostra vita
conserviamo un’immagine fedele? Oppure con il tempo i ricordi si deteriorano?
Non so dare una risposta, so soltanto che quando
guardo una vecchia foto torno indietro nel
tempo e comincio a percepire con il linguaggio
delle emozioni. Il ricordo della prima volta
sulla linea di partenza, il rumore del colpo
di pistola, la vista di tante persone legate
dalla stessa passione per la corsa, come le
foto di “ieri”, risvegliano in me nugoli
interi di ricordi di quei tempi. Non sono
sempre chiari e immediatamente rico-
noscibili , ma hanno tutti quello stesso
delizioso profumo di allora , generando una
quantità sconcertante di emozioni che mi bale-
nano alla mente e in poche, trasognate frazioni
di secondo mi fanno rivivere storie intere.
Queste foto sbiadite o ingiallite dal tempo, appar-
tengono ad una dimensione precedente, diversa rispet-
to all’ottica e alla concezione del mondo che abbiamo
oggi , a distanza di tanti anni dall’infanzia, dall’adole-
scenza o dalla giovinezza i ricordi, situati in una specifica
parte del cervello, anche se sepolti sotto un pulviscolo depositatosi in anni di
inattività, possono “risvegliarsi” e darci modo di vivere delle belle emozioni.
Personalmente ho provato queste sensazioni, quello strano batticuore che non è
dovuto all’esercizio fisico, quando a distanza di circa 20 anni, scartabellando
fra i fogli in casa, mi è capitata fra le mani una vecchia foto di quando bam-
bino correvo per le strade di una periferia romana ancora in costruzione. Avevo
attaccato al petto (con spille gigantesche), un pettorale grosso quanto tutta la
maglia che indossavo, che a dispetto dei più moderni materiali sportivi era di
pura e caldissima lana. Un’emozione forte, inaspettata perché tutti , in fondo
in fondo, vorrebbero fermare la propria immagine agli anni dell’adolescenza,
della spensieratezza e inconfessati Dorian Gray, vorrebbero avere un ritratto in
soffitta che invecchiasse al posto loro.
Diceva Hermann Hesse, uno dei maggiori scrittori tedeschi del novecento: “Se
ancora oggi la mia infanzia mi sfiora il cuore, lo fa con immagini profonde,
incorniciate d'oro, in cui mi sono chiari soprattutto i castagni e gli ontani pieni
di fronde e il sole mattutino indicibilmente bello sullo sfondo di magnifiche
montagne. Tutte le ore della mia vita in cui mi è stata con-
cessa una breve sosta dimentica del mondo, tutti gli istan-
ti in cui una piccola felicità inaspettata o un amore spas-
sionato mi hanno distolto dall’ieri e dal domani, non so
come definirli più deliziosi se non paragonandoli con il
verde quadro dei miei primissimi anni”. Ed è senz’altro
particolare narrare le esperienze, gli entusiasmi e le
gioie provate da bambino, disseminate nel giro di
pochissimo tempo e tuttavia bagaglio da portare sulle spal-
le per un’intera vita. E’ mio zio, Renato Lattanzi, che
comincia nel lontano 1978 a farmi appassionare alla corsa.
Quell’anno mi iscrisse all’atletica La Rustica e cominciai a
correre una, due volte a settimana (compresa la gara dome-
nicale di Corri per il Verde). Proprio il fratello maggiore di
mamma in un’Alfa Sud blu, dal rumore inconfondibile, accom-
pagnava me ed i miei cugini Mauro e Paola negli spazi ancora
verdi di una città che perdeva via via, con il passare del tempo, il suo contat-
to con la natura. Sicuramente per me, ma forse anche per l’atletica in genera-
le era un periodo pionieristico e ricordo con piacere qualche aneddoto: mio
padre che non riuscendo a terminare una gara si defila uscendo dal percorso
riponendo sotto la maglia il suo pettorale come nulla fosse; mia sorella che per
il solo motivo di essere più volte caduta nel fango scoppia a piangere deciden-
do li di non correre mai più; l’emozione di vincere e collezionare gli adesivi di
Corri per il Verde, raffiguranti vari animali intenti a correre e incollarli da
vero collezionista su di un quadernino a righe; il raccontare a casa che potevo
arrivare a correre 15/20 minuti di seguito e ascoltare mia madre preoccupata
che mi ricordava di dire allo zio di non esagerare, perché secondo lei correvo
troppo e poteva essere pericoloso.
Intorno al 1820 Niepce
fissò per la prima volta
un’immagine (la piccio-
naia di casa sua), su una lastra di metallo dopo circa
otto ore di posa. Grazie ad un trentennio di esperimenti e ten-
tativi , aveva scoperto che dopo una lunga esposizione al sole, le zone chiare
dell’immagine erano ancora coperte dall’impasto argentato mentre quelle scure
si erano dissolte, lasciando a nudo il metallo. L’apparecchio era una semplicis-
sima scatola nera con un foro per il passaggio della luce. Da allora la riprodu-
zione delle immagini ha fatto passi da gigante ed oggi per esporre una foto-
grafia è sufficiente anche solo una fra-
zione di secondo.
Nei nostri giorni le fotografie ci accom-
pagnano fin da bambini, da quando
ancora in fasce un nutrito stuolo di per-
sone si accalca su di una vetrata per
immortalare il primo giorno di vita; a
quando nei primi anni di scuola ci foto-
grafano sotto l’albero di Natale; per pas-
sare alla prima comunione, al giorno delle nozze e magari finanche alla festa
di compleanno per i “primi 80 anni”. Cosi se è vero che la nostra vita comincia
e finisce con un respiro è altrettanto vero che i ricordi di una vita partono e
spesso si accompagnano alle fotografie. Queste costituiscono il piacere del ricor-
do, quelle familiari o riprese in viaggio ci ripropongono sapori ed emozioni pro-
vate in passato, grazie all’applicazione di noi stessi e della nostra mente: la
fotografia è memoria, gioco e ricerca di noi stessi. Così per far acquistare a que-
sta “arte” la virtù che le manca, come accade al buon vino lasciato a decan-
tare per anni nelle botti in fondo ad una cantina, si deve interrompere la sua
opera di mera riproduttrice della realtà. I decenni nei quali le immagini ven-
gono dimenticate sotto una montagna di carte, dentro un cassetto o perse die-
tro un mobile nella camera dei ragazzi ci fanno tornare indietro nel tempo.
Solo allora, l’arte di Daguerre, può mostrarci cose di un tempo passato che
I colori della memoria
Io a 13 anni
ormai non esistono più o sono cambiate molto: si
assaporano sensazioni uniche ed emozioni chimeri-
che grazie ad un clichè negativo che si sviluppa
dopo, passati gli anni, quando si ritrova quella came-
ra oscura interiore il cui ingresso è vietato finchè si è
nel presente. I ritratti che un tempo attraversavano il
vetro smerigliato della macchina fotografica attirano
oggi l’occhio come un manifesto. Le immagini senza
un movimento apparente ci permetto-
no di viaggiare nel tempo incontrando
le rappresentazioni di amici e conoscen-
ti nel contesto sociale di una volta. Per i
più giovani sono anni mai vissuti , le
notizie che si hanno sono frutto solo di
studi e racconti. Per i più anziani un
modo per ricordare gli anni della gioventù.
Quindi questi attimi che furono cercano di
esporre, sottolineando la realtà sociale dei
nostri nonni, la diversità tra ieri ed oggi , di
quando nel nostro caso specifico, correre era
una stravaganza e magari anche una paz-
zia. Così io, che ho studiato e lavorato come
fotoreporter per quotidiani e riviste, ho tro-
vato anche il piacere di descrivere, grazie
alle foto dei “colleghi podisti”, il linguaggio fotografico appreso in anni
di studi e di esperienza. Una passione nata grazie agli insegnamenti di mio
zio Antonio, prematuramente scomparso il 4 ottobre 1993 in un incidente stra-
dale sulla Cristoforo Colombo. Il “Baffo Messicano”, fotoreporter dell’Agenzia
Ansa, da grande appassionato di sport sarebbe stato felice di leggere e guarda-
re questo libro ed io sono contento di pubblicare una sua immagine che lo ritrae
in corsa, addirittura davanti a Francesco Panetta che aveva appena vinto il
titolo di Campione Mondiale dei 3000 siepi ai Campionati di Roma ‘87.
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“Quanta strada nei miei sandali”, canta
Paolo Conte pensando a Bartali , ma solo
perché non sa quanta ne ho fatta con le
scarpe immortalate in questa foto e con quella pesantis-
sima maglietta di cotone misto lana che vede me (il n. 71) e
due amici attendere, con un certa apprensione, la partenza della propria
gara. Erano anni nei quali cambiare un paio di scarpe da ginnastica era come
comprare l’abito per la prima comunione.
Storie leggendarie narrano ancora oggi di
scarpe fantastiche che riescono a trasfor-
mare un brocco in un campione e con
le quali si potrebbe correre all’infini-
to. Oggi però proprio la ricerca di
quelle “ali” divine spinge i runners
del 2000 a cambiare calzature
prima che queste siano veramente
“stanche di correre”. Venti o trenta
anni fa non era cosi e le calzature
sportive si portavano fino a quando la
pianta del piede non toccava lette-
ralmente l’asfalto o quando il batti-
strada , allora senza particolari
accorgimenti tecnici , penzolava come un burattino senza fili da un lato della
scarpa. Tutto questo nonostante il fatto che le scarpe siano da sempre conside-
rate nell’immaginario collettivo del podista come le sue migliori amiche.
Corrono per noi , si bagnano quando piove ma poi se ad una gara si va male, al
di sotto delle aspettative, sono le prime ad essere scaraventate contro il muro,
dove poi a fine carriera verranno appese rimanendo immobili per sempre.
Povere amiche dei runners, il passato per loro era buio: intanto botte da orbi ,
visto che non esistevano piste morbide ed elastiche come quelle di oggi.
Guadagnarsi la giornata era difficile perché gli allenamenti erano un po’
strampalati : un giorno si potevano correre i lunghi e l’altro le ripetute da 100
L’età dell’oro
metri senza mai ottenere il privilegio di dividere la corsa con delle “colleghe”.
Oggi no, c’è la scarpa per il riscaldamento, quella per i corti veloci e le ripetu-
te, quelle per i lunghi e lo sterrato e chi più ne ha più ne metta… ai piedi,
ovviamente!
Sfogliando vecchie riviste della corsa si possono ritrovare nomi di aziende note
o poco conosciute ai più giovani : Adidas, Asics Tiger, Brooks, Champion,
Le Coq, Lotto, New Balance, Nike, Pirelli , Pony, Puma, Reebok, Spalding,
Valsport. Alcuni di questi marchi, notissimi negli anni ’70, non esistono più ed
altri ne sono nati , come per esempio la Mizuno, diventando comuni per tutti
gli appassionati della corsa. Mi è sembrato cosi utile, per il contesto nel quale
si “muove” il libro, ripercorrere nel prossimo capitolo qualche tappa storica di
una di quelle aziende, la New Balance, che ieri come oggi risulta essere “alla
moda” e particolarmente tecnica, in modo da verificare insieme “quanta stra-
da” hanno fatto le nostre calzature sportive e quante differenze c’erano con il
podismo d’oltreoceano.
