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95 MASSIMO PALERMO Come «un caos che si arricchisca di determinazioni» Osservazioni sull’architettura testuale di Gadda Per il linguista che si accosti con i consueti strumenti alla prosa di Gadda è in agguato il rischio di rimanere, giunto al termine dello spoglio, col carniere assai pieno di dati ma assai povero di conclusioni. Lo aveva intuito Gian Carlo Roscioni: Chi voglia isolare, nell’opera di Gadda, gli elementi linguistici o tematici che ser- vano di base a un’interpretazione troppo rigidamente orientata, se ha proceduto a un inventario un po’ sistematico del proprio materiale di studio, si troverà, a lavoro ultimato, il tavolo ingombro di schede che infirmano le sue conclusioni, che confutano la sua tesi 1 . Occorre in sostanza prendere atto del fatto che nell’impasto linguistico gaddiano convivono ingredienti discordanti e che essi sono riplasmati dall’autore fino ad assumere consistenza e sapore diversi da quelli che hanno non solo nella lingua comune, ma nella gran parte della scrittura letteraria. Pur non mancando ottimi studi sulla sintassi e sullo stile 2 , nella bibliografia si è prevalentemente insistito sui correlati linguistici delle operazioni che agiscono a livello di parola 3 . Il catalogo delle dissonanze 1 G.C. Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 1995 (I ed. 1969), p. 144. 2 Punto di riferimento imprescindibile per le indagini sulla sintassi e la costruzione testuale gaddiana sono i lavori di E. Manzotti, in particolare Note sulla sintassi della “Co- gnizione”, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di Letteratura e Filologia, a c. di F. Alessio e A. Stella, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 343-379 (che citerò dalla versione digitale pre- sente in rete: www.gadda.ed.ac.uk, priva di indicazione delle pagine) e le pagine dedicate a sintassi e stile di «La cognizione del dolore» di Carlo Emilio Gadda, in Letteratura italiana. Le opere, IV/2, a c. di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, pp. 201-337. 3 Ecco, a mo’ di esempio, il catalogo proposto da Roscioni, La disarmonia cit., p. 11: «inconsuete aggettivazioni di sostantivi, permutazioni denominali e deverbali, perifrasi aggettivali, costruzioni giustappositive, incroci e composti d’ogni specie ecc. E, con essi, LINGUA E STILE, XLIX, giugno 2014
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Come «un caos che si arricchisca di determinazioni». Osservazioni sull’architettura testuale di Gadda, Lingua e stile, 2014

Feb 26, 2023

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MassiMo PalerMo

Come «un caos che si arricchisca di determinazioni»Osservazioni sull’architettura testuale di Gadda

Per il linguista che si accosti con i consueti strumenti alla prosa di Gadda è in agguato il rischio di rimanere, giunto al termine dello spoglio, col carniere assai pieno di dati ma assai povero di conclusioni. Lo aveva intuito Gian Carlo Roscioni:

Chi voglia isolare, nell’opera di Gadda, gli elementi linguistici o tematici che ser-vano di base a un’interpretazione troppo rigidamente orientata, se ha proceduto a un inventario un po’ sistematico del proprio materiale di studio, si troverà, a lavoro ultimato, il tavolo ingombro di schede che infirmano le sue conclusioni, che confutano la sua tesi 1.

Occorre in sostanza prendere atto del fatto che nell’impasto linguistico gaddiano convivono ingredienti discordanti e che essi sono riplasmati dall’autore fino ad assumere consistenza e sapore diversi da quelli che hanno non solo nella lingua comune, ma nella gran parte della scrittura letteraria. Pur non mancando ottimi studi sulla sintassi e sullo stile 2, nella bibliografia si è prevalentemente insistito sui correlati linguistici delle operazioni che agiscono a livello di parola 3. Il catalogo delle dissonanze

1 G.C. Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 1995 (I ed. 1969), p. 144. 2 Punto di riferimento imprescindibile per le indagini sulla sintassi e la costruzione

testuale gaddiana sono i lavori di E. Manzotti, in particolare Note sulla sintassi della “Co-gnizione”, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di Letteratura e Filologia, a c. di F. Alessio e A. Stella, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 343-379 (che citerò dalla versione digitale pre-sente in rete: www.gadda.ed.ac.uk, priva di indicazione delle pagine) e le pagine dedicate a sintassi e stile di «La cognizione del dolore» di Carlo Emilio Gadda, in Letteratura italiana. Le opere, IV/2, a c. di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, pp. 201-337.

3 Ecco, a mo’ di esempio, il catalogo proposto da Roscioni, La disarmonia cit., p. 11: «inconsuete aggettivazioni di sostantivi, permutazioni denominali e deverbali, perifrasi aggettivali, costruzioni giustappositive, incroci e composti d’ogni specie ecc. E, con essi,

lingua e stile, XliX, giugno 2014

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può in realtà estendersi anche alle modalità della costruzione periodale e dell’organizzazione testuale: basti osservare che da un lato la sua sintassi «si muove tra i due estremi del gigantismo di imponenti macchine frasali e dell’ascesi paratattica» 4, dall’altro la costruzione della progressione te-matica attinge a una pluralità di risorse distinte, a tratti eterogenee.

Su tale scorta, nelle pagine seguenti analizzerò alcuni moduli sintattici presenti nelle due opere maggiori di Gadda: La cognizione del dolore e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana 5. Lungi dal pretendere di esau-rire la lista dei fenomeni significativi, l’obiettivo è tentare, anche grazie agli strumenti di analisi messi a disposizione dalla linguistica del testo, una lettura unificante di fenomeni in apparenza irrelati. Mi soffermerò in particolare sulla resa dei riferimenti deittici e anaforici, sui moduli che rendono possibile la segmentazione a livello di frase e su altre costru-zioni convergenti nel conferire un particolare andamento alla progres-sione tematica.

In premessa alcune considerazioni sul rapporto tra teoria e prassi. Nella bibliografia è stata più volte sottolineata l’importanza delle rifles-sioni di Gadda sul problema della lingua e dello stile. Ripercorriamo qui selettivamente alcuni momenti di tale percorso, utili ai fini della nostra ricognizione.

In una nota del settembre 1924 del Racconto italiano di ignoto del No-vecento, lo scrittore mette nero su bianco alcuni dubbi legati alla rappre-sentazione della voce e del punto di vista nel romanzo 6:

tutti gli accorgimenti che permettono di esperire e sfruttare, in ogni possibile direzione, il potenziale semantico delle parole, come le estensioni di morfemi, le ipostasi, le grafie etimologiche, per non parlare dei frequentissimi vocaboli e stilemi in “un italiano raggiunto partendo dal dialetto” o da altre lingue».

4 E. Manzotti, «La cognizione del dolore» cit., p. 295. 5 I testi di Gadda sono citati dall’edizione diretta da Dante Isella, Milano Garzanti,

1988-1993, con queste abbreviazioni: CU = Il castello di Udine (in Romanzi e racconti, I, pp. 109-281); C = La cognizione del dolore (in Romanzi e racconti, I, pp. 565-755); P = Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (in Romanzi e racconti, II, pp. 11-276); VM = I viaggi la morte (in Saggi, giornali, favole, I, pp. 427, 667); MM = Meditazione milanese (in Scritti vari e postumi, pp. 615-792); RI = Racconto italiano di ignoto del Novecento (in Scritti vari e postumi, pp. 389-613). Di altri testi citati occasionalmente non presenti nell’edizione Isella si è dato il riferimento completo.

6 Sulla polifonia nei romanzi di Gadda si rimanda a C. Segre, Punto di vista, polifo-nia ed espressionismo nel romanzo italiano, in Id., Intrecci di voci, Torino, Einaudi, 1991, pp. 27-44; a G. Guglielmi, I paradossi di Gadda, in Id., La prosa italiana del Novecento I,

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Bisogna ponderare altresì se il romanzo deve essere condotto “ab interiore” o “ab exteriore”. Nel primo caso vi è un lirismo della rappresentazione attraverso i personaggi. Nel secondo caso vi può essere un lirismo attraverso “l’autore”. Comunque le due condotte si possono confondere. Certo è difficile per me ora vedere quale deve essere il punto di vista “organizzatore” della rappresentazione complessa 7.

