(IIIª Parte ) LO SPIRITO DELL’EVANGELIZZAZIONE
(7)Spiritualità missionaria, dimensioni e attualità
(8) Spiritualità mariana della Chiesa missionaria
(9) Spiritualità sacerdotale per una Chiesa missionaria
(7)
SPIRITUALITÀ MISSIONARIA, DIMENSIONI E ATTUALITÀ
1. Spiritualità e missione
"Spiritualità" significa "camminare secondo lo Spirito" (Rom
8,4.9), cioè "camminare nell'amore" (Ef 5,1). La spiritualità
missionaria mette in rapporto due realtà cristiane: spiritualità e
missione. Ognuna di queste realtà abbraccia un campo molto largo.
Si tratta di una vita secondo lo Spirito che ci fa partecipare
fedelmente e responsabilmente alla missione di Cristo.
Ogni credente è chiamato a vivere la grande realtà cristiana e
missionaria del battesimo che si concretizza nell'atteggiamento
delle beatitudini (Mt 5,48) e del comando dell'amore (Gv 13,34-35).
La spiritualità missionaria è uno stile di vita che corrisponde al
mandato missionario di annunciare il vangelo a tutte le genti.
L'espressione "spiritualità missionaria" si trova nel concilio
Vaticano II nel momento di presentare i compiti della Congregazione
per l'Evangelizzazione dei Popoli: "Questo Dicastero da parte sua
deve promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria, lo zelo
e la preghiera per le missioni, e fornire a loro riguardo
informazioni autentiche e valide" (AG 29). Il contenuto della
spiritualità missionaria si trova nel capitolo IV de decreto "Ad
Gentes" ("I missionari").
La Cost. Apost. "Pastor Bonus", art. 86-88 (sui compiti del
Dicastero missionario) puntualizza anche "gli studi di ricerca
sulla teologia, la spiritualità e la pastorale missionaria" (art.
86), "lo spirito missionario" (art. 87), le "vocazioni missionarie"
(art. 88). "Evangelii nuntiandi" dedica un capitolo a questo tema:
"Lo spirito della evangelizzazione" (cap. VII), dove presenta la
fedeltà allo Spirito Santo, l'autenticità e testimonianza, l'unità,
il servizio della verità, la carità apostolica, la presenza di
Maria.
L'enciclica "Redemptoris Missio" indica le linee principali di
questa spiritualità: "piena docilità allo Spirito" (RMi 87),
"comunione intima con Cristo" (RMi 88), "amare la Chiesa e gli
uomini come li ha amati Gesù" (RMi 89), "carità apostolica" come
"quella del Cristo Buon Pastore" (RMi 89), "nuovo ardore di
santità" (RMi 91), essere "contemplativo" per diventare segno
"credibile" (RMi 91). Questa spiritualità riguarda in modo speciale
"quanti Dio ha chiamato ad essere missionari" (RMi 87).
La missione può essere studiata a livello teologico (che cosa è
la missione), a livello pastorale (come fare la missione) e a
livello spirituale (come vivere la missione da parte dei singoli
apostoli e da tutta la comunità) (AG IV; EN VII; RMi VIII). Dalla
teologia sulla missione si passa spontaneamente alla pastorale e
alla spiritualità.
La spiritualità missionaria è parte integrante e funzione
specifica della missiologia. Alla "funzione" teologica
(scientifica, sapienziale), pastorale, storica, giuridica,
comparativa, ecc., si aggiunge la "funzione" spirituale.
L'apostolo, inviato per evangelizzare, deve vivere ed esprimere
un'atteggiamento di vita in sintonia con tutto quello che svolge
nel campo dell'evangelizzazione. Lo stile di vita (spiritualità)
corrisponde alla missione ricevuta e attuata nell'azione
evangelizzatrice.
Gli elementi fondamentali della spiritualità missionaria
dovranno essere ricavati dalla figura del Buon Pastore, il quale si
lascia intravedere attraverso le figure missionarie sin da Pietro e
Paolo fino ai nostri giorni. le "attitudini interiori" (EN 74) dei
santi missionari, che costituiscono il loro "spirito" e stile di
evangelizzazione ("spiritualità), sono sempre validi e
fondamentali. E' pure questo atteggiamento spirituale dei santi che
aiuta gli apostoli di tutte le epoche a fronteggiare fedelmente e
generosamente le nuove situazioni nel campo apostolico. Un accurato
discernimento aiuterà a distinguere tra elementi fondamentali
permanenti e forme secondarie transitorie o anche difettose.
Altri elementi di spiritualità missionaria emergono dalle realtà
apostoliche di ogni epoca e situazione, e dalle linee di
spiritualità e di vita comunitaria del proprio gruppo o
carisma.
2. Lo "spirito" dell'evangelizzazione oggi
Dal Vaticano II in poi, si può elaborare meglio una sintesi
teologica di "spiritualità missionaria" (AG 29), anche se i testi
conciliari presentano solo elementi descrittivi (AG 23-25). Da
questi testi e del contesto del decreto "Ad Gentes" emergono virtù
e dati basilari: unione a Cristo per poter annunziare con coraggio
il suo mistero di croce e risurrezione; vita di preghiera;
testimonianza di vita teologale (fede, speranza, carità) e di "vita
realmente evangelica" (povertà, obbedienza); fortezza di fronte
alle difficoltà della missione; zelo apostolico; comprensione,
pazienza, umiltà, sensibilità e carità riguardo ai valori autentici
delle culture, delle religioni non cristiane e delle situazioni
sociologiche e storiche (AG 15); senso e amore di Chiesa locale e
universale (AG 20), capire e vivere meglio il carisma missionario
della propria istituzione (AG 27) ecc.
"Evangelii nuntiandi" offre una vera sintesi ordinata e
relativamente completa della spiritualità missionaria, elencando
nel capitolo finale i punto basilari: vocazione (EN 74; cf EN 4),
fedeltà allo Spirito Santo (EN 75), autenticità e testimonianza di
esperienza di Dio (EN 76), unità e fraternità apostolica (EN 77),
servizio di verità (EN 78), carità pastorale (EN 79-80),
atteggiamento mariano (EN 81-82).
L'enciclica "Redemptoris Missio" presenta ampiamente il nostro
tema nel capitolo finale: "Spiritualità missionaria". Però è tutto
il documento che viene impostato su questa linea di rinnovamento e
di esigenza di santità, a scopo di disponibilità missionaria
universale ("ad gentes") da parte di tutta la Chiesa. I temi
concreti che vengono sviluppati nell'enciclica sono i seguenti:
docilità allo Spirito Santo (RMi 87), comunione intima con Cristo
(RMi 88), amore alla Chiesa e carità apostolica (RMi 89), santità
(RMi 90), vita contemplativa (RMi 91), atteggiamento mariano (RMi
92).
Di fronte alla realtà del nostro tempo, che "è drammatico e
insieme affascinante" (RMi 38), ci vuole una riposta coraggiosa che
coinvolga persone e comunità in un processo di rinnovamento e di
santità. La spiritualità missionaria è una chiamata al rinnovamento
ecclesiale per la missione: "Occorre un radicale cambiamento di
mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le
persone sia per le comunità" (RMi 49). "La rinnovata spinta verso
la missione ad gentes esige missionari santi" (RMi 90).
Una lettura accurata e responsabile dell'enciclica "Redemptoris
Missio" mette in evidenza che la missione della Chiesa non sarà ben
capita se non è a partire da un atteggiamento di fede e di fedeltà
generosa: "La missione è un problema di fede, è l'indice esatto
della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi" (RMi 11).
La chiamata alla responsabilità, cooperazione, rinnovamento e
santità missionaria, resterà senza risposta adeguata se non si
approfondisce l'atteggiamento di spiritualità missionaria. Senza le
"attitudini interiori" (come diceva Paolo VI nell' Evangelii
nuntiandi), non sarebbe possibile ne la nuova evangelizzazione ne
la risposta generosa alla missione senza frontiere. "La fede si
rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani
troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione
universale" (RMi 2).
3. Dimensioni della spiritualità missionaria
Nei documenti magisteriali attuali la spiritualità missionaria
viene presentata in dimensione trinitaria, salvifica,
pneumatologica, cristologica, ecclesiologica, pastorale,
contemplativa, antropologica, sociologica.
La dimensione trinitaria della missione appare in tutta la
stesura dell'enciclica "Redemptoris Missio" (nn. 1, 23, 32, 44, 47,
92; cf AG 2-4). "Il concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la
vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo
contemporaneo: ne ha sottolineato la 'missionarietà', fondandola
dinamicamente sulla stessa missione trinitaria" (RMi 1).
La dimensione salvifica si riferisce all'uomo in tutta la sua
integrità: "L'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare
e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le Chiese locali che
sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi" (RMi 83; cfr
RMi 58, 59).
La spiritualità missionaria ha dimensione pneumatologica. Poiché
"spiritualità" significa una "vita secondo lo Spirito", la fedeltà
allo Spirito Santo è atteggiamento fondamentale della spiritualità
missionaria. "Tale spiritualità si esprime, innanzitutto, nel
vivere in piena docilità allo Spirito; essa impegna a lasciarsi
plasmare interiormente dallo Spirito, per diventare sempre più
conformi a Cristo... La docilità allo Spirito impegna poi ad
accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono
tratti essenziali della stessa spiritualità... Oggi occorre
pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il Vangelo;
occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui
condurre in tutta la verità (cf. Gv. 16,13)" (RMi 87; cf AG 4; EN
75).
Se mancasse questa fedeltà allo Spirito, la missione non sarebbe
capita nel senso della fede, ma soltanto nella prospettiva delle
ipotesi umane discutibili. Il capitolo III dell'enciclica offre i
dati fondamentali per capire e seguire il vero senso della missione
sotto la guida dello Spirito: "La presenza e l'attività dello
Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia,
i popoli, le culture, le religioni. Lo spirito, infatti, sta
all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene
dell'umanità in cammino... E' anche lo Spirito che sparge i 'semi
del Verbo', presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a
maturare in Cristo" (RMi 28).
"La venuta dello Spirito Santo fa di essi (gli Apostoli) dei
testimoni e dei profeti (cf. At 1,8; 2,17.18), infondendo in loro
una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la
loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito
Santo dà loro la capacità di testimoniare Gesù con 'franchezza'"
(RMi 24).
La dimensione cristologica della spiritualità missionaria si
concretizza nel rapporto personale con Cristo per condividere il
suo stesso modo di vivere: "Nota essenziale della spiritualità
missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può
comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come
l'inviato ad evangelizzare... 'Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù'... (Fil 2,5-8)" (RMi 88; AG 3; EN
6-12).
L'esperienza dell'incontro con Cristo diventa missione:
"trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù'" (RMi 24).
"Proprio perché 'inviato', il missionario sperimenta la presenza
confortatrice di Cristo, che lo accompagna in ogni momento della
sua vita -'Non aver paura..., perché io sono con te' (At 18,9-10) -
e lo aspetta nel cuore di ogni uomo" (RMi 88). L'esperienza paolina
è un paradigma ripetuto frequentemente nell'enciclica "Redemptoris
Missio".
Questa dimensione cristologica fa capire il vero senso della
missione come annuncio della salvezza in Cristo: "La missione è un
problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e
nel suo amore per noi... La missione, oltre che dal mandato formale
del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in
noi" (RMi 11).
