“CONVERSANDO”……….. CON IL FIUME REGHENA Tutti i giorni, due volte al giorno, d’estate e d’inverno, a “bordo” del mio nuovo fiammante ciclomotore RIZZATO da 50 cm³ e dalla potenza di ben … un solo cavallo, mi recavo per impegni di lavoro, da Summaga, dove abitavo ed abito ancora, a Portogruaro. In questo breve viaggio, uscita da Via Villa e attraversato il centro del paese, percorrevo la vecchia Statale 53, che taglia longitudinalmente l‘abitato, e che proseguendo verso Portogruaro, segue una dolce ansa del Fiume Reghena costeggiata da un’ampia golena; attraversa poi il ponte a grandi arcate che sovrappassa il Fiume Reghena, e più avanti, valica i due dossi delle due linee ferroviarie chiamati “l’Alta”, per poi procedere lungo un rettilineo alberato fi no a Portogruaro. Questa strada era un tempo luogo di passeggiata di parecchi portogruaresi che, all’ombra delle folta chioma dei grandi platani verdeggianti lungo entrambi i suoi lati, nelle prime ore pomeridiane raggiungevano “l’Alta” e poi rientravano in Città. Successivamente, realizzata la variante della vecchia Strada Statale 53 sopra descritta, uscita da Via Villa, mi immettevo su questa al primo incrocio, attraversavo il nuovo ponte sul Fiume Reghena, percorrevo un’ampia rotonda per poi più avanti valicare un lungo cavalca-ferrovia e ricongiungermi con quel viale alberato della vecchia statale. La fretta per non giungere in ritardo al mio posto di lavoro o l’ansia nel rientrare a casa per le mie incombenze familiari, non mi permettevano certo di soffermarmi a guardare il paesaggio campestre attraversato dalla statale e nemmeno quello che mi offriva il grande Fiume Reghena sovrappassato dal ponte, godere del sinuoso e dolce scorrere della sua corrente, seguire con lo sguardo le sue arginature e le sue ampie golene verdeggianti e punteggiate di piccoli fiori di campo durante la buona stagione e le sue acque limpide e tranquille o, a volte, in alcune giornate della cattiva stagione, turbolenti, scure, minacciose invadenti anche le golene facendo aumentare smisuratamente il suo specchio d’acqua. In tempi successivi lo stesso viaggio lo facevo con una piccola automobile che gli amici definivano “a luci rosse” non per colore rosso della sua carrozzeria ma proprio per le luci rosse delle varie spie sul cruscotto, olio, benzina, batteria e altro che lampeggiavano anche durante tutto il viaggio. Da quella piccola vettura ancora più difficile gettare lo sguardo al paesaggio che cominciava a mutare con l’ampliarsi dell’area edificata della periferia di Portogruaro e al Fiume rimasto invece sempre uguale. Ma un giorno d’estate pieno di sole ho sentito il desiderio di sostare su quel ponte della Statale 53 che attraversa il fiume Reghena, ponte sul quale tante volte sono transitata e, guardando le sue acque scendere da settentrione, ho chiesto al fiume che scorreva lentamente, di raccontarmi la sua storia. Le acque d’incanto si sono increspate sotto la spinta di una leggera brezza che mi accarezzava il viso, e il Fiume ha iniziato sommessamente a raccontarmi tutto il suo percorso.
Dialogo immaginario con il fiume Reghena nel quale si racconta il percorso del fiume.
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“CONVERSANDO”……….. CON IL FIUME REGHENA
Tutti i giorni, due volte al giorno,
d’estate e d’inverno, a “bordo” del mio nuovo
fiammante ciclomotore RIZZATO da 50 cm³
e dalla potenza di ben … un solo cavallo, mi
recavo per impegni di lavoro, da Summaga,
dove abitavo ed abito ancora, a Portogruaro.
In questo breve viaggio, uscita da Via
Villa e attraversato il centro del paese,
percorrevo la vecchia Statale 53, che taglia
longitudinalmente l‘abitato, e che
proseguendo verso Portogruaro, segue una
dolce ansa del Fiume Reghena costeggiata da
un’ampia golena; attraversa poi il ponte a
grandi arcate che sovrappassa il Fiume Reghena, e più avanti, valica i due dossi delle due linee
ferroviarie chiamati “l’Alta”, per poi procedere lungo un rettilineo alberato fino a Portogruaro.