Dopo aver enumerato la molteplicità degli stili a disposizione del nar-ratore e aver riconosciuto a Manzoni il pregio dell’omogeneità 8, si do-manda: «A quale [stile] afferrarmi per l’attacco alla gloria? Mi rincresce, mi è sempre rincresciuto rinunciare a qualcosa che mi fosse possibile. È questo il mio male. Bisognerà o fondere (difficilissimo) o eleggere». La risposta sarebbe arrivata con le opere successive. Del resto, a questa al-tezza lo scrittore nutre ancora timori reverenziali nei confronti del giudi-zio altrui:

se io scrivessi ogni intuizione col suo stile, sarei accusato di variabilità, eteroge-neità, mancanza di fusione, mancanza di armonia, et similia.

Proprio questi, che al giovane Gadda apparivano difetti, sarebbero stati i punti di forza del suo stile. Comunque, già allora gli era ben chiaro che la scelta del punto di vista avrebbe tirato a sé quella dello stile «poiché evidentemente la espressione deve commisurarsi a esso punto di vista».

Con queste riflessioni, di cui Segre ha evidenziato la modernità anche in rapporto agli sviluppi della linguistica e della narratologia novecente-sche 9, siamo non sul piano di una semplice quête dello stile, ma su quello di un più profondo ragionamento filosofico, che finirà per suggerire al narratore la sua miscela linguistica. Egli stesso sottolinea il valore non semplicemente estetico delle opzioni stilistiche:

Torino, Einaudi, 1986, pp. 211-243, e al recente lavoro di C. Verbaro, La cognizione della pluralità. Letteratura e conoscenza in Carlo Emilio Gadda, Firenze, Le Lettere, 2005.

7 Questa e le successive citazioni sono in RI, p. 461. 8 «Il Manzoni è tra i più omogenei. I P.S. si direbbero un’intuizione unica, continuata,

fatta con un solo metallo anche formalmente». 9 C. Segre, Intrecci di voci cit., pp. 27-44. Sull’interesse con cui Gadda ascoltava le

spiegazioni di linguistica generale offertegli dall’amico Gianfranco Contini si veda l’inte-ressante rievocazione autobiografica presente in G. Contini, Lo strano ingegner Gadda, in Romanzi e racconti cit., I, pp. XI-XVI: XIV.

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Lo stile mi è imposto dalla passione (intuizione) del momento e [...] lo scrivere con uno stile pre-voluto è uno sforzo bestiale, se questo non è lo stile corrispon-dente al “mio momento conoscitivo”.

Il tema del rapporto tra lingua e conoscenza, così precocemente focaliz-zato da Gadda, torna a costituire dopo pochi anni oggetto di riflessione nella Meditazione milanese. Di particolare interesse le osservazioni che ri-guardano la relatività del punto di osservazione. La «deformazione cono-scitiva» e la conseguente «ermeneutica a soluzioni multiple» è visualizzata attraverso il paragone del «sistema montuoso che secondo i punti di os-servazione si deforma all’occhio dell’esploratore» (MM, p. 748). Di conse-guenza il punto di vista non può essere unico, e qualsiasi referente è pas-sibile di infinite rappresentazioni sulla pagina. Transitando dalla filosofia alla linguistica, osserviamo che la disintegrazione del punto di vista unico concettualizzata nella Meditazione milanese avrà conseguenze importanti, nella prosa di Gadda, sulla resa di tutti i fatti grammaticali legati alla de-terminazione del campo indicale, dell’origo in senso bühleriano. Torne-remo più avanti sui procedimenti utilizzati a tal fine da Gadda narratore.

A un livello più divulgativo, la problematicità nell’individuazione dei punti di riferimento sarà affrontata nella nota iniziale alla Cognizione, poi non accolta dall’autore nel testo definitivo:

I fatti enarrati nel presente racconto occorsero in un paese del Sud America dove si riscontrano alcuni fenomeni che è assolutamente necessario di tener presente: 1.) la inversione delle stagioni in rapporto all’andamento dell’emisfero boreale, per cui settembre è marzo, ottobre è l’aprile, novembre è maggio, e viceversa. 2.) Il sole [...]. 3) Le costellazioni [...]. Tuttavia l’Autore, preso consiglio da fisici illuminati e cogniti altresì delle questioni di lettere, ha ritenuto di dovere adot-tare le notazioni astronomiche e stagionali, i nomi de’ mesi in rapporto al ciclo stagionale proprii del nostro emisfero come più prossimi alla immaginativa dei suoi lettori d’Europa, e massime poi degli Italiani, che gli stanno particolarmente a cuore [...] 10.

10 Si tratta della Nota iniziale. La si può leggere nell’ed. critica a c. di E. Manzotti, Torino, Einaudi, 1987, pp. 509-510. Rimangono tuttavia nel testo alcuni riferimenti iro-nici, pretesto per stoccate anticarducciane; per es. quando il medico risponde a Gonzalo: «Quando uno pensa un qualchecosa deve pur dire: io penso.... penso che il sole ci pas-seggia sulla cucùrbita, da destra a sinistra....». (Nel Sud-America, difatti, e nella Canzone di Legnano)» (C, p. 635). Il riferimento polemico è a un errore commesso dal Carducci

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Se determinare i punti di riferimento è la premessa indispensabile per connettere la realtà extralinguistica a quella linguistica, nel sistema di Gadda questo momento fondativo del trasferimento della realtà sul piano del testo è minato alla radice dallo scetticismo circa la possibilità di predi-care alcunché per il tramite della categoria «persona». Quella di Gadda è in altre parole una «filosofia che nega il soggetto e l’oggetto (o li ammette soltanto come termini provvisori di una relazione)» 11:

....I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta, come tutti quelli che hanno i pidocchi.... e nelle unghie, allora.... ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona....». [...] «....Il solo fatto che noi seguitiamo a proclamare.... io, tu.... con le nostre bocche screanzate.... con la nostra avarizia di stitici predestinati alla putrescenza.... io, tu,.... questo solo fatto.... io, tu.... denun-cia la bassezza della comune dialettica.... e ne certifica della nostra impotenza a predicar nulla di nulla. (C, p. 636)

Al vertice della detestabilità si colloca il pronome di prima persona, defi-nito poco avanti «Il più lurido di tutti i pronomi!....». Ovvio che nell’in-vettiva contro i pronomi di Gonzalo la categoria dell’io vada intesa prima di tutto nella sua accezione filosofico-esistenziale, non grammaticale; ma certamente questa avversione non poteva rimanere priva di conseguenze sul piano delle scelte linguistiche, la più evidente delle quali è che il rac-conto in prima persona sia stato sostanzialmente evitato da Gadda 12. Tut-tavia l’aspetto che qui mi interessa evidenziare è un altro: partendo da tali premesse si complica la gestione della deissi e dei fenomeni linguistici ad essa correlati.

Sulla scia di uno scritto teorico (Come lavoro, del 1949) in cui Gadda ri-vendica la necessità di un «impiego spastico» della parola come strumento necessario per la dissoluzione del contenuto semantico originario e per la

(definito «il Copernico di Pian Castagnaio») nel finale della citata canzone («il sole / Ridea calando dietro il Resegone»).

11 G.C. Roscioni, La disarmonia cit., p. 178. 12 Solo nei primi esperimenti (alcuni racconti della Madonna dei filosofi) Gadda

adotta la narrazione in prima persona, evitando poi nelle sue opere maggiori questa mo-dalità diegetica. E anche l’ignoto presente nel titolo del Racconto italiano sembra alludere a una «presa di distanza dall’io»: C. Verbaro, La cognizione della pluralità cit., p. 52.