La dimensione ecclesiologica della spiritualità missionaria è
una conseguenza dell'amore a Cristo. Si ama la Chiesa (e tutta
l'umanità) con lo stesso amore con cui Cristo l'ha amata: "Chi ha
spirito missionario sente l'ardore di Cristo per le anime ed ama la
Chiesa, come Cristo... Come Cristo egli deve amare la Chiesa:
'Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei' (Ef 5,25).
Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui un punto di
riferimento. Solo un amore profondo per la Chiesa può sostenere lo
zelo del missionario... Per ogni missionario 'la fedeltà a Cristo
non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa' (PO 14)"
(RMi 89; AG 5; EN 13-16).
Soltanto da questo "senso" e amore di Chiesa scaturirà una
autentica teologia sul Regno e sul rapporto tra Chiesa e Regno: "Il
Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto
a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il
volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine di Dio invisibile"
(RMi 18). "La Chiesa non è fine in se stessa, ma fervidamente
sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e
tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini" (RMi 19). "La
Chiesa, infine, serve il Regno... Noi dobbiamo chiederlo,
accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare
perché sia accolto e cresca tra gli uomini" (RMi 20).
La dimensione pastorale della spiritualità missionaria mette in
evidenza la fecondità apostolica della carità. La santificazione
dell'apostolo è in stretto rapporto con l'esercizio dei ministeri
(PO 13). La nota più caratteristica della spiritualità apostolica è
la "carità" che ha come modello il Buon Pastore: "La spiritualità
missionaria si caratterizza, altresì, per la carità apostolica,
quella del Cristo... buon Pastore che conosce le sue pecore, le
ricerca ed offre la sua vita per loro (cf. Gv 10)... Il missionario
è l'uomo della carità... egli deve testimoniare la carità verso
tutti, spendendo la vita per il prossimo. Il missionario è il
'fratello universale', porta in sé lo spirito della Chiesa, la sua
apertura ed interesse per tutti i popoli e per tutti gli uomini,
specie i più piccoli e poveri... è segno dell'amore di Dio nel
mondo" (RMi 89; cf EN 76-80).
La dimensione pastorale della spiritualità farà scoprire le
necessità pastorali più urgenti, gli immensi orizzonti della
missione ad gentes: "La Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale
da offrire all'umanità, in Cristo che si proclama 'la via, la
verità e la vita' (Gv 14,6). E' il cammino cristiano all'incontro
con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del senso della
vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare" (RMi 38). Farà
anche riscoprire le vie della missione: "La testimonianza della
vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione...
La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario,
della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende
visibile un modo nuovo di comportarsi" (RMi 42))
La spiritualità missionaria susciterà la disponibilità
missionaria da parte dei responsabili: "La Chiesa è missionaria per
sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di
contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della
Chiesa" (RMi 62). "I missionari e le missionarie, che hanno
consacrato tutta la vita per testimoniare fra le genti il Risorto,
non si lascino, dunque, intimorire da dubbi, incomprensioni,
rifiuti, persecuzioni. Risveglino la grazia del loro carisma
specifico e riprendano con coraggio il loro cammino, preferendo in
spirito di fede, obbedienza e comunione con i propri Pastori i
posti più umili e ardui" (RMi 66).
La dimensione contemplativa si presenta nel contesto di una
chiamata pressante alla santità. Dall'incontro con Cristo
scaturisce la disponibilità missionaria incondizionata: "La
chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla
santità... L'universale vocazione alla santità è strettamente
collegata all'universale vocazione alla missione... La spiritualità
missionaria della Chiesa è un cammino verso la santità. La
rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari
santi... Occorre suscitare un nuovo 'ardore di santità fra i
missionari e in tutta la comunità cristiana" (n.RMi 90). "Da parte
loro, i missionari riflettano sul dovere della santità, che il dono
della vocazione richiede da essi, rinnovandosi di giorno in giorno
nel loro spirito ed aggiornando anche la loro formazione dottrinale
e pastorale" (RMi 91).
La vita contemplativa viene presentata in stretto rapporto con
l'attività missionaria: "Il missionario deve essere 'un
contemplativo in azione'. Egli trova risposta ai problemi nella
luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria.
Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non
cristiane, in particolare quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che
il futuro della missione dipende in gran parte dalla
contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può
annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone
dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli Apostoli: 'Ciò
che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita..., noi lo
annunciamo a voi' (1Gv 1, 1-3)" (RMi 91).
Soltanto un vero spirito contemplativo farà scoprire le vie per
evangelizzare un "nuovo areopago": "Il nostro tempo è drammatico e
insieme affascinante... si manifestano l'angosciosa ricerca di
significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprender
nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle
culture impregnate di religiosità, ma anche nelle società
secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come
antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del
'ritorno religioso' non è privo di ambiguità, ma contiene anche un
invito" (RMi 38).
La dimensione antropologica e sociologica della spiritualità
missionaria accenna alle circostanze e situazioni delle persone,
delle culture e dei popoli. La carità cristiana si concretizza
nell'atteggiamento delle beatitudini: "Fedele allo spirito delle
beatitudini, la Chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e
gli oppressi di ogni genere. Esorto, per ciò, tutti i discepoli di
Cristo e le comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle
parrocchie agli istituti religiosi, a fare una sincera revisione
della propria vita nel senso della solidarietà con i poveri...
Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di tutta
l'attività missionaria: l'amore, che è e resta il movente della
missione" (RMi 60).
4. Spiritualità missionaria secondo la vocazione specifica
La spiritualità missionaria deve essere applicata ad ogni
vocazione cristiana: sacerdotale, vita consacrata, laicale. "Tutti
i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere
aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo" (RMi 67). "La Chiesa
deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice,
e nessuno li testimonia più efficacemente di chi fa la professione
di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza, in totale
donazione a Dio ed in piena disponibilità a servire l'uomo e la
società sull'esempio di Cristo" (RMi 69). I laici, "per l'indole
secolare, che è loro propria, hanno la particolare vocazione a
cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e orientandole
secondo Dio" (RMi 71; cf LG 31).
Le linee basilari della spiritualità missionaria si possono
trovare in rapporto ai tre elementi che costituiscono la "vita
apostolica": sequela di Cristo (generosità evangelica), fraternità
(vita comunitaria del gruppo), disponibilità missionaria "ad
gentes". Ogni vocazione apostolica deve approfondire queste linee
della vita degli Apostoli applicate al proprio carisma.
L'enciclica parla frequentemente di un'atteggiamento di gioia e
speranza alla luce delle Beatitudini: "Il missionario è l'uomo
delle Beatitudini... La caratteristica di ogni vita missionaria
autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo
angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo,
l'annunziatore della 'buona novella' deve essere un uomo che ha
trovato in Cristo la vera speranza" (RMi 91).
Se questa spiritualità viene messa in pratica, ci sarà nella
Chiesa un grande risveglio della coscienza e della responsabilità
missionaria: "Mai come oggi la Chiesa ha l'opportunità di far
giungere il Vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti gli
uomini ed a tutti i popoli. Vedo albeggiare una nuova epoca
missionaria... se tutti i cristiani e, in particolare, i missionari
e le giovani Chiese risponderanno con generosità e santità agli
appelli e sfide del nostro tempo" (RMi 92). Il concilio Vaticano II
collega il "rinnovamento interiore" di tutti i fedeli al fatto di
arrivare ad "una viva coscienza della propria responsabilità in
ordine alla diffusione del Vangelo" (AG 35).
L'invito dell'enciclica alla cooperazione e alla spiritualità
missionaria si può riassumere in un'atteggiamento mariano della
Chiesa, che vede in Maria "il modello di quell'amore materno, dal
quale devono essere animati tutti quelli che,nella missione
apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini"
(RMi 92; cf LG 65). E un invito "alla vigilia del terzo millennio"
per "vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando
con gratitudine all'opera della salvezza" (ibidem).
___________________
Estratto da: Dizionario di Missiologia (Pontificia Università
Urbaniana, 1993) 481-486 (Spiritualità Missionaria).
Vedere ulteriori pubblicazioni e bibliografia aggiornata:
Dizionario dell'Evangelizzazione (Napoli, Editrice Domenicana
Italiana, 2005). Voci: Spirito Santo, Spiritualità, Spiritualità
Missionaria.
Teologia della evangelizzazione, Spiritualità missionaria
(Pontificia Università Urbaniana 1992),cap.I-XI (tutti i temi della
spiritualità missionaria)
Il Soffio dello Spirito (Bologna, EMI, 1987).
Compendio de Misionología. La vida es misión (Valencia, EDICEP,
2007) cap.V.
Misionología. Evangelizar en un mundo global (Madrid, BAC, 2008)
cap.X.
(8)
SPIRITUALITÀ MARIANA DELLA CHIESA MISSIONARIA
1.La realtà e la terminologia della "spiritualità mariana" della
Chiesa
L'espressione "spiritualità mariana" ha trovato cittadinanza
nella Chiesa grazie all'enciclica "Redemptoris Mater": "Si tratta
qui non solo della dottrina della fede, ma anche della vita della
fede e, dunque, dell'autentica "spiritualità mariana vista alla
luce della Tradizione e, specialmente, della spiritualità alla
quale ci esorta il Concilio" (RMa 48).
Questa "vita della fede" costituisce la "spiritualità (vita
"spirituale"), cioè, la "vita secondo lo Spirito". La Chiesa vive i
contenuti della fede, non solo come concetti che illuminano, ma
specialmente come realtà di grazia che trasformano la vita. La
dottrina su Maria, come parte integrante della dottrina sul Mistero
di Cristo, si trasforma in vita "spirituale". Al tempo stesso la
Chiesa guarda a Maria per imitare la sua vita di fede ed essere
aiutata da lei in questa stessa vita di fede: "La Beatissima
Vergine avanzò nella pellegrinazione della fede" (LG 58). In questo
senso Maria è "figura ed eccellentissimo modello per essa nella
fede e nella carità" (LG 53). Da ciò deriva, da parte della Chiesa,
non solo l'imitazione e la supplica di intercessione, ma anche
"l'affetto di pietà filiale" (LG 53).
La spiritualità mariana è, perciò, una realtà storica nella vita
e nella dottrina della Chiesa e, in modo particolare, nella vita e
nella dottrina dei santi e delle comunità ecclesiali di tutti i
tempi, sparse in tutte le nazioni, infatti: "La 'spiritualità
mariana' al pari della devozione corrispondente, trova una
ricchissima fonte nell'esperienza storica delle persone e delle
varie comunità cristiane, viventi tra i diversi popoli e nazioni su
tutta la terra. In proposito, mi è caro ricordare, tra i tanti
testimoni e maestri di tale spiritualità, la figura di S. Luigi
Maria Grignon de Montfort" (RMa 48).
Questo "fatto" mariano, che è una realtà permanente nella
Chiesa, quando si è trattato di esprimerlo in terminologia
concreta, ha avuto diversi nomi: pietà o devozione mariana,
ascetica e mistica mariana, teologia spirituale mariana,
spiritualità mariana. La parola "pietà" o "devozione" sta ad
indicare l'atteggiamento dei credenti per mezzo di atti devozionali
e di culto. E' un tema classico nei trattati di mariologia quando
parlano di devozione e di culto mariano. L'espressione "ascetica e
mistica mariana" vorrebbe indicare il cammino della vita
spirituale, aiutati da Maria quale Modello e quale mezzo
particolare di questa stessa vita. Gli specialisti di trattati di
spiritualità in genere, non tralasciano mai di sottolineare (anche
se brevemente) l'aspetto mariano della vita spirituale. La frase
"spiritualità mariana" è oggi comunemente accettata, non solo
perché è stata assunta dal magistero della Chiesa (RMa 48), ma
anche perché nelle Facoltà di Teologia (con la specializzazione
nella spiritualità, o in Mariologia) è già normale un corso
ordinario su questo tema concreto: "Spiritualità mariana",
"Spiritualità mariana della Chiesa", "Dimensione missionaria della
spiritualità mariana", ecc.
