1 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI Nell’era del digitale il mondo va molto più veloce di noi ed è praticamente impossibile restare al passo. E se la soluzione fosse, paradossalmente, rallentare? In una giornata-tipo, l’utente medio riceve circa 110 messaggi, controlla 34 volte il cellulare, si connette 5 volte a facebook e trascorre almeno mezz’ora a mettere “mi piace” sui contenuti degli amici. Le ore trascorse in rete sono circa 60 ogni mese (mlte di più per chi lavora con il web!), ovvero 720 ore all’anno, grosso modo 90 giornate di 8 ore ciascuna 1 . Le tecnologie (dalla mappa all’orologio, fino ad arrivare al world wide web) hanno modificato nel corso dei secoli il nostro modo di agire e, di conseguenza, la struttura e il funzionamento del nostro cervello. Questa facoltà, caratteristica del nostro cervello, di modificare la propria struttura per adattarsi alle circostanze si chiama neuroplasticità. Secondo Nick Bilton, giornalista del NY Times e autore del libro «Io vivo nel futuro» non c’è niente di allarmante: si tratta semplicemente di evoluzione. Nel suo «Internet ci rende stupidi?» Nicholas Carr cita l’incontro tra il dio egizio Teuth, inventore dell’alfabeto, e il re Thamus. Secondo quest’ultimo la scrittura non era altro che una sorta di “memoria esterna”. Dispensava infatti dal tenere a mente tutto ciò che, fino a quel momento, era stato trasmesso oralmente, indebolendo nell’uomo la capacità di memorizzare. Questo è senz’altro vero, ma possiamo dire che la scrittura sia una “cattiva invenzione”? Oggi possiamo disporre di memorie esterne sempre più efficienti. Non conosciamo più a memoria i numeri di telefono dei nostri amici perché il nostro smartphone li ricorda al posto nostro. Non abbiamo più bisogno di memorizzare un percorso perché abbiamo navigatori satellitari che lo fanno per noi. Queste invenzioni sono sensazionali e senz’altro utilissime, ma che ne è dei circuiti neuronali che ci permettono di orientarci e di memorizzare le informazioni? Se inutilizzati, si indeboliranno fino ad atrofizzarsi? È probabile di sì. E c’è chi trova che questo non sia poi così drammatico. Personalmente, senza allarmismi, credo che dovremmo essere in grado di telefonare a casa o in ufficio se perdiamo il nostro smartphone, e di ritrovare la strada anche quando il GPS non funziona. Non c’è niente di male nel far ricorso alla tecnologia per migliorare e facilitare la nostra vita, ma non dovremmo delegare ad essa le capacità che, in origine, risiedevano nel nostro cervello. 1 Christine Barois, «Pas besoin d’être tibétain pour méditer» – Solar éditions, 2015
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COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI - YOGA · COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI ... (mlte di più per chi lavora con il web!), ovvero 720 ore all’anno, grosso modo 90
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1 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati
COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI
Nell’era del digitale il mondo va molto più veloce di noi ed è praticamente impossibile
restare al passo. E se la soluzione fosse, paradossalmente, rallentare?
In una giornata-tipo, l’utente medio riceve circa 110 messaggi, controlla 34 volte il
cellulare, si connette 5 volte a facebook e trascorre almeno mezz’ora a mettere “mi piace”
sui contenuti degli amici. Le ore trascorse in rete sono circa 60 ogni mese (mlte di più per
chi lavora con il web!), ovvero 720 ore all’anno, grosso modo 90 giornate di 8 ore
ciascuna1.
Le tecnologie (dalla mappa all’orologio, fino ad arrivare al world wide web) hanno
modificato nel corso dei secoli il nostro modo di agire e, di conseguenza, la struttura e il
funzionamento del nostro cervello. Questa facoltà, caratteristica del nostro cervello, di
modificare la propria struttura per adattarsi alle circostanze si chiama neuroplasticità.
Secondo Nick Bilton, giornalista del NY Times e autore del libro «Io vivo nel futuro» non
c’è niente di allarmante: si tratta semplicemente di evoluzione. Nel suo «Internet ci rende
stupidi?» Nicholas Carr cita l’incontro tra il dio egizio Teuth, inventore dell’alfabeto, e il re
Thamus. Secondo quest’ultimo la scrittura non era altro che una sorta di “memoria
esterna”. Dispensava infatti dal tenere a mente tutto ciò che, fino a quel momento, era
stato trasmesso oralmente, indebolendo nell’uomo la capacità di memorizzare. Questo è
senz’altro vero, ma possiamo dire che la scrittura sia una “cattiva invenzione”?
