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Cortina, 13 luglio 2015 Comunicazione politica: dalla parte del giornalista (Ammesso che la distinzione col comunicatore politico abbia ancora senso)
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Comunicazione politica: dalla parte del giornalista

Feb 08, 2017

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Fabio Chiusi
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Page 1: Comunicazione politica: dalla parte del giornalista

Cortina, 13 luglio 2015

Comunicazione politica: dalla parte del giornalista(Ammesso che la distinzione col comunicatore politico abbia ancora senso)

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“C'è stata la Repubblica dei partiti, che aveva come religione la Rappresentanza. Poi è arrivata la Repubblica del Cavaliere, fondata sulla Rappresentazione. Quella che sta nascendo è la

Repubblica dell'Auto-rappresentazione. Una Selfie-Repubblica con un'unica bandiera: l'Io”

- Marco Damilano, ‘La repubblica dei selfie’

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✤ Sicuri che un (comunicatore) politico e un giornalista siano soggetti così distinti, nell’era iperconnessa?

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✤ Se la nostra è l’era dell’autocomunicazione di massa in rete (Castells)

✤ entrambi si autocomunicano (sempre più) in rete

✤ per entrambi vale che ognuno è il brand di se stesso

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✤ se entrambi mirano a raggiungere più (e)lettori possibile

✤ entrambi usano gli stessi strumenti, nello stesso ambiente, che ha per entrambi le stesse dinamiche (un “like” resta un “like”; l’orario migliore per pubblicare un contenuto è per entrambi lo stesso etc.)

✤ entrambi sono costretti - volenti o nolenti - a gestire una community (e no, non è semplice)

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✤ soprattutto, se sia il politico che il giornalista hanno dovuto scendere dal piedistallo: ora sono utenti qualunque

✤ E vengono trattati come tali

✤ È la disintermediazione, bellezza: sui social network gli (e)lettori rispondono a un editorialista di Repubblica o a un presidente del Consiglio come risponderebbero a un qualunque “amico” su Facebook

✤ (Il problema è che editorialista e politico a volte fanno altrettanto)

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✤ Se vale tutto questo, significa che tanto il politico quanto il giornalista usano l’(auto)comunicazione come forma di propaganda per i propri fini, invece che come strumento utile a sintetizzare il flusso ininterrotto di informazioni che giungono all’(e)lettore?

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✤ Ipotesi: Invece di usare la comunicazione per controllare la politica, noi giornalisti ci facciamo usare dall’autocomunicazione per diventare (come) la politica

✤ Corollario: Invece di contrastare la propaganda politica, finiamo per accettarne le premesse, i modi e le forme - anche nel criticarla

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✤ Conclusione: oggi è difficile dire se stare con il (cattivo) giornalista o il (buon) comunicatore politico, ma di certo è il primo a dettare tempi e modi al secondo

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✤ Servirebbe uno scatto d’orgoglio del giornalismo: che reclami il suo primato sulla comunicazione politica

✤ (e sia in grado di praticarlo in modo credibile e costante)

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✤ I social network come fenomenale strumento di disvelamento: ora il giornalista e il politico si possono osservare nel loro pensare/agire/reagire in tempo reale

✤ O meglio (se sono comunicativamente sofisticati): si può osservare il loro tentativo di autocomunicarsi, di imporre un frame per se stessi che sia loro conveniente, in tempo reale

✤ E non sempre è un bel vedere

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✤ C’è tuttavia un senso importante in cui la distinzione - e la presa di posizione a favore del giornalista - ha ancora senso: il giornalista ha il dovere morale di opporsi alla propaganda, a ogni forma di propaganda; il comunicatore politico, no

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✤ Per non diventare vittima della comunicazione politica usata a fini propagandistici il primo imperativo è non comprarne a scatola chiusa l’agenda, la retorica, la grammatica, l’immaginario, l’estetica e l’ideologia complessiva che compongono

✤ Ma anche i memi, gli hashtag, le campagne “dal basso”, “virali” etc. che veicolano quell’ideologia complessiva

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✤ Un esempio: perché così tanti giornalisti hanno comprato a scatola chiusa la retorica della velocità degli esordi del governo Renzi?

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✤ Che giornalisticamente diventa: perché Renzi e i suoi comunicatori hanno deciso di scegliere quella retorica e non altre?