L'atteggiamento di rapporto personale tra la Chiesa e Maria, è
una delle note caratteristiche dell'enciclica "Redemptoris Mater".
La Chiesa, e ogni credente, vive la "presenza attiva e materna" di
Maria (cf. RMa 1,24,28,48,52), in "comunione di vita" con Lei (RMa
45, nota 130): "Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano... la
introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel
suo 'io' umano e cristiano" (RMa 45), come espressione di una "vita
di fede" a imitazione di Maria (RMa 48). Tutto questo è la
conseguenza dell'attuazione del comando del Signore: "Ecco tua
Madre... e il discepolo la ricevette in casa sua" (Gv 19, 25‑27).
Origene diceva che per intuire il "significato" del vangelo,
bisogna imitare il discepolo amato, che "ha ricevuto da Gesù Maria
come Madre".
Nei documenti del magistero della Chiesa, Maria è presentata
come "Maestra di vita spirituale" (MC 21) in tutto l'"itinerario di
fede" (RMa 2,27,48,49), con una "presenza attiva" e "materna" (RMa
1,24; RH 22). La Chiesa, di fronte a questa realtà attiva e
relazionale, è invitata a entrare in sintonia con "l'amore materno"
di Maria (RMi 92; LG 65). L'atteggiamento relazionale della Chiesa
con la Vergine presuppone la presenza di Maria; una presenza reale,
affettiva ed effettiva, ricordata e vissuta, che esige da parte
della Chiesa una riflessione teologica. Tal volta, per non aver
prestato sufficientemente attenzione alla teologia della
spiritualità mariana, non si è neanche approfondito questa verità
mariana (la sua presenza nella Chiesa), che è in stretto rapporto
con la presenza di Cristo risorto (che continua ad associare Maria
alla sua opera salvifica). I santi più mariani invitavano a vivere
la vita di Maria, in rapporto con la sua presenza attiva, affinché
per mezzo di questa unione con Maria, potessero donarsi totalmente
a Cristo come Lei.
2.Natura e dati basilari della spiritualità mariana
E' necessario distinguere tra l'espressione "spiritualità
mariana" e il suo contenuto. Ciò che è in gioco non è propriamente
l'espressione, bensì il significato e la méta della stessa. Se per
"spiritualità" si intende la docilità alle grazie (o carismi) dello
Spirito Santo (come "vita secondo lo Spirito": Gal. 5,25), la
spiritualità mariana sarebbe un atteggiamento di fedeltà a ciò che
lo Spirito Santo comunica alla Chiesa in rapporto a Maria.
La spiritualità mariana aiuta la Chiesa a vivere la sua
relazione sponsale con Cristo, come realtà profondamente biblica
che è la base della teologia patristica, della vita liturgica e
della vita evangelica secondo la sequela radicale di Cristo.
Leggendo con attenzione i documenti mariani, conciliari e
postconciliari, si nota in essi non solo un contenuto dottrinale di
concetti, ma anche un invito ad assumere atteggiamenti ecclesiali
(personali e comunitarie) riguardo Maria. Queste attitudini sono:
fedeltà alla Parola, alla volontà di Dio, all'azione dello Spirito
Santo, come anche la relazione personale con Cristo, con Maria e
con la Chiesa. Sentendosi unita ed identificata con Maria, la
Chiesa assume un atteggiamento di fedeltà e di relazione più
profonda con Cristo Sposo: "La Chiesa pensando a Lei con pietà
filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con
venerazione penetra più profondamente nell'altissimo mistero
dell'incarnazione e si va ognor più conformando con il suo Sposo"
(LG 65).
Per questo la spiritualità mariana e eminentemente
cristocentrica ed ecclesiale. "I padri greci e la tradizione
bizantina, contemplando la Vergine alla luce del Verbo fatto uomo,
hanno cercato di penetrare la profondità di quel legame che unisce
Maria, in quanto Madre di Dio, a Cristo ed alla Chiesa: la vergine
è una presenza permanente in tutta l'estensione del mistero
salvifico" (RMa 31). Per questo "Maria appartiene indissolubilmente
al mistero di Cristo, ed appartiene anche al mistero della Chiesa
sin dall'inizio" (RMa 27).
I contenuti ed i dati fondamentali della spiritualità mariana
della Chiesa potrebbero essere riassunti nei seguenti:
1º Sintonia "vitale" dei temi mariani, orientata verso un
"affetto di pietà filiale" (LG 53) che comprenda la conoscenza,
l'imitazione, la relazione, la supplica, la celebrazione.
2º Relazione di "intimità" con Maria come "comunione di vita"
(RMa 45, nota 130), vivendo la realtà della sua presenza nella vita
di ogni persona e di ogni comunità ecclesiale.
3º Accettazione effettiva del suo "salutare influsso" (LG 60),
accogliendola "fra le sue cose proprie e introducendola in tutto lo
spazio della propria vita interiore, cioè nel suo 'io' umano e
cristiano" (RMa 45).
La riflessione teologica su questa vita mariana della Chiesa
deve, perciò, incentrarsi nell'atteggiamento vitale ("spirituale",
esperienziale, devozionale, cultuale) dei temi mariani, che
comprendono l'atteggiamento interrelazionale e la dipendenza
effettiva ed affettiva per lasciarsi trasformare in Cristo.
Questa realtà mariana della Chiesa fa scoprire e vivere la
"presenza attiva e materna" di Maria in tutto il cammino di
perfezione o della vita spirituale e missioanria: virtù teologali e
morali con i doni dello Spirito Santo (anche come sintonizzazione
ai criteri, valori e attitudini di Cristo), vita contemplativa,
vita comunitaria, vita apostolica, vita sociale.
Tutti partecipiamo alla fede di Maria, che "permane nel cuore
della Chiesa" (RMa 27), come un bene che deve svilupparsi mediante
un cammino di santificazione e di missione.
La riflessione teologica sulla spiritualità mariana prende in
considerazione:
- la vita di fede in rapporto con Maria,
- tutto il cammino di questa vita,
- nelle persone e nelle comunità,
- nella Chiesa particolare e universale,
- con elementi differenziati ("carismi", culture...).
La teologia della "spiritualità mariana" deve approfondire la
vita spirituale di Maria (presenza, affetto, modello, aiuto come
mediazione materna), la vita spirituale della Chiesa (coscienza,
affetto, imitazione, supplica) e la relazione tra ambedue. Il
"salutare influsso" di Maria (LG 60) e la "pietà filiale" della
Chiesa (LG 53), si incrociano nel cammino della vocazione, della
contemplazione, della perfezione, della comunione e missione.
La spiritualità mariana mette in risalto l'attitudine di
relazione con Maria, aiutando a vivere la sua presenza attiva
(modello e influsso di maternità e di intercessione). Si cerca di
vivere con Maria e come Lei, associati alla vita e ai misteri di
Cristo.
3.Problemi de metodologia scientifica
Quando nella riflessione teologica si è già intrapreso un
cammino, sorge un'allergia rispetto ad un eventuale cambiamento di
direzione. Se i temi teologici (e mariologici) sono già stati
classificati secondo alcuni programmi e quadri mentali, risulta
difficile accettare una novità nella terminologia e nella
metodologia di insegnamento, di ricerca e delle pubblicazioni. Nel
caso della "spiritualità mariana" avviene questo stesso fenomeno.
Le allergie che possono sorgere al momento di accettare o rifiutare
l'espressione, nascono più dal fatto che si intravede la necessità
di dover rifare la metodologia dello studio, per evitare doppioni
inutili. Si corre il rischio allora di assumere una soluzione
facile: non accettare la novità della terminologia, attribuendo
difficoltà di metodo scientifico.
Nel campo missiologico è successo qualcosa di simile con
l'espressione "spiritualità missionaria", usata ufficialmente per
la prima volta nel Concilio Vaticano ll (AG 29) e spiegata
ampiamente nell' "Evangelii Nuntiandi" (Cap. VII) e nella
"Redemptoris Missio" (Cap. VIII). Esiste, perciò, la "spiritualità"
specifica, tanto nel campo mariano come in quello missionario.
Analogicamente potrebbero servire le indicazioni della "Pastores
dabo vobis" sul contenuto della spiritualità sacerdotale che resta
adesso sistematizzata in un capitolo (il terzo) di questo documento
del magistero della Chiesa, invitando ad uno studio specifico. La
"vita spirituale" è "vita animata e guidata dallo Spirito verso la
santità o perfezione della carità" (PDV 1s); riguardo la
spiritualità sacerdotale specifica, si tratta di carità
pastorale.
La spiritualità mariana è la stessa vita spirituale cristiana
(come vita e come riflessione teologica) nel suo aspetto mariano;
questa risulta tanto ricca di contenuto che merita una spiegazione
dettagliata e particolare.
La teologia mariana ("mariologia") ha tre funzioni
principali:
1ª) Scientifica sapienziale (riflessione sui dati biblici,
storici, sistematizzazione, ecc.),
2ª) Pastorale (dell'annuncio, della celebrazione,
dell'organizzazione o animazione, ecc.)
3ª) "Vitale" (sarebbe il campo della "spiritualità mariana",
basato sempre sulla teologia e puntando verso la pastorale).
La funzione vitale (vivenziale, esistenziale) della mariologia
(o lo studio sulla stessa funzione) è il campo proprio della
spiritualità mariana. Si studia la vita della fede della Chiesa in
rapporto con Maria.
Questi temi sono stati studiati fino ad ora implicitamente nel
capitolo mariologico sul culto e la devozione mariana. Precisamente
per merito di questi stessi studi, la materia è oggi tanto ampia
che merita un'attenzione speciale, strutturandola come presenza di
Maria in tutto il cammino della vita spirituale. In questo senso e
prospettiva, il tema non era stato sufficientemente sviluppato. Il
capitolo mariologico sul culto e la devozione, di fatto, non tratta
questo tema che è sufficientemente ampio da poterle dedicare un
trattato speciale.
La spiritualità ecclesiale o fedeltà della Chiesa missionaria
all'azione dello Spirito ("chi ha orecchi, ascolti ciò che lo
Spirito dice": Ap. 2,7) si è modellata guardando Maria come "il
segno grandioso" (Ap. 12,1) che personifica la Chiesa stessa.
Vivere in rapporto con Maria significa essere coerenti con queste
realtà mariane che costituiscono una presenza attiva e materna:
Maria è l'"icona" della Chiesa, come una presenza attiva che è
mediazione materna e "salutare influsso" (LG 60).
Maria "permane nel cuore della Chiesa" (RMa 27), nelle sue
attitudini profonde di rapporto sponsale con Cristo, come vergine
che diventa madre ad esempio di Maria, mediante un cammino di
ascolto, di preghiera e di amore. Se "tutta la Chiesa è invitata a
vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con
gratitudine all'opera della salvezza, ciò essa fa con Maria e come
Maria, sua madre e modello" (RMi 92) .