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ridefinizione del suo valore nel sistema conoscitivo dell’autore 13, sono fio-rite nella bibliografia critica diverse metafore, utilizzate per definire lo stile dell’autore. Oltre allo spasmo, la sua prosa ha richiamato la frantumazione, il singhiozzo, il soffocamento 14. In effetti la sintassi di Gadda appare franta e cadenzata da continue interruzioni e precisazioni; in particolare nel Pa-sticciaccio questo andamento è ottenuto mediante «la frequenza di formule attraverso le quali l’autore interviene su quanto appena detto, per precisare meglio, per correggersi, o anche per introdurre un diverso punto di vista su un determinato aspetto» 15. Di conseguenza nella prosa gaddiana la messa a fuoco del referente è frutto di successivi –  a volte ricorsivi – ritorni sul già detto, realizzati per mezzo di aggiunte, glosse, apposizioni, incisi. A una prima analisi questo impulso a precisare può essere considerato un aspetto di quello «sprofondamento ossessionato nel particolare» già individuato da Pasolini 16. Non è estranea a ciò la nevrotica ossessione dell’ingegnere per il dettaglio e per l’ordine. Si ricordi il tratto di teutonicità che l’autore attri-buisce al suo alter ego Gonzalo nella Cognizione:

Germanico era in certe manìe d’ordine e di silenzio, e nell’odio della carta unta, dei gusci d’ovo, e dell’indugiare sulla porta coi convenevoli. In certo rovello in-terno a voler risalire il deflusso delle significazioni e delle cause, in certo disde-gno della superficie-vernice, in certa lentezza e opacità del giudizio, che in lui appariva essere inalazione prima che sternuto, e torbida e tarda sintesi, e non mai lampo-raggio color oro-pappagallo. Germanica, soprattutto, certa pedanteria più tenace del verme solitario, e per lui disastrosa, tanto dal barbiere che dallo stam-

13 «La tesi di Gadda è la seguente: solo se si mette in tensione l’edificio linguistico, disarticolando i rapporti e le consecuzioni usuali, e producendo così una semantica «spa-stica», solo allora la lingua potrà sconvolgere gli schemi entro cui la percezione è irrepara-bilmente sclerotizzata» (E. Manzotti, Note sulla sintassi cit.).

14 Di sintassi franta hanno parlato P.V. Mengaldo, Novecento, Torino, Einaudi, 1994, p. 154, e E. Manzotti, «La cognizione del dolore» cit., p. 295. Il singhiozzo è acuta imma-gine di G. Contini, Introduzione alla “Cognizione del dolore”, in Id., Varianti e altra lingui-stica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 601-619: 606. In ambito critico hanno parlato di scrittura spastica G. Guglielmi, I paradossi di Gadda cit., p. 223, e W. Pedullà, Il cubismo di Gadda, in Id., Le caramelle di Musil. Le parole del critico militante, Milano, Rizzoli, 1993, pp. 106-108: 107. La sensazione di soffocamento è evocata da E. Tonani, Punteggiatura d’autore, Fi-renze, Cesati, 2012, p. 128, a proposito degli effetti derivanti dall’uso ipertrofico dei punti sospensivi.

15 L. Matt, Gadda, Roma, Carocci, 2006, p. 105. 16 P.P. Pasolini, Gadda, in Id., Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1977 (I ed.

1960), pp. 308-320: 317.

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patore. «Bisogna arrabattarsi!», gli dicevano. «Tirare a campare», soggiungevano. Non aveva nessun genio per l’arrabattarsi e il tirare a campare, nel di cui uso si trovava più impacciato che una foca a frigger tortelli 17. (C, pp. 606-607)

Ma evidentemente non è solo un problema di indole del personaggio/autore: dietro questa avidità di dettagli e la ricerca di punti di vista non convergenti si cela il bisogno di andare oltre l’apparenza fenomenica delle cose; tale esigenza conoscitiva ha come correlato linguistico la ricerca di uno sviluppo tematico caratterizzato dal progressivo, quasi cinematogra-fico, accrescimento dei dettagli e della nitidezza del referente presentato; un progredire tematico omologo al progresso della conoscenza, immagi-nato da Gadda come «un caos che si arricchisca di determinazioni» (MM, p. 834).

Sugli aspetti filosofici di questo accesso per gradi alla conoscenza del reale – che Gadda definisce «euresi» –, e sul fatto che le singole tessere della realtà acquisiscono senso nella misura in cui siamo in grado di ca-larle in schemi generali, ci vengono di nuovo in soccorso alcune riflessioni della Meditazione milanese:

Svegliandoci di soprassalto da un sonno greve, quando l’angoscia e la stanchezza mentale ci privano di una rapida ripresa della nostra totale e integratrice ragione, noi viviamo di ‘frammenti di ragione’ per alcuni attimi, stropicciandoci faticosa-mente li occhi. Ecco allora le forme e i cubi della vita, veduti da queste nostre ragioni frammentarie [...] ecco apparirci come strani sistemi, di cui non ci spie-ghiamo il perché lì per lì [...]

Ma, con il michelangiolesco sforzo dello stanco che si risolleva, questi fran-tumi di ragione cercano di coagularsi e consaldarsi e si coagulano e consaldano di fatto in una più lucida veglia. E allora quelli oggetti o cubi che intravedemmo al primo aprire delli occhi, vengono giustificandosi perché un sistema noto e certo li categorizza e li cementa in una realtà unificante, agglutinante, o sistema [...]

E quel cubo è un sasso, e l’altra forma un fucile, e il fucile è perché siamo soldati, e il sasso è perché siamo sulla terra del Carso, e tutto si ricompone e cementa nel sistema e viene apoditticamente giustificato (in quell’attimo) dal si-stema. (MM, pp. 838-839, cit. in G.C. Roscioni, La disarmonia cit., p. 9)

I singoli oggetti sono conoscibili in quanto parte di uno schema generale noto (significative le analogie col concetto di schema interpretativo glo-

17 E altrove «Il pasticcio e il disordine mi annientano. Io non posso fare qualcosa, sia pure leggere un romanzo, se intorno a me non v’è ordine» (SGV, II, p. 570).

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bale proposto dalla Gestalt); in termini più cari a Gadda possiamo dire che lo gliuommero, se pure ci si riesce, si può dipanare solo dopo aver esperito il tentativo di arrivare, per successive approssimazioni, alla so-stanza-effettività, di là dalle apparenze e con «disdegno della superficie-vernice» delle cose:

Così io penso al conoscere come ad una perenne deformazione del reale, intro-ducente nuovi rapporti e conferente nuova fisionomia agli idoli che talora dis-solve ed annichila [...] E nel progresso del conoscere il dato si decompone, altri dati sorgono dai cubi neri dell’ombra e quelli da cui siam partiti non hanno più senso, non “esistono” più. (MM, p. 668)

Si ricordi che lo stesso Gadda ha spiegato la scelta del termine cognizione come titolo del suo romanzo proprio per rendere l’idea di un «graduale avvicinamento a una nozione» 18.

Continua frattura delle unità sintattiche, diffrazione del punto di vista e graduale messa a fuoco dei referenti –  con conseguente rallentamento del ritmo e spostamento a destra del baricentro informativo del periodo – appaiono dunque le polarità attorno a cui convergono i diversi procedi-menti che rendono sulla pagina questo sistema conoscitivo. Gadda li rea-lizza attingendo a fonti eterogenee: fenomeni dell’oralità spontanea, figure retoriche di amplificazione, lo stile periodico e altri calchi sintattici dal serbatoio classico. Esaminiamo separatamente i diversi livelli.

Nell’àmbito dei fenomeni di simulazione dell’oralità, le costruzioni che più contribuiscono a rendere l’effetto di progressiva determinazione del tema sono le seguenti.