Questa strada era un tempo luogo di passeggiata di parecchi portogruaresi che, all’ombra
delle folta chioma dei grandi platani verdeggianti lungo entrambi i suoi lati, nelle prime ore
pomeridiane raggiungevano “l’Alta” e poi rientravano in Città.
Successivamente, realizzata la variante della vecchia Strada Statale 53 sopra descritta, uscita
da Via Villa, mi immettevo su questa al primo incrocio, attraversavo il nuovo ponte sul Fiume
Reghena, percorrevo un’ampia rotonda per poi più avanti valicare un lungo cavalca-ferrovia e
ricongiungermi con quel viale alberato della vecchia statale.
La fretta per non giungere in ritardo al mio posto di lavoro o l’ansia nel rientrare a casa per
le mie incombenze familiari, non mi permettevano certo di soffermarmi a guardare il paesaggio
campestre attraversato dalla statale e nemmeno quello che mi offriva il grande Fiume Reghena
sovrappassato dal ponte, godere del sinuoso e dolce scorrere della sua corrente, seguire con lo
sguardo le sue arginature e le sue ampie golene verdeggianti e punteggiate di piccoli fiori di
campo durante la buona stagione e le sue acque limpide e tranquille o, a volte, in alcune giornate
della cattiva stagione, turbolenti, scure, minacciose invadenti anche le golene facendo aumentare
smisuratamente il suo specchio d’acqua.
In tempi successivi lo stesso viaggio lo facevo con una piccola automobile che gli amici
definivano “a luci rosse” non per colore rosso della sua carrozzeria ma proprio per le luci rosse
delle varie spie sul cruscotto, olio, benzina, batteria e altro che lampeggiavano anche durante tutto
il viaggio.
Da quella piccola vettura ancora più difficile gettare lo sguardo al paesaggio che
cominciava a mutare con l’ampliarsi dell’area edificata della periferia di Portogruaro e al Fiume
rimasto invece sempre uguale.
Ma un giorno d’estate pieno di sole ho sentito il desiderio di sostare su quel ponte della
Statale 53 che attraversa il fiume Reghena, ponte sul quale tante volte sono transitata e, guardando
le sue acque scendere da settentrione, ho chiesto al fiume che scorreva lentamente, di raccontarmi
la sua storia.
Le acque d’incanto si sono increspate sotto la spinta di una leggera brezza che mi
accarezzava il viso, e il Fiume ha iniziato sommessamente a raccontarmi tutto il suo percorso.
Sorridendo soddisfatto mi disse: “a circa 20 chilometri da dove tu ti trovi ho la mia origine,
con il nome di Roggia “Mussa”, a Est di Casarsa della Delizia da dove scendo, sottopassando
prima la Statale 13 e poi la linea ferroviaria Treviso-Udine, lungo un tracciato sinuoso che
attraversa la zona di risorgiva, un tempo prativa e ricca di polle d’acqua affioranti, aumentando e
ravvivando così la mia portata, e bagno la frazione di San Giovanni di Casarsa e di San Floriano.
Prima di giungere a Prodolone, sempre serpeggiando in anse più o meno strette, mi divido
in due rami che abbracciano l’abitato di questo paese e mi riunisco molto più a valle, nei pressi di
San Velentino dove scambio le mie acque con quelle della roggia “Versiola” - roggia questa che
gravita nel sistema idrologico del fiume Lemene – e, più a valle, fra Borgo Fabia e Santa Caterina,
ad ovest di S.Vito al Tagliamento, ripeto lo scambio.
Proseguendo il mio corso verso valle, con l’approssimarsi della linea ferroviaria
Portogruaro - San Vito al Tagliamento, mi divido ancora in due rami, non prima però di aver preso
il nome di “Sestian”, dando vita, con la mia ramificazione, al “Sestianut”; sottopassata con i due
rami la ferrovia, creo una verdeggiante isola contornata dalle mie acque vive e fresche che un
tempo marginavano, all’esterno verso oriente e a Sud, con indefiniti prati acquiferi, isola che si
allunga per circa 700 metri terminando poco prima della strada Marignana – Savorgnano.
A valle di detta strada il mio corso d’acqua presenta numerose rettifiche artificiali, che
escludono le mie antiche anse punteggiate da piccoli isolotti, mentre lungo la mia sponda sinistra,
due scoli secondari rettilinei a me affluenti, emungono le acque che un tempo allagavano i terreni
latitanti.