Ricordo, sorridendo un po’ sotto i baffi (che non ho), di quando il premio di par-
tecipazione alle gare, che oggi è rappresentato dalla classica maglietta di coto-
ne, era la tradizionale medaglia raffigurante improbabili vittorie alate con le
quali molti podisti degli anni ’70 si sono fatti la bacheca da mostrare a tutti
gli amici e parenti. Ricordo quando è subentrata l’abitudine di regalare ogget-
tini inutili : portachiavi , apribottiglie e paccotiglia varia. Poi , visto il fuggi
fuggi generale davanti a simili oggetti si è cominciato a regalare la classica
bottiglia di buon vino nostrano. Erano anni diversi nei quali si barava addi-
rittura sulla classifica finale. Infatti gli anni dei chip erano ancora lontani ed
il corridore, che per legge naturale appartiene alla categoria dei “grandi
bugiardi” come i cacciatori ed i pescatori eccelleva nell’arte, sicuramente
bonaria, della menzogna. Il dire e l’ascoltare una bugia era una recita reci-
proca, un rituale che doveva comunque essere eseguito. Cosi i risultati crono-
metrici venivano giorno dopo giorno “limati” un pochino con il risultato fina-
le che dopo qualche mese ad aver vinto quella determinata gara o categoria
risultavano persone diverse. Fa sorridere anche pensare come i podisti di qual-
che decennio fa si presentavano ai nastri di partenza delle gare domenicali.
Questi assomigliavano all’Esercito Italiano dopo la disfatta di Caporetto: tute
sbrindellate e ricucite frettolosamente in nome del fatto che la corsa era un
hobby e che, quindi, bisognava ammortizzare al massimo le spese. In quei
tempi passati emergono individui straordinari e si verificano fatti singolari che
lasciano un’impronta determinante, suscitano immagini grandi che ancora
oggi fanno un pò sorridere ed al tempo stesso riflettere.
Ieri come oggi instancabilità e tenacia sono doti di chi ama la corsa. Non c’è
freddo o pioggia che possa fermare i runners, si allenano spesso e con costanza.
La corsa è uno sport individuale ma chi lo
pratica non disdegna la compagnia, perché
da soli si corre, ma in tanti ci si fa coraggio
e ci si diverte un mondo. Negli ultimi 50
anni il movimento podistico si è evoluto tan-
tissimo, ha preso coscienza di sé e della sua
importanza sociale e pertanto necessita, ora
più che in passato, di competenza tecnica e di
una buona dote di esperienza. Tutto questo
potrebbe sembrare anche banale ma in passato, il “ footing” ed ancora peggio
lo“jogging” erano spesso sinonimo di improvvisazione. Non possiamo più per-
metterci di squalificare la corsa uscendo in una tenuta di “ fantozziana”
memoria (pantalone ascellare, canotta, scarpe da calcio o peggio ancora K-way
per sudare e le immancabili scarpe di tela consumate). Il runner moderno
deve possedere una nuova conoscenza, deve seguire l’iter comune a tutti gli
sport tradizionali : visita medica, attrezzatura adeguata e buon senso. Il fai-
da-te non è più ammesso perché può danneggiare la salute. E’ bene ricordare
il passato, io per primo sono affascinato da quello che facevano i nostri nonni,
ma questo ci deve aiutare a riflettere e magari facendoci un po’ sorridere, deve
impedirci di commettere errori banali. E’ giusto rivolgersi al passato, ma que-
sto per riprendere ciò che di positivo c’era nei tempi che furono: il mitico spiri-
to di aggregazione degli anno ’70 può essere preso ad esempio per riportare tutto
il nostro movimento ad un’ipotetica età dell’oro.
La New Balance azienda nata a
Boston, Massachusetts, è presente nel
panorama podistico nostrano fin
dagli anni ‘70.
Attraverso la sua storia
aziendale (nell’ottobre del 1976 Runner’s World
elegge la 320 miglior scarpa running al mondo),
e grazie alle campagne pubblicitarie di ieri , cosi
diverse e particolari rispetto a quelle odierne,
possiamo far riemergere nella nostra memoria
modelli di scarpe che hanno accompagnato le
nostre sudate di qualche tempo fa .
Fa certamente sorridere vedere pubblicità di cal-
zature sportive nelle quali il momento dell’impat-
to al suolo viene rappresentato con dei pugni che
colpiscono l’intersuola. Fa inoltre pensare come
questi modelli , per quanto possano sembrare un
po’ naif ai giorni d’oggi , rappresentassero all’epoca
il massimo dal punto di vista tecnico e presta-
zionale. Infatti negli anni precedenti gli atleti
correvano con delle scarpe
sportive che
r i sultavano
essere delle
vere e proprie zavorre ai piedi. Anzi c’è da
dire che in certe occasioni si dovevano accon-
tentare di semplici calzature da passeggio. Vi
ricordate la scena del celebre film “Momenti di
gloria”, in cui il pastore anglicano Eric Liddell
vince la sua prima gara correndo in tenuta
“borghese”? Finzione certo, ma non era poi cosi
distante dalla realtà dell’epoca.
Tempi eroici
Nel primo decennio del nuovo secolo le vicende
del podismo laziale erano rappresentate da un
nome famoso, quello di Pericle Pagliani (qui
colto in allenamento a piazza di Siena), capa-
ce di confrontarsi alla pari anche con il mitico
Dorando Pietri. In quegli stessi anni, precisa-
mente nel 1906 nasce e si specializza nella lavo-
razione a mano di scarpe e supporti plantari
ortopedici la “New Balance Arch Company”. In
quegli anni scarpe specifiche per la corsa non esi-
stevano di certo
e gli atleti di vertice utilizzavano le ore
libere dal lavoro per allenarsi in città ed in
campagna. Al culmine della carriera un
buon atleta poteva arrivare a correre anche
tre volte alla settimana, coprendo ogni
volta 10 km a forte andatura. Proprio a
Roma nel 1906 Dorando Pietri ottenne la
sua prima vittoria in una maratona, era il 2 aprile
quando corse i 42 km in 2h42’. La moda del tempo, peraltro proveniente pro-
prio dall’America, era quella di correre sotto pseudonimo: Palla di cannone, la
Saetta, Piè di daino erano “nomi” noti per incrementare la già notevole sensa-
zione di stupore ed ammirazione che circondava il campione del podismo del
tempo, in modo da “ fare chic” agli occhi degli spettatori. Nel 1961 la New
Balance inventa la prima scarpa da running: la
Trackster, progettata specifi-
catamente per la corsa, è la
prima calzatura con un’ inter-
suola composta da più mate-
riali e rialzata sotto il tallone.
Dal 1967 produce poi ogni
modello in una gamma comple-
ta di larghezze differenziate. Fa cosi sorridere ed al tempo stesso ci stupisce
ricordare l’impresa olimpica di
Abebe Bikila che nelle
Olimpiadi di Roma ’60
entrò a pieno diritto ed a
piedi nudi nella leggenda
della maratona.
Le luci tremolanti che illu-
minavano la scena nottur-
na lungo la più famosa
delle strade antiche, l’Appia, rischiara-
vano i ruderi romani e in quella galle-
ria di luce si infilò per l’eternità, con il
n. 11 sul petto, l’atleta etiope.
Un quadro suggestivo che non verrà mai
dimenticato da coloro che assistettero
alla corsa: l’Arco di Costantino era bianco
nella notte e la gente gremiva le rovine
intorno al Colosseo.
Abebe entrò nella leggenda, ma forse non
tutti sanno che anche
un altro etiope, arri-
verà settimo con
2h21’09”, ed un indiano
(45° assoluto in 2h35’)
corsero scalzi la marato-
na olimpica, rimanendo
sconosciuti ai più . Tutto
ciò in netta contrapposi-
zione con la realtà che
andava sviluppandosi in
quegli anni negli States.
Dan McBride,
primo atleta NB
Nel 1975 Tom Fleming vince la New York City Marathon con un paio di New
Balance 320 ai piedi e nell’ottobre del 1976
Runner’s World elegge la 320
miglior scarpa running al
mondo. Da quel momento le
scarpe NB arrivano prima in
Europa e poi in Italia. Proprio
nel Bel Paese la crescita del
tempo libero aveva scatenato la
voglia di sport e natura facendo
aumentare il desiderio di una
attività amatoriale all’aperto. Così ogni tipo di equipaggiamento per la
corsa conobbe una vera e propria “esplosione” in
quantità e novità mai registrate prima: in quegli
anni correre all’aria aperta diventa un modo di
vivere e di pensare. La NB come le altre aziende
sportive del settore cominciano ad investire nel-
l’innovazione delle calzature: nuovi materiali ,
sistemi di ammortizzazione sempre più fantasiosi
e scarpe più leggere lanciano definitivamente tutto
il mercato del running. In Italia questo movimento ha il suo picco massimo nel
tris di vittorie italiane alla Maratona di New York.
Le due vittorie di Orlando Pizzolato (‘84/’85) e quella di Gianni Poli del 1986
destarono enorme entusiasmo dando il “la” ad un movimento sportivo che fino
ad oggi non ha ancora “smesso di correre” e che ha fatto proliferare, in Italia
come all’estero, un numero elevatissimo di manifestazioni che richiamano un
vasto stuolo di podisti. Oggi in molte città italiane ed in numerose capitali
europee si corre una maratona per accrescere la notorietà ed il fascino della
città stessa. Tutto ciò ha creato un vasto incremento non solo dal punto di vista
tecnico/agonistico ma anche nel settore turistico, dove sono nate organizza-
zioni per la gestione delle trasferte legate al mondo della corsa; e corse defini-
te “a tappe” che sono un vero misto di atletica e vacanza.
Ogni tanto capita che
qualche podista si voglia
fermare a pensare , a
riflettere, a capire il motivo per cui si continua a cor-
rere. La risposta spesso non la si trova, ma a volte qualcuno ci
va molto vicino, poi smette di pensare perché si ha altro da fare, si deve met-
tere un passo dopo l’altro sempre più veloce. Si continua a correre perché ognu-
no deve seguire la riga nera dell’asfalto, sforzandosi di pensare solo a quella;
bisogna pensare alla riga perenne che è sotto di noi , a quella e basta. Il resto è
distrazione, imballa la testa ed i muscoli , appesantisce e ci fa venire i cram-
pi, quelli alla testa che sono ben più dolorosi di quelli alle gambe.
Due o tre cose ho fatto troppo o
troppo intensa-
mente in vita mia:
ho troppo pensato,
ho troppo fantasti-
cato, ho troppo
sognato; i maligni
dicono però che ho
perso troppo tempo a
correre… ma non è
vero perché non sono ancora stanco!
Durante gli allenamenti e le gare mi capita questo: al solo pensiero di metter-
mi le scarpe da corsa, il piacere del movimento si fa sentire. Vengo preso da una
sensazione euforica, un’autentica felicità. E’, per cosi dire, un meccanismo cir-
colare: quando sono felice corro bene, quando corro bene sono felice. E’ l’idea
socratica del conosci te stesso. Correre significa arrivare a conoscere se stessi nel
profondo. Per questo ognuno che crede in qualcosa dovrebbe attenersi a quella
canzone che dice: “l’aviatore non porta mai pensieri pesanti , sarebbero già da
soli un carico pesantissimo”. Forse proprio per questa filosofia siamo ancora li ,
correndo per fare parte di quell’energia che corre. Tutto questo perché nulla è
meglio di quell’essere euforici dopo una lunga galoppata a perdifiato.
Quell’energia che corre
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Signorina Margheritaaa!!!
‘mmazza che fusto!!!
E’ doveroso un ricordo ad Alberto Sordi che nella vita ha “marciato” spedi-to in tante pellicole. Nel film “Mamma mia che impressione” (1951) diRoberto Savarese, pseudonimo di Vittorio de Sica , lo vediamo interpretareun marciatore furbo e poco fortunato.
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Osservare non è lo stesso che vedere. Tuttiquelli che tengono gli occhi aperti stanno soloosservando. Le cornee dei nostri occhi formanocontinuamente delle immagini che vengonoproiettate sulle nostre retine. Il vedere ,comunque, richiede un uso più complessodella mente: non si può correre via da un’im-magine, non è sufficiente dirigere, semplice-mente, la testa e gli occhi, attraverso l’azionedel guardare; è anche necessario associareidee e concetti a ciò che si è visto, e interpre-tare tutto quanto si è catturato con ognisguardo.
