UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE ___________________ SCUOLA SUPERIORE DI LINGUE MODERNE PER INTERPRETI E TRADUTTORI TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN INTERPRETAZIONE DI CONFERENZA ANALISI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE NEI DISCORSI DI MUSSOLINI Laureando: Relatrice: Marco GHERBI Prof.ssa Alessandra RICCARDI Correlatore: Prof. Maurizio VIEZZI Anno Accademico 2005/2006
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE
___________________
SCUOLA SUPERIORE DI LINGUE MODERNE PER INTERPRETI E TRADUTTORI
TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN
INTERPRETAZIONE DI CONFERENZA
ANALISI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE NEI
DISCORSI DI MUSSOLINI
Laureando: Relatrice: Marco GHERBI Prof.ssa Alessandra RICCARDI Correlatore: Prof. Maurizio VIEZZI
1. LA COMUNICAZIONE POLITICA ......................................................................................................................... 1
1.1 POLITICA, SIMBOLI E MITI ......................................................................................................................................... 1 1.2 DAL MITO AL RITUALE .............................................................................................................................................. 5 1.3 IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA............................................................................................................................... 7 1.4 DISCORSO DI PIAZZA: ORATORE E PUBBLICO........................................................................................................... 10
2. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE.............................................................................................................. 15
2.1 DEFINIZIONE DI COMUNICAZIONE NON VERBALE .................................................................................................... 15 2.2 FUNZIONE DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE ................................................................................................. 18
2.2.1 La prosodia .................................................................................................................................................... 20 2.2.1.1 I tratti prosodici: caratteristiche e componenti ...........................................................................................................23
2.2.2 Il linguaggio del corpo................................................................................................................................... 37 2.2.2.1 Le espressioni del volto .............................................................................................................................................39 2.2.2.2 La postura ..................................................................................................................................................................40 2.2.2.3 La gestualità...............................................................................................................................................................41
2.3 COMUNICAZIONE NON VERBALE E DISCORSO POLITICO........................................................................................... 41 2.3.1 Comunicazione non verbale e discorso di piazza........................................................................................... 43
2.4 COMUNICAZIONE NON VERBALE E INTERPRETAZIONE DI CONFERENZA................................................................... 46
3. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE NELLA RETORICA MUSSOLINIANA............... 53
3.1 OGGETTO DELL’ANALISI ......................................................................................................................................... 53 3.2 METODO DI ANALISI................................................................................................................................................ 53
3.3.2 Linguaggio del corpo ................................................................................................................................... 167 3.3.2.1 Gestualità .................................................................................................................................................................168 3.3.2.2 Postura .....................................................................................................................................................................169 3.3.2.3 Espressioni del volto................................................................................................................................................169
3.3.3 Interventi del pubblico ................................................................................................................................. 170 3.4 CONCLUSIONE....................................................................................................................................................... 170
Quante volte il discorso di un oratore sembra vuoto, poco convincente, privo di verve,
monotono.
Quante volte il destinatario di un tale discorso fatica a coglierne il vero significato, non
riuscendo a capire in quale direzione l’oratore si stia muovendo.
Problemi ricorrenti, che spesso inficiano il buon esito della comunicazione stessa.
E ciò è tanto più vero per il lavoro dell’interprete, nella sua duplice veste di ascoltatore e
oratore.
Talvolta all’interprete basterebbe un cambio di intonazione, un rapido gesto, uno sguardo per
capire cosa voglia effettivamente dire l’oratore; e l’interprete stesso può risultare un ostacolo al
processo comunicativo se il suo tono è piatto e la sua presentazione monocorde.
In sostanza, si tratta di saper sfruttare le risorse fornite dalla voce, dal volto, dai gesti: la
comunicazione non verbale.
Il presente lavoro si propone di analizzare quale sia la funzione della comunicazione non
verbale nello strutturare, nel ‘dare forma’ a un discorso.
Lo fa a partire dai discorsi di un uomo politico che attribuì grande importanza alle sue
performance elocutive, Benito Mussolini.
Ci si propone di andare al di là di un’analisi prettamente sintattica o semantica; in altri termini,
non ci si occuperà della lingua in sé, ma di come essa venga realizzata in concreto e accompagnata
da quegli strumenti (non verbali appunto) volti a moltiplicarne la forza persuasiva, in modo da
conferire loro lo stesso ‘diritto di cittadinanza’ di cui godono le parole all’interno di un discorso.
L’obiettivo è quello di far emergere come spesso il ‘come’ sia più importante del ‘cosa’, e
come il contenuto, per essere efficace, necessiti di una forma adeguata.
1
1. LA COMUNICAZIONE POLITICA
1.1 Politica, simboli e miti
Le allocuzioni di Mussolini, che nel Ventennio ebbero un ruolo essenziale per come concorsero a
formare e mantenere viva la coscienza nazionale, rientrano in una concezione politica complessa,
caratterizzata dall’utilizzo di miti e simboli volti a creare e cementare questa coscienza.
Quasi mai la massa segue un leader perché ritiene o giudica razionalmente che egli meriti di essere seguito in quanto è in grado di soddisfare i suoi bisogni. I leaders politici hanno potenzialmente la formidabile capacità di suscitare intense risposte emotive nella popolazione (Edelman 1987: 139).
E’ da questa affermazione dello studioso americano che si può realmente capire quale sia il
rapporto delle élite politiche nei confronti della massa, di cui cercano di mantenere il consenso
facendo uso di tutti gli strumenti a loro disposizione tra cui, ovviamente, la lingua, il linguaggio, le
performance linguistiche situate nel contesto appropriato.
La vera chiave per comprendere il ruolo del linguaggio politico risiede però in quelle “intense
risposte emotive” che esso può suscitare. Emotive, certo, più che razionali. Che mirano al
sentimento, più che alla ragione.
E per far nascere tali risposte il mezzo è uno solo: la capacità di evocare simboli e miti verso
cui la massa si abbandona con cieca fiducia:
L’élite politica, grazie al simbolismo, esercita potere sulla massa; questa, grazie ai meccanismi psicologici attivati dai simboli, mostra una disposizione a ubbidire con continuità ai comandi impartiti dai governanti, conferendo sostegno e conformandosi alle direttive; e ciò in autonomia dalla soddisfazione di domande o interessi e addirittura in presenza di oggettive deprivazioni che, sempre a causa dei simboli, non vengono percepite (Fedel 1991: 204).
Lasswell (in ibid.: 25) definisce i simboli come “parole e sostituti di parole come le immagini
e i gesti”.
Per Pelayo (1970: 143)
il simbolo è costituito da una realtà materiale e sensibile o da un’immagine, che si può rappresentare visibilmente […] e che viene resa portatrice di significati. Detto alla
2
rovescia, il simbolo è costituito dal trasferimento di un complesso di rappresentazioni, cioè di qualcosa di immateriale o di non sensibile, a qualcosa di materiale e sensibile o suscettibile di essere così rappresentato. Il simbolo perciò dà una presenza materiale ad una realtà immateriale.
L’autore va anche oltre, e classifica i simboli in quattro categorie:
• Corporei e tangibili;
• linguistici;
• fantastici;
• personali.
Il leader politico si serve pertanto di una forte base simbolica per legittimare la propria
posizione e la propria azione, base simbolica che non solo è costituita da oggetti (corporei) o figure
mitiche sapientemente evocate (fantastiche), ma anche e soprattutto da parole, espressioni, slogan,
discorsi ecc. In sostanza da un linguaggio che, come si vedrà meglio in seguito, serve a creare una
realtà condivisa e un processo di integrazione in cui una pluralità sociale diviene una unità di
potere. Non si dimentichi inoltre che lo stesso leader, in determinate circostanze, assume una
condizione simbolica (si pensi al cosiddetto ‘culto della personalità’), e questo è vero soprattutto per
i regimi nati nella prima metà del XX secolo, tra cui quello fascista oggetto della presente
trattazione. I simboli destano quindi emozioni, sentimenti, impulsi che provocano o rafforzano il
processo integratore:
Political symbols are powerful […] because of the intense sentiments created and attached to them. […] As elements of the political culture, political symbols serve as stimuli for political action. They serve as a link between mass political behavior and individual behavior (Denton & Woodward 1990: 33-34).
E ancora:
questo tipo di simbolismo è particolarmente appropriato a suscitare e intensificare i sentimenti inerenti alla membership politica. […] I simboli visivi (o comunque «metarazionali») […] offrono dei punti concreti su cui convogliare sentimenti omogenei di appartenenza espressi da una pluralità di individui che, pur differenziati, si riconoscono come membri di quella collettività (Fedel 1991: 48-49).
Uguale funzione è quella esercitata dai miti, cioè “nozioni che si ripresentano, nel trascorrere
dei secoli, periodicamente” (Milan 2005: 27).
E’ noto come il regime fascista facesse ampio utilizzo dei miti, come quello dell’antica Roma
imperiale, e come questi ricorressero frequentemente nei discorsi mussoliniani, con lo stesso scopo
3
attribuito al linguaggio simbolico, ossia quello di “incanalare le energie, i sentimenti positivi o
negativi delle masse verso determinati obbiettivi designati dall’autorità politica” (ibid.: 28).
Lo stesso Mussolini era ben conscio della potenza del mito, tanto da affermare:
Il mito soltanto può dare forza ed energia ad un popolo che sta per martellare il proprio destino (in Simonini 2004: 37).
Simonini (ibid.) aggiunge che “Mussolini è convinto che il popolo accetti anche il no, le
restrizioni, i sacrifici, purché gli si lasci «ciò che gli è essenziale», ossia «il calore, la forza, il
pittoresco, l’inaspettato, il mistico: insomma tutto quello che conta nell’animo delle moltitudini».
Per questo la logica dei suoi discorsi più che razionale è emotiva, più che di concetti o di argomenti
è intessuta di moti e stati d’animo […]”.
E’ ancora Simonini (ibid.: 125) che ci parla del “mito come forza vitale propria della massa.
[…] Il mito è, per la massa, una corrente di vita che suscita e moltiplica le energie fino a travolgere
gli ostacoli, fino a determinare quegli eventi che costituiscono delle svolte qualitative nella
storia.[…] Il mito è l’elemento fecondatore della storia […]”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca il pensiero di George L. Mosse, noto per i suoi studi
sui rapporti tra masse e potere.1 Per lui “furono proprio i miti e i culti dei primi movimenti di massa
che diedero al fascismo una base dalla quale operare e lo misero in grado di rappresentare
un’alternativa alla democrazia parlamentare. Milioni di persone videro nelle tradizioni di cui
parlava Mussolini una possibilità di partecipazione politica più vitale e più significativa […]”
(1975: 28-29). Allo stesso modo “Hitler si trovò ad agire all’interno di una realtà caratterizzata da
un culto nazionale (con valore di autocoscienza nazionale) e di uno stile politico (che faceva
appello ad aspirazioni radicate e cercava di ipostatizzarle mediante il mito, il simbolo, l’estetica
della politica) già giunti a piena maturazione e che avevano ormai vita autonoma” (ibid.: 11).
Importante per il formarsi, in Mussolini, di questa consapevolezza del ruolo della
‘moltitudine’ fu per sua stessa ammissione2 la Psicologia delle folle di Gustave Le Bon, uscito a
Parigi nel 1895. Pur non volendo soffermarsi su quest’opera, è tuttavia opportuno citarne alcuni
passi, significativi per poter meglio capire il rapporto dello stesso Mussolini con le folle appunto, e
di conseguenza le scelte da lui compiute e le strategie messe in atto a contatto con essa (in
occasione dei discorsi da lui pronunciati alle ‘adunate oceaniche’):
1 Per una trattazione più completa si rimanda a Mosse (1975). 2 “Ho letto tutta l’opera di Gustave Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. E’ un’opera capitale, alla quale ancor oggi spesso ritorno” (Mussolini 1926: 156).
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In determinate circostanze un gruppo di uomini si trova inavvertitamente ad avere caratteristiche nuove, diverse dalla somma delle caratteristiche dei singoli individui che compongono il gruppo stesso. La personalità cosciente individuale (che differenzia ciascuno) svanisce, e i sentimenti e le idee delle singole unità si orientano tutte nella medesima direzione. Si forma così un’anima collettiva, un agglomerato umano che, in mancanza di un’espressione migliore, si può chiamare “folla psicologica”. […] Qui [sul piano emotivo-irrazionale, n.d.r.] tutto viene potenziato, in direzione ovviamente di istinto. […] Le folle - specialmente quelle latine - si possono accendere d’entusiasmo per la gloria e l’onore, si possono trascinare in guerra senza pane e senz’armi (Le Bon 1895, in Simonini 2004: 128-129).3
Ancora più indicativo, nella concezione mitologico-simbolica di cui abbiamo parlato, è il
seguente passo:
Le cosiddette idee della folla, più che idee sono sentimenti. Sono idee forza, idee energetiche, idee-mito. L’intima sostanza della folla, più che di razionalità, è fatta di religiosità: religiosità verso i cosiddetti valori dello spirito: patria, nazione, coraggio, eroismo, sacrificio, ordine, famiglia, stato, giustizia, libertà. […] Fanno parte del patrimonio collettivo che si è sedimentato nei secoli divenendo ereditario. […] Di fronte ad essi (vale a dire di fronte alle parole e alle frasi che li veicolano) […] i volti assumono immediatamente un’espressione di deferenza e le teste si inchinano (ibid.: 130, corsivo aggiunto).
Non ci sarebbe da stupirsi se queste parole fossero proprie del capo del fascismo in persona,
considerando come egli riuscì ad applicarle alla propria strategia discorsiva.
Andando oltre, i valori e le idee-mito di cui parla Le Bon possono essere ricondotti a quelli
indicati dal già citato Edelman e che, nella classificazione loro attribuita da Geis (1987: 26),
rientrano nelle categorie di:
• The Conspirational Enemy, cioè tutte quelle entità ‘altre’, esterne al proprio gruppo, che
da esse viene minacciato (si pensi, nel caso del fascismo, agli stati nemici, al modo di
vivere non conforme allo stile fascista, ai traditori della patria ecc.);
• The Valiant Leader, cioè la guida (‘duce’) politica che salva e riscatta il proprio popolo (la
figura stessa di Mussolini);
• United We Stand, cioè l’idea di formare una comunità dagli intenti condivisi per
raggiungere le più alte mete (qui rientrano le idee di patria, nazione, eroismo ecc.).
3 Per approfondimenti si rimanda a Le Bon (1970).
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1.2 Dal mito al rituale
Quanto detto sinora riguardo la concezione simbolica della politica ha delle conseguenze
molto pratiche sull’organizzazione della politica stessa in tutte le sue forme e accezioni, in
particolare per il periodo che qui si considera, quello del regime fascista.
Se la politica (e il modo di ‘fare’ politica) è infatti sostenuta da un impianto simbolico, ecco
che questo si concretizza in tutte le forme che si possono riunire sotto il nome di ‘rito’, e cioè in
tutte quelle situazioni in cui la massa può entrare in contatto con questo universo simbolico per
nutrirsene e uscirne soddisfatta, e al tempo stesso il leader politico può mantenere questa unità di
gruppo e con ciò il proprio potere.
In altre parole, quei sentimenti e quelle reazioni emotive di cui si è parlato vengono di volta in
volta suscitati e ottengono libero sfogo grazie a dei ‘rituali’ aventi appositamente questa funzione.
Tra questi rituali figura anche il momento del discorso al popolo, durante il quale l’(abile) oratore sa
evocare quella fitta rete di simboli a cui il pubblico reagisce creando una circolarità portatrice di
unità.
Mosse a questo proposito è esplicito:
[…] gli stessi fascisti parlarono del loro pensiero politico più come di un “atteggiamento” che come di un sistema, ed esso infatti era una teologia che offriva una cornice al culto nazionale. In quanto tale, i suoi riti e le sue liturgie erano la parte centrale, essenziale, di una dottrina politica che non si appellava alla forza persuasiva della parola scritta. I nazisti e gli altri capi fascisti puntavano sì sulla efficacia della parola, ma perfino in questo caso i loro discorsi adempivano più a una funzione liturgica che a costituire un’esposizione didascalica dell’ideologia. La parola detta si integrava con i riti cultuali e, in realtà, quello che veniva detto finiva per diventare meno importante dello scenario e dei riti che facevano da contorno al discorso (Mosse 1975: 35).
Viene qui introdotto un aspetto che sarà trattato ampiamente più avanti, ossia la predominanza
della parola ‘detta’, del discorso ‘pronunciato’ rispetto alla parola scritta. E’ questo un tratto di
fondamentale importanza, in quanto l’‘atto’ di profferire un discorso viene considerato esso stesso
alla stregua di un rito, evocatore di simboli (e quindi suscitatore di reazioni) grazie alle possibilità
offerte dalla parola ‘in atto’ e dalla gestualità che la accompagna.
Anche in questo caso, Mussolini si dimostra pienamente consapevole del potere della parola:
Oggi ho detto solo poche parole alla piazza, domani milioni di persone possono leggerle; ma quelli che stavano lì sotto hanno una più profonda fede in ciò che essi sentirono con gli orecchi, e potrei dire con gli occhi […]. Per suscitare una guerra è
6
indispensabile il discorso […]. Conosco la massa da trent’anni (Ludwig 1932: 108-109, corsivo aggiunto).
Tornando all’importanza del rituale, Koster afferma che esso riguarda principalmente le
emozioni,4 confermando ancora una volta la sua influenza sulla sfera emotivo-irrazionale
dell’uomo; l’autore si sofferma inoltre sulla sua capacità di integrazione, sottolineando come tutti i
rituali abbiano una caratteristica in comune: la capacità di influire sull’identità di coloro che vi
partecipano,5 astraendoli dalla loro dimensione individuale e rendendoli parte di una collettività:
ritual can lead to an intense experience of community (communitas) (Koster 2003: 215).
In sostanza, il rituale ha un chiaro obiettivo: ridurre l’ego individuale per creare un’identità
collettiva (quella comunità che nella Germania nazista veniva definita Volksgemeinschaft), e per
fare questo si serve di miti e simboli, che vengono proposti all’interno di spazi ben definiti (si pensi
a come il regime fascista seppe trarre il massimo dell’efficacia dai monumenti e dagli spazi ‘sacri’),
spesso ulteriormente ‘potenziati’ dalla presenza di luci, bandiere e musica capaci di influire sui
sensi e sulla percezione dei partecipanti. La comunità si ritrova dunque unita e compatta,
l’individuo si perde nella collettività che contribuisce a formare e tutto quello che si differenzia da
questa diviene il suo nemico e quasi oggetto di esorcizzazione all’interno del rito: United We Stand
contro The Conspirational Enemy.
Dello stesso avviso è Fedel (1991: 49-50):
l’esposizione di più individui agli stessi simboli […] agevola in massimo grado, in ogni individuo esposto, la percezione che il suo stesso sentimento è condiviso dagli altri individui, e ciò rafforza ulteriormente l’«unità» della collettività e l’esperienza emotiva di esserne membro. Il punto conduce al problema del rito […]. L’esigenza di stimolare sentimenti di appartenenza e quella concomitante di far percepire la condivisione di questi sentimenti sono soddisfatte pienamente se si predispongono condotte specializzate nella produzione di simboli in contesti predeterminati quanto a tempo, luogo e modalità di esecuzione; tanto più che in tali contesti la partecipazione alla collettività viene simbolizzata direttamente con l’esecuzione in comune di atti simbolici.
Seguendo la definizione di Merriam, i riti e le cerimonie costituiscono i cosiddetti miranda, le
cose da ammirare, che servono a dare forma e credibilità ai credenda, cioè “le cose da credere sul
potere quando questo si ammanta di legittimità” (ibid.: 76): se i credenda sono la simbolizzazione
4 “Ritual [...] primarily relates to human emotions” (Koster 2003: 212). 5 “Ritual performances all have one thing in common: they affect the identity of the participants” (ibid.: 213).
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delle ragioni che danno legittimità all’autorità, i miranda costituiscono la loro faccia ‘esperibile’,
vale a dire “tutta l’estetica della politica: musica, canzoni, monumenti, bandiere, uniformi, ecc. I
miranda danno forma sensibile ai contenuti che i credenda razionalizzano. Se i credenda incidono
sull’intelletto, i miranda agiscono con l’immediatezza dell’esperienza emotiva” (ibid.: 84) e The
Valiant Leader, compiendo gli atti appropriati a questo contesto, si guadagna il riconoscimento
della propria autorità: “Normalmente quel che davvero conta è la risposta emotiva che i
raggruppamenti politici danno in determinate situazioni. La leadership, dunque, […] si riconosce
nella risposta dei sostenitori alle parole e agli atti di un individuo” (Edelman 1987: 141).
A conferma di tutto questo, si consideri il seguente pensiero di chi, ai rituali e alle
manifestazioni di massa, seppe dare il massimo dell’efficacia, facendo del suo movimento una sorta
di ‘religione laica’. E’ Adolf Hitler (1939: 100):
Der Mann, der zweifelnd und schwankend eine solche Versammlung betritt, verläßt sie innerlich gefestigt: er ist zum Glied einer Gemeinschaft geworden.
Alla luce di queste considerazioni, il politico non deve far altro che organizzare e gestire i riti
adatti alla legittimazione della propria autorità e, di conseguenza, al mantenimento del proprio
potere.
1.3 Il linguaggio della politica
Basandosi la politica su una fitta rete di simboli e miti, ed esprimendosi questi ultimi nella
pratica del rituale, particolare rilevanza assume l’uso della lingua per convogliare i significati
graditi alla leadership, che devono essere recepiti e accettati senza una approfondita valutazione
critica.
Il linguaggio assume in tale contesto un valore da cui non si può prescindere, poiché è proprio
grazie a questo che il politico non solo ‘trasmette’ dei significati, ma li ‘crea’, li ‘costruisce’:
Il linguaggio è lo strumento creatore di ciò che noi prendiamo per un effettivo stato di cose che invece è tale solo per la forza reificante delle parole e dei concetti (Fedel 1991: 29).
Ne deriva, seguendo il pensiero di Edelman, che “il linguaggio non rispecchia una ‘realtà
oggettiva’, ma piuttosto la crea, organizzando percezioni significative” (in ibid.), rivelandosi uno
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strumento indispensabile affinché le masse seguano fedelmente il proprio capo senza metterne in
discussione la legittimità, perché convinte che
there is only one reality and that this reality is the same as the official reality defined in the (official) political discourse. This also implies that the belief has to be maintained that only the words (i.e. their meaning) used by the bearers of political power denote the “one and only” reality. Competing definitions and interpretations of political events and facts have to be denounced as wrong […] (Busse 1993: 122).
Il linguaggio, ancora una volta, serve a evocare e trasmettere i miti e i simboli su cui si fonda
il potere, facendo leva sulla sfera emotiva e lasciando poco (nessuno) spazio a quella razionale.
Il linguaggio politico, quando è rivolto a un pubblico di massa, non funziona nel senso descrittivo e referenziale, bensì evocando significati culturalmente diffusi che Edelman chiama «miti». Di tale funzione evocativa il fattore decisivo non è il contenuto esplicitamente formulato dal linguaggio, ma la forma stilistico-retorica che organizza i simboli, poiché gli elementi formali agiscono sull’inconscio rendendo cogente l’evocazione dei significati mitici (Fedel 1991: 135-136, corsivo aggiunto).
La funzione del linguaggio risiede perciò nel ‘produrre’ una verità, e per adempiere a questa
funzione il tipo di linguaggio più adatto è quello esortativo:
Il linguaggio esortativo è quello tipico della dimensione simbolica. Con esso gli attori politici si rivolgono a un uditorio di massa al fine di assicurarsi l’appoggio su certe linee di condotta. E’ il linguaggio caratteristico delle campagne elettorali, dei dibattiti parlamentari e di tutti i pronunciamenti pubblici volti a estendere il consenso. Consta in parte di argomentazioni (premesse, inferenze, conclusioni) che danno una parvenza di logicità al discorso; in parte di termini ambigui che, privi di un referente preciso, funzionano emotivamente (democrazia, giustizia, interesse pubblico). Da questo punto di vista, l’esortazione motiva l’assenso giacché opera sottilmente sui sentimenti profondi dell’uditorio, occultando la componente emotiva sotto la forma razionale e stimolando un senso di coinvolgimento, che è causato dall’evocazione dei miti della razionalità e della sovranità popolare (Fedel 1999: 30).
In altre parole, il discorso politico è incentrato sulla ‘forma’, sul ‘come’, e non tanto sul
contenuto che spesso, a una analisi più approfondita, risulta essere molto labile. In questo senso si
esprime anche Viezzi (2001: 151):
[…] nella comunicazione politica il come è più importante del cosa, il modo in cui si parla di una certa realtà è più importante della realtà di cui si parla e la stessa veridicità di ciò che si dice appare di secondaria importanza.
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Ecco svelata dunque la natura del linguaggio politico, e soprattutto il suo fondamentale ruolo
nell’acquisizione e nel mantenimento del potere. Il linguaggio stesso è politica o, invertendo i
termini, la politica si svolge con il linguaggio:
Il linguaggio è il mezzo simbolico per eccellenza, l’evocatore dei significati, il costruttore della «realtà», di ciò che gli attori, specie quelli di massa, assumono essere il dato e il risultato dell’azione politica […]. I simboli linguistici, nella loro forma «pubblica», reificano i modelli mitici che sono astratti; categorizzano le percezioni; selezionano gli oggetti su cui convogliare le emozioni. Ogni requisito logico e descrittivo viene sacrificato per lasciare spazio a una forma di simbolizzazione incompleta e allusiva favorita da particolari strutture sintattiche e retoriche […] che significano (emozionalmente) più per il modo in cui si dicono le cose che per il contenuto di quanto viene detto (Fedel 1991: 185).
Viene qui introdotto il concetto di ‘allusione’, l’utilizzo cioè di parole e costruzioni vaghe, che
sono un importante strumento di persuasione. La vaghezza infatti “serve dei precisi fini politici”
(Viezzi 2001: 151), poiché gli individui che compongono la massa possono così leggere, all’interno
di promesse ed esposizioni ambigue, quella che meglio si confà alle loro esigenze e aspirazioni, ed è
per questo che il discorso politico “oscilla tra ostentazione e mascheramento” (Bussi 1997: 50). La
lingua utilizzata per fini politici mira a suscitare la convinzione, nell’uditorio, che l’oggetto del
discorso è vero e credibile per sé, senza possibilità di ulteriore discussione; in sostanza, tutto rientra
in quello che viene detto e niente esiste al di fuori. Per questo,
it is not the verifiable truth of a message which is relevant and likely to impress an audience and make it act upon a certain impulse: it is the way things are said (or done), irrespective of the amount of genuine information carried by an utterance (Sornig 1989: 95).
All’atto pratico, “si verifica la trasformazione del sapere del destinatario proprio tramite la
manipolazione modale del far-sembrare-vero e perciò del far-credere-vero l’oggetto testuale
trasmesso” (Desideri 1984c: 49), creando uno sfasamento tra la realtà percepita e la realtà come
effettivamente è. Volendo fare un passo ulteriore, si potrebbe aggiungere che la realtà è soltanto
quella del discorso, della situazione comunicativa, e che non ne esiste altra fuori da questo contesto.
In questi termini, il discorso politico assume un valore intrinseco, non serve più soltanto a
‘spiegare’, a ‘comunicare’, è esso stesso lo scenario dell’azione politica:
It is increasingly the case that presidential speeches themselves have become the issues and events of modern politics rather than the medium through which issues and events are discussed and assessed (Tulis, in Milan 2005: 15).
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Il linguaggio si dimostra così
an integral facet of the political scene: not simply an instrument for describing events but itself a part of events, shaping their meaning […] (Edelman, in Milan 2005: 16, corsivo aggiunto).
Per riassumere con incisività quanto detto finora, è opportuno rifarsi a McLuhan (in Edelman
1987: 201): “il mezzo è il messaggio”, e aggiungere che “può certo darsi che le cose rimangano
quelle che sono, ma è indubbia la possibilità di manipolarne la percezione attraverso le parole. E nel
contesto politico [in particolare quello oggetto della presente trattazione, n.d.r.], nella prospettiva di
una sollecitazione a comportamenti rilevanti per la vita della collettività, la percezione delle cose è
forse più importante della realtà delle cose” (Viezzi 2001: 155).
1.4 Discorso di piazza: oratore e pubblico
Finora si è posta in evidenza la valenza del linguaggio politico, che realizzandosi nei discorsi
del capo diviene esso stesso un fatto, un evento, uno di quei rituali che contribuiscono a influire
sulla sfera emotiva del ricevente.
Si è altresì affermato come ciascun rito debba essere condotto negli spazi opportuni, affinché
il capo possa trarne il massimo dell’efficacia per la sua opera di persuasione, che nel caso oggetto
del presente lavoro si può ben definire un’opera di indottrinamento.
Fatte queste premesse, ci si può chiedere quale sia il luogo più adatto per liberare tutto il
potere insito nella parola. All’epoca che qui si sta considerando, esso era sicuramente costituito
dalla piazza.6
Si è già accennato all’importanza che Mussolini attribuiva al discorso di piazza, ora è
necessario considerare il problema più approfonditamente, poiché il consenso che il capo del
fascismo riuscì a ottenere dipese in gran parte dall’utilizzo che fece della comunicazione, o per
essere più precisi dallo sfruttamento delle risorse offerte dal contesto comunicativo.
Desideri (1999: 393) parla della “necessità di stabilire il contatto con l’uditorio e/o di
mantenere aperto il canale di ricezione attraverso accorte strategie di reciprocità e di cooperazione
comunicativa”; in altre parole la comunicazione politica, pur ponendo un accento maggiore sul
ruolo del parlante (soprattutto in una modalità unidirezionale come quella che si sta considerando),
avendo come obiettivo quello di convincere non deve mai trascurare il ruolo del pubblico che riceve 6 Oggi il fascino della piazza è stato quasi interamente sostituito dal mezzo televisivo, anche se non mancano politici che, per scelta o necessità, fanno dei comizi di piazza il loro principale canale comunicativo.
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un certo messaggio, ed è bene che il politico, nelle sue diverse strategie comunicative, preveda degli
spazi per permettere ai riceventi di esprimere le proprie emozioni. Questo è tanto più vero alla luce
delle considerazioni fatte fino a questo momento sulla capacità dei simboli (veicolati anche dal
linguaggio) di suscitare risposte emotive e irrazionali. Tali risposte devono trovare modo (e
momento) di essere espresse, incanalate certo secondo gli scopi dell’oratore, ma comunque
espresse. Per questo l’oratore utilizza il linguaggio non solo per trasmettere certi contenuti, che sono
‘i’ contenuti, ma lo struttura anche in modo da consentire al pubblico di esprimersi, a seconda del
contesto in cui si svolge la comunicazione:
le performance politiche […] non possono non tenere nel debito conto tutti i condizionamenti e le restrizioni contestuali, deittiche, legate alle occasioni concrete in cui atti e discorsi hanno luogo: il discorso presentato da un leader nell’ambito di un congresso del proprio partito assume necessariamente una configurazione testuale differente se prodotto, dallo stesso parlante e sullo stesso argomento, dal pulpito di una piazza o dall’emiciclo parlamentare […] (ibid.: 392).
Lo stesso Mussolini ebbe modo di affermare, in occasione di un discorso a Pesaro, nel 1926:
Non è la prima volta che io ho scelto la pubblica piazza per dire cose che avrei potuto dire in parlamento o in altro luogo. Aggiungo che mi si deve credere soprattutto (…) quando parlo diretto al cuore del popolo […] (in Simonini 2004: 42).
Mussolini predilige quindi la piazza per entrare in contatto con il suo uditorio, perché
all’interno di questo contesto sa di poter trasmettere un messaggio potenziato all’infinito, sapendo
egli sfruttare tutte le peculiarità che un palcoscenico del genere gli può offrire. A questo si deve
aggiungere che il pubblico che presenzia, spesso anche attivamente, a quegli eventi è per lo più
costituito da persone poco colte, “molti di quel pubblico avevano studiato, ma senza uscire da
quella media o mediocre istruzione di base che spesso, più che in cultura si evolveva in sufficienza,
ed era talvolta più discutibile della stessa ignoranza” (ibid.: 11). Mussolini non trascurava certo
questo aspetto, anzi conosceva perfettamente la composizione e le caratteristiche dei suoi destinatari
(cfr. pagg. 5-6), come del resto si addice a qualsiasi (buon) comunicatore:
Il discorso politico […] viene programmato e costruito principalmente sulla base della configurazione socio-ideologica e della competenza cognitiva attribuite ai destinatari cui esso è rivolto. Sono infatti le diverse componenti di natura sociale, psicologica e cognitiva, che il locutore presuppone pertengano al profilo globale del ricevente, ad orientare le scelte compiute sui livelli linguistici e paralinguistici (Desideri 1984b: 39, corsivo aggiunto).
12
E’ in questo modo che l’oratore “costruisce la spettacolarità discorsiva politica, una
produzione che seleziona e articola poliedriche strategie a seconda dei fruitori, del meccanismo
interattivo che si vuole instaurare, degli intenti pragmatici, a seconda infine della congiuntura
storico-sociale e della valutazione di questa” (Desideri 1984c: 14). Così facendo, non solo l’oratore
si pone come ‘conduttore’ dell’evento comunicativo, del rituale, ma è lo stesso svolgersi del
discorso che “definisce per i soggetti parlanti gli attributi che devono possedere e i ruoli che devono
ricoprire […] (ibid.: 19)”, dove i soggetti, nel discorso di piazza, non sono ‘parlanti’ in senso
classico, ma partecipano tuttavia con le loro reazioni e nelle modalità loro offerte dalla struttura del
discorso.
Per tutte queste ragioni, “il luogo più adatto non è lo scrittoio, ma la piazza. E’ qui che il
contatto si fa fisico, è qui che l’azione plagiante tocca l’apice della fascinazione […]. Si instaurava
in quei momenti [durante i discorsi di Mussolini, n.d.r.] una coralità rituale, religiosa […]. Quando
sulle piazze avveniva la comunione mistica tra il celebrante al balcone e la distesa oceanica degli
osannanti, le dimensioni si maggioravano in concentrazione e intensità. Il tono squillante che
scendeva dall’alto e le ovazioni che dalla base salivano verso l’oratore determinavano un circuito di
risonanza a fase alterna. Tutto finiva per essere psicologicamente e quasi fisiologicamente alterato:
l’animo si trasformava in animosità, l’eccitazione reciproca in eretismo corale” (Simonini 2004:
41).
Si instaurano così dei “contratti enunciativi” (Desideri1984c: 57) volti alla crescita e al
mantenimento del consenso, e le parti in causa sono due: da un lato abbiamo il parlante, che con “la
sua certezza, il suo sapere, la sua capacità di capire gli atteggiamenti del ricevente e di prevederne
la possibilità di azione” (ibid.) assume il ruolo principale; dall’altro abbiamo però lo stesso uditorio,
che ha un ruolo non meno importante, considerato che “l’attribuzione di presunti stati emotivi e
cognitivi all’uditorio ha il potere di suscitare effettivamente in quest’ultimo, pena il non essere
all’altezza del ruolo di cui il capo del fascismo l’ha investito, quegli stessi sentimenti, quegli stessi
impulsi che l’enunciatore ha chiamato direttamente in causa” (ibid.). L’oratore si fa portavoce di
uno stato d’animo generalizzato, le sue parole portano alla luce sentimenti condivisi ma finora
inespressi, è come se avesse ricevuto una delega a parlare. Anche questo fa parte del contratto, e
pone il parlante nel ruolo di “locutore autorizzato” (ibid.).
Naturalmente gli atteggiamenti emotivi attribuiti alla folla, di cui Mussolini si fa interprete,
hanno anche un altro intento, quello di “eliminare, o quanto meno di ridurre al minimo, azioni
interpretative diverse da quelle programmate” (Desideri 1984b: 40); per questo motivo “il parlante
colloca e distribuisce sapientemente nella tessitura testuale marcate prese di posizione […] sullo
13
statuto cognitivo-modale dei riceventi, il cui sapere è in questo modo rigorosamente sanzionato”
(ibid.):
Tactiques et stratégies rhétoriques appropriées à la matière énoncée, parcours pragmatiques (appellations, provocations, intimidations) conformes au contexte énonciationnel élaborant un texte dont la fin première est justement d’impliquer le récepteur, de le capturer et de le persuader des thèses soutenues, ou de le dissuader d’opinions divergentes (Desideri 1984a: 1).
E’ evidente che per mettere in atto tutte queste strategie, per coinvolgere direttamente gli
ascoltatori e farli diventare protagonisti dell’evento comunicativo, il luogo adatto è certamente, lo si
ribadisce, la piazza:
I momenti più intensi di questo rapporto tra Mussolini e gli italiani furono indubbiamente vissuti sulle piazze, dove quasi sempre, in un’effimera ma effettiva esaltazione, la folla si lasciava plasmare dall’artista. Nella comunione mistica che caratterizzava quelle sagre nazionali la materia umana finiva per lasciarsi infervorare e suggestionare dalla parola che tuonava dall’alto. Era allora che si creavano quegli “stati d’animo” collettivi che Mussolini stesso diceva essere lo scopo dei suoi interventi oratori. Il coro della piazza assecondava allora il gesto del direttore nel contrappunto delle domande e delle risposte, nel “concerto grosso” tra solista e orchestra, nel “crescendo” travolgente fino all’esplosione finale. Mussolini riuscì a essere artista nella misura in cui lo è un direttore sul podio musicale […] (Simonini 2004: 46).
L’oratore come direttore d’orchestra, dunque. Le parole come musica.
15
2. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
2.1 Definizione di comunicazione non verbale
Noi parliamo con i nostri organi vocali, ma conversiamo con tutto il nostro corpo (Abercrombie, in Argyle 1986: 113).
Partendo da questa considerazione, si può affermare che la comunicazione si suddivide in un
aspetto verbale, meramente linguistico, e in un aspetto più ampio, che va oltre le parole e che
contribuisce, spesso in maniera decisiva, a esprimerne e a coglierne il senso.
La comunicazione non è dunque soltanto una questione di buon uso della lingua, ma implica
un livello ulteriore, legato alla performance, all’atto del parlare, in cui vengono utilizzati dei codici
che vanno al di là di quello linguistico, e che anzi servono a completarlo.
Seguendo la definizione di Kendon (in Cecot 2000: 24, corsivo aggiunto)
the term ‘non-verbal’ communication, as it is currently employed, is almost frequently used to refer to all the ways in which communication is effected between persons when in each other’s presence, by means other than words. It refers to the communicational functioning of bodily activities, gestures, facial expression, and orientation, posture and spacing, touch and smell, and of those aspects of utterance that can be considered apart from the referential content of what is said.
Allo stesso modo Poyatos (1997: 1) definisce la comunicazione non verbale come
the emissions of signs by all the non-lexical, artifactual and environmental sensible sign systems contained in a culture
mentre per Feyersen e De Lannoy (in Cecot 2000: 24) essa
usually refers to deliberate or non-deliberate use of bodily movements during social interactions. It is assumed that some non-verbal behaviour − hand gestures, facial and vocal expressions of emotions, gaze orientations − can communicate like speech, transmitting information.
L’uomo si esprime quindi attraverso un sistema complesso di canali comunicativi e l’aspetto
linguistico, costituito dalle parole e dal loro modo di combinarsi per formare enunciati più
complessi, è soltanto uno di questi, sebbene irrinunciabile. A esso si aggiunge l’“insieme di tutti i
16
canali comunicativi che completano la comunicazione verbale o che in mancanza di quest’ultima
trasmettono le informazioni tra sistemi viventi” (Pichler, in Cecot 2000: 25).
Anche Couper-Kuhlen & Selting (1996: 13), facendo riferimento agli studi di Gumperz (1982,
1992) e Auer (1992), sostengono che:
Participants in verbal interaction employ ‘empirically detectable signs’ which cue conversational interpretation […]. Members of a speech community consciously or unconsciously appeal to these frames in drawing inferences about what is being said in interaction or more generally about what is ‘going on’. The process whereby participants ‘construct’ context via such cues in order to make utterances interpretable has come to be known as contextualization. Foremost among the means which speakers use to contextualize language are prosodic features; others include code-switching and non-verbal elements such as body position, gesture and gaze.
Viene qui introdotta una prima distinzione all’interno dei canali di comunicazione non
verbale: da un lato essa è costituita da elementi vocali non verbali, cioè da tutte le emissioni e
inflessioni della voce non direttamente riconducibili a parole; dall’altro è composta da fenomeni
gestuali che accompagnano la produzione delle parole stesse.
La stessa distinzione viene proposta da Argyle (1986: 113-114), che distingue i segnali non
verbali in:
1) Segnali vocali-uditivi
• Segnali prosodici: che danno la cadenza, il timbro e l’accento alle espressioni
verbali; • Segnali di «inquadramento»: che forniscono un commento espressivo ad una
particolare espressione di colui che parla.
2) Segnali cinesici
• Movimenti della mano, correlati alla cadenza o ai contenuti delle espressioni verbali;
• Cenni del capo; • Cambiamenti di sguardo; • Espressione del volto.
Anche Poyatos opera questa classificazione, e riconosce il discorso come una realtà
audiovisiva di triplice natura, costituita dal linguaggio verbale, dalla paralinguistica e dalla
cinesica,7 ovvero
7 “[I refer to the] reality of speech as at least a triple audiovisual reality made up of verbal language, paralanguage and kinesics” (Poyatos 1997: 249).
17
what we say, how we say it and how we move what we say (Poyatos 1997: 249).
L’autore (ibid.: 250) parla di visibile systems, comportamenti visibili, per indicare gesture,
manners and posture, e di audible systems, comportamenti udibili, per indicare, oltre alla
componente verbale, quella paralinguistica (non verbale) legata alla qualità della voce.
Un’ulteriore classificazione è quella proposta da Fraser (in Attili & Ricci Bitti 1983: 12-13),
che suddivide la comunicazione in quattro sistemi:
a) verbale, che corrisponde alle parole;
b) intonazionale, formato dalle inflessioni della voce, allo scopo di aggiungere enfasi e
intensità all’enunciato;
c) paralinguistico, costituito dalle “vocalizzazioni aggiuntive (uhm, ehm…) condivise nel
loro significato dai membri di un gruppo sociale e usate a fini comunicativi, variazioni
nella qualità della voce, pause, fenomeni di esitazione […]”;
d) cinesico, che “comprende tutte le posizioni e i movimenti del corpo o di parte di esso […];
ci si riferisce in particolare alle posizioni del corpo nello spazio, alla postura, ai movimenti
degli arti e del capo, alle espressioni mimiche del volto ed allo sguardo”.
Per sintetizzare, viene proposto il seguente schema, tratto da Cecot (2000: 25):
COMUNICAZIONE
VERBALE NON VERBALE
VOCALE NON VOCALE
paralinguistica prosodia
cinesica prossemica
18
2.2 Funzione della comunicazione non verbale
We know that words […] lack the semantic capacity to carry the whole weight of a conversation, that is, all the messages encoded in the course of it, because our dictionaries are extremely poor in comparison with the capacity of the human mind for encoding and decoding an infinitely wider gamut of meaning […] (Poyatos 1997: 260).
Le parole non esauriscono il senso di un messaggio all’interno di un discorso orale, non sono
sufficienti a convogliare il significato pieno di ciò che il parlante vuole esprimere. Soprattutto dal
punto di vista emozionale, le parole risultano spesso fredde e, benché questo possa sembrare
paradossale, non comunicano, o meglio, non bastano per trasmettere la vera intenzione di ciò che
viene detto. E’ qui che viene in soccorso la comunicazione non verbale: un particolare accento, una
sapiente intonazione, uno sguardo dato al momento opportuno possono ‘dire’ molto di più di un
semplice vocabolo, o possono servire a completare il senso di questo:
What makes language, paralanguage and kinesics a functionally cohesive structure is undoubtedly their common kinetic (not yet ‘kinesic’) generator, and then their combined semanticity and lexicality and their capacity to operate simultaneously, alternate with or substitute for each other as needed in the interactive situation (ibid.).
La comunicazione non verbale è quindi un indispensabile appoggio e completamento delle
parole che vengono pronunciate, arrivando talvolta a sostituirle. In generale, una comunicazione
efficace si basa sui molteplici rapporti che si instaurano, in occasione dell’evento comunicativo, tra
lingua (ciò che viene detto), prosodia (come viene detto) e cinesica (quali gesti lo accompagnano).
Si distinguono per questo diverse funzioni specifiche che riguardano la comunicazione non
verbale (Attili & Ricci Bitti 1983: 13-14):
a) linguaggio di relazione: segnalare i “cambiamenti di qualità” nel corso di una relazione interpersonale;
b) valore simbolico: presentare sé stessi, la propria persona e la propria immagine, grazie all’utilizzo del “linguaggio del corpo”;
c) funzione emotiva: esprimere le emozioni; d) funzione “metacomunicativa”: completare le espressioni verbali; e) canale di dispersione: lasciare emergere i “contenuti profondi dell’esperienza
dell’individuo”; f) regolatore dell’interazione: sincronizzare “turni e sequenze” tra i partecipanti
all’evento comunicativo; g) sostituto della comunicazione verbale.
Come si può notare, la comunicazione non verbale può avere un ruolo indipendente da quella
verbale oppure un ruolo di complementarità e talvolta di sostituzione.
19
Nel primo caso si tratta di gesti o segnali spesso semplici, che vengono interpretati allo stesso
modo dagli appartenenti al medesimo gruppo culturale; si pensi al cenno del capo, impiegato per
salutare, o alle due dita portate verso la bocca, indicanti il desiderio di fumare una sigaretta. Sono
gesti che racchiudono in sé tutto il significato e che non hanno bisogno di ulteriori ‘aggiunte’
verbali.
In questa categoria rientrano altresì dei comportamenti più profondi, spesso involontari, legati
alla dimensione psicologica dell’individuo e al suo stato emotivo. Se infatti il linguaggio verbale
può essere spesso controllato e, al limite, ‘censurato’, lo stesso non si può dire di quello non
verbale, in particolare di quello inerente a cinesica e prossemica. Il linguaggio del corpo di rado
mente, anzi capita di frequente che proprio con dei gesti, spesso inconsci, si trasmetta il vero senso
emotivo di quello che si sta dicendo; i gesti in questo caso non accompagnano l’enunciato, ma al
contrario possono segnalare incongruenza. Si pensi alla persona che afferma di essere tranquilla, ma
che al contempo batte nervosamente il piede o ‘gioca’ con le mani, magari senza accorgersene.
Tutto questo sta a indicare un principio fondamentale della comunicazione, e cioè che “non si può
non comunicare: quando due persone si trovano in un’unità spazio-temporale fanno
automaticamente parte di un processo di comunicazione, anche se non ne avessero intenzione”
(Casula 2001: 38). Ogni comunicazione ha infatti “un aspetto di contenuto e uno di relazione”
(ibid.: 39), ed è proprio la comunicazione non verbale che esprime nel migliore dei modi
quest’ultimo:
Quando due o più persone comunicano tra loro si scambiano un certo contenuto e contemporaneamente inviano dei messaggi che implicitamente tendono a qualificare la relazione in corso. Il livello di contenuto è trasmesso da ciò che diciamo, dai temi che stiamo trattando, dalle notizie che trasferiamo. Il livello relazionale è veicolato da come ci esprimiamo […] (ibid.).
Oltre a questa funzione, ve n’è una seconda: il linguaggio non verbale completa le espressioni
verbali, dando alla comunicazione quella compiutezza che non sarebbe possibile con il solo uso
delle parole.
Le parole forniscono quindi il contenuto dell’informazione, ma questo è solo il primo passo;
esso può infatti venire completato da una intonazione appropriata, che indica la vera intenzione (ad
esempio, seria o ironica) del parlante, oppure da gesti esplicativi, che servono a dare ‘visibilità’ e
‘forma’ a dei concetti astratti o troppo complicati per essere descritti senza l’utilizzo di ‘sostegni’
visivi.
La comunicazione si configura pertanto come un fenomeno complesso, in cui il ‘cosa’ e il
‘come’ non possono prescindere l’uno dall’altro.
20
2.2.1 La prosodia
Mazzetti (1998: 13) afferma che “la prosodia consiste nell’uso per scopi comunicativi degli
aspetti vocali non verbali della lingua”, e aggiunge che “le informazioni trasmesse al livello
soprasegmentale − ovvero al livello superiore al fonema (livello segmentale) − possono sia
trasmettere informazioni molto importanti all’ascoltatore che contribuire a veicolare il contenuto
realizzato attraverso le altre componenti linguistiche” (ibid.).
Sulla stessa linea si esprime Pichler (in Cecot 2000: 32), definendo la prosodia come
“l’insieme dei fenomeni che si sovrappongono o si accompagnano all’articolazione primaria dei
suoni”.
Per capire che cosa si intenda per “articolazione primaria dei suoni” e conseguentemente per
“livello superiore al fonema” è opportuno rifarsi a Simone, che identifica i fonemi come “segmenti
della catena parlata” (1990: 123), disposti linearmente. I fonemi rappresentano l’articolazione
primaria, ma a questi si aggiungono dei fenomeni definiti “soprasegmentali”, “perchè possono
essere rappresentati idealmente come ‘sovrapposti’ ai segmenti propriamente detti” (ibid.).
Riassumendo:
prosody has to do with speech features whose domain is not a single phonetic segment, but larger units of more than one segment, possibly whole sentences or even longer utterances. Consequently, prosodic phenomena are often called supra-segmentals (Werner & Keller 1994: 23).
Questi fenomeni conferiscono all’enunciato il suo caratteristico andamento, creando una vera
e propria “musicalità del discorso” (Argyle 1986: 116), come emerge anche dalla definizione fornita
da Couper-Kuhlen & Selting (1996: 11):
Prosody is understood to comprise the ‘musical’ attributes of speech − auditory effects such as melody, dynamics, rhythm, tempo and pause.
La prosodia è pertanto un aspetto che accompagna (e che non sostituisce) l’articolazione
propria dei suoni di una lingua, andando a completarla e a fornire ulteriori elementi (quali
l’intonazione, il ritmo, la cadenza ecc.) per cogliere il senso di un enunciato. Anzi, spesso è proprio
il livello prosodico a garantirne la comprensione, in presenza di eventuali ‘deviazioni’ al livello
segmentale, cioè errori o discostamenti nella pronuncia rispetto alla sua realizzazione standard.
21
Prima di descrivere in dettaglio quali siano i costituenti del livello prosodico, è opportuno
chiarire che funzioni abbia, in generale, la prosodia in un processo comunicativo:
• Funzione pragmatica
Il parlante mette in evidenza l’informazione principale e la distingue da quelle
secondarie, agevolando la ricezione e la comprensione da parte dell’ascoltatore. In questo
modo il compito di quest’ultimo viene alleggerito, poiché vengono fornite delle ‘piste’ da
seguire per decodificare al meglio il messaggio. La prosodia permette così di distinguere
tra ‘tema’ e ‘rema’, informazione ‘nuova’ e informazione ‘data’, consentendo
all’ascoltatore di concentrarsi sulla prima e attenuando il suo sforzo di comprensione,
favorendo in questo modo “la memorizzazione ed il richiamo delle informazioni”
(Mazzetti 1998: 18).
In questa funzione rientra anche la segnalazione dei ‘turni’ all’interno di un processo
comunicativo: i tratti prosodici indicano che uno dei parlanti ha terminato la propria
esposizione e danno quindi la possibilità a un altro soggetto di prendere a sua volta la
parola. In questo senso, essi sono parte di un sistema di segnalazione usato per creare e
interpretare i turni di conversazione.8 Questo si verifica in particolar modo quando la
comunicazione è caratterizzata dall’interazione tra i partecipanti, e cioè quando il
linguaggio è inserito in un preciso contesto e deriva il suo significato proprio dalla
‘situazione’ in cui viene impiegato:
Placed in its context of use, language ‘means’, i.e. suggests interpretations, through a complex interaction of verbal forms with contextual and situational factors. Arguably, the discourse functions of intonation are more likely to relate to this kind of pragmatic ‘meaning’ (situated, inference-based interpretation) rather than to the semantic meanings of decontextualized linguistic forms. […] Analysts find that intonation and prosody have a contextualizing function. […] They constitute how something is said, not what is said […] (Couper-Kuhlen & Selting 1996: 21).
Il livello prosodico permette inoltre di distinguere gli atti linguistici, ovvero gli effetti
che il parlante vuole provocare nel ricevente, a seconda che egli voglia esprimere una
constatazione, una richiesta, un consiglio, un rimprovero, una promessa ecc.9
8 “[Prosody is] part of a signalling system which […] is used to construct and interpret turn-constructional units and turns-at-talk” (Couper-Kuhlen&Selting 1996: 25). 9 Per una teoria completa degli speech acts, si rimanda a Austin (1962).
22
Infine, la prosodia mantiene il testo coeso e fa in modo che i diversi enunciati vengano
percepiti come parte di un tutt’uno, definendo “l’intera organizzazione prosodico-
intonativa di un testo” (Canepari 1985: 28).
• Funzione sintattica
La prosodia permette di segnalare i confini di frasi e enunciati, facendo le veci della
punteggiatura. Questo evidenzia come ci siano dei “legami regolari con strutture verbali.
Ci sono regole che governano il ritmo e la punteggiatura, e modelli di tono e di
accentuazione per le domande e per altri tipi di espressioni” (Argyle 1986: 117).
Ovviamente tali regole e legami possono essere più o meno rispettati, e spesso l’oratore
decide di variare la propria esposizione rispetto a queste consuetudini, magari omettendo
una pausa laddove sarebbe richiesta, oppure inserendone una inaspettatamente per dare
enfasi al proprio dire. A tutto ciò si aggiunge che “se i segnali prosodici vengono eliminati
usando la scrittura, le parole devono essere completate con la punteggiatura e le
sottolineature, e parte del contenuto del messaggio [...] si perde” (ibid.).
E’ interessante notare come in passato la prosodia fosse considerata interamente
dipendente dalla sintassi e di conseguenza la divisione (phrasing) dell’enunciato venisse
eseguita avendo come base di partenza le regole della sintassi stessa. Teorie più recenti
hanno invece rivalutato il ruolo dei tratti prosodici, sostenendo che
syntactic constituents are the basis of prosodic phrasing (e.g. division into intonational contours), but that the prosodic component of grammar is independent enough from syntax to allow combining two (or more) syntactic constituents into one larger prosodic unit […], thus obliterating syntactic boundaries in prosodic representation. Yet the opposite case is also observed: one syntactic unity may be split into various components by prosodic means, for reasons of emphasis […] (Auer 1996: 75).
In questo modo, sintassi e prosodia cooperano mettendo a disposizione le loro
peculiarità; in particolare,
syntax brings its capacity to build relatively far-reaching gestalts […]; prosody, particularly intonation, brings in its local flexibility to revise and adjust these gestalts while they are being ‘put to speech’ (ibid.).
23
• Funzione emotiva
A ‘tone of voice’, a ‘feeling’ about the way our partner spoke, the ‘atmosphere’ of a conversation − these are often more significant cues to the real message then the words themselves (Selting & Couper-Kuhlen 1996: 1).
Il parlante esprime le proprie emozioni, sia per quanto riguarda l’oggetto del proprio
discorso sia per quanto riguarda la relazione con gli interlocutori. Da una parte abbiamo
quindi la “formulazione o qualificazione delle frasi” (Argyle 1986: 117), dall’altra gli
“atteggiamenti verso gli ascoltatori” (ibid.); entrambi comunicano gli stati emotivi e
l’identità di colui che parla, costituendo un messaggio nel messaggio. Bolinger (in
Couper-Kuhlen & Selting 1996: 23) sottolinea così il contributo emozionale della
prosodia, rispetto a quello informativo:
Intonation is part of a gestural complex whose primitive and still surviving function is the signaling of emotion. Even when it interacts with such highly conventionalized areas as morphology and syntax, intonation manages to do what it does by continuing to be what it is, primarily a symptom of how we feel about what we say, or how we feel when we say.
• Funzione stilistica
Ogni parlante segue degli schemi prosodici che caratterizzano il suo modo di
esprimersi e che permettono agli ascoltatori di identificarlo e di crearsi delle aspettative
nei suoi confronti.
Questi schemi sono legati a fattori quali l’età, il sesso, la provenienza geografica, la
formazione, lo status sociale, e vanno a formare lo ‘stile’ di un oratore, stile che può
(deve) essere adattato alle circostanze e al pubblico davanti al quale ci si esprime.
2.2.1.1 I tratti prosodici: caratteristiche e componenti
Se finora si è parlato della prosodia in termini intuitivi, facendo riferimento a intonazione,
ritmo, andamento melodico ecc., è venuto ora il momento di definire con maggior rigore e
precisione da che cosa essa sia costituita.
Seguendo il modello di Hargrove & McGarr (1994: 16), che trova riscontro nella
classificazione proposta da Crystal (1981), possiamo distinguere i tratti prosodici in features
24
(caratteristiche) e components (componenti). Le caratteristiche “improntano il livello
soprasegmentale” (Mazzetti 1998: 14) costituito dalle componenti.
In sostanza, le diverse caratteristiche e componenti interagiscono tra loro producendo
determinati effetti prosodici, ed è bene sottolineare che “la prosodia non è il risultato della semplice
somma delle sue componenti e caratteristiche, quanto il prodotto dell’interazione delle stesse, il cui
risultato eccede la somma delle parti” (ibid.).
Caratteristiche e componenti vengono classificate secondo il seguente schema (Hargrove &
Il tono rappresenta l’altezza fisica del suono ed è legato alla frequenza di vibrazione delle
corde vocali. Secondo la definizione di Hargrove & McGarr (1994: 38), il tono è
an auditory percept associated with the vibration of the vocal folds or fundamental frequency (F0). The physical attribute of pitch (F0) is dependent on the number of times the vocal folds open and close per second.
25
La frequenza di vibrazione delle corde vocali determina l’acutezza del suono: più le corde
vibrano rapidamente più il suono è acuto, e a livello percettivo “il suono più acuto dà uditivamente
l’impressione di essere più alto” (Simone 1990: 125). La misura del tono, effettuata con particolari
strumenti tecnici, viene espressa in Hertz.
Il tono è una caratteristica prosodica che concorre nel determinare, in particolar modo,
l’intonazione e la prominenza.
Esso si può distinguere nelle seguenti tipologie, a seconda della sua uniformità o delle sue
variazioni nel corso del segmento di enunciato preso in considerazione:
− unito, quando non cambia su tutto il segmento in questione;
− ascendente, quando passa dal livello basso a quello alto;
− discendente, quando passa dal livello alto a quello basso;
− ascendente-discendente, quando prima sale e poi scende;
− discendente-ascendente, quando prima scende e poi sale.
Strettamente connesso al concetto di tono è quello di tone group o tone unit (Couper-Kuhlen
& Selting 1996: 14):
a tone group is defined as a phonological unit which has one prominent pitch movement beginning on an accented syllable and optionally extending over any following unaccented syllables. This accented syllable is called the tonic syllable or the nucleus of the tone group or unit.
Il gruppo tonale (o unità tonale) è quindi costituito da un movimento del tono che ha inizio su
una sillaba accentata (la tonica) e che si estende sulle successive sillabe. Alcuni autori, come
Pierrehumbert, Selkirk e Nespor (in Couper-Kuhlen & Selting 1996: 14)) lo definiscono anche
intonational phrase.
Variazioni di tono possono essere opportunamente utilizzate per aggiungere dei nuovi
elementi a un segmento precedente già compiutamente concluso. In questo, la prosodia si dimostra
molto più flessibile della sola sintassi perchè, come sostiene Auer,10 mentre molte strutture
sintattiche non possono essere estese oltre un confine sintattico completo, qualsiasi elemento può
invece essere incluso in un contorno intonativo potenzialmente finito, sotto forma di continuazione
prosodica. Per quanto riguarda, in particolare, un’espansione realizzata grazie all’uso del tono,
esistono due tecniche distinte: 10 “While many syntactic structures simply cannot be expanded beyond a syntactic completion point […], any material may be included into a potentially closed intonational contour as a prosodic continuation” (Auer 1996: 70).
26
the first is a simple addition of further unstressed syllables to the last accent unit of the contour. […] Pitch remains at approximately the low level it has reached at the end of the final accent unit before the expansion. […] A second way to expand an existing contour beyond a possibile completion point is to add another accent unit, i.e. a (pitch) accent plus non-accented syllables ad libitum (Auer 1996: 70-71).
Nel primo caso si tratta quindi di aggiungere ulteriori sillabe non accentate a quelle già
presenti alla fine della precedente unità tonale, mentre nel secondo si verifica l’inserimento di una
nuova unità tonale in linea con la precedente. Queste due tecniche caratterizzano la cosiddetta
prosodic integration (ibid.); quando invece viene inserita una nuova unità prosodica, con un salto di
livello rispetto alla precedente, si parla di prosodic exposure (ibid.), cioè
a pitch jump between the last unaccented syllables of the preceding and the anacrustic syllables of the new contour (ibid.).
Si verifica in pratica un cambiamento di tono tra le due unità, che può essere
indifferentemente ascendente o discendente.11
2.2.1.1.2 Volume
Il volume è
the auditory perception primarily associated with the acoustic dimension of amplitude or intensity (Hargrove & McGarr 1994: 16).
Le sue variazioni vengono percepite come dei cambiamenti del livello di pressione con la
quale un suono viene emesso. La percezione del volume di un suono, cioè della sua intensità e della
sua ampiezza, è strettamente legata ad altri fattori quali il tono, come si è visto in precedenza. Esso
viene misurato in decibel.
Il volume è una caratteristica che contribuisce, interagendo con gli altri tratti prosodici, alla
formazione dell’intonazione, della prominenza e del ritmo, ed è particolarmente utile da un punto di
vista pragmatico, poiché un aumento dello stesso (e quindi dell’intensità di un suono) permette di
11 Quanto detto finora riguardo l’espansione grazie alla prosodia, e al tono nello specifico, non ha certamente la pretesa di essere esaustivo; è tuttavia utile per rendersi conto delle possibilità offerte dai tratti prosodici, più flessibili e di conseguenza soggetti a meno vincoli rispetto ai mezzi sintattici.
27
dare enfasi a una determinata struttura verbale e di distinguerla dalle altre. E’ utile quindi per
catturare l’attenzione dell’ascoltatore, oltre che per esprimere l’atteggiamento del parlante.
2.2.1.1.3 Durata
La durata viene definita come
the length of time used at the segmental syllable, word, phrase, or sentence level (Hargrove & McGarr 1994: 69)
ed è quindi
the auditory perception primarily associated with the acoustic dimension of time (ibid.: 16).
Essa riguarda pertanto il tempo impiegato per la realizzazione non soltanto di singoli suoni,
ma anche di parole, frasi e enunciati più complessi.
Zellner (1994: 50), rifacendosi a Ferreira (1993), distingue tra due livelli di durational
control, extrinsic e intrinsic:
Units of word length (lexemes, inflected words, fixed expressions, etc.) are said to have a set of intrinsic durations […]. Each time they are used, the basic distribution of duration of its various segments will be roughly the same. As these units are integrated into larger entities (phrases, utterances), they get “stretched” and “squeezed” in accordance with the requirements of larger speech demands. These larger demands correspond to an extrinsic level of durational control. There will be more or less expansion, depending on where the word occurs in the utterance, on whether the word is emphasised or not, and on what grammatical group the word belongs to.
Esiste dunque una durata legata alla lunghezza dei singoli suoni di una lingua o di locuzioni
fisse, che rimane pressoché costante, e una durata di frase, che varia a seconda delle intenzioni del
parlante e della situazione comunicativa. La prima viene anche definita da Hargrove & McGarr
(1994: 69) inherent duration, e si sottolinea come alcuni suoni abbiano una durata maggiore di altri,
per esempio le consonanti fricative rispetto alle occlusive, o le vocali rispetto alle consonanti; la
seconda viene anche chiamata prosodic duration (ibid.) e “si manifesta in quelle variazioni di
lunghezza che hanno un ruolo comunicativo, legate alla velocità d’eloquio, all’intonazione, alla
prominenza e al ritmo” (Cecot 2000: 42).
28
Anche Werner & Keller (1994: 31) sottolineano l’importanza comunicativa e retorica delle
variazioni di durata:
If time variations are of local nature, the durational effects are likely related to stressing (accentuation). Local slowing, resulting in an increase in the duration of an entire word or at least some of its syllables, is representative of stressing. Even when pronounced without particular loudness, a slowed word tends to signal the particular importance of the content conveyed by the word. On the other hand, local acceleration signifies lessened semantic importance.
La durata concorre alla realizzazione di tutte le componenti prosodiche; quella dei singoli
suoni, in particolare, determina la velocità d’eloquio e influisce sulle sue variazioni, come si vedrà
meglio in seguito trattando questa componente.
2.2.1.1.4 Pausa
La pausa è
the auditory perception primarily associated with silence (Hargrove & McGarr 1994: 16)
ovvero “l’assenza di unità linguistiche effettive ed individuabili” (Mazzetti 1998: 27). Simone
(1990: 126) la definisce come “l’intervallo di silenzio, di durata variabile, che si frappone a talune
unità linguistiche, e che, pur non essendo un soprasegmentale, può essere collocato insieme ad
essi”; Canepari (1985: 36) come “momentanee interruzioni del parlare, dovute a motivi fisiologici,
semantici, strutturali e psicologici”. Anche Kowal (1991: 27) si allinea a queste definizioni,
indicando le pause come Intervalle der Lautabwesenheit, così come Magno Caldognetto, De Zordi
& Corrà (in Cecot 2000: 95) che parlano di “periodi di silenzio di durata variabile, che segmentano
e interrompono le catene foniche”.
Le pause sono quindi momenti più o meno lunghi in cui il parlante, per motivi che si
analizzeranno meglio in seguito, interrompe il flusso della sua produzione verbale, lasciando un
vuoto che viene percepito come silenzio dall’ascoltatore.
Una prima classificazione porta a distinguere tra intra-segmental pauses e inter-lexical pauses
(Zellner 1994: 42-43): le prime
are those which are related to the occlusions of the vocal tract
29
le seconde
are those which may appear between two words. They constitute the first segmentation of speech.
Le pause intra-segmentali sono anche dette “lessicali” (Mazzetti 1998: 28): esse “si verificano
all’interno di una stessa parola e non sono normalmente percepibili” (ibid.), sono pertanto legate
alla produzione fisiologica dei suoni. Le pause inter-lessicali sono invece dette “sintattiche” (ibid.),
e sono uno strumento di suddivisione del discorso, in modo da renderlo più comprensibile e
facilitarne l’interpretazione; in questo caso servono quindi a delimitare i gruppi tonali, di cui si è
parlato in precedenza.
Le pause possono altresì essere classificate in ‘intraturno’ e ‘interturno’, ovvero pause che si
verificano durante il discorso di uno stesso parlante e pause che si trovano tra i discorsi di più
parlanti, a segnalare i confini tra i diversi interventi.
Si noti che finora si è sempre definita la pausa come momento di silenzio, come assenza di
qualsiasi suono. Esistono tuttavia dei momenti di interruzione della catena parlata che non vengono
‘riempiti’ dal silenzio, bensì da fenomeni vocali che spesso sono indice dei processi cognitivi del
parlante. Per questo motivo alcuni autori parlano di pause “vuote” e ”piene” (Canepari 1985: 22-
23), o pause “di silenzio” e “vocalizzate” (Pichler, in Cecot 2000: 44).
Silent pauses correspond to the perception of a silent portion in the speech signal. […] Filled pauses correspond to the perception of a voiced section in the speech signal (Zellner 1994: 44).
Tra le pause piene figurano elementi come riempitivi, esitazioni, false partenze e ripetizioni,12
che Kowal (1991: 29) definisce, richiamandosi a Grosjean (1980) sekundäre Variablen poiché, a
differenza delle pause vuote (primäre Variablen), sono ‘possibili’ fenomeni del parlato spontaneo,
che possono anche non comparire.13
Questa classificazione risente degli studi di psicolinguistica, in particolare di quelli condotti da
Goldman-Eisler (1968, 1972), secondo i quali
a pause is the external reflection of some of the cognitive processes involved in speech production. In this sense, pauses provide additional time during which the final output can be planned and programmed (Zellner 1994: 46).
12 “Füllaute, Verzögerungswiederholungen, Fehlansätze und Bearbeitungsmittel” (Kowal 1991: 29). 13 “[Sie] sind mögliche Begleiterscheinungen des spontanen Sprechens; sie können auftreten, sie können aber auch fehlen” (ibid.).
30
Le pause, da questo punto di vista, sono l’indizio dell’attività cognitiva di chi parla, della
pianificazione del discorso, che si rende visibile nell’interruzione della produzione verbale, nelle
esitazioni (ehm, uhm ecc.), nei suoni non precisamente articolati ecc. Questo approccio considera
quindi la pausa come un fenomeno che deriva dai vincoli imposti dalla produzione del discorso e
dalla sua realizzazione, e per tale motivo caratterizza in particolare il parlato spontaneo. Esso
presenta tuttavia dei limiti, poiché trascura quei momenti di silenzio che non corrispondono a
esitazioni, bensì sono una precisa scelta dell’oratore effettuata a scopi comunicativi e retorici:
[das bedeutet], daß ein Mensch für verschiedene mentale Prozesse beim spontanen Sprechen [...] einerseits artikulationsfreie Zeit für sich (kognitive Funktion) benötigt, daß er diese Zeit aber prinzipiell auch für den anderen (kommunikative Funktion) einsetzt, als Verständigungsmittel, um beispielsweise eine Wortfolge zu gliedern oder um den Hörer auf bestimmte Wörter aufmerksam zu machen (Kowal 1991: 35).
E’ dunque opportuno distinguere le pause ‘comunicative’ da quelle cognitive’, visto che le
prime aiutano l’ascoltatore nella segmentazione e quindi nella comprensione degli enunciati14 e per
questo sono anche dette Gliederungspausen, in contrapposizione alle Verzögerungspausen (ibid.:
31).
Tra le pause comunicative figurano anche quelle che il parlante utilizza per produrre un
determinato effetto negli ascoltatori,15 indicate come pause ‘retoriche’.
Per completezza, si fornisce anche la classificazione proposta da Abercrombie (in Kowal
1991: 69), che suddivide le pause in cinque categorie funzionali:
1. Syntaktische Pausen disambiguieren sprachliche Ausdrücke, indem sie signalisieren, welche sprachlichen Einheiten zusammengehören.
2. Emphatische Pausen betonen folgende Wörter oder Phrasen. 3. Terminale Pausen [...] treten immer zwischen den beiden letzten betonten Silben
einer Äußerung auf und signalisieren den Wechsel zum nächsten Sprecher oder zum nächsten Thema. Manchmal werden sie auch am Schluß von öffentlichen Reden gebraucht.
4. Scheinbare Pausen treten auf, wo ein Sprecher vorgibt, sich spontan zu äußern. 5. Rhetorische Pausen sind bei Menschen zu finden, die häufig in der Öffentlichkeit
sprechen und sich angewöhnt haben, an ungewöhnlichen Stellen eine Pause zu machen, die keine andere Funktion hat als die, ungewöhnlich zu sein und deshalb charakteristisch für den Sprecher im Sinne eines individuellen Redestils.
14 “[Sie] helfen dem Hörer bei der Segmentierung und damit beim Verständnis von Äußerungen” (Kowal 1991: 69). 15 “[Pausen, die der Sprecher verwendet,] um bei seinen Zuhörern einen bestimmten Effekt zu erzielen” (ibid.).
31
Alla luce di queste osservazioni si può dedurre che le pause comunicative, e quelle retoriche
in particolare, vengono utilizzate da oratori abituati a esprimersi frequentemente in pubblico,
proprio per produrre determinati effetti sui loro ascoltatori. Spesso, inoltre, esse caratterizzano
discorsi ben pianificati e preparati in precedenza e non discorsi spontanei, dove l’oratore non si
interrompe a causa di esitazioni ma colloca sapientemente dei momenti di silenzio per dare enfasi al
proprio dire. Per questo vengono anche definite “pause sapienti” (Cecot 2000: 61). A questo si
aggiunge che “oggi sempre più spesso gli oratori non parlano a braccio, ma i loro discorsi sono già
preparati, si tratta, dunque, di una particolare tipologia testuale: discorsi scritti per essere letti come
se non fossero scritti. Ne consegue che molte delle loro pause sono studiate e quindi sono pause
retoriche” (ibid.: 44). Questa tipologia di discorso, in cui scrittura e oralità si compenetrano, viene
definita da Schlaffer zweite Mündlichkeit (in Kowal 1991: 13), e si caratterizza per il fatto che la
tradizionale contrapposizione orale = spontaneità/scritto = pianificazione viene meno. Il discorso
viene infatti preparato in precedenza, per poi venire ‘performato’ davanti al pubblico: nel passaggio
dallo scritto all’atto comunicativo vengono pertanto a mancare le esitazioni dovute alla ricerca del
termine adatto, della soluzione migliore (già trovata nella fase di pianificazione), e lo sforzo si
concentra maggiormente sull’enfasi da attribuire a queste scelte:
Die zweite Mündlichkeit ist durch die Entwicklung von Telefon, Rundfunk und Fernsehen entstanden, hat aber im Gegensatz zur ursprünglichen ersten Mündlichkeit Schrift und Druck zur Voraussetzung (ibid.).
Le pause che caratterizzano questo tipo di oralità sono pertanto eminentemente comunicative
e retoriche, e svolgono le seguenti funzioni:
− segmentazione del discorso, in corrispondenza dei confini sintattici. In questo modo viene
facilitata la comprensione dell’ascoltatore. Per Zellner, le pause contribuiscono fortemente
al miglioramento della comprensione, suddividendo il discorso in segmenti più piccoli.16
Inoltre “[...] l’omissione delle pause può portare un oratore a rendere la propria
presentazione monocorde e non chiara dal punto di vista contenutistico [...]” (Mazzetti
1998: 29);
− enfasi di un concetto particolarmente saliente, se collocate prima o dopo di questo. A tale
proposito, Beebe & Beebe sottolineano che spesso una pausa appropriata può essere più
16 “By subdividing speech into smaller segments, pauses probably contribute a great deal to the improvement of speech comprehension” (Zellner 1994: 47)
32
utile per enfatizzare un discorso di qualsiasi altra caratteristica vocale.17 Giannelli (1992:
324) aggiunge che la pausa “si manifesta dinanzi ad elementi che assumono una forte
informatività” e che “il distacco della parte in focus dà enfasi particolare alla parte stessa”
(ibid.: 327);
− tempo dato al pubblico per riflettere, soprattutto dopo domande retoriche;
− segnalazione dell’inizio e della fine del discorso.
Da questo elenco deriva un aspetto peculiare della pausa: essa non compare mai da sola, ma in
corrispondenza di altri tratti prosodici, che il più delle volte contribuisce a realizzare. Ad esempio,
non sarebbe certo possibile segnalare la salienza di un concetto se questo, oltre a essere isolato con
una pausa, non venisse espresso con la giusta intonazione, il ritmo corretto e un volume della voce
adeguato. Peraltro, la pausa concorre alla formazione di tutte le componenti prosodiche.
Per quanto riguarda, invece, la misurazione del fenomeno pausa, essa viene considerata
secondo la sua percentuale rispetto al totale del discorso, secondo la sua durata e secondo la sua
distribuzione; questo costituisce la ‘macroanalisi’:
Die Ergebnisse von Macroanalysen geben für eine Redestichprobe an, wie hoch der Anteil der Pausenzeit an der gesamten Sprechzeit ist, wie lange die Pausen im Durchschnitt dauern und wie häufig sie auftreten (Kowal 1991: 35).
Se invece si considera la ‘posizione’ di una pausa − “zwischen den Äußerungen von
verschiedenen Sprechern, zusammen mit nichtsprachlichen Verhalten wie Blickabwendung, vor
oder nach Wörtern einer bestimmten Wortklasse etc.” (ibid.) − essa diviene oggetto di una
‘microanalisi’.
Occurrence and lengths of pauses are strongly correlated with the degree of inter-lexical cohesion, that is, pauses tend to be long and frequent between words that show relatively little cohesion and they are much shorter and less frequent between words that are strongly interdependent (Zellner 1994: 51).
Questa affermazione sull’occorrenza delle pause è confermata anche da Pichler, secondo cui
“sono più lunghe le pause realizzate alla fine della frase di quelle collocate tra costituenti maggiori,
e queste ultime sono a loro volta più lunghe delle pause realizzate all’interno di questi costituenti”
(in Cecot 2000: 46). Questo modo di raggruppare le parole porta a una particolare segmentazione
del discorso, che può essere visualizzata dal seguente schema (Zellner 1994: 51):
17 “An appropriate pause can often do more to accent your message then any other vocal characteristic” (Beebe&Beebe, in Cecot 2000: 90).
33
speech flow / pause / speech flow / pause / speech flow / etc. corresponds statistically, semantically and syntactically to words with strong cohesion / pause / words with strong cohesion / pause / etc. and corresponds psycholinguistically to performance structure / pause / performance structure / pause / performance structure / etc.
E siccome ciascuna struttura, intervallata da una pausa, è caratterizzata da un certo andamento
prosodico, tutto questo si traduce in:
prosodic unit / pause / prosodic unit / pause / prosodic unit etc. (ibid.: 54):
silent and filled pauses constitute the acoustic marks that enclose the prosodic units [...]. As the suprasegmental and audible tissue of speech, such prosodic units can be defined by the relations existing between prosodic parameters of speech (stress, intonation, duration, etc.) (ibid.: 54).
Ecco dunque che i tratti prosodici contraddistinguono l’andamento del discorso, creando delle
unità compiute dal punto di vista ritmico-intonativo, che si ripetono regolarmente intervallate da
pause.
2.2.1.1.5 Velocità d’eloquio
La velocità d’eloquio
represents a composite of factors that relate to the timing elements, or pace of speech (Hargrove & McGarr 1994: 127).
Essa rappresenta la velocità con la quale un oratore si esprime e produce il suo discorso, e
dipende pertanto dalle variazioni delle caratteristiche prosodiche di durata e pausa.
La velocità d’eloquio “può essere misurata in parole per minuto” (Canepari 1985: 36), anche
se nel caso di un confronto tra lingue molto diverse tra loro nella formazione delle parole (come il
34
tedesco e l’italiano) è più funzionale considerare segmenti più brevi, arrivando a esprimerla in
sillabe al minuto o sillabe al secondo.
Per una questione di precisione è opportuno distinguere tra ‘velocità d’eloquio’ e ‘velocità di
articolazione’ dei suoni. Si tratta infatti di due fenomeni diversi: se la velocità d’eloquio è il
rapporto sillabe/durata, la velocità di articolazione è invece il rapporto sillabe/durata-pause. Questo
significa che la velocità di articolazione non prende in esame tutto il tempo che l’oratore impiega
per pronunciare un segmento (pause incluse), ma soltanto il tempo che impiega per articolare i
suoni che effettivamente vengono percepiti:
Die Artikulationsgeschwindigkeit bezeichnet das Tempo, in dem Lautfolgen erzeugt werden, wenn von der Gesamtredezeit die Pausenzeit abgezogen wird (Kowal 1991: 27).
La velocità d’eloquio sarà quindi sempre inferiore alla velocità di articolazione, poiché essa
comprende anche i momenti di silenzio in cui l’oratore pensa alle parole che effettivamente
pronuncerà. Per essere ancora più chiari si può dire che velocità d’eloquio e pause sono
inversamente proporzionali: più lunghe e frequenti sono le pause, minore è la velocità d’eloquio,
“più rapida o più lenta è la velocità, più la durata e il numero delle pause si ridurranno o
aumenteranno“ (Canepari 1985: 36).
Questo conferma una volta di più lo stretto rapporto tra caratteristiche e componenti
prosodiche, e il fatto che il loro effetto è il risultato della loro combinazione, a tal punto che spesso
è difficile poterle cogliere isolatamente.
La velocità d’eloquio dipende dalle caratteristiche del parlante, dal suo stile e dal messaggio
che intende veicolare. Essa si riduce per dare enfasi a una parola o a un concetto, e in generale
“varia molto all’interno di un enunciato, accelerazioni e rallentamenti hanno una funzione precisa:
un’accelerazione implica un grado minore di attenzione richiesta all’ascoltatore” (Cecot 2000: 51);
questo evidenzia la sua funzione pragmatica di segmentazione del discorso a favore del ricevente.
Ne deriva che la velocità è legata a doppio filo alla prominenza, come si vedrà in seguito.
2.2.1.1.6 Intonazione
L’intonazione rappresenta la “melodia” (Simone 1990: 131), l’“andamento melodico”
(Canepari 1985: 37) dell’enunciato, “what is perceived as speech melody” (Werner & Keller 1994:
28). Si tratta dunque della componente più ‘musicale’ della prosodia, quella che un ascoltatore può
35
immediatamente cogliere in un parlante straniero anche senza avere la minima conoscenza della sua
lingua.
L’intonazione “è dovuta principalmente al fatto che, in corrispondenza di alcune sillabe (e in
particolare delle vocali che queste contengono), la frequenza di vibrazione dell’aria aumenta,
formando dei picchi” (Simone 1990: 130). Come si ricorderà, abbiamo già parlato di ‘frequenza di
vibrazione’ occupandoci del tono; l’intonazione rappresenta infatti quel tratto prosodico
determinato dalle variazioni di tono, e la melodia è appunto costituita dalla “successione di picchi e
di avvallamenti” (ibid.), che determinano la “curva” o “profilo” o “contorno d’intonazione” (ibid.).
Partendo da questa considerazione, l’intonazione può essere analizzata a due livelli: interno e
esterno.
A livello interno si prendono in considerazione i costituenti del gruppo tonale (cfr. pag. 25):
− onset, il tono della prima sillaba dell’enunciato;18
− nucleo, la sillaba tonica;19
− contorno finale, la conclusione del movimento del tono nell’enunciato.20
Il gruppo tonale ha quindi inizio con la prima sillaba, ha il suo nucleo sulla sillaba accentata
(tonica) e si conclude con una o più sillabe non accentate. E’ sulla tonica che “si realizza il contorno
intonativo caratteristico del gruppo tonale” (Mazzetti 1998: 20), e per questo alcuni autori tendono a
stabilirne l’inizio proprio su questa sillaba (cfr. pag. 25).
A livello esterno l’analisi intonativa prende invece in considerazione i collegamenti tra gli
enunciati, cercando di stabilire il ruolo dell’intonazione per la coesione del discorso nel suo
insieme. A tal proposito si parla di “ROL (relative onset level), in base al quale deve il più possibile
venirsi a creare corrispondenza tra il pitch della parte finale di una frase e quello iniziale della
successiva” (Mazzetti 1998: 20), come si è visto parlando del tono in relazione a prosodic
integration e prosodic exposure.
Il gruppo tonale non è soltanto una unità dal punto di vista prosodico, ma anche da quello
semantico. Si è già avuto modo di osservare, a proposito della pausa, come questa segmenti il
discorso in prosodic units, che tuttavia non sono coese solo dal punto di vista fonologico, ma anche
da quello semantico-sintattico. Per questo anche l’intonazione esercita un’essenziale funzione
pragmatica, dividendo melodicamente il discorso in modo da evidenziare le unità informative a
vantaggio dell’oratore ma soprattutto dell’ascoltatore:
18 “The pitch height of the first full syllable in an utterance” (Hargrove&McGarr 1994: 154). 19 “The tonic syllable” (Couper-Kuhlen&Selting 1996: 14). 20 “The completion of the pitch movement of the utterance” (Hargrove&McGarr 1994: 154).
36
eine der wesentlichen Funktionen von Intonationsbögen ist es, Sprecheinheiten so zu gliedern, daß der Hörer weiß, welche Einheiten enger zusammengehören, wo größere Einschnitte sind und welche Einheiten sich inhaltlich widersprechen (Schwitalla, in Mazzetti 1998: 23).
Vengono così ‘segnate’ le informazioni nuove rispetto a quelle già note (distinzione tema-
rema) dato che“maggiore è il numero di gruppi tonali (e quindi di unità informative), maggiore è
l’informazione comunicata come nuova” (ibid.: 24).
L’intonazione è inoltre l’elemento (per alcune lingue l’unico) che permette di distinguere tra
frase affermativa, frase interrogativa e frase imperativa.
2.2.1.1.7 Prominenza
La prominenza corrisponde alla messa in risalto, con l’ausilio dei differenti tratti prosodici, di
una specifica porzione di enunciato.
Hargrove & McGarr, lo si è già visto, parlano di stress (1994: 16). Anche Werner & Keller
utilizzano questo termine (1994: 26), ma operano una importante distinzione:
three types of stress can be distinguished: − word stress − phrasal stress − sentence stress.
L’accento propriamente detto, infatti, è un “elemento distintivo di parole” (Simone 1990:
125), che cade sulla sillaba tonica. Parlare di prominenza significa dunque riferirsi al phrasal stress,
cioè all’“accento di frase” (Cecot 2000: 55; Mazzetti 1998: 25).
Naturalmente è sempre una singola sillaba che porta l’accento, ma la parola corrispondente è
in più contrassegnata da tono, volume, durata e pause particolari che la mettono in evidenza
all’interno dell’enunciato, facendola diventare la parola ‘prominente’.
Per chiarire questo concetto si prenda il seguente esempio, tratto da Werner & Keller (1994:
28):
The manifestátion of its signíficance is not too évident.
The manifestátion of its signíficance is not too évident.
37
Come si vede, le due frasi hanno gli stessi accenti di parola, che cadono sulle sillabe toniche di
manifestation, significance e evident; quello che cambia tra le due è proprio l’accento di frase, che
nella prima cade su manifestation, nella seconda su significance. Le due frasi si discostano quindi
dal punto di vista semantico, poiché la prominenza è posta di volta in volta su un elemento diverso.
La prominenza è dunque “una proprietà legata alla parola in virtù della sua salienza all’interno
del discorso, [che] va associata a parole diverse a seconda del ruolo informativo che queste
svolgono” (Voghera, in Mazzetti 1998: 25).
La sua funzione è pertanto quella di segnalare l’elemento dell’enunciato portatore di
significato, o meglio dell’informazione principale. Spesso esso coincide con l’informazione nuova,
ma per essere più precisi è bene affermare che “la prominenza è un fenomeno che si verifica in
corrispondenza di quelle parti del discorso che sono importanti (quindi non solo nuove) dal punto di
vista informativo” (ibid.).
2.2.1.1.8 Ritmo
Il ritmo è costituito da
sequences of stresses and the flow of speech during communication (Hargrove & McGarr 1994: 16).
Esso è quindi determinato in particolare dal susseguirsi degli accenti nel flusso del discorso,
che conferiscono un andamento caratteristico all’enunciato provocando una sensazione di
‘musicalità’.
Il ritmo dipende totalmente dagli altri tratti prosodici e permette la segmentazione del
discorso. Inoltre, se correttamente impiegato, facilita la comprensione del messaggio, rendendolo
meno monotono per l’ascoltatore.