✤ ES: Se ciò che conta è andare veloci, allora si giustificano le slide al posto dei testi di legge, nei CdM

✤ Il che significa prestare di più il fianco a banalizzazioni propagandistiche (lo slogan - non “il tweet” - diventa la norma)

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✤ Dobbiamo diventare tutti decostruttori di tecniche propagandistiche? Sì, e più di prima perché ora siamo immersi costantemente in un ambiente che si presta a forme di propaganda poco visibili, molto capaci di mascherarsi per contenuti del tutto ingenui (un meme, per es.), e che il grande pubblico - ma anche i giornalisti - conosce ancora poco o nulla

✤ Il che significa, di nuovo, non adottare quelle stesse tecniche per promuovere noi stessi e soprattutto mancare di onestà intellettuale nel promuovere o criticare le scelte della politica

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✤ Altra domanda: perché la reputazione dei giornalisti è così bassa mentre quella dei comunicatori politici così alta?

✤ Come mai non (ci) facciamo domande radicali ma credo lecite come: se un comunicatore politico non è altro che un propagandista (in senso deteriore), perché non lo trattiamo come tale?

✤ E più in generale: come mai le tecniche di propaganda in rete sembrano funzionare meglio di quelle di contropropaganda? (ES: ISIS)

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✤ I giornalisti, giovani e meno giovani, sono attrezzati per riconoscere, comprendere e possibilmente contrastare le tecniche propagandistiche messe in atto dalla politica?

✤ E paga quella competenza, sapendo che in molti casi invece è più facile fare click semplicemente riportando lo “scontro su Twitter” o la foto su Instagram di turno?

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“Il potere ha perso il contatto con il reale”

– Christian Salmon, ‘La politica nell’era dello storytelling’

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✤ Colpa del dominio dell’autorappresentazione

✤ Domanda: e il giornalismo?

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✤ Se la questione della gestione del potere diventa principalmente una questione di comunicazione, e di comunicazione di se stessi tramite “storie” (e quindi riti, ossessioni, parole chiave, personaggi etc), la realtà sembra diventare in molti casi poco più che uno spunto da cui partire per elaborare quelle storie in forma propagandistica, quando non un ostacolo vero e proprio a storie che si vogliono raccontare comunque

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“Non è la percentuale che conta (…) i numeri interessano agli addetti ai lavori: la verità è che c'è un clima nuovo in Italia".

(…) tutto il mio programma sta qui: restituire speranza all’Italia“

– Matteo Renzi al ‘Messaggero’, 5 aprile 2015

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✤ L’autorappresentazione rischia di diventare più importante delle domande, della ricerca dei fatti

✤ Insomma: abbiamo letto gli hashtag, visto i selfie di governo, sfogliato le slide, contato i countdown e gli elenchi di promesse. Ma tutto questo è più utile a comunicarci dei fatti o a distrarci dai fatti?

Page 25: Comunicazione politica: dalla parte del giornalista

✤ E dettare l’agenda politica con un tweet (es: Renzi sul “derby euro-dracma”) dove porta anche l’opposizione politica?

✤ Rischio di una gara a chi è più populista in tempo reale - e no, come giornalisti non la vogliamo alimentare, ma contrastare

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✤ Come si mantiene l’attenzione del lettore in un mare di contenuti in cui la prima preoccupazione della politica è emergervi per slogan istantanei e/o sulla polemica di quel preciso momento (“ruspe!”, “basta kasta!”, “gufi!” etc)?

✤ Non è una risposta ma lo è: “Content is king”

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✤ La politica 2.0 è più o meno adatta alla propaganda della politica 1.0?

✤ Di certo non sembra molto diversa: “la politica online è perlopiù politics as usual” (Clark, World Forum for Democracy Paper, 2013)

✤ Sicuri che la politica interagisca davvero di più con chi (chi?) le pone domande ora che siamo nell’era delle reti sociali? E se fosse a sua volta una convinzione sedimentata tramite un certo tipo di propaganda/ideologia? (“Internet” vs Internet)

Page 28: Comunicazione politica: dalla parte del giornalista

✤ Il giornalismo che deve raccontare la politica 2.0, sarà in grado di fare meglio di quello che ha raccontato la politica 1.0?

✤ Finora non sembra: sembra però siano più chiare le vicinanze alla politica di buona parte del giornalismo politico (specie quello “che conta”)

✤ Qui davvero il diritto di replica permanente dei cittadini dovrebbe essere materia di profonda riflessione e di ascolto per il giornalismo

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✤ Se vuole imparare a fungere da watchdog della nuova comunicazione politica, il giornalismo deve imparare il distacco dalla nuova comunicazione politica - dopo avere imparato la nuova comunicazione politica

✤ E deve raccontare quel distacco, che è già di per sé parte del reale, e dunque una storia di interesse giornalistico

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✤ Contrariamente a quanto appare, potremmo scoprire che la comunicazione politica è in crisi quanto il giornalismo che ne è diventato succube

✤ La propaganda finisce quando e dove irrompe il reale (G. Cosenza)

✤ E il reale comincia a irrompere…