Corri per il verde 1974Appia Antica
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Lo spazio in sé non è niente; non c’èuno spazio assoluto. Esso esiste soltantomediante i corpi e le energie che con-tiene. Anche il tempo non è niente.Esso sussiste soltanto in conseguenzadegli eventi che si svolgono.
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Quello che ci lega alle cose, sono le mille radici , gli innumerevoli fili rap-presentati dai ricordi di un tempo passato e quella trama continua diconoscenze e di abitudini da cui non riusciamo a svincolarci.
Gli atleti (con il n. 7672 Michele Ieva), il vigile (forse Otello Celletti , il piz-zardone più famoso di Roma, quello del film dell’indimenticabile AlbertoSordi) e l’Appia Antica con i suoi ciottoli al lato della strada, appaiono in que-sta foto perfettamente collegati nel loro tempo. Questa “cartolina romana” tra-spone, oltre il suo arco temporale, la via ricostruita da Appio Claudio nel 312a.C., che una volta veniva percorsa da carri e cavalli , il tutto non risultandoaffatto “ fuoritempo” ma anzi aiutando i vari soggetti della foto ad avere lagiusta espressione di quotidiana eternità.
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La foto che ritrae Angelo Ciccone nella gara dei Quattro Comuni(Bellegra, San Vito, Genazzano e Olevano Romano) è stata scattataall’inizio degli anni ’60. A questo atleta ciociaro va il merito di averavvicinato, dopo una carriera agonistica arrivata ad un passo dalleOlimpiadi di Roma, tanti giovani alla pratica dell’atletica leggera.
Ora quando nel corso della nostra vita vediamo altri compiere cose perle quali un tempo ci sentivamo chiamati noi stessi , ma a cui abbiamodovuto rinunciare insieme a tante altre, abbiamo la confortante sensa-zione che l’umanità nel suo insieme forma alla fine il vero uomo. Il sin-golo può essere felice solo quando ha il coraggio di sentirsi una parte deltutto.
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Carattere, eleganza, passione, impegno,
questi sono gli ingredienti minimi per esse-
re capaci di produrre fatica. Questa è parte
integrante del mondo sportivo, di quando
la volontà interiore sfida i muscoli , spin-
gendoli oltre il limite proprio. La fatica
fisica che fa chi affronta la salita, chi si
lancia nell’ultimo giro dopo il suono della
campana, sospinge l’atleta verso un tra-
guardo ambito, desiderato e sempre sofferto.
Senza fatica, senza questo elemento che ha
conferito al nostro sport fierezza e sempli-
cità non faremmo ancora oggi parte di
quell’energia che corre.
carattere +eleganza +passione +impegno =
Fatica
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Credo che solo chi soffra quotidianamente sul campo le fatiche dell’allena-mento, possa penetrare e rendersi razionalmente conto di quella sgradevo-le esperienza che si percepisce poco prima di una gara. Perché è li che ci si gioca tutto se stessi ed il tempo fin li dedicato al rag-giungimento dei propri obbiettivi. In quegli istanti eterni si è soli , controi propri invisibili fantasmi, i futuri avversari ed il ferreo e inesorabile rit-mare del tempo, che di li a poco ci vedrà battagliare per limare anche unsolo secondo al nostro limite.
Ora, l’eccitazione porta nello stesso palpito ad esaltarsi e scoraggiarsi , acredere e vanificare, ad osannare e fiaccare tutto quello che fino ad alloraè stato costruito e creato. Poi , improvviso, un colpo netto nelle orecchie ciscuote dal nostro tormento, spronando le gambe, finalmente libere di espri-mersi .
Stadio delle Terme di Caracalla anni ’50
BOOM!!!
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1000m AllieviTerzigni precede Evangelisti e Vagnoli
E’ la sorte che ci accorda la gloria secondo i suoi oscuri criteri. Io l’hovista non di rado precedere il merito e spesso andare di gran lunga oltredi esso. Colui che per primo colse la similitudine tra l’ombra e la gloriaebbe un’intuizione migliore di quel che pensasse.Anche nella foto che ritrae un arrivo allo Stadio delle Terme diCaracalla (Roma), si nota quasi metaforicamente il sopraggiungere diun raggio di luce, inteso come gloria, che colpirà gli atleti subito dopo iltraguardo.
E’ la sorte che ci accorda la gloria
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6 novembre 1982, Piazza Navona (tempo 6’20”) Giorgio con il papà Antonio
Era l’anno ’82: l’Italia del pallone vinceva a Madrid il Titolo di Campionedel Mondo; Beppe Saronni indossava la maglia iridata di CampioneMondiale su strada ed anche Franco Uncini era mondiale nella classe 500di motociclismo. Era però anche l’anno della guerra tra l’Argentina e laGran Bretagna che combattevano per il possesso delle Isole Falkland(Malvinas per gli amici argentini), ed era l’anno nel quale, a Palermo, inun agguato mafioso venivano uccisi il Generale Dalla Chiesa e sua moglie. Come giudicare quell’anno? Per il ragazzo ritratto nella foto (GiorgioCalcaterra a 10 anni), era sicuramente un periodo bello e luminoso, dove lapresenza di un padre affettuoso, dava fiducia e coraggio verso un mondoche doveva ancora venire. Oggi quel papà non c’è più e sarebbe bello rive-dere la vita ed il suo rapporto con il tempo: si vorrebbe aumentarla di pesoed intensità. Con la velocità nell’afferrarla si vorrebbe fermare la sua fret-ta nel fuggire, e con l’intensità compensare la velocità del suo scorrere. La foto è stata scattata in occasione del Miglio di Roma.
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Il “momento decisivo”funziona sulla pre-messa che c’è unistante nell’esecuzio-ne fotografica, in cuitutti gli elementi di una composizione, il collocamento geometrico nonchégli equilibri che intercorrono tra il soggetto stesso e tutto ciò che lo circon-da risultano uniti visivamente. Mentre il fotografo si sposta alla ricercadella posizione migliore e mentre le persone che rappresentano il soggetto simuovono all’interno del loro spazio più prossimo, appare nel mirino un’u-nione fisica ottimale. In questa particolare circostanza il fotografo è statopronto sia emotivamente che fisicamente, dando vita ad un vero e proprio“manifesto” del podismo anni ’70. Il soggetto congelato nelsuo gesto sportivo “trascina” l’immagine, attraverso la pellicola fino ai gior-ni nostri con una forza visiva che arriverà ben oltre il nostro tempo. La fotoè stata scattata nel Parco della Caffarella di Roma il 4 novembre ’79.
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Singolare emozione quella che si prova nell’arrivare ad
avere ciò che si desidera: nello sport conseguire un risultato
importante, una vittoria, procura allo spirito uno stato di
assoluto benessere, ed al corpo una trepidazione che condu-
ce per qualche fugace secondo ad uno stato di suprema
onnipotenza.
In quei momenti tutto sembra possibile, poi quella scossa
emotiva si tramuta come linfa vitale in energia, da utiliz-
zare per rimettersi in marcia verso il prossimo sogno.
Chi ha provato questa furia, saggiando anche solo per una
volta quel vigore atletico, è ormai forzato galeotto di quel
batticuore titanico che si prova nel concretizzare le proprie
aspirazioni.
Michele Ieva in una delle sue tante vittorie
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Sospeso tra cielo e terra, nella sua plastica bel-
lezza, l’atleta sembra realizzare, sia pur per
un istante, il sogno di Icaro.
Icaro
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Il ritmo è una forma per-
fetta ritagliata nel tempo,
così come un’immagine vuol
dire determinare lo spazio.
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Complice il presente, il passatoci guida verso il futuro, così percomprendere il cuore e lamente di una persona, nonbisogna guardare ciò che haraggiunto, ma ciò a cui aspira.
Spesso i desideri sono presentimenti di capacità
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Il ricordo non solo rievoca il piacere dei giorni lontani, ma innalza questopiacere a simbolo della felicità, paradiso e meta dei nostri desideri. Questafoto che ritrae e pietrifica nel tempo il momento preciso nel quale un gio-vanissimo professor Celli vince il IV Gran Premio delle Regioni è stata scat-tata il 25 ottobre 1952 in occasione del 16° anniversario dell’inaugurazio-ne dello Stadio delle Terme di Caracalla datato 25 ottobre dell’36 (per l’in-contro di atletica tra Austria e Italia). Subito dopo la guerra l’atletica nonera ancora uno sport povero, intendendo dire con questo che era ancorauna disciplina ricca di fascino e attrattiva che riusciva a richiamare unfolto pubblico ad assistere alle varie manifestazioni sportive. Oggi , pur-troppo, lo “spettacolo” dell’atletica vera, quella che si corre in pista vadiventando sempre più noioso. Il codice è irreversilmente programmatoperché non registri delle novità reali e si è ormai perso il piacere di stareinsieme sugli spalti di un piccolo stadio: negli anni duemila la pietra o ilmarmo delle gradinate è diventato troppo freddo.
Spalti pieni allo Stadio delleTerme di Roma durante unariunione regionale negli anni ‘50
Il ricordo rievoca il piacere dei giorni lontani.
Spettatori
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Il tempo sembrò fermarsi. Un senso di pace e di potere infinito mi per-
vase. Potrei paragonare quella sensazione di immobilità del tempo e di
straordinaria pienezza dell’esistenza che avvertii in quel momento con
quella che si prova contemplando il bordo di un grande e silenzioso
canyon o la superficie immobile di un fiume profondo e maestoso.
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Rivedere i luoghi della giovinezza è una delizia e un’angoscia al tempostesso. Una quantità sconcertante di ricordi ci balena alla mente e in poche,trasognate frazioni di secondo, si rivivono storie intere; ci guardano, fami-liarmente e dolorosamente, cose perdute che non torneranno mai più.
In questa istantanea del 1980 oltre ad un AngeloCiccone molto più giovane, si distingue bene trale ragazze un’allegra Franca Fiacconi (che vin-cerà poi la Maratona di New York) ed uno sba-razzino Luciano Ciccone.
Angelo Ciccone
Franca FiacconiLuciano Ciccone
Storie
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La fama più dolce è quella che ancora non mira a grandi suc-
cessi , e perciò non suscita invidia ne provoca isolamento. Ci si
guarda attorno con la sensazione di essere osservato, chiamato
per nome e lodato da volti amichevoli ; si vedono individui che
già godono di una certa notorietà, fare cenni benevoli , e si ha
sempre dentro di se la segreta sensazione che il meglio debba
ancora venire, come capita a tutti i giovani, fino a quando non
si accorgono che il meglio è già passato.
Nella foto una giovanissima Valeria Intilla impegnata in un
cross giovanile a Villa Pamphili : è il 1971.
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Per un bambino la prima corsa è come il primoamore, come il primo morso ad un panino connutella dopo un paio d’ore di gioco rincorrendoun pallone, è un vero piacere, quasi l’unico checonservi ancora quel sapore delizioso, che appagafino a saziare, tipico delle gioie dell’infanzia.Purtroppo ai giorni d’oggi vedere tutti questibambini insieme che corrono è quasi impossibile,neanche dieci gare arriverebbero a fare i nume-ri dei ragazzi che correvano e soprattutto sidivertivano negli anni ’70. Perché è qui il pro-blema, divertirsi! Correre non diverte più nessu-no, anche i grandi se non corrono almeno per unprosciutto si sentono “demotivati”. Come poterpretendere dai ragazzi un comportamentodiverso se i maestri sono questi ? Cosi per ironiadella sorte, il mondo podistico del 2000 ha tra-sformato tutti , a qualsiasi livello, in presuntiprofessionisti.