In questo cammino storico della fede, verso l'incontro
definitivo con Cristo, la Chiesa sperimenta Maria che "sulla terra
brilla ora innanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di
sicura speranza" (LG 68; cf. RMa 51‑52). Per questo,
l'atteggiamento della Chiesa riguardo a Maria (atteggiamento
"spirituale" o secondo lo Spirito), è un atteggiamento di relazione
(preghiera, contemplazione....), di imitazione (fedeltà, virtù), di
celebrazione (liturgia del mistero pasquale), di esperienza (vita
dei santi e dei fedeli), di sapienza (teologia, ecc.).
Questo atteggiamento ecclesiale mariano costituisce la sua
"spiritualità", vale a dire, il suo modo di rispondere alla voce e
ai carismi dello Spirito Santo. Maria è il modello, la figura
dell'atteggiamento della Chiesa rispetto al Verbo (Parola di Dio) e
allo Spirito.
La spiritualità ecclesiale è, per sua natura, spiritualità
mariana e missionaria. Questa è, perciò, parte integrante della
spiritualità cristiana. Si può dire che la spiritualità mariana è
l'espressione fondamentale della spiritualità cristiana, poiché la
spiritualità di Maria è il Modello della spiritualità della Chiesa,
come atteggiamento di apertura al Verbo Incarnato, sotto l'azione
dello Spirito Santo. secondo i disegni salvifici del Padre.
Come studiare questa realtà ecclesiale mariana, che va al di là
della "devozione" e del "culto"? Qual'è la natura di questa
spiritualità, i suoi contenuti, la sua sintesi teologica?.
La Chiesa crede, celebra, vive e trasforma in preghiera il
mistero di Cristo. Vivere il mistero di Cristo, nato da Maria, e
che associa a Maria è la quintessenza della spiritualità mariana.
Si potrebbe studiare questa spiritualità mariana ecclesiale in
rapporto con la Chiesa mistero (segno portatore di Cristo),
comunione (fraternità), missione (evangelizzazione).
Come vive la Chiesa la presenza di Maria in questo cammino di
fede per essere fedele all'azione dello Spirito Santo? Come è la
sua spiritualità nel suo aspetto mariano?
4.Dinamismo della spiritualità mariana: contemplazione,
perfezione, evangelizzazione PRIVATE
A)Nel cammino della contemplazione, dimensione contemplativa
della spiritualità mariana della Chiesa
L'attitudine contemplativa della Chiesa è un'attitudine
profondamente mariana: "ascoltare" la parola col "cuore" aperto ai
piani di Dio (cf. Lc 2, 19.51). E' l'attitudine del ritorno
all'autenticità di un cuore, che si apre all'amore "in Spirito e
Verità" (Gv 4,23).
Nel Vangelo e negli scritti di Giovanni (il discepolo amato che
riceve Maria in "comunione di vita"), contemplare ("theorein")
significa: "vedere Gesù" (Gv 12,21), "vedere la sua gloria" (Gv
1,14; 2,11); vederlo perfino nel sepolcro vuoto, o nella foschia
del lago, con un atteggiamento di fede: "vide e credette" (Gv
20,8); "e' il Signore" (Gv 21,7). E' come vedere Gesù dove e quando
è invisibile, conoscerlo amandolo (Gv 10,14; 14,21). Da questo
incontro di vita con Cristo, scaturisce l'annuncio: "Vi annunciamo
quello che abbiamo visto e udito.... il Verbo della vita" (1Gv 1
1ss).
Precisamente perché la Scrittura è il "libro nel quale ognuno
può leggere il Verbo", bisogna ricevere la Parola di Dio con
atteggiamento mariano come quello di Giovanni.
L'attitudine contemplativa verso il Verbo incarnato, si attua
nella chiesa "meditando devotamente su Maria e contemplandola alla
luce del Verbo fatto uomo" (LG 65). La Chiesa impara a recitare con
Maria il "Magnificat", nel quale "traspare la personale esperienza
di Maria, l'estasi del suo cuore" (RMa 36).
La fede contemplativa di Maria, come modello della fede
contemplativa della Chiesa, equivale ad una "vita nascosta con
Cristo in Dio" (Col. 3,3), come "notte" dello Spirito (cf. RMa
17‑19). "Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a Cristo
nella sua spoliazione" (RMa 18). E' l'atteggiamento di "povertà"
biblica di chi è "beata per aver creduto" (Lc 1,45; cf. Gv
20,29).
L'atteggiamento mariano ed ecclesiale davanti al mistero, è
atteggiamento di adorazione, cioè di silenzio attivo, gioioso, di
ammirazione nel buio della fede. La riflessione e gli affetti
divengono accettazione amorosa, gioiosa del mistero, ammirando i
disegni di Dio con un silenzio di donazione totale di sé: "Essi non
compresero... sua Madre contemplava tutte queste parole nel suo
cuore" (Lc 2,50‑51).
Il processo di contemplazione è stato descritto dai santi in
diversi modi: come apertura graduale "all'acqua viva" o presenza
attiva dello Spirito; come entrando ogni volta di più nel più
profondo ("dimora") del cuore; come un itinerario per uscire dal
proprio Io (esodo) e per entrare nel silenzio di Dio (deserto) e
arrivare all'unione con Lui (Gerusalemme); come ascolto ("lettura")
della Parola per lasciarsi questionare ("meditazione"), chiedere
luce e forza ("preghiera" o "petizione") e unirsi totalmente ai
disegni di Dio amore ("contemplazione").
I "contemplativi", nel descrivere questo processo, prendono
Maria come modello di apertura totale alla Parola, e di unione
sponsale a Cristo. Il tema dello "sposalizio" (e matrimonio
spirituale) è un tema classico nelle espressioni sulla
contemplazione. Per ciò, la Chiesa, in questo processo
contemplativo, trova in Maria il suo modello e il suo aiuto "e si
va ognor più conformando col suo Sposo" (LG 65). Maria è "la donna"
(Gv 2,'4; 19,25: Gal. 4,4), che "acconsentendo" ai piani di Dio e
"associandosi" a Cristo (LG 65), è "Tipo della chiesa" per
"l'unione perfetta con Cristo" (LG 63).
Questa dimensione contemplativa della spiritualità mariana della
Chiesa, abbraccia persone e comunità, nei momenti più meditativi e
nei momenti più celebrativi. La persona è sempre persona (non
massificata), specialmente quando celebra in comunione ecclesiale i
misteri di Cristo. Meditando questi misteri e celebrandoli con
Maria, "la chiesa ammira ed esalta in Lei il frutto più eccelso
della redenzione" (SC 103), e "proclama il mistero pasquale"
compiuto in lei e in tutti i santi (SC 104).
La "lex orandi" della Chiesa è eminentemente Mariana, a partire
dalla "lex credendi" e tendendo verso la "lex vivendi". Maria è
garanzia di autenticità. "Lo Spirito Santo perfeziona costantemente
la fede con i suoi doni" (DV 5), quando trova nei credenti
l'atteggiamento mariano di apertura fedele e generosa.
Maria aiuta la Chiesa a "vedere" Cristo risorto quando sembra
non esserci. Nei momenti del "silenzio" di Dio, si scopre il Verbo
incarnato e risorto. E' Dio che parlando al cuore (Lc 24,32) dalla
"nube" del silenzio ci dice: "questo è il Figlio mio prediletto,
ascoltatelo" (Mt 17,5). Nei momenti di "assenza" di Dio, si scopre
la vicinanza dell'Emmanuele: "sono Io" (Gv 6,20); "sono con voi"
(Mt 28,20). Maria, la madre del Verbo fatto uomo e dell'Emmanuele,
ci indica il cammino della fede contemplativa e coinvolgente: "Fate
quello che vi dirà" (Gv 2,5).
B) Nel cammino di perfezione e di comunione
La santità o perfezione cristiana, consiste sempre nella carità,
come espressione delle beatitudini. "Tutti i fedeli, di qualsiasi
stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e
alla perfezione della carità" (LG 40).
"Dio è amore" (1Gv 4 8ss). In Dio questa carità è "comunione",
massima unità di donazione reciproca. Tra il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo, regna soltanto "la relazione pura" di amore
infinito. In ogni cuore umano e in ogni comunità deve riflettersi
la comunione Trinitaria come ha chiesto Gesù nell'ultima Cena: "Che
tutti siano una sola cosa. Come Tu, Padre, sei in me e io in Te...,
perché siano perfetti nell'unità" (Gv 17,21‑23). Tutta la Chiesa è
chiamata ad essere questa "unità" o comunione nel cuore e con i
fratelli: "Così la chiesa universale si presenta come un popolo
riunito nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG
4).
Maria "è madre nostra nell'ordine della grazia" perché:
"cooperò... all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la
speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale
delle anime" (LG 61). Ella continua a cooperare "con amore materno"
alla nostra "generazione e formazione" come fratelli in Cristo (LG
63; Rom. 8,29) e "figli nel Figlio" (cf. Ef. 1,5).
Senza dimenticare le matrici e i carismi di ogni vocazione, c'è
da sottolineare l'importanza della spiritualità mariana in rapporto
con tutto il processo di perfezione, per configurarsi pienamente a
Cristo, con l'esempio e l'aiuto di Maria. Il processo di perfezione
è un cammino di virtù e doni, per svuotarsi del falso Io e unirsi a
Dio. Maria è presente in tutte le tappe di questo processo di
purificazione, illuminazione e unione ("esodo", "deserto",
"Gerusalemme"). Lo sposalizio della Chiesa con Cristo, ha Maria
come modello e aiuto (LG 65).
L"esperienza dei santi fa capire la presenza attiva di Maria in
tutti i momenti della spiritualità cristiana (lex vivendi). E' il
cammino della fede, come "vita di fede" con Maria (RMa 48).
"L'anima perfetta diventa tale per mezzo di Maria". Ella è "guida e
maestra sicura". Bisogna imitarla specialmente "nelle virtù più
umili". "La Vergine fu costituita principio diffusivo di ogni
santificazione... La Chiesa intera attinge da lei la
santificazione".
La vita di comunione si manifesta nella comunità ecclesiale:
famiglia, piccole comunità, gruppi apostolici e di perfezione,
parrocchia, Chiesa particolare, Chiesa universale. Ogni comunità
ecclesiale, per il fatto di essere comunione, deve vivere questi
elementi essenziali: ascolto della Parola, orazione, celebrazione
eucaristica, condivisione dei beni. Sono elementi che appaiono
nella comunità ecclesiale primitiva (At. 2 e 3). "Ogni comunità,
infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo,
nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera incentrata
sull'Eucarestia, nella comunione espressa in unità di cuore e di
anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri (cf.
At 2,42‑47). Ogni comunità deve vivere in unità con la Chiesa
particolare e universale" (RMi 51).
Maria è punto di riferimento per vivere questa comunione
ecclesiale, come nel cenacolo di Gerusalemme: "Tutti erano assidui
e concordi nella preghiera... con Maria la Madre di Gesù" (At
1,14). La presenza attiva e materna di Maria guida la comunità a
trasmettere questa realtà di comunione a tutti i popoli: "Ella che
con le sue preghiere, aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in
cielo esaltata sopra tutti i Beati e gli Angeli, nella comunione
dei Santi interceda presso il Figlio suo insino a tanto che tutte
le famiglie di popoli sia quelle insignite del nome cristiano, sia
quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia
siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della
Santissima e indivisibile Trinità" (LG 69).
La presenza di Maria in ogni comunità, aiuta a perseguire un
cammino di perfezione che è cammino di comunione. La comunità
diventa scuola di contemplazione, santità, sequela evangelica,
missione. Il fondamento biblico della vita comunitaria indica la
continua presenza di Cristo che associa a sé Maria. Per questo la
comunità è segno efficace di santità e di missione (Mt 18,20; Gv
2,11‑12; 13,35‑37; 17,23; At 1,4; 4,32‑34).