Oggi possiamo disporre di memorie esterne sempre più efficienti. Non conosciamo più a
memoria i numeri di telefono dei nostri amici perché il nostro smartphone li ricorda al posto
nostro. Non abbiamo più bisogno di memorizzare un percorso perché abbiamo navigatori
satellitari che lo fanno per noi.
Queste invenzioni sono sensazionali e senz’altro utilissime, ma che ne è dei circuiti
neuronali che ci permettono di orientarci e di memorizzare le informazioni? Se inutilizzati,
si indeboliranno fino ad atrofizzarsi? È probabile di sì. E c’è chi trova che questo non sia
poi così drammatico. Personalmente, senza allarmismi, credo che dovremmo essere in
grado di telefonare a casa o in ufficio se perdiamo il nostro smartphone, e di ritrovare la
strada anche quando il GPS non funziona. Non c’è niente di male nel far ricorso alla
tecnologia per migliorare e facilitare la nostra vita, ma non dovremmo delegare ad essa le
capacità che, in origine, risiedevano nel nostro cervello.
1 Christine Barois, «Pas besoin d’être tibétain pour méditer» – Solar éditions, 2015
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sull’esperienza. È il caso di molte opere di manualistica, anche cartacee (si pensi alle
numerose, utilissime guide “per negati” e alla loro impostazione di facile (e veloce)
consultazione con titoli, sottotitoli, grassetti e riassunti.
C’è chi prevede il declino della scrittura stilistica per adeguarsi ad un linguaggio colloquiale
e più facilmente accessibile. Non credo che questo avverrà molto presto ma la tendenza
potrebbe essere quella. Resisteranno probabilmente i grandi classici, così come i loro
amatori, ma la loro conoscenza potrebbe essere appannaggio di un’élite, come è già
successo in passato.
Nicholas Carr afferma che «la rete può essere considerata l’ultimo di una serie di
strumenti che hanno contribuito a sgretolare la mente umana». Ma davvero non esiste
alternativa? Davvero siamo destinati a lasciare che la nostra mente si arrugginisca? Io
credo di no. Il segreto sta nella giusta misura.
Come sfruttare tutte le potenzialità della rete senza mettere a rischio il nostro cervello,
senza impigrire i flussi nelle nostre sinapsi, senza atrofizzare la nostra mente? La risposta
è semplice: continuando ad utilizzarla in modo da bilanciare gli effetti collaterali di quella
che è senza dubbio una grandissima innovazione.
Se cambiamo comportamento per un periodo sufficientemente prolungato, il nostro
cervello si adatta. I circuiti neuronali che permettevano di leggere per ore ininterrottamente
lasciano il posto a quelli, nuovi di zecca, che ci aiutano a saltare velocemente da uno
stimolo all’altro. Acquisiamo nuove competenze, a scapito di quelle vecchie. Ma questo
processo è davvero così ineluttabile? Lavorare sul web tutto il giorno è davvero
inconciliabile con il passare una serata immersi in un buon libro? Possiamo acquisire
nuove competenze senza perdere quelle vecchie? Certo che sì. Alcuni di noi lo fanno già,
spontaneamente. Altri constatano con orrore quanto le nuove abitudini influiscano
negativamente sulla capacità di concentrazione. Altri ancora si arrendono a quella che
considerano l’evidenza: il mondo cambia, bisogna stare al passo.
Fin qui abbiamo parlato di lettura ma questo è solo un esempio di come la rete stia
modificando i nostri atteggiamenti e, di conseguenza, le nostre menti. Cambia il modo di
comunicare, il modo di corteggiarsi, scompare la capacità di attendere, scatta il panico
quando il nostro interlocutore non è reperibile su nessuno dei mille canali disponibili. Non
esiste più il mistero: tutti possono sapere tutto di chiunque, basta “googlare” (il termine è
ormai entrato nei dizionari!) il nome e cognome di una persona.
Lo stesso è accaduto con altri strumenti tecnologici, dall’aratro in poi. «Quando un operaio
scambia il suo badile con un escavatore, la sua efficienza cresce, ma i muscoli delle sue
braccia si indeboliscono», scrive Carr.
Non mancano i disertori del web, particolarmente attenti alla loro privacy, che rifiutano di
entrare in questa giungla selvaggia. Ma credo siano destinati a scomparire, nei paesi
occidentali, nel giro di una generazione. La rete diventa sempre più indispensabile anche
nel lavoro e persino il viticoltore che lavora ancora la terra con le mani cura una pagina
facebook per far conoscere la sua azienda familiare. La rete offre innumerevoli opportunità
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e sarebbe un peccato rinunciarvi. L’importante è utilizzarla in modo consapevole e non
rimanere intrappolati nelle sue maglie.
Il tempo passato in rete è sempre maggiore, è sempre più difficile è staccarsi dal flusso di
informazioni. Ogni occasione, anche la più improbabile, è buona per dare un’occhiata agli
ultimi aggiornamenti. In momenti in cui non si vorrebbe o non si dovrebbe, diventa difficile
controllarsi. Senza contare il fatto che, una volta connessi, le informazioni ottenute
potrebbero portarci a voler approfondire, restando connessi più a lungo del previsto o
rimanendo intrappolati con il pensiero, nell’attesa di poter tornare a collegarsi. Siamo
letteralmente in balia di questo strumento. Non siamo più noi a controllarlo ma è lui che
controlla noi.
Secondo Jon kabat-Zinn3, l’onnipresenza della tecnologia nelle nostre vite, l’invasione
delle notifiche che ci interrompono in qualunque momento, la nostra attenzione è quasi
sempre parziale. Per questo è necessario coltivare la calma e la presenza mentale e
portarle nelle nostre case per farne un’oasi di pace.
IL MITO DEL MULTITASKING
Molto in voga negli anni scorsi, viene ora rinnegato dai suoi stessi fautori: impossibile fare
più cose contemporaneamente e farle bene. Io direi piuttosto che è impossibile fare più
cose contemporaneamente e STARE bene. Possiamo anche riuscire a portare a termine
correttamente più compiti insieme, tralasciando il fatto che il risultato sarebbe migliore se
ci consacrassimo completamente a ciascuno di essi. Ma come ci sentiamo? Riusciamo a
rispettare tutte le scadenze senza essere travolti dello stress? Possiamo destreggiarci tra
un compito e l’altro senza l’ansia del tempo che passa? Molti di noi risponderanno di sì. In
fondo ci siamo abituati. Ma provate a fermavi un attimo. Ci riuscite? Riuscite a stare fermi
per cinque minuti senza tirare fuori il vostro smartphone? Riuscite a staccare, a non
pensare ad uno dei mille progetti a cui state lavorando? Se la risposta è no, avete bisogno
di una vacanza. Non si tratta necessariamente di partire (anche perché oggi il lavoro ci
può seguire ovunque) ma di concedere una pausa alla nostra mente.
Non possiamo essere ovunque, non possiamo saper fare tutto, non possiamo essere
sempre in attività. Se lasciate il vostro computer o il vostro cellulare sempre acceso, dopo
un po’ inizierà a funzionare meno bene. Ogni tanto è bene spegnerlo per poi riavviarlo. Lo
stesso vale per la nostra mente. Ogni tanto ha bisogno di fermarsi per potersi rigenerare e
tornare al lavoro più efficiente che mai.
Ma come fare per fermare la mente? Facile a dirsi! Provate a non pensare a niente.
Chiudete un attimo gli occhi e non pensate a niente.
3 Jon Kabat-Zinn è medico e fondatore della Clinica per la Riduzione dello Stress ad Austin, Texas. È stato allievo del monaco buddista Thich Nhat Hanh e del maestro zen Seung Sahn.
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Come è andata? Praticamente impossibile, vero?
In realtà non si può fermare la mente, la si può soltanto guardare con distacco. Durante la
giornata (e spesso anche di notte) siamo bombardati da ogni tipo di stimolo. Ciascuno ci
spinge all’azione, lasciandoci ben poco tempo per fermarci riposarci e ricaricare le
batterie.
Un ottimo modo per “staccare” è trascorrere del tempo in mezzo alla natura. Secondo la
Attention Restoration Theory (ART), esposta da Rachel e Stephen Kaplan nel loro libro
«The experience of nature: A psychological perspective» (1989), la natura è ricca di stimoli
«soft». Cose che catturano la nostra attenzione ma non richiedono alcuno sforzo da parte
nostra. Pensate alle nuvole che scorrono nel cielo, al fruscìo delle foglie o al susseguirsi
delle onde del mare. Il tempo passato a contatto con la natura rafforza la capacità di
attenzione, migliora la memoria e le capacità cognitive. In poche parole, la natura aiuta il
nostro cervello a rigenerarsi.
Sfruttare ogni possibile occasione per trascorrere del tempo all’aria aperta è senz’altro un
ottimo sistema per combattere gli effetti collaterali dell’iperstimolazione di cui siamo tutti
vittime.
Secondo Carr, la tranquillità mentale è necessaria non soltanto per motivi di produttività,
ma anche per poter esercitare comprensione ed empatia. Più siamo calmi, più siamo
aperti e disponibili all’ascolto. Più siamo stressati e di fretta, più siamo centrati su noi
stessi.
MEDITARE: ROBA DA BUDDHISTI?
Un’altra strategia utile per calmare la mente e contrastare gli effetti dell’overdose da
tecnologia è la meditazione. Meditare non significa stare seduti ad oziare, e neppure “non
pensare a niente”. Meditare significa esercitare il controllo sulla mente.
Guardare un mare in tempesta può essere un’esperienza molto piacevole. Nuotarci dentro
è decisamente più faticoso, oltre che rischioso. La meditazione non mira a fermare il flusso
dei pensieri (le onde del mare) ma ci aiuta a guardarli dal di fuori. Ci insegna ad osservare
le onde invece di essere travolti da esse.
Meditare significa starsene al sicuro e all’asciutto, anche durante una tempesta.
(Clicca per twittare questa frase)
Nella Bhagavad Gita, uno dei principali testi sacri della tradizione induista, la nostra mente
è paragonata ad un cavallo imbizzarrito. Se lo cavalchiamo rischiamo di farci male, se non
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semplicemente prendete in mano le redini e riportatelo sulla retta via. Poco per volta
imparerà a rimanerci.
Concedetevi delle pause prestabilite (se necessario puntate un timer) durante le quali
potrete fare due passi, qualche addominale o un po’ di stretching, o semplicemente
prendere un caffè. Approfittatene per fare un giro sui social network e per controllare la
vostra casella di posta elettronica, ma rispettate un tempo prestabilito.
Anche nel cambiare le vostre abitudini, non dimenticate di fare una cosa alla volta. Se
decidete di cambiare completamente dall’oggi al domani avrete grandi difficoltà,
probabilmente fallirete nel vostro intento e vi sentirete degli incapaci. Fissatevi un obiettivo
alla volta ed inseritelo nella vostra lista. Quando da obiettivo si sarà trasformato in
abitudine, passate alla tappa successiva.
IMPARARE A DIRE NO
Ogni decisione dovrebbe essere dettata dal cuore o dalla necessità. Ci sono cose che
facciamo controvoglia ma che fanno parte del nostro dovere. Ce ne sono altre che
facciamo perché ne siamo convinti e felici. E poi ci sono cose che facciamo perché… non
abbiamo saputo dire di no.
Partecipare ad un evento che non ci interessa perché quel collega ha insistito tanto,
accettare (ancora!) un’ora di straordinari per fare buona impressione al capo, studiare
giurisprudenza per compiacere i genitori. Non c’è niente di male nell’accettare di fare gli
straordinari se il motivo è, ad esempio, mettere da parte i soldi per un viaggio. Né nel
partecipare ad un evento al quale siamo totalmente estranei, se abbiamo voglia di
cambiare un po’ aria.
Ma fare le cose perché, semplicemente, non si è stati capaci di dire di no, è un incredibile
spreco di tempo, oltre che un’enorme fonte di frustrazione. Non è detto che da una cosa
fatta controvoglia, perché ci si sentiva obbligati, non nasca una bella opportunità. Ma
dovremmo essere in grado di rispettare noi stessi, di farci rispettare e di far valere le
nostre ragioni.
Spesso chi non sa dire no ha anche difficoltà ad accettare i “no”. Se vediamo il rifiuto di
accontentare una nostra richiesta come un rifiuto della nostra persona, applicheremo lo
stesso principio anche agli altri, e saremo incapaci di dire no alle persone che amiamo o
dalle quali dipendiamo.
Ma il nostro tempo non è inesauribile, e spesso abbiamo grandi difficoltà a far quadrare
tutti gli impegni e a ritagliarci qualche ora da passare in famiglia o con gli amici. Non
sprechiamolo. Non vi sto dicendo di diventare egoisti. Accompagnare la vostra migliore
amica a scegliere il vestito da sposa quando siete appena state scaricate può essere un
atto di generosità. C’è differenza fra generosità e incapacità di affermarsi. Chiedetevi
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sempre perché state per dire “sì”. Lo fate per amore? Va bene. Lo fate perché vi sentite
obbligati? Allora è la risposta sbagliata. Il nostro tempo – dice Babauta8 – è il nostro bene
più prezioso. Ed è limitato. Gestiamolo efficacemente, amministrandolo con il cervello e
con il cuore.
Come raggiungere quello che Dominique Loreau definisce «un sano equilibrio tra
prendere al volo ogni opportunità che si presenta e rimanere seduti a far niente»?
Investendo le vostre energie esclusivamente su ciò che conta davvero per voi: che si tratti
di un’acquisizione materiale, di un impegno professionale o di una decisione familiare,
chiedetevi sempre se quello che state facendo merita il vostro investimento in termini di
tempo/denaro/energia, e quali sarebbero le conseguenze se vi rinunciaste. Non si tratta di
“gettare la spugna” ma di consacrare il proprio tempo a ciò che conta davvero, a ciò che ci
porta verso i nostri obiettivi principali.
Le filosofie orientali parlano di “non attaccamento”, il che non significa – come potremmo
erroneamente immaginare con le nostre mentalità occidentali - non curarsi di nulla e di
nessuno ma, al contrario, avere un atteggiamento equanime nei confronti di tutte le
creature e tutte le situazioni. Un traguardo difficile da raggiungere. Un percorso che può
richiedere non una ma addirittura più vite. Possiamo però fare ogni giorno un passo in
quella direzione. Ma perché, vi starete chiedendo, coltivare il non attaccamento?
Perché non attaccamento significa libertà. Chi dipende dagli altri, scrive la Loreau, è un
mendicante. Se misuriamo il nostro valore in base ai nostri successi professionali, allo
status sociale che abbiamo raggiunto o ai beni materiali che possiamo permetterci, siamo
estremamente fragili e, privati di queste cose, abbiamo la sensazione di non valere nulla.
Siamo in balìa degli eventi e la crisi economica può intaccarci non solo nel portafogli ma
anche nell’autostima.
Se viaggiate con il minimo indispensabile vi muovete agevolmente e senza fatica. Se vi
portate dietro un bagaglio ingombrante, ogni passo sarà una fatica immensa.
DIGITAL DETOX
Nell’era dell’overdose digitale prende piede la moda del digital detox. E nei locali pubblici
si alternano i cartelli «Wi-Fi Zone» e quelli «Non abbiamo il Wi-Fi: parlate tra di voi». Può
senz’altro essere utile prendersi una pausa, magari durante le vacanze o durante il fine
settimana. Potrete anche stabilire un giorno a settimana durante il quale decidete di non
connettervi affatto. Per molti di noi sarà una vera e propria sofferenza: siamo abituati ad
un flusso costante di notizie e ci sembra di averne bisogno9. In realtà la maggior parte
delle informazioni dalle quali siamo bombardati ogni giorno sono completamente inutili. Le
altre, salvo rarissime eccezioni, possono tranquillamente attendere 24 ore.
8 Leo Babauta, “The Power of Less” – Hyperion 2009 9 Il fenomeno si chiama FOMO (Fear Of Missing Out, ovvero paura di perdersi qualcosa) ed è stato oggetto di studio da parte del Wilderness & Environmental Medicine Journal, n. 4, 2013
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Claudia Porta Blogger, autrice, insegnante di yoga, meditazione e mindfulness. Insegno dal vivo ma anche tramite video-lezioni su youtube e attraverso l'app iOS 10minyoga. BLOG FACEBOOK TWITTER YOUTUBE APP