2.2.2 Il linguaggio del corpo
Come si è già avuto modo di osservare, il linguaggio del corpo costituisce la parte non vocale
della comunicazione non verbale. Esso è composto dai movimenti del corpo e del capo, dai gesti di
mani e braccia e dalle espressioni del viso.
38
Oltre ai movimenti e alle espressioni che manifestano emozioni e atteggiamenti interpersonali,
indicanti pertanto lo stato d’animo di chi partecipa a un processo comunicativo, ve ne sono altri che
accompagnano il discorso del parlante e che sono quindi parte integrante del messaggio che egli
vuole trasmettere, seppur talvolta in maniera involontaria. Questi sono:
− movimenti che accompagnano direttamente il discorso. Servono a definire le strutture
gerarchiche nel modo seguente (adattato da Argyle 1986: 119):
verbale non verbale
Parole, frasi Movimenti della mano, espressioni del
volto, interruzioni dello sguardo ecc.
Espressione verbale Posizione del capo o del braccio
Periodo più lungo di eloquio Posizione posturale
I vari segmenti dell’enunciato sono dunque ‘marcati’ da gesti differenti, a seconda
della loro lunghezza e complessità. Il passaggio tra momenti dell’eloquio estesi e densi di
significato è infatti caratterizzato da un cambiamento di postura, quasi l’oratore volesse
rilassarsi prima di iniziare un’esposizione che lo impegnerà per un altro periodo di tempo
più o meno lungo, mentre le frasi e le singole parole all’interno di questi, di durata più
breve, sono contraddistinte da movimenti della mano, più rapidi, che ne segnano il ritmo.
Alcuni studi hanno dimostrato “che i movimenti delle mani e dei piedi coincidono con
la prima parola di una proposizione fonetica in atto, o con una pausa di esitazione [e] che
esiste una tendenza ad accompagnare le parole enfatizzate sul piano verbale con dei
movimenti [...]” (Argyle 1986: 120);
− movimenti che forniscono la punteggiatura e che manifestano la struttura. Questa
funzione si esercita spesso con l’uso dello sguardo: chi “parla alza gli occhi brevemente
nelle pause grammaticali [...] e alla fine delle espressioni dà un’occhiata più prolungata”
(ibid.). Una domanda, inoltre, può essere accompagnata “da un sollevamento delle
sopracciglia e da un movimento del capo verso l‘alto” (ibid.). A volte, chi parla conta con
le dita i diversi punti in cui si suddivide il discorso;
39
− movimenti che segnalano enfasi. Oltre che attraverso i tratti prosodici, l’enfasi si può
esprimere con movimenti della mano e del capo;
− movimenti che indicano la modalità di formulazione delle espressioni verbali.
L’espressione del volto indica se una frase è seria, ironica, sarcastica ecc. Può altresì
accadere che un’affermazione venga negata dai gesti che la accompagnano e, in genere, i
segnali cinesici rivelano la veridicità del discorso del parlante;
− movimenti di illustrazione. Gesti e movimenti “possono fornire illustrazioni spaziali di ciò
di cui si sta parlando” (Argyle 1986: 121), per esempio delineando “le forme di atti o di
oggetti ai quali ci si riferisce” (ibid.). Esistono inoltre gesti “che rappresentano il corso o
la direzione del pensiero” (ibid.).
Oltre ad accompagnare il discorso, i segnali cinesici regolano l’interazione tra i partecipanti a
un evento comunicativo, e per questo rivestono una certa importanza non soltanto per il parlante,
ma anche per il ruolo del ricevente. Esistono infatti movimenti e espressioni che “forniscono un
commento continuo a quello che si dice” (ibid.: 122), inviando un costante feedback funzionale alla
comunicazione e manifestando l’attenzione dell’ascoltatore.
Dopo aver esaminato le funzioni del linguaggio del corpo, si vedranno ora più nel dettaglio
quali sono le caratteristiche di ciascun suo componente.
2.2.2.1 Le espressioni del volto
L’espressione del viso è caratterizzata in particolare dagli occhi e dalla bocca; la bocca può segnalare chiusura o apertura di vari gradi: da labbra aperte a semiaperte, chiuse, serrate, serrate con le mascelle contratte. Gli angoli della bocca che si alzano verso gli occhi denotano emozioni positive [...]; quando si abbassano verso il mento denotano emozioni negative [...] (Casula 2001: 56).
Per quanto riguarda gli occhi, si è soliti distinguere tra “contatto oculare” e “movimento
oculare” (ibid.: 57):
Per contatto oculare si intende il guardare negli occhi l’interlocutore per instaurare un contatto visivo e mantenere la reciprocità dello sguardo [...]. I movimenti oculari sono invece quei micromovimenti spontanei del soggetto che parla o ascolta indotti dall’oggetto di comunicazione in corso.
40
Le espressioni del volto possono manifestare (Argyle 1986: 159):
• caratteristiche della personalità: vengono espresse dai lineamenti e da modi di reazione che vanno a formare lo stile di un individuo;
• emozioni; • segnali interattivi: sono quei segnali di sostegno del discorso e dell’interazione
comunicativa (feedback).
Lo sguardo in concomitanza al discorso forma una sorta di sistema, poiché “c’è una
connessione regolare tra il parlare e il guardare” (ibid.: 182). In particolare (ibid.: 183):
Segnale Effetti
Sguardi alla fine di un’espressione altrui Rinforzo, il parlante si soffermerà sullo
stesso argomento
Sguardi durante parti di espressioni proprie Enfasi
Sguardi intensificati mentre si parla Maggiore forza persuasiva
Sguardi intensificati mentre si pongono domande L’altra persona parla più di sé stessa
sull’altra persona
2.2.2.2 La postura
La postura rappresenta il modo di disporre nello spazio le parti del corpo (Casula 2001: 55).
Le tre principali posture dell’uomo sono quella eretta; quella a sedere, raccolta; quella distesa
(cfr. Argyle 1986: 205).
Ognuna di queste posture ha poi numerose variazioni, a seconda della posizione e delle
diverse angolazioni di braccia e gambe, e dell’inclinazione del corpo.
La postura può esprimere essenzialmente “immediatezza” o “rilassamento” (ibid.: 206). Nel
primo caso il corpo è inclinato in avanti, a cercare la prossimità, e spesso è accompagnato da uno
sguardo diretto e dall’apertura delle braccia (eventualmente anche delle gambe); nel secondo caso il
corpo è inclinato lateralmente o all’indietro, le braccia e le mani sono rilassate e in posizione
asimmetrica. Una postura eretta è inoltre segno di dominanza, una più raccolta di sottomissione.
41
2.2.2.3 La gestualità
La gestualità comprende i movimenti delle braccia e delle mani.
I gesti vengono classificati in (Casula 2001: 58):
• emblematici, che corrispondono a segnali convenzionali o a messaggi che posseggono un’equivalente espressione verbale;
• descrittivi, che accompagnano o illustrano un concetto espresso verbalmente; • di regolazione, che tentano di controllare l’espressione dell’interlocutore; • di adattamento, che soddisfano bisogni di aggiustamenti fisici o psicologici, in
relazione a certi oggetti o al riposizionamento del proprio corpo; • di manifestazione affettiva, che esprimono emozioni.
I gesti descrittivi, in particolare, possono indicare persone (inclusi sé stessi) o oggetti,
mostrare una relazione o movimenti spaziali (dentro, sotto ecc.), indicare il ritmo e battere il tempo,
disegnare delle figure o indicare delle direzioni del pensiero. Si tratta dunque di espressioni
“iconiche” (Argyle 1986: 192), perché rappresentano o cercano di rappresentare gli oggetti della
produzione verbale.
In aggiunta a quanto detto finora, è importante tenere presente che il linguaggio del corpo
“non è univoco, non possiede un criterio di qualificazione generale [...]. Può quindi risultare
ambiguo ed essere frainteso e interpretato in modi diversi” (Casula 2001: 54).
Per questo motivo, a eccezione di alcuni gesti emblematici largamente condivisi in una stessa
cultura, esso dipende strettamente dal contesto in cui si colloca e dalle espressioni verbali che
accompagna.
2.3 Comunicazione non verbale e discorso politico
Il discorso politico, con le caratteristiche su cui ci si è soffermati nel primo capitolo,
rappresenta una modalità di comunicazione dove i tratti non verbali hanno un ruolo di primaria
importanza. Esso infatti “mette sapientemente in scena tratti fonetici e intonazionali” (Desideri
1984c: 14), oltre a “moduli morfo-sintattici e semantici, registri retorico-argomentativi e forze
pragmatiche” (ibid.), che l’oratore utilizza per i suoi scopi persuasivi.
La padronanza dei tratti prosodici e del linguaggio dei gesti rientra dunque a pieno titolo nelle
competenze che un parlante deve possedere per essere un buon oratore. Del resto queste
42
caratteristiche sono considerate parte integrante dell’arte del ben parlare, la retorica, fin da quando
l’uomo ha cominciato a occuparsene nell’antichità:
Che d’altronde l’oratoria, come la lirica e in genere l’arte della parola, rientri per gran parte nel regno della musica è cosa anticamente teorizzata e risaputa. Vi rientra come susseguirsi di voci e di pause, come variare di modi e di ritmi, come alternarsi di intensità, di durate, di registri, di toni. [...] Un discorso concepito secondo l’ars retorica e pronunciato con intenti “oratori” (di persuasione, incitamento, commozione) assume necessariamente movenze musicali (Simonini 2004: 66).
Celebri personalità e letterati del mondo antico si sono occupati di questo aspetto e già
Quintiliano, nella sua Institutio Oratoria, attribuiva una funzione essenziale alla pronuntiatio e
all’actio, cioè al modo di esprimere le parole e di accompagnarle con gesti, sguardi e movimenti del
corpo:
Da sempre l’oratore distribuisce nel continuum fonico pause ed accenti, articola tempi e durate, predispone le figurae elocutionis per creare un certo clima di ascolto e per sedurre l’uditorio (Desideri 1984c: 14).
In chiave moderna, l’oratore dispone essenzialmente di tre modelli per realizzare il proprio
discorso:
− improvvisazione;
− lettura di un discorso preparato in precedenza;
− esposizione di un discorso preparato in precedenza e recitato a memoria.
Se nel primo caso il buon oratore è quello che riesce a equilibrare i due momenti della
pianificazione e della produzione, che spesso coincidono, riducendo le esitazioni, le pause piene, le
ripetizioni, le false partenze ecc., nel caso di un discorso letto la differenza tra un abile e un
mediocre oratore consiste nella capacità di rendere il discorso ‘vivo’, coinvolgente, superando la
monotonia che deriverebbe da una piatta lettura:
Das Lesen folgt denselben Prinzipien wie die Komposition von Kunstwerken. Diese Prinzipien lassen sich am besten durch die drei Grundregeln der Landschaftsgärtnerei ausdrücken: Vermeiden von geraden Linien (Monotonie), Herstellen von offenen Räumen (Pausen), Bilden von Massen (Betonung) (Craig, in Kowal 1991: 11).
Lo stesso vale per il discorso recitato a memoria, dove il termine ‘recitato’ è tutt’altro che
casuale, poiché indica come l’oratore debba eseguire una vera e propria ‘performance’ da attore,
fatta di voce, sguardi, movimenti e gesti, per sedurre il proprio pubblico:
Tutto questo è confermato da Beebe & Beebe (in Cecot 2000: 92), che dimostrano come
l’impatto emozionale di un messaggio dipenda solo per il 7% dalle parole; il restante 93% è da
attribuire alla comunicazione non verbale: 38% ai tratti prosodici e 55% all’espressione del volto.
2.3.1 Comunicazione non verbale e discorso di piazza
Quanto detto fino a questo punto fa capire come il discorso di piazza, caratterizzato dal
rapporto oratore-pubblico così come è stato definito nel primo capitolo, faccia leva sulla
comunicazione non verbale per suscitare quell’atmosfera e quelle reazioni di cui si è ampiamente
parlato.
Quello che è necessario creare, come si ricorderà, è proprio la comunione di intenti e
l’interazione tra i partecipanti, e da questo punto di vista voce, ritmo e gestualità hanno un potere
del tutto particolare, quasi magico:
Gemeinsamkeit mit dem Publikum herzustellen verlangt Interaktion […]. Voraussetzung für die Herstellung von Gemeinsamkeit ist es, die Aufmerksamkeit des Publikums zu gewinnen und vor allem zu erhalten […] (Beck 2001: 3).
Per tenere viva l’attenzione del pubblico è dunque necessario farlo partecipare a uno
spettacolo in cui si senta coinvolto e trovi dei momenti per esprimere le proprie emozioni:
in settings where there is little or no chance of getting a turn to speak at all […] there is much less incentive to pay close attention to what is being said. Many of the techniques deployed by effective public speakers thus appear to be designed to attract, sustain or upgrade the attentiveness of audience members […] (Atkinson, in ibid.).
Il pubblico deve continuamente essere mantenuto vigile, ed è a questo che servono le qualità
di attore del parlante, oltre che a condurre il discorso in modo da fornire al pubblico stesso i giusti
momenti in cui ‘farsi sentire’:
collective activities like clapping and booing can be used as a substitute mode of response by people who are deprived of any individual opportunities to speak. Such
44
displays of approval and disapproval therefore also provide audiences with an in-built incentive to pay attention (ibid.).
Una comunicazione politica di questo tipo è pertanto incentrata sulle parole in atto,
sull’‘esecuzione’ del discorso, e a questo non fa eccezione la retorica di Mussolini:
il regime elocutivo del capo del fascismo risponde sì alle esigenze basilari di ogni performance politica, ma ne marca sistematicamente i caratteri performativi [...]. L’assetto pragmatico di tali discorsi palesa la propria forza suasoria soprattutto là dove coinvolge direttamente lo statuto cognitivo-azionale degli ascoltatori, i quali diventano, narrativamente parlando, gli attori protagonisti dell’evento comunicativo. [...] Vengono allora messi in scena oggetti di accordo e tattiche retorico-pragmatiche di coinvolgimento, opportunamente selezionati per realizzare gli itinerari di risposta programmati (Desideri 1984b: 40).
Tali tattiche sono soprattutto legate all’uso dei tratti prosodici di intonazione, ritmo, pausa ecc.
Essi danno al discorso un andamento determinato dall’oratore e che la massa accompagna,
arrivando a sfogare la propria risposta collettiva al momento opportuno:
Dem Publikum kann nun das einheitliche, gemeinsame Antworten auf Äußerungen des Redners erleichtert werden, indem ihm der Zeitpunkt zu antworten im Voraus angezeigt wird (Beck 2001: 5).
Questi punti in cui il pubblico può esprimersi vengono definiti da Atkinson (in ibid.)
completion points e sono spesso marcati prosodicamente, oltre che rafforzati da gesti e sguardi.
Nell’interazione oratore-pubblico è dunque soprattutto la comunicazione non verbale, e non
tanto il contenuto linguistico del messaggio, a indicare alla folla quando reagire:
Ein “completion point” benötigt offenbar keine syntaktische Vollständigkeit: Er kann auf prosodischem Wege signalisiert werden, ohne daß grammatisch das Ende der Äußerung erreicht sein muß (ibid.: 25).
Lo stile di Mussolini è pienamente conforme a questi dettami. “Più che alla retorica delle
espressioni forbite e rutilanti, l’efficacia della sua oratoria era dunque affidata alla essenzialità delle
parole, al variare del ritmo, al taglio e al tono della voce” (Simonini 2004: 15), oltre che al gesto
Quello del gesto è un sistema di segni che può essere autonomo [...] o di complemento [...]. A volte un gesto vale più di una frase. Spesso è come l’immagine o contenuto
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iconografico di un quadro, dove la parola è ridotta a semplice didascalia. Nel momento oratorio il gesto svolge in genere la funzione paralinguistica di rafforzo della parola. Se la parola è già in sé mistificatrice, il gesto convalida ulteriormente la mistificazione con una funzione plastica che dà corpo a ciò che non è (ibid.).
Con tutti questi accorgimenti, “il discorso assume un andamento fonico-ritmico che dà vita a
un tracciato musicale” (ibid.: 66), “in cui si cerca di armonizzare il suono e il senso, o meglio di
esprimere questo in quello” (Fedel 1999: 135). Per questa ragione Leso (in ibid.: 136) ha anche
parlato di “logica ritmica” dei discorsi mussoliniani, sottolineando come a livello semantico si sia di
fronte a una certa vaghezza, a una vacuità cui fa però riscontro una grande forza ritmica:
E’ facile dimostrare come la componente ritmica sia in rapporto, da un lato, con lo stimolo all’azione, e, dall’altro, con l’espressione del sentimento di appartenenza alla comunità politica (ibid.: 138).
La frase ritmata spinge infatti all’azione, ha il potere di incitare, di influire emotivamente, e
risponde pertanto a quelle funzioni del linguaggio politico esaminate nel capitolo precedente.
Inoltre è bene tenere presente che il ritmo “non induce solo a «sentire» ma, e questo è
fondamentale, a «sentire insieme». E il «sentire insieme» è il primo passo per l’«agire insieme»”
(ibid.: 139).
Il ritmo della frase è dato, come si è visto, dall’interazione dei diversi tratti prosodici, tra cui le
pause. Proprio le pause rivestono un ruolo di spicco nell’oratoria di Mussolini, rappresentando
spesso quei completion points che periodicamente ricorrono nel discorso:
La pausa crea [...] un’attesa che, se ben gestita e controllata, cioè se mantenuta calda, finisce per trasformarsi in saldatura. [...] La pausa protrae l’attesa per rendere più pieno l’esaudimento (Simonini 2004: 69).
Tutto questo evidenzia l’importanza della dimensione temporale del discorso:
Il tempismo è indispensabile alla coralità del rapporto che si instaura tra oratore e folla [...]. L’oratore non deve solo indurre nel pubblico determinati sentimenti (speranza, paura, entusiasmo, indignazione); li deve anche seguire nel loro processo, nelle loro oscillazioni (ibid.).
Lo stile che risulta da tali strategie e accorgimenti viene definito “espressivo-catettico” (Fedel
1999: 156) e il linguaggio diviene “uno strumento di risonanza emotiva” (ibid.) che manifesta il
legame di identificazione tra Mussolini e il popolo.
46
Questo stile si fonda quindi su reazioni emotive (cfr. Cap. 1); pertanto predilige il ritmo e
l’ariosità degli enunciati a scapito della logica e dei legami strutturati razionalmente:
rinuncia all’argomentazione chi privilegia la frase ritmica: con criteri ritmici posso creare una poesia; difficilmente formulare un ragionamento. [...] Non argomenti dunque, ma connotazioni simboliche [...] (ibid.: 157).
2.4 Comunicazione non verbale e interpretazione di conferenza
Finora si è affrontato l’aspetto della comunicazione non verbale dal punto di vista dell’oratore,
dell’uomo politico che tiene un discorso a fini persuasivi, e si è anche accennato all’importanza
della stessa per il ricevente e dunque per la comunicazione nel suo complesso.
Si analizzerà ora la posizione intermedia, quella dell’interprete, e la funzione della
comunicazione non verbale per la sua attività di mediazione.
Il ruolo dell’interprete è duplice, considerando la natura medesima dell’interpretazione: egli è
infatti al contempo ascoltatore e oratore, e per questo necessita di una piena conoscenza e
padronanza di tutti i canali della comunicazione, se vuole recepire appieno il messaggio del testo di
partenza e restituirlo con altrettanta efficacia:
Or, si l’interprétation est communication, et si […] pour bien communiquer il faut qu’il y ait échange de signaux verbaux et non verbaux, la CNV [communication non verbale, n.d.r.] est une composante fondamentale de cette discipline et, dans l’exercice de sa profession, l’interprète doit avoir la possibilité d’utiliser tous ces signaux (Politi 1989 : 6).
Infatti, per tutte le ragioni spiegate in precedenza, il messaggio non viene convogliato
unicamente da espressioni verbali, ma anche dall’intonazione, dal ritmo, dallo sguardo ecc. e
l’interprete non può permettersi di trascurare questi canali, poiché essi sono spesso indispensabili
per la corretta comprensione, punto di partenza per una corretta resa nella lingua di arrivo. E
soffermandosi su questa seconda fase del processo interpretativo, quello della restituzione del testo,
appare chiaro come l’interprete debba saper gestire anche la sua voce e i suoi movimenti, oltre a
preoccuparsi della fedeltà del contenuto da lui trasmesso. L’interprete è infatti egli stesso un
oratore, e il suo discorso non deve essere meno convincente, pregnante ed efficace di quello di
partenza.
Ovviamente queste considerazioni assumono una valenza diversa a seconda che si parli di
interpretazione simultanea o consecutiva, le due modalità dell’interpretazione di conferenza.
47
Nell’interpretazione consecutiva “l’interprete è voce e volto” (Giambagli 1999: 59), e questo
gli permette di utilizzare tutte le risorse a disposizione per trasmettere il suo messaggio; è in questa
modalità che l’interprete si avvicina maggiormente al ruolo dell’oratore vero e proprio, avendo a
disposizione un tempo dedicato unicamente alla sua delivery in cui può fare sfoggio (naturalmente
ai fini della comunicazione, e non per mero esibizionismo) di tutte le sue abilità retoriche, tra cui
rientra, come detto, la padronanza dei tratti non verbali.
Questa modalità presenta ovviamente alcune conseguenze per quanto riguarda la sincronia tra
oratore e interprete, anche sotto l’aspetto della comunicazione non verbale (Poyatos 1997: 265-
266):
a) assumptions about what the speaker was saying were inevitably made by the listener because he was moving as he talked […], therefore the interpreter‘s translation confirms or contradicts those assumptions;
b) at best, there is a message delay in both the interpreter’s translation and the listener’s reception and comprehension of the original visual signs;
c) the listener receives similar or dissimilar kinesics, or virtually none at all, from the interpreter, while he is learning what the speaker said.