1. Rideterminazione dei rinvii deittici. Nelle pagine di Gadda abbondano i deittici, elementi che nel testo letterario si configurano nel loro insieme come «uno degli artifici stilistici di maggior rilievo per far acquisire alla parola del personaggio le cadenze del parlato» 19. Fin qui nulla di origi-nale rispetto alla strumentazione a disposizione di qualsiasi scrittore. È però interessante notare come Gadda, anche in questo àmbito, adatti gli strumenti linguistici alla sua visione del mondo.

18 C.E. Gadda, «Per favore mi lasci nell’ombra». Interviste, 1950-1972, a c. di C. Vela, Milano, Adelphi, 1993, p. 114.

19 E. Testa, Simulazione di parlato, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, p. 139.

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In primo luogo egli adopera talvolta forme di deissi «slegata», cioè non ancorata anaforicamente al cotesto. Si tratta di una modalità che di solito è utilizzata nella rappresentazione teatrale, dove il destinatario con-divide il campo indicale con i personaggi in scena; di conseguenza è piut-tosto rara nella narrativa, poiché il riferimento non è pienamente decodi-ficabile da chi non condivida il contesto dell’enunciazione 20:

E poi ancora femmine, femmine, dopo lo zinco e la Recoleta; femmine! come barchi di cabotaggio rimessi a nuovo, stradipinte, col riso delle bassaridi aperto su trentadue denti fino agli orecchi; una sottanella gualcita, di mezza lana, a tegu-mentare d’un mistero da diez pesos (cinquantacinque di queste qua) la miseranda meccanica dello sculettamento. (C, p. 693)

Ma il trionfo più granne era su la scala A, piano terzo, dove che ce staveno de qua li Balducci ch’ereno signori co li fiocchi pure loro, e in faccia a li Balducci ce steva na signora, na contessa, che teneva nu sacco ’e solde pure essa, na vedova: la signora Menecacci. (P, p. 19)

In secondo luogo, e più frequentemente, Gadda appone la propria cifra stilistica rideterminando un’espressione deittica solo accennata in prima battuta. Le precisazioni, oltre a procurare una dilatazione del ritmo, pos-sono innescare scarti di registro e giochi polifonici (per es. nel caso di fuori ... fuori dalla coccia dell’anima; fuori ... da ’a panza d’ ’o conte):

In realtà, nella guerra Maradagàl-Parapagàl, di quote 131 – o 151 o 171 – ce n’erano state a bizzeffe, date le contrastanti delibere degli opposti strateghi, che ci strofinarono sopra, alle quote, come fossero zolfanelli, i battaglioni massacrati: e un reduce qualsiasi per poco fantasioso che fosse, e magari anche un disertore indio, aveva largamente da scegliere. (C, p. 579)

José, il peone, sosteneva ch’egli avesse dentro, tutti e sette, nel ventre, i sette pec-cati capitali, chiusi dentro nel ventre, come sette serpenti: che lo rimordevano e divoravano dal di dentro, dalla mattina alla sera: e perfin di notte, nel sonno (C, p. 597)

L’Angeloni si ritirò di nuovo nel suo guscio, come la lumaca, lasciando fuori solo il naso: fuori dalla coccia dell’anima. Intendeva dire, forse, che lei, come portiera, il suo mandato era appunto quello di spiar la gente al passaggio (P, 47)

20 Esempi di deissi slegata in novelle quattrocentesche sono discussi in E. Testa, Simu-lazione di parlato cit., pp. 138-145.

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Ne svolan fuori a frotte, difatti, da ’a panza d’ ’o conte, come tante gallinelle da una gabbia (P, 172)

La struttura giallistica del Pasticciaccio offre ulteriori motivi per enfatiz-zare la ricerca di precisione dei riferimenti, sia spaziali sia temporali:

Un profondo, un terribile taglio rosso le apriva la gola, ferocemente. Aveva preso metà il collo, dal davanti verso destra, cioè verso sinistra, per lei, destra per loro che guardavano: sfrangiato ai due margini come da un reiterarsi dei colpi, lama o punta: un orrore! da nun potesse vede. (P, p. 59)

I tre funzionari, o meglio il dottor Fumi e Ingravallo, decisero di aprirla senz’al-tro: e di far lettura delle «ultime volontà della povera signora»: verbalizzando alla presenza di don Corpi e di quattro testimoni, oltrecché del richiamato Balducci. Ultime volontà: che doveveno tuttavia risalire a un par de mesi prima: ultime in-quantocché non mutate. (P, p. 99)

Quanto alle determinazioni temporali, grazie allo sfasamento enunciativo reso possibile dal discorso indiretto libero, l’avverbio ora rinvia perlopiù al momento dell’enunciazione; è dunque agganciato alla prospettiva del personaggio, non a quella del narratore. Si noti l’uso della virgola prima e dopo l’avverbio a segnalare lo scarto. Anche quest’uso sembra prevalere nel Pasticciaccio:

Don Ciccio stava per vedere il fondo dell’ultimo per così dire calice – un cinque anni bianco extra-secco, ora, del cavalier Gabbioni Empedocle & Figlio (P, p. 23)

Aveva accettato una polputa sigaretta dal Balducci (che gli squadernò il portasiga-rette d’oro sotto il mento, con un tatràc repentino): e la fumava, ora, con una sua ritenuta voluttà e con elegante naturalezza ad un tempo. (P, p. 25)

Le gocce, anziché da mano assassina, parevano gocciolate giù da un coltello. Nere, ora. (P, p. 67)

«Zitta, mo,» le aveva detto il giovane in un tono cupo di minaccia, guatandola ancora, andandole quasi col viso sotto il viso. Parevano d’una tigre, ora, quegli occhi (P, p. 87)

2. Rideterminazione anaforica di un costituente. Questo tipo di progressione tematica si concretizza in vari moduli di ripresa e amplificazione del già detto, fra cui la ripresa di un pronome per mezzo di un sintagma nominale:

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D’altronde egli era coniugato con prole, il buon medico; prole che l’Ufficio Leva del Prado aveva sistematicamente negletto, essendo femmine, cinque: una più si-gnorina dell’altra. (C, p. 596)

Egli, il figlio, asseriva d’aver tradotto in bismuto le economie di dieci anni di la-voro, cioè in verità di dieci anni di tirchieria. (C, p. 604)

Lui, ’o signorino cuggino, la sua tecnica era quella d’ ’o svagato: d’ ’o bel gio-vane. (P, p. 78)

«Lei, Liliana, parlandole certe volte da solo a sola, come si fa tra cugini, sa, lo vedevo bene... lei viveva de quella fantasia (P, p. 112)

La Provvidenza, a noi due, a Renata e a me, de crature ce n’avrebbe date quante ce pareva – (P, p. 114);

la ripresa di un sintagma nominale per mezzo di un pronome:

Del grifo e del naturale porcino di lui, altresì adduceva la favola, in aggiunta di quel di sopra, come nel corso di tutta una interminabile estate egli non avesse cibato se non aragoste in salsa tartara, merlani in bianco con fiotti di majonese, o due o tre volte il peje-rey; e piccioni arrostiti in casseruola con i rosmarini e le patatine novelle, dolci, ma non troppo, e piccolette, ma di già un po’ sfatte, inficiate, queste, nel sugo stesso venutone da quegli stessi piccioni (C, p. 602);

la ripresa di un sintagma nominale per mezzo di un altro sintagma no-minale, che realizza una distribuzione del carico informativo tra i due elementi:

«Fosse domà per il gridare.... ma quando le dice un qualche cosa anche peg-gio!.... a una vecchia di settantatre anni!.... a sua madre!.... che a vederla andar giù al cimitero, coi fiori, con la Pina dietro, mi par perfino che vada a fissare il posto.... (C, p. 610)

E dice che sono come i neri dell’Africa.... come gli Arabi, dice, con le perle nel naso, le donne, con gli anelli attaccati al naso.... in mezzo» (sollevò appena i due piatti) «tra i buchi, sa.... perché dice che i negri fanno così.... cioè le sue donne, dei negri....». (C, p. 612)

Sì, uno sfavillìo degli occhi, nella faccia, quando appena gli parlasse, al ragazzo, a Diomede (P, p. 176)

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Il loro cervello, di quele du befane de zi’ Marietta e zi’ Elvira, annava dietro alle fisime. (P, p. 91).