Per u
n ba
mbi
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In questo rettangolo di cielo, incor-niciato dalla foto c’è una varietà diforme, linee, volumi e tonalità cheaggiunge un evidente senso espres-sivo all’immagine stessa.
“Mi concentrocorro, saltoe grattando
il cielo faccioil solletico
alle nuvole”
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Godere significa estrarre da un frut-to tutta la sua dolcezza; ricordaresignifica non solo conservare ciò di cuisi è goduto, ma anche infondergli unaforma sempre più raffinata.Un’immagine, quella riprodotta in questa foto che acquista valore perchéha saputo resistere al tempo. Qui sono immortalati due momenti di unagiovanissima Maratonina della Cooperazione, che festeggerà quest’anno lasua 27a edizione, evento capace di far vivere a Colli Aniene, un luogo comel’anfiteatro che posto al centro del quartiere è divenuto fulcro di veraaggregazione sociale e di dare dal punto di vista tecnico-sportivo il via atutte quelle gare che settimanalmente ci accompagnano. Infatti una tren-tina di anni fa non era poi cosi usuale correre tutte le domeniche ed avereaddirittura la possibilità di scegliere la gara alla quale partecipare. Inpratica esisteva solo Corri per il Verde, animato da uno spirito che era bendiverso da quello che spinge oggi i podisti a calcare le strade e i marcia-piedi romani e laziali. In quegli anni la cementificazione selvaggia nelleperiferie, ad opera dei palazzinari , che non pensavano minimamente aquello che oggi è ormai ufficializzato come diritto al verde, era riuscito acreare un vero e proprio movimento spontaneo di protesta. I podisti cor-rendo in fazzoletti di verde si erano messi in testa e soprattutto ai piedi lavoglia di difendere una qualità della vitache doveva ancora venire. Nella foto dellapartenza, che mostra il quartiere di ColliAniene ancora in fasce, sono riconoscibilinel gruppo di testa atleti che hanno fattola storia del podismo laziale: Grenga,Zanecchia, Tulli , Ozimo ecc. ripresi da unoperatore televisivo inserito in una macchi-na degna solo dell’Ispettore Gadget.
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Il mondo è solo una ruota sempre uguale per tutta la sua estensione e anoi appare tanto bizzarra perchè con essa giriamo anche noi.In testa al gruppo Spinozzi (con il numero 120) ed in sesta posizioneEnrico Pitti ( con il numero 118). Entrambi sono animati da uno spiritosempre vivo che li fa essere ancora parte di quella ruota che gira.
Il mondo è solo una ruota
1957
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Le nostre anime percorrono degli spazi nella vita che il
tempo, invenzione dell’uomo, non può misurare.
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Le stagioni, le aspettative individuali , i caratteri delle persone
cambiano in fretta. Anche le città si trasformano, persino
Roma, considerata da sempre la città eterna. In queste foto ci
si può stupire nel vedere un cross sotto il “ fungo” dell’Eur men-
tre era ancora in costruzione, o l’obelisco di Axum a Porta
Capena in un contesto scevro delle odierne architetture.
Era l’anno 1937 quando il monumento fu portato in Italia. Gli
NELLATE di ricordi, SESSANTASEI ANNI in cui l’obelisco è
stato muto testimone della città che cambiava. Il “Flauto di
Dio”, chiamato cosi perché la pietra, se percossa, emette un
suono particolare ci ha lasciato con i suoi VENTIQUATTRO
METRI di altezza per un percorso dell’anima verso il cielo.
anno 1959
anni ‘60
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Ne sono certo! E quando la polvere si
alzerà tu sarai già sul traguardo.
I tuoi piedi, le tue ginocchiaed il tuo corpo sanno che haideciso di vincere questa gara?
Le articolazioni, i muscoli ed i tendini faran-
no da antiruggine naturale alla fatica che
prima dell’arrivo, come una belva affamata,
verrà ad assalirti ?
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Esplorando incessantemente tutto quanto ci circonda, eaggirandoci tra gli impegni di tutti i giorni , noi , esseriumani, non siamo mai completamente a riposo. Un foto-grafo, quindi, che voglia ritrarre le persone deve imparare aconvivere con il movimento, con la vita, in tutte le sueforme. Sia che l’azione si svolga velocemente o lentamente,in modo continuo o in rapida accelerazione, oppure in basead una miscela complessa di movimenti veloci e lenti.In una foto di una vecchia Roma-Ostia si assapora unqualcosa di antico che vedeva convivere sulla CristoforoColombo, apparentemente senza attriti , i “cavalli” delleauto con le gambe dei podisti.
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La chiarezza e ricchezza di tonalità
imprime la sua forza espressiva ad
una foto che ritrae Marco Pintus
all’arrivo di una Roma-Ostia in uno
stadio, quello della Stella Polare, anco-
ra in terra rossa.
forza espressiva
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Le forme, i volumi e le superficiriflettono la luce in molti modi :le gambe che corrono, le loroombre in movimento sempreattaccate, che come un fortissi-mo avversario non si “stacche-ranno” mai ; la strada, lunga,dritta fino al traguardo; unriflesso e l’armonia di sentirsicomunque un po’ speciali , piùforti , capaci di fare cose che glialtri possono solo “intravedere”.
Le gambe che corrono
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Una scena naturale diventa fotografia solo
quando viene inserita all’interno di un’in-
quadratura, che può imporre un ordine
visivo al consueto e disordinato svolgersi
degli avvenimenti.
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Il taglio e l’inquadratura
dell’immagine rendono la
foto suggestiva come poche
fotografie contemporanee.
Tutto per andare al di là delle nuvole
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Fotografia dal sapore antico,
anno 1964, ecco un gruppo di
giovani ragazzi dell’epoca. Oggi
uno fa l’insegnante di educazio-
ne fisica, l’altro l’ingegnere, un
altro ancora l’impiegato o l’ar-
chitetto. Qualcuno purtroppo
non c’è più, ma vive ancora lo
spirito e la spensieratezza di un
gruppo di amici che indossando
la stessa tuta si divertivano
insieme… semplicemente cor-
rendo.
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Gli atleti rimarranno per sempre, nella nostra
fotografia, tesi nel pieno della loro estensione.
“PRONTI A FARSI SCOPPIARE IL CUORE”...
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Il movimento sfocato del soggetto intensifica l’effetto divelocità e di eccitazione della gara, dando vita aduna vera e propria tensione visiva.
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Gli eventi sportivi sono fotografati bene soprattutto quando si ha dimesti-
chezza con lo sport in questione, poichè in questo modo è possibile antici-
pare l’azione. La fotografia sportiva si basa infatti sul principio di fermare
o seguire il movimento, cogliendone il culmine significativo.
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Volare sempre più in alto…
con la stessa grazia di un uccello che vira sull’ala.
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Se tracci col gesso una rigasul pavimento, è altrettantodifficile camminarci sopraquanto avanzare sulla piùsottile delle funi . Eppurechiunque ci riesce tranquil-lamente perché non è perico-loso. Se fai finta che la funenon è altro che un disegnofatto col gesso e l’aria intornoè il pavimento, riesci a proce-dere sicuro su tutte le funidel mondo. Ciò che conta ètutto dentro di noi ; da fuorinessuno ci può aiutare. Nonessere in guerra, vivere d’a-more e d’accordo con se stessi :allora tutto diventa possibile.Non solo camminare su unafune, ma anche volare…
su una fune degli anni ’70
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Lo Stadio delle Aquiledurante il mitico perio-do della “dolce vita”.
Io, invece sogno cose che
ancora non sono e mi dico
perché no?
Alcuni vedono le cose cosi
come sono e si chiedono
perché?
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In questa istantanea, che ritrae
Valeria Intilla in una “Corri per
il Verde” del 1979, registriamo
una successione meravigliosa di
differenti tonalità di grigio, alcu-
ne sottili , altre più evidenti.
Non meno importanti le differen-
ze “ambientali” con i nostri
tempi : il parco della Caffarella,
(ai tempi della ripresa fotografi-
ca in stato di assoluto degrado), è
stato oggi riqualificato e messo a
disposizione di tutti i cittadini
romani , a dimostrazione che
quelle corse-battaglie sono servite
a qualcosa.
quelle corse-battaglie sono
servite a qualcosa
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Verso nessun confine
Balenando in burrasca
Sono le difficoltà che incontriamo perraggiungere la nostra meta che cispingono verso il percorso più breve.Quando comprendiamo questo siamovicini a raggiungere i nostri veriobbiettivi.Nelle immagini la città di Frosinoneintorno agli anni ‘60 che fa da corni-ce ad un giovane ragazzo, GabrieleManiccia, che nel tempo e attraversole difficoltà ha saputo farsi strada eandare lontano, verso nessun confine,e tornare dopo un lungo volo al di làdi questi confini.Dialogando con lui si percepisce lasua filosofia , già raccontata nel suolibro “Aliante”, e ci si può rendereconto che vive ancora oggi balenandoin burrasca: la sua personalissimaburrasca di sogni senza confini mada raggiungere giorno per giornosuperando tutte le difficoltà.
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Sono tutti in gruppo, il loro passo è
cadenzato ed elastico. La gara è
combattuta poichè nessuno è netta-
mente superiore agli altri. I loro pen-
sieri e le loro vite sono momentanea-
mente fuse insieme. Gli atleti sono
inglobati in un’entità, nella quale si
muovono con l’obiettivo comune di
vincere la gara. Il ritmo è tranquil-
lo, tutti vogliono farsi vedere e anda-
re in testa e per questo si allargano
fino alla terza corsia.Tutti in gruppo
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20 Enzimi, proteine e neuroni dialogano singolarmente con i lorocorpi. Il cuore comincia ad essere spremuto, i nervi si tendono:qualcuno è costretto a cedere il passo ed inevitabilmente ilgruppo comincia ad allungarsi. La tensione sale alta, i chio-di delle scarpe cominciano a fare il loro lavoro aggredendoquella terra rossa che prima era capace solo di assorbire ener-gia dagli atleti e che ora invece è pronta a restituire l’energiafin li assimilata.
Inizia laselezionenaturale.
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Forza, tenacia e determinazione questo è
necessario per essere i migliori. Questo è
l’unico bagaglio umano capace di “allun-
gare il gruppo” e di dare quella spinta
individuale che porta alla vittoria. Di li
a poche frazioni di secondo il filo di lana
ufficializzerà una vittoria frutto di tatti-
ca e forza muscolare che sa inorgoglire e
portare all’esaltazione.
Vittoria!
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Nella foto del 27 aprile 1986 (IX
Maratonina della Cooperazione) è
battaglia tra Michelangelo Arena e
Leandro Croce. Il portacolori della
Coop 2001 è stremato, il volto segnato
dalla fatica lascia intravedere l’e-
spressione sofferente di un uomo che
sta per essere sconfitto, mentre il viso
rilassato di un giovane Leandro Croce
pregusta già il sapore del successo.
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Stadio Olimpico 3 settembre 1960, Olimpiadi diRoma: “Foik seconda corsia, Seye terza corsia ,Johnson quarta, Berruti quinta, Norton sesta,Carney settima. Ai vostri posti…Prrronti… Boom! Boom!” La tensionesale alta, altissima con l’italiano autore, suo malgrado, di una falsa par-tenza. “Ai vostri posti… Prrronti… Boom!”: via buono con Berruti cheaggredisce la curva meglio di ogni altro. Le sue gambe corrono perfette, spe-dite e al tempo stesso incollate alla pista. Esce sul rettilineo in netto van-taggio e volando sulle ali dell’euforia non permette agli avversari alcunrecupero. Vittoria Olimpica in 20.5!