Diverse sono invece le considerazioni per quanto riguarda l’interpretazione simultanea. In
questa modalità l’interprete è presente soltanto con la sua voce, e per questo è auspicabile che
sappia trarne la massima efficacia impiegando con maestria i tratti prosodici per rendere il discorso
gradevole e perfettamente fruibile, oltre che comprensibile a livello contenutistico. In questa
modalità, inoltre, il pubblico ha una sincronizzazione maggiore tra quello che viene detto
(dall’interprete) e la gestualità (dell’oratore) che lo accompagna anche se, come rileva Poyatos,21
persino quel seppur minimo asincronismo impedisce all’ascoltatore-osservatore di apprezzare
pienamente molte combinazioni verbale-non verbale.
Si deve comunque aggiungere che la gestualità e i movimenti dell’interprete in cabina, pur
non venendo recepiti dagli ascoltatori, sono un indispensabile strumento di sincronizzazione per
l’interprete stesso, grazie al quale egli riesce a mantenere la logica del discorso da lui pronunciato,
quasi lo spiegasse a se stesso mentre lo produce:
Kinesics is the harmony of intonation; together, they are the music of the morpho-syntactical aria the interpreter is singing (Viaggio 1997: 290).
Le due modalità non si differenziano però soltanto nella fase di produzione del discorso e
nella sua sincronia con l’oratore, ma nella fase di ricezione dei segnali non verbali da parte 21 “Even that minimal dysynchrony still prevents the listener-viewer from appreciating the true flavor of many verbal-non verbal constructs” (Poyatos 1997: 266).
48
dell’interprete. In genere, l’interprete che lavora in consecutiva ha la possibilità di vedere l’oratore,
spesso gli è seduto vicino, e pertanto le sue sono le condizioni ideali per cogliere appieno il
messaggio. Questo non sempre si verifica nel caso dell’interpretazione simultanea. Troppo spesso le
cabine sono poste lontano dall’oratore, talvolta dietro di lui o magari fuori dalla sala in cui la
conferenza ha luogo, in contrasto con quanto stabilito dal codice professionale dell’AIIC
(Association Internationale des Interprètes de Conférences).22 Per l’interprete è infatti essenziale
poter vedere non soltanto gli oratori, ma anche il pubblico, per potersi rendere conto di come si sta
svolgendo la comunicazione e di come chi ascolta il suo discorso reagisce a quello che sente. E’
infatti fuor di dubbio che la ‘presenza’ dell’interprete all’evento comunicativo aiuta il suo compito e
favorisce, in definitiva, la comunicazione stessa:
“L’interaction sociale” qui a lieu entre les participants d’un congrès est sans doute une auxiliaire de la compréhension par les informations NV complémentaires qu’elle envoie, mais a notre avis, elle l’est surtout et incontestablement, par le climat psychologique qu’elle installe autour des sujets interprétants, par le “courant” qu’elle fait passer entre eux et le reste de la composante sociale. L’interprète […] est moins tendu, se sent plus concerné, plus maître de la situation quand il est mis dans les conditions de pouvoir capter ce courant. Son stress diminue d’autant et le niveau qualitatif de sa prestation ne peut manquer d’en bénéficier (Politi 1989: 9).
Talvolta si cerca di sopperire alla mancanza di visuale disponendo degli schermi nelle cabine,
in modo che l’interprete possa vedere ciò che accade nella sala. Tuttavia questo non sembra
sufficiente per motivare l’interprete e contribuire a un miglioramento qualitativo:
Il n’en reste pas moins que l’image n’est pas la présence physique. En dehors de la gestualité ou de l’expression qui passe parfaitement à l’écran, il y a un feeling qui, lui, ne passe pas, à notre sens (ibid.).
Tutte queste osservazioni dimostrano ancora una volta l’importanza della comunicazione non
verbale, in particolare per l’interprete di conferenza. In fase di ascolto essa ha un valore legato
soprattutto alla comprensione e alla chiarificazione del contenuto: un discorso pronunciato con la
giusta intonazione, con le pause collocate nei punti corretti, accompagnato da sguardi e movimenti
appropriati facilita notevolmente il compito dell’interprete, esercitando una funzione pragmatica e
di disambiguazione rilevanti;
22 Secondo il Codice Professionale dell’AIIC, le cabine per l’interpretazione simultanea devono avere le seguenti caratteristiche: “Booths arranged in groups and slightly raised in such a way as to provide the interpreters with the direct and full view of all those attending the meeting”.
49
questo permette all’interprete di comprendere immediatamente quali informazioni vanno rese nel TA [testo di arrivo, n.d.r.], perché nuove e quindi non note all’ascoltatore, e quali, invece, possono essere tralasciate perché ridondanti. Così facendo l’interprete guadagna del tempo prezioso per concentrare la propria attenzione soltanto sulle porzioni essenziali del discorso che possono essere rese con maggior cura (Cecot 2000: 53).
Al contrario, un discorso che presenta numerose imperfezioni a livello soprasegmentale può
risultare di difficile comprensione. Questo si verifica sempre più di frequente quando gli oratori si
esprimono in una lingua che non sia la loro lingua madre. Se alle difficoltà di pronuncia e di
articolazione dei suoni aggiungiamo infatti un modello intonativo che non corrisponde a quello che
l’interprete si attende, si può capire in quali difficoltà egli si trovi in questi casi:
Sempre più di frequente la realtà professionale dell’interprete si caratterizza per la presenza di oratori che durante una conferenza internazionale si esprimono in una lingua straniera scarsamente padroneggiata e che in combinazione con la complessità contenutistica del discorso fanno dell’interpretazione interlinguistica un compito assai arduo (Mazzetti 1998: 18).
E ancora:
Un oratore che, esprimendosi in una lingua per lui straniera, usa i pattern melodici propri della sua madrelingua anziché quelli di L2 [lingua straniera, n.d.r.], può provocare un effetto disorientante sull’interprete ascoltatore, che penalizza direttamente la qualità della sua attività di emittente in lingua d’arrivo (ibid.: 26).
Nella fase di produzione, invece, la comunicazione non verbale non solo permette di rendere
più chiaro il testo, ma determina anche la gradevolezza del discorso dell’interprete e quindi la sua
fruibilità. Non si dimentichi inoltre che una buona padronanza dei tratti prosodici e cinesici
permette all’interprete di meglio coordinare i propri sforzi; poche parole bastano infatti per
esprimere efficacemente un concetto, se questo è accompagnato dalla giusta prosodia e gestualità:
good public speaking skills are the interpreter’s ‘safety net’ when he gets in difficulty. He can give his full attention to solving the problem at hand and even possibly hide the existence of any such problem (Weber, in Bottan 1999: 13).
Del resto, diversi studi dimostrano la rilevanza della presentazione nella professione di
interprete.
Gile (1990) condusse uno studio sulla base di un questionario distribuito in occasione di una
conferenza internazionale di oculistica genetica. Da questo risulta che la voce è l’unico elemento
50
preso in considerazione nelle prestazioni degli interpreti che abbia avuto giudizi negativi o anche
molto negativi. Questo conferma l’immediato fastidio provocato negli ascoltatori da una voce
monotona e non ben modulata.
Un altro studio è quello di Kurz (1993), anch’esso condotto tramite questionario, distribuito in
occasione di tre diverse conferenze internazionali. Se la qualità della voce fa registrare in questo
caso un’importanza relativa per tutte e tre le conferenze, la fluidità della restituzione riveste invece
una maggiore importanza, soprattutto per una delle conferenze prese in esame, ovvero un incontro
del Consiglio d’Europa.
Più ampio è invece il lavoro di Moser (1996), basato su un questionario distribuito in
occasione di conferenze molto diverse tra loro per tipologia e dimensioni. Per il 34% di tutti i
partecipanti, l’interprete deve possedere una voce non monotona, viva e gradevole; il 46% degli
intervistati che attribuiscono importanza alle capacità retoriche dell’interprete si ritiene molto
irritato da riempitivi quali ‘ehm’ ecc.; l’80% degli intervistati ritiene importante o molto importante
una voce viva e non monotona; di questi, il 37% considera irritante una voce monotona.
Un ulteriore studio è stato condotto da Bühler (1986). Esso è stato effettuato, tramite
questionario, su interpreti appartenenti all’AIIC e/o appartenenti al CACL (Commission des
admissions et du classement linguistique), comitato dell’AIIC che si occupa di valutare le
candidature a questa associazione. Alla domanda What importance do you attribute to the following
criteria when sponsoring candidates for AIIC membership? venivano fornite le seguenti alternative:
native accent, pleasant voice, fluency of delivery, logical cohesion of utterance, sense consistency
with original message, completeness of interpretation, correct grammatical usage, use of correct
terminology, use of appropriate style, thorough preparation of conference documents, endurance,
poise, pleasant appearance, reliability, ability to work in a team, positive feedback from delegates.
A esse doveva essere attribuito un giudizio, da highly important a irrelevant.
Comprensibilmente, i criteri giudicati più importanti sono praticamente tutti quelli linguistici,
come ad esempio la coesione, la coerenza, la completezza, la grammatica e la terminologia corrette.
E’ interessante rilevare come tra questi venga annoverata anche la fluency of delivery, vale a dire la
fluidità di presentazione; come si sa, essa non è un criterio meramente linguistico, ma questo
dimostra quanto sia importante perché serve a dare un senso di completezza e quindi di veridicità al
discorso.
Tra i criteri non linguistici, l’affidabilità figura al primo posto, seguita dalla preparazione dei
documenti e dalla capacità di lavorare in gruppo. Questo è un risultato facilmente spiegabile: un
interprete lavora normalmente con altri colleghi e per questo richiede da loro la massima serietà e
correttezza professionale.
51
I criteri quali possedere un accento nativo, una voce gradevole e altri relativi all’aspetto e allo
stile non sono stati considerati essenziali, anche se desiderabili.
A corredo di questi risultati è opportuno aggiungere che la valutazione che viene fatta
riguardo la prestazione di un interprete può differenziarsi anche notevolmente a seconda di chi è
chiamato a giudicarla. Un interprete darà infatti più peso alla fedeltà con l’originale e, in sostanza,
all’aspetto contenutistico, essendo anche a conoscenza delle problematiche legate a questo
particolare tipo di comunicazione. Un semplice ascoltatore (fruitore del servizio di interpretazione)
sarà invece portato ad avere un’impressione migliore della prestazione di un interprete se questa è
fluida, piacevole, senza eccessive esitazioni, e saranno proprio queste caratteristiche a fargli
sembrare veritiero il contenuto trasmesso.
Questo è un problema che riguarda la qualità in interpretazione, e occuparsene esulerebbe dal
tema della presente trattazione. Qui è sufficiente sottolineare che la comunicazione non verbale
svolge un ruolo fondamentale, per le ragioni esaminate, nel corso del processo interpretativo, in
quanto caratterizza l’interprete nella sua duplice veste: ascoltatore e oratore.
53
3. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE NELLA RETORICA MUSSOLINIANA
3.1 Oggetto dell’analisi
Oggetto della presente analisi sono 11 discorsi pronunciati da Benito Mussolini nell’arco di
tempo che va dal 1931 al 1940. E’ proprio nel 1931, infatti, che l’Istituto Luce acquista la prima
attrezzatura sonora, e le allocuzioni del dittatore italiano rientrano tra le prime registrazioni dal
vivo.
I filmati analizzati sono tratti da I quaderni dell’Istituto Luce, una raccolta di documentari e
filmati pubblicata dallo stesso Istituto nella loro versione originale, senza alcun intervento critico
nell’edizione e nel montaggio. In particolare, i volumi della raccolta presi in esame sono i seguenti:
Mussolini: tutti i discorsi nella versione originale e integrale, prima parte e Mussolini: tutti i
discorsi nella versione originale e integrale, seconda parte.
La scelta è ricaduta su questi discorsi, tra i più di cinquanta presenti nella raccolta, sia per la
loro collocazione temporale, che va ad abbracciare la parabola dell’Italia fascista dagli anni del
consenso alla guerra,23 sia per la loro collocazione geografica, che vede Mussolini presente nelle
regioni Italiane da Nord a Sud.
Inoltre, proponendosi la presente analisi lo studio di entrambi gli aspetti (vocale e non vocale)
della comunicazione non verbale, si sono privilegiati quei discorsi in cui la telecamera riprende con
costanza (anche se è possibile trovare qualche ‘stacco’ sul pubblico o sull’ambiente circostante) la
figura di Mussolini, tralasciando pertanto quei filmati dove il dittatore è presente solo
saltuariamente, sebbene la sua voce faccia comunque da sfondo alle immagini presentate.
3.2 Metodo di analisi
Gli 11 discorsi, presenti su videocassetta nella raccolta sopraccitata, sono stati trasferiti su
DVD.
In un primo momento si è proceduto a una analisi della struttura temporale degli stessi,
contando la durata di ciascun momento di silenzio dell’oratore, vale a dire le pause. Si è così deciso
23 Per uno studio completo sul periodo preso in esame si rimanda a De Felice (1974, 1981).
54
di inserire ciascun discorso in una tabella, seguendo non la classica punteggiatura, bensì dividendo
le frasi in base alle pause, la cui durata è indicata (in secondi) alla fine di ogni segmento a cui segue
un momento di silenzio. Lo spazio tra un segmento e il successivo varia proporzionalmente alla
durata della pausa che li divide (più lungo è il momento di silenzio, maggiore è lo spazio bianco
visibile), in modo da rendere graficamente percepibile la suddivisione temporale del discorso. Il
conteggio delle pause e quello manuale delle sillabe ha così permesso di calcolare la velocità di
articolazione (VA) e la velocità d’eloquio (VE), entrambe espresse in sillabe al secondo.
La colonna contenente il discorso è stata poi affiancata da altre 4 colonne, indicanti
rispettivamente i gesti compiuti dall’oratore; la postura da lui tenuta; l’espressione del volto; le
reazioni e gli interventi del pubblico.
In questo modo si è voluto mettere in relazione la componente vocale e quella non vocale
della comunicazione non verbale (cfr. Cap. 2), per stabilire se e in che modo esse interagiscono al
fine di convogliare il messaggio e contribuire all’obiettivo che l’oratore si propone di raggiungere.
Al fine di semplificare la lettura delle tabelle, si è scelto di utilizzare numeri, abbreviazioni e
parole convenzionali, nel modo che segue:
NUMERO/ABBREVIAZIONE/PAROLA SIGNIFICATO
1 MANO DESTRA APERTA 2 BRACCIO DESTRO SEGUE IL RITMO DELLA FRASE 3 BRACCIO DESTRO BATTE SUL PARAPETTO 4 MOVIMENTO ROTATORIO DELLA MANO DESTRA 5 BRACCIO DESTRO ALZATO 6 BRACCIO DESTRO IN AVANTI 7 MOVIMENTO RAPIDO DEL BRACCIO DESTRO 8 MOVIMENTO AMPIO DEL BRACCIO DESTRO 9 MOVIMENTO DEL BRACCIO SINISTRO 10 MOVIMENTO DELL'INDICE DESTRO 11 GESTO A CALMARE DEL BRACCIO DESTRO 12 PUGNO DESTRO ALZATO 13 MANO DESTRO INDICA UN NUMERO 14 INDICE DESTRO IN AVANTI 15 INDICE DESTRO ALZATO 16 INDICE DESTRO NEGA 17 MANO DESTRA APERTA E IN AVANTI 18 MANO DESTRA INDICA L'ORATORE STESSO 19 MOVIMENTO DEL PUGNO DESTRO 20 PUGNO DESTRO IN AVANTI 21 MANO DESTRA INDICA LA VIA 22 MOVIMENTO SECCO E DECISO DELLA MANO DESTRA 23 MOVIMENTO VERSO IL BASSO DEL BRACCIO DESTRO 24 ENTRAMBE LE BRACCIA ALZATE
CONSERTE BRACCIA CONSERTE DX SI MUOVE/GUARDA A DESTRA
FIANCHI BRACCIA AI FIANCHI
55
FIANCO SX MANO SINISTRA SUL FIANCO FOGLIO L'ORATORE SOSTITUISCE IL FOGLIO APPENA LETTO LABBRA LABBRA SPORGENTI MENTO MANO DESTRA AL MENTO
NO CENNO DI NEGAZIONE OCCHI OCCHI FISSI E DECISI PETTO MANI RACCHIUSE AL PETTO PIEGA L'ORATORE PIEGA IL FOGLIO DAL QUALE LEGGE RITMO BUSTO SEGUE RITMICAMENTE L'ENUNCIATO
SI' CENNO AFFERMATIVO SX L'ORATORE SI MUOVE/GUARDA A SINISTRA
L’intervento del pubblico, qualora corrisponda a delle urla indefinite, è stato indicato dal
segno ‘X’.
---------- La linea tratteggiata indica che la telecamera, in quel momento, non sta riprendendo
l’oratore.
3.2.1 Napoli, 25-10-1931
Il discorso viene pronunciato da un balcone antistante la piazza in cui si trova la folla,
composta da gente comune.
Mussolini si sofferma sulla ricostruzione europea e sulla situazione economica del vecchio
continente.
DURATA: 184,75 secondi
PAUSE: 81,13 secondi (43,9%)
VA: 4,2 sillabe/secondo
VE: 2,35 sillabe/secondo
GESTI POSTURA VOLTO PUBBLICO
Non sono pochi oggi nel mondo 3.58 APPOGGIATO SI’
che affrontano i problemi 2.07
SI INNALZA
della ricostruzione europea 0.89
dal nostro punto di vista 2.59 SI GIRA SX
sono passati nove anni 1.93 SI INNALZA
LABBRA
da quando l’Italia fascista a Londra 1.29 7
pose il problema 0.98
delle riparazioni e dei debiti 1.32
nei termini 0.90 6
che oggi sono all’ordine del giorno 4.38 ----------------- ---------------- ---------------- ----------------
e come si può parlare di ricostruzione europea 2.71
di guerriera che insegue il nemico 0.92 ------------ ------------ ------------ ------------
e di madre 0.38 ------------ ------------ ------------ ------------ che protegge il figlio 1.61 ------------ ------------ ------------ ------------
l’artista insigne 1.12
ALZA
ci ha così dato 0.15
oltre l’effige 0.72 ALZA
lo spirito di Anita 0.51
ALZA
che conciliò sempre 0.78 ALZA
durante la rapida avventurosa sua vita 0.75
ALZA
i doveri alti della madre 0.81
ALZA
con quelli della combattente intrepida 0.26
ALZA
al fianco di Garibaldi 1.64 ALZA
è nel cinquantenario 0.34 DX-SX
ALZA
della morte dell’eroe 0.67 ALZA
cinquantenario che volemmo celebrato come nazionale solennità 0.84
ALZA
che il monumento si inaugura alla vostra augusta presenza 1.04
ALZA
alla presenza di discendenti di Garibaldi 0.69 ------------ ------------ -------------
e dei prodi veterani garibaldini 0.84
ALZA
alla presenza ideale di tutto il popolo italiano 1.70
ALZA
di Garibaldi 1.03
ALZA
fu detto 0.46
ALZA
e prima e dopo la morte 0.35 ALZA
dalla storia 0.66 ALZA
dall’arte 0.14
ALZA
dalla poesia 0.69 ALZA
dalla leggenda 0.84
ALZA
che vive nelle anime 0.61
ALZA
delle moltitudini 0.72
ALZA
più a lungo della storia 1.56
ALZA
adolescenti 0.72 FOGLIO
ALZA
il nome di Garibaldi ci apparve circonfuso dalle luci di questa leggenda 0.86
ALZA
le camicie nere 0.67 ------------ ------------ -------------- -------------
che seppero lottare e morire negli anni dell’umiliazione 0.66 ------------ ------------- -------------- -------------
sono anche politicamente 0.67
sulla linea ideale 0.29
ALZA
delle camicie rosse 0.14 ALZA
e del loro condottiero 1.18 ALZA
durante tutta la sua vita 0.84
ALZA
egli ebbe il cuore infiammato da una sola passione 0.55
ALZA
l’unità 0.28 ALZA
e l’indipendenza della patria 1.36 ALZA
fra i due periodi giganteggia Garibaldi 0.15 ------------ -------------- -------------- --------------- che ha un solo pensiero 0.52 ALZA
un solo programma una sola fede 0.09 ALZA
l’Italia 1.50 ALZA
coerente 0.87 FOGLIO
ALZA
di una perfetta coerenza che gli apologeti postumi del suo nome non sempre compresero 0.46
ALZA
fu coerente 0.54 ALZA
e quando offriva la sua spada a Pio IX 0.32
e quando venti anni dopo 0.31 ALZA
lanciava i suoi disperati legionari sulle colline di Mentana 0.72 ALZA
coerente 0.06
ALZA
quando 0.20
collaborava con Cavour 0.34 ALZA
seguiva Mazzini 0.15
serviva Vittorio Emanuele II 0.09
osava Aspromonte 0.61 ALZA
la marcia dei Mille 0.69 ------------ ------------- -------------- ---------------
da Marsala al Volturno guerra e rivoluzione insieme 0.23 ------------ -------------- -------------- --------------- è l’evento portentoso 0.32 ------------ ------------- ------------- -------------- che salda per sempre l’unità della Patria 0.84 ------------ ------------- -------------- ---------------
ci sono nella vita 0.49 ------------ ------------ ------------ ------------
anche in quella di Garibaldi 0.41 ------------ ------------ ------------ ------------
le minori 0.21
e mediocri cose 0.12
che accompagnano inevitabilmente l’azione 0.37 ALZA
polemiche 0.35
ingratitudine 0.08 ALZA
abbandoni 0.57 ALZA
un uomo non sarebbe più grande 0.35 ALZA
se non fosse uomo tra gli uomini 1.03 ALZA
ma la storia 0.78
ALZA
ha già tratto 0.40 ------------ ------------ ------------ dalle fatali antitesi 0.46 ------------ ------------ ------------
la sintesi 0.23 ------------ ------------ ------------ delle definitive giustizie 0.46 ------------ ------------ ------------
e Garibaldi è più vivo 0.32 ------------ ------------ ------------ più alto più possente che mai 0.35 ------------ ------------ ------------ nella coscienza della nazione 0.09 ------------ ------------ ------------ e nella coscienza universale 1.18 ------------ ------------ ------------
le generazioni del nostro secolo 1.70 ------------------------
----------------------------
------------------------------
cariche già di sanguinose esperienze 0.92 ------------------------
---------------------------
------------------------------
------------------------------
attraverso la più grande guerra che l’umanità ricordi 1.09
ALZA
ebbero un pregio 0.32
ALZA
se il cavaliere bronzeo che sorge qui vicino 0.37 PIEGA
diventasse uomo vivo 0.26 ALZA
e aprisse gli occhi 0.57 ALZA
mi piace sperare 0.67 ALZA
ch’egli riconoscerebbe 0.23
la discendenza delle sue camicie rosse 0.26
nei soldati di Vittorio Veneto 0.38 ALZA
E nelle camicie nere 0.24 DX ALZA
che da un decennio continuano 0.32
sotto forma ancora più popolare e più feconda 0.15 ALZA
il suo volontarismo 0.38 SX ALZA
e sarebbe lieto 0.34 DX ALZA
di posare il suo sguardo su questa Roma 0.17 ------------ -------------- -------------- --------------- luminosa vasta pacificata 0.32 ------------ -------------- -------------- --------------- che egli amò di infinito amore 0.21 ------------ ------------- -------------- --------------- e che fin dai primi anni di giovinezza identificò con l’Italia 0.52 ALZA
sire 0.67 ALZA
finché su questo colle 0.44
ALZA
dominerà la statua dell’eroe 0.38 ALZA
sicuro 0.17 ALZA
e forte sarà il destino della Patria. ALZA APPLAUSI
68
Mussolini legge questo discorso tenendo il foglio (che cambia due volte) con entrambe le
mani e alza costantemente lo sguardo alla fine delle frasi.