La comunità ecclesiale, "con Maria e come Maria" (RMi 92),
diventa:
Scuola di vita in Cristo (Mt 12 46‑50):
Comunità che prega:incontro personale e comunitario con
Cristo,
Comunità che celebra il mistero di Cristo (liturgia),
Comunità che ama: incontro con i fratelli,
Comunità che si santifica: cammino di perfezione.
Scuola di generosità e perfezione evangelica (Gv 2,12):
Sposalizio con Cristo (castità),
Scambio dei beni (povertà),
Unione di volontà (obbedienza).
Scuola di Missionarietà (At 1,14):
Per l'annuncio della parola,
Per la celebrazione della salvezza,
Per i servizi di carità.
C) Maria nel cammino della missione, dimensione missionaria
della spiritualità mariana.
Il cammino della Chiesa, che è mistero e comunione, diventa per
sua stessa natura, cammino di missione. La contemplazione, la
sequela e la vita fraterna (che abbiamo visto prima) dispongono la
comunità ecclesiale a divenire missionaria e madre.
Nel Cenacolo di Gerusalemme, la Chiesa, insieme con Maria,
comincia la sua "nuova maternità nello Spirito" (RMa 47), che
costituisce la sua ragione d'essere, quindi la sua missionarietà.
In ogni periodo storico lo Spirito Santo fa possibile la missione
della Chiesa, trasmettendole nuove Grazie per "dare testimonianza
con l'audacia della risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo" (At
4,33).
I periodi più fecondi per l'evangelizzazione sono sempre stati
caratterizzati dalla presa di coscienza della maternità della
Chiesa. Questo è evidente in modo speciale nella vita e negli
scritti dei santi. Da questo "senso" di Chiesa si passa facilmente
a Maria, come tipo della maternità ecclesiale.
La maternità della Chiesa è "ministeriale" e "sacramentale" in
quanto opera attraverso i ministeri o servizi profetici, cultuali e
di carità, come segni efficaci e portatori di Cristo. "La Chiesa...
si fa madre attraverso la Parola di Dio accolta con fedeltà, poiché
con la predicazione, e il battesimo genera a una vita nuova e
immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da
Dio" (LG 64). In questa maternità apostolica la Chiesa imita Maria:
"Per questo nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda
a colei che generò Cristo, concepito dallo Spirito Santo e nato
dalla vergine, per nascere e crescere anche nei cuori dei fedeli
per mezzo della Chiesa" (LG 65).
L'essere e la funzione apostolica della Chiesa sono una
maternità permanente e universale. La natura di questa maternità è
quella di essere strumento salvifico. La permanenza di questa
maternità, può paragonarsi a quella di Maria: "Questa maternità di
Maria nella economia della grazia, perdura senza sosta dal momento
del consenso fedelmente prestato nell'Annunciazione, e mantenuto
senza esitazione sotto la Croce, fino al perpetuo coronamento di
tutti gli eletti" (LG 62).
Il rapporto tra la maternità di Maria e quella della Chiesa è
talmente stretto che si può parlare di una sola maternità (cf. RH
22). In verità è la maternità di Maria che si attua per mezzo della
Chiesa: "le parole che Gesù pronuncia dall'alto della Croce
significano che la maternità della sua genitrice trova una 'nuova'
continuazione nella Chiesa e mediante la Chiesa" (RMa 24).
Questa realtà materna, mariana ed ecclesiale, si basa nel fatto
che Cristo continua la sua presenza operante nei segni ecclesiali
(Mt 28,20), associando a sé Maria e la Chiesa (cf. Gv 19,25‑27). La
missione che la Chiesa ha ricevuto da Cristo (Gv 20,21‑22) si attua
sotto l'azione dello Spirito Santo. Essa annuncia, rende presente e
comunica Cristo perché sia realtà vivente nel cuore di ogni essere
umano.
Il termine "maternità" applicato alla missione della Chiesa,
trova il suo punto d'appoggio nella stessa dottrina di Gesù sulle
difficoltà dell'apostolato (cf. Gv 16,20‑22). S. Paolo fa uso di
questa terminologia persino paragonandola "ai dolori del parto"
(Gal. 4,19), in un contesto che è nello stesso tempo mariano (Gal
4,4‑7), apostolico (Gal. 4,19) ed ecclesiale (Gal. 4,26).
L'insegnamento paolino sulla maternità della Chiesa si basa sul
testo di Isaia che riguarda la nuova Sion o nuova Gerusalemme che
sarà madre di tutti i popoli (Is 54,1; 11,12). Questa nuova
Gerusalemme "è libera ed è nostra madre" (Gal. 4,26), ed ha la sua
origine "nella pienezza dei tempi", quando "Dio ha inviato il suo
Figlio nato da donna" (Gal 4,4). Tuta l'umanità è chiamata a
partecipare alla filiazione divina di Cristo per opera dello
Spirito Santo (Gal 4,6), poiché lui è "il Salvatore di tutti" (1Tim
4,10).
In ogni comunità ecclesiale si concretizza la maternità della
Chiesa (2Gv 1,4.13). Ogni credente riceve la vita divina per mezzo
della Chiesa o dei segni ecclesiali; per questo la fede nella
Chiesa si può esprimere in questo modo: "Credo nella santa madre
Chiesa". Perciò, nello stesso tempo, ogni credente è Chiesa madre,
come parte attiva ed integrante di una comunità che è madre per i
servizi profetici, cultuali e regali (cf. PO 6). Ogni comunità
ecclesiale, e specialmente la Chiesa particolare, si fa
responsabile di mettere in pratica questa maternità che è di
missionarietà universale.
La condizione della Chiesa peregrina fa capire il significato
delle difficoltà e persecuzioni. Queste tribolazioni fanno parte
della maternità e missionarietà della Chiesa e diventano fecondità
quando la vita si fa donazione. Questi sono "i dolori del parto"
inerenti alla vita apostolica (Gv 16,20‑21; Gal 4,19), che fanno
della Chiesa personificata in Maria "il grande segno" (Ap 12,1ss).
Cristo continua associando la Chiesa che deve essere consorte
(sposa) delle sue sofferenze (Ef 5,25ss), a imitazione di Maria che
è stata chiamata a condividere la "sorte" (spada) e "l'ora" di
Cristo (Lc 2,35; Gv 19,25‑27). I segni ecclesiali di questa
maternità, quali sono le vocazioni e i ministeri, partecipano di
questa dinamica evangelica di saper morire per risorgere con
Cristo, come "il chicco di frumento" (Gv 12,24).
Gesù continua associando Maria sua madre nell'applicazione della
redenzione, anche con la sua presenza attiva di risorto per mezzo
dei segni ecclesiali che costituiscono la maternità ministeriale e
sacramentale della Chiesa. In questa prospettiva salvifica, mariana
ed ecclesiale, si capisce meglio il principio patristico, ribadito
dal Concilio sul bisogno della Chiesa per la salvezza (cf. LG
14,16; AG 7).
Cristo è l'unico Salvatore, perché i semi evangelici che Dio ha
seminato in ogni cuore e in ogni popolo (culture, religioni...)
tendono, per se stessi a farsi esplicitamente Chiesa adesso su
questa terra. La maternità della Chiesa in rapporto alla maternità
di Maria, è strumento di Cristo, sia perché la salvezza raggiunga
ogni essere umano (ancora non esplicitamente cristiano), sia perché
tutta l'umanità arrivi un giorno ad essere esplicitamente la Chiesa
che Cristo ha istituito come segno visibile e sacramentale di
salvezza per tutti.
La maternità della Chiesa ha carattere "verginale" nel senso
della fedeltà alla Parola di Dio e all'azione dello Spirito Santo.
Questa fedeltà verginale, ad esempio di Maria, è fedeltà alla
dottrina (fede), alle promesse (speranza) e all'azione amorosa di
Dio (carità). La Chiesa è madre come mediatrice di verità, come
portatrice delle promesse divine e come strumento di vita
divina.
Nella misura in cui la Chiesa è vergine fedele, diventa anche
madre, sposa feconda, "sacramento universale di salvezza" (AG 1, in
relazione con AG 4). Maria è modello e aiuto di questa verginità
materna ecclesiale: "come già insegnava S. Ambrogio, la Madre di
Dio è Tipo della Chiesa nell'ordine cioè della fede, della carità e
della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della
Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre vergine, la
Beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo
eminente e singolare, quale vergine e quale madre" (LG 63: cf. RMa
44).
Il "senso" e l'amore di Chiesa, che equivale alla consapevolezza
fedele di essere Chiesa "mistero" (segno di Cristo) e "comunione"
(fraternità), porta necessariamente a responsabilizzarsi della
missione materna della Chiesa. La relazione con Maria nasce
spontaneamente nel cuore degli apostoli e della comunità che
desidera vivere la sua realtà integrale di Chiesa.
Nella Chiesa, tutti i segni sacramentali sono "mediazioni". In
realtà sono segni portatori di Cristo, unico Salvatore e Mediatore
(1Tim 2,5). Questa mediazione è, dunque, un'azione materna e
missionaria che comunica Cristo al mondo. Come la mediazione
mariana, così la mediazione ecclesiale è subordinazione a Cristo
unico Mediatore, è partecipazione all'unica mediazione del Signore
e ha caratteristiche di maternità.
La mediazione ecclesiale trova nella mediazione mariana la sua
figura o personificazione, il suo modello di cooperazione materna e
il suo aiuto per una attuazione adeguata. Anche Maria attua la sua
mediazione materna per mezzo della Chiesa. La maternità di Maria
"permane nella Chiesa come mediazione materna" (RMa 40). "La
maternità della Chiesa si attua non solo secondo il modello e la
figura della Madre di Dio, ma anche con la sua cooperazione" (RMa
44).
Inoltre "si può dire che la Chiesa apprenda da Maria anche la
propria maternità... perché, come Maria è al servizio del mistero
dell'Incarnazione, così la Chiesa rimane al servizio del mistero
dell'adozione a figli mediante la grazia" (RMa 43).
Si può ancora allagare la dimensione missionaria della
spiritualità mariana ad altri punti: Maria in ognuno dei ministeri
(profetici, liturgici, di animazione e di carità...); universalismo
della missione in relazione alla maternità di Maria e della Chiesa,
l'annuncio del Vangelo "ad gentes", confrontando Ef 3,6 ("gentili
coeredi") con Mt 2,1‑11 ("i Magi di Oriente... trovarono il bambino
con Maria"); la vicinanza ai più poveri (contenuto del
"Magnificat", secondo RMa 35‑37, Puebla 297, Santo Domingo 15);
inserimento nella situazione umana, storica, culturale, sociale
(Santuari, pietà popolare...); Maria nella nuova Evangelizzazione,
ecc.
_________________
Estratto da: Estratto da: Spiritualità mariana della Chiesa,
Esposizione sistematica (Roma, Centro Cultura Mariana, 1994), cap.
II e V.
Il tema è stato sviluppato in ulteriori pubblicazioni
dell’autore, con bibliografia aggiornata:
Teologia della evangelizzazione, Spiritualità missionaria
(Pontificia Università Urbaniana 1992), cap.XI.
Dizionario dell'Evangelizzazione (Napoli, Editrice Domenicana
Italiana, 2005). Voci: Spiritualità mariana,Spiritualità mariana
dell’apostolo, etc.
Dizionario di Missiologia (Pontificia Università Urbaniana,
1993), pp.329-332 (Maria nella missione della Chiesa)
Espiritualidad Mariana. María en el corazón de la Iglesia
(Valencia, EDICEP, 2009), cap.I, V-VI.
(9)
SPIRITUALITÀ SACERDOTALE PER UNA CHIESA MISSIONARIA
1.Spiritualità cristiana e spiritualità sacerdotale
La spiritualità cristiana è una vita secondo lo Spirito:
«camminiamo secondo lo Spirito» (Rm 8, 4); «vivete secondo lo
Spirito» (Rm 8, 9). Esattamente è il cammino o processo di santità
che consiste nell'amore o carità: «camminare nell'amore» (Ef 3,
2).
La spiritualità, come vita secondo lo Spirito Santo, che è
Spirito d'Amore, si centra nella carità e fa riferimento a Cristo
come «maestro, modello, ...iniziatore (autore) e consumatore» della
stessa santità cristiana. Per questo, «tutti sono chiamati alla
santità» (LG 39), in qualsiasi stato di vita e in qualsiasi
circostanza, «tutti i fedeli, di qualsiasi stato o condizione, sono
chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della
carità, e questa santità fa nascere un livello di vita più umano,
anche nella società terrena» (LG 40).
Così, tutta la Chiesa diventa trasparenza di Cristo (Chiesa
sacramento) in qualunque delle vocazioni o stati di vita: chiamata
alla santità (LG V); sacerdoti ministri (LG III): segno del Buon
Pastore; laici (LG IV): segno di Cristo in mezzo al mondo; vita
consacrata (LG VI): segno forte delle beatitudini.
Le strade dello Spirito, a partire dal battesimo, passano
attraverso le beatitudini (rispondere con l'amore in ogni
circostanza) e il mandato dell'amore (amare come Cristo): «Quindi,
tutti i fedeli cristiani, nelle condizioni, impegni o circostanze
della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose, si
santificheranno ogni giorno di più se accetteranno tutto con fede,
dalle mani del Padre celeste e collaborando con la volontà divina,
rendendo nota a tutti, anche nella loro dedizione agli impegni
temporali, la carità con la quale Dio ha amato il mondo» (LG
41).
Ogni cristiano si santifica nel proprio stato di vita e
circostanza attraverso un processo di sintonia con Cristo, nello
Spirito Santo, secondo i progetti o la volontà del Padre (cfr. Ef
2,18). Questo processo è di cambiamento o conversione (in criteri,
scala di valori e atteggiamenti) per immergersi (rifiorire) in
Cristo (pensare, sentire, amare come Lui). È dunque: partecipazione
e configurazione (Gal 3,27); unione, intimità, rapporto (Gv
6,56‑57; 15,9 ss.); somiglianza, imitazione (Mt 11,29); servizio,
esecuzione della volontà di Dio (Mc 3,35; 10,44‑45; Gv 14,16);
carità, vita nuova (Gv 13,14‑35; Rm 6,4; 13,10).
Le sfumature di questa spiritualità cristiana, comune a tutti,
sono molto varie. Cosicché si può parlare di spiritualità e scuole
diverse. Ci sono pure diverse dimensioni o prospettive sottolineate
da quelle scuole: trinitaria, cristologica, pneumatologica,
ecclesiale, missionaria, contemplativa, sociologico‑caritativa,
ecc. Vediamo alcune concretizzazioni, tutte esse radicate nella
stessa spiritualità cristiana fondamentale:
-- Spiritualità laicale, come fermento evangelico inserito nelle
strutture umane (LG 31).
-- Spiritualità della famiglia: come «testimoni e collaboratori
della fecondità della madre Chiesa» (LG 41); per «rivelare e
comunicare l'amore, come riflesso dell'amore di Dio e dell'amore di
Cristo verso la sua sposa, la Chiesa» (FC 17; cfr. GS 48).
-- Spiritualità del lavoro: trasformandolo in dono, poiché così
«l'uomo realizza se stesso... diventa più uomo» (LE 9).
-- Spiritualità della vita consacrata alla professione e pratica
permanente dei consigli evangelici: «come segno e stimolo della
carità e come una sorgente straordinaria di spirituale fecondità
nel mondo» (LG 42), «memoria vivente del modo di esistere e di
agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte
ai fratelli» (VC 22).
-- Spiritualità del sacerdote ministro: come «strumento vivo di
Cristo sacerdote» (PO 12), segno personale della carità del Buon
Pastore (cfr. PO 13), «una ripresentazione sacramentale di Gesù
Cristo, Capo e Pastore» (PDV 15).
-- Spiritualità missionaria, come disponibilità permanente per
l'evangelizzazione ad gentes (cfr. AG 23, 29).
Deve risultare chiaro che ogni cristiano è chiamato alla santità
senza riduzione e alla missione senza frontiere. «Tutti i fedeli
quindi sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla
perfezione nell'ambito del proprio stato. Tutti si sforzino di
orientare correttamente i propri affetti, affinché l'uso delle cose
del mondo e un attaccamento alle ricchezze, contrario allo spirito
di povertà evangelica, non impedisca loro la ricerca costante della
carità perfetta» (LG 42).
La spiritualità sacerdotale consiste nella sintonia con gli
atteggiamenti e le esperienze esistenziali di Cristo sacerdote,
Buon Pastore. Attraverso il sacramento dell'ordine, si partecipa
dell'essere sacerdotale di Cristo. Questa partecipazione ontologica
rende capaci di continuare l'azione sacerdotale del Buon Pastore.
La sintonia con la carità pastorale di Cristo è una conseguenza
della partecipazione al suo essere e alla sua funzione. La grazia
ricevuta nel sacramento dell'ordine rende possibile di compiere con
questo impegno. «Imitate ciò che fate» (rito dell'ordinazione).
Questa è la spiritualità specifica del sacerdote; per il sacerdote
diocesano secolare si farà concreta nelle grazie di appartenenza
permanente a una Chiesa locale, in rapporto di dipendenza nei
riguardi del carisma santificante di un successore degli apostoli e
nell'appartenenza a un presbiterio, anche in rapporto alla sua vita
spirituale: per il sacerdote cosiddetto religioso (appartenente ad
aggregazioni speciali) si renderà concreto nel carisma di
fondazione e di gruppo.
La fisionomia spirituale del sacerdote ministro e analogicamente
della persona consacrata, consiste nella trasparenza della carità
pastorale di Cristo, che compie il progetto salvifico del Padre,
facendo suoi i problemi degli uomini, dando la vita in
sacrificio.
L'esigenza e la possibilità di questa santità e spiritualità
sacerdotale partono dalla stessa natura del sacerdozio
ministeriale, come segno trasparente e sacramentale del Buon
Pastore: per ciò che è, per ciò che fa, per il suo rapporto
personale e la sua amicizia con Cristo.
La spiritualità sacerdotale e di vita consacrata è una risposta
alla chiamata di Cristo, che vuol bene a «i suoi» (Gv 13,1) come
sua «gloria» o trasparenza (Gv 16,14; 17,10), in sintonia con il
suo dono totale o immolazione (santificazione) al Padre:
«santificali nella verità... e mi sacrifico (santifico) per loro,
affinché essi siano santificati nella verità» (Gv 17, 17‑19).
Si tratta, dunque, di una santità o spiritualità «secondo
l'immagine del sommo ed eterno sacerdote», per essere «una
testimonianza viva di Dio» (LG 41). Il sacerdote è un «Gesù
vivente» (San Giovanni Eudes), cioè, «strumento vivo di Cristo
sacerdote» (PO 12), visto che: si trasforma in segno vivente di
Cristo nell'esercizio del ministero (PO 12‑13); diventa segno
trasparente di Cristo vivendo in sintonia o unità di vita con Lui
(PO 14); si fa segno del Buon Pastore imitando la sua carità
pastorale e tutte le altre virtù che da lei derivano (PO 15‑17),
senza dimenticare i mezzi comuni a ogni spiritualità cristiana e i
mezzi specifici della spiritualità sacerdotale (PO 18).
Vivendo la spiritualità sacerdotale, il sacerdote ministro si
rende segno credibile del Buon Pastore in un mondo che esige
autenticità (n.1), in una Chiesa sacramento o trasparenza e
strumento di Cristo (n.2) e in una nuova tappa di evangelizzazione
(n.3), che ha bisogno di sacerdoti fedeli alle nuove grazie dello
Spirito Santo (n.4). L'identità sacerdotale e della vita consacrata
ha le sue radici in questa spiritualità cristologica, ecclesiale e
antropologica.
2.La vita apostolica e il ministero apostolico al servizio del
popolo di Dio
Ogni credente è chiamato a esercitare un servizio ai fratelli,
rendendosi così complemento o strumento vivo di Cristo (Col 1,24).
Ognuno è un altro Cristo a seconda della propria vocazione e
missione. Le vocazioni e i ministeri sono, infatti, segno della
presenza attiva di Gesù risuscitato nella Chiesa e nel mondo (cfr.
Cap. VIII). Alcuni seguaci di Cristo, gli Apostoli, sono stati
eletti per essere espressione o segno personale di Cristo in quanto
capo, Sacerdote e Buon Pastore (Lc 6,12‑16; Mc 3,13‑19; PO
1-3).
Gesù ha voluto prolungarsi nella sua Chiesa attraverso servizi e
ministeri (Mt 28,20). Gesù ha voluto lasciare, tra il suo popolo
sacerdotale, questo segno speciale del suo essere, del suo agire e
della sua esperienza, nella linea di servizio dall'ultimo posto,
senza privilegi, né vantaggi umani (Lc 22,28).
I servizi che gli Apostoli (e i loro successori e immediati
collaboratori) prestano al popolo sacerdotale sono un prolungamento
dell'azione di Gesù, come suoi inviati che partecipano del suo
essere e, in modo speciale, della sua missione. Gesù comunica loro
(adesso attraverso il sacramento dell'ordine) una grazia speciale
dello Spirito Santo (Gv 16,14), perché siano la sua gloria e
trasparenza (Gv 17,10), per garantire il significato della sua
parola (Lc 10,16; Gv 15,26‑27) per continuare la sua presenza (Mt
28,20), il suo sacrificio della nuova alleanza (Lc 22,19), la sua
azione salvifica e sacramentale (Gv 20,21; Mc 16,20) e la sua
azione pastorale (Mt 28,19; At 1,8). Questa è la missione del
ministero apostolico dei dodici Apostoli e dei loro successori e
immediati collaboratori.
Questa scelta e ministero è un servizio o diaconia speciale, che
partecipa all'umiliazione («kenosis») di Cristo (Fil 2,5‑8), per
essere segno di come il Buon Pastore ama e per costruire la Chiesa
come comunione («koinonia») con Cristo e con tutti i fratelli (1 Pt
5,3; 1Cor 9,19; Mc 10,44).
La spiritualità di questa vocazione si concretizza nel seguire,
imitare e unirsi al Buon Pastore (carità pastorale), seguendo
l'esempio della vita apostolica dei Dodici, che si modella nella
fedeltà allo Spirito Santo come garante e agente della
consacrazione e della missione ricevuta da Cristo (cfr. Lc 4,18; At
1,4‑8).
3. Chiamata, sequela e missione degli Apostoli
L'elezione degli Apostoli e dei loro successori e immediati
collaboratori è stata e continua a essere iniziativa di Cristo: «ha
scelto coloro che ha voluto» (Mc 3,13; cfr. Gv 15,16). Il Signore
si avvicina alla situazione concreta in cui vive ciascuno per
pronunciare il seguimi come dichiarazione d'amore (Gv 1,43; Mt
4,18‑22; 9,9).
La sequela apostolica equivale a condividere la vita con Cristo
(Mc 3,14; cfr. Gv 15,27) come amicizia profonda (Gv 15,9‑15).
Visto che gli Apostoli si sarebbero convertiti in segno del Buon
Pastore, furono chiamati a imitare il suo modo di vivere, in
povertà, obbedienza e castità (Mt 8,21; 12,50; 19,12).
La nota di disinteresse assoluto si trova nel rapporto stretto
con la sequela per amore (Mt 19,27), per correre la stessa sorte di
Cristo Sposo e amico (Mc 10,38; Gv 11,16; 21,18‑19).
Gesù volle dar loro il nome di Apostoli, inviati, per
sottolineare la loro identità missionaria (Lc 6,13). Rendere
testimonianza a Cristo supponeva una condivisione di vita con Lui
(Gv 1,35‑46; 1Gv 1,1ss.; Gv 15,26‑27). In tal modo partecipavano
della stessa vita e missione di Cristo (Gv 17,18; 20,21) di
predicare e guarire, annunciando la penitenza e il perdono (Mt
10,5‑42; Mc 6,7‑13; Lc 10,1‑10). Questa missione si riassume in una
triplice prospettiva: insegnare, battezzare (santificare) e guidare
(Mt 28,19‑20; Mc 16,15‑20; Lc 24,45‑49).
Secondo i testi appena citati, Gesù ha trasmesso ai suoi questa
realtà pastorale e sacerdotale in modo stabile, attraverso diverse
tappe:
-- elezione,
-- invio (prima e dopo la risurrezione),
-- istituzione dell'eucaristia (ultima cena),
-- istituzione del sacramento del perdono (risurrezione),
-- comunicazione dello Spirito Santo (Pentecoste).
Il Concilio Vaticano II riassume così queste tappe
dell'istituzione apostolica: «Il Signore Gesù, dopo d'avere pregato
il Padre, chiamati così coloro che ha scelto, ne scelse dodici
perché vivessero con lui e per mandarli a predicare il regno di
Dio; costituì i dodici a modo di collegio, cioè, di gruppo stabile,
a capo del quale scelse Pietro... Prima li mandò ai figli d'Israele
e poi a tutte le genti... Nel giorno di Pentecoste furono
pienamente confermati per svolgere questa missione» (LG 19).
Conviene riconoscere lo stretto legame esistente tra
l'eucaristia e l'istituzione del sacerdozio ministeriale: «con le
parole "fate questo in memoria di me" (Lc 22,19; 1Cor 11,24) Cristo
costituì come sacerdoti i suoi Apostoli». Effettivamente,
l'eucaristia è la «sorgente e il culmine di tutta
l'evangelizzazione» (PO 5; cfr. LG 11) . In tal modo, Cristo
«lasciò alla sua amata sposa, la Chiesa, un sacrificio visibile,
come esige la natura degli uomini». È il mistero pasquale,
celebrato (e reso presente) nell'eucaristia, che deve essere
annunciato e vissuto da tutta la comunità ecclesiale e per tutta la
comunità umana.
Gli Apostoli, per incarico di Cristo, hanno trasmesso questa
realtà sacerdotale attraverso l'imposizione delle mani (sacramento
dell'ordine): «Lo stesso Signore, affinché i fedeli formassero un
solo corpo, nel quale tutti i membri svolgono la stessa funzione
(cfr. Rm 12,4), tra gli stessi fedeli scelse alcuni come ministri,
perché nella società dei credenti esercitassero il sacro potere
dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati, e
svolgessero pubblicamente l'ufficio sacerdotale degli uomini in
nome di Cristo. Così, quindi, mandati gli Apostoli come Lui era
stato mandato dal Padre, Cristo, per mezzo degli stessi Apostoli,
rese partecipi della sua stessa consacrazione e missione i loro
successori, che sono i vescovi, il cui incarico ministeriale, in
grado subordinato, fu dato ai presbiteri, affinché, costituiti
nell'ordine sacerdotale, fossero cooperatori dell'ordine episcopale
per compiere la missione apostolica affidata da Cristo» (PO 2; cfr.
LG 28).
La missione sacerdotale, come partecipazione alla funzione
pastorale di Cristo, risulterebbe incompleta se fosse separata
dalla vocazione e dalla sequela; si correrebbe il rischio di
professionalismo privilegiato, senza esigenze evangeliche. Cristo
conferisce la missione sacerdotale a coloro che Egli ha chiamato
per condividere la sua stessa vita di Buon Pastore. La carità
pastorale, come sequela e imitazione di Cristo, è la linea maestra
della spiritualità sacerdotale. Senza questa linea evangelica, il
sacerdote come persona non potrebbe incontrare la propria
identità.
4. I servitori del popolo sacerdotale: sacerdoti ministri
Ogni cristiano è servitore degli altri fratelli che formano la
comunità ecclesiale. Vocazione e carismi si concretizzano in
servizi e ministeri. Nelle comunità fondate dagli Apostoli vi erano
alcuni ministri (servitori) che esercitavano una certa direzione o
responsabilità, anche se in dipendenza da loro: i vescovi (At
20,28; 1Tm 3,2), presbiteri (At 11,30; 15,2ss.; 1Tm 5,17), guide,
presidenti, liturghi, diaconi, ecc. (Eb 13,7ss.; 1Ts 5,12; Ef 4,11;
1Cor 1,2; Rm 15,6; 1Tm 3,12; Fil 1,1).
Questa terminologia, un po' fluttuante, si stabilizzò con un
significato preciso nel II secolo. Sin dal III secolo, i vescovi e
presbiteri vengono chiamati «sacerdoti» (San Cipriano e San
Ippolito di Roma)
La diversità di carismi e servizi di ogni comunità troverà in
questi ministri, stabiliti dagli Apostoli, un principio di unità,
armonia e comunione ecclesiale.
L'autorità apostolica li considerò collaboratori immediati. Il
rito dell'imposizione delle mani, come trasmissione di una grazia
permanente dello Spirito Santo, era ciò che in seguito sarà
chiamato sacramento dell'ordine (cfr. At 6,1‑6; 13,1‑3; 14,23; 1Tm
4,14; 2Tm 1,6; Tt 1,5). Dopo la morte degli Apostoli, troviamo in
tutte le Chiese locali vescovi, presbiteri e diaconi, che
costituiscono il Presbiterio in stretta comunione con il vescovo
(cfr. San Ignazio d'Antiochia).
Si tratta, dunque, di ministri che continuavano, ognuno a
seconda del suo grado, i ministeri apostolici.
Questi ministri non si chiamano «sacerdoti» fino al secolo III
(con Tertulliano, san Cipriano, san Ippolito, ecc.). Però, sulla
scia di Cristo Scerdote, i riti e i gesti ministeriali hanno avuto
sempre una terminologia sacrificale e cultuale. Sono «ministri
della nuova alleanza» (2Cor 3,6) che ha sempre carattere di
sacrificio. Sono servitori di Cristo Mediatore (1Tm 2,5), sommo
Sacerdote e Vittima (Eb 9,11‑15). Sono, dunque, ministri e
servitori del popolo sacerdotale (1 Pt 2,4‑10; Ap 1,5‑6; 5,9‑10;
20,6).
Il fatto di esercitare la presidenza durante la celebrazione del
sacrificio eucaristico a nome e in persona di Cristo Sacerdote sarà
determinante per generalizzare il titolo di sacerdote ministro. Ciò
nonostante, bisognerà ricordare sempre che è un servizio
multiforme, che comprende armonicamente l'annuncio della parola, il
servizio dei sacramenti e la costruzione della comunità nella
comunione. I sacerdoti ministri sono testimoni qualificati della
morte e risurrezione di Cristo con la propria vita e con la
missione dell'annuncio, della celebrazione e della comunicazione
del mistero pasquale.
Gli Apostoli hanno ricevuto questa realtà sacerdotale
direttamente dallo stesso Gesù, dalla sua umanità vivificante come
sacramento fontale. Adesso i sacerdoti ministri (sacerdozio
ministeriale), attraverso il sacramento dell'ordine, ricevono
questa realtà sacerdotale, che li rende partecipi nell'essere,
nell'agire e nell'esperienza vissuta di Cristo Sacerdote e Buon
Pastore. Con il sacramento dell'ordine si conferisce la
consacrazione sacerdotale (carattere e grazia) ai chiamati dalla
Chiesa (attraverso il vescovo), per esercitare i ministeri
apostolici nel grado di vescovo, presbitero e diacono. I diaconi
non vengono chiamati sacerdoti.
«Essendo chiaro dalla testimonianza della Scrittura, dalla
tradizione apostolica e dal consenso unanime dei Padri, che
attraverso la sacra ordinazione, che si compie con la parola e i
segni esterni, si conferisce la grazia, nessuno può dubitare che
l'ordine è veramente e propriamente uno dei sette sacramenti della
santa Chiesa. Dice infatti l'Apostolo: Ti ammonisco che faccia
rivivere la grazia di Dio che è in te attraverso l'imposizione
delle mie mani» (DS 959).
Questa realtà sacerdotale, partecipata da Cristo, ha tre aspetti
principali:
-- elezione divina o vocazione del Signore, manifestata
attraverso la Chiesa,
-- consacrazione o partecipazione all'essere e all'operare di
Cristo, attraverso il sacramento dell'ordine,
-- missione o invio da parte di Cristo e attraverso la
Chiesa.
L'elezione o vocazione al sacerdozio ministeriale continua ad
essere un dono e iniziativa del Signore (cfr. n.2). È una grazia o
carisma. L'elezione di tutti in Cristo (cfr. Ef 1,3ss.) si concreta
nel sacerdote ministro come segno di Cristo in quanto Sacerdote,
capo e Buon Pastore, per operare in suo nome.
Questa vocazione giunge all'eletto per mezzo di mediazioni
ecclesiali: famiglia, educatori, testimonianze, dottrina, comunità
in generale, gerarchia... «Tuttavia, questa voce del Signore che
chiama non si deve pensare in nessun modo che giunga in forma
straordinaria alle orecchie del futuro presbitero. Piuttosto deve
essere ascoltata e riconosciuta attraverso i segni che
quotidianamente fanno conoscere ai cristiani prudenti la volontà di
Dio; segni che i presbiteri devono prendere in considerazione con
attenzione» (PO 11; cfr. OT 2). La Chiesa, attraverso il vescovo e
i suoi collaboratori, garantirà l'esistenza della vocazione
sacerdotale durante il periodo di formazione e specialmente nel
momento di ricevere il sacramento dell'ordine (cfr. il capitolo
VIII).
La consacrazione sacerdotale è partecipazione all'unzione di
Cristo (Lc 4,18; Gv 10,36). L'umanità di Cristo è unta
nell'incarnazione per opera dello Spirito Santo, cioè, è unita
ipostaticamente (o in unità di persona) al Verbo. Il sacerdote
ministro partecipa di questa unzione o consacrazione per mezzo del
carattere e della grazia che conferisce il sacramento dell'ordine.
«Con l'effusione sacramentale dello Spirito Santo che consacra e
manda, il presbitero viene configurato a Gesù Cristo Capo e Pastore
della Chiesa e viene mandato a compiere il ministero pastorale. In
tal modo, il sacerdote è segnato per sempre e in modo indelebile
nel suo essere come ministro di Gesù e della Chiesa» (PDV 70).
Il carattere sacramentale dell'ordine è un segno o qualità
indelebile, che configura il sacerdote ordinato con Cristo
Sacerdote perché possa agire in suo nome. «Il sacerdozio
(ministeriale)... è conferito attraverso quello speciale sacramento
con il quale i presbiteri, per mezzo dell'unzione dello Spirito
Santo, rimangono segnati con il carattere specifico, e così si
configurano con Cristo Sacerdote, potendo così operare come nella
persona di Cristo capo» (PO 2).
Ogni cristiano ha ricevuto il carattere del battesimo (e della
confermazione) che configura a Cristo Sacerdote. Il carattere del
sacramento dell'ordine conferisce una facoltà di agire a nome e in
persona di Cristo Sacerdote, maestro e pastore (cfr. PO 2,6; LG
28).
Il carattere è una partecipazione al potere e alla missione
sacerdotale e pastorale del Signore, che destina al servizio di
Cristo presente nell'eucaristia, nella sua Chiesa e nel mondo (cfr.
San Tommaso, III, q.63, a.16). «Il permanere di questa realtà, che
lascia un segno per tutta la vita (dottrina di fede, conosciuta
nella tradizione della Chiesa con il nome di carattere
sacerdotale), dimostra che Cristo associò a sé la Chiesa, in modo
permanente, per la salvezza del mondo e che la stessa Chiesa è
definitivamente consacrata a Cristo per compiere la sua opera. Il
ministro, la cui vita porta con sé il marchio del dono ricevuto per
mezzo del sacramento dell'ordine, ricorda alla Chiesa che il dono
di Dio è definitivo. Nella comunità cristiana che vive nello
Spirito, e nonostante le sue mancanze, è pegno della presenza
salvifica di Cristo» (Sinodo dei Vescovi del 1971).
La grazia speciale ricevuta nel sacramento dell'ordine
(differente dal carattere) aiuta a esercitare santamente la
funzione e la missione sacerdotale. In tal modo ci rendiamo
«strumenti vivi di Cristo Sacerdote» (PO 12), in sintonia con la
sua carità di Buon Pastore. E, dunque, una grazia che delinea la
fisionomia del sacerdote, per aiutarlo ad essere segno chiaro o
espressione di Cristo. Ha uno stretto rapporto con il carattere,
creando una certa unità che bisogna permanentemente ravvivare (2Tm
1, 6).
-- una sfumatura di carità pastorale per tutte le virtù
sacerdotali,
-- una sintonia d'esperienza con gli atti sacerdotali che si
compiono,
-- unione con Cristo in quanto Sacerdote e Vittima,
-- essere strumento cosciente e volontario (responsabile) di
Cristo,
-- santità per essere «dispensatore dei misteri di Dio» (1Cor
4,1).
Partecipare fedelmente e responsabilmente alla missione di
Cristo è una conseguenza della vocazione e della consacrazione
sacerdotale. La missione, che ha le sue radici nella realtà
sacerdotale, ha bisogno di rendersi esplicita attraverso l'incarico
della Chiesa. È, dunque, la missione di Cristo affidata agli
Apostoli (Gv 17,18; 20,21), estesa adesso alla Chiesa e ricevuta
per suo mezzo, secondo i diversi gradi e modi di partecipazione. È
una missione esercitata nella comunione ecclesiale.
Tutta la missione della Chiesa è profetica, cultuale e regale,
cioè, si esercita attraverso l'annuncio della Parola, la
celebrazione liturgica (specialmente eucaristica e sacramentale) e
i suoi servizi di carità e direzione della comunità. Il sacerdote
esercita tale missione a nome di Cristo capo e Buon Pastore, in
comunione con la Chiesa e in un equilibrio armonico e integrale
d'annuncio, celebrazione e comunicazione del mistero pasquale di
Cristo (PO 4‑6; cfr. capitolo IV).
5. Linee portanti della sequela evangelica degli apostoli
La sequela evangelica degli Apostoli è stata chiamata «vita
apostolica» o modo di vivere degli Apostoli («apostolica vivendi
forma»). Gesù ha dato facoltà di prolungare la sua parola, il suo
sacrificio e la sua azione salvifica ad alcuni dei suoi discepoli
che avevano lasciato tutto per seguirlo. Il servizio sacerdotale
degli Apostoli è strettamente legato alla continuità evangelica. La
linea di tutta la vita apostolica la riassume san Pietro: «Noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27).
La vita apostolica è incontro con Cristo, rapporto personale con
lui, scelta fondamentale per mezzo di lui, sequela e imitazione,
con l'intenzione di prolungarlo nel tempo e nello spazio.
I testi fondamentali dove appaiono le linee di forza di questa
sequela apostolica sono i seguenti:
-- La chiamata per una sequela senza condizioni: Mt 4,18‑22; Mc
3,13‑19.
-- L'invio con le caratteristiche della vita missionaria di
Cristo: Mt 10,1‑42 (4,23‑25); Lc 9,1‑6; 10,1‑2; Mc 6,7‑13.
-- La figura del Buon Pastore: Gv 10,1‑21 (Lc 15,1‑7).
-- L'ultima cena (eucaristia) e la preghiera sacerdotale: Gv
13‑17 (Lc 22,1‑39)
-- La vita evangelica del Signore: Mt 8,21 (povertà); Gv 10,18
(obbedienza del Buon Pastore); Mt 18,12 (castità per il regno).
-- Lo stile di servizio nel dirigere la comunità: 1 Pt 5,1‑5
-- Il riassunto della vita apostolica di Paolo: At 20,17‑38.
Queste linee appaiono in san Paolo attraverso i suoi scritti e
negli Atti degli Apostoli:
-- chiamata per iniziativa divina: Gal 1,5 (At 9,1‑19)
-- unione con Cristo: Gal 2,19‑20; Fil 1,21; 2Tm 1,12
-‑ ministro di Cristo e della sua Chiesa: 1Cor 4,1; Cor 5,20;
Col 1,25ss.
-- dispensatore dei misteri di Dio e riconciliatore degli uomini
con Dio: 2Cor 5,18.
-‑ strumento di grazia: 2Cor 3,8.
-‑ ministro dell'eucaristia: 1Cor 11,23‑24.
-‑ custode dell'autenticità della Parola: 1Tm 6,20.
-- servitore della comunità ecclesiale con umiltà e Povertà: At
20,17‑38: Fil 2,1-11.
-- carità evangelizzatrice e zelo apostolico senza confini: 2Cor
5,14; 11,28.
La sequela evangelica e radicale di Cristo è, principalmente
negli Apostoli, amicizia profonda (Gv 13,1; 15,9‑17.27). Solamente
a partire da questo amore si possono capire le esigenze della
sequela (Mt 8,18‑22). Si tratta di condividere la stessa sorte di
Cristo o di bere il suo calice d'alleanza (Mc 10,38; cfr. Lc
22,19‑20; Gv 18,11). Nei momenti di difficoltà è l'amore quello che
può far superare positivamente la situazione (Gv 6,67‑68;
16,20‑22).
La sequela, in rapporto alla missione apostolica, ha queste
caratteristiche:
-- carità come quella del Buon Pastore: dedizione, virtù
pastorali, servizio, vicinanza
-- missione totalizzante e universale: sotto l'azione dello
Spirito Santo, per evangelizzare i poveri e tutti i popoli
-- fraternità apostolica a servizio della comunità ecclesiale:
unità apostolica soprattutto nel Presbiterio, per costruire la
comunione della Chiesa locale.
La vita apostolica o vita evangelica degli Apostoli è sintonia
di vita e d'impegno con la carità e la missione del Buon Pastore,
nel suo amore al Padre (Eb 10,5‑7; Gv 4,34; 10,18; 17,4; Lc 23,46),
nel suo amore agli uomini (Mt 11,28‑30; 14,14; 15,32; Gv 10,14ss.),
fino a dare la vita in sacrificio per tutti (Gv 10,11ss.; Mt 20,28)
(cfr. Cap. II,2). È la carità pastorale che ha la sua radice nella
consacrazione e che orienta alla missione, per un servizio umile e
povero nell'essere un pane mangiato, dando se stesso agli altri
(cfr. Cap. V).
Da questa carità emana la missione totalizzante e universale
come partecipazione e prolungamento della stessa missione di Cristo
(Gv 17,18; 20,21), che si dirige verso tutti i popoli perché non ha
frontiere storiche, geografiche, culturali e settoriali (cfr. At
1,8; Mt 28,18‑20; Mc 16,15‑16; cfr. Cap. IV).
La fraternità apostolica è una conseguenza dell'essere
prolungamento di Cristo. L'unità o comunione di Cristo con il Padre
e lo Spirito Santo si esprime nella sua stessa unità di vita, in
armonia con i progetti salvifici di Dio amore: «colui che vede me,
vede il Padre» (Gv 14,9; 12,45‑46). Questa stessa unità di
comunione si riflette nella comunità ecclesiale, specialmente negli
apostoli: «che tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me
e io in te..., e il mondo creda che tu mi hai mandato... e li hai
amati come hai amato me» (Gv 17,21‑23). Nella Chiesa locale, la
comunione o unità fraterna nel Presbiterio è portatrice e segno
efficace di questa unità ecclesiale (cfr. Cap. VII).
Nel cammino storico della Chiesa, la vita evangelica degli
apostoli (vita apostolica) trova la sua forza nella celebrazione
eucaristica del mistero pasquale (SC 7,10,47). Il ministero di
rendere presente il sacrificio redentore di Cristo, morto e
risorto, richiede non solo l'annuncio e l'esperienza dello stesso,
ma anche la costruzione del Presbiterio e della comunità ecclesiale
nella comunione o unità di «un solo corpo» (Rm 12,5). A partire
dalla celebrazione eucaristica (come annuncio, celebrazione e
comunicazione), l'azione apostolica tende a fare dell'umanità
intera una comunione di fratelli. Il primo passo di questa
comunione, che è riflesso della comunione in Dio amore, uno e
trino, sarà la realtà di comunione ecclesiale nel gruppo apostolico
e nella comunità dei credenti.
Queste linee portanti della sequela evangelica degli apostoli si
andranno concretizzando in ogni epoca storica, in modo da formare
la base della fisionomia spirituale del sacerdote. L'applicazione
corretta dipenderà dalla fedeltà alle nuove grazie dello Spirito
Santo nelle circostanze sociologiche, culturali e storiche. Il
sacerdote deve essere «profumo di Cristo» (2Cor 2,15) o sua
«trasparenza» (Gv 17,10) nelle circostanze di luogo e di tempo per
l'uomo concreto.
6. Fedeltà alla missione dello Spirito Santo
Ogni battezzato (e cresimato) ha ricevuto il marchio (carattere)
e il pegno permanente dello Spirito Santo (Ef 1,13‑14). Attraverso
il sacramento dell'ordine, il sacerdote ministro ha ricevuto un
nuovo marchio o nuova grazia permanente dallo stesso Spirito (1Tm
4,14; 2Tm 1,6‑7), che lo rende partecipe dell'unzione e missione di
Cristo Sacerdote e Buon Pastore (Lc 4,18; Gv 10,36). La vita e il
ministero sacerdotale sarà un costante rinvigorimento di questo
dono dello Spirito, con un atteggiamento di discernimento e di
fedeltà. La vita spirituale è una «vita secondo lo Spirito» (Rm
8,4‑9).
Gesù, Sacerdote e Buon Pastore, fu concepito nel seno di Maria
per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18‑25; Lc 1,35), guidato dallo
Spirito per immergersi nel deserto (Lc 4,1) e per evangelizzare i
poveri (Lc 4,14.18). Lo stesso Gesù si presentò come il «consacrato
e inviat