Berruti! Sulle ali dell’euforia
Veloce come un lampo
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Un dolore atroce che si ripete sempre
Un dolore atroce che si ripetesempre, come se qualcuno aves-se toccato un nervo scoperto,una fitta lancinante che tipugnala ad ogni passo della tuaamatissima corsa. La stai per-dendo! Percepisci che dovrai fer-marti , lasciare la corsa per unpo’ di tempo, abbandonando latua dose quotidiana di adrena-lina e fatica fisica. Dopo saraicostretto a ripartire da zero! Un fuoco vulcanico, un esserealieno si è impossessato del tuopiede: ghiaccio, ghiaccio e anco-ra ghiaccio, se ne maneggia piùdi un eschimese. Massaggi ,terapie e cortisone spesso nonservono a nulla perché solo iltempo sarà la giusta medicinaalle tue ferite da atleta.
Poi ripartirai da 0 (zero)!
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Salite e discese, per niente facili. Ma nemmeno nulla da far stare in pensiero.Dacci dentro e suda! Supera pozzanghere e sassi sotto i piedi. Non scivolare!Non evitare il fango, affrontalo, entraci , attraversalo.Con il n. 2426 Roberto Casale e con il n. 1989 Sergio Bux impegnati in unaCorri per il Verde del 16 dicembre 1979 corsa in località Giardinetti (Rm).
Attraversalo!
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Segui la direzione tracciata dal tuo istinto.
Segui la direzione trac-ciata dal tuo istinto.Ascolta il suono dei tuoipassi e del tuo respiro.Quando sarai in gradodi “calibrare” la tua fal-cata con il “rumore” deltuo cuore sarai un verorunner.Giuseppe Pavia con uninsolito 13376, in unaRoma-Ostia di qualchedecade fa .
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Sottili , robuste, infangate, legge-rissime, aggressive , raffinate ,neutre, ammortizzanti , veloci ,vezzose, moderne, dinamiche efantasiose. Di mille colori , milleforme, mille stili , con le più sva-riate soluzioni tecniche. Le scarpe sono per i runners, oggicome ieri , fondamentalmenteinsostituibili. L’unica variabile èl’evoluzione che nasce dall’ambi-zione di migliorare sempre ecomunque, di proporre strade esoluzioni nuove per sfruttareanche la più minuscola parte dienergia sviluppata dai nostrimuscoli.
Le scarpe
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“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudi-
ne, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi…” scrive-
va questo Pablo Neruda per dire che la felicità pura,
autentica, è quella che ci fa coltivare le nostre illu-
sioni , rendere la vita non quale essa è di per se ma
quale ognuno desidererebbe che fosse: utile allora non
è il vero ma il sogno. Quando sei felice è come se ti fosse
rimasto nell’anima una specie di profumo. Allora
pensi al sentimento che hai dentro, emozioni infinite,
pensieri planetari , li vorresti esternare, dal cuore alla
mano, da questa al foglio di carta. Non ci riesci , pochi
segni non bastano perché l’unico segno possibile è quel-
lo delle orme dei tuoi piedi lasciati sul selciato.
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Ti trovi in quella “Zona maledetta”, doveogni atleta spera di non entrare mai. Il tuocorpo ha accumulato il massimo possibile diacido lattico: non vedi più, sei quasi morto epercepisci solo il dolore e la fatica. Ti sentistanco, annerito e fatichi a respirare, masarebbe un errore enfatizzare il dolore. Noncredo che la mente se ne accorga: esso vienenarcotizzato dall’euforia della corsa . Inogni caso come Superman a contatto con lacriptonite perde tutti i suoi magnifici pote-ri , cosi ogni atleta con la presenza di quel-l’acido nei muscoli , che limita fortemente laprestazione, ha l’impressione che il traguar-do non arrivi più…Setteville di Guidonia: 1978
La zona maledetta
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Dieci volte 1000 metri , due giri e mezzo di campo, recupero 3minuti da fermo. Questo è il più comune degli allenamenti di chiun-que voglia definirsi un runner. Correre la più classica delle distanze inmeno di 3 minuti , oppure sopra i 5 minuti al chilometroè in fondola stessacosa , pro-duce le stes-se sensazio-ni e lem e d e s i m eendorfine.La primaprova è lapiù difficile,le gambe nonsono ancora“sveglie” e libere di esprimersi e la testa è ancora li a pensare a tutte leprove ancora da correre. Via via le ripetute diventano più facili e quandosi arriva alla sesta, già più della metà, si pensa solo a quelle che mancanoper finire l’allenamento.Tra due minuti e trenta secondi si riparte!Sei , sette prove per un atleta allenato non sono nulla anche se comincia adaffiorare nella mente il pensiero che la successiva sarà la più difficile, lapiù dura, quella che se si riesce a superare ci farà ottenere una buonamedia finale.Due minuti al via!L’ultima ripetuta di solito non conta, è in più, è la più facile, quasi unomaggio alla fatica fin lì accumulata.Ancora 90 secondi , 40 secondi… via, con un unicorischio, quello di diventare un criceto che ha per rotella l’anello rosso.
Dieci volte 1000 metri
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“Un minuto al via tenetevi pronti!”La folla preme già il nastro teso sulla riga di partenza, igomiti sono alti per non rimanere imbottigliati : uno sparo ela marea dei corridori si riversa tumultuosa lungo la strada.Sembra incredibile che un semplice nastro bianco e rossoabbia potuto contenere fino a quel momento tanta energia:tutti quei numeri sui pettorali , le scarpe che corrono, gliinsulti e gli spintoni che volano. Nessuno vuole essere risuc-chiato nelle retrovie, ancora no, si è appena all’inizio. Ancoravince la presunzione di poter tenere il passo dei più veloci , eche sarà cosi fino al termine: nei polmoni c’è ossigeno da spre-care e nella testa tanta frenesia da scaricare.Ieri come oggi , un paese come tanti e la grande città, ragaz-zi degli anni ’50 e quelli degli anni ’80 impegnati in uno sto-rico Campionato Italiano Allievi a Villa Borghese (Roma ’83).
Nei polmoni c’è ossigeno da sprecare...
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170 battiti o poco più!Un sorso d’acqua, una zolletta di zucchero e via verso il traguardo: siamo acavallo degli anni ’70, in una Roma-Ostia che risveglia “dolci” ricordi come lezollette di zucchero che in quegli anni erano utilizzate, al posto dei moderniintegratori , per il ristoro durante e dopo gara.
170 battiti o poco più!
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20 L’inquadratura evidenzia la fatica, lo sforzo e
l’impresa di due atleti determinati come
delle macchine nel tentativo di raggiungere il
proprio traguardo.
La bicicletta, le automobili ed il bus di una
Roma d’altri tempi sembrano rispettare
costantemente gli atleti , considerati dalle
macchine stesse dei loro simili.
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La maratona è un’arte. Chi la corre compie una scelta estetica, nonsolo sportiva: resistere alla più alta velocità possibile per un tragittocosi lungo è la cosa più bella che una mente umana possa produrre.La mente è lo spazio dove il mio avampiede, il mio cuore, il mio gli-cogeno, i miei desideri , la mia memoria, in fondo tutto ciò che costi-tuisce me stesso, divengono degli alleati coesi verso il medesimo tra-guardo. Non ho mai visto niente di più bello di un corridore con leali ai piedi, niente di più bello di colui che taglia per primo il tra-guardo, niente di più bello di questa arte…
Nella foto FatumaRoba (Etiopia),vincitrice dellaRoma CityMarathon del1996 con il tempodi 2h29’05”.
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Ci sono corridori che si allenano alle sei di mattina per-ché alle otto devono essere in ufficio, e la domenica si spo-stano anche di duecento chilometri per gareggiare e per-dere. Anche arrivare tra gli ultimi è spesso un traguardo,per poter dire di essere stati li , ed aver partecipato.
La foto ritrae Mario Romagnoli (n. 1365) e Rocco Priore(n. 1182) impegnati nella 10à Romacapitale: è il 18novembre 1990. Da li i due “ragazzi” hanno fatto tantastrada: Mario da correre la maratona romana come atle-ta è passato ad organizzarla in prima persona, ed è infat-ti il Direttore Artistico della Maratona della Città diRoma nonchè curatore dei rapporti internazionali ; Roccoche quel giorno corse in 3h08’55” è riuscito poi a limare ilsuo tempo fino a 2h56’08”.
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Ho visto il piacere del correre anche negli occhidi chi ha tagliato per ultimo il traguardo, comesi vede una luce particolare nello sguardo delpraticante che sogna le Olimpiadi e che combat-te, quindi, senza saperlo, una battaglia donchi-sciottesca, contro il proprio insufficiente talentoe contro il mondo che lo irride o lo ignora.
Nella fotografia di un lontano, e quanto maibagnato, Corri per il Verde degli anni ’70 si rico-noscono Mauro Lattanzi (n. 2000) e Roberto DeBenedittis (n. 64) oggi impegnato, fra l’altro,nella conduzione del programma televisivoRunning Tv e nell’organizzazione di importan-ti gare come l’Appia Run e la Maratona diOstia.
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Osservo un uomo, guardo un atleta, vedoun corridore: tutti i chilometri in ecces-so comparsi come graffiti , che il tempo hatracciato come tanti sentieri allenamen-to dopo allenamento, agli angoli degliocchi , della bocca , nell’incrocio delle
sopracciglia . Vedo Benito (n. 46), una persona che ha fatto della corsa unaragione di vita, dimostrando a tutti che con l’impegno ed il sacrificio sipuò arrivare ad ottenere qualunque risultato.Nella foto Benito Tulli insieme ad Angelo Scalise (n. 239) impegnati nel-l’ora di Piazza Navona.
Osservo un uomo, guardo un atleta, vedo un corridore.
1975
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Sono passati più di 20 anni da quella
storica edizione dei 42.195 metri orga-
nizzata tra le vie della città eterna.
Ora tutti noi abbiamo negli occhi l’ul-
tima, quella del 2003 corsa per il dirit-
to alla pace, che ha visto trionfare
Gloria Marconi tra le donne e realiz-
zare uno stratosferico 2h08’53” da
Alberico Di Cecco, lanciandolo, se anco-
ra c’è ne fosse stato il bisogno a pieno
merito nel ranking mondiale. Ma chis-
sà quanti si ricordano e si riconoscono
invece in questa foto del 1982, quanti hanno indossato quelle
pesantissime tute per correre la stracittadina, allora di 11 Km.
Il Sindaco di quel tempo era Ugo Vetere ed il Presidente del
Comitato Organizzatore era Franco
Fava, carica che riveste oggi Enrico
Castrucci. Quell’edizione della Romacapitale
portò all’arrivo 1407 persone tra cui
Emil Puttemans in 2h09’53” e
Laura Fogli in 2h31’08”. Al 1066°
posto compare in classifica Fred
Lebow (organizzatore della
Maratona della Grande Mela) che
concluse la sua prova in 3h58’50” a
testimonianza di un gemellaggio
forte tra la capitale e New York.
Più di 20 anni
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Il tempo vola via troppo in frettae solo facendone buon uso possiamo volare con lui.
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Impatto visivo notevole per una foto dal sapore antico, che
trova nelle linee di fuga dell’immagine la forza e l’energia per
sospingere in avanti gli atleti stessi.
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Non importa che il fotografo sia considerato un artigiano moltoabile, o un artista presumibilmente dotato di superiori capacità diosservazione e interpretazione della realtà. Il fotografo utilizza unostrumento meccanico, poiché gli obbiettivi , gli otturatori e le pelli-cole trasformano il movimento e i colori di soggetti tridimensionaliin immagini statiche a due dimensioni con corrispondenti cromiedi grigio. Resta però il fatto che davanti a queste istantanee del pas-sato noi continuiamo nel tempo ad emozionarci.Stadio delle Terme di Caracalla (quando ancora la riviera era posi-zionata poco dopo l’arrivo).
Il fotografo è un artigiano.