Le pause all’interno delle frasi sono quasi sempre inferiori al secondo; esse si fanno più
lunghe nel passaggio tra un periodo e il successivo, ma non raggiungono mai i 2 secondi di durata, e
tendono a ridursi man mano che il discorso procede, soprattutto nell’ultima parte.
Non si hanno significative variazioni di ritmo e tonalità. Una parola in particolare viene posta
in evidenza, a fine frase, preceduta da una serie di tre sostantivi (“un solo pensiero, un solo
programma, una sola fede”) e seguita da una pausa di 1,5 secondi: “l’Italia”.
3.2.3 Milano, 25-10-1932
Il discorso è pronunciato da un palco che si affaccia su Piazza Duomo, per celebrare il
decennale della marcia su Roma (28-10-1922) e della salita al potere del fascismo.
Il pubblico, che riempie la piazza, è composto da gente comune.
Mussolini ricorda l’esperienza della Grande Guerra, denuncia la mediocrità dei politici che
l’hanno preceduto e promette un futuro glorioso per l’Italia.
DURATA: 629,2 secondi
PAUSE: 360,84 secondi (57,35%)
VA: 5,3 sillabe/secondo
VE: 2,26 sillabe/secondo
GESTI POSTURA VOLTO PUBBLICO
Camicie nere 3.55 APPOGGIATO
popolo di Milano 2.31
RITTO
come non ricordare 1.68 --------- -------------------- --------------------
le adunate del 1915 1.13 ------------------
----------------------------------------
----------------------------------------
di quel maggio radioso 1.04 ------------------
----------------------------------------
----------------------------------------
che è stato il germe della nuova vita d’Italia 1.15 --------- -------------------- --------------------
come non ricordare 1.44 --------- -------------------- --------------------
parlando 1.27 ------------------
----------------------------------------
----------------------------------------
da questo sagrato 1.44 APPOGGIATO
l’anima 0.61
e la voce di Filippo Corridoni autentico eroe del popolo 4.78 5-5
X
quando 1.39 APPOGGIATO
LABBRA
ALTO
X
dieci anni fa 2.80 LABBRA
che sono qualche cosa nella vita di un uomo 1.07
DX-SX
ma un piccolo periodo di tempo nella vita di un popolo 1.90 8 SI INNALZA
noi muovemmo all’assalto 1.10 APPOGGIATO
della vecchia classe politica italiana 1.44 4 LABBRA
che aveva mal governato 0.63 8 VA A DX
sopratutto per mancanza di coraggio e di volontà 2.46 8
c’erano degli storici 1.24 AL CENTRO
APPOGGIATO SPREZZANTE
dei dottrinari 1.33 OCCHI
degli osservatori 1.47 LABBRA
i quali fecero in quel tempo le più ridicole profezie 2.39
oggi 1.82 --------- -------------------- --------------------
con piena tranquillità di coscienza 1.50 7-1
APPOGGIATO
dico a voi 0.25 5
moltitudine immensa 1.17 7
che questo secolo 1.24 5 SI INNALZA DECISO
decimoventesimo 0.75 7
sarà il secolo del fascismo 0.95 5-1 SI INNALZA
sarà il secolo 1.09 5-1 SI INNALZA X
sarà il secolo della potenza italiana 1.44 5-1 SI INNALZA ALTO
sarà il secolo 1.59 15-5 SI INNALZA X
durante il quale 0.84 15-5 SI APPOGGIA
l’Italia tornerà per la terza volta 0.47 15 SI INARCA
ad essere direttrice della civiltà umana 3.26 15-5 SI INNALZA
poiché fuori dai nostri principi 0.98 8
RITTO
SI SPORGE
X X X
e soprattutto in tempi di crisi 0.24 SI APPOGGIA
non c’è salvezza né per gli individui 0.46 8
e tantomeno per i popoli 12.95 5
fra dieci anni 2.94
SI APPOGGIA
APPOGGIATO
DECISO LABBRA
VOCI
lo si può dire 1.88 7
DX-SX SAPIENTE
senza fare i profeti 1.97
FIANCHI
l’Europa sarà cambiata 3.55 8
non d’ora 5.63 8
APPOGGIATO LABBRA
si sono commesse delle ingiustizie 1.01 8 APPOGGIATO
DX-SX
anche contro di noi soprattutto contro di noi 13.96 18
X
e niente di più triste 5.02 8 DX-SX
SI’ DECISO LABBRA
DX-SX
VOCI
il compito che qualche volta ci spetta 1.47 7
APPOGGIATO DX-SX
di dovere difendere 1.15 6 SI INNALZA OCCHI
quello che è stato 1.24 5
il sacrificio magnifico di sangue di tutto il popolo italiano 2.71 5 DX-SX
voglio dirlo ancora una volta 2.10 3-3-3
APPOGGIATO
l’eroismo individuale e collettivo del popolo italiano durante la guerra è stato sublime 2.16 5-2 SI GIRA SX SI GIRA DX
e non teme confronti 0.95 8-16 APPOGGIATO SI INNALZA
DX-SX VOCI
con nessuno degli altri eserciti 8.54 8-16
X
e se ci fosse stato un governo 2.60 15-5
APPOGGIATO
VA A DX
SI’
LABBRA
un governo 0.95 APPOGGIATO
che avesse disperso a frustate 0.58 15-5
la malagenia degli imboscati 5.43 15-5 SI SPORGE
che avesse punito severamente 0.50 5-23
SI APPOGGIA
SI’
LABBRA
X
col necessario piombo nella schiena i disfattisti e i traditori 4.30 5-23 SI INNALZA
non importa 1.54 APPOGGIATO
X
VOCI
se altrove 2.54
commentatori 1.07
DURO LABBRA
vorranno trarre 0.12
conseguenze arbitrarie da questa rievocazione 3.43
noi 0.55 8
LABBRA
lo diciamo nettissimamente 2.24 8 SI INNALZA
siamo fieri dell’intervento 1.79 5-23 SI INNALZA
fieri della guerra 0.37 5-23 SI INNALZA
fierissimi della nostra vittoria 6.78 5-23 SI INNALZA
tra un decennio 3.19 5
INDIETRO
APPOGGIATO
DX
X
l’Europa sarà 0.43 7
fascista o fascistizzata 9.08 15 SI INARCA
l’antitesi 3.44
SI APPOGGIA
SI SPORGE DECISO
X
Mosca 0.96 8
SI INNALZA
e Nuova York 1.93 8
non si supera che in un modo 1.16 5-23-3
con la dottrina e con la prassi di Roma 5.19 5-23
ecco perché 2.25
APPOGGIATO VOCI
noi non contiamo gli anni 4.47 DX-SX
DX-SX
ed io credo 0.58 8 FIANCHI
ALTO
che se mi guardate attentamente 1.78 8
voi troverete 1.33 APPOGGIATO
ALTO
che io sono diventato forse più asprigno ancora di quello che non fossi 19.30 6
ASPRO
e che non sono 0.51
11
11 8
APPOGGIATO
RIDE
DX-SX
X VOCI
VOCI
VOCI
io non sono desideroso di tranquillità o di pace 0.29 8 SI SPORGE ma sono ansioso di nuovi combattimenti e di nuove battaglie 20.19 8 SI SPORGE X
il giorno in cui riprenderemo la marcia 1.93 5
INDIETRO
APPOGGIATO
X X X
VOCI
io sento 1.41 3
che tutto il popolo italiano 0.66 8 DX-SX
mi seguirà 3.49 6
io sento 0.92 5
X
che voi sarete disposti ad ulteriori sacrifici 2.05 5-15
io sento che voi non misurerete il vostro sforzo 11.14 6-10
SI INNALZA
X
ecco 6.34
SI APPOGGIA
FIANCHI
DX-SX
SI’
X
che come non mai 1.61 5
RITTO
nei suoi ventisette secoli di storia 1.16 5-1 SI APPOGGIA
il popolo italiano 1.30 1
fu così compatto 0.63 7
così concorde 0.98 7
così deciso 2.19 7
noi possiamo trascurare oramai 1.39 APPOGGIATO
i frantumi 0.40
dei nostri nemici 0.99
con un gesto di generosità 1.06
verso 0.98
gli illusi 0.90 DX-SX
i retrogradi 0.54 DX-SX
i conservatori 0.35 DX-SX i reazionari 1.59 SI INNALZA
i quali si erano illusi 1.06 7 SI SPORGE
con dei mucchi di parole inutili 1.12 6 SI SPORGE
di fermare 0.84 5
il moto 0.06 5
e la valanga di un popolo 2.65 5
questo atto sarà interpretato al giusto segno 2.25
SI APPOGGIA
non 0.20 16-8
SI ABBASSA
mobiliteremo però tutti i nostri apparati di difesa 0.60 16-8
sino a quando 0.67 5
sopratutto oltre le frontiere 0.31 3 SI GIRA SX
non si sia sinceramente 0.20 3-5-23 ossequienti 0.17 5-23 all’ormai irrevocabile fatto compiuto 4.76 5-23
ed ora 6.49
SI APPOGGIA SI’
X
VOCI
non c’è più nessun dubbio dopo dieci anni che il fascismo è invincibile 3.15 7
FIANCHI
APPOGGIATO
tutte le mete 1.64 3
che fremono 1.59 DX-SX
nel cuore della gioventù italiana 0.49
sono presenti al mio spirito nessuna è dimenticata 4.52 5 SI INNALZA
un giorno 0.93
SI APPOGGIA
DX-SX SI INNALZA ALTO
X
non vicino 2.72 7
ci vogliono trent’anni 1.41 APPOGGIATO
DX-SX
per temprare 0.38 7
come io desidero 0.46 --------- -------------------- -------------------- ----------------
l’anima di un popolo 2.36 --------- -------------------- -------------------- ----------------
bisogna abituarsi a quest’idea 1.04 ------------------
----------------------------------------
----------------------------------------
--------------------------------
Bismarck 0.23
ha governato trent’anni la Germania 8.91 7 DX-SX
un giorno 5.36
APPOGGIATO
SI’
VOCI
noi saremo veramente fieri 1.55 5
DX-SX
di consegnare i nostri gloriosi gagliardetti 1.59
DX-SX
alla gioventù 1.67 6
che cresce e vigoreggia sotto i nostri occhi 2.22 6
noi diremo allora 1.82 3
APPOGGIATO
questi sono i gagliardetti della rivoluzione 1.85 5
consacrati 0.49 5
dal sangue purissimo 0.34 APPOGGIATO degli squadristi 3.26
portateli in alto 2.16 5
difendeteli 1.38 5
se necessario con la vostra vita 1.33 SI INNALZA
e fate 1.24 5 SI SPORGE
che essi domani 0.95 5
siano baciati dal sole 0.38 5
di nuove 0.26 5 e più luminose vittorie. 5
83
Mussolini inizia questo discorso in posizione eretta e solenne, appoggiato al parapetto con
entrambe le mani. Mantiene questa postura per diversi secondi, sollevando il braccio destro (e
suscitando un’ovazione nel pubblico) solo quando nomina Filippo Corridoni, esponente del
nazionalismo milanese. Le pause segmentano l’enunciato e creano un’atmosfera di attesa,
soprattutto in corrispondenza dell’anafora “come non ricordare”, ripetuta due volte e collocata
all’interno di momenti di silenzio ben superiori al secondo. Lo sguardo è alto e fiero e le labbra
sporgenti.
L’oratore tende a creare un senso di attesa all’inizio delle frasi, isolandone la prima parola,
che spesso corrisponde a delle indicazioni temporali (quando, oggi, fra dieci anni ecc.).
Dopo l’esordio, Mussolini fa riferimento alla precedente classe politica e ai precedenti
governi, accompagnando le sue parole con gesti sbrigativi e sguardo sprezzante, così come
sprezzante è il suo viso quando si riferisce a “storici”, “dottrinari” e “osservatori” (costruzione
ternaria ben evidenziata dal gioco delle pause) che avevano profetizzato la breve vita del fascismo.
A questi personaggi egli contrappone la sua “tranquillità di coscienza”, indicata da un
atteggiamento fiero (appoggiato al parapetto), e soprattutto la sua convinzione che il secolo a venire
sarebbe stato il secolo del fascismo e dell’affermazione dell’Italia; pronunciando questi concetti
Mussolini si solleva deciso e alza ripetutamente il braccio, provocando ogni volta la reazione della
folla. Egli alza inoltre l’indice, quasi a voler ammonire, e alla fine di questa performance, quando
sottolinea innalzandosi, alzando braccio e indice destri e aumentando il volume di voce la parola
“direttrice” (riferendosi al ruolo dell’Italia), la folla prorompe in un boato, al termine del quale
l’oratore conclude la propria spiegazione e inserisce un lungo periodo di silenzio di quasi 13
secondi, durante il quale egli si appoggia con entrambe le mani e il pubblico fa sentire la sua voce.
Anche il passaggio successivo è contraddistinto da una posizione ieratica dell’oratore (prima
appoggiato, poi con le mani ai fianchi), con la quale Mussolini esprime la propria opinione sul
futuro dell’Europa.
L’oratore si fa più concitato quando parla di ingiustizie commesse contro il popolo italiano,
muovendo con gesti ampi il braccio destro, indicandosi mentre pronuncia per due volte “contro di
noi” e aumentando il volume della voce. Il pubblico reagisce a questo atteggiamento e Mussolini fa
quindi dei cenni di affermazione con la testa. Quando riprende a parlare è appoggiato, ma ben
presto si solleva portando il braccio destro in avanti sulla parola “difendere”, e prosegue alzando lo
stesso braccio parlando del “sacrificio magnifico di sangue” del popolo italiano, quasi a volerlo
indicare.
Il braccio destro batte poi in sequenza quando Mussolini afferma di voler dire “ancora una
volta” quanto importante sia stato l’eroismo degli italiani, mentre la frase successiva è insolitamente
84
lunga e accompagnata ritmicamente dal movimento dello stesso braccio destro. Al termine di questa
l’oratore si appoggia per qualche secondo, per poi riprendere con ampi movimenti e con tono
deciso, ai quali il pubblico reagisce con un boato.
Dopo una pausa di quasi 9 secondi, durante la quale l’oratore sta appoggiato con le due mani e
osserva deciso la folla, il discorso riprende con una frase allusiva, non compiuta, un ammonimento
marcato dall’indice destro dell’oratore e da un’intonazione ascendente, oltre che dallo sporgersi
dell’oratore stesso, i cui gesti si fanno più secchi e decisi quando parla di punizioni e di “piombo
nella schiena”.
Al termine di questo sfogo Mussolini riprende una posizione più composta e su un “non
importa” si appoggia al parapetto e prosegue con sguardo duro. Questa calma dura solo per poco,
poiché egli torna a sollevarsi e a compiere gesti decisi dall’alto verso il basso parlando della
fierezza con la quale gli italiani hanno partecipato alla guerra, un passaggio caratterizzato da un
climax ascendente (fieri, fieri, fierissimi) ben strutturato grazie all’intonazione e alla collocazione
delle pause.
Il discorso prosegue tra momenti di ‘riposo’ e momenti di maggior concitazione,
sapientemente distribuiti grazie all’utilizzo dei pieni e dei vuoti, di attimi in cui Mussolini assume
una postura rilassata e altri in cui accompagna con il corpo i periodi rilevanti del proprio enunciato.
Un momento di grande interazione con il pubblico si ha quando l’oratore invita la folla a
guardarlo (ponendosi con le braccia ai fianchi) per dimostrarle che egli è diventato “più asprigno
ancora” di quello che fosse in passato. Oltre ad accompagnare questo aggettivo con un gesto del
braccio destro, Mussolini alza lo sguardo aspro e dalla folla si levano grida che descrivono il
dittatore come “più bello” che in passato. A questo punto Mussolini ride divertito e in seguito deve
calmare per due volte le voci della folla, prima di appoggiarsi e riprendere la parola.
Le frasi che seguono concludono il concetto precedente e Mussolini le pronuncia con tono
deciso e sporgendosi in avanti, arrivando a scatenare le urla del pubblico, già ‘caldo’ per il
segmento precedente. A questo punto l’oratore si ricompone, mentre la folla continua a far sentire la
sua voce. Solo dopo 20 secondi Mussolini riprende la parola; è appoggiato e alza il braccio destro
parlando della marcia che il popolo italiano si accinge a compiere. Egli colloca un’anafora (“io
sento”) in cui il pubblico risponde ritmicamente ai suoi inviti, resi evidenti dall’intonazione e dai
gesti (braccio in avanti, indice alto, indice in avanti). Al termine di questo ‘sforzo’ segue un periodo
di stasi: Mussolini si appoggia, fa dei cenni affermativi con la testa e riprende a parlare con le mani
ai fianchi. I suoi gesti sono limitati e composti, il volume della voce basso. Un sussulto si ha
solamente quando egli parla di quelli che considera nemici (“gli illusi, i retrogradi, i conservatori, i
reazionari”): qui il volume si fa più alto, la gestualità più accentuata e la postura meno composta,
85
così come poco dopo, quando Mussolini esprime le proprie intenzioni minacciose nei confronti
degli altri Paesi, suscitando un’ulteriore reazione della folla.
Dopo aver risposto a una voce proveniente dal pubblico, facendo un rapido gesto con la mano
destra, Mussolini si avvia alla conclusione del suo discorso (“Un giorno...”). Questa è però
inframmezzata da un raffronto con la Germania di Bismarck, pronunciato con un ridotto volume di
voce, quasi fosse un inciso all’interno di un messaggio più importante.
La conclusione inizia con un riferimento alla gioventù “che cresce e vigoreggia” sotto gli
occhi di tutti. Mussolini porta il braccio destro in avanti, come a indicare questi giovani; in seguito
lancia un appello (“noi diremo allora...”), alzando solennemente il braccio più volte e sollevandosi,
in modo da creare, anche grazie alla giusta intonazione, un climax concluso dal boato della folla.
3.2.4 Ancona, 03-11-1932
Il discorso è pronunciato da un balcone che dà sulla piazza dove si raccoglie il pubblico,
composto da gente comune.
Mussolini, in occasione del decennale della marcia su Roma, ricorda le epoche passate e la
svolta del primo conflitto mondiale, e ribadisce l’unità tra popolo italiano e regime fascista.