Il modulo, sia nel caso interessi un pronome sia un sintagma nominale, può essere ricorsivo, quando le esigenze retoriche lo richiedano:

«....Glie l’avevo detto perché lo dicesse lei a José, al suo caro José, al peone.... all’adorato concittadino di cui paghiamo le tasse.... a cui paghiamo....»: il medico, a capo chino, si frustò col bastoncello il polpaccio destro: «....la luce.... l’allog-gio.... la legna.... l’inchiostro.... come di diritto.... perché si degni di zoccolar per casa con le più lerce brache che gli riesce d’infilare.... (C, 630)

E lui, lui, il cacciatore (lo guardò), lui che cosa prova, che cosa si sente, dentro, quando gli arriva in casa la nipote, la nipotina di turno? Che ne aveva pensato delle varie... nipoti? (P, p. 24)

Non sfuggono alla smania per la rideterminazione gli incapsulatori ana-forici. In questo caso abbiamo a che fare con una rideterminazione di secondo grado, poiché gli incapsulatori di per sé costituiscono ripresa, e quindi sintesi e riformulazione, del già detto:

S’era indugiato in alcune ville con l’esibizione delle bollette, aveva dovuto atten-dere il denaro, discutere un lieve aumento, e poi apporre due o tre firme, su due o tre fogli cilestri, uno per villa; operazione a lui un po’ meno agevole, questa qui della firma, che non fosse l’estrar di tasca il bollettario a matrici. (C, p. 669)

3. Dislocazioni a destra. L’accumulo «delle frasi segmentate e degli spo-stamenti a destra del tema con anticipo pronominale» è stato sotto-lineato da Mengaldo 21. È significativo che nella prosa di Gadda le dislo-cazioni a destra, che isolano sulla destra il costituente semanticamente centrale, prevalgano sulle dislocazioni a sinistra, che evidenziano anti-cipandolo il tema dell’enunciato. Tra i valori pragmatici che la disloca-zione a destra può assumere nel parlato è prevalente quello di ripensa-mento: nella simulazione del parlato rappresentata sulla pagina letteraria tale effetto di solito mima la scarsa progettazione e la progressione te-matica erratica dell’oralità spontanea. In Gadda tale funzione, pur pre-

21 P.V. Mengaldo, Novecento cit., p. 153.

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sente, slitta in secondo piano rispetto a quella di rideterminare, preci-sandolo, il referente 22:

Ed altre patate ancora, di dentro, quasiché non bastassero quelle altre messe a contorno, cioè di fuori del deretano del piccione; che erano quasi divenute una seconda polpa anche loro, tanto vi si erano incorporate, nel deretano. (C, p. 602)

Li sistemò come poté, i formaggini, in quel campo oltraggioso di non-forme: in quel caravanserraglio d’impedimenti d’ogni maniera: cicale cipolle zòccoli, bronzi ebefrènici, Giuseppi paleo-celtici, Battistine fedeli lungo i decenni, gozzocretine dalla nàscita: tutto l’acheronte della mala suerte brodolato giù dal senno e dal presagio dei padri, che vi leggevano ilari, giulivi, in quel fiume di catrame, la cara normalità della contingenza, la ingenuità salubre del costume villereccio. (C, p. 627)

All’annuncio un po’ canoro e un po’ pecoraro dell’Assunta: «C’è er signorino Giuliano», gli pareva, all’Ingravallo, ch’ella avesse come trasalito: o arrossito, an-che: d’un rossore «sottocutaneo». Impercettibilmente. (P, 27)

Di norma il costituente dislocato è separato dal resto della frase da una virgola; a volte la frattura della curva intonativa è ulteriormente eviden-ziata dall’uso dei puntini sospensivi:

E gli regala i fichi, le pesche, le caramelle.... allo scemo. (C, p. 644)

Solo occasionalmente la dislocazione è dovuta a ragioni di bilanciamento della catena anaforica; nell’esempio seguente il resoconto corale del furto subito dalla vedova Menegazzi assume toni un po’ arruffati. Di conse-guenza il sintagma nominale pieno (l’anello) si trova separato dal pro-nome atono di ripresa (lo) da determinanti e incisi, l’ultimo dei quali con-tiene un topic potenzialmente interferente (il cervello). In tal caso la ripe-tizione del sintagma si rende necessaria per evitare un’ambiguità (l’anello / il cervello) su cui è assai probabile che Gadda si sia divertito a giocare:

22 Questa, ripeto, mi sembra la funzione prevalente in Gadda. Ciò non esclude che talvolta la posposizione del costituente dislocato abbia anche l’effetto di concentrare l’at-tenzione sul predicato verbale. Su tale funzione delle dislocazioni a destra nel parlato cfr. G. Berruto, Le dislocazioni a destra in italiano, in Tema-Rema in Italiano, a c. di H. Stam-merjohann, Tübingen, Narr, 1986, pp. 55-70.

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In occasione dello smarrimento d’un anello con un topazzio o topazzo (quarcuna, sempre pe rispetto, pronunziava topaccio), che la Menegazzi o per più pulito dire Menecacci aveva dimenticato al cesso, unicamente perché era un’oca vanesia e le era svaporato il cervello, sicché lo aveva lasciato da Cobianchi a San Lorenzo in Lucina, l’anello, sapete bene, là dentro l’angolo di Palazzo Ruspoli, un po’ sotto-terra però, e poi però miracolosamente lo ritrovò, su la mensolina de vetro de lo specchio der lavamano, previa accensione d’una candela a sant’Antonio ch’entrò apposta a San Silvestro a falla accenne, e solo dopo avella accesa ritornò addietro a cercallo; (P, pp. 51-52)

4. Inversione del soggetto. Soprattutto nella Cognizione Gadda ricorre a co-struzioni con ordine VS. Rispetto alle inversioni canoniche la particolarità consiste nel fatto che il soggetto viene a trovarsi tra due pause, segnalate dai segni interpuntivi, e non può pertanto ricevere l’accento contrastivo:

Ø S’erano subito incaricate, queste tre, con altre donne e mariti e preti e osti e vetturali e col portalettere di Lukones, di diffondere a modo loro quell’imbroglio portato fin là dal «commerciante» (C, p. 580)

Poi Ø sparnazzò un po’ dappertutto sul tetto, sto farfallone della malora, e aveva poi fatto l’acròbato e la sonnambula lungo il colmigno e la grondaia (C, p. 587)

Fino a quando Ø si ammalerà dal mal di pancia, l’adorato nipotino; (C, p. 645)

la differenza di valore è stata colta da Manzotti, che osserva come in casi simili «la posizione postverbale di un soggetto non ha nulla a che fare [...] con la sua caratterizzazione come rema (informazione nuova) me-diante l’ordine delle parole» 23. Anche in questo caso la costruzione, tra-sferita sulla pagina di Gadda, muta la valenza originaria: la funzione di focalizzazione cede il posto a quella di rideterminazione anaforica di un riferimento debole: nella fattispecie l’esplicitazione di un soggetto omesso (segnalato dal simbolo Ø negli esempi) dalla sua posizione preverbale 24.

Potrei continuare, allungando l’esemplificazione fin qui proposta con tutti gli altri strumenti che il sistema mette a disposizione per tornare sul già detto e arricchirlo, amplificarlo, ridefinirlo, correggerlo: le chiose, gli incisi con valore appositivo, le giunte – definite efficacemente «apposi-

23 E. Manzotti, Note sulla sintassi cit. 24 Come è noto l’ellissi del soggetto in italiano è grammaticalizzata, e consente al rice-

vente di considerare l’elemento «zero» come punto d’attacco anaforico.

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zioni segmentanti» da Mengaldo 25. Tali strumenti sono tuttavia meno im-portanti nell’economia di questo lavoro perché Gadda li trova già pronti nella lingua comune e non ha bisogno di riplasmarli per renderli omoge-nei al suo impasto.

Dedichiamoci ora ai prelievi dai piani alti del repertorio. Da buon retore – come amò definirsi ironicamente – Gadda pesca a piene mani nella tradizione, attingendo in particolare alla famiglia delle figure di pa-rola «per aggiunzione» 26. In tale famiglia la figura a lui più congeniale è sicuramente l’anadiplosi, che nelle sue diverse realizzazioni costituisce uno degli architravi della texture gaddiana 27. La figura può assumere più valori. Ad un primo livello è strumento di progressione tematica, anche iterata (come nel primo esempio), e lega tra loro i periodi, concatenandoli telescopicamente in segmenti successivi:

Popolo e pulci, di cui si commoveva la mamma, dopo che il suo figlio minore, nei lontani anni, aveva guardato gli accorsi. Con occhi lucidissimi, aperti. Aperti, fermi. (C, p. 729)

Il silente e impreveduto apparire di lui dalla scaluccia: un giovane di singolare avvenenza, certo, biondo come un arcangelo, ma senza spada: di ritorno dall’aver dato lancia in Abisso. L’Abisso, quella volta, doveva aver accusato la botta. Una botta da felicitarsene. (P, p. 178)

Sì, era il diavolo: penetrato a insidia nella cucina, sul mattonato indifeso della povertà domiciliare: o penetrata, dato che s’era travestito da gallina: o in agguato dentro il recinto di canne: cannarelle infitte ad arte nel terriccio con due incli-nazioni opposte che davan figure di rombi, strapazzate dalla dirotta piova e dal vento, metà sfasciate e metà marce, ora, dopo l’invernata (P, p. 236)

Ad un livello stilisticamente più impegnativo l’uso della figura risponde a esigenze diverse. Come avvertono i manuali di retorica, l’anadiplosi assolve

25 P.V. Mengaldo, Novecento cit., p. 154. 26 Mi rifaccio alla tassonomia lausberghiana adattata da B. Mortara Garavelli, Manuale

di retorica, Milano, Bompiani, 1988, p. 186. 27 E. Manzotti, Cognizione cit., p. 308, parla di «deriva tematica per catene di anadi-

plosi». Non mi occuperò in questa sede dell’uso, così caro a Gadda, delle figure di accu-mulazione (in primo luogo le enumerazioni) oggetto di studi esaustivi nella bibliografia di riferimento. Valga per tutti il rinvio al secondo capitolo, Singula enumerare, di G.C. Ro-scioni, La disarmonia cit., pp. 24-56.

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prevalentemente a una funzione chiarificatrice, in particolare quando il piano principale del discorso è complicato da aggiunte e incisi, o enfatica. Questo valore è certamente presente in Gadda; tuttavia – specie nella Cognizione – prevale la funzione dilatativa, che assolve a diversi compiti. Può restituire «il momento elegiaco delle nostalgie perdute, espresso in ritmi lunghi» 28:

Il nuovo nome destò una certa sorpresa, sia nei villici che nei villeggianti, taluni dei quali ultimi ebbero occasione di trovare «che c’era un qualche cosa nella sua faccia.... Era, sopra la corpulente imponenza della persona, e sul collo chiuso dell’uniforme, una faccia larga e paterna dai corti baffi, a spazzola e rossi, dal naso breve, diritto: gli occhi affossati, piccoli, lucidi, assai mobili e con faville acutissime d’una luce di lama nello sguardo, cui la visiera attenuava ma non po-teva spegnere interamente. (C, p. 576)

Si raccolse allora, chiusi gli occhi, nella sua solitudine ultima: levando il capo, come chi conosce vana ogni implorazione di bontà. E si sminuiva in sé, prossima a incenerire, una favilla dolorosa del tempo: e nel tempo ella era stata donna, sposa, e madre (C, p. 675)

o sottolineare momenti di tragica intensità emotiva, come nel caso del so-gno premonitore della morte della madre nel capitolo terzo:

«....Un sogno.... strisciatomi verso il cuore.... come insidia di serpe. Nero.Era notte, forse tarda sera: ma una sera spaventosa, eterna, in cui non era più

possibile ricostituire il tempo degli atti possibili, né cancellare la disperazione.... né il rimorso; né chiedere perdono di nulla.... di nulla! (C, 632)

Si tratta di una figura a tal punto cara all’autore che egli se ne serve anche in un ambito ancillare e liminare al testo come le note 29. Nella seguente, dal Castello di Udine, spicca la frizione tra l’asciuttezza complessiva del brano, caratterizzato da sintassi nominale e telegrafica, e l’amplificazione finale, ul-teriormente impreziosita dalla collocazione chiastica dei due elementi ripresi:

L’ordine di operazione per la ritirata arrivò al settore dov’era il Ns. con dieci ore di ritardo sul tempo che credeva e sperava chi lo diramò. I tedeschi erano già in massa lungo la riva occidentale dell’Isonzo. Dalle posizioni del Ns. all’Isonzo 4

28 G. Contini, Introduzione cit., p. 606. 29 Sulla funzione del paratesto nella prosa di Gadda si veda C. Verbaro, La cognizione

cit., pp. 121-127.

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ore di marcia: 6 con il carico delle mitragliatrici. L’Isonzo in piena. Il ponte arso a Terranova, brillato a Caporetto. Brillato e arso per mano italiana (CU, p. 154)

Sempre in funzione dilatativa del ritmo, l’anadiplosi può combinarsi con la correctio e la climax:

A quest’altro flagello, in verità, non è particolarmente esposta la involuta pannoc-chia del banzavóis, ch’è una specie di granoturco dolciastro proprio a quel clima. Clima o cielo, in certe regioni, altrettanto grandinifero che il cielo incombente su alcune mezze pertiche della nostra indimenticabile Brianza: terra, se mai altra, meticolosamente perticata. (C, p. 571)

affinché il vigile possa efficacemente persuadere al fuorilegge ch’egli deve senz’al-tro seguirlo al più vicino posto di guardia. Seguirlo, o per dir meglio precederlo, visto che certi tipi è meglio metterseli davanti, che dietro. (C, p. 572)

Dicevano che fosse vorace, e avido di cibo e di vino; e crudele: questo già fin da ragazzo [...]. Vorace, e avido di cibo e di vino: crudele: e avarissimo: tanto da re-carsi a piedi alla stazione del Prado; (C, p. 598)

Dal terrazzo la veduta spaziava perdutamente fino alle lontane colline, e poi più lontano forse, nel sole. Si spegneva ai tardi orizzonti: e agli ultimi fumi delle fab-briche, appena distinguibili nella foschia: posava alle ville e ai parchi, cespi ver-dissimi, antichi, tutt’attorno la mite e famigliare accomàndita di quei piccoli laghi. Eran livelli celesti, opachi, future torbiere, tra l’insorgere dei mille piacevoli inci-denti d’una orografia serena, che aveva conosciuto il cammino delle Grazie. Terra vestita d’agosto, v’erano sparsi i nomi, i paesi. Ed era terra di gente e di popolo, vestita di lavoro. (C, pp. 628-629)

Per ottenere l’effetto di differimento dell’informazione, Gadda utilizza tal-volta la costruzione latineggiante. Ne risultano periodi lunghi in cui la con-clusione della proposizione principale, il cui primo segmento apre il brano, viene continuamente differita, e come impedita, da una serie sterminata di precisazioni (complementi, subordinate, incisi). Ecco un esempio di questo modo di procedere che, se apparentemente riproduce lo stile periodico, in realtà destruttura il testo per la quantità e la molteplicità di piani sintattici ed enunciativi su cui si dispongono gli incisi 30:

30 Analizzando l’uso delle parentesi in questo brano E. Tonani, Punteggiatura cit., pp. 151-152, osserva come «dal punto di vista dell’organizzazione dei membri dell’enunciato, la costruzione è ancora una volta quella del periodo tradizionale, ad ampie volute, latineg-

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Il commerciante, indi a poco, nel vendere sulla piazzuola i suoi tagli d’occasione, e sciorinando il panno, oh! non certamente inglese, e nemmeno biellese, davanti al giallore dei visi e alla curiosità gemmea degli sguardi, mentre mulinava la lin-gua per delle mezz’ore intere che non si capì di dove diavolo tirasse la saliva ne-cessaria, e dopo aver frammischiato spiritosaggini e lazzi di comune dominio, ma estremamente rari per i Lukonesi a bocca aperta, con ricordi sbagliati di guerra e motti stereotipi del tempo della Reconquista, e ricordi falsi a sospiri, e sospiri a piropi, alcuni magari assai trovati e versati in un orecchio, con un rovente tre-molo di passione alle odorose contadinotte della Keltiké – (non afferravano, le tarchiate ragazze, ma arrossivano quand même e si davan di gomito, ridendo, tor-cendo il collo, celando il volto nelle due mani, come per vergogna, ma un po’ di-sgiunte; dietro quello spiraglio e le dita c’eran le labbra, gli occhi) – dopo aver la-sciato piroettare a quel modo la sua anima-lingua per quasi il tempo d’una messa grossa – principiò a lasciar cadere all’indirizzo di Pedro una battuta di qua, una parola di là, una mezza frase più in giù, mentre seguitava a gracchiare, a gestire, a precipitarsi, a riprendersi, a sbandierare le sue stoffe. (C, pp. 582-583)

Rimanendo nell’àmbito dei debiti che Gadda contrae con la tradizione classica ricordo l’impiego del nesso relativo, più frequente nel Pasticciac-cio, che consente di riprendere quanto detto nella frase precedente e al contempo di arricchirlo grazie all’impiego di un incapsulatore anaforico con valore connotativo 31:

E poi non aveva mai voluto prender moglie, per esser più libero, questo era posi-tivo, di fare tutto quello che gli frullasse in capo. Della quale indegnità, per altro, il buon dottore e buon padre non arrivava a sdegnarsi con quella virulenza che il caso richiedeva. (C, p. 597)

Anche le costruzioni assolute, di solito impiegate per impreziosire la pa-gina, possono essere piegate all’esigenza di rideterminare (nel primo esem-pio) o di suggerire, con l’immediatezza che deriva dallo scioglimento dei legami formali col cotesto, una verità più profonda (nel secondo esempio):

Salirono al piano delle camere, lui avanti (C, p. 620)

giante, ma la peculiare modalità di inserzione delle parentesi inscrive il classicismo in una prosa moderna i cui movimenti, le autocorrezioni, le dimenticanze che accompagnano il processo del pensare non sono cancellate, ma bensì mostrate, esibite».

31 Sull’uso degli incapsulatori con valore connotativo come strumento non solo di coe-sione anaforica, ma di distribuzione del carico informativo del testo, mi permetto di rin-viare a M. Palermo, Linguistica testuale dell’italiano, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 85-87.

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Pe di che l’Urbe incarnava omai senza er minimo dubbio la città de li sette can-delabri de le sette virtù: quella che avevano auspicata lungo folti millenni tutti i suoi poeti e tutti gli inquisitori, i moralisti e gli utopici, Cola appeso. (P, p. 73)

Non possono mancare in conclusione alcune note sulla punteggiatura, che «in Gadda, arriva a toccare gli strati più profondi di funzionamento della lingua, ed è parte dell’attivazione di processi sottili di attivazione del senso» 32. Limitandoci ai casi di interesse testuale, tra i vari impieghi antinormativi della punteggiatura spicca l’uso del punto che interviene a interrompere un’unità sintagmatica forte. Si tratta della funzione dinamiz-zante del punto, oggi dilagante nella scrittura non solo letteraria, che ha avuto in Gadda uno dei precursori 33:

La sua mediocre puzza la fece considerare utile ai molti; come tutti i prodotti utili e di poca puzza riesce indispensabile, un bel giorno, alla economia collettiva, nelle migliorate speranze della vita maradagalese verso la fine del diciannovesimo secolo. Ed anche a Lukones. (C, p. 609)

Il Mahagones-Palumbo – anche questa notizia si diffuse rapidamente, e fu il noc-ciolo dello scandalo, – aveva ottenuto a suo tempo, 1925, la pensione di sesto grado, categoria quinta, cioè quasi la massima categoria, perché trovatosi a esser lasciato sordo d’entrambi gli orecchi, da scoppio di granata «penetrante e dilace-rante». Nell’azione di quota 131. (C, 577)

L’evidenziazione per mezzo del punto del costituente l’azione di quota 131 costituisce la premessa per la successiva digressione sull’antieroicità dell’azione, sottolineata e ribadita attraverso l’anafora:

I due aggettivi li escogitò lui lì per lì, nel rimpastocchiare la faccenda ad uso dei Lukonesi, quando finalmente si sentì chiamato in causa dagli ammicchi e dalle allusioni dei villici. E li proferiva con un tono così autorevole e fermo, aiutato anche dall’uniforme, che gelò i sorrisi, ogni volta, affiorati qua e là sulle labbra

32 E. Tonani, Punteggiatura cit., p. 14 nota. 33 Mi sia nuovamente consentito il rinvio a M. Palermo, Linguistica testuale cit., 223-

229. Sugli impieghi marcati del punto v. anche C. Giovanardi, Interpunzione e testualità. Fenomeni innovativi dell’italiano in confronto con altre lingue europee, in L’italiano oltre frontiera. Atti del 5o convegno internazionale, Leuven, 22-25 aprile 1998, a c. di S. Van-volsem, D. Vermandere et al., Leuven-Firenze, Leuven University Press / Cesati, 2000, pp. 89-107; A. Ferrari, Le ragioni del testo. Aspetti sintattici e interpuntivi dell’italiano contem-poraneo, Firenze, Accademia della Crusca, 2003, in particolare alle pp. 67-73.

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degli ascoltatori. Parve davvero a tutti che ci fossero, in guerra, le granate co-muni, ordinarie, (di cui giusto eran morti i loro fratelli, o figli), non penetranti e tanto meno dilaceranti; ma che la granata del Palumbo fosse stata invece una gra-nata speciale, di alta classe: e proveniente da un cannone qualificato, molto più temibile dei soliti, buoni magari anche, questo sì, nei giorni feriali, per ammazzar villani alla meglio.

Dal momento che si era costretti a designarla in tal modo. Quei due aggettivi, poi, vennero presi molto sul serio e direi apprezzati in misura tutta particolare dalle ragazze e donne del paese: e dalle signore in villa, le quali ci fantasticarono su per delle settimane, non avendo di meglio da fare, in quel torno, nonostante le innegabili e multiverse risorse dei loro cervelli.

L’azione di quota 131, l’azione di quota 131.Tutto l’arrondimiento del Serruchón non conobbe altra quota, per un bel

pezzo, che quota 131. Al raccontare del Palumbo venne dato credito. Quanto poi vi fosse d’eventualmente incompatibile fra sordità e vigilanza, fu problema annul-lato dalla religione dei ricordi. Il valore ha per sé il culto vero, delle anime vere. Tutti ripetevano «l’azione di quota 131, l’azione di quota 131», come si trattasse d’un fatto universalmente noto, Waterloo, Aboukir, Porta Tosa. E ciò a prescin-dere dall’idea che la quota 131, perduta e ripresa un paio di volte la settimana durante tutto un semestre, aveva conosciuto, per sé sola, oltre novantadue azioni, una più micidiale dell’altra. (C, pp. 577-578)

Per rompere unità sintagmatiche forti Gadda usa anche i due punti, con il risultato di separare il nome dai suoi determinanti o il verbo dai com-plementi. Le fratture così determinatesi possono avere lo stesso effetto stilistico del punto dinamizzante:

Le indagini proseguirono in loco nel primo pomeriggio: a portone chiuso, a uscio chiuso: con rinforzo d’agenti: col maresciallo Valiani della polizia scientifica e con l’intervento armato dell’ufficio rilievi. (P, p. 64)