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Sei quasi allo stremo, le forze stanno per finire e quei pochi metri cheti separano dalla vittoria sembrano non scorrere mai sotto le gambe.Una strana sensazione ti avvolge, gli arti inferiori si irrigidiscono e latua sicurezza è ormai smarrita: posso farcela ancora?Per un atleta è il momento più difficile, quello più incerto perchéquando sei quasi sfinito ogni passo potrebbe anche essere l’ultimo. Legambe, le ginocchia, i polpacci potrebbero improvvisamente pietrifi-carsi e decidere di lasciarti li , a pochi metri dal traguardo. Cosidiventi facile preda delle tue angosce: quella di perdere e di essere bat-tuto o quella ancora più difficile da superare che è l’inquietudine diveder realizzati i propri sogni.Nella fotografia scattata allo Stadio della Farnesina (Rm) nel 1957 siriconosce Renato Funicello che vince la sua batteria dei 400 m.
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Per un maratoneta la gara inizia la sera prima. Prende il via da quandosi regola la sveglia alle 05.00 e si prepara accanto al letto una sedia contutto il necessario per la mattina dopo: lo zaino, la tuta da ginnastica, ipantaloncini e la canottiera sociale con appuntato il pettorale, avendo peròcura di utilizzare le più piccole spille possibili , credendo che qualchegrammo in meno da portare dietro faccia guadagnare un bel po’ di tempo.Il microchip già attaccato alle scarpe e quest’ultime messe millimetrica-mente allineate sotto la sedia senza dimenticare la carta igienica per ilbagno. Quando è tutto pronto si spegne la luce e li in quel preciso momentoparte la gara. Tanta è l’agitazione che si dorme male e poco e per questo siaspetta lo sparo dello starter come una liberazione che ci spinga ad uscirefuori dalle nostre inquietudini. Nella foto, scattata a Ponte Milvio, si rico-noscono Sergio Cocozza (n. 49), Giovanni Esposito (n. 48) e AntonioTrabucco (n. 64).
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Più spesso, però, è la sera di unlunedì da dimenticare, fuorifa freddo e magari piove, seistanco morto e mentre ti allac-ci le scarpe pensi che hai anco-ra tutta la casa da sistemare.Esci pensando che avresti milleragioni per non farlo. Ti costrin-gi a mettere un piede dopo l’al-tro, forza fino all’angolo, ancorafino alla pizzeria, arrivo a quelsemaforo laggiù poi mi fermo,sapendo che il 99% del mondoavrebbe rinunciato davanti laporta di casa.
Certe volte la corsa è proprio comequelle belle foto che ritraggonoun’atleta che corre sullo sfondo dimorbide colline illuminate dallaluce dorata di un tramonto.
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Il tempo, anzichè come semplice fenomeno naturale
misurabile secondo una successione di istanti tutti
uguali , appare ora come il tempo dell’agire in cui si
tratta di cogliere l’attimo opportuno per la scelta e la
decisione: dove andare?!Nella tensione dell’attesa, l’animo si protende, la con-
cezione cronometrica si rivela inadeguata, divenendo
più importante l’esperienza della vita passata.
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Anni
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ella
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naQuando la corsa non è solo agonismo e ricerca della vittoriadiventa cultura, divertimento, euforia allo stato puro che liberala mente e diverte lo spirito.
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Sacrifici , rinunce.
Mesi di preparazione, fatica. Ma ad un passodalla vittoria qualcosa si inceppa. Il fiato dell’av-versario si fa sentire “sul collo” e subentra il panicodi “vincere” e così il traguardo si allontana.
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20In questo stupendo paesaggio d’inchiostro,
datato 11 marzo 1960, si può notare come e
quanto una riunione provinciale: la finale dei
Campionati Studenteschi , attirasse pubblico
sugli spalti.
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Il segreto della vita è l’arte di sfidare il mondo.
Preso nel suo complesso il mondo è unmostro pieno di pregiudizi, affardellato dipreconcetti , corrotto dalle cosiddette virtù.Il segreto della vita è l’arte di sfidarlo.Sfidare il mondo e gli uomini che lo com-pongono ecco quale dovrebbe essere il nostroscopo, invece di vivere per accondiscenderealle sue pretese.
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Concentrazione esasperata.Quando si gareggia la dimensione del tempo è rallen-tata. Gli spettatori vedono movimenti ed azioni velo-ci. In realtà il cervello di chi le compie è lucidissimograzie alla concentrazione esasperata dall’azione.Vince l’atleta che riesce a far scorrere il tempo piùlentamente ed a vivere intensamente frazioni disecondo.Nella foto, in un’ ancor più “giovane” Stadio dellaFarnesina di Roma, si riconosce un pimpante GiorgioLo Giudice, che da validissimo atleta è divenuto poigiornalista sportivo della Gazzetta dello Sport.
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Niente ci informa meglio su noi stessi che vedere di nuovo davanti agliocchi cose uscite da noi anni prima, per cui abbiamo la possibilità diosservarci come si osserva un oggetto.
Abdon Pamich immortalato e ripreso da una vecchia telecamera nell’allora“giovane” Stadio delle Terme di Caracalla a Roma: è presumibile che Pamich,azzurro dal ’54 al ’73, in quel ventennio abbia camminato più di chiunquealtro uomo sulla faccia della terra.
AbdonPamich
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La struttura ed i personaggi dell’immagi-
ne, tutti rigorosamente in giacca e cra-
vatta: il giudice serioso, l’altro intento a
misurare con la rotella metrica il balzo
dell’atleta, ci fanno “saltare” indietro nel
tempo, specificatamente nel 1953, renden-
do affascinante e suggestivo lo strumento
fotografico.
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Per sapere quale è il momento migliore per eseguirel’esposizione ci si deve rendere conto di quello chesta per accadere, bisogna, in un certo senso antici-pando l’azione, prevedere il futuro.In questo caso, l’immagine in movimento rappre-senta un elemento espressivo della ripresa fotografi-ca. L’ambiguità visiva è intensificata dall’oscuritàdello sfondo, reso obliquo a causa del movimentostesso della macchina fotografica.
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Sii sempre libero di essere te stesso, il tuo
pensiero ed i tuoi sogni ti porteranno ben al
di là di ciò che avevi desiderato.
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Alla partenza ero teso, arrabbiato ed anche un po’ avvi-
lito. Ma subito dopo il colpo di pistola ho esternato la
mia grinta ed i miei pensieri correndo.
Sono partito determinato, come poche volte ho fatto. I
miei denti stretti , gli occhi sbarrati , sembravo un
pazzo, ma in quei secondi mi sono divertito e sicura-
mente mi sono sentito libero. Mi sono fatto coraggio, ed
alla fine, con un urlo ho scacciato da me quei pensieri.
Ora sono allegro, felice, spensierato. Vorrei dirlo a qual-
cuno, ma sto correndo…
Allo Stadio dei Marmi tanti anni fa…
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Si è improvvisamente stanchi appenasi teme di esserlo, e per rimettersi
dalla fatica, basta dimenticarla.Mai nessuna frase potrebbe esserepiù adatta di questa per GiorgioCalcaterra (detentore dellamigliore prestazione mondialecon 16 maratone corse, in unanno, sotto le 2h20’) ritratto quiin due belle immagini che cirifanno vivere il sapore del pas-
sato e che sintetizzano bene ladedizione che da sempre Giorgio
ha per la corsa.
31 luglio 1983 Via Cassia, Giorgio ad 11 anni
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20L’esito della “battaglia” dipende da un istante,da un’idea. Si corre in mischia, si combatte unpo’, ci si nasconde per studiare l’avversario. Poil’istante decisivo: la scintilla che fa prendere ladecisione giusta per staccare gli altri cherimangono li , scoraggiati e abbattuti dall’idea,non sempre vera, che chi è li davanti sia il piùforte.
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Bisogna fare qualcosa. Se il fisico muore almeno il ricordo deve restare.Quello di questi ragazzi, premiati per i Campionati Provinciali del 1951 èrimasto vivo grazie alla loro emozione di salire sul podio (numerato anco-ra con i numeri romani). La loro bellezza marmorea (con gli scudetti sulpetto, le tute di una volta a coprire i muscoli e le chiodate di pelle aipiedi), è figlia di una gioventù ancora tutta da consumare, che li rendeeterni come una scultura di Michelangelo.
III III
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Ciò che è nella memoria, i ricordi, sono
qualcosa di mobile e così ci sono giorni in
cui fuggono tanto lontano che a stento li
scorgiamo e li crediamo andati via per
sempre. Qui, in una foto scattata allo
Stadio della Farnesina nel lontano ‘75
riconosciamo in testa al gruppo un giova-
nissimo Marco Cacciamani : il tempo farà
conoscere a questo ragazzo in erba la gioia
di indossare la maglia azzurra ed il pia-
cere di vincere tante gare anche di altissi-
mo livello.
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Una persona, per meglio dire un
atleta, che sembra quasi in pro-
cinto di incamminarsi per uscire
dalla foto.
Una persona,
per meglio dire un atleta!
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Essendo un’applicazione delle ottiche geometri-
che, la fotografia è espressione apparentemente
poco letterale, ma inducendo associazioni di pen-
siero e mettendo in moto sentimenti profondi la
realtà “reale” catturata dall’obbiettivo produce
immagini che segnano i tempi.
In questa “parte di storia” c’è tutto il podismo
laziale, di quando ci si batteva contro i palazzi-
nari ed i pastori , che non volevano che la gente
comune, in questo caso i podisti , si riapproprias-
sero degli spazi verdi della città.
Corri per il Verde ‘74 - Pineta Sacchetti (Rm)
Podisti 1 – Palazzinari 0
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La fotografia bloccando il gesto rapido dei podisti crea una sen-
sazione, suggerisce un coinvolgimento, per impegnare l’immagi-
nazione e le fantasie dell’osservatore. Si va cosi indietro nel
tempo a quando era normale correre con dei giganteschi nume-
ri a quattro cifre sul petto, con le toppe sulle ginocchia ed il cap-
pello di lana in testa.
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La maggior parte dei ragazzi che si è iscritta quest’anno all’università
è nata nel 1984. Questi giovani non ricordano le televisioni con solo 3
canali che si cambiavano con un manopolone gigante, e forse non hanno
mai visto una TV in bianco e nero (neanche possono immaginare che
non esistesse il telecomando e forse sbarreranno gli occhi nel vedere il
nostro VECCHIO, CARO OLIMPICO come era una volta, prima che
Francesco Totti diventasse l’VIII Re di Roma.
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La STRADApuò essere un campo di bat-taglia, ma ora non sono ingara con nessuno. Ancoraoggi conservo il ricordomelanconico del dopo corsa,quando fradicio di sudore erosso in faccia il crepuscolocalava sul mio sentiero.
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“Signor Maestro, che le salta in mente?
Questo problema è un’astruseria, non ci si capisce niente:
Trovate il perimetro dell’allegria,
la superficie della libertà,
il volume della felicità…
Quest’altro poi è un po’ difficile per noi :
Quanto pesa una corsa in mezzo ai prati?
Saremo di certo bocciati!”
Ma il Maestro che ci vede sconsolati :
“Son semplici problemi di stagione.
Durante le vacanze troverete la soluzione”.
Gianni Rodari
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La partenza di questa gara davanti alla Basilica
di San Pietro a Roma è carica di una tranquilla
emozione. La tensione visiva verrà dopo, quando si
comincerà a correre. Per ora, all’interno della foto,
c’è solo la “ fuga” dei piani e delle linee, quella dei
corridori verrà dopo…
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La volontà è la compagna perseverante e
immutabile delle nostre personalità: nasco-
sta nell’ombra, instancabilmente fedele,
essa lavora senza sosta e senza curarsi delle
variazioni del nostro io. Come spesso acca-
de non è il desiderio di diventare celebri ,
ma l’abitudine di essere laboriosi a permet-
terci di produrre un’opera e le sagge rifles-
sioni del passato ci aiutano a preparare il
futuro. Nella foto Antonio Trabucco (all’ar-
rivo di una Roma-Ostia nello stadio della
Stella Polare), il “grande vecchio” ci offre
spesso pillole di saggezza da assaporare
lentamente e da non inghiottire mai.
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Sebbene l’azione non sia completamente bloccata, il raccon-to fotografico è qualificato da un tale dinamismo che superaqualsiasi necessità di perfezione tecnica.La composizione sfocata sfrutta l’ambiguità tecnica per otte-nere un’analoga ambiguità espressiva.
Il racconto fotografico
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Se ch
iudo
gli o
cchi
pos
so a
nche
vol
are
Se chiudo gli occhi le mie
gambe si trasformano in ali ,
vivendo un incanto e un’eb-
brezza che si amplifica con
la maglia rigonfia nell’aria.
Se non corri troppo veloce
quell’alito è solo un sibilo
nelle orecchie. Ma quando
inizi a galoppare e a sfidare
l’aria, ti rendi conto che il
vento sussurra delle parole al
tuo cuore, e all’improvviso
puoi trovare le risposte a
tanti quesiti difficili che ti
porti dentro.
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Che cosa rappresenta un record del mondo, o il proprio primato in mara-tona? Una manciata di tempo. Polvere in confronto a un unico sguardodell’eternità. Nelle foto l’unica costante è la tenacia: quella che GiuseppeTofani in oltre un ventennio di attività ha sempre profuso nella praticasportiva. Il più disilluso dei podisti potrebbe obbiettare che della tenaciae delle virtù in genere non sa cosa farsene perché questa significa obbe-dienza. Certo, solo che c’è da chiedersi a chi si obbedisce. Mentre tutte lealtre virtù tanto amate e lodate, sono obbedienza a leggi imposte da uomi-ni, la tenacia invece non si china a queste leggi. Chi è tenace obbedisceinfatti ad un’altra legge, una legge particolare, assolutamente sacra, lalegge che ha in se stesso, il tener fede a se stesso.
Una manciata di tempo.
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Il concetto einsteiniano di
tempo ci dice che questo è
flessibile e che lo spazio è ela-
stico, quindi il tempo è effet-
tivamente relativo e può
essere deformato dal moto.
Anche per Aristotele il tempo
è fluttuazione, azione e noi
lo percepiamo proprio attra-
verso il movimento.
Flusso e movimento
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E’ il mio turno! Voglio far
vedere ai miei avversari che
abile lanciatore sono.
Ahhhh: un urlo per spinge-
re quel peso il più lontano
possibile da me. Ho lanciato
con tutte le mie forze ed ora
sono in punta di piedi, con
la bocca aperta, lo sguardo
proteso in avanti ed il collo
allungato per tentare di
aiutare quella palla di ferro
a fendere l’aria.
con la bocca aperta
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Aitante, atletico, erculeo, forzuto, gagliardo, muscoloso, nerboruto, pre-stante, poderoso, possente e vigoroso. Tutto questo nella speranza di riu-scire finalmente ad agganciarsi ad una nuvola.
Verso le nuvole.
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C’era una voltaun’epoca romantica.
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C’era una voltaun’epoca romantica.
Anni ‘50:Il giro delle 4 Basiliche
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Lancia il tuo cuore davanti a te, poi corri a raggiungerlo,nel tentativo di rapinare il tempo e riuscire almeno unavolta a strapazzarlo un po’.
Lancia il tuo cuore oltre l’ostacolo
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Si cerca il massimo accumulo di energia, centinaia di watt prima assorbiti epoi rilasciati da quell’asta. Tanta energia profusa per sfidare la forza di gra-vità, per rigare in fretta il cielo, anche per una sola frazione disecondo e mettere la propria firma il più in alto possibile. Tutto questo prima di rincollarsi nuovamente alla terra.
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Per quanto sappiamo
bene che gli anni pas-
sano, che la giovinez-
za lascia il posto alla
vecchiaia, che anche
le fortune e i troni più
solidi crollano, che la
celebrità è passeggera,
il nostro modo di pren-
dere coscienza e, per
cosi dire, di prendere
una istantanea nega-
tiva di questo universo
in movimento, travolto
dal tempo, al contrario
è l’immobilità.
Cosi vediamo sempre
giovani delle persone
che abbiamo conosciuto
giovani. Infatti come non essere
d’accordo con questa
affermazione vedendo
Luciano Ciccone e
Alessio Faustini in un
Vivicittà corso nel lon-
tano ’85 a Villa
Pamphili. I due ragaz-
zi, è proprio il caso di
dirlo, in quasi due
decadi non sono cam-
biati poi molto e sono
sempre li con noi a cor-
rere contro il tempo.
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La vita non ci chiede diessere il più forte o ilmigliore, ci chiede soltantodi provarci ed io l’ho fatto.Ora però una sensazionespiacevole pervade tutto ilmio corpo, le gambe comin-ciano a farsi pesanti e lacolonna vertebrale si è irri-gidita. Respiro affannosa-mente, il mio sangue ribol-le nelle vene e comincio asentire solo il pulsare delmio cuore che mi martellale orecchie.Beh, se la vita è una rin-corsa verso il sogno, unarimonta dei desideri o unrecupero delle “possibilitàimpossibili”, quelli chenon mollano sono i prota-gonisti di questa storiainterminabile , diciamoda Filippide in poi. Ed èper questo, che pur nonconoscendo l’esito finaledella gara, che mi piacepensare che alla fine quel-l’atleta c’è l’abbia fatta.
Da Filippide in poi
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La le
gge d
ello s
port
Questa fotografia , scattata fuori dal campo,oltre la cancellata è un’affresco nella memo-ria, dipinto grazie al riavvolgimento rapidodelle emozioni : Stadio Olimpico di Roma,Campionati Europei ’74. Mentre in primopiano si nota un’atleta sfinita e disperata peril risultato della sua gara, sullo sfondo iltabellone luminoso mette in risalto la classifi-ca del salto triplo con la vittoria del russoSaneyev, decisamente più forte di tutti gliavversari lasciati a più di mezzo metro didistanza.Beh, ecco: essere ciò che si vuole e al momentoopportuno essere ciò che si deve è una dellepiù crudeli leggi dello sport, quella di doverdare il massimo proprio in quel giorno, a quel-l’ora, in quell’occasione e senza via di fuga.
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20Questa foto ci mostra come semplici appassionati di sport (in primo pianoGianfranco Timpano), cercassero di proteggere i parchi e le ville di Romache nei primi anni ’70 era forse solo la capitale del degrado urbano. Attraverso Corri per il Verde si voleva combattere “di corsa” la costruzioneselvaggia e l’abusivismo edilizio per tentare di modificare quello scenarioche mostra sullo sfondo palazzi simili a formicai. A quell’epoca gli orga-nizzatori dovevano munirsi addirittura di cesoie per tagliare il filo spina-to e per far cosi svolgere le gare, quando poi non erano i pastori che imbrac-ciando i loro fucili si mettevano a “rincorrere” i podisti dell’epoca.
Com
batte
re d
i cor
sa
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20 L’istante è l’irrompere dell’eternità nel tempo. Qui la sua danza
che di solito è dinamite pura sembra ora interrotta e bloccata.
Questo flusso scorre, avvolge e inghiotte ogni cosa ma adesso il
tempo per un istante è stato sconfitto e battuto.
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Ciò che Einstein scoprì fu che non
solo il moto, ma anche lo
spazio e il tempo sono rela-
tivi. Cosi chissà quale tempo avrà
bloccato Orietta Governatori sul
suo orologio in quel 3000 lontano
ormai 23 anni, e chissà se quel
“contagiri” un po’ datato che si
trovava ai lati della pista in
terra battuta , avrà realmente
misurato lo spazio di quei 3000
metri.
Vecchio contagiri ...
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La fotografia è il riconoscimento immediato, in una frazione disecondo, dell’importanza individuale o pubblica di un avvenimentoe di una precisa combinazione di forme.Nella foto uno dei gemelli Truffa (Marco o Fabio fa lo stesso!) inun’immagine che li ritrae vincitori.
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Da lontano la velocità non sembra eccessiva, ma avvicinando-
si , ecco che gli atleti si ingrandiscono. Il loro passaggio fende
l’aria, la pista risuona. Poi si allontanano verso la curva e
simili a palline colorate girano in fila , quasi attaccati l’uno
all’altro, per riaffacciarsi in un gruppo confuso e avanzante
all’ingresso della “dirittura di arrivo”.
Nella foto del 1979, scattata allo Stadio dei Marmi (con anco-
ra uno storico cordolo distruggi caviglie), si riconoscono con il
n. 153 Nello Amendola e con il n. 162 Piero Incalza (allenato-
re fino a qualche anno fa di Giacomo Leone, ed oggi di altri
atleti tra cui la promessa azzurra Rosalba Console).
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Il tempo è come l’aria:respiratelo e basta. Tanto possiamo anche non occuparci di lui , è certo
però che lui si occuperà di noi. La marcia deltempo, il turbinio degli eventi ed il suo flussoperennemente in movimento ci accompagna sem-pre e comunque come fosse regolamentato da uncanale che è sempre affianco a noi.Nella foto una “vecchia” 24x1 ora corsa nelloStadio delle Aquile con in testa al gruppo RomanoGovernatori seguito da Luciano Bigi (n. 15).
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Un impeto fresco, fresco e allegro come il frullo d’uno stormo d’uccel-li spiccatosi da una frasca. Il rituale potente della fatica che si tra-sformerà presto o tardi in sofferenza. La gara della vitalità frutto diuna gioventù ancora da bruciare, la purezza dell’agonismo e dellaforza. Tutto senza dimenticare che quando si corre per vincere biso-gna ragionare con le gambe e correre con la testa.Gara Allumiere-Tolfa Km 10(Tranquilli n. 2, Camodeca n. 3, Bisegna n. 6, Polverini n. 27,Peppicelli s.n .)
1954
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Un Uomo solo al comandoMario Vaiani Lisi in due “ fughe”dal sapore antico: una in un crossdel ’75 all’ippodromo di Tor diQuinto e l’altra in una storica SanSilvestro del ’73. Nell’immaginesgranata di Via dei Fori Imperialisi riconoscono fra gli altri insegui-tori le sagome di Cindolo, Tulli ,Risi ed Arese protese nel tentativodi riprendere il “ fuggitivo”.
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Ecco perchè corro.
E’ dopo una giornata nera, piovosa, dove magari sei stato battuto daltuo diretto avversario che ti domandi il perché continui a correre efaticare cosi tanto: chi te lo fa fare?Torni a casa coi calzini puzzolenti , le scarpe piene di terra e lamaglietta tutta macchiata dagli schizzi di fango. Ma è proprio diquella maglietta bagnata e tutta sudata che non puoi fare a meno:in gara si incolla al petto come una seconda pelle, creando una sortedi corazza contro tutti quei validi motivi per i quali sarebbe piùintelligente smettere di correre. Ecco perché corro…Sergio Bux (n. 350) e Gianni Aloisi (n. 352) il 13 gennaio 1980impegnati in un Cross Regionale a Tor di Quinto.
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Dopo che avrai mosso il primo
passo nella direzione dei tuoi
obbiettivi , nessuno potrà fer-
marti!
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Siamo immersi nello spazio, ma non
siamo in grado di capire se ci stiamo
muovendo attraverso di esso perché non
ci sono punti di riferimento che permet-
tono di misurare il movimento. Il tempo
resta composto da una serie di istanti
omogenei , che si allineano uno dopo l’al-
tro, senza un principio ne una fine.