DURATA: 297,72 secondi
PAUSE: 155,6 secondi (52,26%)
VA: 5,12 sillabe/secondo
VE: 2,44 sillabe/secondo
GESTI POSTURA VOLTO PUBBLICO
Camicie nere 4.78 APPOGGIATO VOCI
popolo di Ancona e delle Marche 1.15
SI INNALZA DX-SX
VOCI VOCI VOCI VOCI
se voi 1.50 -------------------- ---------------------- ----------------------
e pienamente meritato 2.11 -------------------- ---------------------- ----------------------
penso con emozione profonda 2.88 1
APPOGGIATO DURO X
che il tolto dalla vostra gente e dalla vostra terra 2.54 SI INNALZA
il tribuno trascinante ed irresistibile dell’intervento popolare 0.46 2
INDIETRO
è l’eroe purissimo della trincea e delle frasche 11.07 7 SI INNALZA X
oggi 4.58
DX-SX
APPOGGIATO DX-SX
X
VOCI
noi abbiamo inaugurato 1.64
il nuovo palazzo delle poste 1.99 SI GIRA DX
che deve servire al respiro più ampio della vostra città 0.49 APPOGGIATO DX-SX
e ai suoi traffici aumentati 1.73 DX-SX
abbiamo inaugurato 0.86 3
il palazzo del Littorio 1.13 APPOGGIATO DX-SX
dove si raccoglieranno in perfetta concordia 0.40 1
tutte le organizzazioni del regime 1.71 1
e abbiamo inaugurato il monumento ai caduti 2.83 APPOGGIATO
che guarda quel mare 0.66
SI’
che è ancora amaro 3.63
SI’
di qui a molti anni 4.81 3
DX-SX
X
quando 0.40 4
FIANCHI MINACCIOSO
il fatale andare del tempo 2.68 4 APPOGGIATO
ci avrà allontanato da questa età 5.28 5-3
DECISO
gli uomini verranno 2.34 6 SI INNALZA
SI’
VOCI
X X
a vedere 1.30
INDIETRO APPOGGIATO
quello che noi abbiamo compiuto 4.22
in pace e in guerra 4.30
SI INNALZA DX-SX
LABBRA
DECISO
ricorderanno il 1915 2.94 2 APPOGGIATO
VOCI
l’anno fatale nella storia dell’umanità 1.88 1
che pesa 0.98 7
DX-SX
come il 476 0.55 7 DX-SX
il 1492 0.78 7 DX-SX
il 1815 3.23 7 DX-SX
c’è un prima e un dopo 1.30 8
SI APPOGGIA INDIETRO
c’è un prima della guerra e un dopoguerra 3.14 8-8
non guardiamo più al prima della guerra 3.40 9 SI APPOGGIA NO
non abbiamo nostalgia per quel tempo 1.47 7
NO
per quegli uomini 0.86 7
per quegli avvenimenti 0.63 7 SI INNALZA
per quelle dottrine 0.40 7
poiché noi abbiamo bruciato i nostri bastimenti alle nostre spalle 3.14 2 SI INNALZA
è da allora 1.73 2
INDIETRO
che comincia 0.20
la storia d’Italia 1.16 SI INNALZA DIGRIGNA
la vera storia d’Italia 1.16 10
DX-SX
perché se prima si poteva pensare 0.35 10 SI INARCA
che la storia d’Italia 0.38 10 SI INARCA
fosse il risultato più o meno complicato 1.50 5 SI INNALZA
di manovre diplomatiche 1.27 7 RITMO
di intrighi di governo 0.89 7 RITMO
di passioni di minoranze 0.40 7 RITMO
è solo con l’anno 1915 0.58 2
col maggio radioso del 1915 0.46 2 DECISO
che il popolo italiano 0.17 2
irrompe sulla scena politica 0.98 21 RITMO
caccia i trafficanti dal tempio 0.49 7 RITMO
e diventa finalmente l’artefice del suo destino 18.49 1 SI INNALZA
la conclusione 1.84 1
INDIETRO
SI APPOGGIA
ISTRIONICO LABBRA
X X X
CORI
che io traggo dinnanzi a voi 2.28 7 DX-SX
in questa 1.27
APPOGGIATO SI INNALZA
ALTO
giornata luminosa di sole 0.43 1
e fervida di speranze 0.52 1
è questa 2.97 7
che oggi 1.53 3
APPOGGIATO
il popolo italiano 0.55 3
e il regime fascista 0.89 3
sono una unità 0.92 1 SI INNALZA
compatta 1.01 1
DECISO
infrangibile 0.58 1
DECISO
formidabile 0.72 1 SI INNALZA DECISO
che può sfidare come sfida 0.43 1-6 DECISO
tutti i suoi nemici 0.32 1-6
e anche l’andare del tempo 1
93
Mussolini inizia questo discorso in atteggiamento fiero, appoggiato al parapetto con entrambe
le mani, e comincia a parlare quando ancora si levano voci tra la folla. Le prime frasi sono
segmentate da frequenti pause, e il ritmo è piuttosto lento.
Il discorso si fa però più articolato subito dopo, quando Mussolini, parlando della terra
marchigiana e della sua gente, si solleva e batte ritmicamente il braccio destro, come a voler
simboleggiare il “tribuno trascinante ed irresistibile dell’intervento popolare” di cui parla,
spingendo la folla a reagire con urla e grida.
Dopo un silenzio di 11 secondi Mussolini, sempre appoggiato, inizia a elencare i monumenti
inaugurati in quella giornata, cominciando questo periodo con un ‘oggi’ messo ben in evidenza da
una pausa seguente di quasi 5 secondi. La gestualità è composta: una volta il braccio destro batte sul
parapetto, mentre la mano destra accompagna le spiegazioni con movimenti brevi e precisi.
Lo sguardo di Mussolini si adombra allorché egli parla di “quel mare che è ancora amaro”
(l’Adriatico), e il concetto è rafforzato dai movimenti affermativi del capo. Sguardo che si fa ancora
più deciso e minaccioso nell’esprimere il concetto seguente, una profezia che l’oratore pronuncia
muovendo e battendo il braccio destro fino a sollevarsi, per poi tornare ad appoggiarsi. La frase
finale di questo concetto (“in pace e in guerra”) viene isolata tra due pause superiori ai 4 secondi, e
Mussolini vi pone l’accento sollevando il corpo e facendo uno sguardo deciso.
Il volume della voce aumenta all’inizio della frase successiva, accompagnata dai movimenti
ritmici del braccio destro, e rapidi movimenti accompagnano anche l’elenco seguente, date
importanti per la storia del mondo.
Mussolini invita poi la folla a non guardare più al passato e a non averne più nostalgia, e
questo suo ‘no’ è accentuato dal movimento del braccio sinistro e dallo sguardo che nega, mentre la
spiegazione che dà (“poiché noi abbiamo bruciato i nostri bastimenti alle nostre spalle”) viene
rafforzata da un movimento verso l’alto del corpo e dal braccio destro che batte ritmicamente sul
parapetto.
Il passo successivo è più concitato. Esso viene introdotto da un “è da allora” posto tra due
pause ben percepibili, e Mussolini sottolinea i concetti espressi digrignando i denti e sollevandosi,
ponendo bene in evidenza come si stia ora parlando della “vera storia d’Italia”, isolando questa
frase tra due pause di uguale durata (1,16 secondi) e agitando l’indice della mano destra. Da qui il
ritmo si fa più veloce e le pause più brevi. Mussolini affianca al ritmo delle parole quello del suo
corpo e dei suoi gesti, che segnano un incalzare che sfocia nella frase finale (“e diventa finalmente
l’artefice del suo destino”) durante la quale l’oratore si innalza con il corpo. A questo punto il
pubblico prorompe in un urlo prolungato e in cori di esultanza durante i quali l’oratore, in silenzio,
assume uno sguardo deciso, con labbra sporgenti.
94
Al termine di questo silenzio (e del conseguente sfogo della folla), che dura più di 18 secondi,
Mussolini può giungere alla conclusione del suo discorso. Lo fa appoggiato, accentuando le parole
con movimenti decisi della mano destra e battendo il braccio, sollevandosi parlando dell’“unità” tra
popolo e regime, ed enfatizzando ciascuna delle caratteristiche di questa unità (“compatta,
infrangibile, formidabile”) con la mano destra, prima di pronunciare l’ultima frase che suscita le
grida finali dei presenti.
3.2.5 Littoria, 18-12-1932
Il discorso è pronunciato in occasione dell’inaugurazione della città di Littoria, l’odierna
Latina, prima tappa dell’opera di bonifica dell’Agropontino.
Mussolini parla dal balcone di uno dei nuovi edifici che si affacciano sulla piazza appena
costruita, soffermandosi sulle opere future da realizzare in questa zona.
Il pubblico è composto dai futuri abitanti della città.
DURATA: 366,58 secondi
PAUSE: 159,39 secondi (43,48%)
VA: 5,33 sillabe/secondo
VE: 3,01 sillabe/secondo
GESTI POSTURA VOLTO PUBBLICO
Oggi 0.61 FIANCHI
è una grande giornata 0.43
per la rivoluzione delle camicie nere 1.90
è una giornata fausta 1.01
per l’Agropontino 0.92
è una giornata gloriosa 0.29
nella storia della nazione 5.22
quello che fu invano tentato 2.10
DX-SX
durante il passare 0.75
di venticinque secoli 1.47
oggi 0.18
noi stiamo traducendo 0.41
in una realtà vivente 2.80
sarebbe questo il momento 0.61
LABBRA
ALTO
per essere orgogliosi 0.75
no 0.90
noi siamo soltanto un poco commossi 1.67
DX-SX
e coloro 0.61
che hanno vissuto 0.75
le grandi 1.27
e tragiche giornate della guerra vittoriosa 1.68
Passando davanti ai nomi 0.92
DX-SX
che ricordano il Grappa 1.04 --------- ------------------- -------------- ---------------
il Carso 0.12 --------- ------------------- -------------- --------------- l’Isonzo il Piave 1.12 --------- ------------------- -------------- ---------------
Sentivano 0.28
nel loro cuore 0.75
tumultuare 0.29
i vecchi ricordi 0.72
e le grandi nostalgie 4.27
noi oggi 1.21
DX
ALTO
con la inaugurazione ufficiale 0.17
del nuovo comune di Littoria 0.98
consideriamo 0.92 2
Compiuta 0.32 2
la prima tappa del nostro cammino 1.35 7
abbiamo cioè 5.19 DX-SX X
X
abbiamo cioè vinto la nostra prima battaglia 1.07 2-6
X X X X
ma noi 2.71 7 DX-SX APPLAUSI
noi siamo fascisti 2.14 7 DX-SX
SI ABBASSA
X X
quindi 1.27 7
più che guardare al passato 0.26 1
SAPIENTE
siamo sempre intenti verso il futuro 1.62 6
finché 2.22 7 FIANCHI X
X
finché tutte le battaglie 0.80 1
DX-SX X X
non siano vinte 0.40 1
non si può dire che tutta la guerra 0.21 1
sia vittoriosa 1.32 1
solo quando 1.36 ---------FIANCHI
----------------- ---------------
accanto alle cinquecento case oggi costruite 0.31 ------------------
--------------------------------------
------------------------------
ne siano sorte le altre quattromilacinquecento 0.98 --------- ------------------- ---------------
quando accanto 0.20 3 DX-SX
ai diecimila 0.17 3 DX-SX
abitatori attuali 0.66 3 DX-SX ci siano i quaranta o cinquantamila che noi ci ripromettiamo di far vivere in quelle che furono le paludi pontine 0.26 2 SI ABBASSA
solo allora 0.98 1
potremo 0.40 1
lanciare alla nazione 0.23 1
il bollettino della vittoria definitiva 6.83 1 SIABBASSA GIU’
ma noi 2.74 1
SX FIANCO SI GIRA SX
SI GIRA DX
X X X X X X
non saremmo fascisti 3.11 1
X X X
se già sin da questo momento 1.04 7 DX-SX
non precisassimo 0.89 17
con la esattezza che è nel nostro costume 0.67 7
DECISO
con la energia fredda e spietata che è nel nostro temperamento 0.67 1
OCCHI
quelle che saranno le tappe future 0.46 1 DX-SX
e cioè 1.10 1
il ventotto ottobre 1.42 2 SX FIANCO
del 1933 1.09 2
si inaugureranno altre novecentoottantuno case coloniche 1.27 2
GIU’
il ventuno aprile del 1934 0.26 2 RITMO
si inaugurerà il nuovo comune di Sabaudia 5.86 2
vi prego di notare queste date 3.75 1
DX-SX
INDIETRO
AVANTI
DECISO
X X X X
il ventotto ottobre 0.14 2
DX-SX
del 1935 1.06 2 RITMO
s’inaugurerà il terzo comune di Pontinia 6.52 2 SI GIRA DX
a quell’epoca 0.61 23
INDIETRO
AL CENTRO
X X
per quella data 0.84 23
noi 0.78 23
probabilmente 0.31 5
avremo toccato la meta 0.77 DX
e realizzato 0.72 22
tutto il nostro piano di lavoro 1.67 22
sarà forse opportuno di ricordare 1.50 --------- ------------------- --------------- ---------------
che una volta 1.18 APPOGGIATO
per trovare della terra da lavoro 0.84 --------- ------------------- ---------------
occorreva valicare le Alpi 0.72 --------- ------------------- ---------------
o attraversare gli oceani 0.93 DX-SX
oggi la terra è qui 0.98 3
a mezz’ora soltanto di distanza dalla capitale 1.26 2 SI APPOGGIA
è qui che noi abbiamo conquistato una nuova provincia 0.49 3 DX-SX
è qui che abbiamo condotto 0.63 1
delle vere e proprie operazioni di guerra 1.13 1
è questa la guerra che noi preferiamo 1.70 SI APPOGGIA
ma occorre 4.68 --------- ------------------- ---------------X X
ma occorre 0.49 2
DX-SX
RITMO
X X X
che tutti 0.37 2 RITMO
ci lascino intenti 0.35 2 RITMO DECISO
al nostro lavoro 8.22 2 RITMO X
se non si vuole 0.87 2
SI APPOGGIA
RITMO
DECISO
X X X X X X
che noi applichiamo 0.55 2 RITMO
in altro campo quella stessa energia 0.32 1 RITMO DECISO
quello stesso metodo 2.13 1 RITMO OCCHI
ora 1.33 ---------APPOGGIATO------------------- --------------- ---------------
la nuova vita di Littoria comincia 2.31
io sono sicuro 1.85 3 DX-SX
che i coloni qui giunti 1.18 3 APPOGGIATO
saranno contenti 0.81 3
di lavorare 0.63 3
anche perché hanno in vista 0.28 3 SI INNALZA
fra dieci o quindici o vent’anni 0.67 2
il possesso definitivo 0.41 3
del loro podere 2.42 3
comunque 0.66 7
SI APPOGGIA
io dico a questi contadini 0.35 7 SI INNALZA
a questi rurali 0.72 7 SI INNALZA
che sono particolarmente vicini al mio spirito 1.16 7
che essi non devono scoraggiarsi 0.12 3
nelle difficoltà 0.15 3
che possono incontrare 1.95 APPOGGIATO
devono guardare a questa torre che è un simbolo della potenza fascista 1.18 3
SI INNALZA
LABBRA
guardarla in tutti i momenti 0.93 3 SI GIRA DX
perché convergendo a questa torre 0.52 7
troveranno sempre un aiuto 0.29 3
un conforto e la giustizia 3
103
Mussolini inizia questo discorso in posizione solenne, con le braccia ai fianchi, fermo,
osservando la folla. Il volume della voce è basso.
Il primo movimento viene compiuto dopo un minuto e trenta secondi, ed è quello del braccio
destro (prima ritmico, poi più rapido) che segna la “prima tappa” compiuta dal regime nella bonifica
dell’Agropontino. A questo punto il pubblico reagisce e Mussolini deve attendere prima di
ricominciare a parlare.
Da questo momento la gestualità si fa più accentuata, così come le reazioni della folla.
L’oratore accompagna le parole con gesti descrittivi, per esempio ritraendo la mano parlando del
passato e portandola in avanti per indicare quanto si sia “intenti verso il futuro”, e quando le mani
sono ferme vengono appoggiate ai fianchi. Lo sguardo è saccente e sicuro di sé.
I movimenti divengono più ritmici quando Mussolini inizia a elencare le tappe future
dell’opera di bonifica: il braccio destro accompagna il ritmo d’eloquio e anche il corpo si muove
concitato, per poi rilassarsi e tornare in una posizione più composta alla fine di ogni frase, in un
alternarsi di tensione e rilassamento. Lo sguardo si fa particolarmente deciso quando l’oratore parla
dell’“energia fredda e spietata” tipica del temperamento degli italiani, e i due aggettivi sono
enfatizzati dal gesto nervoso della mano destra.
Al termine della narrazione delle tappe future Mussolini colloca una pausa di 6,5 secondi,
durante la quale si riposiziona composto al centro. Prosegue con dei movimenti verticali, categorici
del braccio destro, parlando delle mete che a quel tempo saranno state raggiunte.
A questo punto l’oratore si appoggia con entrambe le mani per fornire delle spiegazioni, e
sottolinea come ora la terra sia disponibile proprio in quel luogo, ripetendo in sequenza l’avverbio
‘qui’ e battendo ripetutamente il braccio destro.
La frase successiva (“è questa la guerra che noi preferiamo”) viene posta in particolare
evidenza dalle pause che la contornano. Mussolini la pronuncia appoggiato, attende che la folla
concluda il suo urlo e poi riprende a parlare con tono deciso e volume elevato, muovendo
ritmicamente corpo e braccia, e tornando ad appoggiarsi alla fine dell’enunciato.
Un “ora” collocato tra due pause introduce l’ultima parte del discorso. Mussolini è di nuovo
appoggiato e batte continuamente il braccio destro sul parapetto.
La conclusione è un’esortazione ai coloni lì presenti. Mussolini la pronuncia sollevandosi e
muovendo il braccio, e gli ultimi tre sostantivi (aiuto, conforto, giustizia) vengono enfatizzati dal
braccio destro che batte tre volte prima che l’oratore esca di scena.
104
3.2.6 Lecce, 07-09-1934
Il discorso è pronunciato da un balcone che si affaccia sulla piazza gremita, in occasione di un
viaggio che Mussolini compì in Puglia e che lo portò a visitare, oltre a Lecce, le città di Bari,
Taranto, Brindisi e Foggia.
L’oratore si concentra in particolar modo su tematiche riguardanti questa regione.
Il pubblico è costituito da gente comune.
DURATA: 388,95 secondi
PAUSE: 223,08 secondi (57,35%)
VA: 5,29 sillabe/secondo
VE: 2,26 sillabe/secondo
GESTI POSTURA VOLTO PUBBLICO
Desidero 4.21 7 APPOGGIATO
rivolgere un elogio 2.97 6
INDIETRO RITTO
alla gente di Puglia 3.12 SI APPOGGIA
perché è feconda 1.30 10
LABBRA DECISO
SI’
e crede 1.41 10
OCCHI
coi fatti 1.35 10
OCCHI
nell’unico primato che veramente conta 1.24 10
DECISO
nella vicenda e nella lotta dei popoli 0.98 10
DIRITTO
il primato dei figli il primato della vita 3.66 10
perché solo la gioventù 1.13 14
INDIETRO X X
guarda con occhi impassibili e freddi 2.13 1 RITTO FERMO
tutte le difficoltà 1.18 8
OCCHI
che l’avvenire pone innanzi 1.18 6
alla marcia di un popolo 0.81 6
che vuole ascendere agli orizzonti del benessere e della grandezza 6.61 6
ma la cancellazione 4.42 10
INDIETRO
SI APPOGGIA
LABBRA DECISO
X X X X X
dei vecchi termini 1.56
DX-SX
SI APPOGGIA
OCCHI X
non sarebbe stata sufficiente 1.62 14
se il regime fascista 3.29 14 DX-SX LABBRA
non avesse 1.61 14
LABBRA
agito 0.95 14
OCCHI
in estensione 0.20 14 DX-SX
e in profondità 1.50 14
in tutta l’Italia meridionale 5.13 14
questo era un problema 1.56 4
SI APPOGGIA
LABBRA
che ricorreva 1.35 4
SPREZZANTE
nei programmi elettorali 3.04 4
SPREZZANTE
attraverso i quali 1.23
DX-SX
SI APPOGGIA SPREZZANTE
le vecchie clientele politiche 2.57 7
cercavano di conquistare 1.21 7
DX-SX
delle posizioni 0.31 7
SPREZZANTE
quasi sempre 0.24 6
di ordine personale 4.65 6
oggi 1.21 14
DX-SX
SI APPOGGIA
X X X X
la questione meridionale 1.39 14-16 X
X
non è più all’ordine del giorno 5.48 8 SI APPOGGIA NO
X
tutta la Puglia 2.11 7
CORI
è oggi 1.61 7
in un periodo 0.52 7
di profondo rinnovamento 4.73 7
questo rinnovamento 0.90 3
SI APPOGGIA FIANCHI
SI APPOGGIA
sarà aiutato da Roma 4.82 3
DECISO
ma voglio elogiare in particolar modo 1.62 14
INDIETRO
SI APPOGGIA AVANTI
LABBRA
anche voi 4.70 14
camerati di Lecce 4.18 14
INDIETRO
DX-SX
perché avete dimostrato 0.93 17
FIANCHI
coi fatti 0.29 17
DECISO
i quali soli contano 2.24 17 DECISO
che sapete astrarre 1.77 14
DECISO
dai particolari interessi della vostra città 1.06 14 DX
quando 0.35 6 APPOGGIATO
interessi 0.76 6
di più grande portata 0.40 6
siano in gioco 4.70 6
non solo non avete protestato 1.84 6
DX-SX
SI APPOGGIA
LABBRA
ma avete accettato e compreso 2.68 6 DX-SX
la decisione del governo 1.06
DX-SX
SI APPOGGIA
DX-SX
che creava 0.82 AVANTI
le due nuove province di Brindisi e di Taranto 7
nella vecchia terra del Salento 0.34 3
INDIETRO
SI APPOGGIA
DECISO
tre sono 0.20 LABBRA
ora le province 3.67 LABBRA
ma voi avete inteso 1.26
DX-SX
che questa era una necessità 1.24 2
di carattere nazionale 1.42 INDIETRO
questo 0.43 3 AVANTI
dimostra la vostra sensibilità patriottica 1.12 2 DIGRIGNA
la vostra disciplina nazionale 1.76 AVANTI DIGRIGNA
dimostra il vostro grado alto di civismo 2.60 3-14 AVANTI
è un esempio 0.86 14
INDIETRO
AVANTI
OSSERVA
che voi avete dato alla intera nazione 4.30 15
per comprendere 1.51 7
INDIETRO DX-SX
APPOGGIATO
X X X
che essa 0.95
è un elemento 0.17 6
fondamentale 0.78 6
per la ricchezza 0.20 6
e l’avvenire della nazione 10.25 6
se vi è terra 2.34 6
INDIETRO DX-SX
FIANCHI
SI APPOGGIA
LABBRA
OSSERVA
X X X X X X X
dove il fascismo 3.87 6
è diventato 2.14 6
INDIETRO
un patrimonio della coscienza degli individui e delle masse 1.12 18-1
questa è la vostra terra è la terra di Puglia 2.74 6
X
io sento 3.67 7
APPOGGIATO X X X
dalla vostra altissima temperatura ideale 1.76 --------------------
DX-SX
-------------------- --------------------
X X
che se domani 2.57 ------------------------------------------
------------------------------------------
------------------------------------------
la rivoluzione chiamerà voi risponderete come un sol uomo 5.45