La parte superiore della testa, la fronte, assai alta e le tempie, sopra le arcate de-gli occhi, chiusi, parve il volto di chi si raccolga nella ricchezza silente e profonda dell’essere, per non conoscere l’odio: di quelli che tanto ama (C, p. 737)

Ricordiamo anche l’uso insistito delle parentesi, particolarmente usate da Gadda nella Cognizione, con funzioni varie. Nel seguente esempio segna-lano una rottura enunciativa, quasi una voce fuori campo che interviene a precisare il riferimento anaforico debole (li) 34:

34 E. Tonani, Punteggiatura cit., p. 153.

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Da qualche anno il commendator Angeloni s’era trasferito a via Merulana, in se-guito alle demolizioni di via del Parlamento-Campo Marzio. Là ci aveva abitato da sempre. Doveva essere un buongustaio: a giudicare almeno dai pacchetti, dai tartufetti.... Pacchetti che per solito li inoltrava lui a se stesso, con gran riguardo e con ogni venerazione, tenendoli orizzontali e in sul davanti, come gli desse il latte: di quelli dei salumai di lusso, pieni di galantina o di pàté, con il cordino celeste. E qualche volta, del resto, glie li mandavano anche a casa ar ducentodi-cinnove su in cima; glie li porgevano, come si dice a Firenze. (Carciofini all’olio, vitel tonnato.) (P, p. 39)

Con le parentesi, anche i trattini contribuiscono a distribuire l’informa-zione su più piani, creando incisi «pesanti», che includono relative ricor-sive, a loro volta contenenti incisi e precisazioni:

L’azione – di cui i Lukonesi volevano sorridere, ma di cui finirono invece per dovergli far recitare suo malgrado, al Palumbo, un minutissimo, interminabile ragguaglio, vincendo la sua estrema riluttanza a parlar di sé – venne fuori che era stata un attacco, preceduto da adeguato fuoco delle artiglierie maradagalesi, e seguito da un «bombardamento» (così disse, molto miseramente) delle parapaga-lesi, a cui tenne dietro un controattacco. (C, p. 578)

Proviamo a trarre delle conclusioni. Gadda utilizza un set eterogeneo di risorse linguistiche in funzione mimetico-evocativa. Sul piano filosofico le sue scelte sottolineano la difficoltà di conoscere – e di conseguenza di rappresentare linguisticamente – la realtà; sul piano stilistico riproducono la stratificazione enunciativa, la pluralità di punti di vista, in una parola la polifonia. Come avviene solo nei grandi scrittori, in questa spericolata architettura tout se tient: la semantica, la sintassi, la testualità e l’interpun-zione cooperano e, se necessario, sono riplasmate in funzione delle esi-genze dell’autore. I fenomeni analizzati in queste pagine contribuiscono a attuare una sintassi frammentata, provvisoria, un periodare che procede per digressioni e circonvoluzioni. Stilisticamente l’effetto che ne deriva è di rallentamento, di rottura del ritmo e di simulazione della precaria pro-gettazione testuale tipica dell’oralità. Non può tuttavia sfuggire la valenza profonda, filosofica, di questa architettura, il nesso tra questo modo di procedere e la visione gaddiana della complessità del reale, attingibile solo attraverso una lettura stratigrafica e per progressive approssimazioni. Nel reggere questa complessa impalcatura svolge un ruolo fondamentale la punteggiatura, che puntella e dà forma a un procedere rotto e sinco-

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Massimo Palermo

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pato. Molti dei tratti analizzati sono comuni sia alla Cognizione che al Pa-sticciaccio, sebbene in quest’ultimo il Leitmotiv della decostruzione della categoria di causa porti a enfatizzare quelle strutture che accentuano il senso di pluralità e di frammentazione del punto di vista; tali strutture acquisiscono lo status di correlati linguistici della difficoltà a dipanare la matassa dei rapporti causali.

La particolare architettura testuale di Gadda crea un cortocircuito a li-vello di coesione: mentre a livello macro la linea principale del discorso è opacizzata da spinte centrifughe (digressioni, divagazioni), a livello micro la coesione è molto alta, al punto che la densità dei nodi coesivi può ge-nerare quell’effetto di soffocamento più volte evocato dai critici. Dunque l’ipercoesione finisce per costituire una falsa pista per il lettore e in defi-nitiva, invece di iperstrutturare il testo, lo destruttura 35. Si tratta di un’ar-chitettura funzionale alla presa d’atto di una realtà molteplice e non ag-gredibile da un solo punto di vista, per la cui rappresentazione qualsiasi strumento di conoscenza risulta necessariamente limitato. Le costruzioni analizzate, in particolare quelle che comportano una progressiva messa a fuoco del referente, creano una continua diffrazione del punto di vi-sta e svolgono varie funzioni: in alcuni casi accompagnano il lettore verso un’interpretazione «fine» dell’oggetto, in altri lo depistano conducendolo in un cul de sac, in altri ancora danno modo all’autore di giocare vertical-mente su più piani, modulando slanci lirici, digressioni stranianti, abbas-samenti comici che integrano, arricchendola, la prima presentazione. Tale costruzione del discorso, nei limiti concessi dalla linearità e sequenzialità del codice lingua, è raccostabile alla prospettiva multipla delle arti figu-rative 36: come per mezzo di questa tecnica la visione dell’oggetto deriva dalla somma di atti percettivi diversi, che si integrano in un insieme unico

35 Un’analoga tecnica compositiva è stata osservata nella descrizione del Tabernacolo dei Due Santi, nel Pasticciaccio: «egli si applica all’oggetto con un’ottica ravvicinata, sicché l’insieme resta indeterminato (o è determinato sommariamente); e il dettaglio appare iper-determinato» (G. Guglielmi, I paradossi cit., p. 236).

36 Il rapporto tra la scrittura di Gadda e il cubismo è stato evocato da W. Pedullà: «Punti di vista. Gadda adotta i punti di vista di tutti i personaggi e ci gira intorno: oltre che dall’interno delle facce di un cubo. Così egli esprime il sentimento risultante che sur-roga l’assenza di una verità valida per tutti. È per tale “cubismo” che i capitoli di romanzo gaddiano non sono solo “poemi in prosa”» (Il cubismo di Gadda, in Id., Le caramelle di Musil cit., pp. 106-108: 107).

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grazie a un’operazione ricostruttiva del fruitore, così nella prosa di Gadda la descrizione degli oggetti, invece di convergere verso un impossibile punto di fuga unitario, è suscettibile di una lettura aperta, che integra piani e punti di vista divergenti e compresenti 37.

37 Mi limito a segnalare un’analogia di risultati: non voglio, e del resto esulerebbe dalle mie competenze, stabilire un rapporto diretto tra lo stile di Gadda e gli esperimenti figu-rativi delle avanguardie di primo Novecento. A possibili connessioni tra lo stile di Gadda e i movimenti artistici del primo Novecento accenna G.C. Roscioni, La disarmonia cit., p. 20. Sul rapporto di Gadda con l’arte a lui contemporanea cfr. M. Kleinhans, «Satura» und «pasticcio». Formen und Funktionen der Bildlichkeit im Werk Carlo Emilio Gaddas, Tübin-gen, Niemeyer, 2005, in particolare alle pp. 147-230 e 288-315. Sulla controversa colloca-zione di Gadda tra modernismo e postmoderno, cfr. N. Bouchard, Céline, Gadda, Beckett. Experimental Writings of the 1930s, Gainesville, The University Press of Florida, 2000; G. Stellardi, L’alba della «Cognizione». Gadda postmoderno?, in «Disharmony Established». Festschrift for Gian Carlo Roscioni. Proceedings of the first EJGS international conference, Edinburgh, 10-11 April 2003, a c. di E. Manzotti e F.G. Pedriali («EJGS», Supplement n. 3, «EJGS» 2004/4); R. Donnarumma, Gadda modernista, Pisa, ETS, 2006.

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