Maurizio Mercuri 1978
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Ogni tanto, allora, percorrendo il nostro cammino in questo piccolopianeta tondo, è bene pensare che un bel po’ di strada può esserefatta volando. Potremmo anche scoprire, alla fine del viaggio, chela prospettiva trovata in volo significa per noi qualcosa di più ditutta la distanza polverosa che abbiamo potuto percorrere.
In volo sopra l’OlimpicoCorreva l’annoRunning yearCourait l’annéeLaufendes JahrCorrìa el anoCorria ò ano
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Concentrazione, control-lo e calma: l’adrenalinatenuta forzatamentebassa senza pensare allatenzione del “pronti”.Determinazione e deci-
sione per cercare il mas-simo risultato, condavanti agli occhi solo ilproprio obbiettivo dasuperare.
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Il bello, il brutto ed il cattivo!(Il campione, l’atleta e l’amatore…)
Campionato Italiano di Corsa Campestre – Tor di Quinto 6 marzo 1977
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Tempo, che cos’è il tempo? In Svizzera si fabbrica, in Italia losprechiamo, in America è denaro e in India non esiste. Per meil tempo è una truffa : 31 dicembre 1971 - Maratona di SanSilvestro. Questo ritratto romano “dipinto” vicino a Corso Franciaci porta indietro nel tempo. Gli atleti con le loro scar-pe retrò ed i loro indumenti che oggi considereremmo non certotecnici , datano l’immagine in modo certo, come il carbonio 14utilizzato dagli scienziati per datare i reperti geologi. Lo stessoscatto fotografico senza quegli atleti , la loro fatica nelle gambee quel berretto girato all’indietro, potrebbe essere una foto scat-tata la scorsa settimana.
Il tempo è una truffa.
Il tempo si dissolve...evapora...svanisce
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Conosco il campione degli sconfitti
Non sempre la fatica e la tensione di una gara riesce adesaurire e coinvolgere completamente. Cosi può capitaredi chiedersi il perché di tanta fatica. Il perché ci si alzila domenica mattina, spostandosi anche di 200 km, pergareggiare e perdere. Ma mentre nella vita una sconfit-ta lascia il segno ed è spesso gravida di conseguenzenegative, nello sport l’amarezza di una sconfitta è partedel gioco. Conosco il campione degli sconfitti , che però èancora li , mentre gli altri nella vita si stancano, senzacomprendere che imparando a perdere incredibilmente siimpara a vincere.Corri per il Verde 1979 – Villa Gordiani
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Il gesto sportivo di questo bambino, Gianluca Dolcini dell’Atletica LaRustica, viene valorizzato e amplificato, facendo acquistare a quellemanifestazioni degli anni ’70 come Corri per il Verde, una valenza stori-ca, grazie alla presenza della folla lungo la strada e al rapimento dellagente arrampicata sopra il terrapieno.
Quella folla è ormai sfuggitacome una manciata di sabbia!
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Il paziente sulla poltrona deldentista e il pubblico cheascolta una sinfonia diBeethoven percepiscono inmaniera assai differente unidentico intervallo di tempo.Allo stesso modo c’era untempo nel quale se c’era dafare la fila per arrivare altraguardo non era un dram-ma, ma un modo per socia-lizzare, ridere e far riposareun po’ i piedi.Fa
re la
fila
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Un maratoneta pensa con il corpo edil pensiero ossessivo del suo fisico èresistere per 42.195 metri a una velo-cità superiore a quella già tenuta inpassato. Immaginando il propriomiglior risultato come unico avver-sario, sconfiggersi per sconfiggere glialtri : questo è il chiodo fisso delmaratoneta.Nella foto la partenza dellaMaratona Romacapitale del 1982.
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Volete mettere la sensazione di libertà che nasce dal sapere di poter far conto
solo sulle proprie gambe? Ogni dipendenza è un laccio e tanti lacci fannouna galera. Chissà perché non è normale per “l’animale-uomo” decidere dispostarsi correndo? La “Coda di rondine”, la “Giulia” o la “1100” sarebberoallora solamente qualcosa di stravagante da utilizzare nei giorni di festa.
1965
1968
1970
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La semplicità può essere poco espressiva, ma nonè sempre necessariamente cosi. In questa foto-grafia si realizza un contrasto tra ieri e oggi , traquello che c’è e quello che non c’è più. E’ questoche rende accattivante la visione. E’ sapere chequalcuno, un amico, uno sportivo, MarioZanecchia (n. 305), pur non “correndo” più connoi , è in grado vedendo il suo inconfondibilestile di corsa, di rendere l’immagine tempesti-vamente emotiva, con una forza grafica pro-pria, dal peso visivo inequivocabile.
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Nella foto Pietro Mennea e Armando Martini al quale va il merito di aver aiu-tato a tornare, al mondo delle corse, nel lontano 1987 l’allora primatista mon-diale dei 200 metri , in vista delle Olimpiadi di Seul.
Esistono tempi significativi dei quali ci è noto molto poco,
ma quel poco è sommamente notevole. Si verificano fatti sin-
golari. Tali epoche lasciano un’impronta determinante,
suscitando immagini grandi che ci attraggono per la loro
semplicità.
Piet
ro M
enne
a
Arm
ando
Mar
tini
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Da qualche frazione di secondo il fumo diuna pistola, normale effetto del colpo appenapartito, ha dato il via ad una prova di velo-cità “sfumata” nei colori e nel tempo che fu.
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“Alli benigni lettori : in tutte le attioni humanequasi di necessità convien che succedano de gli erro-ri. Ma dove più facilmente, possono accadere che siavvengano è nello stampare i libri. Et parmi laimpresa della correttione di essi veramente poterlaassomigliare al fatto di Hercole intorno all’Hydra deicinquanta capi : quando egli col suo ardire, et forzele tagliava la testa, ne rinascevano due, cosi pari-menti mentre co’ l sapere, et con la diligentia, siemenda un errore, le più volte ne germogliano nonpur due, ma ancho tre et quattro, spesso causa dimaggior importanza, che non era il primo…”
progetto grafico
rapporti con le istituzioni
coordinatore generale
ottimizzazione
correttori di bozze
fotografie
autori
disegni
distribuzione gratuita
Correva l’anno...
Un particolare ringraziamento per ladisponibilità personale e per la con-cessione dell’archivio fotografico didue professionisti del settore,Vincenzo Bruni e MassimoIannuccelli, che grazie ai loroscatti di tanti anni fa hanno reso pos-sibile la realizzazione di questolibro/agenda. Sono grato inoltre atutti gli amici e conoscenti di questofantastico mondo dell’atletica cheaprendo i loro album fotografici o aiu-tandomi a vario titolo mi hanno age-volato in questa avventura di corsa:
Archivio Adidas, Archivio Fidal, Archivio New Balance, Archivio Rivista Tartan,Lega Atletica UISP, Polisportiva Colli Aniene, Polisportiva Roma 6 Villa Gordiani,Roma Road Runners Club, Italia Marathon Club, Sergio Agnoli, Stefano Bartozzi,M. Grazia Biamonte, Sergio Bux, Marco Cacciamani, Giorgio Calcaterra,AntonioCamodeca, Roberto Casale, Sergio Celli, Angelo Ciccone, Luciano Ciccone,Marcello Cipressini, Patrizia Colozzi, Mario Cotogno, Leandro Croce, AlfonsoCuratolo, Francesca Dolcini, Gianluca Dolcini, Luciano Duchi, Jurjen Draaijer,Alessandra Ercolani, Jocelyne Farruggia, Antonio Favale, Franca Fiacconi, FabioFiaschi, Renato Funicello, Elena Germani, Michele Giove, Orietta Governatori,Vincenzo Grenga, Michele Ieva, Roberto Iannilli, Michele Iapaolo, Valeria Intilla,Mario La Penna, Mauro Lattanzi, Renato Lattanzi, Giorgio Lo Giudice, StefanoLutri,Tobias Gramajo, Patrizio Mancini, Gabriele Maniccia, Mario Marini,ArmandoMartini, Marco Martini, Filippo Monteforte, Dario Nenni, Gustavo Pallica, PabloPalomo, Mauro Pascolini, Giuseppe Pavia, Claudio Petrucci,Valerio Piccioni, MarcoPintus, Enrico Pitti, Rocco Priore, Giuliano Proni, Antonio Rea, Franco Rocci,Paolo Ruffini, Angelo Scalise, Gilmar Signori, Gabriella Stramaccioni, MarcoTestero, Gianfranco Timpano, Giuseppe Tofani, Roberto Tognalini, AntonioTrabucco, Fabio e Marco Truffa, Mario Vaiani Lisi, Carla Villani, Marysia ZapasnikSiti web: www.atleticaforyou.net, www.maratoneta.it, www.podisti.it, www.runners.it Riviste: Correre, La Corsa, Marathon Quotidiani: La Gazzetta dello Sport
Emanuela Audisio, Richard Bach, Sergio Bambaren, Alfred A. Blazer, DanielaCanalini, Manlio Cancogni, Mauro Covacich, Daniela Daniele, Gabrieled’Annunzio, Paul Davies, Gustave Flaubert, Johann Wolfang Goethe, HermannHesse, Giacomo Leopardi, Claudio Macario, Richard Mayer, Luigi Malerba, MelaniaMazzucco, Luciano Minerva, Napoleone, Pablo Neruda, Alberto Oliverio, EzraPound, Steve Prefontaine, Marcel Proust, Gianni Rodari,William Shakespeare, IanThompson,Armando Torno, Oscar Wilde
Ettore Frangipane, Chris Pyle, Joe Vanderbos
Le cose di valore non hanno prezzo…
il volume è stato realizzato in collaborazione con:Associazione Culturale Adrenalina di Roma
Noi Sport di Passo Corese
per inviare materiale fotografico per una successiva ristampa:viale B. Bardanzellu, 61 00155 Roma oppure [email protected]
Frasi, aforismi, brani tratti liberamen-te da opere di:
Un affettuoso ringraziamento a Roberto Luigi Quercetani, Orlando Pizzolato e a Italia Marathon Club.
note
Tipografia Multiprint, Roma - via Braccio da Montone, 109 tel. 06 21.700.987finito di stampare nel mese di gennaio 2004
Il tempo, lo spazio, la memoria ed il sogno per-cepiti grazie a momenti diversi, in una rapidasuccessione di immagini fotografiche distanti edifferenti tra loro.
Queste emozioni,viste non soltanto con gliocchi ma anche con il cuore, sono vissutenel libro con una formula insolita,quella deldiario, che richiama i momenti più esaltantie fotograficamente più significativi dell’atleti-ca amatoriale e non.Le foto sono il veicolo portante del lavorodi raccolta letteraria che ha coinvolto auto-ri come Proust, Pound, Rodari, Hesse,Wilde, Flaubert, Bach, Shakespeare,Goethe, Neruda, d’Annunzio, Leopardi eNapoleone,che mai avrebbero immaginatoche le loro riflessioni potessero essere asso-ciate alla semplice azione di mettere in rapi-da successione un piede dopo l’altro.Tali pillole di saggezza ci guidano in questopercorso per meravigliarci nell’attimo stes-so in cui l’istantanea si pone innanzi a noi,facendoci esercitare la memoria grazieall’osservazione di pezzi di un passato ormailontano.Questo perchè vale la pena di conservare lamemoria della laconica suggestività che pro-voca quel tranquillo stupore nel vedere lafoto dell’anziano di oggi,giovane di ieri.Pocopiù di cento “flashes” per un periodo, oltreun terzo di secolo,denso di emozioni in uncerto senso rievocate dal vento e disegnatenell’aria.Lasciamoci coinvolgere in questo “viaggioagenda” alla ricerca di ispirazione e spunti dimeditazione personale, offerti da un verocorridore del tempo alla ricerca dell’azionedi corsa perfetta, dove forza e fatica si fon-dono finalmente riappacificate in una furio-sa ricerca di libertà.