Oltrepassato il confine fra i Comuni di S.Vito al Tagliamento e Sesto al Reghena, sempre
con il nome di ”Sestian”, mi biforco e procedo serpeggiante fino alla strada per la “Melmosa” dove
ricevo in sinistra il canale artificiale di una zona da tempo bonificata, mentre il mio ramo
secondario, sulla mia sinistra, riprende il nome di “Sestianut”, come il precedente e, deviando, si
immette in un rivo che scende da Savorgnano con il nome di “Acqua del Molino”.
Ti dirò che questo ultimo rivo è costituito dalla “Roggia di Villa” e dal Fosso “Maglant” che
dopo un percorso di circa un chilometro in alvei separati, si riuniscono prima di affluire nel
“Sestianut”e raccogliendo tutte le acque da casa Berti a Sesto al Reghena prosegue prendendo il
nome di “Roggia del Molino Fabris”.
Per essere preciso sia il mio alveo e
sia il rivo “Acqua del Molino” hanno
anche appendici secondarie che io raccolgo
a Nord di Casa Berti.
Riprendendo il racconto del mio
corso che ho lasciato presso la località
“Melmosa”, a seguito dello sdoppiamento
del mio alveo in due ramificazioni e
successivo ricongiungimento, ho creato
un’isola detta del “Violino” e a valle di
questa mi ricongiungo in un alveo
sufficientemente regolare che chiamerei
definitivo, anche se ancora abbastanza
tortuoso, e qui assumo finalmente il nome
di Fiume “Reghena”.
Tutto questo mio scorrere è
immerso in una campagna che muta i suoi Alveo del fiume a Sesto al Reghena
colori con il mutare delle stagioni, delimitata da fossi e da rivi alberati in ordinate file di
piante svettanti verso il cielo e altre basse e capitozzate, paesaggio che si rispecchia sulle mie acque
dolcemente mosse dalla corrente che porta a valle tutti i ricordi.
A Sesto al Reghena, creo un anello liquido che fa cornice alla secolare Abbazia Benedettina
di Santa Maria in Silvis e che circonda l’abitato, e dopo un allegro e fragoroso salto d’acqua, che in
passato faceva muovere le ruote di un grande molino e i macchinari per la pilatura del riso, mi
presento, a seguito dell’intervento dell’uomo, inalveato e arginato lungo entrambe le sponde fino
al “Molino della Sega”, assumo il nome di “Canale Nuovo Reghena” e lascio la parte terminale del
mio vecchio alveo alle acque del Fiume Caomaggiore che al “Molino della Sega” io accolgo alla
mia destra, mentre in sinistra mi si immette il “Maglant”.
Ti voglio ricordare che la roggia del Molino Fabris sopra citata, prende proprio il nome
dell’antico molino e che quindi, nel mio scorrere e “saltare”, e lo dico con orgoglio, ho mosso da
data immemorabile gli ingranaggi di molini, di segherie e di una pila per il riso.
Infatti mi piace
rammentarti che le “origini” del
“Molino della Sega” risalgono
ai tempi della Serenissima
Repubblica di Venezia e che
con tutta probabilità
apparteneva alla antichissima e
nobile famiglia veneziana dei
Cornaro anche detti Corner; ma
questo penso tu lo sappia
perché ti ho visto un giorno
sfogliare un antico documento,
datato 10 novembre 1783,
relativo a una stima per la
riparazione proprio delle ruote,
delle gore e di altro, del Molino
Molino della Sega,1953 della Sega allora di proprietà
di Antonio Cornaro.
Da qui entro in una depressione assai irregolare da me creata in un passato lontano con
profonde corrosioni, depressione che costituisce la mia valle, dove in tempi successivi ho
depositato limo minuto misto a sostanze organiche, ricoprendo così il fondo ghiaioso che in alcuni
punti ancora oggi affiora, mentre in altri tocca la profondità di 3 – 4 metri.
A lato della mia valle si alternano più o meno distanti tra loro, alti “costoni”, a tratti con
dolci pendii e a tratti molto più rapidi con dolci pendii e a tratti molto più ripidi, che raggiungo-
no i prospicienti terreni a quota più elevata.
All’inizio del secolo passato, per contenere le mie acque, non sempre placide e tranquille,
dal “Molino della Sega” al Fiume Lemene, dove sfocio, sono state elevate su entrambe le mie
sponde alte arginature lasciando peraltro al mio corso ampie golene sia sulla mia destra che sulla
sinistra.
In questo ultimo tratto di circa sette chilometri, dopo esser sceso con ampie e sinuose anse e
dolci curve fino a lambire Summaga, piego ad occidente portando i riflessi dell’antica Abbazia;
non appena sottopassata l’attuale Strada Statale 53, superato il ponte lungo il vecchio tracciato
della stessa, il ponte della linea ferroviaria Treviso – Portogruaro e a breve distanza quello della
ferrovia Venezia – Portogruaro, formo, con una mia appendice, una piccola isola che, anni
addietro, ha assunto il nome del protagonista di un tragico fatto di cronaca: Cannarozzo.
Sottopasso anche il viadotto
della tangenziale Nord di
Portogruaro e sempre con ampie e
dolci anse, percorro l’ultimo mio
tratto; poco prima di immettermi
nel fiume Lemene, sulla mia
sinistra idrografica, e dopo aver
“assistito” al varo delle lussuose e
bellissime imbarcazioni dell’antico
e famoso “Cantiere Camuffo”,
ricevo le acque dello “scaricatore di
piena” dello stesso fiume
provenienti da nord di Portogruaro
lungo il vecchio tracciato della
“Roggia Versiola”. Impianto idrovoro 1° a valle Summaga
Dal “Molino della Sega” al
Lemene le mie acque rispecchiano anche sei piccoli edifici in muratura a vista rifiniti da cornici e
coronamenti in cotto accoppiati a delle poco più alte torrette coperte, fino a poco tempo addietro,
da un tetto a padiglione di cotto, e ora brutalmente elevate e coperte a terrazzo, torrette alle quali si
ancorano i cavi dell’energia elettrica, forza motrice questa degli stessi impianti.
Questi sono sei impianti con la rispettiva cabina di trasformazione dell’energia motrice, per
il sollevamento delle acque dei terreni depressi compresi, da un lato dalle scarpate esterne delle
mie due arginature e dall’altro dai terreni a quota più elevata, che sono stati strappati alle acque
malarigene che invadevano e impaludavano il territorio anche fino alla porte di Portogruaro, con
le opere di bonifica la cui storia, tu che hai trascorso tanti anni tra le “scartoffie” d’archivio dei
Consorzi di Bonifica di Portogruaro e che hai conosciuto i protagonisti di questa grande impresa,
denominata inizialmente “Bonifica del Bacino Reghena” ora - “Sottobacino Reghena del Consorzio
di Bonifica Veneto Orientale” - nonchè tutti coloro, tecnici e operatori che l’hanno conservata
efficiente ed attiva e potenziata negli anni, mi saprai certamente ben raccontare.
Tu fino a qui mi hai seguito nel racconto del mio lungo percorso “costruito” parte dalla
natura e parte dall’uomo; hai imparato tutti i miei nomi che sono cambiati nel sinuoso mio
scendere a valle, hai goduto con me dei riflessi che porto dell’Abbazia di Sesto al Reghena e di
quella del tuo paese, ma ora io mi
riposo, raccolto e quasi immobile tra le
mie sponde, e ti ascolto.”
Se questo è il tuo desiderio allora
ti racconterò la storia della bonifica che
porta il tuo nome e come tutte le storie
belle comincerò dicendoti: correva
l’anno 1973 ed ero giovanissima quando
sono stata assunta dai Consorzi di
Bonifica Riuniti fra Taglio e Livenza di
Portogruaro e si è aperto dinanzi a me il
“mondo” della bonifica di questo
territorio che non conoscevo.
“Gioventù anni ‘40” in posa davanti all’idrovora
Sono entrata nell’archivio di questo
Ente, che offriva i sevizi tecnico-
amministrativi a tutti i singoli Consorzi del
territorio che avevano aderito al
raggruppamento, in punta di piedi, per non
disturbare il riposo del “passato” custodito,
sotto una leggera coltre di polvere, in tanti
vecchi scaffali, “tempio” questo della storia
di paesi e di uomini dagli albori della
riconquista delle terre alla palude ai giorni
nostri.
Questo archivio infatti conservava Scavo di canali
la storia del Consorzio di Bonifica
“Lugugnana” che copriva il territorio in sinistra del Lemene e che era suddiviso nei Bacini: